The Librarian e il richiamo di Avalon

di DirceMichelaRivetti
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno strano ritaglio ***
Capitolo 2: *** A Parlamento con Drago Volante ***
Capitolo 3: *** Stone in missione ***
Capitolo 4: *** Conti ***
Capitolo 5: *** Mitreo, parte I ***
Capitolo 6: *** Mitreo, parte II ***
Capitolo 7: *** Fomori ***
Capitolo 8: *** Teschio di cristallo ***
Capitolo 9: *** Prognometro ***
Capitolo 10: *** Telefoni ***
Capitolo 11: *** La torre di Morgana, parte I ***
Capitolo 12: *** La torre di Morgana, parte II ***
Capitolo 13: *** Confronti ***
Capitolo 14: *** Conclave, parte I ***
Capitolo 15: *** Conclave, parte II ***
Capitolo 16: *** Fuga ***
Capitolo 17: *** Il Principe dei Bibliotecari ***
Capitolo 18: *** Droctulfo ***
Capitolo 19: *** V.I.T.R.I.O.L. parte I ***
Capitolo 20: *** Sotterfugi ***
Capitolo 21: *** V.I.T.R.I.O.L. parte II ***
Capitolo 22: *** Duetti ***
Capitolo 23: *** V.I.T.R.I.O.L. parte III ***
Capitolo 24: *** Preparativi ***
Capitolo 25: *** Battaglia coi fomori ***
Capitolo 26: *** A Varna ***
Capitolo 27: *** V.I.T.R.I.O.L. parte IV ***
Capitolo 28: *** Brain storming ***



Capitolo 1
*** Uno strano ritaglio ***


Il libro dei ritagli vibrò.

Jenkins lo fissò per qualche istante e rimase indeciso circa se controllare di cosa si trattasse, oppure aspettare che qualcuno dei bibliotecari rientrasse. Flynn ed Eve erano a parlamentare coi draghi orientali: dopo la faccenda della perla rubata e del tradimento del signor Drake, era necessario che il Bibliotecario principale andasse a chiarire alcune cose; inoltre Dulaque era ancora libero, libero di agire, era quindi necessario trovare alleati contro di lui o, almeno, garantirsi delle neutralità.

Flynn aveva preso molto a cuore il dialogo con le creature legate alla magia ed era in viaggio da più di un mese.

I tre giovani, invece, si stavano occupando di missioni minori, ognuno per conto proprio.

Jenkins fissò ancora il libro che non aveva smesso di vibrare.

“Strano” pensò l'uomo “Ora che ci sono i libretti portatili, le notizie dovrebbero arrivare direttamente ai ragazzi, quando non si trovano alla Biblioteca.”

“Su, aprilo, che cosa aspetti?!”

Jenkins voltò il capo verso sinistra e vide sulla porta, dall'altra parte della stanza, Judson che lo osservava.

“Non sono un Bibliotecario, probabilmente è per te.”

“Se riguarda me, riguarda anche te, non credi? Controlliamo.”

I due uomini si avvicinarono al libro dei ritagli, prima guardandosi e poi posando gli occhi sul volume.

Quando la Biblioteca era stata ripristinata, anche Judson e Charlene erano ritornati. Judson, quando erano presenti Flynn, Eve o i giovani, rimaneva rigorosamente dentro a allo specchio, ma quando in giro c'erano solo Jenkins o Charlene, usciva da esso e prendeva corpo.

Jenkins aprì il libro detto ritagli e guardò di cosa si trattasse; si stupì nel trovare un piccolo articoletto che annunciava una conferenza in una piccola città italiana.

“Questo proprio non lo capisco.” disse Jenkins “Avevo ragione io: è una faccenda per te.”

“Leggiamo!” esortò JudsonOggi pomeriggio, ore 16, presso i Musei Civici, nuovo appuntamento dell'iniziativa Il della cultura. L'argomento di oggi sarà l'estetista Eliphas Levi, di cui parlerà la dottoressa Enya Bragazzi, giovane reggiana che ha da poco conseguito la laurea magistrale in Archeologia e civiltà del mondo antico presso l’università di Bologna.

“Un’archeologa che parla di esoterismo? Non vedo un nesso tra le due cose.”

Dev’essere interessante.”

Dev’essere un errore. Anzi, un doppio errore: sbaglia il libro a mostrarci questo e sbaglia il museo a chiamare i conferenzieri. Ecco, forse il libro vuole che impediamo a questa ragazza di parlare.”

“Come mai sei così acido, Jenkins? Vieni meno al tuo stile da gentleman.”

“Sono piuttosto nervoso, sì, da quando la mia quiete è stata invasa e distrutta.”

“Non dire bugie, non a me, almeno. Ormai sono sei mesi che i Bibliotecari sono con te, dovresti esserti abituato. Credo che ti abbia turbato maggiormente ritrovarti viso a viso con Dulaque; sbaglio forse?”

“L’avevo rincontrato, prima di affrontarlo a Telaio del Fato … Volevo ignorarlo, farmi da parte e lasciarlo agire, per non essere di nuovo coinvolto … ma Ezekiel mi ha fatto cambiare idea, strano. Comunque, sì, il ritorno di Dulaque … la visita di Morgana … Non è finita qui, ne sono certo. Si sta preparando qualcosa di grosso; la magia è tornata nel mondo e già da sola ci sta dando parecchio da fare, presto tutto il mondo e l’equilibrio saranno in pericolo! Ma questo tu già lo sai.”

“Sì, ma è per questo che esiste la Biblioteca.”

“Io credevo di avere chiuso con l’eroismo! Scegliere, agire, combattere, tutto è stato difficilissimo in passato ed è costato un grande prezzo … Lo sai … tu sai quanto ho sofferto … quanto abbiamo sofferto … la distruzione della prima Biblioteca! … Avevo deciso di dire basta, di ritirarmi qua, nello studio … e ora tutto sta ricominciando.”

“Beh, dopo tutti questi secoli di inattività, un po’ di azione ti farà bene. Galeas, lo sappiamo entrambi che sei vivo perché il mondo ha ancora bisogno di te. Per questo tempo sei rimasto quiescente, ci sono stati altri che hanno difeso il mondo ma, ora, è necessario che ritorni all’azione anche tu.”

“Senza di te?”

“Non puoi liberarti di me, lo sai.” Judson disse scherzoso.

Jenkins sospirò, scosse il capo e poi chiese: “La Biblioteca mi vuole di nuovo in azione e mi manda ad una conferenza?”

“Sa che sei arrugginito, ti farà partire per gradi.”

“Va bene, andiamo a controllare … Considerando il fuso orario, ormai la conferenza sta per iniziare. Vieni anche tu?”

“Non posso, sono morto!”

“Solo quando ti fa comodo!”

Judson rientrò nello specchio e Jenkins, rassegnato e curioso, si sistemò rapidamente e, poi, aprì la porta, per trovarsi all’istante in Italia, proprio a pochi metri dal museo.

L’uomo si avviò, richiamando alla memoria l’italiano che conosceva e che non parlava da molto tempo: sarebbe stato più semplice conversare in latino. Entrò nell’edificio, una signora gli consegnò un biglietto, senza chiedergli soldi, poiché l’ingresso era gratuito; attraversò un salone con teche allestite più di un secolo prima, in cui erano esposti scheletri e reperti etruschi; passò in un'altra stanza: un lungo e largo corridoio lungo i cui lati erano sistemate lapidi di epoca romana. In mezzo al corridoio erano sistemati una decina di tavolini circolari, ognuno apparecchiato con tazze da tè, cucchiaini e tovaglioli per tre persone; in fondo, invece, c’era una grande cattedra.

Jenkins capì che la conferenza si sarebbe tenuta in quel luogo e, dunque, si mise a sedere un po’ defilato e attese.

Poco dopo, Enya prese posto alla cattedra ed iniziò a parlare con grande disinvoltura di Eliphas Levi, della sua scuola esoterica e della sua concezione di magia come scienza esatta.

Jenkins l’ascolta e si stupì nel constatare che ella era davvero molto ben preparata sull’argomento. L’uomo, tuttavia, soprattutto la osservava: il suo aspetto e il suo modo di fare avevano qualcosa di molto famigliare.

Enya era bella, ma una bellezza di altri tempi, valorizzata dal candore, la dignità, la dolcezza e non da un corpo sensuale. Aveva un fisico che un pittore del Seicento avrebbe ritratto molto volentieri, robusto e morbido. La carnagione era molto chiara, le labbra rosse naturalmente, gli occhi verde scuro, profondi, fieri e benevoli. I capelli erano boccoli neri, lunghi fino ad oltre metà schiena. Parlava con gran sicurezza, voce chiara e limpida, il linguaggio assai forbito.

A metà della conferenza venne servito il tè con biscotti al pubblico; Jenkins gustò tutto con piacere e, da buon Inglese, apprezzò molto quell’iniziativa. Non si distrasse, tuttavia, per un solo istante e più ascoltava ed osservava, più si convinceva che il Libro dei Ritagli non aveva sbagliato ad inviarlo lì, sebbene continuasse a sfuggirgli il motivo.

Conclusa la conferenza, Jenkins decise di parlare direttamente con Enya; attese che altri dei presenti finissero di rivolgerle domande o congratularsi, poi le si avvicinò ed esordì: “Complimenti, un’esposizione davvero eccellente.”

“La ringrazio!” rispose la giovane, sorridente “Mi fa piacere che anche uno straniero mi sia stato ad ascoltare.”

“L’argomento era molto interessante. Se permette e se scuserà il parlare zoppicante, vorrei farle alcune domande.”

“Certamente, sediamoci pure, se preferisce. Non si preoccupi per il parlare, le garantisco che, finora, accento a parte, parla di gran lunga meglio di certi italiani doc. Allora, mi chieda pure.”

Jenkins apprezzò la cortesia, si rimise a sedere e iniziò: “So che voi siete un’archeologa, come mai vi siete dedicata ad Eliphas Levi? Sembra un po’ fuori dal suo ambito di studio.”

“Eh, in Italia non esistono ancora cattedre di esoterismo, per cui è necessario studiarlo per proprio conto. Ho letto il corpus hermeticum, Marsilio Ficino, Giordano Bruno, per citare solo i più famosi. Sono passata ad archeologia nella laurea specialistica, i primi tre anni di università ho studiato principalmente religioni, filosofie e letterature antiche ed orientali. La mia formazione principale è più o meno questa, poi ci sarebbe molto altro da dire. Lei è un professore?”

“Ricercatore, per una Biblioteca. Come mai ha scelto proprio Eliphas Levi? Credevo che fosse stato definitivamente dimenticato attorno agli anni venti del Novecento. Sicuramente è molto più noto Alester Crowley.”

“Famoso non significa migliore. Nel Novecento ha iniziato ad esserci troppa confusione tra Teosofia, neopaganesimo, sette sataniche, movimenti wiccan e così via. Penso che Levi rappresenti un’ottima sintesi del pensiero esoterico europeo, inoltre le sue opere sembrano manuali scolastici: sono molto chiari ed esaustivi.”

“Lo so, manuali di magia. Qualcuno ha mai provato a seguire le sue istruzioni, per vedere se funziona?”

“La magia è molto diversa da come la si crede. Incantesimi, rituali … sono per dilettanti, il vero potere non ha bisogno di queste cose.”

“Lei come lo sa?”

“Lo spiega Eliphas: immaginazione, fede e volontà, queste sono le tre componenti necessarie per fare magia, il resto sono palliativi stimolarle in chi non ce le ha.”

“Sembra molto sicura di quel che dice.”

“Sono sicura circa quale sia il pensiero di Levi.”

“Non ha mai avuto la curiosità di provare?”

Eliphas Levi stesso si raccomanda di non tentare alcuna operazione magica, se non si è assolutamente liberi da ogni debolezza e passione, pena l’essere ingannati e cadere vittime della follia. Non sono abbastanza presuntuosa per correre un simile pericolo. Piuttosto, lei, perché è tanto incuriosito da questo?”

“Sto indagando sulla percezione che la gente ha oggigiorno della magia: quali categorie di persone sono più o meno soggetti a crederci, quali sono i motivi del credere o non credere; studiare soprattutto chi la pratica per vedere che cosa realmente faccia.”

“Uno studio antropologico, dunque, interessante. A che punto è?”

“Non molto avanzato, purtroppo.”

Jenkins non sapeva più cosa inventare per proseguire la conversazione per ottenere informazioni sulla giovane; inoltre, non sapendo ancora se fosse una minaccia o qualcuno da proteggere, non poteva certo scoprire le proprie carte.

Gli venne in mente un’ultima domanda da parole: “Mi scusi, le sarò sembrato un po’ invadente.”

“Non si preoccupi, non è affatto un disturbo.”

“Sarà abituata, immagino, a fanatici che cercano di sapere da lei se la magia esista oppure no.”

“A dire il vero, no. È la prima volta che parlo in pubblico di questi argomenti, solitamente, discuto su internet e senza usare il mio nome.”

“Ah … e nel web ha contestatori … o sostenitori? Si è fatta amici o nemici?”

“Amici no di certo: gli studiosi obbiettivi sono rarissimi, mentre i praticanti aderiscono ad una corrente o all’altra e diventano peggio degli integralisti: si aggrappano alle loro convinzioni e guerreggiano tra congreghe diverse. Per un sociologo o uno psicologo potrebbe risultare molto interessante leggere certi dibattiti sui forum. Io mi limito a leggere, senza più commentare, dopo una diatriba che ho avuto, qualche mese fa, con dei seguaci di Papus.”

Papus?”

“Un discepolo di Levi che ha fondato una propria scuola, gli attuali membri ce l’hanno con me perché a loro avviso sto male interpretando Eliphas e cose del genere … oltre al fatto che ho osato chiedere loro se avessero ancora il prognometro di Wronski.”

“Interessante …”

“Ora, mi scusi, ma per me è tardi e devo andare. Buona serata.”

“Oh, buona serata anche a lei!”

Jenkins si risentì che la conversazione dovesse interrompersi proprio in quel momento in cui lui stava riuscendo ad ottenere informazioni, per cui aggiunse: “Terrà altre conferenze?”

“Non ne ho in programma, per il momento: sto per iniziare una campagna di scavo.”

“Le auguro buona fortuna, di cosa si tratta?”

“Un particolare insediamento etrusco-romano di queste parti.”

“Bene, allora la saluto e auguri per tutto.”

“Grazie anche a lei!”

Jenkins guardò un’ultima volta quel sorriso, poi si affrettò a raggiungere la porta che lo avrebbe ricondotto alla Biblioteca.

“Allora, com’è andata? Cos’hai scoperto?” chiese subito Judson, dallo specchio, appena vide rientrare l’amico.

“Non lo so. Ho alcuni spunti su cui lavorare, mi metterò subito a fare ricerca.”

“La ragazza com’è?”

“Particolare, ha un modo d’essere e di fare che non sembrano di questo mondo o di quest’epoca. Probabilmente, però, mi sembra solamente strano trovare un po’ di buone maniere, educazione e raffinatezza.”

“Indagherai su di lei?”

“Cercherò informazioni, questo sì, ma al momento mi concentrerò maggiormente sui seguaci di Papus e il prognometro di Wronski.”

“Il prognometro? Il Bibliotecario, che incaricammo di recuperarlo, disse che andò distrutto.”

“Lo scopriremo, lo scopriremo presto. Comunque, quella Enya sa troppo sulla magia, per non praticarla.”

“Allora deve essere tenuta d’occhio.”

“Vedremo …”

 

 

 

Nota dell’Autrice

 

Ciao a tutti!!! ^-^

Ho appena scoperto questa sezione, ho deciso di provare a scrivere qualcosa su questa bellissima serie che adoro e che ho atteso per anni!

Intanto ho preparato il primo capitolo, se mi direte che ne vale la pena, continuerò.

Intanto un saluto e un grazie per aver letto fino in fondo! J

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Capitolo 2
*** A Parlamento con Drago Volante ***


“Credevo fossimo in missione diplomatica.” disse Eve, con tono alquanto seccato.

“Infatti, lo siamo.” le rispose Flynn, guardandosi attorno per studiare la situazione.

“Allora perché siamo circondati da esseri che ci vogliono uccidere, anziché essere seduti attorno ad un tavolo?”

“Sbaglio o sei un ex colonnello?! Tu dovresti essere a tuo agio in uno scontro, non io!”

Eve scoccò un’occhiataccia all’uomo e poi gli disse: “Va bene, hai ragione, meglio non discutere, mentre si è sotto attacco. Dimmi solo come si neutralizzano questi cosi!”

“Sì, dammi un attimo.”

“Non lo abbiamo!” replicò la donna, sparando qualche colpo.

Flynn e il suo Guardiano si trovavano in una strana vallata stretta tra i coni di vulcani inattivi nella penisola di Leizhou, in Cina. Il luogo era particolare, non solo perché una fitta coltre di fumo lo ricopriva e il terreno pareva di rubino, ma soprattutto per il grande cancello serrato davanti ad una grotta. Massiccio, imponente e tutto di diamanti, era il Long Men, il cancello dei draghi.

Flynn, ritenendo inaffidabile il signor Drake, aveva deciso di andare a parlamentare personalmente col Drago Volante, doveva dunque recarsi presso la residenza dei Draghi Orientali che si trovava proprio quel massiccio di vulcani. Flynn ed Eve avevano viaggiato a lungo per raggiungere quel luogo: non avevano potuto usare la porta di Jenkins poiché sarebbe stato molto irrispettoso nei confronti dei Draghi che avrebbero reagito molto male, se qualcuno avesse fatto irruzione nel loro regno. Il Bibliotecario aveva dovuto viaggiare in segreto, per evitare che Dulaque o qualcun altro tentasse di sabotare la sua missione, questo gli aveva fatto perdere molto tempo, oltre ai giorni che aveva passato sul confine di quelle terre, in attesa del permesso di recarsi al cospetto del Drago Volante.

Flynn ed Eve avevano atteso alcuni giorni, prima di ottenere il permesso, e ne avevano approfittato per passare un poco di tempo assieme come una coppia normale, senza mostri da dover affrontare. Ora, erano tornati alla loro normalità: a metà della valla che si apriva davanti al cancello Long Men, erano stati circondati da esseri incredibili: orribili cavalli rettili, coi musi larghi e i denti acuminati, criniera aguzza, grandi corna, code serpentesche o di pesce, circondati da fiamme.

Questi esseri li avevano subito aggrediti.

Qilin. Sono sorte di chimere della mitologia cinese e giapponese …”

“Questo non mi è utile, Flynn.”

“Ci sono varie sottospecie … Jin, Ming, Qing …”

“Non mi interessa il loro albero genealogico, voglio sapere come si uccidono!”

“Ci sto pensando, ci sto pensando!” protestò freneticamente il Bibliotecario.

“Allora, sono della famiglia dei draghi, ma teoricamente dovrebbero essere innocui, sono simbolo di buon auspicio, è strano che ci attacchino.”

“Beh, porteranno fortuna a qualcun altro, a noi no di certo.”

“Ci sono, ci sono! Metti via la pistola.”

“Cosa?!”

“Non serve. Con le mani fa tipo il segno delle corna, però col pollice aperto; urla più forte che puoi e tieni la lingua fuori.”

“Oh, come ad un concerto metal, d’accordo.”

Flynn e Eve erano schiena contro schiena, entrambi sollevarono le braccia e mostrarono bene le mani nel gesto delle corna e gridando a squarciagola, quasi ruggendo.

I qilin si arrestarono, si scambiarono qualche occhiata, poi voltarono le spalle ai due umani e fuggirono.

“Wow, non credevo avrebbe funzionato.” commentò Flynn, una volta certo di essere al sicuro.

“Cosa?!”

“Era un esorcismo della tradizione buddista, non ero sicuro funzionasse, di solito si usa solo con demoni ma … per fortuna ha cacciato anche i qilin.”

“Mi spieghi, adesso, per quale motivo abbiamo dovuto attendere l’autorizzazione di recarci nel regno dei Draghi, se poi siamo stati attaccati?”

“Beh, ecco, i draghi ci hanno garantito sicurezza nel loro regno e noi dobbiamo ancora entrarvi. In questa zona, la protezione non è garantita.”

“Mi stai prendendo in giro?”

“No, purtroppo: i draghi non possono dire bugie, quindi sono diventati degli abilissimi sofisti. C’è da ringraziare il cielo che non possano laurearsi in legge e fare gli avvocati.”

“Perché i qilqualcosa ci hanno attaccati?”

“Non ne ho idea, te l’ho detto: dovrebbero essere benevoli.”

“Già, c’è sempre quel condizionale che ci frega.”

“Sbrighiamoci a raggiungere il Long Men, prima che ritornino o arrivi qualcos’altro.”

Il Bibliotecario e il Guardiano si affrettarono per arrivare al cancello: era chiuso e non vi era nessuno.

“Drago Volante!” iniziò a gridare Flynn, guardandosi attorno “Sono il Bibliotecario!”

“Perché si fa chiamare ‘Drago Volante’? Tutti i draghi volano.” commentò Eve a voce bassa.

“Non tutti, quelli orientali raramente.” le spiegò Flynn, prima di riprendere a chiamare a gran voce.

Pochi istanti dopo, il cancello iniziò ad aprirsi e come dal nulla apparve un draghetto, alto appena tre metri e lungo una decina, tutto di colore giallo, tranne la criniera e i baffi verdi.

“Il Drago Volante la sta aspettando, Bibliotecario, mi segua.”

Flynn annuì e ringraziò, poi assieme ad Eve seguì il drago che li guidò attraverso un grande tunnel buio che scendeva in profondità. Camminarono per almeno dieci minuti, prima di vedere una luce ed entrare, in fine, in una immensa caverna che si estendeva per almeno cinque chilometri ed era alta un paio; lungo le pareti c’erano altre gallerie che portavano ad altre caverne; il tunnel era buio, lì invece c’era una strana luce endogena.

Flynn notò subito che al centro di essa vi era una grande colonna, attorno alla quale era ritorto, maestosamente, il Drago Volante, il re dei draghi orientali, dai colori argentei e gli occhi che parevano fulmini.

Il drago giallo condusse i due umani fino al cospetto del Drago Volante e subito Flynn lo salutò ed omaggiò con tutte le formalità e convenienze necessarie. Quando stava, finalmente, per approcciare l’argomento per cui aveva richiesto udienza, il Bibliotecario notò qualcuno, un uomo finora rimasto nascosto, affiancarsi al Drago Volante.

Flynn lo guardò e dovette reprimere un moto di rabbia e, a denti stretti, domandò: “Dulaque … che cosa ci fai, qui? Avevo richiesto un incontro privato con Sua Magnificenza.”

“Oh, sì, lo so bene.” replicò l’altro “Sua Magnificenza ha però richiesto … non oso dire ‘il mio consiglio’ perché certo non ne ha bisogno … il mio parere, ecco. Sua Magnificenza ha voluto conoscere il mio parere, tutto qua.”

Flynn si rivolse al Drago Volante: “Con tutto il rispetto, io non credo che …”

“Taci, Bibliotecario!” lo interruppe il Drago Volante “Il figlio di Ban ha maggior credito di te agli occhi di ogni essere legato alla magia. Non sei Judson, non hai la sua autorità; non puoi osare criticare le mie scelte. Ho avuto modo di riflettere e ho deciso che non ti ascolterò, oggi. I Bibliotecari dovrebbero essere imparziali, mantenere l’equilibrio, invece sono convinto che essi privilegino sempre gli umani e facciano di tutto per limitare il più possibile la magia.”

“Dite pure eliminare.” precisò Dulaque e, ghignando, guardò Flynn beffardamente.

“Non è vero.” protestò il Bibliotecario “Noi tuteliamo ambo le parti.”

“Menzogne!” ringhiò il Drago Volante “Gli umani dominano il pianeta e lo sviliscono e distruggono, sono stupidi, malvagi e indegni della libertà e del potere che possiedono. Si credono grandi, quando sono invece le più misere delle creature. Perché creature migliori e più potenti di loro dovrebbero rimanere relegate nell’ombra, obliate, mentre essi si abbandonano ai loro impulsi insensati e goderecci?”

“Oh, andiamo, che cosa ve ne fate della Terra?” protestò Flynn “Avete Avalon, Tule, Fu Sang, Peng Lai e un’altra infinità di paradisiache lande extradimensionali, che cosa ve ne fate, chesso, di New York? Ci siete mai stato a New York? È un vero incubo! Traffico a non finire, sparatorie!”

“Questo dimostra solo l’inettitudine del genere umano.” si intromise Dulaque

“Che cosa vorreste fare, dunque? Dichiarare guerra all’umanità? Ti ricordo che i draghi venivano uccisi dai cavalieri e che negli ultimi secoli le tecnologie militari sono molto avanzate.” Flynn stava bluffando: una guerra coi draghi sarebbe stata distruttiva.

Il Drago Volante riprese a parlare con grande solennità: “Il luoghi che tu hai citato sono isole felici, è vero, ma non possono bastare. Quando la magia è scomparsa dal mondo, queste isole extradimensionali sono diventate rifugi per le creature fatate e sovrannaturali che non avrebbero potuto sopravvivere in questo mondo, senza magia, ma ora che essa è tornata, è giusto che queste creature facciano ritorno sulla Terra e abbiano i loro spazi, i loro diritti e il loro potere.”

“Non credo che questa sia la sede per discutere di una simile faccenda.” replicò Flynn, vedendosela parecchio brutta “È un argomento che non riguarda solo i Draghi e la Biblioteca, ma tutti gli esseri. Io credevo che tutto si fosse chiarito, durante l’ultimo Conclave …”

“Oh, andiamo, quello non è stato un Conclave, è stato una pagliacciata!” lo interruppe Dulaque.

“Vogliamo ricordare organizzata da chi?” lo ammonì Flynn, per poi tornare a rivolgersi al drago: “Credo che la cosa migliore da fare sia quella di avvisare tutti coloro che siano toccati da questa faccenda, lasciare un mese o due di tempo affinché ciascuno abbia le idee chiare e indire un Conclave vero e proprio in cui affrontare la questione. Siete d’accordo? Non possiamo noi, ora, qui, decidere per tutti gli altri.”

Il Drago Volante annuì e disse: “E sia! Tra due mesi, a partire da oggi, inizierà il Conclave. Sono proprio curioso di scoprire come farai ad avere la meglio, quando metteremo la faccenda ai voti. Il nostro colloquio è finito, avete mezzora di tempo per uscire indenni da qui.”

“Vi ringraziamo per la vostra generosità.” concluse Flynn e, velocemente, assieme ad Eve guadagnò l’uscita.

“Mi pare di capire che la faccenda sia molto grave.” disse la donna, mentre percorrevano il lungo tunnel.

“Sì. Bisognerà convincere un bel po’ di creature che stanno meglio nascosti in mondi extradimensionali e, dunque, artificiali, piuttosto che qui, sulla Terra.”

“Non capisco perché non si accontentino dei loro mondi, insomma, che cosa non va bene lì?”

“Non sono veri o, per essere più precisi, sono bolle dimensionali che hanno un vago legame col nostro mondo. È un po’ come vivere su una base petrolifera o qualcosa del genere: nonostante ci possano esser comfort, non è come la terra ferma, Stone te lo confermerà. Sono luoghi piccoli, limitati e, in ogni caso, i loro abitanti si sentono come reclusi o condannati alla clandestinità o all’esilio.”

“Capisco, sarà difficile, dunque.”

“Già, il loro ritorno sulla Terra e la loro libera circolazione sarebbe un problema …”

… per gli umani …. aggiunse, poi, Flynn nella propria mente.

Sì, su una cosa il Drago Volante e Dulaque avevano ragione: la Biblioteca difendeva innanzitutto gli esseri umani e metteva in secondo piano tutti gli altri esseri.

Per la prima volta Flynn fu consapevole di ciò e non poté fare a meno di rattristarsi.

Poi scosse il capo e pensò, anche, a come sarebbe stato caotico un mondo in preda alla magia e a tutti i conflitti e diatribe che sarebbero sorte tra le varie creature se fossero convissute tutte assieme.

Sarebbe stato il caos, come in passato. Se la magia era stata tolta dal mondo, una buona ragione c’era … Ma se questa buona ragione era semplicemente la paura e l’incapacità di andare d’accordo?

Flynn non aveva mai riflettuto su questa questione, ma ora avrebbe dovuto pensarci attentamente!

Presto ci sarebbe stato un Conclave, il più importante da mille anni a quella parte, lui doveva ben studiare la situazione e fare la cosa giusta.

Giusta … ma per chi? Gli uomini? Tutti i viventi? Il mondo?

Questo ancora non lo sapeva.

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Capitolo 3
*** Stone in missione ***


Quando, tramite Lamia, aveva tentato di impossessarsi della Biblioteca e aveva recuperato la corona di Re Artù ed Excalibur, Dulaque aveva ordinato ai suoi seguaci di arraffare il maggior numero di manufatti possibili, prima di fuggire. In questo modo, circa una trentina di artefatti dotati di poteri più o meno pericolosi erano tornati in circolazione sulla Terra.

Dopo che Flynn era riuscito a riportare indietro la  Biblioteca, era stato possibile verificare quali oggetti erano stati trafugati e dunque Jenkins aveva subito fatto un elenco di tali manufatti, elencandone anche le qualità, per poterli più facilmente individuare e riportare indietro.

Dopo un paio di giorni che il Libro dei Ritagli non si agitava, Jacob aveva deciso di scegliersi da solo una missione e, scorrendo la lista dei manufatti, aveva deciso di recuperare una statuetta della dea Bastet.

Pietra nera, trentatre centimetri d’altezza, nove di lunghezza, posta su un piedistallo laminato in oro, XI dinastia. All’apparenza una statuetta come molte altre dell’Antico Egitto, importante per il valore storico, non particolare pregevole per la qualità artistica.

Non era però una statua come le altre.

Secondo quanto riferivano i registri della Biblioteca, in quella statua era realmente imprigionata la dea Bastet, la quale possedeva le donne che entravano in contatto con la scultura. Poteva possedere una sola persona per volta e la possessione poteva avvenire solo al momento del contatto tra la donna e la scultura; la dea poteva scegliere di abbandonare un corpo a favore di un altro a seconda del proprio piacere. In linea di massima cercava di entrare in corpi di donne importanti e vicine al potere, poi ne aumentava il fascino, la bellezza, il carisma e in questo modo guadagnava potere, autorità e dominio sugli uomini e le terre. Si raccontava che quella statuetta fosse stata in possesso di Cleopatra, un’altra fonte riferiva di una donna caucasica che era riuscita a diventare regina e a far uccidere o sfigurare la maggior parte delle donne del suo regno.

Altro aspetto pericoloso della faccenda era che Bastet, se provocata, poteva lasciare spazio alla sua altra personalità: la dea Sekmeth, feroce, sanguinaria e distruttiva.

Jacob ritenne che quella statuetta fosse uno degli artefatti più pericolosi e che andasse recuperato il prima possibile, inoltre credeva che fosse un oggetto facile da rintracciare per lui.

Confidando che, trattandosi di un oggetto senziente, Dulaque non l’avesse tenuta per sé, ma avesse messo la statua sul mercato dell’arte, Stone aveva iniziato a cercarla tra gli antiquari e i commercianti d’arte, sia quelli legali che quelli che trattavano merce rubata.

Dopo una ricerca impegnativa, Jacob aveva scoperto l’attuale proprietaria della statua: Irina Borisova, ereditiera russa di un importante marchio che operava in moltissimi settori, dunque un’imprenditrice.

Stone aveva presto elaborato un piano d’azione. La sua famiglia aveva un’impresa petrolifera piuttosto famosa ed importante, per cui non gli fu difficile organizzare un viaggio d’affari in Russia. Jacob Stone, ufficialmente, era in cerca di nuovi partner commerciali per conto dell’impresa di famiglia e questo destò l’attenzione di moltissime industrie russe che iniziarono, per così dire, a corteggiarlo, in cerca di un buon contratto.

Stone non stava semplicemente interpretando un ruolo, ma era davvero lì anche per gli interessi della sua azienda, per cui nessuno poteva sospettare la missione secondaria che lo aveva portato in Russia.

Jacob non ebbe neppure bisogno di trovare un pretesto per incontrare Irina, poiché fu ella stessa a contattarlo e ad invitarlo nella sua villa per una cena d’affari. Stone era certo che l’incontro di lavoro in un ambiente informale mirasse al voler sedurlo per estorcergli un contratto assai favorevole per la donna e svantaggioso per lui. Il giovane, tuttavia, non temeva quella strategia era sicuro di una cosa: gli piacevano le belle donne, ma non si lasciava abbindolare da nessuna.

Jacob si presentò alla cena con l’abito migliore che possedeva, di fattura italiana; si era raso le guance e le aveva poi bagnate con un pregiato dopobarba francese. Curò parecchio il proprio aspetto per apparire proprio come un grande imprenditore con cui è bene entrare in affari.

Stone venne accolto con grandi onori e premure; un domestico prese il suo cappotto, un altro lo fece accomodare in un salotto dove gli venne servito un aperitivo a base di caviale. Mentre l’uomo sorseggiava un prosecco, sopraggiunse la bellissima Irina, avvolta in un abito rosso che, pur  giocando sull’effetto vedo-non vedo, le fasciava il corpo in maniera molto sensuale, mettendo in evidenze le sue curve e la sua vita sottile. Aveva lisci capelli biondo chiaro con frangia e caschetto scalato, sensuale e deciso al medesimo tempo; gli occhi erano smeraldi e il loro verde, assieme al rosso delle labbra carnose, risaltava sulla setosa pelle d’alabastro. Emanava un profumo di lavanda.

Stone rimase molto colpito dalla bellezza e dalla sensualità di quella donna, ma non perse la testa: era abituato alla compagnia di giovani estremamente attraenti e provocanti.

Irina si presentò, fece qualche domanda di circostanza circa se il giovane stesse trascorrendo un buon soggiorno e così via, poi passò a parlare del proprio impero commerciale.

Dopo l’aperitivo, si spostarono nella sala da pranzo, dove cenarono e discussero di lavoro e vita. Continuarono la loro chiacchierata in un salotto. Stone  non si mostrava molto incline a fare concessioni nel contratto, dunque Irina si comportava in maniera via più seducente. L’uomo mostrava di iniziare ad ammorbidirsi, senza arrivare a cedere. La donna insisteva con la propria tattica, convinta che la sua avvenenza fosse l’unico modo per ottenere benefici nel contratto.

La contrattazione durò così a lungo che i due giovani finirono a letto assieme, dove godettero della reciproca compagnia fino ad addormentarsi. Per dire la verità fu solo Irina a cedere al sonno, mentre Stone finse di dormire, finché non ebbe la certezza di potersi muovere liberamente. Appena entrato nella camera da letto, aveva notato la statua di Bastet, posta sul comò. Si stupì che la donna, o dea che fosse, non avesse deciso di nasconderla ma, d’altra parte ella non aveva motivo di sospettare alcun ché. Si avvicinò alla statua e la osservò: non poteva limitarsi a portarla via, poiché lo spirito di Bastet sarebbe rimasto dentro ad Irina, doveva trovare la maniera di disattivare la possessione. Negli archivi della Biblioteca non aveva trovato nulla al riguardo, se non un riferimento al fatto che la statua stessa spiegasse come bisognava agire.

Jacob osservò i geroglifici incisi lungo i lati del piedistallo; si accorse che erano versi poetici ma di nessuna opera nota, recitavano: Gli uomini stolti,/ dal sapere tolti; savi non sono/ di giustizia il dono/ non hanno ricevuto,/ quindi il mondo è caduto/ nella totale rovina/ per una razza ferina/ che ha di umana/ la pretesa vana./ Stirpe malvagia e crudele/ sogna latte e miele/ avrà sangue e malattia/della giustizia divina in balia./ L’anarchia sarà punita/ con la morte retribuita./ Per punire l’umanità/ il grande Ra invierà /e poi richiamerà …

Il testo si interrompeva a quel punto, Stone non riusciva a capire il perché; era certo che ci fosse altro testo su quella statua, eppure aveva già tradotto tutti i lati. Ebbe un’idea, sollevò la statua per esaminare il fondo del piedistallo e scoprì che c’erano altri geroglifici, essi erano messi in maniera disordinata e non avevano senso. L’uomo capì che avrebbe dovuto premere i geroglifici corrispondenti alla parola mancante. Lui conosceva il mito egizio e quindi sapeva che la risposta era occhio: Ra si era tolto un occhio e lo aveva fatto diventare Sekmeth per divorare gli umani empi e crudeli. La dea aveva fatto il proprio dovere fin troppo bene e non la smetteva di sterminare gli esseri umani, dunque era stata fatta ubriacare e in seguito, ammansita, era diventata Bastet.

Ra, dunque, aveva inviato il proprio occhio, tuttavia tra i geroglifici sul fondo del piedistallo non c’erano quelli necessari per comporre la parola occhio.

Jacob si trovò in difficoltà e rifletté un poco per capire quale potesse essere la risposta. Osservava i geroglifici impaziente e dopo alcuni minuti ebbe l’illuminazione e premette i simboli per comporre la parola: ureo!

Si era ricordato solo in quel momento che Ra, mentre Sekmeth imperversava sulla terra, si era fabbricato un nuovo occhio che, tuttavia, non aveva voluto restituire il posto a Bastet che, allora, era diventata il serpente ureo posto attorno alla fronte del dio Ra e divenuto poi simbolo di regalità.

Sì, Jacob era certo di aver dato la risposta corretta. Come fare, però, ad essere certo che la possessione fosse finita? In fondo quell’enigma non sembrava avere a che fare con quella faccenda, a meno che non andasse interpretato come una metafora del richiamo di Ra.

Stone si avvicinò al letto ed osservò Irina e la vide piuttosto diversa da quella che era pochi istanti prima: era comunque una bella donna, ma non la bomba sexy che aveva conosciuto; la pelle del viso era solcata da qualche ruga, le labbra erano più sottili e il corpo non era a clessidra, aveva i fianchi pronunciati e il seno meno prosperoso e sodo, inoltre non profumava più di lavanda.

Jacob si ritenne soddisfatto e reputò che la possessione fosse finita.

Il giovane, allora, prese la statua, si diresse verso una porta e si concentrò per far sì che si aprisse dentro alla Biblioteca. Per fortuna l’apertura del varco funzionò, nonostante Stone non avesse ancora ben chiaro il meccanismo con cui funzionasse quell’uscio; tuttavia, aveva visto più di una volta Flynn raggiungere la Biblioteca, senza che Jenkins avesse impostato il sistema.

Stone aprì una porta a caso e si ritrovò nell’interfaccia della Biblioteca; sollevò con orgoglio la statua e disse: “Jenkins, ho riportato Bastet! Dove la metto?”

L’uomo, che stava sfogliando alcuni fogli, rispose distrattamente: “Di là. Troverai una copia della statua sostituiscila e porta il falso dove hai trovato l’originale.”

“Perché lo scambio?”

“Non vorrà essere accusato di furto, spero.”

“No, hai ragione.”

Jacob andò nel salone principale della Biblioteca ed effettuò lo scambio; tornando nell’interfaccia, si fermò al tavolo e domandò: “Irina si ricorderà di quello che è successo questa sera, oppure è meglio ch’io non mi faccia trovare a casa sua?”

“Non si preoccupi, la donna ricorderà tutto e sarà convinta di avere agito di propria volontà. Piuttosto, come hai fatto a non rimanere ammaliato da Bastet? È molto raro che un uomo riesca a resisterle, ci vuole un cuore puro.”

“Oppure semplice allenamento: sono un rampollo di un’azienda petrolifera, sono stato da sempre corteggiato da donne bellissime, ma interessate solo ai miei soldi. Mi sono abituato ad illuderle, senza rimbecillire.”

“Per un attimo ho creduto che fossi un nobile di animo. Su, torna in Russia e goditi gli ultimi giorni di vacanza.”

“Giusto, non posso sparire all’improvviso, dovrò davvero firmare un qualche contratto, prima di tornare. Penso che per una settimana non potrò fare ritorno alla Biblioteca.”

“Non si preoccupi, il Libro dei Ritagli è tranquillo e io sto facendo delle ricerche.”

“Su cosa?”

Jacob prese alcuni fogli e iniziò a guardarli rapidamente: “Papus … sette … prognometro … esoterismo … Oh! Enya Bragazzi! Questa la conosco.”

“Davvero?!” si meravigliò Jenkins.

“Non di persona, ma abbiamo spesso parlato in forum e per mail negli ultimi anni. Ci siamo conosciuti in una discussione sull’origine e l’evoluzione delle fiammelle nell’iconografia antica e cristiana e, da lì, abbiamo iniziato a tenerci molto il contatto. Lei è un’archeologa e non se la cava male per quel che riguarda la storia dell’arte, ma i suoi settori sono più che altro la letteratura, le religioni e le filosofie antiche. Pensa che conosce il greco antico, il latino, sanscrito, gaelico, ebraico, etrusco, fenicio, egizio, avestico … e dovrebbe avere alcune basi anche di azteco.”

“Una candidata ideale per la Biblioteca, mi chiedo perché non sia stata convocata.”

“Beh, quando c’è stata l’ultima convocazione, lei aveva appena 14 anni, è più giovane di Ezekiel. Inoltre, chissà, magari alla Biblioteca non piacciono le sue frequentazioni.”

“Quali frequentazioni?” si interessò Jenkins che, dopo quelle informazioni, si era convinto maggiormente che il Libro dei Ritagli non avesse sbagliato a fargli notare quella giovane, nonostante ancora non capisse il perché.

“Massoneria. Fin dal primo anno di Università l’ha notata e presa sotto la propria ala un professore che è anche ai massimi vertici della massoneria italiana. Non mi risulta, però, che lei abbia avuto qualche agevolazione per questo. Ah, poi è amica anche di alcuni templari moderni.”

“Cosa intendi, esattamente, con templari moderni? Ce ne sono fin troppi tipi, ultimamente.”

“Da quello che ho capito è una onlus che restaura chiese e combatte sette sataniche o qualcosa del genere.”

“Beh, hai un’amica molto particolare. Sai altro su di lei? Qualcosa sulla sua famiglia?”

“Non mi risulta nulla di particolare. Dovrebbe avere un fidanzato, anche se non ha mai voluto parlarne chiaramente. Le nostre conversazioni erano prevalentemente di studio e ricerca, non personali. Perché ti interessa? Perché stai indagando su di lei?”

Jenkins rifletté qualche istante e poi disse:  “Non lo so. Il Libro dei Ritagli me l’ha fatta notare e io ho deciso di raccogliere informazioni, ma ancora brancolo nel buio. Cerca di contattarla, se puoi; inventati un motivo, cerca di capire a cosa sta lavorando attualmente.”

“D’accordo, questo lo posso fare anche dalla Russia. Adesso vado, buon lavoro Jenkins.”

“Buon lavoro, Stone.”

I due uomini si separarono e ognuno continuò a svolgere il proprio compito.

 

 

 

Nota dell’Autrice:

Ciao, grazie a tutti per leggere e seguire questa fanfic. ^__^

Chiedo scusa se ho un po’ esagerato con la famiglia di Stone, ma in fondo nella serie ci sono poche informazioni al riguardo e io le ho interpretate così.

A presto!

 

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Capitolo 4
*** Conti ***


Cassandra era seduta su una panchina in un giardinetto davanti al dipartimento di biologia dell’università di Prinston. Si era vestita come una studentessa e si guardava attorno, cercando qualcuno. Erano quasi le quattordici e trenta e studenti e professori stavano tornando in sede per le lezioni che stavano per ricominciare. Tra di loro c’era anche il professor David Thomson, esperto bioingegnere e biotecnologo, da un paio d’anni convertito al veganesimo, di cui si era fatto fervente sostenitore, prendendo parte a manifestazioni che poco si addicevano al suo ruolo di insegnante.

Cassandra lo riconobbe immediatamente, a duecento metri di distanza, quindi contattò immediatamente Ezekiel, tramite una minuscola ricetrasmittente che aveva con sé: “Ezekiel, a che punto sei? Il professor Thomson sta per rientrare.”

Non ci fu subito una risposta, si udirono alcuni versi, rumori come di bastonate, poi si sentì finalmente la voce del giovane ladro: “Trattienilo! Ho avuto qualche imprevisto, devo ancora arrivare alla cassaforte.”

“D’accordo, quanto tempo ti serve?”

“Non lo so, dipende da quante donnole assassine ci sono ancora in giro.”

“Va bene, farò del mio meglio.”

Cassandra si alzò in piedi e andò verso l’uomo, chiamando: “Professor Thomson, professore! Buon pomeriggio, scusi il disturbo. Devo presentare un progetto di dottorato e volevo chiederle consiglio circa come impostarlo …”

La ragazza riuscì ad avere l’attenzione del professore e lo trattenne fuori dall’edificio il più a lungo che poté.

Ezekiel, intanto, era alle prese con la missione primaria: introdursi nell’ufficio del professor Thomson e rubargli la lira di Orfeo.

Qualche giorno prima, il Libro dei Ritagli aveva riportato la strana e buffa notizia di una donna aggredita e quasi sbranata da un branco di conigli nei pressi di Prinston. Ezekiel e Cassandra erano partiti per indagare e, dopo alcune indagini e aver osservato direttamente il comportamento nomalo di alcuni animali, la ragazza aveva intuito che le bestiole fossero sotto un qualche influsso esterno. Altre investigazioni l’avevano portata a ritenere che il controllo avvenisse tramite un qualche artefatto e potenziato dall’impiego di alcuni strumenti tecnologici. Erano così giunti a scoprire che il professor Thomson era entrato in possesso della lira di Orfeo e che la stesse impiegando per rendere gli animali aggressivi nei confronti degli umani, affinché potessero difendersi e a questo scopo stava studiando altri progetti per potenziare le naturali difese degli animali.

Se il progetto del professore fosse andato in porto, avrebbe reso aggressivi e pericolosi tutti gli animali. Thomson voleva ciò per punire tutti gli uomini che ancora non avevano accettato di essere almeno vegetariani. Dopo lo sterminio o conversione degli onnivori, il progetto del professore era quello di convertire in erbivori tutte le creature.

Per fortuna, tutta la faccenda era ancora in fase iniziale e sperimentale, per cui era ancora possibile sventare tutto quanto.

Thomson teneva tutto il materiale dei suoi esperimenti nel suo laboratorio e ufficio dell’università, poiché viveva in un appartamento, di lusso, ma comunque in un condominio con troppe persone intorno che avrebbero potuto creare problemi, mentre all’università non avrebbe destato sospetti.

Una volta scoperto tutto ciò, i due bibliotecari avevano elaborato il piano per entrare in azione: Ezekiel si sarebbe introdotto nel laboratorio e avrebbe rubato la lira d’Orfeo e distrutto qualsiasi documento relativo al progetto; Cassandra si sarebbe limitata a guadagnare tempo.

Entrare nel laboratorio e nell’ufficio non fu difficile, poiché le norme di sicurezza di un’università non erano certo impegnative da aggirare per un ladro professionista. Aprire le porte non fu un problema, Ezekiel ebbe difficoltà quando si ritrovò viso a viso, anzi, viso a muso con un branco di animali di varia specie, roditori, ovini, canidi, addestrati per proteggere laboratorio e ufficio dagli estranei. Ezekiel, dopo un iniziale momento di spavento e sorpresa, iniziò a difendersi dagli assalti delle bestiole che tentavano di morderlo e graffiarlo. Il giovane appurò sulla propria pelle che quei denti erano ancora più aguzzi e forti di quanto avrebbero dovuto.

Ezekiel era riuscito ad afferrare una sedia con cui difendersi, sarebbe stato più comodo con un manico di scopa, ma doveva accontentarsi di quello che aveva a disposizione. Così, a furia di colpi vibrati alla cieca, morsi subiti e corse, riuscì ad attraversare il laboratorio e a raggiungere l’ufficio di Thomson; una volta dentro, serrò bene l’uscio e lo barricò con un paio di sedie che aveva trovato.

Il giovane si guardò intorno per studiare l’ufficio e notò che c’erano animali anche lì, sebbene tenuti in gabbia: evidentemente non avevano ancora subito il processo di manipolazione.

Il ladro cercò di capire dove potesse essere la lira ed individuò un mobiletto che non sembrava affatto appartenere all’arredamento originario dell’ufficio, sospettò che si trattasse di un mobile cassaforte; aprì lo sportello e, infatti, vi trovò dentro una piccola cassaforte di ferro con triplo sistema di chiusura: meccanico, elettronico e con una chiave. Nonostante si trattasse di un sistema sofisticato, per Ezekiel fu un giochetto aprirla. All’interno trovò la lira e fu alquanto deluso, poiché era in semplice carapace di tartaruga, mentre lui si aspettava un materiale più prezioso, almeno avorio!

Oltre allo strumento musicale, nella cassaforte, si trova una chiavetta usb, un hard-disk e alcuni cd. Ezekiel, poi, avviò il computer fisso dato in dotazione dall’università e anche il portatile personale di Thomson e li infettò con un potente virus che cancellò ogni documento e file presente rendendo inutilizzabili i due strumenti e la stessa sorte sarebbe toccata a qualsiasi apparecchio fosse connesso o avesse tentato di connettersi con essi. Mentre il virus agiva, Ezekiel telefonò a Jenkins per riferirgli il buon successo dell’operazione: “ … quindi qualsiasi tipo di backup Thomson avesse fatto, cloud, dropbox o altro, verrà tutto cancellato. Ho trovato altro materiale che, probabilmente, contiene informazioni sul progetto, ancora non l’ho distrutto, vuoi che lo porti in sede per analizzarlo? Cassandra ha capito come funziona io, sinceramente, no. A te può interessare?”

“Sì, penso possa meritare uno studio. Mi raccomando, non si scordi la lira.”

“Sì, sì … certo che Orfeo, per essere il miglior musicista della storia, era proprio un poveraccio! Avrà pur guadagnato dei soldi, non poteva usarli per comprarsi una lira di lusso, anziché tenera questa in tartaruga?”

“Orfeo era bravo, ma è la lira ad essere incantata, se l’avesse scambiata ci avrebbe rimesso. La tradizione, inoltre, vuole che quella sia la prima lira costruita nella storia e la fece il dio Hermes e per un certo periodo la utilizzò Apollo che poi la regalò ad Orfeo.”

“Ho capito. Quindi, al mercato nero, vale una fortuna.”

“La porti, immediatamente, in Biblioteca.” Jenkins scandì minacciosamente.

“Va bene, va bene! Allora faccia in modo che la porta sul retro si apra qui, sull’ufficio di Thomson, non ho intenzione di farmi di nuovo masticare da quelle bestiacce.”

“I suoi compagni hanno imparato ad aprire la porta secondo il loro bisogno, perché lei no? Io mi sto preparando il tè!”

“Vorrà dire che farò il corso d’aggiornamento, adesso sbrigati ed aprimi, altrimenti Thomson mi scoprirà: Cassandra non lo potrà trattenere in eterno!”

Quando ebbe la conferma che la porta era stata direzionata, Ezekiel aprì l’uscio  e fu contento di trovarsi in Biblioteca e non di nuovo assediato da coniglie e pecore assetati di sangue. Teneva in mano la lira, chiavetta, hard-disk e cd; quest’ultime cose le appoggiò sbadatamente sul tavolone centrale, mentre portò lo strumento nella Biblioteca principale. Mentre faceva ciò, si premurò di informare Cassandra che era tutto andato secondo i piani e che, dunque, poteva rientrare anche lei.

Dopo pochi minuti, infatti, la giovane entrò a propria volta dalla porta sul retro, salutò educatamente e poi chiese: “Ci siamo solo noi? Gli altri dove sono? Dov’è Stone?”

“In Russia.” rispose flemmatico Jenkins, sorseggiando il proprio tè. 

“Ancora? Non ha risolto con la faccenda di Bastet?” si preoccupò Cassandra “Potrei andare a dargli una mano.”

“Non è necessario. Ha recuperato la statua, a proposito, non la toccare. Si sta trattenendo ancora qualche giorno per non destare sospetti e mantenere credibile la sua copertura.”

Ceeeerto, la copertura!” sghignazzò Ezekiel “Secondo me lo fa per le russe. Là ci sono delle donne bellissime e disposte a tutto per avere la cittadinanza americana.”

“Credi che tornerà con una moglie russa?” si preoccupò Cassandra, accigliandosi.

“No, sta tranquilla.” le disse il ladro “Se ne approfitterà e basta là, per divertirsi, ma resterà scapolo.”

Cassandra non ritenne comunque consolante quell’informazione.

Intervenne, allora, Jenkins: “Penso che dobbiate andare da Charlene a riferirle del buon esito dell’operazione e a consegnarle le ricevute, così potrete essere rimborsati.”

“È il minimo!” esclamò Ezekiel “Già ci trattiene dallo stipendio il vitto e l’alloggio!”

“Beh, prima uno stipendio non lo avevamo.” gli fece notare la ragazza.

“Ma avevamo fondi illimitati! … Jenkins, preferisco decisamente te come contabile!”

I due giovani uscirono dalla sala, andando a cercare Charlene. Jenkins li guardò uscire, sospirò e si rimise a sorseggiare tè, molto pensieroso.

Non passarono molti minuti che la porta sul retro si aprì nuovamente; questa volta entrarono Flynn ed Eve, entrambi con aria piuttosto trafelata e preoccupata.

“Che succede?” domandò Jenkins, sorpreso di vederli “Non vi aspettavo! Com’è andato il colloquio col Drago Volante?”

“Quante possibilità c’erano che andasse bene?” chiese sarcasticamente il Bibliotecario.

“Il carattere dei draghi è difficile, ma la sua preparazione è adeguata, per cui direi un discreto numero di probabilità, quantificabile in un 70-72% di possibilità di successo.”

“Bene e a quanto scendono, se si aggiunge il fattore: presenza di Dulaque?”

“Oh! … Capisco … Non ne è risultato nulla di buono.”

“Già.” sospirò Flynn, per poi farsi coraggio “Nemmeno nulla di cattivo, però, per fortuna. Almeno per il momento. Jenkins, ora che la magia è tornata nel mondo, cosa pensi potrà emergere da un Conclave? Un Conclave serio, intendo.”

Jenkins strabuzzò gli occhi e poi scosse il capo, prima di dire: “Penso che la votazione democratica porterà a grandi cambiamenti, a meno che lei non riesca ad avere dalla propria parte Lisia, Demostene, Isocrate e Cicerone. Tutti assieme, intendo. La scorsa volta è riuscito a persuaderli sia perché non erano presenti tutti i membri, sia perché i rappresentanti non si erano preparati. Inoltre, devono essere rimasi impressionati dal suo delirio causato dal pomo della discordia. Questa volta sarà molto più difficile, glielo assicuro.”

“Mi aiuterai, vero?”

“Per quanto riguarda la burocrazia, il protocollo, l’organizzazione e la salvaguardia della Biblioteca, sarò a sua completa disposizione.” l’uomo si sforzò di smorzare uno strano tono nella voce “Per altre faccende, invece, è meglio che chieda consiglio a Judson.”

“Hai ragione!” Flynn fece vagare lo sguardo da Jenkins ed Eve e poi disse: “Scusate, potreste lasciarmi un attimo solo? Vorrei parlare con Judson in privato.”

Gli altri due lasciarono la stanza e il Bibliotecario si pose davanti allo specchio.

“Che cosa c’è, Flynn?” domandò Judson, apparendo poco dopo.

“Hai sentito tutto, vero?”

“È naturale. Sinceramente, però, devi lasciarmi maggior tempo per riflettere e ottenere qualche informazione sugli stati d’animo e le richieste dei membri del Conclave.”

“Lo so, lo so. Voglio sapere …”

“Se è fattibile …?”

“No. Voglio sapere qual è il nostro obbiettivo. Come posso studiare una strategia, se non so cosa voglio?”

“Tu lo sai qual è lo scopo della Biblioteca.”

“Sì, ma, ora che la magia è tornata nel mondo, le cose non sono cambiate, almeno in parte?”

Flynn, quante volte hai salvato il mondo?”

“Ho perso il conto!”

“Esatto! È proprio questo il punto. Hai dovuto lottare a lungo e con estrema fatica e correndo pericoli in un mondo senza magia brada, senza libera circolazione di creature ed esseri sovrannaturali. Come pensi che potrebbe diventare se ora, più che mai, non ci sforziamo di tenere tutto nascosto e segreto?”

“Hai ragione: troppi rischi.”

“È giusto che ci sia un luogo per la magia e un luogo per gli umani.”

“Aggiungerò sulla liste di cose da fare il togliere di nuovo la magia nel mondo.”

“Oh, beh, quello è stato un modo … possono essercene altri per raggiungere lo stesso scopo.”

Flynn si stupì e chiese: “Ad esempio?”

“Non posso mica dirti tutto io, Flynn. Sei tu al comando, ora, devi essere tu a studiare le varie opzioni e scegliere quella che ritieni migliore. inoltre, non chiedere troppo spesso aiuto, sarebbe una delusione .... Parole tue, giusto?”

“Spero solo di esserne all’altezza.”

 “Perché non dovresti? Inoltre hai anche degli aiutanti, adesso.”

“Hai ragione, di nuovo.” ammise Flynn, rincuorato, per poi accigliarsi nuovamente e domandare: “Perché Jenkins ha detto che avrei fatto meglio a chiedere consiglio a te?”

“Lui conosce bene la magia e gli effetti devastanti o benefici che può avere. Preferirebbe una linea d’azione meno protezionista e vorrebbe che la magia potesse essere alla portata dei meritevoli.”

“Posso fidarmi, comunque?”

“Certo, alla fine, agirà sempre per il bene collettivo.”

Il Bibliotecario sorrise con gratitudine.

Flynn! Sei impazzito?!” strillò Charlene, irrompendo nella stanza ed interro pendola conversazione.

Bentornato suonerebbe meglio.”

“Come ti è saltato in mente di indire un conclave?”

“Preferivi dei draghi svolazzanti su New York?”

“Sai quanto ci costerà mandare gli inviti? Alloggiare i rappresentanti? Dare loro da mangiare? E poi allestire una sala per le conferenze e tutti i preparativi necessari?!”

Charlene, hai presente quando un clan di draghi grandi, grossi e sputa fuoco inizia a domandarsi perché diamine dovrebbe rimanersene sottoterra, quando potrebbe volare liberamente, giocare e nutrirsi di piccoli e deboli esseri umani? Con l’idea del Conclave ci siamo guadagnati circa un paio di mesi per trovare una scusa convincente.”

Charlene alzò gli occhi al cielo, voltò le spalle ed uscì dalla stanza, borbottando calcoli e preventivi.

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Capitolo 5
*** Mitreo, parte I ***


Erano trascorsi alcuni giorno dal ritorno di Flynn e anche Stone era rientrato. In Biblioteca erano tutti indaffarati per i preparativi del Conclave. Erano nella semplice fase di scrivere le convocazioni da inviare, tuttavia richiedeva comunque una grande attenzione e precisione.

“Non capisco.” protestò Ezekiel, mentre ricopiava un invito su una pergamena “Perché non possiamo scrivere un’unica email e inviarla a tutti i contatti? Si risparmierebbe molto tempo!”

“Non possiamo mandare email!” esclamò Flynn che, invece, stava scrivendo una bozza di invito.

“Perché? Non avete gli indirizzi? Beh, al Conclave ce li facciamo dare, così avremo una bella mailinglist da poter usare in futuro, magari per tenerli aggiornati sugli sviluppi delle decisioni prese, senza dover stare a contattarli tutti uno per uno ogni volta.”

“Sarebbe una buona idea, ma!” ribatté il Bibliotecario “Ma loro non hanno internet!”

“Che sfiga!”

“Ci sono molti modi per impiegare il proprio tempo, senza stare attaccati ad un computer.” intervenne Jenkins.

“Non è che rimanere attaccati a dei libri permetta una vita sociale migliore, anzi!” insisteva Ezekiel “Su internet si socializza, si conosce gente, oltre che a trovare informazioni. Coi libri non puoi conoscere nessuno.”

“A parte l’autore stesso e mille altri mondi.” Jenkins parlò col suo tono indispettito “Internet è un non-luogo, la menzogna circola libera, il vero e il falso si mescolano e non si riescono più a distinguere e le persone fingono, si mascherano e, avendo la scusa di chattare, evitano i rapporti diretti con gli altri.”

“Pirandello si sarebbe divertito parecchio, scommetto.” commentò Flynn.

“Chi?!” chiese il  ladro.

“Luigi Pirandello! Un autore italiano, vincitore del nobel per la letteratura.”sottolineò Jenkins con disappunto, poi alzò gli occhi al cielo “Non mi stupisce che lei non lo conosca.”

“Ad ogni modo” riprese Flynn “Mandare gli inviti singolarmente è un segno di rispetto verso i nostri ospiti, inoltre vengono da culture molto differenti tra di loro: non possiamo differenziarli solo coi nomi personali e i  loro titoli, ma il registro e la forma devono essere adeguati alle loro tradizioni. Il rispetto è alla base di ogni negoziazione; non possiamo mostrarci disattenti verso i nostri ospiti, od arroganti, altrimenti le nostre parole non verranno mai prese sul serio.”

“Non sono d’accordo” continuò Ezekiel “Il troppo rispetto può sembrare paura e non bisogna mai sembrare impauriti, quando si vuole ottenere qualcosa.”

“Ci vuole la giusta misura, come in tutte le cose.” gli spiegò il Bibliotecario “Ricordati, però, del pino e del salice il giorno della tempesta di neve.”

“Cosa?!”

Intervenne Cassandra: “Il pino ha i rami rigidi e irremovibili che, caricati di troppa neve, si spezzano sotto il peso; il salice, invece, è flessuoso e docile, si piega sotto la neve fino a scrollarsela di dosso e resta integro e bello. È una metafora piuttosto nota.”

 Ezekiel scosse il capo, poco convinto, e tutti continuarono il proprio lavoro in silenzio, fino a ché Stone non si accorse che il proprio borsello si stava agitando, lo aprì e tirò fuori il suo mini quaderno dei ritagli personale, che stava vibrando.

“Ehm …” Jacob si guardò attorno “Credo che mi vogliano mandare ad affrontare un caso.”

Cassandra ed Ezekiel afferrarono i propri quaderni e con delusione constatarono che a loro non era stato segnalato nulla.

“Di cosa si tratta?” chiese Eve.

“Animali e due persone trovati sbranati da grandi bestie feroci non ancora identificate.”

“Potrebbe essere di tutto.” rifletté Flynn “Licantropi, orchi, raksasa … Dipende anche dalla zona, dov’è accaduto?”

“Italia.” rispose Stone, leggendo mentalmente l’articolo, poi si volse verso Jenkins e gli disse, con stupore: “È praticamente dove sta scavando Enya.”

L’uomo si accigliò, perplesso.

Eve saltò su, con un pizzico di malizia: “Jenkins, domanda veloce: chi è Enya?”

“Non lo so. Questo è il problema. Ci è stata segnalata, ma ancora non sappiamo il perché; comunque, penso che non dobbiamo aspettarci nulla di buono, dopo quest’ultima segnalazione.”

“Ma perché il ritaglio è arrivato solo a Stone?” chiese Eve.

“Perché io la conosco telematicamente, forse desterò meno sospetti, quando mi presenterò da quelle parti.”

“Bene” convenne Flynn “Allora imposta la porta sul retro e vai e tienici aggiornati.”

“Sarebbe meglio che non andasse da solo.” aggiunse Jenkins “Prenda un’altra delle nuove leve, con sé.”

“Va bene.”

“Ti accompagno volentieri io.” si offrì Cassandra, con un sorriso.

“No, prendi me!” esclamò Ezekiel, che voleva sfuggire dalla burocrazia.

“Mi spiace, sarà per un’altra volta. Cassandra, vieni tu.”

I due giovani si prepararono velocemente, varcarono la porta e si ritrovarono in un alberghetto, poco fuori un piccolo paesino, nei pressi di una foresta. Ne approfittarono per prenotare una stanza in cui passare la notte, poi cercarono un mezzo di trasporto per muoversi: dovettero accontentarsi di un paio di biciclette. Si informarono, poi, circa dove fossero gli scavi archeologici: per loro fortuna distavano solo cinque chilometri e raggiungerli non fu difficile o faticoso.

“Stone, ci pensi?” chiese, vispa, la ragazza.

“A cosa?”

“È la prima missione che affrontiamo io e te e basta, da soli, senza nessun altro. Non è emozionante?”

“Tutte le missioni sono emozionanti. Negli ultimi mesi mi è entrata in circolo più adrenalina di tutto il resto della mia vita messo assieme. Dì un po’, secondo i tuoi calcoli, troppa adrenalina in corpo può far male?”

“Meglio che tu non sappia gli effetti collaterali. Ormai, però, ci stiamo abituando a queste situazioni: non credo che l’adrenalina sarà un problema. Comunque, perché ci stiamo dirigendo allo scavo? Non sappiamo se ha realmente a che fare con il ritaglio.”

“È probabile, però. Dal momento che dobbiamo chiedere informazioni in giro, tanto vale cominciare da dove abbiamo un contatto.”

“Non sembrerà strano, alla tua amica, che ti presenti qua, all’improvviso, senza averla avvisata?”

“Le dirò che volevo farle una sorpresa e che ho deciso all’ultimo momento … comunque non è una mia  amica, la vedrò oggi per la prima volta.”

Cassandra non seppe esattamente come prendere la notizia, se sentirsi sollevata o minacciata. Da una parte era contenta che non ci fosse confidenza tra quella sconosciuta e Stone, dall’altra non le faceva certo piacere la voglia che aveva l’amico di conoscerla. Cercò di tirarsi su di morale, pensando al fatto che Jacob fosse lì solo per il caso da risolvere.

I due giovani giunsero allo scavo: era circondato da una rete di plastica arancione, si  estendeva per almeno un chilometro di lunghezza, vi lavoravano almeno una quindicina di persone; poco fuori si trovavano delle baracche di lamiera e dei bagni chimici, probabilmente era lì che alloggiavano gli addetti ai lavori.

“Ecco cosa si può ottenere, appoggiati dalla massoneria.” commentò Stone, ammirando il sito archeologico.

“Pensavo che fossero ricchi e che potessero permettersi di più.” osservò Cassandra.

“Non hai idea dei costi di uno scavo e della manutenzione. Per poter indagare un’area così vasta, sono necessari parecchi fondi. Adesso cerchiamo Enya.”

Jacob si guardò attorno e, vedendo un uomo con una carriola poco lontano, gli gridò in un italiano traballante: “Ehi, amico! Cerco Enya Bragazzi. Sono suo amico, Jacob Stone!”

Per fortuna, l’interpellato era una persona disponibile e dunque andò a riferire, senza protestare.

Poco dopo sopraggiunse Enya, con un sorriso radioso, nonostante le occhiaie; disse: “Jacob Stone! Non ci posso credere, proprio tu?”

“In persona! È bello vederti, finalmente, dal vivo e non via webcam.”

“È un piacere anche per me.”

“Ti presento la mia amica e collega, Cassandra.”

“Molto piacere.” Enya parò in inglese, stringendo la mano della giovane, e continuò a parlare in quella lingua.

“Come ti ho  detto, ero in Russia per affari; al ritorno, ho pensato di fare tappa a Roma e, allora, ne ho approfittato per venirti a salutare.”

“Molto gentile da parte tua. Scommetto che vedere in anteprima un sito etrusco-romano sia stato un bell’incentivo nel prendere questa decisione.”

“Ha influito, certamente … ma so che voi archeologi siete molto gelosi e avete sempre paura che qualcuno pubblichi prima di voi le vostre scoperte.”

“Di te mi fido, inoltre i tuoi consigli mi sono stati preziosi più di una volta, quindi una ricompensa te la meriti davvero. Venite, vi mostro gli scavi.”

La giovane fece strada ai due americani e li accompagnò attraverso il sito, indicando con attenzione davanti a cosa si trovassero: il foro, la basilica, un tempietto, una casa nobile col pavimento in mosaico e molte altre cose. Jacob poneva un sacco di domande e così trascorsero un paio d’ore.

