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Jenkins lo fissò per qualche istante e rimase indeciso circa se
controllare di cosa si trattasse, oppure aspettare che qualcuno dei
bibliotecari rientrasse. Flynn ed Eve
erano a parlamentare coi draghi orientali: dopo la faccenda della perla rubata
e del tradimento del signor Drake, era necessario che il Bibliotecario
principale andasse a chiarire alcune cose; inoltre Dulaque
era ancora libero, libero di agire, era quindi necessario trovare alleati
contro di lui o, almeno, garantirsi delle neutralità.
Flynn aveva preso molto a cuore il dialogo con le creature legate
alla magia ed era in viaggio da più di un mese.
I tre giovani, invece, si stavano occupando di
missioni minori, ognuno per conto proprio.
Jenkins fissò ancora il libro che non aveva smesso di vibrare.
“Strano” pensò l'uomo “Ora che ci sono i
libretti portatili, le notizie dovrebbero arrivare direttamente ai ragazzi,
quando non si trovano alla Biblioteca.”
“Su, aprilo, che cosa aspetti?!”
Jenkins voltò il capo verso sinistra e vide sulla porta, dall'altra
parte della stanza, Judson che lo osservava.
“Non sono un Bibliotecario, probabilmente è per
te.”
“Se riguarda me, riguarda anche te, non credi?
Controlliamo.”
I due uomini si avvicinarono al libro dei
ritagli, prima guardandosi e poi posando gli occhi sul volume.
Quando la Biblioteca era stata ripristinata,
anche Judson e Charlene
erano ritornati. Judson, quando erano presenti Flynn, Eve o i giovani, rimaneva
rigorosamente dentro a allo specchio, ma quando in giro c'erano solo Jenkins o Charlene, usciva da esso
e prendeva corpo.
Jenkins aprì il libro detto ritagli e guardò di cosa si trattasse;
si stupì nel trovare un piccolo articoletto che annunciava una conferenza in
una piccola città italiana.
“Questo proprio non lo capisco.” disse Jenkins “Avevo ragione io: è una faccenda per te.”
“Leggiamo!” esortò Judson
“Oggi pomeriggio, ore 16, presso i Musei
Civici, nuovo appuntamento dell'iniziativa Il té
della cultura. L'argomento di oggi sarà l'estetista Eliphas
Levi, di cui parlerà la dottoressa EnyaBragazzi, giovane reggiana che ha da poco conseguito la
laurea magistrale in Archeologia e civiltà del mondo antico presso l’università
di Bologna.”
“Un’archeologa che parla di esoterismo? Non vedo
un nesso tra le due cose.”
“Dev’essere
interessante.”
“Dev’essere un
errore. Anzi, un doppio errore: sbaglia il libro a mostrarci questo e sbaglia
il museo a chiamare i conferenzieri. Ecco, forse il libro vuole che impediamo a
questa ragazza di parlare.”
“Come mai sei così acido, Jenkins?
Vieni meno al tuo stile da gentleman.”
“Sono piuttosto nervoso, sì, da quando la mia
quiete è stata invasa e distrutta.”
“Non dire bugie, non a me, almeno. Ormai sono
sei mesi che i Bibliotecari sono con te, dovresti esserti abituato. Credo che
ti abbia turbato maggiormente ritrovarti viso a viso con Dulaque;
sbaglio forse?”
“L’avevo rincontrato, prima di affrontarlo a
Telaio del Fato … Volevo ignorarlo, farmi da parte e lasciarlo agire, per non
essere di nuovo coinvolto … ma Ezekiel mi ha fatto
cambiare idea, strano. Comunque, sì, il ritorno di Dulaque
… la visita di Morgana … Non è finita qui, ne sono certo. Si sta preparando
qualcosa di grosso; la magia è tornata nel mondo e già da sola ci sta dando
parecchio da fare, presto tutto il mondo e l’equilibrio saranno in pericolo! Ma
questo tu già lo sai.”
“Sì, ma è per questo che esiste la Biblioteca.”
“Io credevo di avere chiuso con l’eroismo! Scegliere,
agire, combattere, tutto è stato difficilissimo in passato ed è costato un
grande prezzo … Lo sai … tu sai quanto ho sofferto … quanto abbiamo sofferto …
la distruzione della prima Biblioteca! … Avevo deciso di dire basta, di
ritirarmi qua, nello studio … e ora tutto sta ricominciando.”
“Beh, dopo tutti questi secoli di inattività,
un po’ di azione ti farà bene. Galeas, lo sappiamo
entrambi che sei vivo perché il mondo ha ancora bisogno di te. Per questo tempo
sei rimasto quiescente, ci sono stati altri che hanno difeso il mondo ma, ora,
è necessario che ritorni all’azione anche tu.”
“Senza di te?”
“Non puoi liberarti di me, lo sai.” Judson disse scherzoso.
Jenkins sospirò, scosse il capo e poi chiese: “La Biblioteca mi vuole
di nuovo in azione e mi manda ad una conferenza?”
“Sa che sei arrugginito, ti farà partire per
gradi.”
“Va bene, andiamo a controllare … Considerando
il fuso orario, ormai la conferenza sta per iniziare. Vieni anche tu?”
“Non posso, sono morto!”
“Solo quando ti fa comodo!”
Judson rientrò nello specchio e Jenkins,
rassegnato e curioso, si sistemò rapidamente e, poi, aprì la porta, per
trovarsi all’istante in Italia, proprio a pochi metri dal museo.
L’uomo si avviò, richiamando alla memoria l’italiano
che conosceva e che non parlava da molto tempo: sarebbe stato più semplice conversare
in latino. Entrò nell’edificio, una signora gli consegnò un biglietto, senza
chiedergli soldi, poiché l’ingresso era gratuito; attraversò un salone con
teche allestite più di un secolo prima, in cui erano esposti scheletri e
reperti etruschi; passò in un'altra stanza: un lungo e largo corridoio lungo i
cui lati erano sistemate lapidi di epoca romana. In mezzo al corridoio erano
sistemati una decina di tavolini circolari, ognuno apparecchiato con tazze da tè,
cucchiaini e tovaglioli per tre persone; in fondo, invece, c’era una grande
cattedra.
Jenkins capì che la conferenza si sarebbe tenuta in quel luogo e,
dunque, si mise a sedere un po’ defilato e attese.
Poco dopo, Enya prese
posto alla cattedra ed iniziò a parlare con grande disinvoltura di Eliphas Levi, della sua scuola esoterica e della sua
concezione di magia come scienza esatta.
Jenkins l’ascolta e si stupì nel constatare che ella era davvero
molto ben preparata sull’argomento. L’uomo, tuttavia, soprattutto la osservava:
il suo aspetto e il suo modo di fare avevano qualcosa di molto famigliare.
Enya era bella, ma una bellezza di altri tempi, valorizzata dal
candore, la dignità, la dolcezza e non da un corpo sensuale. Aveva un fisico
che un pittore del Seicento avrebbe ritratto molto volentieri, robusto e
morbido. La carnagione era molto chiara, le labbra rosse naturalmente, gli
occhi verde scuro, profondi, fieri e benevoli. I capelli erano boccoli neri,
lunghi fino ad oltre metà schiena. Parlava con gran sicurezza, voce chiara e
limpida, il linguaggio assai forbito.
A metà della conferenza venne servito il tè con
biscotti al pubblico; Jenkins gustò tutto con piacere
e, da buon Inglese, apprezzò molto quell’iniziativa. Non si distrasse,
tuttavia, per un solo istante e più ascoltava ed osservava, più si convinceva
che il Libro dei Ritagli non aveva sbagliato ad inviarlo lì, sebbene
continuasse a sfuggirgli il motivo.
Conclusa la conferenza, Jenkins
decise di parlare direttamente con Enya; attese che
altri dei presenti finissero di rivolgerle domande o congratularsi, poi le si
avvicinò ed esordì: “Complimenti, un’esposizione davvero eccellente.”
“La ringrazio!” rispose la giovane, sorridente “Mi
fa piacere che anche uno straniero mi sia stato ad ascoltare.”
“L’argomento era molto interessante. Se permette
e se scuserà il parlare zoppicante, vorrei farle alcune domande.”
“Certamente, sediamoci pure, se preferisce. Non
si preoccupi per il parlare, le garantisco che, finora, accento a parte, parla
di gran lunga meglio di certi italiani doc. Allora, mi chieda pure.”
Jenkins apprezzò la cortesia, si rimise a sedere e iniziò: “So che
voi siete un’archeologa, come mai vi siete dedicata ad Eliphas
Levi? Sembra un po’ fuori dal suo ambito di studio.”
“Eh, in Italia non esistono ancora cattedre di
esoterismo, per cui è necessario studiarlo per proprio conto. Ho letto il
corpus hermeticum, Marsilio Ficino,
Giordano Bruno, per citare solo i più famosi. Sono passata ad archeologia nella
laurea specialistica, i primi tre anni di università ho studiato principalmente
religioni, filosofie e letterature antiche ed orientali. La mia formazione
principale è più o meno questa, poi ci sarebbe molto altro da dire. Lei è un
professore?”
“Ricercatore, per una Biblioteca. Come mai ha
scelto proprio Eliphas Levi? Credevo che fosse stato definitivamente
dimenticato attorno agli anni venti del Novecento. Sicuramente è molto più noto
AlesterCrowley.”
“Famoso non significa migliore. Nel Novecento
ha iniziato ad esserci troppa confusione tra Teosofia, neopaganesimo, sette
sataniche, movimenti wiccan e così via. Penso che
Levi rappresenti un’ottima sintesi del pensiero esoterico europeo, inoltre le
sue opere sembrano manuali scolastici: sono molto chiari ed esaustivi.”
“Lo so, manuali di magia. Qualcuno ha mai
provato a seguire le sue istruzioni, per vedere se funziona?”
“La magia è molto diversa da come la si crede. Incantesimi,
rituali … sono per dilettanti, il vero potere non ha bisogno di queste cose.”
“Lei come lo sa?”
“Lo spiega Eliphas:
immaginazione, fede e volontà, queste sono le tre componenti necessarie per
fare magia, il resto sono palliativi stimolarle in chi non ce le ha.”
“Sembra molto sicura di quel che dice.”
“Sono sicura circa quale sia il pensiero di
Levi.”
“Non ha mai avuto la curiosità di provare?”
“Eliphas Levi stesso
si raccomanda di non tentare alcuna operazione magica, se non si è
assolutamente liberi da ogni debolezza e passione, pena l’essere ingannati e
cadere vittime della follia. Non sono abbastanza presuntuosa per correre un
simile pericolo. Piuttosto, lei, perché è tanto incuriosito da questo?”
“Sto indagando sulla percezione che la gente ha
oggigiorno della magia: quali categorie di persone sono più o meno soggetti a
crederci, quali sono i motivi del credere o non credere; studiare soprattutto
chi la pratica per vedere che cosa realmente faccia.”
“Uno studio antropologico, dunque,
interessante. A che punto è?”
“Non molto avanzato, purtroppo.”
Jenkins non sapeva più cosa inventare per proseguire la
conversazione per ottenere informazioni sulla giovane; inoltre, non sapendo
ancora se fosse una minaccia o qualcuno da proteggere, non poteva certo
scoprire le proprie carte.
Gli venne in mente un’ultima domanda da parole:
“Mi scusi, le sarò sembrato un po’ invadente.”
“Non si preoccupi, non è affatto un disturbo.”
“Sarà abituata, immagino, a fanatici che
cercano di sapere da lei se la magia esista oppure no.”
“A dire il vero, no. È la prima volta che parlo
in pubblico di questi argomenti, solitamente, discuto su internet e senza usare
il mio nome.”
“Ah … e nel web ha contestatori … o sostenitori?
Si è fatta amici o nemici?”
“Amici no di certo: gli studiosi obbiettivi
sono rarissimi, mentre i praticanti aderiscono ad una corrente o all’altra e
diventano peggio degli integralisti: si aggrappano alle loro convinzioni e
guerreggiano tra congreghe diverse. Per un sociologo o uno psicologo potrebbe
risultare molto interessante leggere certi dibattiti sui forum. Io mi limito a
leggere, senza più commentare, dopo una diatriba che ho avuto, qualche mese fa,
con dei seguaci di Papus.”
“Papus?”
“Un discepolo di Levi che ha fondato una propria
scuola, gli attuali membri ce l’hanno con me perché a loro avviso sto male
interpretando Eliphas e cose del genere … oltre al
fatto che ho osato chiedere loro se avessero ancora il prognometro
di Wronski.”
“Interessante …”
“Ora, mi scusi, ma per me è tardi e devo
andare. Buona serata.”
“Oh, buona serata anche a lei!”
Jenkins si risentì che la conversazione dovesse interrompersi
proprio in quel momento in cui lui stava riuscendo ad ottenere informazioni,
per cui aggiunse: “Terrà altre conferenze?”
“Non ne ho in programma, per il momento: sto
per iniziare una campagna di scavo.”
“Le auguro buona fortuna, di cosa si tratta?”
“Un particolare insediamento etrusco-romano di queste parti.”
“Bene, allora la saluto e auguri per tutto.”
“Grazie anche a lei!”
Jenkins guardò un’ultima volta quel sorriso, poi si affrettò a
raggiungere la porta che lo avrebbe ricondotto alla Biblioteca.
“Allora, com’è andata? Cos’hai scoperto?”
chiese subito Judson, dallo specchio, appena vide
rientrare l’amico.
“Non lo so. Ho alcuni spunti su cui lavorare,
mi metterò subito a fare ricerca.”
“La ragazza com’è?”
“Particolare, ha un modo d’essere e di fare che
non sembrano di questo mondo o di quest’epoca. Probabilmente, però, mi sembra
solamente strano trovare un po’ di buone maniere, educazione e raffinatezza.”
“Indagherai su di lei?”
“Cercherò informazioni, questo sì, ma al
momento mi concentrerò maggiormente sui seguaci di Papus
e il prognometro di Wronski.”
“Il prognometro? Il Bibliotecario,
che incaricammo di recuperarlo, disse che andò distrutto.”
“Lo scopriremo, lo scopriremo presto. Comunque,
quella Enya sa troppo sulla magia, per non
praticarla.”
“Allora deve essere tenuta d’occhio.”
“Vedremo …”
Nota dell’Autrice
Ciao a
tutti!!! ^-^
Ho
appena scoperto questa sezione, ho deciso di provare a scrivere qualcosa su
questa bellissima serie che adoro e che ho atteso per anni!
Intanto
ho preparato il primo capitolo, se mi direte che ne vale la pena, continuerò.
Intanto
un saluto e un grazie per aver letto fino in fondo! J
“Credevo
fossimo in missione diplomatica.” disse Eve, con tono
alquanto seccato.
“Infatti,
lo siamo.” le rispose Flynn, guardandosi attorno per
studiare la situazione.
“Allora
perché siamo circondati da esseri che ci vogliono uccidere, anziché essere
seduti attorno ad un tavolo?”
“Sbaglio
o sei un ex colonnello?! Tu dovresti essere a tuo agio in uno scontro, non io!”
Eve scoccò un’occhiataccia all’uomo
e poi gli disse: “Va bene, hai ragione, meglio non discutere, mentre si è sotto
attacco. Dimmi solo come si neutralizzano questi cosi!”
“Sì,
dammi un attimo.”
“Non
lo abbiamo!” replicò la donna, sparando qualche colpo.
Flynn e il suo
Guardiano si trovavano in una strana vallata stretta tra i coni di vulcani
inattivi nella penisola di Leizhou, in Cina. Il luogo
era particolare, non solo perché una fitta coltre di fumo lo ricopriva e il
terreno pareva di rubino, ma soprattutto per il grande cancello serrato davanti
ad una grotta. Massiccio, imponente e tutto di diamanti, era il Long Men, il cancello dei draghi.
Flynn, ritenendo
inaffidabile il signor Drake, aveva deciso di andare a parlamentare
personalmente col Drago Volante, doveva dunque recarsi presso la residenza dei
Draghi Orientali che si trovava proprio quel massiccio di vulcani. Flynn ed Eve avevano viaggiato a
lungo per raggiungere quel luogo: non avevano potuto usare la porta di Jenkins poiché sarebbe stato molto irrispettoso nei confronti
dei Draghi che avrebbero reagito molto male, se qualcuno avesse fatto irruzione
nel loro regno. Il Bibliotecario aveva dovuto viaggiare in segreto, per evitare
che Dulaque o qualcun altro tentasse di sabotare la
sua missione, questo gli aveva fatto perdere molto tempo, oltre ai giorni che
aveva passato sul confine di quelle terre, in attesa del permesso di recarsi al
cospetto del Drago Volante.
Flynn ed Eve avevano atteso alcuni giorni, prima di ottenere il
permesso, e ne avevano approfittato per passare un poco di tempo assieme come
una coppia normale, senza mostri da dover affrontare. Ora, erano tornati alla
loro normalità: a metà della valla che si apriva davanti al cancello Long Men, erano stati circondati da esseri incredibili: orribili
cavalli rettili, coi musi larghi e i denti acuminati, criniera aguzza, grandi
corna, code serpentesche o di pesce, circondati da fiamme.
Questi
esseri li avevano subito aggrediti.
“Qilin. Sono sorte di chimere della mitologia cinese e
giapponese …”
“Questo
non mi è utile, Flynn.”
“Ci
sono varie sottospecie … Jin, Ming, Qing …”
“Non
mi interessa il loro albero genealogico, voglio sapere come si uccidono!”
“Ci
sto pensando, ci sto pensando!” protestò freneticamente il Bibliotecario.
“Allora,
sono della famiglia dei draghi, ma teoricamente dovrebbero essere innocui, sono
simbolo di buon auspicio, è strano che ci attacchino.”
“Beh,
porteranno fortuna a qualcun altro, a noi no di certo.”
“Ci
sono, ci sono! Metti via la pistola.”
“Cosa?!”
“Non
serve. Con le mani fa tipo il segno delle corna, però col pollice aperto; urla
più forte che puoi e tieni la lingua fuori.”
“Oh,
come ad un concerto metal, d’accordo.”
Flynn e Eve erano schiena contro schiena, entrambi sollevarono le
braccia e mostrarono bene le mani nel gesto delle corna e gridando a
squarciagola, quasi ruggendo.
I
qilin si arrestarono, si scambiarono qualche
occhiata, poi voltarono le spalle ai due umani e fuggirono.
“Wow,
non credevo avrebbe funzionato.” commentò Flynn, una
volta certo di essere al sicuro.
“Cosa?!”
“Era
un esorcismo della tradizione buddista, non ero sicuro funzionasse, di solito
si usa solo con demoni ma … per fortuna ha cacciato anche i qilin.”
“Mi
spieghi, adesso, per quale motivo abbiamo dovuto attendere l’autorizzazione di
recarci nel regno dei Draghi, se poi siamo stati attaccati?”
“Beh,
ecco, i draghi ci hanno garantito sicurezza nel loro regno e noi dobbiamo
ancora entrarvi. In questa zona, la protezione non è garantita.”
“Mi
stai prendendo in giro?”
“No,
purtroppo: i draghi non possono dire bugie, quindi sono diventati degli
abilissimi sofisti. C’è da ringraziare il cielo che non possano laurearsi in
legge e fare gli avvocati.”
“Perché
i qilqualcosa ci hanno attaccati?”
“Non
ne ho idea, te l’ho detto: dovrebbero essere benevoli.”
“Già,
c’è sempre quel condizionale che ci frega.”
“Sbrighiamoci
a raggiungere il Long Men, prima che ritornino o
arrivi qualcos’altro.”
Il
Bibliotecario e il Guardiano si affrettarono per arrivare al cancello: era
chiuso e non vi era nessuno.
“Drago
Volante!” iniziò a gridare Flynn, guardandosi attorno
“Sono il Bibliotecario!”
“Perché
si fa chiamare ‘Drago Volante’? Tutti i draghi volano.” commentò Eve a voce bassa.
“Non
tutti, quelli orientali raramente.” le spiegò Flynn,
prima di riprendere a chiamare a gran voce.
Pochi
istanti dopo, il cancello iniziò ad aprirsi e come dal nulla apparve un draghetto, alto appena tre metri e lungo una decina, tutto
di colore giallo, tranne la criniera e i baffi verdi.
“Il
Drago Volante la sta aspettando, Bibliotecario, mi segua.”
Flynn annuì e
ringraziò, poi assieme ad Eve seguì il drago che li
guidò attraverso un grande tunnel buio che scendeva in profondità. Camminarono per
almeno dieci minuti, prima di vedere una luce ed entrare, in fine, in una
immensa caverna che si estendeva per almeno cinque chilometri ed era alta un
paio; lungo le pareti c’erano altre gallerie che portavano ad altre caverne; il
tunnel era buio, lì invece c’era una strana luce endogena.
Flynn notò subito che
al centro di essa vi era una grande colonna, attorno alla quale era ritorto,
maestosamente, il Drago Volante, il re dei draghi orientali, dai colori
argentei e gli occhi che parevano fulmini.
Il
drago giallo condusse i due umani fino al cospetto del Drago Volante e subito Flynn lo salutò ed omaggiò con tutte le formalità e
convenienze necessarie. Quando stava, finalmente, per approcciare l’argomento
per cui aveva richiesto udienza, il Bibliotecario notò qualcuno, un uomo finora
rimasto nascosto, affiancarsi al Drago Volante.
Flynn lo guardò e
dovette reprimere un moto di rabbia e, a denti stretti, domandò: “Dulaque … che cosa ci fai, qui? Avevo richiesto un incontro
privato con Sua Magnificenza.”
“Oh,
sì, lo so bene.” replicò l’altro “Sua Magnificenza ha però richiesto … non oso
dire ‘il mio consiglio’ perché certo non ne ha
bisogno … il mio parere, ecco. Sua Magnificenza ha voluto conoscere il mio
parere, tutto qua.”
Flynn si rivolse al
Drago Volante: “Con tutto il rispetto, io non credo che …”
“Taci,
Bibliotecario!” lo interruppe il Drago Volante “Il figlio di Ban ha maggior credito di te agli occhi di ogni essere
legato alla magia. Non sei Judson, non hai la sua
autorità; non puoi osare criticare le mie scelte. Ho avuto modo di riflettere e
ho deciso che non ti ascolterò, oggi. I Bibliotecari dovrebbero essere
imparziali, mantenere l’equilibrio, invece sono convinto che essi privilegino
sempre gli umani e facciano di tutto per limitare il più possibile la magia.”
“Dite
pure eliminare.” precisò Dulaque e, ghignando, guardò
Flynn beffardamente.
“Non
è vero.” protestò il Bibliotecario “Noi tuteliamo ambo le parti.”
“Menzogne!”
ringhiò il Drago Volante “Gli umani dominano il pianeta e lo sviliscono e
distruggono, sono stupidi, malvagi e indegni della libertà e del potere che
possiedono. Si credono grandi, quando sono invece le più misere delle creature.
Perché creature migliori e più potenti di loro dovrebbero rimanere relegate
nell’ombra, obliate, mentre essi si abbandonano ai loro impulsi insensati e
goderecci?”
“Oh,
andiamo, che cosa ve ne fate della Terra?” protestò Flynn
“Avete Avalon, Tule, Fu Sang, Peng Lai e un’altra
infinità di paradisiache lande extradimensionali, che cosa ve ne fate, chesso, di New York? Ci siete mai stato a New York? È un
vero incubo! Traffico a non finire, sparatorie!”
“Questo
dimostra solo l’inettitudine del genere umano.” si intromise Dulaque
“Che
cosa vorreste fare, dunque? Dichiarare guerra all’umanità? Ti ricordo che i
draghi venivano uccisi dai cavalieri e che negli ultimi secoli le tecnologie
militari sono molto avanzate.” Flynn stava bluffando:
una guerra coi draghi sarebbe stata distruttiva.
Il
Drago Volante riprese a parlare con grande solennità: “Il luoghi che tu hai
citato sono isole felici, è vero, ma non possono bastare. Quando la magia è
scomparsa dal mondo, queste isole extradimensionali sono diventate rifugi per
le creature fatate e sovrannaturali che non avrebbero potuto sopravvivere in
questo mondo, senza magia, ma ora che essa è tornata, è giusto che queste
creature facciano ritorno sulla Terra e abbiano i loro spazi, i loro diritti e
il loro potere.”
“Non
credo che questa sia la sede per discutere di una simile faccenda.” replicò Flynn, vedendosela parecchio brutta “È un argomento che non
riguarda solo i Draghi e la Biblioteca, ma tutti gli esseri. Io credevo che
tutto si fosse chiarito, durante l’ultimo Conclave …”
“Oh,
andiamo, quello non è stato un Conclave, è stato una pagliacciata!” lo
interruppe Dulaque.
“Vogliamo
ricordare organizzata da chi?” lo ammonì Flynn, per
poi tornare a rivolgersi al drago: “Credo che la cosa migliore da fare sia
quella di avvisare tutti coloro che siano toccati da questa faccenda, lasciare
un mese o due di tempo affinché ciascuno abbia le idee chiare e indire un
Conclave vero e proprio in cui affrontare la questione. Siete d’accordo? Non
possiamo noi, ora, qui, decidere per tutti gli altri.”
Il
Drago Volante annuì e disse: “E sia! Tra due mesi, a partire da oggi, inizierà
il Conclave. Sono proprio curioso di scoprire come farai ad avere la meglio,
quando metteremo la faccenda ai voti. Il nostro colloquio è finito, avete mezzora
di tempo per uscire indenni da qui.”
“Vi
ringraziamo per la vostra generosità.” concluse Flynn
e, velocemente, assieme ad Eve guadagnò l’uscita.
“Mi
pare di capire che la faccenda sia molto grave.” disse la donna, mentre
percorrevano il lungo tunnel.
“Sì.
Bisognerà convincere un bel po’ di creature che stanno meglio nascosti in mondi
extradimensionali e, dunque, artificiali, piuttosto che qui, sulla Terra.”
“Non
capisco perché non si accontentino dei loro mondi, insomma, che cosa non va
bene lì?”
“Non
sono veri o, per essere più precisi, sono bolle dimensionali che hanno un vago
legame col nostro mondo. È un po’ come vivere su una base petrolifera o
qualcosa del genere: nonostante ci possano esser comfort, non è come la terra
ferma, Stone te lo confermerà. Sono luoghi piccoli, limitati e, in ogni caso, i
loro abitanti si sentono come reclusi o condannati alla clandestinità o all’esilio.”
“Capisco,
sarà difficile, dunque.”
“Già,
il loro ritorno sulla Terra e la loro libera circolazione sarebbe un problema …”
… per gli umani …. aggiunse,
poi, Flynn nella propria mente.
Sì,
su una cosa il Drago Volante e Dulaque avevano
ragione: la Biblioteca difendeva innanzitutto gli esseri umani e metteva in secondo
piano tutti gli altri esseri.
Per
la prima volta Flynn fu consapevole di ciò e non poté
fare a meno di rattristarsi.
Poi
scosse il capo e pensò, anche, a come sarebbe stato caotico un mondo in preda
alla magia e a tutti i conflitti e diatribe che sarebbero sorte tra le varie
creature se fossero convissute tutte assieme.
Sarebbe
stato il caos, come in passato. Se la magia era stata tolta dal mondo, una
buona ragione c’era … Ma se questa buona ragione era semplicemente la paura e l’incapacità
di andare d’accordo?
Flynn non aveva mai
riflettuto su questa questione, ma ora avrebbe dovuto pensarci attentamente!
Presto
ci sarebbe stato un Conclave, il più importante da mille anni a quella parte,
lui doveva ben studiare la situazione e fare la cosa giusta.
Giusta
… ma per chi? Gli uomini? Tutti i viventi? Il mondo?
Quando,
tramite Lamia, aveva tentato di impossessarsi della Biblioteca e aveva
recuperato la corona di Re Artù ed Excalibur, Dulaque aveva ordinato ai suoi
seguaci di arraffare il maggior numero di manufatti possibili, prima di
fuggire. In questo modo, circa una trentina di artefatti dotati di poteri più o
meno pericolosi erano tornati in circolazione sulla Terra.
Dopo
che Flynn era riuscito a riportare indietro laBiblioteca, era stato possibile verificare quali oggetti erano stati trafugati
e dunque Jenkins aveva subito fatto un elenco di tali manufatti, elencandone
anche le qualità, per poterli più facilmente individuare e riportare indietro.
Dopo
un paio di giorni che il Libro dei Ritagli non si agitava, Jacob aveva deciso
di scegliersi da solo una missione e, scorrendo la lista dei manufatti, aveva
deciso di recuperare una statuetta della dea Bastet.
Pietra
nera, trentatre centimetri d’altezza, nove di lunghezza, posta su un
piedistallo laminato in oro, XI dinastia. All’apparenza una statuetta come
molte altre dell’Antico Egitto, importante per il valore storico, non
particolare pregevole per la qualità artistica.
Non
era però una statua come le altre.
Secondo
quanto riferivano i registri della Biblioteca, in quella statua era realmente
imprigionata la dea Bastet, la quale possedeva le donne che entravano in
contatto con la scultura. Poteva possedere una sola persona per volta e la
possessione poteva avvenire solo al momento del contatto tra la donna e la
scultura; la dea poteva scegliere di abbandonare un corpo a favore di un altro
a seconda del proprio piacere. In linea di massima cercava di entrare in corpi
di donne importanti e vicine al potere, poi ne aumentava il fascino, la
bellezza, il carisma e in questo modo guadagnava potere, autorità e dominio
sugli uomini e le terre. Si raccontava che quella statuetta fosse stata in
possesso di Cleopatra, un’altra fonte riferiva di una donna caucasica che era
riuscita a diventare regina e a far uccidere o sfigurare la maggior parte delle
donne del suo regno.
Altro
aspetto pericoloso della faccenda era che Bastet, se provocata, poteva lasciare
spazio alla sua altra personalità: la dea Sekmeth, feroce, sanguinaria e
distruttiva.
Jacob
ritenne che quella statuetta fosse uno degli artefatti più pericolosi e che
andasse recuperato il prima possibile, inoltre credeva che fosse un oggetto
facile da rintracciare per lui.
Confidando
che, trattandosi di un oggetto senziente, Dulaque non l’avesse tenuta per sé,
ma avesse messo la statua sul mercato dell’arte, Stone aveva iniziato a
cercarla tra gli antiquari e i commercianti d’arte, sia quelli legali che
quelli che trattavano merce rubata.
Dopo
una ricerca impegnativa, Jacob aveva scoperto l’attuale proprietaria della
statua: Irina Borisova, ereditiera russa di un importante marchio che operava
in moltissimi settori, dunque un’imprenditrice.
Stone
aveva presto elaborato un piano d’azione. La sua famiglia aveva un’impresa
petrolifera piuttosto famosa ed importante, per cui non gli fu difficile
organizzare un viaggio d’affari in Russia. Jacob Stone, ufficialmente, era in
cerca di nuovi partner commerciali per conto dell’impresa di famiglia e questo
destò l’attenzione di moltissime industrie russe che iniziarono, per così dire,
a corteggiarlo, in cerca di un buon contratto.
Stone
non stava semplicemente interpretando un ruolo, ma era davvero lì anche per gli
interessi della sua azienda, per cui nessuno poteva sospettare la missione
secondaria che lo aveva portato in Russia.
Jacob
non ebbe neppure bisogno di trovare un pretesto per incontrare Irina, poiché fu
ella stessa a contattarlo e ad invitarlo nella sua villa per una cena d’affari.
Stone era certo che l’incontro di lavoro in un ambiente informale mirasse al
voler sedurlo per estorcergli un contratto assai favorevole per la donna e
svantaggioso per lui. Il giovane, tuttavia, non temeva quella strategia era
sicuro di una cosa: gli piacevano le belle donne, ma non si lasciava
abbindolare da nessuna.
Jacob
si presentò alla cena con l’abito migliore che possedeva, di fattura italiana;
si era raso le guance e le aveva poi bagnate con un pregiato dopobarba
francese. Curò parecchio il proprio aspetto per apparire proprio come un grande
imprenditore con cui è bene entrare in affari.
Stone
venne accolto con grandi onori e premure; un domestico prese il suo cappotto,
un altro lo fece accomodare in un salotto dove gli venne servito un aperitivo a
base di caviale. Mentre l’uomo sorseggiava un prosecco, sopraggiunse la
bellissima Irina, avvolta in un abito rosso che, purgiocando sull’effetto vedo-non vedo, le
fasciava il corpo in maniera molto sensuale, mettendo in evidenze le sue curve
e la sua vita sottile. Aveva lisci capelli biondo chiaro con frangia e
caschetto scalato, sensuale e deciso al medesimo tempo; gli occhi erano
smeraldi e il loro verde, assieme al rosso delle labbra carnose, risaltava
sulla setosa pelle d’alabastro. Emanava un profumo di lavanda.
Stone
rimase molto colpito dalla bellezza e dalla sensualità di quella donna, ma non
perse la testa: era abituato alla compagnia di giovani estremamente attraenti e
provocanti.
Irina
si presentò, fece qualche domanda di circostanza circa se il giovane stesse
trascorrendo un buon soggiorno e così via, poi passò a parlare del proprio
impero commerciale.
Dopo
l’aperitivo, si spostarono nella sala da pranzo, dove cenarono e discussero di
lavoro e vita. Continuarono la loro chiacchierata in un salotto. Stonenon si mostrava molto incline a fare
concessioni nel contratto, dunque Irina si comportava in maniera via più seducente.
L’uomo mostrava di iniziare ad ammorbidirsi, senza arrivare a cedere. La donna
insisteva con la propria tattica, convinta che la sua avvenenza fosse l’unico
modo per ottenere benefici nel contratto.
La
contrattazione durò così a lungo che i due giovani finirono a letto assieme,
dove godettero della reciproca compagnia fino ad addormentarsi. Per dire la
verità fu solo Irina a cedere al sonno, mentre Stone finse di dormire, finché
non ebbe la certezza di potersi muovere liberamente. Appena entrato nella
camera da letto, aveva notato la statua di Bastet, posta sul comò. Si stupì che
la donna, o dea che fosse, non avesse deciso di nasconderla ma, d’altra parte
ella non aveva motivo di sospettare alcun ché. Si avvicinò alla statua e la
osservò: non poteva limitarsi a portarla via, poiché lo spirito di Bastet
sarebbe rimasto dentro ad Irina, doveva trovare la maniera di disattivare la
possessione. Negli archivi della Biblioteca non aveva trovato nulla al
riguardo, se non un riferimento al fatto che la statua stessa spiegasse come
bisognava agire.
Jacob
osservò i geroglifici incisi lungo i lati del piedistallo; si accorse che erano
versi poetici ma di nessuna opera nota, recitavano: Gli uomini stolti,/ dal sapere tolti; savi non sono/ di giustizia il dono/
non hanno ricevuto,/ quindi il mondo è caduto/ nella totale rovina/ per una
razza ferina/ che ha di umana/ la pretesa vana./ Stirpe malvagia e crudele/
sogna latte e miele/ avrà sangue e malattia/della giustizia divina in balia./
L’anarchia sarà punita/ con la morte retribuita./ Per punire l’umanità/ il
grande Ra invierà /e poi richiamerà …
Il
testo si interrompeva a quel punto, Stone non riusciva a capire il perché; era
certo che ci fosse altro testo su quella statua, eppure aveva già tradotto
tutti i lati. Ebbe un’idea, sollevò la statua per esaminare il fondo del
piedistallo e scoprì che c’erano altri geroglifici, essi erano messi in maniera
disordinata e non avevano senso. L’uomo capì che avrebbe dovuto premere i
geroglifici corrispondenti alla parola mancante.Lui conosceva il mito egizio e quindi sapeva che la risposta era occhio: Ra si era tolto un occhio e lo
aveva fatto diventare Sekmeth per divorare gli umani empi e crudeli. La dea
aveva fatto il proprio dovere fin troppo bene e non la smetteva di sterminare
gli esseri umani, dunque era stata fatta ubriacare e in seguito, ammansita, era
diventata Bastet.
Ra,
dunque, aveva inviato il proprio occhio, tuttavia tra i geroglifici sul fondo
del piedistallo non c’erano quelli necessari per comporre la parola occhio.
Jacob
si trovò in difficoltà e rifletté un poco per capire quale potesse essere la
risposta. Osservava i geroglifici impaziente e dopo alcuni minuti ebbe
l’illuminazione e premette i simboli per comporre la parola: ureo!
Si
era ricordato solo in quel momento che Ra, mentre Sekmeth imperversava sulla
terra, si era fabbricato un nuovo occhio che, tuttavia, non aveva voluto
restituire il posto a Bastet che, allora, era diventata il serpente ureo posto
attorno alla fronte del dio Ra e divenuto poi simbolo di regalità.
Sì,
Jacob era certo di aver dato la risposta corretta. Come fare, però, ad essere
certo che la possessione fosse finita? In fondo quell’enigma non sembrava avere
a che fare con quella faccenda, a meno che non andasse interpretato come una
metafora del richiamo di Ra.
Stone
si avvicinò al letto ed osservò Irina e la vide piuttosto diversa da quella che
era pochi istanti prima: era comunque una bella donna, ma non la bomba sexy che
aveva conosciuto; la pelle del viso era solcata da qualche ruga, le labbra
erano più sottili e il corpo non era a clessidra, aveva i fianchi pronunciati e
il seno meno prosperoso e sodo, inoltre non profumava più di lavanda.
Jacob
si ritenne soddisfatto e reputò che la possessione fosse finita.
Il
giovane, allora, prese la statua, si diresse verso una porta e si concentrò per
far sì che si aprisse dentro alla Biblioteca. Per fortuna l’apertura del varco
funzionò, nonostante Stone non avesse ancora ben chiaro il meccanismo con cui
funzionasse quell’uscio; tuttavia, aveva visto più di una volta Flynn
raggiungere la Biblioteca, senza che Jenkins avesse impostato il sistema.
Stone
aprì una porta a caso e si ritrovò nell’interfaccia della Biblioteca; sollevò
con orgoglio la statua e disse: “Jenkins, ho riportato Bastet! Dove la metto?”
L’uomo,
che stava sfogliando alcuni fogli, rispose distrattamente: “Di là. Troverai una
copia della statua sostituiscila e porta il falso dove hai trovato
l’originale.”
“Perché
lo scambio?”
“Non
vorrà essere accusato di furto, spero.”
“No,
hai ragione.”
Jacob
andò nel salone principale della Biblioteca ed effettuò lo scambio; tornando
nell’interfaccia, si fermò al tavolo e domandò: “Irina si ricorderà di quello
che è successo questa sera, oppure è meglio ch’io non mi faccia trovare a casa
sua?”
“Non
si preoccupi, la donna ricorderà tutto e sarà convinta di avere agito di
propria volontà. Piuttosto, come hai fatto a non rimanere ammaliato da Bastet?
È molto raro che un uomo riesca a resisterle, ci vuole un cuore puro.”
“Oppure
semplice allenamento: sono un rampollo di un’azienda petrolifera, sono stato da
sempre corteggiato da donne bellissime, ma interessate solo ai miei soldi. Mi
sono abituato ad illuderle, senza rimbecillire.”
“Per
un attimo ho creduto che fossi un nobile di animo. Su, torna in Russia e goditi
gli ultimi giorni di vacanza.”
“Giusto,
non posso sparire all’improvviso, dovrò davvero firmare un qualche contratto,
prima di tornare. Penso che per una settimana non potrò fare ritorno alla
Biblioteca.”
“Non
si preoccupi, il Libro dei Ritagli è tranquillo e io sto facendo delle
ricerche.”
“Su
cosa?”
Jacob
prese alcuni fogli e iniziò a guardarli rapidamente: “Papus … sette …
prognometro … esoterismo … Oh! Enya Bragazzi! Questa la conosco.”
“Davvero?!”
si meravigliò Jenkins.
“Non
di persona, ma abbiamo spesso parlato in forum e per mail negli ultimi anni. Ci
siamo conosciuti in una discussione sull’origine e l’evoluzione delle fiammelle
nell’iconografia antica e cristiana e, da lì, abbiamo iniziato a tenerci molto
il contatto. Lei è un’archeologa e non se la cava male per quel che riguarda la
storia dell’arte, ma i suoi settori sono più che altro la letteratura, le
religioni e le filosofie antiche. Pensa che conosce il greco antico, il latino,
sanscrito, gaelico, ebraico, etrusco, fenicio, egizio, avestico … e dovrebbe
avere alcune basi anche di azteco.”
“Una
candidata ideale per la Biblioteca, mi chiedo perché non sia stata convocata.”
“Beh,
quando c’è stata l’ultima convocazione, lei aveva appena 14 anni, è più giovane
di Ezekiel. Inoltre, chissà, magari alla Biblioteca non piacciono le sue
frequentazioni.”
“Quali
frequentazioni?” si interessò Jenkins che, dopo quelle informazioni, si era
convinto maggiormente che il Libro dei Ritagli non avesse sbagliato a fargli
notare quella giovane, nonostante ancora non capisse il perché.
“Massoneria.
Fin dal primo anno di Università l’ha notata e presa sotto la propria ala un
professore che è anche ai massimi vertici della massoneria italiana. Non mi
risulta, però, che lei abbia avuto qualche agevolazione per questo. Ah, poi è
amica anche di alcuni templari moderni.”
“Cosa
intendi, esattamente, con templari
moderni? Ce ne sono fin troppi tipi, ultimamente.”
“Da
quello che ho capito è una onlus che restaura chiese e combatte sette sataniche
o qualcosa del genere.”
“Beh,
hai un’amica molto particolare. Sai altro su di lei? Qualcosa sulla sua
famiglia?”
“Non
mi risulta nulla di particolare. Dovrebbe avere un fidanzato, anche se non ha
mai voluto parlarne chiaramente. Le nostre conversazioni erano prevalentemente
di studio e ricerca, non personali. Perché ti interessa? Perché stai indagando
su di lei?”
Jenkins
rifletté qualche istante e poi disse:“Non lo so. Il Libro dei Ritagli me l’ha fatta notare e io ho deciso di
raccogliere informazioni, ma ancora brancolo nel buio. Cerca di contattarla, se
puoi; inventati un motivo, cerca di capire a cosa sta lavorando attualmente.”
“D’accordo,
questo lo posso fare anche dalla Russia. Adesso vado, buon lavoro Jenkins.”
“Buon
lavoro, Stone.”
I
due uomini si separarono e ognuno continuò a svolgere il proprio compito.
Nota dell’Autrice:
Ciao, grazie a tutti per leggere e
seguire questa fanfic. ^__^
Chiedo scusa se ho un po’ esagerato con
la famiglia di Stone, ma in fondo nella serie ci sono poche informazioni al
riguardo e io le ho interpretate così.
Cassandra
era seduta su una panchina in un giardinetto davanti al dipartimento di
biologia dell’università di Prinston. Si era vestita
come una studentessa e si guardava attorno, cercando qualcuno. Erano quasi le
quattordici e trenta e studenti e professori stavano tornando in sede per le
lezioni che stavano per ricominciare. Tra di loro c’era anche il professor
David Thomson, esperto bioingegnere e biotecnologo,
da un paio d’anni convertito al veganesimo, di cui si
era fatto fervente sostenitore, prendendo parte a manifestazioni che poco si
addicevano al suo ruolo di insegnante.
Cassandra
lo riconobbe immediatamente, a duecento metri di distanza, quindi contattò
immediatamente Ezekiel, tramite una minuscola
ricetrasmittente che aveva con sé: “Ezekiel, a che
punto sei? Il professor Thomson sta per rientrare.”
Non
ci fu subito una risposta, si udirono alcuni versi, rumori come di bastonate,
poi si sentì finalmente la voce del giovane ladro: “Trattienilo! Ho avuto
qualche imprevisto, devo ancora arrivare alla cassaforte.”
“D’accordo,
quanto tempo ti serve?”
“Non
lo so, dipende da quante donnole assassine ci sono ancora in giro.”
“Va
bene, farò del mio meglio.”
Cassandra
si alzò in piedi e andò verso l’uomo, chiamando: “Professor Thomson,
professore! Buon pomeriggio, scusi il disturbo. Devo presentare un progetto di
dottorato e volevo chiederle consiglio circa come impostarlo …”
La
ragazza riuscì ad avere l’attenzione del professore e lo trattenne fuori
dall’edificio il più a lungo che poté.
Ezekiel, intanto, era alle
prese con la missione primaria: introdursi nell’ufficio del professor Thomson e rubargli la lira di Orfeo.
Qualche
giorno prima, il Libro dei Ritagli aveva riportato la strana e buffa notizia di
una donna aggredita e quasi sbranata da un branco di conigli nei pressi di Prinston. Ezekiel e Cassandra
erano partiti per indagare e, dopo alcune indagini e aver osservato
direttamente il comportamento nomalo di alcuni animali, la ragazza aveva
intuito che le bestiole fossero sotto un qualche influsso esterno. Altre
investigazioni l’avevano portata a ritenere che il controllo avvenisse tramite
un qualche artefatto e potenziato dall’impiego di alcuni strumenti tecnologici.
Erano così giunti a scoprire che il professor Thomson
era entrato in possesso della lira di Orfeo e che la stesse impiegando per
rendere gli animali aggressivi nei confronti degli umani, affinché potessero
difendersi e a questo scopo stava studiando altri progetti per potenziare le
naturali difese degli animali.
Se
il progetto del professore fosse andato in porto, avrebbe reso aggressivi e
pericolosi tutti gli animali. Thomson voleva ciò per
punire tutti gli uomini che ancora non avevano accettato di essere almeno
vegetariani. Dopo lo sterminio o conversione degli onnivori, il progetto del
professore era quello di convertire in erbivori tutte le creature.
Per
fortuna, tutta la faccenda era ancora in fase iniziale e sperimentale, per cui
era ancora possibile sventare tutto quanto.
Thomson teneva tutto il
materiale dei suoi esperimenti nel suo laboratorio e ufficio dell’università,
poiché viveva in un appartamento, di lusso, ma comunque in un condominio con
troppe persone intorno che avrebbero potuto creare problemi, mentre
all’università non avrebbe destato sospetti.
Una
volta scoperto tutto ciò, i due bibliotecari avevano elaborato il piano per
entrare in azione: Ezekiel si sarebbe introdotto nel
laboratorio e avrebbe rubato la lira d’Orfeo e distrutto qualsiasi documento
relativo al progetto; Cassandra si sarebbe limitata a guadagnare tempo.
Entrare
nel laboratorio e nell’ufficio non fu difficile, poiché le norme di sicurezza
di un’università non erano certo impegnative da aggirare per un ladro
professionista. Aprire le porte non fu un problema, Ezekiel
ebbe difficoltà quando si ritrovò viso a viso, anzi, viso a muso con un branco
di animali di varia specie, roditori, ovini, canidi, addestrati per proteggere
laboratorio e ufficio dagli estranei. Ezekiel, dopo
un iniziale momento di spavento e sorpresa, iniziò a difendersi dagli assalti
delle bestiole che tentavano di morderlo e graffiarlo. Il giovane appurò sulla
propria pelle che quei denti erano ancora più aguzzi e forti di quanto
avrebbero dovuto.
Ezekiel era riuscito ad
afferrare una sedia con cui difendersi, sarebbe stato più comodo con un manico
di scopa, ma doveva accontentarsi di quello che aveva a disposizione. Così, a
furia di colpi vibrati alla cieca, morsi subiti e corse, riuscì ad attraversare
il laboratorio e a raggiungere l’ufficio di Thomson;
una volta dentro, serrò bene l’uscio e lo barricò con un paio di sedie che
aveva trovato.
Il
giovane si guardò intorno per studiare l’ufficio e notò che c’erano animali
anche lì, sebbene tenuti in gabbia: evidentemente non avevano ancora subito il
processo di manipolazione.
Il
ladro cercò di capire dove potesse essere la lira ed individuò un mobiletto che
non sembrava affatto appartenere all’arredamento originario dell’ufficio,
sospettò che si trattasse di un mobile cassaforte; aprì lo sportello e,
infatti, vi trovò dentro una piccola cassaforte di ferro con triplo sistema di
chiusura: meccanico, elettronico e con una chiave. Nonostante si trattasse di
un sistema sofisticato, per Ezekiel fu un giochetto
aprirla. All’interno trovò la lira e fu alquanto deluso, poiché era in semplice
carapace di tartaruga, mentre lui si aspettava un materiale più prezioso,
almeno avorio!
Oltre
allo strumento musicale, nella cassaforte, si trova una chiavetta usb, un hard-disk e alcuni cd. Ezekiel,
poi, avviò il computer fisso dato in dotazione dall’università e anche il
portatile personale di Thomson e li infettò con un
potente virus che cancellò ogni documento e file presente rendendo
inutilizzabili i due strumenti e la stessa sorte sarebbe toccata a qualsiasi
apparecchio fosse connesso o avesse tentato di connettersi con essi. Mentre il
virus agiva, Ezekiel telefonò a Jenkins
per riferirgli il buon successo dell’operazione: “ … quindi qualsiasi tipo di
backup Thomson avesse fatto, cloud,
dropbox o altro, verrà tutto cancellato. Ho trovato
altro materiale che, probabilmente, contiene informazioni sul progetto, ancora
non l’ho distrutto, vuoi che lo porti in sede per analizzarlo? Cassandra ha
capito come funziona io, sinceramente, no. A te può interessare?”
“Sì,
penso possa meritare uno studio. Mi raccomando, non si scordi la lira.”
“Sì,
sì … certo che Orfeo, per essere il miglior musicista della storia, era proprio
un poveraccio! Avrà pur guadagnato dei soldi, non poteva usarli per comprarsi
una lira di lusso, anziché tenera questa in tartaruga?”
“Orfeo
era bravo, ma è la lira ad essere incantata, se l’avesse scambiata ci avrebbe
rimesso. La tradizione, inoltre, vuole che quella sia la prima lira costruita
nella storia e la fece il dio Hermes e per un certo periodo la utilizzò Apollo
che poi la regalò ad Orfeo.”
“Ho
capito. Quindi, al mercato nero, vale una fortuna.”
“La
porti, immediatamente, in Biblioteca.” Jenkins scandì
minacciosamente.
“Va
bene, va bene! Allora faccia in modo che la porta sul retro si apra qui,
sull’ufficio di Thomson, non ho intenzione di farmi
di nuovo masticare da quelle bestiacce.”
“I
suoi compagni hanno imparato ad aprire la porta secondo il loro bisogno, perché
lei no? Io mi sto preparando il tè!”
“Vorrà
dire che farò il corso d’aggiornamento, adesso sbrigati ed aprimi, altrimenti Thomson mi scoprirà: Cassandra non lo potrà trattenere in
eterno!”
Quando
ebbe la conferma che la porta era stata direzionata, Ezekiel
aprì l’uscioe fu contento di trovarsi
in Biblioteca e non di nuovo assediato da coniglie e pecore assetati di sangue.
Teneva in mano la lira, chiavetta, hard-disk e cd;
quest’ultime cose le appoggiò sbadatamente sul tavolone centrale, mentre portò
lo strumento nella Biblioteca principale. Mentre faceva ciò, si premurò di
informare Cassandra che era tutto andato secondo i piani e che, dunque, poteva
rientrare anche lei.
Dopo
pochi minuti, infatti, la giovane entrò a propria volta dalla porta sul retro,
salutò educatamente e poi chiese: “Ci siamo solo noi? Gli altri dove sono?
Dov’è Stone?”
“In
Russia.” rispose flemmatico Jenkins, sorseggiando il
proprio tè.
“Ancora?
Non ha risolto con la faccenda di Bastet?” si
preoccupò Cassandra “Potrei andare a dargli una mano.”
“Non
è necessario. Ha recuperato la statua, a proposito, non la toccare. Si sta
trattenendo ancora qualche giorno per non destare sospetti e mantenere
credibile la sua copertura.”
“Ceeeerto, la copertura!” sghignazzò Ezekiel
“Secondo me lo fa per le russe. Là ci sono delle donne bellissime e disposte a
tutto per avere la cittadinanza americana.”
“Credi
che tornerà con una moglie russa?” si preoccupò Cassandra, accigliandosi.
“No,
sta tranquilla.” le disse il ladro “Se ne approfitterà e basta là, per
divertirsi, ma resterà scapolo.”
Cassandra
non ritenne comunque consolante quell’informazione.
Intervenne,
allora, Jenkins: “Penso che dobbiate andare da Charlene a riferirle del buon esito dell’operazione e a
consegnarle le ricevute, così potrete essere rimborsati.”
“È
il minimo!” esclamò Ezekiel “Già ci trattiene dallo
stipendio il vitto e l’alloggio!”
“Beh,
prima uno stipendio non lo avevamo.” gli fece notare la ragazza.
“Ma
avevamo fondi illimitati! … Jenkins, preferisco
decisamente te come contabile!”
I
due giovani uscirono dalla sala, andando a cercare Charlene.
Jenkins li guardò uscire, sospirò e si rimise a
sorseggiare tè, molto pensieroso.
Non
passarono molti minuti che la porta sul retro si aprì nuovamente; questa volta
entrarono Flynn ed Eve,
entrambi con aria piuttosto trafelata e preoccupata.
“Che
succede?” domandò Jenkins, sorpreso di vederli “Non vi
aspettavo! Com’è andato il colloquio col Drago Volante?”
“Quante
possibilità c’erano che andasse bene?” chiese sarcasticamente il Bibliotecario.
“Il
carattere dei draghi è difficile, ma la sua preparazione è adeguata, per cui
direi un discreto numero di probabilità, quantificabile in un 70-72% di
possibilità di successo.”
“Bene
e a quanto scendono, se si aggiunge il fattore: presenza di Dulaque?”
“Oh!
… Capisco … Non ne è risultato nulla di buono.”
“Già.”
sospirò Flynn, per poi farsi coraggio “Nemmeno nulla
di cattivo, però, per fortuna. Almeno per il momento. Jenkins,
ora che la magia è tornata nel mondo, cosa pensi potrà emergere da un Conclave?
Un Conclave serio, intendo.”
Jenkins strabuzzò gli
occhi e poi scosse il capo, prima di dire: “Penso che la votazione democratica
porterà a grandi cambiamenti, a meno che lei non riesca ad avere dalla propria
parte Lisia, Demostene, Isocrate
e Cicerone. Tutti assieme, intendo. La scorsa volta è riuscito a persuaderli
sia perché non erano presenti tutti i membri, sia perché i rappresentanti non
si erano preparati. Inoltre, devono essere rimasi impressionati dal suo delirio
causato dal pomo della discordia. Questa volta sarà molto più difficile, glielo
assicuro.”
“Mi
aiuterai, vero?”
“Per
quanto riguarda la burocrazia, il protocollo, l’organizzazione e la salvaguardia
della Biblioteca, sarò a sua completa disposizione.” l’uomo si sforzò di
smorzare uno strano tono nella voce “Per altre faccende, invece, è meglio che
chieda consiglio a Judson.”
“Hai
ragione!” Flynn fece vagare lo sguardo da Jenkins ed Eve e poi disse: “Scusate,
potreste lasciarmi un attimo solo? Vorrei parlare con Judson
in privato.”
Gli
altri due lasciarono la stanza e il Bibliotecario si pose davanti allo
specchio.
“Che
cosa c’è, Flynn?” domandò Judson,
apparendo poco dopo.
“Hai
sentito tutto, vero?”
“È
naturale. Sinceramente, però, devi lasciarmi maggior tempo per riflettere e
ottenere qualche informazione sugli stati d’animo e le richieste dei membri del
Conclave.”
“Lo
so, lo so. Voglio sapere …”
“Se
è fattibile …?”
“No.
Voglio sapere qual è il nostro obbiettivo. Come posso studiare una strategia, se
non so cosa voglio?”
“Tu
lo sai qual è lo scopo della Biblioteca.”
“Sì,
ma, ora che la magia è tornata nel mondo, le cose non sono cambiate, almeno in
parte?”
“Flynn, quante volte hai salvato il mondo?”
“Ho
perso il conto!”
“Esatto!
È proprio questo il punto. Hai dovuto lottare a lungo e con estrema fatica e
correndo pericoli in un mondo senza magia brada, senza libera circolazione di
creature ed esseri sovrannaturali. Come pensi che potrebbe diventare se ora,
più che mai, non ci sforziamo di tenere tutto nascosto e segreto?”
“Hai
ragione: troppi rischi.”
“È
giusto che ci sia un luogo per la magia e un luogo per gli umani.”
“Aggiungerò
sulla liste di cose da fare il togliere di nuovo la magia nel mondo.”
“Oh,
beh, quello è stato un modo … possono essercene altri per raggiungere lo stesso
scopo.”
Flynn si stupì e
chiese: “Ad esempio?”
“Non
posso mica dirti tutto io, Flynn. Sei tu al comando,
ora, devi essere tu a studiare le varie opzioni e scegliere quella che ritieni
migliore. inoltre, non chiedere troppo spesso aiuto, sarebbe una delusione .... Parole tue, giusto?”
“Spero
solo di esserne all’altezza.”
“Perché non dovresti? Inoltre hai anche degli
aiutanti, adesso.”
“Hai
ragione, di nuovo.” ammise Flynn, rincuorato, per poi
accigliarsi nuovamente e domandare: “Perché Jenkins
ha detto che avrei fatto meglio a chiedere consiglio a te?”
“Lui
conosce bene la magia e gli effetti devastanti o benefici che può avere. Preferirebbe
una linea d’azione meno protezionista e vorrebbe che la magia potesse essere
alla portata dei meritevoli.”
“Posso
fidarmi, comunque?”
“Certo,
alla fine, agirà sempre per il bene collettivo.”
Il
Bibliotecario sorrise con gratitudine.
“Flynn! Sei impazzito?!” strillò Charlene,
irrompendo nella stanza ed interro pendola conversazione.
“Bentornato suonerebbe meglio.”
“Come
ti è saltato in mente di indire un conclave?”
“Preferivi
dei draghi svolazzanti su New York?”
“Sai
quanto ci costerà mandare gli inviti? Alloggiare i rappresentanti? Dare loro da
mangiare? E poi allestire una sala per le conferenze e tutti i preparativi
necessari?!”
“Charlene, hai presente quando un clan di draghi grandi,
grossi e sputa fuoco inizia a domandarsi perché diamine dovrebbe rimanersene
sottoterra, quando potrebbe volare liberamente, giocare e nutrirsi di piccoli e
deboli esseri umani? Con l’idea del Conclave ci siamo guadagnati circa un paio
di mesi per trovare una scusa convincente.”
Charlene alzò gli occhi
al cielo, voltò le spalle ed uscì dalla stanza, borbottando calcoli e
preventivi.
Erano
trascorsi alcuni giorno dal ritorno di Flynn e anche
Stone era rientrato. In Biblioteca erano tutti indaffarati per i preparativi
del Conclave. Erano nella semplice fase di scrivere le convocazioni da inviare,
tuttavia richiedeva comunque una grande attenzione e precisione.
“Non
capisco.” protestò Ezekiel, mentre ricopiava un
invito su una pergamena “Perché non possiamo scrivere un’unica email e inviarla a tutti i contatti? Si risparmierebbe
molto tempo!”
“Non
possiamo mandare email!” esclamò Flynn
che, invece, stava scrivendo una bozza di invito.
“Perché?
Non avete gli indirizzi? Beh, al Conclave ce li facciamo dare, così avremo una
bella mailinglist da poter usare in futuro, magari
per tenerli aggiornati sugli sviluppi delle decisioni prese, senza dover stare
a contattarli tutti uno per uno ogni volta.”
“Sarebbe
una buona idea, ma!” ribatté il Bibliotecario “Ma loro non hanno internet!”
“Che
sfiga!”
“Ci
sono molti modi per impiegare il proprio tempo, senza stare attaccati ad un
computer.” intervenne Jenkins.
“Non
è che rimanere attaccati a dei libri permetta una vita sociale migliore, anzi!”
insisteva Ezekiel “Su internet si socializza, si
conosce gente, oltre che a trovare informazioni. Coi libri non puoi conoscere
nessuno.”
“A
parte l’autore stesso e mille altri mondi.” Jenkins
parlò col suo tono indispettito “Internet è un non-luogo, la menzogna circola
libera, il vero e il falso si mescolano e non si riescono più a distinguere e
le persone fingono, si mascherano e, avendo la scusa di chattare, evitano i
rapporti diretti con gli altri.”
“Pirandello
si sarebbe divertito parecchio, scommetto.” commentò Flynn.
“Chi?!”
chiese illadro.
“Luigi
Pirandello! Un autore italiano, vincitore del nobel per la letteratura.”sottolineò
Jenkins con disappunto, poi alzò gli occhi al cielo “Non
mi stupisce che lei non lo conosca.”
“Ad
ogni modo” riprese Flynn “Mandare gli inviti
singolarmente è un segno di rispetto verso i nostri ospiti, inoltre vengono da
culture molto differenti tra di loro: non possiamo differenziarli solo coi nomi
personali e iloro titoli, ma il
registro e la forma devono essere adeguati alle loro tradizioni. Il rispetto è
alla base di ogni negoziazione; non possiamo mostrarci disattenti verso i
nostri ospiti, od arroganti, altrimenti le nostre parole non verranno mai prese
sul serio.”
“Non
sono d’accordo” continuò Ezekiel “Il troppo rispetto
può sembrare paura e non bisogna mai sembrare impauriti, quando si vuole
ottenere qualcosa.”
“Ci
vuole la giusta misura, come in tutte le cose.” gli spiegò il Bibliotecario “Ricordati,
però, del pino e del salice il giorno della tempesta di neve.”
“Cosa?!”
Intervenne
Cassandra: “Il pino ha i rami rigidi e irremovibili che, caricati di troppa
neve, si spezzano sotto il peso; il salice, invece, è flessuoso e docile, si
piega sotto la neve fino a scrollarsela di dosso e resta integro e bello. È una
metafora piuttosto nota.”
Ezekiel scosse il
capo, poco convinto, e tutti continuarono il proprio lavoro in silenzio, fino a
ché Stone non si accorse che il proprio borsello si stava agitando, lo aprì e
tirò fuori il suo mini quaderno dei ritagli personale, che stava vibrando.
“Ehm
…” Jacob si guardò attorno “Credo che mi vogliano mandare ad affrontare un
caso.”
Cassandra
ed Ezekiel afferrarono i propri quaderni e con
delusione constatarono che a loro non era stato segnalato nulla.
“Di
cosa si tratta?” chiese Eve.
“Animali
e due persone trovati sbranati da grandi bestie feroci non ancora identificate.”
“Potrebbe
essere di tutto.” rifletté Flynn “Licantropi, orchi, raksasa … Dipende anche dalla zona, dov’è accaduto?”
“Italia.”
rispose Stone, leggendo mentalmente l’articolo, poi si volse verso Jenkins e gli disse, con stupore: “È praticamente dove sta
scavando Enya.”
L’uomo
si accigliò, perplesso.
Eve saltò su, con un pizzico di
malizia: “Jenkins, domanda veloce: chi è Enya?”
“Non
lo so. Questo è il problema. Ci è stata segnalata, ma ancora non sappiamo il perché;
comunque, penso che non dobbiamo aspettarci nulla di buono, dopo quest’ultima
segnalazione.”
“Ma
perché il ritaglio è arrivato solo a Stone?” chiese Eve.
“Perché
io la conosco telematicamente, forse desterò meno sospetti, quando mi presenterò
da quelle parti.”
“Bene”
convenne Flynn “Allora imposta la porta sul retro e
vai e tienici aggiornati.”
“Sarebbe
meglio che non andasse da solo.” aggiunse Jenkins “Prenda
un’altra delle nuove leve, con sé.”
“Va
bene.”
“Ti
accompagno volentieri io.” si offrì Cassandra, con un sorriso.
“No,
prendi me!” esclamò Ezekiel, che voleva sfuggire
dalla burocrazia.
“Mi
spiace, sarà per un’altra volta. Cassandra, vieni tu.”
I
due giovani si prepararono velocemente, varcarono la porta e si ritrovarono in
un alberghetto, poco fuori un piccolo paesino, nei pressi di una foresta. Ne approfittarono
per prenotare una stanza in cui passare la notte, poi cercarono un mezzo di
trasporto per muoversi: dovettero accontentarsi di un paio di biciclette. Si informarono,
poi, circa dove fossero gli scavi archeologici: per loro fortuna distavano solo
cinque chilometri e raggiungerli non fu difficile o faticoso.
“Stone,
ci pensi?” chiese, vispa, la ragazza.
“A
cosa?”
“È
la prima missione che affrontiamo io e te e basta, da soli, senza nessun altro.
Non è emozionante?”
“Tutte
le missioni sono emozionanti. Negli ultimi mesi mi è entrata in circolo più
adrenalina di tutto il resto della mia vita messo assieme. Dì un po’, secondo i
tuoi calcoli, troppa adrenalina in corpo può far male?”
“Meglio
che tu non sappia gli effetti collaterali. Ormai, però, ci stiamo abituando a
queste situazioni: non credo che l’adrenalina sarà un problema. Comunque,
perché ci stiamo dirigendo allo scavo? Non sappiamo se ha realmente a che fare
con il ritaglio.”
“È
probabile, però. Dal momento che dobbiamo chiedere informazioni in giro, tanto
vale cominciare da dove abbiamo un contatto.”
“Non
sembrerà strano, alla tua amica, che ti presenti qua, all’improvviso, senza
averla avvisata?”
“Le
dirò che volevo farle una sorpresa e che ho deciso all’ultimo momento …
comunque non è una miaamica, la vedrò
oggi per la prima volta.”
Cassandra
non seppe esattamente come prendere la notizia, se sentirsi sollevata o
minacciata. Da una parte era contenta che non ci fosse confidenza tra quella
sconosciuta e Stone, dall’altra non le faceva certo piacere la voglia che aveva
l’amico di conoscerla. Cercò di tirarsi su di morale, pensando al fatto che
Jacob fosse lì solo per il caso da risolvere.
I
due giovani giunsero allo scavo: era circondato da una rete di plastica
arancione, siestendeva per almeno un
chilometro di lunghezza, vi lavoravano almeno una quindicina di persone; poco
fuori si trovavano delle baracche di lamiera e dei bagni chimici, probabilmente
era lì che alloggiavano gli addetti ai lavori.
“Ecco
cosa si può ottenere, appoggiati dalla massoneria.” commentò Stone, ammirando
il sito archeologico.
“Pensavo
che fossero ricchi e che potessero permettersi di più.” osservò Cassandra.
“Non
hai idea dei costi di uno scavo e della manutenzione. Per poter indagare un’area
così vasta, sono necessari parecchi fondi. Adesso cerchiamo Enya.”
Jacob
si guardò attorno e, vedendo un uomo con una carriola poco lontano, gli gridò
in un italiano traballante: “Ehi, amico! Cerco EnyaBragazzi. Sono suo amico, Jacob Stone!”
Per
fortuna, l’interpellato era una persona disponibile e dunque andò a riferire,
senza protestare.
Poco
dopo sopraggiunse Enya, con un sorriso radioso,
nonostante le occhiaie; disse: “Jacob Stone! Non ci posso credere, proprio tu?”
“In
persona! È bello vederti, finalmente, dal vivo e non via webcam.”
“È
un piacere anche per me.”
“Ti
presento la mia amica e collega, Cassandra.”
“Molto
piacere.” Enya parò in inglese, stringendo la mano
della giovane, e continuò a parlare in quella lingua.
“Come
ti hodetto, ero in Russia per affari;
al ritorno, ho pensato di fare tappa a Roma e, allora, ne ho approfittato per
venirti a salutare.”
“Molto
gentile da parte tua. Scommetto che vedere in anteprima un sito etrusco-romano sia stato un bell’incentivo nel prendere
questa decisione.”
“Ha
influito, certamente … ma so che voi archeologi siete molto gelosi e avete
sempre paura che qualcuno pubblichi prima di voi le vostre scoperte.”
“Di
te mi fido, inoltre i tuoi consigli mi sono stati preziosi più di una volta,
quindi una ricompensa te la meriti davvero. Venite, vi mostro gli scavi.”
La
giovane fece strada ai due americani e li accompagnò attraverso il sito, indicando
con attenzione davanti a cosa si trovassero: il foro, la basilica, un
tempietto, una casa nobile col pavimento in mosaico e molte altre cose. Jacob poneva
un sacco di domande e così trascorsero un paio d’ore.
“Là,
invece, che cosa c’è?” chiese il giovane, indicando l’unica zona degli scavi
dove non si erano soffermati, ma erano passati solo velocemente.
“Un
mitreo ma, non posso mostrarvelo: è una scoperta
recente, si espande sottoterra e dobbiamo ancora metterlo in sicurezza.”
“Un
vero peccato.” disse Stone “Non sapevo esistessero mitrei
così antichi.”
“Infatti
ci siamo stupiti, soprattutto per la forte influenza etrusca nelle decorazioni.
Speriamo che nei prossimi giorni le ricerche possano darci qualche indizio in
più.”
Jacob
non insisté, ma quelle spiegazioni non lo avevano convinto. Tuttavia, si stava
avvicinando il tramonto e, dunque, era tempo per i bibliotecari di indagare
sulle misteriose bestie, segnalate dal quaderno dei ritagli.
“Andate
via? Non vi fermate con noi?” chiese Enya, quando
capì che gli ospiti volevano andarsene.
“Sì,
abbiamoprenotato un albergo e dobbiamo
rientrare.”
“Fermatevi
per cena, almeno.”
“No,
grazie, siamo in bicicletta e non vogliamo tornare in paese col buio. Specialmente
dopo quello che si è letto sui giornali, stamattina! A proposito, voi, così
isolati, non avete paura?”
“Di
cosa?” Enya si era accigliata.
“Beh,
del mostro che pare aggirarsi per i boschi, sbranando qualsiasi cosa si muova.”
