Nell'ombra

di cherubina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII ***
Capitolo 13: *** XIII ***
Capitolo 14: *** XIV ***
Capitolo 15: *** XV ***
Capitolo 16: *** XVI ***
Capitolo 17: *** XVII ***
Capitolo 18: *** XVIII ***
Capitolo 19: *** XIX ***
Capitolo 20: *** XX ***
Capitolo 21: *** XXI ***
Capitolo 22: *** XXII ***
Capitolo 23: *** XXIII ***
Capitolo 24: *** XXIV ***
Capitolo 25: *** XXV ***



Capitolo 1
*** I ***


Se ne era rimasto tutta la mattina nei boschi limitrofi di Chicago a raccattare animaletti selvatici e feriti e non aveva esitato a portarseli a casa per prodigare loro le necessarie cure.

Il fidato George, da quella escursione, aveva visto il signor Andrew tornare con un piccolo cervo tra le braccia. Una specie di Bambi al quale i cacciatori avevano ucciso la mamma.

"Non sarebbe sopravvissuto là fuori!"

Aveva spiegato Albert per poi improvvisare una cuccia d'emergenza per la piccola bestiola riducendo a cenci caldi alcuni suoi infeltriti e caldi maglioni e mettendosi subito al computer per cercare informazioni esaurienti sul come dare le giuste attenzioni al piccolo ungulato.

Se la zia Elroy avesse deciso di fargli una visita a sorpresa certamente sarebbe stata colta da uno svenimento improvviso! L'anziana signora, infatti, aveva ripreso spesso il nipote su quelle sue passioni "poco adatte ad un Andrew!"

E scoprire che aveva trasformato la villetta di Chicago in una specie di zoo non le avrebbe fatto di certo piacere!

Tanto meglio che se ne restasse, beata ed ignara a Lakewood!

Albert sorrise e avviò il motore di ricerca. Dopodiché le incombenze della giornata ebbero il sopravvento e lo spinsero ad aprire la sua casella di posta elettronica

Fu sorpreso di leggere dei nomi familiari tra le varie pubblicità e le diverse e-mail attinenti al lavoro.

Due e-mail erano dei fratelli Cronwell. L'altra di Anthony.

Si stupì del fatto che il figlio della sua amata e compianta sorella Rosemary avesse scelto un modo tanto impersonale ma veloce per contattarlo: di solito si sentivano per telefono. Anche se di rado.

Curioso aprì le e-mail e la meraviglia fu ancora maggiore nel leggere che i ragazzi gli chiedevano tutti la stessa cosa.

Volevano che Candy diventasse un membro degli Andrew.

Volevano che lui l'adottasse!

William Albert Andrew rimase interdetto. Lui aveva poco più di vent'anni, era fresco di laurea e oberato dagli oneri di essere il capo degli Andrew. . Non c'era stato posto per l'amore nella sua vita, non ancora almeno, e non aveva mai pensato a mettere su famiglia.

E, adesso, si sarebbe ritrovato con una figlia all'improvviso?

Certo lui conosceva Candy, sapeva della ragazzina dolce, altruista e spontanea che si sarebbe messo in casa. E, soprattutto, sapeva che l'avrebbe sottratta alle angherie dei Legan. Ma sarebbe stato in grado di crescerla? Lui sempre nell'ombra, sempre lontano da Lakewood.

"Te ne prego zio, sarebbe il regalo più bello per la nostra famiglia. Candy è l'unica che possa cambiare in meglio gli Andrew!"

Erano state le parole di Anthony a convincerlo. E, fin da subito, si era accorto che i toni nella richiesta del nipote prediletto erano diversi rispetto a quelle di Archie e Stear.

Si alzò dalla sedia girevole, lasciando il computer acceso, e si affacciò all'uscio per cercare il fidato maggiordomo.

"George oggi stesso tornerai a Lakewood! Ho delle disposizioni importanti per la zia Elroy!"


********* ************

Qualche informazione per chi volesse seguire questa fanfiction:

Non seguirò fedelmente la trama di "Candy Candy!". E per tale motivo ho messo le note OOC(soprattutto un personaggio potrebbe, a volte, apparire fuori carattere) What If (ho intenzione di trattare un episodio cult del manga in maniera totalmente diversa) e AU (perché la storia non è ambientata agli inizi del '900 ma ai nostri tempi per delle questioni di logistica )

Ringrazio chi vorrà leggere^^

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Capitolo 2
*** II ***


Candy camminava a tre metri da terra: sarebbe diventata la signorina Andrew.

"Signorina Candice White Andrew!"

Le faceva strano ripetere, a voce alta, quel nome ridondante ma l'euforia di crogiolarsi, finalmente, in una sicurezza mai conosciuta e la calorosa sensazione di sentirsi parte di una famiglia addolcivano tutto, rendendolo quasi normale.

Avrebbe avuto un nome, un'identità. Era dai tempi trascorsi nella Casa di Pony, un pezzo della sua infanzia, che non si sentiva così felice e protetta.

Niente più angherie, soprusi ed umiliazioni da parte dei Legan. Nessuno l'avrebbe più costretta a sottomettersi a pari età, dispotici e arroganti come Iriza e Neal, pronti a sminuirla ad ogni suo respiro.

Archie, Stear ed Anthony l'avevano accolta nella loro famiglia come se fosse stata, da sempre, una di loro e si erano fatti in quattro per perorare la causa dell'adozione con il fantomatico zio William.

Sarebbe stata per sempre grata ai suoi tre prodi cavalieri per quell'atto di coraggio e di affetto verso di lei.

E poi avrebbe vissuto assieme ad Anthony. Questo solo pensiero le bastava a sopperire ai nasi storti che avevano accolto il suo ingresso, forzato, nella blasonata famiglia degli Andrew.

E pazienza se la zia Elroy non la vedeva di buon occhio! Forse, con il tempo, la rigida e retrograda donna si sarebbe ricreduta.

In compagnia di Clean, il suo fidato procione dalla pelliccia grigia e dalla coda bianca e nera, e di questi pensieri; Candy si era dedicata alla perlustrazione degli spazi esterni di villa Andrew.

Erano posti familiari, già pieni di ricordi. Aveva speso tanto tempo in quel terreno boscoso: da sola, con Anthony, cercando di ritrovare il sorriso dopo una giornata storta...

Quasi inconsciamente Candy si era addentrata fino al luogo a lei più caro: uno dei giardini. Non un giardino a caso ma un meraviglioso roseto che, in quelle prime giornate d'autunno risplendeva dei boccioli delle rose tardive.

Era sicura di trovare Anthony lì. Non volendolo disturbare fece segno con un dito a Clean perché non si facesse notare e si limitò a poggiarsi ad una panchina verniciata di bianco e a contemplare il lavoro del ragazzo.

Anthony aveva appena terminato di travasare una rosa dal vaso e quando si rialzò, con il viso colorito e le mani ancora sporche di terriccio, si accorse di non essere da solo.

La presenza di Candy non lo infastidiva affatto.

"Da quanto tempo è qui Miss Candice White Andrew?"

Le gote di Candy avvamparono nel sentirsi chiamare a quel modo: un conto era fantasticarvi sopra e un altro era la voce di Anthony che rendeva tutto reale.

"Spero che abbia una rosa da dare in dono ad una graziosa donzella, signorino Anthony Brown!"

Stette al gioco avvicinandosi al ragazzo tanto che le loro mani si sfiorarono. Era bellissima con il suo vestito alla moda, che la zia Elroy le aveva fatto trovare in un fornito armadio, con i riccioli biondi che, elastici, le ricadevano sulle spalle e con quella semplicità innata che traspariva dai suoi limpidi occhi verdi.

Così bella che Anthony dovette distogliere lo sguardo.

"Purtroppo le Dolce Candy sbocciano in maggio e sono già sfiorite in questo periodo. Però..."

Anthony si avvicinò ad un cespuglio dagli steli rossastri e dal fogliame verde lucente e recise un piccolo bocciolo appuntito giallo.

"Può accontentarsi di questo? Schiudendosi i petali diventeranno color albicocca e, sfiorendo, i petali, ancora turgidi, cadranno uno ad uno..."

Candy lo ascoltava rapita: il fatto che un ragazzo fosse così sensibile da fare dei fiori la sua passione la sorprendeva sempre.

Quasi che le avesse letto nel pensiero, Anthony cambiò tono.

"Candy?"

"Si?"

"Credi che sia stupido o strano che io dedichi tanto tempo ai fiori? Sai molti non mi capiscono e, talvolta, ho la sensazione che anche Archie o Stear fraintendano questa mia strana passione..."

"Io penso soltanto che viviamo in un'epoca in cui siamo così assuefatti all'arroganza e all'egoismo che quando incontriamo la gentilezza e la sensibilità non sappiamo riconoscerla!"

Aveva risposto d'acchito Candy portando il bocciolo appena colto al naso per sentirne il profumo delicato.

"Tu non pensi che io sia diverso rispetto agli altri ragazzi?"

Insistette Anthony.

"Rispetto a Neal ed Iriza certamente. E tu Anthony, perché hai tutte queste perplessità? In fondo coltivare le rose è un modo per continuare a far vivere la tua mamma..."

Candy aveva preso in braccio Clean e si era seduta sull'erba. Anthony non aveva esitato ad imitarla.

"Si, è vero. Ma sai, a volte, mi piacerebbe essere un classico ragazzo americano e non il rampollo degli Andrew. Mi piacerebbe andare in una scuola vera e non avere insegnanti privati che vengono ad impartire lezioni come aggrada alla zia Elroy, vorrei vedere più spesso mio padre, venire strigliato e magari litigare con lui...Vorrei essere un po' più ribelle ed evadere da questa prigione dorata in cui la zia o chi per lei non potrà confinarmi in eterno. Ti sembro un ingrato?"

La mano di Candy aveva formicolato e poi si era spinta fino a fare una carezza ad Anthony. Un gesto che aveva sorpreso entrambi ma lei non si era tirata indietro.

"No, mi sembri solo un adolescente che vuole il suo spazio e a cui manca disperatamente suo padre!"

L'analisi di Candy, semplice e schietta, lo aveva impressionato tuttavia Anthony non fece in tempo a replicare nulla.

Un fruscio tra i cespugli e poi Iriza si era piantata innanzi ai due ragazzi con un ghigno perfido.

"E da quando in qua un'orfanella può dare consigli sulla famiglia?"

"Iriza da quanto tempo eri nascosta lì dietro? E, soprattutto, perché ci stavi spiando?"

La Legan aveva agitato la testa altezzosa.

"Come se tu fossi un soggetto interessante, signorina orfanella! Mi trovavo di passaggio per andare a far visita alla zia Elroy, l'unica con un po' di buon senso in questa famiglia, quando ho sentito il tuo lagnoso discorso, cara Candy, e non ho potuto tenere a freno la lingua!"

"Quella è una cosa che, purtroppo, non ti riesce troppo bene!"

Il commento acido di Anthony la indispettì.

"Mio amato cugino la compagnia di Candy finirà per traviarti! Peggio per te!"

Anthony era stanco di sentire tutta la tiritera che, ne era certo, Iriza gli avrebbe propinato. Inoltre gli stava venendo un forte mal di testa.

Si portò una mano alla fronte e chiuse gli occhi prima di intimare deciso:

"Non ne posso più Iriza, per favore vattene!"

Iriza aveva fatto ondeggiare i riccioli rossicci e aveva girato i tacchi.

"Con molto piacere: non ho tempo da perdere con voi due!"

Quando la ragazza si allontanò, Candy guardò con un po' di preoccupazione Anthony.

Lo aveva visto ricorrere all'espediente del "terribile mal di testa" più di una volta per sottrarsi alle ramanzine della zia Elroy e anche allora, dapprima ,aveva pensato si trattasse di un pretesto per togliersi Iriza dai piedi.

Ora, però, iniziava a credere che quel malore avesse un fondo di verità: Anthony se ne era rimasto appoggiato al tronco di un albero per qualche minuto senza parlare.