“Là, invece, che cosa c’è?” chiese il giovane, indicando l’unica zona degli scavi dove non si erano soffermati, ma erano passati solo velocemente.

“Un mitreo ma, non posso mostrarvelo: è una scoperta recente, si espande sottoterra e dobbiamo ancora metterlo in sicurezza.”

“Un vero peccato.” disse Stone “Non sapevo esistessero mitrei così antichi.”

“Infatti ci siamo stupiti, soprattutto per la forte influenza etrusca nelle decorazioni. Speriamo che nei prossimi giorni le ricerche possano darci qualche indizio in più.”

Jacob non insisté, ma quelle spiegazioni non lo avevano convinto. Tuttavia, si stava avvicinando il tramonto e, dunque, era tempo per i bibliotecari di indagare sulle misteriose bestie, segnalate dal quaderno dei ritagli.

“Andate via? Non vi fermate con noi?” chiese Enya, quando capì che gli ospiti volevano andarsene.

“Sì, abbiamo  prenotato un albergo e dobbiamo rientrare.”

“Fermatevi per cena, almeno.”

“No, grazie, siamo in bicicletta e non vogliamo tornare in paese col buio. Specialmente dopo quello che si è letto sui giornali, stamattina! A proposito, voi, così isolati, non avete paura?”

“Di cosa?” Enya si era accigliata.

“Beh, del mostro che pare aggirarsi per i boschi, sbranando qualsiasi cosa si muova.”

“Oh, quello!” Enya si abbandonò ad una risata un po’ forzata e poi chiese: “Non crederete davvero a queste fantasticherie? Si tratterà di un orso o due, probabilmente.”

Stone aveva notato che c’era qualcosa di strano nell’atteggiamento dell’archeologa; con fare severo disse: “Ultimamente, ho imparato a stupirmi di poche cose.” poi aggiunse con fare scherzoso: “In ogni caso, fossero anche due orsi, preferisco non ritrovarmeli per strada, quindi ti saluto e grazie per l’accoglienza.”

Finirono di salutarsi, poi i due bibliotecari presero le biciclette e si allontanarono.

“Non mi convince.” commentò Cassandra, appena fu certa che non potessero sentirla “Ho osservato l’area del mitreo e, secondo i miei calcoli, era già in sicurezza; inoltre c’è stato un operaio fermo lì davanti tutto il tempo, come se fosse stato messo a guardia di qualcosa.”

“Il mitreo potrebbe essere giustificato dalla gelosia degli archeologi, quello è una scoperta troppo importante per lasciare avvicinare degli estranei. Io mi sono insospettito per il suo atteggiamento quando abbiamo parlato delle bestie: è stata troppo tranquilla! Non ha nemmeno detto che la faccenda l’abbia colpita o che le dispiacesse per i due morti. Inoltre hai notato le occhiaie che aveva?”

“Sì … Pensi che la tua amica, di notte, vada in giro a sbranare animali e persone?” Cassandra era alquanto perplessa.

“Non lo so, ma non lo escludo.”

“Che cosa facciamo adesso?”

“Semplice, ceniamo, ci armiamo e poi perlustreremo un poco i boschi, sperando di scoprire qualcosa.”

Cassandra si preoccupò di avvisare gli altri alla Biblioteca di come stessero andando le cose.

I due fecero come aveva suggerito Stone, sebbene gli unici surrogati di armi che poterono trovare furono un machete e una vanga. Decisero di ricordarsi di premunirsi di vere armi per il futuro.

Attorno alle 21-30 iniziarono la loro perlustrazione al limitare del bosco. Per un’ora circa, non notarono nulla di strano, per cui decisero di addentrarsi un poco tra gli alberi, senza però seguire un sentiero. Trascorse un’altra mezz’ora e iniziarono a sentire degli strani versi: un misto di ruggiti ed ululati.

I due giovani si guardarono per farsi forza a vicenda e proseguirono nella direzione da cui provenivano gli agghiaccianti versi. Andarono a passo svelto, quasi correndo.

Arrivarono in un punto del bosco dove la vegetazione era meno fitta e lì videro un orripilante rapace, alto almeno due metri e mezzo: aveva le zampe di un avvoltoio, ma il torso vagamente umano e ricoperto di piume; gli arti superiori erano un incrocio tra braccia e ali, culminavano con mani scheletriche dai lunghi artigli, la testa era quella di un uomo, ma con penne al posto dei capelli e un feroce becco sostituiva naso e bocca, ma ciò non gli impediva di avere affilati canini.

Cassandra urlò terrorizzata. Jacob non glielo impedì, siccome erano già nel campo visivo del mostro che già stava volgendo loro le sue attenzione.

“Che cos’è?!” strillò la ragazza, stringendosi forte al machete.

“Non ne ho idea!” rispose Stone, basito e spaventato “Mostri del genere li ho visti solo nei dipinti di tombe etrusche.”

Il mostro si stava avvicinando.

“Scappiamo?” propose Cassandra.

“Sì! Tra gli alberi non dovrebbe riuscire a passare.”

I due amici voltarono le spalle al mostro e corsero per il bosco, ma sfortunatamente furono facilmente inseguiti.

“Non credi sia poco bibliotecariesco fuggire?” domandò Stone, col fiato corto.

“No, per niente! Non abbiamo idea di  cosa sia e come ucciderlo. Ora che sappiamo com’è fatto, potremo fare ricerche e capire come agire!”

“Sì, ma quello, tra poco, ci raggiunge!”

Continuarono a correre in silenzio per qualche momento, poi Cassandra esclamò: “Lo senti?! C’è un torrente!”

“Sì, e allora?”

“Potremmo nasconderci nell’acqua. Data la stagione e il luogo, dovrebbe essere abbastanza profondo e la corrente non troppo profonda.”

Stone si accigliò, poco convinto, poi scosse il capo e disse: “È comunque un piano.”

Entrambi continuarono a correre, cambiando direzione e cercando di raggiungere il torrente. In breve lo raggiunsero, si voltarono un attimo e si accorsero di aver guadagnato un certo vantaggio. Stone si stava guardando attorno, alla ricerca di una canna di palude o qualcosa da poter usare come boccaglio. Cassandra, invece, osservava in cerca di qualche spunto che le suggerisse una soluzione per uscire da quella situazione; di nuovo l’udito la aiutò.

“La bestia si è fermata. Senti i suoi versi? Non sono più solo feroci, sono anche di dolore e sento come il clangore di qualcosa di metallico.”

“Qualcuno sta affrontando quel mostro?! Dobbiamo andare ad aiutarlo.”

Tornare indietro non era certo l’opzione che preferivano, ma chiunque fosse così coraggioso da fronteggiare quel mostro, meritava di essere aiutato.

Si affrettarono ad andare e, tornando sui propri passi, dopo un paio di minuti videro il mostro che stava lottando con qualcuno e i cui artigli come d’acciaio, cozzavano contro una spada. Non fecero in tempo a capire bene che cosa stesse accadendo, che la bestia cadde a terra e allora sentirono una voce gridare: “Ar frontac, Februus esi!”

In un bagliore blu elettrico, il mostro scomparve, sotto gli occhi increduli dei bibliotecari.

Un attimo dopo, il loro stupore crebbe maggiormente, quando si resero conto di avere davanti Enya, con in mano una spada e al dito un anello con una grossa pietra blu, pulsante.

“Per credere ai mostri, siete un po’ troppo nel bosco.” commentò Enya dopo qualche momento.

“E tu sei un po’ troppo armata, per non crederci.” ribatté Stone, indeciso circa se ritenersi in salvo oppure no.

“Per fortuna le vostre urla hanno richiamato la mia attenzione.”

“Ho gridato una sola volta …” protestò Cassandra.

“Beh, le spiegazioni ve le darò domani, allo scavo. Ora devo cercare gli altri.”

“Ci sono altri di quei cosi in giro?” chiese, preoccupata, la bibliotecaria.

“Purtroppo.” confermò Enya.

“Ci potresti spiegare come lo hai sconfitto?” chiese Stone “Così, se ne incontriamo un altro, sappiamo cosa fare.”

“Non potete fare nulla, spiacente. Vi accompagno allo scavo, che non è distante, passerete la notte lì e, domattina, vi spiegherò.”

I due bibliotecari, non avendo altra scelta, accettarono.

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Capitolo 6
*** Mitreo, parte II ***


“Stone, sai l’etrusco, vero?” domandò Enya; le occhiaie sotto gli occhi erano più calcate, la carnagione era più pallida del normale e aveva l’avambraccio sinistro bendato.

“Sì, per quanto si possa conoscere una lingua interpretata solo parzialmente.”

“Bene, allora ti invito a leggere quest’iscrizione, così non potrete dubitare di me.”

Era mattina e l’archeologa aveva condotto i due bibliotecari nella parte sotterranea del mitreo; c’erano solamente loro tre, Enya non aveva voluto altri.

“Che cosa dice?” chiese Cassandra, dopo un paio di minuti.

Stone fissava ancora l’iscrizione su una lastra di marmo bianco, era piuttosto sconcertato, spiegò: “Parla della progenie di Tuchulcha …”

“Chi?”

“Un demone dell’oltretomba etrusco, mezzo uomo e mezzo rapace.” rispose Jacob, prima di continuare: “La sua progenie, suppongo che ieri notte ne abbiamo conosciuto uno … La sua progenie, dunque, si aggirava per queste terre, compiendo terribili carneficine, finché non giunse un uomo consacrato a Mitra che le imprigionò una per una in un sarcofago in questo tempio. Questo non ha senso!” si rivolse all’archeologa: “Mitra non appartiene al pantheon etrusco!”

“Mitra è una divinità indoeuropea, presente dall’India al mediterraneo, sebbene con connotati differenti e il culto misterico è proprio dell’area europea.”

“Sì, ma in epoca imperiale!”

“Pare che ci siano alcune attestazioni risalenti al II secolo avanti Cristo, inoltre se si considera la teoria secondo cui gli etruschi fossero originari dell’Anatolia …”

“Quella teoria è stata smentita due anni fa! Inoltre gli etruschi non appartengono al ceppo indoeuropeo.”

“Linguisticamente, ma per quanto riguarda la mitologia e la religione …”

“Scusate!” li interruppe Cassandra “Al di là delle controversie tra storici, abbiamo una lastra di marmo che parla piuttosto chiaro e, sinceramente, preferirei sapere come affrontare i mostri, piuttosto che se sia storicamente attestato o meno un certo culto da queste parti.”

“Hai ragione.” si scosse Jacob “Dunque, la progenie di Tuchulcha è tornata a bighellonare in zona? È questo che supponi? Perché proprio ora e non nei secoli scorsi?”

Enya sospirò e, con un certo imbarazzo, disse: “Li abbiamo accidentalmente liberati, aprendo il sarcofago in cui erano rinchiusi.”

“Cosa?!” esclamò Cassandra “Perché avete fatto una stupidaggine simile? Non credevate ai mostri?”

“No, ma perché abbiamo trovato prima il sarcofago e il giorno dopo la lastra!” si difese l’archeologa.

“Tu, però, sai come sconfiggerli.” osservò Stone “Che cos’hai fatto, ieri notte?”

“Per fortuna, nel corso degli scavi, ho trovato una sorta di grosso scrigno in marmo che conteneva la spada appartenuta all’eroe che sconfisse i demoni millenni fa; stranamente la lama non sembra avere subito gli effetti del tempo ed è affilata come appena uscita dalla fucina. C’era anche questo anello.” lo mostrò, era lo stesso che poche ore prima pulsava di luce bluetta “Vi erano anche istruzioni per l’uso piuttosto semplici: con la spada si devono sconfiggere i demoni. Dopo averli ridotti allo stremo delle forze, si pronuncia una formula in etrusco che li risucchia nell’anello.”

“Ottimo, direi che siamo a buon punto.” commentò Jacob.

“No, perché adesso iniziano le note dolenti: l’anello può tenere imprigionati i demoni in numero limitato e per pochi giorni, poiché serviva come tramite per travasarli, poi, nel sarcofago. Ciò significa che presto i tre che sono riuscita a catturare, potrebbero tornare liberi. Inoltre, non posso neppure reinserirli nel sarcofago, poiché non è un luogo sicuro: potrebbe essere riaperto in qualsiasi momento.”

“Troviamo un altro oggetto in cui richiuderli.” propose Stone “Noi conosciamo un luogo estremamente protetto e sicuro in cui non c’è rischio che vengano di nuovo liberati.”

Enya aggrottò le sopracciglia, piuttosto perplessa e chiese: “Ovvero?”

“Se te lo dicessi, non mi crederesti.”

“Prova.”

Stone esitò un poco, ma comunque rispose: “… in una biblioteca.”

L’archeologa rifletté qualche istante e poi disse: “ … Oh, va bene.”

Jacob e Cassandra si scambiarono un’occhiata a metà tra lo stupito e il preoccupato, ma non dissero altro sull’argomento.

“C’è un problema, comunque.” precisò  Enya “Non basta certo un contenitore qualsiasi. Il sarcofago contiene una sorta di mini dimensione a sé stante. Bisognerà trovare qualcosa del genere e non ho idea di dove cercare!”

“Noi forse sì.” disse Stone, ragionando “Dacci qualche ora di tempo, andiamo a consultarci con dei colleghi e, poi, speriamo di tornare con qualcosa di utile.

“D’accordo. Vi aspetto. Ah, se per caso tra i vostri colleghi c’è qualcuno abile in combattimento, portatelo.”

Jacob e Cassandra si allontanarono velocemente; cercarono la prima porta a disposizione, senza gente attorno e la varcarono per rientrare alla Biblioteca. Nella stanza principale c’erano tutti gli altri, ancora intenti alle questioni burocratiche.

“Già di ritorno? Avete risolto?” domandò Eve, vedendoli entrare.

“No, ma sappiamo come fare.” rispose Cassandra.

I due giovani raccontarono quanto avevano visto e scoperto.

“Avete rischiato di essere divorati da un uomo-avvoltoio?!” sbalordì Ezekiel “E io imbustavo inviti?!”

L’osservazione del giovane ladro venne ignorata.

“Sì, direi che la Biblioteca è il luogo migliore, dove custodire il sarcofago o qualsiasi altro surrogato troveremo.” approvò Flynn.

Cassandra domandò: “Dove possiamo trovare o come possiamo creare un qualcosa che contenga uno spazio dimensionale?”

“Dovrebbe esserci qualcosa in magazzino.” affermò Jenkins “Vado a controllare.” e si allontanò.

Rimasero tutti in silenzio per qualche momento, poi Cassandra chiese: “Flynn, verrai tu, con noi, per combattere?! Oppure verrà il colonello Baird?”

“Ci piacerebbe ma!, non possiamo.” rispose Flynn “Tra gli oggetti rubati dalla Confraternita del Serpente, c’è anche il tridente di Poseidone. Ho avuto il sentore che Dulaque l’avesse consegnato ai Fomori e penso proprio di non essermi sbagliato.”

Fomori?!” chiese Ezekiel.

“Questa la so anch’io!” esclamò Cassandra, contenta “Sono mostruosi abitanti del mare; prima erano gli abitanti mitologici originali dell’Irlanda, scacciati poi da un’altra stirpe leggendaria, i Tuatha de Danann. Lo so perché mio padre era irlandese e mi raccontava spesso queste storie da piccola, prima di addormentarmi.”

“Esatto, questo è quanto riferiscono i testi che normalmente si hanno a disposizione e che risalgono a non prima del decimo secolo.” disse Flynn “In realtà non sono mostruosi o non sempre, almeno. Fanno parte degli umanoidi che vivono sott’acqua, come i tritoni e le sirene. I Fomori sarebbero anfibi, possono presentarsi in aspetto umano, oppure animale (ad esempio salamandre, rane o serpenti), oppure con strane ibridazioni; diciamo che ognuno di loro ha tre o quattro determinate forme che può alternare a proprio piacere. Ad ogni modo, ho ragione di credere che il tridente di Poseidone sia attualmente in mano ai Formori i quali, ovviamente, negano. Sono riuscito, tuttavia, ad ottenere di parlamentare col loro principe, quindi io ed Eve dobbiamo prepararci per questo incontro e partire. Si terrà domani.”

Jacob e Cassandra si guardarono perplessi, poi Stone disse: “Saremo un po’ in difficoltà, temo. Io me la cavo nelle scazzottate, ma dubito di avere qualche possibilità in uno scontro con quei bestioni. Forse, forse potrei tentare a distanza con una balestra.”

“Io non ne so assolutamente nulla di armi e combattimenti.” aggiunse Cassandra.

Flynn, tra sé e sé, disse: “Promemoria: iniziare addestramento al duello per i bibliotecarini.” poi gli tornò in mente Excalibur e si rattristò.

“Dunque, al momento, andiamo soli e indifesi?” chiese ancora Cassandra.

“Meglio di no.” ragionò Flynn “Fatemi pensare.”

Jenkins!” esclamò Eve d’improvviso.

“Come?!” fu la domanda corale.

“Sì, al Telaio del Fato, ha combattuto benissimo con la spada, contro Dulaque.”

“Anch’io sarei in grado di battere Dulaque!” esclamò Ezekiel.

Dopo le vicende al Telaio, Eve aveva riferito a Flynn che il suo alter ego aveva affermato che Dulaque fosse in realtà Lancillotto. Flynn le aveva allora rivelato che lui conosceva già la reale identità del capo della Confraternita del Serpente, ma che preferiva non rivelarlo ancora agli altri poiché ciò avrebbe senza dubbio generato apprensione e molto domande di cui Flynn non era certo di poter rispondere.

“È una buona idea.” disse il Bibliotecario “Cassandra, tu però resterai qui, ci sarà bisogno del tuo aiuto in sede, non posso lasciare soli Ezekiel e Charlene in questa situazione.”

Nessuno dei tre giovani pareva convinto da quella soluzione. In quel momento ritornò nella stanza Jenkins con un’anfora in mano, dicendo: “Ecco, questa dovrebbe fare al caso nostro, bisogna semplicemente modellare il coperchio per permettere all’anello di inserirsi e trasferire … Perché mi fissate in quel modo?”

Jenkins, domanda veloce.” disse Eve “Puoi andare tu con Jacob ad affrontare i mostri?”

“Ehm …  No, assolutamente no.”

“Perché?! Al Telaio hai combattuto benissimo!”

“Probabilmente si trattava di un mio alter ego che ha intrapreso un percorso diverso dal mio.” si giustificò Jenkins.

“No, era lei! Il suo aspetto, i suoi abiti, non erano diversi, come quelli degli altri … E poi perché non l’ho vista in nessun altro universo parallelo? Lei era lì … perché?! Come?!”

Jenkins la scrutò alcuni istanti, poi voltò il capo da un’altra parte e con non curanza disse: “Combattere la progenie di Tuchulcha avete detto? Vado a prendere una spada.” e uscì dalla stanza.

I bibliotecari ed Eve si guardarono piuttosto perplessi.

Pochi istanti dopo, Jenkins fece nuovamente capolino nella sala, questa volta, stretta in mano, teneva una spada inserita in un fodero, lunga quasi due metri.

Jacob si avvicinò a lui, chiese il permesso di osservare l’arma e, esaminandola, disse: “È un Claidheamh dha Iamh scozzese, un po’ più lungo del normale, pregevole fattura … XIV secolo? … dovrebbe stare in un museo!”

“Questa è mia!” ribatté Jenkins con velata gelosia, riprendendosi la spada.

“Al telaio, aveva un fioretto.” commentò Eve.

“Non andrò contro la progenie di Tuchulcha con un fioretto, questo mi pare più adeguato.”

“Ma quanto pesa?!” si meravigliò Ezekiel.

“Meno di tre chili. Signor Stone, suvvia, andiamo o si farà tardi!”

Jacob afferrò il vaso, salutò gli altri e aprì la porta sul retro.

Poco più di mezz’ora più tardi, Jacob e Jenkins si trovavano davanti allo scavo, in cerca di Enya.

L’archeologa fu certamente sorpresa nel trovarsi di fronte l’uomo che le aveva parlato giorni prima, dopo la sua conferenza, tuttavia decise di non entrare in argomento; si avvicinò a Stone e gli chiese che cosa avesse trovato.

“Questo vaso è esattamente quello che hai detto ci servirà.”

“Bisogna solo modellare l’ingresso dell’anello.” specificò Jenkins.

“Affare da pochi minuti.” disse la giovane “Jacob, che fine ha fatto la tua amica?”

“Ho preferito non metterla in pericolo, di nuovo.” spiegò “Al suo posto ho portato quello che sa combattere, come mi avevi chiesto. Lui è …”

“Non c’è bisogno di presentazioni.” lo interruppe Jenkins, cercando di far sì che la propria presenza non destasse sospetti “Sono riuscito ad andare alla conferenza della signorina, di cui mi avevi informato, ho avuto modo di conoscerla.”

“Signori, io ho un piano. Semplice ed efficace: Jacob, tu terrai anello e vaso; io e il tuo amico abbatteremo la progenie; quando vedrai qualche demone a terra, ti avvicinerai, gli punterai contro l’anello e pronuncerai la formula in etrusco, poi li trasferirai subito nel vaso.”

“Oh, sì, detto così, sembra molto semplice!” disse sarcasticamente Stone.

“Trovare un nuovo contenitore e un altro combattente era la parte più difficile. Scusi, posso vedere la sua spada, per favore?”

Jenkins porse l’arma alla donna che, dopo pochi istanti, disse: “Devo tenerla per un’ora circa, c’è una cosa che devo fare. Voi, intanto, andate in paese” prese le chiavi della propria auto e le diede a Jacob “E anche nei paesi vicini, fermatevi dai macellai e prendete tutto il sangue che potete trovare. Litri e litri di sangue.”

“Perché?” chiese Stone.

“Perché non ho intenzione di passare non so quante notti insonni a cercare quelle bestie. Il sangue fungerà da esca: saranno loro a venire da noi e questa notte dovremmo mettere fine a questa faccenda.”

I due uomini acconsentirono e l’archeologa, con la spada, si allontanò verso il bosco.

“Signor Stone, lei come se la cava con i pedinamenti?” chiese Jenkins pochi istanti dopo.

“Non saprei, perché?”

“Ha la mia spada, voglio vedere che cosa fa. La seguo, viene con me?”

I due uomini, furtivamente, seguirono la donna tra gli alberi e arrivarono in prossimità del torrente. Lì, la ragazza immerse la spada.

“Si arrugginirà!” commentò Stone, sussurrando, ma il compagno lo zittì.

Enya si mise in ginocchio, appoggiata sui talloni, con la schiena dritta. Era di spalle, quindi non si poteva vedere se tenesse gli occhi aperti o chiusi. Poco dopo, tuttavia, iniziò ad essere circondata da un’aura blu, come se la stesse emanando.

“Possiamo andare.” disse a quel punto Jenkins, voltandosi.

“Che succede?” chiese Stone, perplesso, seguendo l’altro.

“Sta incantando la mia spada. La progenie di Tuchulcha può rigenerarsi e guarire le proprie ferite in pochi secondi; quindi per poterle sconfiggere è necessario colpirle con lame incantate, che con la magia blocchino la rigenerazione.”

“Tu lo sapevi già che occorreva una spada incantata?”

“Certamente.”

“E perché ti sei portato una spada normale, allora?”

“Per mettere alla prova la tua amica.”

“E se non l’avesse presa in consegna, che cosa avresti fatto?”

“L’avrei incantata io.”

“Tu?”

“L’ho detto che io e Judson avevamo divergenze d’opinione. Inoltre anche lui ricorreva alla magia più spesso di quanto non volesse ammettere.”

Qualche ora più tardi, verso la metà del pomeriggio, i tre si riunirono per fare il punto della situazione. Gli uomini erano riusciti a procurare una gran quantità di sangue, dopo essere passati per ben cinque macelli e aver dovuto rispondere alle domande dei perplessi macellai. La donna, allora, li condusse in una piccola radura nel bosco dove aveva già preparato un tino da riempire col sangue. La progenie di Tuchulcha era notturna, quindi, appena fosse tramontato il Sole e non prima, si sarebbe destata e, sentendo l’odore del sangue, lo avrebbe raggiunto.

I tre avevano a disposizione circa un paio d’ore per cenare e prepararsi alla battaglia, per cui tornarono momentaneamente al campo dello scavo archeologico. Enya mostrò il vaso sul cui coperchio era riuscita ad annettere un cubo di argilla, plasmato per poter accogliere l’anello e soltanto quello. Verificarono che tutto funzionasse, trasferendo i demoni catturati dall’anello al vaso e l’operazione riuscì con successo. Mangiarono qualcosa di leggero, per poter affrontare al meglio la battaglia; poi, mentre Stone si era allontanato per usare il bagno, Jenkis si accostò all’archeologa, estrasse dalla tasca della giacca un paio di ciondoli in argento: entrambi erano circolari e il loro perimetro era definito dalla figura di un serpente che si mordeva la coda; inscritti in questo cerchio c’erano sei triangoli intrecciati tra di loro.

Enya li osservò, poi commentò: “Un nodo pittico dentro ad un uroboro … Sono simboli protettivi molto …”

“Anche di più.” la interruppe Jenkins “Questi sono talismani molto potenti anche in virtù di chi li ha forgiati. Normalmente non porto in giro questi oggetti, ma stiamo per affrontare la progenie di Tuchulcha, probabilmente ne fronteggeremo più di uno a testa contemporaneamente, quindi ritengo sia opportuno fornire anche a lei uno di questi amuleti per limitare il più possibile i danni subiti.”

“La ringrazio, moltissimo.” Enya fu sorpresa e contenta.

“Sottinteso che, al termine dello scontro, me lo dovrà restituire.”

“Certamente.”

In quel momento squillò un cellulare, Enya prese il proprio, guardò lo schermo e sussurrò: “Elatha …” poi schiacciò il tasto di chiusura della chiamata, senza rispondere.

“Come?!” domandò Jenkins, incuriosito.

“Nulla!” si affrettò a dire la donna “Elthon, il mio fidanzato; lo richiamerò domani, adesso non è il momento. Lei combatterà in giacca e cravatta?”

“Sì, certo.”

“L’ammiro molto.”

Tornò Stone e tutti assieme andarono nella radura prescelta come campo di battaglia. C’era molta tensione per l’imminente scontro, ma riuscivano ugualmente a mantenere una certa calma.

La luce del Sole era scomparsa da alcuni minuti, splendevano solo le stelle e la luna. Il momento era vicino.

Si sentirono i primi ringhi e ululati. L’aria vibrava per l’aria sferzata dalle grandi ali di quei demoni affamati, che accorrevano, richiamati dal profumo del sangue.

I mostruosi rapaci apparvero nel cielo, sopra le teste dei tre pronti ad annientarli.

Stone si pentì di non aver proposto nuovamente l’uso della balestra.

Enya e Jenkins strinsero le mani attorno all’elsa della propria spada e si prepararono alla lotta.

Jenkins inferse il primo colpo, affondando la lama nella coscia di uno dei demoni, che stava planando verso il tino. La donna, svelta di riflessi, non fu da meno e con un fendente stacco un’ala-braccio di un altro dei mostri.

Dopo i primi minuti, in cui avevano combattuto separatamente i primi demoni in arrivo, Jenkins ed Enya si ritrovarono schiena a schiena, per difendersi vicendevolmente le spalle, mentre abbeveravano le loro lame nel sangue della progenie di Tuchulcha.

Stone, dal canto proprio, era piuttosto frustrato e si sentiva poco utile; provò a collaborare, lanciando pietre contro i mostri ma il risultato fu che attirò l’attenzione di uno di loro che lo avrebbe sicuramente agguantato se Jenkins non fosse intervenuto per tempo.

Jacob, comunque, rivalutò la propria utilità, quando iniziò ad usare il potere dell’anello e ad imprigionare i demoni nel vaso.

Sul finire dello scontro, quando ormai rimanevano solo tre creature, Enya tentò un azzardo: salì sul bordo del tino e lo usò come trampolino per spiccare un salto verso l’alto vorticando su sé stessa, con le braccia tese; insomma tentò di fare una sorta di effetto frullatore tra due demoni.

Il risultato non fu quello sperato: la lama aprì uno squarcio nell’addome di un mostro che cadde a terra, pronto per essere imprigionato, ma l’altra bestia, con gli artigli gremì la giovane e la sbatté a terra, tenendola ferma e col becco pronto a strapparle la testa.

Enya sentiva di dover ricorrere velocemente a qualche alternativa, per potersi salvare; la sua spada era caduta poco distante.

La bestia stridette. La presa si allentò. Il mostro cadde di lato. Dietro di lui, Jenkins estraeva la spada con cui lo aveva appena trafitto.

L’uomo porse la mano alla ragazza per aiutarla ad alzarsi, nel far ciò abbassò la guardia per qualche istante, ma quei momenti bastarono per permettere all’ultimo mostro rimasto di avventarsi contro di loro. Accortosi del pericolo, Jenkins spinse all’indietro la ragazza, per proteggerla, e posizionò lo spadone a porta di ferro, ma non fu abbastanza rapido e subì comunque una violenta artigliata.

Prima che l’uomo potesse reagire, però, Stone afferrò la spada caduta dell’amica e la usò per attaccare a propria volta il demone, riuscendo ad abbatterlo.

“Ottimo lavoro, ad entrambi.” si congratulò Jenkins, rimettendosi in piedi e sistemandosi l’abito.

“Siamo sicuri che li abbiamo presi tutti?” domandò, invece, Jacob.

“Sì. Sono bestie da branco, sentendo i loro compagni in pericolo, sono tutti quanti accorsi per aiutarli.” spiegò Jenkins, soddisfatto.

I tre, contenti, presero il vaso e tornarono al campo del sito archeologico e si misero a dormire in baracche diverse.

Il mattino dopo, quando si svegliò, Enya si vestì rapidamente e uscì per prendere un po’ d’aria e organizzarsi per la colazione. Appena mise piede fuori, però, trovò Jenkins, appoggiato con la schiena alla parete, accanto alla porta.

“Buongiorno, mi fa entrare, per favore?”

Enya fu senza dubbio sorpresa, ma disse: “Certo, si accomodi pure.”

Entrarono nella baracca, la ragazza prese l’amuleto e lo porse all’uomo, dicendogli: “Se era venuto per questo, come vede sono di parola e glielo rendo.”

“Non era solo per questo. Te la cavi molto bene con la spada, non ho trovato nessun riferimento a questo suo interesse da schermitrice, né Stone lo sapeva.”

“Ha fatto indagini su di me?”

“Ero curioso. La piroetta volante che la messa nei guai ieri sera, è una tecnica molto rara, oltre che azzardata. Ho conosciuto pochissimi uomini che la eseguissero. Inoltre, mi ha incantato la spada e di questo la ringrazio. Voglio quindi chiederle: chi è lei, realmente?”

“Non sono l’unica che ha un segreto. Anche lei non rivela la sua vera identità. Facciamo un patto? Confidenza per confidenza, io le dirò chi sono e lei mi dirà chi è.”

Jenkins rifletté, poi scosse il capo e disse: “Non posso. Cambierò dunque la mia domanda, sperando che questa volta risponda senza condizioni: che opinione ha a proposito della Confraternita del Serpente?”

Enya sgranò lievemente gli occhi per la sorpresa e disse: “Non credevo sarebbe stato così diretto. Sinceramente non ho una precisa opinione al riguardo. Non posso approvare il loro desiderio di dominio sul mondo e gli uomini, ma non posso neppure condannare il voler togliere dalla clandestinità la magia.”

“Capisco.” si limitò a commentare Jenkins “Le do un consiglio. Se in futuro dovesse trovarsi faccia a faccia con un certo signor Dulaque ed egli le chiedesse la sua identità … gliela riveli, è un dettaglio che potrebbe salvarle la vita.”

L’uomo si voltò ed uscì, sentendo alle proprie spalle un perplesso ringraziamento.

Mezz’ora più tardi, si ritrovarono con anche Stone a fare colazione; poi Enya disse che non poteva ospitarli più a lungo, poiché quel giorno avrebbe dovuto sbrigare un affare lontano dal campo. Jacob rispose che anche loro erano piuttosto di fretta, dunque i due uomini presero il vaso, si allontanarono e, infine, trovarono una porta con cui tornare alla Biblioteca.

 

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Capitolo 7
*** Fomori ***


Flynn ed Eve si erano preparati per l’incontro diplomatico con i Fomori ed erano partiti prima del ritorno alla Biblioteca degli altri due amici. L’incontro era stato organizzato su un isoletta disabitata della Grecia nel mar Egeo. Il Bibliotecario, dunque, aveva impostato la porta sul retro per raggiungere il luogo abitato più vicino alla meta; là, lui e il colonnella Baird affittarono un motoscafo per compiere l’ultimo tratto di viaggio.

“Perché hanno scelto un posto così sperduto per il nostro incontro? Segretezza?” domandò Eve, mentre solcavano il mare.

“In parte, poi in parte c’è una questione di prestigio: ci costringono a compiere sforzi per raggiungerli per dimostrare la loro importanza. Inoltre, l’isola è di loro proprietà, è come se ci stessimo recando nel loro regno.” spiegò Flynn, che era alla guida.

“In che senso è di loro proprietà?”

“La Grecia, a causa del debito pubblico, ha dovuto vendere alcune delle sue isolette disabitate fin dal 2010. I Fomori hanno deciso di approfittarne e ne hanno comprate alcune, per poter espandere il loro regno anche sulla terra ferma.”

“La Biblioteca gliel’ha permesso?”

“Beh, tecnicamente quelle isole appartengono ancora alla Grecia, loro hanno solamente comprato del terreno, non hanno fatto nulla di male. Comunque, rilassati, goditi la gita al mare.”

“Non era proprio questa la  crociera in Grecia che sognavo da anni.” scherzò Eve “Scusami ma, date le circostanze, non me la sento di mettermi in costume a prendere il Sole.”

“Non è neppure estate.”

“Che cosa dobbiamo aspettarci?”

“Fasti!”

“Come?”

“Accoglienza in pompa magna e un ambiente lussuoso e ricco, almeno per gli standard fomoriani. Loro sono tradizionalisti, mostrano volentieri la loro ricchezza e ci tengono a rendere onori ai loro ospiti e a non far mancare loro nulla.”

“Anche se vanno  lì per contestare il possesso di un potentissimo artefatto?”

“L’ospite è sacro! È una componente fondamentale della cultura antica. Avranno allestito padiglioni di stoffe e fiori e grandi tende colorate; tappeti, cuscini, divanetti e tavolini bassi in corallo e conchiglie. Una commistione tra orientaleggiante e marino veramente incantevole. Ci sarà il loro portavoce che avrà portato con sé degli amici, intrattenitori, molti servi e dei soldati.”

“È come se andassimo in un’ambasciata vera e propria.”

“Sì, di fatto è come se il principe tenesse corte e noi ci recassimo in visita.”

“Principe?” ripeté Eve, sorpresa “Non me ne avevi parlato.”

“Ah, sì, il portavoce dei fomori sarà il principe Elatha in persona.”

E-la-tha …?” ripeté la Guardiana, per verificare di aver capito correttamente il nome e non provocare incidenti diplomatici, chiamando il principe con un nome sbagliato.

“Sì, ma non è quello della mitologia, è solo un caso di omonimia.”

“Ah!” fu ironica Eve, per poi farsi serie e chiedere indicazioni per comportarsi secondo il protocollo fomoriano, in modo tale da comportarsi bene e non infastidire i loro interlocutori e non creare imbarazzi.

Flynn le riferì le formule e procedure basilari e le raccontò della cultura dei Fomori per il resto del tragitto.

Approdarono finalmente all’isola e trovarono ad attenderli una delegazione di Fomori che li aiutarono a scendere e presero i loro pochi bagagli e fecero strada verso la corte del principe Elatha.

I Fomori si erano presentati nella loro forma ibrida: umanoidi con anche i lineamenti del volto molto umani, mala pelle era di anfibi, variopinta, avevano le mani e i piedi palmati, alcuni avevano la coda e sorta di creste o sul capo, o lungo la schiena, o attorno al collo; altri ancora erano invece squamosi come serpenti; anche gli occhi erano quelli di anfibi o rettili.

Eve era rimasta piuttosto impressionata a quella vista, doveva sforzarsi di non provare repulsione verso quegli esseri, non voleva essere offensiva; Flynn, invece, si trovava estremamente a proprio agio.

Giunsero in vista di grandi tendoni dai molti colori; passarono sotto un arco di piante e fiori che segnavo l’ingresso all’accampamento. Percorsero la strada principale, preceduti da valletti che suonavano tamburi, flauti e trombe e altri che gettavano petali sul loro cammino.

La strada conduceva all’ingresso del padiglione più grande, più ricco nelle decorazioni e maggiormente sorvegliato da guardie. Uno dei Fomori che li accompagnava, disse al Bibliotecario e al Guardiano di attendere, poi entrò per primo e annunciò il loro arrivo al principe; tornò indietro e condusse i due alla presenza del suo signore.

Il principe sedeva su un trono, sotto ad un baldacchino, alle sue spalle era appeso il tridente di Poseidone. Elatha era nella sua forma ibrida, la pelle da anfibio era di colore azzurro e maculata di giallo; aveva capelli biondi, lasciati un poco crescere; dalle spalle gli uscivano due serpenti vivi.

“Benvenuto, Bibliotecario.” esordì Elatha “La vostra presenza ci onora. Abbiamo fatto allestire una tenda per voi; il Maggiordomo vi accompagnerà a breve per permettervi di riposare e riprendervi dal vostro viaggio. Sarete miei graditi ospiti a pranzo e, nel  pomeriggio, discuteremo del motivo della vostra visita.”

Flynn ringraziò secondo la convenienza e poi lasciò che conducessero lui ed Eve alla loro tenda.

Quando furono soli, la donna chiese: “Perché lo assecondi? Abbiamo visto il tridente, lo hanno loro! Perché non hai affrontato subito la questione?”

“Siamo in missione diplomatica, loro si sono mostrati gentili e non è necessario rifiutare le cortesie. Ogni cosa a suo tempo. Dobbiamo rispettare loro e le tradizioni, se vogliamo essere credibili. Inoltre, per una volta che sono in missione e mi trovo degli agi, anziché pericoli di morte, non li rifiuto certamente.”

Più tardi si ritrovarono a pranzo col principe e i membri importanti della corte, erano seduti a terra su cuscini, i tavoli erano bassissimi, c’erano ciotole, piatti e boccali ricavati da grosse conchiglie o gusci di paguri; non c’erano posate e mangiavano con le mani.

Il pranzo fu principalmente a base di pesce; conversarono con tranquillità e il principe informò i suoi ospiti che alle trattative del pomeriggio sarebbe stato presente anche un suo consulente speciale.

Più tardi, dunque, si ritrovarono nella tenda principale, seduti su quattro poltroncine basse e larghe, attorno ad un tavolino su cui era stato servito un infuso di alghe, pronti per la diplomazia: Flynn, Eve, il principe Elatha e il signor Dulaque.

Quando il Bibliotecario entrò nella tenda, il capo della Confraternita del Serpente era già lì. Flynn si meravigliò e represse un moto di ira nei confronti del suo nemico che lo fissava con sfida e scherno.

“Altezza, che cosa ci fa qui, il signor Dulaque?” domandò il Bibliotecario, con freddezza.

“Sono il consulente speciale del principe.” rispose Dulaque.

“Perché?”

“Sono stato io a consegnare il tridente di Poseidone ai Fomori e, dunque, si fidano di me.”

“Ah, ora non negano più di possederlo?!” Flynn iniziava ad innervosirsi.

“Perché dovrebbero negare di avere qualcosa che spetta loro di diritto.” continuò Dulaque, calmissimo “Loro sono i legittimi proprietari del tridente.”

“Il tridente di Poseidone è un manufatto che appartiene alla Biblioteca.”

“Perché? Che diritto avete, voi, di tenere il tridente? Siete forse discendenti di Poseidone, come invece è il principe Elatha? Affermando che il tridente si è trovato nella Biblioteca nei secoli scorsi, vi mettete in difficoltà, poiché ammettete un’appropriazione indebita, per la quale i Fomori avrebbero tutto il diritto di chiedere un risarcimento.”

“Il tridente è un oggetto estremamente pericoloso, può provocare tempeste, maremoti, tsunami, terremoti, i quali potrebbero innescare anche eruzioni vulcaniche.”

“Ah, quindi ora stai sostenendo che i Fomori sono pericolosi, irresponsabili, che userebbero il potere del tridente per svago, senza considerarne le conseguenze? Questo è estremamente offensivo!”

“Mi stai mettendo in bocca parole non mie! Comunque, se pensassi cose del genere, sarei assolutamente legittimato, considerando quel che hanno fatto ad Atlantide.”

“È successo dodicimila anni fa! E si è trattata di legittima difesa.”

“Scusate!” intervenne Eve “La trattativa dovrebbe riguardare il Bibliotecario e il principe, perché sta parlando solo Dulaque, anziché sua altezza?”

“Sto ascoltando, colonnello Baird.” rispose Elatha “Sento le varie opinioni per valutare cosa sia meglio. Continuate.”

“I Fomori vogliono legittimamente avere il tridente che è un artefatto legato alla loro storia, è un simbolo del loro potere e della loro identità.” riprese Dulaque, contento “Continuare a privare i Fomori del tridente, sarebbe come rubare i gioielli della corona alla Regina di Inghilterra. Loro non vogliono usarlo come arma, ma ostentarlo come simbolo.”

“È un’arma.” ribadì Flynn “Non può essere lasciato alla portata di chicchessia, deve essere custodito dalla Biblioteca.”

Dulaque si mise a ridere e poi disse: “Siete davvero particolari, voi della Biblioteca, dite che certi artefatti siano troppo pericolosi per rimanere in circolazione e, quindi, ve ne appropriate, con la scusa di proteggere il mondo, ma intanto vi state preparando un arsenale di estrema potenza. Come possiamo essere sicuri che un giorno non userete voi, questi manufatti, per attaccare, sottomettere e distruggere tutte le creature sovrannaturali? Voi siete umani, vedete nella magia una minaccia, prima o poi cercherete di annientare ogni sua manifestazione!”

“Non è vero!” esclamò  Flynn, furioso per quell’accusa “Noi rispettiamo la magia. Noi siamo custodi di tradizioni e di cultura. Noi evitiamo che venga impiegata per compiere del male.”

“Male?! Un concetto piuttosto relativo. Vogliamo realmente indagare circa cosa sia bene e cosa sia male?” Dulaque sghignazzò nuovamente.

“Ho preso la mia decisione!” intervenne Elatha, con cipiglio deciso.

“La decisione non dovrebbe essere concordata da entrambe le parti?” domandò Eve, perplessa.

Il principe ignorò quell’osservazione e proseguì: “L’unico modo per stabilire a chi spetti il possesso del tridente è un duello.”

“Un duello?!” chiese Flynn.

“Sì. Domattina, io e voi ci scontreremo con la spada fino alla morte o alla resa. Il vincitore terrà il tridente.”

“Non mi pare il metodo più razionale per prendere una decisione.” protestò Eve.

Flynn la guardò e le disse: “Rifiutare la sfida, equivale alla resa, per cui devo accettare. L’idea del duello è riferita al Giudizio Divino, non c’entra con la ragione al più forte.”

Dulaque aggiunse: “Proporrei che il duello fosse in realtà uno scontro due contro due: io affiancherò il principe e la Guardiana aiuterà il Bibliotecario.”

Flynn fu costretto ad accettare, nonostante non gli piacesse per nulla affrontare in un combattimento all’arma bianca Lancillotto del Lago, che mai aveva perso un duello. Temeva soprattutto per Eve.

“Molto bene, domattina avrà luogo il duello.” annunciò Elatha, dopo che il Bibliotecario confermò che accettava la sfida.

“Perché non subito? Così ci leviamo il pensiero.” chiese Eve, che non aveva voglia di perdere tempo e riteneva un’ipocrisia godere dell’ospitalità di qualcuno che, il giorno dopo, avrebbe potuto ucciderli.

Il principe spiegò: “I duelli possono durare diverse ore e, per questo, è bene cominciarli al mattino; ormai il tramonto è vicino e non mi piace interrompere i combattimenti. Inoltre, la mia amica sta venendo a trovarmi: visto che domani potrei morire, voglio trascorrere qualche ora con lei.”

Così la trattativa venne conclusa ed Elatha congedò i suoi ospiti, invitandoli tutti e tre al banchetto della sera.

Flynn ed Eve tornarono nella loro tenda e la donna domandò: “Che cosa intendeva col termine amica?

“Amante o fidanzata. È un termine che veniva usata nei vecchi testi per indicare una donna con cui si avesse una relazione d’amore, ma non sancita dal matrimonio.”

“Ah, ecco, mi pareva! Perché parla all’antica?”

“Te l’ho detto, i Fomori sono fatti così; anche la decisione di risolvere tutto con un duello è un retaggio medievale. Loro sono una razza estremamente longeva, quindi a livello di cultura e società evolvono più lentamente.”

Flynn ed Eve avevano deciso di restare nella tenda fino all’ora di cena; mancavano un paio d’ore e la donna non aveva un gran piacere a stare in mezzo ai Fomori, insomma aveva visto molte cose strane da quando era in Biblioteca, ma a quelli faticava ad abituarsi.

Durante l’attesa, però, ci fu qualcosa che destò la loro attenzione: un brusio generale, indicò loro che qualcuno era sopraggiunto al campo. Uscirono per dare un’occhiata, supponendo si trattasse dell’amica del principe; vennero informati che era davvero lei la nuova arrivata e, quindi, si stupirono non poco, quando la videro e si resero conto che era un’umana. La meraviglia aumentò a cena, quando ne conobbero il nome: Enya.

“Ma non si chiama così anche la tizia che conosce Stone?” chiese, sottovoce, Eve, dopo le presentazioni, quando iniziarono a mettersi a tavola.

“Omonimia?” ribatté Flynn.

“Non mi risulta sia un nome molto diffuso, non credo che la cantante di musica celtica sia così famosa da rilanciare il suo nome all’anagrafe.”

“Ma la conoscente di Stone è italiana, probabilmente si chiama Ennia e lui lo pronuncia male; tu l’hai visto scritto il suo nome?”

“No, ma ricordo il cognome, provo a fare una ricerca su google, ho campo per fortuna.”

Eve digitò il nome della ragazza su google e trovò alcuni articoli scritti da lei o relativi ad alcune delle sue ultime attività museali od archeologiche. Trovare una foto non fu difficile e la mostrò a Flynn, dicendogli: “È lei. Come fa ad essere qua?”

Il Bibliotecario sussurrò: “Allora, abbiamo un’archeologa che non batte ciglio davanti alla progenie di Tuchulcha ed è in intimità con un principe fomoriano. Dovremo cercare di saperne di più … ma non ora; adesso basta parlare di lei, potremmo infastidire il nostro ospite.”

“ … che comunque domani tenterà di ucciderci.”

“Osserviamo, piuttosto, le sue interazione con Dulaque, sono curioso di scoprire se sono in buoni rapporti, oppure no.”

Finalmente si misero a sedere; la tavola era come quella del pranzo, bassa e lunghissima; al centro era seduto il principe, alla sua destra c’era Dulaque, a sinistra Enya, mentre di fronte sedeva Flynn con accanto Eve.

“Sono molto contenta e onorata di incontrare il Bibliotecario.” disse Enya, mentre veniva servito l’antipasto “Immaginavo che prima o poi lo avrei incontrato, ma non credevo così presto.”

“Come mai riteneva che ci saremmo incontrati, prima o poi?” domandò Flynn.

“Gli ambienti che frequento, i miei interessi … sono certa che prima o poi mi arriverà almeno un’ammonizione da parte della Biblioteca.”

“Di cosa si occupa?” chiese Dulaque.

“Principalmente della ricerca della Verità.”

“E dove la cerca?”

“Oltre i veli che la proteggono.”

“Allora dovrà spesso scontrarsi con la Biblioteca” insisté Dulaque “Il loro mestiere è quello di nascondere.”

“Proteggere!” specificò Flynn, veemente.

“Se facessi la tessera, mi lascereste prendere libri in prestito?” chiese, ironico, l’uomo.

“Basta.” intervenne il principe “Non voglio litigi alla mia tavola. Siete tutti miei ospiti e voglio che ciascuno sia felice, non posso tollerare alcuna offesa da parte di chicchessia.”

Gli animi si calmarono, almeno apparentemente, e continuarono a cenare, parlando poco; gran parte della conversazione era tra Elatha ed Enya, con argomenti su cui ogni tanto intervenivano sia il Bibliotecario che il suo nemico. Mentre attendevano la seconda portata, frittura di pesce, Dulaque chiese al principe: “Altezza, avete senza dubbio un’ottima amica, mi stupisce la sua conoscenza, ditemi, come l’avete conosciuta?”

“È passato molto tempo; un’estate lei passava molto tempo in riva al mare, io l’ho notata, l’ho avvicinata, abbiamo iniziato a parlare e il resto è venuto da sé.”

Dulaque parve deluso da quella risposta, probabilmente aveva sperato di carpire qualche informazione sulla donna, con quella domanda.

La conversazione generale continuò, spaziando da una tematica all’altra, finché Enya non fissò Flynn e gli disse: “Ho una curiosità che mi attanaglia da diverso tempo, spero possa e voglia rispondermi, che rapporti ci sono stati tra la Biblioteca e i Templari? Intendo dire che il loro tesoro non era solo in denaro, ma avevano anche diversi artefatti, quindi mi sono sempre domandata se fossero in competizione con la Biblioteca, oppure se collaborassero.”

“Fu una questione delicata, di cui non mi è permesso parlare.” rispose Flynn.

Templari … il pensiero del Bibliotecario rimase fermo alcuni istanti su quell’ordine, sul loro modo d’agire, sul fatto di essere stati dei banchieri con filiali diffuse per tutta Europa, per i preziosi gioielli e manufatti che venivano loro dati in custodia …

“Eureka!” esclamò  Flynn, il suo sguardo brillò di contentezza e si rivolse al principe: “Vostra Altezza, mi permettete di riaprire la discussione circa il vostro tridente di Poseidone? Avrei una proposta da sottoporvi.”

“Sentiamo.” acconsentì Elatha.

Dulaque fu turbato, ma per il momento non protestò.

“Voi avete detto che il tridente vi serve come simbolo per ostentare il vostro potere e la vostra storia. Suppongo, dunque, che lo farete sfilare e lo mostrerete durante alcuni eventi e festività, ma che per la maggior parte del tempo lo terrete chiuso da qualche parte. Dico giusto?”

“Finora sì, proseguite.”

“Che cosa ne pensate di depositare il tridente in Biblioteca, affinché sia al sicuro, quando non lo usate per le celebrazioni? Voglio dire: quando vi servirà lo potrete prendere liberamente, per il resto del tempo sarà protetto in Biblioteca.”

“Mi sembra un compromesso accettabile.” ragionò Elatha.

Dulaque, risentito, decise di intervenire: “Protetto non mi sembra sia un aggettivo adeguato, dal momento che il tridente è già stato rubato una volta.”

“Vero.” ammise Flyn “Ma quando è accaduto eravamo solamente in due a gestire la Biblioteca, adesso il personale è cresciuto e siamo in sette, quindi anche la sicurezza è migliorata.”

Dulaque stava per dire qualcosa, ma Enya fu più veloce: “Mi pare una splendida idea.”

Elatha convenne: “Sì, penso sia una soluzione migliore rispetto a quella del duello. Perfetto, dopo cena, io e voi, signor Bibliotecario, andremo nella mia tenda a scrivere l’accordo e firmarlo. Poi festeggeremo tutti assieme.” fece cenno a uno dei suoi servitori e gli disse: “Avverti i musici che questa sera si farà baldoria e balleremo fino a tardi!”

Così avvenne, finirono di cenare e poi, mentre i servitori sparecchiavano, toglievano i tavoli e preparavano lo spazio per le danze, Flynn e il principe si ritirarono per redigere e ratificare il proprio accordo. Eve aspettava fuori dalla tenda. Enya, invece, si era un poco allontanata, aveva bisogno di fare due passi dopo una così ricca cena. Mentre passeggiava, un po’ distante dal campo, vide un’ombra venire verso di lei, prima che potesse capire che cosa stesse accadendo, la donna si ritrovò spinta con la schiena contro il tronco dell’albero, un istante dopo, Dulaque la teneva bloccata e le puntava il suo spadino alla gola.

“Dimmi chi sei.” le ordinò con estrema calma.

“Mi conosce già.”

“Voglio maggiori spiegazioni, rispetto a quello che ci hai detto di te a cena. Se non lo farai, ti considererò una nemica e ti ucciderò.”

“Come pensi che reagirebbe Elatha?” lo sfidò la donna.

“Se ne farà una ragione: un essere longevo come un Fomoro sa che non può affezionarsi troppo agli umani … Ammesso che tu sia umana.” l’uomo manteneva la flemma “Perché hai aiutato il Bibliotecario, parlando dei Templari?”

“Non l’ho aiutato, l’idea l’ha avuta da solo.”

“Non ci avrebbe pensato, se non fosse stato per il tuo riferimento!”

“Lo sta sottovalutando, io credo.”

“Dimmi chi sei. Sembri avere estrema dimestichezza con il sovrannaturale, com’è possibile per un’umana? E, se non sei umana, perché non ti conosco già?”

Enya lo fissò qualche istante, indecisa: avrebbe voluto ricorre alla magia per liberarsi ma questo non avrebbe certo persuaso l’uomo a desistere dallo scoprire chi era, anzi lo avrebbe fatto infuriare e reso più determinato. Dunque decise di rispondere: “Già mi conosce. Avevo quindici anni, l’ultima volta che ci siamo visti, poco prima che io mi recassi ad Avalon con mia madre e mia nonna, ove vissi per quattro anni. Tu ben sai come siano differenti gli anni là, rispetto a qua. A diciannove anni mi hanno rimandata sulla Terra, perché non lo so neppure io, volevano che facessi esperienza per conto mio e così sono trascorsi altri cinque anni per me.”

Dulaque si accigliò, pensieroso, e domandò di nuovo: “Chi sei …?”

“Non mi riconosci, ancora? Hai ridotto in fin di vita mio padre, che era uno dei tuoi più cari amici e non solo. Era lui il migliore dei cavalieri, finché non sei giunto tu, con i tuoi famigliari. La tua fama ha offuscato la sua, ma il duello che poi lo ha portato alla morte, ha certo dimostrato che era lui il migliore dei due. Avete combattuto un giorno intero e non sei riuscito a sconfiggerlo; le ferite che riportò gli causarono la morte, poiché non vi era un medico che potesse curarlo e lui volle comunque mettersi in marcia. Il vostro non fu un pareggio, ma una vittoria per mio padre, se si considera che tu avevi cinquant’anni e lui settanta.”

Enya!” esclamò in un sussurrò Dulaque, sorpreso; rinfoderò la spada e disse: “Ero convinto fossi morta da tantissimo tempo! Perché tua madre e tua nonna non mi hanno mai detto che eri con loro?”

“Solo loro lo sanno. Io sapevo che eri vivo e quello che  stavi facendo; quando sono ornata sulla Terra, loro mi hanno proibito di cercarti.”

Dulaque scosse il capo, poi disse amareggiato: “Mi dispiace per tuo padre, aveva perfettamente ragione ad essere furioso con me.”

Enya si addolcì un poco: “Già, ma se invece di intestardirsi a volerti uccidere, avesse accettato le altre ammende che gli avevi proposto, forse tutta la storia avrebbe potuto andare diversamente.”

“Recentemente ho cercato di tornare ai vecchi tempi e cambiare le mie azioni, ma il Bibliotecario me l’ha impedito.”

“Torniamo dai Fomori, siamo via da troppo tempo.”

Enya si incamminò rapidamente verso l’accampamento, senza curarsi del fatto che Dulaque avrebbe preferito continuare la conversazione.

I musicisti stavano già suonando delle allegre melodie molto ritmate e molti Fomori ballavano di già; anche Flynn ed Eve stavano danzando. Ethala si avvicinò alla propria amica, appena la vide tornare, le porse la mano e cominciarono a ballare a propria volta.

Tutta la nottata, dunque, trascorse con grande gioia e festa.

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Capitolo 8
*** Teschio di cristallo ***


Flynn ed Eve rientrarono in Biblioteca, recando seco il tridente di Poseidone. Prima di riferire quanto accaduto, chiesero a Stone e Jenkins di raccontare dell’esito della loro missione. Jacob raccontò tutto, omettendo solo il dettaglio dell’incantamento della spada.

Flynn ascoltò con attenzione, poi raccontò come si era svolto l’incontro col principe fomoro.

Stone rimase alquanto perplesso nell’apprendere della presenza dell’archeologa a quel raduno; Jenkins, invece, si concentrò su un altro dettaglio e fece molte domande sull’atteggiamento che Enya avesse avuto nei confronti di Dulaque. Flynn gli comunicò le proprie impressioni e disse che secondo lui c’era stato un cambiamento tra la cena e la festa, ma purtroppo non era in grado di dare maggiori dettagli.

In Biblioteca continuarono i preparativi per il Conclave, per lo più questioni organizzative, burocratiche e relative alle culture delle varie entità invitate. I tre giovani non erano particolarmente entusiasti, ma Flynn continuava a dire loro che quella era un’ottima occasione per imparare gli usi e i comportamenti da tenere con le creature sovrannaturali.

Un giorno, però, il Libro dei Ritagli cominciò a tremare e subito Cassandra, Stone ed Ezekiel si precipitarono a guardare di cosa si trattasse.

Cassandra iniziò a leggere: “India. Fa parlare sempre più di sé Sri Arthagocha Muni, bramino originario del Bhagalpur, che recentemente è stato scopritore di un antico tempio scavato nella roccia, nei pressi di Elephanta, località già nota per i suoi templi nelle grotte. La particolarità del tempio ritrovato e riportato in uso dal santone è che si tratta dell’unico santuario dedicato al dio Brahma di cui si abbia notizia, se si esclude quello eretto a Pushkar, nel Rajasthan. Questa volta, però, non è l’arte che porta Sri Arthagocha sotto i riflettori, bensì le sue capacità oracolari. Pare, infatti, che da quando il bramino officia i suoi riti nel tempio da lui scoperto, abbia sviluppato il dono della chiaroveggenza e sia in grado di conoscere passato, presente e futuro di chiunque gli si trovi davanti. Questa dote, vera o falsa che sia, ha dato ulteriore prestigio al tempio e allo stesso Arthagocha, presso il quale ogni giorno si recano ormai centinaia di devoti per chiedere consiglio.

“Un antico tempio scoperto da poco, arte indiana …” iniziò a vagheggiare Stone “Io andrei volentieri.”

“No!” intervenne Ezekiel “Tu sei già stato in missione, ora tocca a me andare a divertirmi, mentre tu resterai qui con la burocrazia.”

“Forse dovremmo prima chiederci di cosa si tratta e poi in base a questo decidere chi andrà.” propose Cassandra “Dovremmo avvertire Flynn e chiedere il suo parere.”

I tre presero il libro e raggiunsero gli altri che si trovavano nella biblioteca principale e rilessero l’articolo anche a loro.

“Ah.” commentò Jenkins.

“Non ricominciare con gli Ah indecifrabili.” lo ammonì Eve “O ci dice quello che sa, oppure sta zitto.”

“Secondo voi cosa può essere?” domandò Flynn, volendo mettere alla prova i giovani bibliotecari.

“Un talismano che permette di leggere nella testa delle persone e scoprire i loro segreti?” ipotizzò Ezekiel.

“Fuochino.” disse Flynn “Ma questo non permetterebbe di conoscere il futuro. Altri?”

“Qualcosa che permette di aprire un varco nel tempo, permettendo di scrutare attraverso gli anni?” avanzò Cassandra.

“Interessante, potente, ma no. Acqua, decisamente acqua.” commentò il Bibliotecario.

“Non la tiri per le lunghe: non ci arriveranno mai.” tagliò corto Jenkins “Inoltre, noi sappiamo di cosa si tratta con esattezza, solo perché è un’informazione contenuta nei registri della Biblioteca, altrimenti ci vorrebbero delle indagini per capire di cosa si tratti.”

“Cosa, dunque?” chiese Baird.

“Un teschio di cristallo.” rispose Flynn.

“Uno dei tredici che, secondo gli pseudomaya, salveranno il mondo, se riuniti assieme?!” esclamò Stone, parecchio scettico ed ironico.

“Sette, non tredici.” precisò Jenkins “E quella è solo una fandonia.”

“Lo so, per questo ho detto pseudo maya. I teschi di cristallo sono di fattura europea e risalgono all’Ottocento, almeno quelli che è stato possibile analizzare.”

“Quelle sono riproduzioni ricreate dai Bibliotecari per sostituirle con gli originali che, invece, abbiamo noi.” disse Flynn.

“Quindi esistono davvero dei teschi di cristallo antichi di millenni?!” si entusiasmò Jacob.

“Sì.” continuò il Bibliotecario “Risalgono alla cultura Vallinda, gli abitanti originari dell’India, invasi, sottomessi e poi assimilati dagli Arya. La prima fase religiosa dell’India, nota agli accademici, è quella relativa al Vedismo che, successivamente, subendo forti influenze valle tradizioni Vallinde, si è trasformato nell’attuale induismo. Ora, in Biblioteca, noi abbiamo molte informazioni sui Vallindi, sappiamo che il concetto dei sette chackra risale a loro.”

Chackra, come in Naruto, figo!” esclamò Ezekiel.

“No, non c’entra nulla.” Jenkins scosse il capo con disappunto “Ogni persona è collegata sia alle energie terrene che a quelle spirituali, è attraversata da una sorta di filo energetico che ci tiene ancorati al mondo e ci proietta nell’iperuranio. Questo flusso è composto, per così dire, da sette blocchi, chiamati appunto chackra, corrispondenti ad altrettante parti del corpo, connessi con funzioni inizialmente fisiche e poi, via, via, sempre più astratte. Tramite meditazioni, esercizi ed altro, questo flusso può essere più o meno potente e permette di sviluppare numerose capacità e qualità. Si può sviluppare anche un solo chackra, ma il percorso ideale, secondo le tradizioni indiane, è quello di evolverli tutti quanti in ordine progressivo. Per questo usano spesso l’immagine della Kundalini: un serpente addormentato alla base della spina dorsale che deve essere svegliato e risalire lungo i sette chackra.”

“Che cosa c’entra con i teschi?” chiese Ezekiel.

Flynn spiegò: “I teschi di cristallo servono per potenziare i chackra; sono sette e ognuno corrisponde ad un preciso centro energetico. Generalmente, la posizione della Biblioteca circa i teschi è di tenerli separati e in luoghi nascosti e difficilmente raggiungibili. Quando qualcuno trova uno dei teschi, o si sta avvicinando ad esso, noi andiamo a recuperarlo e lo teniamo in Biblioteca fino a ché non gli troviamo  una nuova sistemazione.”

“Perché non tenerli tutti uniti in Biblioteca?” domandò Cassandra.

“I teschi sono come i sette chackra della Terra.” spiegò Jenkins “Dunque la loro presenza sul pianeta è fondamentale per mantenere certi equilibri. Essendo la Biblioteca in uno spazio dimensionale a sé stante, tenere i teschi presso di noi è piuttosto rischioso per l’incolumità della Terra.”

“Quindi sappiamo che si tratta di un teschio di cristallo, perché un Bibliotecario l’aveva nascosto da quelle parti?” chiese conferma Cassandra.

“Precisamente.” annuì Flynn “Dovrebbe essere quello corrispondente al sesto chackra che potenzia le capacità intellettive e logiche.”

“E perché dovrebbe rendere capaci di predire il futuro?” domandò Ezekiel.

“Grandi capacità logiche possono consentire deduzioni che ai più possono apparire come profezie.” spiegò Jenkins “Come Sherlock Holmes che da dettagli apparentemente insignificanti, che nessuno nota, riesce scoprire un’infinità di cose. Il santone di cui parla il Libro dei Ritagli, probabilmente osserva le persone che ha davanti e grazie ai loro abiti, il loro aspetto, i gesti, i toni e molti altri elementi è in grado di trarre conclusioni sia sul passato, sia sul presente, sia sul futuro dell’interlocutore.”

Ezekiel iniziò: “Ok, quindi andiamo ad Elefantcity …”

“Elephanta!” lo corresse Stone.

“Va beh, lì. Dobbiamo andarci, trovare il monaco, rubargli il teschio e riportarlo qua. Ottimo! Direi che il compito spetta a me.”

“No. Sì.” disse Flynn “Andrete tutti e tre.”

I giovani furono entusiasti e si prepararono subito alla partenza.

“Elephanta, isola a trenta chilometri da Mumbay, nome originario Gharapuri; famosa soprattutto per le sue grotte. Due gruppi di caverne scolpiti, il primo composto da cinque antri induisti, prevalentemente shivaiti, l’altro da due grotte buddiste. Ora si aggiunge la misteriosa caverna di Brahma.”

“Stone, basta. Hai memorizzato la guida turistica?” domandò Ezekiel, annoiato.

“Ti sto acculturando! Inoltre, stiamo andando in missione e non ci farà male avere qualche informazione sul luogo in cui ci troviamo.”

Appena arrivati, Jacob aveva iniziato a snocciolare le sue conoscenze.

“A me basta sapere dove si trova il teschio.” ribatté il ladro.

Stone lo fulminò con lo sguardo e poi disse: “Noi adesso andremo a visitare i templi e terremo le orecchie ben aperte: il bramino ha molto prestigio, quindi è probabile che sentiremo parlare di lui, di quello che fa e, così, otterremo informazioni.”

“C’è un piccolo dettaglio che non hai considerato nel tuo piano.” ribatté Ezekiel “Non so tu, ma io non conosco l’indiano, non capirò una parola!”

“Sei un turista, ti circonderanno per convincerti a comprare cose o spendere soldi in un qualche modo, quindi saranno loro a parlarti in inglese.”

Attraversarono un piccolo mercato di frutta, verdura e pesce, in cui la merce era esposta adagiata su lenzuoli, stesi per terra. Le  donne indossavano sari colorati, mentre gli uomini avevano camice a maniche corte a righe o quadrettoni e  il dotee, una sorta di pareo di lino che arrivavava fino alle ginocchia.

arrivarono vicino all’ingresso delle grotte e furono avvicinati da numerosi venditori ambulanti: alcuni avevano statuette in pietra, altri dipinti su stoffa o foglie di palma, altri tamburi di varie dimensioni, i bambini mostravano collanine e cavigliere, le donne pashmine di seta. Erano venditori ben determinati che non si arrendevano al primo no.

Stone non li allontanò, anzi, acquistò un paio di statuette, pagando in dollari per accattivarsi la  benevolenza dei mercanti, poi diede loro appuntamento nello stesso luogo, ma dopo un’ora, perché prima voleva visitare le grotte.

Jacob si entusiasmò nell’ammirare i bassorilievi e le colonne scolpite e scavate nella roccia: un vortice di immagini, di figure di dei, di ninfe, demoni o semplici decori, si intrecciavano e armonizzavano gli uni con gli altri, riempiendo tutto lo spazio, ogni millimetro possibile, in pochi centimetri erano scolpite decine di figure,  come se gli scultori fossero stati vittime dell’horror vacui.

Stone, con grande trasporto, indicava ora Shiva e Parvati, ora il Gangadhara, poi il Nataraja e Visnu, dopo ancora la Trimurti, Ardhanarisvara e tutto il resto.

Ezekiel si guardava attorno disinteressato, poiché si trovava attorno solo roccia e non vi era nulla di prezioso da poter rubare.

Cassandra, invece, seguiva passo, passo Jacob, lo ascoltava con grande interesse e pure gli poneva delle domande.

Alcune statue, oggetto di grande venerazione, avevano ai loro piedi candele ed incensi accesi, offerte di petali o granaglie e alcuni segni gialli o rossi; altre, invece, erano state adornate con ghirlande di fiori dai colori sgargianti.