“Oh,
quello!” Enya si abbandonò ad una risata un po’
forzata e poi chiese: “Non crederete davvero a queste fantasticherie? Si
tratterà di un orso o due, probabilmente.”
Stone
aveva notato che c’era qualcosa di strano nell’atteggiamento dell’archeologa;
con fare severo disse: “Ultimamente, ho imparato a stupirmi di poche cose.” poi
aggiunse con fare scherzoso: “In ogni caso, fossero anche due orsi, preferisco
non ritrovarmeli per strada, quindi ti saluto e grazie per l’accoglienza.”
Finirono
di salutarsi, poi i due bibliotecari presero le biciclette e si allontanarono.
“Non
mi convince.” commentò Cassandra, appena fu certa che non potessero sentirla “Ho
osservato l’area del mitreo e, secondo i miei
calcoli, era già in sicurezza; inoltre c’è stato un operaio fermo lì davanti
tutto il tempo, come se fosse stato messo a guardia di qualcosa.”
“Il
mitreo potrebbe essere giustificato dalla gelosia
degli archeologi, quello è una scoperta troppo importante per lasciare
avvicinare degli estranei. Io mi sono insospettito per il suo atteggiamento
quando abbiamo parlato delle bestie: è stata troppo tranquilla! Non ha nemmeno
detto che la faccenda l’abbia colpita o che le dispiacesse per i due morti. Inoltre
hai notato le occhiaie che aveva?”
“Sì
… Pensi che la tua amica, di notte, vada in giro a sbranare animali e persone?”
Cassandra era alquanto perplessa.
“Non
lo so, ma non lo escludo.”
“Che
cosa facciamo adesso?”
“Semplice,
ceniamo, ci armiamo e poi perlustreremo un poco i boschi, sperando di scoprire
qualcosa.”
Cassandra
si preoccupò di avvisare gli altri alla Biblioteca di come stessero andando le
cose.
I
due fecero come aveva suggerito Stone, sebbene gli unici surrogati di armi che
poterono trovare furono un machete e una vanga. Decisero di ricordarsi di
premunirsi di vere armi per il futuro.
Attorno
alle 21-30 iniziarono la loro perlustrazione al limitare del bosco. Per un’ora
circa, non notarono nulla di strano, per cui decisero di addentrarsi un poco
tra gli alberi, senza però seguire un sentiero. Trascorse un’altra mezz’ora e
iniziarono a sentire degli strani versi: un misto di ruggiti ed ululati.
I
due giovani si guardarono per farsi forza a vicenda e proseguirono nella
direzione da cui provenivano gli agghiaccianti versi. Andarono a passo svelto,
quasi correndo.
Arrivarono
in un punto del bosco dove la vegetazione era meno fitta e lì videro un
orripilante rapace, alto almeno due metri e mezzo: aveva le zampe di un
avvoltoio, ma il torso vagamente umano e ricoperto di piume; gli arti superiori
erano un incrocio tra braccia e ali, culminavano con mani scheletriche dai
lunghi artigli, la testa era quella di un uomo, ma con penne al posto dei
capelli e un feroce becco sostituiva naso e bocca, ma ciò non gli impediva di
avere affilati canini.
Cassandra
urlò terrorizzata. Jacob non glielo impedì, siccome erano già nel campo visivo
del mostro che già stava volgendo loro le sue attenzione.
“Che
cos’è?!” strillò la ragazza, stringendosi forte al machete.
“Non
ne ho idea!” rispose Stone, basito e spaventato “Mostri del genere li ho visti
solo nei dipinti di tombe etrusche.”
Il
mostro si stava avvicinando.
“Scappiamo?”
propose Cassandra.
“Sì!
Tra gli alberi non dovrebbe riuscire a passare.”
I
due amici voltarono le spalle al mostro e corsero per il bosco, ma
sfortunatamente furono facilmente inseguiti.
“Non
credi sia poco bibliotecariesco fuggire?” domandò
Stone, col fiato corto.
“No,
per niente! Non abbiamo idea dicosa sia
e come ucciderlo. Ora che sappiamo com’è fatto, potremo fare ricerche e capire
come agire!”
“Sì,
ma quello, tra poco, ci raggiunge!”
Continuarono
a correre in silenzio per qualche momento, poi Cassandra esclamò: “Lo senti?! C’è
un torrente!”
“Sì,
e allora?”
“Potremmo
nasconderci nell’acqua. Data la stagione e il luogo, dovrebbe essere abbastanza
profondo e la corrente non troppo profonda.”
Stone
si accigliò, poco convinto, poi scosse il capo e disse: “È comunque un piano.”
Entrambi
continuarono a correre, cambiando direzione e cercando di raggiungere il
torrente. In breve lo raggiunsero, si voltarono un attimo e si accorsero di
aver guadagnato un certo vantaggio. Stone si stava guardando attorno, alla
ricerca di una canna di palude o qualcosa da poter usare come boccaglio.
Cassandra, invece, osservava in cerca di qualche spunto che le suggerisse una
soluzione per uscire da quella situazione; di nuovo l’udito la aiutò.
“La
bestia si è fermata. Senti i suoi versi? Non sono più solo feroci, sono anche
di dolore e sento come il clangore di qualcosa di metallico.”
“Qualcuno
sta affrontando quel mostro?! Dobbiamo andare ad aiutarlo.”
Tornare
indietro non era certo l’opzione che preferivano, ma chiunque fosse così
coraggioso da fronteggiare quel mostro, meritava di essere aiutato.
Si
affrettarono ad andare e, tornando sui propri passi, dopo un paio di minuti
videro il mostro che stava lottando con qualcuno e i cui artigli come d’acciaio,
cozzavano contro una spada. Non fecero in tempo a capire bene che cosa stesse
accadendo, che la bestia cadde a terra e allora sentirono una voce gridare: “Ar
frontac, Februusesi!”
In
un bagliore blu elettrico, il mostro scomparve, sotto gli occhi increduli dei
bibliotecari.
Un
attimo dopo, il loro stupore crebbe maggiormente, quando si resero conto di
avere davanti Enya, con in mano una spada e al dito
un anello con una grossa pietra blu, pulsante.
“Per
credere ai mostri, siete un po’ troppo nel bosco.” commentò Enya
dopo qualche momento.
“E
tu sei un po’ troppo armata, per non crederci.” ribatté Stone, indeciso circa
se ritenersi in salvo oppure no.
“Per
fortuna le vostre urla hanno richiamato la mia attenzione.”
“Ho
gridato una sola volta …” protestò Cassandra.
“Beh,
le spiegazioni ve le darò domani, allo scavo. Ora devo cercare gli altri.”
“Ci
sono altri di quei cosi in giro?” chiese, preoccupata, la bibliotecaria.
“Purtroppo.”
confermò Enya.
“Ci
potresti spiegare come lo hai sconfitto?” chiese Stone “Così, se ne incontriamo
un altro, sappiamo cosa fare.”
“Non
potete fare nulla, spiacente. Vi accompagno allo scavo, che non è distante,
passerete la notte lì e, domattina, vi spiegherò.”
I
due bibliotecari, non avendo altra scelta, accettarono.
“Stone,
sai l’etrusco, vero?” domandò Enya; le occhiaie sotto
gli occhi erano più calcate, la carnagione era più pallida del normale e aveva
l’avambraccio sinistro bendato.
“Sì,
per quanto si possa conoscere una lingua interpretata solo parzialmente.”
“Bene,
allora ti invito a leggere quest’iscrizione, così non potrete dubitare di me.”
Era
mattina e l’archeologa aveva condotto i due bibliotecari nella parte
sotterranea del mitreo; c’erano solamente loro tre, Enya non aveva voluto altri.
“Che
cosa dice?” chiese Cassandra, dopo un paio di minuti.
Stone
fissava ancora l’iscrizione su una lastra di marmo bianco, era piuttosto
sconcertato, spiegò: “Parla della progenie di Tuchulcha
…”
“Chi?”
“Un
demone dell’oltretomba etrusco, mezzo uomo e mezzo rapace.” rispose Jacob,
prima di continuare: “La sua progenie, suppongo che ieri notte ne abbiamo conosciuto
uno … La sua progenie, dunque, si aggirava per queste terre, compiendo
terribili carneficine, finché non giunse un uomo consacrato a Mitra che le
imprigionò una per una in un sarcofago in questo tempio. Questo non ha senso!”
si rivolse all’archeologa: “Mitra non appartiene al pantheon etrusco!”
“Mitra
è una divinità indoeuropea, presente dall’India al mediterraneo, sebbene con
connotati differenti e il culto misterico è proprio dell’area europea.”
“Sì,
ma in epoca imperiale!”
“Pare
che ci siano alcune attestazioni risalenti al II secolo avanti Cristo, inoltre
se si considera la teoria secondo cui gli etruschi fossero originari
dell’Anatolia …”
“Quella
teoria è stata smentita due anni fa! Inoltre gli etruschi non appartengono al
ceppo indoeuropeo.”
“Linguisticamente,
ma per quanto riguarda la mitologia e la religione …”
“Scusate!”
li interruppe Cassandra “Al di là delle controversie tra storici, abbiamo una
lastra di marmo che parla piuttosto chiaro e, sinceramente, preferirei sapere
come affrontare i mostri, piuttosto che se sia storicamente attestato o meno un
certo culto da queste parti.”
“Hai
ragione.” si scosse Jacob “Dunque, la progenie di Tuchulcha
è tornata a bighellonare in zona? È questo che supponi? Perché proprio ora e
non nei secoli scorsi?”
Enya sospirò e, con
un certo imbarazzo, disse: “Li abbiamo accidentalmente liberati, aprendo il
sarcofago in cui erano rinchiusi.”
“Cosa?!”
esclamò Cassandra “Perché avete fatto una stupidaggine simile? Non credevate ai
mostri?”
“No,
ma perché abbiamo trovato prima il sarcofago e il giorno dopo la lastra!” si
difese l’archeologa.
“Tu,
però, sai come sconfiggerli.” osservò Stone “Che cos’hai fatto, ieri notte?”
“Per
fortuna, nel corso degli scavi, ho trovato una sorta di grosso scrigno in marmo
che conteneva la spada appartenuta all’eroe che sconfisse i demoni millenni fa;
stranamente la lama non sembra avere subito gli effetti del tempo ed è affilata
come appena uscita dalla fucina. C’era anche questo anello.” lo mostrò, era lo
stesso che poche ore prima pulsava di luce bluetta
“Vi erano anche istruzioni per l’uso piuttosto semplici: con la spada si devono
sconfiggere i demoni. Dopo averli ridotti allo stremo delle forze, si pronuncia
una formula in etrusco che li risucchia nell’anello.”
“Ottimo,
direi che siamo a buon punto.” commentò Jacob.
“No,
perché adesso iniziano le note dolenti: l’anello può tenere imprigionati i
demoni in numero limitato e per pochi giorni, poiché serviva come tramite per
travasarli, poi, nel sarcofago. Ciò significa che presto i tre che sono
riuscita a catturare, potrebbero tornare liberi. Inoltre, non posso neppure
reinserirli nel sarcofago, poiché non è un luogo sicuro: potrebbe essere
riaperto in qualsiasi momento.”
“Troviamo
un altro oggetto in cui richiuderli.” propose Stone “Noi conosciamo un luogo
estremamente protetto e sicuro in cui non c’è rischio che vengano di nuovo
liberati.”
Enya aggrottò le
sopracciglia, piuttosto perplessa e chiese: “Ovvero?”
“Se
te lo dicessi, non mi crederesti.”
“Prova.”
Stone
esitò un poco, ma comunque rispose: “… in una biblioteca.”
L’archeologa
rifletté qualche istante e poi disse: “ … Oh, va bene.”
Jacob
e Cassandra si scambiarono un’occhiata a metà tra lo stupito e il preoccupato,
ma non dissero altro sull’argomento.
“C’è
un problema, comunque.” precisò Enya “Non basta certo un contenitore qualsiasi. Il sarcofago
contiene una sorta di mini dimensione a sé stante. Bisognerà trovare qualcosa
del genere e non ho idea di dove cercare!”
“Noi
forse sì.” disse Stone, ragionando “Dacci qualche ora di tempo, andiamo a
consultarci con dei colleghi e, poi, speriamo di tornare con qualcosa di utile.
“D’accordo.
Vi aspetto. Ah, se per caso tra i vostri colleghi c’è qualcuno abile in
combattimento, portatelo.”
Jacob
e Cassandra si allontanarono velocemente; cercarono la prima porta a
disposizione, senza gente attorno e la varcarono per rientrare alla Biblioteca.
Nella stanza principale c’erano tutti gli altri, ancora intenti alle questioni
burocratiche.
“Già
di ritorno? Avete risolto?” domandò Eve, vedendoli
entrare.
“No,
ma sappiamo come fare.” rispose Cassandra.
I
due giovani raccontarono quanto avevano visto e scoperto.
“Avete
rischiato di essere divorati da un uomo-avvoltoio?!” sbalordì Ezekiel “E io imbustavo inviti?!”
L’osservazione
del giovane ladro venne ignorata.
“Sì,
direi che la Biblioteca è il luogo migliore, dove custodire il sarcofago o
qualsiasi altro surrogato troveremo.” approvò Flynn.
Cassandra
domandò: “Dove possiamo trovare o come possiamo creare un qualcosa che contenga
uno spazio dimensionale?”
“Dovrebbe
esserci qualcosa in magazzino.” affermò Jenkins “Vado
a controllare.” e si allontanò.
Rimasero
tutti in silenzio per qualche momento, poi Cassandra chiese: “Flynn, verrai tu, con noi, per combattere?! Oppure verrà il
colonelloBaird?”
“Ci
piacerebbe ma!, non possiamo.” rispose Flynn “Tra gli
oggetti rubati dalla Confraternita del Serpente, c’è anche il tridente di Poseidone. Ho avuto il sentore che Dulaque
l’avesse consegnato ai Fomori e penso proprio di non
essermi sbagliato.”
“Fomori?!” chiese Ezekiel.
“Questa
la so anch’io!” esclamò Cassandra, contenta “Sono mostruosi abitanti del mare;
prima erano gli abitanti mitologici originali dell’Irlanda, scacciati poi da un’altra
stirpe leggendaria, i Tuatha de Danann.
Lo so perché mio padre era irlandese e mi raccontava spesso queste storie da
piccola, prima di addormentarmi.”
“Esatto,
questo è quanto riferiscono i testi che normalmente si hanno a disposizione e
che risalgono a non prima del decimo secolo.” disse Flynn
“In realtà non sono mostruosi o non sempre, almeno. Fanno parte degli umanoidi
che vivono sott’acqua, come i tritoni e le sirene. I Fomori
sarebbero anfibi, possono presentarsi in aspetto umano, oppure animale (ad
esempio salamandre, rane o serpenti), oppure con strane ibridazioni; diciamo
che ognuno di loro ha tre o quattro determinate forme che può alternare a
proprio piacere. Ad ogni modo, ho ragione di credere che il tridente di Poseidone sia attualmente in mano ai Formori
i quali, ovviamente, negano. Sono riuscito, tuttavia, ad ottenere di parlamentare
col loro principe, quindi io ed Eve dobbiamo
prepararci per questo incontro e partire. Si terrà domani.”
Jacob
e Cassandra si guardarono perplessi, poi Stone disse: “Saremo un po’ in
difficoltà, temo. Io me la cavo nelle scazzottate, ma dubito di avere qualche
possibilità in uno scontro con quei bestioni. Forse, forse potrei tentare a
distanza con una balestra.”
“Io
non ne so assolutamente nulla di armi e combattimenti.” aggiunse Cassandra.
Flynn, tra sé e sé,
disse: “Promemoria: iniziare addestramento al duello per i bibliotecarini.”
poi gli tornò in mente Excalibur e si rattristò.
“Dunque,
al momento, andiamo soli e indifesi?” chiese ancora Cassandra.
“Meglio
di no.” ragionò Flynn “Fatemi pensare.”
“Jenkins!” esclamò Eve d’improvviso.
“Come?!”
fu la domanda corale.
“Sì,
al Telaio del Fato, ha combattuto benissimo con la spada, contro Dulaque.”
“Anch’io
sarei in grado di battere Dulaque!” esclamò Ezekiel.
Dopo
le vicende al Telaio, Eve aveva riferito a Flynn che il suo alter ego aveva affermato che Dulaque fosse in realtà Lancillotto. Flynn
le aveva allora rivelato che lui conosceva già la reale identità del capo della
Confraternita del Serpente, ma che preferiva non rivelarlo ancora agli altri
poiché ciò avrebbe senza dubbio generato apprensione e molto domande di cui Flynn non era certo di poter rispondere.
“È
una buona idea.” disse il Bibliotecario “Cassandra, tu però resterai qui, ci
sarà bisogno del tuo aiuto in sede, non posso lasciare soli Ezekiel
e Charlene in questa situazione.”
Nessuno
dei tre giovani pareva convinto da quella soluzione. In quel momento ritornò
nella stanza Jenkins con un’anfora in mano, dicendo: “Ecco,
questa dovrebbe fare al caso nostro, bisogna semplicemente modellare il
coperchio per permettere all’anello di inserirsi e trasferire … Perché mi
fissate in quel modo?”
“Jenkins, domanda veloce.” disse Eve
“Puoi andare tu con Jacob ad affrontare i mostri?”
“Ehm
…No, assolutamente no.”
“Perché?!
Al Telaio hai combattuto benissimo!”
“Probabilmente
si trattava di un mio alter ego che ha intrapreso un percorso diverso dal mio.”
si giustificò Jenkins.
“No,
era lei! Il suo aspetto, i suoi abiti, non erano diversi, come quelli degli
altri … E poi perché non l’ho vista in nessun altro universo parallelo? Lei era
lì … perché?! Come?!”
Jenkins la scrutò
alcuni istanti, poi voltò il capo da un’altra parte e con non curanza disse: “Combattere
la progenie di Tuchulcha avete detto? Vado a prendere
una spada.” e uscì dalla stanza.
I
bibliotecari ed Eve si guardarono piuttosto
perplessi.
Pochi
istanti dopo, Jenkins fece nuovamente capolino nella
sala, questa volta, stretta in mano, teneva una spada inserita in un fodero,
lunga quasi due metri.
Jacob
si avvicinò a lui, chiese il permesso di osservare l’arma e, esaminandola,
disse: “È un ClaidheamhdhaIamh scozzese, un po’ più lungo del normale, pregevole
fattura … XIV secolo? … dovrebbe stare in un museo!”
“Questa
è mia!” ribatté Jenkins con velata gelosia, riprendendosi
la spada.
“Al
telaio, aveva un fioretto.” commentò Eve.
“Non
andrò contro la progenie di Tuchulcha con un fioretto,
questo mi pare più adeguato.”
“Ma
quanto pesa?!” si meravigliò Ezekiel.
“Meno
di tre chili. Signor Stone, suvvia, andiamo o si farà tardi!”
Jacob
afferrò il vaso, salutò gli altri e aprì la porta sul retro.
Poco
più di mezz’ora più tardi, Jacob e Jenkins si
trovavano davanti allo scavo, in cerca di Enya.
L’archeologa
fu certamente sorpresa nel trovarsi di fronte l’uomo che le aveva parlato
giorni prima, dopo la sua conferenza, tuttavia decise di non entrare in
argomento; si avvicinò a Stone e gli chiese che cosa avesse trovato.
“Questo
vaso è esattamente quello che hai detto ci servirà.”
“Bisogna
solo modellare l’ingresso dell’anello.” specificò Jenkins.
“Affare
da pochi minuti.” disse la giovane “Jacob, che fine ha fatto la tua amica?”
“Ho preferito non metterla in pericolo,
di nuovo.” spiegò “Al suo posto ho portato quello che sa combattere, come mi
avevi chiesto. Lui è …”
“Non c’è bisogno di presentazioni.” lo
interruppe Jenkins, cercando di far sì che la propria
presenza non destasse sospetti “Sono riuscito ad andare alla conferenza della
signorina, di cui mi avevi informato, ho avuto modo di conoscerla.”
“Signori, io ho un piano. Semplice ed
efficace: Jacob, tu terrai anello e vaso; io e il tuo amico abbatteremo la
progenie; quando vedrai qualche demone a terra, ti avvicinerai, gli punterai
contro l’anello e pronuncerai la formula in etrusco, poi li trasferirai subito
nel vaso.”
“Oh, sì, detto così, sembra molto semplice!”
disse sarcasticamente Stone.
“Trovare un nuovo contenitore e un altro
combattente era la parte più difficile. Scusi, posso vedere la sua spada, per
favore?”
Jenkins porse l’arma
alla donna che, dopo pochi istanti, disse: “Devo tenerla per un’ora circa, c’è
una cosa che devo fare. Voi, intanto, andate in paese” prese le chiavi della
propria auto e le diede a Jacob “E anche nei paesi vicini, fermatevi dai
macellai e prendete tutto il sangue che potete trovare. Litri e litri di
sangue.”
“Perché?” chiese Stone.
“Perché non ho intenzione di passare non
so quante notti insonni a cercare quelle bestie. Il sangue fungerà da esca:
saranno loro a venire da noi e questa notte dovremmo mettere fine a questa
faccenda.”
I due uomini acconsentirono e l’archeologa,
con la spada, si allontanò verso il bosco.
“Signor Stone, lei come se la cava con i
pedinamenti?” chiese Jenkins pochi istanti dopo.
“Non saprei, perché?”
“Ha la mia spada, voglio vedere che cosa
fa. La seguo, viene con me?”
I due uomini, furtivamente, seguirono la
donna tra gli alberi e arrivarono in prossimità del torrente. Lì, la ragazza
immerse la spada.
“Si arrugginirà!” commentò Stone,
sussurrando, ma il compagno lo zittì.
Enya si mise in
ginocchio, appoggiata sui talloni, con la schiena dritta. Era di spalle, quindi
non si poteva vedere se tenesse gli occhi aperti o chiusi. Poco dopo, tuttavia,
iniziò ad essere circondata da un’aura blu, come se la stesse emanando.
“Possiamo andare.” disse a quel punto Jenkins, voltandosi.
“Sta incantando la mia spada. La progenie
di Tuchulcha può rigenerarsi e guarire le proprie ferite
in pochi secondi; quindi per poterle sconfiggere è necessario colpirle con lame
incantate, che con la magia blocchino la rigenerazione.”
“Tu lo sapevi già che occorreva una
spada incantata?”
“Certamente.”
“E perché ti sei portato una spada
normale, allora?”
“Per mettere alla prova la tua amica.”
“E se non l’avesse presa in consegna,
che cosa avresti fatto?”
“L’avrei incantata io.”
“Tu?”
“L’ho detto che io e Judson
avevamo divergenze d’opinione. Inoltre anche lui ricorreva alla magia più
spesso di quanto non volesse ammettere.”
Qualche ora più tardi, verso la metà del
pomeriggio, i tre si riunirono per fare il punto della situazione. Gli uomini
erano riusciti a procurare una gran quantità di sangue, dopo essere passati per
ben cinque macelli e aver dovuto rispondere alle domande dei perplessi
macellai. La donna, allora, li condusse in una piccola radura nel bosco dove
aveva già preparato un tino da riempire col sangue. La progenie di Tuchulcha era notturna, quindi, appena fosse tramontato il
Sole e non prima, si sarebbe destata e, sentendo l’odore del sangue, lo avrebbe
raggiunto.
I tre avevano a disposizione circa un
paio d’ore per cenare e prepararsi alla battaglia, per cui tornarono
momentaneamente al campo dello scavo archeologico. Enya
mostrò il vaso sul cui coperchio era riuscita ad annettere un cubo di argilla,
plasmato per poter accogliere l’anello e soltanto quello. Verificarono che
tutto funzionasse, trasferendo i demoni catturati dall’anello al vaso e l’operazione
riuscì con successo. Mangiarono qualcosa di leggero, per poter affrontare al
meglio la battaglia; poi, mentre Stone si era allontanato per usare il bagno, Jenkis si accostò all’archeologa, estrasse dalla tasca
della giacca un paio di ciondoli in argento: entrambi erano circolari e il loro
perimetro era definito dalla figura di un serpente che si mordeva la coda;
inscritti in questo cerchio c’erano sei triangoli intrecciati tra di loro.
Enya li osservò, poi
commentò: “Un nodo pittico dentro ad un uroboro … Sono simboli protettivi molto …”
“Anche di più.” la interruppe Jenkins “Questi sono talismani molto potenti anche in virtù
di chi li ha forgiati. Normalmente non porto in giro questi oggetti, ma stiamo
per affrontare la progenie di Tuchulcha, probabilmente
ne fronteggeremo più di uno a testa contemporaneamente, quindi ritengo sia
opportuno fornire anche a lei uno di questi amuleti per limitare il più
possibile i danni subiti.”
“La ringrazio, moltissimo.” Enya fu sorpresa e contenta.
“Sottinteso che, al termine dello
scontro, me lo dovrà restituire.”
“Certamente.”
In quel momento squillò un cellulare, Enya prese il proprio, guardò lo schermo e sussurrò: “Elatha …” poi schiacciò il tasto di chiusura della
chiamata, senza rispondere.
“Come?!” domandò Jenkins,
incuriosito.
“Nulla!” si affrettò a dire la donna “Elthon, il mio fidanzato; lo richiamerò domani, adesso non
è il momento. Lei combatterà in giacca e cravatta?”
“Sì, certo.”
“L’ammiro molto.”
Tornò Stone e tutti assieme andarono
nella radura prescelta come campo di battaglia. C’era molta tensione per l’imminente
scontro, ma riuscivano ugualmente a mantenere una certa calma.
La luce del Sole era scomparsa da alcuni
minuti, splendevano solo le stelle e la luna. Il momento era vicino.
Si sentirono i primi ringhi e ululati. L’aria
vibrava per l’aria sferzata dalle grandi ali di quei demoni affamati, che
accorrevano, richiamati dal profumo del sangue.
I mostruosi rapaci apparvero nel cielo,
sopra le teste dei tre pronti ad annientarli.
Stone si pentì di non aver proposto
nuovamente l’uso della balestra.
Enya e Jenkins strinsero le mani attorno all’elsa della propria
spada e si prepararono alla lotta.
Jenkins inferse il
primo colpo, affondando la lama nella coscia di uno dei demoni, che stava
planando verso il tino. La donna, svelta di riflessi, non fu da meno e con un
fendente stacco un’ala-braccio di un altro dei mostri.
Dopo i primi minuti, in cui avevano
combattuto separatamente i primi demoni in arrivo, Jenkins
ed Enya si ritrovarono schiena a schiena, per
difendersi vicendevolmente le spalle, mentre abbeveravano le loro lame nel
sangue della progenie di Tuchulcha.
Stone, dal canto proprio, era piuttosto
frustrato e si sentiva poco utile; provò a collaborare, lanciando pietre contro
i mostri ma il risultato fu che attirò l’attenzione di uno di loro che lo avrebbe
sicuramente agguantato se Jenkins non fosse
intervenuto per tempo.
Jacob, comunque, rivalutò la propria
utilità, quando iniziò ad usare il potere dell’anello e ad imprigionare i
demoni nel vaso.
Sul finire dello scontro, quando ormai
rimanevano solo tre creature, Enya tentò un azzardo:
salì sul bordo del tino e lo usò come trampolino per spiccare un salto verso l’alto
vorticando su sé stessa, con le braccia tese; insomma tentò di fare una sorta
di effetto frullatore tra due demoni.
Il risultato non fu quello sperato: la
lama aprì uno squarcio nell’addome di un mostro che cadde a terra, pronto per
essere imprigionato, ma l’altra bestia, con gli artigli gremì la giovane e la
sbatté a terra, tenendola ferma e col becco pronto a strapparle la testa.
Enya sentiva di
dover ricorrere velocemente a qualche alternativa, per potersi salvare; la sua
spada era caduta poco distante.
La bestia stridette. La presa si
allentò. Il mostro cadde di lato. Dietro di lui, Jenkins
estraeva la spada con cui lo aveva appena trafitto.
L’uomo porse la mano alla ragazza per
aiutarla ad alzarsi, nel far ciò abbassò la guardia per qualche istante, ma
quei momenti bastarono per permettere all’ultimo mostro rimasto di avventarsi
contro di loro. Accortosi del pericolo, Jenkins
spinse all’indietro la ragazza, per proteggerla, e posizionò lo spadone a porta
di ferro, ma non fu abbastanza rapido e subì comunque una violenta artigliata.
Prima che l’uomo potesse reagire, però,
Stone afferrò la spada caduta dell’amica e la usò per attaccare a propria volta
il demone, riuscendo ad abbatterlo.
“Ottimo lavoro, ad entrambi.” si
congratulò Jenkins, rimettendosi in piedi e
sistemandosi l’abito.
“Siamo sicuri che li abbiamo presi
tutti?” domandò, invece, Jacob.
“Sì. Sono bestie da branco, sentendo i
loro compagni in pericolo, sono tutti quanti accorsi per aiutarli.” spiegò Jenkins, soddisfatto.
I tre, contenti, presero il vaso e tornarono
al campo del sito archeologico e si misero a dormire in baracche diverse.
Il mattino dopo, quando si svegliò, Enya si vestì rapidamente e uscì per prendere un po’ d’aria
e organizzarsi per la colazione. Appena mise piede fuori, però, trovò Jenkins, appoggiato con la schiena alla parete, accanto
alla porta.
“Buongiorno, mi fa entrare, per favore?”
Enya fu senza dubbio
sorpresa, ma disse: “Certo, si accomodi pure.”
Entrarono nella baracca, la ragazza
prese l’amuleto e lo porse all’uomo, dicendogli: “Se era venuto per questo,
come vede sono di parola e glielo rendo.”
“Non era solo per questo. Te la cavi
molto bene con la spada, non ho trovato nessun riferimento a questo suo
interesse da schermitrice, né Stone lo sapeva.”
“Ha fatto indagini su di me?”
“Ero curioso. La piroetta volante che la
messa nei guai ieri sera, è una tecnica molto rara, oltre che azzardata. Ho conosciuto
pochissimi uomini che la eseguissero. Inoltre, mi ha incantato la spada e di
questo la ringrazio. Voglio quindi chiederle: chi è lei, realmente?”
“Non sono l’unica che ha un segreto. Anche
lei non rivela la sua vera identità. Facciamo un patto? Confidenza per
confidenza, io le dirò chi sono e lei mi dirà chi è.”
Jenkins rifletté, poi
scosse il capo e disse: “Non posso. Cambierò dunque la mia domanda, sperando
che questa volta risponda senza condizioni: che opinione ha a proposito della
Confraternita del Serpente?”
Enya sgranò
lievemente gli occhi per la sorpresa e disse: “Non credevo sarebbe stato così
diretto. Sinceramente non ho una precisa opinione al riguardo. Non posso approvare
il loro desiderio di dominio sul mondo e gli uomini, ma non posso neppure
condannare il voler togliere dalla clandestinità la magia.”
“Capisco.” si limitò a commentare Jenkins “Le do un consiglio. Se in futuro dovesse trovarsi
faccia a faccia con un certo signor Dulaque ed egli
le chiedesse la sua identità … gliela riveli, è un dettaglio che potrebbe salvarle
la vita.”
L’uomo si voltò ed uscì, sentendo alle
proprie spalle un perplesso ringraziamento.
Mezz’ora più tardi, si ritrovarono con
anche Stone a fare colazione; poi Enya disse che non
poteva ospitarli più a lungo, poiché quel giorno avrebbe dovuto sbrigare un
affare lontano dal campo. Jacob rispose che anche loro erano piuttosto di
fretta, dunque i due uomini presero il vaso, si allontanarono e, infine,
trovarono una porta con cui tornare alla Biblioteca.
Flynn ed Eve si erano preparati per l’incontro diplomatico con i Fomori ed erano partiti prima del ritorno alla Biblioteca
degli altri due amici. L’incontro era stato organizzato su un isoletta
disabitata della Grecia nel mar Egeo. Il Bibliotecario, dunque, aveva impostato
la porta sul retro per raggiungere il luogo abitato più vicino alla meta; là,
lui e il colonnella Baird affittarono un motoscafo
per compiere l’ultimo tratto di viaggio.
“Perché
hanno scelto un posto così sperduto per il nostro incontro? Segretezza?”
domandò Eve, mentre solcavano il mare.
“In
parte, poi in parte c’è una questione di prestigio: ci costringono a compiere
sforzi per raggiungerli per dimostrare la loro importanza. Inoltre, l’isola è
di loro proprietà, è come se ci stessimo recando nel loro regno.” spiegò Flynn, che era alla guida.
“In
che senso è di loro proprietà?”
“La
Grecia, a causa del debito pubblico, ha dovuto vendere alcune delle sue
isolette disabitate fin dal 2010. I Fomori hanno
deciso di approfittarne e ne hanno comprate alcune, per poter espandere il loro
regno anche sulla terra ferma.”
“La
Biblioteca gliel’ha permesso?”
“Beh,
tecnicamente quelle isole appartengono ancora alla Grecia, loro hanno solamente
comprato del terreno, non hanno fatto nulla di male. Comunque, rilassati,
goditi la gita al mare.”
“Non
era proprio questa lacrociera in Grecia
che sognavo da anni.” scherzò Eve “Scusami ma, date
le circostanze, non me la sento di mettermi in costume a prendere il Sole.”
“Non
è neppure estate.”
“Che
cosa dobbiamo aspettarci?”
“Fasti!”
“Come?”
“Accoglienza
in pompa magna e un ambiente lussuoso e ricco, almeno per gli standard fomoriani. Loro sono tradizionalisti, mostrano volentieri
la loro ricchezza e ci tengono a rendere onori ai loro ospiti e a non far
mancare loro nulla.”
“Anche
se vannolì per contestare il possesso
di un potentissimo artefatto?”
“L’ospite
è sacro! È una componente fondamentale della cultura antica. Avranno allestito
padiglioni di stoffe e fiori e grandi tende colorate; tappeti, cuscini,
divanetti e tavolini bassi in corallo e conchiglie. Una commistione tra
orientaleggiante e marino veramente incantevole. Ci sarà il loro portavoce che
avrà portato con sé degli amici, intrattenitori, molti servi e dei soldati.”
“È
come se andassimo in un’ambasciata vera e propria.”
“Sì,
di fatto è come se il principe tenesse corte e noi ci recassimo in visita.”
“Principe?”
ripeté Eve, sorpresa “Non me ne avevi parlato.”
“Ah,
sì, il portavoce dei fomori sarà il principe Elatha in persona.”
“E-la-tha …?” ripeté la Guardiana, per verificare di aver
capito correttamente il nome e non provocare incidenti diplomatici, chiamando
il principe con un nome sbagliato.
“Sì,
ma non è quello della mitologia, è solo un caso di omonimia.”
“Ah!”
fu ironica Eve, per poi farsi serie e chiedere
indicazioni per comportarsi secondo il protocollo fomoriano,
in modo tale da comportarsi bene e non infastidire i loro interlocutori e non
creare imbarazzi.
Flynn le riferì le
formule e procedure basilari e le raccontò della cultura dei Fomori per il resto del tragitto.
Approdarono
finalmente all’isola e trovarono ad attenderli una delegazione di Fomori che li aiutarono a scendere e presero i loro pochi
bagagli e fecero strada verso la corte del principe Elatha.
I
Fomori si erano presentati nella loro forma ibrida:
umanoidi con anche i lineamenti del volto molto umani, mala pelle era di
anfibi, variopinta, avevano le mani e i piedi palmati, alcuni avevano la coda e
sorta di creste o sul capo, o lungo la schiena, o attorno al collo; altri
ancora erano invece squamosi come serpenti; anche gli occhi erano quelli di
anfibi o rettili.
Eve era rimasta piuttosto
impressionata a quella vista, doveva sforzarsi di non provare repulsione verso
quegli esseri, non voleva essere offensiva; Flynn,
invece, si trovava estremamente a proprio agio.
Giunsero
in vista di grandi tendoni dai molti colori; passarono sotto un arco di piante
e fiori che segnavo l’ingresso all’accampamento. Percorsero la strada principale,
preceduti da valletti che suonavano tamburi, flauti e trombe e altri che
gettavano petali sul loro cammino.
La
strada conduceva all’ingresso del padiglione più grande, più ricco nelle
decorazioni e maggiormente sorvegliato da guardie. Uno dei Fomori
che li accompagnava, disse al Bibliotecario e al Guardiano di attendere, poi
entrò per primo e annunciò il loro arrivo al principe; tornò indietro e
condusse i due alla presenza del suo signore.
Il
principe sedeva su un trono, sotto ad un baldacchino, alle sue spalle era
appeso il tridente di Poseidone. Elatha
era nella sua forma ibrida, la pelle da anfibio era di colore azzurro e
maculata di giallo; aveva capelli biondi, lasciati un poco crescere; dalle
spalle gli uscivano due serpenti vivi.
“Benvenuto,
Bibliotecario.” esordì Elatha “La vostra presenza ci
onora. Abbiamo fatto allestire una tenda per voi; il Maggiordomo vi
accompagnerà a breve per permettervi di riposare e riprendervi dal vostro
viaggio. Sarete miei graditi ospiti a pranzo e, nelpomeriggio, discuteremo del motivo della
vostra visita.”
Flynn ringraziò
secondo la convenienza e poi lasciò che conducessero lui ed Eve
alla loro tenda.
Quando
furono soli, la donna chiese: “Perché lo assecondi? Abbiamo visto il tridente,
lo hanno loro! Perché non hai affrontato subito la questione?”
“Siamo
in missione diplomatica, loro si sono mostrati gentili e non è necessario
rifiutare le cortesie. Ogni cosa a suo tempo. Dobbiamo rispettare loro e le
tradizioni, se vogliamo essere credibili. Inoltre, per una volta che sono in
missione e mi trovo degli agi, anziché pericoli di morte, non li rifiuto
certamente.”
Più
tardi si ritrovarono a pranzo col principe e i membri importanti della corte,
erano seduti a terra su cuscini, i tavoli erano bassissimi, c’erano ciotole,
piatti e boccali ricavati da grosse conchiglie o gusci di paguri; non c’erano
posate e mangiavano con le mani.
Il
pranzo fu principalmente a base di pesce; conversarono con tranquillità e il
principe informò i suoi ospiti che alle trattative del pomeriggio sarebbe stato
presente anche un suo consulente speciale.
Più
tardi, dunque, si ritrovarono nella tenda principale, seduti su quattro
poltroncine basse e larghe, attorno ad un tavolino su cui era stato servito un
infuso di alghe, pronti per la diplomazia: Flynn, Eve, il principe Elatha e il
signor Dulaque.
Quando
il Bibliotecario entrò nella tenda, il capo della Confraternita del Serpente
era già lì. Flynn si meravigliò e represse un moto di
ira nei confronti del suo nemico che lo fissava con sfida e scherno.
“Altezza,
che cosa ci fa qui, il signor Dulaque?” domandò il
Bibliotecario, con freddezza.
“Sono
il consulente speciale del principe.” rispose Dulaque.
“Perché?”
“Sono
stato io a consegnare il tridente di Poseidone ai Fomori e, dunque, si fidano di me.”
“Ah,
ora non negano più di possederlo?!” Flynn iniziava ad
innervosirsi.
“Perché
dovrebbero negare di avere qualcosa che spetta loro di diritto.” continuò Dulaque, calmissimo “Loro sono i legittimi proprietari del
tridente.”
“Il
tridente di Poseidone è un manufatto che appartiene
alla Biblioteca.”
“Perché?
Che diritto avete, voi, di tenere il tridente? Siete forse discendenti di Poseidone, come invece è il principe Elatha?
Affermando che il tridente si è trovato nella Biblioteca nei secoli scorsi, vi
mettete in difficoltà, poiché ammettete un’appropriazione indebita, per la
quale i Fomori avrebbero tutto il diritto di chiedere
un risarcimento.”
“Il
tridente è un oggetto estremamente pericoloso, può provocare tempeste,
maremoti, tsunami, terremoti, i quali potrebbero innescare anche eruzioni
vulcaniche.”
“Ah,
quindi ora stai sostenendo che i Fomori sono
pericolosi, irresponsabili, che userebbero il potere del tridente per svago,
senza considerarne le conseguenze? Questo è estremamente offensivo!”
“Mi
stai mettendo in bocca parole non mie! Comunque, se pensassi cose del genere,
sarei assolutamente legittimato, considerando quel che hanno fatto ad
Atlantide.”
“È
successo dodicimila anni fa! E si è trattata di legittima difesa.”
“Scusate!”
intervenne Eve “La trattativa dovrebbe riguardare il
Bibliotecario e il principe, perché sta parlando solo Dulaque,
anziché sua altezza?”
“Sto
ascoltando, colonnello Baird.” rispose Elatha “Sento le varie opinioni per valutare cosa sia
meglio. Continuate.”
“I
Fomori vogliono legittimamente avere il tridente che
è un artefatto legato alla loro storia, è un simbolo del loro potere e della
loro identità.” riprese Dulaque, contento “Continuare
a privare i Fomori del tridente, sarebbe come rubare
i gioielli della corona alla Regina di Inghilterra. Loro non vogliono usarlo
come arma, ma ostentarlo come simbolo.”
“È
un’arma.” ribadì Flynn “Non può essere lasciato alla
portata di chicchessia, deve essere custodito dalla Biblioteca.”
Dulaque si mise a
ridere e poi disse: “Siete davvero particolari, voi della Biblioteca, dite che
certi artefatti siano troppo pericolosi per rimanere in circolazione e, quindi,
ve ne appropriate, con la scusa di proteggere il mondo, ma intanto vi state
preparando un arsenale di estrema potenza. Come possiamo essere sicuri che un
giorno non userete voi, questi manufatti, per attaccare, sottomettere e
distruggere tutte le creature sovrannaturali? Voi siete umani, vedete nella
magia una minaccia, prima o poi cercherete di annientare ogni sua
manifestazione!”
“Non
è vero!” esclamòFlynn,
furioso per quell’accusa “Noi rispettiamo la magia. Noi siamo custodi di
tradizioni e di cultura. Noi evitiamo che venga impiegata per compiere del
male.”
“Male?!
Un concetto piuttosto relativo. Vogliamo realmente indagare circa cosa sia bene
e cosa sia male?” Dulaque sghignazzò nuovamente.
“Ho
preso la mia decisione!” intervenne Elatha, con
cipiglio deciso.
“La
decisione non dovrebbe essere concordata da entrambe le parti?” domandò Eve, perplessa.
Il
principe ignorò quell’osservazione e proseguì: “L’unico modo per stabilire a
chi spetti il possesso del tridente è un duello.”
“Un
duello?!” chiese Flynn.
“Sì.
Domattina, io e voi ci scontreremo con la spada fino alla morte o alla resa. Il
vincitore terrà il tridente.”
“Non
mi pare il metodo più razionale per prendere una decisione.” protestò Eve.
Flynn la guardò e le
disse: “Rifiutare la sfida, equivale alla resa, per cui devo accettare. L’idea
del duello è riferita al Giudizio Divino, non c’entra con la ragione al più
forte.”
Dulaque aggiunse:
“Proporrei che il duello fosse in realtà uno scontro due contro due: io
affiancherò il principe e la Guardiana aiuterà il Bibliotecario.”
Flynn fu costretto ad
accettare, nonostante non gli piacesse per nulla affrontare in un combattimento
all’arma bianca Lancillotto del Lago, che mai aveva perso un duello. Temeva
soprattutto per Eve.
“Molto
bene, domattina avrà luogo il duello.” annunciò Elatha,
dopo che il Bibliotecario confermò che accettava la sfida.
“Perché
non subito? Così ci leviamo il pensiero.” chiese Eve,
che non aveva voglia di perdere tempo e riteneva un’ipocrisia godere
dell’ospitalità di qualcuno che, il giorno dopo, avrebbe potuto ucciderli.
Il
principe spiegò: “I duelli possono durare diverse ore e, per questo, è bene
cominciarli al mattino; ormai il tramonto è vicino e non mi piace interrompere
i combattimenti. Inoltre, la mia amica sta venendo a trovarmi: visto che domani
potrei morire, voglio trascorrere qualche ora con lei.”
Così
la trattativa venne conclusa ed Elatha congedò i suoi
ospiti, invitandoli tutti e tre al banchetto della sera.
Flynn ed Eve tornarono nella loro tenda e la donna domandò: “Che
cosa intendeva col termine amica?”
“Amante
o fidanzata. È un termine che veniva usata nei vecchi testi per indicare una
donna con cui si avesse una relazione d’amore, ma non sancita dal matrimonio.”
“Ah,
ecco, mi pareva! Perché parla all’antica?”
“Te
l’ho detto, i Fomori sono fatti così; anche la decisione
di risolvere tutto con un duello è un retaggio medievale. Loro sono una razza
estremamente longeva, quindi a livello di cultura e società evolvono più
lentamente.”
Flynn ed Eve avevano deciso di restare nella tenda fino all’ora di
cena; mancavano un paio d’ore e la donna non aveva un gran piacere a stare in
mezzo ai Fomori, insomma aveva visto molte cose
strane da quando era in Biblioteca, ma a quelli faticava ad abituarsi.
Durante
l’attesa, però, ci fu qualcosa che destò la loro attenzione: un brusio
generale, indicò loro che qualcuno era sopraggiunto al campo. Uscirono per dare
un’occhiata, supponendo si trattasse dell’amica del principe; vennero informati
che era davvero lei la nuova arrivata e, quindi, si stupirono non poco, quando
la videro e si resero conto che era un’umana. La meraviglia aumentò a cena,
quando ne conobbero il nome: Enya.
“Ma
non si chiama così anche la tizia che conosce Stone?” chiese, sottovoce, Eve, dopo le presentazioni, quando iniziarono a mettersi a
tavola.
“Omonimia?”
ribatté Flynn.
“Non
mi risulta sia un nome molto diffuso, non credo che la cantante di musica
celtica sia così famosa da rilanciare il suo nome all’anagrafe.”
“Ma
la conoscente di Stone è italiana, probabilmente si chiama Ennia
e lui lo pronuncia male; tu l’hai visto scritto il suo nome?”
“No,
ma ricordo il cognome, provo a fare una ricerca su google, ho campo per
fortuna.”
Eve digitò il nome della ragazza su
google e trovò alcuni articoli scritti da lei o relativi ad alcune delle sue
ultime attività museali od archeologiche. Trovare una foto non fu difficile e
la mostrò a Flynn, dicendogli: “È lei. Come fa ad
essere qua?”
Il
Bibliotecario sussurrò: “Allora, abbiamo un’archeologa che non batte ciglio
davanti alla progenie di Tuchulcha ed è in intimità
con un principe fomoriano. Dovremo cercare di saperne
di più … ma non ora; adesso basta parlare di lei, potremmo infastidire il
nostro ospite.”
“
… che comunque domani tenterà di ucciderci.”
“Osserviamo,
piuttosto, le sue interazione con Dulaque, sono
curioso di scoprire se sono in buoni rapporti, oppure no.”
Finalmente
si misero a sedere; la tavola era come quella del pranzo, bassa e lunghissima;
al centro era seduto il principe, alla sua destra c’era Dulaque,
a sinistra Enya, mentre di fronte sedeva Flynn con accanto Eve.
“Sono
molto contenta e onorata di incontrare il Bibliotecario.” disse Enya, mentre veniva servito l’antipasto “Immaginavo che
prima o poi lo avrei incontrato, ma non credevo così presto.”
“Come
mai riteneva che ci saremmo incontrati, prima o poi?” domandò Flynn.
“Gli
ambienti che frequento, i miei interessi … sono certa che prima o poi mi
arriverà almeno un’ammonizione da parte della Biblioteca.”
“Di
cosa si occupa?” chiese Dulaque.
“Principalmente
della ricerca della Verità.”
“E
dove la cerca?”
“Oltre
i veli che la proteggono.”
“Allora
dovrà spesso scontrarsi con la Biblioteca” insisté Dulaque
“Il loro mestiere è quello di nascondere.”
“Proteggere!”
specificò Flynn, veemente.
“Se
facessi la tessera, mi lascereste prendere libri in prestito?” chiese, ironico,
l’uomo.
“Basta.”
intervenne il principe “Non voglio litigi alla mia tavola. Siete tutti miei
ospiti e voglio che ciascuno sia felice, non posso tollerare alcuna offesa da
parte di chicchessia.”
Gli
animi si calmarono, almeno apparentemente, e continuarono a cenare, parlando
poco; gran parte della conversazione era tra Elatha
ed Enya, con argomenti su cui ogni tanto
intervenivano sia il Bibliotecario che il suo nemico. Mentre attendevano la
seconda portata, frittura di pesce, Dulaque chiese al
principe: “Altezza, avete senza dubbio un’ottima amica, mi stupisce la sua
conoscenza, ditemi, come l’avete conosciuta?”
“È
passato molto tempo; un’estate lei passava molto tempo in riva al mare, io l’ho
notata, l’ho avvicinata, abbiamo iniziato a parlare e il resto è venuto da sé.”
Dulaque parve deluso da
quella risposta, probabilmente aveva sperato di carpire qualche informazione
sulla donna, con quella domanda.
La
conversazione generale continuò, spaziando da una tematica all’altra, finché Enya non fissò Flynn e gli disse:
“Ho una curiosità che mi attanaglia da diverso tempo, spero possa e voglia
rispondermi, che rapporti ci sono stati tra la Biblioteca e i Templari? Intendo
dire che il loro tesoro non era solo in denaro, ma avevano anche diversi
artefatti, quindi mi sono sempre domandata se fossero in competizione con la
Biblioteca, oppure se collaborassero.”
“Fu
una questione delicata, di cui non mi è permesso parlare.” rispose Flynn.
Templari
… il pensiero del Bibliotecario rimase fermo alcuni istanti su quell’ordine,
sul loro modo d’agire, sul fatto di essere stati dei banchieri con filiali
diffuse per tutta Europa, per i preziosi gioielli e manufatti che venivano loro
dati in custodia …
“Eureka!”
esclamòFlynn,
il suo sguardo brillò di contentezza e si rivolse al principe: “Vostra Altezza,
mi permettete di riaprire la discussione circa il vostro tridente di Poseidone? Avrei una proposta da sottoporvi.”
“Sentiamo.”
acconsentì Elatha.
Dulaque fu turbato, ma
per il momento non protestò.
“Voi
avete detto che il tridente vi serve come simbolo per ostentare il vostro
potere e la vostra storia. Suppongo, dunque, che lo farete sfilare e lo
mostrerete durante alcuni eventi e festività, ma che per la maggior parte del
tempo lo terrete chiuso da qualche parte. Dico giusto?”
“Finora
sì, proseguite.”
“Che
cosa ne pensate di depositare il tridente in Biblioteca, affinché sia al sicuro,
quando non lo usate per le celebrazioni? Voglio dire: quando vi servirà lo
potrete prendere liberamente, per il resto del tempo sarà protetto in
Biblioteca.”
“Mi
sembra un compromesso accettabile.” ragionò Elatha.
Dulaque, risentito,
decise di intervenire: “Protetto non mi sembra sia un aggettivo adeguato, dal
momento che il tridente è già stato rubato una volta.”
“Vero.”
ammise Flyn “Ma quando è accaduto eravamo solamente
in due a gestire la Biblioteca, adesso il personale è cresciuto e siamo in
sette, quindi anche la sicurezza è migliorata.”
Dulaque stava per dire
qualcosa, ma Enya fu più veloce: “Mi pare una
splendida idea.”
Elatha convenne: “Sì,
penso sia una soluzione migliore rispetto a quella del duello. Perfetto, dopo
cena, io e voi, signor Bibliotecario, andremo nella mia tenda a scrivere l’accordo
e firmarlo. Poi festeggeremo tutti assieme.” fece cenno a uno dei suoi
servitori e gli disse: “Avverti i musici che questa sera si farà baldoria e
balleremo fino a tardi!”
Così
avvenne, finirono di cenare e poi, mentre i servitori sparecchiavano,
toglievano i tavoli e preparavano lo spazio per le danze, Flynn
e il principe si ritirarono per redigere e ratificare il proprio accordo. Eve aspettava fuori dalla tenda. Enya,
invece, si era un poco allontanata, aveva bisogno di fare due passi dopo una
così ricca cena. Mentre passeggiava, un po’ distante dal campo, vide un’ombra
venire verso di lei, prima che potesse capire che cosa stesse accadendo, la
donna si ritrovò spinta con la schiena contro il tronco dell’albero, un istante
dopo, Dulaque la teneva bloccata e le puntava il suo
spadino alla gola.
“Dimmi
chi sei.” le ordinò con estrema calma.
“Mi
conosce già.”
“Voglio
maggiori spiegazioni, rispetto a quello che ci hai detto di te a cena. Se non
lo farai, ti considererò una nemica e ti ucciderò.”
“Come
pensi che reagirebbe Elatha?” lo sfidò la donna.
“Se
ne farà una ragione: un essere longevo come un Fomoro
sa che non può affezionarsi troppo agli umani … Ammesso che tu sia umana.” l’uomo
manteneva la flemma “Perché hai aiutato il Bibliotecario, parlando dei
Templari?”
“Non
l’ho aiutato, l’idea l’ha avuta da solo.”
“Non
ci avrebbe pensato, se non fosse stato per il tuo riferimento!”
“Lo
sta sottovalutando, io credo.”
“Dimmi
chi sei. Sembri avere estrema dimestichezza con il sovrannaturale, com’è
possibile per un’umana? E, se non sei umana, perché non ti conosco già?”
Enya lo fissò
qualche istante, indecisa: avrebbe voluto ricorre alla magia per liberarsi ma
questo non avrebbe certo persuaso l’uomo a desistere dallo scoprire chi era,
anzi lo avrebbe fatto infuriare e reso più determinato. Dunque decise di
rispondere: “Già mi conosce. Avevo quindici anni, l’ultima volta che ci siamo
visti, poco prima che io mi recassi ad Avalon con mia
madre e mia nonna, ove vissi per quattro anni. Tu ben sai come siano differenti
gli anni là, rispetto a qua. A diciannove anni mi hanno rimandata sulla Terra,
perché non lo so neppure io, volevano che facessi esperienza per conto mio e
così sono trascorsi altri cinque anni per me.”
Dulaque si accigliò,
pensieroso, e domandò di nuovo: “Chi sei …?”
“Non
mi riconosci, ancora? Hai ridotto in fin di vita mio padre, che era uno dei
tuoi più cari amici e non solo. Era lui il migliore dei cavalieri, finché non
sei giunto tu, con i tuoi famigliari. La tua fama ha offuscato la sua, ma il
duello che poi lo ha portato alla morte, ha certo dimostrato che era lui il
migliore dei due. Avete combattuto un giorno intero e non sei riuscito a
sconfiggerlo; le ferite che riportò gli causarono la morte, poiché non vi era
un medico che potesse curarlo e lui volle comunque mettersi in marcia. Il vostro
non fu un pareggio, ma una vittoria per mio padre, se si considera che tu avevi
cinquant’anni e lui settanta.”
“Enya!” esclamò in un sussurrò Dulaque,
sorpreso; rinfoderò la spada e disse: “Ero convinto fossi morta da tantissimo
tempo! Perché tua madre e tua nonna non mi hanno mai detto che eri con loro?”
“Solo
loro lo sanno. Io sapevo che eri vivo e quello chestavi facendo; quando sono ornata sulla
Terra, loro mi hanno proibito di cercarti.”
Dulaque scosse il capo,
poi disse amareggiato: “Mi dispiace per tuo padre, aveva perfettamente ragione
ad essere furioso con me.”
Enya si addolcì un
poco: “Già, ma se invece di intestardirsi a volerti uccidere, avesse accettato
le altre ammende che gli avevi proposto, forse tutta la storia avrebbe potuto
andare diversamente.”
“Recentemente
ho cercato di tornare ai vecchi tempi e cambiare le mie azioni, ma il
Bibliotecario me l’ha impedito.”
“Torniamo
dai Fomori, siamo via da troppo tempo.”
Enya si incamminò
rapidamente verso l’accampamento, senza curarsi del fatto che Dulaque avrebbe preferito continuare la conversazione.
I
musicisti stavano già suonando delle allegre melodie molto ritmate e molti Fomori ballavano di già; anche Flynn
ed Eve stavano danzando. Ethala
si avvicinò alla propria amica, appena la vide tornare, le porse la mano e
cominciarono a ballare a propria volta.
Tutta
la nottata, dunque, trascorse con grande gioia e festa.
Flynn ed Eve rientrarono in Biblioteca, recando seco il tridente di Poseidone. Prima di riferire quanto accaduto, chiesero a
Stone e Jenkins di raccontare dell’esito della loro
missione. Jacob raccontò tutto, omettendo solo il dettaglio dell’incantamento della
spada.
Flynn ascoltò con
attenzione, poi raccontò come si era svolto l’incontro col principe fomoro.
Stone
rimase alquanto perplesso nell’apprendere della presenza dell’archeologa a quel
raduno; Jenkins, invece, si concentrò su un altro
dettaglio e fece molte domande sull’atteggiamento che Enya
avesse avuto nei confronti di Dulaque. Flynn gli comunicò le proprie impressioni e disse che
secondo lui c’era stato un cambiamento tra la cena e la festa, ma purtroppo non
era in grado di dare maggiori dettagli.
In
Biblioteca continuarono i preparativi per il Conclave, per lo più questioni
organizzative, burocratiche e relative alle culture delle varie entità
invitate. I tre giovani non erano particolarmente entusiasti, ma Flynn continuava a dire loro che quella era un’ottima
occasione per imparare gli usi e i comportamenti da tenere con le creature
sovrannaturali.
Un
giorno, però, il Libro dei Ritagli cominciò a tremare e subito Cassandra, Stone
ed Ezekiel si precipitarono a guardare di cosa si
trattasse.
Cassandra
iniziò a leggere: “India. Fa parlare
sempre più di sé Sri ArthagochaMuni,
bramino originario del Bhagalpur, che recentemente è
stato scopritore di un antico tempio scavato nella roccia, nei pressi di Elephanta,
località già nota per i suoi templi nelle grotte. La particolarità del tempio
ritrovato e riportato in uso dal santone è che si tratta dell’unico santuario
dedicato al dio Brahma di cui si abbia notizia, se si
esclude quello eretto a Pushkar, nel Rajasthan. Questa volta, però, non è l’arte che porta Sri Arthagocha sotto i riflettori, bensì le sue capacità
oracolari. Pare, infatti, che da quando il bramino officia i suoi riti nel
tempio da lui scoperto, abbia sviluppato il dono della chiaroveggenza e sia in
grado di conoscere passato, presente e futuro di chiunque gli si trovi davanti.
Questa dote, vera o falsa che sia, ha dato ulteriore prestigio al tempio e allo
stesso Arthagocha, presso il quale ogni giorno si recano
ormai centinaia di devoti per chiedere consiglio.”
“Un
antico tempio scoperto da poco, arte indiana …” iniziò a vagheggiare Stone “Io
andrei volentieri.”
“No!”
intervenne Ezekiel “Tu sei già stato in missione, ora
tocca a me andare a divertirmi, mentre tu resterai qui con la burocrazia.”
“Forse
dovremmo prima chiederci di cosa si tratta e poi in base a questo decidere chi
andrà.” propose Cassandra “Dovremmo avvertire Flynn e
chiedere il suo parere.”
I
tre presero il libro e raggiunsero gli altri che si trovavano nella biblioteca
principale e rilessero l’articolo anche a loro.
“Ah.”
commentò Jenkins.
“Non
ricominciare con gli Ah indecifrabili.”
lo ammonì Eve “O ci dice quello che sa, oppure sta
zitto.”
“Secondo
voi cosa può essere?” domandò Flynn, volendo mettere
alla prova i giovani bibliotecari.
“Un
talismano che permette di leggere nella testa delle persone e scoprire i loro
segreti?” ipotizzò Ezekiel.
“Fuochino.”
disse Flynn “Ma questo non permetterebbe di conoscere
il futuro. Altri?”
“Qualcosa
che permette di aprire un varco nel tempo, permettendo di scrutare attraverso
gli anni?” avanzò Cassandra.
“Interessante,
potente, ma no. Acqua, decisamente acqua.” commentò il Bibliotecario.
“Non
la tiri per le lunghe: non ci arriveranno mai.” tagliò corto Jenkins “Inoltre, noi sappiamo di cosa si tratta con
esattezza, solo perché è un’informazione contenuta nei registri della
Biblioteca, altrimenti ci vorrebbero delle indagini per capire di cosa si
tratti.”
“Cosa,
dunque?” chiese Baird.
“Un
teschio di cristallo.” rispose Flynn.
“Uno
dei tredici che, secondo gli pseudomaya, salveranno
il mondo, se riuniti assieme?!” esclamò Stone, parecchio scettico ed ironico.
“Sette,
non tredici.” precisò Jenkins “E quella è solo una fandonia.”
“Lo
so, per questo ho detto pseudo maya. I
teschi di cristallo sono di fattura europea e risalgono all’Ottocento, almeno
quelli che è stato possibile analizzare.”
“Quelle
sono riproduzioni ricreate dai Bibliotecari per sostituirle con gli originali
che, invece, abbiamo noi.” disse Flynn.
“Quindi
esistono davvero dei teschi di cristallo antichi di millenni?!” si entusiasmò
Jacob.
“Sì.”
continuò il Bibliotecario “Risalgono alla cultura Vallinda,
gli abitanti originari dell’India, invasi, sottomessi e poi assimilati dagli Arya. La prima fase religiosa dell’India, nota agli accademici,
è quella relativa al Vedismo che, successivamente,
subendo forti influenze valle tradizioni Vallinde, si
è trasformato nell’attuale induismo. Ora, in Biblioteca, noi abbiamo molte
informazioni sui Vallindi, sappiamo che il concetto
dei sette chackra risale a loro.”
“Chackra, come in Naruto, figo!” esclamò Ezekiel.
“No,
non c’entra nulla.” Jenkins scosse il capo con
disappunto “Ogni persona è collegata sia alle energie terrene che a quelle
spirituali, è attraversata da una sorta di filo energetico che ci tiene
ancorati al mondo e ci proietta nell’iperuranio. Questo
flusso è composto, per così dire, da sette blocchi, chiamati appunto chackra, corrispondenti ad altrettante parti del corpo, connessi
con funzioni inizialmente fisiche e poi, via, via, sempre più astratte. Tramite
meditazioni, esercizi ed altro, questo flusso può essere più o meno potente e
permette di sviluppare numerose capacità e qualità. Si può sviluppare anche un
solo chackra, ma il percorso ideale, secondo le
tradizioni indiane, è quello di evolverli tutti quanti in ordine progressivo. Per
questo usano spesso l’immagine della Kundalini: un
serpente addormentato alla base della spina dorsale che deve essere svegliato e
risalire lungo i sette chackra.”
“Che
cosa c’entra con i teschi?” chiese Ezekiel.
Flynn spiegò: “I
teschi di cristallo servono per potenziare i chackra;
sono sette e ognuno corrisponde ad un preciso centro energetico. Generalmente,
la posizione della Biblioteca circa i teschi è di tenerli separati e in luoghi
nascosti e difficilmente raggiungibili. Quando qualcuno trova uno dei teschi, o
si sta avvicinando ad esso, noi andiamo a recuperarlo e lo teniamo in
Biblioteca fino a ché non gli troviamouna nuova sistemazione.”
“Perché
non tenerli tutti uniti in Biblioteca?” domandò Cassandra.
“I
teschi sono come i sette chackra della Terra.” spiegò
Jenkins “Dunque la loro presenza sul pianeta è
fondamentale per mantenere certi equilibri. Essendo la Biblioteca in uno spazio
dimensionale a sé stante, tenere i teschi presso di noi è piuttosto rischioso
per l’incolumità della Terra.”
“Quindi
sappiamo che si tratta di un teschio di cristallo, perché un Bibliotecario l’aveva
nascosto da quelle parti?” chiese conferma Cassandra.
“Precisamente.”
annuì Flynn “Dovrebbe essere quello corrispondente al
sesto chackra che potenzia le capacità intellettive e
logiche.”
“E
perché dovrebbe rendere capaci di predire il futuro?” domandò Ezekiel.
“Grandi
capacità logiche possono consentire deduzioni che ai più possono apparire come
profezie.” spiegò Jenkins “Come Sherlock Holmes che
da dettagli apparentemente insignificanti, che nessuno nota, riesce scoprire un’infinità
di cose. Il santone di cui parla il Libro dei Ritagli, probabilmente osserva le
persone che ha davanti e grazie ai loro abiti, il loro aspetto, i gesti, i toni
e molti altri elementi è in grado di trarre conclusioni sia sul passato, sia sul
presente, sia sul futuro dell’interlocutore.”
Ezekiel iniziò: “Ok,
quindi andiamo ad Elefantcity …”
“Elephanta!”
lo corresse Stone.
“Va
beh, lì. Dobbiamo andarci, trovare il monaco, rubargli il teschio e riportarlo
qua. Ottimo! Direi che il compito spetta a me.”
“No.
Sì.” disse Flynn “Andrete tutti e tre.”
I
giovani furono entusiasti e si prepararono subito alla partenza.
“Elephanta,
isola a trenta chilometri da Mumbay, nome originario Gharapuri; famosa soprattutto per le sue grotte. Due gruppi
di caverne scolpiti, il primo composto da cinque antri induisti,
prevalentemente shivaiti, l’altro da due grotte
buddiste. Ora si aggiunge la misteriosa caverna di Brahma.”
“Stone,
basta. Hai memorizzato la guida turistica?” domandò Ezekiel,
annoiato.
“Ti
sto acculturando! Inoltre, stiamo andando in missione e non ci farà male avere
qualche informazione sul luogo in cui ci troviamo.”
Appena
arrivati, Jacob aveva iniziato a snocciolare le sue conoscenze.
“A
me basta sapere dove si trova il teschio.” ribatté il ladro.
Stone
lo fulminò con lo sguardo e poi disse: “Noi adesso andremo a visitare i templi
e terremo le orecchie ben aperte: il bramino ha molto prestigio, quindi è
probabile che sentiremo parlare di lui, di quello che fa e, così, otterremo
informazioni.”
“C’è
un piccolo dettaglio che non hai considerato nel tuo piano.” ribatté Ezekiel “Non so tu, ma io non conosco l’indiano, non capirò
una parola!”
“Sei
un turista, ti circonderanno per convincerti a comprare cose o spendere soldi in
un qualche modo, quindi saranno loro a parlarti in inglese.”
Attraversarono
un piccolo mercato di frutta, verdura e pesce, in cui la merce era esposta
adagiata su lenzuoli, stesi per terra. Le donne indossavano sari colorati, mentre gli
uomini avevano camice a maniche corte a righe o quadrettoni
eil dotee,
una sorta di pareo di lino che arrivavava fino alle
ginocchia.
arrivarono
vicino all’ingresso delle grotte e furono avvicinati da numerosi venditori
ambulanti: alcuni avevano statuette in pietra, altri dipinti su stoffa o foglie
di palma, altri tamburi di varie dimensioni, i bambini mostravano collanine e
cavigliere, le donne pashmine di seta. Erano venditori
ben determinati che non si arrendevano al primo no.
Stone
non li allontanò, anzi, acquistò un paio di statuette, pagando in dollari per
accattivarsi labenevolenza dei mercanti,
poi diede loro appuntamento nello stesso luogo, ma dopo un’ora, perché prima
voleva visitare le grotte.
Jacob
si entusiasmò nell’ammirare i bassorilievi e le colonne scolpite e scavate nella
roccia: un vortice di immagini, di figure di dei, di ninfe, demoni o semplici
decori, si intrecciavano e armonizzavano gli uni con gli altri, riempiendo
tutto lo spazio, ogni millimetro possibile, in pochi centimetri erano scolpite
decine di figure, come se gli scultori
fossero stati vittime dell’horror vacui.
Stone,
con grande trasporto, indicava ora Shiva e Parvati,
ora il Gangadhara, poi il Nataraja
e Visnu, dopo ancora la Trimurti, Ardhanarisvara
e tutto il resto.
Ezekiel si guardava
attorno disinteressato, poiché si trovava attorno solo roccia e non vi era
nulla di prezioso da poter rubare.
Cassandra,
invece, seguiva passo, passo Jacob, lo ascoltava con grande interesse e pure
gli poneva delle domande.
Alcune
statue, oggetto di grande venerazione, avevano ai loro piedi candele ed incensi
accesi, offerte di petali o granaglie e alcuni segni gialli o rossi; altre,
invece, erano state adornate con ghirlande di fiori dai colori sgargianti.
Dopo
la visita, nel cortile del tempio, dove c’era una larga piscina per le
abluzioni, Stone e Cassandra si avvicinarono ad un sacerdote che lì benedì e li
segnò col tipico puntino tra le sopracciglia e poi li fece girare tre volte
attorno ad un albero di mango. Solo in seguito i due giovani scoprirono che
quello era un rito propiziatorio a cui solitamente si sottoponevano gli sposi. Nel
cortile c’era anche un elefante con la fronte dipinta che, per qualche rupia,
benediceva i pellegrini, appoggiando la propria proboscide sulle loro teste.
Stone
chiamò un attimo vicino a sé Ezekiel e gli sussurrò
qualcosa, poi illadro si allontanò.
Jacob e Cassandra, invece, tornarono nel punto in cui li aspettavano gli
ambulanti. Stone fu nuovamente generoso con loro, comprò anche una pashmina e una cavigliera che regalò alla donna. Poi,
vedendo i venditori ben contenti, domandò loro dove potesse trovare qualche
indovino. Esattamente come si aspettava, gli ambulanti non lo portarono davanti
ad una delle tante chiromanti che si potevano trovare normalmente attorno ai
templi, ma lo condussero più lontano, proprio al tempio di Brahama
dove risiedeva Sri ArthagochaMuni,
davanti al quale non avrebbero mai portato un Occidentale, se non in casi
eccezionali, come appunto così tanta generosità. Ci sono templi e sancta
sanctorum in cui, appunto, non è concesso agli Occidentali di accedere, di
norma.