"Sei sicuro di sentirti bene?"

Alla domanda di Candy si riscosse e rispose con un rassicurante sorriso.

"Certo!"

Poi udì, in lontananza, la campana della chiesa di Lakewood battere le cinque.

"È ora di merenda. Su rientriamo: Dorothy avrà preparato per noi delle squisite focaccine!"


*****

Ringrazio chi ha commentato, chi ha inserito la storia tra le preferite (grazie per la fiducia!) e le seguite...

A presto

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Capitolo 3
*** III ***


Il fatto che gli Andrew fossero sulla bocca di tutta Lakewood non per merito del loro prestigio quanto a causa dei colpi di testa di uno dei suoi giovani membri aveva indispettito la zia Elroy al pari di quanto Albert ne era stato divertito.

Il giovane capofamiglia aveva riso fino alle lacrime nell'immaginarsi il compassato Anthony salire fin in cima al campanile di una chiesa e sgolarsi in un urlo liberatorio eppure era quella l'istantanea che i passanti avevano immortalato e, riconosciuto il giovane rampollo, non avevano avuto remore a postarla sui social network.

Con buona pace della zia Elroy che continuava ad additare Candy come "portatrice di tutti i guai della sua famiglia"

La matriarca, infatti, era sempre più convinta che fosse la cattiva influenza della ragazzina ad aver cambiato in peggio Anthony e anche gli altri ragazzi. E, ad avvalorare la sua tesi, c'era il fatto che Anthony e Candy erano sempre insieme durante quei colpi di testa.

La vecchia signora Elroy, tuttavia, non era disposta a tollerare oltre e perciò aveva deciso di parlare a quattrocchi con William: solo un confronto chiarificatore con lui avrebbe calmato le acque e rimesso i ragazzi in riga.

William Albert Andrew temeva e detestava quelle visite perciò quando la cameriera della zia aveva telefonato annunciando l'arrivo della rispettabile padrona a Chicago per il primo pomeriggio, l'uomo era diventato insofferente.

E, in pompa magna, la puntualissima signora Andrew arrivò all'orario prestabilito. Albert, nel frattempo, aveva provveduto a nascondere il piccolo cervo affidandolo alle cure del fidato George e aveva dato disposizioni perché la casa fosse calorosa e accogliente facendo trovare il caffè e un delizioso pezzo di torta per accogliere la zia.

Anche se per smussare l'area cinerea di Elroy non sarebbe bastata una semplice fetta di torta...

"Cara zia, benvenuta! È un piacere ricevere la tua visita!"

L'astuta Elroy aveva inarcato un sopracciglio al quanto contrariata.

"Risparmiati quell'aria ossequiosa William! Sappiamo entrambi che la mia presenza qui non è un piacere né per te, né per me!"

Lui non seppe come smentire il vero.

"Perciò non perdiamo tempo in inutili preamboli. Andiamo nel tuo studio: sai già di cosa voglio parlarti!"

Aveva sollevato l'orlo della lunga gonna e aveva preceduto il nipote nel corridoio abbellito da magnifiche tele.


"Così sei venuta fin qui per chiedermi di rinunciare ad essere il tutore di Candy?"

La voce di Albert aveva fatto da eco alla richiesta della zia. Una richiesta non del tutto inaspettata.

"Esattamente. So che hai un buon cuore, che anche Anthony, Archie e Stear spinti dalla loro magnanimità, ti hanno convinto a compiere un passo tanto importante ma...Ma quella ragazzina non è adatta alla nostra famiglia. Educarla è troppo anche per me. Una piccola selvaggia non potrà mai diventare una rispettabile signorina e, quel che è peggio, sta traviando anche Anthony..."

In un moto di stizza l'anziana signora aveva stretto forte il fazzoletto in pizzo tra le mani.

Albert si era alzato dalla scrivania e aveva raggiunto la finestra. Aveva fissato il paesaggio mentre la zia esponeva le sue ragioni poi, quando lei aveva finito di parlare, si era voltato per rispondere tranquillo.

"Mi dispiace di darti un dispiacere cara zia ma la mia decisione è irrevocabile. Candy è un membro degli Andrew ormai e non intendo tornare sui miei passi."

"Ma William..."

"Niente ma. Candy non ha fuorviato nessuno. E se Anthony si comporta in modo insolito, se vuole evadere, ogni tanto, dal mondo di rigidi schemi in cui è costretto a vivere un Andrew ben venga: significa solo che sta crescendo e sta crescendo bene..."

"Bene! Se per bene si può intendere andare a mangiare in un fast food come un rozzo ragazzo comune, fare a pugni con un pari età, addormentarsi sui libri durante le lezioni..."

Era saltata su la zia Elroy con foga.

"Non ci vedo nulla di male zia. Anzi ne sono contento: significa che il nostro Anthony non è un ragazzino viziato privo di spina dorsale come molti giovani dell'alta società. Anche fare a pugni con un altro ragazzo è un'esperienza da fare e se si addormenta sui libri non lo biasimo: rammento quanto siano noiose le spiegazioni del professor McWood. I ragazzi dovrebbero andare in una scuola vera, fare amicizie vere...Sono certo che imparerebbero molto, divertendosi!"

La zia aveva portato una mano alla fronte sconfitta. Doveva immaginare che cercare di persuadere William significava cozzare un muro armato.

"Sapevo che questa mia visita sarebbe stata inutile. D'altronde tu sei il perfetto esempio della ribellione alle regole e, a volte, temo per il buon nome della nostra famiglia."

La zia Elroy si era alzata per congedarsi. Ma prima di lasciarla andare Albert aveva un'ultima cosa da aggiungere.

"Forse dovresti essere meno rigida: se Anthony e Candy si divertono insieme lasciali fare e non cercare di separarli. Anche tu dovresti imparare a sorridere di nuovo, cara zia!"

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Capitolo 4
*** IV ***


L'arcigna Elroy non aveva battuto ciglio mentre i pugni di Anthony tuonavano sulla screziata superficie lignea della scrivania.

Era la prima volta in vita sua che il ragazzo si lasciava vincere dalla rabbia, esplicitandola in un gesto tanto eclatante.

"Non puoi essere tanto crudele!"

Le iridi cobalto si erano riempite di lacrime ma Anthony, fieramente, le aveva ricacciate indietro. Non avrebbe dato alla zia la soddisfazione di vederlo piangere o, peggio, supplicare.

Con la solita imperturbabilità Elroy si era alzata e, a passettini controllati, aveva raggiunto la finestra.

"Odiami pure Anthony ma un giorno mi ringrazierai. Stare lontano da Lakewood ti aiuterà a riflettere e a ritrovare un po' di buon senso."

Con una mano aveva additato i giardini, i parchi e l'immenso spazio esterno di proprietà degli Andrew."

"Vedi? Un giorno tutta questa fortuna sarà da dividere tra te e i tuoi cugini. Un Andrew deve essere scaltro, competitivo, cosciente della propria posizione sociale."

L'ultima nota sembrava una stoccata non troppo velata.

"Io non voglio andare a Chicago per diventare un cinico, infelice arrivista!"

Si impuntò Anthony. Non riusciva proprio a digerire quell'imposizione della zia: perché Archie e Stear erano stati esonerati da un simile obbligo?

"Non controbattere Anthony! Non eri tu quello che chiedeva maggiore libertà? Che voleva andare a scuola? Bene...credo che con quello screanzato di William ti troverai proprio bene!"

Commentò ironica. Anthony era furioso: sicuramente lo zio Albert era all'oscuro della macchinazione della vecchia matriarca.

Serrò forte i pugni e poi esplose.

"Prestigio della famiglia ed emancipazione un corno! Tu vuoi solo allontanarmi da Candy!"

Anche la pazienza di Elroy era prossima ad esaurirsi.

"Candy, Candy...sempre Candy! Devi toglierti dalla testa quella ragazzina, Anthony. Non è una compagnia adeguata ad un giovane del tuo rango. E poi, da quando è arrivata lei nelle nostre vite, sono arrivati i guai. Ti fai malmenare da un ragazzino di strada, partecipi ad un rodeo, ti lasci andare a comportamenti indecorosi in città...E mi fermo qui!"

"Non ho fatto nulla di male! E poi Tom non è un ragazzaccio di strada...è un mio amico. L'unica amicizia disinteressata che sono riuscito ad instaurare!"

"Con un trovatello? Anche le amicizie vanno scelte bene, Anthony..."

Lo schernì la zia Elroy.

"Puoi impormi tutti gli obblighi di questo mondo ma non puoi pretendere di scegliere anche chi io debba frequentare...o amare! Sai qual è la cosa che a te proprio non va giù? Che da quando c'è Candy non siamo più delle scimmiette ammaestrate pronte a farci comandare da te...Ci siamo svegliati, zia!"

Detto questo spalancò la porta con foga, correndo via senza che la donna potesse fermarlo.

"Anthony torna subito qui! Non ho ancora finito con te!"

Ma lui era già sparito.


*** *** **

Candy sbadigliava vistosamente mentre cercava di memorizzare i nomi dei progenitori degli Andrew.

Si appoggiò con la schiena contro il tronco di un albero e prese a fare una carezza a Clean sotto il musetto.

"Eh caro Clean...Certo che questi ricchi hanno degli strani vezzi. Che lezioni noiose che mi aspettano..."

Incrociò le gambe e si guardò intorno per assicurarsi che né Iriza né la signora Elroy fossero nei paraggi.

La prima l'avrebbe sbeffeggiata senza ritegno.

La seconda le avrebbe rammentato che quel portamento non si confaceva ad una ragazza dell'alta società!

Candy, in verità, fremeva dalla voglia di arrampicarsi sui grossi rami ma si costrinse a desistere.

"Vediamo se c'è anche Anthony su questo libro!"

Si disse per vincere la noia e per rendere la memorizzazione più interessante.

Spaginò velocemente e poi sorrise dolcemente.

"Oh eccolo! Certo...è più bello dal vivo!"

Disse arrossendo, scacciando la curiosità di quello spazio bianco lasciato alla didascalia da riservare allo zio William.

Clean fece un verso eloquente come se avesse capito i pensieri della giovane padroncina.

"Avanti Clean non prendermi in giro!"

Nascose il volto tra le mani piacevolmente turbata ma, un momento dopo, un nitrito la fece sussultare.

Anthony stava uscendo a cavallo. Al galoppo.

"Chissà dove va così di fretta!"

Si lasciò sfuggire per poi correre verso le scuderie.

"Anthony! Anthony!"

Agitò la mano per farsi notare ma lui sembrava ignorarla o, forse, non l'aveva vista affatto.

"Ma cos'ha?"

Afferrò Clean e si mise a corrergli dietro. Anthony, quasi che la tensione si fosse allenata di colpo, arrestò la corsa. Candy lo raggiunse, poco prima che oltrepassasse il cancello delle rose, quasi senza più fiato.

"Anthony che succede?"

L'espressione risentita che induriva il gentile viso allarmarono la ragazza. Anthony allungò la mano sulla gota rosea e giovane e le fece una carezza esitante.

Anche gli occhi di Anthony non erano limpidi e sereni come al solito. Erano inqueti, burrascosi.

"Perdonami Candy!"

Mormorò. E prima che lei potesse chiedere, spronò il cavallo e si allontanò.


*** ***

Era stato un pomeriggio tremendo per Candy. Aveva cercato di confidare a Stear e ad Archie lo strano comportamento di Anthony ma loro non avevano saputo dirle molto o rassicurarla: non riconoscevano il cugino nella descrizione della ragazza.

Quando il sole calò anche la zia Elroy iniziò ad agitarsi. Convocò i ragazzi.

Voleva sapere se avessero ricevuto un sms, una confidenza da parte di Anthony.

Tutti e tre risposero negativamente. Anthony aveva volutamente lasciato a casa il suo telefono e non aveva fatto parola delle sue intenzioni con nessuno.

"Vedrete che presto si stancherà della sua burla e tornerà! E allora rideremo delle nostre sciocche preoccupazioni!"