Dopo la visita, nel cortile del tempio, dove c’era una larga piscina per le abluzioni, Stone e Cassandra si avvicinarono ad un sacerdote che lì benedì e li segnò col tipico puntino tra le sopracciglia e poi li fece girare tre volte attorno ad un albero di mango. Solo in seguito i due giovani scoprirono che quello era un rito propiziatorio a cui solitamente si sottoponevano gli sposi. Nel cortile c’era anche un elefante con la fronte dipinta che, per qualche rupia, benediceva i pellegrini, appoggiando la propria proboscide sulle loro teste.

Stone chiamò un attimo vicino a sé Ezekiel e gli sussurrò qualcosa, poi il  ladro si allontanò. Jacob e Cassandra, invece, tornarono nel punto in cui li aspettavano gli ambulanti. Stone fu nuovamente generoso con loro, comprò anche una pashmina e una cavigliera che regalò alla donna. Poi, vedendo i venditori ben contenti, domandò loro dove potesse trovare qualche indovino. Esattamente come si aspettava, gli ambulanti non lo portarono davanti ad una delle tante chiromanti che si potevano trovare normalmente attorno ai templi, ma lo condussero più lontano, proprio al tempio di Brahama dove risiedeva Sri Arthagocha Muni, davanti al quale non avrebbero mai portato un Occidentale, se non in casi eccezionali, come appunto così tanta generosità. Ci sono templi e sancta sanctorum in cui, appunto, non è concesso agli Occidentali di accedere, di norma.

“Jacob, c’è un dettaglio a cui non hai pensato.” osservò Cassandra, sottovoce, mentre  “Se il bramino può dedurre tutto, capirà allora anche le nostre intenzioni, non credi?”

“Sì, ma le nostre intenzioni sono quelle di vedere il teschio, Ezekiel ha quella di rubarlo e lui, al momento non c’è.”

“Dici che funzionerà? Riusciremo a nascondere chi siamo?”

“Suvvia, il teschio potenzia le capacità intellettuali. Il bramino avrà un quoziente intellettivo nella norma, anche potenziato non potrà superare il nostro. Insomma, io ho un Q.I. di 190, tu probabilmente anche di più!”

“No, io ho un tumore …”

“Sono sicuro che non è solo quello.”

“Comunque l’essere intelligenti non ci rende capaci di fingere e riuscire a sviare le deduzioni del bramino.”

“Ce la caveremo, rilassati.”

Arrivarono finalmente al tempietto, il venditore che li aveva guidati li accompagnò fin dentro, li presentò a Sri Arthagocha Muni, poi li lasciò soli e se ne andò.

“Non siete turisti.” esordì il bramino, parlando in inglese perfetto.

Non abbiamo macchine fotografiche o altre cose da turista – ragionò Cassandra.

“Il vostro scopo era giungere qui, i vostri sforzi tendevano a quest’incontro. Una grande consapevolezza vi permea.”

“Noi siamo studiosi, ricercatori del sapere e degli antichi manufatti che donano potere.” Cassandra parlò così, poiché era convinta che dire la verità, omettendone una parte, fosse più sicuro che mentire “Noi sappiamo del teschio di cristallo che la aiuta a conoscere la realtà. Vogliamo ammirare la fonte di un sapere così vasto!”

Il bramino annuì, poi disse: “Giunsi qui tre anni fa per dedicarmi alla meditazione e così feci giorno dopo giorno, assorto solo alla contemplazione del Brahma. Dopo mesi e mesi mi sono accorto di avere ricevuto il dono di conoscere il passato e il futuro delle persone, nell’attuale incarnazione. Ho ritenuto che questo fosse un dono di Brahama. Qua dentro, non ho mai visto teschi, tantomeno di cristallo, ma se volte cercate pure.”

“Se lo troviamo, potremo tenerlo?” domandò Stone.

“Ad una condizione: dovrete scoprire dov’è senza cercarlo.”

“In che senso?”

“Stando fermi, guardandovi attorno, dovrete capire dov’è nascosto: non potrete girare per il tempio e setacciarlo.”

“D’accordo, va bene.” acconsentì Cassandra, con cipiglio determinato.

“Sei sicura?” le chiese, piano, Jacob.

“Sì. Il teschio è stato nascosto da un Bibliotecario, l’avrà messo in un posto intuibile per un altro Bibliotecario, tramite la logica e il sapere.”

“Hai ragione, ma dobbiamo capire qual è il punto da cui è necessario osservare.”

“Ti viene in mente qualcosa che può essere considerato come asse del mondo, per gli indiani?”

“Certo, il monte Meru!” Stone si guardò attorno, trovò un bassorilievo che rappresentava quel monte “Ecco! È da lì che dobbiamo osservare.”

I due bibliotecari si misero in posizione. Cassandra iniziò a guardare il tempio da quella prospettiva, poi iniziò a ragionare: “Ci sono sette chackra, quello del teschio è il sesto … Stone, ci sono dei numeri sacri o ricorrenti nella tradizione indiana, che tu sappia?”

“Beh, sette sono anche le terre e gli oceani concentrici che si dipanano dal monte Meru.”

“Quindi abbiamo il quattordici.”

“Quattro sono le epoche in cui è divisa la storia ed è anche il numero delle caste e dei Veda. Poi c’è il diciotto che per loro è un numero sacro. Tre sono le divinità principali, a cui si aggiunge o affianca la Dea … che altro? … Ah, dieci sono le principali incarnazioni di Visnu.”

“Questo è un tempio di Brahma, sai dirmi qualcosa su di lui?”

“È il creatore, ha quattro teste, tiene in mano un loto, un vaso d’acqua, i Veda e una sorta di rosario, usa come veicolo un cigno o un’oca ed è sposato con la dea della saggezza che di solito ha in mano un sitar, una specie di benjo.”

“D’accordo …” Cassandra visualizzò una versione geometrica del tempio, nella mente iniziò a tracciare linee, fare calcoli, integrare lo schema con le immagini … esclamò: “È là!” indicò un altorilievo sulla parete ad est.

I due giovani si avvicinarono, Stone osservò l’immagine e commentò: “Certo! Il frullamento dell’oceano di latte, da cui sono emersi grandi artefatti! Era logico che l’avessero messo qui … ma qui dove? Non lo vedo.”

Cassandra toccò una parte dell’altorilievo dov’era rappresentata una tartaruga. Jacob si accostò, lo guardò con maggiore attenzione e disse: “Non è di pietra come gli altri, è successivo … e scommetto che si può rompere facilmente.”

L’uomo assesto un paio di poderosi pugni alla scultura della tartaruga e il guscio si crepò. Con le mani tirò via i frammenti di materiale posticcio e così poté estrarre il teschio di cristallo che era stato nascosto lì dentro.

Stone e Cassandra esultarono, felici, e istintivamente si abbracciarono, per festeggiare.

Il bramino mantenne la parola data e li lasciò andare via con il teschio, senza protestare. Fuori dal tempio trovarono Ezekiel, un po’ contrariato che protestò: “Stone, mi avevi detto di seguirvi a distanza, pronto a rubare il teschio, mentre voi avreste distratto il santone e invece ve lo siete presi da soli! Non si fa così, mi hai tolto tutto il divertimento!”

“Prenditela con il bramino, è lui che ci ha dato il permesso di prelevarlo, senza dover ricorrere al furto!”

Tutti e tre furono comunque soddisfatti e tornarono in Biblioteca felici del rapido e buon esito della missione.

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Capitolo 9
*** Prognometro ***


Uno dei maestri di Eliphas Levi –scrive Dimitri- il polacco Wronski, era sicuro di aver scoperto la legge della creazione, che si risolveva in un’espressione matematica. Era tutto razionale e governato dal linguaggio preciso e assoluto dei numeri. Il polacco era riuscito addirittura a costruire una macchina, il prognometro, in grado di predire il fututo.Jenkins stava leggendo ad alta voce, davanti a Flyn “Prossima fonte: Lavorò su una machciana del moto perpetuo,  sulla quadratura del cerchio e su una macchina in grado di predire il futuro. Altra: Wronski ritrova attraverso il calcolo le leggi dell’armonia universale e la sintesi politica ideale e costruisce una strana macchina di corrispondenze, il prognometro, ereditato da Eliphas Levi. Un testa degli anni Trenta, invece, asserisce che Levi abbia recuperato e restaurato il prognometro e che in quel tempo era entrato in possesso della setta di Papus. Papus, il fondatore dell’Ordine Francese Maritinista, il Primo Presidente del Consiglio Supremo dell’Ordine Martinista! Ho la conferma che è ancora presso di loro.”

“Capisco ma perché ci interessa? Il Libro dei Ritagli ce lo ha segnalato?” domandò  Flynn.

“No. Tuttavia, i seguaci di Papus sono il gruppo di occultisti più attivi di cui abbiamo notizia. Finché la magia non era nel mondo, potevano fare molto poco, nonostante sforzi e rituali, adesso invece rischiano di diventare pericolosi, oltre che probabilmente si alleeranno con Dulaque, se non l’hanno già fatto; dunque bisogna agire.”

“Sì, questo è effettivamente un problema, ma cosa c’entra col prognometro? Dovremmo sgominare loro in generale e non recuperare un marchingegno che prevede cose e, se fa solo questo, mi pare piuttosto innocuo.”

“Potrebbe tornarci utile durante il Conclave, mostrerebbe quali sarebbero le conseguenze delle decisioni prese. La Biblioteca parte sicuramente in svantaggio e, se vogliamo dimostrare di avere ragione, dovremo ricorrere anche a strumenti di questo tipo, il cui operato sia oggettivo e, quindi, insindacabile.”

“Non credo che una macchina costruita da un occultista non accreditato possa avere valore davanti al Conclave, i membri la contesteranno, sicuramente.”

“Io voglio tanto studiarla!” confessò, infine, Jenkins “Le idee di Wronski avevano colto in parte la realtà e, quindi, sono tanto curioso di analizzare il suo prognometro e vedere cosa aveva escogitato e su quali criteri! Per tutti questi anni ho creduto che quella macchina fosse andata distrutta ora, invece, che so che è ancora integra, non vedo l’ora di poterla avere nel mio laboratorio!”

“Stiamo preparando il Conclave, possiamo dedicarci solo a quello che il Libro dei Ritagli ci segnala. Lo sa bene anche lei quanto la situazione sia delicata e che i ragazzi non sono ancora pronti e necessitano di essere istruiti sul protocollo.”

“Insegnare il protocollo a quelli? Rinuncerebbe pure il professor Higgins de Il Pigmaglione.”

Ezekiel forse … ma Cassandra e Stone se la cavano già abbastanza bene.”

“Allora mi accordi due o tre ore di tempo per recuperare il prognometro, non sarà un danno.”

“Due o tre ore?!” si meravigliò Flynn

“Certo, io non tiro per le lunghe le mie questioni. Inoltre, in realtà, anche se lei non accetterà, io andrò comunque.”

“Allora perché me lo chiede?”

“Buona educazione.”

“D’accordo, faccia come vuole, ma si porti dietro Ezekiel.”

“Non ho bisogno del suo aiuto!”

“E io non ho bisogno della sua irrequietezza in giro per la Biblioteca, lo porti con sé.”

“Finalmente ammette che avevo ragione io a lamentarmi dell’invasione della mia sede!”

“Era da un po’ che non te ne lamentavi.” scherzò Flynn.

“Sono rimasto parecchio indietro con la mia ricerca, ma in compenso ho potuto rivivere situazioni che avevo messo da parte molto tempo fa … e non so se sia un bene …”

“Che cosa intende?” si incuriosì il Bibliotecario.

“Ha presente quando le piace fare qualcosa e ricomincia a farla, anche se aveva deciso di smettere?” era diventato malinconico “E allora non sa più se sta agendo secondo giustizia o solo perché sta riassaporando ciò che la fa sentire vivo …” sospirò poi cambiò tono: “Bene, vado ad avvisare il signore Jones e partiamo subito. Tra poche ore saremo di ritorno.”

“D’accordo, buona fortuna!” disse Flynn che era rimasto colpito dal momento di amarezza che aveva colto Jenkins.

Il Bibliotecario volle saperne di più; ritenendo di non poter ottenere quel tipo di informazioni da Judson, decise di tentare la sorte, rivolgendosi a Charlene. Flynn la cercò e poi le raccontò del breve dialogo che aveva appena avuto e le chiese se sapesse a cosa si riferisse Jenkins.

La donna era indecisa: c’erano cose di cui non parlavano né ai Bibliotecari, né ai Guardiani, tuttavia Flynn era con loro da dieci anni e Judson confidava molto in lui e riteneva che sarebbe potuto essere più che un Bibliotecario; forse quindi poteva raccontagli.

No. Judson avrebbe deciso se e quando gli avrebbero raccontato la verità completa.

Charlene, tuttavia, non voleva neppure lasciare Flynn senza una risposta, per cui decise di spiegargli parzialmente: “Jenkins è nella Biblioteca da tantissimo tempo, meno di me e Judson, ma comunque moltissimo. Non è sempre stato chiuso in una sede, anzi, all’inizio ha lavorato a lungo sul campo, ha affrontato direttamente il pericolo, tante, tante, tantissime volte.”

Flynn, meravigliato, chiese: “È stato un Bibliotecario?” non ricevette risposta “Un Guardiano?” ancora nulla.

“Sono venuti giorni difficili.” continuò Charlene “Confusione, parti in lotta, il confine tra giusto e sbagliato sfumarono.”

“Un po’ come adesso.”

“Peggio, decisamente. Stragi, rivalità tra fazioni pronte a tutto per prevalere … si era sul punto del collasso, anzi probabilmente qualcosa è collassato. Abbiamo tutti quanti noi perso moltissimo e Jenkins è rimasto parecchio scosso e turbato. Ha deciso di farsi da parte, di abbandonare la prima linea … è stato il suo modo di affrontare, superare o negare il trauma, non so questo lo dovrebbe dire uno psicologo. Il vostro arrivo nella sua sede ha certamente ridestato in lui ricordi dolorosi, da cui ha cercato di proteggersi con il suo atteggiamento. L’essere coinvolto nelle indagini condotte dal colonnello Baird e delle nuove leve, deve alla fine aver fatto riemergere il suo spirito avventuroso di un tempo, con il quale, tuttavia, si sente ancora in conflitto. Gli piace avere a che fare col soprannaturale ma, allo stesso tempo, conosce anche il prezzo di queste situazioni.”

“La responsabilità della Biblioteca!” commentò Flynn, annuendo “Lo posso ben capire.”

“Ti sembrerà incredibile, ma ha visto cose peggiori di quelle che hai visto tu. Io e Judson abbiamo reagito in un modo, abbiamo perseverato, lui invece è crollato.”

“Non mi sembra depresso o qualcosa del genere.”

“Ha avuto tempo per metabolizzare in parte il trauma, per costruirsi un suo nuovo sé in cui rifugiarsi, ma è ben lontano da com’era ai tempi d’oro.”

“Si evolve, nel corso della vita, tutti cambiamo.” osservò Flynn.

“Maturare è una cosa, fuggire è un’altra.” Charlene si alzò in piedi “Vado a verificare se il catering ha accettato di abbassare il prezzo.”

La donna se ne andò e lasciò Flynn solo a riflettere.

Jenkins, intanto, aveva comunicato ad Ezekiel che avrebbero affrontato una missione assieme.

“Non so se essere più stupito per il fatto che lei esca dalla sede o perché vuole che l’accompagni.” commentò il ladro.

“Le garantisco che quest’ultima scelta non è mia. Ad ogni modo, c’è da compiere un furto e, quindi, le sue qualità nel rubare saranno utili.”

“Uh, un furto! Mi piace. Ho bisogno della planimetria del palazzo e di informazioni sul servizio di sicurezza. Oppure entriamo direttamente con la porta sul retro? A proposito, che cosa dobbiamo prendere? Oro? Oro maledetto? A me sta bene comunque; secondo Flynn, pure i gioielli del faraone erano maledetti, ma finora non ho avuto problemi.”

“Recupereremo un’apparecchiatura. Ci introdurremo nella villa passando per l’ingresso principale, mescolandoci tra gli invitati della festa.”

“Che festa?”

“L’annuale raduno mondiale dei seguaci di Papus; si ritrovano nella villa che funge da casa-madre per le varie frange sparse per il mondo. Useremo la mia conoscenza dell’occulto per circolare senza difficoltà, le tue capacità per il furto.”

“Perché non apriamo direttamente la  porta sul retro nella stanza che ci interessa?”

“Perché non ho idea di in quale area della casa si trovi, inoltre potrebbero esserci dei sistemi dall’allarme a infrarossi o altri sensori da disattivare.”

“Mi sorprendi! Ma perché andiamo durante una festa? La sicurezza non sarà maggiore?”

“No, saranno tutti distratti a conversare tra di loro e poi due estranei che si aggirano per la villa daranno meno nell’occhio durante un raduno con gente proveniente da tutto il mondo, piuttosto che in una serata normale.”

Il ladro annuì e sorrise: “Bravo, hai risposto correttamente. Sai che potresti essere un ottimo criminale!?!”

“Andiamo.” tagliò corto Jekins, trucemente.

I due andarono alla porta sul retro e la varcarono. Si ritrovarono nella campagna francese, periferia di Parigi, in piena sera. Poco lontano, scorgevano un cancello che recintava il giardino di una villetta costruita a fine Ottocento, davanti ad esso erano fermi in piedi due uomini, probabilmente buttafuori.

“Sicuro che non occorra essere in una lista?” chiese Ezekiel, dubbioso, mentre si avvicinavano.

“Certo. Amano la segretezza e non vogliono tenere registri coi nomi. Lasci parlare me.”

 Jenkins precedette di un paio di passi il ladro, si avvicinò agli uomini al cancello e disse: “Fratelli! Tutto vostro nella santa verità!”

“Sapete che ore sono?” domandò uno dei due custodi.

“È mezzogiorno.” rispose Jenkins, serenamente, mentre Ezekiel si meravigliava, dato che c’era buio.

“Il Sole è un grande amico, senza di esso nulla esisterebbe.” continuò la guardia.

“Il Sole ha i suoi difetti, non possiamo vederlo direttamente; per fortuna c’è la Luna che riflette la sua luce e la mitiga per i nostri occhi.”

“La Luna ha anche un lato oscuro.”

“Sì, il diavolo per gli stolti. Chi può chiedere consulto alla Papessa, tuttavia, non corre rischio di perdersi.”

“Una Papessa? E dove la trovi? Non esiste!”

“È già passato il tredici di questo mese.”

“E che hai fatto quel giorno?”

“Sono sceso in cantina e ho trovato una stella fiammeggiante.”

“Una stella in cantina? Sei matto?”

“Certamente. Sono più che matto, sono re, con corona e regno.”

“Tanto mi basta, potete passare.”

La seconda guardia aprì il cancello e Jenkins e Ezekiel lo varcarono. Mentre percorrevano il breve vialetto che conduceva all’ingresso, il giovane chiese sottovoce: “Che cosa vi siete detti? Non aveva senso!”

“Linguaggio in codice, basato sugli arcani maggiori, la cabala e alcune altre credenze comuni alle correnti esoteriche europee.”

“Tu conosci il loro linguaggio in codice?”

“Ora sì, non è complesso, chiunque con una minima base potrebbe padroneggiarlo. Ora, quando siamo dentro, occhi aperti per capire dove sia il loro caveau.”

“Scommetto che sono tradizionalisti: scommetto quello che vuole che le cose preziose le tengono nel seminterrato.”

I due entrarono nella villa, si mescolarono tra la folla, parlarono con alcuni Francesi che abitualmente si ritrovavano lì; quest’ultimi mostrarono loro la sala delle riunioni, le altre stanze legate alle attività dell’ordine e i corridoi lungo i quali si potevano ammirare collezioni di quadri, vasi e armi; raccontarono delle loro pratiche, dei recenti successi e altre questioni. C’erano moltissime persone e, per fortuna, la circolazione per le stanze era libera.

Ezekiel si convinse di aver avuto ragione fin da subito: le cose preziose erano nel seminterrato; aveva già svaligiato ville simili e lo schema era sempre il medesimo.

I due uomini, allora, cercarono la porta che conducesse alla cantina e la trovarono dopo alcuni minuti; attesero di essere sicuri di non essere visti da alcuno, cosa piuttosto difficile in quella situazione, l’aprirono e scesero la scala. Dopo l’ultimo gradino, si trovava una porta blindata e accessibile solo con un codice e una tessera, senza serratura.

“Riesce ad aprirla?” domandò Jenkins.

“Posso scassinare qualsiasi cosa.” si vantò Ezekiel “E la cosa è ancora più semplice, quando riesco ad avere questa!” mostrò una tessera magnetica, inserita in una custodia di plastica trasparente.

“Dove l’ha presa?”

“Prima, mentre lei parlava col tizio, Luis, gli ho sfilato il portafoglio e ho preso quello che mi sembrava utile, prima di rimetterglielo in tasca.”

“Ben fatto, ma per il codice?”

“Il nostro amico Luis deve avere una pessima memoria, ha scritto la password su un foglietto che ha messo nel portatessere.”

Il ladro, tutto contento, aprì la porta. Si trovarono subito in una stanza ove erano contenuti i registri dell’ordine, gli abiti e alcuni oggetti appartenuti ai membri più importanti; c’erano anche alcuni pentacoli, un mazzo di tarocchi e una spada, ma nessuna traccia del prognometro.

“Non capisco.” disse Jenkins, confuso “Deve essere qui, ne sono certo, lo hanno loro! Dove possono averlo messo?”

Ezekiel, intanto, stava percorrendo la stanza, battendo con forza i piedi per terra.

“Potrebbe smetterla?” chiese Jenkins “Il rumore potrebbe richiamare l’attenzione della gente di sopra.”

Shhh!” lo zittì Jones, continuando la sua operazione, per poi dire: “Ecco, qui! Il suono è diverso, dev’esserci una botola.”

Il giovane si chinò, tirò fuori un piccolo coltello e con la punta passò nello spazio tra una mattonella e l’altra, cercando di fare forza e riuscì a smuovere le piastrelle e a rimuoverle, rivelando una botola, larga circa un metro quadro, proprio dove aveva indicato. L’aprì e trovò una cassaforte piuttosto vecchia, con lo sportello rivolto verso l’alto, in questo modo non era necessario tirarla fuori, per poterla aprire. Il ladro si mise subito al lavoro.

Jenkins era piuttosto nervoso; sentì dei passi, per sicurezza afferrò subito la spada che aveva vista esposta, gli sembrava piuttosto antica e avvertì una strana e arcana energia, quando la impugnò. Si appostò dietro alla porta, per poter colpire il sopraggiunto alle spalle, impedendogli di dare l’allarme.

Sentì i passi più  vicini, sentì i suoni della chiusura elettronica che riconosceva come corretti tessera e codice, sentì la porta aprirsi.

Il suo stupore fu immenso quando si rese conto che era appena entrato Dulaque.

“Tu, cosa ci fai qui!?!” esclamò Jenkins, per poi pentirsi di aver parlato a voce un po’ troppo alta.

Dulaque stesso fu sorpreso per quella coincidenza e disse: “Bibliotecari? Questo posto è più affollato di quel che mi aspettassi.”

Ezekiel aveva alzato un attimo lo sguardo, poi con noncuranza aveva ripreso il proprio lavoro.

“Cosa sei venuto a fare?” chiese di nuovo Jenkins.

Dulaque posò lo sguardo sulla spada che teneva l’altro e poi spostò gli occhi e disse: “Forse per il vostro stesso motivo.”

“Non avrai il prognometro.”

“Questo è da vedere.”

“Forse non sarà di nessuno!” esclamò Ezekiel, sbuffando “Questa cassaforte è vecchia almeno di un secolo, ma ha una chiusura meccanica molto complicata.”

“Aspetterò.” disse Dulaque, con noncuranza.

Jenkins stava per ribattere, ma entrambi gli uomini vicino alla porta si accorsero che c’era del rumore sopra la scala. Si resero conto di non aver richiuso l’uscio e che diversi uomini si erano accorti della loro intrusione e ora stavano scendendo.

Jenkins strinse ancora la spada che aveva trovato, Dulaque sfoderò quella che aveva nascosta nel bastone.

Entrarono, come in carica, mezza dozzina di uomini, armati di coltellacci lunghi, probabilmente presi tra quelli esposti al piano di sopra.

I due intrusi non si spaventarono, non arretrarono di un passo e subito accettarono la battaglia. Erano guerrieri provetti e, dunque, non ebbero difficoltà nel far fronte a quella situazione. Jenkins, dopo il primo assalto, si premurò di chiudere la porta, onde evitare l’arrivo di rinforzi.

Dopo pochi minuti, rimanevano in piedi solo tre avversari: due contro Dulaque, uno contro Jenkins. Nel mentre, Ezekiel continuava a scassinare la cassaforte. Jenkins riuscì a sconfiggere il proprio contendente; stava per andare ad affrontarne un altro quando sentì un’improvvisa scarica elettrica attraversarlo e cade a terra privo di sensi. Uno degli uomini della setta che era stato ferito poco prima, si era appena ripreso e aveva deciso di ricorrere ad un anello fulminante che possedeva. Dopo aver colpito Jenkins con la scarica elettrica, l’uomo si alzò in piedi ed estrasse una pistola di piccolo calibro che aveva con sé: non l’aveva tirata fuori fin da subito, credendo che in sei sarebbero riusciti a sopraffare due o tre uomini.

Dulaque spaccò il cuore di uno dei suoi avversari ed ebbe il tempo di vedere l’uomo che estraeva la pistola e la puntava contro allo stordito.

Nooooo!” gridò Dulaque.

Lasciò perdere l’altro avversario che stava affrontando e si precipitò contro l’armato di pistola; fece un affondo e la sua spada attraverso da parte a parte il nemico che morì prima di poter premere il grilletto. Dulaque sfoderò l’arma, si voltò e uccise l’ultimo rimasto, che si stava avventando verso di lui. Essendo concluso il combattimento, Dulaque si avvicinò all’inerme Jenkins e controllò il suo battito, constatato che stava bene, si allontanò di poco; si avvicinò al cadavere dell’uomo con la pistola e, notato l’anello, glielo sottrasse; poi si rivolse al ladro: “Allora, Bibliotecario, hai aperto la cassaforte?”

“Ci sono quasi ma, dato come stanno le cose, forse farei meglio a lasciarla chiusa.” commentò Ezekiel, iniziando a temere per la propria vita.

“Sai che ti dico?! Tenetevi pure il prognometro. Lo volevo per dare prestigio alla mia collezione, ma non mi serve, tenetelo pure in Biblioteca.”

Il ladro si stupì, non riusciva a capire: era la seconda cosa strana che vedeva fare a Dulaque nell’arco di pochi minuti. Sentì, tuttavia, di essere riuscito a far scattare la serratura, quindi si concentrò su quell’ultimo sforzo. Lo sportello si aprì, Ezekiel fu contento, sollevò di nuovo lo sguardo e Dulaque era sparito ed era scomparsa anche la spada che aveva utilizzato Jenkins per difendersi.

Il ladro estrasse il prognometro dalla cassaforte, lo osservò dubbioso: aveva l’aspetto di una sfera armillare, incrociata con un astrolabio e qualche altro arnese.

Ezekiel si avvicinò poi a Jenkins e lo scosse, per svegliarlo; per fortuna ci riuscì dopo poco.

“Cos’è successo? Dov’è il prognometro? Dov’è Dulaque?!” si preoccupò l’uomo, appena sveglio, ancora seduto a terra.

“Si calmi: il cosometro ce l’ho io, mentre Dulaque è andato, sparito, non so che abbia fatto.”

“Come sparito?” Jenkins era perplesso “Non ha preteso il prognometro?”

“No. Ti ha salvato la vita e poi se n’è andato.”

“Come mi ha salvato la vita?”

“Il tizio, lì.” Ezekiel indicò il cadavere “Come vedi aveva una pistola. Dulaque gli è corso addosso e l’ha ammazzato, arrabbiatissimo, senza preoccuparsi dell’altro tale che ce l’aveva con lui. Strano. Perché ti ha salvato?”

“La spada.”

“Cosa?”

“La spada, dov’è?!”

“Non lo so …” il ladro era alquanto sconcertato.

Jenkis digrignò i denti, poi batté il pugno per terra ed esclamò: “Accidenti! Non era qui per il prognometro, voleva la spada! Dovevo capirlo.”

“Perché, che spada è?”

“Non ne sono sicuro, devo controllare in Biblioteca. Andiamocene, non abbiamo altro da fare.”

“E come andiamo?” domandò Ezekiel “Di sopra ci saranno un po’ di tizi infuriati.”

“Sì, ma noi abbiamo una porta. La farò aprire alla Biblioteca.”

I due tornarono dunque alla sede, Jenkins depositò il prognometro nel proprio laboratorio e poi si precipitò a cercare un libro da consultare.

Ezekiel, invece, se ne andò da Stone e Cassandra che gli chiesero come fossero andate le cose e lui raccontò con gran piacere.

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Capitolo 10
*** Telefoni ***


“Jones pare sotto shock.” Eve comunicò a Flynn, il quale stava passeggiando sul fondo della Biblioteca, osservando alcuni dei manufatti e riflettendo.

“Sotto shock? Non è da lui … Che cosa ha visto?”

“Sostiene che, mentre era in giro con Jenkins, sia spuntato fuori Dulaque, che siano stati aggrediti e che Dulaque abbia salvato Jenkins.”

“Strano, ma mi pare sia un po’ esagerato dire che sia sotto shock.”

“Ma che cosa ci faceva Dulaque da quelle parti? Dovremmo sentire la versione di Jenkins, dov’è?”

“L’ho visto cinque scaffali più a sinistra, dove teniamo i volumi sulle armi.”

Flynn ed Eve andarono a cercare Jenkins, ma non lo trovarono tra gli scaffali, bensì lo scorsero poco distante, dove c’erano alcuni tavolini e poltroncine per poter leggere i libri comodamente. L’uomo era lì, sguardo tetro fiso su una pagina, bicchiere di cognac stretto tra le mani.

Dev’essere accaduto qualcosa di grave.” osservò Eve, sottovoce, prima di raggiungerlo “Di solito beve il tè; l’ho visto con dell’alcol solamente quando abbiamo avuto a che fare con la fata Morgana.”

Si avvicinarono e Flynn iniziò: “Allora, com’è andata, ha preso il prognometro?”

“Sì.” Jenkins non distolse lo sguardo dal libro.

“Non sembra contento.”

“C’era altro nel loro caveau, qualcosa che non mi aspettavo di trovare presso di loro … e purtroppo se n’è impadronito Dulaque.”

“Di cosa si tratta?!”

“Una spada magica, probabilmente la Caladbolg.”

“Che?!” domandò Eve.

“Mitologia irlandese, ciclo di Ulster.” spiegò Flynn “È appartenuta ad un paio di guerrieri di nome Fergus.”

“È molto pericolosa?” chiese la donna.

“La leggenda dice che possa tagliare le cime delle colline.” spiegò il Bibliotecario.

“La spada è impregnata di magia, ma bisogna essere in grado di attingere al potere.” specificò Jenkins.

“Perché gli hai permesso di prenderla, allora?!” domandò Eve.

“Non gliel’ho permesso, sono svenuto e quando mi sono risvegliato non c’erano più né Dulaque, né la spada.”

“E perché ha lasciato vivi te e Jones?” chiese ancora la donna “Ha detto di avere ucciso tantissimi bibliotecari, voleva ammazzarci a Natale, perché se n’è andato senza toccarvi?”

“Non lo so. Forse per lo stesso motivo per il quale ha ucciso Lamia e non uno di noi per aprire il passaggio verso il telaio del Fato.”

“Jones dice anche che Dulaque l’ha salvata, ha idea del perché?” incalzò Eve.

“No. È successo, se è successo, mentre ero svenuto. Probabilmente è stato un caso, stavamo combattendo assieme contro gli stessi nemici. Io mi preoccuperei soprattutto del perché abbia preso Caladbolg.”

“È sicuro fosse proprio quella spada?” chiese Flynn, con preoccupazione.

“Dimensioni e fabbricazione corrispondono; ora sto confrontando le incisioni che mi ricordo con quelle di cui parlano le fonti e sì, direi che è proprio Caladbolg. Non capisco perché vorrebbe una spada magica, quando potrebbe farsene fare da Viviana a volontà; devo verificare se ha qualche uso secondario.”

“Forse la vuole restituire al Regno di Ferro.” ipotizzò il Bibliotecario “Al finto Conclave si è presentato Cuchlann, se non sbaglio è discendente diretto dell’eroe Chulainn che ne era il proprietario.” rifletté “Prima restituisce il tridente ai Fomori, poi fa la stessa cosa con la spada. Nel migliore dei casi è una captatio benevolentiae per essere più influente al Conclave.”

“Scusate.” intervenne Eve “Chi è questa Viviana in grado di creare spade magiche? La Biblioteca non dovrebbe tenerla sorvegliata?”

“Vive ad Avalon fin dai tempi della caduta di Camelot e raramente passa sulla Terra.” spiegò Jenkins “È, come Morgana, una donna che ha appreso la magia e non solo la padroneggia, ma, in un certo senso, si è unita ad essa, modificando la propria natura stessa e diventando una creatura non più del tutto umana. Per questo Morgana è stata chiamata La Fata, sebbene non rientri nella specie delle vere fate. Viviana, invece, era semplicemente chiamata La Dama Del Lago ed è la madre di Lancillotto.”

“Adottiva.” corresse Flynn “Madre adottiva.”

“No. Questo è quello che dicono i testi tardi, scritti secoli dopo i fatti. Re Ban di Beonic conobbe Viviana quando era ancora molto giovane; entusiasta della sua bellezza la volle possedere, ella credeva di essere amata e si concesse a lui che, invece, la abbandonò, dopo averla messa incinta. Il figlio che nacque fu Lancillotto.”

“Ah, ecco perché poi Viviana ha imprigionato Merlino: non sopportava l’idea che un uomo la lasciasse di nuovo.”

“No, signor Carson, le garantisco che Viviana non ha imprigionato Merlino, anche quella fu un’invenzione a posteriori.”

“Va bene, va bene, basta!” li zittì Eve “Non volevo il Gossip di Camelot. Ditemi solo quanto è pericoloso Dulaque con la spada magica.”

“Dipende dall’uso che vuole farne.” disse FlynnJenkins continui a controllare se ci possono essere usi secondari di Caladbolg. Io vado a cercare i ragazzi, sa, con tutto questo parlare di spade, mi è venuta voglia di andare ad insegnare le basi ai giovani. Se scopre qualcosa, ci informi subito!”

Mentre raggiungevano la sala principale, Eve chiese a Flynn: “Non ti sembra strano che Jenkins sappia così tante cose su Camelot?”

“No, lavora nella Biblioteca ed è normale che conosca le vere versioni dei fatti.”

“Se Dulaque è Lancillotto, è possibile che solo lui sia sopravvissuto da quei tempi? E poi l’ho visto mentre parlava con la Fata Morgana, sembrava conoscerla da sempre!”

“Può averla conosciuta quando lui era giovane …”

“Se, invece, provenisse anche lui da quei tempi?”

“Impossibile! … Improbabile … Sono certo che non sia così.”

Eve sospirò e alzò gli occhi al cielo.

Arrivarono alla sala principale ma non trovarono nessuno dei giovani; li cercarono altrove, ma non c’era nessuno. Infine, incrociarono Charlene e le domandarono se sapesse dove si trovassero gli altri.

“Sono andati in missione.” rispose lei.

“In missione?” ripeté Eve.

“Sì, è comparso un nuovo ritaglio e sono partiti.”

“Senza dire niente?!” si irritò Flynn.

“L’han detto a me!” ribatté Charlene “Avevano paura che, con la scusa del Conclave, non li avreste lasciati andare tutti assieme e loro avevano voglia di lavorare in gruppo. Inoltre mi hanno promesso che non avrebbero chiesto rimborsi spese.”

“Va bene, andiamo a vedere di cosa si stanno occupando.” disse Flynn.

Il Bibliotecario e Eve tornarono nella sala principale a dare un’occhiata al Libro dei ritagli; il caso riguardava nove noccioli, comparsi improvvisamente nella zona di Covington, nel Kentucky, la particolarità di questi alberi era che i loro frutti donavano un qualche talento per un giorno a chi li mangiava; pareva, anche, che ogni nocciolo donasse una specifica qualità; la situazione aveva generato dapprima stupore ed entusiasmo nella popolazione, ma poi erano sorte dispute circa il possesso delle piante, i diritti di vendita e altre questioni del genere.

“Che cosa ne pensi?” domandò  Eve.

“Non sembra un caso difficile. Se la caveranno in breve, io credo.”

Trascorse il resto della giornata; gli abitanti della Biblioteca andarono a dormire, il mattino seguente si svegliarono e ognuno si occupò delle proprie faccende; quando si ritrovarono per il pranzo, Charlene domandò che novità ci fossero circa la missione dei giovani.

“Nessuna.” disse Flynn.

“Non hanno telefonato?” si preoccupò Eve “Non hanno chiesto informazioni, consigli, spiegazioni?”

“No.” ribatté il Bibliotecario, tranquillo “Perché dovrebbero?”

“A dire il vero, signore” intervenne Jenkins “Si sono abituati a comunicare spesso con la sede per uno scambio di informazioni frequente. Loro non hanno ancora la nostra dimestichezza con il sovrannaturale e, dunque, spesso necessitano di delucidazioni.”

“Cosa?! Per la mia prima missione mi hanno dato un libro scritto nella lingua degli uccelli e null’altro … e ho dovuto salvare il mondo! Loro, invece, telefonano e gli dai le risposte?! Non è giusto!”

“Lingua degli uccelli … dunque ha dovuto ritrovare la Lancia di Longino?” si informò Jenkins.

“Sì, esatto.”

“Eh, la vecchia Lancia!” Jenkins sospirò, come ricordando qualcosa, poi assunse un tono incuriosito: “In quanto tempo è riuscito a decifrare la lingua degli uccelli?”

“Sette ore e ventisei minuti.” rispose con orgoglio il Bibliotecario.

“Ah. Non male.”

“Non male?!” si meravigliò ed offese Flynn “Scusi, lei in quanto l’ha imparata?”

“Non ricordo con esattezza; comunque, il libro l’ho scritto io.”

“Lei? Credevo fosse antico.”

“Fino all’epoca di Napoleone la Lancia era integra; la lancia è stata divisa e nascosta da un Bibliotecario che, dunque, ha scelto lui dove collocarla. Come poteva credere che il libro fosse antico?”

“Non ci avevo pensato … Ma se il libro l’ha scritto lei, vuol dire che lei sapeva dove fossero i pezzi della lancia … perché diamine non si è fatto vivo?!”

“Compartimentazione. Se io le avessi telefonato, lei ora non saprebbe il linguaggio degli uccelli. Le ricordo, inoltre, signore, che  prima del vostro arrivo, io me ne stavo tranquillo a svolgere la mia ricerca e non mi impicciavo di queste faccende.”

“Scusate!” interruppe Eve “Non vi pare che il punto su cui dovremmo concentrarci è: perché i ragazzi non si sono fatti vivi?”

“Se la staranno cavando bene da soli.” ipotizzò Flynn “I noccioli magici fanno parte della tradizione Irlandese, Cassandra ha dimostrato di conoscere quella mitologia, quindi probabilmente ha a disposizione gli elementi necessari per capire cosa stia accadendo.”

“Mi sentirei più tranquilla, se ce lo dicessero loro stessi.” ribadì Eve “Infatti, adesso telefono e sento come stanno.” prese il cellulare, selezionò un numero e attese; dopo un attimo disse: “Strano, Cassandra ha il telefono spento, provo con Stone.”

Nulla da fare, anche Jacob e Ezekiel avevano i cellulari staccati.

“Saranno in un posto dove non c’è campo.” suppose il Bibliotecario.

Eve decise, comunque, di inviare un messaggio a tutti e tre, invitandoli a richiamarla o scriverle, non appena avessero letto l’sms.

Trascorse il giorno, passò la notte e la mattina seguente ancora non si avevano notizie. Anche Flynn, allora, iniziò a preoccuparsi, nonostante ritenesse potessero esserci diverse spiegazioni non allarmanti per spiegare la mancanza di comunicazioni. Infine, cedette alle esortazioni di Eve e andò con lei a verificare di persona che cosa fosse accaduto ai ragazzi.

Varcarono la porta sul retro e si ritrovarono a Covington; erano nei sobborghi, abbastanza vicino alle zone di campagna. Iniziarono ad aggirarsi per le strade e notarono che gran parte delle persone andavano o venivano dalla stessa direzione; si informarono e scoprirono che il viavai era causato dal pellegrinaggio ai noccioli fatati. Seguirono il flusso di gente e trovarono gli alberi. Decisero di ispezionare la zona, in cerca di indizi o sul fenomeno o sui loro amici, ma un’occhiata generale non fece emergere nulla. Supponendo che i tre giovani avessero fatto domande in giro e sperando che si fossero fatti notare in un qualche modo, Flynn ed Eve cominciarono a chiedere ai presenti se nei giorni scorsi avessero notato tre bibliotecari e li descrissero. Alcuni rispondevano con un secco no, altri li ricordavano, ma non avevano idea di dove fossero, altri ancora rispondevano semplicemente con boh!

Dopo un paio d’ore, finalmente, incontrarono un ragazzino che rispose loro: “Sì, li conosco mi avevano chiesto notizie sui noccioli, quando fossero apparsi e così via. Io ho detto loro che è stato il vecchio Frank a piantare dei semi una notte di luna piena e in pochissimi giorni sono cresciuti e diventati così. Lo so perché io e i miei amici adoriamo scherzare con Frank, è un matto o, almeno, lo credevamo, poi ha fatto sta cosa pazzesca!”

“Questo Frank dove vive?” domandò Flynn, incuriosito.

“È la stessa cosa che mi hanno chiesto i vostri amici! Io li ho portati da lui e poi li ho salutati perché dovevo andare a lezione di sassofono; sai io voglio diventare un musicista jazz! Comunque dopo non li ho più visti.”

“Puoi portare anche noi da questo Frank, per favore?” chiese Eve.

Il ragazzo accettò e disse loro che potevano andare a piedi, poiché non era lontano. Li condusse per un paio di strade, poi bussò ad una porta di legno dipinto d’arancione, di quella che sembrava una sorta di baraccaccia o malandato monolocale. L’uscio si aprì, il ragazzo entrò, iniziando a chiamare: “Frank!”

Flynn ed Eve entrarono a propria volta, si guardarono attorno e il loro sguardo si bloccò sulla mensola in fondo al lato opposto della stanza. Si avvicinarono sbigottiti e preoccupati nel vedervi appoggiate sopra tre statuette, ritratti perfetti dei loro amici.

“Ma cosa …” Flynn era basito, si voltò per chiedere qualcosa al ragazzetto, che non c’era più e al suo posto si trovava una bellissima donna, alta, capelli rossi, occhi verdi, sorrise infantile.

“Morgana …!” esclamò Eve, irata, riconoscendola “Che cosa hai fatto!”

“Ho pensato che sarebbe stato veramente cool avere dei bibliotecari come soprammobili … E ora sto per arricchire la mia collezione …”

Morgana stese il braccio sinistro con la mano aperta e continuò a sorridere.

Flynn ed Eve non ebbero il tempo di reagire, si sentirono improvvisamente irrigidire, perdere il controllo del proprio corpo e la sensibilità. I loro corpi vennero sollevati per aria, iniziarono a rimpicciolirsi e a tramutarsi in pietra. All’inizio della trasmutazione, il cellulare della Guardiano uscì dalla sua tasca e volò in mano a Morgana.

Anche loro due divennero statuette di pietra e furono adagiati sulla mensola, tuttavia potevano ancora vedere, ascoltare e pensare.

Morgana guardò il cellulare, scorse la rubrica e trovò il numero di Jenkins, lo selezionò e avviò la telefonata.

“Pronto, colonnello Baird?” rispose Jenkins dopo alcuni squilli.

“No, non sono lei. Ritenta, Gahalad.”

“Morgana?!” sussultò l’uomo, confuso e allarmato.

“Esatto!”

“Che cosa ci fai con il cellulare del colonnello Baird?”

“Ti telefono Gahalad. L’ultima volta non mi hai lasciato il tuo numero e non sapevo come fare a contattarti.”

“Che cos’hai fatto ai bibliotecari?!” Jenkins era molto adirato, sebbene si sforzasse di mantenere il proprio contegno.

“Oh, ho solo messo un’esca e loro hanno abboccato subito. Sono un po’ ingenui, sai, si sono fidati di estranei e non hanno preso precauzioni, nessuno di loro ha sospettato una trappola. Ora sono cinque bellissime statuette, potrei metterli in giardino assieme agli gnomi. Secondo te, come sarà il Conclave, senza Bibliotecario? Io non vedo l’ora di scoprirlo.” Morgana ridacchiò.

“Sleale è sempre stato il tuo soprannome più adatto.”

“Sei ingiusto nei miei confronti, Gahalad. Pensare che io ho deciso di darti una possibilità per salvarli.”

“Quale?!” fu la sarcastica reazione dell’uomo “La mia testa in cambio della loro liberazione?”

“No, non è così facile e noiosa, la faccenda. Ti invierò un sms con le indicazioni di come trovare una torre; ha sei piani, all’ultimo troverai le statuette dei Bibliotecari. Se riuscirai a superare le prove a cui ti sottoporrò piano per piano, allora potrai prendere i tuoi amici e riportarli in Biblioteca, sarà poi affar tuo capire come fare per ritramutarli in umani.”

“Cosa?! Questo è un piano finalizzato solo ad uccidermi!”

“Hai poca fiducia in te stesso, una volta avresti raccolto la sfida al volo. Se vuoi, puoi rinunciare a salvarli ed essere tu a gestire il prossimo Conclave, di certo lo meriti più di loro. Comunque io spero proprio che accetterai di affrontare la torre. Guarda, sarò generosa, puoi portarti un aiutante … se riuscirai a trovare qualcuno che accetti di mettersi contro di me. A presto, Gahalad.”

La chiamata venne chiusa.

Jenkins era furioso e agitato. Iniziò a chiamare a gran voce sia Charlene che Judson e poi andò a riempirsi un bicchiere di cognac, prima di trovarsi nella stanza principale, davanti allo specchio.

“Che cosa succede?” domandò Judson.

Charlene aveva un’aria piuttosto confusa: era stupita di trovare Jenkins in quelle condizioni.

“Morgana!” rispose lui, a denti stretti, per poi riferire la telefonata.

“È senza dubbio una situazione incresciosa e delicata … tu che cosa hai intenzione di fare?” domandò Judson.

L’uomo scosse il capo, aveva lo sguardo basso, era assorto in cupi pensieri, bevve un altro sorso e disse: “So che Morgana vuole solo divertirsi a torturarmi sadicamente con i suoi artifici. Devo però andare, devo tentare. Judson, ti prego, promettimi che se non dovesse tornare né io, né qualcun altro dei bibliotecari, tu uscirai da quello specchio e prenderai le redini del Conclave.”

“Certo, nel caso non tornaste, non avrebbe più senso, per me, fingermi morto. L’ho fatto solo per depistare Flynn circa la mia vera età. Sono certo, però, che li salverai.”

“Se mi equipaggiassi a dovere in Biblioteca, forse avrei qualche speranza, ma visto che la vittoria non sarebbe comunque certa, non voglio correre il rischio di consegnare a Morgana degli artefatti. Prenderò la mia vecchia spada, quella che mi hai regalato.”

“Bene, sì. Per l’aiutante? Dovresti procurartene uno.”

“Se venissi tu, saremmo a posto.”

“Non posso  mostrarmi a Flynn.” ribatté Judson.

“E allora andrò solo, chi sarebbe così folle da scontrarsi con la Fata Morgana? O chi, tra gli essere sovrannaturali, sarebbe disposto a rischiare la vita per dei bibliotecari?”

“Potresti chiedere all’amica di Stone.”

Enya?! Non credo proprio. Non so chi sia ed è troppo immersa nella magia, non credo di potermi fidare.”

“Qualcuno che conosca la magia ti è necessario.” gli ricordò Judson “Inoltre, il Libro dei Ritagli l’ha indicata per primo a te, non è una coincidenza.”

Jenkins sospirò rassegnato, ma poi disse: “Lo farei, ma non ho modo di contattarla.”

Charlene, allora, intervenne: “Per fortuna mi sono fatta dare il suo numero da Stone, sai, per gli archivi della Biblioteca.” la donna si allontanò un attimo e tornò con una rubrica aperta che passò all’uomo, raccomandandosi: “Una telefonata rapida, è intercontinentale.”

Jenkins compose il numero e attese.

“Pronto.” rispose la squillante voce di Enya.

“Buon pomeriggio, signorina; sono il signor Jenkins, il collega del suo amico Jacob Stone. La chiamo dalla Biblioteca.” si sentiva un po’ strano a parlare in quel modo “Il Bibliotecario, il suo amico e altri membri del nostro staff sono attualmente in … imprigionati e io mi chiedevo se lei sarebbe disponibile a collaborare con me nel tentativo di salvarli.”

“Oh, mi coglie un po’ alla sprovvista ma penso che sia fattibile. Sì, accetto volentieri.”

“Ah!” si meravigliò Jenkins, che poi aggiunse: “Mi sento in dovere di informarla che la mia azione sarà contro la Fata Morgana; quindi, se vuole rifiutare, lo capirò.”

“Morgana.” ripeté Enya con tono enigmatico “Come mai si è rivolto a me?”

“Io ho qualche rudimento di magia, ma non posso certo competere con la Fata Morgana; non so esattamente cosa lei sia in grado di fare ma, quando l’ho incontrata, mi è parsa piuttosto pratica e, dunque, ho ritenuto potesse essere in grado di aiutarmi.”

“D’accordo, confermo la mia disponibilità.”

“Molto bene, allora mi dica dove si trova e si collochi accanto alla porta che le è più vicina.”

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Capitolo 11
*** La torre di Morgana, parte I ***


Jenkins aveva usato la porta sul retro per raggiungere Enya e l’aveva fatta entrare momentaneamente nella Biblioteca, giusto il tempo necessario di reimpostare la porta verso il punto indicato da Morgana.

Charlene si era nascosta, per poter osservare senza farsi vedere, mentre Judson non appariva nello specchio; tutti gli usci erano serrati, in modo tale che non fosse accessibile nessuna delle altre stanze della Biblioteca.

Jenkins si era raccomandato con Enya di no curiosare troppo, tra gli scaffali, mentre lui impostava la porta; tuttavia la curiosità della ragazza non poteva certo essere frenata ed ella si avvicinò a guardare i titoli e, ad ogni volume, il suo entusiasmo aumentava.

“Le ho chiesto di non girovagare.” la richiamò Jenkins “Non avrei neppure dovuto portarla qui, ho fatto una piccola eccezione e …”

“Non può mettermi a pochi passi da così tanta conoscenza e poi proibirmi di sbirciare.” ribatté lei, con gli occhi fisi ai libri “Inoltre è così poco il tempo, che riesco a malapena a leggere qualche libro, senza possibilità di carpire dei segreti. Effettivamente, mi farebbe meno male evitare di vedere tutte queste conoscenze a cui non posso attingere. Un po’ come la storia della volpe e dell’uva.”

“Agogna così tanto questa sapienza?”

“Ogni cosa che mi possa avvicinare alla verità.”

“La verità può essere più immediata di quanto si creda e a volte, più la si cerca, più ci sfugge di mano. La tradizione buddista insegna che la verità si raggiunge quando la mente si arrende e realizza che, qualsiasi strada tenti, non la potrà concepire mai.”

“Le strade, però, vanno tentate, altrimenti non si porta la mente all’esasperazione. È strano, poi, sentir dire qualcosa del genere sulla conoscenza, da un bibliotecario.”

“Non sono un bibliotecario. Ad ogni modo, ho impostato la porta, possiamo partire. Prego, prima le signore.”

“Se torniamo vivi, mi fa visitare la Biblioteca?”

“Può essere. Adesso prendo la mia spada e andiamo.” si allontanò di qualche passo “Tu hai bisogno di armi?”

“No, penso di essere a posto così; nel mio zaino ho tutto ciò che mi serve.”

Jenkins tornò con la spada: acciaio duro, pomo e fodero in oro fino.

“Posso osservarla?” chiese la donna e, dopo averla guardata qualche istante, ebbe un sussulto “Questa è una delle tre spade consegnate al Re Pescatore, da assegnare ai cavalieri che avrebbero trovato il Graal. Solo pochi meritevoli possono impugnarla. Non immaginavo ce ne fossero ancora in circolazione. Com’è finita a lei?”

“Appartiene alla Biblioteca.”

Jenkins non aveva propriamente mentito, dicendo ciò, anche se quella era una delle sue armi personali, in fondo era come se facesse parte del patrimonio della Biblioteca.

Finalmente varcarono la porta ed arrivarono nel luogo indicato da Morgana. Non si trovarono all’entrata della torre, come aveva sperato l’uomo, bensì fuori da un casolare, poco lontano. In silenzio si avviarono verso il loro obbiettivo, fino a quando non giunsero al cancello che segnava il confine l’ingresso nella proprietà di Morgana.

“Sei sicura? Sei ancora in tempo per tornare indietro.” Jenkins dubitava di uscire vivo da quella situazione, quindi non aveva piacere che anche qualcun altro morisse in quella follia.

Se sei un uomo, ammira chi tenta grandi imprese, anche se fallisce.

“Seneca.” Jenkins riconobbe la citazione “Vuol dire che mi seguirà?”

“Fino alla fine.”

“Se sopravvivremo, mi spiegherà che cosa la spinge ad assumersi questo rischio?”

“Può essere.”

L’uomo sorrise tra sé, pesando che anche lui aveva dato quella risposta poco prima.

Jenkins allungò la mano per afferrare la maniglia che, però, scomparve prima che potesse sfiorarla. Allora appoggiò i palmi sul cancello, provò a spingere ma non si mosse nulla. I due decisero, allora, di provare a scavalcare; iniziarono ad arrampicarsi lungo le sbarre di ferro, ma non riuscivano ad arrivare in cima: più salivano, più il cancello si allungava.

Decisero di scendere. Jenkins tirò fuori dalla tasca della giacca un coltellino, poi si chinò e iniziò a scavare in prossimità del cancello.

“Crede che sia questo il modo per entrare?” chiese Enya, dubbiosa.

“Sì. Non possiamo passare attraverso, né sopra, ci resta solo il sotto.”

“Se non fosse neppure sotto?”

“Sono sicuro che lo sia: Morgana vuole sia stancarmi con lo scavo, sia umiliarmi, costringendomi a strisciare per entrare nel suo covo.”

“Posso fare io? Risparmieremmo tempo.”

L’uomo acconsentì. La donna si concentrò, iniziò a muovere le mani e le dita, aveva gli occhi chiusi e a bocca chiusa stava come intonando una nota molto profonda.

La terra iniziò a smuoversi, si aprì un varco sotto il cancello; un piccolo tunnel abbastanza profondo per far passare una persona in piedi, con scalini per scendere e salire.

Jenkins fu stupito, ma anche molto soddisfatto. Entrambi attraversarono il sottopassaggio e si trovarono all’interno della residenza e subito sorse un nuovo ostacolo: da fuori si vedeva un sentiero e una torre, dunque non c’erano dubbi circa quale strada percorrere; da dentro, invece, si trovavano tre viottoli identici che conducevano ad altrettante torri perfettamente uguali.

“Qualche idea?” chiese Enya “Altrimenti posso provare con la divinazione.”

“No, aspetti, mi faccia ragionare.” Jenkins ci teneva a mettersi alla prova e non lasciare tutto alla magia “Morgana dà grande importanza alle Rune. Avendo tre strade, potrebbe avere attribuito a ciascuna una runa, ma la scelta sarebbe troppo casuale; dunque è più probabile che ogni sentiero sia legato a uno dei tre gruppi in cui è diviso l’alfabeto futhark. Quindi abbiamo il gruppo Fehu, che è relativo al microcosmo e ai desideri; poi c’è il gruppo Hagalaz, connesso che rappresenta l’evoluzione, il superamento di ostacoli; infine Tywaz, legato alla dimensione spirituale. Ora, considerando questi significati, direi che Morgana avrà posto la vera torre nel sentiero di Hagalaz.”

“Quindi quello centrale?”

“No. Adesso entra in gioco la numerologia: l’uno è il concetto attivo, maschile, emanante, posto sempre a destra; il due è il passivo, femminile, assorbente, collocato sempre a sinistra; il tre rappresenta l’equilibrio ottenuto dall’unione o collaborazione degli altri due, quindi è posto centralmente. Di conseguenza, abbiamo Fehu a destra, Hagalaz a sinistra e Tywaz in mezzo. A sinistra, dobbiamo andare a sinistra.”

Enya annuì, ammirando quel ragionamento. I due si misero in cammino lungo il sentiero scelto. Riuscirono ad arrivare alla torre senza incontrare altri ostacoli. La porta di ingresso era, ovviamente, chiusa a chiave. Si guardarono un attimo attorno, in cerca di un’idea e videro delle pietre rotolare le une verso le altre, convergendo in un unico punto; iniziarono ad ammucchiarsi e presto si fusero assieme, dando vita a un essere umanoide in roccia, alto un paio di metri, con al collo una corda a cui era appesa una chiave.

“Se l’esperienza non mi inganna” disse Jenkins, mettendo mano alla spada “Quella è la chiave per entrare e, allo stesso tempo, da energia al mostro. Tolta la chiave, il bestione torna ad essere sassolini inermi. Stia indietro, risolvo io. Voglio riscaldarmi, prima che inizi il vero pericolo.”

“Sfilargli la corda dal collo non è un po’ troppo rischioso?” si preoccupò Enya, vedendo l’altro assumere la postura di guardia.

“Non è necessario sfilarla. Stia a guardare.”

Jenkins si giostrò un poco con la spada, stuzzicando il mostro ed evitando i suoi colpi, sembrava che davvero stesse facendo semplice esercizio per scaldare i muscoli. Dopo pochi minuti, l’uomo schivò un pesante pugno dell’avversario, fece uno scatto all’indietro e poi vibrò un fendente verso l’alto, all’altezza del collo del mostro. Recise di netto la corda a cui era appesa la chiave. Il colosso si sbriciolò. L’uomo recuperò la chiave ed andò ad aprire la porta.

Appena la serratura scattò, dall’uscio scaturirono fiamme che composero una frase: Vattene, Enya!

Jenkins si meravigliò, guardò la compagna di missione e le domandò: “Morgana sa il suo nome? Perché vuole allontanarla? Senza offesa, ma dubito la consideri una minaccia.”

“Ha ragione, vuole solo tenermi fuori dai pericoli ma sono decisa a mettermi alla prova.”

Detto ciò, Enya aprì la porta ed entrò assieme all’uomo.

Buio pesto, freddo e umidità: ecco quel che trovarono nella prima stanza.

La donna ricorse alla magia per far luce, ma accadde qualcosa di strano: effettivamente sul palmo della sua mano levitava una sfera luminosa che, tuttavia, non riusciva ad illuminare la stanza: brillava ma non rischiarava. Allora commentò: “Che strano, la luce c’è, ma non illumina!”

“Quale luce?” chiese Jenkins.

“Questa! Non la vede?”

“No.”

“Come?! Ho un globo di luce in mano, non può non vederla.”

Jenkins si guardò un poco attorno, poi disse: “Mi spiace, ma vedo solo buio.”

Enya iniziò a pensare a quali ragioni ci potessero essere, intanto disse: “Mi dia la mano, non perdiamoci, altrimenti peggioriamo la situazione.”

Dopo alcuni tentativi falliti, riuscirono a prendersi per mano.

“Penso di avere una teoria plausibile.” disse Jenkins.

“Anch’io: non siamo in un luogo fisico, ma in una sorta di intercapedine dimensionale che possiamo modellare tramite l’immaginazione e la volontà.”

“O convinzione. Lei era certa di avere fatto un incantesimo di luce e quindi vedeva la sfera, ma non vedeva altro perché non immaginava il resto.”

“Esatto. Penso che dovremmo immaginare in maniera uguale il posto in cui ci troviamo, in modo tale da essere certi di trovarci entrambi nello stesso luogo e non finire in due parti differenti, magari in compagnia di nostri alter ego fittizi, creati dalla nostra mente.”

“Non è semplice, dovremmo allora pensare ad un luogo reale, conosciuto bene da entrambi. Il solo immaginare in maniera differente una sedia o qualsiasi altra cosa, sarebbe un problema.”

“Temo non ci siano luoghi famigliari ad entrambi. La Biblioteca l’ho appena vista, ma di sfuggita.”

“Un quadro! Troviamo un quadro che conosciamo e immaginiamoci dentro ad esso. Dovremmo riuscire a non commettere errori.”

“Sì, può funzionare. Quale usiamo? Il giuramento degli orazi?”

“Bello ma no, pensiamo ad un paesaggio o qualcosa dove non ci siano persone. L’Abazia nella foresta di Caspas David Friedrich?”

“D’accordo, tetro per tetro, è comunque un bell’ambiente.”

Entrambi si concentrarono e, pur rimanendo un certo buio, davanti a loro si compose un immagine di una cattedrale gotica in rovina, in mezzo a degli alberi, con la luce della luna piena.

“Accidenti, manca la terza dimensione.” commentò Jenkins.

“Potrei immaginare l’area in maniera tridimensionale e poi trasmetterle l’immagine telepaticamente, ma non è un metodo sicuro al cento per cento.”

“Tentiamo comunque!”

Per fortuna l’operazione ebbe successo e si ritrovarono come in una foresta, in una notte di luna piena, vicino alle rovine di una chiesa.

“Adesso, che si fa?” chiese Enya “Non ho idee di come si possa fare ad uscire dalla stanza.”

“Credo che a noi sia stata concessa la scelta del campo di battaglia e che, ora, Morgana deciderà che cosa farci combattere.”

“Sì, ma rimarremo comunque bloccati qua.”

“No, se sconfiggiamo l’avversario, lei ci farà uscire. Su queste cose è corretta.”

Il suolo tremò, si levò una sorta di nebbia e lingue di fuoco iniziarono ad apparire in modo intermittente e casuale.

“Che succede? Io non sto immaginando questo!” esclamò Enya, preoccupata.

“Noi no, ma Morgana sì ed è abbastanza abile da farci immaginare anche ciò che non vogliamo. Credo di avere capito che tipo di prova sia: un percorso ad ostacoli. Uno degli elementi del quadro è la porta per il prossimo piano della torre, ne sono certo, noi dobbiamo capire quale sia e raggiungerlo, opponendo la nostra immaginazione a quella di Morgana, che tenterà di colpirci.”

In quel momento una fiamma scaturì proprio sotto i piedi di Jenkins. Enya usò la magia per spingerlo all’indietro e sottrarlo al fuoco. L’uomo, per fortuna, rimase incolume, poiché era riuscito a modificare la fiamma, immaginandola fredda.

Le fiammate iniziavano a comparire sempre più improvvise e grandi. I due, allora, decisero di immaginare tutto il terreno sommerso da un paio di dita d’acqua; riuscirono ad apportare il cambiamento. Si misero allora a correre, alla ricerca della porta. Il livello dell’acqua, però, iniziò ad aumentare rapidamente e presto si ritrovarono immersi fino alla vita. Si focalizzarono, allora, sull’immagine di una barchetta di legno e, così, si ritrovarono fuori dal pericolo di annegare, mentre tutto il resto veniva sommerso. Il sospiro di sollievo che tirarono fu breve, infatti videro presto l’acqua incresparsi e presto emerse un mostro marino, con tentacoli, e un paio di teste con denti acuminati.

Jenkins prese di nuovo la spada, senza esitare.

“Non può combatterlo!” esclamò Enya “È una proiezione della fantasia, non può essere colpito.”

“Infatti non lo combatterò, ma immaginerò di combatterlo.” replicò l’uomo “Lei, intanto, cerchi di capire dove può essere la porta e come raggiungerla!”

Jenkins diede il via al duello; non agiva direttamente: nella propria mente immaginava gli attacchi e le schivate e il suo corpo agiva di conseguenza.

Enya ragionava circa dove potesse essere la porta: ormai era tutto sottacqua, per cui capire era difficile. Notò, allora, la Luna piena e si rese conto che era l’unico elemento del loro paesaggio originale che rimaneva, inoltre era l’elemento più difficile da raggiungere, poiché si trovava in cielo.

“Signor Jenkins, credo che la nostra via d’uscita sia la Luna.”

“Ah!” commentò lui, continuando a combattere.

Enya si mise a riflettere circa come raggiungere la Luna, non potevano certo ricorrere ad una scala, poiché essa distava da loro come il vero satellite; doveva concepire un’idea differente della Luna.

“Idea! Signor Jenkins, mi ascolti, ho bisogno anche di lei per riuscire.”

“La ascolto, ma prima immaginiamo una barriera tra noi e il leviatano!”

Pochi secondi dopo sorse una grande montagna che separava la barcaccia dal mostro.

“Perché non lo abbiamo fatto prima?” chiese la donna.

“Non durerà a lungo. Mi dica cos’ha escogitato.”

“Ecco, penso che, non potendo noi raggiungere la Luna, dovremmo far venire la Luna da noi. Dobbiamo immaginare la Luna come la dea Selene, poi immaginare che qui con noi ci sia Endimione addormentato. Selene, secondo il mito greco, andava a trovarlo, dunque la nostra Luna scenderà e noi potremo toccare la porta.”

“Eccellente, procediamo. Usiamo la tattica dove lei crea l’immagine e poi me la trasmette.”

Enya si concentrò, elaborò con attenzione la fantasia. Poco dopo un uomo bellissimo e addormentato comparve sulla barca; una manciata di secondi e la Luna assunse sembianze umane discese sull’imbarcazione.

Enya e Jenkins si sorrisero, allungarono le mani e toccarono la Luna. Il luogo attorno a loro si crepò e andò in frantumi e loro due si trovarono in cima ad una scala di pietra, all’ingresso del secondo piano della torre.

L’uomo sorrise, strinse la mano alla ragazza e le disse: “È un piacere lavorare con lei.”

“Il piacere è reciproco.”

“Speriamo che ci porti fortuna anche nei prossimi piani. Intanto, vediamo che cosa ci aspetta qua.”

Si guardarono attorno: pavimento in legno, pareti in pietra, nessuna finestra, stanza assolutamente vuota, se non per un tripode con un catino appoggiato sopra, che si trovava al centro della sala.

Si avvicinarono al catino che era di bronzo; appese al bordo per il manico, vi trovarono due tazze di ceramica, immerse per metà in un liquido molto denso, color giallo pallidissimo, quasi bianco.

Enya immerse la punta dell’indice, lo annusò, ne constatò la consistenza e poi disse: “Dev’essere soma.”

“La bevanda dei rituali vedici e avestici?”

“Esattamente.”

“Quindi ci aspettano allucinazioni e confusione mentale.” rifletté l’uomo.

“Nessuno ci obbliga a bere.”

“Temo che sia l’unico modo per sbloccare la prova di questo piano.”

“Non esistono antidoti per evitare gli effetti del soma.” gli fece osservare la donna.

“Lo so, ma dobbiamo andare avanti.”

Jenkins, senza esitare oltre, prese una delle tazze e la riempì, pronto per bere. Enya si rassegnò e fece altrettanto; poi sollevò la tazza come per un brindisi e disse: “Prosit!”

L’uomo ricambiò, ma disse: “A Morgana!”

Bevvero d’un sorso e attesero che accadesse qualcosa. Ebbero l’impressione che la stanza stesse girando, facevano fatica a stare in piedi, la vista si annebbiò e infine caddero a terra, svenuti.

 

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Capitolo 12
*** La torre di Morgana, parte II ***


Jenkins si risvegliò, era piuttosto confuso, la testa gli faceva male, sentiva in sottofondo un rumore come un fiume che scorre rapido, i pensieri erano faticosi. Provò ad alzarsi in piedi, ma ricadde, trattenuto da delle pesanti catene ai polsi e alle caviglie, di cui non si era accorto. Le catene che gli stringevano i polsi erano ancorate a terra e non più lunghe di cinquanta centimetri, quindi poteva al massimo mettersi in ginocchio.