“Jacob,
c’è un dettaglio a cui non hai pensato.” osservò Cassandra, sottovoce, mentre “Se il bramino può dedurre tutto, capirà
allora anche le nostre intenzioni, non credi?”
“Sì,
ma le nostre intenzioni sono quelle di vedere il teschio, Ezekiel
ha quella di rubarlo e lui, al momento non c’è.”
“Dici
che funzionerà? Riusciremo a nascondere chi siamo?”
“Suvvia,
il teschio potenzia le capacità intellettuali. Il bramino avrà un quoziente
intellettivo nella norma, anche potenziato non potrà superare il nostro. Insomma,
io ho un Q.I. di 190, tu probabilmente anche di più!”
“No,
io ho un tumore …”
“Sono
sicuro che non è solo quello.”
“Comunque
l’essere intelligenti non ci rende capaci di fingere e riuscire a sviare le
deduzioni del bramino.”
“Ce
la caveremo, rilassati.”
Arrivarono
finalmente al tempietto, il venditore che li aveva guidati li accompagnò fin
dentro, li presentò a Sri ArthagochaMuni, poi li lasciò soli e se ne andò.
“Non
siete turisti.” esordì il bramino, parlando in inglese perfetto.
Non abbiamo
macchine fotografiche o altre cose da turista – ragionò Cassandra.
“Il
vostro scopo era giungere qui, i vostri sforzi tendevano a quest’incontro. Una grande
consapevolezza vi permea.”
“Noi
siamo studiosi, ricercatori del sapere e degli antichi manufatti che donano
potere.” Cassandra parlò così, poiché era convinta che dire la verità,
omettendone una parte, fosse più sicuro che mentire “Noi sappiamo del teschio
di cristallo che la aiuta a conoscere la realtà. Vogliamo ammirare la fonte di
un sapere così vasto!”
Il
bramino annuì, poi disse: “Giunsi qui tre anni fa per dedicarmi alla meditazione
e così feci giorno dopo giorno, assorto solo alla contemplazione del Brahma. Dopo mesi e mesi mi sono accorto di avere ricevuto
il dono di conoscere il passato e il futuro delle persone, nell’attuale
incarnazione. Ho ritenuto che questo fosse un dono di Brahama.
Qua dentro, non ho mai visto teschi, tantomeno di cristallo, ma se volte
cercate pure.”
“Se
lo troviamo, potremo tenerlo?” domandò Stone.
“Ad
una condizione: dovrete scoprire dov’è senza cercarlo.”
“In
che senso?”
“Stando
fermi, guardandovi attorno, dovrete capire dov’è nascosto: non potrete girare
per il tempio e setacciarlo.”
“D’accordo,
va bene.” acconsentì Cassandra, con cipiglio determinato.
“Sei
sicura?” le chiese, piano, Jacob.
“Sì.
Il teschio è stato nascosto da un Bibliotecario, l’avrà messo in un posto
intuibile per un altro Bibliotecario, tramite la logica e il sapere.”
“Hai
ragione, ma dobbiamo capire qual è il punto da cui è necessario osservare.”
“Ti
viene in mente qualcosa che può essere considerato come asse del mondo, per gli
indiani?”
“Certo,
il monte Meru!” Stone si guardò attorno, trovò un bassorilievo che
rappresentava quel monte “Ecco! È da lì che dobbiamo osservare.”
I
due bibliotecari si misero in posizione. Cassandra iniziò a guardare il tempio
da quella prospettiva, poi iniziò a ragionare: “Ci sono sette chackra, quello del teschio è il sesto … Stone, ci sono dei
numeri sacri o ricorrenti nella tradizione indiana, che tu sappia?”
“Beh,
sette sono anche le terre e gli oceani concentrici che si dipanano dal monte
Meru.”
“Quindi
abbiamo il quattordici.”
“Quattro
sono le epoche in cui è divisa la storia ed è anche il numero delle caste e dei
Veda. Poi c’è il diciotto che per loro è un numero sacro. Tre sono le divinità
principali, a cui si aggiunge o affianca la Dea … che altro? … Ah, dieci sono
le principali incarnazioni di Visnu.”
“Questo
è un tempio di Brahma, sai dirmi qualcosa su di lui?”
“È
il creatore, ha quattro teste, tiene in mano un loto, un vaso d’acqua, i Veda e
una sorta di rosario, usa come veicolo un cigno o un’oca ed è sposato con la
dea della saggezza che di solito ha in mano un sitar,
una specie di benjo.”
“D’accordo
…” Cassandra visualizzò una versione geometrica del tempio, nella mente iniziò
a tracciare linee, fare calcoli, integrare lo schema con le immagini … esclamò:
“È là!” indicò un altorilievo sulla parete ad est.
I
due giovani si avvicinarono, Stone osservò l’immagine e commentò: “Certo! Il frullamento dell’oceano di latte, da cui sono emersi grandi
artefatti! Era logico che l’avessero messo qui … ma qui dove? Non lo vedo.”
Cassandra
toccò una parte dell’altorilievo dov’era rappresentata una tartaruga. Jacob si
accostò, lo guardò con maggiore attenzione e disse: “Non è di pietra come gli
altri, è successivo … e scommetto che si può rompere facilmente.”
L’uomo
assesto un paio di poderosi pugni alla scultura della tartaruga e il guscio si
crepò. Con le mani tirò via i frammenti di materiale posticcio e così poté
estrarre il teschio di cristallo che era stato nascosto lì dentro.
Stone
e Cassandra esultarono, felici, e istintivamente si abbracciarono, per
festeggiare.
Il
bramino mantenne la parola data e li lasciò andare via con il teschio, senza
protestare. Fuori dal tempio trovarono Ezekiel, un po’
contrariato che protestò: “Stone, mi avevi detto di seguirvi a distanza, pronto
a rubare il teschio, mentre voi avreste distratto il santone e invece ve lo
siete presi da soli! Non si fa così, mi hai tolto tutto il divertimento!”
“Prenditela
con il bramino, è lui che ci ha dato il permesso di prelevarlo, senza dover
ricorrere al furto!”
Tutti
e tre furono comunque soddisfatti e tornarono in Biblioteca felici del rapido e
buon esito della missione.
“Uno dei maestri di Eliphas
Levi–scriveDimitri-il polacco Wronski,
era sicuro di aver scoperto la legge della creazione, che si risolveva in
un’espressione matematica. Era tutto razionale e governato dal linguaggio
preciso e assoluto dei numeri. Il polacco era riuscito addirittura a costruire
una macchina, il prognometro, in grado di predire il fututo.” Jenkins stava
leggendo ad alta voce, davanti a Flyn “Prossima
fonte: Lavorò su una machciana
del moto perpetuo,sulla quadratura del cerchio
e su una macchina in grado di predire il futuro. Altra: Wronski ritrova attraverso il calcolo le leggi dell’armonia universale e la
sintesi politica ideale e costruisce una strana macchina di corrispondenze, il prognometro, ereditato da Eliphas
Levi. Un testa degli anni Trenta, invece, asserisce che Levi abbia
recuperato e restaurato il prognometro e che in quel
tempo era entrato in possesso della setta di Papus. Papus, il fondatore dell’Ordine Francese Maritinista, il Primo Presidente del Consiglio Supremo dell’Ordine
Martinista! Ho la conferma che è ancora presso di
loro.”
“Capisco
ma perché ci interessa? Il Libro dei Ritagli ce lo ha segnalato?” domandòFlynn.
“No.
Tuttavia, i seguaci di Papus sono il gruppo di
occultisti più attivi di cui abbiamo notizia. Finché la magia non era nel
mondo, potevano fare molto poco, nonostante sforzi e rituali, adesso invece
rischiano di diventare pericolosi, oltre che probabilmente si alleeranno con Dulaque, se non l’hanno già fatto; dunque bisogna agire.”
“Sì,
questo è effettivamente un problema, ma cosa c’entra col prognometro?
Dovremmo sgominare loro in generale e non recuperare un marchingegno che
prevede cose e, se fa solo questo, mi pare piuttosto innocuo.”
“Potrebbe
tornarci utile durante il Conclave, mostrerebbe quali sarebbero le conseguenze
delle decisioni prese. La Biblioteca parte sicuramente in svantaggio e, se
vogliamo dimostrare di avere ragione, dovremo ricorrere anche a strumenti di
questo tipo, il cui operato sia oggettivo e, quindi, insindacabile.”
“Non
credo che una macchina costruita da un occultista non accreditato possa avere valore
davanti al Conclave, i membri la contesteranno, sicuramente.”
“Io
voglio tanto studiarla!” confessò, infine, Jenkins
“Le idee di Wronski avevano colto in parte la realtà
e, quindi, sono tanto curioso di analizzare il suo prognometro
e vedere cosa aveva escogitato e su quali criteri! Per tutti questi anni ho
creduto che quella macchina fosse andata distrutta ora, invece, che so che è
ancora integra, non vedo l’ora di poterla avere nel mio laboratorio!”
“Stiamo
preparando il Conclave, possiamo dedicarci solo a quello che il Libro dei
Ritagli ci segnala. Lo sa bene anche lei quanto la situazione sia delicata e
che i ragazzi non sono ancora pronti e necessitano di essere istruiti sul
protocollo.”
“Insegnare
il protocollo a quelli? Rinuncerebbe pure il professor Higgins
de Il Pigmaglione.”
“Ezekiel forse … ma Cassandra e Stone se la cavano già
abbastanza bene.”
“Allora
mi accordi due o tre ore di tempo per recuperare il prognometro,
non sarà un danno.”
“Due
o tre ore?!” si meravigliò Flynn
“Certo,
io non tiro per le lunghe le mie questioni. Inoltre, in realtà, anche se lei
non accetterà, io andrò comunque.”
“Allora
perché me lo chiede?”
“Buona
educazione.”
“D’accordo,
faccia come vuole, ma si porti dietro Ezekiel.”
“Non
ho bisogno del suo aiuto!”
“E
io non ho bisogno della sua irrequietezza in giro per la Biblioteca, lo porti
con sé.”
“Finalmente
ammette che avevo ragione io a lamentarmi dell’invasione della mia sede!”
“Era
da un po’ che non te ne lamentavi.” scherzò Flynn.
“Sono
rimasto parecchio indietro con la mia ricerca, ma in compenso ho potuto
rivivere situazioni che avevo messo da parte molto tempo fa … e non so se sia
un bene …”
“Che
cosa intende?” si incuriosì il Bibliotecario.
“Ha
presente quando le piace fare qualcosa e ricomincia a farla, anche se aveva
deciso di smettere?” era diventato malinconico “E allora non sa più se sta
agendo secondo giustizia o solo perché sta riassaporando ciò che la fa sentire
vivo …” sospirò poi cambiò tono: “Bene, vado ad avvisare il signore Jones e
partiamo subito. Tra poche ore saremo di ritorno.”
“D’accordo,
buona fortuna!” disse Flynn che era rimasto colpito
dal momento di amarezza che aveva colto Jenkins.
Il
Bibliotecario volle saperne di più; ritenendo di non poter ottenere quel tipo
di informazioni da Judson, decise di tentare la
sorte, rivolgendosi a Charlene. Flynn
la cercò e poi le raccontò del breve dialogo che aveva appena avuto e le chiese
se sapesse a cosa si riferisse Jenkins.
La
donna era indecisa: c’erano cose di cui non parlavano né ai Bibliotecari, né ai
Guardiani, tuttavia Flynn era con loro da dieci anni
e Judson confidava molto in lui e riteneva che
sarebbe potuto essere più che un Bibliotecario; forse quindi poteva
raccontagli.
No.
Judson avrebbe deciso se e quando gli avrebbero
raccontato la verità completa.
Charlene, tuttavia, non
voleva neppure lasciare Flynn senza una risposta, per
cui decise di spiegargli parzialmente: “Jenkins è
nella Biblioteca da tantissimo tempo, meno di me e Judson,
ma comunque moltissimo. Non è sempre stato chiuso in una sede, anzi, all’inizio
ha lavorato a lungo sul campo, ha affrontato direttamente il pericolo, tante,
tante, tantissime volte.”
Flynn, meravigliato,
chiese: “È stato un Bibliotecario?” non ricevette risposta “Un Guardiano?”
ancora nulla.
“Sono
venuti giorni difficili.” continuò Charlene “Confusione,
parti in lotta, il confine tra giusto e sbagliato sfumarono.”
“Un
po’ come adesso.”
“Peggio,
decisamente. Stragi, rivalità tra fazioni pronte a tutto per prevalere … si era
sul punto del collasso, anzi probabilmente qualcosa è collassato. Abbiamo tutti
quanti noi perso moltissimo e Jenkins è rimasto
parecchio scosso e turbato. Ha deciso di farsi da parte, di abbandonare la
prima linea … è stato il suo modo di affrontare, superare o negare il trauma,
non so questo lo dovrebbe dire uno psicologo. Il vostro arrivo nella sua sede
ha certamente ridestato in lui ricordi dolorosi, da cui ha cercato di
proteggersi con il suo atteggiamento. L’essere coinvolto nelle indagini
condotte dal colonnello Baird e delle nuove leve,
deve alla fine aver fatto riemergere il suo spirito avventuroso di un tempo,
con il quale, tuttavia, si sente ancora in conflitto. Gli piace avere a che
fare col soprannaturale ma, allo stesso tempo, conosce anche il prezzo di
queste situazioni.”
“La
responsabilità della Biblioteca!” commentò Flynn,
annuendo “Lo posso ben capire.”
“Ti
sembrerà incredibile, ma ha visto cose peggiori di quelle che hai visto tu. Io
e Judson abbiamo reagito in un modo, abbiamo
perseverato, lui invece è crollato.”
“Non
mi sembra depresso o qualcosa del genere.”
“Ha
avuto tempo per metabolizzare in parte il trauma, per costruirsi un suo nuovo
sé in cui rifugiarsi, ma è ben lontano da com’era ai tempi d’oro.”
“Si
evolve, nel corso della vita, tutti cambiamo.” osservò Flynn.
“Maturare
è una cosa, fuggire è un’altra.” Charlene si alzò in
piedi “Vado a verificare se il catering ha accettato di abbassare il prezzo.”
La
donna se ne andò e lasciò Flynn solo a riflettere.
Jenkins, intanto, aveva
comunicato ad Ezekiel che avrebbero affrontato una
missione assieme.
“Non
so se essere più stupito per il fatto che lei esca dalla sede o perché vuole
che l’accompagni.” commentò il ladro.
“Le
garantisco che quest’ultima scelta non è mia. Ad ogni modo, c’è da compiere un
furto e, quindi, le sue qualità nel rubare saranno utili.”
“Uh,
un furto! Mi piace. Ho bisogno della planimetria del palazzo e di informazioni
sul servizio di sicurezza. Oppure entriamo direttamente con la porta sul retro?
A proposito, che cosa dobbiamo prendere? Oro? Oro maledetto? A me sta bene
comunque; secondo Flynn, pure i gioielli del faraone
erano maledetti, ma finora non ho avuto problemi.”
“Recupereremo
un’apparecchiatura. Ci introdurremo nella villa passando per l’ingresso
principale, mescolandoci tra gli invitati della festa.”
“Che
festa?”
“L’annuale
raduno mondiale dei seguaci di Papus; si ritrovano
nella villa che funge da casa-madre per le varie frange sparse per il mondo. Useremo
la mia conoscenza dell’occulto per circolare senza difficoltà, le tue capacità
per il furto.”
“Perché
non apriamo direttamente laporta sul
retro nella stanza che ci interessa?”
“Perché
non ho idea di in quale area della casa si trovi, inoltre potrebbero esserci
dei sistemi dall’allarme a infrarossi o altri sensori da disattivare.”
“Mi
sorprendi! Ma perché andiamo durante una festa? La sicurezza non sarà maggiore?”
“No,
saranno tutti distratti a conversare tra di loro e poi due estranei che si
aggirano per la villa daranno meno nell’occhio durante un raduno con gente
proveniente da tutto il mondo, piuttosto che in una serata normale.”
Il
ladro annuì e sorrise: “Bravo, hai risposto correttamente. Sai che potresti
essere un ottimo criminale!?!”
“Andiamo.”
tagliò corto Jekins, trucemente.
I
due andarono alla porta sul retro e la varcarono. Si ritrovarono nella campagna
francese, periferia di Parigi, in piena sera. Poco lontano, scorgevano un
cancello che recintava il giardino di una villetta costruita a fine Ottocento,
davanti ad esso erano fermi in piedi due uomini, probabilmente buttafuori.
“Sicuro
che non occorra essere in una lista?” chiese Ezekiel,
dubbioso, mentre si avvicinavano.
“Certo.
Amano la segretezza e non vogliono tenere registri coi nomi. Lasci parlare me.”
Jenkins precedette
di un paio di passi il ladro, si avvicinò agli uomini al cancello e disse: “Fratelli!
Tutto vostro nella santa verità!”
“Sapete
che ore sono?” domandò uno dei due custodi.
“È
mezzogiorno.” rispose Jenkins, serenamente, mentre Ezekiel si meravigliava, dato che c’era buio.
“Il
Sole è un grande amico, senza di esso nulla esisterebbe.” continuò la guardia.
“Il
Sole ha i suoi difetti, non possiamo vederlo direttamente; per fortuna c’è la
Luna che riflette la sua luce e la mitiga per i nostri occhi.”
“La
Luna ha anche un lato oscuro.”
“Sì,
il diavolo per gli stolti. Chi può chiedere consulto alla Papessa, tuttavia,
non corre rischio di perdersi.”
“Una
Papessa? E dove la trovi? Non esiste!”
“È
già passato il tredici di questo mese.”
“E
che hai fatto quel giorno?”
“Sono
sceso in cantina e ho trovato una stella fiammeggiante.”
“Una
stella in cantina? Sei matto?”
“Certamente.
Sono più che matto, sono re, con corona e regno.”
“Tanto
mi basta, potete passare.”
La
seconda guardia aprì il cancello e Jenkins e Ezekiel lo varcarono. Mentre percorrevano il breve vialetto
che conduceva all’ingresso, il giovane chiese sottovoce: “Che cosa vi siete
detti? Non aveva senso!”
“Linguaggio
in codice, basato sugli arcani maggiori, la cabala e alcune altre credenze
comuni alle correnti esoteriche europee.”
“Tu
conosci il loro linguaggio in codice?”
“Ora
sì, non è complesso, chiunque con una minima base potrebbe padroneggiarlo. Ora,
quando siamo dentro, occhi aperti per capire dove sia il loro caveau.”
“Scommetto
che sono tradizionalisti: scommetto quello che vuole che le cose preziose le
tengono nel seminterrato.”
I
due entrarono nella villa, si mescolarono tra la folla, parlarono con alcuni Francesi
che abitualmente si ritrovavano lì; quest’ultimi mostrarono loro la sala delle
riunioni, le altre stanze legate alle attività dell’ordine e i corridoi lungo i
quali si potevano ammirare collezioni di quadri, vasi e armi; raccontarono
delle loro pratiche, dei recenti successi e altre questioni. C’erano moltissime
persone e, per fortuna, la circolazione per le stanze era libera.
Ezekiel si convinse di
aver avuto ragione fin da subito: le cose preziose erano nel seminterrato;
aveva già svaligiato ville simili e lo schema era sempre il medesimo.
I
due uomini, allora, cercarono la porta che conducesse alla cantina e la
trovarono dopo alcuni minuti; attesero di essere sicuri di non essere visti da
alcuno, cosa piuttosto difficile in quella situazione, l’aprirono e scesero la
scala. Dopo l’ultimo gradino, si trovava una porta blindata e accessibile solo
con un codice e una tessera, senza serratura.
“Riesce
ad aprirla?” domandò Jenkins.
“Posso
scassinare qualsiasi cosa.” si vantò Ezekiel “E la
cosa è ancora più semplice, quando riesco ad avere questa!” mostrò una tessera
magnetica, inserita in una custodia di plastica trasparente.
“Dove
l’ha presa?”
“Prima,
mentre lei parlava col tizio, Luis, gli ho sfilato il portafoglio e ho preso
quello che mi sembrava utile, prima di rimetterglielo in tasca.”
“Ben
fatto, ma per il codice?”
“Il
nostro amico Luis deve avere una pessima memoria, ha scritto la password su un
foglietto che ha messo nel portatessere.”
Il
ladro, tutto contento, aprì la porta. Si trovarono subito in una stanza ove
erano contenuti i registri dell’ordine, gli abiti e alcuni oggetti appartenuti
ai membri più importanti; c’erano anche alcuni pentacoli, un mazzo di tarocchi
e una spada, ma nessuna traccia del prognometro.
“Non
capisco.” disse Jenkins, confuso “Deve essere qui, ne
sono certo, lo hanno loro! Dove possono averlo messo?”
Ezekiel, intanto, stava
percorrendo la stanza, battendo con forza i piedi per terra.
“Potrebbe
smetterla?” chiese Jenkins “Il rumore potrebbe
richiamare l’attenzione della gente di sopra.”
“Shhh!” lo zittì Jones, continuando la sua operazione, per
poi dire: “Ecco, qui! Il suono è diverso, dev’esserci
una botola.”
Il
giovane si chinò, tirò fuori un piccolo coltello e con la punta passò nello spazio
tra una mattonella e l’altra, cercando di fare forza e riuscì a smuovere le
piastrelle e a rimuoverle, rivelando una botola, larga circa un metro quadro,
proprio dove aveva indicato. L’aprì e trovò una cassaforte piuttosto vecchia,
con lo sportello rivolto verso l’alto, in questo modo non era necessario
tirarla fuori, per poterla aprire. Il ladro si mise subito al lavoro.
Jenkins era piuttosto
nervoso; sentì dei passi, per sicurezza afferrò subito la spada che aveva vista
esposta, gli sembrava piuttosto antica e avvertì una strana e arcana energia,
quando la impugnò. Si appostò dietro alla porta, per poter colpire il
sopraggiunto alle spalle, impedendogli di dare l’allarme.
Sentì
i passi piùvicini, sentì i suoni della
chiusura elettronica che riconosceva come corretti tessera e codice, sentì la
porta aprirsi.
Il
suo stupore fu immenso quando si rese conto che era appena entrato Dulaque.
“Tu,
cosa ci fai qui!?!” esclamò Jenkins, per poi pentirsi
di aver parlato a voce un po’ troppo alta.
Dulaque stesso fu
sorpreso per quella coincidenza e disse: “Bibliotecari? Questo posto è più
affollato di quel che mi aspettassi.”
Ezekiel aveva alzato un
attimo lo sguardo, poi con noncuranza aveva ripreso il proprio lavoro.
“Cosa
sei venuto a fare?” chiese di nuovo Jenkins.
Dulaque posò lo sguardo
sulla spada che teneva l’altro e poi spostò gli occhi e disse: “Forse per il
vostro stesso motivo.”
“Non
avrai il prognometro.”
“Questo
è da vedere.”
“Forse
non sarà di nessuno!” esclamò Ezekiel, sbuffando “Questa
cassaforte è vecchia almeno di un secolo, ma ha una chiusura meccanica molto
complicata.”
“Aspetterò.”
disse Dulaque, con noncuranza.
Jenkins stava per
ribattere, ma entrambi gli uomini vicino alla porta si accorsero che c’era del
rumore sopra la scala. Si resero conto di non aver richiuso l’uscio e che
diversi uomini si erano accorti della loro intrusione e ora stavano scendendo.
Jenkins strinse ancora
la spada che aveva trovato, Dulaque sfoderò quella
che aveva nascosta nel bastone.
Entrarono,
come in carica, mezza dozzina di uomini, armati di coltellacci lunghi,
probabilmente presi tra quelli esposti al piano di sopra.
I
due intrusi non si spaventarono, non arretrarono di un passo e subito
accettarono la battaglia. Erano guerrieri provetti e, dunque, non ebbero
difficoltà nel far fronte a quella situazione. Jenkins,
dopo il primo assalto, si premurò di chiudere la porta, onde evitare l’arrivo
di rinforzi.
Dopo
pochi minuti, rimanevano in piedi solo tre avversari: due contro Dulaque, uno contro Jenkins. Nel
mentre, Ezekiel continuava a scassinare la
cassaforte. Jenkins riuscì a sconfiggere il proprio contendente;
stava per andare ad affrontarne un altro quando sentì un’improvvisa scarica
elettrica attraversarlo e cade a terra privo di sensi. Uno degli uomini della
setta che era stato ferito poco prima, si era appena ripreso e aveva deciso di
ricorrere ad un anello fulminante che possedeva. Dopo aver colpito Jenkins con la scarica elettrica, l’uomo si alzò in piedi
ed estrasse una pistola di piccolo calibro che aveva con sé: non l’aveva tirata
fuori fin da subito, credendo che in sei sarebbero riusciti a sopraffare due o
tre uomini.
Dulaque spaccò il cuore
di uno dei suoi avversari ed ebbe il tempo di vedere l’uomo che estraeva la
pistola e la puntava contro allo stordito.
“Nooooo!” gridò Dulaque.
Lasciò
perdere l’altro avversario che stava affrontando e si precipitò contro l’armato
di pistola; fece un affondo e la sua spada attraverso da parte a parte il
nemico che morì prima di poter premere il grilletto. Dulaque
sfoderò l’arma, si voltò e uccise l’ultimo rimasto, che si stava avventando
verso di lui. Essendo concluso il combattimento, Dulaque
si avvicinò all’inerme Jenkins e controllò il suo
battito, constatato che stava bene, si allontanò di poco; si avvicinò al
cadavere dell’uomo con la pistola e, notato l’anello, glielo sottrasse; poi si
rivolse al ladro: “Allora, Bibliotecario, hai aperto la cassaforte?”
“Ci
sono quasi ma, dato come stanno le cose, forse farei meglio a lasciarla chiusa.”
commentò Ezekiel, iniziando a temere per la propria
vita.
“Sai
che ti dico?! Tenetevi pure il prognometro. Lo volevo
per dare prestigio alla mia collezione, ma non mi serve, tenetelo pure in
Biblioteca.”
Il
ladro si stupì, non riusciva a capire: era la seconda cosa strana che vedeva
fare a Dulaque nell’arco di pochi minuti. Sentì,
tuttavia, di essere riuscito a far scattare la serratura, quindi si concentrò
su quell’ultimo sforzo. Lo sportello si aprì, Ezekiel
fu contento, sollevò di nuovo lo sguardo e Dulaque
era sparito ed era scomparsa anche la spada che aveva utilizzato Jenkins per difendersi.
Il
ladro estrasse il prognometro dalla cassaforte, lo
osservò dubbioso: aveva l’aspetto di una sfera armillare, incrociata con un
astrolabio e qualche altro arnese.
Ezekiel si avvicinò poi
a Jenkins e lo scosse, per svegliarlo; per fortuna ci
riuscì dopo poco.
“Cos’è
successo? Dov’è il prognometro? Dov’è Dulaque?!” si preoccupò l’uomo, appena sveglio, ancora
seduto a terra.
“Si
calmi: il cosometro ce l’ho io, mentre Dulaque è andato, sparito, non so che abbia fatto.”
“Come
sparito?” Jenkins era perplesso “Non ha preteso il prognometro?”
“No.
Ti ha salvato la vita e poi se n’è andato.”
“Come
mi ha salvato la vita?”
“Il
tizio, lì.” Ezekiel indicò il cadavere “Come vedi
aveva una pistola. Dulaque gli è corso addosso e l’ha
ammazzato, arrabbiatissimo, senza preoccuparsi dell’altro tale che ce l’aveva
con lui. Strano. Perché ti ha salvato?”
“La
spada.”
“Cosa?”
“La
spada, dov’è?!”
“Non
lo so …” il ladro era alquanto sconcertato.
Jenkis digrignò i
denti, poi batté il pugno per terra ed esclamò: “Accidenti! Non era qui per il prognometro, voleva la spada! Dovevo capirlo.”
“Perché,
che spada è?”
“Non
ne sono sicuro, devo controllare in Biblioteca. Andiamocene, non abbiamo altro
da fare.”
“E
come andiamo?” domandò Ezekiel “Di sopra ci saranno
un po’ di tizi infuriati.”
“Sì,
ma noi abbiamo una porta. La farò aprire alla Biblioteca.”
I
due tornarono dunque alla sede, Jenkins depositò il prognometro nel proprio laboratorio e poi si precipitò a
cercare un libro da consultare.
Ezekiel, invece, se ne
andò da Stone e Cassandra che gli chiesero come fossero andate le cose e lui
raccontò con gran piacere.
“Jones
pare sotto shock.” Eve comunicò a Flynn,
il quale stava passeggiando sul fondo della Biblioteca, osservando alcuni dei
manufatti e riflettendo.
“Sotto
shock? Non è da lui … Che cosa ha visto?”
“Sostiene
che, mentre era in giro con Jenkins, sia spuntato
fuori Dulaque, che siano stati aggrediti e che Dulaque abbia salvato Jenkins.”
“Strano,
ma mi pare sia un po’ esagerato dire che sia sotto shock.”
“Ma
che cosa ci faceva Dulaque da quelle parti? Dovremmo
sentire la versione di Jenkins, dov’è?”
“L’ho
visto cinque scaffali più a sinistra, dove teniamo i volumi sulle armi.”
Flynn ed Eve andarono a cercare Jenkins,
ma non lo trovarono tra gli scaffali, bensì lo scorsero poco distante, dove
c’erano alcuni tavolini e poltroncine per poter leggere i libri comodamente.
L’uomo era lì, sguardo tetro fiso su una pagina, bicchiere di cognac stretto
tra le mani.
“Dev’essere accaduto qualcosa di grave.” osservò Eve, sottovoce, prima di raggiungerlo “Di solito beve il
tè; l’ho visto con dell’alcol solamente quando abbiamo avuto a che fare con la
fata Morgana.”
Si
avvicinarono e Flynn iniziò: “Allora, com’è andata,
ha preso il prognometro?”
“Sì.”
Jenkins non distolse lo sguardo dal libro.
“Non
sembra contento.”
“C’era
altro nel loro caveau, qualcosa che non mi aspettavo di trovare presso di loro
… e purtroppo se n’è impadronito Dulaque.”
“Di
cosa si tratta?!”
“Una
spada magica, probabilmente la Caladbolg.”
“Che?!”
domandò Eve.
“Mitologia
irlandese, ciclo di Ulster.” spiegò Flynn “È
appartenuta ad un paio di guerrieri di nome Fergus.”
“È
molto pericolosa?” chiese la donna.
“La
leggenda dice che possa tagliare le cime delle colline.” spiegò il
Bibliotecario.
“La
spada è impregnata di magia, ma bisogna essere in grado di attingere al
potere.” specificò Jenkins.
“Perché
gli hai permesso di prenderla, allora?!” domandò Eve.
“Non
gliel’ho permesso, sono svenuto e quando mi sono risvegliato non c’erano più né
Dulaque, né la spada.”
“E
perché ha lasciato vivi te e Jones?” chiese ancora la donna “Ha detto di avere
ucciso tantissimi bibliotecari, voleva ammazzarci a Natale, perché se n’è
andato senza toccarvi?”
“Non
lo so. Forse per lo stesso motivo per il quale ha ucciso Lamia
e non uno di noi per aprire il passaggio verso il telaio del Fato.”
“Jones
dice anche che Dulaque l’ha salvata, ha idea del
perché?” incalzò Eve.
“No.
È successo, se è successo, mentre ero svenuto. Probabilmente è stato un caso,
stavamo combattendo assieme contro gli stessi nemici. Io mi preoccuperei
soprattutto del perché abbia preso Caladbolg.”
“È
sicuro fosse proprio quella spada?” chiese Flynn, con
preoccupazione.
“Dimensioni
e fabbricazione corrispondono; ora sto confrontando le incisioni che mi ricordo
con quelle di cui parlano le fonti e sì, direi che è proprio Caladbolg. Non capisco perché vorrebbe una spada magica,
quando potrebbe farsene fare da Viviana a volontà; devo verificare se ha
qualche uso secondario.”
“Forse
la vuole restituire al Regno di Ferro.” ipotizzò il Bibliotecario “Al finto
Conclave si è presentato Cuchlann, se non sbaglio è discendente
diretto dell’eroe CùChulainn
che ne era il proprietario.” rifletté “Prima restituisce il tridente ai Fomori, poi fa la stessa cosa con la spada. Nel migliore
dei casi è una captatiobenevolentiae
per essere più influente al Conclave.”
“Scusate.”
intervenne Eve “Chi è questa Viviana in grado di
creare spade magiche? La Biblioteca non dovrebbe tenerla sorvegliata?”
“Vive
ad Avalon fin dai tempi della caduta di Camelot e raramente passa sulla Terra.” spiegò Jenkins “È, come Morgana, una donna che ha appreso la magia
e non solo la padroneggia, ma, in un certo senso, si è unita ad essa,
modificando la propria natura stessa e diventando una creatura non più del
tutto umana. Per questo Morgana è stata chiamata La Fata, sebbene non rientri
nella specie delle vere fate. Viviana, invece, era semplicemente chiamata La
Dama Del Lago ed è la madre di Lancillotto.”
“Adottiva.”
corresse Flynn “Madre adottiva.”
“No.
Questo è quello che dicono i testi tardi, scritti secoli dopo i fatti. Re Ban di Beonic conobbe Viviana
quando era ancora molto giovane; entusiasta della sua bellezza la volle
possedere, ella credeva di essere amata e si concesse a lui che, invece, la
abbandonò, dopo averla messa incinta. Il figlio che nacque fu Lancillotto.”
“Ah,
ecco perché poi Viviana ha imprigionato Merlino: non sopportava l’idea che un
uomo la lasciasse di nuovo.”
“No,
signor Carson, le garantisco che Viviana non ha
imprigionato Merlino, anche quella fu un’invenzione a posteriori.”
“Va
bene, va bene, basta!” li zittì Eve “Non volevo il
Gossip di Camelot. Ditemi solo quanto è pericoloso Dulaque con la spada magica.”
“Dipende
dall’uso che vuole farne.” disse Flynn “Jenkins continui a controllare se ci possono essere usi
secondari di Caladbolg. Io vado a cercare i ragazzi,
sa, con tutto questo parlare di spade, mi è venuta voglia di andare ad
insegnare le basi ai giovani. Se scopre qualcosa, ci informi subito!”
Mentre
raggiungevano la sala principale, Eve chiese a Flynn: “Non ti sembra strano che Jenkins
sappia così tante cose su Camelot?”
“No,
lavora nella Biblioteca ed è normale che conosca le vere versioni dei fatti.”
“Se
Dulaque è Lancillotto, è possibile che solo lui sia
sopravvissuto da quei tempi? E poi l’ho visto mentre parlava con la Fata
Morgana, sembrava conoscerla da sempre!”
“Può
averla conosciuta quando lui era giovane …”
“Se,
invece, provenisse anche lui da quei tempi?”
“Impossibile!
… Improbabile … Sono certo che non sia così.”
Eve sospirò e alzò gli occhi al cielo.
Arrivarono
alla sala principale ma non trovarono nessuno dei giovani; li cercarono
altrove, ma non c’era nessuno. Infine, incrociarono Charlene
e le domandarono se sapesse dove si trovassero gli altri.
“Sono
andati in missione.” rispose lei.
“In
missione?” ripeté Eve.
“Sì,
è comparso un nuovo ritaglio e sono partiti.”
“Senza
dire niente?!” si irritò Flynn.
“L’han
detto a me!” ribatté Charlene “Avevano paura che, con
la scusa del Conclave, non li avreste lasciati andare tutti assieme e loro
avevano voglia di lavorare in gruppo. Inoltre mi hanno promesso che non
avrebbero chiesto rimborsi spese.”
“Va
bene, andiamo a vedere di cosa si stanno occupando.” disse Flynn.
Il
Bibliotecario e Eve tornarono nella sala principale a
dare un’occhiata al Libro dei ritagli; il caso riguardava nove noccioli,
comparsi improvvisamente nella zona di Covington, nel Kentucky, la
particolarità di questi alberi era che i loro frutti donavano un qualche
talento per un giorno a chi li mangiava; pareva, anche, che ogni nocciolo donasse
una specifica qualità; la situazione aveva generato dapprima stupore ed
entusiasmo nella popolazione, ma poi erano sorte dispute circa il possesso
delle piante, i diritti di vendita e altre questioni del genere.
“Che
cosa ne pensi?” domandòEve.
“Non
sembra un caso difficile. Se la caveranno in breve, io credo.”
Trascorse
il resto della giornata; gli abitanti della Biblioteca andarono a dormire, il
mattino seguente si svegliarono e ognuno si occupò delle proprie faccende;
quando si ritrovarono per il pranzo, Charlene domandò
che novità ci fossero circa la missione dei giovani.
“Nessuna.”
disse Flynn.
“Non
hanno telefonato?” si preoccupò Eve “Non hanno
chiesto informazioni, consigli, spiegazioni?”
“No.”
ribatté il Bibliotecario, tranquillo “Perché dovrebbero?”
“A
dire il vero, signore” intervenne Jenkins “Si sono
abituati a comunicare spesso con la sede per uno scambio di informazioni
frequente. Loro non hanno ancora la nostra dimestichezza con il sovrannaturale
e, dunque, spesso necessitano di delucidazioni.”
“Cosa?!
Per la mia prima missione mi hanno dato un libro scritto nella lingua degli
uccelli e null’altro … e ho dovuto salvare il mondo! Loro, invece, telefonano e
gli dai le risposte?! Non è giusto!”
“Lingua
degli uccelli … dunque ha dovuto ritrovare la Lancia di Longino?”
si informò Jenkins.
“Sì,
esatto.”
“Eh,
la vecchia Lancia!” Jenkins sospirò, come ricordando
qualcosa, poi assunse un tono incuriosito: “In quanto tempo è riuscito a
decifrare la lingua degli uccelli?”
“Sette
ore e ventisei minuti.” rispose con orgoglio il Bibliotecario.
“Ah.
Non male.”
“Non
male?!” si meravigliò ed offese Flynn “Scusi, lei in
quanto l’ha imparata?”
“Non
ricordo con esattezza; comunque, il libro l’ho scritto io.”
“Lei?
Credevo fosse antico.”
“Fino
all’epoca di Napoleone la Lancia era integra; la lancia è stata divisa e
nascosta da un Bibliotecario che, dunque, ha scelto lui dove collocarla. Come poteva
credere che il libro fosse antico?”
“Non
ci avevo pensato … Ma se il libro l’ha scritto lei, vuol dire che lei sapeva
dove fossero i pezzi della lancia … perché diamine non si è fatto vivo?!”
“Compartimentazione.
Se io le avessi telefonato, lei ora non saprebbe il linguaggio degli uccelli. Le
ricordo, inoltre, signore, cheprima del
vostro arrivo, io me ne stavo tranquillo a svolgere la mia ricerca e non mi
impicciavo di queste faccende.”
“Scusate!”
interruppe Eve “Non vi pare che il punto su cui dovremmo
concentrarci è: perché i ragazzi non si sono fatti vivi?”
“Se
la staranno cavando bene da soli.” ipotizzò Flynn “I
noccioli magici fanno parte della tradizione Irlandese, Cassandra ha dimostrato
di conoscere quella mitologia, quindi probabilmente ha a disposizione gli
elementi necessari per capire cosa stia accadendo.”
“Mi
sentirei più tranquilla, se ce lo dicessero loro stessi.” ribadì Eve “Infatti, adesso telefono e sento come stanno.” prese
il cellulare, selezionò un numero e attese; dopo un attimo disse: “Strano,
Cassandra ha il telefono spento, provo con Stone.”
Nulla
da fare, anche Jacob e Ezekiel avevano i cellulari
staccati.
“Saranno
in un posto dove non c’è campo.” suppose il Bibliotecario.
Eve decise, comunque, di inviare un
messaggio a tutti e tre, invitandoli a richiamarla o scriverle, non appena
avessero letto l’sms.
Trascorse
il giorno, passò la notte e la mattina seguente ancora non si avevano notizie. Anche
Flynn, allora, iniziò a preoccuparsi, nonostante
ritenesse potessero esserci diverse spiegazioni non allarmanti per spiegare la
mancanza di comunicazioni. Infine, cedette alle esortazioni di Eve e andò con lei a verificare di persona che cosa fosse
accaduto ai ragazzi.
Varcarono
la porta sul retro e si ritrovarono a Covington; erano nei sobborghi, abbastanza
vicino alle zone di campagna. Iniziarono ad aggirarsi per le strade e notarono
che gran parte delle persone andavano o venivano dalla stessa direzione; si
informarono e scoprirono che il viavai era causato dal pellegrinaggio ai
noccioli fatati. Seguirono il flusso di gente e trovarono gli alberi. Decisero di
ispezionare la zona, in cerca di indizi o sul fenomeno o sui loro amici, ma un’occhiata
generale non fece emergere nulla. Supponendo che i tre giovani avessero fatto
domande in giro e sperando che si fossero fatti notare in un qualche modo, Flynn ed Eve cominciarono a
chiedere ai presenti se nei giorni scorsi avessero notato tre bibliotecari e li
descrissero. Alcuni rispondevano con un secco no, altri li ricordavano, ma non
avevano idea di dove fossero, altri ancora rispondevano semplicemente con boh!
Dopo
un paio d’ore, finalmente, incontrarono un ragazzino che rispose loro: “Sì, li
conosco mi avevano chiesto notizie sui noccioli, quando fossero apparsi e così
via. Io ho detto loro che è stato il vecchio Frank a piantare dei semi una
notte di luna piena e in pochissimi giorni sono cresciuti e diventati così. Lo so
perché io e i miei amici adoriamo scherzare con Frank, è un matto o, almeno, lo
credevamo, poi ha fatto sta cosa pazzesca!”
“Questo
Frank dove vive?” domandò Flynn, incuriosito.
“È
la stessa cosa che mi hanno chiesto i vostri amici! Io li ho portati da lui e
poi li ho salutati perché dovevo andare a lezione di sassofono; sai io voglio
diventare un musicista jazz! Comunque dopo non li ho più visti.”
“Puoi
portare anche noi da questo Frank, per favore?” chiese Eve.
Il
ragazzo accettò e disse loro che potevano andare a piedi, poiché non era
lontano. Li condusse per un paio di strade, poi bussò ad una porta di legno
dipinto d’arancione, di quella che sembrava una sorta di baraccaccia o
malandato monolocale. L’uscio si aprì, il ragazzo entrò, iniziando a chiamare: “Frank!”
Flynn ed Eve entrarono a propria volta, si guardarono attorno e il
loro sguardo si bloccò sulla mensola in fondo al lato opposto della stanza. Si avvicinarono
sbigottiti e preoccupati nel vedervi appoggiate sopra tre statuette, ritratti
perfetti dei loro amici.
“Ma
cosa …” Flynn era basito, si voltò per chiedere
qualcosa al ragazzetto, che non c’era più e al suo posto si trovava una bellissima
donna, alta, capelli rossi, occhi verdi, sorrise infantile.
“Morgana
…!” esclamò Eve, irata, riconoscendola “Che cosa hai
fatto!”
“Ho
pensato che sarebbe stato veramente cool avere dei
bibliotecari come soprammobili … E ora sto per arricchire la mia collezione …”
Morgana
stese il braccio sinistro con la mano aperta e continuò a sorridere.
Flynn ed Eve non ebbero il tempo di reagire, si sentirono
improvvisamente irrigidire, perdere il controllo del proprio corpo e la
sensibilità. I loro corpi vennero sollevati per aria, iniziarono a rimpicciolirsi
e a tramutarsi in pietra. All’inizio della trasmutazione, il cellulare della
Guardiano uscì dalla sua tasca e volò in mano a Morgana.
Anche
loro due divennero statuette di pietra e furono adagiati sulla mensola, tuttavia
potevano ancora vedere, ascoltare e pensare.
Morgana
guardò il cellulare, scorse la rubrica e trovò il numero di Jenkins,
lo selezionò e avviò la telefonata.
“Pronto,
colonnello Baird?” rispose Jenkins
dopo alcuni squilli.
“No,
non sono lei. Ritenta, Gahalad.”
“Morgana?!”
sussultò l’uomo, confuso e allarmato.
“Esatto!”
“Che
cosa ci fai con il cellulare del colonnello Baird?”
“Ti
telefono Gahalad. L’ultima volta non mi hai lasciato
il tuo numero e non sapevo come fare a contattarti.”
“Che
cos’hai fatto ai bibliotecari?!” Jenkins era molto
adirato, sebbene si sforzasse di mantenere il proprio contegno.
“Oh,
ho solo messo un’esca e loro hanno abboccato subito. Sono un po’ ingenui, sai,
si sono fidati di estranei e non hanno preso precauzioni, nessuno di loro ha
sospettato una trappola. Ora sono cinque bellissime statuette, potrei metterli
in giardino assieme agli gnomi. Secondo te, come sarà il Conclave, senza
Bibliotecario? Io non vedo l’ora di scoprirlo.” Morgana ridacchiò.
“Sleale
è sempre stato il tuo soprannome più adatto.”
“Sei
ingiusto nei miei confronti, Gahalad. Pensare che io
ho deciso di darti una possibilità per salvarli.”
“Quale?!”
fu la sarcastica reazione dell’uomo “La mia testa in cambio della loro
liberazione?”
“No,
non è così facile e noiosa, la faccenda. Ti invierò un sms con le indicazioni di
come trovare una torre; ha sei piani, all’ultimo troverai le statuette dei
Bibliotecari. Se riuscirai a superare le prove a cui ti sottoporrò piano per
piano, allora potrai prendere i tuoi amici e riportarli in Biblioteca, sarà poi
affar tuo capire come fare per ritramutarli in umani.”
“Cosa?!
Questo è un piano finalizzato solo ad uccidermi!”
“Hai
poca fiducia in te stesso, una volta avresti raccolto la sfida al volo. Se
vuoi, puoi rinunciare a salvarli ed essere tu a gestire il prossimo Conclave,
di certo lo meriti più di loro. Comunque io spero proprio che accetterai di
affrontare la torre. Guarda, sarò generosa, puoi portarti un aiutante … se riuscirai
a trovare qualcuno che accetti di mettersi contro di me. A presto, Gahalad.”
La
chiamata venne chiusa.
Jenkins era furioso e
agitato. Iniziò a chiamare a gran voce sia Charlene
che Judson e poi andò a riempirsi un bicchiere di
cognac, prima di trovarsi nella stanza principale, davanti allo specchio.
“Che
cosa succede?” domandò Judson.
Charlene aveva un’aria
piuttosto confusa: era stupita di trovare Jenkins in
quelle condizioni.
“Morgana!”
rispose lui, a denti stretti, per poi riferire la telefonata.
“È
senza dubbio una situazione incresciosa e delicata … tu che cosa hai intenzione
di fare?” domandò Judson.
L’uomo
scosse il capo, aveva lo sguardo basso, era assorto in cupi pensieri, bevve un
altro sorso e disse: “So che Morgana vuole solo divertirsi a torturarmi
sadicamente con i suoi artifici. Devo però andare, devo tentare. Judson, ti prego, promettimi che se non dovesse tornare né
io, né qualcun altro dei bibliotecari, tu uscirai da quello specchio e
prenderai le redini del Conclave.”
“Certo,
nel caso non tornaste, non avrebbe più senso, per me, fingermi morto. L’ho
fatto solo per depistare Flynn circa la mia vera età.
Sono certo, però, che li salverai.”
“Se
mi equipaggiassi a dovere in Biblioteca, forse avrei qualche speranza, ma visto
che la vittoria non sarebbe comunque certa, non voglio correre il rischio di
consegnare a Morgana degli artefatti. Prenderò la mia vecchia spada, quella che
mi hai regalato.”
“Bene,
sì. Per l’aiutante? Dovresti procurartene uno.”
“Se
venissi tu, saremmo a posto.”
“Non
possomostrarmi a Flynn.”
ribatté Judson.
“E
allora andrò solo, chi sarebbe così folle da scontrarsi con la Fata Morgana? O chi,
tra gli essere sovrannaturali, sarebbe disposto a rischiare la vita per dei
bibliotecari?”
“Potresti
chiedere all’amica di Stone.”
“Enya?! Non credo proprio. Non so chi sia ed è troppo
immersa nella magia, non credo di potermi fidare.”
“Qualcuno
che conosca la magia ti è necessario.” gli ricordò Judson
“Inoltre, il Libro dei Ritagli l’ha indicata per primo a te, non è una
coincidenza.”
Jenkins sospirò rassegnato,
ma poi disse: “Lo farei, ma non ho modo di contattarla.”
Charlene, allora,
intervenne: “Per fortuna mi sono fatta dare il suo numero da Stone, sai, per
gli archivi della Biblioteca.” la donna si allontanò un attimo e tornò con una
rubrica aperta che passò all’uomo, raccomandandosi: “Una telefonata rapida, è
intercontinentale.”
Jenkins compose il
numero e attese.
“Pronto.”
rispose la squillante voce di Enya.
“Buon
pomeriggio, signorina; sono il signor Jenkins, il
collega del suo amico Jacob Stone. La chiamo dalla Biblioteca.” si sentiva un
po’ strano a parlare in quel modo “Il Bibliotecario, il suo amico e altri
membri del nostro staff sono attualmente in … imprigionati e io mi chiedevo se
lei sarebbe disponibile a collaborare con me nel tentativo di salvarli.”
“Oh,
mi coglie un po’ alla sprovvista ma penso che sia fattibile. Sì, accetto
volentieri.”
“Ah!”
si meravigliò Jenkins, che poi aggiunse: “Mi sento in
dovere di informarla che la mia azione sarà contro la Fata Morgana; quindi, se
vuole rifiutare, lo capirò.”
“Morgana.”
ripeté Enya con tono enigmatico “Come mai si è
rivolto a me?”
“Io
ho qualche rudimento di magia, ma non posso certo competere con la Fata
Morgana; non so esattamente cosa lei sia in grado di fare ma, quando l’ho
incontrata, mi è parsa piuttosto pratica e, dunque, ho ritenuto potesse essere
in grado di aiutarmi.”
“D’accordo,
confermo la mia disponibilità.”
“Molto
bene, allora mi dica dove si trova e si collochi accanto alla porta che le è
più vicina.”
Jenkins aveva usato la
porta sul retro per raggiungere Enya e l’aveva fatta
entrare momentaneamente nella Biblioteca, giusto il tempo necessario di
reimpostare la porta verso il punto indicato da Morgana.
Charlene si era nascosta,
per poter osservare senza farsi vedere, mentre Judson
non appariva nello specchio; tutti gli usci erano serrati, in modo tale che non
fosse accessibile nessuna delle altre stanze della Biblioteca.
Jenkins si era
raccomandato con Enya di no curiosare troppo, tra gli
scaffali, mentre lui impostava la porta; tuttavia la curiosità della ragazza
non poteva certo essere frenata ed ella si avvicinò a guardare i titoli e, ad
ogni volume, il suo entusiasmo aumentava.
“Le
ho chiesto di non girovagare.” la richiamò Jenkins
“Non avrei neppure dovuto portarla qui, ho fatto una piccola eccezione e …”
“Non
può mettermi a pochi passi da così tanta conoscenza e poi proibirmi di
sbirciare.” ribatté lei, con gli occhi fisi ai libri “Inoltre è così poco il
tempo, che riesco a malapena a leggere qualche libro, senza possibilità di
carpire dei segreti. Effettivamente, mi farebbe meno male evitare di vedere
tutte queste conoscenze a cui non posso attingere. Un po’ come la storia della
volpe e dell’uva.”
“Agogna
così tanto questa sapienza?”
“Ogni
cosa che mi possa avvicinare alla verità.”
“La
verità può essere più immediata di quanto si creda e a volte, più la si cerca,
più ci sfugge di mano. La tradizione buddista insegna che la verità si
raggiunge quando la mente si arrende e realizza che, qualsiasi strada tenti,
non la potrà concepire mai.”
“Le
strade, però, vanno tentate, altrimenti non si porta la mente
all’esasperazione. È strano, poi, sentir dire qualcosa del genere sulla
conoscenza, da un bibliotecario.”
“Non
sono un bibliotecario. Ad ogni modo, ho impostato la porta, possiamo partire.
Prego, prima le signore.”
“Se
torniamo vivi, mi fa visitare la Biblioteca?”
“Può
essere. Adesso prendo la mia spada e andiamo.” si allontanò di qualche passo
“Tu hai bisogno di armi?”
“No,
penso di essere a posto così; nel mio zaino ho tutto ciò che mi serve.”
Jenkins tornò con la
spada: acciaio duro, pomo e fodero in oro fino.
“Posso
osservarla?” chiese la donna e, dopo averla guardata qualche istante, ebbe un
sussulto “Questa è una delle tre spade consegnate al Re Pescatore, da assegnare
ai cavalieri che avrebbero trovato il Graal. Solo pochi meritevoli possono
impugnarla. Non immaginavo ce ne fossero ancora in circolazione. Com’è finita a
lei?”
“Appartiene
alla Biblioteca.”
Jenkins non aveva
propriamente mentito, dicendo ciò, anche se quella era una delle sue armi
personali, in fondo era come se facesse parte del patrimonio della Biblioteca.
Finalmente
varcarono la porta ed arrivarono nel luogo indicato da Morgana. Non si
trovarono all’entrata della torre, come aveva sperato l’uomo, bensì fuori da un
casolare, poco lontano. In silenzio si avviarono verso il loro obbiettivo, fino
a quando non giunsero al cancello che segnava il confine l’ingresso nella
proprietà di Morgana.
“Sei
sicura? Sei ancora in tempo per tornare indietro.” Jenkins
dubitava di uscire vivo da quella situazione, quindi non aveva piacere che
anche qualcun altro morisse in quella follia.
“Se sei un uomo, ammira chi tenta grandi
imprese, anche se fallisce.”
“Seneca.”
Jenkins riconobbe la citazione “Vuol dire che mi
seguirà?”
“Fino
alla fine.”
“Se
sopravvivremo, mi spiegherà che cosa la spinge ad assumersi questo rischio?”
“Può
essere.”
L’uomo
sorrise tra sé, pesando che anche lui aveva dato quella risposta poco prima.
Jenkins allungò la mano
per afferrare la maniglia che, però, scomparve prima che potesse sfiorarla. Allora
appoggiò i palmi sul cancello, provò a spingere ma non si mosse nulla. I due decisero,
allora, di provare a scavalcare; iniziarono ad arrampicarsi lungo le sbarre di
ferro, ma non riuscivano ad arrivare in cima: più salivano, più il cancello si
allungava.
Decisero
di scendere. Jenkins tirò fuori dalla tasca della
giacca un coltellino, poi si chinò e iniziò a scavare in prossimità del
cancello.
“Crede
che sia questo il modo per entrare?” chiese Enya,
dubbiosa.
“Sì.
Non possiamo passare attraverso, né sopra, ci resta solo il sotto.”
“Se
non fosse neppure sotto?”
“Sono
sicuro che lo sia: Morgana vuole sia stancarmi con lo scavo, sia umiliarmi,
costringendomi a strisciare per entrare nel suo covo.”
“Posso
fare io? Risparmieremmo tempo.”
L’uomo
acconsentì. La donna si concentrò, iniziò a muovere le mani e le dita, aveva
gli occhi chiusi e a bocca chiusa stava come intonando una nota molto profonda.
La
terra iniziò a smuoversi, si aprì un varco sotto il cancello; un piccolo tunnel
abbastanza profondo per far passare una persona in piedi, con scalini per
scendere e salire.
Jenkins fu stupito, ma
anche molto soddisfatto. Entrambi attraversarono il sottopassaggio e si
trovarono all’interno della residenza e subito sorse un nuovo ostacolo: da
fuori si vedeva un sentiero e una torre, dunque non c’erano dubbi circa quale
strada percorrere; da dentro, invece, si trovavano tre viottoli identici che
conducevano ad altrettante torri perfettamente uguali.
“Qualche
idea?” chiese Enya “Altrimenti posso provare con la
divinazione.”
“No,
aspetti, mi faccia ragionare.” Jenkins ci teneva a
mettersi alla prova e non lasciare tutto alla magia “Morgana dà grande
importanza alle Rune. Avendo tre strade, potrebbe avere attribuito a ciascuna
una runa, ma la scelta sarebbe troppo casuale; dunque è più probabile che ogni
sentiero sia legato a uno dei tre gruppi in cui è diviso l’alfabeto futhark. Quindi abbiamo il gruppo Fehu,
che è relativo al microcosmo e ai desideri; poi c’è il gruppo Hagalaz, connesso che rappresenta l’evoluzione, il
superamento di ostacoli; infine Tywaz, legato alla
dimensione spirituale. Ora, considerando questi significati, direi che Morgana
avrà posto la vera torre nel sentiero di Hagalaz.”
“Quindi
quello centrale?”
“No.
Adesso entra in gioco la numerologia: l’uno è il concetto attivo, maschile, emanante,
posto sempre a destra; il due è il passivo, femminile, assorbente, collocato
sempre a sinistra; il tre rappresenta l’equilibrio ottenuto dall’unione o
collaborazione degli altri due, quindi è posto centralmente. Di conseguenza,
abbiamo Fehu a destra, Hagalaz
a sinistra e Tywaz in mezzo. A sinistra, dobbiamo
andare a sinistra.”
Enya annuì,
ammirando quel ragionamento. I due si misero in cammino lungo il sentiero
scelto. Riuscirono ad arrivare alla torre senza incontrare altri ostacoli. La porta
di ingresso era, ovviamente, chiusa a chiave. Si guardarono un attimo attorno,
in cerca di un’idea e videro delle pietre rotolare le une verso le altre,
convergendo in un unico punto; iniziarono ad ammucchiarsi e presto si fusero
assieme, dando vita a un essere umanoide in roccia, alto un paio di metri, con
al collo una corda a cui era appesa una chiave.
“Se
l’esperienza non mi inganna” disse Jenkins, mettendo
mano alla spada “Quella è la chiave per entrare e, allo stesso tempo, da energia
al mostro. Tolta la chiave, il bestione torna ad essere sassolini inermi. Stia indietro,
risolvo io. Voglio riscaldarmi, prima che inizi il vero pericolo.”
“Sfilargli
la corda dal collo non è un po’ troppo rischioso?” si preoccupò Enya, vedendo l’altro assumere la postura di guardia.
“Non
è necessario sfilarla. Stia a guardare.”
Jenkins si giostrò un
poco con la spada, stuzzicando il mostro ed evitando i suoi colpi, sembrava che
davvero stesse facendo semplice esercizio per scaldare i muscoli. Dopo pochi
minuti, l’uomo schivò un pesante pugno dell’avversario, fece uno scatto all’indietro
e poi vibrò un fendente verso l’alto, all’altezza del collo del mostro. Recise
di netto la corda a cui era appesa la chiave. Il colosso si sbriciolò. L’uomo
recuperò la chiave ed andò ad aprire la porta.
Appena
la serratura scattò, dall’uscio scaturirono fiamme che composero una frase: Vattene, Enya!
Jenkins si meravigliò,
guardò la compagna di missione e le domandò: “Morgana sa il suo nome? Perché
vuole allontanarla? Senza offesa, ma dubito la consideri una minaccia.”
“Ha
ragione, vuole solo tenermi fuori dai pericoli ma sono decisa a mettermi alla
prova.”
Detto
ciò, Enya aprì la porta ed entrò assieme all’uomo.
Buio
pesto, freddo e umidità: ecco quel che trovarono nella prima stanza.
La
donna ricorse alla magia per far luce, ma accadde qualcosa di strano:
effettivamente sul palmo della sua mano levitava una sfera luminosa che,
tuttavia, non riusciva ad illuminare la stanza: brillava ma non rischiarava. Allora
commentò: “Che strano, la luce c’è, ma non illumina!”
“Quale
luce?” chiese Jenkins.
“Questa!
Non la vede?”
“No.”
“Come?!
Ho un globo di luce in mano, non può non vederla.”
Jenkins si guardò un
poco attorno, poi disse: “Mi spiace, ma vedo solo buio.”
Enya iniziò a
pensare a quali ragioni ci potessero essere, intanto disse: “Mi dia la mano,
non perdiamoci, altrimenti peggioriamo la situazione.”
Dopo
alcuni tentativi falliti, riuscirono a prendersi per mano.
“Penso
di avere una teoria plausibile.” disse Jenkins.
“Anch’io:
non siamo in un luogo fisico, ma in una sorta di intercapedine dimensionale che
possiamo modellare tramite l’immaginazione e la volontà.”
“O
convinzione. Lei era certa di avere fatto un incantesimo di luce e quindi
vedeva la sfera, ma non vedeva altro perché non immaginava il resto.”
“Esatto.
Penso che dovremmo immaginare in maniera uguale il posto in cui ci troviamo, in
modo tale da essere certi di trovarci entrambi nello stesso luogo e non finire
in due parti differenti, magari in compagnia di nostri alter ego fittizi,
creati dalla nostra mente.”
“Non
è semplice, dovremmo allora pensare ad un luogo reale, conosciuto bene da
entrambi. Il solo immaginare in maniera differente una sedia o qualsiasi altra
cosa, sarebbe un problema.”
“Temo
non ci siano luoghi famigliari ad entrambi. La Biblioteca l’ho appena vista, ma
di sfuggita.”
“Un
quadro! Troviamo un quadro che conosciamo e immaginiamoci dentro ad esso. Dovremmo
riuscire a non commettere errori.”
“Sì,
può funzionare. Quale usiamo? Il
giuramento degli orazi?”
“Bello
ma no, pensiamo ad un paesaggio o qualcosa dove non ci siano persone. L’Abazia nella foresta di Caspas David Friedrich?”
“D’accordo,
tetro per tetro, è comunque un bell’ambiente.”
Entrambi
si concentrarono e, pur rimanendo un certo buio, davanti a loro si compose un immagine
di una cattedrale gotica in rovina, in mezzo a degli alberi, con la luce della
luna piena.
“Accidenti,
manca la terza dimensione.” commentò Jenkins.
“Potrei
immaginare l’area in maniera tridimensionale e poi trasmetterle l’immagine
telepaticamente, ma non è un metodo sicuro al cento per cento.”
“Tentiamo
comunque!”
Per
fortuna l’operazione ebbe successo e si ritrovarono come in una foresta, in una
notte di luna piena, vicino alle rovine di una chiesa.
“Adesso,
che si fa?” chiese Enya “Non ho idee di come si possa
fare ad uscire dalla stanza.”
“Credo
che a noi sia stata concessa la scelta del campo di battaglia e che, ora,
Morgana deciderà che cosa farci combattere.”
“Sì,
ma rimarremo comunque bloccati qua.”
“No,
se sconfiggiamo l’avversario, lei ci farà uscire. Su queste cose è corretta.”
Il
suolo tremò, si levò una sorta di nebbia e lingue di fuoco iniziarono ad
apparire in modo intermittente e casuale.
“Che
succede? Io non sto immaginando questo!” esclamò Enya,
preoccupata.
“Noi
no, ma Morgana sì ed è abbastanza abile da farci immaginare anche ciò che non
vogliamo. Credo di avere capito che tipo di prova sia: un percorso ad ostacoli.
Uno degli elementi del quadro è la porta per il prossimo piano della torre, ne
sono certo, noi dobbiamo capire quale sia e raggiungerlo, opponendo la nostra
immaginazione a quella di Morgana, che tenterà di colpirci.”
In
quel momento una fiamma scaturì proprio sotto i piedi di Jenkins.
Enya usò la magia per spingerlo all’indietro e
sottrarlo al fuoco. L’uomo, per fortuna, rimase incolume, poiché era riuscito a
modificare la fiamma, immaginandola fredda.
Le
fiammate iniziavano a comparire sempre più improvvise e grandi. I due, allora,
decisero di immaginare tutto il terreno sommerso da un paio di dita d’acqua;
riuscirono ad apportare il cambiamento. Si misero allora a correre, alla
ricerca della porta. Il livello dell’acqua, però, iniziò ad aumentare
rapidamente e presto si ritrovarono immersi fino alla vita. Si focalizzarono,
allora, sull’immagine di una barchetta di legno e, così, si ritrovarono fuori
dal pericolo di annegare, mentre tutto il resto veniva sommerso. Il sospiro di
sollievo che tirarono fu breve, infatti videro presto l’acqua incresparsi e
presto emerse un mostro marino, con tentacoli, e un paio di teste con denti
acuminati.
Jenkins prese di nuovo
la spada, senza esitare.
“Non
può combatterlo!” esclamò Enya “È una proiezione
della fantasia, non può essere colpito.”
“Infatti
non lo combatterò, ma immaginerò di combatterlo.” replicò l’uomo “Lei, intanto,
cerchi di capire dove può essere la porta e come raggiungerla!”
Jenkins diede il via al
duello; non agiva direttamente: nella propria mente immaginava gli attacchi e
le schivate e il suo corpo agiva di conseguenza.
Enya ragionava circa
dove potesse essere la porta: ormai era tutto sottacqua, per cui capire era
difficile. Notò, allora, la Luna piena e si rese conto che era l’unico elemento
del loro paesaggio originale che rimaneva, inoltre era l’elemento più difficile
da raggiungere, poiché si trovava in cielo.
“Signor
Jenkins, credo che la nostra via d’uscita sia la Luna.”
“Ah!”
commentò lui, continuando a combattere.
Enya si mise a
riflettere circa come raggiungere la Luna, non potevano certo ricorrere ad una
scala, poiché essa distava da loro come il vero satellite; doveva concepire un’idea
differente della Luna.
“Idea!
Signor Jenkins, mi ascolti, ho bisogno anche di lei
per riuscire.”
“La
ascolto, ma prima immaginiamo una barriera tra noi e il leviatano!”
Pochi
secondi dopo sorse una grande montagna che separava la barcaccia dal mostro.
“Perché
non lo abbiamo fatto prima?” chiese la donna.
“Non
durerà a lungo. Mi dica cos’ha escogitato.”
“Ecco,
penso che, non potendo noi raggiungere la Luna, dovremmo far venire la Luna da
noi. Dobbiamo immaginare la Luna come la dea Selene,
poi immaginare che qui con noi ci sia Endimione
addormentato. Selene, secondo il mito greco, andava a
trovarlo, dunque la nostra Luna scenderà e noi potremo toccare la porta.”
“Eccellente,
procediamo. Usiamo la tattica dove lei crea l’immagine e poi me la trasmette.”
Enya si concentrò,
elaborò con attenzione la fantasia. Poco dopo un uomo bellissimo e addormentato
comparve sulla barca; una manciata di secondi e la Luna assunse sembianze umane
discese sull’imbarcazione.
Enya e Jenkins si sorrisero, allungarono le mani e toccarono la
Luna. Il luogo attorno a loro si crepò e andò in frantumi e loro due si
trovarono in cima ad una scala di pietra, all’ingresso del secondo piano della
torre.
L’uomo
sorrise, strinse la mano alla ragazza e le disse: “È un piacere lavorare con
lei.”
“Il
piacere è reciproco.”
“Speriamo
che ci porti fortuna anche nei prossimi piani. Intanto, vediamo che cosa ci
aspetta qua.”
Si
guardarono attorno: pavimento in legno, pareti in pietra, nessuna finestra,
stanza assolutamente vuota, se non per un tripode con un catino appoggiato
sopra, che si trovava al centro della sala.
Si
avvicinarono al catino che era di bronzo; appese al bordo per il manico, vi
trovarono due tazze di ceramica, immerse per metà in un liquido molto denso,
color giallo pallidissimo, quasi bianco.
Enya immerse la punta
dell’indice, lo annusò, ne constatò la consistenza e poi disse: “Dev’essere soma.”
“La
bevanda dei rituali vedici e avestici?”
“Esattamente.”
“Quindi
ci aspettano allucinazioni e confusione mentale.” rifletté l’uomo.
“Nessuno
ci obbliga a bere.”
“Temo
che sia l’unico modo per sbloccare la prova di questo piano.”
“Non
esistono antidoti per evitare gli effetti del soma.” gli fece osservare la
donna.
“Lo
so, ma dobbiamo andare avanti.”
Jenkins, senza esitare
oltre, prese una delle tazze e la riempì, pronto per bere. Enya
si rassegnò e fece altrettanto; poi sollevò la tazza come per un brindisi e
disse: “Prosit!”
L’uomo
ricambiò, ma disse: “A Morgana!”
Bevvero
d’un sorso e attesero che accadesse qualcosa. Ebbero l’impressione che la
stanza stesse girando, facevano fatica a stare in piedi, la vista si annebbiò e
infine caddero a terra, svenuti.
Jenkins si risvegliò,
era piuttosto confuso, la testa gli faceva male, sentiva in sottofondo un
rumore come un fiume che scorre rapido, i pensieri erano faticosi. Provò ad
alzarsi in piedi, ma ricadde, trattenuto da delle pesanti catene ai polsi e
alle caviglie, di cui non si era accorto. Le catene che gli stringevano i polsi
erano ancorate a terra e non più lunghe di cinquanta centimetri, quindi poteva
al massimo mettersi in ginocchio.
Era
solo e disarmato e con un’emicrania che lo distruggeva, come se centinaia di
piccoli muratori stessero scavando tunnel nel suo cervello.
Provò
ugualmente a concentrarsi e a raccogliere le forze per spezzare le catene.
Tum-tum-tum.
Un
lento ritmo scandito da tamburi riecheggiò nell’aria, seguito da risate
stridule e secche, rami e ossa che si spezzano. Passi in avvicinamento, molte
persone.
Jenkins non capiva e il
suo battito era accelerato; se ne stupì visto che, normalmente, occorreva di
più per metterlo in agitazione.