Aveva cercato di allentare la tensione Stear non dando a vedere quanto, in realtà, fosse preoccupato.

La zia sospirò.

"Se tra un'altra ora non sarà di ritorno daremo l'allarme! Manderò qualcuno a cercarlo..."

E anche se quel qualcuno avrebbe incluso anche Candy in quel frangente non le interessava.

"Andate in giardino, leggete, ritiratevi nelle vostre camere...distraetevi! Non voglio che stiate ad angosciarvi con me!"

Li aveva quindi congedati Elroy.

Candy aveva deciso di ritornare in giardino e, magari, aspettare lì il ritorno di Anthony.

Perché ne era sicura: lui sarebbe tornato!

Rabbrividì ad una folata di vento e si accorse che i petali delle rose, le foglie degli alberi, venivano spazzati via dalle raffiche impetuose.

"Dove sei Anthony?"

Sibilò avvolgendosi contro il suo caldo plaid.

Quasi come un segnale avvertì distintamente un nitrito. Non era una fantasia: poco dopo un purosangue bianco le correva incontro.

Quando l'animale fu abbastanza vicino, Candy lo afferrò per le briglie e cercò di calmarlo.

"Fenice! Oddio Fenice..."

Si guardava intorno inqueta ma di colui che avrebbe dovuto cavalcarlo non c'era l'ombra.

"Dov'è il mio Anthony? Dove l'hai lasciato?"

Fenice nitrì e Candy rabbrividì.

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Capitolo 5
*** V ***


Era stato un odore di stantio a far rinvenire Anthony. Si trovava disteso su un letto di fortuna in una stanza sconosciuta.

Confuso si tirò su a sedere guardandosi con circospezione attorno. Si trovava certamente in una casa disabitata: i suppellettili erano ricoperti di teli per essere preservati dalla polvere e l'aria era abbastanza umida benché i resti del fuoco crepitassero nel focolare.

Non sapeva ben dire come fosse arrivato fin lì o chi ve lo avesse condotto. Ricordava soltanto l'accesa discussione con la zia Elroy, la sua fuga disperata con l'intenzione di non tornare più indietro, quell'ostacolo da saltare in sella a Fenice...Poi qualcosa era andata storta: come un principiante era ruzzolato giù dalla sella e poi non ricordava più nulla.

Che qualcuno lo avesse rapito?

Scacciò quell'assurda fantasia mentre una possente ombra fugò ogni ipotesi. Un uomo biondiccio, dalla barba incolta ma dall'aria rassicurante, gli si avvicinò sorridendo.

"Bene! Ti sei svegliato. Come ti senti?"

Anthony captò quell'interessamento ancora poco lucido.

"Sono un po' indolenzito. Ricordo solo di essere caduto da cavallo..."

L'altro, poco più che un ragazzo, gli si sedette accanto senza perdere quell'aria accondiscendente.

"È incredibile quanto possano imbizzarrirsi quegli equini. Ed è incredibile che un ragazzo, al giorno d'oggi, preferisca andare a cavallo anziché in moto!"

Anthony si strinse nelle spalle.

"Non è stata colpa di Fenice, è stato un mio errore. Ero infuriato e credo di aver avuto un mancamento. Sei stato tu a trovarmi?"

L'altro chinò per un secondo lo sguardo ed Anthony ebbe l'impressione che volesse celargli qualcosa.

In realtà, dentro di sé, Albert stava combattendo una miriade di emozioni. Era tornato a Lakewood, contravvenendo agli accordi con la zia Elroy, per accertarsi che la tempesta in casa Andrew si fosse placata e per esigere che Candy venisse presentata ufficialmente come membro della blasonata famiglia.

Prima di affrontare quello scontro tra titani aveva deciso di fare un giro per i boschi di proprietà degli Andrew, di andare a rivedere quel casolare dove si era ristorato con la sua Puppy dopo tante ore di vagabondaggio durante la sua adolescenza. Aveva scorto quella figura stesa sull'erba quasi per caso e, appurato che si trattava di suo nipote, il suo cuore aveva mancato un battito.

Non aveva più rivisto Anthony dopo le esequie di Rosemary. Da quando erano entrambi poco più che bimbetti e ritrovarselo lì, quasi uomo ma in difficoltà, lo aveva mandato in confusione per qualche momento.

E si era allarmato molto quando il ragazzo non aveva risposto al suo richiamo.

"Sì stavo facendo una passeggiata quando ti ho scorto. Forse dovresti farti vedere dal dottor Leonard..."

Anthony aveva rifiutato deciso provando a rimettersi indietro.

"Non è necessario. Anche se ho un gran mal di testa: devo aver sbattuto contro qualcosa!"

Albert lo afferrò per un braccio invitandolo a sedersi di nuovo. Anthony lo scrutò insistentemente per qualche minuto finché Albert, forse per disagio o per timore di essere riconosciuto, gli voltò le spalle.

"Sei un cacciatore di frodo?"

Chiese a bruciapelo Anthony. Albert si voltò stizzito.

"Oh no certo che no! Amo troppo gli animali per poter far loro del male!"

A quell'energica difesa, Anthony abbassò il capo pentito per quella insinuazione.

"Allora cosa ci facevi sulla terra degli Andrew? Sai questa casetta è riservata al guardaboschi..."

Albert tergiversò poi decise di togliersi d'impiccio con una domanda di rimando.

"E tu perché stavi scappando di casa, ragazzino?"

Anthony si accigliò. Per qualche secondo aveva scordato il plateale gesto che stava per compiere.

"Per un senso di giustizia, credo. Non ce la faccio più a vivere attorniato da persone ottuse e bigotte come mia zia!"

Un moto di tenerezza addolcì il cuore di Albert. Si rivedeva negli occhi determinati di Anthony, nella sua sete di evasione e di ribellione alle regole. Un momento che gli bastò per tradirsi. Mise le mani sulle spalle del ragazzo e lo guardò con sincerità.

"Anthony so quanto sia difficile andare d'accordo con la zia Elroy!"

Anthony si irrigidì e sostenne lo sguardo di quegli occhi così simili ai suoi. Allora capì.

"Albert! Sei proprio tu?"


******* **********

Ed ecco un "incontro a sorpresa"^^ Anthony ha riconosciuto suo zio ma sa che si tratta anche del fantomatico zio William? Staremo a vedere...

Grazie a chi ha recensito il capitolo precedente (tetide e PetraLu), a chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite e anche ai lettori silenziosi^^

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Capitolo 6
*** VI ***


Anthony era rimasto rigido, serio. Quel risentimento atavico che nutriva nei confronti di Albert non si era mai sopito, in fondo, e ora gli impediva di abbracciarlo o di accogliere con trasporto quell'incontro occasionale.

"Hai smesso con le tue peregrinazioni da Indiana Jones e hai ritrovato la via di casa?"

Fece ironico il ragazzo. Albert non poteva biasimare quell'astio così innaturale per il carattere mite di Anthony: lui lo aveva deluso, lo sapeva bene.

Lui aveva infranto una promessa fatta dieci anni prima.

Aveva pensato innumerevoli volte in quegli anni a quel bimbetto con i capelli color del grano e i grandi occhi azzurri malinconici e colmi di lacrime, fasciato in un triste completino grigio. E, tutti i giorni, aveva rivisto quella manina allungarsi, coraggiosa, ad accarezzare la bara di Rosemary. E lui, Albert più fratello maggiore che zio, aveva stretto la mano del bambino per tutto il funesto rito.

Poco dopo aveva trovato Anthony in giardino, nel roseto che la sua mamma aveva curato tanto amorevolmente.

"Promettimi che tu non mi lascerai mai, Albert! Promettimelo!"

Aveva preteso Anthony con determinazione. Poteva sembrare un capriccio dettato dalla disperazione del momento, dal vuoto dell'essere rimasto da solo, eppure Albert aveva preso tutto sul serio e aveva giurato solennemente.

"Te lo prometto, Anthony!" Aveva risposto allungandogli la mano perché suggellassero il patto come fanno i grandi.

"Anthony sei grande abbastanza per capire che la vita non sempre, anzi quasi mai, va come vorremmo!"

Il ragazzo si era voltato e con un dito aveva tracciato un solco nello strato di polvere che copriva una mensola.

"So benissimo che la zia Elroy prima ti ha spedito a studiare lontano da Lakewood, poi c'era il college...Poi le esperienze da fare. E lo capisco anche zio. Quello che non posso perdonarti è il tuo silenzio in tutti questi anni. Siamo nel ventunesimo secolo, la tecnologia è progredita e non doveva essere troppo difficile andare oltre una stringata telefonata di tanto in tanto..."

Albert aveva ascoltato quello sfogo senza perdere il sorriso.

"Perché sorridi adesso?"

Albert aveva messo, paternamente, le mani sulle spalle del suo Anthony. Lo aveva lasciato bambino e adesso era quasi un uomo.

"Io e te ci somigliamo molto più di quanto tu possa immaginare! Sì, hai tutte le ragioni del mondo ad avercela con me ma, a tempo debito, capirai il mio comportamento in tutti questi anni nei quali sono rimasto nell'ombra!"

Benché la curiosità di indagare, di saperne di più su quella frase sibillina, fosse molta, Anthony capì che era meglio fare un passo indietro.

"Perché sei tornato a Lakewood?"

Le larghe spalle di Albert si incurvarono mentre si chinava sul davanzale ad osservare la natura, incantevole.

"Tu, Archie e Stear state crescendo. Nonostante la zia Elroy si sia fatta in quattro per tirarvi su bene e sia una presenza importante e insostituibile nella vostra crescita, credo abbiate bisogno di una figura maschile...Che ci sia sempre per voi, intendo!"

Anthony non se la prese per quella puntualizzazione: d'altronde le visite di suo padre o dei coniugi Cromwell a Lakewood erano delle sporadiche chimere.

Anzi ci meditò su, accarezzò quell'idea che stava per realizzarsi, gli sembrò un aiuto insperato.

"Se tu resti qui a Lakewood non dovrò andare a studiare a Chicago..."

Rifletté a voce alta.

"Perché mai dovresti andare in Illinois? Anche in Colorado si può avere una buona istruzione!"

"Lo dici tu alla zia Elroy? Anche se..."

"Anche se..."

"Ecco...L'arcinoto ma misterioso zio William ha adottato una ragazza. Una splendida ragazza, solo che la sua condizione di orfana non va giù ai Legan e alla zia Elroy...Così la zia ha ordito l'ennesima macchinazione per tenermi lontano da Candy!"

Albert continuava a sorridere. Se solo il nipote avesse saputo che lo zio William fosse più vicino a lui di quanto immaginasse!

Se solo avesse saputo che d'ora in poi avrebbe sempre vegliato su lui e Candy!

"Candy eh?"

Le gote di Anthony si colorirono e lui si fece più vivace.

"Sì questo è il suo nome!"

"Bene! La prossima volta che tornerò a Lakewood avrò piacere di conoscerla..."

Sul viso di Anthony passò un'ombra di incertezza e di nuova delusione.

"Devo tornare a Chicago per sbrigare alcuni affari di famiglia. Ma entro il mese prossimo sarò di ritorno. Intanto potrei contattare lo zio William e chiedere di organizzare un evento speciale per presentare Candy in società!"

Un guizzo fece brillare le iridi cobalto.

"Davvero zio? Lo faresti davvero?"

"Ad una condizione!"

Anthony ascoltava impaziente.

"Che tu rinunci al tuo colpo di testa e ritorni immediatamente a casa!"

Lui sembrò vagliare quell'accordo poi, di nuovo, le forze vennero meno momentaneamente. Barcollò e si lasciò cadere su una sedia mentre Albert lo sosteneva per un braccio.

"Adesso ti accompagno dal dottor Leonard e, se sarà necessario, anche in ospedale per tutti gli accertamenti del caso. Hai preso una bella caduta..."

"Ma..."

"Niente ma: adesso è lo zio Albert che comanda!"