Era solo e disarmato e con un’emicrania che lo distruggeva, come se centinaia di piccoli muratori stessero scavando tunnel nel suo cervello.

Provò ugualmente a concentrarsi e a raccogliere le forze per spezzare le catene.

Tum-tum-tum.

Un lento ritmo scandito da tamburi riecheggiò nell’aria, seguito da risate stridule e secche, rami e ossa che si spezzano. Passi in avvicinamento, molte persone.

Jenkins non capiva e il suo battito era accelerato; se ne stupì visto che, normalmente, occorreva di più per metterlo in agitazione.

Le pareti iniziarono a trasudare una strana sostanza nera e bianca. Le gocce colavano e, toccando terra, si univano alle altre e in breve tempo presero forma decine e decine di scheletri, esseri incappucciati, non morti, esseri deformi e demoniaci; tutti quanti armati con bastoni, grandi ossi, mazze, pietre o primitive e rozze lance. Ringhiavano, ululavano, ridevano ed emettevano altri versi ferini ed agghiaccianti.

Jenkins gridò terrorizzato!

Anche se nessuno glielo aveva detto lui sapeva che quelli erano gli spiriti di tutte le persone uccise negli scontri dopo la caduta di Camelot; i morti di cinquecento anni di scelte, ripensamenti e nuove scelte.

Non aveva letto da nessuna parte della loro esistenza, nessuno gliene aveva mai parlato, ma lui era certo fossero loro, dentro di sé sapeva che erano le anime tormentate di tutte quelle vite stroncate, di tutto quel sangue versato.

Sangue … ne poteva sentire ancora l’odore, il sapore, il calore sulle sue mani …

Le sue mani. Le guardò: erano lorde di sangue.

Urlò di nuovo. Il dolore! Il dolore del rimorso.

Era certo che, se si fosse guardato allo specchio, avrebbe visto tutto il sangue con cui si era macchiato e sarebbe stato sporco anche il viso, fino alla punta dei capelli.

Le creature lo avevano circondato. Lo guardavano con odio. Iniziarono a colpirlo, a graffiarlo, a percuoterlo con le loro armi con tutta la forza che avevano.

Jenkins subiva, non provava neppure a difendersi. Sentiva di meritare quella punizione, credeva che fosse il giusto prezzo da pagare per il suo passato.

Non reagiva. Lo stavano massacrando e non reagiva. Sentiva solo il rimorso.

Jenkins

Sentì d’improvviso una voce famigliare chiamarlo. Alzò lo sguardo e, in mezzo alla folla di mostri, scorse Flynn. Entrambi erano piuttosto stupiti.

Flynn … che cosa ci fai qui?”

Il Bibliotecario, piuttosto confuso, rispose: Non lo so. Non so nemmeno come ci sono arrivato … Dovrei essere una statuetta di pietra e invece … Non capisco.

“Lo so io.” Jenkins parlava a grande fatica “Questa è una sua proiezione astrale: la sua anima prende forma e visibilità in un qualche piano dimensionale e può comunicare a grande distanza di spazio e non solo.”

Sì, so cosa sono i viaggi astrali ma … Un momento! È questo che faceva Judson? È così che compariva all’improvviso e mi entrava nelle visioni?

“Esattamente!” l’uomo parlava, mentre ancora continuavano a picchiarlo.

Non me lo ha mai voluto spiegare. Io è la prima volta che lo faccio e non so come sia accaduto.

“Scusatemi, vi chiedo scusa a tutti quanti.”

Per cosa?

“Non riuscirò a salvarvi, mi dispiace ... ho fallito.”

Che cosa glielo impedisce?

“Questi spiriti tormentati, non li vede?”

Sì, certo ma non credevo fossero un problema per lei. Insomma, dovrebbero essere tra le creature più facili da sconfiggere: non hanno una loro essenza, si manifestano solo in virtù …

“ …  di un’emozione provata da loro da vivi o da qualcun altro; tale emozione è così profonda che tiene delle ombre vincolate al piano terreno e le nutre di se stessa.”

Bene, se lo sa, che cosa aspetta a reagire?! Capisca che cosa alimenti questi spettri e li distrugga!

“So che cosa vogliono: vendetta, vendetta per la loro morte.”

Non credo; avrebbero connotazioni più specifiche, avrebbero i lineamenti delle persone che furono.

“Ha ragione, non ci avevo pensato! Ma che altro potrebbero essere? Loro sono furiosi con me, per come ho agito …”

Jenkins si sentì colpire con maggiore ferocia.

“Il rimorso!”

Come?

“Questi spettri sono generati dal mio rimorso! Dal senso di colpa che ho a causa delle mie azioni.”

Quindi ti stai torturando da solo. Perché? Che cos’hai fatto?

“Li ho uccisi, direttamente o per indotto, non cambia nulla.”

Perché l’hai fatto?

“Avevano un’opinione diversa dalla mia.”

E …? Sono sicuro ci sia dell’altro.

“Tutti volevamo che il mondo fosse migliore e abbiamo finito col renderlo peggiore; volendo fare del bene, abbiamo fatto solo tanto male.”

Tu andavi in giro chiedendo alla gente la sua opinione e se era diversa dalla tua li uccidevi?

Flynn era volutamente ironico.

“No di certo. C’erano guerre e battaglie.”

Dunque anche loro, se avessero potuto, ti avrebbero ucciso per una divergenza d’opinione. In guerra è così: si ammazza o si è ammazzati.

“Avrei potuto non schierarmi, rimanere neutrale!”

Sarebbe morta un sacco di gente comunque.

“Non per mano mia.”

Non so come siano andate le cose, ma di una cosa sono certo: nulla sarebbe mai migliorato, nella storia, se gli uomini non avessero deciso da che parte stare, se non avessero compiuto scelte, accettato di pagare un prezzo per qualcosa che ritenevano fosse giusto. Questo ha portato a degli errori come le Crociate, oppure è sfociato nel Terrore come la Rivoluzione francese, ma ha dato agli uomini la forza e la decisione di reagire, di scegliere tra bene e male e, soprattutto, avere il coraggio delle proprie scelte. È facile criticare e giudicare, è più difficile assumersi le responsabilità e i rischi di ciò in cui si crede. A te dispiace per chi è rimasto ucciso, ma loro non erano indifesi, non sono stati colti di sorpresa: erano convinti delle proprie decisioni ed erano disposti a morire, esattamente come te. Tu saresti morto volentieri per quella causa?

“Sì, certo …” Jenkins era confuso, ma iniziava a capire, a sentirsi più leggero.

Allora non offendere i tuoi avversari, provando pietà per loro. Ammirali perché hanno avuto coraggio, perché hanno agito secondo la loro coscienza e non per istinto di conservazione. Tu li hai resi dei martiri, tu hai dato loro gloria.

Flynn fu contento di ricordarsi i discorsi fatti nell’Iliade circa la società degli eroi; vivere nel ventunesimo secolo e dire di condividere quei concetti non era appropriato, ma in quel momento erano necessari per far reagire Jenkins, per aiutarlo a superare il rimorso.

Inoltre, Dante Alighieri considera gli ignavi come ancor più meschini dei peccatori.

Jenkins annuì, sorrise sereno. Si scosse, si levò in piedi, spezzando le catene e in un bagliore tutti gli spiriti scomparvero. Nella stanza rimanevano solo l’uomo e la proiezione astrale di Flynn; in fondo si intravedeva una porta che si affacciava su una rampa di scale.

Jenkins si guardò attorno e chiese: “Dov’è Enya?”

Enya?! – si meravigliò Flynn.

“È venuta con me, per liberarvi.”

Forse è la ragazza che ho visto nella stanza all’ultimo piano, prima di ritrovarmi qui, non sono riuscito a vederle bene.

“Mi ha tradito?!”

Non credo, il suo corpo si è materializzato nella stanza dove siamo anche noi, ma lei dormiva.

“Sarà sotto l’effetto del soma com’è capitato a me. Mi ascolti, signore, io riprenderò l’assalto alla torre, ma lei deve riuscire a svegliare Enya. Se lei è già all’ultimo piano, allora potrà liberarvi! Almeno spero.”

Lo  consideri fatto. Ci troviamo a metà strada.

Dopo un paio di tentativi, la proiezione astrale di Flynn scomparve. Jenkins si diresse verso le scale, le salì ed entrò nella stanza del terzo piano. C’era un caldo torrido, il pavimento quasi scottava, l’aria era attraversata da fumo e odore di zolfo. L’uomo capì che lì avrebbe dovuto affrontare un drago o qualcosa del genere; quindi si sentì sollevato che non ci fosse qualche altro incantesimo ad interferire con la sua percezione della realtà.

Intanto, Flynn era riuscito a manifestarsi nel sogno di Enya. La ragazza non si trovava in un incubo com’era capitato a Jenkins, bensì stava sognando un luogo quasi fiabesco: un laghetto limpido circondato da alberi in un insieme che era troppo armonioso per essere un bosco e troppo forte e maestoso per essere un giardino. Piante e rocce si alternavano e intrecciavano tra di loro e formavano sorta di stanze, archi e padiglioni. In giro, satiri, fauni, folletti, fatine e altre creature sovrannaturali del piccolo popolo.

Flynn riconobbe subito quel luogo, benché vi ci fosse recato una sola volta, anni prima, per una questione diplomatica della Biblioteca. Quel posto era Avalon.

Si stupì che Enya stesse sognando quel luogo: significava, forse, che anche lei c’era stata?

La cercò e la trovò quasi subito: era sdraiata all’ombra di un albero, in compagnia di altre due donne, più grandi di lei, ma comunque giovani e belle. Flynn riconobbe anche loro, erano Viviana e Nimue. Attorno alle donne c’erano varie creature con cui conversavano, qualcuna aveva uno strumento e suonava di tanto in tanto.

Flynn si avvicinò e salutò per manifestare la propria presenza. Subito dei fauni e delle fatine si rivolsero a lui per accoglierlo, lo omaggiarono con fiori e lo fecero sedere vicino alle tre donne.

“Bibliotecario!” esclamò Enya, riconoscendolo “Che cosa ci fa qua?”

Ti stavo cercando.

“Come ci sei arrivato ad Avalon? Non è bellissimo qui?!”

Sì, è sicuramente inebriante, peccato non sia l’originale. Tu, però, prima di arrivare qui, stavi facendo qualcosa. Ricordi?

“No e non mi importa. Io sto bene qui, calma, senza preoccupazioni. Non ricordo dove sono stata, ma era un pessimo posto: troppe tensioni, troppa ansia! Via, qui si sta d’incanto, in armonia col resto, si vibra sulle stesse note della creazione.”

Sì, la Terra può risultare un posto complicato, ma se uno è realmente in armonia col Tutto, allora non si lascia turbare dai problemi di chi lo circonda, ma rimane sereno anche quando la situazione è difficile. È facile dire: sono in pace; quando si sta in un luogo privo di turbamento; è molto più meritevole trovare la pace in mezzo al caos.

Enya si sentì un poco offesa, poiché riconosceva verità in quelle parole; chiese: “Che cosa è venuto a fare? Che cosa vuole da me?”

Son qui per svegliarti. Hai lasciato Jenkins da solo nel pericolo e ti sei nascosta qui.

“No! Non è vero! È stato il soma! L’ho bevuto e … e … mi sono ritrovata qui.”

Allora svegliati!

Enya si alzò in piedi, spalancò gli occhi e si ritrovò nella stanza dell’ultimo piano della torre di Morgana. Era piuttosto confusa: non sapeva come ci fosse arrivata; presto, però, intuì come fosse stato possibile. Notò, poi, Flynn in piedi accanto a sé e, stupita, gli chiese: “Ma lei non era pietrificato? Era davvero nel mio sogno?”

Sì e sì. Il mio corpo è diventato quella statuetta che vedi là sopra, assieme alle altre quattro; tuttavia riesco a comunicare tramite proiezioni astrali.

“Lei è davvero in grado di compiere viaggi astrali?!” la donna era meravigliata e molto ammirata.

È la prima volta che mi capita, comunque, non ci pensiamo.

“Giusto, dov’è il signor Jenkins?”

Qualche piano più in basso. Mi ha detto di svegliarti, in modo tale che tu potessi farci tornare normali e poi lo raggiungiamo. Hai idea circa come ritramutarci in umani?

“Un sortilegio della Fata Morgana è quasi impossibile da sciogliere: lei è molto potente e ci vorrebbe un potere superiore al suo per disfare quel che fa; tuttavia ho portato qualcosa che è un po’ come l’esci gratis di prigione del Monopoli.” mise mano alla borsa e tirò fuori un’ampolla “Acqua di Avalon: risolve ogni problema.”

Enya si avvicinò alle mensole, prese le statue una per volta e le adagiò a terra, poi le bagnò con l’acqua fata, ripentendo una formula molto melodiosa.

I bibliotecari ed Eve tornarono esseri umani e manifestarono apertamente la loro gioia di non essere più statue.

“Bene, non c’è tempo da perdere.” disse Flynn “Dobbiamo recuperare Jenkins e tornare in Biblioteca.”

Jenkins ci sta salvando?” chiese Ezekiel perplesso “Ha uno strano concetto dell’idea di salvare, o sbaglio?”

“Io sono venuta con lui perché lui me l’ha chiesto!” lo difese Enya “Sta affrontando grandi ostacoli, per voi.”

“Sì, ma perché qui ci sei tu e non lui?” chiese ancora il ladro.

La donna esitò poi sospirò e disse: “Credo che Morgana mi abbia portata qua, mentre ero svenuta, perché non voleva farmi del male.”

“Perché avrebbe voluto non farti del male?” chiese Eve, sconcertata “L’ultima volta che l’ho incontrata, non sembrava molto interessata all’incolumità delle altre persone.”

“Privilegi di nascita, ora, andiamo?!” e si diresse di gran passo verso la porta per scendere.

Gli altri erano rimasti un po’ basiti per quella risposta, ma capirono che non era il momento di fare domande e la seguirono. Scesero di un piano e si trovarono in una stanza affrescata, ove sembravano raffigurate le imprese compiute da uno stesso cavaliere che, ogni tanto, compariva in compagnia di una dama molto elegante e con una corona in testa; c’erano anche didascalie, sotto ogni figura.

“Non mi sembra pericolosa, questa sala.” commentò Eve.

“Credo che le trappole dei vari piani si attivino solo quando si sale, oppure solo in presenza del signor Jenkins.” osservò Enya.

“Secondo voi, che tipo di prova ci sarebbe qua?” chiese Cassandra,

Jacob, osservando i dipinti, disse: “Non sono fatti da un professionista. Certo, l’autore ha una buona mano, ma non dimostra particolare talento o tecnica. In compenso, però, mi sembrano molto antichi. Rappresentano le imprese di Lancillotto e il suo amore segreto con la regina Ginevra, almeno stando a quello che dicono le didascalie.”

“Ricordo qualcosa.” pensò Flynn “Giusto! In un paio di testi della Materia di Britannia, viene raccontato che Lancillotto venne tenuto prigioniero dalla Fata Morgana per più di un anno e che trascorse quel periodo dipingendo la propria vita fino a quel momento. Morgana decise di tenere quei dipinti come prove per denunciare Lancillotto e la regina davanti ad Artù!”

“Che crudele!” esclamò Cassandra “Voler rovinare un amore così romantico come quello di Lancillotto e Ginevra.”

“Ginevra era falsa ed ipocrita.” affermò Enya “Si fingeva casta e moralista e poi si comportava in maniera totalmente  opposta, inoltre piagnucolava di continuo e manipolava gli uomini per ottenere ciò che voleva in maniera molto più subdola di Morgana.”

“Erano tempi diversi” osservò Stone “Le donne, in quell’epoca, non erano per nulla indipendenti.”

“Stiamo parlando di una cultura fortemente celtizzata! Tra i Celti, le donne addestravano figli e figlie nell’arte di combattere fino ai quindici anni. Comunque, a parte questo, Morgana aveva tutte le ragioni del mondo per detestare Ginevra e voler denunciarla.”

“Ah, certo, così il re non avrebbe avuto eredi legittimi e avrebbe nominato come proprio erede Mordred.” intervenne Flynn.

“No, per quello aveva usato un incantesimo per rendere sterile la regina; il motivo è un altro. Ginevra, che tradiva Artù, anche prima di incontrare Lancillotto, aveva un cugino, Guiomar, che amava Morgana e lei lo ricambiava. Avevano una relazione segreta ed erano felici, finché Ginevra non li ha scoperti e ha rovinato tutto quanto e ha esiliato Morgana dalla corte.”

“Beh, questo Guiomar, se avesse amato davvero Morgana, l’avrebbe seguita anche nell’esilio, non credi?” chiese Cassandra.

“Infatti fu così, ma l’umiliazione dell’essere cacciata da Corte, il dolore della lontananza da Artù e dal figlio Mordred e altro hanno fatto giustamente infuriare Morgana.”

“E tu questo come lo sai?” chiese Eve.

“Leggo molto e mi piace parecchio la Materia Bretone.”

“Se la visita guidata è fine, potremmo pensare a raggiungere l’uscita?” chiese Ezekiel “Ah, e magari recuperiamo anche Jenkins.”

“Giusto, andiamo.” disse Flynn “Però mi piacerebbe proprio sapere quale prova era prevista per questa stanza; voglio dire, che cosa c’è di pericoloso in degli affreschi?”

“A mio avviso, voleva sottoporre il signor Jenkins alle varie imprese affrontate da Lancillotto.” ipotizzò Enya.

“Pretendeva un po’ troppo.” commentò Stone.

“Lo vuole morto, da quello che ho capito.” disse Enya.

“Perché qualcuno dovrebbe volere uccidere il nostro Jenkins?” chiese Cassandra.

Eve rispose: “Non so, ma sembrava ci fosse un rapporto contorto e conflittuale tra lui e Morgana, quando li ho visti assieme.”

“Ehi, non avete sentito il mio consiglio di andarcene alla svelta?!” ribadì Ezekiel.

Il gruppo decise di muoversi e passare al piano di sotto. La stanza al quarto piano c’era un salotto arredato in stile Liberty, almeno per il giudizio di Stone.

Comparve in mezzo alla stanza Morgana.

Trasalirono per quell’apparizione improvvisa.  Sia Eve che Flynn, che conoscevano piuttosto bene i poteri della fata, si preoccuparono.

“Questa è un’eventualità del tutto inaspettata.” esordì Morgana, senza essere turbata “Enya, tu hai lo stesso talento di tuo padre: trovarti ne guai, perché aiuti i miei nemici. Risolta questa faccenda, ti dovrò fare un discorsetto, per chiarirti un po’ di cose.”

“Loro hanno aiutato me in una faccenda e mi sembrava giusto ricambiare la cortesia.”

“Su, non restate in piedi.” esortò Morgana “Accomodatevi, mentre aspettiamo il vostro amico, ammesso che riesca a cavarsela. Guardiamo che cosa sta combinando.”

Morgana batté le mani e, riaprendole, comparve tra i palmi una sorta di cerchio in cui si compose l’immagine di un luogo riarso dove Jenkins stava combattendo un drago relativamente piccolo.

L’uomo riuscì nell’impresa e, senza dubbio, Ezekiel, Cassandra e Flynn rimasero sbigottiti, non sospettando una simile abilità.

Un paio di minuti dopo, Jenkins arrivò al quarto piano e fu certo sorpreso di ritrovare tutti quanti lì.

“Bene, ora che siamo al completo, possiamo discutere.” annunciò Morgana, sicura di sé e con sguardo beffardo “Come pensate di sfuggire a me?”

Flynn, senza perdersi d’animo, ribatté: “Sono il Bibliotecario. Ho affrontato il male in decine e decine delle sue forme e sono sempre stato trionfante. Ho sconfitto persino Dracula.”

“Mi stai proponendo una sfida?” domandò la Fata, con un sorriso piuttosto inquietante.

“No, ti sto dando la possibilità di arrenderti senza colpo ferire.” rispose Flynn, sebbene in realtà non avesse un piano.

“Vi ho pietrificati una volta, potrei rifarlo in qualsiasi momento … o fare anche di meglio.”

“Lasciali andare.” intervenne Jenkins “Resterò io, tuo prigioniero.”

“Perché dovrei accontentarmi di un prigioniero, quando potrei averne sei?”

“Perché se loro non si presenteranno al Conclave, Dulaque prenderebbe il controllo della situazione.”

“Dovrebbe forse dispiacermi che la magia riprendesse piede? Ne avrei solo molti benefici.”

“Certamente, ma vuoi realmente lasciare tutto il merito a Dulaque? In questo modo sarà lui ad essere celebrato come un eroe, come il migliore … di nuovo.”

Jenkins aveva colpito nel segno: le labbra di Morgana si incresparono e il suo sguardo si inviperì, era decisamente turbata. Rifletté qualche momento e poi chiese conferma: “Se lascio andare i bibliotecari e la Guardiana, tu resterai qui, in mia balia?”

“Sì.” Jenkins era risoluto, sebbene consapevole delle conseguenze di quella scelta “Inerme, disarmato, sarò alla tua mercé.”

“È un’offerta molto, molto, molto allettante.” Morgana era molto entusiasta di quell’opportunità “Sia! In fondo, la Guardiana mi ha permesso di assorbire tutta quell’energia alla fiera della scienza, un favore glielo devo.” si voltò verso i bibliotecari “Bene, potete andare, accetto la proposta.”

“Ma noi no!” esclamò Flynn.

Jenkins non può sacrificarsi!” protestò Eve “Troveremo un’alternativa.”

“Questa è la più rapida e sicura.” sentenziò l’uomo “Andate. Signor Carson, la Biblioteca ha delle responsabilità, per le quali sono ben lieto di sacrificarmi.”

Flynn capì e, nonostante le proteste dei compagni, accettò quella soluzione.

“Molto bene, allora potete andarvene.” annunciò Morgana, estremamente compiaciuta “Enya, tu, ovviamente, resterai qui.”

“No, anche lei deve essere libera!” esclamò Jenkins.

Morgana rise, divertita e commentò, sarcastica: “Che tenero!”

Enya lo guardò mestamente e gli disse: “Non si preoccupi, va bene così.”

I bibliotecari e la guardiana, tristemente, uscirono salutando e ringraziando l’amico che affidò la propria spada a Flynn, raccomandandosi di custodirla con cura.

L’uscio si richiuso alle spalle di Jenkins, che spostò su Morgana il proprio sguardo pronto alla sofferenza.

Morgana ghignò soddisfatta.

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Capitolo 13
*** Confronti ***


L’atmosfera in Biblioteca era molto spenta e rattristata, ovviamente. Eve aveva deciso di portare i tre bibliotecari a bere o mangiare qualcosa fuori, per cercare di distrarsi un poco, anche se sarebbe servito a poco.

Flynn, intanto, era a riferire e discutere dell’accaduto con Judson e Charlene.

“Direi che il da farsi sia chiaro.” commentò Judson.

“Sì, salvare Jenkins.” disse Flynn “Devo solo capire come.”

“Oh, no, non era questo che intendevo.” ribatté l’uomo riflesso.

“Come?!”

“Lui ha deciso di consegnarsi per consentirvi di affrontare al meglio il Conclave è a questo che dovete dedicarvi.”

“Dovremmo abbandonarlo?” Flynn era incredulo e in disaccordo “Non posso accettarlo.”

“Non lo state abbandonando, semplicemente lo mettete al secondo posto. Dopo il Conclave potrete affrontare la questione di come liberarlo.”

“Dopo?! Potrebbe essere morto!”

“Ascoltami, Flynn, conosco Jenkins da quando era un bambino e l’ho visto compiere imprese e sopportare prove e fatiche alla portata solo di quegli uomini che raramente nascono, nel corso dei secoli. Lui ha avuto le sue glorie e ora sta facendo la sua parte in questo modo, tu non devi venire meno al tuo dovere.”

“Sì, ma per il Conclave Jenkins è fondamentale! Lui conosce tutto il protocollo, le procedure, i cavilli!”

Charlene intervenne: “Per quel genere di cose me la cavo perfettamente anch’io.”

Jedson sospirò e cercò un’atra strategia per persuadere l’uomo: “Tu ti saresti sacrificato per salvare i tuoi apprendisti?”

“Certamente!”

“E avresti voluto che loro portassero avanti l’operato della Biblioteca, giusto?”

“Sì.”

Jenkins ha fatto la medesima cosa. Flynn, salva la Biblioteca, salva il mondo! E forse riuscirai a salvare anche lui.”

“Morgana sembrava entusiasta, all’idea di averlo in proprio potere.”

“Oh, sì, lo torturerà, certamente; tuttavia lei odia una persona molto più di lui. Sono piuttosto sicuro che terrà in vita Jenkins finché non l’avrà usato per compiere un’altra vendetta.”

“Come puoi essere così tranquillo, Judson?!” chiese Flynn attonito e indignato.

“Non sono insensibile, credimi, ma sono abituato a questo genere di situazioni. Pensa al Conclave, o le sofferenze non saranno solo per Jenkins, ma per molti altri.”

Flynn sospirò, rassegnato, ma non convinto: “È la vecchia regola: a volte bisogna rinunciare a ciò che si vuole davvero e fare ciò che è giusto. Ma questa volta, che non è per me, ma per qualcun altro, è più difficile.”

Più tardi, il Bibliotecario, interrogato da Eve, le raccontò della riunione e le espresse le proprie perplessità. La donna ascoltò attentamente, anche lei era della medesimo opinione di Flynn, tuttavia disse: “Temo che, se tentassimo di salvarlo, lo stesso Jenkins si arrabbierebbe con noi.”

“Perché?”

“Quando abbiamo avuto a che fare con la fata Morgana e il suo software, io mi sono ritrovata davanti a due possibilità: uccidere lei, oppure andare a salvare gli studenti dagli effetti della regola del tre. Ho scelto di proteggere i ragazzi e, così, ho salvato molte vite, ma non solo ho permesso che Morgana sopravvivesse, ma anche le ho consentito di caricare enormemente i suoi poteri. Jenkins si arrabbiò moltissimo per questo. Mi accusò di aver salvato poche vite a fronte di quelle che avevo condannato e mi disse che se non avessi imparato a vincere le guerre, anziché le battaglie, nessuno di noi sarebbe sopravvissuto, in futuro. Adesso mi rendo un po’ meglio conto di quello che intendesse, sebbene non mi sia pentita di aver salvato gli studenti.”

“D’accordo.” annuì Flynn “Ho capito com’è fatto il nostro amico; rispetterò la sua volontà, anche se non condivido. Pensiamo al Conclave, manca solo una settimana; devo ricontrollare i discorsi da tenere.”

“Stone sta controllando i verbali dei precedenti Conclavi, per vedere che strategie siano state usate in passato e per cercare qualche spunto. Cassandra sta cercando dati, anche se non so bene dove e come, per fare calcoli statistici circa le conseguenze del ritorno della magia, l’impatto sulla Terra, sulle creature, le possibili reazioni degli umani davanti al soprannaturale etc. Riferiremo, ad esempio di come sia pericolosa la magia nelle mani degli uomini, anche alcuni dei casi affrontati dalla Biblioteca. Pensi che il minotauro, il libro di favole e la casa stregata possano bastare o citiamo più fatti?”

“Vedremo. Comunque, sì, penso sia più saggio sottolineare la dissennatezza umana, piuttosto che ricordare le malefatte degli esseri fatati. Almeno inizialmente teniamo questa linea, poi veremose sarà necessario modificarla oppure no. Ezekiel si sta occupando di qualcosa?”

“Secondo te?”

“Ottimo, allora digli di studiarsi le conflittualità, le controversie e ogni ostilità sorta tra le varie creature sovrannaturali.”

“Ho capito! Se faranno fronte comune contro di noi, troveremo il modo di far riemergere vecchie ruggini in modo tale che litighino tra di loro.”

“Esattamente: dividi et impera.”

“Perfetto, allora cerco Ezekiel e gli spiego il da farsi, magari gli darò una mano.” annuì Eve “Questa strategia mi piace e voglio prepararmi al riguardo. Dobbiamo dimostrare di conoscere le loro debolezze.”

“Ottimo, io ripasso le tecniche oratorie di Lisia e Demostene.”

 

Jenkins era stato rigettato in prigione, in un sotterraneo grande, freddo e scomodo, senza neppure un poco di paglia su cui poter riposare e con tanto umido da dare problemi alle ossa. I suoi vestiti era stracciati e macchiati di sangue. Non sapeva da quanti giorni era lì, poiché le torture fisiche e mentali, alternate a quei momenti di ridicolo riposo non gli avevano completamente offuscato e distorto la percezione del tempo. Il vero tormento per lui era tuttavia un altro: il sapere che quelle torture, in realtà, non erano altro che un passatempo, in attesa che Morgana decidesse che cosa realmente fare di lui.

L’uomo era rannicchiato nel proprio cantuccio, concentrato nell’usare qualche tecnica di auto guarigione e per isolare un poco la sua coscienza dal corpo, in modo tale da avere un poco di quiete.

Il rumore di passi lo destò dalla sua concentrazione, pensò che stesse arrivando un nuovo aguzzino. Vide Enya, vestita di bianco, con un piatto in mano, avvicinarsi a lui. Era la prima volta che la vedeva, da quando si era consegnato prigioniero a Morgana. Lei sembrava in salute, sana e avrebbe potuto parere radiosa, se solo la tristezza non le avesse velato gli occhi.

“È un’allucinazione?” chiese l’uomo.

“No, sono proprio io.”

“Morgana non le ha fatto nulla.” constatò Jenkins, sentendosi ferito “Era dalla sua parte fin dal principio? Ecco perché non aveva paura a sfidarla.”

“Non è andata così! Io realmente volevo aiutarla e l’ho seguita nell’impresa, sperando che la mia presenza mitigasse le prove a cui Morgana l’avrebbe sottoposta.”

“Avrebbe dovuto comunque subire delle conseguenze, se fosse vero quel che dice.”

Enya sospirò, si mise in ginocchio accanto all’uomo, gli allungò il piatto che teneva in mano e gli disse: “Le ho portato qualcosa da mangiare.”

“È avvelenato?!”

“No di certo! È a digiuno da cinque giorni, si sta indebolendo parecchio. Guardi, ho anche dell’acqua.” gli porse una borraccia rivestita di cuoio “Sarei venuta prima, ma Morgana non lasciava mai il castello; oggi è uscita, non so per quale commissione, e io sono potuta venire qui, in segreto.”

Jenkins prese la borraccia, l’aprì, l’annusò e infine bevve un lungo sorso, poi disse: “Grazie. Perché lo fa?”

“Perché sta soffrendo e ha bisogno di aiuto. Io non la conosco molto, ma quel poco di tempo che abbiamo trascorso assieme mi ha permesso di affezionarmi a lei, di volerle bene e ammirarla.”

“Parole strane, dette da un’alleata di Morgana.”

“Non sono sua alleata! Certo voglio bene a Morgana e conosco i suoi pregi, tuttavia sono consapevole anche dei suoi difetti e del caratteraccio che può avere, in certe occasioni, ma ha sofferto molto anche lei, in passato.”

“C’è una differenza enorme, tra le nostre opinioni sulle azioni della Fata.”

“L’abbiamo certamente conosciuta in situazioni, schieramenti e profili molto diversi.”

Enya, mi dica chi è, per favore.” Jenkins aveva iniziato a mangiare qualcosa dal piatto “Per me c’è troppo mistero su di lei e non riesco a capire come considerare lei e le sue azioni.”

La ragazza sospirò e disse: “Mi pare giusto, ha ragione; tanto più che ho scoperto la sua identità, non sarebbe corretto continuare a farle mistero delle mie origini.”

“Davvero sa chi sono io?”

“Sì, me lo ha riferito Morgana. Lei è Gahalad, il cavaliere che trovò il Sacro Graal, che sedette sul seggio periglioso; figlio di Lancillotto Del Lago, figlio di re Ban di Beonic e di Viviana Del Lago; mentre sua madre fu Elaine di Corbenic, figlia del Re Pescatore. Ho dimenticato qualcuno nella genealogia?”

“Nessuno di essenziale. Ora posso conoscere la sua?”

“Certamente. Il mio nome è Enya delle Orcadi, figlia di monsignor Galvano, il migliore dei cavalieri, figlio di re Lot delle Orcadi e di Morgouse, che fu sorella di Morgana e di Re Artù.”

“Ah! Ora capisco la sua incolumità!” disse Jenkins, quasi riuscendo a ridere “Nepotismo allo stato puro! Sì, Morgana ha sempre trattato come figli propri anche i suoi nipoti, nonostante essi fossero leali a Camelot. Dopo l’esilio e l’umiliazione, Morgana ordì numerosi complotti ai danni del re, della regina o dei cavalieri della Tavola Rotonda. Più di una volta Galvano si è trovato in pericolo, al posto di altri, a causa degli intrighi orditi da sua zia.”

Jenkins sospirò e rimase un poco in silenzio, ricordando quei tempi; poi gli balenò nella mente un pensiero, si voltò a scrutare la ragazza e le chiese con stupore contento: “Se il suo nome è Enya ed è figlia di monsignor Galvano significa che sua madre è Nimue Del Lago, figlia di Viviana Del Lago?!”

“Esattamente.” gli rispose la ragazza, sorridendo dolcemente.

“Il che, allora, significa che siamo cugini!”

Lei annuì, poi specificò: “Per metà, visto che solo la nonna è in comune e non il nonno.”

“via, possiamo darci del tu, allora! È dai tempi della caduta di Camelot che non ti vedo e non ho tue notizie, ero convinto fossi morta! Nonostante il nome e l’aspetto famigliare non ti avevo riconosciuta.”

“Ero con le dame che, assieme a Morgana, trasportarono il corpo di re Artù ad Avalon e sono rimasta là per un bel po’ di anni terrestri, a quanto pare.”

“Un giorno ad Avalon equivale ad un anno sulla Terra … Dunque, hai effettivamente ventiquattro anni e non secoli e secoli come me.”

Gli occhi di Enya si colmarono di lacrime e mormorò: “Mi dispiace così tanto!”

“Cosa? Non avere secoli e secoli di età?” scherzò Jenkins.

“No, per quello che ti stanno facendo!” si strinse a lui “Vorrei aiutarti di più ma non so come fare.”

L’uomo l’abbracciò, per quanto il dolore glielo permettesse e le disse: “Sono certo che qualcosa ci verrà in mente.”

“Oh, accidenti, scusami! Dovrei essere io a fare coraggio a te e, invece, sei tu a confortare me. Scusa!”

“Beh, se vuoi confortarmi, delle parole che mi farebbero bene, sono quelle di Anfrido alla fine della scena prima dell’atto terzo dell’Adelchi. Le conosci?”

Enya annuì e recitò a memoria: “Reale amico! Il tuo fedel t’ammira e ti compiange. Toglierti la tua splendida cura non poss’io, ma posso teco sentirla almeno. Al cor d’Adelchi dir che d’omaggi, di potenza e d’oro sia contento, il poss’io? Dargli la pace de’ vili, il posso? E lo vorrei, potendo? Soffri e sii grande: il tuo destino è questo, finor: soffri, ma spera: il tuo gran corso comincia appena; e chi sa dir, quai tempi, quali opre il cielo ti prepara? Il cielo che re ti fece, ed un tal cor ti deide.

“Ecco, mi sento già meglio. Grazie.”

Enya gli fece una carezza poi, malinconica, disse: “Avrei voluto liberarti, mentre Morgana sarà al Conclave per rappresentare Avalon; ma lei vuole che la segua.”

“Non ha importanza. Tra quanto sarà il Conclave?”

“Tre giorni. Vuoi che porti un tuo messaggio a qualcuno?”

“Se ne avrai l’occasione, conforta i bibliotecari.”

“Lo farò.”

“Adesso, va via. Non che mi dispiaccia la tua compagnia, ma se Morgana dovesse tornare, non credo che ti perdonerebbe anche questo.”

“Dammi almeno il tempo di curarti le ferite più gravi.”

“No, Morgana se ne accorgerebbe e non voglio che accada. Hai già lenito gli squarci del mio animo e va bene così.”

“Mi sembra di non aver fatto nulla.” si rammaricò la giovane.

“Non hai idea di quanto faccia bene ai carcerati ricevere visite. Va!”

Enya annuì ma, prima di alzarsi, per non più di un secondo e mezzo, diede un bacio sulle labbra dell’uomo, poi si alzò e uscì dalle prigioni.

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Capitolo 14
*** Conclave, parte I ***


Venne il primo giorno del Conclave.

Ezekiel era stato molto sorpreso: lui immaginava che quello che aveva arbitrato fosse stato un normale Conclave, non si era reso conto che quello, improvvisato, era stato poco più di una riunione. I veri Conclavi erano fatti in gran pompa e richiamavano molti più rappresentanti.

In Biblioteca erano arrivati almeno un centinaio di diplomatici e a ciascuno era stato assegnato un alloggio, cercando di tenere vicini le creature affini tra di loro. In una stessa zona, dunque, si potevano trovare Lady Sililandria delle Legioni Fatate, la Fata Morgana portavoce di Avalon, Maatali e Tilottama che rappresentavano i Gandharva e le Apsara e ancora altri esseri riconducibili alla categoria degli elfi, dei folletti, delle fate e delle ninfe. Altrove si trovavano i rappresentanti di singoli e veri e propri regni, come Cuchlann del Regno di Ferro, Elatha per i Fomori, gli emissari di Raksasa, Yaksa, Asura, Daiva, Nani. Non mancavano, poi, i rappresentanti di vampiri erinni, empuse, licantropi, altre specie di uomini-animali, i geni, dei draghi e molti altri ancora. Lungo e difficile sarebbe elencare tutti quanti i convenuti. Non mancava neppure Dulaque, ovviamente.

La mattinata trascorse con l’arrivo di tutti i membri, la loro sistemazione negli alloggi e la lettura dei punti del Conclave precedente.

Dopo pranzo si aprì il dibattito. Flynn, in qualità di arbitro, fu il primo a parlare: “Questo è un Conclave molto particolare e delicato. La discussione verterà circa la possibilità di prendere provvedimenti ed eventualmente quali, ora che la magia è ritornata nel mondo; in particolare tratteremo dei rapporti con gli umani.”

“Di conseguenza” intervenne Dulaque, che voleva porsi subito come condottiero dell’opposizione “Sarà probabilmente necessaria una revisione delle funzioni della Biblioteca. Voglio che venga messo a verbale.”

“Non si preoccupi, ogni parola pronunciata in questa sede verrà trascritta.” lo rassicurò il Bibliotecario e accennando a Charlene che, penna in mano, prendeva nota di tutto come una stenografa.

“Bene, se non ci sono altre precisazioni, comincerei il dibattito.” proseguì Flynn “Per prima cosa vorrei che ognuno di voi o, per lo meno, chi lo desidera, esprima una propria opinione o posizione sull’argomento. In base a ciò che emergerà inizieremo la discussione vera e propria. Chi vuole la parola per primo?”

“Io.” si prenotò subito Dulaque, mettendosi in piedi “Mille anni fa, dopo lunghi conflitti di cui tutti noi, o quasi, abbiamo memoria, ritenemmo che la magia, la presenza delle creature sovrannaturali e le nostre questioni mettessero a repentaglio la sicurezza di questo mondo. Volendo proteggere gli umani e il pianeta, decidemmo di sottrarre la magia al mondo e ritirarci noi stessi nell’ombra o in altri piani dimensionali, più o meno artificiali. Quali sono stati i risultati della nostra decisione? Il mondo è migliorato? L’umanità è progredita, ha smesso di guerreggiarsi? Non mi risulta. Per millenni, gli uomini hanno usato come armi spade, lance, frecce, mazze, frombole al massimo; poi, chi conosceva le arti magiche, tal volta le impiegava anche nel combattere. Poco dopo che il mondo perse la magia, che cosa accadde? Sono spuntate le prime armi da fuoco, i cannoni e poi fucili, pistole, mitraglie, sempre più micidiali! Bombe. Bombe atomiche. Ora hanno anche armi batteriologiche, gas venefici, armi ad ultrasuoni e non so che altro! Ci sono state guerre in continuazione, guerre civili, guerre mondiali, rivoluzioni, genocidi, massacri, quasi sempre causati esclusivamente dal desiderio o bisogno di ricchezze. Con la venuta dell’era industriale, è sorto il problema dell’inquinamento, sempre più grave, dello sfruttamento feroce degli operari e della loro degradazione da lavoratori a strumenti di lavoro. Perché, allora, dovremmo privarci del diritto di abitare sulla Terra, di attingere alla magia, quando gli umani sono così bravi a distruggersi da soli, senza bisogno di ricorrere al soprannaturale? Abbiamo lasciato il mondo in mano agli umani per appena un millennio e loro lo hanno portato alla rovina! Per quanti millenni la magia e voi creature sovrannaturali avete vissuto e condotto questo mondo? Talmente tanti che neppure i più anziani e longevi di voi ne hanno memoria. Le guerre c’erano anche allora, il sangue veniva versato, ma mai e, ripeto, mai si era arrivati sull’orlo della catastrofe e dell’annichilimento, così come hanno fatto gli umani da soli. Riportare la magia nel mondo, ritornare noi nel mondo significherebbe riprenderci in mano la responsabilità del pianeta, della nostra casa universale, e salvarlo e illuminare e guidare gli umani. Non si può più attendere.”

Dulaque si rimise a sedere, soddisfatto del proprio esordio e certo di aver catturato il favore dei presenti.

Parlò allora Morgana: “Io sono un’umana o, almeno, sono nata come tale. Ebbi la fortuna di crescere in una ricca e nobile famiglia e avere dunque la possibilità di scegliere cosa fare della mia vita, possibilità oggi maggiormente diffusa. Avrei potuto essere una cantante, una ricamatrice, suonare uno strumento, amministrare il maniero, prendere i voti e tante altre strade avrei potuto imboccare. Io ho scelto la magia, io ho deciso di dedicarmi allo studio di incantesimo e del funzionamento del tutto, ho dedicato tutta la mia vita, la mia esistenza alla magia e non c’è bisogno ch’io elenchi i miei risultati. La magia è stata messa al bando, perseguitata anche nelle sue forme più semplici, additata come dannosa per l’umanità prima e poi addirittura considerata come arte infernale. Tutto ciò, però, non è bastato a cancellare la magia dalla coscienza umana, il suo spirito e il suo desiderio sono rimasti vivi negli uomini e nelle donne. Questa è un’ulteriore prova che essa è insita nella creazione, è naturale e spontanea e merita di essere nuovamente accolta e diffusa sulla Terra e non tenuta nascosta come se fosse qualcosa di orribile. La magia è bella, ci rende migliori, basta freanrla!”

Prese allora la parola Cuchlann che con fare serio disse: “Degli umani, esseri deboli e inferiori a chiunque di noi, con qualche raggiro ci hanno convinto che fosse bene che abbandonassimo la Terra, che ogni razza o regno si ritagliasse il suo spazio dimensionale e vivesse lì, separato da tutto il resto e da tutti gli altri. Per creare queste dimensioni artificiali dove essere esiliati, si è sacrificato il grande Mago Merlino che da mille anni si trova in catarsi per infondere energia ai nostri mondi, per permetterne l’esistenza ed evitare che collassino. Chi ha guadagnato in tutto ciò? Gli umani! Noi, migliori e più forti, ci siamo ritrovati esiliati e in difficoltà, isolati gli uni dagli altri, poiché solo pochi potenti possono agilmente viaggiare tra queste dimensioni. Gli umani, invece, deboli e patetici, hanno prosperato e gozzovigliato a nostre spese. Io dico che è ora di riappropriarci della Terra, dei nostri diritti e del nostro potere. Che i più grandi dominino, mentre i deboli servano!”

Si alzò, allora, il rappresentante degli spettri che dichiarò di volere il diritto di infestare case e luoghi, senza che si cercasse di esorcizzarli o scacciarli.

Maatali dei Gandharva aggiunse: “Noi vogliamo libera circolazione per tutte le creature in ogni luogo e siamo contrari al fatto che la Biblioteca si appropri di manufatti, sottraendoli ai loro legittimi proprietari oppure decidendo, arbitrariamente, che siano pericolosi.”

Uno dei rappresentanti dei draghi dichiarò: “Sono d’accordo su questo punto, ma aggiungo che non voglio che gli umani possano accedere alla magia, sono troppo stupidi e non la capiscono. La magia deve essere appannaggio nostro.”

“No,  dev’essere diffusa e circolare e trasformare gli umani in esseri come noi!” diceva, invece, uno Yaksa.

Molti espressero la propria opinione in termini a volte simili, a volte molto differenti tra di loro. Dopo quasi un’ora trascorsa in questo modo, Enya, che era lì come semplice auditrice, si alzò in piedi e disse: “Sono Enya delle Orcadi, non rappresento che me stessa, ma chiedo che mi sia concessa la parola in questo dibattito.”

“Io le riconosco il diritto di intervenire.” affermò subito Elatha, seguito poi sia da Morgana, sia da Dulaque, sia da altri.

Ottenuto così il diritto di parlare, la giovane disse: “Finora, quello che ho sentito sunt verba et voces, praetereaque nihil. Alcuni hanno parlato di questioni di potere, altri di libertà, altri di benessere o giustizia. Alcuni hanno considerato la magia come una vocazione, altri come uno status, altri ancora come un mezzo. Io vi chiedo: come potete prendere delle decisioni sulla magia, se prima non stabilite che cosa sia la magia? O almeno come la volete considerare in questo momento? Credo che non si verrà mai a capo della faccenda, se ognuno continuerà ad usare la stessa parola per definire cose differenti. Io ho sentito, prevalentemente, tre concezioni differenti della magia, nei vostri discorsi: strumento, il potere di intervenire sulle cose; energia che sorregge il mondo; fusione della coscienza con il tutto e mezzo di progressione spirituale. Indubbiamente la magia è tutte e tre queste cose, ma ognuna di queste tre concezioni ha implicazioni differenti. Accantonando momentaneamente l’idea semplice di energia e, soffermandoci solo sull’aspetto spirituale e pragmatico, a mio avviso abbiamo questi due panorami: non si può negare a nessuno la possibilità di progredire, anzi, sarebbe dovere di ciascuno migliorare ed evolversi; un grande potere, come quello che conferisce la conoscenza della magia, deve essere controllato, poiché in mano a stolti o deboli d’animo, può essere mal utilizzato. L’impiego della magia, nel bene o nel male, dipende dalla virtù e dai vizi di chi la esercita. Che cosa misera è l’umanità, se non sa elevarsi oltre l’umano; scriveva Seneca. Non si può realmente privare il mondo dalla magia, non solo perché gli uomini, nonostante la scienza, continueranno a crederci, ma anche perché ogni volta che un uomo o una donna progrediscono di un passo nel sentiero spirituale, essi si avvicinano alla magia. La magia è quell’energia che è in tutto e facendola emergere in noi, possiamo poi sentire quella esterna e dunque cerchiamo di manipolarla, per poi capire che tra noi e fuori non c’è separazione. Non sempre c’è consapevolezza nello scoprire ed utilizzare la nostra energia, spesso essa emerge, stimolata dai desideri, anziché dalla volontà. I desideri che non sono altro che parassiti che si attaccano alla nostra anima. La magia è divina, quando consapevole, è diabolica quando è direzionata dai desideri. Questo è quanto di oggettivo si possa dire sulla magia ed è ciò che dovete considerare, quando ne parlate. È mia opinione, invece, che la magia sia come la verità. La verità può fare più o meno male, a seconda di quanto lo spirito di chi ascolta sia pronto ad accoglierla e comprenderla. Avete tutti presente il mito della caverna di Platone. La verità deve essere celata alle folle a chi non è pronto a sostenerla, ma deve essere alla portata di chiunque ne sia degno. La verità vuole essere scoperta, ma non volgarizzata. Allo stesso modo, io credo, si comporta la magia.”

“Quindi è favorevole o contraria al ritorno della magia e alla diffusione tra gli umani?” chiese Lady Sililandria.

“Favorevole a non impedire nuovamente alla magia di vibrare nel mondo. Per quanto riguarda la diffusione, penso che soltanto persone consapevoli e libere dal desiderio e dalle passioni possano accostarsi degnamente alla magia, ma allo stesso tempo so che essa cadrà ugualmente in mani sbagliate che abuseranno del potere. È giusto che ci sia qualcuno che intervenga contro costoro, ad esempio potrebbe occuparsene la Biblioteca. Io, tuttavia, non ho nessun diritto di voto, in questo Conclave.”

Alcune entità presenti parevano concordare con le parole di Enya, altre invece rimanevano di differente parere. Il dibattito continuò con la raccolta delle varie opinioni che da lì in poi tennero conto della definizione di magia data dalla ragazza, pur arrivando a conclusioni differenti. Poco prima di sciogliere la seduta per quel primo giorno di Conclave, arrivarono a stabilire il programma delle discussioni successive. Il mattino seguente avrebbero discusso della presenza della magia nel mondo, dopo aver preso una decisione al riguardo, avrebbero affrontato la questione della collocazione degli esseri sovrannaturali; poi sarebbe stata la volta della scelta di concedere o meno e in che misura la magia agli umani; infine si sarebbero decise le sorti della Biblioteca.

Avendo così organizzato i futuri lavori, la riunione si sciolse e i vari rappresentanti si ritirarono nei loro alloggi per poi cenare e riposare.

Flynn e i suoi compagni non erano ben certi se considerare l’esito della giornata positivo o negativo. Tutti quanti si erano messi al lavoro per scegliere e studiare che cosa dire il giorno seguente. L’approvazione di mantenere la presenza della magia nel mondo pareva scontata. Il Bibliotecario avrebbe voluto impedirla ma, parendogli inevitabile, pensava di appoggiarla anche lui, in modo tale da non sembrare contrario a tutto ed interessato solo alla Biblioteca: se si fosse mostrato imparziale, avrebbe avuto maggior credito.

Un altro dei pensieri che aveva turbato i bibliotecari, era la presenza di Enya, tanto più in compagnia di Morgana; non sapevano che opinione avere al riguardo, in generale erano infastiditi, poiché pareva loro una traditrice e bugiarda.

Ezekiel si era stufato a restare tutto il giorno in Conclave e, alla sera, non aveva certo voglia di restare ancora chiuso in una stanza a sfogliare plichi e preparare discorsi. Era incuriosito dalle varie razze che aveva visto quel giorno e ancor di più dai loro bagagli. Il ladro decise di gironzolare un poco per le zone degli alloggi, fare un po’ di pubbliche relazioni e scoprire se ci fosse qualcosa di prezioso.

Mentre così si aggirava, Ezekiel si imbatté in Dulaque che gli disse: “Avevo proprio bisogno di parlare con qualcuno della Biblioteca. Vieni, parliamo a quattr’occhi.”

Il ladro non era entusiasta, ma seguì Dulaque in una zona del corridoio, poco distante dalla folla; lì l’uomo gli chiese: “Come mai oggi Jenkins non era presente? Dov’è?”

“Perché ti interessa?” si stupì Jones.

“Mi sorprende che non ci sia. O gli avete affidato un altro incarico, oppure gli è successo qualcosa. Voglio sapere.”

“Come mai?!” insisté Ezekiel “Nel caveau della setta gli hai salvato la vita, ora ti preoccupi per lui; perché?”

Dulaque inarcò le sopracciglia qualche istante, poi disse con tranquillità: “Perché è mio figlio.”

Jones rimase senza parole, esterrefatto, incerto se credere o meno a quelle parole.

“Allora” lo incalzò Dulaque “Dove si trova? Come sta?”

“Lo vorrei sapere anch’io.” si riprese Ezekiel “Temo che l’unica a saperlo sia Morgana e, forse, la ragazza che è con lei, Enya.”

Dulaque sgranò gli occhi e il suo volto fu colto da un misto di rabbia e preoccupazione, poi si voltò e si allontanò velocemente. Si recò nei pressi degli alloggi dei Fomori, lì attese, nascosto, per quasi due ora. Quando, finalmente, vide Enya uscire dalla stanza di Elatha, la seguì furtivamente finché non si fu un poco allontanata e, allora, le balzò contro e la spinse contro la parete, molto minacciosamente.

Quando ebbe riconosciuto l’aggressore, Enya si lamentò: “Non è necessario che ti comporti così ogni volta che vuoi parlarmi a quattr’occhi!”

“Che cosa sai di Jenkins?” chiese glaciale e terribile Dulaque.

Enya capì la situazione e, mesta, rispose: “È prigioniero di Morgana.”

“Cosa …?!”

La ragazza raccontò com’erano andate le cose e, poi, concluse: “Mi dispiace tremendamente. Io vorrei fare qualcosa, ma Morgana è troppo potente! Sono riuscita a vedere Gahalad solo un paio di volte, da quando è stato rinchiuso e … e … Lui è magnifico, nonostante tutte le torture e umiliazioni, riesce a rimanere sereno, imperturbabile. Si vede la sofferenza nel corpo, ma non nel suo spirito. Non so come faccia, è straordinario.”

Dulaque, a quelle parole, sembrò provare orgoglio.

Enya continuò: “Secondo te, unendo le forze io e te, potremmo liberarlo?”

“Con un buon piano, è possibile. Dimmi, però, come posso fidarmi di te? Come faccio ad essere certo che non sia una trappola di Morgana?”

“Non ne ho idea.”

“Io una l’avrei.” Dulaque aveva un’aria subdola “Akh, Ba, Ka. Sai che cosa sono, vero?”

“Tre delle varie componenti della parte extracorporale secondo la tradizione egizia.” rispose la ragazza, confusa.

“Sai anche che esiste la possibilità di ancorare una di queste componenti ad una statuetta?”

“Sì; gli egizi lo facevano per garantire una sorta di corpo terreno all’anima, dopo la morte, nel caso la mummificazione non fosse stata sufficiente.”

“Brava, ma è un rituale che può avere anche altri scopi. Scegli uno tra Akh, Ba e Ka e confinalo in un oggetto che poi mi consegnerai a garanzia della tua lealtà. Quando Gahalad sarà libero, io ti restituirò il pegno.”

Enya si soffermò a riflettere: lei voleva realmente liberare Jenkins e non voleva ingannare Dulaque, dunque non avrebbe avuto da temere da quell’accordo, se non fosse stato che il rituale non era reversibile e quindi per sempre una parte della sua anima sarebbe stata legata ad un oggetto. Temeva che ciò l’avrebbe resa più vulnerabile, sebbene sapesse che molti maghi erano ricorsi a quel tipo di rituale, ottenendo benefici.

“Ebbene?” incalzò una risposta Dulaque.

“D’accordo.” si arrese la giovane “Impegnerò il mio Akh.”

“Molto bene. Voglio essere presente, durante il rituale, per accertarmi che non ci siano inganni.”

“Domani notte, allora.”

 

Nel frattempo, Ezekiel, attonito, era tornato nella stanza dove Flynn e gli altri si stavano organizzando per il giorno seguente.

“Ho appena avuto una notizia che probabilmente è falsa, ma ve la devo assolutamente dire, perché è davvero troppo strana!” annunciò il ladro, dopo aver richiuso la porta dietro di sé.

“Che cosa succede?” chiese Cassandra.

“Ricordate quando io vi dicevo che nel caveau Dulaque aveva salvato Jenkins e voi non mi credevate, dicendo che avevo sicuramente visto male? Beh, meno di cinque minuti fa, Dulaque mi ha chiesto perché Jenkins non fosse con noi. Gli ho chiesto perché si preoccupasse così tanto per un suo nemico e sapete cosa ha risposto? Che Jenkins è suo figlio! Vi rendete conto?!”

“Ti prendeva in giro.” commentò Stone “Non voleva risponderti e ti ha dato una risposta a caso.”

Jenkins e Dulaque hanno più o meno la stessa età.” osservò Cassandra “Non è matematicamente possibile che siano padre e figlio.”

“Questo lo so anch’io!” ribatté Ezekiel “Quello che voglio dire è che comunque deve esserci qualcosa che ancora non sappiamo su di loro e, sinceramente, vorrei proprio scoprire cosa sia!”

“Lo chiederemo a Jenkins, dopo che lo avremo liberato, dopo aver risolto il Conclave.” tagliò corto Flynn.

Quando, più tardi, lui ed Eve furono soli, il Bibliotecario tornò sull’argomento: “Sai, quello che ci ha raccontato, prima, Ezekiel, mi ha colpito. Loro non sanno nulla, ma per noi che sappiamo che Dulaque è in realtà Lancillotto, può essere plausibile che Jenkins sia suo figlio.”

“Oh, mi pare impossibile!” esclamò Eve, ritenendo la faccenda assurda.

“Lo so, secondo la tradizione Gahalad, dopo aver bevuto dal Graal, è asceso al cielo, però le opere letterarie non sono affidabili al cento per cento e …”

“Fermo! Stai davvero ipotizzando che Jenkins, il nostro Jenkins, fosse un cavaliere di re Artù?! Effettivamente spiegherebbe la sua conoscenza dei pettegolezzi di Camelot e il suo rapporto conflittuale con Morgana.”

“È tuttavia vero che Lancillotto ha i suoi millecinquecento anni” ragionò Flynn “Il che significa che potrebbe aver avuto altri figli; è un uomo che piace parecchio alle donne di tutte le razze, da quello che ho capito. Dobbiamo chiedere a Charlene, lei lo conosce da tempo.”

“Sta dormendo, adesso.”

“Scriviamoci un promemoria.”

“Ma se fosse vero?” domandò  Eve “Se fosse realmente figlio di Dulaque, ci fideremmo?”

Judson si fidava di lui, nonostante fossero in disaccordo.”

“Lo teneva, però, in una sede secondaria e non ti aveva mai parlato di lui.”

“Era lo stile di Judson.”

Eve pensò qualche momento e poi disse: “Sì, dopo come ha agito al Telaio del Fato, sarebbe ingiusto dubitare di lui, indipendentemente da chi sia suo padre.”

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Capitolo 15
*** Conclave, parte II ***


Il secondo giorno del Conclave, come era stato facilmente previsto da Flynn, la mozione per il mantenere la presenza della magia nel mondo passò immediatamente all’unanimità. Le ore successive furono impegnate nell’accesa discussione circa se le creature sovrannaturali potessero o meno tornare a popolare il mondo. Ovviamente tutti quanti avevano il desiderio di non essere più confinati nei loro regni infradimensionali e reclamavano a gran voce il diritto di tornare a vivere sulla Terra.

Flynn, allora, aveva proposto che le creature potessero sì vivere nel mondo, ma non avere proprie società organizzate e che dovessero adeguarsi e rispettare le leggi e gli usi dei posti in cui avessero deciso di stabilirsi. In pratica proponeva che le creature fossero innanzitutto cittadini, al pari degli esseri umani. Questa proposta irritò diversi dei presenti: alcuni ritenevano offensivo il doversi sottomettersi alle autorità statali umani, altri rivendicavano fieramente il loro diritto di proprietà su vari territori, in virtù di antiche origini e altre pretese simili.

I bibliotecari, allora, misero in atto la tattica del rievocare vecchie ruggini tra i vari popoli e le razze; iniziarono a citare conflitti passati e rivendicazioni, mettendo così in evidenza quanto sarebbe stato difficile e burrascoso cercare di assegnare a ciascuno un territorio.

Alla fine della giornata, con una risicata maggioranza e molte astensioni, si approvò la mozione che manteneva l’esistenza di regni infradimensionali e che consentiva alle creature sovrannaturale di vivere sulla Terra come cittadini. Eccezione era fatta per i Fomori, creature di magma, ninfe d’aria e abitanti del piccolo popolo che decidessero di risiedere (come in alcuni casi già avveniva) rispettivamente nelle profondità dell’oceano, nei vulcani, tra le nuvole e nel cuore di foreste non frequentate dagli umani.

Era una di quelle decisioni equilibrate ed eque e che, dunque, lasciano scontenti in molti poiché, mediando tutte le posizioni, non ne soddisfano nessuna.

Questa discussione mise in evidenza quanti attriti ci fossero tra le varie comunità e quanto fossero aggressive, arroganti ed insoddisfatte alcune di esse.

Si concluse così il secondo giorno di Conclave e si passò al terzo. La questione di come regolare il rapporto tra la magia e gli umani sollevò altre grandi divergenze di opinioni: c’era chi sosteneva che concedere la conoscenza della magia agli umani era il solo modo per gli esseri sovrannaturali di vivere realmente liberi; c’era chi non voleva diffonderla per evitare che gli uomini ne abusassero e creassero problemi e chi la voleva negare per paura che gli uomini diventassero troppo potenti; altri pensavano a vie di mezzo; c’era anche chi rimaneva indifferente.

Arrivati a sera, si decise di rimandare la votazione al giorno successivo, concedendosi la notte di tempo per formulare con esattezza le mozioni.

Data la pesantezza di quegli ultimi giorni e il gran lavoro di preparazione fatto nelle ultime settimane, Flynn decise di concedere ai ragazzi una serata libera dal dover preparare discorsi. Avevano già ben chiare le posizioni da tenere circa la magia e gli umani e il Bibliotecario prevedeva che quella discussione avrebbe impegnato almeno tutta la mattina seguente.

Per quanto riguardava l’ultima questione di cui avrebbero discusso, quella relativa alle sorti della Biblioteca, Flynn e gli altri avevano già studiato differenti tattiche, ma avrebbero scelto quale usare solo dopo aver constatato che clima ci fosse al riguardo.

Serata di relativo riposo, dunque.

Flynn aveva deciso di uscire dalla sede e prendere una boccata d’aria fresca: non ne poteva più di stare bloccato tra quattro mura. Era fuori a sgranchirsi un poco e faceva esercizio per allentare la tensione di quei giorni e liberare un poco la mente.

Era trascorsa già mezz’ora, quando sentì la voce di Dulaque chiamarlo: “Bibliotecario, devo complimentarmi con lei, sta arbitrando veramente bene questo Conclave. Sta rendendo veramente fiero Yehuda.”

Flynn, che prima si era voltato con fare nervoso verso l’uomo, mutò espressione, nel sentire quel nome. Il fastidio e la rabbia erano svaniti in un attimo per far spazio allo sbigottimento più totale: erano anni che non sentiva quel nome.

“Come ha detto?” chiese il Bibliotecario, parecchio confuso.

“Ho detto che Yehuda, il primo Bibliotecario, è sicuramente fiero di lei e del suo operato.”

“Mi stupisce che lei conosca quel nome … e che ne parli al presente.”

“Perché mai? Non lo vedo da tanto tempo, ma lo conosco molto bene. Non mi ha stupito che abbia disancorato la Biblioteca dalla nostra dimensione, sentendosi minacciato; per fortuna che lei l’ha riportata indietro, sarebbe stato un vero peccato se tutti quegli artefatti fossero rimasti dispersi.”

Flynn era ancor più perplesso di prima: “Aspetti, questo l’ha fatto Judson.”

“E io cos’ho detto?”

Il Bibliotecario rimase in silenzio, pensoso, ricordando i giorni passati a New Orleans, il quadro che aveva visto e le parole di Simon.

“Non dice nulla?” riprese Dulaque, dopo qualche momento “Allora? Non mi dica che non ne era a conoscenza!”

“Di cosa, esattamente?”

Dulaque sorrise con aria trionfante e rispose: “Yehuda, che ora ha modernizzato il suo nome in Judson, è lui il primo Biblioteca, quello che ha messo in piedi tutta questa baracca … Lo ignorava?”

“Io … beh, ecco … Lo avevo sentito dire …” farfugliò Flynn.

“Ma lui ha negato? Tipico. Menzogne, sotterfugi, nascondere la verità … ecco in cosa è specializzata questa Biblioteca che inganna perfino i suoi più stretti dipendenti.”

Flynn stava ancora ricordando i dialoghi avuti con Simon, quando lui si era sorpreso che lei custodisse qualcosa che non capisse e lei aveva ribattuto, ricordandogli che anche lui faceva altrettanto.

“Che cosa sa, lei, della Biblioteca?” chiese con tono aspro Flynn.

“Molto più di quanto ne sappia lei, a quanto pare. Se lo desidera, le racconterò una storia molto  interessante.”

Il Bibliotecario, incerto, decise di avvicinarsi all’uomo e ascoltare quanto aveva da dirgli.

“Partiamo da duemila anni fa. Lei è religioso, Flynn?”

“È una questione complessa da definire, diciamo che …”

“La Bibbia, i vangeli, i testi apocrifi, li conosce vero?”

“Sì, sì, certo ho studiato anche letteratura cristiana antica e …”

“Bene, allora, saprà che perfino nei vangeli sono nominati più volte i fratelli di Gesù.”

“Certo, considerati fratelli dalla chiesa protestante, fratellastri dagli ortodossi, cugini per i cattolici.”

“Li ricorda i nomi?”

“Giacomo il Giusto, che guidò la Chiesa dei primi anni assieme a Pietro, spesso in disaccordo con Paolo. Poi c’erano Giuseppe o Ioses, Simone e Giuda, ovviamente non Iscariota; presumibilmente erano tutti tra gli Apostoli. Continuo?”

“Sì. Concentriamoci su Giuda, mi dica cosa sa di lui?”

“Non si sa molto, le fonti sono poche e contraddittorie; si presume sia l’autore della Lettera di Giuda, testo che parla della lotta del bene e del male e che fa riferimento a scritti non canonici come il Libro di Enoch oppure L’assunzione di Mosè. Non capisco, però, che cosa c’entri tutto questo!”

“Non lo capisce? Domanda semplice, come suona in ebraico il nome Giuda?”

Yehuda … … Yehuda!” Flynn era spiazzato, poi chiese conferma: “Sta insinuando che Judson sarebbe stato il fratello di Gesù? No, no, impossibile! Judson è morto, cinque anni fa! Lei vorrebbe ch’io creda che un uomo di duemila anni improvvisamente muoia? … Ok, questo potrebbe essere anche logico, ma pure no … Mi sto confondendo.”

“Le schiarisco io le idee: il nostro amico Judson, temendo che lei scoprisse la verità, ha finto la propria morte per non insospettirla.”

Flynn si rabbuiò e fu attraversato da un fremito di rabbia e urlò: “No, no!”

“L’ennesimo inganno.” annuì Dulaque compiaciuto.

“Ci sono prove che quel che dice sia vero?” ribatté il Bibliotecario, che non voleva credere che la verità gli fosse stata nascosta.

“Certamente. Venga con me.”

Flynn, incerto, seguì Dulaque all’interno della Biblioteca; si accorse con stupore che l’altro uomo sapeva esattamente come muoversi all’interno di quelle stanze e corridoi quasi labirintici. O almeno ebbe questa impressione finché non si trovarono in un vicolo cieco; tuttavia, un attimo dopo, Dulaque toccò alcuni mattoni in una precisa sequenza e la parete si ritrasse, aprendo un passaggio.

Flynn fu sbalordito: non aveva mai visto quel corridoio prima!

Dulaque continuò a fare strada e portò il Bibliotecario in uno studio. Bastò una rapida occhiata per rendersi conto che quello era l’ufficio di Judson: cimeli personali che avevano un valore sentimentale e non erano certo artefatti e ritratti di lui in compagnia di altre persone risalenti a varie epoche.

Flynn si aggirò, esterrefatto, per l’ufficio: era come se il suo mondo si stesse sgretolando, non poteva sopportare che Judson, che era stato come un padre per lui, gli avesse mentito.

Dulaque si era soffermato davanti ad un particolare ritratto, in cui Judson era raffigurato con abiti del sesto secolo, seduto su un letto e con una coscia sanguinante.

“Ecco, era così, quando lo conobbi io.” disse Dulaque.

Flynn si avvicinò ad osservare il quadro e si accorse della presenza, in un angolo, di tre donne che reggevano il Graal e la Lancia di Longino; gli parve che una di quelle dame assomigliasse molto a Charlene.

“Sa come si faceva chiamare, all’epoca?” domandò Dulaque, con la flemma del vincitore “Re Pescatore.”

“Cosa?!”