Le
pareti iniziarono a trasudare una strana sostanza nera e bianca. Le gocce
colavano e, toccando terra, si univano alle altre e in breve tempo presero
forma decine e decine di scheletri, esseri incappucciati, non morti, esseri
deformi e demoniaci; tutti quanti armati con bastoni, grandi ossi, mazze,
pietre o primitive e rozze lance. Ringhiavano, ululavano, ridevano ed
emettevano altri versi ferini ed agghiaccianti.
Jenkins gridò
terrorizzato!
Anche
se nessuno glielo aveva detto lui sapeva che quelli erano gli spiriti di tutte
le persone uccise negli scontri dopo la caduta di Camelot;
i morti di cinquecento anni di scelte, ripensamenti e nuove scelte.
Non
aveva letto da nessuna parte della loro esistenza, nessuno gliene aveva mai
parlato, ma lui era certo fossero loro, dentro di sé sapeva che erano le anime
tormentate di tutte quelle vite stroncate, di tutto quel sangue versato.
Sangue
… ne poteva sentire ancora l’odore, il sapore, il calore sulle sue mani …
Le
sue mani. Le guardò: erano lorde di sangue.
Urlò
di nuovo. Il dolore! Il dolore del rimorso.
Era
certo che, se si fosse guardato allo specchio, avrebbe visto tutto il sangue
con cui si era macchiato e sarebbe stato sporco anche il viso, fino alla punta
dei capelli.
Le
creature lo avevano circondato. Lo guardavano con odio. Iniziarono a colpirlo,
a graffiarlo, a percuoterlo con le loro armi con tutta la forza che avevano.
Jenkins subiva, non
provava neppure a difendersi. Sentiva di meritare quella punizione, credeva che
fosse il giusto prezzo da pagare per il suo passato.
Non
reagiva. Lo stavano massacrando e non reagiva. Sentiva solo il rimorso.
Jenkins …
Sentì
d’improvviso una voce famigliare chiamarlo. Alzò lo sguardo e, in mezzo alla
folla di mostri, scorse Flynn. Entrambi erano piuttosto
stupiti.
“Flynn … che cosa ci fai qui?”
Il
Bibliotecario, piuttosto confuso, rispose: Non
lo so. Non so nemmeno come ci sono arrivato … Dovrei essere una statuetta di
pietra e invece … Non capisco.
“Lo
so io.” Jenkins parlava a grande fatica “Questa è una
sua proiezione astrale: la sua anima prende forma e visibilità in un qualche
piano dimensionale e può comunicare a grande distanza di spazio e non solo.”
Sì, so cosa sono
i viaggi astrali ma … Un momento! È questo che faceva Judson?
È così che compariva all’improvviso e mi entrava nelle visioni?
“Esattamente!”
l’uomo parlava, mentre ancora continuavano a picchiarlo.
Non me lo ha mai
voluto spiegare. Io è la prima volta che lo faccio e non so come sia accaduto.
“Scusatemi,
vi chiedo scusa a tutti quanti.”
Per cosa?
“Non
riuscirò a salvarvi, mi dispiace ... ho fallito.”
Che cosa glielo
impedisce?
“Questi
spiriti tormentati, non li vede?”
Sì, certo ma non
credevo fossero un problema per lei. Insomma, dovrebbero essere tra le creature
più facili da sconfiggere: non hanno una loro essenza, si manifestano solo in
virtù …
“
…di un’emozione provata da loro da vivi
o da qualcun altro; tale emozione è così profonda che tiene delle ombre
vincolate al piano terreno e le nutre di se stessa.”
Bene, se lo sa,
che cosa aspetta a reagire?! Capisca che cosa alimenti questi spettri e li
distrugga!
“So
che cosa vogliono: vendetta, vendetta per la loro morte.”
Non credo;
avrebbero connotazioni più specifiche, avrebbero i lineamenti delle persone che
furono.
“Ha
ragione, non ci avevo pensato! Ma che altro potrebbero essere? Loro sono
furiosi con me, per come ho agito …”
Jenkins si sentì
colpire con maggiore ferocia.
“Il
rimorso!”
Come?
“Questi
spettri sono generati dal mio rimorso! Dal senso di colpa che ho a causa delle
mie azioni.”
Quindi ti stai
torturando da solo. Perché? Che cos’hai fatto?
“Li
ho uccisi, direttamente o per indotto, non cambia nulla.”
Perché l’hai
fatto?
“Avevano
un’opinione diversa dalla mia.”
E …? Sono sicuro
ci sia dell’altro.
“Tutti
volevamo che il mondo fosse migliore e abbiamo finito col renderlo peggiore;
volendo fare del bene, abbiamo fatto solo tanto male.”
Tu andavi in
giro chiedendo alla gente la sua opinione e se era diversa dalla tua li
uccidevi?
Flynn era volutamente
ironico.
“No
di certo. C’erano guerre e battaglie.”
Dunque anche
loro, se avessero potuto, ti avrebbero ucciso per una divergenza d’opinione. In
guerra è così: si ammazza o si è ammazzati.
“Avrei
potuto non schierarmi, rimanere neutrale!”
Sarebbe morta un
sacco di gente comunque.
“Non
per mano mia.”
Non so come
siano andate le cose, ma di una cosa sono certo: nulla sarebbe mai migliorato,
nella storia, se gli uomini non avessero deciso da che parte stare, se non
avessero compiuto scelte, accettato di pagare un prezzo per qualcosa che
ritenevano fosse giusto. Questo ha portato a degli errori come le Crociate,
oppure è sfociato nel Terrore come la Rivoluzione francese, ma ha dato agli
uomini la forza e la decisione di reagire, di scegliere tra bene e male e, soprattutto,
avere il coraggio delle proprie scelte. È facile criticare e giudicare, è più
difficile assumersi le responsabilità e i rischi di ciò in cui si crede. A te
dispiace per chi è rimasto ucciso, ma loro non erano indifesi, non sono stati
colti di sorpresa: erano convinti delle proprie decisioni ed erano disposti a
morire, esattamente come te. Tu saresti morto volentieri per quella causa?
“Sì,
certo …” Jenkins era confuso, ma iniziava a capire, a
sentirsi più leggero.
Allora non
offendere i tuoi avversari, provando pietà per loro. Ammirali perché hanno
avuto coraggio, perché hanno agito secondo la loro coscienza e non per istinto
di conservazione. Tu li hai resi dei martiri, tu hai dato loro gloria.
Flynn fu contento di
ricordarsi i discorsi fatti nell’Iliade circa la società degli eroi; vivere nel
ventunesimo secolo e dire di condividere quei concetti non era appropriato, ma
in quel momento erano necessari per far reagire Jenkins,
per aiutarlo a superare il rimorso.
Inoltre, Dante Alighieri
considera gli ignavi come ancor più meschini dei peccatori.
Jenkins annuì, sorrise
sereno. Si scosse, si levò in piedi, spezzando le catene e in un bagliore tutti
gli spiriti scomparvero. Nella stanza rimanevano solo l’uomo e la proiezione
astrale di Flynn; in fondo si intravedeva una porta
che si affacciava su una rampa di scale.
Jenkins si guardò
attorno e chiese: “Dov’è Enya?”
Enya?! – si meravigliò Flynn.
“È
venuta con me, per liberarvi.”
Forse è la
ragazza che ho visto nella stanza all’ultimo piano, prima di ritrovarmi qui,
non sono riuscito a vederle bene.
“Mi
ha tradito?!”
Non credo, il
suo corpo si è materializzato nella stanza dove siamo anche noi, ma lei
dormiva.
“Sarà
sotto l’effetto del soma com’è capitato a me. Mi ascolti, signore, io riprenderò
l’assalto alla torre, ma lei deve riuscire a svegliare Enya.
Se lei è già all’ultimo piano, allora potrà liberarvi! Almeno spero.”
Loconsideri fatto. Ci troviamo a metà strada.
Dopo
un paio di tentativi, la proiezione astrale di Flynn
scomparve. Jenkins si diresse verso le scale, le salì
ed entrò nella stanza del terzo piano. C’era un caldo torrido, il pavimento quasi
scottava, l’aria era attraversata da fumo e odore di zolfo. L’uomo capì che lì avrebbe
dovuto affrontare un drago o qualcosa del genere; quindi si sentì sollevato che
non ci fosse qualche altro incantesimo ad interferire con la sua percezione
della realtà.
Intanto,
Flynn era riuscito a manifestarsi nel sogno di Enya. La ragazza non si trovava in un incubo com’era
capitato a Jenkins, bensì stava sognando un luogo
quasi fiabesco: un laghetto limpido circondato da alberi in un insieme che era
troppo armonioso per essere un bosco e troppo forte e maestoso per essere un
giardino. Piante e rocce si alternavano e intrecciavano tra di loro e formavano
sorta di stanze, archi e padiglioni. In giro, satiri, fauni, folletti, fatine e
altre creature sovrannaturali del piccolo popolo.
Flynn riconobbe
subito quel luogo, benché vi ci fosse recato una sola volta, anni prima, per
una questione diplomatica della Biblioteca. Quel posto era Avalon.
Si
stupì che Enya stesse sognando quel luogo:
significava, forse, che anche lei c’era stata?
La
cercò e la trovò quasi subito: era sdraiata all’ombra di un albero, in
compagnia di altre due donne, più grandi di lei, ma comunque giovani e belle. Flynn riconobbe anche loro, erano Viviana e Nimue. Attorno alle donne c’erano varie creature con cui
conversavano, qualcuna aveva uno strumento e suonava di tanto in tanto.
Flynn si avvicinò e
salutò per manifestare la propria presenza. Subito dei fauni e delle fatine si
rivolsero a lui per accoglierlo, lo omaggiarono con fiori e lo fecero sedere
vicino alle tre donne.
“Bibliotecario!”
esclamò Enya, riconoscendolo “Che cosa ci fa qua?”
Ti stavo
cercando.
“Come
ci sei arrivato ad Avalon? Non è bellissimo qui?!”
Sì, è
sicuramente inebriante, peccato non sia l’originale. Tu, però, prima di
arrivare qui, stavi facendo qualcosa. Ricordi?
“No
e non mi importa. Io sto bene qui, calma, senza preoccupazioni. Non ricordo
dove sono stata, ma era un pessimo posto: troppe tensioni, troppa ansia! Via,
qui si sta d’incanto, in armonia col resto, si vibra sulle stesse note della
creazione.”
Sì, la Terra può
risultare un posto complicato, ma se uno è realmente in armonia col Tutto,
allora non si lascia turbare dai problemi di chi lo circonda, ma rimane sereno
anche quando la situazione è difficile. È facile dire: sono in pace; quando si
sta in un luogo privo di turbamento; è molto più meritevole trovare la pace in
mezzo al caos.
Enya si sentì un
poco offesa, poiché riconosceva verità in quelle parole; chiese: “Che cosa è
venuto a fare? Che cosa vuole da me?”
Son qui per
svegliarti. Hai lasciato Jenkins da solo nel pericolo
e ti sei nascosta qui.
“No!
Non è vero! È stato il soma! L’ho bevuto e … e … mi sono ritrovata qui.”
Allora
svegliati!
Enya si alzò in
piedi, spalancò gli occhi e si ritrovò nella stanza dell’ultimo piano della torre
di Morgana. Era piuttosto confusa: non sapeva come ci fosse arrivata; presto,
però, intuì come fosse stato possibile. Notò, poi, Flynn
in piedi accanto a sé e, stupita, gli chiese: “Ma lei non era pietrificato? Era
davvero nel mio sogno?”
Sì e sì. Il mio
corpo è diventato quella statuetta che vedi là sopra, assieme alle altre
quattro; tuttavia riesco a comunicare tramite proiezioni astrali.
“Lei
è davvero in grado di compiere viaggi astrali?!” la donna era meravigliata e
molto ammirata.
È la prima volta
che mi capita, comunque, non ci pensiamo.
“Giusto,
dov’è il signor Jenkins?”
Qualche piano
più in basso. Mi ha detto di svegliarti, in modo tale che tu potessi farci
tornare normali e poi lo raggiungiamo. Hai idea circa come ritramutarci
in umani?
“Un
sortilegio della Fata Morgana è quasi impossibile da sciogliere: lei è molto
potente e ci vorrebbe un potere superiore al suo per disfare quel che fa;
tuttavia ho portato qualcosa che è un po’ come l’esci gratis di prigione del Monopoli.” mise mano alla borsa e tirò
fuori un’ampolla “Acqua di Avalon: risolve ogni
problema.”
Enya si avvicinò
alle mensole, prese le statue una per volta e le adagiò a terra, poi le bagnò
con l’acqua fata, ripentendo una formula molto melodiosa.
I
bibliotecari ed Eve tornarono esseri umani e
manifestarono apertamente la loro gioia di non essere più statue.
“Bene,
non c’è tempo da perdere.” disse Flynn “Dobbiamo
recuperare Jenkins e tornare in Biblioteca.”
“Jenkins ci sta salvando?” chiese Ezekiel
perplesso “Ha uno strano concetto dell’idea di salvare, o sbaglio?”
“Io
sono venuta con lui perché lui me l’ha chiesto!” lo difese Enya
“Sta affrontando grandi ostacoli, per voi.”
“Sì,
ma perché qui ci sei tu e non lui?” chiese ancora il ladro.
La
donna esitò poi sospirò e disse: “Credo che Morgana mi abbia portata qua,
mentre ero svenuta, perché non voleva farmi del male.”
“Perché
avrebbe voluto non farti del male?” chiese Eve,
sconcertata “L’ultima volta che l’ho incontrata, non sembrava molto interessata
all’incolumità delle altre persone.”
“Privilegi
di nascita, ora, andiamo?!” e si diresse di gran passo verso la porta per
scendere.
Gli
altri erano rimasti un po’ basiti per quella risposta, ma capirono che non era
il momento di fare domande e la seguirono. Scesero di un piano e si trovarono
in una stanza affrescata, ove sembravano raffigurate le imprese compiute da uno
stesso cavaliere che, ogni tanto, compariva in compagnia di una dama molto
elegante e con una corona in testa; c’erano anche didascalie, sotto ogni
figura.
“Non
mi sembra pericolosa, questa sala.” commentò Eve.
“Credo
che le trappole dei vari piani si attivino solo quando si sale, oppure solo in
presenza del signor Jenkins.” osservò Enya.
“Secondo
voi, che tipo di prova ci sarebbe qua?” chiese Cassandra,
Jacob,
osservando i dipinti, disse: “Non sono fatti da un professionista. Certo, l’autore
ha una buona mano, ma non dimostra particolare talento o tecnica. In compenso,
però, mi sembrano molto antichi. Rappresentano le imprese di Lancillotto e il
suo amore segreto con la regina Ginevra, almeno stando a quello che dicono le
didascalie.”
“Ricordo
qualcosa.” pensò Flynn “Giusto! In un paio di testi
della Materia di Britannia, viene raccontato che Lancillotto venne tenuto
prigioniero dalla Fata Morgana per più di un anno e che trascorse quel periodo
dipingendo la propria vita fino a quel momento. Morgana decise di tenere quei
dipinti come prove per denunciare Lancillotto e la regina davanti ad Artù!”
“Che
crudele!” esclamò Cassandra “Voler rovinare un amore così romantico come quello
di Lancillotto e Ginevra.”
“Ginevra
era falsa ed ipocrita.” affermò Enya “Si fingeva
casta e moralista e poi si comportava in maniera totalmenteopposta, inoltre piagnucolava di continuo e
manipolava gli uomini per ottenere ciò che voleva in maniera molto più subdola
di Morgana.”
“Erano
tempi diversi” osservò Stone “Le donne, in quell’epoca, non erano per nulla
indipendenti.”
“Stiamo
parlando di una cultura fortemente celtizzata! Tra i
Celti, le donne addestravano figli e figlie nell’arte di combattere fino ai
quindici anni. Comunque, a parte questo, Morgana aveva tutte le ragioni del
mondo per detestare Ginevra e voler denunciarla.”
“Ah,
certo, così il re non avrebbe avuto eredi legittimi e avrebbe nominato come
proprio erede Mordred.” intervenne Flynn.
“No,
per quello aveva usato un incantesimo per rendere sterile la regina; il motivo
è un altro. Ginevra, che tradiva Artù, anche prima di incontrare Lancillotto,
aveva un cugino, Guiomar, che amava Morgana e lei lo
ricambiava. Avevano una relazione segreta ed erano felici, finché Ginevra non li
ha scoperti e ha rovinato tutto quanto e ha esiliato Morgana dalla corte.”
“Beh,
questo Guiomar, se avesse amato davvero Morgana, l’avrebbe
seguita anche nell’esilio, non credi?” chiese Cassandra.
“Infatti
fu così, ma l’umiliazione dell’essere cacciata da Corte, il dolore della
lontananza da Artù e dal figlio Mordred e altro hanno
fatto giustamente infuriare Morgana.”
“E
tu questo come lo sai?” chiese Eve.
“Leggo
molto e mi piace parecchio la Materia Bretone.”
“Se
la visita guidata è fine, potremmo pensare a raggiungere l’uscita?” chiese Ezekiel “Ah, e magari recuperiamo anche Jenkins.”
“Giusto,
andiamo.” disse Flynn “Però mi piacerebbe proprio
sapere quale prova era prevista per questa stanza; voglio dire, che cosa c’è di
pericoloso in degli affreschi?”
“A
mio avviso, voleva sottoporre il signor Jenkins alle
varie imprese affrontate da Lancillotto.” ipotizzò Enya.
“Pretendeva
un po’ troppo.” commentò Stone.
“Lo
vuole morto, da quello che ho capito.” disse Enya.
“Perché
qualcuno dovrebbe volere uccidere il nostro Jenkins?”
chiese Cassandra.
Eve rispose: “Non so, ma sembrava ci
fosse un rapporto contorto e conflittuale tra lui e Morgana, quando li ho visti
assieme.”
“Ehi,
non avete sentito il mio consiglio di andarcene alla svelta?!” ribadì Ezekiel.
Il
gruppo decise di muoversi e passare al piano di sotto. La stanza al quarto piano
c’era un salotto arredato in stile Liberty, almeno per il giudizio di Stone.
Comparve
in mezzo alla stanza Morgana.
Trasalirono
per quell’apparizione improvvisa.Sia Eve che Flynn, che conoscevano
piuttosto bene i poteri della fata, si preoccuparono.
“Questa
è un’eventualità del tutto inaspettata.” esordì Morgana, senza essere turbata “Enya, tu hai lo stesso talento di tuo padre: trovarti ne
guai, perché aiuti i miei nemici. Risolta questa faccenda, ti dovrò fare un
discorsetto, per chiarirti un po’ di cose.”
“Loro
hanno aiutato me in una faccenda e mi sembrava giusto ricambiare la cortesia.”
“Su,
non restate in piedi.” esortò Morgana “Accomodatevi, mentre aspettiamo il vostro
amico, ammesso che riesca a cavarsela. Guardiamo che cosa sta combinando.”
Morgana
batté le mani e, riaprendole, comparve tra i palmi una sorta di cerchio in cui
si compose l’immagine di un luogo riarso dove Jenkins
stava combattendo un drago relativamente piccolo.
L’uomo
riuscì nell’impresa e, senza dubbio, Ezekiel,
Cassandra e Flynn rimasero sbigottiti, non
sospettando una simile abilità.
Un
paio di minuti dopo, Jenkins arrivò al quarto piano e
fu certo sorpreso di ritrovare tutti quanti lì.
“Bene,
ora che siamo al completo, possiamo discutere.” annunciò Morgana, sicura di sé
e con sguardo beffardo “Come pensate di sfuggire a me?”
Flynn, senza perdersi
d’animo, ribatté: “Sono il Bibliotecario. Ho affrontato il male in decine e
decine delle sue forme e sono sempre stato trionfante. Ho sconfitto persino
Dracula.”
“Mi
stai proponendo una sfida?” domandò la Fata, con un sorriso piuttosto
inquietante.
“No,
ti sto dando la possibilità di arrenderti senza colpo ferire.” rispose Flynn, sebbene in realtà non avesse un piano.
“Vi
ho pietrificati una volta, potrei rifarlo in qualsiasi momento … o fare anche
di meglio.”
“Lasciali
andare.” intervenne Jenkins “Resterò io, tuo
prigioniero.”
“Perché
dovrei accontentarmi di un prigioniero, quando potrei averne sei?”
“Perché
se loro non si presenteranno al Conclave, Dulaque
prenderebbe il controllo della situazione.”
“Dovrebbe
forse dispiacermi che la magia riprendesse piede? Ne avrei solo molti benefici.”
“Certamente,
ma vuoi realmente lasciare tutto il merito a Dulaque?
In questo modo sarà lui ad essere celebrato come un eroe, come il migliore … di
nuovo.”
Jenkins aveva colpito
nel segno: le labbra di Morgana si incresparono e il suo sguardo si inviperì,
era decisamente turbata. Rifletté qualche momento e poi chiese conferma: “Se
lascio andare i bibliotecari e la Guardiana, tu resterai qui, in mia balia?”
“Sì.”
Jenkins era risoluto, sebbene consapevole delle
conseguenze di quella scelta “Inerme, disarmato, sarò alla tua mercé.”
“È
un’offerta molto, molto, molto allettante.” Morgana era molto entusiasta di
quell’opportunità “Sia! In fondo, la Guardiana mi ha permesso di assorbire
tutta quell’energia alla fiera della scienza, un favore glielo devo.” si voltò
verso i bibliotecari “Bene, potete andare, accetto la proposta.”
“Ma
noi no!” esclamò Flynn.
“Jenkins non può sacrificarsi!” protestò Eve
“Troveremo un’alternativa.”
“Questa
è la più rapida e sicura.” sentenziò l’uomo “Andate. Signor Carson,
la Biblioteca ha delle responsabilità, per le quali sono ben lieto di
sacrificarmi.”
Flynn capì e,
nonostante le proteste dei compagni, accettò quella soluzione.
“No,
anche lei deve essere libera!” esclamò Jenkins.
Morgana
rise, divertita e commentò, sarcastica: “Che tenero!”
Enya lo guardò
mestamente e gli disse: “Non si preoccupi, va bene così.”
I
bibliotecari e la guardiana, tristemente, uscirono salutando e ringraziando l’amico
che affidò la propria spada a Flynn, raccomandandosi
di custodirla con cura.
L’uscio
si richiuso alle spalle di Jenkins, che spostò su
Morgana il proprio sguardo pronto alla sofferenza.
L’atmosfera
in Biblioteca era molto spenta e rattristata, ovviamente. Eve
aveva deciso di portare i tre bibliotecari a bere o mangiare qualcosa fuori,
per cercare di distrarsi un poco, anche se sarebbe servito a poco.
Flynn, intanto, era a
riferire e discutere dell’accaduto con Judson e Charlene.
“Direi
che il da farsi sia chiaro.” commentò Judson.
“Sì,
salvare Jenkins.” disse Flynn
“Devo solo capire come.”
“Oh,
no, non era questo che intendevo.” ribatté l’uomo riflesso.
“Come?!”
“Lui
ha deciso di consegnarsi per consentirvi di affrontare al meglio il Conclave è
a questo che dovete dedicarvi.”
“Dovremmo
abbandonarlo?” Flynn era incredulo e in disaccordo
“Non posso accettarlo.”
“Non
lo state abbandonando, semplicemente lo mettete al secondo posto. Dopo il
Conclave potrete affrontare la questione di come liberarlo.”
“Dopo?!
Potrebbe essere morto!”
“Ascoltami,
Flynn, conosco Jenkins da
quando era un bambino e l’ho visto compiere imprese e sopportare prove e
fatiche alla portata solo di quegli uomini che raramente nascono, nel corso dei
secoli. Lui ha avuto le sue glorie e ora sta facendo la sua parte in questo
modo, tu non devi venire meno al tuo dovere.”
“Sì,
ma per il Conclave Jenkins è fondamentale! Lui
conosce tutto il protocollo, le procedure, i cavilli!”
Charlene intervenne:
“Per quel genere di cose me la cavo perfettamente anch’io.”
Jedson sospirò e cercò
un’atra strategia per persuadere l’uomo: “Tu ti saresti sacrificato per salvare
i tuoi apprendisti?”
“Certamente!”
“E
avresti voluto che loro portassero avanti l’operato della Biblioteca, giusto?”
“Sì.”
“Jenkins ha fatto la medesima cosa. Flynn,
salva la Biblioteca, salva il mondo! E forse riuscirai a salvare anche lui.”
“Morgana
sembrava entusiasta, all’idea di averlo in proprio potere.”
“Oh,
sì, lo torturerà, certamente; tuttavia lei odia una persona molto più di lui.
Sono piuttosto sicuro che terrà in vita Jenkins
finché non l’avrà usato per compiere un’altra vendetta.”
“Come
puoi essere così tranquillo, Judson?!” chiese Flynn attonito e indignato.
“Non
sono insensibile, credimi, ma sono abituato a questo genere di situazioni.
Pensa al Conclave, o le sofferenze non saranno solo per Jenkins,
ma per molti altri.”
Flynn sospirò,
rassegnato, ma non convinto: “È la vecchia regola: a volte bisogna rinunciare a
ciò che si vuole davvero e fare ciò che è giusto. Ma questa volta, che non è
per me, ma per qualcun altro, è più difficile.”
Più
tardi, il Bibliotecario, interrogato da Eve, le
raccontò della riunione e le espresse le proprie perplessità. La donna ascoltò
attentamente, anche lei era della medesimo opinione di Flynn,
tuttavia disse: “Temo che, se tentassimo di salvarlo, lo stesso Jenkins si arrabbierebbe con noi.”
“Perché?”
“Quando
abbiamo avuto a che fare con la fata Morgana e il suo software, io mi sono
ritrovata davanti a due possibilità: uccidere lei, oppure andare a salvare gli
studenti dagli effetti della regola del tre. Ho scelto di proteggere i ragazzi
e, così, ho salvato molte vite, ma non solo ho permesso che Morgana
sopravvivesse, ma anche le ho consentito di caricare enormemente i suoi poteri.
Jenkins si arrabbiò moltissimo per questo. Mi accusò
di aver salvato poche vite a fronte di quelle che avevo condannato e mi disse
che se non avessi imparato a vincere le guerre, anziché le battaglie, nessuno
di noi sarebbe sopravvissuto, in futuro. Adesso mi rendo un po’ meglio conto di
quello che intendesse, sebbene non mi sia pentita di aver salvato gli
studenti.”
“D’accordo.”
annuì Flynn “Ho capito com’è fatto il nostro amico;
rispetterò la sua volontà, anche se non condivido. Pensiamo al Conclave, manca
solo una settimana; devo ricontrollare i discorsi da tenere.”
“Stone
sta controllando i verbali dei precedenti Conclavi, per vedere che strategie
siano state usate in passato e per cercare qualche spunto. Cassandra sta
cercando dati, anche se non so bene dove e come, per fare calcoli statistici
circa le conseguenze del ritorno della magia, l’impatto sulla Terra, sulle
creature, le possibili reazioni degli umani davanti al soprannaturale etc. Riferiremo,
ad esempio di come sia pericolosa la magia nelle mani degli uomini, anche
alcuni dei casi affrontati dalla Biblioteca. Pensi che il minotauro,
il libro di favole e la casa stregata possano bastare o citiamo più fatti?”
“Vedremo.
Comunque, sì, penso sia più saggio sottolineare la dissennatezza umana,
piuttosto che ricordare le malefatte degli esseri fatati. Almeno inizialmente
teniamo questa linea, poi veremose sarà necessario
modificarla oppure no. Ezekiel si sta occupando di
qualcosa?”
“Secondo
te?”
“Ottimo,
allora digli di studiarsi le conflittualità, le controversie e ogni ostilità
sorta tra le varie creature sovrannaturali.”
“Ho
capito! Se faranno fronte comune contro di noi, troveremo il modo di far
riemergere vecchie ruggini in modo tale che litighino tra di loro.”
“Esattamente:
dividi et impera.”
“Perfetto,
allora cerco Ezekiel e gli spiego il da farsi, magari
gli darò una mano.” annuì Eve “Questa strategia mi
piace e voglio prepararmi al riguardo. Dobbiamo dimostrare di conoscere le loro
debolezze.”
“Ottimo,
io ripasso le tecniche oratorie di Lisia e
Demostene.”
Jenkins era stato
rigettato in prigione, in un sotterraneo grande, freddo e scomodo, senza
neppure un poco di paglia su cui poter riposare e con tanto umido da dare
problemi alle ossa. I suoi vestiti era stracciati e macchiati di sangue. Non
sapeva da quanti giorni era lì, poiché le torture fisiche e mentali, alternate
a quei momenti di ridicolo riposo non gli avevano completamente offuscato e
distorto la percezione del tempo. Il vero tormento per lui era tuttavia un
altro: il sapere che quelle torture, in realtà, non erano altro che un
passatempo, in attesa che Morgana decidesse che cosa realmente fare di lui.
L’uomo
era rannicchiato nel proprio cantuccio, concentrato nell’usare qualche tecnica
di auto guarigione e per isolare un poco la sua coscienza dal corpo, in modo
tale da avere un poco di quiete.
Il
rumore di passi lo destò dalla sua concentrazione, pensò che stesse arrivando
un nuovo aguzzino. Vide Enya, vestita di bianco, con
un piatto in mano, avvicinarsi a lui. Era la prima volta che la vedeva, da
quando si era consegnato prigioniero a Morgana. Lei sembrava in salute, sana e
avrebbe potuto parere radiosa, se solo la tristezza non le avesse velato gli
occhi.
“È
un’allucinazione?” chiese l’uomo.
“No,
sono proprio io.”
“Morgana
non le ha fatto nulla.” constatò Jenkins, sentendosi
ferito “Era dalla sua parte fin dal principio? Ecco perché non aveva paura a
sfidarla.”
“Non
è andata così! Io realmente volevo aiutarla e l’ho seguita nell’impresa,
sperando che la mia presenza mitigasse le prove a cui Morgana l’avrebbe
sottoposta.”
“Avrebbe
dovuto comunque subire delle conseguenze, se fosse vero quel che dice.”
Enya sospirò, si
mise in ginocchio accanto all’uomo, gli allungò il piatto che teneva in mano e
gli disse: “Le ho portato qualcosa da mangiare.”
“È
avvelenato?!”
“No
di certo! È a digiuno da cinque giorni, si sta indebolendo parecchio. Guardi,
ho anche dell’acqua.” gli porse una borraccia rivestita di cuoio “Sarei venuta
prima, ma Morgana non lasciava mai il castello; oggi è uscita, non so per quale
commissione, e io sono potuta venire qui, in segreto.”
Jenkins prese la
borraccia, l’aprì, l’annusò e infine bevve un lungo sorso, poi disse: “Grazie.
Perché lo fa?”
“Perché
sta soffrendo e ha bisogno di aiuto. Io non la conosco molto, ma quel poco di
tempo che abbiamo trascorso assieme mi ha permesso di affezionarmi a lei, di
volerle bene e ammirarla.”
“Parole
strane, dette da un’alleata di Morgana.”
“Non
sono sua alleata! Certo voglio bene a Morgana e conosco i suoi pregi, tuttavia
sono consapevole anche dei suoi difetti e del caratteraccio che può avere, in
certe occasioni, ma ha sofferto molto anche lei, in passato.”
“C’è
una differenza enorme, tra le nostre opinioni sulle azioni della Fata.”
“L’abbiamo
certamente conosciuta in situazioni, schieramenti e profili molto diversi.”
“Enya, mi dica chi è, per favore.” Jenkins
aveva iniziato a mangiare qualcosa dal piatto “Per me c’è troppo mistero su di
lei e non riesco a capire come considerare lei e le sue azioni.”
La
ragazza sospirò e disse: “Mi pare giusto, ha ragione; tanto più che ho scoperto
la sua identità, non sarebbe corretto continuare a farle mistero delle mie
origini.”
“Davvero
sa chi sono io?”
“Sì,
me lo ha riferito Morgana. Lei è Gahalad, il
cavaliere che trovò il Sacro Graal, che sedette sul seggio periglioso; figlio
di Lancillotto Del Lago, figlio di re Ban di Beonic e di Viviana Del Lago; mentre sua madre fu Elaine di
Corbenic, figlia del Re Pescatore. Ho dimenticato
qualcuno nella genealogia?”
“Nessuno
di essenziale. Ora posso conoscere la sua?”
“Certamente.
Il mio nome è Enya delle Orcadi, figlia di monsignor
Galvano, il migliore dei cavalieri, figlio di re Lot
delle Orcadi e di Morgouse, che fu sorella di Morgana
e di Re Artù.”
“Ah!
Ora capisco la sua incolumità!” disse Jenkins, quasi
riuscendo a ridere “Nepotismo allo stato puro! Sì, Morgana ha sempre trattato
come figli propri anche i suoi nipoti, nonostante essi fossero leali a Camelot. Dopo l’esilio e l’umiliazione, Morgana ordì
numerosi complotti ai danni del re, della regina o dei cavalieri della Tavola
Rotonda. Più di una volta Galvano si è trovato in pericolo, al posto di altri,
a causa degli intrighi orditi da sua zia.”
Jenkins sospirò e
rimase un poco in silenzio, ricordando quei tempi; poi gli balenò nella mente
un pensiero, si voltò a scrutare la ragazza e le chiese con stupore contento:
“Se il suo nome è Enya ed è figlia di monsignor Galvano
significa che sua madre è Nimue Del Lago, figlia di
Viviana Del Lago?!”
“Esattamente.”
gli rispose la ragazza, sorridendo dolcemente.
“Il
che, allora, significa che siamo cugini!”
Lei
annuì, poi specificò: “Per metà, visto che solo la nonna è in comune e non il
nonno.”
“via,
possiamo darci del tu, allora! È dai tempi della caduta di Camelot
che non ti vedo e non ho tue notizie, ero convinto fossi morta! Nonostante il
nome e l’aspetto famigliare non ti avevo riconosciuta.”
“Ero
con le dame che, assieme a Morgana, trasportarono il corpo di re Artù ad Avalon e sono rimasta là per un bel po’ di anni terrestri,
a quanto pare.”
“Un
giorno ad Avalon equivale ad un anno sulla Terra …
Dunque, hai effettivamente ventiquattro anni e non secoli e secoli come me.”
Gli
occhi di Enya si colmarono di lacrime e mormorò: “Mi
dispiace così tanto!”
“Cosa?
Non avere secoli e secoli di età?” scherzò Jenkins.
“No,
per quello che ti stanno facendo!” si strinse a lui “Vorrei aiutarti di più ma
non so come fare.”
L’uomo
l’abbracciò, per quanto il dolore glielo permettesse e le disse: “Sono certo
che qualcosa ci verrà in mente.”
“Oh,
accidenti, scusami! Dovrei essere io a fare coraggio a te e, invece, sei tu a
confortare me. Scusa!”
“Beh,
se vuoi confortarmi, delle parole che mi farebbero bene, sono quelle di Anfrido alla fine della scena prima dell’atto terzo dell’Adelchi. Le
conosci?”
Enya annuì e recitò
a memoria: “Reale amico! Il tuo fedel t’ammira e ti compiange. Toglierti la tua splendida
cura non poss’io, ma posso teco sentirla almeno. Al cor d’Adelchi dir che d’omaggi,
di potenza e d’oro sia contento, il poss’io? Dargli
la pace de’ vili, il posso? E lo vorrei, potendo? Soffri e sii grande: il tuo
destino è questo, finor: soffri, ma spera: il tuo
gran corso comincia appena; e chi sa dir, quai tempi,
quali opre il cielo ti prepara? Il cielo che re ti
fece, ed un tal cor ti deide.”
“Ecco,
mi sento già meglio. Grazie.”
Enya gli fece una
carezza poi, malinconica, disse: “Avrei voluto liberarti, mentre Morgana sarà
al Conclave per rappresentare Avalon; ma lei vuole
che la segua.”
“Non
ha importanza. Tra quanto sarà il Conclave?”
“Tre
giorni. Vuoi che porti un tuo messaggio a qualcuno?”
“Se
ne avrai l’occasione, conforta i bibliotecari.”
“Lo
farò.”
“Adesso,
va via. Non che mi dispiaccia la tua compagnia, ma se Morgana dovesse tornare,
non credo che ti perdonerebbe anche questo.”
“Dammi
almeno il tempo di curarti le ferite più gravi.”
“No,
Morgana se ne accorgerebbe e non voglio che accada. Hai già lenito gli squarci
del mio animo e va bene così.”
“Mi
sembra di non aver fatto nulla.” si rammaricò la giovane.
“Non
hai idea di quanto faccia bene ai carcerati ricevere visite. Va!”
Enya annuì ma, prima
di alzarsi, per non più di un secondo e mezzo, diede un bacio sulle labbra
dell’uomo, poi si alzò e uscì dalle prigioni.
Ezekiel era stato molto
sorpreso: lui immaginava che quello che aveva arbitrato fosse stato un normale
Conclave, non si era reso conto che quello, improvvisato, era stato poco più di
una riunione. I veri Conclavi erano fatti in gran pompa e richiamavano molti
più rappresentanti.
In
Biblioteca erano arrivati almeno un centinaio di diplomatici e a ciascuno era
stato assegnato un alloggio, cercando di tenere vicini le creature affini tra di
loro. In una stessa zona, dunque, si potevano trovare Lady Sililandria
delle Legioni Fatate, la Fata Morgana portavoce di Avalon,
Maatali e Tilottama che
rappresentavano i Gandharva e le Apsara
e ancora altri esseri riconducibili alla categoria degli elfi, dei folletti,
delle fate e delle ninfe. Altrove si trovavano i rappresentanti di singoli e
veri e propri regni, come Cuchlann del Regno di
Ferro, Elatha per i Fomori,
gli emissari di Raksasa, Yaksa,
Asura, Daiva, Nani. Non
mancavano, poi, i rappresentanti di vampiri erinni, empuse,
licantropi, altre specie di uomini-animali, i geni, dei draghi e molti altri
ancora. Lungo e difficile sarebbe elencare tutti quanti i convenuti. Non
mancava neppure Dulaque, ovviamente.
La
mattinata trascorse con l’arrivo di tutti i membri, la loro sistemazione negli
alloggi e la lettura dei punti del Conclave precedente.
Dopo
pranzo si aprì il dibattito. Flynn, in qualità di
arbitro, fu il primo a parlare: “Questo è un Conclave molto particolare e
delicato. La discussione verterà circa la possibilità di prendere provvedimenti
ed eventualmente quali, ora che la magia è ritornata nel mondo; in particolare
tratteremo dei rapporti con gli umani.”
“Di
conseguenza” intervenne Dulaque, che voleva porsi
subito come condottiero dell’opposizione “Sarà probabilmente necessaria una
revisione delle funzioni della Biblioteca. Voglio che venga messo a verbale.”
“Non
si preoccupi, ogni parola pronunciata in questa sede verrà trascritta.” lo
rassicurò il Bibliotecario e accennando a Charlene che,
penna in mano, prendeva nota di tutto come una stenografa.
“Bene,
se non ci sono altre precisazioni, comincerei il dibattito.” proseguì Flynn “Per prima cosa vorrei che ognuno di voi o, per lo
meno, chi lo desidera, esprima una propria opinione o posizione sull’argomento.
In base a ciò che emergerà inizieremo la discussione vera e propria. Chi vuole
la parola per primo?”
“Io.”
si prenotò subito Dulaque, mettendosi in piedi “Mille
anni fa, dopo lunghi conflitti di cui tutti noi, o quasi, abbiamo memoria,
ritenemmo che la magia, la presenza delle creature sovrannaturali e le nostre
questioni mettessero a repentaglio la sicurezza di questo mondo. Volendo
proteggere gli umani e il pianeta, decidemmo di sottrarre la magia al mondo e
ritirarci noi stessi nell’ombra o in altri piani dimensionali, più o meno
artificiali. Quali sono stati i risultati della nostra decisione? Il mondo è
migliorato? L’umanità è progredita, ha smesso di guerreggiarsi? Non mi risulta.
Per millenni, gli uomini hanno usato come armi spade, lance, frecce, mazze,
frombole al massimo; poi, chi conosceva le arti magiche, tal volta le impiegava
anche nel combattere. Poco dopo che il mondo perse la magia, che cosa accadde?
Sono spuntate le prime armi da fuoco, i cannoni e poi fucili, pistole, mitraglie,
sempre più micidiali! Bombe. Bombe atomiche. Ora hanno anche armi
batteriologiche, gas venefici, armi ad ultrasuoni e non so che altro! Ci sono
state guerre in continuazione, guerre civili, guerre mondiali, rivoluzioni,
genocidi, massacri, quasi sempre causati esclusivamente dal desiderio o bisogno
di ricchezze. Con la venuta dell’era industriale, è sorto il problema
dell’inquinamento, sempre più grave, dello sfruttamento feroce degli operari e
della loro degradazione da lavoratori a strumenti di lavoro. Perché, allora,
dovremmo privarci del diritto di abitare sulla Terra, di attingere alla magia,
quando gli umani sono così bravi a distruggersi da soli, senza bisogno di
ricorrere al soprannaturale? Abbiamo lasciato il mondo in mano agli umani per appena
un millennio e loro lo hanno portato alla rovina! Per quanti millenni la magia
e voi creature sovrannaturali avete vissuto e condotto questo mondo? Talmente
tanti che neppure i più anziani e longevi di voi ne hanno memoria. Le guerre
c’erano anche allora, il sangue veniva versato, ma mai e, ripeto, mai si era
arrivati sull’orlo della catastrofe e dell’annichilimento, così come hanno
fatto gli umani da soli. Riportare la magia nel mondo, ritornare noi nel mondo
significherebbe riprenderci in mano la responsabilità del pianeta, della nostra
casa universale, e salvarlo e illuminare e guidare gli umani. Non si può più
attendere.”
Dulaque si rimise a
sedere, soddisfatto del proprio esordio e certo di aver catturato il favore dei
presenti.
Parlò
allora Morgana: “Io sono un’umana o, almeno, sono nata come tale. Ebbi la
fortuna di crescere in una ricca e nobile famiglia e avere dunque la
possibilità di scegliere cosa fare della mia vita, possibilità oggi
maggiormente diffusa. Avrei potuto essere una cantante, una ricamatrice,
suonare uno strumento, amministrare il maniero, prendere i voti e tante altre
strade avrei potuto imboccare. Io ho scelto la magia, io ho deciso di dedicarmi
allo studio di incantesimo e del funzionamento del tutto, ho dedicato tutta la
mia vita, la mia esistenza alla magia e non c’è bisogno ch’io elenchi i miei
risultati. La magia è stata messa al bando, perseguitata anche nelle sue forme
più semplici, additata come dannosa per l’umanità prima e poi addirittura
considerata come arte infernale. Tutto ciò, però, non è bastato a cancellare la
magia dalla coscienza umana, il suo spirito e il suo desiderio sono rimasti
vivi negli uomini e nelle donne. Questa è un’ulteriore prova che essa è insita
nella creazione, è naturale e spontanea e merita di essere nuovamente accolta e
diffusa sulla Terra e non tenuta nascosta come se fosse qualcosa di orribile.
La magia è bella, ci rende migliori, basta freanrla!”
Prese
allora la parola Cuchlann che con fare serio disse:
“Degli umani, esseri deboli e inferiori a chiunque di noi, con qualche raggiro
ci hanno convinto che fosse bene che abbandonassimo la Terra, che ogni razza o
regno si ritagliasse il suo spazio dimensionale e vivesse lì, separato da tutto
il resto e da tutti gli altri. Per creare queste dimensioni artificiali dove
essere esiliati, si è sacrificato il grande Mago Merlino che da mille anni si
trova in catarsi per infondere energia ai nostri mondi, per permetterne
l’esistenza ed evitare che collassino. Chi ha guadagnato in tutto ciò? Gli
umani! Noi, migliori e più forti, ci siamo ritrovati esiliati e in difficoltà,
isolati gli uni dagli altri, poiché solo pochi potenti possono agilmente
viaggiare tra queste dimensioni. Gli umani, invece, deboli e patetici, hanno
prosperato e gozzovigliato a nostre spese. Io dico che è ora di riappropriarci
della Terra, dei nostri diritti e del nostro potere. Che i più grandi dominino,
mentre i deboli servano!”
Si
alzò, allora, il rappresentante degli spettri che dichiarò di volere il diritto
di infestare case e luoghi, senza che si cercasse di esorcizzarli o scacciarli.
Maatali dei Gandharva aggiunse: “Noi vogliamo libera circolazione per
tutte le creature in ogni luogo e siamo contrari al fatto che la Biblioteca si
appropri di manufatti, sottraendoli ai loro legittimi proprietari oppure
decidendo, arbitrariamente, che siano pericolosi.”
Uno
dei rappresentanti dei draghi dichiarò: “Sono d’accordo su questo punto, ma
aggiungo che non voglio che gli umani possano accedere alla magia, sono troppo
stupidi e non la capiscono. La magia deve essere appannaggio nostro.”
“No,dev’essere diffusa
e circolare e trasformare gli umani in esseri come noi!” diceva, invece, uno Yaksa.
Molti
espressero la propria opinione in termini a volte simili, a volte molto
differenti tra di loro. Dopo quasi un’ora trascorsa in questo modo, Enya, che era lì come semplice auditrice, si alzò in piedi
e disse: “Sono Enya delle Orcadi, non rappresento che
me stessa, ma chiedo che mi sia concessa la parola in questo dibattito.”
“Io
le riconosco il diritto di intervenire.” affermò subito Elatha,
seguito poi sia da Morgana, sia da Dulaque, sia da
altri.
Ottenuto
così il diritto di parlare, la giovane disse: “Finora, quello che ho sentito suntverbaetvoces, praetereaquenihil. Alcuni hanno parlato di questioni di potere, altri
di libertà, altri di benessere o giustizia. Alcuni hanno considerato la magia
come una vocazione, altri come uno status, altri ancora come un mezzo. Io vi
chiedo: come potete prendere delle decisioni sulla magia, se prima non stabilite
che cosa sia la magia? O almeno come la volete considerare in questo momento?
Credo che non si verrà mai a capo della faccenda, se ognuno continuerà ad usare
la stessa parola per definire cose differenti. Io ho sentito, prevalentemente,
tre concezioni differenti della magia, nei vostri discorsi: strumento, il
potere di intervenire sulle cose; energia che sorregge il mondo; fusione della
coscienza con il tutto e mezzo di progressione spirituale. Indubbiamente la
magia è tutte e tre queste cose, ma ognuna di queste tre concezioni ha
implicazioni differenti. Accantonando momentaneamente l’idea semplice di
energia e, soffermandoci solo sull’aspetto spirituale e pragmatico, a mio
avviso abbiamo questi due panorami: non si può negare a nessuno la possibilità
di progredire, anzi, sarebbe dovere di ciascuno migliorare ed evolversi; un
grande potere, come quello che conferisce la conoscenza della magia, deve
essere controllato, poiché in mano a stolti o deboli d’animo, può essere mal
utilizzato. L’impiego della magia, nel bene o nel male, dipende dalla virtù e
dai vizi di chi la esercita. Che cosa
misera è l’umanità, se non sa elevarsi oltre l’umano; scriveva Seneca. Non
si può realmente privare il mondo dalla magia, non solo perché gli uomini, nonostante
la scienza, continueranno a crederci, ma anche perché ogni volta che un uomo o
una donna progrediscono di un passo nel sentiero spirituale, essi si avvicinano
alla magia. La magia è quell’energia che è in tutto e facendola emergere in
noi, possiamo poi sentire quella esterna e dunque cerchiamo di manipolarla, per
poi capire che tra noi e fuori non c’è separazione. Non sempre c’è
consapevolezza nello scoprire ed utilizzare la nostra energia, spesso essa
emerge, stimolata dai desideri, anziché dalla volontà. I desideri che non sono
altro che parassiti che si attaccano alla nostra anima. La magia è divina,
quando consapevole, è diabolica quando è direzionata dai desideri. Questo è
quanto di oggettivo si possa dire sulla magia ed è ciò che dovete considerare,
quando ne parlate. È mia opinione, invece, che la magia sia come la verità. La
verità può fare più o meno male, a seconda di quanto lo spirito di chi ascolta
sia pronto ad accoglierla e comprenderla. Avete tutti presente il mito della
caverna di Platone. La verità deve essere celata alle folle a chi non è pronto
a sostenerla, ma deve essere alla portata di chiunque ne sia degno. La verità
vuole essere scoperta, ma non volgarizzata. Allo stesso modo, io credo, si
comporta la magia.”
“Quindi
è favorevole o contraria al ritorno della magia e alla diffusione tra gli
umani?” chiese Lady Sililandria.
“Favorevole
a non impedire nuovamente alla magia di vibrare nel mondo. Per quanto riguarda
la diffusione, penso che soltanto persone consapevoli e libere dal desiderio e
dalle passioni possano accostarsi degnamente alla magia, ma allo stesso tempo
so che essa cadrà ugualmente in mani sbagliate che abuseranno del potere. È
giusto che ci sia qualcuno che intervenga contro costoro, ad esempio potrebbe
occuparsene la Biblioteca. Io, tuttavia, non ho nessun diritto di voto, in
questo Conclave.”
Alcune
entità presenti parevano concordare con le parole di Enya,
altre invece rimanevano di differente parere. Il dibattito continuò con la
raccolta delle varie opinioni che da lì in poi tennero conto della definizione
di magia data dalla ragazza, pur arrivando a conclusioni differenti. Poco prima
di sciogliere la seduta per quel primo giorno di Conclave, arrivarono a
stabilire il programma delle discussioni successive. Il mattino seguente
avrebbero discusso della presenza della magia nel mondo, dopo aver preso una
decisione al riguardo, avrebbero affrontato la questione della collocazione
degli esseri sovrannaturali; poi sarebbe stata la volta della scelta di
concedere o meno e in che misura la magia agli umani; infine si sarebbero
decise le sorti della Biblioteca.
Avendo
così organizzato i futuri lavori, la riunione si sciolse e i vari
rappresentanti si ritirarono nei loro alloggi per poi cenare e riposare.
Flynn e i suoi compagni
non erano ben certi se considerare l’esito della giornata positivo o negativo.
Tutti quanti si erano messi al lavoro per scegliere e studiare che cosa dire il
giorno seguente. L’approvazione di mantenere la presenza della magia nel mondo
pareva scontata. Il Bibliotecario avrebbe voluto impedirla ma, parendogli
inevitabile, pensava di appoggiarla anche lui, in modo tale da non sembrare
contrario a tutto ed interessato solo alla Biblioteca: se si fosse mostrato
imparziale, avrebbe avuto maggior credito.
Un
altro dei pensieri che aveva turbato i bibliotecari, era la presenza di Enya, tanto più in compagnia di Morgana; non sapevano che
opinione avere al riguardo, in generale erano infastiditi, poiché pareva loro
una traditrice e bugiarda.
Ezekiel si era stufato
a restare tutto il giorno in Conclave e, alla sera, non aveva certo voglia di
restare ancora chiuso in una stanza a sfogliare plichi e preparare discorsi.
Era incuriosito dalle varie razze che aveva visto quel giorno e ancor di più
dai loro bagagli. Il ladro decise di gironzolare un poco per le zone degli
alloggi, fare un po’ di pubbliche relazioni e scoprire se ci fosse qualcosa di
prezioso.
Mentre
così si aggirava, Ezekiel si imbatté in Dulaque che gli disse: “Avevo proprio bisogno di parlare
con qualcuno della Biblioteca. Vieni, parliamo a quattr’occhi.”
Il
ladro non era entusiasta, ma seguì Dulaque in una
zona del corridoio, poco distante dalla folla; lì l’uomo gli chiese: “Come mai
oggi Jenkins non era presente? Dov’è?”
“Perché
ti interessa?” si stupì Jones.
“Mi
sorprende che non ci sia. O gli avete affidato un altro incarico, oppure gli è
successo qualcosa. Voglio sapere.”
“Come
mai?!” insisté Ezekiel “Nel caveau della setta gli
hai salvato la vita, ora ti preoccupi per lui; perché?”
Dulaque inarcò le
sopracciglia qualche istante, poi disse con tranquillità: “Perché è mio
figlio.”
Jones
rimase senza parole, esterrefatto, incerto se credere o meno a quelle parole.
“Allora”
lo incalzò Dulaque “Dove si trova? Come sta?”
“Lo
vorrei sapere anch’io.” si riprese Ezekiel “Temo che
l’unica a saperlo sia Morgana e, forse, la ragazza che è con lei, Enya.”
Dulaque sgranò gli
occhi e il suo volto fu colto da un misto di rabbia e preoccupazione, poi si
voltò e si allontanò velocemente. Si recò nei pressi degli alloggi dei Fomori, lì attese, nascosto, per quasi due ora. Quando,
finalmente, vide Enya uscire dalla stanza di Elatha, la seguì furtivamente finché non si fu un poco
allontanata e, allora, le balzò contro e la spinse contro la parete, molto
minacciosamente.
Quando
ebbe riconosciuto l’aggressore, Enya si lamentò: “Non
è necessario che ti comporti così ogni volta che vuoi parlarmi a quattr’occhi!”
“Che
cosa sai di Jenkins?” chiese glaciale e terribile Dulaque.
Enya capì la
situazione e, mesta, rispose: “È prigioniero di Morgana.”
“Cosa
…?!”
La
ragazza raccontò com’erano andate le cose e, poi, concluse: “Mi dispiace
tremendamente. Io vorrei fare qualcosa, ma Morgana è troppo potente! Sono
riuscita a vedere Gahalad solo un paio di volte, da
quando è stato rinchiuso e … e … Lui è magnifico, nonostante tutte le torture e
umiliazioni, riesce a rimanere sereno, imperturbabile. Si vede la sofferenza
nel corpo, ma non nel suo spirito. Non so come faccia, è straordinario.”
Dulaque, a quelle
parole, sembrò provare orgoglio.
Enya continuò:
“Secondo te, unendo le forze io e te, potremmo liberarlo?”
“Con
un buon piano, è possibile. Dimmi, però, come posso fidarmi di te? Come faccio
ad essere certo che non sia una trappola di Morgana?”
“Non
ne ho idea.”
“Io
una l’avrei.” Dulaque aveva un’aria subdola “Akh, Ba, Ka. Sai che cosa sono,
vero?”
“Tre
delle varie componenti della parte extracorporale secondo la tradizione egizia.”
rispose la ragazza, confusa.
“Sai
anche che esiste la possibilità di ancorare una di queste componenti ad una
statuetta?”
“Sì;
gli egizi lo facevano per garantire una sorta di corpo terreno all’anima, dopo
la morte, nel caso la mummificazione non fosse stata sufficiente.”
“Brava,
ma è un rituale che può avere anche altri scopi. Scegli uno tra Akh, Ba e Ka e confinalo in un
oggetto che poi mi consegnerai a garanzia della tua lealtà. Quando Gahalad sarà libero, io ti restituirò il pegno.”
Enya si soffermò a
riflettere: lei voleva realmente liberare Jenkins e
non voleva ingannare Dulaque, dunque non avrebbe
avuto da temere da quell’accordo, se non fosse stato che il rituale non era
reversibile e quindi per sempre una parte della sua anima sarebbe stata legata
ad un oggetto. Temeva che ciò l’avrebbe resa più vulnerabile, sebbene sapesse
che molti maghi erano ricorsi a quel tipo di rituale, ottenendo benefici.
“Ebbene?”
incalzò una risposta Dulaque.
“D’accordo.”
si arrese la giovane “Impegnerò il mio Akh.”
“Molto
bene. Voglio essere presente, durante il rituale, per accertarmi che non ci
siano inganni.”
“Domani
notte, allora.”
Nel
frattempo, Ezekiel, attonito, era tornato nella
stanza dove Flynn e gli altri si stavano organizzando
per il giorno seguente.
“Ho
appena avuto una notizia che probabilmente è falsa, ma ve la devo assolutamente
dire, perché è davvero troppo strana!” annunciò il ladro, dopo aver richiuso la
porta dietro di sé.
“Che
cosa succede?” chiese Cassandra.
“Ricordate
quando io vi dicevo che nel caveau Dulaque aveva
salvato Jenkins e voi non mi credevate, dicendo che
avevo sicuramente visto male? Beh, meno di cinque minuti fa, Dulaque mi ha chiesto perché Jenkins
non fosse con noi. Gli ho chiesto perché si preoccupasse così tanto per un suo
nemico e sapete cosa ha risposto? Che Jenkins è suo
figlio! Vi rendete conto?!”
“Ti
prendeva in giro.” commentò Stone “Non voleva risponderti e ti ha dato una
risposta a caso.”
“Jenkins e Dulaque hanno più o
meno la stessa età.” osservò Cassandra “Non è matematicamente possibile che
siano padre e figlio.”
“Questo
lo so anch’io!” ribatté Ezekiel “Quello che voglio
dire è che comunque deve esserci qualcosa che ancora non sappiamo su di loro e,
sinceramente, vorrei proprio scoprire cosa sia!”
“Lo
chiederemo a Jenkins, dopo che lo avremo liberato,
dopo aver risolto il Conclave.” tagliò corto Flynn.
Quando,
più tardi, lui ed Eve furono soli, il Bibliotecario
tornò sull’argomento: “Sai, quello che ci ha raccontato, prima, Ezekiel, mi ha colpito. Loro non sanno nulla, ma per noi
che sappiamo che Dulaque è in realtà Lancillotto, può
essere plausibile che Jenkins sia suo figlio.”
“Oh,
mi pare impossibile!” esclamò Eve, ritenendo la
faccenda assurda.
“Lo
so, secondo la tradizione Gahalad, dopo aver bevuto
dal Graal, è asceso al cielo, però le opere letterarie non sono affidabili al
cento per cento e …”
“Fermo!
Stai davvero ipotizzando che Jenkins, il nostro Jenkins, fosse un cavaliere di re Artù?! Effettivamente spiegherebbe
la sua conoscenza dei pettegolezzi di Camelot e il
suo rapporto conflittuale con Morgana.”
“È
tuttavia vero che Lancillotto ha i suoi millecinquecento anni” ragionò Flynn “Il che significa che potrebbe aver avuto altri
figli; è un uomo che piace parecchio alle donne di tutte le razze, da quello
che ho capito. Dobbiamo chiedere a Charlene, lei lo
conosce da tempo.”
“Sta
dormendo, adesso.”
“Scriviamoci
un promemoria.”
“Ma
se fosse vero?” domandòEve “Se fosse realmente figlio di Dulaque,
ci fideremmo?”
“Judson si fidava di lui, nonostante fossero in disaccordo.”
“Lo
teneva, però, in una sede secondaria e non ti aveva mai parlato di lui.”
“Era
lo stile di Judson.”
Eve pensò qualche momento e poi
disse: “Sì, dopo come ha agito al Telaio del Fato, sarebbe ingiusto dubitare di
lui, indipendentemente da chi sia suo padre.”
Il
secondo giorno del Conclave, come era stato facilmente previsto da Flynn, la mozione per il mantenere la presenza della magia
nel mondo passò immediatamente all’unanimità. Le ore successive furono
impegnate nell’accesa discussione circa se le creature sovrannaturali potessero
o meno tornare a popolare il mondo. Ovviamente tutti quanti avevano il
desiderio di non essere più confinati nei loro regni infradimensionali
e reclamavano a gran voce il diritto di tornare a vivere sulla Terra.
Flynn, allora, aveva
proposto che le creature potessero sì vivere nel mondo, ma non avere proprie
società organizzate e che dovessero adeguarsi e rispettare le leggi e gli usi
dei posti in cui avessero deciso di stabilirsi. In pratica proponeva che le creature
fossero innanzitutto cittadini, al pari degli esseri umani. Questa proposta
irritò diversi dei presenti: alcuni ritenevano offensivo il doversi
sottomettersi alle autorità statali umani, altri rivendicavano fieramente il
loro diritto di proprietà su vari territori, in virtù di antiche origini e
altre pretese simili.
I
bibliotecari, allora, misero in atto la tattica del rievocare vecchie ruggini
tra i vari popoli e le razze; iniziarono a citare conflitti passati e
rivendicazioni, mettendo così in evidenza quanto sarebbe stato difficile e
burrascoso cercare di assegnare a ciascuno un territorio.
Alla
fine della giornata, con una risicata maggioranza e molte astensioni, si
approvò la mozione che manteneva l’esistenza di regni infradimensionali
e che consentiva alle creature sovrannaturale di vivere sulla Terra come
cittadini. Eccezione era fatta per i Fomori, creature
di magma, ninfe d’aria e abitanti del piccolo popolo che decidessero di
risiedere (come in alcuni casi già avveniva) rispettivamente nelle profondità
dell’oceano, nei vulcani, tra le nuvole e nel cuore di foreste non frequentate
dagli umani.
Era
una di quelle decisioni equilibrate ed eque e che, dunque, lasciano scontenti
in molti poiché, mediando tutte le posizioni, non ne soddisfano nessuna.
Questa
discussione mise in evidenza quanti attriti ci fossero tra le varie comunità e
quanto fossero aggressive, arroganti ed insoddisfatte alcune di esse.
Si
concluse così il secondo giorno di Conclave e si passò al terzo. La questione
di come regolare il rapporto tra la magia e gli umani sollevò altre grandi
divergenze di opinioni: c’era chi sosteneva che concedere la conoscenza della
magia agli umani era il solo modo per gli esseri sovrannaturali di vivere
realmente liberi; c’era chi non voleva diffonderla per evitare che gli uomini
ne abusassero e creassero problemi e chi la voleva negare per paura che gli
uomini diventassero troppo potenti; altri pensavano a vie di mezzo; c’era anche
chi rimaneva indifferente.
Arrivati
a sera, si decise di rimandare la votazione al giorno successivo, concedendosi
la notte di tempo per formulare con esattezza le mozioni.
Data
la pesantezza di quegli ultimi giorni e il gran lavoro di preparazione fatto
nelle ultime settimane, Flynn decise di concedere ai
ragazzi una serata libera dal dover preparare discorsi. Avevano già ben chiare
le posizioni da tenere circa la magia e gli umani e il Bibliotecario prevedeva
che quella discussione avrebbe impegnato almeno tutta la mattina seguente.
Per
quanto riguardava l’ultima questione di cui avrebbero discusso, quella relativa
alle sorti della Biblioteca, Flynn e gli altri avevano
già studiato differenti tattiche, ma avrebbero scelto quale usare solo dopo
aver constatato che clima ci fosse al riguardo.
Serata
di relativo riposo, dunque.
Flynn aveva deciso di
uscire dalla sede e prendere una boccata d’aria fresca: non ne poteva più di
stare bloccato tra quattro mura. Era fuori a sgranchirsi un poco e faceva
esercizio per allentare la tensione di quei giorni e liberare un poco la mente.
Era
trascorsa già mezz’ora, quando sentì la voce di Dulaque
chiamarlo: “Bibliotecario, devo complimentarmi con lei, sta arbitrando
veramente bene questo Conclave. Sta rendendo veramente fiero Yehuda.”
Flynn, che prima si
era voltato con fare nervoso verso l’uomo, mutò espressione, nel sentire quel
nome. Il fastidio e la rabbia erano svaniti in un attimo per far spazio allo
sbigottimento più totale: erano anni che non sentiva quel nome.
“Come
ha detto?” chiese il Bibliotecario, parecchio confuso.
“Ho
detto che Yehuda, il primo Bibliotecario, è
sicuramente fiero di lei e del suo operato.”
“Mi
stupisce che lei conosca quel nome … e che ne parli al presente.”
“Perché
mai? Non lo vedo da tanto tempo, ma lo conosco molto bene. Non mi ha stupito
che abbia disancorato la Biblioteca dalla nostra dimensione, sentendosi
minacciato; per fortuna che lei l’ha riportata indietro, sarebbe stato un vero
peccato se tutti quegli artefatti fossero rimasti dispersi.”
Flynn era ancor più
perplesso di prima: “Aspetti, questo l’ha fatto Judson.”
“E
io cos’ho detto?”
Il
Bibliotecario rimase in silenzio, pensoso, ricordando i giorni passati a New
Orleans, il quadro che aveva visto e le parole di Simon.
“Non
dice nulla?” riprese Dulaque, dopo qualche momento “Allora?
Non mi dica che non ne era a conoscenza!”
“Di
cosa, esattamente?”
Dulaque sorrise con
aria trionfante e rispose: “Yehuda, che ora ha
modernizzato il suo nome in Judson, è lui il primo
Biblioteca, quello che ha messo in piedi tutta questa baracca … Lo ignorava?”
“Io
… beh, ecco … Lo avevo sentito dire …” farfugliò Flynn.
“Ma
lui ha negato? Tipico. Menzogne, sotterfugi, nascondere la verità … ecco in
cosa è specializzata questa Biblioteca che inganna perfino i suoi più stretti
dipendenti.”
Flynn stava ancora
ricordando i dialoghi avuti con Simon, quando lui si era sorpreso che lei
custodisse qualcosa che non capisse e lei aveva ribattuto, ricordandogli che
anche lui faceva altrettanto.
“Che
cosa sa, lei, della Biblioteca?” chiese con tono aspro Flynn.
“Molto
più di quanto ne sappia lei, a quanto pare. Se lo desidera, le racconterò una
storia moltointeressante.”
Il
Bibliotecario, incerto, decise di avvicinarsi all’uomo e ascoltare quanto aveva
da dirgli.
“Partiamo
da duemila anni fa. Lei è religioso, Flynn?”
“È
una questione complessa da definire, diciamo che …”
“La
Bibbia, i vangeli, i testi apocrifi, li conosce vero?”
“Sì,
sì, certo ho studiato anche letteratura cristiana antica e …”
“Bene,
allora, saprà che perfino nei vangeli sono nominati più volte i fratelli di
Gesù.”
“Certo,
considerati fratelli dalla chiesa protestante, fratellastri dagli ortodossi,
cugini per i cattolici.”
“Li
ricorda i nomi?”
“Giacomo
il Giusto, che guidò la Chiesa dei primi anni assieme a Pietro, spesso in disaccordo
con Paolo. Poi c’erano Giuseppe o Ioses, Simone e
Giuda, ovviamente non Iscariota; presumibilmente erano tutti tra gli Apostoli.
Continuo?”
“Sì.
Concentriamoci su Giuda, mi dica cosa sa di lui?”
“Non
si sa molto, le fonti sono poche e contraddittorie; si presume sia l’autore
della Lettera di Giuda, testo che
parla della lotta del bene e del male e che fa riferimento a scritti non
canonici come il Libro di Enoch oppure L’assunzione
di Mosè. Non capisco, però, che cosa c’entri tutto questo!”
“Non
lo capisce? Domanda semplice, come suona in ebraico il nome Giuda?”
“Yehuda … … Yehuda!” Flynn era spiazzato, poi chiese conferma: “Sta insinuando
che Judson sarebbe stato il fratello di Gesù? No, no,
impossibile! Judson è morto, cinque anni fa! Lei vorrebbe
ch’io creda che un uomo di duemila anni improvvisamente muoia? … Ok, questo
potrebbe essere anche logico, ma pure no … Mi sto confondendo.”
“Le
schiarisco io le idee: il nostro amico Judson,
temendo che lei scoprisse la verità, ha finto la propria morte per non
insospettirla.”
Flynn si rabbuiò e fu
attraversato da un fremito di rabbia e urlò: “No, no!”
“L’ennesimo
inganno.” annuì Dulaque compiaciuto.
“Ci
sono prove che quel che dice sia vero?” ribatté il Bibliotecario, che non
voleva credere che la verità gli fosse stata nascosta.
“Certamente.
Venga con me.”
Flynn, incerto, seguì
Dulaque all’interno della Biblioteca; si accorse con
stupore che l’altro uomo sapeva esattamente come muoversi all’interno di quelle
stanze e corridoi quasi labirintici. O almeno ebbe questa impressione finché
non si trovarono in un vicolo cieco; tuttavia, un attimo dopo, Dulaque toccò alcuni mattoni in una precisa sequenza e la
parete si ritrasse, aprendo un passaggio.
Flynn fu sbalordito:
non aveva mai visto quel corridoio prima!
Dulaque continuò a fare
strada e portò il Bibliotecario in uno studio. Bastò una rapida occhiata per
rendersi conto che quello era l’ufficio di Judson:
cimeli personali che avevano un valore sentimentale e non erano certo artefatti
e ritratti di lui in compagnia di altre persone risalenti a varie epoche.
Flynn si aggirò,
esterrefatto, per l’ufficio: era come se il suo mondo si stesse sgretolando,
non poteva sopportare che Judson, che era stato come
un padre per lui, gli avesse mentito.
Dulaque si era
soffermato davanti ad un particolare ritratto, in cui Judson
era raffigurato con abiti del sesto secolo, seduto su un letto e con una coscia
sanguinante.
“Ecco,
era così, quando lo conobbi io.” disse Dulaque.
Flynn si avvicinò ad
osservare il quadro e si accorse della presenza, in un angolo, di tre donne che
reggevano il Graal e la Lancia di Longino; gli parve
che una di quelle dame assomigliasse molto a Charlene.
“Sa
come si faceva chiamare, all’epoca?” domandò Dulaque,
con la flemma del vincitore “Re Pescatore.”
“Cosa?!”
“Proprio
così! Si era inventato la leggenda di Giuseppe d’Arimatea
e dei suoi discendenti, in realtà aveva fatto tutto lui. Era andato in
Britannia, sperando di distogliere l’attenzione dalla Biblioteca che, in quel
periodo era ad Alessandria. Non era ancora in uno spazio extradimensionale,
aveva un’esistenza fisica, per questo riuscimmo a distruggerla agilmente la
prima volta, nel 642, confondendoci con gli Arabi … ma non parliamo di questo. Torniamo
a quando l’ho conosciuto. Si faceva chiamare Re Pescatore, creava mistero
attorno a sé e quando qualcuno conquistava la sua fiducia, allora gli
raccontava la storiella di Giuseppe e si era inventato un’altra fandonia sulla
Lancia di Longino. Diceva di essere stato ferito come
punizione per i suoi peccati e che solo il cavaliere migliore, il più puro, il
predestinato avrebbe potuto guarirlo, toccandolo con la punta della Lancia.