Riluttante Anthony si rimise in piedi: sapeva che contraddire lo zio non sarebbe servito a molto. Era abbastanza testardo per farsi obbedire.

"Possiamo chiamare a casa dallo studio del dottore? Candy sarà molto in pena per me..."

******** *******

Grazie a chi continua a seguire questa piccola storia alternativa!

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Capitolo 7
*** VII ***


Candy gli aveva parlato del suo Principe misterioso quasi per caso. Erano in giardino quando alla ragazza era caduto di tasca un medaglione: sopra vi era incisa una A.

Quello era lo stemma di famiglia e, indubbiamente, chi lo aveva perduto apparteneva agli Andrew. E forse anche al cuore di Candy...

"Questo medaglione appartiene al Principe della Collina."

Aveva esordito Candy stringendo al petto quel talismano prezioso poi, memore delle sue fantasie fanciullesche, aveva aggiunto:

"In realtà non conosco il suo nome. Sono io ad avergliene dato uno fantasioso. Ti somigliava molto...quasi come una goccia d'acqua, Anthony!"

Quell'incontro fortuito, quasi fiabesco, era avvenuto quasi dieci anni prima.

Chi tra gli Andrew aveva potuto far breccia nel cuore di Candy fin da quando era bambina, tanto che lei ne aveva serbato, gelosamente, il ricordo fino ad allora?

Questo enigma impregnava tutti i pensieri di Anthony e lo aiutava ad arginare l'ennesimo gesto di stizza che un rifiuto suo, di Candy e anche di Albert aveva provocato alla zia Elroy.

La vecchia matriarca aveva pensato ad una caccia alla volpe come occasione adatta per presentare Candy in società ma i ragazzi avevano avuto da ridire. Come al solito.

Candy si era chinata a potare un ramo e poi aveva sorriso.

"Sono felice che tu ti sia opposto con tanta veemenza alla decisione della zia Elroy di indire una caccia alla volpe!"

"Io trovo che dare la caccia a qualsiasi animale sia un gioco al massacro inutile e crudele. È una tradizione arcaica e disumana, irrispettosa della natura, che per fortuna è caduta in disuso anche in Inghilterra e in Scozia dove era assai rinomata fino al secolo scorso!"

Anthony aveva dato un colpo deciso con le cesoie mentre Candy si era seduta sui talloni e si era messa a contemplarlo con il sorriso che si allargava.

"A cosa pensi, Candy?"

"Penso a quanto i tuoi ideali siano simili a quelli di un mio amico. Albert, ti ricordi? Ti ho parlato di lui: mi ha salvato la vita quando la corrente del fiume stava trascinando via la mia canoa. Anche lui ama molto gli animali: accoglie quelli feriti e abbandonati, li cura e li sfama. "

Quel nome mise una pulce nell'orecchio ad Anthony. Possibile che si trattasse solo di una coincidenza?

Vedendolo così assorto la ragazza decise di indagare.

"Oh niente Candy! Solo che questo tuo amico somiglia molto ad un mio caro zio. E, per giunta, hanno lo stesso nome!"

Candy era scoppiata in una fragorosa risata.

"Non credo che il mio amico Albert possa essere tuo zio! Sai quando l'ho visto la prima volta ne ho quasi avuto paura: aveva l'aspetto di un orso con la sua ispida barba e con i biondi capelli lunghi. Sì aveva un'aria trasandata ma un animo davvero gentile!"

Anziché tranquillizzare Anthony quella descrizione lo gettò ancora di più in confusione.

"Comunque un giorno di questi potresti presentarmi il tuo caro zio Albert!"

"Certo. Anzi lui stesso ha espresso il desiderio di incontrarti al più presto. Sai è lui che mi ha soccorso durante la mia disperata fuga da casa!"

A quella menzione Candy si era fatta severa. Non era ancora riuscita a perdonare del tutto Anthony per quel colpo di testa improvviso e la preoccupava ancora il fatto che il ragazzo avesse passato buona parte della sua fuga in ospedale per gli accertamenti prescritti dal dottor Leonard.

"Suvvia Candy non fissarmi con quell'aria di rimprovero. Accigliata così somigli alla zia Elroy!"

Nessuno dei due intendeva mancare di rispetto alla zia ma quel paragone, così assurdo, provocò un improvviso scoppio di ilarità.

"Candy?"

La chiamò Anthony tornando serio.

"Credi che riuscirai ad incontrare il tuo Principe?"

Quella nota di delusione che ne aveva colorito la voce non sfuggì alla ragazza.

"Lo spero ma, ormai, non è più una priorità per me..."

"Beh io ti auguro di scoprirne presto l'identità. Lui è il tuo preferito tra gli Andrew e, forse, io ti sono entrato in simpatia proprio perché somiglio a lui!"

Anthony, il suo dolce Anthony era geloso di un suo sogno fanciullesco? Il cuore di Candy era pervaso da mille emozioni.

Gli si era avvicinata fin quasi a sfiorarlo e poi gli aveva sussurrato nell'orecchio:

"Tu mi piaci. Mi piaci perché sei Anthony!"

Poi gli aveva stampato un bacio sulla gota e, con il cuore in tumulto, era corsa via.

Anthony, sorpreso, emozionato, turbato, era rimasto imbambolato per dieci buoni minuti in quel medesimo punto del giardino, sfiorandosi ripetutamente la gota.

Raggiante, poi, era corso all'interno della villa. Voleva rovistare tra i vestiti della mamma, sceglierne alcuni da regalare a Candy convincendola, magari, ad indossarne uno durante il ballo che si sarebbe tenuto in suo onore.

Stava correndo lungo il corridoio deserto, dimentico delle lezioni di bon-ton della zia Elroy quando delle voci concitate provenienti da oltre una porta chiusa lo portarono a desistere e a temporeggiare.

"Ci sono state troppe mancanze di rispetto in questa casa ultimamente, William. Il problema è che voi giovani di oggi non sapete più dove stia di casa il rispetto!"

Stava tuonando la zia Elroy.

William. Quel nome catturò tutta la curiosità di Anthony.

E poi la zia aveva parlato di voi giovani : quindi il fantomatico zio William non era un burbero, bizzoso uomo anziano!

Appena sentì la porta cigolare Anthony si nascose dietro la spessa tenda che copriva una finestra e aspettò che la misteriosa figura si rivelasse.

Archi e Stear sarebbero morti d'invidia quando gli avrebbe descritto lo zio, sciogliendo finalmente il rebus.

Un uomo sulla ventina, dal portamento elegante ma dal look casual marciò con passo deciso.

Anthony non era assolutamente preparato all'identità che gli si svelò quando il rinomato zio William gli passò davanti e lo sorpassò senza accorgersi di lui.

Non era assolutamente preparato al fatto che lo zio William avesse i suoi identici occhi blu.

Non era assolutamente preparato al fatto che lo zio William e lo zio Albert fossero la stessa persona.

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Capitolo 8
*** VIII ***


Albert non riusciva proprio a spiegarsi perché Anthony avesse un atteggiamento tanto accidioso ultimamente.

Se non avesse avuto la certezza di non aver fatto alcun torto al nipote, negli ultimi tempi, avrebbe giurato che il ragazzo ce l'avesse ancora con lui.

Anche quel pomeriggio mentre si recavano dal Dottor Leonard, Anthony fu piuttosto schivo ed evasivo.

Nessuno dei due aveva dato troppa importanza alla convocazione che una delle infermiere dello studio medico aveva fatto pervenire al signor William Albert Andrew quella mattina.

Probabilmente il Dottor Leonard aveva i risultati dei test a cui Anthony era stato sottoposto dopo la caduta da cavallo e voleva condividerli e rassicurare i diretti interessati.

Una noia che Anthony avrebbe evitato più che volentieri.

Lui detestava i dottori, gli ospedali, le facce afflitte di chi deve dare una brutta notizia...Gli ricordavano l'agonia della sua mamma.

La dolce Rosemary che, in punto di morte, aveva chiamato il suo piccolo Anthony accanto a sé e gli aveva regalato un ultimo sorriso.

"Promettimi che sarai un ometto coraggioso. Non dimenticarmi mai piccolo mio!"

Lui, nonostante avesse appena sei anni, aveva capito e si era messo a singhiozzare dimentico degli avvertimenti della zia Elroy che lo aveva esortato a non dare un ulteriore dispiacere alla mamma.

"Non mi lasciare mamma!"

Si era gettato contro la bianca camicia da notte, contro quel petto ossuto al quale tante volte si era stretto sentendosi protetto, in un ultimo disperato tentativo di tenere con sé la sua mamma.

"Non mi perderai Anthony. Io sarò sempre qui, nel tuo cuore. Sarò nelle rose del nostro giardino. Sarò con te nei momenti belli e in quelli brutti."

Lo sforzo l'aveva spossata e il signor Brown aveva allontanato il bambino dal capezzale della morente. Anthony però non aveva mai più dimenticato la pelle nivea della mamma e i lunghi capelli biondi sparsi sul cuscino.

Quell'immagine diafana gli era riapparsa nitida mentre il Dottor Leonard si sedeva alla scrivania e gli destinava uno sguardo greve.

Lo stesso penoso e doloroso con cui i medici avevano messo Rosemary innanzi al suo destino, dieci anni prima.


Anthony era rimasto impassibile, quasi indifferente, mentre lo zio Albert aveva preso a tempestare il dottore di domande.

Non aveva registrato il "Coraggio, sei un ragazzino forte!" con cui il dottor Leonard aveva cercato di ritemprarlo e, quasi come un automa, si era lasciato sostenere da Albert e guidare fuori dallo studio medico.

Si era lasciato cadere su una panchina lì vicino rimanendo inespressivo. Albert, istupidito al pari di lui ma conscio di dover mantenere la lucidità necessaria ad incoraggiarlo, decise di concedergli i suoi tempi.

"Candy non deve saperne niente. Nessuno deve saperlo!"

Anthony si era voltato verso suo zio con inaudita risolutezza.

"Non puoi affrontare tutto da solo."

"E se io non volessi affrontare un bel niente?"

Era spaventato, confuso, inebetito. E quella reazione e quel rifiuto sembrarono comprensibili ad Albert.

"Anthony lo so che è un duro colpo. Nessuno di noi due era preparato a ricevere una notizia simile ma credo che tenere la cosa segreta sia la peggiore delle soluzioni possibili. Candy vorrà sapere. Quella ragazzina è molto affezionata a te e, magari, la sua vicinanza non potrà farti altro che bene!"

Sul viso di Anthony era passata un'ombra rabbiosa. Aveva serrato i pugni e poi si era alzato di scatto.

"Candy ama te. È te che vuole, non me!"

Aveva urlato per poi correre via lasciando Albert senza parole. Per la seconda volta in quella giornata da incubo.


****** **********

Il mistero si infittisce e io infierisco su questi poveri personaggi. Ora dopo aver lanciato la bomba ritiro la mano...E sparisco per un po' non prima di aver ringraziato chi continua a leggere, seguire e recensire questa storia.

A presto.

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Capitolo 9
*** IX ***


Era scoppiato un violento temporale e starsene rintanati al calduccio, magari sorseggiando una fumante cioccolata, era il miglior antidepressivo contro quella giornata uggiosa.

Candy si era seduta sulla panca vicino al caminetto mentre Anthony, seduto a pochi centimetri da lei, fingeva di fare delle ricerche su internet.

La ragazza cercava di concentrarsi sul suo libro ma, ad ogni rigo letto, distoglieva l'attenzione dal romanzo per concentrarsi su Anthony.

Erano un paio di giorni che lui le sembrava diverso, scontroso per certi versi, e non riusciva a credere che fossero solo gli attriti con la zia Elroy a renderlo tanto di cattivo umore.

"Vuoi chiedermi qualcosa, Candy?"

Accortosi di essere osservato, Anthony si era disconnesso, arrestando il portatile. Tanto per quel giorno non sarebbe riuscito a combinare niente di buono.