“Proprio così! Si era inventato la leggenda di Giuseppe d’Arimatea e dei suoi discendenti, in realtà aveva fatto tutto lui. Era andato in Britannia, sperando di distogliere l’attenzione dalla Biblioteca che, in quel periodo era ad Alessandria. Non era ancora in uno spazio extradimensionale, aveva un’esistenza fisica, per questo riuscimmo a distruggerla agilmente la prima volta, nel 642, confondendoci con gli Arabi … ma non parliamo di questo. Torniamo a quando l’ho conosciuto. Si faceva chiamare Re Pescatore, creava mistero attorno a sé e quando qualcuno conquistava la sua fiducia, allora gli raccontava la storiella di Giuseppe e si era inventato un’altra fandonia sulla Lancia di Longino. Diceva di essere stato ferito come punizione per i suoi peccati e che solo il cavaliere migliore, il più puro, il predestinato avrebbe potuto guarirlo, toccandolo con la punta della Lancia. Bugie! Voleva sfruttarmi per i suoi scopi, voleva prendermi nel suo teatrino come ha fatto con lei e molti altri. Io non mi sono lasciato ammaliare, mi sono rifiutato di diventare il suo burattino. Sa, allora, che cosa ha fatto Judson?”

“Cosa?”

“Ha aspettato che capitassi di nuovo nel suo Castello Avventuroso e incaricò sua figlia Elaine di sedurmi, ammesso e non concesso che fosse sua figlia. Ci riuscì, con non so quale stregoneria.”

“Assunse le sembianze di Ginevra.”

“No, quella è stata un’esagerazione letteraria. Non so se mi infatuai naturalmente o vittima di sortilegio. So solo che rimasi con lei alcuni mesi e lei rimase incinta. Così nacque Gahalad, che voi chiamate Jenkins. Finalmente Judson aveva quel che voleva: un eroe da plasmare come voleva lui. Praticamente lo crebbe a suo piacere, inculcandogli i suoi principi. Poi venne l’età della giovinezza, Gahalad uscì da quel castello, venne a Camelot, fu nominato cavaliere e iniziammo a comportarci come padre e figlio, per alcuni anni viaggiamo assieme a compiere imprese. Poi Gahalad, assieme a Pecival e mio cugino Bors, si imbatté nel Castello Avventuroso e lì furono tutti e tre suggestionati dalle finte leggende sulla predestinazione, legate al Graal e alla Lancia di Longino. Fu allora che persi mio figlio, poiché si lasciò entusiasmare dalle menzogne di Judson. Passarono gli anni e Morgana sfruttò il mio errore, il mio colpevole amore per la  regina, per provocare la caduta di Camelot. Da lì iniziò un periodo di cinquecento anni, pieni di battaglie, lotte e conflitti che si conclusero circa mille anni fa, quando venne stabilito lo status quo che è rimasto in vigore quasi invariato fino a questo Conclave.”

“Io … io non capisco! Perché non mi hanno detto la verità?! Sono qua da dieci anni, sono il Bibliotecario che è durato più a lungo! … sempre che sia vero, a questo punto … Perché non si sono fidati?”

“Non si fida di nessuno. Judson sa solo mentire e ingannare per manipolare chi si lascia abbindolare. Non si offenda, Flynn, come loro ci sono caduti in molto. Sa, il fascino di poter salvare il mondo, di vivere a contatto con tutto questo potere, ammalia quasi tutti. Judson fa leva su queste cose e su storielle che inventa per entusiasmare gli uomini o per aiutarli ad avere fiducia in sé, affinché affrontassero coraggiosamente le vicende che affidava loro.”

“No, non può essere.” Flynn si sentiva deluso, tradito e ingannato.

“La ferita del Re Pescatore era una menzogna. Judson ha finto di essere guarito dalla Lancia per ingannare Gahalad. È sicuro che non abbia fatto mai nulla del genere anche con lei?”

“No!” il Bibliotecario rifletté e con amarezza disse: “Dopo la mia prima missione … ho estratto Excalibur dalla roccia … Potrei essere stato davvero meritevole, visto quel che ho fatto in tutti questi anni.”

“Ragioni: di che roccia si trattava, se l’originale era protetta sotto Londra, come abbiamo recentemente visto di persona?”

“No! No!”

Flynn si sentì ancor più ingannato; d’improvviso, da eroe si sentì trasformato in burattino sfruttato. Si sentì svuotato da tutto. Volse le spalle e iniziò a correre fuori, lontano, lontano.

Dulaque annuì tra sé e sé e, soddisfatto, tornò nel suo alloggio.

 

Il giorno seguente, i bibliotecari si stupirono nel non trovare Flynn, erano confusi, ma sapevano che non potevano certo abbandonare il Conclave. Eve, preoccupata, incoraggiò i tre giovani a rimanere concentrati sulla discussione, assicurando che si sarebbe occupata lei di cercare Flynn.

Nessuno sapeva spiegarsi che cosa fosse accaduto.

Si riaprì il dibattito circa l’uso della magia tra gli umani; alla fine approvarono che la magia fosse diffusa solo segretamente e a persone selezionate con grande attenzione e formate severamente.

Si aprì, allora, l’ultima fase del Conclave, quella che avrebbe deciso le sorti della Biblioteca.

C’era chi proponeva di chiudere la Biblioteca e restituire i manufatti ai legittimi proprietari e suddividere quelli senza un padrone; Dulaque era invece del parere di rendere la Biblioteca una vera Biblioteca, ossia che fosse accessibile a chiunque e che tutti potessero consultare e adoperare il sapere e il potere ivi contenuti; atri ancora sostenevano che dovesse confermarsi nel suo ruolo di protettrice dagli abusi della magia. Tra quelli che sostenevano la seconda o terza opzione, molti richiedevano che il personale della Biblioteca fosse più numeroso e non solo umano, alcuni proponevano un Consiglio di Amministrazione.

Stone, Cassandra ed Ezekiel stavano facendo del proprio meglio per difendere il diritto all’autonomia, ma si trovavano parecchio in difficoltà.

Nel mezzo del dibattimento, fece irruzione, correndo nella stanza, uno dei servitori di Cuchlann, portando la spada Cadalbolg, affermando di averla trovata negli alloggi dei Raksasa. Il capo degli accusati affermò che erano stati quelli della Biblioteca ad inviargliela.

Ezekiel provò a spiegare che le cose non erano andate così, che c’era stato un complotto, ma le sue parole si persero nel caos. Stavano emergendo altre supposte appropriazioni indebite di manufatti. Dulaque avanzò l’accusa che i bibliotecari trafficassero segretamente con gli artefatti.

La confusione prese il sopravvento, non si poté più gestire il dibattito. Molti dei popoli e delle razze che si sentivano private dei loro manufatti legittimi erano le stesse che rivendicavano regni terreni e che mal sopportavano di doversi sottomettere alle leggi umane.

Non ci fu modo per i tre giovani, pur supportati da Charlene, di placare gli animi, di risolvere pacificamente la situazione. Un buon numero di rappresentanti abbandonò il Conclave, dichiarando che non riconoscevano più l’autorità di quella istituzione e che avrebbero agito secondo il loro volere e piacere. Di quelli che rimasero, alcuni diedero la propria lealtà alla Biblioteca e al Conclave, altri garantirono la propria neutralità, almeno per i primi tempi.

Un velo buio scendeva sulla Terra e in molti si risvegliava il ricordo di battaglie passate.

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Capitolo 16
*** Fuga ***


Il Conclave si era concluso nel modo peggiore, o quasi.

Morgana, che era portavoce di Avalon, aveva assicurato che quel regno sarebbe rimasto neutrale nel conflitto.

Lei personalmente, tuttavia, non se ne sarebbe rimasta con le mani in mano e avrebbe trovato il modo di guadagnare in un qualche modo dal conflitto. Non aveva deciso chi appoggiare, ma probabilmente avrebbe aiutato un po' una fazione, un po' l'altra e trarre vantaggio da entrambe.

Morgana era quindi tornata nella sua villa per aspettare qualche buona occasione e, intanto, divertirsi.

Dopo una bella dormita, la Fata si era svegliata di buon umore, pronta a dedicarsi alla tortura di Jenkins. Lo aveva lasciato tranquillo per tutti i giorni del Conclave e, quindi, riteneva di dover recuperare il tempo perduto. Decise di ricorrere a qualche classica tortura medievale, condita con un po' di supplizio mentale e qualche veleno per indebolirlo ulteriormente. A sera era molto soddisfatta.

Enya, invece, aveva passato la giornata nella propria camera, molto preoccupata, tanto che non riusciva a concentrarsi su nulla, se non sul progettare un'evasione.

Dopo cena, Morgana chiese alla nipote di farle compagnia in salotto e le chiese che cosa pensasse della piega che aveva preso il Conclave e parlarono anche di altre cose.

Enya aveva risposto cortesemente, cercando di nascondere il nervosismo. La giovane, infatti, aveva deciso di aspettare che Morgana si addormentasse e, poi, andare a trovare il prigioniero. Temeva che la zia la scoprisse, ma non poteva sopportare di lasciare solo Jenkins, dopo una giornata così dura.

Passò la mezzanotte e, finalmente, Morgana si ritirò. Enya si recò in cucina e prese degli avanzi, della frutta, del cioccolato, acqua e poi scese nei sotterranei.

Trovò Jenkins sdraiato tra la paglia, era stremato. La ragazza lo raggiunse, appoggiò a terra le vettovaglie, si inginocchiò accanto a lui. Lo trovò privo di sensi, gli fece una carezza sulla fronte, gli prese le spalle e lo sollevò leggermente, stringendolo al proprio petto. L'uomo si svegliò, fu un poco confuso, poi mormorò: “Enya ...”

“Sì, sono io!” rispose lei, mentre un sorriso le comparve sulle labbra, scacciando le lacrime che le a avevano rigato le guance.

“Com'è andato il Conclave?”

“Meglio non parlarne adesso, per oggi hai già sofferto abbastanza, senza aggiungere anche questo.”

“Ahia, così hai già fatto danno. Dimmi, per favore!”

Enya lo lasciò e gli disse: “Va bene, ma intanto mangia qualcosa.” e gli allungò le vivande “Ecco, tieni! Il Conclave è andato bene i primi giorni, ma ieri ...”

“Ieri ...?” incalzò lui, mentre beveva.

Flynn non si è presentato l'ultimo giorno, non ho idea del perché, e tutto è degenerato.”

“In che senso?”

Enya raccontò tutto.

“Ah!” commentò l'uomo; mangiò un boccone e poi sospirò: “Tutto questo mi è tremendamente famigliare. Ci saranno migliaia e migliaia di morti, se non milioni, a meno che non avvenga un miracolo.”

“Ho sentito i racconti di quel che accadde in passato; io ho assistito solo alla caduta di Camelot e mi  è bastato, come orrore.”

“Te la cavi, però, molto bene con le spade, per essere una che disprezza la guerra.”

“Sono figlia di Galvano, a qualcosa pur verrà. Inoltre non disprezzo l’arte del combattere, purché sia considerato come uno sport e non come un risolvere i problemi. In ogni caso, sapersi difendere è sempre utile.”

“Sei adorabile!” rispose lui, sorridendo e poi finì di mangiare.

“Comunque, non ti preoccupare. Resisti ancora un paio di giorni e ti farò uscire da qui.”

“Non fare sciocchezze.”

“Non posso lasciarti qua. Non preoccuparti, ho un piano sicuro, ma preferisco non parlarne, non si sa mai.”

“Se anche fosse possibile, perché liberarmi da questo inferno per portarmi là fuori, nell’inferno che si sta per scatenare?”

“Perché la fuori puoi difenderti, reagire, oppure tirartene fuori.”

“Tirarmene fuori? Impossibile! La Biblioteca avrà senza dubbio bisogno di me. Tu che farai? Non credo che Morgana ti riaccoglierà. Resta con me.”

Enya sorrise, distolse lo sguardo e rispose: “Vedremo. Credo che anche Elatha potrebbe offrirmi un rifugio sicuro, presso i Fomori, se sarà necessario.”

“Ah.” commentò l’uomo “Farai quel che ritieni meglio.”

Enya si trattenne ancora un po’ con Jenkins, poi gli diede la buona notte e se ne andò.

Il giorno seguente, la ragazza contattò Dulaque tramite sms per esporgli il suo piano; aveva capito che, paradossalmente, era più sicuro ricorrere alla comune tecnologia, piuttosto che a sotterfugi magici, per comunicare senza essere scoperta.

Il piano era piuttosto semplice: Enya avrebbe preparato un sonnifero da somministrare a Morgana in segreto durante il pranzo del giorno dopo, poi avrebbe disattivato i sistemi di sicurezza tecnologici, in modo tale da permettere a Dulaque di penetrare nella proprietà senza essere scoperto all’istante.

Dulaque avrebbe raggiunto la villa, mentre la ragazza avrebbe portato Jenkins fuori dai sotterranei e avrebbe cercato di guadagnare l’uscita. A quel punto si sarebbero congiunti e avrebbero raggiunto l’auto che li aspettava per la fuga.

Il giorno dopo, Dulaque si posizionò con l’automobile nel punto prestabilito e aspettò che gli giungesse l’sms della ragazza che gli dava il via libera. Quando lo ricevette, ordinò all’autista di aspettarlo lì e tenere d’occhio il cortile, pronto a mettere in moto, non appena lo avesse visto tornare. Poi scese dalla macchina, agilmente scavalcò la cancellata e si mise a correre verso la villa, ad almeno 500 metri di distanza, pronto a sfoderare la spada alla prima occasione.

Presto sorsero dal terreno esseri di fango e pietra, umanoidi tozzi ma veloci, che iniziarono ad assalire Dulaque che si apriva la strada, vorticando la sua spada attorno a sé. Le creature, tuttavia, si ricomponevano e ripartivano all’attacco.

Mentre continuava la sua corsa, l’uomo fu travolto dal getto di un gaiser; cadde a terra, ma si rialzò immediatamente e si accorse che per tutto il cortile, in modo disordinato, avevano iniziato ad esplodere alti getti di acqua bollente e vapore; ciò significava non solo stare attento a non essere investito da uno di essi, ma pure avere scarsa visibilità.

Dulaque continuava l’avanzata, senza lasciarsi impressionare. Ad un tratto gli furono addosso una decina degli esseri fangosi; lui si fermò saldo sulle gambe e gli assalti delle creature non poterono smuoverlo. L’uomo vibrò fendenti in rapida sequenza, a destra e a sinistra e presto si liberò. Fece per riprendere la corsa, ma si reso conto che il terreno sotto ai suoi piedi era diventato sabbie mobilie e che era già sprofondato fino alla caviglia. Non si intimorì, pur da fermo si diede lo slanciò per balzare fuori da lì.

Abbatté ancora una mezza dozzina di mostri fangosi e raggiunse, finalmente, la villa e restò ad aspettare e difendersi.

Un paio di minuti più tardi, lo raggiunse Enya, portando Jenkins appoggiato alle proprie spalle.

“Perché è così?!” esclamò Dulaque, vedendoli “Mi avevi detto che lo avresti curato, prima di uscire allo scoperto!”

“È quello che ho fatto! Gli ho sanato tutte le ferite fisiche, ma dev’essere sotto un incantesimo, oppure è stato avvelenato. Potrò capirlo e fare qualcosa solo quando saremo al sicuro. Ho  bisogno di tempo e tranquillità e qui non ne abbiamo!”

“Va bene.” esclamò Dulaque “Anche se una spada in più avrebbe fatto comodo. È un po’ paranoica Morgana, per avere tutta questa sicurezza? E tu non dovevi liberare la strada?”

“Ho disattivato l’allarme e il sistema di sicurezza basati sulle tecnologie umane, non potevo certo bloccare quello magico, non ho idea di come funzioni! Considera, poi, che questo è soltanto il sistema di base! Morgana renderebbe le cose ancor più difficili, se fosse sveglia.”

“Andiamo, non perdiamo tempo!”

Si misero a correre, per quanto fosse possibile, portandosi un uomo svenuto appresso. Enya concentrò i suoi poteri per tenere il terreno che percorrevano libero da gaiser e sabbie mobili e, quando poteva, sbalzava via gli esseri di fango. Dulaque, invece, proteggeva gli altri due dalle creature.

Riuscirono, infine, ad arrivare in automobile e a partire, allontanandosi a grande velocità. Arrivarono in una zona di campagna dove li aspettava un elicottero, salirono a bordo e in un paio d’ore raggiunsero una delle residenze di Dulaque. Per tutto il viaggio, Jenkins rimase privo di sensi, sembrò sofferente, tal volta rantolava, altre sudava, ebbe anche delle convulsioni.

Trasportarono subito Jenkins nella stanza che era stata preparata per lui e lo coricarono nel letto.

Enya, ora puoi curarlo, giusto?” domandò l’uomo, impaziente.

“Sì. Avrò bisogno di alcuni supporti, ma direi che non ci sono problemi. Si tratta di un veleno e non di un sortilegio, per fortuna, devo solo velocizzare lo smaltimento delle sostanze.”

“Che tipo di veleno è? Che cosa gli sta facendo?”

“Si tratta di una sostanza psicoattiva molto potente. Gli provoca incubi terribili e il suo corpo reagisce come se quelle sensazioni fossero reali, quindi potrebbe avere aritmie, tachicardie, iperventilazioni e queste cose potrebbero danneggiarlo, non il veleno in sé. Adesso mi metto al lavoro, se tutto va bene, tra un paio d’ore dovrebbe riprendere coscienza, sebbene non si sarà ancora ripreso del tutto.”

“Fa quello che devi. Ti metto a disposizione un domestico per procurarti ciò di cui hai bisogno. Voglio essere avvisato non appena si svegli.”

Dulaque uscì, mentre Enya  si mise all’opera. Come previsto occorsero circa un paio d’ore per far riprendere i sensi a Jenkins. Il domestico andò subito ad avvertire il padrone di casa.

Intanto, l’uomo,  aprendo gli occhi, rendendosi conto di essere in un letto e scorgendo Enya seduta vicino a lui, chiese con un filo di voce: “Che succede …?”

“Ti avevo promesso che ti avrei liberato e l’ho fatto.”

“Grazie … ti sei messa nei guai, allora …” si mise seduto “Questa non è la Biblioteca, dove mi trovo?”

La donna gli allungò un bicchiere d’acqua e rispose: “Non ho potuto chiedere aiuto ai bibliotecari, ma non ho nemmeno agito da sola.”

In quel momento la porta della stanza si aprì ed entrò Dulaque, salutando: “Gahalad!”

Jenkins ebbe un sussulto di stupore, si voltò e mormorò: “Lancillotto …”

“Come ti senti?” chiese l’altro, avvicinandosi al letto.

“Bene, suppongo … Mi hai salvato tu?”

“Certo; non potevo lasciarti nelle grinfie di Morgana, so di cosa è capace!”

“Grazie …” Jenkins teneva lo sguardo basso e sembra in imbarazzo.

Rimasero in silenzio per alcuni momenti, poi il convalescente borbottò: “So che hai mandato a monte il Conclave. Che cos’hai fatto a Flynn? Perché è scomparso?”

“Non gli ho fatto nulla di male, gli ho solo raccontato la verità sulla Biblioteca e lui ha deciso di andarsene.”

“Verità? Chissà quante cose hai omesso e quante travisato! Sei fiero di aver creato le condizioni per un nuovo imminente conflitto?”

“Avrei preferito evitare di spargere sangue, ma voi della Biblioteca siete troppo ostinati per scendere realmente a compromessi. Inoltre, si sa, ogni rinascita è possibile solo dopo la morte.”

“Ci troveremo di nuovo in battaglia su fronti opposti, allora.”

“Non credo.” Dulaque ribatté con flemma “Se sei contro di me, non ti lascerò uscire da qui.”

“Avevamo deciso di rispettare le differenti opinioni.”

“Certo, infatti io rispetto il fatto che tu abbia deciso di essere mio nemico e, per tanto, ti tengo prigioniero e impedirti di agire contro di me. È così che funziona.”

Jenkins, un poco arrabbiato, protestò: “Mi liberi da Morgana per tenermi rinchiuso tu?!”

“Qui non verrai torturato e potrai fare tutto quel che vorrai, tranne uscire dal cancello. Direi che è una prigionia di gran lunga migliore.”

Jenkins lo guardò in cagnesco, anche se doveva ammettere che le sue condizioni erano nettamente migliorate.

“Inoltre, per renderti ancor più piacevole questo carcere …” Dulaque spostò  lo sguardo sulla ragazza “Anche tu, Enya, non potrai lasciare questa villa, finché lui non sarà libero.”

“Cosa c’entra lei?”

“Quando io sarò via per gestire il conflitto che sta per scatenarsi, ci dovrà pur essere qualcuno a tenerti compagnia.”

Jenkins lo guardò con fare deciso e disse: “Noi evaderemo. Fuggire da qui è molto più semplice che scappare da Morgana.”

“Ho preso le mie precauzioni per questo.” sogghignò DulaqueEnya è stata così gentile dal consegnarmi il suo Ba, come garanzia, per convincermi che potevo fidarmi di lei per liberarti da Morgana. Capisci bene che se qualcuno di voi uscirà da questa villa, ci saranno delle conseguenze. Bene, ora che è tutto chiarito, vi aspetto a cena, tra mezzora.” e sorrise.

Dulaque, dopo aver detto ciò, si voltò e uscì dalla stanza. Appena la porta si richiuse, Jenkins guardò severamente la ragazza e le chiese: “Hai davvero dato il tuo Ba a Lancillotto?! Sei pazza?!”

“Non mi avrebbe aiutata altrimenti.”

“Non mi avrebbe lasciato là.”

“Non ho voluto correre il rischio.”

“Ne è valsa la pena lo stesso.”

“È valsa la pena perdere la libertà, per liberarmi parzialmente?”

Enya si alzò dalla sedia per sedersi sul letto, fece una carezza all’uomo e annuì dolcemente: “Per te, sì.”

“Devi essere folle.” Jenkins scosse la testa, poi le prese le mani e le disse: “Te ne ringrazio infinitamente. Dovrò trovare la maniera per sdebitarmi.”

“Lo faccio con piacere.”

“Intanto sembra che avremo un  bel po’ di tempo libero.”

“Non credo proprio, abbiamo molto da fare. Un semplice divieto di uscire non ci impedirà certo di agire.” disse la ragazza con determinazione.

“Che cosa proponi? Sabotare i piani di Lancillotto dall’interno?”

“Può essere un’idea. Io pensavo, più semplicemente, a trovare un modo per comunicare con la Biblioteca.”

“Possiamo riuscirci.” ragionò Jenkins, riprendendo vigore “Posso costruire porte multidimensionali, un sistema di comunicazione sicuro con la Biblioteca dev’essere fattibile.”

“Esatto!”

Enya era felice di vedere l’uomo ritrovare il buon umore.

“Inoltre, cercheremo il mio Ba e così potremo fuggire.”

Jenkins si sentiva pervaso di eroismo, sentiva la voglia di agire e combattere; era come se le disavventure delle ultime settimane avessero scacciato il tedium vitae che lo aveva accompagnato per tutti quei secoli e ora si sentiva pronto per tornare al presente.

Enya, ci aspetta molto lavoro. Questa sfida mi elettrizza: io e te contro l’intera Confraternita del Serpente!”

La ragazza si limitò a guardarlo, sorridente.

 

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Capitolo 17
*** Il Principe dei Bibliotecari ***


Eve aveva cercato a lungo Flynn, ma non era riuscita a trovarlo da nessuna parte; aveva domandato in giro, sperando che qualcuno lo avesse visto ma purtroppo non c’era traccia di lui, sembra volatilizzato.

La donna, allora, era ritornata in Biblioteca molto sconsolata e preoccupata. Era già sera e il Conclave era terminato, non restava più nessun estraneo. I tre giovani stavano aiutando Charlene a riordinare, ma erano molto cupi.

“Abbiamo perso Jenkins, abbiamo perso Flynn e siamo sull’orlo di un conflitto.” Cassandra constatò amareggiata “Siamo un disastro!”

“Non è vero!” ribatté Ezekiel “Siamo solo sfortunati.”

Si erano radunati attorno al tavolo e si erano aggiornati circa il Conclave e la scomparsa di Flynn.

“Che cosa può essergli successo?” si interrogò  Stone “Lui non ci avrebbe mai abbandonati e, nel caso fosse dovuto partire, ci avrebbe sicuramente avvisati. Devono avergli fatto qualcosa!”

“Chi oserebbe attaccare il Bibliotecario?! L’Arbitro del Conclave?” domandò Charlene.

“È così improbabile che un Bibliotecario venga aggredito?” chiese Eve, perplessa.

“Beh, sì!” rispose Charlene “Di solito i Bibliotecari rischiano la vita andando loro stessi incontro al pericolo e non sono mai bersaglio di qualcuno, perché comunque siamo un’istituzione ben rispettata o almeno lo eravamo fino a poche ore fa. Gli unici che ci abbiano mai attaccato apertamente sono stati quelli della Confraternita del Serpente.”

“Credete che Dulaque possa aver fatto qualcosa a Flynn?” chiese Cassandra.

“Avremmo dovuto accorgercene.” disse Eve.

“Qualsiasi cosa sia successa avremmo dovuto accorgercene e non lo abbiamo fatto.” ribatté Stone “Non penso dovremmo escludere dai nostri sospetti quello che è il nostro più acerrimo nemico.”

“Ma cosa avrebbe potuto fare?” chiese Cassandra “Delle tracce dovrebbero esserci in giro da qualche parte, se ci fosse stata un’aggressione, non credete?”

“Hai ragione!” esclamò Eve “Ho cercato tanto fuori dalla Biblioteca, ma non ho guardato qua dentro. Dividiamoci e cerchiamo degli indizi … sperando ce ne siano.”

“Ma la Biblioteca è grandissima!” protestò Ezekiel “Impiegheremo delle ore!”

“Allora cominciamo subito!”

Eve e i tre giovani si misero ad esplorare la Biblioteca, battendola palmo, palmo, in cerca di un qualsiasi indizio. Charlene, invece, si piazzò davanti allo specchio e chiamò Judson a cui chiese: “Che cos’è accaduto a Flynn? Tu sai tutto quello che accade qua dentro. Dobbiamo ritrovarlo e subito!”

“Temo che non sia possibile.”

“In che senso?”

“Lancillotto l’ha portato nel mio studio e gli ha raccontato la sua versione dei fatti … e Flynn non l’ha presa molto bene.”

“Perché non sei intervenuto tu?! Perché non hai ribattuto alle accuse di Dulaque?”

“Non era il momento e non era giusto che lo facessi.”

“Come sarebbe a dire? Eravamo nel mezzo di un Conclave che, per colpa di questo inconveniente, è finito malissimo! Saresti dovuto intervenire e spiegare a Flynn tutto quanto!”

“Ci sono cose che non possono essere spiegate, ma che debbono essere comprese da sole. Parlare a Flynn, in questo momento, avrebbe significato nascondergli ancora la Verità e, con Lancillotto nei paraggi, non sarebbe di certo stato saggio. Te l’ho detto: ho grandi progetti per Flynn. Adesso, è il momento di scoprire se lui ne è realmente all’altezza. Ricordi quando era in crisi e poi il viaggio a New Orleans lo rigenerò? Ecco, ora sta accadendo la stessa cosa. Ha bisogno di scoprire la Verità, da solo, di passare ad una consapevolezza superiore; altrimenti sarà perduto. È uno di quei momenti in cui o si nuota o si affoga, senza possibilità di trovare un salvagente.”

“Potresti, almeno, fargli da faro, non credi? Almeno per indicargli la direzione dove cercare.”

“Questo è naturale.”

“Intanto, qui in Biblioteca, come facciamo? Quei tre non sono capaci di gestire una situazione del genere! Siamo in un momento talmente delicato che perfino molti veri Bibliotecari si troverebbero in difficoltà a gestire.”

“Hai ragione, vi serve un Bibliotecario, uno eccellente. Siccome io devo continuare a fingermi morto, penso che l’unico adatto a questo frangente sia Antonio.”

“Quell’Antonio?!” Charlene rimase scioccata.

“Certo! Chi altri se no? Chi è più adatto del Principe dei Bibliotecari?”

“Sì, sarebbe perfetto, se non fosse intrappolato da centotrentasei anni!” Charlene era sconcertata da quella proposta “Abbiamo perso quattro Bibliotecari e due Guardiani, nel tentativo di recuperarlo, dopo di ché abbiamo stabilito che era troppo pericoloso, ricordi?”

“Sì, certo; ma visto che Flynn e Gahalad non sappiamo quando e se torneranno, Antonio è l’unico che può aiutarci. Inoltre, questa volta, manderemo un team di Bibliotecari, il che aumenta le possibilità di successo.”

“Secondo me aumenta solo il numero dei possibili morti.”

“Intravedi altre possibilità?”

Charlene pensò qualche momento, poi scosse il capo rassegnata e ammise: “No.”

“Allora parla loro di Antonio e forniscili di tutte le informazioni che abbiamo al riguardo.”

La donna acconsentì e andò a prendere il materiale che aveva a disposizione, purtroppo non molto.

Più tardi, i bibliotecari tornarono nella sala principale, sconsolati per non aver trovato nessun indizio circa le sorti di Flynn.

“Che cosa faremo, adesso?” chiese Cassandra, dopo i resoconti negativi della perlustrazione.

“Non lo so.” rispose Stone.

“Ve lo dico io che cosa dovete fare!” intervenne Charlene “Vi ho trovato una missione da svolgere.”

“Cosa?! E Flynn?!” si arrabbiò Eve.

“Lui se la caverà, qualsiasi cosa sia successa. Per dieci anni ha lavorato senza protezione alcuna, per cui sarà capace di salvarsi da solo. Voi dovete occuparvi di un altro Bibliotecario.”

“Un altro?” si stupì Ezekiel “Credevo che fossimo noi l’eccezione ad essere più bibliotecari contemporaneamente, ce n’è un altro ancora?”

“Esatto, anche se è fuori servizio dal 1879.”

I presenti rimasero ammutoliti e stupiti.

“Antonio Panizzi, uno dei migliori degli uomini che hanno lavorato qua dentro, tanto da meritarsi l’appellativo di Principe dei Bibliotecari. Nel 1879, stava combattendo un circolo d’occultisti e praticanti di stregoneria appena nato, diventato famoso in seguito col nome di Golden Dawn; non si seppe mai che cosa gli sia realmente accaduto, semplicemente non è più tornato.”

“Come è accaduto a molti Bibliotecari, da quello che ho capito.” commentò Eve.

“La questione è molto differente. Antonio era estremamente abile e potente: è stato lui a dividere in tre parti la Lancia di Longino. Ad ogni modo, sappiamo con certezza che non è morto ma è stato vittima di un sortilegio che lo ha … come dire … l’effetto è quello dell’ibernazione. È tenuto in un particolare edificio di cui possediamo una mappa parziale: conosciamo il perimetro, ma solo alcune parti dell’interno, ve la mostro.”

Charlene srotolò un foglio su cui era disegnata una grossa e spessa croce latina, ogni braccio della quale si concludeva in tre semicerchi; la croce era la parte principale di una rosa dei venti a sedici direzioni. Nel mezzo c’era una rosa al centro di una croce più piccola, inscritta in un cerchio, formato da tre sezioni, ve ne era un altro a sette e un ultimo a dodici.

Nei te semicerchi di uno dei bracci della grande croce principale c’erano te simboli che Stone riconobbe come quelli usati dagli alchimisti per indicare il salinitro, lo zolfo e il mercurio. Gli stessi simboli erano presenti anche in alcuni degli altri semicerchi, mentre tali altri erano vuoti.

In ogni braccio era rappresentato un pentacolo con dei simboli accanto alle punte; partendo dalla prima in alto, si trovava: una specie di ruota, la testa di un uccello, il simbolo zodiacale del leone, quello del toro e due righe ondulate e parallele.

Nelle sezioni dei tre cerchi concentrici centrali, si trovavano alcune lettere ebraiche, ma molte erano vuote.

“Che razza di mappa è questa?” chiese Ezekiel “Ne ho visionate molte, per progettare i miei furti, ma questa non ha senso.”

“È una mappa dei pericoli e, o delle presenze di tranelli o poteri di natura esoterica.” spiegò Charlene “Precedenti esplorazioni ci hanno permesso di conoscere alcune delle avversità che si trovano all’interno dell’edificio. Purtroppo molte cose ci sono ignote.”

“C’è uno schema preciso nella collocazione dei simboli.” disse Cassandra, osservando la mappa “Non sono disposti casualmente, ma seguono un ordine. Datemi qualche minuto e posso riempire gli spazi vuoti.”

La ragazza studiò la mappa ancora alcuni momenti, poi iniziò ad elaborare i propri calcoli; infine prese una matita ed iniziò a tracciare ciò che secondo lei mancava.

“Ecco, dovrebbe essere così.” comunicò alla fine.

“Bene e cosa sappiamo più di prima?” domandò Ezekiel.

“Temo nulla, non ho idea di che cosa significhino questi simboli.” rispose la ragazza, scoraggiata.

“Qualcosa mi viene in mente.” disse Stone “La croce grande è inserita in una rosa dei venti e i le sezioni con le lettere ebraiche sembrano essere dei petali, come una corolla attorno alla crocetta centrale che, a sua volta, ha un’altra rosa nel punto d’incontro delle braccia. Questo mi fa pensare ai Rosa-Croce e a una dualità tra macrocosmo e microcosmo che, in un certo senso, si specchiano l’uno con l’altro. Ricordate il discorso sulle analogie che ci fece Jenkins circa la porta sul retro? La magia funziona per analogie, aveva detto; ecco, anche in questo caso, considerano l’universo analogo all’anima dell’uomo e viceversa.”

“Fastidiosamente complicato e privo di fondamento.” commentò Eve.

“I pentacoli, invece, riesci a capirli?” domandò Cassandra all’uomo.

“Fammi pensare, la punta è verso l’alto, dunque non fanno parte della tradizione satanista. I simboli, vediamo: leone, toro, acqua presumo, una ruota e un uccello. Leone, toro, uccello … Certo! Quella potrebbe essere un’aquila, quindi abbiamo leone, toro e aquila tre degli elementi della sfinge, nonché simboli degli evangelisti; manca la componente umana che, tuttavia, è l’acqua. Il leone corrisponde al fuoco, il toro alla terra e l’aquila all’aria; dunque l’uomo è stato raffigurato tramite l’elemento ad esso legato, ossia l’acqua. Erano legati anche ad un’altra questione sempre alchemica, tipo addensare, disperdere e non so che altro, per quello dobbiamo verificare.”

“Sì, ma la ruota che significa?” chiese Eve.

“Lo scorrere del tempo?” ipotizzò Cassandra.

“No, perché non è una ruota, accidenti!” capì Stone “È il Sole, dunque rappresenta la luce, la luce astrale od etere, insomma il quinto elemento, quello connesso col potere magico.”

“D’accordo, ma che cosa dobbiamo aspettarci, dunque?” domandò Eve, che voleva elaborare alla svelta una tattica “Charlene, quello o quelli che hanno dato indicazioni per la mappa, non sono riusciti ad essere un po’ meno enigmatici e più esplicativi?”

“Abbiamo qualche appunto. Qui, nel braccio sinistro, il primo problema è stata mancanza di ossigeno, poi, riuscendo a superare questo primo settore si sono imbattuti in una specie di tempesta magnetica, non saprei definirla esattamente. Il testimone, che era alquanto sottoshock, ha raccontato di potenti forze, come calamite, che li strattonavano e sbalzavano; loro hanno cercato in tutti i modi di opporsi, ma il Bibliotecario è morto e il suo Guardiano è riuscito a salvarsi, fuggendo, per poco. Il resoconto dell’ingresso inferiore, invece, parla di un aria pestilenziale e soffocante nella prima stanza; nella seconda una forza di gravità sempre maggiore. Delle altre spedizioni non abbiamo informazione alcuna.”

“Io credo che, per questo turno, passerò.” disse Ezekiel “Non mi pare il caso di andare ad affrontare una cosa che ha già ucciso parecchi Bibliotecari.”

“Noi, però, siamo in quattro.” gli ricordò Eve “E abbiamo delle informazioni su cui basarci.”

“No, abbiamo delle informazioni che ci dicono: Ehi, state lontani da qui, se volete vivere! E io ho intenzione di dare ascolto a questo!” insisté il ladro.

“Forse ho capito.” annunciò Stone “In entrambe le prime stanze che ci hai descritto, c’è un problema con l’aria, giusto?”

“Mancanza di ossigeno e fetore appestante, quindi direi di sì.” confermò Charlene.

“Ecco, in base alle corrispondenze di cui vi parlavo prima tra animali ed elementi, si può aggiungere anche la corrispondenza con gli elementi alchemici. Nei semicerchi ci sono mercurio, zolfo e salnitro, equivalenti ad acqua, fuoco e terra, manca dunque l’elemento aria, simboleggiato dall’azoto. Penso, dunque, che basterà aggiungere il simbolo alchemico dell’azoto al giusto posto e il problema dell’asfissia si risolverà.”

“Basta disegnare quel segno e tutto si risolve?” chiese Eve.

“Non proprio” disse Cassandra “Risolve solo la prima stanza d’ingresso e, inoltre, credo che vada tracciato in un punto preciso, differente per ogni braccio, ma posso calcolare facilmente le posizioni.”

“Bene, fai pure.” la incoraggiò Eve “La seconda mossa, invece, qual è?”

“Ho una teoria, ma dobbiamo controllare quelle corrispondenze che non ricordo. Qualcuno va su google, per favore?” chiese Stone.

Eve prese il telefonino e cercò quello che Jacob le indicava, i quattro stati che stavano cercando da abbinare, erano moto, inerzia, spirito e materia.

“Credo di sapere come funzionano le seconde camere, quelle contrassegnate col pentacolo. Se noi collochiamo nell’ordine tradizionale i quattro simboli nei bracci della croce, abbiamo in quello sinistro l’elemento fuoco, connesso col movimento, mentre in quello inferiore c’è la terra con la materia. I due ostacoli di cui siamo a conoscenza, quello della forza magnetica e quello della gravità, corrispondono bene ai concetti espressi: le correnti che trascinano sono il moto, la gravità è la materia. Io penso che, per superare queste difficoltà, sia necessario ricorrere all’elemento opposto: inerzia e spirito. Non ho idea di come si possa ricorrere allo spirito per non essere annientati dall’estrema forza di gravità, tuttavia, ritengo che le correnti magnetiche vadano assecondate. L’opposizione al moto, usare un moto contrario è sbagliato e dannoso, bisogna rimanere fermi e lasciarsi trasportare per inerzia dalle correnti. In questo modo ci porteranno esse stesse dov’è necessario.”

“Ossia davanti a tre stanze della prima fascia di cerchi.” disse Cassandra, osservando la mappa “C’è l’alfabeto ebraico, qui. Hai qualche idea?”

“Sì, devono essere legate ai tarocchi.” affermò Stone, con decisione.

“Cerco su google?” domandò Eve.

“No, conosco a memoria gli arcani maggiori.” dichiarò Jacob.

“Perché?” chiese Eve stupita.

Ezekiel rispose: “Anche le carte possono essere opere d’arte, soprattutto quelle antiche; ne ho rubati un paio di mazzi, in passato.”

“Proprio così.” confermò Stone “Possono essere state disegnate da miniaturisti eccellenti, dunque ho avuto modo di studiare i tarocchi, anche per poterne apprezzare in pieno le simbologie ed allegorie; è così che ho imparato diverse cose sui simboli alchemici e il resto. Allora, che lettere abbiamo?”

“Beh, dipende da dove vogliamo entrare, per ogni braccio, ce ne sono tre differenti.” illustrò Cassandra “Se entrassimo da sinistra, dovremmo scegliere tra la quindicesima, sedicesima e diciassettesima lettera.”

“Dunque, come arcani maggiori avremmo: diavolo, torre e stella.”

“Secondo te che cosa dovremmo fare? Ci sarà una prova diversa per ognuna? Oppure bisognerà capire la porta giusta da scegliere?” chiese Cassandra.

“Non ne ho idea, possiamo solo andare consapevoli dell’argomento. Se, però, dal macrocosmo, stiamo passando al microcosmo, penso siano legati ad una dimensione molto umana.” Stone sospirò “Dopo di quelle che avremo?”

“Da scegliere tra quarta e quinta e, infine, obbligatoriamente la terza.”

“Quindi, Papa, Imperatore e Imperatrice.”

“Se tutto andasse bene, arriveremmo allora al centro.” disse Eve “Lì dovrebbe esserci il Bibliotecario, ma chissà che difficoltà ci saranno.”

“Beh, dato che nei bracci ci sono i quattro elementi, direi che al centro si trovi l’etere, la luce astrale.” dichiarò Jacob.

“Quindi magia.” replicò Jones “Non mi piace per nulla.”

“Non abbiamo altre possibilità.” ribatté Eve “Prepariamoci al meglio e affrontiamo anche questo. Stone, dicci come raccogliere tutte le informazioni necessarie. Domani partiremo. Charlene, dove si trova l’edificio?”

“Nella campagna londinese. All’epoca dei fatti, la Biblioteca era ancorata al British Museum, si trasferì a New York poco dopo.”

Fu così che il giorno seguente i tre bibliotecari e il loro Guardiano si ritrovarono davanti ad un vecchio edificio, che aveva l’aria di essere abbandonato da tempo ed era parecchio trascurato. Non erano arrivati subito in prossimità di quel palazzo, ma avevano dovuto chiedere informazioni in giro ed era stato loro detto che quel luogo era maledetto, infestato da fantasmi o addirittura dal demonio.

I giovani non si erano lasciati intimorire ed erano giunti a destinazione. Iniziarono col tracciare il simbolo alchemico dell’azoto là dove Cassandra aveva individuato la giusta collocazione, poi Ezekiel aveva forzato una finestra ed erano entrati. Superarono la prima stanza senza difficoltà. Passarono alla seconda e subito si sentirono come afferrare da grandi mani e trascinarsi con violenza da un lato all’altro del salone. Istintivamente avrebbero voluto resistere, ma si sforzarono  di rimanere inermi, di lasciarsi trasportare in quella sorta di pogo invisibile. Dopo alcuni minuti si ritrovarono fermi e tranquilli, sebbene un po’ scombussolati, dal lato opposto della sala, davanti a tre porte. Sopra di esse capeggiava una scritta che recitava: Ardono gli uomini delle passioni, si perdono, si distruggono e solo tal volta s’accorgono del danno. Quando si accorgono della loro miseria, non resta loro che sperare.

“Che cosa vuol dire? Come ci aiuterebbe a capire dove andare?” si interrogò Eve.

“Jacob?” chiese Cassandra, speranzosa.

“Allora, abbiamo detto che sono i tarocchi, quindi direi che è semplice: il diavolo è la lussuria, la torre è l’arroganza, la stella è invece la speranza. Dobbiamo prendere, quindi, la porta della stella, quindi la diciassette.”

Aprirono la porta più a destra ed entrarono in una stanzetta. C’erano altri due usci e una nuova iscrizione, questa recitava: L’equilibrio e l’ordine sono fondamentali. Dà alle due il giusto nome.

“Dobbiamo dare il giusto nome all’equilibrio e all’ordine?” chiese Eve, perplessa.

“No, alle porte, credo.” disse Ezekiel “Guardatele con attenzione, hanno una chiusura a combinazione, tipo i numeri delle valige, solo che qua hanno delle lettere. Direi che è lì che dobbiamo inserire i nomi. Non c’è bisogno che vi scervelliate, ci penserò io a scassinarle.”

“No, aspetta un momento.” lo fermò Stone “Fammi pensare un attimo. Abbiamo due parole fondamentali: equilibrio e ordine. Ordine penso sia riferito al fatto che ogni porta ha la sua parola e non possono essere invertite, quindi saranno connesse con i tarocchi che rappresentano.”

“Proviamo a scrivere Papa ed Imperatore?” propose Cassandra.

“No, troppo corto e troppo lungo.” li informò Ezekiel “Hanno cinque lettere le parole che cercate. Dai, fatemi lavorare.”

“Un momento. Allora, equilibrio … due … due forze in collaborazione … due … Certo! Le due colonne del tempio di Salomone! Jakin e Boaz, rappresentano le forze necessarie al sostegno del tempio, ossia dell’uomo. Jakin è la forza creativa, Boaz è la saggezza … Dunque Jakin va sulla porta dell’imperatore e Boaz apre quella del Papa.”

Ezekiel compose la prima parola, poi passò all’altra e, dopo aver inserito la z, osservò: “Manca una lettera … Ah, ma ho visto che c’è anche uno spazio vuoto, tra le opzioni, oltre alle lettere, proviamo …”

Clack!      Le porte si sbloccarono.

“In quale stanza andiamo?” chiese Cassandra.

“Potrei perlustrarle e controllare quale stanza è più sicura.” propose Eve.

“Penso lo siano entrambe.” disse Stone “Noi, adesso, siamo nella stanza della Stella e dobbiamo decidere se accedere a quella del Papa o dell’Imperatore. Abbiamo già sbloccato l’enigma ad esse connesso, dunque non dovrebbero darci problemi, nessuna delle due, se non per accedere alla stanza successiva. Non credo ci sia differenza tra le due stanze o le prove che contengono; ad ogni modo, credo che passare per la stanza del Papa sia meglio, se consideriamo che dobbiamo raggiungere l’Imperatrice.”

“Non sarebbe più logico Imperatore ed Imperatrice?” chiese Eve.

“Apparentemente. L’abbinamento sarebbe coerente, ma non del tutto. Col Papa ed Imperatrice non solo consente la dualità tra maschile e femminile, ma anche quella tra trascendenza ed immanenza, divino e temporale.”

“Ne sei sicuro?” chiese Eve.

“Sì. No. Cioè, sono sicuro del concetto espresso da questo dualismo, ma non so se sia questo che loro volessero esprimere. Andiamo dal Papa e speriamo sia giusto!”

Varcarono la porta scelta e subito essa si chiuse alle loro spalle. Sentirono un suono metallico, poi un altro, poi qualcosa colpì Cassandra che, dopo un urletto di dolore, si rese conto che le era caduta addosso una chiave. Subito decine, centinaia di chiavi iniziarono a piovere dal soffitto. In fondo alla stanza, un’altra porta.

I quattro si misero le braccia sopra la testa, cercando di proteggersi e corsero verso l’uscita che, ovviamente, trovarono bloccata.

“Jones, a te l’onore di scassinare la serratura.” disse Eve “Non credo che avremo tempo e voglia di provare tutte queste.”

Il ladro non se lo fece ripetere, si chinò sulla serratura, ci lavorò vicino per non più di un paio di minuti con alcuni arnesi da scasso che portava sempre con sé e riuscì ad aprire la porta.

Entrarono nell’ultima stanza e si accorsero che era diversa dalle altre: non era una sala ma era una sorta di porticato circolare che circondava il centro dell’edificio, anche se non si riusciva a vedere bene che cosa vi fosse; si vedeva solo una sfera di cristallo fluttuante.

Si resero conto, dunque, che le tre sezioni più vicine al centro erano comunicanti tra di loro.

“Non avremmo dovuto trovare qui il Bibliotecario ibernato?” chiese Eve, perplessa.

“Forse è in fondo a questo abisso.” ipotizzò Ezekiel, facendo notare che il portico circondava un enorme pozzo di cui non si scorgeva il fondo.

“Peccato, ho lasciato l’attrezzatura di speleologia in Biblioteca!” fu ironica Eve “Stone, idee?”

“Temo di averle esaurite per oggi.”

“Ieri avevi detto qualcosa circa il centro.” gli ricordò Cassandra.

“Sì, che si basa probabilmente sulla magia. Non ho idea, però di cosa si possa trattare.” Stone scosse la testa.

Voi chi siete?

“Che cosa è stata questa voce?” domandò Ezekiel, guardandosi attorno “C’è qualcuno?!”

Avete nominato una biblioteca, la mia Biblioteca?

“Ehi, potrebbe essere il Bibliotecario che stiamo cerando!” esclamò Cassandra, contenta “Signor Panizzi è lei?”

Esattamente e voi siete …?

“Bibliotecari.” rispose Eve “Cioè, loro lo sono, io sono la loro Guardiana. Siamo qui per liberarla … se capiamo come fare.”

Sbaglio o conto tre bibliotecari? Dev’essere successo qualcosa di grave, se le regole sono state cambiate.

“Senta, le racconteremo tutto quello che vuole, ma dopo averla liberata … potrebbe dirci dove si trova? Riusciamo a sentirla, ma non a vederla.”

Non mi stupisce. Sono qua e non sono qua al medesimo tempo. Avete presente quella leggenda secondo cui Merlino sia stato rinchiuso in una prigione d’aria o di cristallo? Ecco, solo che a me lo hanno fatto per davvero. Sono bloccato in una sorta di limbo o intercapedine infradimensionale.

“Come nella città di Tesla!” esclamò Stone e, con l’aiuto di Cassandra, spiegò quello che era accaduto in quella città.

Sì, direi che le conseguenze sono simili, ma qui si tratta di magia, non di incidenti tecnologici.

“Hai idea di come liberarti, oppure no?!” incalzò Eve.

Venite a liberarmi e non sapete come fare? Va bene, seguite le mie istruzioni …

“Ehi, critichi noi perché non sappiamo cosa fare e poi tu, che sai cosa fare, non l’hai mai fatto?!” protestò Eve.

Le prigioni sono fatte per essere aperte dall’esterno e non dall’interno. Ora ascoltatemi. Uno di voi deve posizionarsi a nord e fissare la sfera di cristallo con grande concentrazione, deve cadere in uno stato meditativo simile alla trance. A quel punto vedrà i vari piani dimensionali presenti qua dentro e vedrà anche me, allora potrà darmi la mano e tirarmi fuori, riportandomi sul vostro piano dimensionale.

“Ok!” esclamò Ezekiel ironico “Chi non si è mai sprofondato in catalessi, guardando una sfera di cristallo?!”

Nessuna tecnica meditativa nel vostro addestramento? Tecniche di preparazione per i viaggi astrali?

“No.” rispose Stone.

Judson non prepara più come una volta.

Judson?!” si stupì Jones “Ma questo qui non è imprigionato da più di cent’anni? Come fa a conoscere Judson?”

Jacob ipotizzò: “È un cognome, forse si sono tramandati il mestiere.”

Nessuno di voi ha qualche attitudine per meditazione o qualsiasi cosa connessa con l’extracorporalità?

“Io ho delle allucinazioni … non so se può bastare.” disse Cassandra.

“Lo faccio io.” si propose Eve “Ho già viaggiato nello spazio tempo e tra mondi paralleli, quindi direi che posso riuscirci.”

Gli altri acconsentirono a lasciarla provare. Eve si posizionò dove indicato e si mise a fissare la sfera fluttuante. I bibliotecari rimasero in silenzio ad osservare per diversi minuti la loro Guardiana rimanere ferma, immobile. Stone dovette dare uno scappellotto ad Ezekiel, per impedire che si mettesse a fare confusione o disturbare, annoiandosi dell’attesa.

Ad un tratto videro Eve allungare un braccio e, un attimo dopo, comparire come dal nulla un uomo alto, parecchio robusto, coi capelli bianchi e lunghe e spesse basette. Era Antonio Panizzi.

“Oh, che bello tornare alla realtà! Allora, in che anno siamo?!” esordì l’omone.

“Duemilaquindici.” rispose Eve.

“Così tanto? Ce ne avete messo di tempo. Poco male che in quel limbo la percezione del tempo era del tutto particolare. Bene, andiamo in Biblioteca?”

 

 

 

 

 

Nota dell’Autrice: vi ringrazio tutti quanti per continuare a leggere questa fanfic! ^__^ Grazie Mille!!!
Inoltre vi chiedo scusa per l’assenza di questi giorni, ma le idee per il capitolo hanno fatto fatica a dipanarsi e sono stata impegnata.

L’idea per questo nuovo Bibliotecario mi è derivata da qui:

 

http://www.amazon.com/Prince-Librarians-Antonio-Panizzi-British/dp/0712301682

 

Grazie ancora e a presto! ^__^

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Capitolo 18
*** Droctulfo ***


I bibliotecari lasciarono velocemente e senza difficoltà il vecchio edificio e presto raggiunsero la porta che li riportò alla Biblioteca.

Antonio fu parecchio sorpreso e disse: “Questa, ai miei tempi, non c’era! Come funziona? È una cosa comune in questi anni? O la tecnologia della Biblioteca è sempre un passo avanti?”

“È una porta magica.” spiegò Cassandra “Come un ponte di rosen-einsten, però creato con la magia, non so bene come.”

Rosen-einstein? Prima i Rosa-Croce e ora questi, chi sono?!” chiese Antonio.

“Sono due scienziati …” tentò di dire Cassandra.

“Magia, hai detto? Quindi la politica della Biblioteca è cambiata? Ai miei tempi, non era concesso impiegare la magia, salvo per contrastare qualche folle che utilizzava anch’esso la magia. Sapete, è un po’ come andare ad un duello: se uno ha una spada e l’altro una pistola, l’esito è scontato! Così affrontare un potere arcano con mezzi umani, non è saggio, bisogna affrontare il nemico ad armi pari! Beh, quindi questa porta?”

“È opera di Jenkins.” lo informo Charlene, sottovoce.

“Oh, capisco! Quindi si può aprire ovunque voi vogliate?”

“Sì, certo.” confermò Cassandra.

“Ottimo! Allora, apritela a Brescello o da qualche parte in provincia di Reggio Emilia.”

“Hai nostalgia di casa?” chiese Charlene.

“Della cucina, soprattutto. Sono rimasto a digiuno centotrentasei anni, pare, e prima mangiavo cibo inglese. Ho un assoluto bisogno di rifarmi la bocca.”

“Non pensare che le casse della Biblioteca finanzino questo pranzo.”

“Sei invitata anche tu! Possiamo considerarlo un pranzo etnico, al fine di far conoscere a voi angli le tipicità italiche. Inoltre, prima di rimanere bloccato in quel limbo, stavo facendo delle indagini su Droctulfo e, quindi, Brescello è il luogo ideale dove riprendere le indagini.”

“Sei serio?” chiese ancora Charlene.

“Guarda i miei appunti, se non ci credi.”

“Il tuo diario non è mai stato trovato.”

“Allora dovrai fidarti di me: ho fame e non perderò tempo a cercarlo. Tanto ho tutto qui!” e con l’indice si picchiettò la tempia “Poi, in questi anni, ho avuto modo di studiare con attenzione gli elementi che avevo a disposizione. Su! Andiamo!”

“Veramente, prima di Droctulfo, dovresti aiutare i bibliotecari a sistemare l’attuale situazione!” gli ricordò Charlene.

“Sì, me ne parleranno a pranzo, che discutere davanti a buon cibo e vino è sempre meglio.”

Charlene si arrese. Antonio fece impostare la porta su Brescello e in un attimo lui, i tre bibliotecari ed Eve si trovarono nella piazza principale di quel paesino sul Po.

“Oh, sembra proprio come l’ho lasciato!” annunciò Antonio, guardandosi attorno e respirando a pieni polmoni “Dubito, però, che la vecchia locanda sia ancora aperta. Oh, toh, delle statue, chi saranno?”

Antonio si avvicinò ad osservare le due statue in metallo, non erano su un piedistallo, ma su terreno e avevano l’altezza di una persona; erano distanti l’una dall’altra, ma di fronte e davano l’impressione che si stessero salutando; la prima raffigurava un prete, la seconda un uomo coi baffi che si levava il cappello. Il Bibliotecario le guardò, poi trovò un cartello con spiegazioni e lesse; infine chiese: “Qui c’è scritto che sono Don Camillo e Peppone, personaggi letterari diventati famosi per dei film. Cosa sono i film?”

“È complesso.” rispose Eve “È tipo uno spettacolo teatrale … I Lumiere quando l’hanno inventato?”

“1895, lui era già imprigionato.” disse Stone.

“Beh, mi spiegherete poi; intanto mi faccio dire dove si possa mangiare bene.”

Pochi minuti dopo, erano tutti quanti seduti attorno ad una tavola e Antonio dava istruzioni al cameriere: “Allora, iniziamo con un assaggio di tortelli, sia verdi che di zucca, e di lasagne. Sa, sono Americani, i miei amici, e voglio far sentire loro la vera cucina nostrana. Poi, per secondo, tigelle, gnocco fritto, salumi, prosciutto, salame, coppa, tutto! Poi formaggi e lardo. Ha segnato tutto? Bene, ah, mi raccomando, l’aceto balsamico! Di contorno polenta fritta a cubetti e pinzimonio. Per il dolce ci penseremo dopo. Ovviamente, tutto innaffiato con lambrusco.”

“Io preferirei birra o acqua.” disse Cassandra, timidamente.

Antonio la guardò accigliato e replicò: “Birra? No, niente bevande austroungariche. Dell’acqua, tuttavia, la porti lo stesso. Altro? Ah, sì, avete l’erbazzone?”

“Certamente.” rispose il cameriere.

“Perfetto, allora erbazzone e ciccioli per antipasto!”

Ezekiel, sussurrò ad Eve: “Con tutta questa roba, non mi stupisce che Charlene fosse contraria a questo pranzo.”

“Già.” confermò la donna, sempre a bassa voce “Tra l’altro ho avuto l’impressione che si conoscessero, ma questo è … improbabile.”

Stone, intanto, stava domandando: “Chi era quel Droctulfo che ha nominato prima?”

“Un duca Longobardo che, tuttavia, combatté a favore dei Bizantini. La sua prima grande impresa fu proprio conquistare questa città, nel 572, lo stesso anno in cui venne assassinato re Alboino. Oh, Alboino, re dei Longobardi, pagò caro il suo Bevi, Rosmunda, bevi nel teschio di tuo padre!

Co-cosa?” chiese Cassandra, turbata.

“Niente, si dice che re Alboino, dopo aver sconfitto i Gepidi, sposò la figlia del loro re e la costrinse a bere dal teschio del padre; all’epoca si usava ricavare coppe dai teschi dei nemici valorosi uccisi.”

Il cameriere portò da bere e subito Antonio si riempì il bicchiere.

“Comunque, Droctulfo fu un grande condottiero della sua epoca, molto amato, molto tremendo.”

“Perché ti interessa?” chiese Eve.

“Sono abbastanza certo che ci abbia lasciato qualcosa, ma ne parleremo dopo pranzo. Ora parliamo della Biblioteca, di noi; insomma, conosciamoci un poco, visto che lavoreremo assieme, voglio sapere tutto di voi e, soprattutto, che cosa stia accadendo.”

“Mi sembra giusto.” assentì Cassandra.

“Prima, potresti dirci perché ti chiamano Principe dei Bibliotecari?” chiese Ezekiel.

“Non è difficile: homo homini lupus, sed homo homini deus est, si suum officium sciat.

“Ossia?”

Rispose Stone: “L’uomo è lupo per gli uomini, ma è un dio, se conosce il suo dovere.

“Bravissimo!” esclamò Antonio “Meriti un premio!” e versò un bicchiere di lambrusco a Jacob, per poi aggiungere: “Chi conosce il proprio dovere e lo esegue, non può sbagliare e risalterà sempre sopra agli altri ... questo perché, purtroppo, viviamo in mondo dove tutti sono in balia dei desideri che li fanno trotterellare da una sciocchezza a una futilità, facendoli venire meno ai loro doveri. È per questo che il mondo va male: caos, disordine, anarchia, nessuno è dove dovrebbe o fa quel che dovrebbe e tutto va a rotoli. Io, semplicemente, ho fatto quel che era il mio dovere, nulla di più, nulla di meno, ma tanto è bastato per farmi godere dalla migliore delle reputazioni. Si dice che è fortunato il paese che non ha bisogno di eroi, beh io  dico che è disperato il paese in cui chi fa il proprio dovere è considerato un eroe.”

“Io sono stata nell’esercito, sono stata un colonnello; ma questa concezione del dovere sembra eccessiva anche per me.” osservò Eve.

“Ognuno ha i propri talenti ed è su quelli che deve investire, non su altro, solo per vanità o vanagloria. Non parliamo di questo. Su, ditemi di voi e di quel che avete combinato.”

Tutti e quattro iniziarono a raccontare di sé, a presentarsi e poi a riferire di quel che avevano fatto in Biblioteca durante quei mesi e, infine, gli dissero del Conclave.

“Uh, che pasticciaccio!” esclamò Antonio, dopo aver ascoltato tutto quanto.

L’uomo, poi, fermò un cameriere e gli disse: “Scusa, puoi portarci un po’ di torta barozzi e zuppa inglese? E poi nocino per tutti, grazie! Il caffè, dopo.”

Tornò a rivolgersi ai suoi commensali: “La situazione è pessima, non c’è che dire. Tuttavia, non c’è da disperare, anzi, sotto molti aspetti la si potrebbe considerare una grande occasione!”

“Grande occasione per cosa?” chiese Cassandra.

“Per cambiare le cose, per migliorarle; per instillare valori nelle persone, scuotere le coscienze, far sì che si prenda atto della realtà!”

“Stiamo parlando di una guerra; se lo ricorda?!” chiese Eve, perplessa.

“Certamente. I conflitti sono una costante nella storia. Gli uomini si cimentano di continuo in prove di forza e di valore ed è il sangue che prova la saldezza di una causa.”

“C’è una cosa chiamata pacifismo, da molti decenni a questa parte.” fece notare Cassandra.

“Non ci sono più guerre, dunque?”

“Ce ne sono eccome, purtroppo!” sospirò Eve.

“Ah, ecco, mi sembrava strano. Ad ogni modo, io ho vissuto appieno il Risorgimento, ho conosciuto Mazzini, Garibaldi, Cavour! E molti altri il cui nome non è diventato famoso. Giovani, maturi, anziani, donne, uomini, ricchi e poveri, gente diversissima ma con una caratteristica comune: la speranza. Gente che ha lottato per un ideale, che è stata pronta a morire. Ricordo un ragazzo di nome Goffredo Mameli, scriveva bellissime poesie e in battaglia era un leone! Morì a soli diciannove anni, per difendere la Repubblica Romana, che non aveva speranze di sopravvivere. Ha forse avuto rimpianti? Sì, uno: non aver avuto un figlio che potesse consacrarsi a sua volta alla patria, all’ideale. Le guerre, quando sono volute dai potenti, portano devastazione e miseria, ma quando nascono dal popolo, è tutta una faccenda diversa! Lo so bene, perché anch’io all’epoca fui coinvolto. Ero in una società segreta, i Sublimi Maestri Perfetti; fuggii in Inghilterra, quando il Duca di Modena mi fece condannare a morte. Beh, a Londra ho trovato il mio destino.”

“Per cosa è stato condannato a morte?” chiese Stone.

“Bah, nulla di che, questi duca sono così irritabili! Comunque, tornando a voi, a noi … beh, insomma, al presente, direi che potremmo affrontare la  questione di Droctulfo, visto che siamo da queste parti.” Antonio era rilassato e di buon umore, sorridente “Penso che questo pomeriggio potrà bastarci e da domani valuteremo le dichiarazioni di guerra che saranno arrivate in Biblioteca da parte di tutti i nemici che si sono rivelati al Conclave.”

Quando, finalmente, ebbero finito di pranzare e si trovarono fuori dal ristorante, di nuovo per le vie di Brescello, Eve domandò:  “Allora, che cosa stiamo cercando esattamente?”

“Non lo so.” rispose Antonio, guardandosi attorno.

“Come, scusa?!” sbalordì Eve, un poco irritata.

“So che Droctulfo aveva qualcosa di particolare, ma le fonti sono scarse; tuttavia, quando lo troverò, lo riconoscerò.”

“Ciò nonostante, è convinto che in poche ore risolveremo?”

“Certamente, poiché sono certo che, qualsiasi cosa sia, si trovi nella sua tomba.”

“Quindi, da dove cominciamo?” chiese Stone.

“Dall’epitaffio, ovviamente. Lo riferisce Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum. Recita così: In questo tumulo è chiuso, ma solo con il corpo, Droctulfo

perché, grazie ai suoi meriti, egli vive in tutta la città.

Egli fu con i Bardi, ma era Svevo di stirpe:

e perciò era soave a tutte le genti.

Il volto era tremendo all'aspetto, ma l'animo buono,

la sua barba fu lunga sul petto robusto.

Amò sempre le insegne del popolo romano,

sterminò la sua stessa gente.

Per amor nostro, sprezzò gli amati genitori,

reputando che qui, Ravenna, fosse sua patria.

Prima gloria fu occupare Brescello.

E in quel luogo restando, terrifico fu pei nemici.

Poi sostenne con forza le sorti delle insegne romane,

Cristo gli diè da tenere il primo vessillo.

E, mentre Faroaldo con frode trattiene ancora Classe,

egli prepara le armi e la flotta per liberarla.

Battendosi su poche tolde sul fiume Badrino,

ne vinse infinite dei Bardi, e poi superò

l'Avaro nelle terre orientali, conquistando

la massima palma per i suoi sovrani.

Con l'aiuto del martire Vitale, giunse da loro:

spesso vincitore, acclamato, trionfa.

Per le membra egli chiese riposo nel tempio

del martire: qui è giusto che, morto,

egli resti .Egli stesso lo chiese, morendo, al Sacerdote Giovanni,

per il cui pio amore venne a queste terre.

“Dobbiamo, quindi, cercare una chiesa dedicata a San Vitale?” chiese Cassandra, dopo aver ascoltato con attenzione.

“No. Quello sarebbe a Ravenna, ci sono già stato e non c’è più la tomba.”

“Come fa a sparire una tomba?” chiese Ezekiel.

“Non è difficile.” gli rispose Stone “Nel corso dei secoli, le chiese hanno subito sempre molti restauri e rifacimenti, quindi sono molte le cose andate perdute, soprattutto le sepolture, spesso riutilizzate.”

“Le mie indagini a Ravenna, tuttavia, mi indicarono che fine avesse fatto il sarcofago di Droctulfo.” spiegò Antonio “Ci fu una traslazione attorno al sedicesimo secolo, a causa delle guerre d’Italia e le continue invasioni; l’11 aprile del 1512, il giorno di Pasqua!, ci fu una battaglia proprio a Ravenna, in cui fu coinvolta la Lega di Cambrai. Comunque! Vollero portare il corpo in un luogo che non fosse particolarmente coinvolto dalle guerre e che, difficilmente, potesse essere saccheggiato; volendo anche far riposare Droctulfo in un luogo a lui famigliare, scelsero Brescello: la sua prima gloria e di cui fu signore per molti anni. Non potevano palesare la presenza del sepolcro di Droctulofo, né potevano lasciarla senza segnalazione alcuna. Così, il duca Ercole II d’Este commissionò al Sansovino una statua dell’eroe greco Ercole (eh, facile propaganda con quel nome!) e la utilizzò per segnare il punto dove era stato sepolto il sarcofago, ritenendo ci fosse una certa somiglianza di carattere e valore tra il morto e l’eroe. Dobbiamo dunque scavare nel punto in cui è stata posta la statua.”

“Ci siamo passati davanti poco fa.” osservò Stone “Anche se ho notato che quella non è la statua originale, ma una copia.”

“Rubare un cadavere dal centro di una piazza in pieno giorno …” rifletté Ezekiel “È stimolante!”

“Non è l’attuale collocazione che ci interessa, ma quella originaria. In piazza fu posta nel 1727, prima si trovava nella piazza della Rocca, che fu distrutta nel 1704. Quando stavo preparando la mia spedizione, prima di essere forzatamente esonerato dal lavoro, avevo consultato diverse mappe e avevo trovato l’esatto punto. All’epoca era in una zona disabitata, speriamo di essere fortunati ancor oggi. Seguitemi!”