Bugie! Voleva sfruttarmi per i suoi scopi, voleva prendermi nel suo teatrino
come ha fatto con lei e molti altri. Io non mi sono lasciato ammaliare, mi sono
rifiutato di diventare il suo burattino. Sa, allora, che cosa ha fatto Judson?”
“Cosa?”
“Ha
aspettato che capitassi di nuovo nel suo Castello
Avventuroso e incaricò sua figlia Elaine di sedurmi, ammesso e non concesso
che fosse sua figlia. Ci riuscì, con non so quale stregoneria.”
“Assunse
le sembianze di Ginevra.”
“No,
quella è stata un’esagerazione letteraria. Non so se mi infatuai naturalmente o
vittima di sortilegio. So solo che rimasi con lei alcuni mesi e lei rimase
incinta. Così nacque Gahalad, che voi chiamate Jenkins. Finalmente Judson aveva
quel che voleva: un eroe da plasmare come voleva lui. Praticamente lo crebbe a
suo piacere, inculcandogli i suoi principi. Poi venne l’età della giovinezza, Gahalad uscì da quel castello, venne a Camelot,
fu nominato cavaliere e iniziammo a comportarci come padre e figlio, per alcuni
anni viaggiamo assieme a compiere imprese. Poi Gahalad,
assieme a Pecival e mio cugino Bors,
si imbatté nel Castello Avventuroso e
lì furono tutti e tre suggestionati dalle finte leggende sulla predestinazione,
legate al Graal e alla Lancia di Longino. Fu allora
che persi mio figlio, poiché si lasciò entusiasmare dalle menzogne di Judson. Passarono gli anni e Morgana sfruttò il mio errore,
il mio colpevole amore per laregina,
per provocare la caduta di Camelot. Da lì iniziò un
periodo di cinquecento anni, pieni di battaglie, lotte e conflitti che si conclusero
circa mille anni fa, quando venne stabilito lo status quo che è rimasto in
vigore quasi invariato fino a questo Conclave.”
“Io
… io non capisco! Perché non mi hanno detto la verità?! Sono qua da dieci anni,
sono il Bibliotecario che è durato più a lungo! … sempre che sia vero, a questo
punto … Perché non si sono fidati?”
“Non
si fida di nessuno. Judson sa solo mentire e
ingannare per manipolare chi si lascia abbindolare. Non si offenda, Flynn, come loro ci sono caduti in molto. Sa, il fascino di
poter salvare il mondo, di vivere a contatto con tutto questo potere, ammalia
quasi tutti. Judson fa leva su queste cose e su
storielle che inventa per entusiasmare gli uomini o per aiutarli ad avere
fiducia in sé, affinché affrontassero coraggiosamente le vicende che affidava
loro.”
“No,
non può essere.” Flynn si sentiva deluso, tradito e
ingannato.
“La
ferita del Re Pescatore era una menzogna. Judson ha
finto di essere guarito dalla Lancia per ingannare Gahalad.
È sicuro che non abbia fatto mai nulla del genere anche con lei?”
“No!”
il Bibliotecario rifletté e con amarezza disse: “Dopo la mia prima missione …
ho estratto Excalibur dalla roccia … Potrei essere stato davvero meritevole,
visto quel che ho fatto in tutti questi anni.”
“Ragioni:
di che roccia si trattava, se l’originale era protetta sotto Londra, come
abbiamo recentemente visto di persona?”
“No!
No!”
Flynn si sentì ancor
più ingannato; d’improvviso, da eroe si sentì trasformato in burattino
sfruttato. Si sentì svuotato da tutto. Volse le spalle e iniziò a correre
fuori, lontano, lontano.
Dulaque annuì tra sé e
sé e, soddisfatto, tornò nel suo alloggio.
Il
giorno seguente, i bibliotecari si stupirono nel non trovare Flynn, erano confusi, ma sapevano che non potevano certo
abbandonare il Conclave. Eve, preoccupata, incoraggiò
i tre giovani a rimanere concentrati sulla discussione, assicurando che si sarebbe
occupata lei di cercare Flynn.
Nessuno
sapeva spiegarsi che cosa fosse accaduto.
Si
riaprì il dibattito circa l’uso della magia tra gli umani; alla fine
approvarono che la magia fosse diffusa solo segretamente e a persone
selezionate con grande attenzione e formate severamente.
Si
aprì, allora, l’ultima fase del Conclave, quella che avrebbe deciso le sorti
della Biblioteca.
C’era
chi proponeva di chiudere la Biblioteca e restituire i manufatti ai legittimi
proprietari e suddividere quelli senza un padrone; Dulaque
era invece del parere di rendere la Biblioteca una vera Biblioteca, ossia che
fosse accessibile a chiunque e che tutti potessero consultare e adoperare il
sapere e il potere ivi contenuti; atri ancora sostenevano che dovesse
confermarsi nel suo ruolo di protettrice dagli abusi della magia. Tra quelli
che sostenevano la seconda o terza opzione, molti richiedevano che il personale
della Biblioteca fosse più numeroso e non solo umano, alcuni proponevano un
Consiglio di Amministrazione.
Stone,
Cassandra ed Ezekiel stavano facendo del proprio
meglio per difendere il diritto all’autonomia, ma si trovavano parecchio in
difficoltà.
Nel
mezzo del dibattimento, fece irruzione, correndo nella stanza, uno dei
servitori di Cuchlann, portando la spada Cadalbolg, affermando di averla trovata negli alloggi dei Raksasa. Il capo degli accusati affermò che erano stati
quelli della Biblioteca ad inviargliela.
Ezekiel provò a
spiegare che le cose non erano andate così, che c’era stato un complotto, ma le
sue parole si persero nel caos. Stavano emergendo altre supposte appropriazioni
indebite di manufatti. Dulaque avanzò l’accusa che i
bibliotecari trafficassero segretamente con gli artefatti.
La
confusione prese il sopravvento, non si poté più gestire il dibattito. Molti dei
popoli e delle razze che si sentivano private dei loro manufatti legittimi
erano le stesse che rivendicavano regni terreni e che mal sopportavano di
doversi sottomettere alle leggi umane.
Non
ci fu modo per i tre giovani, pur supportati da Charlene,
di placare gli animi, di risolvere pacificamente la situazione. Un buon numero
di rappresentanti abbandonò il Conclave, dichiarando che non riconoscevano più
l’autorità di quella istituzione e che avrebbero agito secondo il loro volere e
piacere. Di quelli che rimasero, alcuni diedero la propria lealtà alla
Biblioteca e al Conclave, altri garantirono la propria neutralità, almeno per i
primi tempi.
Un
velo buio scendeva sulla Terra e in molti si risvegliava il ricordo di
battaglie passate.
Il
Conclave si era concluso nel modo peggiore, o quasi.
Morgana,
che era portavoce di Avalon, aveva assicurato che
quel regno sarebbe rimasto neutrale nel conflitto.
Lei
personalmente, tuttavia, non se ne sarebbe rimasta con le mani in mano e avrebbe
trovato il modo di guadagnare in un qualche modo dal conflitto. Non aveva
deciso chi appoggiare, ma probabilmente avrebbe aiutato un po' una fazione, un
po' l'altra e trarre vantaggio da entrambe.
Morgana
era quindi tornata nella sua villa per aspettare qualche buona occasione e,
intanto, divertirsi.
Dopo
una bella dormita, la Fata si era svegliata di buon umore, pronta a dedicarsi
alla tortura di Jenkins. Lo aveva lasciato tranquillo
per tutti i giorni del Conclave e, quindi, riteneva di dover recuperare il
tempo perduto. Decise di ricorrere a qualche classica tortura medievale,
condita con un po' di supplizio mentale e qualche veleno per indebolirlo
ulteriormente. A sera era molto soddisfatta.
Enya, invece, aveva
passato la giornata nella propria camera, molto preoccupata, tanto che non
riusciva a concentrarsi su nulla, se non sul progettare un'evasione.
Dopo
cena, Morgana chiese alla nipote di farle compagnia in salotto e le chiese che
cosa pensasse della piega che aveva preso il Conclave e parlarono anche di
altre cose.
Enya aveva risposto
cortesemente, cercando di nascondere il nervosismo. La giovane, infatti, aveva
deciso di aspettare che Morgana si addormentasse e, poi, andare a trovare il
prigioniero. Temeva che la zia la scoprisse, ma non poteva sopportare di
lasciare solo Jenkins, dopo una giornata così dura.
Passò
la mezzanotte e, finalmente, Morgana si ritirò. Enya
si recò in cucina e prese degli avanzi, della frutta, del cioccolato, acqua e
poi scese nei sotterranei.
Trovò
Jenkins sdraiato tra la paglia, era stremato. La
ragazza lo raggiunse, appoggiò a terra le vettovaglie, si inginocchiò accanto a
lui. Lo trovò privo di sensi, gli fece una carezza sulla fronte, gli prese le
spalle e lo sollevò leggermente, stringendolo al proprio petto. L'uomo si
svegliò, fu un poco confuso, poi mormorò: “Enya ...”
“Sì,
sono io!” rispose lei, mentre un sorriso le comparve sulle labbra, scacciando
le lacrime che le a avevano rigato le guance.
“Com'è
andato il Conclave?”
“Meglio
non parlarne adesso, per oggi hai già sofferto abbastanza, senza aggiungere
anche questo.”
“Ahia,
così hai già fatto danno. Dimmi, per favore!”
Enya lo lasciò e gli
disse: “Va bene, ma intanto mangia qualcosa.” e gli allungò le vivande “Ecco,
tieni! Il Conclave è andato bene i primi giorni, ma ieri ...”
“Ieri
...?” incalzò lui, mentre beveva.
“Flynn non si è presentato l'ultimo giorno, non ho idea del
perché, e tutto è degenerato.”
“In
che senso?”
Enya raccontò tutto.
“Ah!”
commentò l'uomo; mangiò un boccone e poi sospirò: “Tutto questo mi è
tremendamente famigliare. Ci saranno migliaia e migliaia di morti, se non
milioni, a meno che non avvenga un miracolo.”
“Ho
sentito i racconti di quel che accadde in passato; io ho assistito solo alla
caduta di Camelot e miè bastato, come orrore.”
“Te
la cavi, però, molto bene con le spade, per essere una che disprezza la
guerra.”
“Sono
figlia di Galvano, a qualcosa pur verrà. Inoltre non disprezzo l’arte del
combattere, purché sia considerato come uno sport e non come un risolvere i
problemi. In ogni caso, sapersi difendere è sempre utile.”
“Sei
adorabile!” rispose lui, sorridendo e poi finì di mangiare.
“Comunque,
non ti preoccupare. Resisti ancora un paio di giorni e ti farò uscire da qui.”
“Non
fare sciocchezze.”
“Non
posso lasciarti qua. Non preoccuparti, ho un piano sicuro, ma preferisco non
parlarne, non si sa mai.”
“Se
anche fosse possibile, perché liberarmi da questo inferno per portarmi là
fuori, nell’inferno che si sta per scatenare?”
“Perché
la fuori puoi difenderti, reagire, oppure tirartene fuori.”
“Tirarmene
fuori? Impossibile! La Biblioteca avrà senza dubbio bisogno di me. Tu che
farai? Non credo che Morgana ti riaccoglierà. Resta con me.”
Enya sorrise,
distolse lo sguardo e rispose: “Vedremo. Credo che anche Elatha
potrebbe offrirmi un rifugio sicuro, presso i Fomori,
se sarà necessario.”
“Ah.”
commentò l’uomo “Farai quel che ritieni meglio.”
Enya si trattenne
ancora un po’ con Jenkins, poi gli diede la buona
notte e se ne andò.
Il
giorno seguente, la ragazza contattò Dulaque tramite
sms per esporgli il suo piano; aveva capito che, paradossalmente, era più
sicuro ricorrere alla comune tecnologia, piuttosto che a sotterfugi magici, per
comunicare senza essere scoperta.
Il
piano era piuttosto semplice: Enya avrebbe preparato
un sonnifero da somministrare a Morgana in segreto durante il pranzo del giorno
dopo, poi avrebbe disattivato i sistemi di sicurezza tecnologici, in modo tale
da permettere a Dulaque di penetrare nella proprietà
senza essere scoperto all’istante.
Dulaque avrebbe
raggiunto la villa, mentre la ragazza avrebbe portato Jenkins
fuori dai sotterranei e avrebbe cercato di guadagnare l’uscita. A quel punto si
sarebbero congiunti e avrebbero raggiunto l’auto che li aspettava per la fuga.
Il
giorno dopo, Dulaque si posizionò con l’automobile
nel punto prestabilito e aspettò che gli giungesse l’sms della ragazza che gli
dava il via libera. Quando lo ricevette, ordinò all’autista di aspettarlo lì e
tenere d’occhio il cortile, pronto a mettere in moto, non appena lo avesse
visto tornare. Poi scese dalla macchina, agilmente scavalcò la cancellata e si
mise a correre verso la villa, ad almeno 500 metri di distanza, pronto a
sfoderare la spada alla prima occasione.
Presto
sorsero dal terreno esseri di fango e pietra, umanoidi tozzi ma veloci, che iniziarono
ad assalire Dulaque che si apriva la strada,
vorticando la sua spada attorno a sé. Le creature, tuttavia, si ricomponevano e
ripartivano all’attacco.
Mentre
continuava la sua corsa, l’uomo fu travolto dal getto di un gaiser;
cadde a terra, ma si rialzò immediatamente e si accorse che per tutto il
cortile, in modo disordinato, avevano iniziato ad esplodere alti getti di acqua
bollente e vapore; ciò significava non solo stare attento a non essere
investito da uno di essi, ma pure avere scarsa visibilità.
Dulaque continuava l’avanzata,
senza lasciarsi impressionare. Ad un tratto gli furono addosso una decina degli
esseri fangosi; lui si fermò saldo sulle gambe e gli assalti delle creature non
poterono smuoverlo. L’uomo vibrò fendenti in rapida sequenza, a destra e a
sinistra e presto si liberò. Fece per riprendere la corsa, ma si reso conto che
il terreno sotto ai suoi piedi era diventato sabbie mobilie e che era già
sprofondato fino alla caviglia. Non si intimorì, pur da fermo si diede lo
slanciò per balzare fuori da lì.
Abbatté
ancora una mezza dozzina di mostri fangosi e raggiunse, finalmente, la villa e
restò ad aspettare e difendersi.
Un
paio di minuti più tardi, lo raggiunse Enya, portando
Jenkins appoggiato alle proprie spalle.
“Perché
è così?!” esclamò Dulaque, vedendoli “Mi avevi detto
che lo avresti curato, prima di uscire allo scoperto!”
“È
quello che ho fatto! Gli ho sanato tutte le ferite fisiche, ma dev’essere sotto un incantesimo, oppure è stato avvelenato.
Potrò capirlo e fare qualcosa solo quando saremo al sicuro. Ho bisogno di tempo e tranquillità e qui non ne
abbiamo!”
“Va
bene.” esclamò Dulaque “Anche se una spada in più
avrebbe fatto comodo. È un po’ paranoica Morgana, per avere tutta questa
sicurezza? E tu non dovevi liberare la strada?”
“Ho
disattivato l’allarme e il sistema di sicurezza basati sulle tecnologie umane,
non potevo certo bloccare quello magico, non ho idea di come funzioni! Considera,
poi, che questo è soltanto il sistema di base! Morgana renderebbe le cose ancor
più difficili, se fosse sveglia.”
“Andiamo,
non perdiamo tempo!”
Si
misero a correre, per quanto fosse possibile, portandosi un uomo svenuto
appresso. Enya concentrò i suoi poteri per tenere il
terreno che percorrevano libero da gaiser e sabbie
mobili e, quando poteva, sbalzava via gli esseri di fango. Dulaque,
invece, proteggeva gli altri due dalle creature.
Riuscirono,
infine, ad arrivare in automobile e a partire, allontanandosi a grande velocità.
Arrivarono in una zona di campagna dove li aspettava un elicottero, salirono a
bordo e in un paio d’ore raggiunsero una delle residenze di Dulaque.
Per tutto il viaggio, Jenkins rimase privo di sensi,
sembrò sofferente, tal volta rantolava, altre sudava, ebbe anche delle
convulsioni.
Trasportarono
subito Jenkins nella stanza che era stata preparata
per lui e lo coricarono nel letto.
“Enya, ora puoi curarlo, giusto?” domandò l’uomo,
impaziente.
“Sì.
Avrò bisogno di alcuni supporti, ma direi che non ci sono problemi. Si tratta
di un veleno e non di un sortilegio, per fortuna, devo solo velocizzare lo
smaltimento delle sostanze.”
“Che
tipo di veleno è? Che cosa gli sta facendo?”
“Si
tratta di una sostanza psicoattiva molto potente. Gli provoca incubi terribili
e il suo corpo reagisce come se quelle sensazioni fossero reali, quindi
potrebbe avere aritmie, tachicardie, iperventilazioni e queste cose potrebbero
danneggiarlo, non il veleno in sé. Adesso mi metto al lavoro, se tutto va bene,
tra un paio d’ore dovrebbe riprendere coscienza, sebbene non si sarà ancora
ripreso del tutto.”
“Fa
quello che devi. Ti metto a disposizione un domestico per procurarti ciò di cui
hai bisogno. Voglio essere avvisato non appena si svegli.”
Dulaque uscì, mentre Enyasi mise all’opera.
Come previsto occorsero circa un paio d’ore per far riprendere i sensi a Jenkins. Il domestico andò subito ad avvertire il padrone
di casa.
Intanto,
l’uomo,aprendo gli occhi, rendendosi
conto di essere in un letto e scorgendo Enya seduta
vicino a lui, chiese con un filo di voce: “Che succede …?”
“Ti
avevo promesso che ti avrei liberato e l’ho fatto.”
“Grazie
… ti sei messa nei guai, allora …” si mise seduto “Questa non è la Biblioteca,
dove mi trovo?”
La
donna gli allungò un bicchiere d’acqua e rispose: “Non ho potuto chiedere aiuto
ai bibliotecari, ma non ho nemmeno agito da sola.”
In
quel momento la porta della stanza si aprì ed entrò Dulaque,
salutando: “Gahalad!”
Jenkins ebbe un
sussulto di stupore, si voltò e mormorò: “Lancillotto …”
“Come
ti senti?” chiese l’altro, avvicinandosi al letto.
“Bene,
suppongo … Mi hai salvato tu?”
“Certo;
non potevo lasciarti nelle grinfie di Morgana, so di cosa è capace!”
“Grazie
…” Jenkins teneva lo sguardo basso e sembra in
imbarazzo.
Rimasero
in silenzio per alcuni momenti, poi il convalescente borbottò: “So che hai mandato
a monte il Conclave. Che cos’hai fatto a Flynn?
Perché è scomparso?”
“Non
gli ho fatto nulla di male, gli ho solo raccontato la verità sulla Biblioteca e
lui ha deciso di andarsene.”
“Verità?
Chissà quante cose hai omesso e quante travisato! Sei fiero di aver creato le
condizioni per un nuovo imminente conflitto?”
“Avrei
preferito evitare di spargere sangue, ma voi della Biblioteca siete troppo
ostinati per scendere realmente a compromessi. Inoltre, si sa, ogni rinascita è
possibile solo dopo la morte.”
“Ci
troveremo di nuovo in battaglia su fronti opposti, allora.”
“Non
credo.” Dulaque ribatté con flemma “Se sei contro di
me, non ti lascerò uscire da qui.”
“Avevamo
deciso di rispettare le differenti opinioni.”
“Certo,
infatti io rispetto il fatto che tu abbia deciso di essere mio nemico e, per
tanto, ti tengo prigioniero e impedirti di agire contro di me. È così che
funziona.”
Jenkins, un poco
arrabbiato, protestò: “Mi liberi da Morgana per tenermi rinchiuso tu?!”
“Qui
non verrai torturato e potrai fare tutto quel che vorrai, tranne uscire dal
cancello. Direi che è una prigionia di gran lunga migliore.”
Jenkins lo guardò in
cagnesco, anche se doveva ammettere che le sue condizioni erano nettamente
migliorate.
“Inoltre,
per renderti ancor più piacevole questo carcere …” Dulaque
spostòlo sguardo sulla ragazza “Anche
tu, Enya, non potrai lasciare questa villa, finché
lui non sarà libero.”
“Cosa
c’entra lei?”
“Quando
io sarò via per gestire il conflitto che sta per scatenarsi, ci dovrà pur
essere qualcuno a tenerti compagnia.”
Jenkins lo guardò con
fare deciso e disse: “Noi evaderemo. Fuggire da qui è molto più semplice che
scappare da Morgana.”
“Ho
preso le mie precauzioni per questo.” sogghignò Dulaque
“Enya è stata così gentile dal consegnarmi il suo Ba,
come garanzia, per convincermi che potevo fidarmi di lei per liberarti da
Morgana. Capisci bene che se qualcuno di voi uscirà da questa villa, ci saranno
delle conseguenze. Bene, ora che è tutto chiarito, vi aspetto a cena, tra
mezzora.” e sorrise.
Dulaque, dopo aver
detto ciò, si voltò e uscì dalla stanza. Appena la porta si richiuse, Jenkins guardò severamente la ragazza e le chiese: “Hai
davvero dato il tuo Ba a Lancillotto?! Sei pazza?!”
“Non
mi avrebbe aiutata altrimenti.”
“Non
mi avrebbe lasciato là.”
“Non
ho voluto correre il rischio.”
“Ne
è valsa la pena lo stesso.”
“È
valsa la pena perdere la libertà, per liberarmi parzialmente?”
Enya si alzò dalla
sedia per sedersi sul letto, fece una carezza all’uomo e annuì dolcemente: “Per
te, sì.”
“Devi
essere folle.” Jenkins scosse la testa, poi le prese
le mani e le disse: “Te ne ringrazio infinitamente. Dovrò trovare la maniera
per sdebitarmi.”
“Lo
faccio con piacere.”
“Intanto
sembra che avremo unbel po’ di tempo
libero.”
“Non
credo proprio, abbiamo molto da fare. Un semplice divieto di uscire non ci
impedirà certo di agire.” disse la ragazza con determinazione.
“Che
cosa proponi? Sabotare i piani di Lancillotto dall’interno?”
“Può
essere un’idea. Io pensavo, più semplicemente, a trovare un modo per comunicare
con la Biblioteca.”
“Possiamo
riuscirci.” ragionò Jenkins, riprendendo vigore “Posso
costruire porte multidimensionali, un sistema di comunicazione sicuro con la
Biblioteca dev’essere fattibile.”
“Esatto!”
Enya era felice di
vedere l’uomo ritrovare il buon umore.
“Inoltre,
cercheremo il mio Ba e così potremo fuggire.”
Jenkins si sentiva
pervaso di eroismo, sentiva la voglia di agire e combattere; era come se le
disavventure delle ultime settimane avessero scacciato il tedium
vitae che lo aveva accompagnato per tutti quei secoli e ora si sentiva pronto
per tornare al presente.
“Enya, ci aspetta molto lavoro. Questa sfida mi elettrizza:
io e te contro l’intera Confraternita del Serpente!”
Eve aveva cercato a lungo Flynn, ma non era riuscita a trovarlo da nessuna parte;
aveva domandato in giro, sperando che qualcuno lo avesse visto ma purtroppo non
c’era traccia di lui, sembra volatilizzato.
La
donna, allora, era ritornata in Biblioteca molto sconsolata e preoccupata. Era
già sera e il Conclave era terminato, non restava più nessun estraneo. I tre
giovani stavano aiutando Charlene a riordinare, ma
erano molto cupi.
“Abbiamo
perso Jenkins, abbiamo perso Flynn
e siamo sull’orlo di un conflitto.” Cassandra constatò amareggiata “Siamo un
disastro!”
“Non
è vero!” ribatté Ezekiel “Siamo solo sfortunati.”
Si
erano radunati attorno al tavolo e si erano aggiornati circa il Conclave e la
scomparsa di Flynn.
“Che
cosa può essergli successo?” si interrogòStone “Lui non ci avrebbe mai abbandonati e, nel caso fosse dovuto
partire, ci avrebbe sicuramente avvisati. Devono avergli fatto qualcosa!”
“Chi
oserebbe attaccare il Bibliotecario?! L’Arbitro del Conclave?” domandò Charlene.
“È
così improbabile che un Bibliotecario venga aggredito?” chiese Eve, perplessa.
“Beh,
sì!” rispose Charlene “Di solito i Bibliotecari
rischiano la vita andando loro stessi incontro al pericolo e non sono mai
bersaglio di qualcuno, perché comunque siamo un’istituzione ben rispettata o
almeno lo eravamo fino a poche ore fa. Gli unici che ci abbiano mai attaccato
apertamente sono stati quelli della Confraternita del Serpente.”
“Credete
che Dulaque possa aver fatto qualcosa a Flynn?” chiese Cassandra.
“Avremmo
dovuto accorgercene.” disse Eve.
“Qualsiasi
cosa sia successa avremmo dovuto accorgercene e non lo abbiamo fatto.” ribatté
Stone “Non penso dovremmo escludere dai nostri sospetti quello che è il nostro
più acerrimo nemico.”
“Ma
cosa avrebbe potuto fare?” chiese Cassandra “Delle tracce dovrebbero esserci in
giro da qualche parte, se ci fosse stata un’aggressione, non credete?”
“Hai
ragione!” esclamò Eve “Ho cercato tanto fuori dalla
Biblioteca, ma non ho guardato qua dentro. Dividiamoci e cerchiamo degli indizi
… sperando ce ne siano.”
“Ma
la Biblioteca è grandissima!” protestò Ezekiel
“Impiegheremo delle ore!”
“Allora
cominciamo subito!”
Eve e i tre giovani si misero ad
esplorare la Biblioteca, battendola palmo, palmo, in cerca di un qualsiasi
indizio. Charlene, invece, si piazzò davanti allo
specchio e chiamò Judson a cui chiese: “Che cos’è
accaduto a Flynn? Tu sai tutto quello che accade qua
dentro. Dobbiamo ritrovarlo e subito!”
“Temo
che non sia possibile.”
“In
che senso?”
“Lancillotto
l’ha portato nel mio studio e gli ha raccontato la sua versione dei fatti … e Flynn non l’ha presa molto bene.”
“Perché
non sei intervenuto tu?! Perché non hai ribattuto alle accuse di Dulaque?”
“Non
era il momento e non era giusto che lo facessi.”
“Come
sarebbe a dire? Eravamo nel mezzo di un Conclave che, per colpa di questo
inconveniente, è finito malissimo! Saresti dovuto intervenire e spiegare a Flynn tutto quanto!”
“Ci
sono cose che non possono essere spiegate, ma che debbono essere comprese da
sole. Parlare a Flynn, in questo momento, avrebbe
significato nascondergli ancora la Verità e, con Lancillotto nei paraggi, non
sarebbe di certo stato saggio. Te l’ho detto: ho grandi progetti per Flynn. Adesso, è il momento di scoprire se lui ne è
realmente all’altezza. Ricordi quando era in crisi e poi il viaggio a New
Orleans lo rigenerò? Ecco, ora sta accadendo la stessa cosa. Ha bisogno di
scoprire la Verità, da solo, di passare ad una consapevolezza superiore;
altrimenti sarà perduto. È uno di quei momenti in cui o si nuota o si affoga,
senza possibilità di trovare un salvagente.”
“Potresti,
almeno, fargli da faro, non credi? Almeno per indicargli la direzione dove
cercare.”
“Questo
è naturale.”
“Intanto,
qui in Biblioteca, come facciamo? Quei tre non sono capaci di gestire una
situazione del genere! Siamo in un momento talmente delicato che perfino molti
veri Bibliotecari si troverebbero in difficoltà a gestire.”
“Hai
ragione, vi serve un Bibliotecario, uno eccellente. Siccome io devo continuare
a fingermi morto, penso che l’unico adatto a questo frangente sia Antonio.”
“Quell’Antonio?!”
Charlene rimase scioccata.
“Certo!
Chi altri se no? Chi è più adatto del Principe dei Bibliotecari?”
“Sì,
sarebbe perfetto, se non fosse intrappolato da centotrentasei anni!” Charlene era sconcertata da quella proposta “Abbiamo perso
quattro Bibliotecari e due Guardiani, nel tentativo di recuperarlo, dopo di ché
abbiamo stabilito che era troppo pericoloso, ricordi?”
“Sì,
certo; ma visto che Flynn e Gahalad
non sappiamo quando e se torneranno, Antonio è l’unico che può aiutarci.
Inoltre, questa volta, manderemo un team di Bibliotecari, il che aumenta le
possibilità di successo.”
“Secondo
me aumenta solo il numero dei possibili morti.”
“Intravedi
altre possibilità?”
Charlene pensò qualche
momento, poi scosse il capo rassegnata e ammise: “No.”
“Allora
parla loro di Antonio e forniscili di tutte le informazioni che abbiamo al
riguardo.”
La
donna acconsentì e andò a prendere il materiale che aveva a disposizione,
purtroppo non molto.
Più
tardi, i bibliotecari tornarono nella sala principale, sconsolati per non aver
trovato nessun indizio circa le sorti di Flynn.
“Che
cosa faremo, adesso?” chiese Cassandra, dopo i resoconti negativi della
perlustrazione.
“Non
lo so.” rispose Stone.
“Ve
lo dico io che cosa dovete fare!” intervenne Charlene
“Vi ho trovato una missione da svolgere.”
“Cosa?!
E Flynn?!” si arrabbiò Eve.
“Lui
se la caverà, qualsiasi cosa sia successa. Per dieci anni ha lavorato senza
protezione alcuna, per cui sarà capace di salvarsi da solo. Voi dovete
occuparvi di un altro Bibliotecario.”
“Un
altro?” si stupì Ezekiel “Credevo che fossimo noi
l’eccezione ad essere più bibliotecari contemporaneamente, ce n’è un altro
ancora?”
“Esatto,
anche se è fuori servizio dal 1879.”
I
presenti rimasero ammutoliti e stupiti.
“Antonio
Panizzi, uno dei migliori degli uomini che hanno lavorato qua dentro, tanto da
meritarsi l’appellativo di Principe dei Bibliotecari. Nel 1879, stava
combattendo un circolo d’occultisti e praticanti di stregoneria appena nato,
diventato famoso in seguito col nome di Golden Dawn;
non si seppe mai che cosa gli sia realmente accaduto, semplicemente non è più
tornato.”
“Come
è accaduto a molti Bibliotecari, da quello che ho capito.” commentò Eve.
“La
questione è molto differente. Antonio era estremamente abile e potente: è stato
lui a dividere in tre parti la Lancia di Longino. Ad
ogni modo, sappiamo con certezza che non è morto ma è stato vittima di un
sortilegio che lo ha … come dire … l’effetto è quello dell’ibernazione. È
tenuto in un particolare edificio di cui possediamo una mappa parziale:
conosciamo il perimetro, ma solo alcune parti dell’interno, ve la mostro.”
Charlene srotolò un
foglio su cui era disegnata una grossa e spessa croce latina, ogni braccio
della quale si concludeva in tre semicerchi; la croce era la parte principale
di una rosa dei venti a sedici direzioni. Nel mezzo c’era una rosa al centro di
una croce più piccola, inscritta in un cerchio, formato da tre sezioni, ve ne
era un altro a sette e un ultimo a dodici.
Nei
te semicerchi di uno dei bracci della grande croce principale c’erano te
simboli che Stone riconobbe come quelli usati dagli alchimisti per indicare il salinitro, lo zolfo e il mercurio. Gli stessi simboli erano
presenti anche in alcuni degli altri semicerchi, mentre tali altri erano vuoti.
In
ogni braccio era rappresentato un pentacolo con dei simboli accanto alle punte;
partendo dalla prima in alto, si trovava: una specie di ruota, la testa di un
uccello, il simbolo zodiacale del leone, quello del toro e due righe ondulate e
parallele.
Nelle
sezioni dei tre cerchi concentrici centrali, si trovavano alcune lettere
ebraiche, ma molte erano vuote.
“Che
razza di mappa è questa?” chiese Ezekiel “Ne ho
visionate molte, per progettare i miei furti, ma questa non ha senso.”
“È
una mappa dei pericoli e, o delle presenze di tranelli o poteri di natura
esoterica.” spiegò Charlene “Precedenti esplorazioni
ci hanno permesso di conoscere alcune delle avversità che si trovano
all’interno dell’edificio. Purtroppo molte cose ci sono ignote.”
“C’è
uno schema preciso nella collocazione dei simboli.” disse Cassandra, osservando
la mappa “Non sono disposti casualmente, ma seguono un ordine. Datemi qualche
minuto e posso riempire gli spazi vuoti.”
La
ragazza studiò la mappa ancora alcuni momenti, poi iniziò ad elaborare i propri
calcoli; infine prese una matita ed iniziò a tracciare ciò che secondo lei
mancava.
“Ecco,
dovrebbe essere così.” comunicò alla fine.
“Bene
e cosa sappiamo più di prima?” domandò Ezekiel.
“Temo
nulla, non ho idea di che cosa significhino questi simboli.” rispose la
ragazza, scoraggiata.
“Qualcosa
mi viene in mente.” disse Stone “La croce grande è inserita in una rosa dei
venti e i le sezioni con le lettere ebraiche sembrano essere dei petali, come
una corolla attorno alla crocetta centrale che, a sua volta, ha un’altra rosa
nel punto d’incontro delle braccia. Questo mi fa pensare ai Rosa-Croce e a una
dualità tra macrocosmo e microcosmo che, in un certo senso, si specchiano l’uno
con l’altro. Ricordate il discorso sulle analogie che ci fece Jenkins circa la porta sul retro? La magia funziona per
analogie, aveva detto; ecco, anche in questo caso, considerano l’universo
analogo all’anima dell’uomo e viceversa.”
“Fastidiosamente
complicato e privo di fondamento.” commentò Eve.
“I
pentacoli, invece, riesci a capirli?” domandò Cassandra all’uomo.
“Fammi
pensare, la punta è verso l’alto, dunque non fanno parte della tradizione
satanista. I simboli, vediamo: leone, toro, acqua presumo, una ruota e un
uccello. Leone, toro, uccello … Certo! Quella potrebbe essere un’aquila, quindi
abbiamo leone, toro e aquila tre degli elementi della sfinge, nonché simboli degli
evangelisti; manca la componente umana che, tuttavia, è l’acqua. Il leone
corrisponde al fuoco, il toro alla terra e l’aquila all’aria; dunque l’uomo è
stato raffigurato tramite l’elemento ad esso legato, ossia l’acqua. Erano
legati anche ad un’altra questione sempre alchemica, tipo addensare, disperdere
e non so che altro, per quello dobbiamo verificare.”
“Sì,
ma la ruota che significa?” chiese Eve.
“Lo
scorrere del tempo?” ipotizzò Cassandra.
“No,
perché non è una ruota, accidenti!” capì Stone “È il Sole, dunque rappresenta
la luce, la luce astrale od etere, insomma il quinto elemento, quello connesso
col potere magico.”
“D’accordo,
ma che cosa dobbiamo aspettarci, dunque?” domandò Eve,
che voleva elaborare alla svelta una tattica “Charlene,
quello o quelli che hanno dato indicazioni per la mappa, non sono riusciti ad
essere un po’ meno enigmatici e più esplicativi?”
“Abbiamo
qualche appunto. Qui, nel braccio sinistro, il primo problema è stata mancanza
di ossigeno, poi, riuscendo a superare questo primo settore si sono imbattuti
in una specie di tempesta magnetica, non saprei definirla esattamente. Il
testimone, che era alquanto sottoshock, ha raccontato di potenti forze, come
calamite, che li strattonavano e sbalzavano; loro hanno cercato in tutti i modi
di opporsi, ma il Bibliotecario è morto e il suo Guardiano è riuscito a
salvarsi, fuggendo, per poco. Il resoconto dell’ingresso inferiore, invece,
parla di un aria pestilenziale e soffocante nella prima stanza; nella seconda
una forza di gravità sempre maggiore. Delle altre spedizioni non abbiamo
informazione alcuna.”
“Io
credo che, per questo turno, passerò.” disse Ezekiel
“Non mi pare il caso di andare ad affrontare una cosa che ha già ucciso
parecchi Bibliotecari.”
“Noi,
però, siamo in quattro.” gli ricordò Eve “E abbiamo
delle informazioni su cui basarci.”
“No,
abbiamo delle informazioni che ci dicono: Ehi,
state lontani da qui, se volete vivere! E io ho intenzione di dare ascolto
a questo!” insisté il ladro.
“Forse
ho capito.” annunciò Stone “In entrambe le prime stanze che ci hai descritto,
c’è un problema con l’aria, giusto?”
“Mancanza
di ossigeno e fetore appestante, quindi direi di sì.” confermò Charlene.
“Ecco,
in base alle corrispondenze di cui vi parlavo prima tra animali ed elementi, si
può aggiungere anche la corrispondenza con gli elementi alchemici. Nei
semicerchi ci sono mercurio, zolfo e salnitro, equivalenti ad acqua, fuoco e
terra, manca dunque l’elemento aria, simboleggiato dall’azoto. Penso, dunque, che
basterà aggiungere il simbolo alchemico dell’azoto al giusto posto e il
problema dell’asfissia si risolverà.”
“Basta
disegnare quel segno e tutto si risolve?” chiese Eve.
“Non
proprio” disse Cassandra “Risolve solo la prima stanza d’ingresso e, inoltre,
credo che vada tracciato in un punto preciso, differente per ogni braccio, ma
posso calcolare facilmente le posizioni.”
“Bene,
fai pure.” la incoraggiò Eve “La seconda mossa,
invece, qual è?”
“Ho
una teoria, ma dobbiamo controllare quelle corrispondenze che non ricordo.
Qualcuno va su google, per favore?” chiese Stone.
Eve prese il telefonino e cercò
quello che Jacob le indicava, i quattro stati che stavano cercando da abbinare,
erano moto, inerzia, spirito e materia.
“Credo
di sapere come funzionano le seconde camere, quelle contrassegnate col
pentacolo. Se noi collochiamo nell’ordine tradizionale i quattro simboli nei
bracci della croce, abbiamo in quello sinistro l’elemento fuoco, connesso col
movimento, mentre in quello inferiore c’è la terra con la materia. I due
ostacoli di cui siamo a conoscenza, quello della forza magnetica e quello della
gravità, corrispondono bene ai concetti espressi: le correnti che trascinano
sono il moto, la gravità è la materia. Io penso che, per superare queste
difficoltà, sia necessario ricorrere all’elemento opposto: inerzia e spirito.
Non ho idea di come si possa ricorrere allo spirito per non essere annientati
dall’estrema forza di gravità, tuttavia, ritengo che le correnti magnetiche
vadano assecondate. L’opposizione al moto, usare un moto contrario è sbagliato
e dannoso, bisogna rimanere fermi e lasciarsi trasportare per inerzia dalle
correnti. In questo modo ci porteranno esse stesse dov’è necessario.”
“Ossia
davanti a tre stanze della prima fascia di cerchi.” disse Cassandra, osservando
la mappa “C’è l’alfabeto ebraico, qui. Hai qualche idea?”
“Sì,
devono essere legate ai tarocchi.” affermò Stone, con decisione.
“Cerco
su google?” domandò Eve.
“No,
conosco a memoria gli arcani maggiori.” dichiarò Jacob.
“Perché?”
chiese Eve stupita.
Ezekiel rispose: “Anche
le carte possono essere opere d’arte, soprattutto quelle antiche; ne ho rubati
un paio di mazzi, in passato.”
“Proprio
così.” confermò Stone “Possono essere state disegnate da miniaturisti
eccellenti, dunque ho avuto modo di studiare i tarocchi, anche per poterne
apprezzare in pieno le simbologie ed allegorie; è così che ho imparato diverse
cose sui simboli alchemici e il resto. Allora, che lettere abbiamo?”
“Beh,
dipende da dove vogliamo entrare, per ogni braccio, ce ne sono tre differenti.”
illustrò Cassandra “Se entrassimo da sinistra, dovremmo scegliere tra la
quindicesima, sedicesima e diciassettesima lettera.”
“Dunque,
come arcani maggiori avremmo: diavolo, torre e stella.”
“Secondo
te che cosa dovremmo fare? Ci sarà una prova diversa per ognuna? Oppure
bisognerà capire la porta giusta da scegliere?” chiese Cassandra.
“Non
ne ho idea, possiamo solo andare consapevoli dell’argomento. Se, però, dal
macrocosmo, stiamo passando al microcosmo, penso siano legati ad una dimensione
molto umana.” Stone sospirò “Dopo di quelle che avremo?”
“Da
scegliere tra quarta e quinta e, infine, obbligatoriamente la terza.”
“Quindi,
Papa, Imperatore e Imperatrice.”
“Se
tutto andasse bene, arriveremmo allora al centro.” disse Eve
“Lì dovrebbe esserci il Bibliotecario, ma chissà che difficoltà ci saranno.”
“Beh,
dato che nei bracci ci sono i quattro elementi, direi che al centro si trovi
l’etere, la luce astrale.” dichiarò Jacob.
“Quindi
magia.” replicò Jones “Non mi piace per nulla.”
“Non
abbiamo altre possibilità.” ribatté Eve “Prepariamoci
al meglio e affrontiamo anche questo. Stone, dicci come raccogliere tutte le
informazioni necessarie. Domani partiremo. Charlene,
dove si trova l’edificio?”
“Nella
campagna londinese. All’epoca dei fatti, la Biblioteca era ancorata al BritishMuseum, si trasferì a New
York poco dopo.”
Fu
così che il giorno seguente i tre bibliotecari e il loro Guardiano si
ritrovarono davanti ad un vecchio edificio, che aveva l’aria di essere
abbandonato da tempo ed era parecchio trascurato. Non erano arrivati subito in
prossimità di quel palazzo, ma avevano dovuto chiedere informazioni in giro ed
era stato loro detto che quel luogo era maledetto, infestato da fantasmi o
addirittura dal demonio.
I
giovani non si erano lasciati intimorire ed erano giunti a destinazione.
Iniziarono col tracciare il simbolo alchemico dell’azoto là dove Cassandra
aveva individuato la giusta collocazione, poi Ezekiel
aveva forzato una finestra ed erano entrati. Superarono la prima stanza senza difficoltà.
Passarono alla seconda e subito si sentirono come afferrare da grandi mani e
trascinarsi con violenza da un lato all’altro del salone. Istintivamente
avrebbero voluto resistere, ma si sforzaronodi rimanere inermi, di lasciarsi trasportare in quella sorta di pogo invisibile. Dopo alcuni minuti si ritrovarono fermi e
tranquilli, sebbene un po’ scombussolati, dal lato opposto della sala, davanti
a tre porte. Sopra di esse capeggiava una scritta che recitava: Ardono gli uomini delle passioni, si perdono,
si distruggono e solo tal volta s’accorgono del danno. Quando si accorgono
della loro miseria, non resta loro che sperare.
“Che
cosa vuol dire? Come ci aiuterebbe a capire dove andare?” si interrogò Eve.
“Jacob?”
chiese Cassandra, speranzosa.
“Allora,
abbiamo detto che sono i tarocchi, quindi direi che è semplice: il diavolo è la
lussuria, la torre è l’arroganza, la stella è invece la speranza. Dobbiamo
prendere, quindi, la porta della stella, quindi la diciassette.”
Aprirono
la porta più a destra ed entrarono in una stanzetta. C’erano altri due usci e
una nuova iscrizione, questa recitava: L’equilibrio
e l’ordine sono fondamentali. Dà alle due il giusto nome.
“Dobbiamo
dare il giusto nome all’equilibrio e all’ordine?” chiese Eve,
perplessa.
“No,
alle porte, credo.” disse Ezekiel “Guardatele con
attenzione, hanno una chiusura a combinazione, tipo i numeri delle valige, solo
che qua hanno delle lettere. Direi che è lì che dobbiamo inserire i nomi. Non
c’è bisogno che vi scervelliate, ci penserò io a scassinarle.”
“No,
aspetta un momento.” lo fermò Stone “Fammi pensare un attimo. Abbiamo due
parole fondamentali: equilibrio e ordine. Ordine penso sia riferito al fatto
che ogni porta ha la sua parola e non possono essere invertite, quindi saranno
connesse con i tarocchi che rappresentano.”
“Proviamo
a scrivere Papa ed Imperatore?” propose Cassandra.
“No,
troppo corto e troppo lungo.” li informò Ezekiel
“Hanno cinque lettere le parole che cercate. Dai, fatemi lavorare.”
“Un
momento. Allora, equilibrio … due … due forze in collaborazione … due … Certo!
Le due colonne del tempio di Salomone! Jakin e Boaz, rappresentano le forze necessarie al sostegno del
tempio, ossia dell’uomo. Jakin è la forza creativa, Boaz è la saggezza … Dunque Jakin
va sulla porta dell’imperatore e Boaz apre quella del
Papa.”
Ezekiel compose la
prima parola, poi passò all’altra e, dopo aver inserito la z, osservò: “Manca
una lettera … Ah, ma ho visto che c’è anche uno spazio vuoto, tra le opzioni,
oltre alle lettere, proviamo …”
Clack!Le porte si sbloccarono.
“In
quale stanza andiamo?” chiese Cassandra.
“Potrei
perlustrarle e controllare quale stanza è più sicura.” propose Eve.
“Penso
lo siano entrambe.” disse Stone “Noi, adesso, siamo nella stanza della Stella e dobbiamo decidere se accedere a
quella del Papa o dell’Imperatore. Abbiamo già sbloccato l’enigma
ad esse connesso, dunque non dovrebbero darci problemi, nessuna delle due, se
non per accedere alla stanza successiva. Non credo ci sia differenza tra le due
stanze o le prove che contengono; ad ogni modo, credo che passare per la stanza
del Papa sia meglio, se consideriamo
che dobbiamo raggiungere l’Imperatrice.”
“Non
sarebbe più logico Imperatore ed Imperatrice?” chiese Eve.
“Apparentemente.
L’abbinamento sarebbe coerente, ma non del tutto. Col Papa ed Imperatrice non
solo consente la dualità tra maschile e femminile, ma anche quella tra
trascendenza ed immanenza, divino e temporale.”
“Ne
sei sicuro?” chiese Eve.
“Sì.
No. Cioè, sono sicuro del concetto espresso da questo dualismo, ma non so se
sia questo che loro volessero esprimere. Andiamo dal Papa e speriamo sia giusto!”
Varcarono
la porta scelta e subito essa si chiuse alle loro spalle. Sentirono un suono
metallico, poi un altro, poi qualcosa colpì Cassandra che, dopo un urletto di dolore, si rese conto che le era caduta addosso
una chiave. Subito decine, centinaia di chiavi iniziarono a piovere dal
soffitto. In fondo alla stanza, un’altra porta.
I
quattro si misero le braccia sopra la testa, cercando di proteggersi e corsero
verso l’uscita che, ovviamente, trovarono bloccata.
“Jones,
a te l’onore di scassinare la serratura.” disse Eve “Non
credo che avremo tempo e voglia di provare tutte queste.”
Il
ladro non se lo fece ripetere, si chinò sulla serratura, ci lavorò vicino per
non più di un paio di minuti con alcuni arnesi da scasso che portava sempre con
sé e riuscì ad aprire la porta.
Entrarono
nell’ultima stanza e si accorsero che era diversa dalle altre: non era una sala
ma era una sorta di porticato circolare che circondava il centro dell’edificio,
anche se non si riusciva a vedere bene che cosa vi fosse; si vedeva solo una
sfera di cristallo fluttuante.
Si
resero conto, dunque, che le tre sezioni più vicine al centro erano comunicanti
tra di loro.
“Non
avremmo dovuto trovare qui il Bibliotecario ibernato?” chiese Eve, perplessa.
“Forse
è in fondo a questo abisso.” ipotizzò Ezekiel,
facendo notare che il portico circondava un enorme pozzo di cui non si scorgeva
il fondo.
“Peccato,
ho lasciato l’attrezzatura di speleologia in Biblioteca!” fu ironica Eve “Stone, idee?”
“Temo
di averle esaurite per oggi.”
“Ieri
avevi detto qualcosa circa il centro.” gli ricordò Cassandra.
“Sì,
che si basa probabilmente sulla magia. Non ho idea, però di cosa si possa
trattare.” Stone scosse la testa.
Voi chi siete?
“Che
cosa è stata questa voce?” domandò Ezekiel,
guardandosi attorno “C’è qualcuno?!”
Avete nominato
una biblioteca, la mia Biblioteca?
“Ehi,
potrebbe essere il Bibliotecario che stiamo cerando!” esclamò Cassandra,
contenta “Signor Panizzi è lei?”
Esattamente e
voi siete …?
“Bibliotecari.”
rispose Eve “Cioè, loro lo sono, io sono la loro
Guardiana. Siamo qui per liberarla … se capiamo come fare.”
Sbaglio o conto
tre bibliotecari? Dev’essere successo qualcosa di
grave, se le regole sono state cambiate.
“Senta,
le racconteremo tutto quello che vuole, ma dopo averla liberata … potrebbe
dirci dove si trova? Riusciamo a sentirla, ma non a vederla.”
Non mi stupisce.
Sono qua e non sono qua al medesimo tempo. Avete presente quella leggenda
secondo cui Merlino sia stato rinchiuso in una prigione d’aria o di cristallo? Ecco,
solo che a me lo hanno fatto per davvero. Sono bloccato in una sorta di limbo o
intercapedine infradimensionale.
“Come
nella città di Tesla!” esclamò Stone e, con l’aiuto
di Cassandra, spiegò quello che era accaduto in quella città.
Sì, direi che le
conseguenze sono simili, ma qui si tratta di magia, non di incidenti
tecnologici.
“Hai
idea di come liberarti, oppure no?!” incalzò Eve.
Venite a
liberarmi e non sapete come fare? Va bene, seguite le mie istruzioni …
“Ehi,
critichi noi perché non sappiamo cosa fare e poi tu, che sai cosa fare, non l’hai
mai fatto?!” protestò Eve.
Le prigioni sono
fatte per essere aperte dall’esterno e non dall’interno.Ora ascoltatemi. Uno di voi deve posizionarsi
a nord e fissare la sfera di cristallo con grande concentrazione, deve cadere
in uno stato meditativo simile alla trance. A quel punto vedrà i vari piani
dimensionali presenti qua dentro e vedrà anche me, allora potrà darmi la mano e
tirarmi fuori, riportandomi sul vostro piano dimensionale.
“Ok!”
esclamò Ezekiel ironico “Chi non si è mai sprofondato
in catalessi, guardando una sfera di cristallo?!”
Nessuna tecnica
meditativa nel vostro addestramento? Tecniche di preparazione per i viaggi
astrali?
“No.”
rispose Stone.
Judson non prepara più come una volta.
“Judson?!” si stupì Jones “Ma questo qui non è imprigionato
da più di cent’anni? Come fa a conoscere Judson?”
Jacob
ipotizzò: “È un cognome, forse si sono tramandati il mestiere.”
Nessuno di voi
ha qualche attitudine per meditazione o qualsiasi cosa connessa con l’extracorporalità?
“Io
ho delle allucinazioni … non so se può bastare.” disse Cassandra.
“Lo
faccio io.” si propose Eve “Ho già viaggiato nello
spazio tempo e tra mondi paralleli, quindi direi che posso riuscirci.”
Gli
altri acconsentirono a lasciarla provare. Eve si
posizionò dove indicato e si mise a fissare la sfera fluttuante. I bibliotecari
rimasero in silenzio ad osservare per diversi minuti la loro Guardiana rimanere
ferma, immobile. Stone dovette dare uno scappellotto ad Ezekiel,
per impedire che si mettesse a fare confusione o disturbare, annoiandosi dell’attesa.
Ad
un tratto videro Eve allungare un braccio e, un
attimo dopo, comparire come dal nulla un uomo alto, parecchio robusto, coi
capelli bianchi e lunghe e spesse basette. Era Antonio Panizzi.
“Oh,
che bello tornare alla realtà! Allora, in che anno siamo?!” esordì l’omone.
“Duemilaquindici.”
rispose Eve.
“Così
tanto? Ce ne avete messo di tempo. Poco male che in quel limbo la percezione
del tempo era del tutto particolare. Bene, andiamo in Biblioteca?”
Nota dell’Autrice: vi ringrazio tutti
quanti per continuare a leggere questa fanfic! ^__^
Grazie Mille!!!
Inoltre vi chiedo scusa per l’assenza di questi giorni, ma le idee per il
capitolo hanno fatto fatica a dipanarsi e sono stata impegnata.
L’idea per questo nuovo Bibliotecario
mi è derivata da qui:
I
bibliotecari lasciarono velocemente e senza difficoltà il vecchio edificio e
presto raggiunsero la porta che li riportò alla Biblioteca.
Antonio
fu parecchio sorpreso e disse: “Questa, ai miei tempi, non c’era! Come funziona?
È una cosa comune in questi anni? O la tecnologia della Biblioteca è sempre un
passo avanti?”
“È
una porta magica.” spiegò Cassandra “Come un ponte di rosen-einsten,
però creato con la magia, non so bene come.”
“Rosen-einstein? Prima i Rosa-Croce e ora questi, chi
sono?!” chiese Antonio.
“Sono
due scienziati …” tentò di dire Cassandra.
“Magia,
hai detto? Quindi la politica della Biblioteca è cambiata? Ai miei tempi, non
era concesso impiegare la magia, salvo per contrastare qualche folle che utilizzava
anch’esso la magia. Sapete, è un po’ come andare ad un duello: se uno ha una
spada e l’altro una pistola, l’esito è scontato! Così affrontare un potere
arcano con mezzi umani, non è saggio, bisogna affrontare il nemico ad armi
pari! Beh, quindi questa porta?”
“È
opera di Jenkins.” lo informo Charlene,
sottovoce.
“Oh,
capisco! Quindi si può aprire ovunque voi vogliate?”
“Sì,
certo.” confermò Cassandra.
“Ottimo!
Allora, apritela a Brescello o da qualche parte in
provincia di Reggio Emilia.”
“Hai
nostalgia di casa?” chiese Charlene.
“Della
cucina, soprattutto. Sono rimasto a digiuno centotrentasei anni, pare, e prima
mangiavo cibo inglese. Ho un assoluto bisogno di rifarmi la bocca.”
“Non
pensare che le casse della Biblioteca finanzino questo pranzo.”
“Sei
invitata anche tu! Possiamo considerarlo un pranzo etnico, al fine di far
conoscere a voi angli le tipicità italiche. Inoltre, prima di rimanere bloccato
in quel limbo, stavo facendo delle indagini su Droctulfo
e, quindi, Brescello è il luogo ideale dove
riprendere le indagini.”
“Sei
serio?” chiese ancora Charlene.
“Guarda
i miei appunti, se non ci credi.”
“Il
tuo diario non è mai stato trovato.”
“Allora
dovrai fidarti di me: ho fame e non perderò tempo a cercarlo. Tanto ho tutto
qui!” e con l’indice si picchiettò la tempia “Poi, in questi anni, ho avuto
modo di studiare con attenzione gli elementi che avevo a disposizione. Su!
Andiamo!”
“Veramente,
prima di Droctulfo, dovresti aiutare i bibliotecari a
sistemare l’attuale situazione!” gli ricordò Charlene.
“Sì,
me ne parleranno a pranzo, che discutere davanti a buon cibo e vino è sempre
meglio.”
Charlene si arrese.
Antonio fece impostare la porta su Brescello e in un
attimo lui, i tre bibliotecari ed Eve si trovarono
nella piazza principale di quel paesino sul Po.
“Oh,
sembra proprio come l’ho lasciato!” annunciò Antonio, guardandosi attorno e
respirando a pieni polmoni “Dubito, però, che la vecchia locanda sia ancora
aperta. Oh, toh, delle statue, chi saranno?”
Antonio
si avvicinò ad osservare le due statue in metallo, non erano su un piedistallo,
ma su terreno e avevano l’altezza di una persona; erano distanti l’una
dall’altra, ma di fronte e davano l’impressione che si stessero salutando; la
prima raffigurava un prete, la seconda un uomo coi baffi che si levava il
cappello. Il Bibliotecario le guardò, poi trovò un cartello con spiegazioni e
lesse; infine chiese: “Qui c’è scritto che sono Don Camillo e Peppone,
personaggi letterari diventati famosi per dei film. Cosa sono i film?”
“È
complesso.” rispose Eve “È tipo uno spettacolo
teatrale … I Lumiere quando l’hanno inventato?”
“1895,
lui era già imprigionato.” disse Stone.
“Beh,
mi spiegherete poi; intanto mi faccio dire dove si possa mangiare bene.”
Pochi
minuti dopo, erano tutti quanti seduti attorno ad una tavola e Antonio dava
istruzioni al cameriere: “Allora, iniziamo con un assaggio di tortelli, sia
verdi che di zucca, e di lasagne. Sa, sono Americani, i miei amici, e voglio
far sentire loro la vera cucina nostrana. Poi, per secondo, tigelle, gnocco fritto,
salumi, prosciutto, salame, coppa, tutto! Poi formaggi e lardo. Ha segnato
tutto? Bene, ah, mi raccomando, l’aceto balsamico! Di contorno polenta fritta a
cubetti e pinzimonio. Per il dolce ci penseremo dopo. Ovviamente, tutto
innaffiato con lambrusco.”
“Io
preferirei birra o acqua.” disse Cassandra, timidamente.
Antonio
la guardò accigliato e replicò: “Birra? No, niente bevande austroungariche.
Dell’acqua, tuttavia, la porti lo stesso. Altro? Ah, sì, avete l’erbazzone?”
“Certamente.”
rispose il cameriere.
“Perfetto,
allora erbazzone e ciccioli per antipasto!”
Ezekiel, sussurrò ad Eve: “Con tutta questa roba, non mi stupisce che Charlene fosse contraria a questo pranzo.”
“Già.”
confermò la donna, sempre a bassa voce “Tra l’altro ho avuto l’impressione che
si conoscessero, ma questo è … improbabile.”
Stone,
intanto, stava domandando: “Chi era quel Droctulfo
che ha nominato prima?”
“Un
duca Longobardo che, tuttavia, combatté a favore dei Bizantini. La sua prima
grande impresa fu proprio conquistare questa città, nel 572, lo stesso anno in
cui venne assassinato re Alboino. Oh, Alboino, re dei Longobardi, pagò caro il suo Bevi, Rosmunda,
bevi nel teschio di tuo padre!”
“Co-cosa?” chiese Cassandra, turbata.
“Niente,
si dice che re Alboino, dopo aver sconfitto i Gepidi, sposò la figlia del loro re e la costrinse a bere
dal teschio del padre; all’epoca si usava ricavare coppe dai teschi dei nemici
valorosi uccisi.”
Il
cameriere portò da bere e subito Antonio si riempì il bicchiere.
“Comunque,
Droctulfo fu un grande condottiero della sua epoca,
molto amato, molto tremendo.”
“Perché
ti interessa?” chiese Eve.
“Sono
abbastanza certo che ci abbia lasciato qualcosa, ma ne parleremo dopo pranzo.
Ora parliamo della Biblioteca, di noi; insomma, conosciamoci un poco, visto che
lavoreremo assieme, voglio sapere tutto di voi e, soprattutto, che cosa stia
accadendo.”
“Mi
sembra giusto.” assentì Cassandra.
“Prima,
potresti dirci perché ti chiamano Principe
dei Bibliotecari?” chiese Ezekiel.
“Non
è difficile: homo homini
lupus, sed homo homini deus
est, si suumofficiumsciat.”
“Ossia?”
Rispose
Stone: “L’uomo è lupo per gli uomini, ma
è un dio, se conosce il suo dovere.”
“Bravissimo!”
esclamò Antonio “Meriti un premio!” e versò un bicchiere di lambrusco a Jacob,
per poi aggiungere: “Chi conosce il proprio dovere e lo esegue, non può
sbagliare e risalterà sempre sopra agli altri ... questo perché, purtroppo,
viviamo in mondo dove tutti sono in balia dei desideri che li fanno
trotterellare da una sciocchezza a una futilità, facendoli venire meno ai loro
doveri. È per questo che il mondo va male: caos, disordine, anarchia, nessuno è
dove dovrebbe o fa quel che dovrebbe e tutto va a rotoli. Io, semplicemente, ho
fatto quel che era il mio dovere, nulla di più, nulla di meno, ma tanto è
bastato per farmi godere dalla migliore delle reputazioni. Si dice che è
fortunato il paese che non ha bisogno di eroi, beh iodico che è disperato il paese in cui chi fa
il proprio dovere è considerato un eroe.”
“Io
sono stata nell’esercito, sono stata un colonnello; ma questa concezione del
dovere sembra eccessiva anche per me.” osservò Eve.
“Ognuno
ha i propri talenti ed è su quelli che deve investire, non su altro, solo per
vanità o vanagloria. Non parliamo di questo. Su, ditemi di voi e di quel che
avete combinato.”
Tutti
e quattro iniziarono a raccontare di sé, a presentarsi e poi a riferire di quel
che avevano fatto in Biblioteca durante quei mesi e, infine, gli dissero del
Conclave.
“Uh,
che pasticciaccio!” esclamò Antonio, dopo aver ascoltato tutto quanto.
L’uomo,
poi, fermò un cameriere e gli disse: “Scusa, puoi portarci un po’ di torta barozzi e zuppa inglese? E poi nocino per tutti, grazie! Il
caffè, dopo.”
Tornò
a rivolgersi ai suoi commensali: “La situazione è pessima, non c’è che dire.
Tuttavia, non c’è da disperare, anzi, sotto molti aspetti la si potrebbe
considerare una grande occasione!”
“Grande
occasione per cosa?” chiese Cassandra.
“Per
cambiare le cose, per migliorarle; per instillare valori nelle persone,
scuotere le coscienze, far sì che si prenda atto della realtà!”
“Stiamo
parlando di una guerra; se lo ricorda?!” chiese Eve,
perplessa.
“Certamente.
I conflitti sono una costante nella storia. Gli uomini si cimentano di continuo
in prove di forza e di valore ed è il sangue che prova la saldezza di una
causa.”
“C’è
una cosa chiamata pacifismo, da molti decenni a questa parte.” fece notare
Cassandra.
“Non
ci sono più guerre, dunque?”
“Ce
ne sono eccome, purtroppo!” sospirò Eve.
“Ah,
ecco, mi sembrava strano. Ad ogni modo, io ho vissuto appieno il Risorgimento,
ho conosciuto Mazzini, Garibaldi, Cavour! E molti altri il cui nome non è
diventato famoso. Giovani, maturi, anziani, donne, uomini, ricchi e poveri,
gente diversissima ma con una caratteristica comune: la speranza. Gente che ha
lottato per un ideale, che è stata pronta a morire. Ricordo un ragazzo di nome
Goffredo Mameli, scriveva bellissime poesie e in battaglia era un leone! Morì a
soli diciannove anni, per difendere la Repubblica Romana, che non aveva
speranze di sopravvivere. Ha forse avuto rimpianti? Sì, uno: non aver avuto un
figlio che potesse consacrarsi a sua volta alla patria, all’ideale. Le guerre,
quando sono volute dai potenti, portano devastazione e miseria, ma quando
nascono dal popolo, è tutta una faccenda diversa! Lo so bene, perché anch’io
all’epoca fui coinvolto. Ero in una società segreta, i Sublimi Maestri Perfetti; fuggii in Inghilterra, quando il Duca di
Modena mi fece condannare a morte. Beh, a Londra ho trovato il mio destino.”
“Per
cosa è stato condannato a morte?” chiese Stone.
“Bah,
nulla di che, questi duca sono così irritabili! Comunque, tornando a voi, a noi
… beh, insomma, al presente, direi che potremmo affrontare laquestione di Droctulfo,
visto che siamo da queste parti.” Antonio era rilassato e di buon umore,
sorridente “Penso che questo pomeriggio potrà bastarci e da domani valuteremo
le dichiarazioni di guerra che saranno arrivate in Biblioteca da parte di tutti
i nemici che si sono rivelati al Conclave.”
Quando,
finalmente, ebbero finito di pranzare e si trovarono fuori dal ristorante, di
nuovo per le vie di Brescello, Eve
domandò:“Allora, che cosa stiamo
cercando esattamente?”
“Non
lo so.” rispose Antonio, guardandosi attorno.
“Come,
scusa?!” sbalordì Eve, un poco irritata.
“So
che Droctulfo aveva qualcosa di particolare, ma le
fonti sono scarse; tuttavia, quando lo troverò, lo riconoscerò.”
“Ciò
nonostante, è convinto che in poche ore risolveremo?”
“Certamente,
poiché sono certo che, qualsiasi cosa sia, si trovi nella sua tomba.”
“Quindi,
da dove cominciamo?” chiese Stone.
“Dall’epitaffio,
ovviamente. Lo riferisce Paolo Diacono nella sua HistoriaLangobardorum. Recita così: In questo tumulo è chiuso, ma solo con il corpo, Droctulfo
perché, grazie ai suoi
meriti, egli vive in tutta la città.
Egli fu con i Bardi, ma
era Svevo di stirpe:
e perciò era soave a
tutte le genti.
Il volto era tremendo
all'aspetto, ma l'animo buono,
la sua barba fu lunga
sul petto robusto.
Amò sempre le insegne
del popolo romano,
sterminò la sua stessa
gente.
Per amor nostro, sprezzò
gli amati genitori,
reputando che qui,
Ravenna, fosse sua patria.
Prima gloria fu occupare
Brescello.
E in quel luogo
restando, terrifico fu pei nemici.
Poi sostenne con forza
le sorti delle insegne romane,
Cristo gli diè da tenere il primo vessillo.
E, mentre Faroaldo con frode trattiene ancora Classe,
egli prepara le armi e
la flotta per liberarla.
Battendosi su poche
tolde sul fiume Badrino,
ne vinse infinite dei
Bardi, e poi superò
l'Avaro nelle terre
orientali, conquistando
la massima palma per i
suoi sovrani.
Con l'aiuto del martire
Vitale, giunse da loro:
spesso vincitore,
acclamato, trionfa.
Per le membra egli
chiese riposo nel tempio
del martire: qui è
giusto che, morto,
egli resti .Egli stesso
lo chiese, morendo, al Sacerdote Giovanni,
per il cui pio amore
venne a queste terre.”
“Dobbiamo, quindi, cercare una chiesa dedicata a San Vitale?” chiese
Cassandra, dopo aver ascoltato con attenzione.
“No. Quello sarebbe a Ravenna, ci sono già stato e non c’è più la tomba.”
“Come fa a sparire una tomba?” chiese Ezekiel.
“Non è difficile.” gli rispose Stone “Nel corso dei secoli, le chiese hanno
subito sempre molti restauri e rifacimenti, quindi sono molte le cose andate
perdute, soprattutto le sepolture, spesso riutilizzate.”
“Le mie indagini a Ravenna, tuttavia, mi indicarono che fine avesse fatto
il sarcofago di Droctulfo.” spiegò Antonio “Ci fu una
traslazione attorno al sedicesimo secolo, a causa delle guerre d’Italia e le
continue invasioni; l’11 aprile del 1512, il giorno di Pasqua!, ci fu una
battaglia proprio a Ravenna, in cui fu coinvolta la Lega di Cambrai.
Comunque! Vollero portare il corpo in un luogo che non fosse particolarmente
coinvolto dalle guerre e che, difficilmente, potesse essere saccheggiato;
volendo anche far riposare Droctulfo in un luogo a
lui famigliare, scelsero Brescello: la sua prima
gloria e di cui fu signore per molti anni. Non potevano palesare la presenza
del sepolcro di Droctulofo, né potevano lasciarla
senza segnalazione alcuna. Così, il duca Ercole II d’Este commissionò al Sansovino una statua dell’eroe greco Ercole (eh, facile
propaganda con quel nome!) e la utilizzò per segnare il punto dove era stato
sepolto il sarcofago, ritenendo ci fosse una certa somiglianza di carattere e
valore tra il morto e l’eroe. Dobbiamo dunque scavare nel punto in cui è stata
posta la statua.”
“Ci siamo passati davanti poco fa.” osservò Stone “Anche se ho notato che
quella non è la statua originale, ma una copia.”
“Rubare un cadavere dal centro di una piazza in pieno giorno …” rifletté Ezekiel “È stimolante!”
“Non è l’attuale collocazione che ci interessa, ma quella originaria. In piazza
fu posta nel 1727, prima si trovava nella piazza della Rocca, che fu distrutta
nel 1704. Quando stavo preparando la mia spedizione, prima di essere
forzatamente esonerato dal lavoro, avevo consultato diverse mappe e avevo
trovato l’esatto punto. All’epoca era in una zona disabitata, speriamo di
essere fortunati ancor oggi. Seguitemi!”
Antonio si mise subito in cammino, con passo deciso e quasi marziali, come
se stesse guidando un’armata. Si fermava, tuttavia, ogni volta che vedeva un
qualche oggetto tecnologico a lui sconosciuto e chiedeva informazioni circa a
che cosa servisse e come funzionasse. Sebbene il tragitto non fosse lungo,
impiegarono molto tempo a percorrerlo, proprio a causa di quelle spiegazioni. Finalmente
arrivarono sulla spianata che si trovava al posto della vecchia rocca; per
fortuna era ancora in una zona isolata e non era cambiata di molto rispetto a
quando Antonio aveva fatto i suoi calcoli. Il Bibliotecario individuò
facilmente il punto dell’originaria collocazione della statua ed esortò tutti
quanti a scavare.
“Ma non abbiamo attrezzi.” gli fece osservare Cassandra.
“Usiamo le mani.” rispose Antonio con naturalezza “Più in là ho visto dei
bastoni e qualche pietra con cui possiamo aiutarci.”