Anche Candy lo imitò chiudendo il suo libro.

"Sei strano!"

Commentò sincero. Lui sorrise e coprì i pochi passi che li separavano per poi inginocchiarsi accanto a lei.

"Non è niente. Non devi preoccuparti, Candy!"

Minimizzò prendendo un pezzo di legno per attizzare al fuoco.

"Se è per la zia Elroy..."

"Forse la zia Elroy ha ragione. Forse mi farà bene andare a stare per un po' di tempo con lo zio William a Chicago!"

Poiché, fino a due giorni prima, quello stesso ragazzo aveva fatto il diavolo a quattro pur di non allontanarsi da Lakewood, a quell'improvviso cambio di registro dalle labbra di Candy uscì un meravigliato:

"Oh..."

Anthony le accarezzò i morbidi codini biondi e poi, quasi che non potesse resisterle, l'abbracciò con impeto facendola irrigidire in quella manifestazione d'affetto così eclatante.

"Guarda, guarda che delizioso quadretto. Il ragazzo aristocratico che flirta con la stalliera: la zia Elroy non sarà certo contenta di essere informata di questa scandalosa liaison che si sta consumando sotto il suo naso!"

La risata sardonica di Iriza portò Anthony a staccarsi prontamente da Candy e lei ad arrossire di imbarazzo e di rabbia per quei continui accanimenti dei Legan verso di lei. Accanimenti che stavano davvero iniziando a stufarla.

"C'è solo una cosa che può rendere questa giornata ancora più tetra ed è la tua presenza, Iriza!"

Anthony, dimentico di tutta la tolleranza avuta in passato, non poté risparmiarsi quel commento acido.

"Non preoccuparti caro cugino, la mia presenza non ti opprimerà ancora per molto. I nostri genitori hanno deciso di mandare me e Neal a Londra per approfondire i nostri studi. Un esperienza all'estero, per dei rampolli di una famiglia prestigiosa come la nostra è d'obbligo. Anche lo zio Robert e la zia Ellen insistono perché anche Archie e Stear facciano questo percorso di studi. Sono certa che lo zio Vincent disporrà gli stessi ordini alla zia Elroy. "

A questo punto Iriza si era avvicinata ad Anthony prendendolo sottobraccio, sogghignando.

"A quanto pare non ti sarà così difficile liberarti di me, caro Anthony. Andremo a studiare insieme in Inghilterra..."

Lanciò un'occhiata maligna a Candy.

"Un vero peccato che delle insulse sciacquette come te, mia cara, non siano ben accette nei facoltosi college inglesi!"

Con uno strattone deciso, Anthony si liberò degli artigli di quell'arpia.

"Non è Vincent Brown che può impormi di andare in Europa. Io andrò a studiare a Chicago, anche se la cosa non ti riguarda Iriza. E, un'ultima cosa: tieni Candy fuori dai tuoi sproloqui d'ora in poi. Un'altra parola offensiva verso di lei e io..."

Iriza sbuffava come un treno a vapore per la rabbia. Perché Anthony finiva per essere sempre il paladino di quell'insignificante orfanella?

Candy invece aveva allungato le mani verso Anthony come a volergli far notare qualcosa.

"Anthony stai perdendo sangue dal naso..."

Mentre Iriza faceva un balzo indietro schifata, il ragazzo si portò una mano sotto le narici per poi ritirarla e osservare, interdetto, i polpastrelli delle dita intrisi di sangue.

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Capitolo 10
*** X ***


"Aspetta ti cerco un fazzoletto!"

Candy si era adoperata, prontamente, per cercare di tamponare l'emorragia di Anthony mentre Iriza se ne era restata come una statua di sale, schifata alla vista del sangue.

"Lascia stare. Faccio da me!"

Anthony, però, aveva rifiutato l'aiuto della ragazza ed era scappato via.

Non voleva imbattersi nella zia Elroy e nelle sue domande martellanti.

Non voleva chiedere aiuto al personale domestico e incappare nella loro invadente curiosità. Dare adito a pettegolezzi era l'ultima cosa che desiderava.

Decise di isolarsi nell'ala della casa dove, di solito, soggiornava lo zio William almeno finché l'epistassi non si fosse ristagnata.

Albert s'imbatté nel nipote quasi per caso. Era stato a fare una passeggiata per schiarirsi le idee e per trovare un po' di conforto nella compagnia dei suoi amici animali e, rientrato, aveva deciso di mettersi alla scrivania e occuparsi di alcune faccende di famiglia.

Se non altro quelle noie burocratiche lo avrebbero aiutato a distrarsi dal pensiero di Anthony.

Non si aspettava proprio di trovare il ragazzo rannicchiato in un angolo dello stanzone, con le spalle schiacciate contro la spessa parete.

Premeva sul naso una pezzuola.

"Anthony cosa ti è successo? Fa un po' vedere!"

Albert si era chinato su di lui accorgendosi di quale fosse il problema.

"Tieni la testa in basso. Io vado a cercarti un batuffolo di cotone!"

Pochi istanti dopo ricomparve con l'occorrente e anche con un sacchetto di ghiaccio istantaneo da applicare sulla fronte del ragazzo.

"Piccolo trucchi di primo soccorso che fanno sempre comodo quando si è in viaggio per il mondo!"

Sorrise Albert mentre l'emorragia, finalmente, si arrestava.

"Credi che starò sempre peggio?"

Finalmente Anthony aveva trovato il coraggio di fare a voce alta quella domanda sulla quale rimuginava da giorni.

"No se ti farai curare. So che non ti fa piacere sentirlo ma credo che sia doveroso informare tuo padre..."

Anthony si era alzato di scatto.

"Lascia fuori mio padre da questa storia. Lui non ha mai voluto saperne niente di me e non vedo perché debba interessarti ora..."

"Anthony potrebbe servire il suo consenso per..."

"No!"

Albert decise di non insistere. Contrariare ancor di più il ragazzo sarebbe servito solo ad intestardirlo ulteriormente.

"Allora verrai con me a Chicago. Il dottor Leonard ha contattato quel suo collega, il dottor Morgan, ed è riuscito a farci avere un appuntamento per la prossima settimana. Ti visiterà che tu voglia o meno!"

Era la prima volta che Albert si comportava in maniera così autoritaria ma a mali estremi, estremi rimedi.

Inaspettatamente Anthony non protestò. Anzi sembrò addirittura accondiscendente.

"E va bene verrò con te ma ad una condizione!"

"E sarebbe?"

"Voglio che tu mandi anche Candy a studiare a Londra!"

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Capitolo 11
*** XI ***


Candy era disorientata. Il tetto a punta dell'edificio che ospitava i terminal dell'aeroporto internazionale di Denver finalmente fugò tutte le incertezze degli ultimi giorni.

"Eccoci arrivati signorina Candy. Sa questo tetto ha questa strana forma perché dovrebbe ricordare i picchi innevati delle Montagne Rocciose!"

Spiegò George, svoltando al posto di guida, vedendola particolarmente colpita dalla struttura.

"Fu la Massoneria americana a finanziare la costruzione di questo aeroporto e, quando entreremo all'interno, potrà scorgere uno strano murales che lo ricorda."

Continuò l'uomo mentre Candy si faceva piccola, piccola sul sedile posteriore.

Ci fossero stati almeno Archie e Stear a condividere con lei quella nuova avventura! Ma i due fratelli erano partiti per l'Europa già da due giorni: i loro genitori si trovavano in Inghilterra per affari e li avevano mandati a chiamare in anticipo.

E a loro non era restato che fare le valigie ed obbedire.

Candy, al contrario, le aveva provate tutte per sovvertire quel nuovo, strano, ordine che lo zio William aveva fatto pervenire alla villa per lei.

Aveva parlato alla zia Elroy, con scarsi risultati, di libero arbitrio e possibilità di scegliere, aveva minacciato di tornarsene alla Casa di Pony e, quando aveva messo in atto il suo proposito, era stata accolta da un ceffone di suor Maria che l'aveva definita un po' capricciosa, per poi aggiungere che un giorno sarebbe stata grata al signor William Andrew per la grande opportunità che le stava offrendo. Ma a deluderla profondamente era stato Anthony.

Non solo non l'aveva appoggiata in quella sua ribellione alle imposizioni, di cui entrambi erano nemici, ma addirittura sembrava compiaciuto che lei se ne andasse tanto lontano.

Così il loro proposito di cambiare insieme gli Andrew era stato solo parole campate in aria.

"Vieni anche tu, Anthony. Partiamo insieme."

Lo aveva allora implorato Candy.

"Io andrò a Chicago!"

"Allora vengo anche io. Ci sono ottime scuole anche lì, perché devo andare a Londra!"

A quel punto Anthony aveva ritratto la mano che Candy teneva nella sua.

"Basta. Ti stai comportando come un'egoista bambina viziata. Sai quante ragazzine americane farebbero carte false per essere al tuo posto? Sei un'ingrata Candy!"

Quell'attacco ingiustificato l'aveva spiazzata. Si era allontanata con le lacrime agli occhi e benché Anthony le avesse chiesto scusa tra di loro qualcosa si era rotto. E quando quella mattina il giovane Brown era sceso in cortile per augurarle buon viaggio, il loro saluto era stato piuttosto freddo.

Ora Candy se ne rammaricava. Anthony nelle ultime settimane era stato un ragazzo diverso, molto lontano dal gentile e dolce Anthony di cui si era innamorata.

Forse era stata lei a voler a tutti i costi una favola e non aveva mai fatto caso ai difetti di Anthony. Fino ad allora.

George aprì il portabagagli e prese le valigie da imbarcare.

"L'accompagnerò fino al gate e attenderò che lei salga sull'aereo signorina. Ho l'incarico di badare alla sua persona finché non sarà in volo."

Candy sorrise stringendosi nel cappotto: si sentiva importante nonostante tutto.

"Lei è molto caro George."

"La mancanza della sua allegria si farà sentire non poco a Lakewood!"

Candy tastò nella tasca del soprabito e ne estrasse una piccola confezione.

"Anche voi mi mancherete molto. Puoi farmi un favore? Quando ritorna può dare questa al signorino Anthony da parte mia. Sa non ci siamo lasciati troppo bene..."

"Capisco!"

L'autista prese l'involucro e non indagò oltre: la discrezione e la riservatezza era una dote indispensabile nel suo lavoro.


Dopo aver sbrogliato tutte le procedure di imbarco ed aver salutato George, non senza concedersi qualche lacrima, Candy raggiunse la passerella sulla quale salire sull'aereo.

Non ci sarebbero stati ritardi.

Cercò il suo sedile e iniziò a chiedersi chi si sarebbe trovato come vicino di viaggio.

Le novità degli ultimi giorni erano state così repentine e scombussolanti che, fino ad allora, le era parso di vivere in una realtà nebulosa.

Ora invece stava realizzando che era tutto vero. Stava andando a Londra!

Finalmente raggiunse il posto contrassegnato sul suo biglietto: le spettava quello vicino all'oblò. Peccato che un ragazzo, poteva essere poco più grande di lei, dai capelli castani lunghi fino alle spalle fosse placidamente addormentato sul sedile che avrebbe dovuto occupare lei.

Candy si schiarì la voce e poi fece con voce ferma:

"Mi scusi temo ci sia stato un errore!"

Lo sconosciuto si ridestò e Candy restò disarmata da quegli occhi blu: molto simili a quelli di Anthony.

Per la sorpresa lei non fu capace di continuare se non con imbarazzati balbettii.

"Che c'è tutta Lentiggini il gatto ti ha mangiato la lingua?"

Rise lo sconosciuto. Una risata irriverente.

Se non fosse stata tanto incollerita da quel maleducato, certamente, Candy avrebbe ammesso che era un ragazzo affascinante. Invece pestò i piedi e rivendicò ciò che le spettava.

"Ad ogni modo le sarei grata se liberasse il mio posto...signore!"

Calcò su quel signore come se in realtà volesse dire villano.