Antonio si mise subito in cammino, con passo deciso e quasi marziali, come se stesse guidando un’armata. Si fermava, tuttavia, ogni volta che vedeva un qualche oggetto tecnologico a lui sconosciuto e chiedeva informazioni circa a che cosa servisse e come funzionasse. Sebbene il tragitto non fosse lungo, impiegarono molto tempo a percorrerlo, proprio a causa di quelle spiegazioni. Finalmente arrivarono sulla spianata che si trovava al posto della vecchia rocca; per fortuna era ancora in una zona isolata e non era cambiata di molto rispetto a quando Antonio aveva fatto i suoi calcoli. Il Bibliotecario individuò facilmente il punto dell’originaria collocazione della statua ed esortò tutti quanti a scavare.

“Ma non abbiamo attrezzi.” gli fece osservare Cassandra.

“Usiamo le mani.” rispose Antonio con naturalezza “Più in là ho visto dei bastoni e qualche pietra con cui possiamo aiutarci.”

“Penso che tornerò un attimo in paese e mi procurerò un paio di vanghe.” disse Stone.

“Vengo con te.” disse Cassandra e si allontanò con il ragazzo.

I due giovani tornarono verso il paese, per un poco tacquero. Cassandra aveva voglia di parlare, non le piaceva quel silenzio, le sembrava che la mancanza di comunicazione dimostrasse una mancanza di affinità o di interesse; per cui, dopo un paio di minuti, chiese: “Allora, cosa te ne sembra di Antonio? È particolare, ma simpatico.”

“Sì e poi ha dimostrato di essere parecchio erudito; è in gamba e ben disposto. Inoltre, nessuno ci aveva mai offerto un pranzo, prima d’ora.”

“Credi che riuscirà davvero ad aiutarci con questa faccenda delle varie creature magiche, arrabbiate col mondo?”

“Non ne ho idea, ma è sempre meglio un aiuto in più che in meno, non trovi?”

“Sì. Certo che, se ci fossero anche Flynn e Jenkins, formerebbero proprio un bel trio. Chissà cosa combinerebbero!”

“Ammesso che non litighino tra di loro; credo che Antonio e Jenkins battibeccherebbero spesso, non sembrano granché sulla stessa lunghezza d’onda.”

“Povero Jenkins, l’ho visto andare perfettamente d’accordo solo con Charlene. Poveretto, chissà come sta … chissà cosa gli starà facendo Morgana.”

“Pensare che avremmo dovuto cercare di liberarlo, dopo il Conclave.” Jacob sospirò “Invece, incredibilmente, abbiamo problemi più grandi!”

Cassandra si avvicinò a Stone e, timidamente, lo prese per mano, mentre continuavano la conversazione.

Trovarono un negozio dove comprare una vanga e un badile, dopo di che raggiunsero gli altri, che si erano comunque messi al lavoro. Con gli strumenti del mestiere, scavarono rapidamente e con poca fatica, facendo i turni. Presto le pale toccarono qualcosa di duro. Si diedero ancor più da fare, pulirono rapidamente e finalmente portarono alla luce il sarcofago.

Stone fu entusiasta nel trovarsi davanti un eccellente esempio di bassorilievo marmoreo del VI o inizio VII secolo.

Si affrettarono a togliere il coperchio e videro uno scheletro in armi, con alcuni gioielli d’oro e i resti di tessuto pregiato.

“Allora?” chiese Eve “Il tuo radar per oggetti magici ti indica qualcosa?”

“Sì.” Antonio si chinò sullo scheletro e gli sfilò l’elmo, lo strofinò con un panno e lo guardò con attenzione.

“Non è longobardo.” commentò Stone “Sembra più villanoviano.”

“Non conosco questa differenza, comunque non mi stupisce se è più antico di Droctulfo.” ribatté Panizzi.

“Di cosa si tratta?” chiese Ezekiel.

“Un elmo fatato. Aumenta l’autorevolezza di chi lo indossa, migliora le sue capacità strategiche, infonde coraggio ai soldati circostanti … insomma, aiuta in battaglia ed è l’ideale per un condottiero.” lo rimirò  ancora un poco “Bene, direi che possiamo tornare in Biblioteca. Chiudiamo il sarcofago e andiamo.”

“Lo risotterriamo?” chiese Stone.

“No. Lasciamo un regalo per gli archeologi, sono sicuro che apprezzeranno.”

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Capitolo 19
*** V.I.T.R.I.O.L. parte I ***


Dopo aver sentito le parole di Dulaque e aver visto le proprie certezze e il proprio mondo andare in frantumi, Flynn aveva iniziato a correre e a fuggire. Fuggiva da ciò che credeva l’avesse ingannato, da ciò che credeva gli avrebbe recato dolore.

Flynn aveva corso senza meta per ore e ore, girava ora a destra, ora a sinistra, senza sapere dove andare, senza sapere dove si trovasse.

Iniziò ad albeggiare e Flynn, stanco, entrò nel primo alberghetto che trovò, prese una camera, si gettò sul letto e si addormentò vestito, sopra le coperte. Per le prime tre ore fu per lui un continuo andare in dormiveglia e poi svegliarsi, nervoso e agitato, ma in fine riuscì ad addormentarsi e a riposarsi per diverse ore.

Quando si svegliò, Flynn si sentiva apatico, andò a mangiare qualcosa e, nel frattempo, ragionava su cosa fare. Avrebbe cercato un lavoro, ricominciando la sua vita da capo? Bah, chi avrebbe assunto un quarantenne senza alcuna esperienza certificata? Aveva, tuttavia, molte qualità e nei dieci anni passati a fare il Bibliotecario aveva acquisito numerose competenze, forse non gli sarebbe stato difficile trovare un impiego … ma quale razza di lavoro sarebbe andata bene per lui? Dopo tutto quello che aveva visto e scoperto, dopo tutto quello che aveva vissuto, come avrebbe potuto accontentarsi di una vita normale?

Nessuno dei mestieri comuni poteva fare al caso suo. Lui aveva conosciuto il sovrannaturale, era andato oltre, come poteva ora accontentarsi di qualcosa di meno?

No, non se ne sarebbe restato calmo ed annoiato nel mondo banale e noioso, avrebbe fatto qualcosa di più!

Avrebbe finalmente iniziato a vivere! Per trent’anni era stato uno studente e, dunque, si era preparato alla vita, per dieci era stato manipolato e comandato; ora era il momento di vivere, finalmente, di decidere, di essere ciò che voleva.

Ma che cosa voleva? Non lo sapeva.

Non era abituato a chiedersi che cosa volesse, solitamente faceva ciò doveva, ciò che gli veniva richiesto, quindi era come se avesse perso la capacità di ascoltare i propri bisogni e desideri.

Che cosa gli era sempre stato a cuore? La conoscenza.

Come poteva ampliarla, ora che aveva abbandonato la Biblioteca?

Beh, lui non aveva mai approfondito la magia, l’aveva solo sfiorata, studiata in via teorica, ma mai messa in pratica, mai realmente padroneggiata.

Ecco, ecco che cosa voleva fare! La magia! Si sarebbe immerso completamente nel sovrannaturale, non lo avrebbe più guardato da lontano o vigilato, lui si sarebbe mosso dentro di esso, lo avrebbe conosciuto non sui libri, ma per esperienza diretta e personale, lo avrebbe vissuto in prima persona.

Sì, proprio come gli era stato detto dieci anni prima: era il momento fare esperienza di vita, di conoscere il cattivo mondo esterno, di nuotare o affogare.

Sì, era questo che voleva fare e poi, col tempo, avrebbe deciso che strada prendere.

Sapeva esattamente dove cominciare questa nuova avventura. C’era un ritrovo per creature sovrannaturali e praticanti dell’occulto, in Iowa, nella contea di Dubuque, vicino a Dyersville; c’erano alcuni edifici in cui si trovavano bar, bische, circoli, Flynn c’era stato alcune volte, in passato, per raccogliere informazioni.

L’uomo si procurò un’automobile e si mise in viaggio, dopo un paio di giorni, finalmente giunse a destinazione. Aveva trovato rilassante quel lungo tragitto in solitudine, accompagnato solo dalla radio, senza grandi pensieri per la mente, senza il mondo da dover salvare.

Arrestò l’auto vicino ad una fattoria, scese si avvicinò al campo e infine si addentrò nella piantagione di pannocchie: era lì in mezzo al grano turco che si trovava il passaggio per raggiungere quel ritrovo.

Flynn andò senza indugi, pur sapendo che molto probabilmente si sarebbe trovato a contatto anche con individui loschi e soggetti più o meno pericolosi, più o meno malavitosi. Si era però un poco camuffato e non si era rasato la barba: in quegli ambienti poteva essere riconosciuto come il Bibliotecario e ciò gli avrebbe causato guai.

Trascorse la giornata giocando in una delle bische, con giochi mescolati con la magia. Si divertì parecchio e socializzò; la sera decise di andare in una sorta di pub a mangiare qualcosa e bere.

Mentre mangiava delle patatine fritte affogate nel ketchup, spostò lo sguardo verso il boccale di birra da un litro e vide, con disappunto, il riflesso di Judson.

“Ciao, Flynn!” gli disse l’uomo.

“Sparisci!” intimò lui.

“Sì, non mi tratterò a lungo. Che cosa ci fai qui?”

“Vivo.”

“Ah, vedo, vedo. E ti piace questa vita?”

“Non lo so, devo conoscerla ancora; tuttavia, almeno è mia. È la prima decisione che prendo per me da tantissimo tempo.”

“Quindi, ottenuta la libertà, decidi di investire il tuo tempo qui?”

“Ho diritto anch’io di divertirmi, o no?! Ma che diavolo ne parlo con te?! Io non ho più niente a che spartire con te o con la Biblioteca!”

“Sì, il modo in cui te ne sei andato lo ha lasciato intuire. Sono tutti molto preoccupati per te, sai?”

“Forse avrei dovuto avvertirli che non ci si deve fidare di voi.”

“Mi dispiace che tu l’abbia presa così. Non era in questo modo che avresti dovuto scoprire certe verità.”

“Non le avrei proprio dovute scoprire, non è così, Yahuda?”

“Non è detto, non sapevamo ancora se …”

“Dieci anni! Per dieci anni ho fatto il Bibliotecario, obbedendo a tutte le vostre direttive, senza mai venire meno al mio dovere, ma evidentemente questo non è bastato a guadagnarmi la vostra fiducia!”

Flynn, cerca di capire … dieci anni sono decisamente pochini, in confronto ai nostri tempi.”

“Una scusa patetica! È questa la migliore giustificazione che riesci a trovare? Non basta!”

“Bastare per cosa? Questa non è una scusa, è un dato di fatto e io non sono qui per farti cambiare idea o farti tornare da noi. Non ti chiede neppure comprensione.”

“Allora che cosa vuoi?”

“Nulla. Volevo solo accertarmi che stessi bene e basta.”

“Sì, come vedi, sto benissimo. Be-nis-si-mo! Quindi ora vattene!”

“E cosa pensi di fare, adesso?”

“Non sono affari tuoi! Penserò finalmente a me stesso! Accrescerò le mie conoscenze e il mio  potere e andrò all’avventura per conto mio, dove mi piacerà e dove potrò averne un utile. Basta con le vostre bugie e il vostro finto e patetico buonismo. Addio!”

Flynn … io spero che tu possa trovare quel che cerchi e … e di rivederti, presto.”

“Questo non accadrà. Con voi ho chiuso.”

Flynn si decise a prendere il boccale e bere. Smangiucchiò ancora un poco, bevve molto e poi decise di fare un po’ di baldoria, coinvolgendo gli altri avventori presenti. Cominciò ad attaccare bottone con un tale seduto al tavolo dietro di lui e presto cominciarono a cantare. A loro si unirono altri, c’erano per lo più creature come vampiri, ninfe, umanoidi legati agli elementi e così via, solo un paio di umani praticanti di magia. Presto in tutto il locale era in corso una specie di festa, tutti gridavano, cantavano, bevevano, scherzavano e usavano i loro poteri.

Flynn si risvegliò il mattino seguente, con un certo mal di testa, si accorse di aver dormito su un tavolo. Nonostante i postumi, era contento: era stata la prima volta che aveva fatto qualcosa del genere, nemmeno da adolescente aveva preso parte a una qualche serata-devasto come quella.

Prese una bottiglietta d’acqua e la usò per rinfrescarsi il viso e bagnarsi la gola secca, poi uscì dal locale per prendere una boccata d’aria. C’era già il Sole, Flynn fece un paio di calcoli per capire che erano circa le nove e mezza del mattino, poi si ricordò di avere un orologio. Mentre si guardava attorno, pensando alla giornata che lo attendeva, gli passarono davanti quelli che gli parvero tre gnomi, non lo poteva sapere con esattezza, poiché indossavano mostruose maschere di legno dipinto, grandi quasi quanto loro, arrivavano fino alla vita e superavano la fronte di almeno venti centimetri; inoltre, alle maschere erano appesi dei campanellini. I tre correvano, recitando stornelli in una strana lingua, lanciando versi e facendosi dispetti. Uno teneva in mano un bastone della pioggia, un altro un bastone con delle piume ai lati, l’ultimo aveva una sorta di corda che faceva schioccare per aria.

Flynn, incuriosito, si mise a seguirli, distante ma non troppo, per vedere dove andassero e che cosa facessero: quel che vedeva gli era completamente nuovo. Era una strana usanza degli gnomi? Era una qualche penitenza? Il folklore interno ai popoli sovrannaturali non era stato oggetto di studio nel suo periodo in Biblioteca, si era limitato a conoscerne solo alcuni aspetti limitati. Era dunque l’occasione buona per approfondire. Ehi, adesso che ci pensava, perché li definiva esseri sovrannaturali? Il fatto che esistessero in natura non rendeva quelle creature naturali? Via, ci avrebbe pensato poi, ora doveva seguire quello strano trio.

Flynn pedinò gli gnomi per una decina di minuti, attraverso il campo di grano turco, allontanandosi dai locali. Gli sembrava che le piante diventassero sempre più alte e il sentiero  che si apriva per andare avanti, si richiudeva poi immediatamente alle sue spalle. Vide poi gli gnomi fermarsi vicino  ad una pianta più grande delle altre, presero delle pannocchie e cominciarono a sgranocchiarle crude, oppure tirarsele addosso vicendevolmente e ridevano di gusto. Ad un tratto, però, si sentì un ritmo scandito da tamburi riempire l’aria e poi i rintocchi di una campana. Gli gnomi si misero subito attenti; scostarono delle foglie giganti e mostrarono un’enorme pannocchia, andarono dietro ad essa e scomparvero.

Flynn, allora, che era rimasto nascosto lì vicino ad osservare, si precipitò a propria volta dietro alla pannocchia per non perderli di vista, le campane stavano ancora suonando; non li trovò, ma si imbatté nell’entrata di un tunnel che si restringeva ad ogni rintocco. L’uomo fu indeciso circa cosa fare: gettarsi lì dentro, senza informazione alcune ed andare all’avventura? Sì. Era quello che si era ripromesso di fare nella sua vita, ora, giusto? Allora non doveva esitare o temere. Si gettò dentro il cunicolo che, stranamente, funzionò come uno scivolo, nonostante il terreno avrebbe dovuto fare attrito.

Flynn scivolò per almeno cinque minuti, il che lo preoccupava parecchio circa la profondità che stava raggiungendo, era tutto buio. Finalmente atterrò, ma di sedere e si rialzò col coccige parecchio dolorante. Si rialzò in piedi e si guardò attorno: c’era luce, ma non avrebbe saputo dire da dove provenisse. Non gli sembrava di essere al chiuso, come la logica avrebbe voluto, ma gli pareva uno spazio aperto, con tanto di cielo grigio. Il paesaggio era brullo, il terreno era nudo oppure con qualche ciuffo di erba secca o coperto di foglie secche, c’erano molti alberi, ma completamente spogli. Guardando in ogni direzione, non si vedeva una sola costruzione umana, l’orizzonte pareva lontanissimo. Non si vedeva neppure più il cunicolo da cui era sceso e non c’era traccia dei tre gnomi.

Flynn si sentì improvvisamente stimolato: era in un luogo sconosciuto, senza alcuna informazione e pareva non esserci nessun mezzo di sussistenza; era l’ideale per mettersi alla prova, per tirare finalmente fuori ogni suo aspetto, cercare di dare il meglio di sé.

Decise di mettersi in cammino. Non avendo una direzione da prendere, si concentrò e fece appello al proprio istinto o al proprio sesto senso, per decidere quale fosse la sua strada. Sì, questa volta non si sarebbe limitato ad usare il cervello, avrebbe usato anche quel poco di magia che Judson gli aveva permesso di padroneggiare. Sì, avrebbe sfruttato appieno il suo potere interiore e lo avrebbe amplificato il più possibile.

Scelta la via, si mise in marcia, non c’erano sentieri battuti, ma questo non lo spaventava. Di tanto in tanto vedeva qualche animaletto, roditori per lo più, correre e poi infilarsi in una tana. Flynn iniziava ad avere fame, per cui decise di procurarsi del cibo cacciando. Riusciva a trasmettere scariche elettriche, era un’abilità che in passato gli era servita parecchio per stordire gli avversari; per cui iniziò a cercare di fulminare qualcuna delle bestiole che vedeva per procurarsi il pranzo. Non fu facile, all’inizio, poiché solitamente trasmetteva la scossa a contatto e non a distanza, ma appena capì come proiettare l’energia non direttamente dalla sua mano, riuscì a colpire un coniglio.

Venne, allora, la parte più difficile: scuoiare l’animale. Per fortuna, l’uomo aveva con sé un coltellino e lo usò  a dovere, cercando di non macchiarsi di sangue. Poco dopo, stava per accendere il fuoco in maniera tradizionale, trovare rami secchi  in quel posto non gli era stato difficile, ma poi si ricordò di avere letto, in passato, qualche appunto sulla pirogenesi e pirocinesi, quindi  decise di tentare di accendere il falò  con la magia. Ebbe bisogno di concentrarsi e di due o tre tentativi, comunque ci riuscì e si sentì molto orgoglioso. Arrostito il coniglio e mangiatone buona parte, l’uomo ebbe sete, ma non c’era nemmeno un canale da quelle parti. Lui non si scoraggiò e, ormai entusiasta dei poteri che stava scoprendo, si adoperò per far sgorgare lui stesso l’acqua dal suolo e ci riuscì.

Dopo il pranzo, riprese il cammino e, entusiasta per la facilità con cui aveva padroneggiato l’elettricità, il fuoco e l’acqua, decise di fare qualche esercizio per tentare di manipolare anche l’aria e la terra. Vi riuscì. Evocò un grande vento di cui riusciva a direzionare le folate e fu in grado di smuovere e far tremare la terra.

Era gioioso e si sentiva potentissimo.

“Chiamatemi Flynn, il signore degli elementi!” aveva gridato al nulla.

Era contentissimo, sentiva la libertà e il potere scorrergli nelle vene al posto del sangue. Che limiti aveva?! Nessuno! Non c’erano Judson o Charlene o sua madre a dirgli che cosa poteva fare e che cosa no, non c’era nessuno a limitare le sue capacità.

Preso da quella sensazione di onnipotenza, decise di spingersi ancor oltre, provò e riuscì sia a controllare la volontà degli animaletti che vedeva attorno a sé, sia ad imporre ad un ramo secco di fiorire.

Ah, meraviglia! Era dunque questo che si era perso per tutta la sua vita? Per fortuna non era ancora troppo tardi, per fortuna ora sapeva! Inoltre, era solo agli inizi, chissà quali cose avrebbe potuto fare con il giusto e quotidiano esercizio.

Mentre Flynn si lasciava andare a questo entusiasmo, il cielo iniziava a farsi buio. L’uomo scorse, infine, una sorta di villaggio di capanne, piuttosto piccolo; decise di andare in quella direzione. Non trovò nessuno sul proprio cammino e, una volta arrivato all’insediamento, gli parve disabitato. Iniziò a chiamare a gran voce, a sbirciare alle finestre e così si accorse che i pochi abitanti erano chiusi nelle capanne, sdraiati su delle amache e sotto delle stuoie, zitti in assoluto silenzio. Soltanto un uomo anziano decise di alzarsi un momento, scostare la tenda davanti all’entrata, poiché non c’erano porte, e spiegare: “Ti conviene cercarti un riparo! Questa notte arriverà Aigamuxa, un terribile mostro che divora gli uomini! Tutti noi ci nascondiamo, poiché se non ci vede, passerà oltre e ci lascerà stare.”

Detto ciò, l’anziano tornò a celarsi in casa. Flynn ragionò su quell’avvertimento e decise di non prendere precauzioni per la propria incolumità ma, anzi, aspettare l’Aigamuxa e combatterlo.

Si guardò attorno alla ricerca di un bastone abbastanza solido e lungo da poter usare come spada, poi si mise in attesa. Era impaziente di cimentarsi in quell’impresa, voleva provare il connubio tra la scherma e la magia.

Venne la notte, si cominciò a sentire un gemito in lontananza, poi un altro e ancora e ancora, sempre più vicino. Uno strano fruscio. Poi, eccolo: un essere alto e massiccio, il volto era occupato per oltre metà da un’enorme bocca piena di denti aguzzi, lunghi come coltelli; era pelato e non aveva occhi; anzi, gli occhi li aveva, ma non sul viso, bensì sulle caviglie. Si guardava attorno, alla ricerca di cibo.

Flynn pensò non fosse molto complicato da sconfiggere, quell’essere e si domandò come mai un villaggio, seppure poco abitato, non fosse stato in grado di liberarsene da solo. Ricorse al fuoco per bruciare gli occhi del mostro, accecandolo, poi iniziò a colpirlo col bastone.

L’Aigamuxa lanciò qualche verso e reagì, agitando le braccia per aria e sferrando colpi poderosi a destra e a manca, riuscendo a colpire sia Flynn che qualche capanna.

L’uomo, allora, lasciò perdere il bastone e decise di usare solo la magia, tenendosi a debita distanza. Evocò prima un grande vento, così forte da sollevare il mostro per aria e farlo vorticare in tondo per qualche manciata di secondo, poi lo schiantò al suolo, lo colpì con una grande scarica elettrica e infine li diede fuoco.

Gli abitanti del villaggio, che avevano assistito alla scena, esultarono con grande gioia e circondarono Flynn, ringraziandolo, nonostante qualcuno si lamentasse del fatto che le folate di vento avevano scoperchiato alcune capanne.

L’uomo ne fu molto contento e accettò volentieri i festeggiamenti.

Il giorno dopo, alcuni degli abitanti del villaggio gli raccontarono di una grande impresa, non meglio definita, che sarebbe stata compiuta solo da un grande eroe ed essi pensavano che quell’eroe potesse essere lui. Flynn accettò volentieri la sfida e venne condotto ai piedi di una montagna, lì lo lasciarono, indicandogli il sentiero da seguire per raggiungere la vetta e la grande prova.

Flynn si mise in cammino, senza timore, canticchiando qualche vecchia canzone dei tempi in cui era stato boyscout. La salita non fu né lunga, né faticosa, dopo un’oretta l’uomo aveva già raggiunto la cima, che aveva uno spiazzo piano piuttosto vasto. Al centro c’era una sorta di trono in pietra, con lo schienale molto alto. Era dietro di esso, per cui si avvicinò per passargli davanti ed osservarlo meglio. Quando gli fu innanzi, trasalì, vedendo se stesso seduto sul trono!

Non era una statua, era proprio un uomo identico a lui in tutto e per tutto. Come poteva essere possibile?

“Ciao Flynn!” disse quello seduto, con sguardo che pareva spiritato e un sorriso inquietante.

“Chi sei?” chiese l’originale.

“Io sono te.”

“Una parte di me?”

“No. Sono un possibile te. Sono quello che hai deciso di diventare.”

“Com’è possibile che tu sia lì e io qui …? …”

“Non porti problemi di logica, in questo posto.”

“Dove siamo?”

“Dentro.”

“A cosa?”

“Non ha importanza. Qui crescerai, evolverai, apprenderai il necessario.”

“Diventerò te?”

“Lo sei già, in potenza. Lo sei già stato, ricordi quando avevi il pomo della discordia tra le mani? Ricordi come ti sentivi potente, libero e felice? Senza preoccupazioni, pensando solo a te stesso, come sei stato bene, seppure per pochi minuti!”

“Quella era la versione peggiore di me! Io non voglio essere così!”

“Come?!” si irritò quello sul trono, levandosi in piedi “Non vuoi il potere? Il totale controllo? È questo che ti manca! Sei sempre stato chino ad obbedire a qualcuno o qualcosa, quando tu sei fatto per comandare! Che spreco la tua conoscenza, sottomessa a qualcun altro. Tutto il tuo sapere che deve rimanere sopito e non lo puoi applicare, non puoi ottenere quello che vuoi! Tenerlo nascosto, invece di palesarlo al mondo! Quanti ti ritengono un patetico omuncolo, sia tra gli umani che non? E perché? Perché non usi il tuo potenziale, perché tu stesso ti mortifichi e ti nascondi.” avanzò verso Flynn “Hanno fatto bene, finora, ad insultarti e disprezzarti, non hai fatto nulla per avere il rispetto degli altri. Hai sempre nascosto quello che sai fare, oppure sei sempre stato un servo! Ora che finalmente hai capito la realtà dei fatti, potrai finalmente farti valere e vincere e trionfare su tutto e tutti, perché il tuo sapere ti rende più grande della maggior parte dei viventi ed ora che tu ottenga il tuo posto reale nel mondo.”

Flynn ebbe paura, iniziò  ad arretrare e farfugliò: “Io non ho questo odio, non ho tutto questo desiderio di rivalsa. Voglio solo conoscere la Verità e decidere liberamente, secondo la mia coscienza. Il potere sugli altri non mi interessa.”

“Perché?” gli chiese l’alter ego, a denti stretti, avanzando minaccioso “Il potere che hai dentro di te, ti permetterebbe qualsiasi cosa!”

“Beh, decido io come investire questo potere e non mi interessa per vessare gli altri! Sono stato fin troppo vittima di bullismo da ragazzino, per mettermi a fare il prepotente!”

“Perché? Non ti vuoi vendicare? Non vuoi dimostrare a chi ti ha vessato chi sei realmente?”

“No!”

“E allora che cosa vuoi fare? Continuare a nasconderti?”

“Non lo so, deciderò. Voglio ancora combattere per il bene.”

“In Biblioteca ti hanno sempre e solo ingannato!” insisté l’alter ego, costringendo l’originale ad indietreggiare sempre più verso il bordo della montagna.

“Lo so, ma non ha importanza. Capirò da solo che cosa è giusto e cosa sbagliato, sarà la mia coscienza a dirmi quando intervenire per proteggere. Io non voglio tenere il mio sapere per tornaconto personale, ma lo voglio impiegare per il bene.”

“Sei patetico. Ancora una volta vuoi piegarti a qualcosa che, non solo non conosci, ma che mai e poi mai potrà essere conosciuta! Nessuno saprà mai che cosa è giusto e cosa è sbagliato, Bene e Male sono indefinibili.”

Flynn era in bilico sull’orlo del precipizio, ma non se ne era accorto; replicò: “Ti sbagli. I sofisti hanno torto a dire che non esiste un assoluto. L’assoluto esiste!”

“Può darsi, ma l’unico modo per scoprirlo è la morte.”

L’alter ego appoggiò le mani sulle spalle dell’originale e gli diede una leggera spinta all’indietro.

Flynn si sentì cadere nel vuoto, precipitò; vide il suo doppio rimpicciolirsi sempre di più, la montagna stagliarsi sempre più alta e poi continuò a cadere oltre. La montagna scomparve, si ritrovò a precipitare nel vuoto, l’aria attorno a sé divenne sempre più fredda e, infine, atterrò di schiena su un soffice e gelido cumulo di neve.

Tossì per il colpo subito ai polmoni in quell’atterraggio, aspettò qualche istante per mettersi a sedere; poi si guardò attorno: sembrava di trovarsi ad uno dei poli, durante il periodo di sei mesi di buio, dove la luce c’è, ma assai fioca; tutt’attorno c’era neve, pareti di ghiaccio e fiocchi che cadevano dal cielo.

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Capitolo 20
*** Sotterfugi ***


Il giradischi si muoveva e il grammofono diffondeva la musica di Brahms in tutta la camera: un salottino con le pareti rivestite di seta verde, decorata con araldici leopardi argentei raggruppati a tre a tre; erano anche appesi alcuni paesaggi, uno rappresentava una veduta di Venezia, sicuramente della mano del Canaletto. C’erano due divanetti e due poltroncine, sistemati attorno ad un tavolino basso, in un angolo un mobiletto dei liquori, in un altro il grammofono; da un lato, un grande scaffale in noce custodiva una ricca e preziosa collezione di dischi. La luce entrava da un’ampia finestra che si apriva su un bel giardino.

Su una poltroncina era seduto Dulaque, con in mano un calice colmo di Porto Colheita, che assaporava di tanto in tanto; era tranquillo e rilassato. Guardava dritto di fronte a sé Jenkins, seduto sull’altra poltrona, che teneva le braccia conserte e uno sguardo di disapprovazione. Su uno dei divani, invece, stava Enya, non pareva turbata, ma neppure a proprio agio.

Gahalad, non ti piacciono le danze ungheresi di Brahms?” domandò Dulaque, dopo aver bevuto un sorso.

“Non è Brahms che non apprezzo.” rispose l’uomo, risentito.

“Bene, perché questo disco è una rarità. Stiamo ascoltando direttamente il Maestro! È uno dei primi dischi incisi, era il 1883 quando me ne fece dono, mi pare. Ricordo quando Edison, nel 1878 mi regalò uno dei fonografi costruiti da lui. Tu, Gahalad, hai avuto l’opportunità di conoscere gente di questo calibro, mentre stavi chiuso in Biblioteca?”

“Non ero prigioniero, come ora. Ho potuto fare molte cose.”

Dulaque trattenne uno sbuffo di riso e lasciò che la musica fosse l’unico suono per qualche altro minuto. Dopo un poco, chiese: “E tu, Enya, come mai sei tanto contraria al ritorno della magia nel mondo? Sinceramente, non lo capisco: la magia è insita nella tua vita.”

“Non ho mai detto di essere contraria al ritorno della magia. Sarà stata anche a lungo confinata e limitata, ma non è mai realmente scomparsa. Essa è inscindibile dall’esistenza, non scomparirà mai; il mondo potrà scordarsi della magia, ma la magia non si scorderà del mondo.”

“La Biblioteca, però, invece di conservare la conoscenza, la privatizza, la nasconde ed è disposta anche a distruggerla, perché non si sa. Tu sei davvero dalla loro parte?”

“La magia è una strada, non un mezzo. È giusto nasconderla a chi non è in grado di comprenderla. Fin dall’antichità essa è stata trasmessa tramite i Misteri.”

“Sì e poi è stata scacciata, condannata e perseguitata, perché gli uomini temono sempre ciò che è superiore a loro, ciò che non capiscono, ciò che non sanno controllare e quindi fanno di tutto per distruggerlo!”

“Sì, effettivamente questo è vero. Ci sono anche degli uomini, però, come te, che vogliono sfruttare la magia, per ottenere potere e questo …”

“È vietato, forse?” chiese Dulaque, ironico “Non mi sembra proprio.”

“No, non lo è.” dovette ammettere Enya “A me, però, non piacciono le sommosse, né le imposizioni e nemmeno le dittature.”

“Oh, andiamo! C’eri anche tu, a Camelot, ti sembrava forse una dittatura? Era un regno, un bel regno!”

Jenkins intervenne: “Circondato da altri regni i cui re erano spesso e volentieri crudeli e vessavano i loro popoli.”

“Io, infatti, propongo di prendere a modello il regno di re Artù, quello che funzionava bene, quello che aveva la miglior legislazione, quello che ancor oggi viene ricordato come il miglior regno che ci sia mai stato su questo pianeta!

“Sì, parlano un sacco bene anche di Atlantide!” replicò l’altro uomo “Solo perché loro non c’erano e si affidano a quel che si è cristallizzato nelle leggende.”

Intervenne Enya: “Inoltre quel che proponi è totalmente anacronistico! Adesso c’è democrazia, ci sono le Repubbliche.”

“Ci sono quarantasette stati, attualmente, nel mondo, che soggiacciono ad una monarchia; poco meno di un quarto di quelli esistenti.”

“Sì, ma quattordici di essi fanno parte del Commonwealth e per la maggiore hanno una popolazione ridicola!” ribatté Jenkins.

“Oltre mezzo miliardo di persone!” insisté Dulaque.

“Ossia appena un quattordicesimo della popolazione mondiale.”

“Non è poco.”

“Comunque, di quei quarantasette stati, solo sei sono monarchie assolute, le altre sono monarchie parlamentari o costituzionali, in alcune il re viene perfino eletto!”

“E queste democrazie, queste tue care repubbliche, funzionano alla perfezione, vero?” Dulaque insisteva “I loro parlamenti sono solo pieni di corrotti, criminali, indagati, politici le cui campagne elettorali sono state finanziate da lobby ed industrie che vogliono il proprio tornaconto … Dimentico qualcosa? Ah, sì, il fatto che sempre meno gente va a votare, l’astensionismo dilaga. Vedete? È la gente stessa che è disgustata dalla politica, dalla democrazia, si sono stufati di dare voti a partiti che  pasticciano, modificano tutto e poi non cambia mai nulla. Le lamentele di ieri sono le stesse di oggi e domani non saranno diverse. E quali sono i partiti di maggior successo? Quelli che si ispirano maggiormente ai regimi totalitari, quelli che hanno un capo che decide per tutti quanti, senza discussioni inutili. La gente vuole un capo, vuole qualcuno che li guidi e li sollevi dall’obbligo di pensare e di decidere.”

“E dalla responsabilità che permette di maturare.” puntualizzò Jenkins, a denti stretti, con sguardo severo.

“Allora lo ammetti anche tu.”

“Ci sono periodi. Nella storia ci sono stati momenti in cui gli uomini hanno avuto coscienza, consapevolezza e hanno rivendicato le proprie responsabilità, altri momenti in cui sono stati quiescenti, addormentati. Adesso è uno di quei periodi in cui i popoli si comportano come bambini, ma vanno educati per diventare adulti e non essere trattati come schiavi.”

“Eppure tutti dicono che quella dell’infanzia sia l’età migliore.”

“L’inconsapevolezza sarà bella, ma è sbagliata.” insisté Jenkins.

“Platone stesso sosteneva la necessità che il governo fosse affidato ai migliori e non potesse essere in mano a tutti quanti; inoltre prese parte ad una cospirazione per installare un tiranno-filosofo sul trono di Siracusa … peccato gli sia andata male.”

“Scusate” intervenne Enya “Credo che tutto questo sia un problema indipendente dalla magia.”

“Sì e no.” disse Dulaque “La magia può aiutare molto ad illuminare i potenti e controllare il popolo. Inoltre, lo sapete bene anche voi: Re Artù ritornerà, quando l’Inghilterra ne avrà bisogno.”

“Allora aspettalo e smettila coi tuoi intrighi.” ribatté Jenkins.

Aiutati che il ciel t’aiuta! È così che funziona.”

La musica cessò, Dulaque allora si alzò in piedi e disse: “Bene, gli affari mi chiamano. Vi lascio. La casa ormai la conoscete, quindi fate quel che vi pare; ci vediamo per cena.”

Dulaque uscì dalla stanza. Jenkins ed Enya si guardarono senza dirsi nulla, contemporaneamente, si scambiarono un cenno di assenso, poi si alzarono e si diressero verso una scala a chiocciola, un tempo usata dai domestici e, quindi, nascosta. La salirono fino in cima, trovandosi in un solaio in disuso, polveroso e pieno di ragnatele, illuminato solo da un abbaino. Avevano trovato quel posto il primo giorno passato nella villa e lo avevano ritenuto il luogo più adatto per le loro operazioni segrete. Jenkins aveva trovato il modo di contattare la Biblioteca, tramite uno specchio sarebbe collegato a quello grande, presente nella sala-archivio; almeno questa era la speranza, poiché ancora non lo aveva provato e dunque non poteva essere certo che funzionasse. I due prigionieri avevano deciso di tentare di prendere i contatti.

Jenkins mise in moto il suo sistema di comunicazione ed ebbe successo: presto nello specchio si configurò l’immagine della sala-archivio della Biblioteca. Si vedeva anche la figura di un uomo grande e grosso. Jenkins lo osservò qualche istante e poi esclamò: “Antonio! Devo aver sbagliato qualcosa, c’è uno sfasamento temporale.”

Antonio, in Biblioteca, sentendosi chiamare, si erra voltato verso lo specchio e aveva visto Jenkins, per cui si affrettò a dire: “No, tranquillo, nessuna discronia! Mi hanno liberato!”

“Chi?”

“Jacob, Cassandra, Ezekiel e il Colonnello.”

“Ah.” Jenkins si stupì “Hanno avuto una gran fortuna. Come mai hanno pensato a te?”

“Veramente è stato Judson a dire a Charlene di parlare loro di me; non so se lo sai, ma il Bibliotecario ufficiale è disperso.”

“Sì, mi è stato riferito; quindi ancora nessuna novità su Flynn?”

“Nessuna. Tu, piuttosto? Mi era stato detto che eri prigioniero di Morgana, ma ti vedo piuttosto in forma.”

Dulaque ha fatto un’operazione di pseudosalvataggio, mi ha tolto dalle grinfie di Morgana, ma mi costringe a non uscire da una delle sue ville.”

“Non puoi scappare? Non puoi costruire un’altra di quelle porte meravigliose che si aprono ovunque vuoi? Io adoro quella porta, è una delle cose più belle che abbia mai visto!”

“Sono contento che l’apprezzi.”

“Anche Chralene ne è entusiasta, poiché fa risparmiare alla Biblioteca tutto il denaro per i viaggi.”

“Lo so, lo so. Comunque, per il momento non posso rientrare; c’è un’altra persona, prigioniera qui, che correrebbe grossi guai se io o lei fuggissimo, per cui prima devo risolvere questa faccenda, poi vi raggiungeremo.”

In quel momento, in Biblioteca, fece capolino nella stanza Cassandra, chiedendo: “Antonio, ma con chi stai parlan …?” si accorse dell’immagine di Jenkins nello specchio, strabuzzò gli occhi, poi gridò: “Jenkins! Jenkins! Ragazzi, venite! Jenkins ci sta … specchiofonando!”

Subito il resto dello staff della Biblioteca arrivò e tutti furono felici di rivedere l’uomo sano e salvo, lo salutarono e gli chiesero che cosa gli fosse accaduto e dove si trovasse. Egli, pazientemente, riassunse i suoi spostamenti e specificò il ruolo che aveva avuto Enya in quella faccenda.

Finito di ascoltare, Ezekiel domandò: “Ma Dulaque è veramente tuo padre?”

“ … Chi ti ha detto una cosa simile?!”

“Lui. Inoltre, da quello che hai detto, ti tratta piuttosto bene per essere un prigioniero.”

“Beh … sì, è così … ma non è argomento di cui mi piaccia parlare.”

Cassandra osservò: “Ma non sembra molto più grande di te.”

Eve aggiunse, scherzando: “Forse si inietta un litro di botulino ogni giorno.”

“Ehi, quanto pensate ch’io sia vecchio?!” si offese Jenkins “Comunque, vi ricordo che Dulaque usa la magia, quindi non è un problema, per lui, dimostrare meno anni di quelli che ha. Ora, se abbiamo finito con la pagina del gossip, possiamo parlare di questioni serie? Com’è la situazione?”

Eve rispose: “Penso che il termine tremenda sia il più appropriato.”

“Esagera.” disse Antonio.

“Non penso proprio.” ribatté la donna “Dal momento che abbiamo i Fomori che commettono atti di pirateria, attaccando le navi anche con mostri marini; i tizi del Regno del Ferro pare si siano alleati con quelli dell’EIRE e si sono dati al terrorismo contro l’Inghilterra, ci sono stati scontri tra loro e l’esercito regolare. In più, una serie di mostri di varie specie, hanno iniziato ad apparire qua e là, creando un certo disagio e scompiglio. Altro? Ah, sì, abbiamo dovuto salvare un paio di neonati rapiti dalle fate.”

“Ah.” commentò Jenkins “Beh, effettivamente, non è poi così grave il quadro generale.”

“Non è così grave?!” si stupì ed irritò Eve.

Antonio disse all’altro uomo: “Visto? Non si rendono conto che siamo fortunati che i nostri nemici abbiano deciso di agire ognuno di testa propria, senza coalizzarsi, senza avere un piano comune.”

“Non è che questo fattore migliori le cose.” ribatté Eve, stizzita.

“Non le peggiora nemmeno.” le disse Jenkins “In questo modo non dovete affrontare una guerra, ma semplicemente tante missioni in poco tempo.”

“E io che trovavo già stressante salvare il mondo due volte a settimana!” esclamò Ezekiel “Di questo passo sarà due al giorno.”

Antonio intervenne: “Ci divideremo le missioni, lavoreremo singolarmente e non in gruppo, così risparmiamo tempo.”

“E aumentiamo le possibilità di morire.” commentò Cassandra, sottovoce.

“Piuttosto, tu sai qualcosa delle intenzioni di Dulaque?” chiese Stone.

“No. È scaltro e certo non espone i suoi piani davanti a me. Tuttavia, oggi, ha detto una  cosa che mi ha fatto nascere un sospetto e spero tanto di sbagliarmi, altrimenti la situazione diventerebbe molto tragica.”

“Ossia?” lo incalzarono i bibliotecari quasi all’unisono.

“Ha fatto riferimento alla tradizione secondo cui Artù tornerà da Avalon, allorché l’Inghilterra ne avrà bisogno.”

“Ma Artù è morto, ormai …” commentò Cassandra.

Jenkins scosse negativamente la testa, poi aggiunse: “Inizio a pensare che Dulaque non sia interessato a muovere guerra alla Biblioteca, come credevamo. Forse mira a provocare caos, sfruttando i malumori delle varie creature, in modo tale da provocare, forzare il ritorno di Artù, affinché risolva la situazione e, probabilmente, ripristini l’antico ordine delle cose.”

“Aspetta.” lo interruppe Eve “Stai dicendo che Dulaque aizza esseri sovrannaturali contro di noi e contro il mondo, affinché re Artù possa tornare, sconfiggere le creature che Dulaque stesso ha istigato e quindi tornare come ai tempi di Camelot? Contro chi o cosa diavolo sta facendo guerra, esattamente?”

“Il sistema.” risposero all’unisono Jenkins e Antonio.

“Quindi, questa informazione come ci può aiutare?” chiese Stone.

“Non vi aiuta.” rispose Antonio “È un ulteriore stimolo a sbrigarvi a sedare i vari problemi, prima che venga re Artù a farlo.”

“È un piano folle!” aggiunse Jenkins “Artù ha sempre avuto bisogno dell’appoggio di Merlino per vincere le guerre e far funzionare il regno. Con la scomparsa di Merlino, è iniziato il declino di Camelot.”

Cassandra chiese: “Ma Merlino che fine ha fatto, esattamente? Da quello che mi è parso di capire in questi giorni, nessuna fonte letteraria riporta il vero. Si sa qualcosa al riguardo?”

Jenkins esitò qualche istante, pensando a cosa dire, poi rispose: “È complicato. Altre domande?”

La conversazione non continuò ancora a lungo, chiarite un altro paio di cose, si salutarono e ognuno riprese le proprie faccende.

Jenkins coprì lo specchio con un panno di lana bianca, poi commentò: “Pensavo peggio. Saranno molto impegnati, ma dovrebbero riuscire a cavarsela senza troppi problemi. Non credo che qui ci sia molto da fare per noi, non siamo riusciti a trovare informazioni; forse dovremmo trovare la maniera per andarcene e aiutare gli altri. Che ne pensi?”

Enya annuì e rispose: “Concordo. Lancillotto probabilmente si aspettava che noi non ci saremmo limitati a goderci il soggiorno, ma che avremmo cercato di rompergli le uova nel paniere, quindi avrà preso tutte le precauzioni per evitare di togliere ogni informazione interessante da questa villa. C’è da sperare che non abbia nascosto altrove la statuetta col mio Ba, altrimenti rimaniamo bloccati. Possiamo anche andarcene e quel che sarà, sarà; almeno tu potrai dar man forte in Biblioteca.”

“Prima di rassegnarci al peggio, facciamo un tentativo di uscirne entrambi incolumi. Inoltre, Dulaque, possedendo il tuo Ba, non solo potrebbe farti del male, ma anche controllare le tue azioni e questo potrebbe danneggiare tutti quanti. Non ti preoccupare, conosco Dulaque abbastanza per essere certo che tenga la statuetta presso di sé, per poterla meglio sorvegliare. Dovremmo fare una perquisizione delle sue stanze.”

“Saranno controllate.”

“Sì, ma spero che la tua magia possa eludere la sicurezza.”

“Mancano due ore, prima di cena; ispezioniamo adesso?”

“Buona idea. Speriamo non ci sia lui dentro.”

Jenikins ed Enya lasciarono la soffitta e iniziarono a scendere la scala chiocciola. Dopo qualche gradino, l’uomo domandò: “Tu hai detto che hai passato molto tempo ad Avalon, giusto?”

“Sì, perché?”

“Quindi hai visto Artù?” lo chiese con un tono curioso e nostalgico “Di recente, intendo.”

“Beh, sì alcune volte l’ho visto, ma si mostra raramente. È misterioso perfino per Avalon, io l’ho potuto incontrare di tanto in tanto, solo perché mio padre era Galvano.”

Avalon è idilliaca come si dice? Io non ci sono mai stato, ma mi incuriosisce parecchio.”

“Sì, è un luogo completamente diverso da ciò che si trova sulla Terra, soprattutto come mentalità, come atteggiamento verso la vita. Se sei curioso, perché non ci sei mai stato?”

Jenkins rimase in silenzio per qualche momento, come rattristato, alla fine sospirò e rispose: “Il lavoro in Biblioteca non me lo ha permesso … Judson pensa ch’io sia troppo affascinato dalla magia, per cui ha cercato di tenermi sempre confinato, per così dire, alla teoria, tenendomi lontano il più possibile dagli aspetti più concreti. Non sempre c’è riuscito, per fortuna, ma mi ha limitato parecchio. È ridicolo! Ho quasi millecinquecento anni e Judson ancora pensa ch’io non sia in grado di affrontare queste faccende col giusto equilibrio.”

“Non ti ha mai dato fastidio questa situazione?”

“Sì, parecchio; ma ho sopportato, perché stare nella Biblioteca è la cosa giusta. Inoltre, lavorando da solo, nella mia sede, ho potuto fare molta esperienza, nonostante i frustranti divieti di Judson.”

“Perché non hai risposto alla domanda su Merlino?”

“Avrei potuto rispondere, ma poi mi sarebbe stato difficile trovare una giustificazione. Tra l’altro, col fatto che la magia è tornata a fluire, lui potrebbe anche tornare.”

“Magari! Sarebbe bello!”

“Avevi fatto in tempo a conoscerlo?”

“Sì, se n’è andato quando io avevo circa dieci anni.”

Erano arrivati in fondo alla scala, per cui tacquero per stare ben attenti a quel che accadeva, onde evitare che qualcuno si accorgesse che si stavano dirigendo alle stanze di Dulaque. Per essere maggiormente sicuri, Enya decise di usare un incantesimo per nasconderli alla vista di chiunque  altro. Arrivarono agli alloggi; la ragazza usò i propri poteri per assicurarsi che non ci fosse nessuno dentro. Sicuri di avere la via libera, entrarono nella prima stanza e cercarono la statuetta col Ba, stando ben attenti a non mettere in disordine nulla, per evitare di essere scoperti. Frugarono dappertutto, nello studio, nel salotto privato e perfino nella camera da letto, ma non trovarono quel che cercavano.

“Anche di là, nulla.” disse Enya, dopo aver guardato nella cabina-armadio “Ormai non abbiamo più tempo. Tu hai trovato qualcosa?”

Jenkins richiuse il quadernetto che aveva tra le mani e nella cui lettura era piuttosto assorto, lo riappoggiò sulla scrivania e disse sconsolato: “No, nulla.”

“Cosa guardavi?”

“Gli appunti di Dulaque, peccato doverli lasciare qui.”

“Informazioni utili?”

“Ti racconterò, ora andiamo. Come hai detto, è tardi.”

Accertandosi che tutto fosse come lo avevano trovato, i due uscirono dalle stanze di Dulaque. Jenkins propose di separarsi e ritrovarsi a cena, perché a suo parere avrebbe fugato qualsiasi sospetto; Enya non comprese bene, ma acconsentì.

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Capitolo 21
*** V.I.T.R.I.O.L. parte II ***


I fiocchi di neve cadevano fitti e costanti, vento gelido tagliava l’aria. Flynn camminava lentamente, con le gambe immerse fino al ginocchio nella neve. Non aveva idea di dove andare, cercava solo un posto dove ripararsi finché la bufera non fosse finita. Aveva provato ad usare la magia per riscaldarsi o proteggersi, ma con scarsi risultati: il fuoco si spegneva subito a causa della neve, appellandosi all’acqua non era abbastanza abile per impedire che gli nevicasse in testa, ricorrendo all’aria, invece, era riuscito a creare una piccola corrente d’aria sopra il suo capo per allontanare i fiocchi, ma non era efficace al cento per cento.

Camminò per oltre un’ora, poi scorse in lontananza il profilo di una torre, gli parve di intravederne un’altra e anche dei merli, ipotizzò e sperò che ci fosse un castello e, dunque, si affrettò a percorrere la strada in quella direzione, per raggiungerlo.

Il maniero non era vicino e Flynn dovette marciare per almeno u’altra ora, prima di raggiungerlo. Giunto ai piedi delle mura, l’uomo si rese conto di trovarsi davanti ad un piccolo borghetto che aveva tutta l’aria di essere abbandonato, infatti non c’era alcuna luce accesa. L’uomo decise di avventurarcisi comunque. Il borgo era circondato da un fossato che, stranamente, non conteneva né acqua, né neve, bensì pareva un baratro profondo. Per fortuna c’era un ponte levatoio abbassato, presso il bastione con una Porta d’ingresso. Flynn fece il primo passo e subito si accorse che il legno era al quanto marcio e ricoperto di muffa e muschio che lo rendevano scivoloso ed instabile. L’uomo nono poteva farci nulla e proseguì la sua attraversata. Nonostante ritenesse di avere un buon equilibrio e di procedere con attenzione, si ritrovò con la faccia a terra più di una volta, nel percorrere quei pochi metri. Una volta giunto sotto l’arco della Porta, sentì il ponte alle proprie spalle crollare, privandolo, dunque, di quella possibilità d’uscita.

Flynn passò oltre il bastione e si trovò in un piccolo spiazzo che separava la cinta muraria dalle abitazioni; per terra in quella piazzola, c’erano almeno un centinaio di scheletri, con ancora indosso vecchi abiti sgualciti e rovinati. L’uomo fu alquanto sorpreso, ma non si spaventò, inoltre notò con piacere che dentro al borgo non nevicava. Camminando in mezzo alle ossa, raggiunse la strada che si apriva dritta davanti al torrione, supponendola una delle vie principali del borgo. Avvinandosi, notò che c’erano due persone appoggiate ad un angolo della prima casa della strada; li chiamò, cercò di attirare la loro attenzione, ma era come se essi non lo sentissero. Si avvicinò ai due che continuavano ad ignorarlo e li sentì parlare.

“Io bene.” diceva il primo.

“E tu?” replicava l’altro.

“Io bene.”

“E tu?”

“Io bene.”

“E tu?”

Flynn si rese conto che i due continuavano a ripetere sempre quelle due frasi, senza mai cambiare e accompagnandole sempre dagli stessi gesti ed espressioni del viso. Dopo averli osservati per un poco, l’uomo capì che si trattava di una sorta di loop temporale infinito e che quei due uomini erano bloccati ad un momento preciso del tempo ed erano condannati a ripeterlo all’infinito. A quel punto, sulla parete della casa, si compose una scritta che diceva: Il Tempo è prerogativa divina.

Flynn non ne era sicuro, ma ipotizzò si trattasse di un avvertimento circa cosa possa accadere a chi cerca di manipolare il tempo irresponsabilmente e superficialmente.

L’uomo decise di proseguire per la strada scelta e tenne gli occhi aperti, in cerca di altre stranezze e per paura di imbattersi in qualche pericolo. Dopo nemmeno cinquanta metri, sentì urlare, sghignazzare poco lontano; si guardò attorno ma non c’era nessuno. Procedendo, capì che la confusione veniva dall’interno di una casa e facilmente la individuò. Flynn ragionò circa se fosse prudente o meno recarsi in quel luogo, alla fine decise di andare, ritenendo anche che incontrare gente gli sarebbe stato utile. Si trovava davanti all’uscio dell’abitazione, allungò una mano per aprire la porta, ma appena la sfiorò, essa si sgretolò. L’uomo entrò, il pian terreno gli sembrava vuoto e sentì che le voci provenivano dal piano superiore; dunque salì una rampa di scale e si trovò su un pianerottolo, dove trovò una porta aperta che conduceva in una stanza illuminata e piena di baccano. Flynn entrò e si trovò davanti ad uno spettacolo inaspettato: un uomo era in piedi in un angolo, completamente fermo se non per le mani che apriva e chiudeva di continuo e, ogni tanto, urlava; ce ne era un altro che saltellava come una rana, gracidando; un altro era totalmente assorto nel suonare un pianoforte, ma quando un quarto gli si avvicinò per parlargli, il pianista si infuriò e iniziò a gridare e colpire con furia chi lo aveva disturbato. Una donna ballava e girava su sé stessa per tutta la stanza e il suo viso era spesso coperto dai lunghi capelli neri che svolazzavano in qua e in là, secondo il suo ritmo. Un’altra camminava avanti e indietro, ogni tanto si arrestava, gesticolava e pronunciava parole strane e confuse; Flynn provò ad ascoltarla, ma lei parlava troppo in fretta, ma l’uomo capì qualche parola e la associò a delle formule magiche. In un altro angolo c’erano un uomo e una donna che mangiavano quello che Flynn sperò fosse fango e non altro. Un’altra donna passava dal riso al pianto al terrore in maniera ciclica. Altri ancora parevano in preda ad allucinazioni e deliri.

Sembrava di essere in un manicomio. Flynn voleva capire, forse quelle persone erano state maledette, dunque voleva aiutarle. Provò ad avvicinarsi a quello che gli sembrava più lucido, ma, appena gli appoggiò una mano sulla spalla per richiamarne l’attenzione, ebbe una visione: in pochi istanti la vita di quell’uomo gli scorse davanti agli occhi, l’infanzia, l’inizio dei suoi studi, i suoi amori, la curiosità verso la magia, qualche approccio ad essa fatto per gioco e, infine, la follia.

Flynn rimase sorpreso qualche istante: cosa gli era successo? Decise di fare un altro tentativo e toccò un altro dei presenti e vide anche la sua vita, il cui epilogo fu uguale alla precedente: un avvicinarsi alla magia e poi la pazzia.

Flynn iniziò a comprendere, ma fece qualche altro tentativo per averne la certezza, visto che il risultato fu sempre il medesimo, poté concludere che quelli davanti cui si trovava erano tutti uomini e donne impazziti a causa dell’uso incontrollato della magia.

Dopo che ebbe stabilito nella propria mente ciò, Flynn vide apparire una scritta sul muro, essa spiegava: Il mago è colui che sottomette a sé il demonio, lo stregone è colui che è sottomesso dal diavolo.

Flynn capì che non aveva altro da fare per cui uscì dalla casa e continuò la sua strada che lo condusse nella piazza principale del borgo, dove si ergeva un maniero. L’uomo era deciso ad entrare, ma prima notò un pozzo, si sentì attratto da esso e si avvicinò per osservarlo e, appena sporse il capo oltre il bordo, sentì gemiti e lamenti: centinaia di migliaia di voci, tutte sofferenti, tutte vittime di sortilegi lanciati da altri, oppure dalla regola del tre.

Tutte quelle voci, tutto quel dolore suscitarono angoscia in Flynn che d’improvviso si sentiva sopraffatto e impotente: tutte quelle persone perdute per sempre.

Quando riuscì a scuotersi un poco, l’uomo, ancora agitato, si allontanò dal pozzo e pian, piano ritrovò la calma.

Flynn decise di entrare nel castello e lasciar perdere il pozzo che tanto lo sconvolgeva. Si avvicinò al voltone che fungeva da ingresso e lo trovò con la grata abbassata, ma la vide sollevarsi, appena ne fu in prossimità. Varcò la soglia, la grata dietro di lui si abbassò nuovamente e non ci fu modo di smuoverla nuovamente.

Flynn si guardò attorno, trovò una porticina aperta e, dunque, la varcò per entrare definitivamente nell’edificio. Ora che si trovava dentro il maniero, tuttavia, non sapeva dove recarsi. Iniziò ad attraversare lunghi corridoi, salire e scendere scale, senza mai riuscire ad arrivare da nessuna parte e tutti i luoghi gli sembravano uguali tra di loro. Innervosito, decise di aprire ogni porta che si sarebbe trovato davanti, sperando di trovare qualcosa, qualsiasi cosa.

Aprì un uscio e trovò un enorme ingranaggio che girava lentamente su sé stesso. Flynn decise di non entrare e chiuse; aprì un’altra porta e gli parve di trovarsi davanti ad uno sconfinato giardino rigoglioso, colmo di alberi fioriti e carichi di frutti, si udiva musica gioiosa, risate gentili.

Flynn fu tentato di addentrarsi, ma ebbe un’esitazione, l’istinto gli suggeriva di non andare, sentiva che se fosse entrato in quel giardino, non ne sarebbe più uscito, si sarebbe perso e dimenticato di tutto. Perché credeva ciò? Era vero? Non lo sapeva, ma decise di fidarsi del proprio intuito e lasciar perdere.

Procedette ancora e il castello continuava ad apparirgli monotono e intrigato. Trovò finalmente un’altra porta, aprì anche quella e non trovò una stanza, bensì una parete di ghiaccio dentro cui era congelato un uomo.

Flynn trasalì e rimase con gli occhi spalancati, totalmente sbalordito.

Aveva riconosciuto immediatamente suo padre, nell’uomo prigioniero del ghiaccio.

Flynn … echeggiò una voce nell’aria.

“Papà!” esclamò l’uomo sorpreso e con una lacrima sugli occhi.

Che cosa ci fai qua?

“Non lo so … Non so nemmeno dove sono. Dove ci troviamo?”

Non ci sono risposte a questa domanda.

“Sei davvero tu, papà?”

Perché non dovrei esserlo?

“Non lo so, potresti essere uno spirito che mi inganna. Siamo nell’oltretomba?”

Per certi versi, qualcuno direbbe di sì, qualcuno di no.

“Da quanto sei qui?”

Io non ci sono.

“Cosa? Non capisco …”

Io so che stiamo parlando ora, siamo in un quando, non in un dove.

“Non ha senso!”

Sì che ce l’ha! Dipende, però, dal punto di vista, dalla concezione di chi la vive.

“Continuo a non capire.”

Lo so. Ti sei perso, vero?

“Già, più che un castello, sembra un labirinto.”

Oh, non era questo che intendevo. Sei in un castello? È naturale che tu ti sia smarrito lì, dal momento che ti eri già perso, prima di partire, ma se non ti fossi perso, non saresti mai partito.

“Non ti ricordavo così criptico … ma, in effetti, lo sei sempre stato, anche se non me ne rendevo conto. Le fiabe che mi raccontavi, erano una mappa orale.”

Hai scoperto delle Miniere di Re Salomone? Molto bene!

“Sì, ci sono stato anche e ho distrutto il suo grimorio.”

 Perché l’hai fatto?

“Era troppo pericoloso: stava corrompendo anche me. Era un potere immenso, non so se ci sia mai stato al mondo un uomo talmente puro da non poter essere sopraffatto dal senso di onnipotenza che quel libro trasmetteva.”

Sei pentito di averlo distrutto? Ora rimpiangi di non avere quel potere?

“No, non me ne sono mai pentito, nemmeno per un istante.”

Flynn, ripensando a quella faccenda, si rese conto di un’altra cosa: quando aveva affrontato quella situazione, lui aveva compreso la filosofia della Biblioteca e l’aveva approvata. Forse per i primi due anni, lui aveva obbedito alle direttive di Judson e non si era posto problemi di coscienza, ma quando si era trovato col libro di Salomone in mano, nessuno gli aveva dato ordini, nessuno gli aveva imposto cosa fare: lui aveva scelto, lui aveva deciso quale posizione prendere nei confronti di una seria faccenda e aveva preferito quella della Biblioteca. In quel momento aveva potuto scegliere di abbandonare la Biblioteca, essere indipendente, ma aveva deciso che non era quello che voleva, aveva deciso che la sua coscienza e il suo senso di giustizia, e non quello di altri, gli avevano suggerito che la Biblioteca aveva ragione, che quello era il suo posto e che lui voleva starci.

Se all’inizio della sua carriera di Bibliotecario, Flynn poteva essersi trovato in balia della situazione ed essere stato guidato da altri, dopo l’avventura alle Miniere di Salomone non poteva più essere così: lui aveva scelto, lui era diventato consapevole.

Dopo aver fatto quella riflessione, Flynn si sentì meno manipolato, ma ugualmente provava rabbia per il fatto che Judson non fosse stato sincero con lui.

“Papà, se tu non fossi stato ucciso … quando mi avresti detto dei nostri antenati, del nostro compito di guardiani delle Miniere e di tutta quella faccenda?”

Non lo so. Quando ti avrei ritenuto pronto di sopportare quella verità.

“Non c’è un’età tradizionale in cui viene rivelata?”

No. Ogni uomo è diverso e necessita dei suoi tempi; inoltre i padri vedono sempre piccoli i propri figli, li vogliono proteggere, hanno paura che esse si smarriscano, se non sono pronti, e di perderli. Non ho idea di quando ti avrei detto la verità, né in quale modo.

“Tu come lo hai saputo? Tuo padre quando ti ha raccontato delle Miniere di Salomone?”

Me lo raccontò in punto di morte. Come io con te, lui mi aveva raccontato le fiabe che rivelavano la strada, ma soltanto mentre spirava, si decise a dirmi la verità. Io non gli credetti, finché non incontrai un suo fratello che mi ripeté le stesse identiche cose e, poiché io mi ostinavo a ritenerle bugie, mi condusse proprio alle Miniere, per convincermi che esse esistessero e che noi dovevamo proteggerle. A volte non riconosciamo la Verità, quando ci viene detta e la riteniamo una menzogna, un insulto, e dobbiamo constatarla coi nostri sensi per poterla accettare. Per questo, spesso, viene nascosta.

“Stai dicendo che non sempre si mente per ingannare?”

L’inganno c’è sempre, ma non sempre è per danneggiare. Si dicono più bugie a chi vogliamo bene, per proteggerlo e non farlo soffrire, piuttosto che a dei nemici o a persone di cui non ci importa.

“Forse hai ragione.”

Lo scoprirai da solo, vivendo. Ora va, figliolo.

“Cosa?! Di già? Ma io voglio stare ancora con te! Abbiamo tanto di cui parlare! Io …”

Flynn, già questo è tanto. Io sono morto e tu sei vivo. I dialoghi con l’aldilà sono cosa rara. Non puoi fermarti, devi andare avanti e io devo lasciarti.

“Di nuovo? Così, in questo modo?!”

Non c’è un modo giusto. Confida. Addio … … ti voglio bene Flynn.

“Ti voglio bene papà.”

Flynn aveva le lacrime agli occhi che fissavano la parte di ghiaccio, ora vuota. L’uomo rimase fermo ancora qualche minuto, poi si asciugò il viso, chiuse la porta e riprese il suo vagabondaggio per il castello. Ancora i corridoi e le scale erano labirintiche, forse ancor più caotiche di prima; l’uomo iniziò a perdere ogni cognizione logica di quell’architettura, più di una volta si ritrovò, inspiegabilmente a testa in giù. Gli sembrava di trovarsi in un quadro di Escher.

Flynn era confuso e stordito, era certo che le pareti e le strutture si modificassero attorno a lui. Si rese conto che tutti i posti in cui andasse lo conducessero al medesimo baratro, come se la struttura si snodasse attorno a quel vuoto.

Non riuscendo ad uscirne ed arrivando sempre allo stesso punto, Flynn ritenne che aveva una sola cosa da fare: gettarsi nel baratro.

Non era certo che fosse la cosa giusta da fare, ma ormai era esasperato ed era disposto a qualsiasi cosa, pur di uscire da quel labirinto, quindi si gettò.

Flynn si stupì nel non sentirsi precipitare, come ormai si era abituato in quegli ultimi giorni. Appena saltò, si ritrovò seduto ad una tavola apparecchiata, ma con la frutta marcita, il cibo avariato e tutto ricoperto da polvere e ragnatele. L’uomo provò ad alzarsi in piedi, ma non vi riuscì, una strana forza lo teneva ancorato allo scranno. Flynn, allora, osservò meglio la tavola e notò che era rotonda e che c’erano altre sedie uguali alla sua, disposte lì attorno; la stanza era illuminata da strani fuochi verdi. Riuscendo a muovere le mani, l’uomo spolverò un poco la tavola davanti a sé e vide che sull’orlo era inciso una parola: Loholt. Lì per lì non riuscì a collegarlo a qualcosa o qualcuno di specifico, non con certezza, almeno, aveva varie ipotesi.

Le fiaccole di fuoco verde iniziarono a produrre parecchio fumo, da ognuna si levò una nuvola grigia che andò a collocarsi ciascuna su una sedia diversa. I vari fumi si disposero a comporre figure umane, dai tratti indefiniti, va differenti tra di loro, con occhi e bocca verdi.

Flynn ipotizzò si trattasse di spettri, ma non ne aveva mai visti o studiati di quel tipo; comunque aveva l’impressione che, da quando era finito in quello strano luogo, le sue conoscenze e la sua intelligenza servissero a ben poco e che dovesse farsi guidare da altro, anche se non riusciva a capire esattamente da cosa.

Questa è una delle Tre Tavole.

Annunciò il coro di voci degli spettri.

Flynn ricordò la tradizione secondo cui esistesse una triade di tavole, formate da quella dell’ultima cena, quella di Giuseppe d’Arimatea e quella rotonda di re Artù; tutte caratterizzate da un posto tenuto vuoto.

Qui i migliori dei cavalieri sedevano e festeggiavano nei giorni sacri, nelle brevi pause tra un’impresa e l’altra. Il sorprendente e il sovrannaturale non erano tali ai nostri tempi, poiché erano nel mondo ed erano la normalità. Gli uomini ne avevano paura e ne stavano lontani, poiché conoscevano le insidie ed i pericoli. La magia era ovunque e, come per tutte le cose, era piegata sia al bene, sia al male. I cavalieri della Tavola Rotonda affrontavano ogni sorta di pericolo, ogni sorta di fenomeno, ogni sorta di sortilegio per difendere le persone da ogni forma di male, applicato sia con le armi, sia con la magia.

Tutti gli esseri non nascono buoni e più facilmente sono inclini al male, piuttosto che al bene.

Pochi erano i difensori dei deboli e dei giusti. I vizi iniziarono ad insidiarsi anche attorno a questa Tavola, i cui nemici erano già numerosi.

Il re e i suoi cavalieri caddero. La guerra durò per cinquecento anni e alla fine si esiliò la magia dal mondo, per quanto ciò fosse possibile.

Si cercò di bloccare la magia non perché essa fosse un male, ma perché non c’erano più difensori del mondo. Una volta eravamo centinaia di cavalieri a combattere i malvagi e ancor di più erano coloro che desideravano imitarci. Poi ci fu la caduta e i buoni divennero sempre meno, mentre l’egoismo e l’ingordigia si diffuse negli animi. Non rimase che la Biblioteca a protezione del mondo e fu costretta a limitare il flusso di magia nel mondo, per poter togliere risorse ai malvagi, poiché non poteva fronteggiarli tutti quanti.

Il coro tacque.

Flynn rimase perplesso e chiese: “Perché mi raccontate ciò?”

Non ebbe risposta, gli spettri persero i loro contorni, l’aria si riempì di fumo; l’uomo si sentì soffocare e svenne.