“Penso che tornerò un attimo in paese e mi procurerò un paio di vanghe.” disse
Stone.
“Vengo con te.” disse Cassandra e si allontanò con il ragazzo.
I due giovani tornarono verso il paese, per un poco tacquero. Cassandra aveva
voglia di parlare, non le piaceva quel silenzio, le sembrava che la mancanza di
comunicazione dimostrasse una mancanza di affinità o di interesse; per cui,
dopo un paio di minuti, chiese: “Allora, cosa te ne sembra di Antonio? È particolare,
ma simpatico.”
“Sì e poi ha dimostrato di essere parecchio erudito; è in gamba e ben
disposto. Inoltre, nessuno ci aveva mai offerto un pranzo, prima d’ora.”
“Credi che riuscirà davvero ad aiutarci con questa faccenda delle varie
creature magiche, arrabbiate col mondo?”
“Non ne ho idea, ma è sempre meglio un aiuto in più che in meno, non trovi?”
“Sì. Certo che, se ci fossero anche Flynn e Jenkins, formerebbero proprio un bel trio. Chissà cosa
combinerebbero!”
“Ammesso che non litighino tra di loro; credo che Antonio e Jenkins battibeccherebbero spesso, non sembrano granché
sulla stessa lunghezza d’onda.”
“Povero Jenkins, l’ho visto andare perfettamente
d’accordo solo con Charlene. Poveretto, chissà come
sta … chissà cosa gli starà facendo Morgana.”
“Pensare che avremmo dovuto cercare di liberarlo, dopo il Conclave.” Jacob sospirò
“Invece, incredibilmente, abbiamo problemi più grandi!”
Cassandra si avvicinò a Stone e, timidamente, lo prese per mano, mentre
continuavano la conversazione.
Trovarono un negozio dove comprare una vanga e un badile, dopo di che
raggiunsero gli altri, che si erano comunque messi al lavoro. Con gli strumenti
del mestiere, scavarono rapidamente e con poca fatica, facendo i turni. Presto le
pale toccarono qualcosa di duro. Si diedero ancor più da fare, pulirono
rapidamente e finalmente portarono alla luce il sarcofago.
Stone fu entusiasta nel trovarsi davanti un eccellente esempio di bassorilievo
marmoreo del VI o inizio VII secolo.
Si affrettarono a togliere il coperchio e videro uno scheletro in armi, con
alcuni gioielli d’oro e i resti di tessuto pregiato.
“Allora?” chiese Eve “Il tuo radar per oggetti
magici ti indica qualcosa?”
“Sì.” Antonio si chinò sullo scheletro e gli sfilò l’elmo, lo strofinò con
un panno e lo guardò con attenzione.
“Non è longobardo.” commentò Stone “Sembra più villanoviano.”
“Non conosco questa differenza, comunque non mi stupisce se è più antico di
Droctulfo.” ribatté Panizzi.
“Di cosa si tratta?” chiese Ezekiel.
“Un elmo fatato. Aumenta l’autorevolezza di chi lo indossa, migliora le sue
capacità strategiche, infonde coraggio ai soldati circostanti … insomma, aiuta
in battaglia ed è l’ideale per un condottiero.” lo rimiròancora un poco “Bene, direi che possiamo
tornare in Biblioteca. Chiudiamo il sarcofago e andiamo.”
“Lo risotterriamo?” chiese Stone.
“No. Lasciamo un regalo per gli archeologi, sono sicuro che apprezzeranno.”
Dopo
aver sentito le parole di Dulaque e aver visto le
proprie certezze e il proprio mondo andare in frantumi, Flynn
aveva iniziato a correre e a fuggire. Fuggiva da ciò che credeva l’avesse
ingannato, da ciò che credeva gli avrebbe recato dolore.
Flynn aveva corso
senza meta per ore e ore, girava ora a destra, ora a sinistra, senza sapere
dove andare, senza sapere dove si trovasse.
Iniziò
ad albeggiare e Flynn, stanco, entrò nel primo
alberghetto che trovò, prese una camera, si gettò sul letto e si addormentò
vestito, sopra le coperte. Per le prime tre ore fu per lui un continuo andare
in dormiveglia e poi svegliarsi, nervoso e agitato, ma in fine riuscì ad
addormentarsi e a riposarsi per diverse ore.
Quando
si svegliò, Flynn si sentiva apatico, andò a mangiare
qualcosa e, nel frattempo, ragionava su cosa fare. Avrebbe cercato un lavoro,
ricominciando la sua vita da capo? Bah, chi avrebbe assunto un quarantenne
senza alcuna esperienza certificata? Aveva, tuttavia, molte qualità e nei dieci
anni passati a fare il Bibliotecario aveva acquisito numerose competenze, forse
non gli sarebbe stato difficile trovare un impiego … ma quale razza di lavoro
sarebbe andata bene per lui? Dopo tutto quello che aveva visto e scoperto, dopo
tutto quello che aveva vissuto, come avrebbe potuto accontentarsi di una vita
normale?
Nessuno
dei mestieri comuni poteva fare al caso suo. Lui aveva conosciuto il
sovrannaturale, era andato oltre, come poteva ora accontentarsi di qualcosa di
meno?
No,
non se ne sarebbe restato calmo ed annoiato nel mondo banale e noioso, avrebbe
fatto qualcosa di più!
Avrebbe
finalmente iniziato a vivere! Per trent’anni era stato uno studente e, dunque,
si era preparato alla vita, per dieci era stato manipolato e comandato; ora era
il momento di vivere, finalmente, di decidere, di essere ciò che voleva.
Ma
che cosa voleva? Non lo sapeva.
Non
era abituato a chiedersi che cosa volesse, solitamente faceva ciò doveva, ciò
che gli veniva richiesto, quindi era come se avesse perso la capacità di
ascoltare i propri bisogni e desideri.
Che
cosa gli era sempre stato a cuore? La conoscenza.
Come
poteva ampliarla, ora che aveva abbandonato la Biblioteca?
Beh,
lui non aveva mai approfondito la magia, l’aveva solo sfiorata, studiata in via
teorica, ma mai messa in pratica, mai realmente padroneggiata.
Ecco,
ecco che cosa voleva fare! La magia! Si sarebbe immerso completamente nel
sovrannaturale, non lo avrebbe più guardato da lontano o vigilato, lui si
sarebbe mosso dentro di esso, lo avrebbe conosciuto non sui libri, ma per
esperienza diretta e personale, lo avrebbe vissuto in prima persona.
Sì,
proprio come gli era stato detto dieci anni prima: era il momento fare
esperienza di vita, di conoscere il cattivo mondo esterno, di nuotare o
affogare.
Sì,
era questo che voleva fare e poi, col tempo, avrebbe deciso che strada
prendere.
Sapeva
esattamente dove cominciare questa nuova avventura. C’era un ritrovo per
creature sovrannaturali e praticanti dell’occulto, in Iowa,
nella contea di Dubuque, vicino a Dyersville;
c’erano alcuni edifici in cui si trovavano bar, bische, circoli, Flynn c’era stato alcune volte, in passato, per raccogliere
informazioni.
L’uomo
si procurò un’automobile e si mise in viaggio, dopo un paio di giorni,
finalmente giunse a destinazione. Aveva trovato rilassante quel lungo tragitto
in solitudine, accompagnato solo dalla radio, senza grandi pensieri per la
mente, senza il mondo da dover salvare.
Arrestò
l’auto vicino ad una fattoria, scese si avvicinò al campo e infine si addentrò
nella piantagione di pannocchie: era lì in mezzo al grano turco che si trovava
il passaggio per raggiungere quel ritrovo.
Flynn andò senza
indugi, pur sapendo che molto probabilmente si sarebbe trovato a contatto anche
con individui loschi e soggetti più o meno pericolosi, più o meno malavitosi.
Si era però un poco camuffato e non si era rasato la barba: in quegli ambienti
poteva essere riconosciuto come il Bibliotecario e ciò gli avrebbe causato
guai.
Trascorse
la giornata giocando in una delle bische, con giochi mescolati con la magia. Si
divertì parecchio e socializzò; la sera decise di andare in una sorta di pub a
mangiare qualcosa e bere.
Mentre
mangiava delle patatine fritte affogate nel ketchup, spostò lo sguardo verso il
boccale di birra da un litro e vide, con disappunto, il riflesso di Judson.
“Ciao,
Flynn!” gli disse l’uomo.
“Sparisci!”
intimò lui.
“Sì,
non mi tratterò a lungo. Che cosa ci fai qui?”
“Vivo.”
“Ah,
vedo, vedo. E ti piace questa vita?”
“Non
lo so, devo conoscerla ancora; tuttavia, almeno è mia. È la prima decisione che
prendo per me da tantissimo tempo.”
“Quindi,
ottenuta la libertà, decidi di investire il tuo tempo qui?”
“Ho
diritto anch’io di divertirmi, o no?! Ma che diavolo ne parlo con te?! Io non
ho più niente a che spartire con te o con la Biblioteca!”
“Sì,
il modo in cui te ne sei andato lo ha lasciato intuire. Sono tutti molto
preoccupati per te, sai?”
“Forse
avrei dovuto avvertirli che non ci si deve fidare di voi.”
“Mi
dispiace che tu l’abbia presa così. Non era in questo modo che avresti dovuto
scoprire certe verità.”
“Non
le avrei proprio dovute scoprire, non è così, Yahuda?”
“Non
è detto, non sapevamo ancora se …”
“Dieci
anni! Per dieci anni ho fatto il Bibliotecario, obbedendo a tutte le vostre
direttive, senza mai venire meno al mio dovere, ma evidentemente questo non è
bastato a guadagnarmi la vostra fiducia!”
“Flynn, cerca di capire … dieci anni sono decisamente
pochini, in confronto ai nostri tempi.”
“Una
scusa patetica! È questa la migliore giustificazione che riesci a trovare? Non
basta!”
“Bastare
per cosa? Questa non è una scusa, è un dato di fatto e io non sono qui per
farti cambiare idea o farti tornare da noi. Non ti chiede neppure
comprensione.”
“Allora
che cosa vuoi?”
“Nulla.
Volevo solo accertarmi che stessi bene e basta.”
“Sì,
come vedi, sto benissimo. Be-nis-si-mo! Quindi ora
vattene!”
“E
cosa pensi di fare, adesso?”
“Non
sono affari tuoi! Penserò finalmente a me stesso! Accrescerò le mie conoscenze
e il miopotere e andrò all’avventura
per conto mio, dove mi piacerà e dove potrò averne un utile. Basta con le
vostre bugie e il vostro finto e patetico buonismo. Addio!”
“Flynn … io spero che tu possa trovare quel che cerchi e … e
di rivederti, presto.”
“Questo
non accadrà. Con voi ho chiuso.”
Flynn si decise a
prendere il boccale e bere. Smangiucchiò ancora un poco, bevve molto e poi
decise di fare un po’ di baldoria, coinvolgendo gli altri avventori presenti.
Cominciò ad attaccare bottone con un tale seduto al tavolo dietro di lui e
presto cominciarono a cantare. A loro si unirono altri, c’erano per lo più
creature come vampiri, ninfe, umanoidi legati agli elementi e così via, solo un
paio di umani praticanti di magia. Presto in tutto il locale era in corso una
specie di festa, tutti gridavano, cantavano, bevevano, scherzavano e usavano i
loro poteri.
Flynn si risvegliò il
mattino seguente, con un certo mal di testa, si accorse di aver dormito su un
tavolo. Nonostante i postumi, era contento: era stata la prima volta che aveva fatto
qualcosa del genere, nemmeno da adolescente aveva preso parte a una qualche
serata-devasto come quella.
Prese
una bottiglietta d’acqua e la usò per rinfrescarsi il viso e bagnarsi la gola secca,
poi uscì dal locale per prendere una boccata d’aria. C’era già il Sole, Flynn fece un paio di calcoli per capire che erano circa le
nove e mezza del mattino, poi si ricordò di avere un orologio. Mentre si
guardava attorno, pensando alla giornata che lo attendeva, gli passarono
davanti quelli che gli parvero tre gnomi, non lo poteva sapere con esattezza, poiché
indossavano mostruose maschere di legno dipinto, grandi quasi quanto loro,
arrivavano fino alla vita e superavano la fronte di almeno venti centimetri;
inoltre, alle maschere erano appesi dei campanellini. I tre correvano,
recitando stornelli in una strana lingua, lanciando versi e facendosi dispetti.
Uno teneva in mano un bastone della pioggia, un altro un bastone con delle
piume ai lati, l’ultimo aveva una sorta di corda che faceva schioccare per
aria.
Flynn, incuriosito,
si mise a seguirli, distante ma non troppo, per vedere dove andassero e che
cosa facessero: quel che vedeva gli era completamente nuovo. Era una strana
usanza degli gnomi? Era una qualche penitenza? Il folklore interno ai popoli
sovrannaturali non era stato oggetto di studio nel suo periodo in Biblioteca,
si era limitato a conoscerne solo alcuni aspetti limitati. Era dunque l’occasione
buona per approfondire. Ehi, adesso che ci pensava, perché li definiva esseri sovrannaturali? Il fatto che esistessero
in natura non rendeva quelle creature naturali? Via, ci avrebbe pensato poi,
ora doveva seguire quello strano trio.
Flynn pedinò gli
gnomi per una decina di minuti, attraverso il campo di grano turco,
allontanandosi dai locali. Gli sembrava che le piante diventassero sempre più
alte e il sentieroche si apriva per
andare avanti, si richiudeva poi immediatamente alle sue spalle. Vide poi gli
gnomi fermarsi vicinoad una pianta più
grande delle altre, presero delle pannocchie e cominciarono a sgranocchiarle
crude, oppure tirarsele addosso vicendevolmente e ridevano di gusto. Ad un
tratto, però, si sentì un ritmo scandito da tamburi riempire l’aria e poi i
rintocchi di una campana. Gli gnomi si misero subito attenti; scostarono delle
foglie giganti e mostrarono un’enorme pannocchia, andarono dietro ad essa e
scomparvero.
Flynn, allora, che
era rimasto nascosto lì vicino ad osservare, si precipitò a propria volta
dietro alla pannocchia per non perderli di vista, le campane stavano ancora
suonando; non li trovò, ma si imbatté nell’entrata di un tunnel che si
restringeva ad ogni rintocco. L’uomo fu indeciso circa cosa fare: gettarsi lì
dentro, senza informazione alcune ed andare all’avventura? Sì. Era quello che
si era ripromesso di fare nella sua vita, ora, giusto? Allora non doveva
esitare o temere. Si gettò dentro il cunicolo che, stranamente, funzionò come
uno scivolo, nonostante il terreno avrebbe dovuto fare attrito.
Flynn scivolò per almeno
cinque minuti, il che lo preoccupava parecchio circa la profondità che stava
raggiungendo, era tutto buio. Finalmente atterrò, ma di sedere e si rialzò col
coccige parecchio dolorante. Si rialzò in piedi e si guardò attorno: c’era
luce, ma non avrebbe saputo dire da dove provenisse. Non gli sembrava di essere
al chiuso, come la logica avrebbe voluto, ma gli pareva uno spazio aperto, con
tanto di cielo grigio. Il paesaggio era brullo, il terreno era nudo oppure con
qualche ciuffo di erba secca o coperto di foglie secche, c’erano molti alberi,
ma completamente spogli. Guardando in ogni direzione, non si vedeva una sola
costruzione umana, l’orizzonte pareva lontanissimo. Non si vedeva neppure più
il cunicolo da cui era sceso e non c’era traccia dei tre gnomi.
Flynn si sentì
improvvisamente stimolato: era in un luogo sconosciuto, senza alcuna
informazione e pareva non esserci nessun mezzo di sussistenza; era l’ideale per
mettersi alla prova, per tirare finalmente fuori ogni suo aspetto, cercare di
dare il meglio di sé.
Decise
di mettersi in cammino. Non avendo una direzione da prendere, si concentrò e
fece appello al proprio istinto o al proprio sesto senso, per decidere quale
fosse la sua strada. Sì, questa volta non si sarebbe limitato ad usare il
cervello, avrebbe usato anche quel poco di magia che Judson
gli aveva permesso di padroneggiare. Sì, avrebbe sfruttato appieno il suo
potere interiore e lo avrebbe amplificato il più possibile.
Scelta
la via, si mise in marcia, non c’erano sentieri battuti, ma questo non lo
spaventava. Di tanto in tanto vedeva qualche animaletto, roditori per lo più,
correre e poi infilarsi in una tana. Flynn iniziava
ad avere fame, per cui decise di procurarsi del cibo cacciando. Riusciva a
trasmettere scariche elettriche, era un’abilità che in passato gli era servita
parecchio per stordire gli avversari; per cui iniziò a cercare di fulminare qualcuna
delle bestiole che vedeva per procurarsi il pranzo. Non fu facile, all’inizio,
poiché solitamente trasmetteva la scossa a contatto e non a distanza, ma appena
capì come proiettare l’energia non direttamente dalla sua mano, riuscì a
colpire un coniglio.
Venne,
allora, la parte più difficile: scuoiare l’animale. Per fortuna, l’uomo aveva
con sé un coltellino e lo usòa dovere,
cercando di non macchiarsi di sangue. Poco dopo, stava per accendere il fuoco
in maniera tradizionale, trovare rami secchiin quel posto non gli era stato difficile, ma poi si ricordò di avere
letto, in passato, qualche appunto sulla pirogenesi e pirocinesi,
quindidecise di tentare di accendere il
falòcon la magia. Ebbe bisogno di
concentrarsi e di due o tre tentativi, comunque ci riuscì e si sentì molto
orgoglioso. Arrostito il coniglio e mangiatone buona parte, l’uomo ebbe sete,
ma non c’era nemmeno un canale da quelle parti. Lui non si scoraggiò e, ormai
entusiasta dei poteri che stava scoprendo, si adoperò per far sgorgare lui
stesso l’acqua dal suolo e ci riuscì.
Dopo
il pranzo, riprese il cammino e, entusiasta per la facilità con cui aveva
padroneggiato l’elettricità, il fuoco e l’acqua, decise di fare qualche esercizio
per tentare di manipolare anche l’aria e la terra. Vi riuscì. Evocò un grande
vento di cui riusciva a direzionare le folate e fu in grado di smuovere e far
tremare la terra.
Era
gioioso e si sentiva potentissimo.
“Chiamatemi
Flynn, il signore degli elementi!” aveva gridato al
nulla.
Era
contentissimo, sentiva la libertà e il potere scorrergli nelle vene al posto
del sangue. Che limiti aveva?! Nessuno! Non c’erano Judson
o Charlene o sua madre a dirgli che cosa poteva fare
e che cosa no, non c’era nessuno a limitare le sue capacità.
Preso
da quella sensazione di onnipotenza, decise di spingersi ancor oltre, provò e
riuscì sia a controllare la volontà degli animaletti che vedeva attorno a sé,
sia ad imporre ad un ramo secco di fiorire.
Ah,
meraviglia! Era dunque questo che si era perso per tutta la sua vita? Per fortuna
non era ancora troppo tardi, per fortuna ora sapeva! Inoltre, era solo agli
inizi, chissà quali cose avrebbe potuto fare con il giusto e quotidiano
esercizio.
Mentre
Flynn si lasciava andare a questo entusiasmo, il
cielo iniziava a farsi buio. L’uomo scorse, infine, una sorta di villaggio di
capanne, piuttosto piccolo; decise di andare in quella direzione. Non trovò
nessuno sul proprio cammino e, una volta arrivato all’insediamento, gli parve
disabitato. Iniziò a chiamare a gran voce, a sbirciare alle finestre e così si
accorse che i pochi abitanti erano chiusi nelle capanne, sdraiati su delle
amache e sotto delle stuoie, zitti in assoluto silenzio. Soltanto un uomo
anziano decise di alzarsi un momento, scostare la tenda davanti all’entrata,
poiché non c’erano porte, e spiegare: “Ti conviene cercarti un riparo! Questa notte
arriverà Aigamuxa, un terribile mostro che divora gli
uomini! Tutti noi ci nascondiamo, poiché se non ci vede, passerà oltre e ci
lascerà stare.”
Detto
ciò, l’anziano tornò a celarsi in casa. Flynn ragionò
su quell’avvertimento e decise di non prendere precauzioni per la propria incolumità
ma, anzi, aspettare l’Aigamuxa e combatterlo.
Si
guardò attorno alla ricerca di un bastone abbastanza solido e lungo da poter
usare come spada, poi si mise in attesa. Era impaziente di cimentarsi in quell’impresa,
voleva provare il connubio tra la scherma e la magia.
Venne
la notte, si cominciò a sentire un gemito in lontananza, poi un altro e ancora
e ancora, sempre più vicino. Uno strano fruscio. Poi, eccolo: un essere alto e
massiccio, il volto era occupato per oltre metà da un’enorme bocca piena di
denti aguzzi, lunghi come coltelli; era pelato e non aveva occhi; anzi, gli
occhi li aveva, ma non sul viso, bensì sulle caviglie. Si guardava attorno,
alla ricerca di cibo.
Flynn pensò non fosse
molto complicato da sconfiggere, quell’essere e si domandò come mai un
villaggio, seppure poco abitato, non fosse stato in grado di liberarsene da
solo. Ricorse al fuoco per bruciare gli occhi del mostro, accecandolo, poi iniziò
a colpirlo col bastone.
L’Aigamuxa lanciò qualche verso e reagì, agitando le braccia
per aria e sferrando colpi poderosi a destra e a manca, riuscendo a colpire sia
Flynn che qualche capanna.
L’uomo,
allora, lasciò perdere il bastone e decise di usare solo la magia, tenendosi a
debita distanza. Evocò prima un grande vento, così forte da sollevare il mostro
per aria e farlo vorticare in tondo per qualche manciata di secondo, poi lo
schiantò al suolo, lo colpì con una grande scarica elettrica e infine li diede
fuoco.
Gli
abitanti del villaggio, che avevano assistito alla scena, esultarono con grande
gioia e circondarono Flynn, ringraziandolo,
nonostante qualcuno si lamentasse del fatto che le folate di vento avevano
scoperchiato alcune capanne.
L’uomo
ne fu molto contento e accettò volentieri i festeggiamenti.
Il
giorno dopo, alcuni degli abitanti del villaggio gli raccontarono di una grande
impresa, non meglio definita, che sarebbe stata compiuta solo da un grande eroe
ed essi pensavano che quell’eroe potesse essere lui. Flynn
accettò volentieri la sfida e venne condotto ai piedi di una montagna, lì lo
lasciarono, indicandogli il sentiero da seguire per raggiungere la vetta e la
grande prova.
Flynn si mise in
cammino, senza timore, canticchiando qualche vecchia canzone dei tempi in cui era
stato boyscout. La salita non fu né lunga, né faticosa, dopo un’oretta l’uomo
aveva già raggiunto la cima, che aveva uno spiazzo piano piuttosto vasto. Al centro
c’era una sorta di trono in pietra, con lo schienale molto alto. Era dietro di
esso, per cui si avvicinò per passargli davanti ed osservarlo meglio. Quando gli
fu innanzi, trasalì, vedendo se stesso seduto sul trono!
Non
era una statua, era proprio un uomo identico a lui in tutto e per tutto. Come poteva
essere possibile?
“Ciao
Flynn!” disse quello seduto, con sguardo che pareva
spiritato e un sorriso inquietante.
“Chi
sei?” chiese l’originale.
“Io
sono te.”
“Una
parte di me?”
“No.
Sono un possibile te. Sono quello che hai deciso di diventare.”
“Com’è
possibile che tu sia lì e io qui …? …”
“Non
porti problemi di logica, in questo posto.”
“Dove
siamo?”
“Dentro.”
“A
cosa?”
“Non
ha importanza. Qui crescerai, evolverai, apprenderai il necessario.”
“Diventerò
te?”
“Lo
sei già, in potenza. Lo sei già stato, ricordi quando avevi il pomo della
discordia tra le mani? Ricordi come ti sentivi potente, libero e felice? Senza preoccupazioni,
pensando solo a te stesso, come sei stato bene, seppure per pochi minuti!”
“Quella
era la versione peggiore di me! Io non voglio essere così!”
“Come?!”
si irritò quello sul trono, levandosi in piedi “Non vuoi il potere? Il totale
controllo? È questo che ti manca! Sei sempre stato chino ad obbedire a qualcuno
o qualcosa, quando tu sei fatto per comandare! Che spreco la tua conoscenza, sottomessa
a qualcun altro. Tutto il tuo sapere che deve rimanere sopito e non lo puoi
applicare, non puoi ottenere quello che vuoi! Tenerlo nascosto, invece di
palesarlo al mondo! Quanti ti ritengono un patetico omuncolo, sia tra gli umani
che non? E perché? Perché non usi il tuo potenziale, perché tu stesso ti
mortifichi e ti nascondi.” avanzò verso Flynn “Hanno
fatto bene, finora, ad insultarti e disprezzarti, non hai fatto nulla per avere
il rispetto degli altri. Hai sempre nascosto quello che sai fare, oppure sei
sempre stato un servo! Ora che finalmente hai capito la realtà dei fatti,
potrai finalmente farti valere e vincere e trionfare su tutto e tutti, perché
il tuo sapere ti rende più grande della maggior parte dei viventi ed ora che tu
ottenga il tuo posto reale nel mondo.”
Flynn ebbe paura,
iniziòad arretrare e farfugliò: “Io non
ho questo odio, non ho tutto questo desiderio di rivalsa. Voglio solo conoscere
la Verità e decidere liberamente, secondo la mia coscienza. Il potere sugli
altri non mi interessa.”
“Perché?”
gli chiese l’alter ego, a denti stretti, avanzando minaccioso “Il potere che
hai dentro di te, ti permetterebbe qualsiasi cosa!”
“Beh,
decido io come investire questo potere e non mi interessa per vessare gli
altri! Sono stato fin troppo vittima di bullismo da ragazzino, per mettermi a
fare il prepotente!”
“Perché?
Non ti vuoi vendicare? Non vuoi dimostrare a chi ti ha vessato chi sei realmente?”
“No!”
“E
allora che cosa vuoi fare? Continuare a nasconderti?”
“Non
lo so, deciderò. Voglio ancora combattere per il bene.”
“In
Biblioteca ti hanno sempre e solo ingannato!” insisté l’alter ego, costringendo
l’originale ad indietreggiare sempre più verso il bordo della montagna.
“Lo
so, ma non ha importanza. Capirò da solo che cosa è giusto e cosa sbagliato,
sarà la mia coscienza a dirmi quando intervenire per proteggere. Io non voglio
tenere il mio sapere per tornaconto personale, ma lo voglio impiegare per il
bene.”
“Sei
patetico. Ancora una volta vuoi piegarti a qualcosa che, non solo non conosci,
ma che mai e poi mai potrà essere conosciuta! Nessuno saprà mai che cosa è
giusto e cosa è sbagliato, Bene e Male sono indefinibili.”
Flynn era in bilico sull’orlo
del precipizio, ma non se ne era accorto; replicò: “Ti sbagli. I sofisti hanno
torto a dire che non esiste un assoluto. L’assoluto esiste!”
“Può
darsi, ma l’unico modo per scoprirlo è la morte.”
L’alter
ego appoggiò le mani sulle spalle dell’originale e gli diede una leggera spinta
all’indietro.
Flynn si sentì cadere
nel vuoto, precipitò; vide il suo doppio rimpicciolirsi sempre di più, la
montagna stagliarsi sempre più alta e poi continuò a cadere oltre. La montagna scomparve,
si ritrovò a precipitare nel vuoto, l’aria attorno a sé divenne sempre più fredda
e, infine, atterrò di schiena su un soffice e gelido cumulo di neve.
Tossì
per il colpo subito ai polmoni in quell’atterraggio, aspettò qualche istante
per mettersi a sedere; poi si guardò attorno: sembrava di trovarsi ad uno dei
poli, durante il periodo di sei mesi di buio, dove la luce c’è, ma assai fioca;
tutt’attorno c’era neve, pareti di ghiaccio e fiocchi che cadevano dal cielo.
Il
giradischi si muoveva e il grammofono diffondeva la musica di Brahms in tutta la camera: un salottino con le pareti
rivestite di seta verde, decorata con araldici leopardi argentei raggruppati a
tre a tre; erano anche appesi alcuni paesaggi, uno rappresentava una veduta di
Venezia, sicuramente della mano del Canaletto. C’erano due divanetti e due
poltroncine, sistemati attorno ad un tavolino basso, in un angolo un mobiletto
dei liquori, in un altro il grammofono; da un lato, un grande scaffale in noce custodiva
una ricca e preziosa collezione di dischi. La luce entrava da un’ampia finestra
che si apriva su un bel giardino.
Su
una poltroncina era seduto Dulaque, con in mano un
calice colmo di Porto Colheita, che assaporava di tanto
in tanto; era tranquillo e rilassato. Guardava dritto di fronte a sé Jenkins, seduto sull’altra poltrona, che teneva le braccia
conserte e uno sguardo di disapprovazione. Su uno dei divani, invece, stava Enya, non pareva turbata, ma neppure a proprio agio.
“Gahalad, non ti piacciono le danze ungheresi di Brahms?” domandò Dulaque, dopo
aver bevuto un sorso.
“Non
è Brahms che non apprezzo.” rispose l’uomo,
risentito.
“Bene,
perché questo disco è una rarità. Stiamo ascoltando direttamente il Maestro! È
uno dei primi dischi incisi, era il 1883 quando me ne fece dono, mi pare.
Ricordo quando Edison, nel 1878 mi regalò uno dei fonografi costruiti da lui.
Tu, Gahalad, hai avuto l’opportunità di conoscere
gente di questo calibro, mentre stavi chiuso in Biblioteca?”
“Non
ero prigioniero, come ora. Ho potuto fare molte cose.”
Dulaque trattenne uno
sbuffo di riso e lasciò che la musica fosse l’unico suono per qualche altro
minuto. Dopo un poco, chiese: “E tu, Enya, come mai
sei tanto contraria al ritorno della magia nel mondo? Sinceramente, non lo
capisco: la magia è insita nella tua vita.”
“Non
ho mai detto di essere contraria al ritorno della magia. Sarà stata anche a
lungo confinata e limitata, ma non è mai realmente scomparsa. Essa è
inscindibile dall’esistenza, non scomparirà mai; il mondo potrà scordarsi della
magia, ma la magia non si scorderà del mondo.”
“La
Biblioteca, però, invece di conservare la conoscenza, la privatizza, la
nasconde ed è disposta anche a distruggerla, perché non si sa. Tu sei davvero
dalla loro parte?”
“La
magia è una strada, non un mezzo. È giusto nasconderla a chi non è in grado di
comprenderla. Fin dall’antichità essa è stata trasmessa tramite i Misteri.”
“Sì
e poi è stata scacciata, condannata e perseguitata, perché gli uomini temono
sempre ciò che è superiore a loro, ciò che non capiscono, ciò che non sanno
controllare e quindi fanno di tutto per distruggerlo!”
“Sì,
effettivamente questo è vero. Ci sono anche degli uomini, però, come te, che
vogliono sfruttare la magia, per ottenere potere e questo …”
“È
vietato, forse?” chiese Dulaque, ironico “Non mi
sembra proprio.”
“No,
non lo è.” dovette ammettere Enya “A me, però, non
piacciono le sommosse, né le imposizioni e nemmeno le dittature.”
“Oh,
andiamo! C’eri anche tu, a Camelot, ti sembrava forse
una dittatura? Era un regno, un bel regno!”
Jenkins intervenne:
“Circondato da altri regni i cui re erano spesso e volentieri crudeli e
vessavano i loro popoli.”
“Io,
infatti, propongo di prendere a modello il regno di re Artù, quello che funzionava
bene, quello che aveva la miglior legislazione, quello che ancor oggi viene
ricordato come il miglior regno che ci sia mai stato su questo pianeta!
“Sì,
parlano un sacco bene anche di Atlantide!” replicò l’altro uomo “Solo perché
loro non c’erano e si affidano a quel che si è cristallizzato nelle leggende.”
Intervenne
Enya: “Inoltre quel che proponi è totalmente
anacronistico! Adesso c’è democrazia, ci sono le Repubbliche.”
“Ci
sono quarantasette stati, attualmente, nel mondo, che soggiacciono ad una
monarchia; poco meno di un quarto di quelli esistenti.”
“Sì,
ma quattordici di essi fanno parte del Commonwealth e per la maggiore hanno una
popolazione ridicola!” ribatté Jenkins.
“Oltre
mezzo miliardo di persone!” insisté Dulaque.
“Ossia
appena un quattordicesimo della popolazione mondiale.”
“Non
è poco.”
“Comunque,
di quei quarantasette stati, solo sei sono monarchie assolute, le altre sono
monarchie parlamentari o costituzionali, in alcune il re viene perfino eletto!”
“E
queste democrazie, queste tue care repubbliche, funzionano alla perfezione,
vero?” Dulaque insisteva “I loro parlamenti sono solo
pieni di corrotti, criminali, indagati, politici le cui campagne elettorali
sono state finanziate da lobby ed industrie che vogliono il proprio tornaconto
… Dimentico qualcosa? Ah, sì, il fatto che sempre meno gente va a votare,
l’astensionismo dilaga. Vedete? È la gente stessa che è disgustata dalla
politica, dalla democrazia, si sono stufati di dare voti a partiti chepasticciano, modificano tutto e poi non
cambia mai nulla. Le lamentele di ieri sono le stesse di oggi e domani non
saranno diverse. E quali sono i partiti di maggior successo? Quelli che si
ispirano maggiormente ai regimi totalitari, quelli che hanno un capo che decide
per tutti quanti, senza discussioni inutili. La gente vuole un capo, vuole
qualcuno che li guidi e li sollevi dall’obbligo di pensare e di decidere.”
“E
dalla responsabilità che permette di maturare.” puntualizzò Jenkins,
a denti stretti, con sguardo severo.
“Allora
lo ammetti anche tu.”
“Ci
sono periodi. Nella storia ci sono stati momenti in cui gli uomini hanno avuto
coscienza, consapevolezza e hanno rivendicato le proprie responsabilità, altri
momenti in cui sono stati quiescenti, addormentati. Adesso è uno di quei
periodi in cui i popoli si comportano come bambini, ma vanno educati per
diventare adulti e non essere trattati come schiavi.”
“Eppure
tutti dicono che quella dell’infanzia sia l’età migliore.”
“L’inconsapevolezza
sarà bella, ma è sbagliata.” insisté Jenkins.
“Platone
stesso sosteneva la necessità che il governo fosse affidato ai migliori e non
potesse essere in mano a tutti quanti; inoltre prese parte ad una cospirazione
per installare un tiranno-filosofo sul trono di Siracusa … peccato gli sia
andata male.”
“Scusate”
intervenne Enya “Credo che tutto questo sia un
problema indipendente dalla magia.”
“Sì
e no.” disse Dulaque “La magia può aiutare molto ad
illuminare i potenti e controllare il popolo. Inoltre, lo sapete bene anche
voi: Re Artù ritornerà, quando l’Inghilterra ne avrà bisogno.”
“Allora
aspettalo e smettila coi tuoi intrighi.” ribatté Jenkins.
“Aiutati che il ciel t’aiuta! È così che
funziona.”
La
musica cessò, Dulaque allora si alzò in piedi e disse:
“Bene, gli affari mi chiamano. Vi lascio. La casa ormai la conoscete, quindi
fate quel che vi pare; ci vediamo per cena.”
Dulaque uscì dalla
stanza. Jenkins ed Enya si
guardarono senza dirsi nulla, contemporaneamente, si scambiarono un cenno di
assenso, poi si alzarono e si diressero verso una scala a chiocciola, un tempo
usata dai domestici e, quindi, nascosta. La salirono fino in cima, trovandosi
in un solaio in disuso, polveroso e pieno di ragnatele, illuminato solo da un
abbaino. Avevano trovato quel posto il primo giorno passato nella villa e lo
avevano ritenuto il luogo più adatto per le loro operazioni segrete. Jenkins aveva trovato il modo di contattare la Biblioteca,
tramite uno specchio sarebbe collegato a quello grande, presente nella sala-archivio;
almeno questa era la speranza, poiché ancora non lo aveva provato e dunque non
poteva essere certo che funzionasse. I due prigionieri avevano deciso di
tentare di prendere i contatti.
Jenkins mise in moto il
suo sistema di comunicazione ed ebbe successo: presto nello specchio si
configurò l’immagine della sala-archivio della Biblioteca. Si vedeva anche la
figura di un uomo grande e grosso. Jenkins lo osservò
qualche istante e poi esclamò: “Antonio! Devo aver sbagliato qualcosa, c’è uno
sfasamento temporale.”
Antonio,
in Biblioteca, sentendosi chiamare, si erra voltato verso lo specchio e aveva
visto Jenkins, per cui si affrettò a dire: “No,
tranquillo, nessuna discronia! Mi hanno liberato!”
“Chi?”
“Jacob,
Cassandra, Ezekiel e il Colonnello.”
“Ah.”
Jenkins si stupì “Hanno avuto una gran fortuna. Come mai
hanno pensato a te?”
“Veramente
è stato Judson a dire a Charlene
di parlare loro di me; non so se lo sai, ma il Bibliotecario ufficiale è
disperso.”
“Sì,
mi è stato riferito; quindi ancora nessuna novità su Flynn?”
“Nessuna.
Tu, piuttosto? Mi era stato detto che eri prigioniero di Morgana, ma ti vedo
piuttosto in forma.”
“Dulaque ha fatto un’operazione di pseudosalvataggio,
mi ha tolto dalle grinfie di Morgana, ma mi costringe a non uscire da una delle
sue ville.”
“Non
puoi scappare? Non puoi costruire un’altra di quelle porte meravigliose che si
aprono ovunque vuoi? Io adoro quella porta, è una delle cose più belle che
abbia mai visto!”
“Sono
contento che l’apprezzi.”
“Anche
Chralene ne è entusiasta, poiché fa risparmiare alla
Biblioteca tutto il denaro per i viaggi.”
“Lo
so, lo so. Comunque, per il momento non posso rientrare; c’è un’altra persona,
prigioniera qui, che correrebbe grossi guai se io o lei fuggissimo, per cui
prima devo risolvere questa faccenda, poi vi raggiungeremo.”
In
quel momento, in Biblioteca, fece capolino nella stanza Cassandra, chiedendo: “Antonio,
ma con chi stai parlan …?” si accorse dell’immagine
di Jenkins nello specchio, strabuzzò gli occhi, poi
gridò: “Jenkins! Jenkins!
Ragazzi, venite! Jenkins ci sta … specchiofonando!”
Subito
il resto dello staff della Biblioteca arrivò e tutti furono felici di rivedere
l’uomo sano e salvo, lo salutarono e gli chiesero che cosa gli fosse accaduto e
dove si trovasse. Egli, pazientemente, riassunse i suoi spostamenti e specificò
il ruolo che aveva avuto Enya in quella faccenda.
Finito
di ascoltare, Ezekiel domandò: “Ma Dulaque è veramente tuo padre?”
“
… Chi ti ha detto una cosa simile?!”
“Lui.
Inoltre, da quello che hai detto, ti tratta piuttosto bene per essere un
prigioniero.”
“Beh
… sì, è così … ma non è argomento di cui mi piaccia parlare.”
Cassandra
osservò: “Ma non sembra molto più grande di te.”
Eve aggiunse, scherzando: “Forse si
inietta un litro di botulino ogni giorno.”
“Ehi,
quanto pensate ch’io sia vecchio?!” si offese Jenkins
“Comunque, vi ricordo che Dulaque usa la magia,
quindi non è un problema, per lui, dimostrare meno anni di quelli che ha. Ora,
se abbiamo finito con la pagina del gossip, possiamo parlare di questioni
serie? Com’è la situazione?”
Eve rispose: “Penso che il termine
tremenda sia il più appropriato.”
“Esagera.”
disse Antonio.
“Non
penso proprio.” ribatté la donna “Dal momento che abbiamo i Fomori
che commettono atti di pirateria, attaccando le navi anche con mostri marini; i
tizi del Regno del Ferro pare si siano alleati con quelli dell’EIRE e si sono
dati al terrorismo contro l’Inghilterra, ci sono stati scontri tra loro e l’esercito
regolare. In più, una serie di mostri di varie specie, hanno iniziato ad
apparire qua e là, creando un certo disagio e scompiglio. Altro? Ah, sì,
abbiamo dovuto salvare un paio di neonati rapiti dalle fate.”
“Ah.”
commentò Jenkins “Beh, effettivamente, non è poi così
grave il quadro generale.”
“Non
è così grave?!” si stupì ed irritò Eve.
Antonio
disse all’altro uomo: “Visto? Non si rendono conto che siamo fortunati che i
nostri nemici abbiano deciso di agire ognuno di testa propria, senza
coalizzarsi, senza avere un piano comune.”
“Non
è che questo fattore migliori le cose.” ribatté Eve,
stizzita.
“Non
le peggiora nemmeno.” le disse Jenkins “In questo
modo non dovete affrontare una guerra, ma semplicemente tante missioni in poco
tempo.”
“E
io che trovavo già stressante salvare il mondo due volte a settimana!” esclamò Ezekiel “Di questo passo sarà due al giorno.”
Antonio
intervenne: “Ci divideremo le missioni, lavoreremo singolarmente e non in
gruppo, così risparmiamo tempo.”
“E
aumentiamo le possibilità di morire.” commentò Cassandra, sottovoce.
“Piuttosto,
tu sai qualcosa delle intenzioni di Dulaque?” chiese
Stone.
“No.
È scaltro e certo non espone i suoi piani davanti a me. Tuttavia, oggi, ha
detto unacosa che mi ha fatto nascere
un sospetto e spero tanto di sbagliarmi, altrimenti la situazione diventerebbe
molto tragica.”
“Ossia?”
lo incalzarono i bibliotecari quasi all’unisono.
“Ha
fatto riferimento alla tradizione secondo cui Artù tornerà da Avalon, allorché l’Inghilterra ne avrà bisogno.”
“Ma
Artù è morto, ormai …” commentò Cassandra.
Jenkins scosse
negativamente la testa, poi aggiunse: “Inizio a pensare che Dulaque
non sia interessato a muovere guerra alla Biblioteca, come credevamo. Forse mira
a provocare caos, sfruttando i malumori delle varie creature, in modo tale da
provocare, forzare il ritorno di Artù, affinché risolva la situazione e,
probabilmente, ripristini l’antico ordine delle cose.”
“Aspetta.”
lo interruppe Eve “Stai dicendo che Dulaque aizza esseri sovrannaturali contro di noi e contro
il mondo, affinché re Artù possa tornare, sconfiggere le creature che Dulaque stesso ha istigato e quindi tornare come ai tempi
di Camelot? Contro chi o cosa diavolo sta facendo
guerra, esattamente?”
“Il
sistema.” risposero all’unisono Jenkins e Antonio.
“Quindi,
questa informazione come ci può aiutare?” chiese Stone.
“Non
vi aiuta.” rispose Antonio “È un ulteriore stimolo a sbrigarvi a sedare i vari
problemi, prima che venga re Artù a farlo.”
“È
un piano folle!” aggiunse Jenkins “Artù ha sempre
avuto bisogno dell’appoggio di Merlino per vincere le guerre e far funzionare
il regno. Con la scomparsa di Merlino, è iniziato il declino di Camelot.”
Cassandra
chiese: “Ma Merlino che fine ha fatto, esattamente? Da quello che mi è parso di
capire in questi giorni, nessuna fonte letteraria riporta il vero. Si sa
qualcosa al riguardo?”
Jenkins esitò qualche
istante, pensando a cosa dire, poi rispose: “È complicato. Altre domande?”
La
conversazione non continuò ancora a lungo, chiarite un altro paio di cose, si
salutarono e ognuno riprese le proprie faccende.
Jenkins coprì lo
specchio con un panno di lana bianca, poi commentò: “Pensavo peggio. Saranno molto
impegnati, ma dovrebbero riuscire a cavarsela senza troppi problemi. Non credo
che qui ci sia molto da fare per noi, non siamo riusciti a trovare
informazioni; forse dovremmo trovare la maniera per andarcene e aiutare gli
altri. Che ne pensi?”
Enya annuì e
rispose: “Concordo. Lancillotto probabilmente si aspettava che noi non ci
saremmo limitati a goderci il soggiorno, ma che avremmo cercato di rompergli le
uova nel paniere, quindi avrà preso tutte le precauzioni per evitare di
togliere ogni informazione interessante da questa villa. C’è da sperare che non
abbia nascosto altrove la statuetta col mio Ba, altrimenti rimaniamo bloccati. Possiamo
anche andarcene e quel che sarà, sarà; almeno tu potrai dar man forte in
Biblioteca.”
“Prima
di rassegnarci al peggio, facciamo un tentativo di uscirne entrambi incolumi. Inoltre,
Dulaque, possedendo il tuo Ba, non solo potrebbe
farti del male, ma anche controllare le tue azioni e questo potrebbe
danneggiare tutti quanti. Non ti preoccupare, conosco Dulaque
abbastanza per essere certo che tenga la statuetta presso di sé, per poterla
meglio sorvegliare. Dovremmo fare una perquisizione delle sue stanze.”
“Saranno
controllate.”
“Sì,
ma spero che la tua magia possa eludere la sicurezza.”
“Mancano
due ore, prima di cena; ispezioniamo adesso?”
“Buona
idea. Speriamo non ci sia lui dentro.”
Jenikins ed Enya lasciarono la soffitta e iniziarono a scendere la
scala chiocciola. Dopo qualche gradino, l’uomo domandò: “Tu hai detto che hai
passato molto tempo ad Avalon, giusto?”
“Sì,
perché?”
“Quindi
hai visto Artù?” lo chiese con un tono curioso e nostalgico “Di recente,
intendo.”
“Beh,
sì alcune volte l’ho visto, ma si mostra raramente. È misterioso perfino per Avalon, io l’ho potuto incontrare di tanto in tanto, solo
perché mio padre era Galvano.”
“Avalon è idilliaca come si dice? Io non ci sono mai stato,
ma mi incuriosisce parecchio.”
“Sì,
è un luogo completamente diverso da ciò che si trova sulla Terra, soprattutto come
mentalità, come atteggiamento verso la vita. Se sei curioso, perché non ci sei
mai stato?”
Jenkins rimase in
silenzio per qualche momento, come rattristato, alla fine sospirò e rispose: “Il
lavoro in Biblioteca non me lo ha permesso … Judson
pensa ch’io sia troppo affascinato dalla magia, per cui ha cercato di tenermi
sempre confinato, per così dire, alla teoria, tenendomi lontano il più
possibile dagli aspetti più concreti. Non sempre c’è riuscito, per fortuna, ma
mi ha limitato parecchio. È ridicolo! Ho quasi millecinquecento anni e Judson ancora pensa ch’io non sia in grado di affrontare
queste faccende col giusto equilibrio.”
“Non
ti ha mai dato fastidio questa situazione?”
“Sì,
parecchio; ma ho sopportato, perché stare nella Biblioteca è la cosa giusta. Inoltre,
lavorando da solo, nella mia sede, ho potuto fare molta esperienza, nonostante
i frustranti divieti di Judson.”
“Perché
non hai risposto alla domanda su Merlino?”
“Avrei
potuto rispondere, ma poi mi sarebbe stato difficile trovare una
giustificazione. Tra l’altro, col fatto che la magia è tornata a fluire, lui
potrebbe anche tornare.”
“Magari!
Sarebbe bello!”
“Avevi
fatto in tempo a conoscerlo?”
“Sì,
se n’è andato quando io avevo circa dieci anni.”
Erano
arrivati in fondo alla scala, per cui tacquero per stare ben attenti a quel che
accadeva, onde evitare che qualcuno si accorgesse che si stavano dirigendo alle
stanze di Dulaque. Per essere maggiormente sicuri, Enya decise di usare un incantesimo per nasconderli alla
vista di chiunque altro. Arrivarono agli
alloggi; la ragazza usò i propri poteri per assicurarsi che non ci fosse
nessuno dentro. Sicuri di avere la via libera, entrarono nella prima stanza e
cercarono la statuetta col Ba, stando ben attenti a non mettere in disordine
nulla, per evitare di essere scoperti. Frugarono dappertutto, nello studio, nel
salotto privato e perfino nella camera da letto, ma non trovarono quel che
cercavano.
“Anche
di là, nulla.” disse Enya, dopo aver guardato nella
cabina-armadio “Ormai non abbiamo più tempo. Tu hai trovato qualcosa?”
Jenkins richiuse il
quadernetto che aveva tra le mani e nella cui lettura era piuttosto assorto, lo
riappoggiò sulla scrivania e disse sconsolato: “No, nulla.”
“Cosa
guardavi?”
“Gli
appunti di Dulaque, peccato doverli lasciare qui.”
“Informazioni
utili?”
“Ti
racconterò, ora andiamo. Come hai detto, è tardi.”
Accertandosi
che tutto fosse come lo avevano trovato, i due uscirono dalle stanze di Dulaque. Jenkins propose di
separarsi e ritrovarsi a cena, perché a suo parere avrebbe fugato qualsiasi
sospetto; Enya non comprese bene, ma acconsentì.
I
fiocchi di neve cadevano fitti e costanti, vento gelido tagliava l’aria. Flynn camminava lentamente, con le gambe immerse fino al
ginocchio nella neve. Non aveva idea di dove andare, cercava solo un posto dove
ripararsi finché la bufera non fosse finita. Aveva provato ad usare la magia
per riscaldarsi o proteggersi, ma con scarsi risultati: il fuoco si spegneva
subito a causa della neve, appellandosi all’acqua non era abbastanza abile per
impedire che gli nevicasse in testa, ricorrendo all’aria, invece, era riuscito
a creare una piccola corrente d’aria sopra il suo capo per allontanare i
fiocchi, ma non era efficace al cento per cento.
Camminò
per oltre un’ora, poi scorse in lontananza il profilo di una torre, gli parve
di intravederne un’altra e anche dei merli, ipotizzò e sperò che ci fosse un
castello e, dunque, si affrettò a percorrere la strada in quella direzione, per
raggiungerlo.
Il
maniero non era vicino e Flynn dovette marciare per
almeno u’altra ora, prima di raggiungerlo. Giunto ai piedi delle mura, l’uomo
si rese conto di trovarsi davanti ad un piccolo borghetto
che aveva tutta l’aria di essere abbandonato, infatti non c’era alcuna luce
accesa. L’uomo decise di avventurarcisi comunque. Il borgo era circondato da un
fossato che, stranamente, non conteneva né acqua, né neve, bensì pareva un
baratro profondo. Per fortuna c’era un ponte levatoio abbassato, presso il
bastione con una Porta d’ingresso. Flynn fece il
primo passo e subito si accorse che il legno era al quanto marcio e ricoperto
di muffa e muschio che lo rendevano scivoloso ed instabile. L’uomo nono poteva
farci nulla e proseguì la sua attraversata. Nonostante ritenesse di avere un
buon equilibrio e di procedere con attenzione, si ritrovò con la faccia a terra
più di una volta, nel percorrere quei pochi metri. Una volta giunto sotto
l’arco della Porta, sentì il ponte alle proprie spalle crollare, privandolo,
dunque, di quella possibilità d’uscita.
Flynn passò oltre il
bastione e si trovò in un piccolo spiazzo che separava la cinta muraria dalle
abitazioni; per terra in quella piazzola, c’erano almeno un centinaio di
scheletri, con ancora indosso vecchi abiti sgualciti e rovinati. L’uomo fu
alquanto sorpreso, ma non si spaventò, inoltre notò con piacere che dentro al
borgo non nevicava. Camminando in mezzo alle ossa, raggiunse la strada che si
apriva dritta davanti al torrione, supponendola una delle vie principali del
borgo. Avvinandosi, notò che c’erano due persone appoggiate ad un angolo della
prima casa della strada; li chiamò, cercò di attirare la loro attenzione, ma
era come se essi non lo sentissero. Si avvicinò ai due che continuavano ad
ignorarlo e li sentì parlare.
“Io
bene.” diceva il primo.
“E
tu?” replicava l’altro.
“Io
bene.”
“E
tu?”
“Io
bene.”
“E
tu?”
Flynn si rese conto
che i due continuavano a ripetere sempre quelle due frasi, senza mai cambiare e
accompagnandole sempre dagli stessi gesti ed espressioni del viso. Dopo averli
osservati per un poco, l’uomo capì che si trattava di una sorta di loop temporale infinito e che quei due uomini erano
bloccati ad un momento preciso del tempo ed erano condannati a ripeterlo
all’infinito. A quel punto, sulla parete della casa, si compose una scritta che
diceva: Il Tempo è prerogativa divina.
Flynn non ne era sicuro,
ma ipotizzò si trattasse di un avvertimento circa cosa possa accadere a chi
cerca di manipolare il tempo irresponsabilmente e superficialmente.
L’uomo
decise di proseguire per la strada scelta e tenne gli occhi aperti, in cerca di
altre stranezze e per paura di imbattersi in qualche pericolo. Dopo nemmeno
cinquanta metri, sentì urlare, sghignazzare poco lontano; si guardò attorno ma
non c’era nessuno. Procedendo, capì che la confusione veniva dall’interno di
una casa e facilmente la individuò. Flynn ragionò
circa se fosse prudente o meno recarsi in quel luogo, alla fine decise di
andare, ritenendo anche che incontrare gente gli sarebbe stato utile. Si trovava
davanti all’uscio dell’abitazione, allungò una mano per aprire la porta, ma appena
la sfiorò, essa si sgretolò. L’uomo entrò, il pian terreno gli sembrava vuoto e
sentì che le voci provenivano dal piano superiore; dunque salì una rampa di
scale e si trovò su un pianerottolo, dove trovò una porta aperta che conduceva
in una stanza illuminata e piena di baccano. Flynn entrò
e si trovò davanti ad uno spettacolo inaspettato: un uomo era in piedi in un
angolo, completamente fermo se non per le mani che apriva e chiudeva di
continuo e, ogni tanto, urlava; ce ne era un altro che saltellava come una
rana, gracidando; un altro era totalmente assorto nel suonare un pianoforte, ma
quando un quarto gli si avvicinò per parlargli, il pianista si infuriò e iniziò
a gridare e colpire con furia chi lo aveva disturbato. Una donna ballava e
girava su sé stessa per tutta la stanza e il suo viso era spesso coperto dai
lunghi capelli neri che svolazzavano in qua e in là, secondo il suo ritmo. Un’altra
camminava avanti e indietro, ogni tanto si arrestava, gesticolava e pronunciava
parole strane e confuse; Flynn provò ad ascoltarla,
ma lei parlava troppo in fretta, ma l’uomo capì qualche parola e la associò a
delle formule magiche. In un altro angolo c’erano un uomo e una donna che
mangiavano quello che Flynn sperò fosse fango e non
altro. Un’altra donna passava dal riso al pianto al terrore in maniera ciclica.
Altri ancora parevano in preda ad allucinazioni e deliri.
Sembrava
di essere in un manicomio. Flynn voleva capire, forse
quelle persone erano state maledette, dunque voleva aiutarle. Provò ad
avvicinarsi a quello che gli sembrava più lucido, ma, appena gli appoggiò una
mano sulla spalla per richiamarne l’attenzione, ebbe una visione: in pochi
istanti la vita di quell’uomo gli scorse davanti agli occhi, l’infanzia, l’inizio
dei suoi studi, i suoi amori, la curiosità verso la magia, qualche approccio ad
essa fatto per gioco e, infine, la follia.
Flynn rimase sorpreso
qualche istante: cosa gli era successo? Decise di fare un altro tentativo e
toccò un altro dei presenti e vide anche la sua vita, il cui epilogo fu uguale
alla precedente: un avvicinarsi alla magia e poi la pazzia.
Flynn iniziò a
comprendere, ma fece qualche altro tentativo per averne la certezza, visto che
il risultato fu sempre il medesimo, poté concludere che quelli davanti cui si
trovava erano tutti uomini e donne impazziti a causa dell’uso incontrollato
della magia.
Dopo
che ebbe stabilito nella propria mente ciò, Flynn
vide apparire una scritta sul muro, essa spiegava: Il mago è colui che sottomette a sé il demonio, lo stregone è colui che
è sottomesso dal diavolo.
Flynn capì che non
aveva altro da fare per cui uscì dalla casa e continuò la sua strada che lo
condusse nella piazza principale del borgo, dove si ergeva un maniero. L’uomo
era deciso ad entrare, ma prima notò un pozzo, si sentì attratto da esso e si
avvicinò per osservarlo e, appena sporse il capo oltre il bordo, sentì gemiti e
lamenti: centinaia di migliaia di voci, tutte sofferenti, tutte vittime di
sortilegi lanciati da altri, oppure dalla regola del tre.
Tutte
quelle voci, tutto quel dolore suscitarono angoscia in Flynn
che d’improvviso si sentiva sopraffatto e impotente: tutte quelle persone
perdute per sempre.
Quando
riuscì a scuotersi un poco, l’uomo, ancora agitato, si allontanò dal pozzo e
pian, piano ritrovò la calma.
Flynn decise di
entrare nel castello e lasciar perdere il pozzo che tanto lo sconvolgeva. Si avvicinò
al voltone che fungeva da ingresso e lo trovò con la grata abbassata, ma la
vide sollevarsi, appena ne fu in prossimità. Varcò la soglia, la grata dietro
di lui si abbassò nuovamente e non ci fu modo di smuoverla nuovamente.
Flynn si guardò
attorno, trovò una porticina aperta e, dunque, la varcò per entrare
definitivamente nell’edificio. Ora che si trovava dentro il maniero, tuttavia,
non sapeva dove recarsi. Iniziò ad attraversare lunghi corridoi, salire e
scendere scale, senza mai riuscire ad arrivare da nessuna parte e tutti i
luoghi gli sembravano uguali tra di loro. Innervosito, decise di aprire ogni
porta che si sarebbe trovato davanti, sperando di trovare qualcosa, qualsiasi
cosa.
Aprì
un uscio e trovò un enorme ingranaggio che girava lentamente su sé stesso. Flynn decise di non entrare e chiuse; aprì un’altra porta e
gli parve di trovarsi davanti ad uno sconfinato giardino rigoglioso, colmo di
alberi fioriti e carichi di frutti, si udiva musica gioiosa, risate gentili.
Flynn fu tentato di
addentrarsi, ma ebbe un’esitazione, l’istinto gli suggeriva di non andare,
sentiva che se fosse entrato in quel giardino, non ne sarebbe più uscito, si
sarebbe perso e dimenticato di tutto. Perché credeva ciò? Era vero? Non lo
sapeva, ma decise di fidarsi del proprio intuito e lasciar perdere.
Procedette
ancora e il castello continuava ad apparirgli monotono e intrigato. Trovò finalmente
un’altra porta, aprì anche quella e non trovò una stanza, bensì una parete di
ghiaccio dentro cui era congelato un uomo.
Flynn trasalì e
rimase con gli occhi spalancati, totalmente sbalordito.
Aveva
riconosciuto immediatamente suo padre, nell’uomo prigioniero del ghiaccio.
Flynn … echeggiò una
voce nell’aria.
“Papà!”
esclamò l’uomo sorpreso e con una lacrima sugli occhi.
Che cosa ci fai
qua?
“Non
lo so … Non so nemmeno dove sono. Dove ci troviamo?”
Non ci sono
risposte a questa domanda.
“Sei
davvero tu, papà?”
Perché non
dovrei esserlo?
“Non
lo so, potresti essere uno spirito che mi inganna. Siamo nell’oltretomba?”
Per certi versi,
qualcuno direbbe di sì, qualcuno di no.
“Da
quanto sei qui?”
Io non ci sono.
“Cosa?
Non capisco …”
Io so che stiamo
parlando ora, siamo in un quando, non in un dove.
“Non
ha senso!”
Sì che ce l’ha! Dipende,
però, dal punto di vista, dalla concezione di chi la vive.
“Continuo
a non capire.”
Lo so. Ti sei
perso, vero?
“Già,
più che un castello, sembra un labirinto.”
Oh, non era
questo che intendevo. Sei in un castello? È naturale che tu ti sia smarrito lì,
dal momento che ti eri già perso, prima di partire, ma se non ti fossi perso,
non saresti mai partito.
“Non
ti ricordavo così criptico … ma, in effetti, lo sei sempre stato, anche se non
me ne rendevo conto. Le fiabe che mi raccontavi, erano una mappa orale.”
Hai scoperto
delle Miniere di Re Salomone? Molto bene!
“Sì,
ci sono stato anche e ho distrutto il suo grimorio.”
Perché l’hai
fatto?
“Era
troppo pericoloso: stava corrompendo anche me. Era un potere immenso, non so se
ci sia mai stato al mondo un uomo talmente puro da non poter essere sopraffatto
dal senso di onnipotenza che quel libro trasmetteva.”
Sei pentito di
averlo distrutto? Ora rimpiangi di non avere quel potere?
“No,
non me ne sono mai pentito, nemmeno per un istante.”
Flynn, ripensando a
quella faccenda, si rese conto di un’altra cosa: quando aveva affrontato quella
situazione, lui aveva compreso la filosofia della Biblioteca e l’aveva
approvata. Forse per i primi due anni, lui aveva obbedito alle direttive di Judson e non si era posto problemi di coscienza, ma quando
si era trovato col libro di Salomone in mano, nessuno gli aveva dato ordini,
nessuno gli aveva imposto cosa fare: lui aveva scelto, lui aveva deciso quale
posizione prendere nei confronti di una seria faccenda e aveva preferito quella
della Biblioteca. In quel momento aveva potuto scegliere di abbandonare la Biblioteca,
essere indipendente, ma aveva deciso che non era quello che voleva, aveva
deciso che la sua coscienza e il suo senso di giustizia, e non quello di altri,
gli avevano suggerito che la Biblioteca aveva ragione, che quello era il suo
posto e che lui voleva starci.
Se
all’inizio della sua carriera di Bibliotecario, Flynn
poteva essersi trovato in balia della situazione ed essere stato guidato da
altri, dopo l’avventura alle Miniere di Salomone non poteva più essere così:
lui aveva scelto, lui era diventato consapevole.
Dopo
aver fatto quella riflessione, Flynn si sentì meno
manipolato, ma ugualmente provava rabbia per il fatto che Judson
non fosse stato sincero con lui.
“Papà,
se tu non fossi stato ucciso … quando mi avresti detto dei nostri antenati, del
nostro compito di guardiani delle Miniere e di tutta quella faccenda?”
Non lo so. Quando
ti avrei ritenuto pronto di sopportare quella verità.
“Non
c’è un’età tradizionale in cui viene rivelata?”
No. Ogni uomo è
diverso e necessita dei suoi tempi; inoltre i padri vedono sempre piccoli i
propri figli, li vogliono proteggere, hanno paura che esse si smarriscano, se
non sono pronti, e di perderli. Non ho idea di quando ti avrei detto la verità,
né in quale modo.
“Tu
come lo hai saputo? Tuo padre quando ti ha raccontato delle Miniere di
Salomone?”
Me lo raccontò
in punto di morte. Come io con te, lui mi aveva raccontato le fiabe che
rivelavano la strada, ma soltanto mentre spirava, si decise a dirmi la verità. Io
non gli credetti, finché non incontrai un suo
fratello che mi ripeté le stesse identiche cose e, poiché io mi ostinavo a
ritenerle bugie, mi condusse proprio alle Miniere, per convincermi che esse
esistessero e che noi dovevamo proteggerle. A volte non riconosciamo la Verità,
quando ci viene detta e la riteniamo una menzogna, un insulto, e dobbiamo
constatarla coi nostri sensi per poterla accettare. Per questo, spesso, viene
nascosta.
“Stai
dicendo che non sempre si mente per ingannare?”
L’inganno c’è
sempre, ma non sempre è per danneggiare. Si dicono più bugie a chi vogliamo
bene, per proteggerlo e non farlo soffrire, piuttosto che a dei nemici o a
persone di cui non ci importa.
“Forse
hai ragione.”
Lo scoprirai da
solo, vivendo. Ora va, figliolo.
“Cosa?!
Di già? Ma io voglio stare ancora con te! Abbiamo tanto di cui parlare! Io …”
Flynn, già questo è tanto. Io sono morto e tu sei vivo. I
dialoghi con l’aldilà sono cosa rara. Non puoi fermarti, devi andare avanti e
io devo lasciarti.
“Di
nuovo? Così, in questo modo?!”
Non c’è un modo
giusto. Confida. Addio … … ti voglio bene Flynn.
“Ti
voglio bene papà.”
Flynn aveva le
lacrime agli occhi che fissavano la parte di ghiaccio, ora vuota. L’uomo rimase
fermo ancora qualche minuto, poi si asciugò il viso, chiuse la porta e riprese
il suo vagabondaggio per il castello. Ancora i corridoi e le scale erano
labirintiche, forse ancor più caotiche di prima; l’uomo iniziò a perdere ogni
cognizione logica di quell’architettura, più di una volta si ritrovò,
inspiegabilmente a testa in giù. Gli sembrava di trovarsi in un quadro di Escher.
Flynn era confuso e
stordito, era certo che le pareti e le strutture si modificassero attorno a
lui. Si rese conto che tutti i posti in cui andasse lo conducessero al medesimo
baratro, come se la struttura si snodasse attorno a quel vuoto.
Non
riuscendo ad uscirne ed arrivando sempre allo stesso punto, Flynn
ritenne che aveva una sola cosa da fare: gettarsi nel baratro.
Non
era certo che fosse la cosa giusta da fare, ma ormai era esasperato ed era
disposto a qualsiasi cosa, pur di uscire da quel labirinto, quindi si gettò.
Flynn si stupì nel
non sentirsi precipitare, come ormai si era abituato in quegli ultimi giorni. Appena
saltò, si ritrovò seduto ad una tavola apparecchiata, ma con la frutta marcita,
il cibo avariato e tutto ricoperto da polvere e ragnatele. L’uomo provò ad alzarsi
in piedi, ma non vi riuscì, una strana forza lo teneva ancorato allo scranno. Flynn, allora, osservò meglio la tavola e notò che era
rotonda e che c’erano altre sedie uguali alla sua, disposte lì attorno; la
stanza era illuminata da strani fuochi verdi. Riuscendo a muovere le mani, l’uomo
spolverò un poco la tavola davanti a sé e vide che sull’orlo era inciso una
parola: Loholt.
Lì per lì non riuscì a collegarlo a qualcosa o qualcuno di specifico, non con
certezza, almeno, aveva varie ipotesi.
Le
fiaccole di fuoco verde iniziarono a produrre parecchio fumo, da ognuna si levò
una nuvola grigia che andò a collocarsi ciascuna su una sedia diversa. I vari
fumi si disposero a comporre figure umane, dai tratti indefiniti, va differenti
tra di loro, con occhi e bocca verdi.
Flynn ipotizzò si
trattasse di spettri, ma non ne aveva mai visti o studiati di quel tipo;
comunque aveva l’impressione che, da quando era finito in quello strano luogo, le
sue conoscenze e la sua intelligenza servissero a ben poco e che dovesse farsi
guidare da altro, anche se non riusciva a capire esattamente da cosa.
Questa è una
delle Tre Tavole.
Annunciò
il coro di voci degli spettri.
Flynn ricordò la
tradizione secondo cui esistesse una triade di tavole, formate da quella dell’ultima
cena, quella di Giuseppe d’Arimatea e quella rotonda
di re Artù; tutte caratterizzate da un posto tenuto vuoto.
Qui i migliori
dei cavalieri sedevano e festeggiavano nei giorni sacri, nelle brevi pause tra
un’impresa e l’altra. Il sorprendente e il sovrannaturale non erano tali ai
nostri tempi, poiché erano nel mondo ed erano la normalità. Gli uomini ne
avevano paura e ne stavano lontani, poiché conoscevano le insidie ed i
pericoli. La magia era ovunque e, come per tutte le cose, era piegata sia al
bene, sia al male. I cavalieri della Tavola Rotonda affrontavano ogni sorta di
pericolo, ogni sorta di fenomeno, ogni sorta di sortilegio per difendere le
persone da ogni forma di male, applicato sia con le armi, sia con la magia.
Tutti gli esseri
non nascono buoni e più facilmente sono inclini al male, piuttosto che al bene.
Pochi erano i
difensori dei deboli e dei giusti. I vizi iniziarono ad insidiarsi anche
attorno a questa Tavola, i cui nemici erano già numerosi.
Il re e i suoi
cavalieri caddero. La guerra durò per cinquecento anni e alla fine si esiliò la
magia dal mondo, per quanto ciò fosse possibile.
Si cercò di
bloccare la magia non perché essa fosse un male, ma perché non c’erano più
difensori del mondo. Una volta eravamo centinaia di cavalieri a combattere i
malvagi e ancor di più erano coloro che desideravano imitarci. Poi ci fu la
caduta e i buoni divennero sempre meno, mentre l’egoismo e l’ingordigia si
diffuse negli animi. Non rimase che la Biblioteca a protezione del mondo e fu
costretta a limitare il flusso di magia nel mondo, per poter togliere risorse
ai malvagi, poiché non poteva fronteggiarli tutti quanti.
Il
coro tacque.
Flynn rimase
perplesso e chiese: “Perché mi raccontate ciò?”
Non
ebbe risposta, gli spettri persero i loro contorni, l’aria si riempì di fumo; l’uomo
si sentì soffocare e svenne.
Flynn riprese i
sensi, sentendo un vivace cinguettio. Aprì gli occhi, era sdraiato su un prato.
Si mise a sedere, si guardò attorno e gli sembrò che fosse primavera.
Dopo
la colazione, Enya era tornata nella propria stanza
per lavarsi i denti e sistemarsi i capelli, poi aveva girato un poco a vuoto
per i corridoi, cercando Jenkins, ma senza successo,
dunque era ritornata in camera e si era seduta sul letto per leggere un libro.