"Non scaldarti così tanto Tutte Lentiggini. Di solito questi voli sono semideserti e nessuno fa storie se si preferisce un posto ad un altro. Voilà madamigella...il posto è tutto vostro!"

Si alzò, fece passare Candy e poi le si sedette di fianco.

Il volo verso Londra sarebbe stato lungo. Molto lungo.

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Capitolo 12
*** XII ***


Il dottor Morgan lo aveva annoverato tra i sintomi ma Anthony sapeva bene che quel dolore al petto era da imputare esclusivamente al suo ostinato altruismo verso Candy.

Certo avere quella ragazzina sempre positiva e fiduciosa con lui, a Chicago, sarebbe stata una bella iniezione di coraggio per tutto ciò che avrebbe dovuto affrontare.

Ma Candy era a migliaia di chilometri di distanza da lui in quel momento e benché gli sarebbe bastato scioccare le dita per riportarla in America non poteva. Non poteva costringere Candy all'infelicità.

La sua piccola amica ne aveva passate già abbastanza nella sua giovane vita e l'ultima cosa che voleva era costringerla ad assistere al suo deterioramento, a confrontarsi con la malattia e, nella peggiore delle ipotesi, con la morte.

La gioviale ed espansiva Candy aveva bisogno di respirare vita, di preoccuparsi di studiare e di farsi nuovi amici in Inghilterra. Aveva bisogno della serenità necessaria per essere un adolescente spensierata.

E allontanandola da lì, da lui, Anthony le aveva dato l'opportunità di assaporare quello spaccato di vita normale che nessuno di loro due aveva mai conosciuto.

Un po' la invidiava ma, soprattutto, ne era geloso. Non sapeva come avrebbe reagito se Candy si fosse innamorata di qualcun altro e, soprattutto, non si riteneva capace di rinunciare a lei completamente.

Stava pensando a questo, sdraiato sul divano della villetta di Chicago, stringendo tra le mani la croce della felicità che George gli aveva consegnato da parte di Candy.

"Questo che può sembrare un simbolo di pena e di tormento è stato, in realtà, emblema di molti momenti significativi per me. Mi è stata regalata dalle mie mamme alla Casa di Pony e mi ha sempre protetta fino ad oggi. Oggi, però, voglio che sia tua Anthony caro. Spero che ogni volta che la guarderai penserai a me con piacere.

E spero che tu voglia presto parlare con me come un tempo. Sono addolorata per il modo in cui ci siamo salutati.

Tua Candy."

Questa piccola missiva, arrangiata su un cartoncino di fortuna, accompagnava quel dono inaspettato.

Anthony la strinse al petto immaginando di sentire ancora il profumo di Candy.

Albert, rientrando, lo trovò in questo stato di estasi.

"Tutto bene Anthony? Vuoi un'altra coperta?"

Il dottor Morgan aveva spiegato che problemi della circolazione sanguigna, così come capogiri, epistassi e fiato corti erano tutti sintomi della condizione di Anthony.

Coartazione dell'aorta.

Ad Anthony era sembrato un parolone la prima volta che aveva sentito la diagnosi.

Poi aveva sentito Albert chiedere perché non si fossero accorti prima di questa malformazione, magari quando era bambino. Allora il dottor Morgan aveva parlato di entità limitata alla nascita che era peggiorata con la crescita.

Certo sarebbe stato necessario eseguire altri esami, più che per scrupolo che per certezza, ma l'unica terapia possibile si prospettava essere un intervento chirurgico.

"Sono a posto così zio. Grazie."

Albert si sedette accanto al nipote e gli massaggiò un piede scoperto.

"Sei gelato. Vado a prenderti un paio di calzini."

"No resta un po' con me. Ti va?"

Lo zio William si risedette sul morbido cuscino accorgendosi della croce che il ragazzo stringeva ancora.

"Me l'ha data Candy."

Spiegò senza che gli venisse chiesto nulla. Aveva bisogno di sfogarsi e Albert era la persona giusta.

"Stavi pensando a lei quando sono arrivato?"

Anthony annuì.

"Penso sempre che sia stata una mossa stupida e avventata mandarla via. Candy ha il diritto di sapere e di decidere da sola se restarti accanto o..."

"No. Credi che sia stato semplice per me convincerti a mandarla via, a comportarmi con lei in modo tanto spregevole? Eppure l'ho fatto, l'ho fatto per lei..."

"E tu credi che te ne sarà grata quando verrà a conoscenza della verità? Anthony a volte crediamo di poter proteggere qualcuno e finiamo per ferirlo. E per ferire noi stessi. Ed è quello che stai facendo tu comportandoti in questo modo."

"Non mi importa molto di me ma non voglio che Candy mi resti accanto per pietà."

Quella recriminazione era in assonanza con la convinzione che Candy si fosse infatuata di lui perché somigliante a qualcun altro.

Ricordando l'accusa che Anthony gli aveva rivolto qualche settimana prima, Albert decise di indagare.

"Posso sapere una cosa?"

Anthony lo fissò.

"Perché quel giorno, in quel momento di rabbia, mi hai urlato che Candy ama me? Insomma io sono sempre stato solo un buon amico per lei... Senza contare che legalmente sono suo padre. Il mio compito è proteggerla..."

Anthony si appoggiò ai cuscini.

"Ricordi quando stavamo entrambi con mia madre per ore intere in giardino? Tutti ci scambiavano per fratelli. E quando sono cresciuto tutti mi ripetevano che somigliavo sempre di più allo zio Albert. Avevano ragione: se tu avessi qualche anno in meno saremmo due gocce d'acqua."

"Non capisco dove tu voglia andare a parare, Anthony."

Allora il ragazzo estrasse il medaglione di famiglia. Quello con lo stemma degli Andrew inciso sopra.

"Ne avevi uno identico anche tu, vero?"

"Certo. Ne ha uno ciascun membro della famiglia. Soltanto che il mio l'ho perso molto tempo fa..."

"Lo hai perso mentre vagavi tra i boschi di Lakewood suonando la cornamusa e indossando il kilt tessuto con il tartan di famiglia. Quella era la tua provocazione per ribellarti alla zia Elroy lo ricordo bene. E ti ammiravo anche. Il tuo medaglione l'ha trovato una bambina. La ricordi? Era stesa sull'erba e piangeva..."

Come ricordando un vecchio sogno ad Albert apparvero, ad un tratto, nitide le scene di quel giorno lontano.

"Si era una bimbetta bionda, molto carina. Mi chiese se ero un principe e disse che il suono della mia cornamusa sembrava lo stridere di tante lumache."

Rise Albert ricordando con affetto la sua adolescenza e quella bambina alla quale non aveva più pensato da allora.

"Ma tu come fai a sapere tutte queste cose?"

"Quella bambina abitava alla Casa di Pony. Ha accettato di farsi adottare dai Legan perché ha riconosciuto lo stemma degli Andrew sulla loro automobile, è rimasta colpita da me perché somigliavo al suo principe. Principe della collina lo chiamava. Quella bambina è Candy, zio. E non ha mai smesso di pensare a te."


******** *******

Ringrazio chi continua a leggere e a recensire questa storia.

A voi tutti faccio i migliori auguri per un sereno Natale.

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Capitolo 13
*** XIII ***


Abituarsi alle grigie e uggiose giornate londinesi non era stato facile per Candy.

Oltre al clima dell'austera Inghilterra la giovane Andrew faticava, non poco, a farsi piacere le regole e le imposizioni del prestigioso collegio dove l'aveva mandata a studiare lo zio William.

Solo la scoperta di quello spazio insperato, di quel piccolo poggio che tanto le ricordava la cara Collina di Pony mitigava la nostalgia di casa e le regalava qualche momento nel quale poteva tornare la vivace e libera ragazzina che era stata.

Quella domenica, approfittando del pomeriggio di riposo concesso a tutti gli allievi, si era recata in quel luogo appartato e verdeggiante per restare da sola con i suoi pensieri.

L'assenza di notizie dall'America, il fatto che le sporadiche telefonate che era riuscita a fare fino a Lakewood erano state intercettate e le era stata rifiutata la richiesta di parlare con chicchessia degli Andrew la impensierivano parecchio.

E a farle sembrare la situazione sempre più ingarbugliata era stato il confrontarsi con Archie e con Stear e capire che anche a loro il comportamento di Anthony sembrava anomalo.

"Oh Anthony cosa stai combinando?"

Sospirò affidando quella domanda al vento. Poi, come ricordando la frase tanto dolce che l'amico le aveva sussurrato spesso, scacciò i cattivi pensieri e sorrise.

Quindi, con ritrovato spirito combattivo, prese ad arrampicarsi sui rami del ciliegio al cui tronco era stata poggiata fino ad allora.

Non seppe quanto tempo restò a rimirare il paesaggio circostante o se, addirittura, si addormentò. Fu il suono di un'armonica a bocca a riportarla alla realtà.

Si sporse per accorgersi di non essere più sola. Seduto sotto il ciliegio c'era un ragazzo, lo stesso ragazzo con il quale si era scontrata sull'aereo. Probabilmente anche lui si credeva solo, solo con la sua musica struggente.

Candy si accorse che stava piangendo e la cosa la stupì. Il ragazzo era un compagno di scuola ribelle e insofferente alle imposizioni quanto e più di lei: il suo nome era Terence Granchester ed era additato da molti come cattivo ragazzo.

Fu proprio la meraviglia di scoprirlo così sensibile e capace di emozionarsi che fece perdere l'equilibrio a Candy e la fece capitolare a terra.

"Ahi che ruzzolone!"

Borbottò massaggiandosi la schiena. Terence, preso alla sprovvista, si era alzato di scatto.

"Cosa ci facevi appollaiata lì sopra come un falco? Le ragazze per bene non dovrebbero arrampicarsi sugli alberi come delle scimmie!"

"Beh tante grazie dei nobili paragoni animali. Comunque non è affar tuo cosa ci facessi lì sopra. Questa è la mia collina!"

Rivendicò Candy con cipiglio fiero.

"Tsè la tua collina! Questo è uno spazio pubblico ed io ero venuto qui per starmene un po' per conto mio. Perciò leva le tende Tarzan tutte lentiggini!"

Candy era davvero indignata nel sentirsi sbeffeggiare a quel modo.

"Come mi hai chiamato, organettista da strapazzo? Ti faccio presente che ero qui molto prima di te!"

"Ah quindi mi stavi spiando? E poi questa è un armonica non un organetto!"

La provocò Terence con quella sua aria spavalda e canzonatoria.

"Non me ne importa un accidente di quello che è. Comunque ho cose più importanti da fare che starmene qui a parlare con uno zotico come te."

Anziché prendersela, Terence scoppiò in una risata cristallina che lasciò Candy perplessa.

"Ti rendi conto di quanto siamo stupidi? Stiamo litigando per un pezzo di terra. E poi tu sei proprio buffa con la divisa tutta impolverata e sporca di terriccio cara Tarzan!"

Sentendosi ridicola anche l'aria irosa di Candy lasciò il passo ad un riso fanciullesco.

"Ecco, vedi: sei quasi bella quando ridi!"

A quell'accenno di complimento Candy ebbe un sussulto: quella frase gliene aveva ricordato un'altra. Quel sei più carina quando ridi che tempo prima le avevano rivolto il Principe della Collina ed il suo Anthony.


*** ******

Un augurio per un nuovo anno ricco di gioia, di soddisfazioni e di desideri che si possano realizzare a tutti i lettori!

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Capitolo 14
*** XIV ***


Era rimasta affascinata da quell'enorme ritratto, che ricopriva una parete intera, fin dalla prima volta che aveva messo piede alla Saint Paul.

Quella giovane donna, dal sorriso appena accennato, ma dalla postura elegante nelle sue pompose vesti di fine ottocento, aveva qualcosa di misterioso e di intimidatorio al contempo.

Candy, nonostante quello sguardo altero che la fissava da un'altra epoca, sentiva una certa affinità, una sorta di ammirazione per quella sconosciuta. A sorprenderla era il fatto che la giovane fosse stata rappresentata in sella ad uno splendido cavallo bianco che la faceva tanto principessa.