Flynn riprese i sensi, sentendo un vivace cinguettio. Aprì gli occhi, era sdraiato su un prato. Si mise a sedere, si guardò attorno e gli sembrò che fosse primavera.

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Capitolo 22
*** Duetti ***


Dopo la colazione, Enya era tornata nella propria stanza per lavarsi i denti e sistemarsi i capelli, poi aveva girato un poco a vuoto per i corridoi, cercando Jenkins, ma senza successo, dunque era ritornata in camera e si era seduta sul letto per leggere un libro.

Trascorse poco più di mezzora, poi qualcuno bussò alla sua porta.

“Avanti!” disse, prendendo il segnalibro per chiudere il volume e deporlo sul comodino, pur rimanendo seduta sul letto.

Jenkins entrò nella stanza, indossava una camicia bianca, panciotto e pantaloni neri e papillon rosso; era sorridente. Si sedette anche lui sul letto, vicino alla donna, e le disse: “Ho una sorpresa per te! Chiudi gli occhi.”

Enya, piacevolmente sorpresa, obbedì.

“Ora puoi aprirli.”

La donna guardò e vide, davanti al proprio naso, in equilibrio sul palmo dell’uomo, la statuettina a cui aveva ancorato il proprio Ba.

Sbalordì e, contenta ed incredula, esclamò: “Non può essere! Ma come ci sei riuscito? Dov’era?”

“Ho avuto fortuna.”

Enya, felicissima, gettò le braccia al collo di Jenkins, che a propria volta la strinse; lei lo ringraziò almeno una dozzina di volte e lo riempì di baci sulle guance.

L’uomo, un poco imbarazzato, poi si scostò un poco e disse: “Piano, altrimenti saremo scoperti, prima ancora di iniziare la nostra fuga.”

“Hai ragione, scusami. È che, lo sai anche tu, sono appena tornata in possesso di me stessa, praticamente; è un sollievo incredibile!”

“Lo so. Dulaque, al momento, non è in villa, ci conviene non perdere tempo e scappare subito.”

La donna fu d’accordo. I due sgattaiolarono nel solaio dove, già da giorni, avevano preparato un paio di zaini con dentro coperte, viveri a lunga conservazione, bende e disinfettante e poco altro. Sapevano, infatti, che la villa in cui si trovavano era immersa in ettari ed ettari di foresta e che occorrevano circa un paio di giorni di cammino per attraversarla tutta e giungere in prossimità di un qualche altro edificio, dotato di porte. Si erano dunque attrezzati per quella breve escursione.

Enya ricorse alla magia per celare se stessa e l’amico alla vista dei loro nemici; era un tipo di incantesimo che richiedeva molta concentrazione ed energia, non avrebbe potuto mantenerlo per tutto il tempo della loro fuga, ma si sarebbe impegnata al massimo, almeno per le prime ore, in modo da far perdere le loro tracce a potenziali inseguitori.

Protetti da quella magia, i due si recarono prima in cucina a prendere alcuni viveri più freschi e riempire d’acqua le borraccia; poi uscirono in giardino, raggiunsero la cancellata, la scavalcarono e si inoltrarono nella foresta. Il Sole illuminava bene i sentieri, nonostante filtrasse attraverso i rami piuttosto fitti, tuttavia portava solamente luce, poiché data la stagione era un Sole freddo e non scaldava l’aria. Non avevano una mappa con sé, ma faceva strada Jenkins, che aveva assicurato di potersi orientare tranquillamente, senza bisogno di cartine; effettivamente procedeva dritto e spedito, senza esitazioni. Camminarono per alcune ore, poi decisero di sostare per mettere nello stomaco qualcosa.

Mentre mangiucchiavano pane e formaggio, l’uomo chiese: “Se ci bagnassimo, tu potresti asciugare i nostri abiti con la magia, senza ricorrere al fuoco?”

“Non lo so, penso di sì; perché?”

“Potrebbero cercarci con dei cani e, quindi, visto che qua vicino c’è un corso d’acqua, potrebbe tornarci comodo camminare in acqua per un buon tratto: ci rallenterà, è vero, ma almeno coprirà il nostro odore e farebbe perdere le nostre tracce. Non potremo, però, asciugarci dopo e accendere fuochi è fuori discussione, poiché il fumo o la luce di notte, ci farebbero facilmente individuare. Cosa ne pensi?”

“Dal momento che non c’è nessuno nei paraggi, posso revocare l’incantesimo che ci cela e risparmiare le energie per asciugarci più tardi. Per queste faccende sei più esperto tu, scegli tu la soluzione più sicura.”

“Sia per il fiume, allora. Aspetta, percepisci la presenza di qualche creatura sovrannaturale, nei dintorni? Non vorrei che qualcuno faccia la spia.”

“Non avverto nulla di insolito.”

Quando ebbero concluso il frugale pranzo, i due si rimisero in viaggio e raggiunsero presto presso un torrente, largo una decina di metri, ma non molto profondo. Entrambi entrarono nell’acqua fino all’altezza delle cosce, circa, e camminarono così per almeno un’ora. Jenkins avanzava per primo, ma era ben attento anche ad Enya e si premurava di controllare che anche lei riuscisse a procedere bene, che la corrente non le desse fastidio e che non scivolasse o inciampasse a causa dei sassi che rendevano discontinuo e instabile il letto del torrente; per fortuna non ci furono difficoltà.

Finalmente uscirono dall’acqua. La ragazza si affrettò ad asciugare gli abiti, anche perché l’aria fredda sarebbe stata ancor più difficile da sopportare, con i vestiti bagnati.

Si rimisero in cammino ancora una volta, sapendo di dover andare di buon passo, per raggiungere il luogo che Jenkins aveva individuato come l’ideale per fermarsi per la notte. Le giornate erano corte e il Sole tramontava presto, dunque avevano ancora solo poche ore di luce per raggiungere alcune enormi pietre, scavate all’interno secoli prima, per ricavarne dei rifugi, utilizzati per molto tempo da pastori, pellegrini e chiunque si trovasse ad errare per quelle parti.

Arrivarono a destinazione per tempo, nonostante non poterono evitare di essere bagnati dalle prime gocce della pioggia che stava iniziando a cadere e che sarebbe continuata per tutta la notte. C’erano quattro massi scavati, loro scelsero di entrare nel più piccolo, sperando nell’effetto stalla per combattere il freddo. Lo ripulirono il minimo indispensabile per togliere escrementi e ossa di animali, poi cenarono ed Enya tracciò dei sigilli sull’ingresso, in modo che se qualcuno fosse passato da lì non avrebbe potuto vederli. Infine, anche se non era tardi, prepararono i loro giacigli con le coperte che avevano rubato dalla villa. Erano stanchi, avrebbero dormito presto, tanto non avevano nulla da fare, così il giorno dopo si sarebbero svegliati con le prime luci dell’alba e sarebbero ripartiti immediatamente.

Ciascuno di loro stese una coperta a terra che servisse come materassino e usò lo zaino come cuscino. C’erano, poi, altre tre coperte. Jenkins ne diede due alla ragazza, per proteggerla dal freddo, e per sé ne tenne una soltanto. Si sdraiarono, si avvolsero nei loro panni, parlarono un poco e poi cercarono di dormire. C’era, però, molto freddo; di notte la temperatura scendeva e la pioggia peggiorava la situazione. L’uomo sentiva i brividi del freddo, tuttavia non diceva nulla e simulava di star bene, ma, nonostante i suoi sforzi, Enya capì la situazione. La ragazza, pure, sentiva il bisogno di maggior tepore.

Enya, senza dir nulla, avvicinò il proprio giaciglio a quello di Jenkins, mettendoli a contatto in modo da creare un unico giaciglio, della grandezza di una piazza e mezza. Poi prese tutte e tre le coperte, le spiegò per bene, le sovrappose e poi le stese su di sé e sull’amico; ora erano sdraiati l’uno accanto all’altro, la ragazza si rannicchiò, il più strettamente possibile all’uomo.

Così entrambi erano protetti da tre panni e, in più, i loro corpi, così vicini, si scaldavano a vicenda.

“Grazie.” disse Jenkins, sorpreso, ma contento.

“Di nulla.” rispose lei, con un sorriso “Dormire al freddo è tremendo, non potevo certo lasciarti com’eri. Buona notte.”

Chiusero gli occhi e si addormentarono rapidamente.

Il mattino seguente, il primo a svegliarsi fu Jenkins che, tuttavia, non si alzò, ma rimase coricato, a guardare dolcemente la ragazza, aspettando che si svegliasse. Contemplava il suo viso sereno, i suoi capelli scompigliati dalla lunga camminata nel bosco e dal dormire. L’uomo pensò che, in fondo, era felice delle disavventure che gli erano capitate ultimamente, poiché gli avevano dato la possibilità di conoscere il lato più dolce e gentile di quella ragazza. Le prime volte in cui l’aveva vista, aveva conosciuto il suo aspetto più determinato ed agguerrito; dopo essere finito prigioniero, aveva avuto l’opportunità di entrare in contatto con la parte più premurosa e amabile della giovane.

Era certo che quell’esperienza gli avesse donato qualcosa d’importante, anche se non sapeva che cosa fosse.

Dopo un quarto d’ora circa, Enya si destò, si accorse che l’uomo la stava scrutando, gli sorrise e gli disse semplicemente: “Buongiorno!”

Jenkiks si sentì improvvisamente in imbarazzo, come vergognandosi di essere rimasto a guardarla, anziché alzarsi e farfugliò un mezzo saluto, mettendosi a sedere.

Enya se ne accorse e ne fu divertita, tanto che non riuscì a trattenere un lieve riso.

“Che hai?” chiese l’uomo, un poco risentito.

“Niente …” si affrettò a dire lei “Sei stato buffo, tutto qua.”

“Buffo?!” scherzò Jenkins “Io sono Gahalad e tu dici che sono buffo? Se fossimo in altri tempi e ti sentissero!”

“O tempora, o mores!” aggiunse lei, celiando ed entrambi si misero a ridere.

Enya, poi, abbracciò da dietro l’uomo e gli sussurrò: “Ti voglio bene.”

“Ah … Beh, anch’io … … … Ci prepariamo per partire?”

Si alzarono, mangiarono rapidamente, rimisero le coperte negli zaini e si rimisero in cammino. Il terreno bagnato dalla pioggia, tuttavia, era fangoso e le loro orme rimanevano impresse, dunque Enya ricorse ai propri poteri per disperdere le loro tracce.

 

Nel frattempo, in Biblioteca, non stavano certo oziando, ma tutti quanti stavano facendo del proprio meglio per fronteggiare le varie emergenze che si profilavano da ogni lato, in ogni angolo del pianeta. Eve ed Ezekiel erano andati in Cambogia, per recuperare un manoscritto risalente al Regno del Funan, contenente una serie di rituali in grado di provocare cataclismi; esso era custodito nel basamento di una statua sacra, molto venerata, custodita al centro del tempio di Angkor Wat, dentro il quale era proibito entrare agli Occidentali. Questa missione, dunque, richiedeva le abilità da ladro di Jones.

Antonio, invece, era andato in solitaria in Grecia alla caccia di Erinni da tramutare in Eumenidi, attraverso precisi rituali, illustrati in un papiro in possesso della Biblioteca.

Infine, Stone e Cassandra si erano imbarcati in una strana missione in Irlanda.

Le leggende del ciclo di Ulstet, avevano spesso come antagonista la tremenda regina Medb, donna guerriera che cambiava marito a seconda del proprio desiderio. Si narrava che ella fosse sepolta sotto un tumulo piramidale, eretto sulla sommità del colle Knocknarea. Per molti secoli i pagani la venerarono come dea della guerra e i sovrani dovevano ottenere da lei la benedizione per regnare: solo chi riceveva il suo idromele, guadagnava il diritto di governare.

Queste credenze e questa religiosità, tuttavia, erano ormai estinti da moltissimo tempo.

Il Libro dei Ritagli, però, aveva segnalato strane attività che si stavano verificando proprio nei pressi del Knocknarea.

Cassandra e Stone erano partiti per capire che cosa stesse accadendo esattamente. Arrivati in quei pressi, i due giovani iniziarono a chiedere informazioni in giro. Entrarono in un pub, ordinarono un paio di birre e rimasero seduti al banco. Mentre gli veniva consegnato il suo boccale, Jacob disse: “Ehi, amico, noi siamo turisti, è la prima volta che veniamo in Europa. Finora ci stiamo trovando benissimo, però mentre venivamo verso questa città, ci han detto di stare attenti, perché ultimamente ci sono dei disordini da queste parti. Non ci hanno però detto esattamente di che si tratti. Ci hanno preso in giro o è vero? Dobbiamo prendere precauzioni?”

“Bah, dipende dai punti di vista. Secondo me, voi Americani avete di peggio dalle vostre parti, ma per noi la faccenda è un po’ irritante!”

“Di che si tratta?”

“Di che si tratta?!” il barista grugnì “Ecco, tra poco lo vedrai coi tuoi occhi. Segui il mio consiglio: guarda e basta, non fare niente e non dire una parola, cerca di essere invisibile.”

I due bibliotecari si meravigliarono ma decisero di tacere e osservare.

Un attimo dopo entrarono tre donne molto belle, vestite succintamente; nonostante la stagione avevano una scollatura ampia che mostrava buona parte del seno e minigonne o pantaloncini praticamente inguinali; lo stile di ciascuna era diverso, ma tutte e tre avevano sull’avambraccio sinistro una sorta di marchio o tatuaggio, non si capiva bene, a forma di ascia bipenne.

Dietro di loro entrarono, con aria dimessa, cinque uomini a torso nudo e con jeans strappati, sulla loro pelle potevano vedersi segni di graffi, bruciature e forse alcune cinghiate.

Una delle tre donne si voltò verso quegli uomini e con un misto di rabbia, disgusto e disprezzo, disse: “Chi vi ha dato il permesso di entrare, scroti? Statevene fuori, sguardo fisso a terra e non una parola. Noi ci facciamo un goccetto, non voi! Fuori!”

I cinque abbassarono immediatamente gli occhi e uscirono senza fiatare.

Una delle altre donne, intanto, si era appoggiata al bancone e aveva ordinato: “Tre burbon lisci e alla svelta!”

Il barista prese tre bicchieri, li mise davanti alle donne e li riempì, poi si voltò per rimettere a posto la bottiglia e borbottò qualcosa.

“Come hai detto, scroto?” chiese una delle tizie, con tono di sfida.

Il barista, furioso, si voltò e tuonò: “Tu così, a me, non mi ci chiami, chiaro?! Sono il proprietario di questo locale!”

“Che sarà il prossimo a bruciare” replicò quella “Se questi” indicò i tre bicchieri “Non saranno offerti dalla casa.”

La terza, per sottolineare il concetto, spense la propria sigaretta sul bancone. Il barista, incupito, si dileguò in cucina.

Le tre donne finirono di bere, parlottando e sghignazzando tra di loro, poi uscirono, recuperarono i loro uomini e si allontanarono.

Solo allora il barista ricomparve dietro il bancone, si avvicinò a Stone e chiese: “Visto?”

“Sì. Che diamine succede?”

“Delle femministe esaltate che si credono amazzoni. Hanno praticamente fondato una sorta di comunità abusiva vicino al tumulo Medb e ci stanno facendo impazzire. Tra di loro c’è una sorta di matriarcato e trattano gli uomini come schiavi. Questo non sarebbe un problema, se tutti fossero consenzienti e se si limitassero a tenere la questione fra di loro. Invece non si limitano a vivere così nella loro comune, ma girano per la città comportandosi peggio di teppisti, hooligan, blackblock e qualsiasi altra cosa violenta vi venga in mente. Con la scusa di vendicare i soprusi subiti dalle donne, compiono rappresaglie assurde! Hanno aggredito diversi uomini, di ogni età, lasciandoli agonizzanti a terra; tutti quanti hanno dovuto essere ricoverati e due sono ancora in coma e non si sa se sopravvivranno. Hanno distrutto e incendiato sia automobili che negozi. È un incubo, sembra di stare nel far west!”

“Scusi, ma lei che idea di America ha, se pensa che un simile clima ci sia famigliare?” chiese Cassandra, perplessa.

“Bah, voi avete la malavita e le guerriglie tra bande, no? Comunque non sappiamo cosa fare!”

“Da quanto va avanti questa situazione?” chiese Jacob.

“Una settimana, più o meno. È incredibile quanti danni e quanta paura siano riuscite a suscitare in così poco tempo.”

I due bibliotecari si scambiarono un’occhiata: era esattamente da quando era finito il Conclave.

“La polizia non fa nulla?” chiese Cassandra.

“La polizia? Hanno paura pure loro, ci vorrebbe l’esercito coi carri armati! Inoltre, metà delle poliziotte sono passate dalla parte di queste femministe. Scusate, ho degli altri clienti.”

“C’è una cosa che non capisco.” commentò Stone “Le femministe, in generale, si lamentano della strumentalizzazione del corpo della donna e così via, ma mi pare che il femminismo abbia fatto accorciare più gonne del maschilismo.”

“Jacob, non discutiamo di questo. Concentriamoci su quanto sta accadendo. Credo che dietro a questi fatti ci sia qualcosa di più del femminismo e, sicuramente, è connesso con quel tumulo. Il tatuaggio che avevano sul braccio, lo hai visto? Ti dice nulla quel simbolo?”

“Nulla di nuovo, temo. Era un’ascia bipenne e so che per alcuni è un simbolo riconducibile alla femminilità e al culto della dea madre, così come la spada dovrebbe avere valore simbolico di fallo. Dovremmo fare qualche domanda in più.”

Provarono ad informarsi, ma non riuscirono a scoprir nulla di più di quel che già sapevano; tutti raccontavano della violenza, della prepotenza e delle malefatte di quelle donne, ma nessuno sapeva nulla di loro, fuorché che si ritrovassero ogni sera nei pressi del tumolo di Medb a banchettare e fare orge.

“Abbiamo una sola possibilità.” concluse Stone, dopo l’ennesima risposta uguale.

“Quale?” chiese Cassandra.

“Andare là e studiare la faccenda coi nostri stessi occhi.”

“Cosa?!” si scandalizzò la giovane “Non ho intenzione di andare in un posto simile.”

“Ma di che ti lamenti? Sarò io ad essere maltrattato, tu dovrai fare la reginetta!”

“Non ne sono capace!”

“Devi solo ripensare a quando avevi il pomo della discordia tra le mani. Ripensa e imita quell’atteggiamento e sarai perfetta.”

“Ma, ma … va bene, ci proverò.”

“Ottimo, ora dobbiamo rivedere il tuo look.”

“Pure?!”

“Non saresti credibile, vestita così. Le hai viste com’erano quelle al bare, devi avere un aspetto più aggressivo.”

“Non mi sento a mio agio, se non ho almeno tre metri quadri di stoffa addosso.”

“Suvvia, dobbiamo farlo per la Biblioteca! E per liberare questa città da questa follia, pensa che il problema potrebbe espandersi in tutta l’Irlanda e anche oltre!”

“D’accordo! Chi l’avrebbe detto che avrei dovuto spogliarmi per salvare il mondo!”

Passarono il resto della giornata a trovare il giusto look per Cassandra e ad escogitare la migliore maniera per entrare in contatto con la comunità presso il tumulo, senza destare sospetti.

Alla fine la ragazza indossava stivaletti scamosciati con tacco dodici, jeans col bordo sfilacciato coprivano solo un paio di dita di cosce, una sorta di corsetto rosso, una camicetta a scacchi cortissima e lasciata aperta. In testa aveva un cappello da cowboy, i capelli raccolti a treccia, trucco molto accentuato.

Cassandra provava molta vergogna e disagio, mentre Stone non faceva altro che incoraggiarla e dirle che era bellissima.

La seconda fase della preparazione, prevedeva di procurarsi una corda, affittare una motocicletta e sbarazzarsi della camicia di Jacob. Dopo di ché, l’uomo si lasciò legare i polsi e fece fissare l’altro capo della corda alla moto, infine Cassandra salì in sella e partì, a velocità assai moderata, alla volta del tumulo. Avevano deciso di affrontare in quel modo tutto il tragitto e non solo la parte finale, per essere certi che lo sfinimento di Stone non sembrasse simulato e per evitare che  qualcun altro li vedesse sulla strada e li smascherasse durante la loro missione.

Non sapevano cosa aspettarsi, non sapevano che cosa avrebbero scoperto, nono sapevano che cosa avrebbero dovuto fare.

Jacob si raccomandò più volte che, nel caso fosse stato necessario fargli del male per mantenere la copertura, Cassandra non avrebbe dovuto esitare. La ragazza non era sicura che avrebbe potuto riuscirci.

Finalmente fecero il loro ingresso nella comune organizzata dalle femministe e videro che, per il momento, si trattava principalmente di una specie di campeggio con molte tende erette a due lati opposti di quello che era lo spiazzo centrale in cui si trovavano anche due tavolate, una di fronte all’altra. In fondo c’era il tumulo e, davanti ad esso c’era una statua di Medb alta poco più di due metri: era incoronata, armata e dai suoi seni stillava un liquido che colava nel bacile posto al basamento della statua.

Tra il monumento e le due tavolate, ce ne era una terza, riservata per le leader di quella setta.

Era ora di cena, le donne erano accomodate e accanto ad ognuna c’era un uomo in ginocchio, pronto a servirla in qualsiasi modo. Altri uomini, invece, erano radunati lì vicino, con una corda attorno al collo, erano legati a dei pali; erano costretti a stare a carponi e aspettavano gli avanzi da mangiare dentro a ciotole.

Cassandra arrivò con la moto proprio davanti al tavolo delle autorità. Si fermò, smontò di sella, diede un tiro brusco alla corda per far cadere a terra Stone, poi avanzò di qualche passo verso le cape della setta, due donne di età compresa tra i trenta e i quaranta, e disse loro: “Io vi ringrazio e ringrazio la gloriosa Medb. Vengo da oltreoceano e non immaginavo che questa mia vacanza mi avrebbe fatto trovare la vera libertà, il potere e l’indipendenza. Oggi ero in pub con questo stronzo del mio uomo che mi ha sempre oppressa, ho visto tre di voi, ho visto come vi comportate, ho visto che voi siete riuscite ad abbattere l’orgoglio infame degli uomini e che state rivendicando il giusto potere e ruolo delle donne nella società! Ho capito che non ero sola, che avevo delle sorelle in voi e, allora, ho deciso di agire. Voglio vivere con e come voi! Vi prego, accettatemi come vostra sorella!”

Durante il discorso, Cassandra era stata interrotta un paio di volte da applausi e grida di approvazione, che poi scoppiarono quand’ebbe finito. Evidentemente e per fortuna, non era la prima volta in cui una donna si presentasse alla comunità in un modo simile.

“Certo, sorella, che ti accoglieremo!” disse una delle leader, vestita di giallo ed ingioellata “Noi non escludiamo nessuno e siamo sempre felici quando qualcuna si unisce a noi. Ma, dimmi, chi è l’uomo che ti sei portata dietro? Solitamente, le sorelle giungono sole.”

“Questo è l’uomo per cui, per oltre un anno, ho dovuto preparare cenette e le cui infantili manie ho dovuto assecondare e sopportare. È giusto che ora sia lui a servire me, finché non avremo pareggiato i conti … e probabilmente pretenderò pure gli interessi!”

“Molto bene.” intervenne la seconda che era vestita di viola “Il nostro rituale di iniziazione prevede che tu prenda il tuo piacere da un uomo qui, davanti a tutte le sorelle. Solitamente facciamo scegliere lo scroto tra quelli non ancora assegnati, ma se tu vuoi il tuo, ti sarà concesso. Poi banchetterai con noi e dopo cena berrai l’idromele che stilla dai seni della grande Medb e verrai segnata col suo marchio, come una delle sue figlie e nostra sorella.”

Cassandra rimase interdetta per qualche secondo: avrebbe dovuto fare sesso con Stone? E davanti a tutti quanti per giunta? Impossibile!

Era da tantissimo tempo che non aveva un uomo e si sentiva tremendamente in imbarazzo anche quando le capitava solo di ascoltare una conversazione ad argomento sessualità.

Non avrebbe mai potuto fare ciò che le veniva chiesto in quel momento, né con Jacob, né tanto meno con qualcun altro!

Stone si accorse che l’amica era in difficoltà. Per smuovere la situazione, prima che l’esitazione diventasse sospetta, l’uomo iniziò ad insultarla e minacciarla, per ottenere una reazione.

Cassandra, allora, fu presa dal panico, sapendo che doveva per forza fare qualcosa. Per fortuna, le entrò in circolo l’adrenalina e le diede l’impulso di agire.

Non dirò altro di quel che accadde in quei minuti, se non che Cassandra non era del tutto consapevole di quel che stava facendo e, alla fine, non ricordava quasi nulla. Tuttavia, le spettatrici, erano rimaste molto entusiaste e l’applaudirono a lungo.

Esaurita l’adrenalina e tornata lucida, la ragazza fu di nuovo imbarazzata e gettò un’occhiata rapida a Jacob e si consolò nel vederlo non troppo malconcio. Cassandra fu invitata a prendere parte al banchetto, mentre l’uomo fu trascinato dove erano legati gli altri.

Stone, appena lasciato solo, si libero in un attimo dalle corde, prese il telefono e chiamò Charlene e le fece il quadro della situazione.

“Avresti dovuto chiamare prima di affittare la moto, non dopo, per sapere se la spesa fosse autorizzata.” commentò Charlene, dopo aver ascoltato tutto quanto.

“Non intendevo parlare di questo.”

“Di cosa, allora?”

“Ho bisogno di qualche dritta.”

“Io lavoro nell’amministrazione.”

“Vogliamo risolvere questo problema?!” si spazientì Stone, sorpreso.

“Certo. Per questo ci siete voi bibliotecari: voi risolvete i problemi, l’amministrazione si occupa di fatture, contabilità, gestione del patrimonio, burocrazia etc.”

Jenkins ci ha sempre dato degli aiuti!”

“Lui non è nell’amministrazione, infatti.”

“Ascoltami, per favore, ho davvero, davvero bisogno.” Jacob cercava di tenere la voce bassa, per evitare di essere udito dalle femministe folli.

“Sentiamo. Proverò ad aiutarti, ma non assicuro nulla.”

“Allora, c’è un statua fontana di Medb da cui scaturisce idromele. Non è un’opera d’arte nota, di certo è stata portata qui di recente. Tu hai idea di cosa potrebbe trattarsi?”

“Purtroppo sì. Se è quello che penso, Cassandra non deve assolutamente bere. Quell’idromele è come una sorta di droga che altera gli stati mentali di chi beve.”

Dev’essere assunta costantemente, quindi? Se distruggo la statua, l’idromele smetterà di scorrere e le donne, una volta smaltito quello che hanno già bevuto, torneranno normali?”

“Sì, esattamente.”

“Ottimo. Ma com’è che questa statua è rispuntata all’improvviso? Dove dovrebbe essere, normalmente?”

“Fino a circa millequattrocento anni fa, circa, era lì dove la vedi adesso, ma poi era stata spostata in un altro mondo, per evitare che condottieri facessero abbeverare lì i loro eserciti per esaltarli prima delle battaglie.”

“Come ci è tornata, qua?” si interrogò Stone “Ma certo, le due cape, devono essere state loro!”

“Due donne, non più nel fiore degli anni, probabilmente verso il canto del cigno, come età. Sono loro che hanno le redini di questa situazione. Una ho sentito che si chiama Aoife, l’altra non l’ho sentito.

Aoife?!” si stupì Charlene “Allora l’altra è sicuramente Deirdre. Sono due fate, sorelle, abbastanza ossessionate da un perverso matriarcato. Il ritorno della magia deve avere loro permesso di liberarsi e venire sulla terra.”

“Sono pericolose, fontana a parte?”

“Sì, ma i loro poteri sono legati a due pietre che hanno sempre con sé, incastonate in due anelli.”

“Quindi se distruggo gli anelli, distruggo loro?”

“Le pietre! Le pietre, non gli anelli! Comunque no, non le uccideresti, ma le renderesti semplici umane. Ad ogni modo, c’è una strategia molto più semplice. Come puoi ben capire, affrontare due fate, senza ausilio di magia, per prendere loro degli anelli, è un po’ complesso. C’è una formula che le costringerà a ritirarsi dentro alle loro pietre per tre giorni, questo darà a te il tempo di riportarle in Biblioteca e ad Antonio quello per occuparsi definitivamente di loro.”

“Perfetto. Quale sarebbe la formula?”

“Non la so a memoria! Cerco in archivio e te la invio per messaggio, così non ti sbaglierai. Entro cinque minuti, l’avrai.”

Stone chiuse la chiamata e decise di passare subito all’azione. Gli bastò scambiare poche parole con gli uomini lì legati, per spingerli a reagire e a darsi alla fuga, per lo meno; inviò un sms a Cassandra, dicendole di raggiungere la statua, non appena si fosse creata un po’ di confusione.

Sciolse le corde che li legavano e aspettò che quelli attirassero l’attenzione delle donne, poi recuperò la moto, parcheggiata non distanza, e sfrecciò dietro le tende per raggiungere la statua alle spalle. Quando vi arrivò, c’era già una gran confusione nel banchetto e Cassandra era già lì.

“Che succede?” chiese la ragazza.

“Distruggiamo la statua, innanzitutto.”

“E come?”

“A questo non avevo pensato.”

“Fammi fare due calcoli, dovrei trovare un sistema di leve per farla precipitare …”

“Quello che vuoi. L’importante è mandarla in frantumi. Io devo andare a sbrigare un’altra faccenda.”

Stone controllò il telefono e gli era arrivato l’sms con la formula da pronunciare. Si gettò nella mischia, cercò le due fate e usò l’incantesimo. Appena pronunciate le parole, le due leader scomparvero. L’uomo fece appena in tempo a raccogliere i due anelli, unica cosa rimasta di loro, prima che le altre ragazze si infuriassero con loro e cercassero di fargli la pelle.

Per fortuna, a trarlo fuori dall’impiccio, arrivò Cassandra sulla moto. Stone salì al volo e assieme di allontanarono. Poche centinaia di metri dopo, sentirono un grande boato alle loro spalle.

“Che cos’è stato?!” chiese Jacob, sorpreso e spaventato.

“Mi hai detto di ridurre in pezzi la statua ed è quello che ho fatto.”

“Come?”

“Un po’ di benzina della moto e tanti calcoli. Ora mi spieghi cos’hai scoperto?”

L’uomo raccontò tutto quanto. Contenti di aver messo fine a quella missione, i due giovani tornarono alla Biblioteca.

La prima cosa che fece Cassandra fu quella di vestirsi coi suoi abiti. Jacob la aspettò e appena la vide a proprio agio le chiese: “Vogliamo un attimo parlare di quel che è successo, senti il bisogno di parlarne oppure, visto che faceva parte della copertura, è tutto a posto.”

Cassandra divenne rossa come un peperone.

“Ti senti molto in imbarazzo?” chiese Stone che non era tranquillo come avrebbe voluto.

“Oh, beh … a dire il vero non me ne sono neanche accorta.”

“Ehi, questo non è affatto carino da dire.” si offese lui “Nessuna donna si è mai lamentata di me! Non per questo aspetto, almeno …”

“No, frena! Intendevo dire che non ricordo niente. Hai presente quei momenti in cui è  l’adrenalina che ti fa agire e tu, dopo, hai il blackout totale? Ecco a me è successo questo.”

Stone rimase un poco dubbioso, poi disse: “Bene, allora me ne dimenticherò anch’io. Così potremo avere una prima volta più romantica e spontanea.”

Cassandra, se possibile, divenne ancor più rossa di prima e farfugliò: “Co … cioè … tu pensi ci possa essere?”

“Perché no?”

“Dici che non ti fidi di me.”

“Quella è storia vecchia, ormai.”

Stone sorrise, con la mano diede un buffetto a Cassandra sulla spalla, poi si allontanò.

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Capitolo 23
*** V.I.T.R.I.O.L. parte III ***


Un campo fiorito, più bianco per le margherite che verde. C’erano anche macchie di viole sia di campo che del pensiero, azzurri occhi di Maria, poi qua e là campanule, gigli e rose canine. Gli alberi erano per lo più peschi con fiori rosa e bianchi e tra i loro rami accoglievano i nidi di passerotti, pettirossi, cardellini, verdoni, canarini, merli e tanti altri uccellini che svolazzavano e cinguettavano, riempiendo l’aria.

Flynn si risvegliò in quel bucolico paesaggio. Visto che, finalmente, si trovava in un ambiente non ostile, almeno per quel che poteva vedere in quel momento, l’uomo decise di fermarsi un attimo a riflettere: che cosa gli era successo?

Da quando aveva seguito quegli tre strani gnomi, gli erano successe cose assai strane: aveva scoperto le sue potenzialità con la magia, aveva affrontato un mostro e sé stesso, aveva creduto di morire, era stato circondato da folli, aveva visto suo padre, forse, e probabilmente era stato alla presenza degli spettri dei cavalieri della Tavola Rotonda.

Che cosa significava tutto ciò? Che collegamento c’era tra quel che gli era capitato? C’era un collegamento? Beh, di certo, almeno, stava acquisendo delle consapevolezze circa questioni che conosceva anche prima, ma che non sentiva davvero interiormente, ora invece non si limitava a sapere, ma comprendeva.

C’era una questione, tuttavia, che lo incuriosiva più delle altre: il posto in cui si era ritrovato seduto presso la Tavola Rotonda. Ora che conosceva meglio il contesto, poteva capire meglio a chi si riferisse il nome che vi aveva visto scritto: Loholt.

Sì, a ben pensarci era un personaggio del Ciclo Bretone, non dei più famosi, ma comunque abbastanza importante; inoltre, non era un cavaliere qualsiasi, bensì il figlio di re Artù.

Alcune tradizioni sostenevano fosse un figlio legittimo, altre che fosse nato da una relazione prematrimoniale con una dama di nome Lisanor.

Come mai si era ritrovato seduto al suo posto? Era stato un caso, oppure significava qualcosa?

Mah, non lo avrebbe di certo scoperto rimanendo seduto lì. Già, di una sola cosa era certo: doveva muoversi. In qualsiasi posto o situazione si stesse trovando, non poteva rimanere fermo, doveva andare avanti.

Sempre del tutto ignaro di quale fosse la direzione da prendere e sospettando che, in realtà, da qualsiasi parte fosse andato si sarebbe ritrovato davanti alle medesime cose, si avviò in attesa di qualcosa.

Dopo un tratto di cammino, vide un muro in direzione est, almeno credeva che quello fosse l’est, ma non poteva esserne certo: non aveva molti punti di riferimento in quel luogo.

Il muro non era molto alto, due metri e mezzo al massimo, era in mattoni, stuccato e dipinto di rosso, con un decorativo tetto piuttosto spiovente con tegole verdi. Nel complesso sembrava la recinzione di un cortile privato.

Flynn decise di andare verso di esso e, quando gli fu davanti, lo costeggiò fino a trovare un ingresso. Il portale era composto da due colonne rosse non massicce, quasi in cima erano attraversate da un palo trasversale ed erano sormontate da un doppio tetto a pagoda; tra le due colonne si trovava un portone in legno, più basso di esse.

Il Bibliotecario lo identificò come un portale giapponese. Rimase lì davanti in attesa e, dopo pochi minuti, la porta si aprì lentamente da sola, senza che ci fosse nessuno a muoverla. Flynn entrò e, come aveva immaginato, si trovò immerso nella flora giapponese. La prima pianta, proprio all’ingresso, era un Pinus pentaphylla, curato in modo tale da avere i palchi regolari, solitamente tipici delle coltivazioni bonsai. Un ramo di quelli più bassi era stato fatto crescere in lunghezza e fatto passare sopra al sentiero segnato, in modo tale che chi vi passasse fosse costretto a chinare la testa per non prendervi conto.

Flynn sapeva benissimo che quell’albero era considerato una pianta maschile, nella tradizione giapponese, che era frequentemente messo all’ingresso dei giardini e che la sua altezza e il ramo oblungo servissero per ispirare al visitatore sia slancio verso l’alto, sia umiltà.

Oltrepassò la pianta e proseguì lungo il sentiero, segnato da pietre lisce e piatte incastonate nel terreno, mentre attorno era circondato da bambù, ginepro, ginko biloba e altra vegetazione. Passò vicino ad una panchina irraggiungibile e seminascosta da erba altissima. Arrivò vicino a quello che poteva essere assimilabile ad un capanno degli attrezzi e si accorse che, ben in vista, c’era una scopa; essa gli ricordava sia la premura che era stata messa nel preparare quel luogo per accoglierlo, sia che egli doveva ripulire la propria anima da ogni tipo di sporcizia.

Si soffermò un poco in quella parte del giardino, riflettendo su quali fossero le cose da cui avrebbe dovuto ripulirsi. Orgoglio, forse? Quali erano i suoi difetti? Non gliene venivano in mente … non di quelli cattivi, almeno. Insomma, non gli sembrava che non brillare nelle interazioni sociali fosse una colpa. Altro non gli veniva in mente. Forse, allora, doveva considerare l’immodestia? Mah!

Ripassò i comandamenti e, a parte i primi tre, non riteneva di averne mai infranto nessuno. Pensò, allora, ai sette vizia capitali. Beh, di certo lussuria, gola e ira gli erano estranee. Anche l’avarizia era da escludere; lui era semplicemente parsimonioso, perché di certo non navigava nell’oro e con Charlene che lo controllava non poteva certo essere generoso. Cosa restava? L’accidia che di certo non lo riguardava. La vanità non era nel suo stile e poi, a ben pensarci, non era nemmeno un vizio capitale a sé stante, era compresa nella superbia. La superbia, comunque, gli sembrava appartenergli, almeno in parte. Era molto orgoglioso del suo sapere e del suo mestiere. Effettivamente si sentiva superiore alla maggior parte degli uomini e non gli piaceva perdere tempo con la gente comune. A ben pensarci, se non aveva mai avuto una gran vita sociale, era proprio perché non aveva mai voluto abbassarsi ad occuparsi di cose di poco conto a parlare di sport o altro con i suoi compagni di classe prima e con altri conoscenti poi. Perché, però, avrebbe dovuto limitare le proprie potenzialità? Per avere degli amici? Non si sarebbe, forse, sentito frustrato e imprigionato per tutta la sua vita, se sapendo di poter fare molto non lo avesse fatto? Quando era  un ragazzino e un adolescente era adorato dai suoi insegnanti, ma maltrattato dai suoi compagni. Chi aveva escluso chi? I suoi compagni escludevano lui perché diverso oppure lui escludeva il resto del mondo perché non lo sentiva alla sua altezza? Un po’ e un po’?

Aveva senso, però, ripensare ancora a quei tempi? Non erano passati troppi anni, ormai? Non era cambiato? Mah!

La sua vita sociale non era certo migliorata, continuava a non avere amici fuori dalla Biblioteca, ma era il mestiere stesso che glielo impediva. In compenso, però, essere Bibliotecario lo aveva di gran lunga migliorato: gli aveva fatto vincere paure e insicurezze, aveva guadagnato fiducia in sé, aveva imparato nuove cose e ora riusciva a sentirsi a suo agio in qualsiasi situazione.

Sì, sicuramente la Biblioteca lo aveva aiutato moltissimo, gli aveva permesso di sbocciare, aveva fatto di tutto per il suo bene.

Allora, perché non se ne era reso conto prima? Perché aveva lasciato che le parole di Dulaque lo ferissero così tanto? Perché non aveva pensato al fatto che, se gli era stato nascosto qualcosa fino a quel momento, forse era per il suo bene e non per ingannarlo?

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Sentiva, poi, di essere vittima di un altro difetto, in effetti, ossia l’invidia. Quanto aveva desiderato l’indipendenza che altri avevano, la loro libertà, i loro affetti … Ma erano poi davvero liberi come li credeva? Effettivamente, tutti quanti avevano i loro limiti, le loro restrizioni, qualcosa a cui sottostare. Chi si poteva dire di essere davvero libero?

A quel punto Flynn iniziò a ricordare tutte le massime di Seneca ed altri filosofi, circa cosa fosse la  libertà e come gli unici uomini liberi fossero quelli che non provavano attaccamento verso nulla di questo mondo, né beni materiali, né affetti, né il proprio corpo.

Già, decisamente lui non sarebbe mai stato libero. Almeno non considerando quei canoni.

Via, si era fermato anche troppo lì, doveva procedere.

Continuò a camminare lungo il  sentierino e, dopo una curva, si imbatté in un uomo dall’età indefinita, alto, slanciato, fisico asciutto, capelli e barba biondi, lunghi e mossi; occhi verdi screziati di grigio, sguardo brillante e acuto, sorriso sicuro e rassicurante; indossava una lunga tonaca bianca, maniche a losanghe bordate di blu, una scollatura a V i cui lembi erano però tenuti uniti da un laccio di cuoio; al collo aveva una catenina con una pietra dentro una gabbietta.

Flynn, oltre che per il resto, si stupì del fatto di non saper riconoscere che pietra fosse.

“Benvenuto, Flynn.” gli disse l’uomo, con sguardo sereno.

Lui strabuzzò gli occhi e chiese: “Come sa il mio nome?”

“Sono veramente poche le cose che non so. Mio padre mi ha dato la facoltà di conoscere ogni cosa avvenuta, il buon Dio quella di avere un visione piuttosto nitida del futuro.”

“Chi sei?”

“Non sai chi sei tu e vuoi conoscere me?”

“Che cosa ci facciamo qua?”

“Tu rifletti. Io preparo il tè.”

“Capisco …”

“No. Vado a preparare il tè, tu finisci pure con calma il giro del giardino.”

Detto ciò, l’uomo svanì nel nulla, lasciando Flynn solo e stupefatto. Riprese il cammino, il sentiero era ancora piuttosto ben segnato, sebbene si fosse ristretto e ogni tanto mancasse qualche pietra. Si trovò davanti un altro portale, molto più piccolo di quello iniziale, questo, però, era immerso nel nulla, non aveva cancelli o muri ai propri lati e, apparentemente, non era l’ingresso di nulla. L’uomo passò vicino a un piccolo canaletto artificiale, il cui corso era morbido e con poche curve. Solo allora, sentendo lo scorrere dell’acqua, Flynn si rese conto dell’innaturale silenzio di quel luogo: da quando era entrato non aveva sentito un solo cinguettio o fruscio, era rimasto tutto taciturno e solo quel rigagnolo dimostrava che il giardino non era cristallizzato in un istante, ma che anche lì tutto scorresse.

Flynn proseguì, attorno a lui c’erano prugni e ciliegi in fiore: una meraviglia che beava l’anima!

Eppure, presto, sarebbero appassiti. Tanto lavoro, tanto impegno, tanto tempo per far sbocciare quei fiori incantevoli e poi tutto sarebbe svanito in breve e la fatica sarebbe ricominciata da capo. Così la vita degli uomini: tanto lavoro, tante tribolazioni per un risultato effimero, che stringiamo per pochi attimi e poi svanisce. La vita come un eterno tapis roulant in cui si insegue sempre qualcosa e ogni volta che pensiamo di averla afferrata, essa svanisce e si sposta un po’ più in là.

Prima vuoi camminare, poi vuoi la bicicletta, un attimo dopo il motorino, poi l’automobile, poi quella di lusso … giocattoli, soldi, lavoro, promozione, pensione …

Tanti obbiettivi da inseguire, senza mai essere felici. Tanta fatica per successi fugaci.

Perché affannarsi?

O forse l’armonia, il profumo e lo splendore di quei fiori, seppure brevi, bastavano a premiare e giustificare tante fatiche?

Ma cos’è una rosa? Quella che una settimana fa chiamavi stelo spinoso e che tra una settimana chiamerai immondizia. Tre nomi diversi, un’unica cosa.

Flynn non capiva se quelli fossero pensieri suoi o se, in un qualche modo, gli fossero stati indotti da un esterno. Procedette nel sentiero, sempre meno ben tenuto; di tanto in tanto, lungo il cammino, aveva trovato delle pietre, alcune alte e verticali, altre un po’ più basse, talune arcuate, oppure basse e piatte. Di quando in quando c’erano anche azalee, curate in modo tale da assumere forme sferiche.

Flynn arrivò nei pressi di un piccolissimo specchio d’acqua circolare, completamente circondato da piante, salvo che per lo spazio di una persona, proprio rivolto verso il sentiero. Non lo si poteva definire uno stagno, poiché l’acqua era limpidissima e pulita. L’uomo si avvicinò, si chinò, immerse le mani nell’acqua, sentì il fresco, poi se n’è spruzzò un poco in volto per ripulirsi.

Passò oltre e arrivò, finalmente, ad una casetta in stile giapponese e vicino ad essa cresceva un acero; il sentiero verso la casa era segnato da pochissime pietre, scollegate tra di loro. L’uomo pensò di entrare, scostò il pannello che chiudeva la porta e si accorse che l’entrata era in realtà un buco quadrato di meno di cinquanta centimetri di lato. Flynn provò ad entrare, ma non ci passava, allora si tolse la giacca, il panciotto e la camicia e, allora, riuscì ad attraversare il pertugio.

Entrando a carponi, dunque, aveva tenuto la testa bassa e il primo senso con cui esplorò quella stanza fu l’udito: c’erano sommessi suoni quotidiani. Sollevò lo sguardo e vide dapprima un foglio esposto su un cavalletto; sopra vi era disegnato un uomo pelato con la testa a forma di pera, assorto in meditazione e circondato da rane.

Flynn pensò che la posizione delle rane assomigliasse a quella dei monaci quando meditano o forse era più corretto dire che la posa dei monaci ricordava quella delle rane. Ad ogni modo considerò quel disegno come un monito: non basta la pratica esteriore e la ritualità, per arrivare alla sostanza.

Nella sala, tuttavia, c’era altro tra cui un tavolo basso apparecchiato per la cerimonia del tè giapponese. Seduto da un lato di esso vi era l’uomo biondo che aveva accolto Flynn poco prima.

Il Bibliotecario aveva molte domande da porre, ma non riuscì a formularle: era come se si fosse scordato di poter parlare e si sentisse obbligato a rimanere in silenzio; quindi si accomodò su un cuscino basso, di fronte al misterioso ospite che gli fece cenno di bere. Flynn prese la tazza e al tatto poté appurare che era un pezzo artigianale e poteva sentire alcune deformità lasciate dalle dita di chi l’aveva fabbricata, tanto che dava come l’impressione di stringere un’altra mano. L’uomo guardò dentro la tazza e vide che era quasi vuota, conteneva una minima quantità di un liquido verde. Bevve e le sue papille gustative subirono una sorta di terremoto di sapori. Un infuso assai intenso gli bagnò la lingua, eccitandola con miscuglio di tè, tulsi, citronella, ginseng ed aloe vera.

Quella tisana lo scombussolò parecchio e il suo ospite gli fece cenno di andare fuori a riprendersi.

Flynn uscì con la bocca ancora in stato confusionale. Respirò profondamente, si guardò attorno, vide che il Sole aveva iniziato a tramontare e notò una piccola buca che prima non aveva visto; a ben guardare si trattava di una ciotola di pietra interrata e dentro vi erano stati posti fiori e foglie: erano tutti freschi, come staccati apposta dai loro rami. L’uomo, allora, pensò al fatto che, camminando nel giardino, non si era accorto della loro mancanza e si domandò, quindi, circa quante cose gli fossero sfuggite. Quante cose accadevano attorno a lui e non se ne accorgeva? Si era sempre vantato di essere un ottimo osservatore e, certamente, lo era più di molti altri, tuttavia non era sempre presente al mondo e a sé stesso e, più spesso di quanto non credesse, non notava ciò che gli era attorno.

Udì il suono di una campana e Flynn sentì che era il momento di rientrare nella casa. Questa volta, il foglio sul cavalletto era diverso e, invece di un disegno, recava una poesia:

Nulla da nessuna parte è nascosto,

dai tempi dei tempi tutto è chiaro come la luce del giorno,

il vecchio pino stormisce la divina saggezza,

l’uccello nascosto nel bosco canta l’eterna armonia.

Non c’è nessun luogo dove cercare la mente;

una parola determina il mondo intero,

una spada pacifica la terra e il cielo;

se non lo comprendi da solo, dove lo cercherai?

 

Flynn fu molto colpito da quelle parole e le scolpì nella propria mente, con l’intento di rifletterci lungamente su, quando ne avesse avuto il tempo. Si rimise seduto davanti all’ospite e questa volta ricevette una tazza colma di tè dal sapore decisamente più moderato. Bevvero entrambi e rimasero in silenzio, poi il Bibliotecario uscì dalla casa. Si era fatta sera, il giardino era immerso nella semi oscurità. Flynn iniziò a percorrere il sentiero a ritroso e ad un tratto scorse una luce fioca sulla sinistra, poco più avanti di lui. Si affrettò a raggiungerla e si accorse che, nascosta tra gli arbusti, c’era una lanterna in pietra: un piedistallo sormontato da una miniatura di una casa ad una stanza, col tetto spiovente; un lato era completamente aperto per poter inserire le candele, oppure una vaschetta d’olio con lo stoppino; gli altri lati avevano finestrelle per lasciar spandere la luce.

Flynn si sentiva attratto da quella lanterna e sapeva che, nella tradizione giapponese, essa era simbolo di un luogo interiore, un giardino dell’anima. Osservava la fiamma, incantato, non poté fare a meno di appoggiare le mani sulla pietra e, dopo alcuni lunghi istanti, si scosse, accorgendo si che le sue mani si stavano fondendo con la pietra e che la lanterna lo stava inglobando.

Flynn, dapprima, fu spaventato, poi si rese conto di non potersi opporre a ciò, capì che, probabilmente, quello era un altro passaggio come quelli che lo avevano trasportato da un luogo all’altro in quegli ultimi giorni (se erano passati dei giorni!); decise, quindi, di non opporsi e aspettare di scoprire che cosa sarebbe successo.

Flynn si sentì inglobale lentamente nella roccia, diventare parte di essa. Non vedeva più nulla ma era cosciente. Si sentiva la lanterna stessa. Avvertiva il calore della fiamma che ardeva dentro di lui. Sentiva il caldo intenso e, d’improvviso, non era più dentro di lui, ma fuori di lui. Aprì gli occhi (riacquistati quando?) ed era di nuovo sé stesso, ma disteso sulla sabbia calda, in riva al mare, in un giorno in cui il sole batteva a picco.

Si guardò attorno ed ebbe l’impressione di essere già stato lì. Sì, ne era certo, l’unica cosa che mancava dalla sua visita precedente era Judson che faceva volare un aquilone.

Era certo che quella spiaggia fosse la stessa che aveva visto quando era quasi morto affogato nelle Miniere di Salomone.

 

 

 

 

Nota dell’Autrice!

Salve a tutti e grazie mille per leggere e seguire la mia fanfic! ^__^

È bello vedere che c’è chi decide di investire il suo tempo leggendo le mie parole.

Vi chiedo scusa per l’attesa di questo capitolo, ma ho dovuto riflettere a lungo su cosa scrivere e come. Spero che vi sia piaciuta questa fase di introspezione.

Grazie mille ancora a tutti voi e a prestissimo!!! ^___^

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Capitolo 24
*** Preparativi ***


Nella stanza principale della Biblioteca, seduti attorno al tavolo, c’erano Eve, Stone, Cassandra ed Antonio, il quale stava consultando il Libro dei ritagli. Infatti disse: “Abbiamo una nuova pagina. A quanto pare, a Varna, in Bulgaria, c’è un surplus di cadaveri: dissanguati, oppure privi di interiora come sbranati e abbiamo anche molti che hanno deciso di fare il morto in acqua a faccia in giù.”

“Annegati?” chiese Eve, perplessa “Non potresti avere un poco più di rispetto per dei morti?”

“Forse, è che ormai ci ho fatto il callo, non mi impressionano più i cadaveri. Tu sei sicura di essere stata un colonnello?”

“Certo, ma non per questo sono diventata insensibile alla morte, anzi!”

Antonio rimase alquanto indifferente e chiese: “Allora, chi va a Varna? C’è il mare là.”

Jacob disse: “Ricapitolando ci sono morti di varie tipologie, ma comunque in un qualche modo collegati tra di loro?”

“Sì e, sottolineo, tre modalità e basta. Non è un caso difficile, potete affrontarlo tranquillamente. C’è chi si offre o devo volontariare qualcuno?”

“D’accordo, vado io!” si fece avanti Stone “Varna è detta la Perla del Mar Nero, quindi dev’essere un bel posto. Cassandra, vieni con me? L’ultima volta abbiamo fatto un ottimo lavoro di squadra.”

La giovane si sentì in imbarazzo per alcuni lunghi istanti, poi farfugliò: “Sì … va bene … se vuoi …”

“Perfetto!” disse Antonio “Io, mi occuperò della faccenda dell’Etna. Colonnello, puoi aspettare il ritorno di Ezekiel e scegliere qualcosa da fare tra i ritagli.”

La porta sul retro si illuminò come quando veniva aperta da qualcuno dall’altra parte.

“Ecco Jones!” si disse Eve, ma aveva torto.

L’uscio si aprì ed entrarono Jenkins ed Enya. Ci furono molto stupore e gioia nella stanza e i saluti e le spiegazioni occuparono un buon quarto d’ora; la parte più complessa fu quella di spiegare che la ragazza era dalla loro parte.

“Bene, bene, sono contento!” tuonò allegro il vocione di Antonio “Allora potete darci manforte. Come potrete appurare, gli ultimi giorni sono ricchi di impegni per la Biblioteca, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Abbiamo un contrabbandiere di oggetti incantati di poco conto, pirateria fomoriana, effrazioni da compiere in Egitto …”

“L’Egitto lo prendo io.” si prenotò Eve “Credo che rientri nelle corde di Jones, quindi andremo là, appena torna.”

“Lo segno.” Antonio scrisse un appunto accanto al ritaglio.

“Io penso che passerò a trovare i Fomori.” si propose, invece, Enya.

Eve, che ricordava bene di quando assieme a Flynn aveva avuto a che fare con quella razza, le domandò: “Pensi di sfruttare il tuo ascendente sul tuo fidanzato, per convincerli a smettere?”

“Fidanzato?!” si stupì Jenkins che non sapeva o non ricordava quel dettaglio.

“No e no.” rispose ad entrambi Enya che, poi, si rivolse all’altra donna: “I Fomori sono guerrieri, vedono l’unico motivo di gloria nella battaglia, più di quanto lo vedessero gli Spartani; in confronto a loro, i vichinghi che cercavano di conquistare il Valalla sembrano bambini che giocano con spade di legno. Non sono stati pacifici, negli ultimi secoli, hanno sempre trovato il modo di coltivare faide interne ai loro regni. Se hanno deciso di intraprendere una guerra contro gli umani, la diplomazia avrà ben poca efficacia; solo un’onorevole sconfitta potrà persuaderli a desistere. Il mio rapporto con Elatha non servirà assolutamente a nulla, se non ad ottenere un’udienza, giusto pro forma, prima di uno scontro all’ultimo sangue.”

Eve la guardò confusa e poi le chiese: “Perché vuoi affrontare uno scontro all’ultimo sangue?”

“È il solo modo per riportare i Fomori a più miti consigli.”

“Come pensi di uscirne viva?” ribatté il Colonnello.

“Evitando di farmi ammazzare.”

“Logica impeccabile.” ammise Antonio.

Eve insisté: “Vuoi realmente andare da sola nella tana del leone? Senza nemmeno qualcuno che ti guarda le spalle?”

“Ha ragione su questo.” si fermò  a riflettere Enya “Effettivamente, in due è più sicuro … Jenkins, verresti con me, per favore?”

“Sì, ma a una condizione.” acconsentì l’uomo.

Eve intervenne di nuovo: “No, fermi! Evidentemente, il vostro buon senso dev’essere ancora imprigionato da qualche parte. Voi siete due, loro sono molti, molti di più e con anche mostri marini a disposizioni, stando alle testimonianze dei superstiti ai loro attacchi.”

“Colonnello Baird, non mi aspettavo tanta apprensione da parte sua.” replicò Jenkins “Ad ogni modo, pondero sempre le mie decisioni. Per quel che mi riguarda, prenderò le mie precauzioni, portando con me il fodero di Excalibur.”

“Excalibur aveva un fodero?” chiese Eve “Non è stata estratta da una roccia?”

“Sì, ma ad Artù fu donato un fodero in grado di proteggere da qualsiasi ferita chi lo indossasse. Morgana glielo sottrasse, ma per fortuna la Biblioteca è riuscita a tornarne in possesso già da tempo.” Jenkins spiegò pazientemente.

Enya, allora, disse: “Per parte mia, passerò un attimo a casa, prima di partire, a prendere la cintura verde di mio padre, anche quella ha proprietà di preservare dalla morte.”

Eve la interrogò: “Tuo padre è ancora vivo?”

“No.” Enya si rabbuiò.

“Com’è morto? Di malattia?”

“È stato ucciso da Dulaque, in leale combattimento.”

“La cintura, allora, non gli è servita a molto.”

“Ho parlato di un duello leale!” Enya si stizzì “Protezioni magiche si usano durante le battaglie e le guerre, non nei duelli, tanto più se giudiziari!”

Stone si stupì: “Un duello giudiziario? Non è illegale da qualche secolo?”

“Non credo che a Dulaque interessi.” gli rispose Cassandra.

Enya continuava: “Inoltre, ci tengo a precisare che mio padre non è stato ucciso durante il duello, ma nei giorni successivi a causa delle ferite che non ha potuto medicare accuratamente.”

Rimasero tutti quanti in silenzio per qualche momento.

“Bene, se non c’è altro …” disse Jenkins.

“Giusto!” esclamò Antonio “Bando alle ciance, dobbiamo tutti quanti muoverci, abbiamo la giornata piena. Ognuno si equipaggi come meglio crede ed entro un’ora, tutti fuori da qui.”

Eve scosse la testa, disapprovando e continuando a ritenere un piano suicida quello di affrontare i Fomori.

Cassandra e Stone si attrezzarono rapidamente e presero un libro sulla mitologia slava da portare con loro e consultare durante le indagini.

Antonio e Jenkins, alquanto entusiasti, andarono a frugare tra gli artefatti della Biblioteca, parlottando allegramente tra di loro e consigliandosi su quali manufatti utilizzare.

Jenkins prese il fodero di Escalibur e se lo cinse al fianco, poi vi inguainò la sua spada personale, quella che gli era stata donata da Judson molti secoli prima, quando le sue avventure come Gahalad dovevano ancora cominciare, quando per la prima volta era uscito dalla Biblioteca o, come la chiamava all’epoca, Castello Periglioso.

Jenkins ed Antonio si augurarono buona fortuna vicendevolmente e si salutarono amichevolmente, evidentemente avevano lavorato fianco a fianco in passato, ma non potevano certo dimostrarlo davanti agli altri bibliotecari.

Poco dopo, Jenkins ed Enya utilizzarono la porta sul retro per raggiungere l’abitazione della ragazza e permetterle di armarsi.

“Bene, è tutto in ordine. Non è passato nessuno, durante la mia assenza.” constatò la giovane, dopo essersi guardata attorno.

Erano entrati nel salotto dell’abitazione, Enya fece cenno all’uomo di seguirla in un’altra stanza; andarono dunque nella camera della ragazza che su una parete teneva esposte tutte le proprie armi: tutte lame, oppure oggetti con proprietà magiche.

“Ah.” commentò Jenkins, vedendo ciò “Devo aggiornarmi? Io ero rimasto che i giovani tenessero i poster dei loro idoli appesi in camera.”

“Non sono così giovane, lo sai. Comunque, se guardassi anche l’altra parete, troveresti le riproduzioni dei miei quadri preferiti.”

L’uomo si voltò a guardare e trovò molti dipinti più o meno famosi; osservandoli si limitò a mormorare: “Viandante su un mare di nebbia … ah …”

“Le armi bianche le ho ereditate tutte da mio padre. Tranne la spada che ho trovato nel mitreo, ovvio. Penso che mi prenderò dietro una scure.”

“Non è meglio una spada?”

“Forse, ma ho voglia di qualcosa di più selvaggio, meno elegante e da usare a breve distanza. Ho voglia di ritrovarmi coperta di sangue dalla testa ai piedi.”

“Quanta violenza!” commentò Jenkins, a metà tra lo stupito e il divertito.

“Mi sembra passata un’eternità dall’ultimo combattimento, sento il bisogno di uno scontro epico ed è l’unica cosa che si possa ottenere, mettendosi contro i Fomori.”

“Prendi uno scudo, almeno?”

“Non ne ho bisogno.”

“Un’arma secondaria?”

“Ehi, la scure è la mia arma secondaria; la principale è qui!” Enya sollevò la mano sinistra, circondata da un alone di energia blu.

Jenkins sorrise, ridacchiò sommessamente, annuì e disse: “Sì, con la magia è tutto più semplice; ecco perché sei così sicura!”

“I Fomori sono guerrieri non per professione, ma per nascita, di certo non li avrei affrontati, senza ricorrere alla magia. Piuttosto, la tua spada è a una mano e mezza, giusto? Vuoi anche uno scudo, da usare sia per difesa che per offesa? Potrei prestarti quello di mio padre.”

Gli occhi di Jenkins si illuminarono e disse: “Chi sarebbe così sciocco da rifiutare l’onore di imbracciare lo scudo di monsignor Galvano?”

Enya sorrise, sentendosi un poco lusingata, non capiva come mai; rimosse lo scudo dalla parete e lo porse con gentilezza all’uomo. Sullo scudo era rappresentata una stella a cinque punte, come cinque angoli intrecciati tra di loro in un nodo infinito; ogni punta indicava una delle virtù di Galvano, per l’esattezza: liberalità, amicizia, cortesia, purezza e pietà.

“Avevi detto che saresti sceso in battaglia ad una condizione, ma poi non hai chiesto nulla.” osservò la ragazza “Vuoi dire qualcosa, adesso?”

Jenkins rifletté, rimase indeciso qualche momento, poi rispose: “Sì. È una cosa da nulla, una curiosità, spero che non sia un problema rispondere.”

“Domandare è lecito, rispondere è cortesia.”

“Come mai il Colonnello Baird credeva che il principe Elatha fosse il tuo fidanzato? Che rapporto c’è tra di voi?”

Enya si meravigliò della domanda, ne fu un poco turbata ma di certo non infastidita; rispose: “Sono la sua amica, inteso alla vecchia maniera. È un principe fomoriano, suo padre non approverebbe mai una vera relazione tra me ed Elatha e lui certamente non rinuncerebbe alla sua vita, alla sua posizione per me.”

“Come mai dici che suo padre non approverebbe? Sei umana, sì, ma i tuoi antenati …, tuo nonno soprattutto …”

“Non ho raccontato tutto il mio albero genealogico ad Elatha; non mi interessava. Ha i suoi pregi, il suo fascino, ma ha anche una miriade di difetti e di mancanze che non potrei tollerare a lungo. Non interessava nemmeno a me una vera relazione con lui. Sarebbe dovuta essere un’amicizia speciale, un Chi vuol esser lieto sia, del doman non vi è certezza, finché la vita non ci avrebbe fatto cambiare strada; a volte con l’idea che sarebbe potuta durare anche dopo aver trovato, ciascuno, il suo vero amore. Certo non credo che nessuno dei due avrebbe mai immaginato che sarebbe tutto finito a causa di un conflitto.”

“Non credi che sia stata una scelta un po’ superficiale, la vostra?”

“Conoscendo la tua storia, Gahalad, comprendo bene il tuo disappunto, soprattutto se non sei cambiato in ciò nel corso di tutti questi secoli. In fondo, però, io appartengo più al mondo fatato che a questo e le nostre leggi, anche morali, sono differenti da quelle umane. Inoltre, non si è certo trattato di un passare da un letto ad un altro con disinvoltura.” Enya era al quanto risentita e malamente cercava di nascondere il fatto di essersi offesa “Si tratta semplicemente di una relazione nata, sapendo già che sarebbe finita e non sarebbe potuta durare per sempre. Inoltre è stata ben lunga, è cominciata quando ancora dovevo lasciare Avalon, quindi puoi fare bene i tuoi conti.”

Jenkins aveva capito che la ragazza si era corrucciata, per cui le disse: “Scusa.” dopo qualche momento, chiese: “Sei sicura di voler affrontare i Fomori? Intendo, emotivamente te la senti?”

“Sì, certo.” rispose lei “Solo con Elatha potrebbero esserci problemi, ma lui è bene tenerlo in vita.” accorgendosi dello sguardo interrogativo dell’uomo, spiegò: “Il nostro obbiettivo è dare una prova di forza che dissuada i Fomori dal continuare le loro scorribande; l’uccisione di un principe esigerebbe una vendetta e questo porterebbe a conseguenze che … beh peggiorerebbero decisamente la situazione.”

“Sì, lo credo bene; sarebbe meglio evitare.”

Enya finì di sistemarsi in silenzio; Jenkins si era seduto ad aspettare, rifletteva su una questione, era piuttosto indeciso, infine disse: “Posso chiederti un’altra cosa, sperando di non essere troppo audace?”

“Certamente, dimmi.” rispose la ragazza, che era tornata serena.

“Vorrei portare in battaglia i tuoi colori.”

Enya abbassò lo sguardo, si voltò dell’altra parte e sorrise mestamente.

“Se non ti disturba, ovviamente.” Jenkins aggiunse, non sapendo come interpretare il silenzio.

“Disturbarmi? Assolutamente no.” la ragazza andò vicino al comò, aprì un cassetto e tirò fuori un pezzo di stoffa rossa e blu e la porse all’uomo, sorridendogli, e osservò: “Non mi risulta tu abbia mai portato i colori di nessuna donna.”

Il volto di Jenkins fu attraversato da un lieve imbarazzo, fece una sorta di smorfia rapida; si concentrò a guardare la stoffa e commentò: “È una manica, come quelle dei vecchi tempi.”

“Le conservavo per ricordo, sai erano un regalo. Dove le legherai? Non hai né elmo, né lancia.”

Jenkins si legò la manica attorno al collo e commentò: “Comunque, è vero che è la prima volta che indosso i colori di una damigella, ma è altresì vero che è un’usanza che è andata perduta oltre mille anni fa. Andiamo? Dobbiamo tornare in Biblioteca e capire dove aprire la porta sul retro per raggiungere i Fomori; non so se abbiamo abbastanza informazioni per capire esattamente dove andare, Antonio ha detto che ci sono stati avvistamenti e atti di pirateria in tutto il Mediterraneo, dobbiamo capire come individuare il loro quartiere generale, oppure aprire una porta su una nave e sperare di essere attaccati.”

“Io ho un’idea migliore. Posso ricorrere alla divinazione per scoprire dove si trovano.”

“Speriamo ci siano porte da quelle parti, benché ne dubiti, visto che non rientrano nella cultura fomoriana.”

“Possiamo anche optare per un ingresso più plateale e ad effetto.”

“Cosa intendi?”

“Magia, ovviamente.”

I due si scambiarono un’occhiata, sorridendo e annuendo.

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Capitolo 25
*** Battaglia coi fomori ***


I Fomori avevano scelto la loro isoletta greca come base delle loro scorrerie per tutto il Mediterraneo. I loro arrembaggi erano cominciati da una decina di giorni, attaccavano navi militari, mercantili o traghetti viaggiatori senza alcuna distinzione o preferenza: le prime servivano ad intimidire i governi, le seconde a destabilizzare l’economia, i terzi a creare panico trai i civili.

Depredavano e massacravano, non risparmiavano nessuno, benché qualche manciata di fortunati superstiti ci fosse stata. A volte agivano da veri e propri pirati, usando navi per abbordare i loro bersagli; in altre occasioni, emergevano dal mare e si arrampicavano sugli scafi e le chiglie, sorprendendo all’improvviso le loro vittime; infine, in un paio di aggressioni, avevano scatenato mostri marini.

Oltre ad uccidere per il puro gusto di farlo, i Fomori approfittavano delle proprie scorribande anche per guadagnare, rubando tutto ciò che fosse prezioso ed impossessandosi delle navi e dei relitti che riuscivano a non colare a picco; li avrebbero smantellati per riutilizzare le materie prime.