Trascorse
poco più di mezzora, poi qualcuno bussò alla sua porta.
“Avanti!”
disse, prendendo il segnalibro per chiudere il volume e deporlo sul comodino,
pur rimanendo seduta sul letto.
Jenkins entrò nella
stanza, indossava una camicia bianca, panciotto e pantaloni neri e papillon
rosso; era sorridente. Si sedette anche lui sul letto, vicino alla donna, e le
disse: “Ho una sorpresa per te! Chiudi gli occhi.”
Enya, piacevolmente
sorpresa, obbedì.
“Ora
puoi aprirli.”
La
donna guardò e vide, davanti al proprio naso, in equilibrio sul palmo
dell’uomo, la statuettina a cui aveva ancorato il
proprio Ba.
Sbalordì
e, contenta ed incredula, esclamò: “Non può essere! Ma come ci sei riuscito?
Dov’era?”
“Ho
avuto fortuna.”
Enya, felicissima,
gettò le braccia al collo di Jenkins, che a propria
volta la strinse; lei lo ringraziò almeno una dozzina di volte e lo riempì di
baci sulle guance.
L’uomo,
un poco imbarazzato, poi si scostò un poco e disse: “Piano, altrimenti saremo
scoperti, prima ancora di iniziare la nostra fuga.”
“Hai
ragione, scusami. È che, lo sai anche tu, sono appena tornata in possesso di me
stessa, praticamente; è un sollievo incredibile!”
“Lo
so. Dulaque, al momento, non è in villa, ci conviene
non perdere tempo e scappare subito.”
La
donna fu d’accordo. I due sgattaiolarono nel solaio dove, già da giorni,
avevano preparato un paio di zaini con dentro coperte, viveri a lunga
conservazione, bende e disinfettante e poco altro. Sapevano, infatti, che la
villa in cui si trovavano era immersa in ettari ed ettari di foresta e che
occorrevano circa un paio di giorni di cammino per attraversarla tutta e
giungere in prossimità di un qualche altro edificio, dotato di porte. Si erano
dunque attrezzati per quella breve escursione.
Enya ricorse alla
magia per celare se stessa e l’amico alla vista dei loro nemici; era un tipo di
incantesimo che richiedeva molta concentrazione ed energia, non avrebbe potuto
mantenerlo per tutto il tempo della loro fuga, ma si sarebbe impegnata al massimo,
almeno per le prime ore, in modo da far perdere le loro tracce a potenziali
inseguitori.
Protetti
da quella magia, i due si recarono prima in cucina a prendere alcuni viveri più
freschi e riempire d’acqua le borraccia; poi uscirono in giardino, raggiunsero
la cancellata, la scavalcarono e si inoltrarono nella foresta. Il Sole
illuminava bene i sentieri, nonostante filtrasse attraverso i rami piuttosto
fitti, tuttavia portava solamente luce, poiché data la stagione era un Sole
freddo e non scaldava l’aria. Non avevano una mappa con sé, ma faceva strada Jenkins, che aveva assicurato di potersi orientare
tranquillamente, senza bisogno di cartine; effettivamente procedeva dritto e
spedito, senza esitazioni. Camminarono per alcune ore, poi decisero di sostare
per mettere nello stomaco qualcosa.
Mentre
mangiucchiavano pane e formaggio, l’uomo chiese: “Se ci bagnassimo, tu potresti
asciugare i nostri abiti con la magia, senza ricorrere al fuoco?”
“Non
lo so, penso di sì; perché?”
“Potrebbero
cercarci con dei cani e, quindi, visto che qua vicino c’è un corso d’acqua,
potrebbe tornarci comodo camminare in acqua per un buon tratto: ci rallenterà,
è vero, ma almeno coprirà il nostro odore e farebbe perdere le nostre tracce.
Non potremo, però, asciugarci dopo e accendere fuochi è fuori discussione,
poiché il fumo o la luce di notte, ci farebbero facilmente individuare. Cosa ne
pensi?”
“Dal
momento che non c’è nessuno nei paraggi, posso revocare l’incantesimo che ci
cela e risparmiare le energie per asciugarci più tardi. Per queste faccende sei
più esperto tu, scegli tu la soluzione più sicura.”
“Sia
per il fiume, allora. Aspetta, percepisci la presenza di qualche creatura
sovrannaturale, nei dintorni? Non vorrei che qualcuno faccia la spia.”
“Non
avverto nulla di insolito.”
Quando
ebbero concluso il frugale pranzo, i due si rimisero in viaggio e raggiunsero
presto presso un torrente, largo una decina di metri, ma non molto profondo.
Entrambi entrarono nell’acqua fino all’altezza delle cosce, circa, e
camminarono così per almeno un’ora. Jenkins avanzava
per primo, ma era ben attento anche ad Enya e si
premurava di controllare che anche lei riuscisse a procedere bene, che la
corrente non le desse fastidio e che non scivolasse o inciampasse a causa dei
sassi che rendevano discontinuo e instabile il letto del torrente; per fortuna
non ci furono difficoltà.
Finalmente
uscirono dall’acqua. La ragazza si affrettò ad asciugare gli abiti, anche
perché l’aria fredda sarebbe stata ancor più difficile da sopportare, con i
vestiti bagnati.
Si
rimisero in cammino ancora una volta, sapendo di dover andare di buon passo,
per raggiungere il luogo che Jenkins aveva
individuato come l’ideale per fermarsi per la notte. Le giornate erano corte e
il Sole tramontava presto, dunque avevano ancora solo poche ore di luce per
raggiungere alcune enormi pietre, scavate all’interno secoli prima, per
ricavarne dei rifugi, utilizzati per molto tempo da pastori, pellegrini e
chiunque si trovasse ad errare per quelle parti.
Arrivarono
a destinazione per tempo, nonostante non poterono evitare di essere bagnati
dalle prime gocce della pioggia che stava iniziando a cadere e che sarebbe
continuata per tutta la notte. C’erano quattro massi scavati, loro scelsero di
entrare nel più piccolo, sperando nell’effetto stalla per combattere il freddo.
Lo ripulirono il minimo indispensabile per togliere escrementi e ossa di
animali, poi cenarono ed Enya tracciò dei sigilli
sull’ingresso, in modo che se qualcuno fosse passato da lì non avrebbe potuto
vederli. Infine, anche se non era tardi, prepararono i loro giacigli con le
coperte che avevano rubato dalla villa. Erano stanchi, avrebbero dormito
presto, tanto non avevano nulla da fare, così il giorno dopo si sarebbero
svegliati con le prime luci dell’alba e sarebbero ripartiti immediatamente.
Ciascuno
di loro stese una coperta a terra che servisse come materassino e usò lo zaino
come cuscino. C’erano, poi, altre tre coperte. Jenkins
ne diede due alla ragazza, per proteggerla dal freddo, e per sé ne tenne una
soltanto. Si sdraiarono, si avvolsero nei loro panni, parlarono un poco e poi
cercarono di dormire. C’era, però, molto freddo; di notte la temperatura
scendeva e la pioggia peggiorava la situazione. L’uomo sentiva i brividi del
freddo, tuttavia non diceva nulla e simulava di star bene, ma, nonostante i
suoi sforzi, Enya capì la situazione. La ragazza,
pure, sentiva il bisogno di maggior tepore.
Enya, senza dir
nulla, avvicinò il proprio giaciglio a quello di Jenkins,
mettendoli a contatto in modo da creare un unico giaciglio, della grandezza di
una piazza e mezza. Poi prese tutte e tre le coperte, le spiegò per bene, le
sovrappose e poi le stese su di sé e sull’amico; ora erano sdraiati l’uno
accanto all’altro, la ragazza si rannicchiò, il più strettamente possibile all’uomo.
Così
entrambi erano protetti da tre panni e, in più, i loro corpi, così vicini, si
scaldavano a vicenda.
“Grazie.”
disse Jenkins, sorpreso, ma contento.
“Di
nulla.” rispose lei, con un sorriso “Dormire al freddo è tremendo, non potevo
certo lasciarti com’eri. Buona notte.”
Chiusero
gli occhi e si addormentarono rapidamente.
Il
mattino seguente, il primo a svegliarsi fu Jenkins
che, tuttavia, non si alzò, ma rimase coricato, a guardare dolcemente la
ragazza, aspettando che si svegliasse. Contemplava il suo viso sereno, i suoi
capelli scompigliati dalla lunga camminata nel bosco e dal dormire. L’uomo pensò
che, in fondo, era felice delle disavventure che gli erano capitate
ultimamente, poiché gli avevano dato la possibilità di conoscere il lato più
dolce e gentile di quella ragazza. Le prime volte in cui l’aveva vista, aveva
conosciuto il suo aspetto più determinato ed agguerrito; dopo essere finito
prigioniero, aveva avuto l’opportunità di entrare in contatto con la parte più
premurosa e amabile della giovane.
Era
certo che quell’esperienza gli avesse donato qualcosa d’importante, anche se
non sapeva che cosa fosse.
Dopo
un quarto d’ora circa, Enya si destò, si accorse che
l’uomo la stava scrutando, gli sorrise e gli disse semplicemente: “Buongiorno!”
Jenkiks si sentì
improvvisamente in imbarazzo, come vergognandosi di essere rimasto a guardarla,
anziché alzarsi e farfugliò un mezzo saluto, mettendosi a sedere.
Enya se ne accorse e
ne fu divertita, tanto che non riuscì a trattenere un lieve riso.
“Che
hai?” chiese l’uomo, un poco risentito.
“Niente
…” si affrettò a dire lei “Sei stato buffo, tutto qua.”
“Buffo?!”
scherzò Jenkins “Io sono Gahalad
e tu dici che sono buffo? Se fossimo in altri tempi e ti sentissero!”
“O
tempora, o mores!” aggiunse lei, celiando ed entrambi
si misero a ridere.
Enya, poi, abbracciò
da dietro l’uomo e gli sussurrò: “Ti voglio bene.”
“Ah
… Beh, anch’io … … … Ci prepariamo per partire?”
Si
alzarono, mangiarono rapidamente, rimisero le coperte negli zaini e si rimisero
in cammino. Il terreno bagnato dalla pioggia, tuttavia, era fangoso e le loro
orme rimanevano impresse, dunque Enya ricorse ai
propri poteri per disperdere le loro tracce.
Nel
frattempo, in Biblioteca, non stavano certo oziando, ma tutti quanti stavano
facendo del proprio meglio per fronteggiare le varie emergenze che si
profilavano da ogni lato, in ogni angolo del pianeta. Eve
ed Ezekiel erano andati in Cambogia, per recuperare
un manoscritto risalente al Regno del Funan, contenente
una serie di rituali in grado di provocare cataclismi; esso era custodito nel
basamento di una statua sacra, molto venerata, custodita al centro del tempio
di Angkor Wat, dentro il quale era proibito entrare agli
Occidentali. Questa missione, dunque, richiedeva le abilità da ladro di Jones.
Antonio,
invece, era andato in solitaria in Grecia alla caccia di Erinni da tramutare in
Eumenidi, attraverso precisi rituali, illustrati in
un papiro in possesso della Biblioteca.
Infine,
Stone e Cassandra si erano imbarcati in una strana missione in Irlanda.
Le
leggende del ciclo di Ulstet, avevano spesso come
antagonista la tremenda regina Medb, donna guerriera
che cambiava marito a seconda del proprio desiderio. Si narrava che ella fosse
sepolta sotto un tumulo piramidale, eretto sulla sommità del colle Knocknarea. Per molti secoli i pagani la venerarono come
dea della guerra e i sovrani dovevano ottenere da lei la benedizione per
regnare: solo chi riceveva il suo idromele, guadagnava il diritto di governare.
Queste
credenze e questa religiosità, tuttavia, erano ormai estinti da moltissimo
tempo.
Il
Libro dei Ritagli, però, aveva segnalato strane attività che si stavano
verificando proprio nei pressi del Knocknarea.
Cassandra
e Stone erano partiti per capire che cosa stesse accadendo esattamente. Arrivati
in quei pressi, i due giovani iniziarono a chiedere informazioni in giro. Entrarono
in un pub, ordinarono un paio di birre e rimasero seduti al banco. Mentre gli
veniva consegnato il suo boccale, Jacob disse: “Ehi, amico, noi siamo turisti,
è la prima volta che veniamo in Europa. Finora ci stiamo trovando benissimo,
però mentre venivamo verso questa città, ci han detto di stare attenti, perché
ultimamente ci sono dei disordini da queste parti. Non ci hanno però detto
esattamente di che si tratti. Ci hanno preso in giro o è vero? Dobbiamo prendere
precauzioni?”
“Bah,
dipende dai punti di vista. Secondo me, voi Americani avete di peggio dalle
vostre parti, ma per noi la faccenda è un po’ irritante!”
“Di
che si tratta?”
“Di
che si tratta?!” il barista grugnì “Ecco, tra poco lo vedrai coi tuoi occhi. Segui
il mio consiglio: guarda e basta, non fare niente e non dire una parola, cerca
di essere invisibile.”
I
due bibliotecari si meravigliarono ma decisero di tacere e osservare.
Un
attimo dopo entrarono tre donne molto belle, vestite succintamente; nonostante
la stagione avevano una scollatura ampia che mostrava buona parte del seno e
minigonne o pantaloncini praticamente inguinali; lo stile di ciascuna era
diverso, ma tutte e tre avevano sull’avambraccio sinistro una sorta di marchio
o tatuaggio, non si capiva bene, a forma di ascia bipenne.
Dietro
di loro entrarono, con aria dimessa, cinque uomini a torso nudo e con jeans
strappati, sulla loro pelle potevano vedersi segni di graffi, bruciature e
forse alcune cinghiate.
Una
delle tre donne si voltò verso quegli uomini e con un misto di rabbia, disgusto
e disprezzo, disse: “Chi vi ha dato il permesso di entrare, scroti? Statevene fuori,
sguardo fisso a terra e non una parola. Noi ci facciamo un goccetto, non voi! Fuori!”
I
cinque abbassarono immediatamente gli occhi e uscirono senza fiatare.
Una
delle altre donne, intanto, si era appoggiata al bancone e aveva ordinato: “Tre
burbon lisci e alla svelta!”
Il
barista prese tre bicchieri, li mise davanti alle donne e li riempì, poi si
voltò per rimettere a posto la bottiglia e borbottò qualcosa.
“Come
hai detto, scroto?” chiese una delle tizie, con tono di sfida.
Il
barista, furioso, si voltò e tuonò: “Tu così, a me, non mi ci chiami, chiaro?! Sono
il proprietario di questo locale!”
“Che
sarà il prossimo a bruciare” replicò quella “Se questi” indicò i tre bicchieri “Non
saranno offerti dalla casa.”
La
terza, per sottolineare il concetto, spense la propria sigaretta sul bancone. Il
barista, incupito, si dileguò in cucina.
Le
tre donne finirono di bere, parlottando e sghignazzando tra di loro, poi
uscirono, recuperarono i loro uomini e si allontanarono.
Solo
allora il barista ricomparve dietro il bancone, si avvicinò a Stone e chiese: “Visto?”
“Sì.
Che diamine succede?”
“Delle
femministe esaltate che si credono amazzoni. Hanno praticamente fondato una
sorta di comunità abusiva vicino al tumulo Medb e ci
stanno facendo impazzire. Tra di loro c’è una sorta di matriarcato e trattano
gli uomini come schiavi. Questo non sarebbe un problema, se tutti fossero
consenzienti e se si limitassero a tenere la questione fra di loro. Invece non
si limitano a vivere così nella loro comune, ma girano per la città comportandosi
peggio di teppisti, hooligan, blackblock e qualsiasi
altra cosa violenta vi venga in mente. Con la scusa di vendicare i soprusi
subiti dalle donne, compiono rappresaglie assurde! Hanno aggredito diversi
uomini, di ogni età, lasciandoli agonizzanti a terra; tutti quanti hanno dovuto
essere ricoverati e due sono ancora in coma e non si sa se sopravvivranno. Hanno
distrutto e incendiato sia automobili che negozi. È un incubo, sembra di stare
nel far west!”
“Scusi,
ma lei che idea di America ha, se pensa che un simile clima ci sia famigliare?”
chiese Cassandra, perplessa.
“Bah,
voi avete la malavita e le guerriglie tra bande, no? Comunque non sappiamo cosa
fare!”
“Da
quanto va avanti questa situazione?” chiese Jacob.
“Una
settimana, più o meno. È incredibile quanti danni e quanta paura siano riuscite
a suscitare in così poco tempo.”
I
due bibliotecari si scambiarono un’occhiata: era esattamente da quando era
finito il Conclave.
“La
polizia non fa nulla?” chiese Cassandra.
“La
polizia? Hanno paura pure loro, ci vorrebbe l’esercito coi carri armati! Inoltre,
metà delle poliziotte sono passate dalla parte di queste femministe. Scusate,
ho degli altri clienti.”
“C’è
una cosa che non capisco.” commentò Stone “Le femministe, in generale, si
lamentano della strumentalizzazione del corpo della donna e così via, ma mi pare
che il femminismo abbia fatto accorciare più gonne del maschilismo.”
“Jacob,
non discutiamo di questo. Concentriamoci su quanto sta accadendo. Credo che
dietro a questi fatti ci sia qualcosa di più del femminismo e, sicuramente, è
connesso con quel tumulo. Il tatuaggio che avevano sul braccio, lo hai visto? Ti
dice nulla quel simbolo?”
“Nulla
di nuovo, temo. Era un’ascia bipenne e so che per alcuni è un simbolo
riconducibile alla femminilità e al culto della dea madre, così come la spada
dovrebbe avere valore simbolico di fallo. Dovremmo fare qualche domanda in più.”
Provarono
ad informarsi, ma non riuscirono a scoprir nulla di più di quel che già
sapevano; tutti raccontavano della violenza, della prepotenza e delle malefatte
di quelle donne, ma nessuno sapeva nulla di loro, fuorché che si ritrovassero
ogni sera nei pressi del tumolo di Medb a banchettare
e fare orge.
“Abbiamo
una sola possibilità.” concluse Stone, dopo l’ennesima risposta uguale.
“Quale?”
chiese Cassandra.
“Andare
là e studiare la faccenda coi nostri stessi occhi.”
“Cosa?!”
si scandalizzò la giovane “Non ho intenzione di andare in un posto simile.”
“Ma
di che ti lamenti? Sarò io ad essere maltrattato, tu dovrai fare la reginetta!”
“Non
ne sono capace!”
“Devi
solo ripensare a quando avevi il pomo della discordia tra le mani. Ripensa e
imita quell’atteggiamento e sarai perfetta.”
“Ma,
ma … va bene, ci proverò.”
“Ottimo,
ora dobbiamo rivedere il tuo look.”
“Pure?!”
“Non
saresti credibile, vestita così. Le hai viste com’erano quelle al bare, devi
avere un aspetto più aggressivo.”
“Non
mi sento a mio agio, se non ho almeno tre metri quadri di stoffa addosso.”
“Suvvia,
dobbiamo farlo per la Biblioteca! E per liberare questa città da questa follia,
pensa che il problema potrebbe espandersi in tutta l’Irlanda e anche oltre!”
“D’accordo!
Chi l’avrebbe detto che avrei dovuto spogliarmi per salvare il mondo!”
Passarono
il resto della giornata a trovare il giusto look per Cassandra e ad escogitare
la migliore maniera per entrare in contatto con la comunità presso il tumulo,
senza destare sospetti.
Alla
fine la ragazza indossava stivaletti scamosciati con tacco dodici, jeans col
bordo sfilacciato coprivano solo un paio di dita di cosce, una sorta di
corsetto rosso, una camicetta a scacchi cortissima e lasciata aperta. In testa
aveva un cappello da cowboy, i capelli raccolti a treccia, trucco molto
accentuato.
Cassandra
provava molta vergogna e disagio, mentre Stone non faceva altro che
incoraggiarla e dirle che era bellissima.
La
seconda fase della preparazione, prevedeva di procurarsi una corda, affittare
una motocicletta e sbarazzarsi della camicia di Jacob. Dopo di ché, l’uomo si lasciò
legare i polsi e fece fissare l’altro capo della corda alla moto, infine
Cassandra salì in sella e partì, a velocità assai moderata, alla volta del
tumulo. Avevano deciso di affrontare in quel modo tutto il tragitto e non solo
la parte finale, per essere certi che lo sfinimento di Stone non sembrasse
simulato e per evitare chequalcun altro
li vedesse sulla strada e li smascherasse durante la loro missione.
Non
sapevano cosa aspettarsi, non sapevano che cosa avrebbero scoperto, nono
sapevano che cosa avrebbero dovuto fare.
Jacob
si raccomandò più volte che, nel caso fosse stato necessario fargli del male
per mantenere la copertura, Cassandra non avrebbe dovuto esitare. La ragazza
non era sicura che avrebbe potuto riuscirci.
Finalmente
fecero il loro ingresso nella comune organizzata dalle femministe e videro che,
per il momento, si trattava principalmente di una specie di campeggio con molte
tende erette a due lati opposti di quello che era lo spiazzo centrale in cui si
trovavano anche due tavolate, una di fronte all’altra. In fondo c’era il tumulo
e, davanti ad esso c’era una statua di Medb alta poco
più di due metri: era incoronata, armata e dai suoi seni stillava un liquido
che colava nel bacile posto al basamento della statua.
Tra
il monumento e le due tavolate, ce ne era una terza, riservata per le leader di
quella setta.
Era
ora di cena, le donne erano accomodate e accanto ad ognuna c’era un uomo in
ginocchio, pronto a servirla in qualsiasi modo. Altri uomini, invece, erano
radunati lì vicino, con una corda attorno al collo, erano legati a dei pali;
erano costretti a stare a carponi e aspettavano gli avanzi da mangiare dentro a
ciotole.
Cassandra
arrivò con la moto proprio davanti al tavolo delle autorità. Si fermò, smontò
di sella, diede un tiro brusco alla corda per far cadere a terra Stone, poi
avanzò di qualche passo verso le cape della setta,
due donne di età compresa tra i trenta e i quaranta, e disse loro: “Io vi ringrazio
e ringrazio la gloriosa Medb. Vengo da oltreoceano e
non immaginavo che questa mia vacanza mi avrebbe fatto trovare la vera libertà,
il potere e l’indipendenza. Oggi ero in pub con questo stronzo del mio uomo che
mi ha sempre oppressa, ho visto tre di voi, ho visto come vi comportate, ho
visto che voi siete riuscite ad abbattere l’orgoglio infame degli uomini e che
state rivendicando il giusto potere e ruolo delle donne nella società! Ho capito
che non ero sola, che avevo delle sorelle in voi e, allora, ho deciso di agire.
Voglio vivere con e come voi! Vi prego, accettatemi come vostra sorella!”
Durante
il discorso, Cassandra era stata interrotta un paio di volte da applausi e
grida di approvazione, che poi scoppiarono quand’ebbe finito. Evidentemente e
per fortuna, non era la prima volta in cui una donna si presentasse alla
comunità in un modo simile.
“Certo,
sorella, che ti accoglieremo!” disse una delle leader, vestita di giallo ed ingioellata “Noi non escludiamo nessuno e siamo sempre
felici quando qualcuna si unisce a noi. Ma, dimmi, chi è l’uomo che ti sei
portata dietro? Solitamente, le sorelle giungono sole.”
“Questo
è l’uomo per cui, per oltre un anno, ho dovuto preparare cenette e le cui
infantili manie ho dovuto assecondare e sopportare. È giusto che ora sia lui a
servire me, finché non avremo pareggiato i conti … e probabilmente pretenderò
pure gli interessi!”
“Molto
bene.” intervenne la seconda che era vestita di viola “Il nostro rituale di
iniziazione prevede che tu prenda il tuo piacere da un uomo qui, davanti a
tutte le sorelle. Solitamente facciamo scegliere lo scroto tra quelli non
ancora assegnati, ma se tu vuoi il tuo, ti sarà concesso. Poi banchetterai con
noi e dopo cena berrai l’idromele che stilla dai seni della grande Medb e verrai segnata col suo marchio, come una delle sue
figlie e nostra sorella.”
Cassandra
rimase interdetta per qualche secondo: avrebbe dovuto fare sesso con Stone? E davanti
a tutti quanti per giunta? Impossibile!
Era
datantissimo tempo che non aveva un uomo
e si sentiva tremendamente in imbarazzo anche quando le capitava solo di
ascoltare una conversazione ad argomento sessualità.
Non
avrebbe mai potuto fare ciò che le veniva chiesto in quel momento, né con
Jacob, né tanto meno con qualcun altro!
Stone
si accorse che l’amica era in difficoltà. Per smuovere la situazione, prima che
l’esitazione diventasse sospetta, l’uomo iniziò ad insultarla e minacciarla,
per ottenere una reazione.
Cassandra,
allora, fu presa dal panico, sapendo che doveva per forza fare qualcosa. Per fortuna,
le entrò in circolo l’adrenalina e le diede l’impulso di agire.
Non
dirò altro di quel che accadde in quei minuti, se non che Cassandra non era del
tutto consapevole di quel che stava facendo e, alla fine, non ricordava quasi
nulla. Tuttavia, le spettatrici, erano rimaste molto entusiaste e l’applaudirono
a lungo.
Esaurita
l’adrenalina e tornata lucida, la ragazza fu di nuovo imbarazzata e gettò un’occhiata
rapida a Jacob e si consolò nel vederlo non troppo malconcio. Cassandra fu
invitata a prendere parte al banchetto, mentre l’uomo fu trascinato dove erano
legati gli altri.
Stone,
appena lasciato solo, si libero in un attimo dalle corde, prese il telefono e
chiamò Charlene e le fece il quadro della situazione.
“Avresti
dovuto chiamare prima di affittare la moto, non dopo, per sapere se la spesa
fosse autorizzata.” commentò Charlene, dopo aver
ascoltato tutto quanto.
“Non
intendevo parlare di questo.”
“Di
cosa, allora?”
“Ho
bisogno di qualche dritta.”
“Io
lavoro nell’amministrazione.”
“Vogliamo
risolvere questo problema?!” si spazientì Stone, sorpreso.
“Certo.
Per questo ci siete voi bibliotecari: voi risolvete i problemi, l’amministrazione
si occupa di fatture, contabilità, gestione del patrimonio, burocrazia etc.”
“Jenkins ci ha sempre dato degli aiuti!”
“Lui
non è nell’amministrazione, infatti.”
“Ascoltami,
per favore, ho davvero, davvero bisogno.” Jacob cercava di tenere la voce
bassa, per evitare di essere udito dalle femministe folli.
“Sentiamo.
Proverò ad aiutarti, ma non assicuro nulla.”
“Allora,
c’è un statua fontana di Medb da cui scaturisce
idromele. Non è un’opera d’arte nota, di certo è stata portata qui di recente. Tu
hai idea di cosa potrebbe trattarsi?”
“Purtroppo
sì. Se è quello che penso, Cassandra non deve assolutamente bere. Quell’idromele
è come una sorta di droga che altera gli stati mentali di chi beve.”
“Dev’essere assunta costantemente, quindi? Se distruggo la
statua, l’idromele smetterà di scorrere e le donne, una volta smaltito quello
che hanno già bevuto, torneranno normali?”
“Sì,
esattamente.”
“Ottimo.
Ma com’è che questa statua è rispuntata all’improvviso? Dove dovrebbe essere,
normalmente?”
“Fino
a circa millequattrocento anni fa, circa, era lì dove la vedi adesso, ma poi
era stata spostata in un altro mondo, per evitare che condottieri facessero
abbeverare lì i loro eserciti per esaltarli prima delle battaglie.”
“Come
ci è tornata, qua?” si interrogò Stone “Ma certo, le due cape,
devono essere state loro!”
“Due
donne, non più nel fiore degli anni, probabilmente verso il canto del cigno,
come età. Sono loro che hanno le redini di questa situazione. Una ho sentito
che si chiama Aoife, l’altra non l’ho sentito.
“Aoife?!” si stupì Charlene “Allora
l’altra è sicuramente Deirdre. Sono due fate, sorelle,
abbastanza ossessionate da un perverso matriarcato. Il ritorno della magia deve
avere loro permesso di liberarsi e venire sulla terra.”
“Sono
pericolose, fontana a parte?”
“Sì,
ma i loro poteri sono legati a due pietre che hanno sempre con sé, incastonate
in due anelli.”
“Quindi
se distruggo gli anelli, distruggo loro?”
“Le
pietre! Le pietre, non gli anelli! Comunque no, non le uccideresti, ma le
renderesti semplici umane. Ad ogni modo, c’è una strategia molto più semplice. Come
puoi ben capire, affrontare due fate, senza ausilio di magia, per prendere loro
degli anelli, è un po’ complesso. C’è una formula che le costringerà a
ritirarsi dentro alle loro pietre per tre giorni, questo darà a te il tempo di
riportarle in Biblioteca e ad Antonio quello per occuparsi definitivamente di
loro.”
“Perfetto.
Quale sarebbe la formula?”
“Non
la so a memoria! Cerco in archivio e te la invio per messaggio, così non ti sbaglierai.
Entro cinque minuti, l’avrai.”
Stone
chiuse la chiamata e decise di passare subito all’azione. Gli bastò scambiare
poche parole con gli uomini lì legati, per spingerli a reagire e a darsi alla
fuga, per lo meno; inviò un sms a Cassandra, dicendole di raggiungere la
statua, non appena si fosse creata un po’ di confusione.
Sciolse
le corde che li legavano e aspettò che quelli attirassero l’attenzione delle
donne, poi recuperò la moto, parcheggiata non distanza, e sfrecciò dietro le
tende per raggiungere la statua alle spalle. Quando vi arrivò, c’era già una
gran confusione nel banchetto e Cassandra era già lì.
“Che
succede?” chiese la ragazza.
“Distruggiamo
la statua, innanzitutto.”
“E
come?”
“A
questo non avevo pensato.”
“Fammi
fare due calcoli, dovrei trovare un sistema di leve per farla precipitare …”
“Quello
che vuoi. L’importante è mandarla in frantumi. Io devo andare a sbrigare un’altra
faccenda.”
Stone
controllò il telefono e gli era arrivato l’sms con la formula da pronunciare. Si
gettò nella mischia, cercò le due fate e usò l’incantesimo. Appena pronunciate
le parole, le due leader scomparvero. L’uomo fece appena in tempo a raccogliere
i due anelli, unica cosa rimasta di loro, prima che le altre ragazze si
infuriassero con loro e cercassero di fargli la pelle.
Per
fortuna, a trarlo fuori dall’impiccio, arrivò Cassandra sulla moto. Stone salì
al volo e assieme di allontanarono. Poche centinaia di metri dopo, sentirono un
grande boato alle loro spalle.
“Che
cos’è stato?!” chiese Jacob, sorpreso e spaventato.
“Mi
hai detto di ridurre in pezzi la statua ed è quello che ho fatto.”
“Come?”
“Un
po’ di benzina della moto e tanti calcoli. Ora mi spieghi cos’hai scoperto?”
L’uomo
raccontò tutto quanto. Contenti di aver messo fine a quella missione, i due
giovani tornarono alla Biblioteca.
La
prima cosa che fece Cassandra fu quella di vestirsi coi suoi abiti. Jacob la aspettò
e appena la vide a proprio agio le chiese: “Vogliamo un attimo parlare di quel
che è successo, senti il bisogno di parlarne oppure, visto che faceva parte della
copertura, è tutto a posto.”
Cassandra
divenne rossa come un peperone.
“Ti
senti molto in imbarazzo?” chiese Stone che non era tranquillo come avrebbe
voluto.
“Oh,
beh … a dire il vero non me ne sono neanche accorta.”
“Ehi,
questo non è affatto carino da dire.” si offese lui “Nessuna donna si è mai
lamentata di me! Non per questo aspetto, almeno …”
“No,
frena! Intendevo dire che non ricordo niente. Hai presente quei momenti in cui
èl’adrenalina che ti fa agire e tu,
dopo, hai il blackout totale? Ecco a me è successo questo.”
Stone
rimase un poco dubbioso, poi disse: “Bene, allora me ne dimenticherò anch’io. Così
potremo avere una prima volta più
romantica e spontanea.”
Cassandra,
se possibile, divenne ancor più rossa di prima e farfugliò: “Co … cioè … tu
pensi ci possa essere?”
“Perché
no?”
“Dici
che non ti fidi di me.”
“Quella
è storia vecchia, ormai.”
Stone
sorrise, con la mano diede un buffetto a Cassandra sulla spalla, poi si allontanò.
Un
campo fiorito, più bianco per le margherite che verde. C’erano anche macchie di
viole sia di campo che del pensiero, azzurri occhi di Maria, poi qua e là
campanule, gigli e rose canine. Gli alberi erano per lo più peschi con fiori
rosa e bianchi e tra i loro rami accoglievano i nidi di passerotti, pettirossi,
cardellini, verdoni, canarini, merli e tanti altri uccellini che svolazzavano e
cinguettavano, riempiendo l’aria.
Flynn si risvegliò in
quel bucolico paesaggio. Visto che, finalmente, si trovava in un ambiente non
ostile, almeno per quel che poteva vedere in quel momento, l’uomo decise di
fermarsi un attimo a riflettere: che cosa gli era successo?
Da
quando aveva seguito quegli tre strani gnomi, gli erano successe cose assai
strane: aveva scoperto le sue potenzialità con la magia, aveva affrontato un
mostro e sé stesso, aveva creduto di morire, era stato circondato da folli,
aveva visto suo padre, forse, e probabilmente era stato alla presenza degli
spettri dei cavalieri della Tavola Rotonda.
Che
cosa significava tutto ciò? Che collegamento c’era tra quel che gli era
capitato? C’era un collegamento? Beh, di certo, almeno, stava acquisendo delle
consapevolezze circa questioni che conosceva anche prima, ma che non sentiva
davvero interiormente, ora invece non si limitava a sapere, ma comprendeva.
C’era
una questione, tuttavia, che lo incuriosiva più delle altre: il posto in cui si
era ritrovato seduto presso la Tavola Rotonda. Ora che conosceva meglio il
contesto, poteva capire meglio a chi si riferisse il nome che vi aveva visto
scritto: Loholt.
Sì,
a ben pensarci era un personaggio del Ciclo Bretone, non dei più famosi, ma comunque
abbastanza importante; inoltre, non era un cavaliere qualsiasi, bensì il figlio
di re Artù.
Alcune
tradizioni sostenevano fosse un figlio legittimo, altre che fosse nato da una
relazione prematrimoniale con una dama di nome Lisanor.
Come
mai si era ritrovato seduto al suo posto? Era stato un caso, oppure significava
qualcosa?
Mah,
non lo avrebbe di certo scoperto rimanendo seduto lì. Già, di una sola cosa era
certo: doveva muoversi. In qualsiasi posto o situazione si stesse trovando, non
poteva rimanere fermo, doveva andare avanti.
Sempre
del tutto ignaro di quale fosse la direzione da prendere e sospettando che, in
realtà, da qualsiasi parte fosse andato si sarebbe ritrovato davanti alle
medesime cose, si avviò in attesa di qualcosa.
Dopo
un tratto di cammino, vide un muro in direzione est, almeno credeva che quello
fosse l’est, ma non poteva esserne certo: non aveva molti punti di riferimento
in quel luogo.
Il
muro non era molto alto, due metri e mezzo al massimo, era in mattoni, stuccato
e dipinto di rosso, con un decorativo tetto piuttosto spiovente con tegole
verdi. Nel complesso sembrava la recinzione di un cortile privato.
Flynn decise di
andare verso di esso e, quando gli fu davanti, lo costeggiò fino a trovare un
ingresso. Il portale era composto da due colonne rosse non massicce, quasi in
cima erano attraversate da un palo trasversale ed erano sormontate da un doppio
tetto a pagoda; tra le due colonne si trovava un portone in legno, più basso di
esse.
Il
Bibliotecario lo identificò come un portale giapponese. Rimase lì davanti in
attesa e, dopo pochi minuti, la porta si aprì lentamente da sola, senza che ci
fosse nessuno a muoverla. Flynn entrò e, come aveva
immaginato, si trovò immerso nella flora giapponese. La prima pianta, proprio
all’ingresso, era un Pinuspentaphylla,
curato in modo tale da avere i palchi regolari, solitamente tipici delle
coltivazioni bonsai. Un ramo di quelli più bassi era stato fatto crescere in
lunghezza e fatto passare sopra al sentiero segnato, in modo tale che chi vi
passasse fosse costretto a chinare la testa per non prendervi conto.
Flynn sapeva
benissimo che quell’albero era considerato una pianta maschile, nella
tradizione giapponese, che era frequentemente messo all’ingresso dei giardini e
che la sua altezza e il ramo oblungo servissero per ispirare al visitatore sia
slancio verso l’alto, sia umiltà.
Oltrepassò
la pianta e proseguì lungo il sentiero, segnato da pietre lisce e piatte
incastonate nel terreno, mentre attorno era circondato da bambù, ginepro, ginko biloba e altra vegetazione. Passò vicino ad una
panchina irraggiungibile e seminascosta da erba altissima. Arrivò vicino a
quello che poteva essere assimilabile ad un capanno degli attrezzi e si accorse
che, ben in vista, c’era una scopa; essa gli ricordava sia la premura che era
stata messa nel preparare quel luogo per accoglierlo, sia che egli doveva
ripulire la propria anima da ogni tipo di sporcizia.
Si
soffermò un poco in quella parte del giardino, riflettendo su quali fossero le
cose da cui avrebbe dovuto ripulirsi. Orgoglio, forse? Quali erano i suoi
difetti? Non gliene venivano in mente … non di quelli cattivi, almeno. Insomma,
non gli sembrava che non brillare nelle interazioni sociali fosse una colpa.
Altro non gli veniva in mente. Forse, allora, doveva considerare l’immodestia?
Mah!
Ripassò
i comandamenti e, a parte i primi tre, non riteneva di averne mai infranto
nessuno. Pensò, allora, ai sette vizia capitali. Beh, di certo lussuria, gola e
ira gli erano estranee. Anche l’avarizia era da escludere; lui era
semplicemente parsimonioso, perché di certo non navigava nell’oro e con Charlene che lo controllava non poteva certo essere
generoso. Cosa restava? L’accidia che di certo non lo riguardava. La vanità non
era nel suo stile e poi, a ben pensarci, non era nemmeno un vizio capitale a sé
stante, era compresa nella superbia. La superbia, comunque, gli sembrava
appartenergli, almeno in parte. Era molto orgoglioso del suo sapere e del suo
mestiere. Effettivamente si sentiva superiore alla maggior parte degli uomini e
non gli piaceva perdere tempo con la gente comune. A ben pensarci, se non aveva
mai avuto una gran vita sociale, era proprio perché non aveva mai voluto
abbassarsi ad occuparsi di cose di poco conto a parlare di sport o altro con i
suoi compagni di classe prima e con altri conoscenti poi. Perché, però, avrebbe
dovuto limitare le proprie potenzialità? Per avere degli amici? Non si sarebbe,
forse, sentito frustrato e imprigionato per tutta la sua vita, se sapendo di
poter fare molto non lo avesse fatto? Quando eraun ragazzino e un adolescente era adorato dai
suoi insegnanti, ma maltrattato dai suoi compagni. Chi aveva escluso chi? I
suoi compagni escludevano lui perché diverso oppure lui escludeva il resto del
mondo perché non lo sentiva alla sua altezza? Un po’ e un po’?
Aveva
senso, però, ripensare ancora a quei tempi? Non erano passati troppi anni,
ormai? Non era cambiato? Mah!
La
sua vita sociale non era certo migliorata, continuava a non avere amici fuori
dalla Biblioteca, ma era il mestiere stesso che glielo impediva. In compenso,
però, essere Bibliotecario lo aveva di gran lunga migliorato: gli aveva fatto
vincere paure e insicurezze, aveva guadagnato fiducia in sé, aveva imparato
nuove cose e ora riusciva a sentirsi a suo agio in qualsiasi situazione.
Sì,
sicuramente la Biblioteca lo aveva aiutato moltissimo, gli aveva permesso di
sbocciare, aveva fatto di tutto per il suo bene.
Allora,
perché non se ne era reso conto prima? Perché aveva lasciato che le parole di Dulaque lo ferissero così tanto? Perché non aveva pensato
al fatto che, se gli era stato nascosto qualcosa fino a quel momento, forse era
per il suo bene e non per ingannarlo?
Sentiva,
poi, di essere vittima di un altro difetto, in effetti, ossia l’invidia. Quanto
aveva desiderato l’indipendenza che altri avevano, la loro libertà, i loro
affetti … Ma erano poi davvero liberi come li credeva? Effettivamente, tutti quanti
avevano i loro limiti, le loro restrizioni, qualcosa a cui sottostare. Chi si
poteva dire di essere davvero libero?
A
quel punto Flynn iniziò a ricordare tutte le massime
di Seneca ed altri filosofi, circa cosa fosse lalibertà e come gli unici uomini liberi
fossero quelli che non provavano attaccamento verso nulla di questo mondo, né
beni materiali, né affetti, né il proprio corpo.
Già,
decisamente lui non sarebbe mai stato libero. Almeno non considerando quei
canoni.
Via,
si era fermato anche troppo lì, doveva procedere.
Continuò
a camminare lungo ilsentierino
e, dopo una curva, si imbatté in un uomo dall’età indefinita, alto, slanciato,
fisico asciutto, capelli e barba biondi, lunghi e mossi; occhi verdi screziati
di grigio, sguardo brillante e acuto, sorriso sicuro e rassicurante; indossava
una lunga tonaca bianca, maniche a losanghe bordate di blu, una scollatura a V
i cui lembi erano però tenuti uniti da un laccio di cuoio; al collo aveva una
catenina con una pietra dentro una gabbietta.
Flynn, oltre che per
il resto, si stupì del fatto di non saper riconoscere che pietra fosse.
“Benvenuto,
Flynn.” gli disse l’uomo, con sguardo sereno.
Lui
strabuzzò gli occhi e chiese: “Come sa il mio nome?”
“Sono
veramente poche le cose che non so. Mio padre mi ha dato la facoltà di
conoscere ogni cosa avvenuta, il buon Dio quella di avere un visione piuttosto
nitida del futuro.”
“Chi
sei?”
“Non
sai chi sei tu e vuoi conoscere me?”
“Che
cosa ci facciamo qua?”
“Tu
rifletti. Io preparo il tè.”
“Capisco
…”
“No.
Vado a preparare il tè, tu finisci pure con calma il giro del giardino.”
Detto
ciò, l’uomo svanì nel nulla, lasciando Flynn solo e
stupefatto. Riprese il cammino, il sentiero era ancora piuttosto ben segnato,
sebbene si fosse ristretto e ogni tanto mancasse qualche pietra. Si trovò
davanti un altro portale, molto più piccolo di quello iniziale, questo, però,
era immerso nel nulla, non aveva cancelli o muri ai propri lati e,
apparentemente, non era l’ingresso di nulla. L’uomo passò vicino a un piccolo
canaletto artificiale, il cui corso era morbido e con poche curve. Solo allora,
sentendo lo scorrere dell’acqua, Flynn si rese conto
dell’innaturale silenzio di quel luogo: da quando era entrato non aveva sentito
un solo cinguettio o fruscio, era rimasto tutto taciturno e solo quel rigagnolo
dimostrava che il giardino non era cristallizzato in un istante, ma che anche lì
tutto scorresse.
Flynn proseguì,
attorno a lui c’erano prugni e ciliegi in fiore: una meraviglia che beava l’anima!
Eppure,
presto, sarebbero appassiti. Tanto lavoro, tanto impegno, tanto tempo per far
sbocciare quei fiori incantevoli e poi tutto sarebbe svanito in breve e la
fatica sarebbe ricominciata da capo. Così la vita degli uomini: tanto lavoro,
tante tribolazioni per un risultato effimero, che stringiamo per pochi attimi e
poi svanisce. La vita come un eterno tapis roulant in cui si insegue sempre
qualcosa e ogni volta che pensiamo di averla afferrata, essa svanisce e si
sposta un po’ più in là.
Prima
vuoi camminare, poi vuoi la bicicletta, un attimo dopo il motorino, poi l’automobile,
poi quella di lusso … giocattoli, soldi, lavoro, promozione, pensione …
Tanti
obbiettivi da inseguire, senza mai essere felici. Tanta fatica per successi
fugaci.
Perché
affannarsi?
O
forse l’armonia, il profumo e lo splendore di quei fiori, seppure brevi,
bastavano a premiare e giustificare tante fatiche?
Ma
cos’è una rosa? Quella che una settimana fa chiamavi stelo spinoso e che tra
una settimana chiamerai immondizia. Tre nomi diversi, un’unica cosa.
Flynn non capiva se quelli
fossero pensieri suoi o se, in un qualche modo, gli fossero stati indotti da un
esterno. Procedette nel sentiero, sempre meno ben tenuto; di tanto in tanto,
lungo il cammino, aveva trovato delle pietre, alcune alte e verticali, altre un
po’ più basse, talune arcuate, oppure basse e piatte. Di quando in quando c’erano
anche azalee, curate in modo tale da assumere forme sferiche.
Flynn arrivò nei pressi
di un piccolissimo specchio d’acqua circolare, completamente circondato da piante,
salvo che per lo spazio di una persona, proprio rivolto verso il sentiero. Non lo
si poteva definire uno stagno, poiché l’acqua era limpidissima e pulita. L’uomo
si avvicinò, si chinò, immerse le mani nell’acqua, sentì il fresco, poi se n’è
spruzzò un poco in volto per ripulirsi.
Passò
oltre e arrivò, finalmente, ad una casetta in stile giapponese e vicino ad essa
cresceva un acero; il sentiero verso la casa era segnato da pochissime pietre,
scollegate tra di loro. L’uomo pensò di entrare, scostò il pannello che
chiudeva la porta e si accorse che l’entrata era in realtà un buco quadrato di
meno di cinquanta centimetri di lato. Flynn provò ad
entrare, ma non ci passava, allora si tolse la giacca, il panciotto e la
camicia e, allora, riuscì ad attraversare il pertugio.
Entrando
a carponi, dunque, aveva tenuto la testa bassa e il primo senso con cui esplorò
quella stanza fu l’udito: c’erano sommessi suoni quotidiani. Sollevò lo sguardo
e vide dapprima un foglio esposto su un cavalletto; sopra vi era disegnato un
uomo pelato con la testa a forma di pera, assorto in meditazione e circondato
da rane.
Flynn pensò che la
posizione delle rane assomigliasse a quella dei monaci quando meditano o forse
era più corretto dire che la posa dei monaci ricordava quella delle rane. Ad ogni
modo considerò quel disegno come un monito: non basta la pratica esteriore e la
ritualità, per arrivare alla sostanza.
Nella
sala, tuttavia, c’era altro tra cui un tavolo basso apparecchiato per la
cerimonia del tè giapponese. Seduto da un lato di esso vi era l’uomo biondo che
aveva accolto Flynn poco prima.
Il
Bibliotecario aveva molte domande da porre, ma non riuscì a formularle: era
come se si fosse scordato di poter parlare e si sentisse obbligato a rimanere
in silenzio; quindi si accomodò su un cuscino basso, di fronte al misterioso
ospite che gli fece cenno di bere. Flynn prese la
tazza e al tatto poté appurare che era un pezzo artigianale e poteva sentire
alcune deformità lasciate dalle dita di chi l’aveva fabbricata, tanto che dava
come l’impressione di stringere un’altra mano. L’uomo guardò dentro la tazza e
vide che era quasi vuota, conteneva una minima quantità di un liquido verde. Bevve
e le sue papille gustative subirono una sorta di terremoto di sapori. Un infuso
assai intenso gli bagnò la lingua, eccitandola con miscuglio di tè, tulsi, citronella, ginseng ed aloe vera.
Quella
tisana lo scombussolò parecchio e il suo ospite gli fece cenno di andare fuori
a riprendersi.
Flynn uscì con la
bocca ancora in stato confusionale. Respirò profondamente, si guardò attorno,
vide che il Sole aveva iniziato a tramontare e notò una piccola buca che prima
non aveva visto; a ben guardare si trattava di una ciotola di pietra interrata
e dentro vi erano stati posti fiori e foglie: erano tutti freschi, come
staccati apposta dai loro rami. L’uomo, allora, pensò al fatto che, camminando
nel giardino, non si era accorto della loro mancanza e si domandò, quindi,
circa quante cose gli fossero sfuggite. Quante cose accadevano attorno a lui e
non se ne accorgeva? Si era sempre vantato di essere un ottimo osservatore e,
certamente, lo era più di molti altri, tuttavia non era sempre presente al
mondo e a sé stesso e, più spesso di quanto non credesse, non notava ciò che
gli era attorno.
Udì
il suono di una campana e Flynn sentì che era il
momento di rientrare nella casa. Questa volta, il foglio sul cavalletto era
diverso e, invece di un disegno, recava una poesia:
Nulla da nessuna
parte è nascosto,
dai tempi dei
tempi tutto è chiaro come la luce del giorno,
il vecchio pino
stormisce la divina saggezza,
l’uccello
nascosto nel bosco canta l’eterna armonia.
Non c’è nessun
luogo dove cercare la mente;
una parola
determina il mondo intero,
una spada
pacifica la terra e il cielo;
se non lo
comprendi da solo, dove lo cercherai?
Flynn fu molto
colpito da quelle parole e le scolpì nella propria mente, con l’intento di
rifletterci lungamente su, quando ne avesse avuto il tempo. Si rimise seduto
davanti all’ospite e questa volta ricevette una tazza colma di tè dal sapore
decisamente più moderato. Bevvero entrambi e rimasero in silenzio, poi il
Bibliotecario uscì dalla casa. Si era fatta sera, il giardino era immerso nella
semi oscurità. Flynn iniziò a percorrere il sentiero
a ritroso e ad un tratto scorse una luce fioca sulla sinistra, poco più avanti
di lui. Si affrettò a raggiungerla e si accorse che, nascosta tra gli arbusti,
c’era una lanterna in pietra: un piedistallo sormontato da una miniatura di una
casa ad una stanza, col tetto spiovente; un lato era completamente aperto per
poter inserire le candele, oppure una vaschetta d’olio con lo stoppino; gli
altri lati avevano finestrelle per lasciar spandere la luce.
Flynn si sentiva
attratto da quella lanterna e sapeva che, nella tradizione giapponese, essa era
simbolo di un luogo interiore, un giardino dell’anima. Osservava la fiamma,
incantato, non poté fare a meno di appoggiare le mani sulla pietra e, dopo
alcuni lunghi istanti, si scosse, accorgendo si che le sue mani si stavano
fondendo con la pietra e che la lanterna lo stava inglobando.
Flynn, dapprima, fu
spaventato, poi si rese conto di non potersi opporre a ciò, capì che,
probabilmente, quello era un altro passaggio come quelli che lo avevano
trasportato da un luogo all’altro in quegli ultimi giorni (se erano passati dei
giorni!); decise, quindi, di non opporsi e aspettare di scoprire che cosa
sarebbe successo.
Flynn si sentì
inglobale lentamente nella roccia, diventare parte di essa. Non vedeva più
nulla ma era cosciente. Si sentiva la lanterna stessa. Avvertiva il calore
della fiamma che ardeva dentro di lui. Sentiva il caldo intenso e, d’improvviso,
non era più dentro di lui, ma fuori di lui. Aprì gli occhi (riacquistati quando?)
ed era di nuovo sé stesso, ma disteso sulla sabbia calda, in riva al mare, in
un giorno in cui il sole batteva a picco.
Si
guardò attorno ed ebbe l’impressione di essere già stato lì. Sì, ne era certo,
l’unica cosa che mancava dalla sua visita precedente era Judson
che faceva volare un aquilone.
Era
certo che quella spiaggia fosse la stessa che aveva visto quando era quasi
morto affogato nelle Miniere di Salomone.
Nota dell’Autrice!
Salve a tutti e grazie mille per
leggere e seguire la mia fanfic! ^__^
È bello vedere che c’è chi decide di
investire il suo tempo leggendo le mie parole.
Vi chiedo scusa per l’attesa di questo
capitolo, ma ho dovuto riflettere a lungo su cosa scrivere e come. Spero che vi
sia piaciuta questa fase di introspezione.
Grazie mille ancora a tutti voi e a
prestissimo!!! ^___^
Nella
stanza principale della Biblioteca, seduti attorno al tavolo, c’erano Eve, Stone, Cassandra ed Antonio, il quale stava
consultando il Libro dei ritagli. Infatti disse: “Abbiamo una nuova pagina. A
quanto pare, a Varna, in Bulgaria, c’è un surplus di cadaveri:
dissanguati, oppure privi di interiora come sbranati e abbiamo anche molti che
hanno deciso di fare il morto in acqua a faccia in giù.”
“Annegati?”
chiese Eve, perplessa “Non potresti avere un poco più
di rispetto per dei morti?”
“Forse,
è che ormai ci ho fatto il callo, non mi impressionano più i cadaveri. Tu sei
sicura di essere stata un colonnello?”
“Certo,
ma non per questo sono diventata insensibile alla morte, anzi!”
Antonio
rimase alquanto indifferente e chiese: “Allora, chi va a Varna?
C’è il mare là.”
Jacob
disse: “Ricapitolando ci sono morti di varie tipologie, ma comunque in un
qualche modo collegati tra di loro?”
“Sì
e, sottolineo, tre modalità e basta. Non è un caso difficile, potete
affrontarlo tranquillamente. C’è chi si offre o devo volontariare
qualcuno?”
“D’accordo,
vado io!” si fece avanti Stone “Varna è detta la
Perla del Mar Nero, quindi dev’essere un bel posto.
Cassandra, vieni con me? L’ultima volta abbiamo fatto un ottimo lavoro di
squadra.”
La
giovane si sentì in imbarazzo per alcuni lunghi istanti, poi farfugliò: “Sì …
va bene … se vuoi …”
“Perfetto!”
disse Antonio “Io, mi occuperò della faccenda dell’Etna. Colonnello, puoi
aspettare il ritorno di Ezekiel e scegliere qualcosa
da fare tra i ritagli.”
La
porta sul retro si illuminò come quando veniva aperta da qualcuno dall’altra
parte.
“Ecco
Jones!” si disse Eve, ma aveva torto.
L’uscio
si aprì ed entrarono Jenkins ed Enya.
Ci furono molto stupore e gioia nella stanza e i saluti e le spiegazioni
occuparono un buon quarto d’ora; la parte più complessa fu quella di spiegare
che la ragazza era dalla loro parte.
“Bene,
bene, sono contento!” tuonò allegro il vocione di Antonio “Allora potete darci
manforte. Come potrete appurare, gli ultimi giorni sono ricchi di impegni per la
Biblioteca, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Abbiamo un contrabbandiere di
oggetti incantati di poco conto, pirateria fomoriana,
effrazioni da compiere in Egitto …”
“L’Egitto
lo prendo io.” si prenotò Eve “Credo che rientri
nelle corde di Jones, quindi andremo là, appena torna.”
“Lo
segno.” Antonio scrisse un appunto accanto al ritaglio.
“Io
penso che passerò a trovare i Fomori.” si propose,
invece, Enya.
Eve, che ricordava bene di quando
assieme a Flynn aveva avuto a che fare con quella
razza, le domandò: “Pensi di sfruttare il tuo ascendente sul tuo fidanzato, per
convincerli a smettere?”
“Fidanzato?!”
si stupì Jenkins che non sapeva o non ricordava quel
dettaglio.
“No
e no.” rispose ad entrambi Enya che, poi, si rivolse
all’altra donna: “I Fomori sono guerrieri, vedono
l’unico motivo di gloria nella battaglia, più di quanto lo vedessero gli
Spartani; in confronto a loro, i vichinghi che cercavano di conquistare il
Valalla sembrano bambini che giocano con spade di legno. Non sono stati
pacifici, negli ultimi secoli, hanno sempre trovato il modo di coltivare faide
interne ai loro regni. Se hanno deciso di intraprendere una guerra contro gli
umani, la diplomazia avrà ben poca efficacia; solo un’onorevole sconfitta potrà
persuaderli a desistere. Il mio rapporto con Elatha
non servirà assolutamente a nulla, se non ad ottenere un’udienza, giusto pro
forma, prima di uno scontro all’ultimo sangue.”
Eve la guardò confusa e poi le
chiese: “Perché vuoi affrontare uno scontro all’ultimo sangue?”
“È
il solo modo per riportare i Fomori a più miti
consigli.”
“Come
pensi di uscirne viva?” ribatté il Colonnello.
“Evitando
di farmi ammazzare.”
“Logica
impeccabile.” ammise Antonio.
Eve insisté: “Vuoi realmente andare
da sola nella tana del leone? Senza nemmeno qualcuno che ti guarda le spalle?”
“Ha
ragione su questo.” si fermòa
riflettere Enya “Effettivamente, in due è più sicuro
… Jenkins, verresti con me, per favore?”
“Sì,
ma a una condizione.” acconsentì l’uomo.
Eve intervenne di nuovo: “No, fermi!
Evidentemente, il vostro buon senso dev’essere ancora
imprigionato da qualche parte. Voi siete due, loro sono molti, molti di più e
con anche mostri marini a disposizioni, stando alle testimonianze dei
superstiti ai loro attacchi.”
“Colonnello
Baird, non mi aspettavo tanta apprensione da parte
sua.” replicò Jenkins “Ad ogni modo, pondero sempre
le mie decisioni. Per quel che mi riguarda, prenderò le mie precauzioni,
portando con me il fodero di Excalibur.”
“Excalibur
aveva un fodero?” chiese Eve “Non è stata estratta da
una roccia?”
“Sì,
ma ad Artù fu donato un fodero in grado di proteggere da qualsiasi ferita chi
lo indossasse. Morgana glielo sottrasse, ma per fortuna la Biblioteca è
riuscita a tornarne in possesso già da tempo.” Jenkins
spiegò pazientemente.
Enya, allora, disse:
“Per parte mia, passerò un attimo a casa, prima di partire, a prendere la
cintura verde di mio padre, anche quella ha proprietà di preservare dalla
morte.”
Eve la interrogò: “Tuo padre è
ancora vivo?”
“No.”
Enya si rabbuiò.
“Com’è
morto? Di malattia?”
“È
stato ucciso da Dulaque, in leale combattimento.”
“La
cintura, allora, non gli è servita a molto.”
“Ho
parlato di un duello leale!” Enya si stizzì “Protezioni
magiche si usano durante le battaglie e le guerre, non nei duelli, tanto più se
giudiziari!”
Stone
si stupì: “Un duello giudiziario? Non è illegale da qualche secolo?”
“Non
credo che a Dulaque interessi.” gli rispose Cassandra.
Enya continuava: “Inoltre,
ci tengo a precisare che mio padre non è stato ucciso durante il duello, ma nei
giorni successivi a causa delle ferite che non ha potuto medicare
accuratamente.”
Rimasero
tutti quanti in silenzio per qualche momento.
“Bene,
se non c’è altro …” disse Jenkins.
“Giusto!”
esclamò Antonio “Bando alle ciance, dobbiamo tutti quanti muoverci, abbiamo la
giornata piena. Ognuno si equipaggi come meglio crede ed entro un’ora, tutti
fuori da qui.”
Eve scosse la testa, disapprovando e
continuando a ritenere un piano suicida quello di affrontare i Fomori.
Cassandra
e Stone si attrezzarono rapidamente e presero un libro sulla mitologia slava da
portare con loro e consultare durante le indagini.
Antonio
e Jenkins, alquanto entusiasti, andarono a frugare
tra gli artefatti della Biblioteca, parlottando allegramente tra di loro e
consigliandosi su quali manufatti utilizzare.
Jenkins prese il fodero
di Escalibur e se lo cinse al fianco, poi vi inguainò
la sua spada personale, quella che gli era stata donata da Judson
molti secoli prima, quando le sue avventure come Gahalad
dovevano ancora cominciare, quando per la prima volta era uscito dalla
Biblioteca o, come la chiamava all’epoca, Castello Periglioso.
Jenkins ed Antonio si
augurarono buona fortuna vicendevolmente e si salutarono amichevolmente,
evidentemente avevano lavorato fianco a fianco in passato, ma non potevano
certo dimostrarlo davanti agli altri bibliotecari.
Poco
dopo, Jenkins ed Enya
utilizzarono la porta sul retro per raggiungere l’abitazione della ragazza e
permetterle di armarsi.
“Bene,
è tutto in ordine. Non è passato nessuno, durante la mia assenza.” constatò la
giovane, dopo essersi guardata attorno.
Erano
entrati nel salotto dell’abitazione, Enya fece cenno
all’uomo di seguirla in un’altra stanza; andarono dunque nella camera della
ragazza che su una parete teneva esposte tutte le proprie armi: tutte lame,
oppure oggetti con proprietà magiche.
“Ah.”
commentò Jenkins, vedendo ciò “Devo aggiornarmi? Io ero
rimasto che i giovani tenessero i poster dei loro idoli appesi in camera.”
“Non
sono così giovane, lo sai. Comunque, se guardassi anche l’altra parete, troveresti
le riproduzioni dei miei quadri preferiti.”
L’uomo
si voltò a guardare e trovò molti dipinti più o meno famosi; osservandoli si
limitò a mormorare: “Viandante su un mare
di nebbia … ah …”
“Le
armi bianche le ho ereditate tutte da mio padre. Tranne la spada che ho trovato
nel mitreo, ovvio. Penso che mi prenderò dietro una
scure.”
“Non
è meglio una spada?”
“Forse,
ma ho voglia di qualcosa di più selvaggio, meno elegante e da usare a breve
distanza. Ho voglia di ritrovarmi coperta di sangue dalla testa ai piedi.”
“Quanta
violenza!” commentò Jenkins, a metà tra lo stupito e
il divertito.
“Mi
sembra passata un’eternità dall’ultimo combattimento, sento il bisogno di uno
scontro epico ed è l’unica cosa che si possa ottenere, mettendosi contro i Fomori.”
“Prendi
uno scudo, almeno?”
“Non
ne ho bisogno.”
“Un’arma
secondaria?”
“Ehi,
la scure è la mia arma secondaria; la principale è qui!” Enya
sollevò la mano sinistra, circondata da un alone di energia blu.
Jenkins sorrise,
ridacchiò sommessamente, annuì e disse: “Sì, con la magia è tutto più semplice;
ecco perché sei così sicura!”
“I
Fomori sono guerrieri non per professione, ma per
nascita, di certo non li avrei affrontati, senza ricorrere alla magia. Piuttosto,
la tua spada è a una mano e mezza, giusto? Vuoi anche uno scudo, da usare sia
per difesa che per offesa? Potrei prestarti quello di mio padre.”
Gli
occhi di Jenkins si illuminarono e disse: “Chi
sarebbe così sciocco da rifiutare l’onore di imbracciare lo scudo di monsignor
Galvano?”
Enya sorrise,
sentendosi un poco lusingata, non capiva come mai; rimosse lo scudo dalla
parete e lo porse con gentilezza all’uomo. Sullo scudo era rappresentata una
stella a cinque punte, come cinque angoli intrecciati tra di loro in un nodo
infinito; ogni punta indicava una delle virtù di Galvano, per l’esattezza:
liberalità, amicizia, cortesia, purezza e pietà.
“Avevi
detto che saresti sceso in battaglia ad una condizione, ma poi non hai chiesto
nulla.” osservò la ragazza “Vuoi dire qualcosa, adesso?”
Jenkins rifletté, rimase
indeciso qualche momento, poi rispose: “Sì. È una cosa da nulla, una curiosità,
spero che non sia un problema rispondere.”
“Domandare
è lecito, rispondere è cortesia.”
“Come
mai il Colonnello Baird credeva che il principe Elatha fosse il tuo fidanzato? Che rapporto c’è tra di voi?”
Enya si meravigliò
della domanda, ne fu un poco turbata ma di certo non infastidita; rispose: “Sono
la sua amica, inteso alla vecchia maniera. È un principe fomoriano,
suo padre non approverebbe mai una vera relazione tra me ed Elatha
e lui certamente non rinuncerebbe alla sua vita, alla sua posizione per me.”
“Come
mai dici che suo padre non approverebbe? Sei umana, sì, ma i tuoi antenati …,
tuo nonno soprattutto …”
“Non
ho raccontato tutto il mio albero genealogico ad Elatha;
non mi interessava. Ha i suoi pregi, il suo fascino, ma ha anche una miriade di
difetti e di mancanze che non potrei tollerare a lungo. Non interessava nemmeno
a me una vera relazione con lui. Sarebbe dovuta essere un’amicizia speciale, un
Chi vuol esser lieto sia, del doman non vi è certezza, finché la vita non ci avrebbe
fatto cambiare strada; a volte con l’idea che sarebbe potuta durare anche dopo
aver trovato, ciascuno, il suo vero amore. Certo non credo che nessuno dei due
avrebbe mai immaginato che sarebbe tutto finito a causa di un conflitto.”
“Non
credi che sia stata una scelta un po’ superficiale, la vostra?”
“Conoscendo
la tua storia, Gahalad, comprendo bene il tuo
disappunto, soprattutto se non sei cambiato in ciò nel corso di tutti questi
secoli. In fondo, però, io appartengo più al mondo fatato che a questo e le
nostre leggi, anche morali, sono differenti da quelle umane. Inoltre, non si è
certo trattato di un passare da un letto ad un altro con disinvoltura.” Enya era al quanto risentita e malamente cercava di nascondere
il fatto di essersi offesa “Si tratta semplicemente di una relazione nata,
sapendo già che sarebbe finita e non sarebbe potuta durare per sempre. Inoltre è
stata ben lunga, è cominciata quando ancora dovevo lasciare Avalon,
quindi puoi fare bene i tuoi conti.”
Jenkins aveva capito
che la ragazza si era corrucciata, per cui le disse: “Scusa.” dopo qualche
momento, chiese: “Sei sicura di voler affrontare i Fomori?
Intendo, emotivamente te la senti?”
“Sì,
certo.” rispose lei “Solo con Elatha potrebbero
esserci problemi, ma lui è bene tenerlo in vita.” accorgendosi dello sguardo
interrogativo dell’uomo, spiegò: “Il nostro obbiettivo è dare una prova di
forza che dissuada i Fomori dal continuare le loro
scorribande; l’uccisione di un principe esigerebbe una vendetta e questo
porterebbe a conseguenze che … beh peggiorerebbero decisamente la situazione.”
“Sì,
lo credo bene; sarebbe meglio evitare.”
Enya finì di
sistemarsi in silenzio; Jenkins si era seduto ad
aspettare, rifletteva su una questione, era piuttosto indeciso, infine disse: “Posso
chiederti un’altra cosa, sperando di non essere troppo audace?”
“Certamente,
dimmi.” rispose la ragazza, che era tornata serena.
“Vorrei
portare in battaglia i tuoi colori.”
Enya abbassò lo
sguardo, si voltò dell’altra parte e sorrise mestamente.
“Se
non ti disturba, ovviamente.” Jenkins aggiunse, non
sapendo come interpretare il silenzio.
“Disturbarmi?
Assolutamente no.” la ragazza andò vicino al comò, aprì un cassetto e tirò
fuori un pezzo di stoffa rossa e blu e la porse all’uomo, sorridendogli, e
osservò: “Non mi risulta tu abbia mai portato i colori di nessuna donna.”
Il
volto di Jenkins fu attraversato da un lieve
imbarazzo, fece una sorta di smorfia rapida; si concentrò a guardare la stoffa
e commentò: “È una manica, come quelle dei vecchi tempi.”
“Le
conservavo per ricordo, sai erano un regalo. Dove le legherai? Non hai né elmo,
né lancia.”
Jenkins si legò la
manica attorno al collo e commentò: “Comunque, è vero che è la prima volta che
indosso i colori di una damigella, ma è altresì vero che è un’usanza che è
andata perduta oltre mille anni fa. Andiamo? Dobbiamo tornare in Biblioteca e
capire dove aprire la porta sul retro per raggiungere i Fomori;
non so se abbiamo abbastanza informazioni per capire esattamente dove andare,
Antonio ha detto che ci sono stati avvistamenti e atti di pirateria in tutto il
Mediterraneo, dobbiamo capire come individuare il loro quartiere generale,
oppure aprire una porta su una nave e sperare di essere attaccati.”
“Io
ho un’idea migliore. Posso ricorrere alla divinazione per scoprire dove si
trovano.”
“Speriamo
ci siano porte da quelle parti, benché ne dubiti, visto che non rientrano nella
cultura fomoriana.”
“Possiamo
anche optare per un ingresso più plateale e ad effetto.”
“Cosa
intendi?”
“Magia,
ovviamente.”
I
due si scambiarono un’occhiata, sorridendo e annuendo.
I
Fomori avevano scelto la loro isoletta greca come
base delle loro scorrerie per tutto il Mediterraneo. I loro arrembaggi erano
cominciati da una decina di giorni, attaccavano navi militari, mercantili o
traghetti viaggiatori senza alcuna distinzione o preferenza: le prime servivano
ad intimidire i governi, le seconde a destabilizzare l’economia, i terzi a
creare panico trai i civili.
Depredavano
e massacravano, non risparmiavano nessuno, benché qualche manciata di fortunati
superstiti ci fosse stata. A volte agivano da veri e propri pirati, usando navi
per abbordare i loro bersagli; in altre occasioni, emergevano dal mare e si
arrampicavano sugli scafi e le chiglie, sorprendendo all’improvviso le loro
vittime; infine, in un paio di aggressioni, avevano scatenato mostri marini.
Oltre
ad uccidere per il puro gusto di farlo, i Fomori
approfittavano delle proprie scorribande anche per guadagnare, rubando tutto
ciò che fosse prezioso ed impossessandosi delle navi e dei relitti che riuscivano
a non colare a picco; li avrebbero smantellati per riutilizzare le materie
prime.