Probabilmente era stata una donna colta e facoltosa, una filantropa o, probabilmente, la capostipite della prestigiosa scuola londinese.

Con i piedi incrociati e con le spalle ben dritte contro la sedia dalla spalliera scanalata della biblioteca, anche quel giorno Candy scrutava la figura enigmatica alla ricerca di risposte che tardavano a venire. Gli eventi che si susseguivano, infatti, non facevano che acuire la sua confusione.

La zia Elroy era volata in Gran Bretagna. Per occuparsi di affari di famiglia era stata la motivazione ufficiale.

Il viaggio nel Vecchio Continente avrebbe portato, come conseguenza automatica, un saluto ai diletti nipoti. Candy non essendo né particolarmente cara, né particolarmente amata dalla maggior parte degli Andrew era stata esclusa dalla felice rimpatriata di famiglia.

Così mentre Archie, Stear, Neal e Iriza erano in una stanza attigua a spartirsi i regali, le ultime notizie da casa, i rimproveri e i velati gesti di affetto della zia, Candy era stata relegata in biblioteca perché finisse i suoi compiti.

"Non posso certo fargliene una colpa. In fondo la zia Elroy è rimasta coerente al suo pensiero: non può soffrirmi e non c'era motivo perché venissi convocata anche io all'incontro tra lei e gli altri ragazzi. Su Candy non te la prendere..."

Cercava di superare l'ennesima mortificazione, pensando a voce alta, con il viso schiacciato su una mano e una penna tra le labbra.

Eppure una parte di lei avrebbe tanto desiderato quell'incontro, avrebbe tanto voluto che la zia portasse notizia da Lakewood, notizie da Anthony...

"La biblioteca è un deposito di libri non di sonno arretrato!"

Una voce irriverente e canzonatoria, una voce alla quale stava iniziando ad abituarsi, fece sussultare Candy facendole scivolare dalla bocca la penna.

"Terence..."

Ci mise poco a sostituire l'espressione sorpresa da una incavolata.

"Beh anche la chiesa è un luogo dove ci si riunisce per pregare e non per dar spettacolo facendo i sovversivi!"

Si vendicò accennando a quell'episodio, che suor Gray aveva definito deprecabile accaduto la mattina prima e che aveva avuto Terence per protagonista.

Terence le si avvicinò spavaldo e, con sfrontatezza, le mise una mano sotto il mento sollevandolo.

Candy ebbe l'istinto di ritrarsi. Non era come quando avevano bisticciato sulla collina.

Terence era tormentato, sprezzante, e aveva uno strano odore addosso. Candy avrebbe anche potuto dire che era ubriaco.

"Da quand'è che sei così interessata alle messe cantate e ai rosari di Sorella Gargamella?"

La ragazza scattò in piedi facendo un passo indietro. Sebbene Suor Gray non stesse particolarmente simpatica nemmeno a lei, non vedeva il motivo di oltraggiarla a quel modo.

"Terence come puoi usare un linguaggio tanto offensivo verso una religiosa?"

Lui sorrise beffardo e le si avvicinò, di nuovo, pericolosamente.

"Io faccio quello che mi pare, non devo chiedere il permesso a nessuno!"

"Ah no?"

"No"

Terence le passò una mano tra i biondi capelli, con un tocco dolce e possessivo al contempo. Un tocco estraneo a Candy.

"Ad esempio in questo momento ho una voglia matta di baciarti!"

Prima che potesse realizzare, le labbra di Terence erano premute a ventosa sulle sue. E quando il manrovescio le partì, per reazione alla sorpresa e allo sdegno, era troppo tardi.

Suor Gray e la zia Elroy erano sulla porta e avevano assistito alla scena.


****** *******

Grazie a chi continua a seguire questa storia.

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Capitolo 15
*** XV ***


Passeggiare per il Lincoln Park ritemprava Albert e gli dava sempre un po' di serenità: era in quello spazio verde che raccoglieva le idee quando aveva bisogno di restare da solo con i suoi pensieri.

Stare tra orsi bruni, rinoceronti neri, oritteropo e altre specie animali curiose ospitate nel grande parco lo faceva sentire bene come quando aveva lavorato come guardiano negli zoo. A Londra, in Africa, nel suo girovagare per il mondo.

Ripensò con grande nostalgia a quei tempi, a quella vita sregolata e senza obblighi, senza decisioni difficili da prendere. Allora era solo un ragazzo in cerca di avventure e di scoperte ma adesso, adesso che era il capofamiglia degli Andrew, doveva essere un uomo di polso. E non sapeva se ne sarebbe stato capace.

La zia Elroy era rientrata dal suo viaggio in Europa con un'espressione più arcigna del solito e gli aveva propinato la solita tiritera di quella ragazzina poco raccomandabile, porta guai, che si era ostinato a mettersi in casa.

Ma era stata quella rivelazione, quell'accusa che la zia aveva rivolto con astio a Candy:

"Una ragazzina di buona società, come la nostra Iriza, non scivolerebbe mai a commettere simili bassezze: baciare un ragazzo, in più davanti alla Madre Superiora...In quel momento avrei tanto voluto disconoscere quell'orfanella. D'altronde non si può trasformare il buio in luce..."

Albert era rimasto così spiazzato da quella rivelazione da non riuscire a trovare nulla di sensato con cui frenare la collera di Elroy.

E ora che, finalmente, aveva del tempo per riflettere tutti gli oneri che lo avevano sopraffatto negli ultimi tempi si facevano sentire in tutta la loro pesantezza.

Più ci pensava, più si convinceva che non sarebbe riuscito a gestire da solo la malattia di Anthony, l'operazione, la riabilitazione...

Forse avrebbe dovuto chiedere l'intervento della zia Elroy. La logica gli suggeriva di prendere il telefono, chiamare Vincent Brown e pregarlo di tornare presto a casa perché suo figlio aveva bisogno di lui. Ogni buon senso però andava a farsi benedire appena digitava il primo numero sulla tastiera: aveva fatto delle promesse ad Anthony e tradirle avrebbe significato perdere la fiducia del nipote.

E se Anthony avesse avuto ragione? In fondo, dopo la morte di Rosemary, Vincent si era completamente disinteressato di suo figlio...

E se Anthony ci avesse visto giusto anche su Candy? Forse allontanarla, permetterle di vivere la sua vita, era la scelta migliore che potesse fare per lei. A detta della zia Elroy la ragazza provava interesse per un altro studente e, magari, questo l'avrebbe aiutata a crescere, a scoprire l'amore, a concentrarsi su cose belle.

Ma se, da un lato, Albert era lieto che la sua figlia adottiva vivesse simili esperienze, dall'altro era enormemente preoccupato per Anthony. Come avrebbe reagito il suo cuore già malandato alla prospettiva di perdere per sempre Candy? Un turbamento simile era l'ultima cosa che gli ci voleva e, forse, per il momento era meglio tacere l'accaduto al giovane.

Albert però voleva vederci chiaro. Non gli piaceva vivere nella menzogna, stare nell'ombra come, per tanti anni, gli aveva imposto la zia Elroy.

C'era un'unica strada, pericolosa, per fare chiarezza. Anche se questo avrebbe significato tradire l'ennesima promessa e rivelarsi.

"Benedetti ragazzi. Mi farete venire i capelli bianchi prima del tempo!"

Disse tra sé e sé fronteggiando lo sguardo diffidente di un Manul.


Quando tornò a casa fu piacevolmente sorpreso di trovare Anthony in giardino. Lo aveva visto trascinare nella completa apatia giornate intere e, ora, era compiaciuto dal fatto che avesse deciso di dedicarsi al giardino.

"Cosa fai di bello?"

Chiese con voce sommessa poiché, per un secondo, aveva rivisto l'esile figura di Rosemary piegata a strappare erbacce.

"Libero le piante da questa malerba che le infesta e impedisce loro di respirare. Moriranno se nessuno fa questo lavoro. Non hai qualcuno che se ne occupi? Questo giardino è piuttosto trascurato!"

Commentò Anthony con una nota di rimprovero, continuando a lavorare alacremente. Albert notò che era tutto sudato e bionde ciocche imperlate gli si erano appiccicate sulla fronte.

"George ha già tante incombenze, mi sembrava troppo chiedergli di fare anche il giardiniere. Mi fa piacere se tu te ne vorrai occupare ma non affaticarti troppo!"

Anthony si passò una mano sulla fronte e poi sorrise.

"Sto bene, zio. Non preoccuparti!"

Quel repentino cambio d'umore, quella serenità accennata, non convincevano del tutto Albert. Si appoggiò contro la staccionata e studiò il nipote qualche minuto prima di parlare.

"Senti Anthony: io domani devo partire!"

Il ragazzo levò le iridi cobalto in cerca di ulteriori indizi e di rassicurazioni.

"Si tratta di lavoro: devo incontrare alcune persone importanti."

"Tornerai in tempo per...Per la mia..."

Anthony ingoiò a vuoto perché non voleva assolutamente pensare all'intervento, ormai, imminente.

"Certo. Ci sarò per la tua operazione: non ti lascio solo. In questi giorni in cui sarò assente potrei chiedere alla zia Elroy di venire a stare con te."

"No, per favore. Lasciami con George. O se vuoi che lui venga con te lasciami solo. Ma non con la zia."

Albert sorrise.

"A proposito: dov'è che vai?"

Quella domanda quasi scontata, che avrebbe dovuto mettere in conto, mandò in panico Albert. Per qualche secondo fu incapace di mentire.

"Non è che hai intenzione di andare a Londra, vero? Albert se fai una cosa di queste, se solo ti azzardi a dire una parola a Candy, non vorrò vederti mai più. Per me sarai morto!"

Non scherzava. Era estremamente serio nel rivolgergli quella minaccia.

Albert però non ne fu intimorito. Avrebbe corso il rischio.

Per salvarlo. Per salvare il suo caro Anthony.

"Vado solo a New York. Non varcherò nemmeno i confini degli Stati Uniti: è una promessa."

In fondo le promesse erano fatte per essere infrante.


**** ****

Grazie a chi continua a seguire e recensire la storia. Chiedo scusa per il ritardo nell'aggiornamento.

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Capitolo 16
*** XVI ***


William Albert Andrew e Terence Grandchester si erano conosciuti per caso, una sera in un pub di Londra.

Il giovane rampollo degli Andrew era stato immediatamente colpito dall'espressione tormentata del giovane ragazzo inglese e, per un po' di tempo, se ne era rimasto sul suo sgabello a guardarlo tracannarsi diversi boccali di birra.

Quando Terence si era alzato in piedi, barcollante, Albert si era avvicinato.

"Pago io!"

Aveva estratto il portafogli e saldato il conto e, prima che Terence potesse replicare, lo aveva trascinato fuori.

Forse era stato l'alcol a renderlo più loquace, a fargli tirar fuori tutti i tormenti che, dato il suo carattere, era restio ad esternare eppure a Terence era venuto spontaneo raccontare la sua vita a quel perfetto estraneo.

Gli aveva raccontato di essere mal sopportato dal padre e dalla sua matrigna. Di tutte le angherie psicologiche che aveva subito quando era bambino.

Gli aveva raccontato di voler fare l'attore come sua madre, ma di non voler fare la fine della donna. Era stato però attento a non rivelare il nome della mamma ed Albert non aveva insistito per approfondire.

"Al diavolo la Saint Paul...Io in quella scuola di fighetti e di figli di papà non ci torno!"

Aveva sentenziato il ragazzo e il dubbio che fosse uscito di nascosto era diventata una certezza per Albert, insieme alla sorpresa di essersi preso cura di un compagno di Candy.

"Io conosco una ragazza che frequenta quella scuola: una mia cara amica!"

Aveva sondato il terreno Albert convinto che, conciato com'era, il giorno dopo Terence non si sarebbe ricordato nulla della loro conversazione.

"Si chiama Candice White Andrew, la conosci?"