Questi atti di pirateria e di guerra eccitavano parecchio gli animi dei Fomori in cui la violenza risvegliava istinti ferini; essi godevano delle battaglie e del sangue e più combattevano, maggiore era la loro esaltazione.

Quando non assaltavano qualche nave, i Fomori scelti per quei combattimenti stavano sull’isoletta greca a tenersi in esercizio e festeggiare.

Elatha si stava consultando con i suoi ufficiali per decidere quale sarebbe stato il loro prossimo obbiettivo e secondo quali modalità avrebbero condotto l’assalto. Tutti quanti erano seduti su seggi bassi e larghi, disposti in un grande cerchio; ognuno di loro aveva almeno un valletto pronto a servire da bere ottimi liquori.

Nel vivo della loro discussione, il principe fomoriano e i suoi ufficiali videro apparire un’altissima fiamma al centro del loro cerchio; essa prese la forma di un bocciolo di fuoco che, fiorendo e perdendo i petali uno per volta, rivelò contenere Enya e Jenkins.

C’erano stati un certo stupore e paura vedendo la fiammata e la meraviglia fu molta vedendo i due umani. Elatha scacciò subito il senso di sorpresa e il disappunto e disse: “Benvenuta, Enya, questa volta hai davvero superato te stessa; tuttavia, di solito, riservi questi ingressi plateali per presentarti a me solo e non quando mi trovo in compagnia. Che cosa succede?”

La ragazza con tono alquanto spavaldo rispose: “Succede che tu e il tuo popolo state facendo guerra agli umani, senza avere nemmeno la decenza di dichiararla apertamente.”

“Gli umani non credono alla nostra esistenza, una dichiarazione di guerra sarebbe stata del tutto superflua. Ora, sono impegnato in una riunione di grande importanza, quindi trova un posticino dove aspettarmi e, dopo, avrò tempo per te. Adesso ho questioni della massima importanza.”

“Lascia che ti spieghi meglio le circostanze della mia visita.” ribatté la donna “Io sono qui, assieme ad un rappresentante della Biblioteca” con la mano indicò Jenkins “Per darvi un ultimatum: rinunciate immediatamente a questa guerra, oppure nessuno di voi lascerà vivo quest’isola.”

Elatha si innervosì, ma si limitò a dire glacialmente: “Non essere sciocca.”

“Non sto scherzando. Avete massacrato uomini e donne in scontri che non hanno nulla di onorevole. È già molto che vi sia concessa la possibilità di andarvene, senza farvi pagare le conseguenze delle vostre atrocità.”

“Non chiamarle atrocità.” ringhiò il principe “Sai benissimo che finora ci siamo piuttosto limitati: abbiamo solamente ucciso.” ghignò.

“Quando ho deciso di venire qui, ero certa che le mie parole non vi avrebbero convinto a cessare il vostro brigantaggio, per cui non starò a ripetere queste intimazioni o a supplicarvi di smettere. Noi siamo pronti a combattere.”

Elatha vedeva la risolutezza negli occhi della donna e ne era parecchio dispiaciuto, quindi anziché dare l’ordine di attaccare, come avrebbe fatto in altre circostanze, ripeté: “Non essere sciocca.”

“Siamo pronti a combattere sino alla morte: vostra o nostra ha poca importanza.”

“In due contro una milizia fomoriana? Che vi dice il cervello? Inoltre, dalla Biblioteca, potevi farti affiancare da qualcuno di più giovane. Insomma, è evidente che o sono tremendamente disperati, o stupidi o che non gliene importa niente di te, se ti mandano in battaglia accompagnata da uno che uscirà di casa sì e no per dare le briciole ai piccioni o, nei giorni migliori, andare alla bocciofila.”

Enya si abbandonò ad una fragorosa e lunghissima risata che mise i brividi ai Fomori.

“Sei folle!” l’accusò Elatha, destabilizzato.

“Lo dicevano anche di mio nonno, quando rideva così; ma la verità è che lui conosceva ciò che agli altri era ignoto; così anch’io, oggi, so qualcosa che voi non sapete e rido della vostra ingenuità.”

“E cosa sarebbe?!” il principe era piuttosto innervosito.

“L’uomo che hai appena disprezzato è Sir Gahalad! Il cavaliere perfetto, il cavaliere di Dio.”

Lo stupore colmò i presenti e ci fu un certo brusio. Elatha, pure, era rimasto perplesso, ma ciò nonostante rimase spavaldo, quando dopo qualche attimo replicò: “Una volta era così. Mi risulta, però, che non combatta più da diversi secoli: dubito che sia ancora abile come un tempo.”

“Lo verificheremo immediatamente.”

“Sei dunque decisa?”

“Totalmente.”

“Peccato.”

Enya ed Elatha si scrutarono per qualche momento, poi la ragazza chiese: “Come cominciamo? Diamo un segnale d’attacco o cosa?”

Il principe rispose: “Adesso suonerò la mia conchiglia per chiamare alla battaglia tutti quelli che sono sull’isola, poi lascerò a voi il primo attacco, visto la vostra netta inferiorità numerica.”

Elatha prese la conchiglia spiraliforme, di madreperla lucidissima, quasi smaltata, la portò alla bocca e la suonò come un corno da guerra.

Jenkins sfoderò la spada e strinse lo scudo. Non aveva detto una parola, ma aveva ben osservato e studiato gli ufficiali fomoriani, che già da qualche minuto avevano messo mano alle armi. Non era nervoso o teso, si sentiva a proprio agio, nonostante non affrontasse uno scontro come quello da molti secoli. Nonostante si fosse rinchiuso nella succursale della Biblioteca e avesse deciso per lungo tempo di rimanere neutrale, non aveva mai smesso di tenersi in esercizio. In realtà, in quel preciso momento, era piuttosto curioso di scoprire come se la sarebbe cavata in una mischia; voleva agire secondo giustizia e non aveva paura di alcun avversario.

La terra iniziò a tremare. I Fomori si sorpresero; un attimo dopo, dei grossi tronchi spuntarono sotto i seggi, sollevandoli di parecchi metri e facendo cadere a terra gli ufficiali seduti; alcuni caddero e basta, altri riuscirono ad atterrare in piedi e scagliarsi subito all’attacco.

Jenkins si preparò a respingere l’urto degli assalti e impugnò la spada in posizione di guardia di finestra, ossia con la lama orizzontale all’altezza del suo volto. Appena ebbe un Fomoro vicino, affondò la propria lama fino a metà nel petto dell’avversario che cadde morto all’istante. L’uomo si affrettò a parare un fendente dall’alto e contrattaccò con una larga spazzata con cui colpì almeno tre Fomori; poi con lo scudo respinse altri assalitori e li colpì col bordo, prima di usare la spada su di essi. Jenkins si muoveva tranquillamente e agilmente in mezzo a quei guerrieri e li fronteggiava con grande ardimento, senza arretrare e senza mai sbagliare: ogni volta che puntava la sua spada contro qualcuno, un attimo dopo la immergeva nel suo sangue.

Enya, per parte sua, teneva a distanza i nemici con turbinii di vento, fiamme, getti d’acqua e quant’altro le piacesse, li faceva precipitare, scontrare tra di loro, li incendiava; si scontrava direttamente con la scure solo con un avversario per volta. I suoi occhi brillavano di ferocia, come invasata dalla potenza della sua magia e dal sapore della battaglia.

Lo scontro durò oltre un’ora; sarebbe durato molto più a lungo, ma la magia aveva decisamente contribuito a ridimensionare il numero degli avversari e ad accorciare i tempi. I cadaveri e le membra staccate giacevano sul suolo ricoperto di sangue, interiora e pezzi di cervello. Nemmeno assumere le loro mostruose forme ibride aveva aiutato i Fomori a salvarsi: erano tutti morti, nessuno aveva avuto il coraggio di scappare; rimaneva solamente Elatha, furioso per la sconfitta.

Il principe notò che i due umani erano praticamente incolumi, allora ringhiò, protestando: “Non è giusto! Voi avete usato qualche trucco, avete ingannato i miei valorosi guerrieri; non stavamo giocando ad armi pari!”

“Ehi, voi avevate dalla vostra il  numero, noi delle buone protezioni.” ribatté Enya, appellandosi alle proprie ultime energie per sembrare ancora al meglio “Tu e i tuoi avreste potuto immobilizzarci e strapparci i nostri talismani, ma non avete avuto l’astuzia o l’opportunità di farlo, quindi non ci sono state scorrettezze di cui tu possa lamentarti.”

Elatha scosse il capo, riconobbe che ciò era vero, ma non lo disse apertamente; decise, invece, di proporre: “Beh, visto come siamo rimasti, direi che per concludere la faccenda nel migliore dei modi, sia un duello tra me e uno di voi, senza il talismano che lo protegge e senza appellarsi alla magia. Un leale duello all’arma bianca, senza sotterfugi.”

Enya fu turbata: non credeva che lei o Jenkins fossero nelle condizioni di affrontare una simile sfida; provò a dire: “Non ne vedo il bisogno: la nostra vittoria mi pare già evidente. Elatha, non è necessario che tu combatta fino alla morte, perché …”

“Bah!” Elatha la interruppe “Prima mi dichiari guerra e poi non sei in grado di affrontarmi in un duello diretto! Voi umani siete strani, non riuscite a rimanere fermi in una delle vostre decisioni, scegliete una strada ma poi il sentimentalismo mi impedisce di essere coerenti. Io voglio il mio duello!”

“Lo avrai!” intervenne Jenkins e iniziò a togliersi il fodero di Escalibur dalla vita “Accetto io la tua sfida.”

Enya fu sorpresa e si preoccupò parecchio: l’uomo aveva combattuto per più di un’ora, avrebbe avuto abbastanza energie per sostenere un simile duello?

La giovane si avvicinò all’uomo, augurandogli buona fortuna, gli appoggiò una mano sulla spalla e gli trasmise gran parte delle poche energie che le rimanevano.

Jenkins avanzò, scudo saldo, spada sguainata. Elatha era nella sua forma ibrida, con i due cobra che gli spuntavano dalle spalle; impugnava con vigore una spada a due mani.

I due contendenti si scagliarono l’uno contro l’altro e turbinarono colpi l’uno contro l’altro come se fossero nel pieno del proprio vigore; le lame cozzavano tra loro con tale forza che scaturivano scintille. Presto il sangue iniziò a scorrere da ambo le parti, ma nessuno dei due si mostrava in difficoltà o meno risoluto. Elatha usava una tecnica molto aggressiva, infliggendo fendenti su fendenti, molto rapidi e senza sosta e quando la sua lama si abbatteva da una parte, ecco che i serpenti tentavano di mordere dall’altra. Jenkins, invece, stava parecchio sulla difensiva, parava i colpi e contrattaccava solo quando si sentiva sicuro e vedeva il suo avversario scoperto o in una posizione di scarso equilibrio.

Il combattimento si protrasse per molti minuti in una situazione di stallo, senza che nessuno dei due contendenti prevalesse sull’altro; ad un certo punto Jenkins mulinò rapidamente la propria spada e mozzò le teste dei cobra. Elatha rimase sorpreso e si infuriò tanto che si lanciò nuovamente all’attacco, con maggior impeto di prima, costringendo l’altro ad indietreggiare. Quello slancio e quella rabbia, però, portarono il principe ad abbassare le proprie difese e a lasciare scoperti molti punti vitali. Jenkins notò questo abbassamento di guardia e ne approfittò per sferrare un affondo al fianco destro di Elatha che lanciò un urlo di dolore e barcollò. L’uomo allora, si affrettò a disarmarlo, lo gettò a terra, spintonandolo con lo scudo, poi gli puntò la spada al collo e gli intimò: “Arrendetevi! Siete un guerriero valoroso, siete un vanto per i Fomori e un onore per la vostra famiglia. Io sono Gahalad ed essere sconfitti da me non si può certo definire una vergogna; anzi, essere graziati da me è senza dubbio un riconoscimento di prodezza e valore. Accettate la sconfitta e potrete fare ritorno a casa vostra, nell’oceano. Non ci sarà motivo di disonore in questo.”

Jenkins sapeva bene che la sconfitta era una grande vergogna per i Fomori e che essi avrebbero preferito morire, piuttosto che sopravvivere da perdenti. Chi non seguiva la filosofia del o morte o vittoria veniva emarginato dalla società fomoriana. Essere risparmiato, sarebbe stata una grande umiliazione per un principe fomoriano e avrebbe messo in dubbio la sua legittimità.

Jenkins avrebbe dovuto essere molto convincente per persuadere Elatha ad andarsene vivo da lì.

“Uccidimi!” gli disse infatti in principe “Se non lo farai, appena mi alzerò da qui, ti attaccherò di nuovo. È un duello all’ultimo sangue.”

“Non ho intenzione di dare a vostro padre un motivo di vendetta. Questo duello sarebbe già finito e voi sareste morto, se io non avessi voluto diversamente. Mi siete debitore. Voglio che andiate da vostro padre e gli riferiate quanto accaduto qui, oggi. Voglio che gli riferiate un mio messaggio: Vivete in pace con gli umani, non saranno tollerate altre violenze. Non importa quanti voi siate o che potenza supponiate di avere, se continuerete questa guerra, sparirete dalla memoria.Jenkins era stato particolarmente deciso, benché non fosse avvezzo a questo genere di minacce “Odio le guerre, odio i civili morti, ho visto spargere inutilmente troppo sangue. Preferisco la diplomazia, ma se voi insistete con la violenza, non mi farò scrupoli a versare il vostro sangue, per salvare quello degli uomini. Andate e riferite questo a vostro padre; dopo di ciò, se ritenete di non poter sopportare l’umiliazione della sconfitta, suicidatevi pure, oppure tornate a cercarmi per avere la rivincita, come preferite; ma ora andate!”

Elatha guardò con odio Jenkins, lanciò un’occhiata ad Enya, poi tornò a guardare l’uomo e annuì, accettando l’accordo. Il Fomoro si alzò a fatica e si gettò in mare e presto scomparve alla vista.

Enya si avvicinò a Jenkins per controllare come stesse e, vedendolo con alcune ferite, sebbene non gravi, si affrettò a sanarle con la magia; poi vacillò e sarebbe caduta a terra, se l’uomo non l’avesse sorretta in tempo.

“Esausta?” le chiese lui, sorridendole.

“Alquanto. La magia richiede molto vigore e oggi l’ho usata parecchio. Devo ricaricarmi.”

“Ora puoi riposare, non mi pare ci siano pericoli, in ogni caso, sorveglierò io.”

“Grazie.”

Enya si mise sdraiata a terra, rimase in silenzio qualche momento, poi osservò: “Sei stato molto imperioso con Elatha, non mi aspettavo tanta aggressività da te.”

“Ah. Beh, so come devo parlare con chi mi trovo davanti. Loro non conoscono altre maniere, purtroppo.”

“Lo so. Sai qual è la cosa che più mi dispiace in questa faccenda?”

“Quale?”

“Aver decisamente perso la possibilità di visitare una città fomoriana subacquea. Non ne ho mai vista una e mi sarebbe piaciuto molto.”

“Nella vita non si sa mai. Abbiamo molti secoli a disposizione, le situazioni cambiano, in futuro potrebbe capitarti un’altra occasione.”

Ci fu ancora silenzio, poi la ragazza chiese: “Quando mi sarò ripresa, facciamo il bagno in mare? Siamo sporchi di sangue, dovremo pur lavarci.”

“L’acqua salata non è l’ideale.”

“Vorrà dire che, poi, userò la magia per ripulirci … ma ho propria voglia di fare una nuotata.”

“Io ho voglia di una tazza di tè.”

Enya rimase sdraiata a lungo, traendo dal Sole, dalla Terra, dall’Aria e dall’Acqua lì vicina la forza per ritemprarsi; con calma assorbiva l’energia esterna a lei.

Jenkins passeggiava lì attorno, riflettendo sul combattimento appena venuto, pensando agli ultimi giorni e ragionando su quel che stava accadendo in lui e nel mondo.

 

 

 

Nota d’autrice!

Salve a tutti e grazie per seguire questa fanfic.

Ultimamente non ho molto tempo  per scrivere, per cui ho deciso di pubblicare capitoli un po’ più brevi ma a distanza di non troppi giorni l’uno dall’altro, piuttosto che fare capitoli lunghi e postarli alle calende greche.

Nel prossimo capitolo, andremo in Bulgaria con Stone e Cassandra e in quello successivo, finalmente, torneremo da Flynn.

Ancora grazie e un saluto!

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Capitolo 26
*** A Varna ***


Varna!

Perla del Mar Nero!

Un porto elegante sul mare, dove le navi ormeggiate vivacizzavano il panorama, mentre i grandi bastimenti commerciali erano tenuti lontano dalla vista dei cittadini e dei turisti.

La bella cattedrale della Dormizione di Maria, con le sue cinque cupolette bombate color oro dominava la piazza principale e si ergeva come richiamo per tutti i fedeli. Poco fuori dal centro, si trovava l’erboso Memoriale della Battaglia di Varna, su cui svettava una sorta di obelisco, edificata su un’antica tomba tracia. Dell’antichità rimanevano terme romane, un monastero rupestre e una necropoli.

Non mancavano, poi, l’osservatorio, il delfinario, un museo ricavato all’interno di una nave e, infine, c’era il famose ponte Asparuhov, alto ben 53 metri, dal quale molti praticavano il bungee jumping.

Era in questa splendida città che si erano ritrovati Jacob e Cassandra per indagare. Appena arrivati, si erano diretti in un bar per leggere i giornali locali e ascoltare le conversazioni degli abitanti, alla ricerca di informazioni ed indizi utili alla loro indagine. In realtà, di tutto ciò, si occupava Stone, dal momento che era il solo a conoscere la lingua bulgara. Cassandra annotava su un quadernetto tutte le informazioni più importanti e i particolari curiosi o ricorrenti e tramite internet cercava di trovare qualche collegamento.

“Ehi, qui c’è scritto che una parte del Dracula di Bram Stoker è ambientata a Varna.” disse Cassandra, consultando un sito sulle curiosità della città “La presenza di vampiri spiegherebbe i morti dissanguati.”

“Ma non quelli sventrati.”

“Licantropi?” ipotizzò la ragazza, né convinta, né ironica “Vampiri e licantropi.”

“Aggiungici qualcun altro alla lista, perché abbiamo anche una miriade di annegati e gente morta per lo sfinimento.”

“Sfinimento?”

“Sì. Pare che siano stati ritrovati cadaveri di uomini morti per sfinimento. Alcuni testimoni, non si sa quanto affidabili, sostengono di aver visto qualcuno di questi signori ballare, prima di morire.”

“Ballare fino alla morte?” si stupì Cassandra e rabbrividì “Per caso sono stati ritrovati con ai piedi scarpette rosse?”

“Ne dubito, comunque i giornali non ne parlano. Perché?”

“Non conosci la storia della bambina che voleva le scarpette rosse? Mi ha traumatizzata da piccola! C’era una bimba che voleva delle scarpette rosse per imparare a danzare e le chiese ai suoi genitori che, però, gliele comprarono nere. Lei, allora, si mise d’impegno a fare lavoretti per poter guadagnare il denaro necessario per potersi comprare le sue scarpette rosse e ci riuscì, ma appena le calzò, iniziò a ballare e ballare e ballare e non poteva smettere, né togliersi le scarpe e continuò così finché non morì. Anderson ne ha scritta una versione più complessa e maggiormente legata all’ambito  cristiano … comunque mi terrorizzava quella storia!”

“Interessante. La fiaba potrebbe avere preso spunto da qualche altra leggenda più antica o pagana, prova a cercare qualche studio sulle fonti di questo racconto, oppure delle analisi, o qualcos’altro di questo genere.”

Cassandra si mise subito a cercare sul tablet, digitando varie parole chiave, passando da un sito all’altro e, dopo alcuni minuti, disse: “Ecco, ho trovato qualcosa di interessante. Nella mitologia slava esistono delle creature denominate vila, sono le anime di giovani morte prima del matrimonio perché tradite o abbandonate, oppure perché straziate dal dolore dalla prematura morte di un figlio. Possono assumere sembianze umane, oppure di cigno, lupo o cavallo. Cercano i traditori e li costringono a ballare convulsamente fino a provocarne la morte per sfinimento o fino a farli cadere in acqua. Non è certo che si plachino e abbandonino questo mondo dopo la prima morte che provocano. Cosa ne pensi? Fanno parte del folklore locale e due tipologie di morti su quattro corrispondono.”

“Sì, può essere una pista da seguire e approfondire. Rimangono però misteriose le altre uccisioni. Riesci a controllare di quali altre creature parlino le leggende locali e che caratteristiche abbiano?”

“Sì, non c’è problema.”

“Ottimo, grazie. Io, intanto, provo a fare due chiacchiere con la gente del bar, sperando di poter ottenere l’indirizzo di alcuni dei defunti o, almeno, avere informazioni sulla loro vita. Magari, salterà fuori qualche punto comune tra le vittime o dei dettagli utili … userò il telefono come registratore, fingerò di essere un giornalista di un qualche programma americano, forse li invoglierà a parlare.”

“Credi che si apriranno con un giornalista? Faresti meglio a dire di discendere dal professor Van Helsing.”

“Userò entrambe le bugie.”

I due giovani si misero al lavoro: Jacob usò la sua socialità e il suo carisma per conversare un po’ con il barista, un po’ con gli avventori, riuscendo a raccogliere numerose particolarità non riportate dai giornali. Cassandra continuò a leggere, esaminando con attenzione ogni possibilità.

Dopo circa mezzora, Stone tornò al tavolo con un paio di boccali di birra e disse: “Allora, finché rimaniamo qua: siamo sposati da un paio d’anni e abbiamo un programma televisivo in una rete del Kentucky che si chiama Helsing, mistery’s hunter. Io ho fondato il programma dieci anni fa; ci siamo conosciuti cinque anni fa quando tu sei venuta in studio per uno stage. Questo è il background a grandi linee. Sembra che agli abitanti piaccia e parlino ben volentieri; ad ogni modo ti racconterò dopo; prima dimmi tu che cosa hai individuato.”

“Un solo riscontro, ma alquanto convincente. Spero di riuscire a pronunciarlo: strzygon. Incarnazione di anime di morti per annegamento, suicidi e bambini nati morti. Bevono sangue umano e/o divorano le interiora; sottoforma di gufo, portano la morte nelle case su cui si posano.”

“Sì, sembra perfetto. Qualcuno ha fatto riferimento a gufi avvistati sui tetti delle case di alcune delle persone ritrovate dissanguate o sbranate. Inoltre, Stoyan, uno dei tizi con cui ho parlato, ha  garantito che la morte del suo amico Branamir ha senza dubbio rattristato diverse donne, visto che ne aveva parecchie … questo potrebbe ricollegarsi con la storia delle vila. Bisogna cercare di approfondire le circostanze in cui sono avvenute le morti e le vite delle vittime. Ci procureremo una telecamera, per essere credibili, e intervisteremo parenti, polizia, testimoni e magari potremmo fare qualche ripresa notturna per cercare di notare qualcosa … va beh, vedremo man, mano, intanto cominciamo! Ho una breve lista di persone da sentire, partiamo!”

Dopo aver acquistato una telecamera per essere credibili come giornalisti televisivi, i due giovani si misero subito a cercare i parenti e amici di alcune delle vittime e li interrogarono; poi riuscirono a parlare anche con poliziotti e dare qualche sbirciata ai loro verbali. Più ascoltavano quelle testimonianze, più si convincevano che realmente, dietro tutti quei morti, ci fossero vila e strzygon. La sera, dunque, si ritrovarono a discutere della faccenda, passeggiando lungo un viale alberato; Jacob aveva preso per mano Cassandra, con la scusa di dover mantenere la loro copertura.

“Io mi sono convinto che abbiamo trovato la causa di tutte queste morti, ora è necessario capire come fare a liberare Varna da queste entità.” diceva l’uomo “Hai letto qualcosa in proposito a come si scaccino queste creature o quali siano le loro vulnerabilità?”

“Pare che l’unico modo per allontanare le vila è che si plachino con la vendetta, mentre gli strzygon si possono essere decapitati, bruciati o trafitti con un chiodo.”

“Ah, tipo vampiri, proprio. Allora, come possiamo fare? Psicoterapia di gruppo per le vila, in modo tale da placarle senza bisogno che uccidano e poi caccia aperta agli strzygon? Potrebbe richiedere molto tempo. Dobbiamo capire come fare per prenderli tutti in una volta, o quasi.”

“Calmo, sono certa che ci stia sfuggendo qualcosa, deve esserci altro. Ho una domanda fissa nella testa da qualche ora: perché sono usciti fuori tutti adesso? Voglio dire, fanno parte della tradizione, quindi c’erano anche in passato, ma agivano in maniera decisamente più sporadica.”

“Beh, è tornata la magia nel mondo, quindi è probabile che si siano rinvigoriti e che, ora, agiscano molto più che nel passato.”

“Sì, ma perché solamente queste due tipologie di creature e non altre? E perché solamente qua a Varna e non nel resto della Bulgaria o delle zone slave? Non ha senso! Avremmo dovuto avere morti in vari stati e, invece, sono tutti concentrati qui!”

“Effettivamente hai ragione, forse qui vicino c’è una sorta di santuario che funge da punto focalizzante di questi esseri, oppure … oppure qualcuno li ha evocati! Che cos’hanno in comune questi mostri?”

“Oltre alla passione per gli omicidi? Fammi pensare … Ci sono! Sono trasmutazioni, per così dire, di anime di defunti. Morti di dolore, suicidi, affogati o morti prima di nascere, sono di costoro le anime che danno origine a vila e strzygon.”

I due giovani si guardarono negli occhi e all’unisono esclamarono: “Un necromante!”

Si sorrisero a vicenda, poi Stone chiese: “Come lo scoviamo un necromante? Come lo affrontiamo? E, soprattutto, basterà per disperdere i mostri?”

“Non ne ho la più pallida idea. Sinceramente, non so nulla sull’argomento.”

“Proviamo a concentrarci sugli altri elementi che abbiamo. Ci hanno detto molte cose strane, non trovi?”

“Troppe e confusamente … poveretti, molti erano addolorati per il lutto.”

“Consideriamo le cose più insolite e legate alla scena dei delitti e non ai morti in sé. Mi sono preso qualche annotazione, c’erano un paio di cose che mi avevano suscitato curiosità, vediamo ...” Stone prese un block notes che aveva con sé e iniziò a sfogliarlo “Un elemento ricorrente è la presenza di pozzanghere anche dove non avrebbero dovuto esserci e, in alcuni casi, mute di serpenti.”

“E che cosa vorrebbe dire?”

“Non lo so, forse sono ricollegati a qualche rituale … se capiamo quale sia, potremmo capire anche come fermarlo.”

“Non so se, scrivendo su google: necromanzia, serpente, pozzanghera troveremo un rituale. Credo che dovremmo consultare i libri della Biblioteca alla vecchia maniera! Ci fosse Jenkins, sono sicura che ci darebbe la soluzione in un attimo.”

“Dovremo arrangiarci da soli e sono sicuro che ce la faremo e in poco tempo.”

“Ne sei convinto?”

“Ehi, siamo bibliotecari, dopo tutto; no?”

Jacob aveva un sorriso calmo e uno sguardo rassicurante che tranquillizzarono molto Cassandra. L’uomo, poi, per incoraggiarla ulteriormente, le appoggiò una mano sulla spalla; la ragazza distolse lo sguardo, sentendosi in imbarazzo. Stone avvertì quel disagio, per cui ritrasse il braccio e tornò a parlare della missione: “Sui giornali, stamattina, c’era un altro articolo che mi ha incuriosito, ma lì per lì non l’ho approfondito, perché mi sembrava scollegato dai nostri casi. Parlava di strani  avvistamenti; diverse persone si erano spaventate, vedendo un tizio massiccio, vestito con mantelli o pastrani di lana come appena tosata, non filata, con una maschera sul viso con corna e una  sorta di becco. Pareva che quest’essere cantasse. Le autorità pensano sia lo scherzo di qualche ragazzo. Forse, invece, potrebbe essere connesso con la negromanzia.”

“In che modo? Le descrizioni delle vila e dei strzygon sono molto diverse.”

“Mah, non lo so. Torniamo in albergo e dormiamoci su, si dice che la notte porti consiglio, speriamo sia così.”

Il mattino seguente i due si rimisero al lavoro, questa volta chiedendo informazioni circa i misteriosi  avvistamenti. Vennero così a scoprire che era tradizione che gli uomini si vestissero in quella maniera durante il Koleda e che andassero in giro, cantando antichi inni popolari; tale festa cadeva tra gennaio e febbraio e, dunque, non era certo quello il periodo.

Approfondirono l’argomento e scoprirono che il Koleda era l’erede del Velja Noc, una festa pagana connessa con Veles, dio dell’oltretomba e della magia.

“Visto che coincide tutto?!” esclamò Stone, entusiasta.

“Ci conferma la negromanzia e ci dà una pista da seguire. Dove possiamo trovare, però, delle informazioni sul culto di questa divinità? Ci saranno ancora dei santuari da queste parti? È probabile che se ha dei seguaci che effettuano necromanzia lo facciano nei suoi templi.”

I due giovani si recarono all’ufficio informazioni turistico e si fecero consegnare tutto il materiale riguardante i siti archeologici e non legati al paganesimo. Sfogliando i vari opuscoli, trovarono l’indicazione di un santuario rupestre a una decina di chilometri dal centro della città. Si recarono sul posto per ispezionarlo, ma si resero conto che il luogo era un’attrazione turistica molto frequentata e, dunque, era altamente improbabile che qualcuno avesse celebrato rituali clandestini in quel luogo. Sconsolati, si incamminarono nel boschetto circostante, considerando di nuovo le ipotesi a loro disposizione; fu allora che si trovarono davanti ad una strana scultura, come una colonna scolpita. Era a forma di albero e, in cima, era appollaiato un falco, mentre tra le radici c’era un grosso serpente; era in pietra e tempestata di gemme. A osservare bene, però, ci si accorgeva che l’intero tronco era in realtà un serpente e i rami erano le sue molteplici teste che, a ben guardare, in un certo senso avvinghiavano e stringevano il falco, come a tenerlo imprigionato. Le pietre preziose, che inizialmente sembravano frutti, erano in realtà gli occhi dei rettili.

Stone la riconobbe subito come una rivisitazione di una delle iconografie più comuni di Veles; infatti solitamente il falco, che rappresentava il dio Perun, era libero e l’albero era un vero albero, mentre di serpenti ce n’era uno solo, in basso, che era appunto Veles.

Jacob spiegò: “Questo tipo di scultura, solitamente, rappresenta l’equilibrio tra il cielo e la terra. La leggenda vuole che Veles rapisca il figlio di Perun che combatte per riprenderlo, senza però uccidere l’altro dio. C’è una forte questione di equilibrio. Veles lo spezza e Perun lo ripristina, senza lasciare che l’ago della bilancia penda né verso di lui, né verso l’altro. Qui il concetto è del tutto stravolto e c’è un’inedita predominanza di Veles.”

“Quindi potrebbe essere qua che avvengono i rituali?”

“Sì. Diamo un’occhiata, forse troviamo qualche traccia.”

Ispezionarono la scultura in alto e in basso e da tutti i lati e nel retro videro che c’era un incavo in cui si trovavano alcuni cristalli di quarzo citrino di varie grandezze, con le punte acuminate, disposti in modo da assomigliare a delle fiamme. Controllando più da vicino e si accorsero che sotto all’incavo, parte della scultura era in realtà un pannello posto a nascondere qualcosa che c’era dietro; lo spostarono e trovarono una specie di circuito formato da magneti, sbarre di rame, pile assai primitive ed altri elementi che Stone non riusciva ad identificare. Cassandra, invece, dopo una rapida occhiata iniziò subito ad elaborare i dati nella sua mente e presto ebbe tutto chiaro.

La donna spiegò: “Si tratta di una sorta di antenna, ma non è solo questo. Richiama energia dispersa nell’etere, la convoglia alla base e poi la proietta fuori in maniera molto più concentrata di prima.”

“Come l’elettrostatica? Accumula energia e poi dà la scossa?”

“Sì, ma non è elettricità è … è qualcosa di non riconosciuto ancora scientificamente.”

“Intendi dire un’energia non ancora scoperta?”

“Scoperta sì. Può essere assimilabile all’energia vitale di cui si parla nel reiki, oppure la forza odica, oppure i chackra, o addirittura una sorta di energia animica … Molte pseudoscienze e tradizioni varie fanno riferimento ad un concetto simile, ma ancora non è stato dimostrato scientificamente. Questo impianto, tuttavia, canalizza questo tipo di energia: è questo che genera le vila e i strzygon! Assorbe l’essenza di queste anime molto diluite nell’etere e li ricompatta e poi li riproietta fuori.”

“Possiamo disabilitarlo?”

“Sì … anche se è un vero peccato … è un sistema molto interessante … potremmo portarlo in Biblioteca!”

“D’accordo; però dobbiamo capire chi l’ha creato, altrimenti potrà replicarlo e continueranno le morti.”

“Non credo che sia stato costruito di recente. Polvere, ragnatele, il fatto che la parte di colonna che abbiamo tolto fosse perfettamente mimetizzata, con tanto di muschio attorno … mi fanno pensare che nessuno abbia toccato questa scultura da moltissimi anni, probabilmente secoli.”

Stone non era convinto: “È stato quindi solo il ritorno della magia a riattivarlo? E, inoltre, il nostro uomo vestito di lana?”

“Hanno contribuito entrambi al processo di condensare le anime dei morti. La magia ha reso più forte l’energia e i canti dell’uomo vestito di lana hanno attivato l’impianto.”

“I canti?” si stupì Jacob.

“Sì. Le vibrazioni emesse dalla voce hanno messo in moto il meccanismo. Tutto è vibrazione! L’aria ne è piena.”

“Quindi basterà rimuoverlo e gli omicidi cesseranno?”

“Gradualmente, finché non si saranno esauriti gli esseri già presenti.”

“Allora potremmo portare l’arnese in Biblioteca e poi tornare qua a debellare i morti superstiti e, magari, scoprire se l’uomo lanoso era consapevole di quel che stava facendo oppure no.”

“Sono assolutamente d’accordo. Allora, procediamo allo smantellamento?”

La ragazza era entusiasta per la scoperta e molto vivace, pronta a mettersi al lavoro.

“Cassandra …” le disse dolcemente Stone “Complimenti! Sei stata eccezionale! Hai capito tutto questo coso e … Bravissima!” le sorrise.

Lei, un poco imbarazzata, ma sorridente, replicò: “Beh, se siamo arrivati fin qui, gran parte del merito è tuo.”

Stone avvicinò il proprio viso a quello di Cassandra che, colta alla sprovvista, rimase immobile. Lui appoggiò le proprie labbra su quelle di lei e la baciò per alcuni istanti. Poi rimasero a fissarsi per diversi momenti, non sapendo che fare o che dirsi, finché la donna non si scosse e si mise ad armeggiare con lo strano impianto energetico nella colonna.

 

 

 

Nota dall’Autrice:

 

Scusate tutti per l’attesa e grazie per la pazienza!

Sono giorni molto impegnativi e in questo capitolo proprio non riuscivo a saltarci fuori.

Spero vi sia piaciuto J

Un saluto e a presto (spero) !

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Capitolo 27
*** V.I.T.R.I.O.L. parte IV ***


Flynn si era risvegliato sulla bellissima e calda spiaggia bianca che già in passato aveva visitato durante una visione; questa volta, però, non c’era Judson a far volare un aquilone, non c’era nessuno.

L’uomo si guardò attorno, chiedendosi che cosa avrebbe dovuto fare, tuttavia non vedeva altro che sabbia e mare. Si sentì parecchio tentato di rimanere sdraiato sulla spiaggia e non far nulla. Effettivamente, perché muoversi sempre? Quando già si sa che cosa fare, è giusto non perdere tempo ed agire, ma quando la situazione è tranquilla, perché complicarla? Perché agitarsi ed affannarsi di continuo? Perché rincorrere anche il nulla?

Flynn aveva sempre qualcosa da fare: combattere, studiare, recuperare artefatti, studiare ancora e poi sempre così in una ruota continua di azioni. Non riposava mai, non aveva mai un attimo per sé stesso. Beh, no, non era proprio così; del tempo libero lui lo aveva, solo che lo investiva tutto in studio. In fondo, che altro avrebbe potuto fare? Gli piaceva imparare e aveva così tanti argomenti nella sua lista delle cose da apprendere, che ogni volta che ne aveva l’occasione ne approfittava per spuntare qualcosa da quel lunghissimo elenco. Studiare, però, era un prendersi cura di sé? Apparentemente sì, ma in vero non era forse un estraniarsi dalla realtà e da sé?

Lo studio, per quanto gli piacesse, non era un buon modo per rilassarsi e riposarsi. Quali svaghi aveva? Non gliene venivano in mente. Era il Bibliotecario a tempo pieno.

Cos’altro poteva fare, però? Non ne aveva idea. Non aveva interessi oltre la Biblioteca: per i primi trent’anni della sua vita aveva solo studiato; poi tutto era cambiato: aveva imparato a combattere, aveva viaggiato, aveva applicato le sue conoscenze, ma sempre e solo in nome della Biblioteca. Che cosa aveva mai fatto per sé stesso?

Le Miniere di Salomone? Quella era stata una missione che lo riguardava personalmente, ma poi era diventato un compito della Biblioteca e, alla fine, aveva rinunciato a ciò che desiderava di più al mondo.

Era stato poi in vacanza a New Orleans … e il lavoro era venuto da lui da solo; anzi era stata proprio la missione a chiamarlo, a convincerlo ad andare là.

Che cosa aveva di suo? Nulla! Nemmeno l’amore: le due donne più importanti della sua vita (esclusa sua madre, ovviamente) erano Guardiane, quindi coinvolte anche loro nell’attività della Biblioteca!

Accidenti! Non ci aveva mai pensato prima, eppure era così: tutta la sua vita, più o meno coscientemente, era stata consacrata alla Biblioteca: lo studio forsennato e disperatissimo prima e poi il suo lavoro … la sua vita. Aveva la Biblioteca e basta.

Non sapeva come sentirsi davanti a quella consapevolezza. Lui era davvero Il Bibliotecario. Era il Bibliotecario e null’altro … e lui aveva abbandonato la Biblioteca.

Beh, non aveva avuto ragione? Gli avevano mentito, gli avevano nascosto la verità … Ecco! Questo lo faceva arrabbiare ancor di più: lui era il Bibliotecario, ma non sapeva che cosa significasse davvero.

Che cosa doveva fare, allora? Forse, prima di decidere di cambiare vita, avrebbe dovuto cercare di capire quella che aveva già.

Lui era sempre stato convinto che il compito della Biblioteca era quello di proteggere il mondo e gli uomini dalla magia. Poteva però esserne certo? Della protezione sì, però … Era davvero quello lo scopo? C’era davvero da proteggersi dalla magia? Lui ne faceva moderatamente uso e Judson … beh, Judson decisamente praticava magia.

Gli tornò in mente ciò che gli aveva mostrato Dulaque, ciò che gli aveva detto.

Dunque Judson aveva davvero duemila anni? E pur di tenerglielo nascosto aveva inscenato la propria morte? Perché? Perché recargli quel dolore pur di mantenere una bugia? Era assurdo! Benché Judson gli fosse rimasto vicino in forma di spirito, lui aveva sofferto lo stesso.

Calma, calma, doveva fare il punto della situazione nella maniera più razionale ed oggettiva possibile.

Che cosa sapeva con esattezza? Judson aveva fondato la Biblioteca oltre duemila anni prima, con lo scopo di raccogliere e custodire oggetti magici e scritti arcani. La prima sede era stata ad Alessandria, gli era stato detto, però non era stata di certo quella storica, costruita in epoca tolemaica. Probabilmente Judson aveva creato la sua Biblioteca come una sezione segreta di quella famosa, da cui poteva attingere testi e i più grandi ingegni. Inoltre la biblioteca d’Alessandria era incorporata nel Museo, da questo forse era nata l’idea di raccogliere i manufatti potenti.

Un momento, queste riflessioni servivano davvero? Beh, sì, il contestualizzare l’origine della Biblioteca poteva servire per comprenderla meglio. Comunque, per farla breve, Judson aveva scelto di stare vicino a quello che, anticamente, era il maggior centro culturale, che già custodiva molti segreti, erede della tradizione egizia e connesso con le maggiori città e civiltà dei suoi tempi.

Questa scelta indicava la volontà di essere presente al mondo, attivo e consapevole, nonostante lo stare nell’ombra; era conforme, anche, con la scelta della biblioteca di New York come collegamento col mondo al giorno d’oggi.

Cos’altro poteva considerare? Forse il fatto che l’antichità fosse piena di mostri e oggetti magici che, grazie all’impegno dei Bibliotecari, erano diminuiti sempre più o presi in custodia. Ciò provava che effettivamente il mondo era un posto più sicuro da quando si era deciso di nascondere la magia.

Perché, allora, in così tanti ne volevano il ritorno? Questo proprio non lo capiva.

Le creature connesse alla magia avevano comunque i loro spazi … Non capiva.

Accidenti! Judson aveva proprio ragione. Da dieci anni era un Bibliotecario e ancora era minima la parte di magia e realtà che conosceva. Forse davvero c’erano cose che non potevano essere apprese, ma scoperte gradualmente, con l’esperienza diretta. Effettivamente, se ancora non gli avevano rivelato la verità su Judson un motivo c’era e lui non era realmente pronto per scoprirlo.

Flynn sospirò, non sapeva che cosa fare; l’unica cosa che aveva chiara era quella di tornare nel mondo, o nella sua dimensione o quel che accidenti era e poter rientrare in Biblioteca. Poi avrebbe dovuto far fronte a una crisi (non sapeva che cosa fosse successo, ma era certo che le cose non andassero affatto bene). A quel punto come si sarebbe comportato? A chi avrebbe dato ragione? Chi avrebbe sostenuto? Come avrebbe cercato di conciliare i contendenti? Mah! Questo ancora gli era ignoto; non aveva idea di cosa fosse giusto e cosa sbagliato, né di come avrebbe fatto a capirlo.

Decise di non rimanere fermo sulla spiaggia, come aveva inizialmente pensato, ma di mettersi in cammino come le altre volte.

Dopo un’ora di cammino, Flynn scorse qualcosa in lontananza: una macchia verde. Andò in quella direzione e, man mano che si avvicinava, iniziò a distinguere un immenso parco e un edificio. Il palazzolo era in mattoni a vista, col tetto piano e gli ricordava il tempio di Luxor; il giardino attorno, invece, non si vedeva poiché circondato da siepi alte una ventina di metri che mettevano non poco in soggezione l’uomo, che si sentiva minuscolo al loro confronto.

Flynn giunse davanti all’ingresso, che non aveva porte e lasciava aperto il passaggio; entrò e scoprì che l’edificio era fatto a chiostro, con un cortile interno completamente vuoto, circondato da un porticato. L’uomo notò che alle pareti, sotto il portico, c’erano numerose iscrizioni; provò a leggerle ma, appena  vi posava gli occhi sopra, gli pareva che le lettere iniziassero a sciogliersi, oppure a vorticare o aggrovigliarsi tra di loro. Rinunciò e proseguì. Arrivato dall’altra parte del chiostro, trovò un altro passaggio che si apriva sul giardino che, a quel punto, si rivelò essere un labirinto. Flynn non si intimorì, anzi, molto curioso si mise in cammino, desiderando arrivare al centro del labirinto. Si perse o, per lo meno, impiegò tre giorni prima di raggiungere il centro. Tre giorni passati da solo, su sentieri sempre uguali a sé stessi, nessun suono attorno, nemmeno i suoi passi facevano rumore e quel silenzio lo aveva parecchio inquietato. Era certo che avrebbe dovuto apprendere qualcosa da tutto ciò, ma gli sembrava di non aver imparato nulla.

Arrivò infine al centro del labirinto: era molto simile al chiostro iniziale, col porticato con colonne, tuttavia, dal lato opposto a quello da cui era entrato, si trovava un edificio cubico, sormontato da una piramide; due scalinate, una di fronte all’altra, entrambe di sette gradini, conducevano all’ingresso unico della piramide.

Flynn salì immediatamente ed entrò: si stupì immediatamente nel trovarsi in una stanza circolare, molto più vasta sia del cubo che della piramide.

Vide quadri, sculture, oggetti quotidiani, vasi e una miriade di altre cose, esposte ordinatamente nella sala. Come allestimento gli ricordava la Biblioteca, ma lì non c’erano manufatti importanti, nulla di leggendario; quel che vedeva gli sembrava comune, poteva avere valore artistico o storico, ma nulla di più, nulla di arcano.

Ad ogni modo, non riusciva a vedere bene l’estremità opposta della stanza, per cui si mise ad attraversarla, guardandosi attorno per cercare di cogliere qualche informazione. Mentre voltava il capo da una parte e dall’altra, si spaventò nel vedere apparire all’improvviso un uomo e un tavolino esattamente dove prima non si trovava nulla, proprio nel mezzo della stanza.

L’uomo aveva il viso giovane, tonico e senza rughe, ma i suoi capelli erano bianchi. Gli occhi erano vivaci e avevano le iridi scarlatte. Era molto pallido, il corpo alto e il fisico allenato; indossava una cravatta rossa, una camicia bianca, un completo color crema molto chiaro, con bottoni d’oro. Sedeva accanto al tavolino, su cui era posta una tovaglia di seta di fattura orientale, che toccava terra.

“Chi sei?” chiese Flynn “Dove sono?”

“Dove non è importante, visto che non sai nemmeno quando.”

“Non è il 2015?”

L’uomo si limitò a sorridere e a prendere il bicchiere di vino che era apparso sul tavolo. Dopo aver bevuto un sorso, disse: “Flynn, ti preoccupi molto di quel che ti circonda, di quel che accade attorno a te, ma mai di te stesso.”

“Mi hanno insegnato che non ha importanza, che io vengo dopo il mondo. Devo sacrificare i miei interessi per u bene superiore.”

“Non essere egoisti e consacrarsi a qualcosa di più alto è un bene, ma che cosa hai consacrato? La tua intelligenza, ma niente di più. Devi prima finire di trovare te stesso e la tua identità, solo allora potrai agire al meglio.”

“E cosa dovrei fare? Andare in India, per trovare me stesso? Il periodo new age è passato da anni.”

“No, devi vivere un’avventura per te stesso; credo che servirà e basterà a trovarti.”

“Quella che sto passando adesso non conta?”

“Forse questa è una parte del tuo percorso per conoscerti e dovrai fare altro per capirti davvero. In questi giorni hai avuto modo di meditare, di esplorare i tuoi pensieri e, soprattutto, i tuoi sentimenti, hai elaborato molto, hai tantissime idee che però devi ancora sintetizzare. Hai vissuto la parte passiva della tua riscoperta, ora devi vivere quella attiva.”

“E come? E come posso fidarmi di te, non so nemmeno chi sei!”

“Torna in Biblioteca e cercami nel tuo tempo. Assieme capiremo quale sia la tua grande cerca.”

“Di cerche ne ho già fatte parecchie.”

“Anche i cavalieri della Tavola Rotonda hanno vissuto moltissime avventure, ma ognuno di loro ne ha vissuta una che li ha segnati più di ogni altra. Su, torna in Biblioteca.”

“E come?! Non so nemmeno dove sono e come ci sono arrivato!”

L’uomo si alzò in piedi, fece cenno a Flynn di avvicinarsi, poi sollevò un poco la tovaglia e indicò sotto al tavolo. Il Bibliotecario si accostò, si chinò e vide che, sotto al tavolo, c’era una scalinata che saliva verso l’alto. Non era scientificamente possibile, ma Flynn decise di non interrogarsi. Domandò solo: “Da qui tornerò in Biblioteca?”

“Esattamente.”

“Come faccio a trovarti? E poi perché devo andare in Biblioteca e poi cercarti, se siamo già qua, assieme.”
“Lo capirai a tempo debito.”

“Questa frase inizia a scocciarmi, ma va bene. Posso almeno sapere il suo nome?”

“Ovviamente, no. Se no il divertimento dov’è?”

Flynn sospirò, scosse il capo, salutò e si chinò sotto il tavolo; appena superò la tovaglia si trovò sulla scalinata, come all’interno di una torre, senza la possibilità di tornare indietro.

Cominciò a salire le scale, domandandosi che cosa fosse accaduto.

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Capitolo 28
*** Brain storming ***


La sveglia suonò alle otto in punto: per una volta, Jenkins si era concesso di dormire fino a quello che considerava tardi. Riteneva che l’aver affrontato fomori a frotte il giorno prima lo autorizzasse a riposare un poco più a lungo del solito, quella mattina.

Ben riposato, dunque, l’uomo si alzò, rifece il proprio letto e andò in bagno per togliersi il pigiama, lavarsi e cambiarsi la biancheria, poi tornò nella camera per vestirsi. Tirò fuori dall’armadio il completo, quello antracite, e dalla cassettiera la camicia, bianca con sottilissime righine grige; indossò quest’ultima e le braghe poi, prima di infilarsi la giacca, si soffermò ad osservare i papillon, indeciso su quale mettere: quello grigio, oppure avrebbe vivacizzato un po’ il suo aspetto con l’azzurro o il rosso.

Mentre era lì che osservava i farfallini, percepì che qualcuno era sulla porta. Non avvertiva ostilità, tuttavia si tenne all’erta, nonostante non desse a vedere di essersi accorto dell’intrusione. Sentì la presenza scivolare nella stanza, arrivare alle sue spalle, sporgersi verso di lui, appoggiare una mano sulla sua spalla …

“Buongiorno!” gli mormorò, dolcemente, all’orecchio Enya.

Jenkins sorrise, con la sinistra accarezzò la mano della giovane, ruotò appena il volto, il minimo indispensabile per guardarla, e la rimproverò con tenerezza: “Non sai che si bussa, prima di entrare nella stanza di qualcuno?”

“Non ti avrei fatto una sorpresa, però.”

L’uomo si voltò verso di lei e replicò: “Cogliere alla sprovvista sir Gahalad è molto difficile.”

“Per farmi scusare, allora, ti inviterò a colazione.”

Jenkins sorrise ancora una volta e ribatté: “Scommetto che me l’avresti offerta in ogni caso.”

Enya non rispose, distolse gli occhi e lo sguardo le cadde sui papillon, allora prese quello rosso, lo mise attorno al collo dell’uomo e, alla fine, prima di voltarsi e andarsene, disse solo: “Ti aspetto nella stanza in fondo al corridoio.”

Era un tono cortese, ma che non ammetteva repliche. Jenkins scosse la testa, divertito: era trascorso diverso tempo dall’ultima volta che qualcuno gli aveva dimostrato affetto e lo aveva trattato con amicizia. D’altra parte nemmeno lui aveva fatto granché per avere degli amici: quando si ha una conoscenza e un’esperienza più che millenaria, è difficile trovare qualcuno con cui sentirsi in sintonia; inoltre lui, diversamente da Judson, non riusciva ancora ad accettare che le persone a cui si legava morissero. Preferiva, allora, non affezionarsi alla gente che incontrava, ostentare disinteresse e distacco, più per proteggere sé stesso che per vera misantropia. Sì, aveva visto morire parecchi Bibliotecari, Guardiani e molte altre persone: essere sprezzante nei confronti di chi lo circondava era il modo migliore che avesse trovato per non soffrire ad ogni perdita.

Jenkins si finì di sistemare, si diede un rapido colpo di pettine, infine decise di andare. Nel corridoio, avvertì già il profumo della colazione, lo seguì e raggiunse la stanza dove era stato apparecchiato un tavolo per due e imbandito con frutta, pancakes, marmellate di diverso gusto, crema di cioccolata e nocciole, un panetto di burro, miele, una teiera con English Breakfast in infusione, una caraffa di latte e forse qualcos’altro che sfuggì alla prima occhiata dell’uomo.

Seduta al tavolo, di fronte a lui, c’era Enya che indossava una sorta di tunica bianca, lunga, molto drappeggiata, con le maniche a losanga, scollata a vu e con un’alta cintura di cuoio sotto il seno; tra i capelli un cerchietto decorato con edera.

Jenkins si accomodò, prese il tovagliolo, lo aprì e lo distese sulle ginocchia e commentò: “Che leccornie! Non mi concedo colazioni simili, se non in giorni di festa … anche perché da solo non vale la pena di faticare per preparare così tante buone cose. Già solo per due è esagerata e avanzeranno parecchie cose!”

“Poco male, daremo gli avanzi ai Bibliotecari.”

“Mi stupisco, infatti, che non si siano già precipitati qui ad abbuffarsi … almeno il signor Stone e il signor Jones.”

“Ho usato un pizzico di magia per mantenere segreta la colazione, non mi sarebbero piaciuto intromissioni.”

“E i rimproveri di Charleene sui soldi spesi!”

“Quello non sarebbe stato un problema, ho sempre usato la magia, così il budget non è stato intaccato. I pancakes, comunque, gli ho fatti io, personalmente, con la magia mi sono solo procurata gli ingredienti.”

“Ne assaggio subito uno, allora.”

Jenkins afferrò la forchetta e prese una frittella, l’adagiò nel piatto, poi scelse la marmellata di mirtilli da spalmarci sopra; per ultimo ne tagliò un pezzetto e la mangiò.

“Ottima.” si limitò a commentare, mentre già si portava alla bocca la seconda fetta.

Mangiarono e chiacchierarono assieme, con molta naturalezza e serenità. Dopo aver discusso e riso per oltre mezzora, Enya osservò: “Certo che non si direbbe che ci conosciamo da meno di un mese, per quanto siamo in armonia assieme.”

“Beh, tecnicamente ci conosciamo da millecinquecento anni.”

“Non conto quelle quattro o cinque volte in croce che ci siamo scorti a Camelot e in cui, se ci siamo rivolti la parola per salutarci, è già tanto.”

“Hai ragione, in fondo all’epoca non avevamo avuto modo di conoscerci, nonostante fossimo imparentati. Effettivamente, siamo diventati amici molto in fretta.”

“Le circostanze hanno favorito lo stringersi del nostro rapporto: insomma, in pochi giorni, abbiamo affrontato circa tre o quattro volte la morte in combattimento, due prigionie e due fughe … Credo che siano esperienze che legano molto strettamente le persone. Volenti o nolenti abbiamo ci siamo vicendevolmente mostrati i lati migliori e peggiori di noi, i punti di forza e le debolezze. Abbiamo messo a nudo le nostre anime, ritengo che ci conosciamo molto profondamente.”

Jenkins si accigliò, come turbato da quelle parole, sebbene non ne capisse il motivo. Dopo un momento di esitazione, si limitò a commentare: “Effettivamente, abbiamo avuto delle giornate piuttosto impegnative ed intense … e non sono ancora finite.” si era incupito.

“Sei preoccupato?” si premurò la giovane “Ritieni che il mondo si trovi ad un nodo cruciale, che questo scontro non sia come le lotte degli ultimi mille anni.”

“Già, ma non è necessario conoscermi profondamente per capirlo, basta conoscere la storia … la storia segreta di questo mondo.”

Enya aveva capito che aveva in un qualche modo urtato l’uomo e se ne dispiacque perché non era sua intenzione, anzi aveva sperato in una reazione ben diversa. Decise, allora, di cambiare argomento.

 

Nel frattempo, Flynn stava salendo le scale della torre; era una scala a chiocciola, piuttosto buia e lui era piuttosto stanco, oltre che frustrato per non avere idea di dove stesse andando e quanto ancora era distante. Dopo quelle che il Bibliotecario riteneva essere ore, finalmente arrivò alla fine della torre. Non era però giunto su un pianerottolo, né tanto meno si era trovato davanti ad una porta: semplicemente i gradini erano finiti e davanti c’era solo una parete in mattoni, mentre sopra di lui un soffitto dannatamente basso.

Flynn era certo di dover studiare l’ambiente circostanze per capire come uscire da lì. Iniziò a tastare le pareti e poi anche il soffitto ed ecco che, appena le sue mani lo sfiorarono, cambiò aspetto: non più di pietra, bensì di legno. L’uomo guardò e si rese conto che era appena apparsa una botola. Allora la colpì, la spinse con forza verso l’alto e, alla fine, riuscì ad aprirla.

Flynn si affrettò ad uscire, si arrampicò fuori dalla botola e si rimise in piedi. Era in un luogo illuminato, per cui aspettò qualche istante che i suoi occhi si riabituassero alla luce, poi si guardò attorno e vide scaffali pieni di libri. Li riconobbe immediatamente: era in Biblioteca.

Il volto di Flynn si illuminò, sorrise e poi lanciò un grido di gioia. Guardò la botola, ma ormai era svanita. Decise di non farsene un problema, per il momento. Cominciò a correre per i corridoi, chiamando a gran voce: “Judson! Eve! Charleene!”

Al quarto grido, la voce di Judson gli rispose: “Ben tornato, Flynn. Hai cambiato idea circa la Biblioteca?”

Il Bibliotecario si voltò e vide il suo mentore in piedi tra due scaffali; lo indicò coll’indice e gli disse: “Lei  lo sapeva, vero?”

“Sapevo, cosa?”

“Ah, andiamo, non faccia l’ignaro!” non lo stava rimproverando, ma era felice “Ormai so chi è e cosa sa fare! Lei sapeva dove sarei finito, sapeva che sarei tornato.”

“No, Flynn. Io sapevo dove saresti andato, ma non come ciò ti avrebbe influenzato, che cosa avresti capito e quale decisione avresti preso.”

“Davvero?”

“Ho molti poteri, ma non quello della prescienza. Comunque, ben tornato.”

“Grazie!”

Flynn si sentiva finalmente di nuovo sereno.

“Credo che ti convenga raggiungere gli altri e farti raccontare che cosa è accaduto in questi giorni. Qui si sono dati tutti quanti parecchio da fare, ma la situazione è difficile.”

“Sì, certamente!” annuì Flynn “Scusami se sono andato via, ho sbagliato, sono stato ingiusto ed irresponsabile.”

“Non ti preoccupare: in duemila anni, ho visto passare almeno altrettanti Bibliotecari, ognuno eccentrico a proprio modo e tutti i migliori hanno avuto crisi e creato qualche problema.”

“Meno male, questo mi fa sentire un po’ meno stupido. Prima di andare, devo chiederti una cosa … Ho incontrato due uomini che mi hanno detto cose importanti …”

“Chiedi a Jenkins” lo interruppe Judson “O anche ad Antonio. Sono certo che assieme riuscirete a capirlo, non è necessario che ti spieghi io.”

Flynn lo guardò con un inutile misto di rimprovero e perplessità, poi si scosse e accettò: “Va bene, va bene, non facilitarmi le cose, neppure quando il tempo stringe per la fine del mondo.”

“Il mondo è sempre in pericolo!” parve quasi che Judson sorridesse.

“D’accordo, vado … Ehi, ma chi è Antonio?”

Troppo tardi, Judson era già scomparso. Flynn sospirò e scosse la testa: ormai c’era abituato a quei modi.

Il Bibliotecario si rimise in cammino per raggiungere il suo studio. Quando arrivò, sobbalzò, nel vedere un uomo dalla corporatura imponente e i capelli brizzolati, intento a scrivere qualcosa, seduto alla sua scrivania.

Flynn lo scrutò qualche istante, poi disse: “Lei deve essere Antonio …”

L’uomo alzò il capo e replicò: “Sir Antonio Panizzi, principe dei Bibliotecari, per la precisione. Lei dev’essere il signor Carsen.”

“Dottor Carsen, con ventitré lauree, massone criptico e attuale Bibliotecario, per la precisione.”

“Sono stato sufficientemente informato su di lei, sono lieto che sia tornato. Credo che tutti saranno felici di rivederla e curiosi di sapere dov’è stato. Nel primo cassetto della scrivania troverà i rapporti sulle missioni svolte in sua assenza.”

“Sì, effettivamente ho bisogno di essere aggiornato e dev…

Flynn?!” esclamò la voce di Cassandra, dalla balaustra del secondo piano “Flynn è tornato! Flynn è tornato!” e corse alle scale.

Nel giro di un paio di minuti, i tre bibliotecari in erba avevano circondato Flynn e lo riempivano di domande e informazioni, felicissimi che fosse rientrato. Poco dopo anche Eve li raggiunse e si fece largo un poco arcigna e scoccando un’occhiata severa e di rimprovero all’uomo. Il Bibliotecario la trasse a sé e la baciò. Eve ricambiò, ma subito dopo lo schiaffeggiò e gli chiese bruscamente: “Perché te ne sei andato?! Hai idea di quello che abbiamo dovuto passare?!”

Antonio borbottò: “Molti impegni, sì, ma nulla di eclatante.”

Flynn si sentì un poco in imbarazzo: ora che cosa avrebbe dovuto raccontare? Come giustificarsi?

Alla fine decise di dire una mezza verità: “Mi è stato imposto un percorso educativo, con prove da superare, per poter avere una maggiore consapevolezza della Biblioteca e poter affrontare meglio la situazione.”

“Perché non me lo hai detto?” lo rimproverò Eve, che si sentiva offesa per essere stata esclusa “Avresti potuto scrivermi!”

“È accaduto all’improvviso ed ero in una dimensione dove il cellulare non prendeva.”

“Ma se il mio telefono riceveva il segnale perfettamente anche dentro il labirinto del minotauro!”

“Hai provato a telefonarmi?”

“Certo, ma era sempre staccato.”

“Quindi non prendeva e, poi, non ho certo potuto portarmi via il carica batterie! Insomma, quanto sono stato via, esattamente? Diversi giorni, credo, no?”

“D’accordo, ti perdono.”

Ezekiel esclamò: “Non vedo l’ora di scoprire com’è il tuo level-up!”

Mmm, non so se lo definirei proprio così … comunque, ricapitolatemi: com’è finito il conclave? Che cosa avete fatto?”

I tre bibliotecarini raccontarono con entusiasmo tutte le missioni affrontate, a partire da quella in cui avevano liberato Antonio. Presto sopraggiunse anche Charleene che, per quanto le permettesse il suo carattere, dimostrò la sua felicità nel rivedere Flynn. Per ultimi arrivarono anche Jenkins ed Enya. Il Bibliotecario fu stupito di vederli: l’ultima volta che li aveva visti, era presso Morgana. Flynn venne dunque aggiornato anche sulle loro vicissitudini, almeno parzialmente.

Conclusa tutta questa fase di saluti e resoconti, a chi gli chiedeva il da farsi, Flynn rispose: “Prima di prendere una decisione ed organizzarci, vorrei parlare con Jenkins ed Antonio.”

I due uomini accettarono e lo seguirono in un’altra stanza, dove potessero discorrere in tranquillità, certi di non poter essere ascoltati. Flynn, allora, esordì: “Antonio, tu hai iniziato la tua vita nell’Ottocento e non hai fatto una piega vedendo Jenkins, Charleene e forse Judson ancora vivi. Questo significa che tu sai chi siano loro realmente?”

“Sì. Sono stato il primo Bibliotecario a cui lo hanno rivelato.”

“Anche l’unico, io l’ho scoperto da Lancillotto. Non è stato piacevole e la cosa mi ha scombussolato parecchio. Volevo saperlo per capire quanto fossi libero di raccontare.”

Flynn riferì nuovamente quello che aveva vissuto, insistendo molto sugli ultimi due uomini che aveva incontrato e più di una volta domandò: “Avete idea di chi possano essere?”

Jenkins e Antonio si scambiarono un’occhiata, come per consultarsi. Infine Jenkins disse: “Il Custode delle Chiavi.”

“Cosa?!” esclamò Flynn, sentendo per la prima volta quel nome.

Antonio specificò: “L’ultimo uomo che hai incontrato, quello tutto bianco con gli occhi rossi, lui è sicuramente il Custode delle Chiavi.”

“Cosa sarebbe un custode delle chiavi?”

“Non un, ma il Custode delle Chiavi.” ribadì Jenkins “È un’entità simile al Bibliotecario, ma meno contingente. La Biblioteca mira ad occuparsi del sapere esoterico, degli oggetti magici, li raccoglie e interviene al bisogno. Quando accade qualcosa, noi agiamo. Il Custode delle Chiavi, invece, è un essere super partes, ancor più solitario del Bibliotecario; egli preserva la memoria, la storia del mondo, dell’umanità e di ogni creatura. Noi siamo specializzati sulla magia, egli è un’enciclopedia universale. Il fatto che lei lo abbia visto, è molto singolare: difficilmente il Custode interagisce con gli uomini o, per lo meno, si mostra apertamente a loro.”

“Di quali chiavi è custode?” chiese Flynn, incuriosito e assorto in riflessione.

“Le chiavi del tempo.” rispose Antonio “Non si sa molto di lui e delle sue funzioni, in realtà. È misterioso e leggendario perfino per noi! Oltre a quello che ti ha già detto Jenkins, soltanto un’altra cosa si sa o, per essere più corretti, soltanto un’altra cosa si racconta. Il dio Giano, dio delle porte, dei passaggi e, in un certo senso, del tempo, forgiò le Chiavi del Tempo e le consegnò a un suo sacerdote, incaricandolo, appunto, di preservare la memoria. Non si conosce altro, ci sono pure dei dubbi circa se questo sacerdote sia diventato una sorta di immortale, grazie al potere di viaggiare nel tempo. Nel senso che avendo la possibilità di passare da un’epoca all’altra è uno solo che è stato in ogni quando. Altri, invece, pensano che, nonostante ciò, il sacerdote invecchi comunque e, quindi, arrivato ad una certa età, passi il proprio compito ad un erede. È impossibile saperlo, bisognerebbe chiederglielo.”

“Quindi costui mi ha detto di cercarlo, ma nessuno ha la più pallida idea di dove possa essere e, per di più, di quando possa essere?!” Flynn era innervosito “Io odio chi fa il misterioso! Ero già da lui, perché invece di aiutarmi subito, mi ha fatto tornare indietro e tribolare?!Accidenti! Come facciamo?!”

“Non si preoccupi, signor Carsen.” disse Jenkins “Studierò la faccenda e troverò il modo di aiutarla: sono convinto che la mia porta possa tornarci utile, bisogna solo capire dove aprirla.”

“Potrei occuparmene io di studiare ciò …” si propose Antonio.

“No, meglio che ci pensi io” insisté Jenkins “Che conosco meglio i meccanismi della porta.”

“Appunto, avrai tanto da capire su che modifiche fare, è meglio che …”

“No! So che cosa vuoi in realtà! Sei curioso sull’argomento e vuoi approfondirlo, ma ci penserò io.”

“Dai, non essere cattivo, studiamolo assieme! Non puoi dirmi che indagherai su qualcosa di così misterioso ed importante ed escludermi dalla ricerca!”

Flynn scosse la testa e disse: “Credo che sia bene che ci lavoriate assieme, così forse arriveremo prima ad una soluzione. Piuttosto, sapete dirmi qualcosa sull’altro uomo? L’anziano che mi ha servito il tè?”

“Credo che potrebbe essere chiunque.” disse Antonio “Non c’è un personaggio specifico, legato al te o ad un luogo come quello che mi hai descritto. L’unico anziano che offre tè che mi viene in mente è Jenkins, ma te ne saresti accorto se fosse stato lui!”

“Signor Carsen, può provare a trasmettermi telepaticamente l’immagine di quell’uomo?”

“Come?”

“Beh, è riuscito a proiettarsi astralmente, per cui dovrebbe riuscire a usare la telepatia.”

Flynn era scettico, anche perché non aveva neppure idea di come aveva fatto a proiettarsi, giorni prima, comunque decise di tentare. Anche quella volta non capì bene come gli riuscì, ma ebbe successo.

“Penso di avere un’idea. Mi permetta di fare alcune verifiche e, poi, gliele comunicherò.”

Il Bibliotecario sospirò e concluse: “Mettiamoci al lavoro, domattina faremo un’altra riunione e ci aggiorneremo. Sperando di avere novità, decideremo il da farsi.”

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