Questi
atti di pirateria e di guerra eccitavano parecchio gli animi dei Fomori in cui la violenza risvegliava istinti ferini; essi
godevano delle battaglie e del sangue e più combattevano, maggiore era la loro
esaltazione.
Quando
non assaltavano qualche nave, i Fomori scelti per
quei combattimenti stavano sull’isoletta greca a tenersi in esercizio e
festeggiare.
Elatha si stava
consultando con i suoi ufficiali per decidere quale sarebbe stato il loro
prossimo obbiettivo e secondo quali modalità avrebbero condotto l’assalto.
Tutti quanti erano seduti su seggi bassi e larghi, disposti in un grande
cerchio; ognuno di loro aveva almeno un valletto pronto a servire da bere
ottimi liquori.
Nel
vivo della loro discussione, il principe fomoriano e
i suoi ufficiali videro apparire un’altissima fiamma al centro del loro
cerchio; essa prese la forma di un bocciolo di fuoco che, fiorendo e perdendo i
petali uno per volta, rivelò contenere Enya e Jenkins.
C’erano
stati un certo stupore e paura vedendo la fiammata e la meraviglia fu molta
vedendo i due umani. Elatha scacciò subito il senso
di sorpresa e il disappunto e disse: “Benvenuta, Enya,
questa volta hai davvero superato te stessa; tuttavia, di solito, riservi
questi ingressi plateali per presentarti a me solo e non quando mi trovo in
compagnia. Che cosa succede?”
La
ragazza con tono alquanto spavaldo rispose: “Succede che tu e il tuo popolo
state facendo guerra agli umani, senza avere nemmeno la decenza di dichiararla
apertamente.”
“Gli
umani non credono alla nostra esistenza, una dichiarazione di guerra sarebbe
stata del tutto superflua. Ora, sono impegnato in una riunione di grande
importanza, quindi trova un posticino dove aspettarmi e, dopo, avrò tempo per
te. Adesso ho questioni della massima importanza.”
“Lascia
che ti spieghi meglio le circostanze della mia visita.” ribatté la donna “Io
sono qui, assieme ad un rappresentante della Biblioteca” con la mano indicò Jenkins “Per darvi un ultimatum: rinunciate immediatamente
a questa guerra, oppure nessuno di voi lascerà vivo quest’isola.”
Elatha si innervosì,
ma si limitò a dire glacialmente: “Non essere sciocca.”
“Non
sto scherzando. Avete massacrato uomini e donne in scontri che non hanno nulla
di onorevole. È già molto che vi sia concessa la possibilità di andarvene,
senza farvi pagare le conseguenze delle vostre atrocità.”
“Non
chiamarle atrocità.” ringhiò il principe “Sai benissimo che finora ci siamo
piuttosto limitati: abbiamo solamente ucciso.” ghignò.
“Quando
ho deciso di venire qui, ero certa che le mie parole non vi avrebbero convinto
a cessare il vostro brigantaggio, per cui non starò a ripetere queste
intimazioni o a supplicarvi di smettere. Noi siamo pronti a combattere.”
Elatha vedeva la
risolutezza negli occhi della donna e ne era parecchio dispiaciuto, quindi
anziché dare l’ordine di attaccare, come avrebbe fatto in altre circostanze,
ripeté: “Non essere sciocca.”
“Siamo
pronti a combattere sino alla morte: vostra o nostra ha poca importanza.”
“In
due contro una milizia fomoriana? Che vi dice il
cervello? Inoltre, dalla Biblioteca, potevi farti affiancare da qualcuno di più
giovane. Insomma, è evidente che o sono tremendamente disperati, o stupidi o
che non gliene importa niente di te, se ti mandano in battaglia accompagnata da
uno che uscirà di casa sì e no per dare le briciole ai piccioni o, nei giorni
migliori, andare alla bocciofila.”
Enya si abbandonò ad
una fragorosa e lunghissima risata che mise i brividi ai Fomori.
“Sei
folle!” l’accusò Elatha, destabilizzato.
“Lo
dicevano anche di mio nonno, quando rideva così; ma la verità è che lui
conosceva ciò che agli altri era ignoto; così anch’io, oggi, so qualcosa che
voi non sapete e rido della vostra ingenuità.”
“E
cosa sarebbe?!” il principe era piuttosto innervosito.
“L’uomo
che hai appena disprezzato è Sir Gahalad! Il
cavaliere perfetto, il cavaliere di Dio.”
Lo
stupore colmò i presenti e ci fu un certo brusio. Elatha,
pure, era rimasto perplesso, ma ciò nonostante rimase spavaldo, quando dopo
qualche attimo replicò: “Una volta era così. Mi risulta, però, che non combatta
più da diversi secoli: dubito che sia ancora abile come un tempo.”
“Lo
verificheremo immediatamente.”
“Sei
dunque decisa?”
“Totalmente.”
“Peccato.”
Enya ed Elatha si scrutarono per qualche momento, poi la ragazza
chiese: “Come cominciamo? Diamo un segnale d’attacco o cosa?”
Il
principe rispose: “Adesso suonerò la mia conchiglia per chiamare alla battaglia
tutti quelli che sono sull’isola, poi lascerò a voi il primo attacco, visto la
vostra netta inferiorità numerica.”
Elatha prese la
conchiglia spiraliforme, di madreperla lucidissima, quasi smaltata, la portò
alla bocca e la suonò come un corno da guerra.
Jenkins sfoderò la
spada e strinse lo scudo. Non aveva detto una parola, ma aveva ben osservato e
studiato gli ufficiali fomoriani, che già da qualche
minuto avevano messo mano alle armi. Non era nervoso o teso, si sentiva a
proprio agio, nonostante non affrontasse uno scontro come quello da molti
secoli. Nonostante si fosse rinchiuso nella succursale della Biblioteca e
avesse deciso per lungo tempo di rimanere neutrale, non aveva mai smesso di
tenersi in esercizio. In realtà, in quel preciso momento, era piuttosto curioso
di scoprire come se la sarebbe cavata in una mischia; voleva agire secondo
giustizia e non aveva paura di alcun avversario.
La
terra iniziò a tremare. I Fomori si sorpresero; un
attimo dopo, dei grossi tronchi spuntarono sotto i seggi, sollevandoli di
parecchi metri e facendo cadere a terra gli ufficiali seduti; alcuni caddero e
basta, altri riuscirono ad atterrare in piedi e scagliarsi subito all’attacco.
Jenkins si preparò a
respingere l’urto degli assalti e impugnò la spada in posizione di guardia di
finestra, ossia con la lama orizzontale all’altezza del suo volto. Appena ebbe
un Fomoro vicino, affondò la propria lama fino a metà
nel petto dell’avversario che cadde morto all’istante. L’uomo si affrettò a
parare un fendente dall’alto e contrattaccò con una larga spazzata con cui
colpì almeno tre Fomori; poi con lo scudo respinse
altri assalitori e li colpì col bordo, prima di usare la spada su di essi. Jenkins si muoveva tranquillamente e agilmente in mezzo a
quei guerrieri e li fronteggiava con grande ardimento, senza arretrare e senza
mai sbagliare: ogni volta che puntava la sua spada contro qualcuno, un attimo
dopo la immergeva nel suo sangue.
Enya, per parte sua,
teneva a distanza i nemici con turbinii di vento, fiamme, getti d’acqua e quant’altro
le piacesse, li faceva precipitare, scontrare tra di loro, li incendiava; si
scontrava direttamente con la scure solo con un avversario per volta. I suoi
occhi brillavano di ferocia, come invasata dalla potenza della sua magia e dal
sapore della battaglia.
Lo
scontro durò oltre un’ora; sarebbe durato molto più a lungo, ma la magia aveva
decisamente contribuito a ridimensionare il numero degli avversari e ad
accorciare i tempi. I cadaveri e le membra staccate giacevano sul suolo
ricoperto di sangue, interiora e pezzi di cervello. Nemmeno assumere le loro
mostruose forme ibride aveva aiutato i Fomori a
salvarsi: erano tutti morti, nessuno aveva avuto il coraggio di scappare;
rimaneva solamente Elatha, furioso per la sconfitta.
Il
principe notò che i due umani erano praticamente incolumi, allora ringhiò,
protestando: “Non è giusto! Voi avete usato qualche trucco, avete ingannato i
miei valorosi guerrieri; non stavamo giocando ad armi pari!”
“Ehi,
voi avevate dalla vostra ilnumero, noi
delle buone protezioni.” ribatté Enya, appellandosi
alle proprie ultime energie per sembrare ancora al meglio “Tu e i tuoi avreste
potuto immobilizzarci e strapparci i nostri talismani, ma non avete avuto l’astuzia
o l’opportunità di farlo, quindi non ci sono state scorrettezze di cui tu possa
lamentarti.”
Elatha scosse il capo,
riconobbe che ciò era vero, ma non lo disse apertamente; decise, invece, di
proporre: “Beh, visto come siamo rimasti, direi che per concludere la faccenda
nel migliore dei modi, sia un duello tra me e uno di voi, senza il talismano
che lo protegge e senza appellarsi alla magia. Un leale duello all’arma bianca,
senza sotterfugi.”
Enya fu turbata: non
credeva che lei o Jenkins fossero nelle condizioni di
affrontare una simile sfida; provò a dire: “Non ne vedo il bisogno: la nostra
vittoria mi pare già evidente. Elatha, non è
necessario che tu combatta fino alla morte, perché …”
“Bah!”
Elatha la interruppe “Prima mi dichiari guerra e poi
non sei in grado di affrontarmi in un duello diretto! Voi umani siete strani,
non riuscite a rimanere fermi in una delle vostre decisioni, scegliete una
strada ma poi il sentimentalismo mi impedisce di essere coerenti. Io voglio il
mio duello!”
“Lo
avrai!” intervenne Jenkins e iniziò a togliersi il
fodero di Escalibur dalla vita “Accetto io la tua
sfida.”
Enya fu sorpresa e
si preoccupò parecchio: l’uomo aveva combattuto per più di un’ora, avrebbe
avuto abbastanza energie per sostenere un simile duello?
La
giovane si avvicinò all’uomo, augurandogli buona fortuna, gli appoggiò una mano
sulla spalla e gli trasmise gran parte delle poche energie che le rimanevano.
Jenkins avanzò, scudo
saldo, spada sguainata. Elatha era nella sua forma
ibrida, con i due cobra che gli spuntavano dalle spalle; impugnava con vigore
una spada a due mani.
I
due contendenti si scagliarono l’uno contro l’altro e turbinarono colpi l’uno
contro l’altro come se fossero nel pieno del proprio vigore; le lame cozzavano
tra loro con tale forza che scaturivano scintille. Presto il sangue iniziò a
scorrere da ambo le parti, ma nessuno dei due si mostrava in difficoltà o meno
risoluto. Elatha usava una tecnica molto aggressiva,
infliggendo fendenti su fendenti, molto rapidi e senza sosta e quando la sua
lama si abbatteva da una parte, ecco che i serpenti tentavano di mordere dall’altra.
Jenkins, invece, stava parecchio sulla difensiva,
parava i colpi e contrattaccava solo quando si sentiva sicuro e vedeva il suo
avversario scoperto o in una posizione di scarso equilibrio.
Il
combattimento si protrasse per molti minuti in una situazione di stallo, senza
che nessuno dei due contendenti prevalesse sull’altro; ad un certo punto Jenkins mulinò rapidamente la propria spada e mozzò le
teste dei cobra. Elatha rimase sorpreso e si infuriò
tanto che si lanciò nuovamente all’attacco, con maggior impeto di prima,
costringendo l’altro ad indietreggiare. Quello slancio e quella rabbia, però, portarono
il principe ad abbassare le proprie difese e a lasciare scoperti molti punti
vitali. Jenkins notò questo abbassamento di guardia e
ne approfittò per sferrare un affondo al fianco destro di Elatha
che lanciò un urlo di dolore e barcollò. L’uomo allora, si affrettò a disarmarlo,
lo gettò a terra, spintonandolo con lo scudo, poi gli puntò la spada al collo e
gli intimò: “Arrendetevi! Siete un guerriero valoroso, siete un vanto per i Fomori e un onore per la vostra famiglia. Io sono Gahalad ed essere sconfitti da me non si può certo definire
una vergogna; anzi, essere graziati da me è senza dubbio un riconoscimento di
prodezza e valore. Accettate la sconfitta e potrete fare ritorno a casa vostra,
nell’oceano. Non ci sarà motivo di disonore in questo.”
Jenkins sapeva bene che
la sconfitta era una grande vergogna per i Fomori e
che essi avrebbero preferito morire, piuttosto che sopravvivere da perdenti. Chi
non seguiva la filosofia del o morte o
vittoria veniva emarginato dalla società fomoriana.
Essere risparmiato, sarebbe stata una grande umiliazione per un principe fomoriano e avrebbe messo in dubbio la sua legittimità.
Jenkins avrebbe dovuto
essere molto convincente per persuadere Elatha ad
andarsene vivo da lì.
“Uccidimi!”
gli disse infatti in principe “Se non lo farai, appena mi alzerò da qui, ti
attaccherò di nuovo. È un duello all’ultimo sangue.”
“Non
ho intenzione di dare a vostro padre un motivo di vendetta. Questo duello
sarebbe già finito e voi sareste morto, se io non avessi voluto diversamente. Mi
siete debitore. Voglio che andiate da vostro padre e gli riferiate quanto
accaduto qui, oggi. Voglio che gli riferiate un mio messaggio: Vivete in pace con gli umani, non saranno
tollerate altre violenze. Non importa quanti voi siate o che potenza supponiate
di avere, se continuerete questa guerra, sparirete dalla memoria.” Jenkins era stato particolarmente deciso, benché non fosse
avvezzo a questo genere di minacce “Odio le guerre, odio i civili morti, ho
visto spargere inutilmente troppo sangue. Preferisco la diplomazia, ma se voi
insistete con la violenza, non mi farò scrupoli a versare il vostro sangue, per
salvare quello degli uomini. Andate e riferite questo a vostro padre; dopo di
ciò, se ritenete di non poter sopportare l’umiliazione della sconfitta,
suicidatevi pure, oppure tornate a cercarmi per avere la rivincita, come
preferite; ma ora andate!”
Elatha guardò con odio
Jenkins, lanciò un’occhiata ad Enya,
poi tornò a guardare l’uomo e annuì, accettando l’accordo. Il Fomoro si alzò a fatica e si gettò in mare e presto
scomparve alla vista.
Enya si avvicinò a Jenkins per controllare come stesse e, vedendolo con alcune
ferite, sebbene non gravi, si affrettò a sanarle con la magia; poi vacillò e
sarebbe caduta a terra, se l’uomo non l’avesse sorretta in tempo.
“Esausta?”
le chiese lui, sorridendole.
“Alquanto.
La magia richiede molto vigore e oggi l’ho usata parecchio. Devo ricaricarmi.”
“Ora
puoi riposare, non mi pare ci siano pericoli, in ogni caso, sorveglierò io.”
“Grazie.”
Enya si mise
sdraiata a terra, rimase in silenzio qualche momento, poi osservò: “Sei stato
molto imperioso con Elatha, non mi aspettavo tanta
aggressività da te.”
“Ah.
Beh, so come devo parlare con chi mi trovo davanti. Loro non conoscono altre
maniere, purtroppo.”
“Lo
so. Sai qual è la cosa che più mi dispiace in questa faccenda?”
“Quale?”
“Aver
decisamente perso la possibilità di visitare una città fomoriana
subacquea. Non ne ho mai vista una e mi sarebbe piaciuto molto.”
“Nella
vita non si sa mai. Abbiamo molti secoli a disposizione, le situazioni
cambiano, in futuro potrebbe capitarti un’altra occasione.”
Ci
fu ancora silenzio, poi la ragazza chiese: “Quando mi sarò ripresa, facciamo il
bagno in mare? Siamo sporchi di sangue, dovremo pur lavarci.”
“L’acqua
salata non è l’ideale.”
“Vorrà
dire che, poi, userò la magia per ripulirci … ma ho propria voglia di fare una
nuotata.”
“Io
ho voglia di una tazza di tè.”
Enya rimase sdraiata
a lungo, traendo dal Sole, dalla Terra, dall’Aria e dall’Acqua lì vicina la
forza per ritemprarsi; con calma assorbiva l’energia esterna a lei.
Jenkins passeggiava lì
attorno, riflettendo sul combattimento appena venuto, pensando agli ultimi
giorni e ragionando su quel che stava accadendo in lui e nel mondo.
Nota d’autrice!
Salve a tutti e grazie per seguire
questa fanfic.
Ultimamente non ho molto tempoper scrivere, per cui ho deciso di pubblicare
capitoli un po’ più brevi ma a distanza di non troppi giorni l’uno dall’altro,
piuttosto che fare capitoli lunghi e postarli alle calende greche.
Nel prossimo capitolo, andremo in
Bulgaria con Stone e Cassandra e in quello successivo, finalmente, torneremo da
Flynn.
Un
porto elegante sul mare, dove le navi ormeggiate vivacizzavano il panorama,
mentre i grandi bastimenti commerciali erano tenuti lontano dalla vista dei
cittadini e dei turisti.
La
bella cattedrale della Dormizione di Maria, con le
sue cinque cupolette bombate color oro dominava la piazza principale e si
ergeva come richiamo per tutti i fedeli. Poco fuori dal centro, si trovava
l’erboso Memoriale della Battaglia di Varna, su cui
svettava una sorta di obelisco, edificata su un’antica tomba tracia.
Dell’antichità rimanevano terme romane, un monastero rupestre e una necropoli.
Non
mancavano, poi, l’osservatorio, il delfinario, un museo ricavato all’interno di
una nave e, infine, c’era il famose ponte Asparuhov,
alto ben 53 metri, dal quale molti praticavano il bungeejumping.
Era
in questa splendida città che si erano ritrovati Jacob e Cassandra per
indagare. Appena arrivati, si erano diretti in un bar per leggere i giornali
locali e ascoltare le conversazioni degli abitanti, alla ricerca di
informazioni ed indizi utili alla loro indagine. In realtà, di tutto ciò, si
occupava Stone, dal momento che era il solo a conoscere la lingua bulgara.
Cassandra annotava su un quadernetto tutte le informazioni più importanti e i
particolari curiosi o ricorrenti e tramite internet cercava di trovare qualche
collegamento.
“Ehi,
qui c’è scritto che una parte del Dracula
di Bram Stoker è ambientata a Varna.”
disse Cassandra, consultando un sito sulle curiosità della città “La presenza
di vampiri spiegherebbe i morti dissanguati.”
“Ma
non quelli sventrati.”
“Licantropi?”
ipotizzò la ragazza, né convinta, né ironica “Vampiri e licantropi.”
“Aggiungici
qualcun altro alla lista, perché abbiamo anche una miriade di annegati e gente
morta per lo sfinimento.”
“Sfinimento?”
“Sì.
Pare che siano stati ritrovati cadaveri di uomini morti per sfinimento. Alcuni
testimoni, non si sa quanto affidabili, sostengono di aver visto qualcuno di
questi signori ballare, prima di morire.”
“Ballare
fino alla morte?” si stupì Cassandra e rabbrividì “Per caso sono stati
ritrovati con ai piedi scarpette rosse?”
“Ne
dubito, comunque i giornali non ne parlano. Perché?”
“Non
conosci la storia della bambina che voleva le scarpette rosse? Mi ha
traumatizzata da piccola! C’era una bimba che voleva delle scarpette rosse per
imparare a danzare e le chiese ai suoi genitori che, però, gliele comprarono
nere. Lei, allora, si mise d’impegno a fare lavoretti per poter guadagnare il
denaro necessario per potersi comprare le sue scarpette rosse e ci riuscì, ma
appena le calzò, iniziò a ballare e ballare e ballare e non poteva smettere, né
togliersi le scarpe e continuò così finché non morì. Anderson ne ha scritta una
versione più complessa e maggiormente legata all’ambitocristiano … comunque mi terrorizzava quella
storia!”
“Interessante.
La fiaba potrebbe avere preso spunto da qualche altra leggenda più antica o
pagana, prova a cercare qualche studio sulle fonti di questo racconto, oppure
delle analisi, o qualcos’altro di questo genere.”
Cassandra
si mise subito a cercare sul tablet, digitando varie
parole chiave, passando da un sito all’altro e, dopo alcuni minuti, disse:
“Ecco, ho trovato qualcosa di interessante. Nella mitologia slava esistono
delle creature denominate vila, sono le anime di
giovani morte prima del matrimonio perché tradite o abbandonate, oppure perché
straziate dal dolore dalla prematura morte di un figlio. Possono assumere
sembianze umane, oppure di cigno, lupo o cavallo. Cercano i traditori e li
costringono a ballare convulsamente fino a provocarne la morte per sfinimento o
fino a farli cadere in acqua. Non è certo che si plachino e abbandonino questo
mondo dopo la prima morte che provocano. Cosa ne pensi? Fanno parte del
folklore locale e due tipologie di morti su quattro corrispondono.”
“Sì,
può essere una pista da seguire e approfondire. Rimangono però misteriose le
altre uccisioni. Riesci a controllare di quali altre creature parlino le
leggende locali e che caratteristiche abbiano?”
“Sì,
non c’è problema.”
“Ottimo,
grazie. Io, intanto, provo a fare due chiacchiere con la gente del bar,
sperando di poter ottenere l’indirizzo di alcuni dei defunti o, almeno, avere
informazioni sulla loro vita. Magari, salterà fuori qualche punto comune tra le
vittime o dei dettagli utili … userò il telefono come registratore, fingerò di
essere un giornalista di un qualche programma americano, forse li invoglierà a
parlare.”
“Credi
che si apriranno con un giornalista? Faresti meglio a dire di discendere dal
professor Van Helsing.”
“Userò
entrambe le bugie.”
I
due giovani si misero al lavoro: Jacob usò la sua socialità e il suo carisma
per conversare un po’ con il barista, un po’ con gli avventori, riuscendo a
raccogliere numerose particolarità non riportate dai giornali. Cassandra continuò
a leggere, esaminando con attenzione ogni possibilità.
Dopo
circa mezzora, Stone tornò al tavolo con un paio di boccali di birra e disse:
“Allora, finché rimaniamo qua: siamo sposati da un paio d’anni e abbiamo un
programma televisivo in una rete del Kentucky che si chiama Helsing, mistery’s hunter. Io ho fondato il
programma dieci anni fa; ci siamo conosciuti cinque anni fa quando tu sei
venuta in studio per uno stage. Questo è il background a grandi linee. Sembra
che agli abitanti piaccia e parlino ben volentieri; ad ogni modo ti racconterò
dopo; prima dimmi tu che cosa hai individuato.”
“Un
solo riscontro, ma alquanto convincente. Spero di riuscire a pronunciarlo: strzygon. Incarnazione di anime di morti per annegamento,
suicidi e bambini nati morti. Bevono sangue umano e/o divorano le interiora;
sottoforma di gufo, portano la morte nelle case su cui si posano.”
“Sì,
sembra perfetto. Qualcuno ha fatto riferimento a gufi avvistati sui tetti delle
case di alcune delle persone ritrovate dissanguate o sbranate. Inoltre, Stoyan, uno dei tizi con cui ho parlato, hagarantito che la morte del suo amico Branamir ha senza dubbio rattristato diverse donne, visto
che ne aveva parecchie … questo potrebbe ricollegarsi con la storia delle vila. Bisogna cercare di approfondire le circostanze in cui
sono avvenute le morti e le vite delle vittime. Ci procureremo una telecamera,
per essere credibili, e intervisteremo parenti, polizia, testimoni e magari
potremmo fare qualche ripresa notturna per cercare di notare qualcosa … va beh,
vedremo man, mano, intanto cominciamo! Ho una breve lista di persone da
sentire, partiamo!”
Dopo
aver acquistato una telecamera per essere credibili come giornalisti
televisivi, i due giovani si misero subito a cercare i parenti e amici di
alcune delle vittime e li interrogarono; poi riuscirono a parlare anche con
poliziotti e dare qualche sbirciata ai loro verbali. Più ascoltavano quelle
testimonianze, più si convincevano che realmente, dietro tutti quei morti, ci fossero
vila e strzygon. La sera,
dunque, si ritrovarono a discutere della faccenda, passeggiando lungo un viale
alberato; Jacob aveva preso per mano Cassandra, con la scusa di dover mantenere
la loro copertura.
“Io
mi sono convinto che abbiamo trovato la causa di tutte queste morti, ora è
necessario capire come fare a liberare Varna da
queste entità.” diceva l’uomo “Hai letto qualcosa in proposito a come si
scaccino queste creature o quali siano le loro vulnerabilità?”
“Pare
che l’unico modo per allontanare le vila è che si
plachino con la vendetta, mentre gli strzygon si
possono essere decapitati, bruciati o trafitti con un chiodo.”
“Ah,
tipo vampiri, proprio. Allora, come possiamo fare? Psicoterapia di gruppo per
le vila, in modo tale da placarle senza bisogno che
uccidano e poi caccia aperta agli strzygon? Potrebbe richiedere
molto tempo. Dobbiamo capire come fare per prenderli tutti in una volta, o
quasi.”
“Calmo,
sono certa che ci stia sfuggendo qualcosa, deve esserci altro. Ho una domanda
fissa nella testa da qualche ora: perché sono usciti fuori tutti adesso? Voglio
dire, fanno parte della tradizione, quindi c’erano anche in passato, ma agivano
in maniera decisamente più sporadica.”
“Beh,
è tornata la magia nel mondo, quindi è probabile che si siano rinvigoriti e
che, ora, agiscano molto più che nel passato.”
“Sì,
ma perché solamente queste due tipologie di creature e non altre? E perché
solamente qua a Varna e non nel resto della Bulgaria
o delle zone slave? Non ha senso! Avremmo dovuto avere morti in vari stati e,
invece, sono tutti concentrati qui!”
“Effettivamente
hai ragione, forse qui vicino c’è una sorta di santuario che funge da punto
focalizzante di questi esseri, oppure … oppure qualcuno li ha evocati! Che cos’hanno
in comune questi mostri?”
“Oltre
alla passione per gli omicidi? Fammi pensare … Ci sono! Sono trasmutazioni, per
così dire, di anime di defunti. Morti di dolore, suicidi, affogati o morti
prima di nascere, sono di costoro le anime che danno origine a vila e strzygon.”
I
due giovani si guardarono negli occhi e all’unisono esclamarono: “Un necromante!”
Si
sorrisero a vicenda, poi Stone chiese: “Come lo scoviamo un necromante?
Come lo affrontiamo? E, soprattutto, basterà per disperdere i mostri?”
“Non
ne ho la più pallida idea. Sinceramente, non so nulla sull’argomento.”
“Proviamo
a concentrarci sugli altri elementi che abbiamo. Ci hanno detto molte cose
strane, non trovi?”
“Troppe
e confusamente … poveretti, molti erano addolorati per il lutto.”
“Consideriamo
le cose più insolite e legate alla scena dei delitti e non ai morti in sé. Mi sono
preso qualche annotazione, c’erano un paio di cose che mi avevano suscitato
curiosità, vediamo ...” Stone prese un block notes che aveva con sé e iniziò a
sfogliarlo “Un elemento ricorrente è la presenza di pozzanghere anche dove non
avrebbero dovuto esserci e, in alcuni casi, mute di serpenti.”
“E
che cosa vorrebbe dire?”
“Non
lo so, forse sono ricollegati a qualche rituale … se capiamo quale sia,
potremmo capire anche come fermarlo.”
“Non
so se, scrivendo su google: necromanzia, serpente,
pozzanghera troveremo un rituale. Credo che dovremmo consultare i libri
della Biblioteca alla vecchia maniera! Ci fosse Jenkins,
sono sicura che ci darebbe la soluzione in un attimo.”
“Dovremo
arrangiarci da soli e sono sicuro che ce la faremo e in poco tempo.”
“Ne
sei convinto?”
“Ehi,
siamo bibliotecari, dopo tutto; no?”
Jacob
aveva un sorriso calmo e uno sguardo rassicurante che tranquillizzarono molto
Cassandra. L’uomo, poi, per incoraggiarla ulteriormente, le appoggiò una mano
sulla spalla; la ragazza distolse lo sguardo, sentendosi in imbarazzo. Stone avvertì
quel disagio, per cui ritrasse il braccio e tornò a parlare della missione: “Sui
giornali, stamattina, c’era un altro articolo che mi ha incuriosito, ma lì per
lì non l’ho approfondito, perché mi sembrava scollegato dai nostri casi. Parlava
di straniavvistamenti; diverse persone
si erano spaventate, vedendo un tizio massiccio, vestito con mantelli o
pastrani di lana come appena tosata, non filata, con una maschera sul viso con
corna e unasorta di becco. Pareva che
quest’essere cantasse. Le autorità pensano sia lo scherzo di qualche ragazzo. Forse,
invece, potrebbe essere connesso con la negromanzia.”
“In
che modo? Le descrizioni delle vila e dei strzygon sono molto diverse.”
“Mah,
non lo so. Torniamo in albergo e dormiamoci su, si dice che la notte porti
consiglio, speriamo sia così.”
Il
mattino seguente i due si rimisero al lavoro, questa volta chiedendo
informazioni circa i misteriosiavvistamenti. Vennero così a scoprire che era tradizione che gli uomini
si vestissero in quella maniera durante il Koleda e
che andassero in giro, cantando antichi inni popolari; tale festa cadeva tra
gennaio e febbraio e, dunque, non era certo quello il periodo.
Approfondirono
l’argomento e scoprirono che il Koleda era l’erede
del VeljaNoc, una festa
pagana connessa con Veles, dio dell’oltretomba e
della magia.
“Visto
che coincide tutto?!” esclamò Stone, entusiasta.
“Ci
conferma la negromanzia e ci dà una pista da seguire. Dove possiamo trovare,
però, delle informazioni sul culto di questa divinità? Ci saranno ancora dei
santuari da queste parti? È probabile che se ha dei seguaci che effettuano necromanzia lo facciano nei suoi templi.”
I
due giovani si recarono all’ufficio informazioni turistico e si fecero
consegnare tutto il materiale riguardante i siti archeologici e non legati al
paganesimo. Sfogliando i vari opuscoli, trovarono l’indicazione di un santuario
rupestre a una decina di chilometri dal centro della città. Si recarono sul
posto per ispezionarlo, ma si resero conto che il luogo era un’attrazione
turistica molto frequentata e, dunque, era altamente improbabile che qualcuno
avesse celebrato rituali clandestini in quel luogo. Sconsolati, si
incamminarono nel boschetto circostante, considerando di nuovo le ipotesi a
loro disposizione; fu allora che si trovarono davanti ad una strana scultura,
come una colonna scolpita. Era a forma di albero e, in cima, era appollaiato un
falco, mentre tra le radici c’era un grosso serpente; era in pietra e
tempestata di gemme. A osservare bene, però, ci si accorgeva che l’intero
tronco era in realtà un serpente e i rami erano le sue molteplici teste che, a
ben guardare, in un certo senso avvinghiavano e stringevano il falco, come a
tenerlo imprigionato. Le pietre preziose, che inizialmente sembravano frutti,
erano in realtà gli occhi dei rettili.
Stone
la riconobbe subito come una rivisitazione di una delle iconografie più comuni
di Veles; infatti solitamente il falco, che
rappresentava il dio Perun, era libero e l’albero era
un vero albero, mentre di serpenti ce n’era uno solo, in basso, che era appunto
Veles.
Jacob
spiegò: “Questo tipo di scultura, solitamente, rappresenta l’equilibrio tra il
cielo e la terra. La leggenda vuole che Veles rapisca
il figlio di Perun che combatte per riprenderlo,
senza però uccidere l’altro dio. C’è una forte questione di equilibrio. Veles lo spezza e Perun lo
ripristina, senza lasciare che l’ago della bilancia penda né verso di lui, né
verso l’altro. Qui il concetto è del tutto stravolto e c’è un’inedita
predominanza di Veles.”
“Quindi
potrebbe essere qua che avvengono i rituali?”
“Sì.
Diamo un’occhiata, forse troviamo qualche traccia.”
Ispezionarono
la scultura in alto e in basso e da tutti i lati e nel retro videro che c’era
un incavo in cui si trovavano alcuni cristalli di quarzo citrino di varie
grandezze, con le punte acuminate, disposti in modo da assomigliare a delle
fiamme. Controllando più da vicino e si accorsero che sotto all’incavo, parte
della scultura era in realtà un pannello posto a nascondere qualcosa che c’era
dietro; lo spostarono e trovarono una specie di circuito formato da magneti,
sbarre di rame, pile assai primitive ed altri elementi che Stone non riusciva
ad identificare. Cassandra, invece, dopo una rapida occhiata iniziò subito ad
elaborare i dati nella sua mente e presto ebbe tutto chiaro.
La
donna spiegò: “Si tratta di una sorta di antenna, ma non è solo questo. Richiama
energia dispersa nell’etere, la convoglia alla base e poi la proietta fuori in
maniera molto più concentrata di prima.”
“Come
l’elettrostatica? Accumula energia e poi dà la scossa?”
“Sì,
ma non è elettricità è … è qualcosa di non riconosciuto ancora
scientificamente.”
“Intendi
dire un’energia non ancora scoperta?”
“Scoperta
sì. Può essere assimilabile all’energia vitale di cui si parla nel reiki,
oppure la forza odica, oppure i chackra,
o addirittura una sorta di energia animica … Molte
pseudoscienze e tradizioni varie fanno riferimento ad un concetto simile, ma
ancora non è stato dimostrato scientificamente. Questo impianto, tuttavia,
canalizza questo tipo di energia: è questo che genera le vila
e i strzygon! Assorbe l’essenza di queste anime molto
diluite nell’etere e li ricompatta e poi li riproietta
fuori.”
“Possiamo
disabilitarlo?”
“Sì
… anche se è un vero peccato … è un sistema molto interessante … potremmo
portarlo in Biblioteca!”
“D’accordo;
però dobbiamo capire chi l’ha creato, altrimenti potrà replicarlo e continueranno
le morti.”
“Non
credo che sia stato costruito di recente. Polvere, ragnatele, il fatto che la
parte di colonna che abbiamo tolto fosse perfettamente mimetizzata, con tanto
di muschio attorno … mi fanno pensare che nessuno abbia toccato questa scultura
da moltissimi anni, probabilmente secoli.”
Stone
non era convinto: “È stato quindi solo il ritorno della magia a riattivarlo? E,
inoltre, il nostro uomo vestito di lana?”
“Hanno
contribuito entrambi al processo di condensare le anime dei morti. La magia ha
reso più forte l’energia e i canti dell’uomo vestito di lana hanno attivato l’impianto.”
“I
canti?” si stupì Jacob.
“Sì.
Le vibrazioni emesse dalla voce hanno messo in moto il meccanismo. Tutto è
vibrazione! L’aria ne è piena.”
“Quindi
basterà rimuoverlo e gli omicidi cesseranno?”
“Gradualmente,
finché non si saranno esauriti gli esseri già presenti.”
“Allora
potremmo portare l’arnese in Biblioteca e poi tornare qua a debellare i morti
superstiti e, magari, scoprire se l’uomo lanoso era consapevole di quel che
stava facendo oppure no.”
“Sono
assolutamente d’accordo. Allora, procediamo allo smantellamento?”
La
ragazza era entusiasta per la scoperta e molto vivace, pronta a mettersi al
lavoro.
“Cassandra
…” le disse dolcemente Stone “Complimenti! Sei stata eccezionale! Hai capito
tutto questo coso e … Bravissima!” le sorrise.
Lei,
un poco imbarazzata, ma sorridente, replicò: “Beh, se siamo arrivati fin qui,
gran parte del merito è tuo.”
Stone
avvicinò il proprio viso a quello di Cassandra che, colta alla sprovvista,
rimase immobile. Lui appoggiò le proprie labbra su quelle di lei e la baciò per
alcuni istanti. Poi rimasero a fissarsi per diversi momenti, non sapendo che
fare o che dirsi, finché la donna non si scosse e si mise ad armeggiare con lo
strano impianto energetico nella colonna.
Nota dall’Autrice:
Scusate tutti per l’attesa e grazie per
la pazienza!
Sono giorni molto impegnativi e in
questo capitolo proprio non riuscivo a saltarci fuori.
Flynn si era
risvegliato sulla bellissima e calda spiaggia bianca che già in passato aveva
visitato durante una visione; questa volta, però, non c’era Judson
a far volare un aquilone, non c’era nessuno.
L’uomo
si guardò attorno, chiedendosi che cosa avrebbe dovuto fare, tuttavia non
vedeva altro che sabbia e mare. Si sentì parecchio tentato di rimanere sdraiato
sulla spiaggia e non far nulla. Effettivamente, perché muoversi sempre? Quando
già si sa che cosa fare, è giusto non perdere tempo ed agire, ma quando la
situazione è tranquilla, perché complicarla? Perché agitarsi ed affannarsi di
continuo? Perché rincorrere anche il nulla?
Flynn aveva sempre
qualcosa da fare: combattere, studiare, recuperare artefatti, studiare ancora e
poi sempre così in una ruota continua di azioni. Non riposava mai, non aveva
mai un attimo per sé stesso. Beh, no, non era proprio così; del tempo libero
lui lo aveva, solo che lo investiva tutto in studio. In fondo, che altro
avrebbe potuto fare? Gli piaceva imparare e aveva così tanti argomenti nella
sua lista delle cose da apprendere, che ogni volta che ne aveva l’occasione ne
approfittava per spuntare qualcosa da quel lunghissimo elenco. Studiare, però,
era un prendersi cura di sé? Apparentemente sì, ma in vero non era forse un
estraniarsi dalla realtà e da sé?
Lo
studio, per quanto gli piacesse, non era un buon modo per rilassarsi e
riposarsi. Quali svaghi aveva? Non gliene venivano in mente. Era il
Bibliotecario a tempo pieno.
Cos’altro
poteva fare, però? Non ne aveva idea. Non aveva interessi oltre la Biblioteca:
per i primi trent’anni della sua vita aveva solo studiato; poi tutto era
cambiato: aveva imparato a combattere, aveva viaggiato, aveva applicato le sue
conoscenze, ma sempre e solo in nome della Biblioteca. Che cosa aveva mai fatto
per sé stesso?
Le
Miniere di Salomone? Quella era stata una missione che lo riguardava
personalmente, ma poi era diventato un compito della Biblioteca e, alla fine,
aveva rinunciato a ciò che desiderava di più al mondo.
Era
stato poi in vacanza a New Orleans … e il lavoro era venuto da lui da solo;
anzi era stata proprio la missione a chiamarlo, a convincerlo ad andare là.
Che
cosa aveva di suo? Nulla! Nemmeno l’amore: le due donne più importanti della
sua vita (esclusa sua madre, ovviamente) erano Guardiane, quindi coinvolte
anche loro nell’attività della Biblioteca!
Accidenti!
Non ci aveva mai pensato prima, eppure era così: tutta la sua vita, più o meno
coscientemente, era stata consacrata alla Biblioteca: lo studio forsennato e
disperatissimo prima e poi il suo lavoro … la sua vita. Aveva la Biblioteca e
basta.
Non
sapeva come sentirsi davanti a quella consapevolezza. Lui era davvero Il
Bibliotecario. Era il Bibliotecario e null’altro … e lui aveva abbandonato la
Biblioteca.
Beh,
non aveva avuto ragione? Gli avevano mentito, gli avevano nascosto la verità …
Ecco! Questo lo faceva arrabbiare ancor di più: lui era il Bibliotecario, ma
non sapeva che cosa significasse davvero.
Che
cosa doveva fare, allora? Forse, prima di decidere di cambiare vita, avrebbe
dovuto cercare di capire quella che aveva già.
Lui
era sempre stato convinto che il compito della Biblioteca era quello di
proteggere il mondo e gli uomini dalla magia. Poteva però esserne certo? Della
protezione sì, però … Era davvero quello lo scopo? C’era davvero da proteggersi
dalla magia? Lui ne faceva moderatamente uso e Judson
… beh, Judson decisamente praticava magia.
Gli
tornò in mente ciò che gli aveva mostrato Dulaque,
ciò che gli aveva detto.
Dunque
Judson aveva davvero duemila anni? E pur di
tenerglielo nascosto aveva inscenato la propria morte? Perché? Perché recargli
quel dolore pur di mantenere una bugia? Era assurdo! Benché Judson
gli fosse rimasto vicino in forma di spirito, lui aveva sofferto lo stesso.
Calma,
calma, doveva fare il punto della situazione nella maniera più razionale ed
oggettiva possibile.
Che
cosa sapeva con esattezza? Judson aveva fondato la
Biblioteca oltre duemila anni prima, con lo scopo di raccogliere e custodire oggetti
magici e scritti arcani. La prima sede era stata ad Alessandria, gli era stato
detto, però non era stata di certo quella storica, costruita in epoca
tolemaica. Probabilmente Judson aveva creato la sua
Biblioteca come una sezione segreta di quella famosa, da cui poteva attingere
testi e i più grandi ingegni. Inoltre la biblioteca d’Alessandria era
incorporata nel Museo, da questo forse era nata l’idea di raccogliere i
manufatti potenti.
Un
momento, queste riflessioni servivano davvero? Beh, sì, il contestualizzare
l’origine della Biblioteca poteva servire per comprenderla meglio. Comunque,
per farla breve, Judson aveva scelto di stare vicino
a quello che, anticamente, era il maggior centro culturale, che già custodiva
molti segreti, erede della tradizione egizia e connesso con le maggiori città e
civiltà dei suoi tempi.
Questa
scelta indicava la volontà di essere presente al mondo, attivo e consapevole,
nonostante lo stare nell’ombra; era conforme, anche, con la scelta della
biblioteca di New York come collegamento col mondo al giorno d’oggi.
Cos’altro
poteva considerare? Forse il fatto che l’antichità fosse piena di mostri e
oggetti magici che, grazie all’impegno dei Bibliotecari, erano diminuiti sempre
più o presi in custodia. Ciò provava che effettivamente il mondo era un posto
più sicuro da quando si era deciso di nascondere la magia.
Perché,
allora, in così tanti ne volevano il ritorno? Questo proprio non lo capiva.
Le
creature connesse alla magia avevano comunque i loro spazi … Non capiva.
Accidenti!
Judson aveva proprio ragione. Da dieci anni era un
Bibliotecario e ancora era minima la parte di magia e realtà che conosceva. Forse
davvero c’erano cose che non potevano essere apprese, ma scoperte gradualmente,
con l’esperienza diretta. Effettivamente, se ancora non gli avevano rivelato la
verità su Judson un motivo c’era e lui non era
realmente pronto per scoprirlo.
Flynn sospirò, non
sapeva che cosa fare; l’unica cosa che aveva chiara era quella di tornare nel
mondo, o nella sua dimensione o quel che accidenti era e poter rientrare in
Biblioteca. Poi avrebbe dovuto far fronte a una crisi (non sapeva che cosa
fosse successo, ma era certo che le cose non andassero affatto bene). A quel punto
come si sarebbe comportato? A chi avrebbe dato ragione? Chi avrebbe sostenuto? Come
avrebbe cercato di conciliare i contendenti? Mah! Questo ancora gli era ignoto;
non aveva idea di cosa fosse giusto e cosa sbagliato, né di come avrebbe fatto
a capirlo.
Decise
di non rimanere fermo sulla spiaggia, come aveva inizialmente pensato, ma di
mettersi in cammino come le altre volte.
Dopo
un’ora di cammino, Flynn scorse qualcosa in
lontananza: una macchia verde. Andò in quella direzione e, man mano che si
avvicinava, iniziò a distinguere un immenso parco e un edificio. Il palazzolo era in mattoni a vista, col tetto piano e gli
ricordava il tempio di Luxor; il giardino attorno, invece, non si vedeva poiché
circondato da siepi alte una ventina di metri che mettevano non poco in
soggezione l’uomo, che si sentiva minuscolo al loro confronto.
Flynn giunse davanti
all’ingresso, che non aveva porte e lasciava aperto il passaggio; entrò e
scoprì che l’edificio era fatto a chiostro, con un cortile interno
completamente vuoto, circondato da un porticato. L’uomo notò che alle pareti,
sotto il portico, c’erano numerose iscrizioni; provò a leggerle ma, appenavi posava gli occhi sopra, gli pareva che le
lettere iniziassero a sciogliersi, oppure a vorticare o aggrovigliarsi tra di
loro. Rinunciò e proseguì. Arrivato dall’altra parte del chiostro, trovò un
altro passaggio che si apriva sul giardino che, a quel punto, si rivelò essere
un labirinto. Flynn non si intimorì, anzi, molto
curioso si mise in cammino, desiderando arrivare al centro del labirinto. Si perse
o, per lo meno, impiegò tre giorni prima di raggiungere il centro. Tre giorni
passati da solo, su sentieri sempre uguali a sé stessi, nessun suono attorno,
nemmeno i suoi passi facevano rumore e quel silenzio lo aveva parecchio
inquietato. Era certo che avrebbe dovuto apprendere qualcosa da tutto ciò, ma
gli sembrava di non aver imparato nulla.
Arrivò
infine al centro del labirinto: era molto simile al chiostro iniziale, col
porticato con colonne, tuttavia, dal lato opposto a quello da cui era entrato,
si trovava un edificio cubico, sormontato da una piramide; due scalinate, una
di fronte all’altra, entrambe di sette gradini, conducevano all’ingresso unico
della piramide.
Flynn salì
immediatamente ed entrò: si stupì immediatamente nel trovarsi in una stanza
circolare, molto più vasta sia del cubo che della piramide.
Vide
quadri, sculture, oggetti quotidiani, vasi e una miriade di altre cose, esposte
ordinatamente nella sala. Come allestimento gli ricordava la Biblioteca, ma lì
non c’erano manufatti importanti, nulla di leggendario; quel che vedeva gli
sembrava comune, poteva avere valore artistico o storico, ma nulla di più,
nulla di arcano.
Ad
ogni modo, non riusciva a vedere bene l’estremità opposta della stanza, per cui
si mise ad attraversarla, guardandosi attorno per cercare di cogliere qualche
informazione. Mentre voltava il capo da una parte e dall’altra, si spaventò nel
vedere apparire all’improvviso un uomo e un tavolino esattamente dove prima non
si trovava nulla, proprio nel mezzo della stanza.
L’uomo
aveva il viso giovane, tonico e senza rughe, ma i suoi capelli erano bianchi. Gli
occhi erano vivaci e avevano le iridi scarlatte. Era molto pallido, il corpo
alto e il fisico allenato; indossava una cravatta rossa, una camicia bianca, un
completo color crema molto chiaro, con bottoni d’oro. Sedeva accanto al
tavolino, su cui era posta una tovaglia di seta di fattura orientale, che
toccava terra.
“Chi
sei?” chiese Flynn “Dove sono?”
“Dove
non è importante, visto che non sai nemmeno quando.”
“Non
è il 2015?”
L’uomo
si limitò a sorridere e a prendere il bicchiere di vino che era apparso sul
tavolo. Dopo aver bevuto un sorso, disse: “Flynn, ti
preoccupi molto di quel che ti circonda, di quel che accade attorno a te, ma
mai di te stesso.”
“Mi
hanno insegnato che non ha importanza, che io vengo dopo il mondo. Devo sacrificare
i miei interessi per u bene superiore.”
“Non
essere egoisti e consacrarsi a qualcosa di più alto è un bene, ma che cosa hai
consacrato? La tua intelligenza, ma niente di più. Devi prima finire di trovare
te stesso e la tua identità, solo allora potrai agire al meglio.”
“E
cosa dovrei fare? Andare in India, per trovare me stesso? Il periodo newage è passato da anni.”
“No,
devi vivere un’avventura per te stesso; credo che servirà e basterà a trovarti.”
“Quella
che sto passando adesso non conta?”
“Forse
questa è una parte del tuo percorso per conoscerti e dovrai fare altro per
capirti davvero. In questi giorni hai avuto modo di meditare, di esplorare i
tuoi pensieri e, soprattutto, i tuoi sentimenti, hai elaborato molto, hai
tantissime idee che però devi ancora sintetizzare. Hai vissuto la parte passiva
della tua riscoperta, ora devi vivere quella attiva.”
“E
come? E come posso fidarmi di te, non so nemmeno chi sei!”
“Torna
in Biblioteca e cercami nel tuo tempo. Assieme capiremo quale sia la tua grande
cerca.”
“Di
cerche ne ho già fatte parecchie.”
“Anche
i cavalieri della Tavola Rotonda hanno vissuto moltissime avventure, ma ognuno
di loro ne ha vissuta una che li ha segnati più di ogni altra. Su, torna in
Biblioteca.”
“E
come?! Non so nemmeno dove sono e come ci sono arrivato!”
L’uomo
si alzò in piedi, fece cenno a Flynn di avvicinarsi,
poi sollevò un poco la tovaglia e indicò sotto al tavolo. Il Bibliotecario si
accostò, si chinò e vide che, sotto al tavolo, c’era una scalinata che saliva
verso l’alto. Non era scientificamente possibile, ma Flynn
decise di non interrogarsi. Domandò solo: “Da qui tornerò in Biblioteca?”
“Esattamente.”
“Come
faccio a trovarti? E poi perché devo andare in Biblioteca e poi cercarti, se
siamo già qua, assieme.”
“Lo capirai a tempo debito.”
“Questa
frase inizia a scocciarmi, ma va bene. Posso almeno sapere il suo nome?”
“Ovviamente,
no. Se no il divertimento dov’è?”
Flynn sospirò, scosse
il capo, salutò e si chinò sotto il tavolo; appena superò la tovaglia si trovò sulla
scalinata, come all’interno di una torre, senza la possibilità di tornare
indietro.
Cominciò
a salire le scale, domandandosi che cosa fosse accaduto.
La
sveglia suonò alle otto in punto: per una volta, Jenkins
si era concesso di dormire fino a quello che considerava tardi. Riteneva che
l’aver affrontato fomori a frotte il giorno prima lo
autorizzasse a riposare un poco più a lungo del solito, quella mattina.
Ben
riposato, dunque, l’uomo si alzò, rifece il proprio letto e andò in bagno per
togliersi il pigiama, lavarsi e cambiarsi la biancheria, poi tornò nella camera
per vestirsi. Tirò fuori dall’armadio il completo, quello antracite, e dalla cassettiera
la camicia, bianca con sottilissime righine grige;
indossò quest’ultima e le braghe poi, prima di infilarsi la giacca, si soffermò
ad osservare i papillon, indeciso su quale mettere: quello grigio, oppure
avrebbe vivacizzato un po’ il suo aspetto con l’azzurro o il rosso.
Mentre
era lì che osservava i farfallini, percepì che qualcuno era sulla porta. Non
avvertiva ostilità, tuttavia si tenne all’erta, nonostante non desse a vedere
di essersi accorto dell’intrusione. Sentì la presenza scivolare nella stanza,
arrivare alle sue spalle, sporgersi verso di lui, appoggiare una mano sulla sua
spalla …
“Buongiorno!”
gli mormorò, dolcemente, all’orecchio Enya.
Jenkins sorrise, con la
sinistra accarezzò la mano della giovane, ruotò appena il volto, il minimo
indispensabile per guardarla, e la rimproverò con tenerezza: “Non sai che si
bussa, prima di entrare nella stanza di qualcuno?”
“Non
ti avrei fatto una sorpresa, però.”
L’uomo
si voltò verso di lei e replicò: “Cogliere alla sprovvista sir Gahalad è molto difficile.”
“Per
farmi scusare, allora, ti inviterò a colazione.”
Jenkins sorrise ancora
una volta e ribatté: “Scommetto che me l’avresti offerta in ogni caso.”
Enya non rispose,
distolse gli occhi e lo sguardo le cadde sui papillon, allora prese quello rosso,
lo mise attorno al collo dell’uomo e, alla fine, prima di voltarsi e andarsene,
disse solo: “Ti aspetto nella stanza in fondo al corridoio.”
Era
un tono cortese, ma che non ammetteva repliche. Jenkins
scosse la testa, divertito: era trascorso diverso tempo dall’ultima volta che
qualcuno gli aveva dimostrato affetto e lo aveva trattato con amicizia. D’altra
parte nemmeno lui aveva fatto granché per avere degli amici: quando si ha una
conoscenza e un’esperienza più che millenaria, è difficile trovare qualcuno con
cui sentirsi in sintonia; inoltre lui, diversamente da Judson,
non riusciva ancora ad accettare che le persone a cui si legava morissero.
Preferiva, allora, non affezionarsi alla gente che incontrava, ostentare
disinteresse e distacco, più per proteggere sé stesso che per vera misantropia.
Sì, aveva visto morire parecchi Bibliotecari, Guardiani e molte altre persone:
essere sprezzante nei confronti di chi lo circondava era il modo migliore che
avesse trovato per non soffrire ad ogni perdita.
Jenkins si finì di
sistemare, si diede un rapido colpo di pettine, infine decise di andare. Nel
corridoio, avvertì già il profumo della colazione, lo seguì e raggiunse la
stanza dove era stato apparecchiato un tavolo per due e imbandito con frutta, pancakes, marmellate di diverso gusto, crema di cioccolata
e nocciole, un panetto di burro, miele, una teiera con English Breakfast in infusione, una caraffa di latte e forse
qualcos’altro che sfuggì alla prima occhiata dell’uomo.
Seduta
al tavolo, di fronte a lui, c’era Enya che indossava
una sorta di tunica bianca, lunga, molto drappeggiata, con le maniche a
losanga, scollata a vu e con un’alta cintura di cuoio sotto il seno; tra i
capelli un cerchietto decorato con edera.
Jenkins si accomodò,
prese il tovagliolo, lo aprì e lo distese sulle ginocchia e commentò: “Che
leccornie! Non mi concedo colazioni simili, se non in giorni di festa … anche
perché da solo non vale la pena di faticare per preparare così tante buone
cose. Già solo per due è esagerata e avanzeranno parecchie cose!”
“Poco
male, daremo gli avanzi ai Bibliotecari.”
“Mi
stupisco, infatti, che non si siano già precipitati qui ad abbuffarsi … almeno
il signor Stone e il signor Jones.”
“Ho
usato un pizzico di magia per mantenere segreta la colazione, non mi sarebbero
piaciuto intromissioni.”
“E
i rimproveri di Charleene sui soldi spesi!”
“Quello
non sarebbe stato un problema, ho sempre usato la magia, così il budget non è
stato intaccato. I pancakes, comunque, gli ho fatti
io, personalmente, con la magia mi sono solo procurata gli ingredienti.”
“Ne
assaggio subito uno, allora.”
Jenkins afferrò la
forchetta e prese una frittella, l’adagiò nel piatto, poi scelse la marmellata
di mirtilli da spalmarci sopra; per ultimo ne tagliò un pezzetto e la mangiò.
“Ottima.”
si limitò a commentare, mentre già si portava alla bocca la seconda fetta.
Mangiarono
e chiacchierarono assieme, con molta naturalezza e serenità. Dopo aver discusso
e riso per oltre mezzora, Enya osservò: “Certo che
non si direbbe che ci conosciamo da meno di un mese, per quanto siamo in
armonia assieme.”
“Beh,
tecnicamente ci conosciamo da millecinquecento anni.”
“Non
conto quelle quattro o cinque volte in croce che ci siamo scorti a Camelot e in cui, se ci siamo rivolti la parola per
salutarci, è già tanto.”
“Hai
ragione, in fondo all’epoca non avevamo avuto modo di conoscerci, nonostante
fossimo imparentati. Effettivamente, siamo diventati amici molto in fretta.”
“Le
circostanze hanno favorito lo stringersi del nostro rapporto: insomma, in pochi
giorni, abbiamo affrontato circa tre o quattro volte la morte in combattimento,
due prigionie e due fughe … Credo che siano esperienze che legano molto
strettamente le persone. Volenti o nolenti abbiamo ci siamo vicendevolmente
mostrati i lati migliori e peggiori di noi, i punti di forza e le debolezze.
Abbiamo messo a nudo le nostre anime, ritengo che ci conosciamo molto
profondamente.”
Jenkins si accigliò,
come turbato da quelle parole, sebbene non ne capisse il motivo. Dopo un
momento di esitazione, si limitò a commentare: “Effettivamente, abbiamo avuto
delle giornate piuttosto impegnative ed intense … e non sono ancora finite.” si
era incupito.
“Sei
preoccupato?” si premurò la giovane “Ritieni che il mondo si trovi ad un nodo
cruciale, che questo scontro non sia come le lotte degli ultimi mille anni.”
“Già,
ma non è necessario conoscermi profondamente per capirlo, basta conoscere la
storia … la storia segreta di questo mondo.”
Enya aveva capito
che aveva in un qualche modo urtato l’uomo e se ne dispiacque perché non era
sua intenzione, anzi aveva sperato in una reazione ben diversa. Decise, allora,
di cambiare argomento.
Nel
frattempo, Flynn stava salendo le scale della torre;
era una scala a chiocciola, piuttosto buia e lui era piuttosto stanco, oltre
che frustrato per non avere idea di dove stesse andando e quanto ancora era
distante. Dopo quelle che il Bibliotecario riteneva essere ore, finalmente
arrivò alla fine della torre. Non era però giunto su un pianerottolo, né tanto
meno si era trovato davanti ad una porta: semplicemente i gradini erano finiti
e davanti c’era solo una parete in mattoni, mentre sopra di lui un soffitto
dannatamente basso.
Flynn era certo di
dover studiare l’ambiente circostanze per capire come uscire da lì. Iniziò a
tastare le pareti e poi anche il soffitto ed ecco che, appena le sue mani lo
sfiorarono, cambiò aspetto: non più di pietra, bensì di legno. L’uomo guardò e
si rese conto che era appena apparsa una botola. Allora la colpì, la spinse con
forza verso l’alto e, alla fine, riuscì ad aprirla.
Flynn si affrettò ad
uscire, si arrampicò fuori dalla botola e si rimise in piedi. Era in un luogo
illuminato, per cui aspettò qualche istante che i suoi occhi si riabituassero
alla luce, poi si guardò attorno e vide scaffali pieni di libri. Li riconobbe
immediatamente: era in Biblioteca.
Il
volto di Flynn si illuminò, sorrise e poi lanciò un
grido di gioia. Guardò la botola, ma ormai era svanita. Decise di non farsene
un problema, per il momento. Cominciò a correre per i corridoi, chiamando a
gran voce: “Judson! Eve! Charleene!”
Al
quarto grido, la voce di Judson gli rispose: “Ben
tornato, Flynn. Hai cambiato idea circa la
Biblioteca?”
Il
Bibliotecario si voltò e vide il suo mentore in piedi tra due scaffali; lo
indicò coll’indice e gli disse: “Leilo
sapeva, vero?”
“Sapevo,
cosa?”
“Ah,
andiamo, non faccia l’ignaro!” non lo stava rimproverando, ma era felice “Ormai
so chi è e cosa sa fare! Lei sapeva dove sarei finito, sapeva che sarei
tornato.”
“No,
Flynn. Io sapevo dove saresti andato, ma non come ciò
ti avrebbe influenzato, che cosa avresti capito e quale decisione avresti
preso.”
“Davvero?”
“Ho
molti poteri, ma non quello della prescienza. Comunque, ben tornato.”
“Grazie!”
Flynn si sentiva
finalmente di nuovo sereno.
“Credo
che ti convenga raggiungere gli altri e farti raccontare che cosa è accaduto in
questi giorni. Qui si sono dati tutti quanti parecchio da fare, ma la
situazione è difficile.”
“Sì,
certamente!” annuì Flynn “Scusami se sono andato via,
ho sbagliato, sono stato ingiusto ed irresponsabile.”
“Non
ti preoccupare: in duemila anni, ho visto passare almeno altrettanti
Bibliotecari, ognuno eccentrico a proprio modo e tutti i migliori hanno avuto
crisi e creato qualche problema.”
“Meno
male, questo mi fa sentire un po’ meno stupido. Prima di andare, devo chiederti
una cosa … Ho incontrato due uomini che mi hanno detto cose importanti …”
“Chiedi
a Jenkins” lo interruppe Judson
“O anche ad Antonio. Sono certo che assieme riuscirete a capirlo, non è
necessario che ti spieghi io.”
Flynn lo guardò con
un inutile misto di rimprovero e perplessità, poi si scosse e accettò: “Va
bene, va bene, non facilitarmi le cose, neppure quando il tempo stringe per la
fine del mondo.”
“Il
mondo è sempre in pericolo!” parve quasi che Judson
sorridesse.
“D’accordo,
vado … Ehi, ma chi è Antonio?”
Troppo
tardi, Judson era già scomparso. Flynn
sospirò e scosse la testa: ormai c’era abituato a quei modi.
Il
Bibliotecario si rimise in cammino per raggiungere il suo studio. Quando arrivò,
sobbalzò, nel vedere un uomo dalla corporatura imponente e i capelli
brizzolati, intento a scrivere qualcosa, seduto alla sua scrivania.
Flynn lo scrutò
qualche istante, poi disse: “Lei deve essere Antonio …”
L’uomo
alzò il capo e replicò: “Sir Antonio Panizzi, principe dei Bibliotecari, per la
precisione. Lei dev’essere il signor Carsen.”
“Dottor
Carsen, con ventitré lauree, massone criptico e
attuale Bibliotecario, per la precisione.”
“Sono
stato sufficientemente informato su di lei, sono lieto che sia tornato. Credo che
tutti saranno felici di rivederla e curiosi di sapere dov’è stato. Nel primo
cassetto della scrivania troverà i rapporti sulle missioni svolte in sua
assenza.”
“Sì,
effettivamente ho bisogno di essere aggiornato e dev…”
“Flynn?!” esclamò la voce di Cassandra, dalla balaustra del
secondo piano “Flynn è tornato! Flynn
è tornato!” e corse alle scale.
Nel
giro di un paio di minuti, i tre bibliotecari in erba avevano circondato Flynn e lo riempivano di domande e informazioni,
felicissimi che fosse rientrato. Poco dopo anche Eve
li raggiunse e si fece largo un poco arcigna e scoccando un’occhiata severa e
di rimprovero all’uomo. Il Bibliotecario la trasse a sé e la baciò. Eve ricambiò, ma subito dopo lo schiaffeggiò e gli chiese
bruscamente: “Perché te ne sei andato?! Hai idea di quello che abbiamo dovuto
passare?!”
Antonio
borbottò: “Molti impegni, sì, ma nulla di eclatante.”
Flynn si sentì un
poco in imbarazzo: ora che cosa avrebbe dovuto raccontare? Come giustificarsi?
Alla
fine decise di dire una mezza verità: “Mi è stato imposto un percorso
educativo, con prove da superare, per poter avere una maggiore consapevolezza
della Biblioteca e poter affrontare meglio la situazione.”
“Perché
non me lo hai detto?” lo rimproverò Eve, che si sentiva
offesa per essere stata esclusa “Avresti potuto scrivermi!”
“È
accaduto all’improvviso ed ero in una dimensione dove il cellulare non
prendeva.”
“Ma
se il mio telefono riceveva il segnale perfettamente anche dentro il labirinto
del minotauro!”
“Hai
provato a telefonarmi?”
“Certo,
ma era sempre staccato.”
“Quindi
non prendeva e, poi, non ho certo potuto portarmi via il carica batterie! Insomma,
quanto sono stato via, esattamente? Diversi giorni, credo, no?”
“D’accordo,
ti perdono.”
Ezekiel esclamò: “Non
vedo l’ora di scoprire com’è il tuo level-up!”
“Mmm, non so se lo definirei proprio così … comunque,
ricapitolatemi: com’è finito il conclave? Che cosa avete fatto?”
I
tre bibliotecarini raccontarono con entusiasmo tutte
le missioni affrontate, a partire da quella in cui avevano liberato Antonio. Presto
sopraggiunse anche Charleene che, per quanto le
permettesse il suo carattere, dimostrò la sua felicità nel rivedere Flynn. Per ultimi arrivarono anche Jenkins
ed Enya. Il Bibliotecario fu stupito di vederli: l’ultima
volta che li aveva visti, era presso Morgana. Flynn venne
dunque aggiornato anche sulle loro vicissitudini, almeno parzialmente.
Conclusa
tutta questa fase di saluti e resoconti, a chi gli chiedeva il da farsi, Flynn rispose: “Prima di prendere una decisione ed
organizzarci, vorrei parlare con Jenkins ed Antonio.”
I
due uomini accettarono e lo seguirono in un’altra stanza, dove potessero
discorrere in tranquillità, certi di non poter essere ascoltati. Flynn, allora, esordì: “Antonio, tu hai iniziato la tua
vita nell’Ottocento e non hai fatto una piega vedendo Jenkins,
Charleene e forse Judson
ancora vivi. Questo significa che tu sai chi siano loro realmente?”
“Sì.
Sono stato il primo Bibliotecario a cui lo hanno rivelato.”
“Anche
l’unico, io l’ho scoperto da Lancillotto. Non è stato piacevole e la cosa mi ha
scombussolato parecchio. Volevo saperlo per capire quanto fossi libero di raccontare.”
Flynn riferì
nuovamente quello che aveva vissuto, insistendo molto sugli ultimi due uomini
che aveva incontrato e più di una volta domandò: “Avete idea di chi possano
essere?”
Jenkins e Antonio si
scambiarono un’occhiata, come per consultarsi. Infine Jenkins
disse: “Il Custode delle Chiavi.”
“Cosa?!”
esclamò Flynn, sentendo per la prima volta quel nome.
Antonio
specificò: “L’ultimo uomo che hai incontrato, quello tutto bianco con gli occhi
rossi, lui è sicuramente il Custode delle Chiavi.”
“Cosa
sarebbe un custode delle chiavi?”
“Non
un, ma il Custode delle Chiavi.” ribadì Jenkins “È
un’entità simile al Bibliotecario, ma meno contingente. La Biblioteca mira ad
occuparsi del sapere esoterico, degli oggetti magici, li raccoglie e interviene
al bisogno. Quando accade qualcosa, noi agiamo. Il Custode delle Chiavi,
invece, è un essere super partes, ancor più solitario
del Bibliotecario; egli preserva la memoria, la storia del mondo, dell’umanità
e di ogni creatura. Noi siamo specializzati sulla magia, egli è un’enciclopedia
universale. Il fatto che lei lo abbia visto, è molto singolare: difficilmente
il Custode interagisce con gli uomini o, per lo meno, si mostra apertamente a
loro.”
“Di
quali chiavi è custode?” chiese Flynn, incuriosito e
assorto in riflessione.
“Le
chiavi del tempo.” rispose Antonio “Non si sa molto di lui e delle sue
funzioni, in realtà. È misterioso e leggendario perfino per noi! Oltre a quello
che ti ha già detto Jenkins, soltanto un’altra cosa
si sa o, per essere più corretti, soltanto un’altra cosa si racconta. Il dio
Giano, dio delle porte, dei passaggi e, in un certo senso, del tempo, forgiò le
Chiavi del Tempo e le consegnò a un suo sacerdote, incaricandolo, appunto, di
preservare la memoria. Non si conosce altro, ci sono pure dei dubbi circa se
questo sacerdote sia diventato una sorta di immortale, grazie al potere di
viaggiare nel tempo. Nel senso che avendo la possibilità di passare da un’epoca
all’altra è uno solo che è stato in ogni quando. Altri, invece, pensano che,
nonostante ciò, il sacerdote invecchi comunque e, quindi, arrivato ad una certa
età, passi il proprio compito ad un erede. È impossibile saperlo, bisognerebbe
chiederglielo.”
“Quindi
costui mi ha detto di cercarlo, ma nessuno ha la più pallida idea di dove possa
essere e, per di più, di quando possa essere?!” Flynn
era innervosito “Io odio chi fa il misterioso! Ero già da lui, perché invece di
aiutarmi subito, mi ha fatto tornare indietro e tribolare?!Accidenti! Come
facciamo?!”
“Non
si preoccupi, signor Carsen.” disse Jenkins “Studierò la faccenda e troverò il modo di
aiutarla: sono convinto che la mia porta possa tornarci utile, bisogna solo
capire dove aprirla.”
“Potrei
occuparmene io di studiare ciò …” si propose Antonio.
“No,
meglio che ci pensi io” insisté Jenkins “Che conosco
meglio i meccanismi della porta.”
“Appunto,
avrai tanto da capire su che modifiche fare, è meglio che …”
“No!
So che cosa vuoi in realtà! Sei curioso sull’argomento e vuoi approfondirlo, ma
ci penserò io.”
“Dai,
non essere cattivo, studiamolo assieme! Non puoi dirmi che indagherai su
qualcosa di così misterioso ed importante ed escludermi dalla ricerca!”
Flynn scosse la testa
e disse: “Credo che sia bene che ci lavoriate assieme, così forse arriveremo
prima ad una soluzione. Piuttosto, sapete dirmi qualcosa sull’altro uomo? L’anziano
che mi ha servito il tè?”
“Credo
che potrebbe essere chiunque.” disse Antonio “Non c’è un personaggio specifico,
legato al te o ad un luogo come quello che mi hai descritto. L’unico anziano
che offre tè che mi viene in mente è Jenkins, ma te
ne saresti accorto se fosse stato lui!”
“Signor
Carsen, può provare a trasmettermi telepaticamente l’immagine
di quell’uomo?”
“Come?”
“Beh,
è riuscito a proiettarsi astralmente, per cui
dovrebbe riuscire a usare la telepatia.”
Flynn era scettico,
anche perché non aveva neppure idea di come aveva fatto a proiettarsi, giorni
prima, comunque decise di tentare. Anche quella volta non capì bene come gli riuscì,
ma ebbe successo.
“Penso
di avere un’idea. Mi permetta di fare alcune verifiche e, poi, gliele
comunicherò.”
Il
Bibliotecario sospirò e concluse: “Mettiamoci al lavoro, domattina faremo un’altra
riunione e ci aggiorneremo. Sperando di avere novità, decideremo il da farsi.”