Terence aveva spalancato la bocca, poi ne aveva ripiegato i lati in un'espressione corrucciata.

"La amo!"


Dopo la rivelazione di quella sera Albert aveva passeggiato per due giorni sulle vie di Londra, da Oxford Street a King's Road, da Regents Street a Knightsbridge senza godersi le bellezze locali, cercando di trovare la soluzione migliore per tutti.

Quando era arrivato nel Regno Unito aveva tutta l'intenzione di rivelare la sua vera identità alla sua protetta, di chiederle di tornare a casa perché Anthony aveva bisogno di lei...

Dopo aver conosciuto Terence, però, il suo piano aveva scricchiolato e continuava a ripetersi che, forse, la volontà di Anthony non era poi tanto sbagliata.

Lui aveva a cuore la felicità di entrambi i ragazzi e l'ultima cosa che voleva era che Candy, scoperta la condizione di Anthony, tornasse a Lakewood perché si sentisse in obbligo di farlo. Prima di decidere doveva vedere Candy, Candy e Terence insieme e farsi un'idea...


Andò a trovare Candy il sabato pomeriggio, in uno dei momenti di relax concessi dal collegio, presentandosi come Albert il vagabondo. . La ragazza fu molto felice di poter riabbracciare il suo amico, gli chiese notizie di lui, dei suoi animali, di Lakewood manifestando una certa nostalgia di casa.

Tuttavia aveva un'aria serena e un gran sorriso, era diventata un po' più alta e anche più bella di quanto ricordasse.

"E tu sei felici qui, Candy?"

Le chiese Albert mentre erano seduti sulla collina che a lei ricordava tanto quella dell'orfanotrofio.

"Mi so difendere piuttosto bene. Ho imparato da tempo a schivare i colpi di Iriza, Neal e ora...anche quelli delle suore!"

"Ti trattano male?"

"Oh no non intendevo questo, solo che sono piuttosto spartane. Pensa che una mia amica teneva una tartaruga nascosta e da quando Suor Gray l'ha scoperta e le ha imposto di sbarazzarsene, piange disperata tutti i giorni. Non conosci qualcuno che potrebbe prendersene cura, Albert?"

Aveva sfiorato appena il braccio del giovane uomo e lo zio William aveva pensato finché sul suo viso era comparso un sorriso.

"Ho un amico qui a Londra che gestisce uno zoo. Vieni domani, io sarò ad aspettarti lì!"

Scarabocchiò l'indirizzo su un pezzo di carta e Candy lo ripose nella tasca della sua uniforme scolastica.


Quella domenica pomeriggio fu una vera sorpresa vederla arrivare, oltre che con la gabbia dov'era custodita la tartaruga, anche con Terence.

Il ragazzo aveva pensato di approfittarne per ringraziare Albert dopo la serata di baldorie che si era concesso. Si mantenne sul vago e fu grato ad Albert per non scendere nei particolari e per tenere all'oscuro Candy della sbornia che si era preso.

Passarono un piacevole pomeriggio a guardare gli animali, a bere caffè, a prendere il giro l'abilità di Candy nell'arrampicarsi sugli alberi e a farsi una buona dose di risate come amici di vecchia data.

Terence decise di anticipare il rientro per dare a Candy la possibilità di salutare il suo amico. Rimasti soli, la ragazza e Albert sedettero su una panchina dalla quale si poteva ammirare il Serpentine Lake.

"Simpatico Terence..."

Candy si sporse in avanti, colpita da quell'osservazione.

"Non diresti così se lo avresti conosciuto prima. I primi tempi era davvero odioso e mi rendeva la vita impossibile..."

"E adesso?"

Candy sorrise, poggiando le spalle contro le assi di ferro.

"Hai ragione tu: è davvero simpatico se si ha la possibilità di conoscerlo veramente. Sotto quella corazza da duro nasconde un cuore nobile. Sto davvero bene quando sono con lui..."

Albert tastò la tasca interna della sua giacca, esitando.

"Ieri ti ho chiesto se eri felice qui ma non mi hai risposto."

"Non lo so Albert. Mi manca Lakewood, mi manca Anthony ma è come se la nostalgia si faccia ogni giorno più sopportabile e io riesca a godermi anche le nuove esperienze, i nuovi incontri...Credi che sia sbagliato?"

"Assolutamente no, piccola. Stai crescendo, è giusto che tu ti goda le tue esperienze fino in fondo!"

"C'è solo una cosa che mi fa star male: il fatto di non essere più riuscita a parlare con Anthony da quando sono partita. Lui per me era molto importante ma, a quanto pare, io non lo ero altrettanto per lui. Ho provato ad avere il suo indirizzo di Chicago, gli ho scritto e-mail e tante lettere spedite a Lakewood ma lui non mi ha mai risposto!"

Albert aveva un nodo in gola e dovette mordersi la lingua per non parlare. Poi decise di agire.

Non ci aveva dormito per due notti e alla fine aveva scritto quella lettera perché fosse Candy a stabilire cosa fare.

"Ascolta Candy: non so perché Anthony si stia comportando in questo modo con te ma ho incontrato tuo zio William poche settimane fa..."

"Hai incontrato lo zio William? Oh Albert vorrei tanto conoscerlo...Sono certa sia un vecchietto canuto, con la barba, forse con un'espressione burbera ma con il cuore d'oro..."

Albert sorrise sotto i baffi a quella descrizione.

"A tempo debito sono certa che lo conoscerai. Comunque, saputo che ero diretto a Londra, mi ha consegnato una lettera per te!"

La porse a Candy e lei fece per strappare il plico.

"Aspetta. Non aprirla adesso. Tuo zio mi ha fatto promettere una cosa."

"E sarebbe?"

"Forse sa che sei un'adolescente e che i ragazzi sono spesso pieni di dubbi. Se, in questo momento, sei confusa, se il tuo cuore non sa decidere...Fai chiarezza in te stessa prima di leggere. A quanto pare c'è scritto qualcosa di molto importante, tuo zio ha pronunciato una frase sibillina: ti toccherà prendere una difficile decisione!"

"Una difficile decisione..."

Ripeté in un eco Candy con il cuore che le era balzato in gola.


Chiedo scusa per il ritardo. Grazie a chi continua a seguirmi!

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Capitolo 17
*** XVII ***


Erano giorni che Candy si portava dietro quella lettera ben sigillata. La voglia di strappare la busta esterna e di leggere l'aveva sopraffatta più di una volta ma, all'ultimo momento, aveva sempre resistito. Se l'era rimessa in tasca e aveva atteso.

Forse un segnale, forse il momento giusto.

La verità era che aveva molta paura di quello che poteva esserci scritto e, d'altro canto, aveva troppo rispetto per lo zio William per non attenersi alle sue volontà.

Aveva provato a parlarne ad Archie e a Stear, a mostrargliela e a chiedere consiglio. I due fratelli si erano mostrati sorpresi dal fatto che lo zio avesse mandato una missiva alla figlia adottiva per parte di uno sconosciuto ma, dopo mille ipotesi e congetture tenute per sé, avevano sorriso rassicuranti.

"Secondo me dovresti strapparla e leggere, Candy. È inutile crogiolarsi nei dubbi e nelle esitazioni, forse così facendo stai solo perdendo tempo prezioso. Non è detto che su quel pezzo di carta ci siano scritte cose brutte...Magari è una cosa bella. Forse lo zio vuole conoscerti!"

L'aveva incoraggiata l'ottimista Stear con un largo sorriso.

Candy non se l'era sentita di spiegare anche a Patty e ad Annie. Voleva molto bene alle amiche ma, in questa circostanza, c'era qualcosa che la frenava. Un sesto senso che le suggeriva che la decisione sarebbe dovuta essere esclusivamente sua.

-Una decisione difficile.


Vi rimuginò sopra anche quella sera, una tipica sera condita dalle battute al vetriolo di Iriza alle quali non si era sforzata di replicare, e dalle chiacchiere leggere e spensierate con Archie, Stear, Patty ed Annie.

Se i quattro ragazzi sembravano completamente a proprio agio nella biblioteca a parlare del più e del meno, Candy era lontana con lo spirito, con il cuore, con i suoi pensieri.

"Scusate ragazzi, vado nella mia camera. Non mi sento troppo bene!"

Si giustificò, alzandosi di scatto. Annie la imitò.

"Vengo con te!"

L'amica però la fermò. Voleva restare sola perché ormai aveva deciso: quello era il momento della verità.

"No Annie cara, resta pure a far conversazione un altro po'. Io leggerò un libro e poi cercherò di dormire."

Annie non sembrò del tutto convinta ma, alla fine, si risedette.

"Come vuoi. Tra mezz'ora però vengo a controllare se hai bisogno di qualcosa!"


Richiusa la porta della sua camera, Candy restò per qualche minuto nel buio completo a tastare quella lettera con il cuore che le martellava nel petto.

Strinse forte i pugni per farsi coraggio, accese la luce e fissò il plico, ancora una volta, prima di dargli uno strappo deciso.

"A noi due, caro zio William!"

Fu interdetta dal fatto di trovare nella busta un biglietto aereo per Denver. Era un biglietto aperto: sarebbe potuta ripartire quando avrebbe ritenuto più opportuno.

Confusa e alla ricerca di ulteriori risposte, con mani tremanti, distese il foglietto ben ripiegato su sé stesso, allegato al biglietto.

"Mia cara Candy,

so quanto queste poche righe possano coglierti di sorpresa e che, probabilmente, non ne comprenderai appieno il senso. E ancor più priva di logica ti sembrerà la mia richiesta di tornare a casa, il prima possibile.

Lo so, è una contraddizione: io che ti ho imposto di andare a studiare così lontano ora ti chiedo di tornare.

Non lo farei se non ci fosse una valida ragione, se non ci fosse una vita in bilico che ha un disperato bisogno di te. Così come non ti avrei mai mandata in Europa senza le tenere ma decise insistenze di un ragazzo che tiene a te moltissimo.

Sì Candy cara, quel ragazzo è Anthony. È stato lui a suggerirmi questa soluzione come la migliore per te, a spingermi ad allontanarti da Lakewood. Prima di giudicarlo, di giudicarmi e di arrabbiarti con noi, però, devi sapere che, a volte, allontaniamo chi più amiamo per proteggerlo. Proprio perché gli vogliamo bene e non vogliamo fargli del male, nemmeno indirettamente.

Io, però, non riesco più a tacere. Pondera bene la tua scelta piccola Candy, fai chiarezza nel tuo cuore e sii decisa, perché se decidi di tornare in America dovrai essere molto forte...

Tuo affezionato zio William."

Candy rilesse altre due, tre volte finché quelle parole criptiche ma che la allarmavano, la deludevano, la confondevano, si conficcarono nella sua testa in maniera indelebile.

Si sentiva tradita. Da Anthony, dallo zio.

La sua vita, negli ultimi mesi, era stata basata su una bugia. Ma perché?

Dovette appoggiarsi al muro e respirare con la bocca aperta alla ricerca di aria, per poi scivolare lentamente lungo la parete. Restò in quella posizione, in sospeso, per una decina di minuti.

Poi si alzò decisa, frugò nell'armadio e tirò fuori la valigia. Quando Annie entrò lei stava già riponendo gli ultimi maglioni all'interno.

"Candy ma cosa stai facendo? Dove vai?"

"Scappo dal collegio questa notte Annie. Parto domani con il primo volo per gli Stati Uniti. Devo tornare a Lakewood il prima possibile!"


*****

Grazie di cuore a chi continua a seguire la storia!

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Capitolo 18
*** XVIII ***


Albert gli aveva posato una mano sulla spalla appena Anthony si era bloccato, con il suo zaino pieno sulla spalla, dinnanzi al grande, austero e grigio edificio del Saint Joseph Hospital.

Poteva sentire, sotto le dita, i muscoli contratti del ragazzo, vedere i suoi occhi inquieti e velati e la mascella serrata in una malcelata paura.

"Andiamo!"

Lo aveva esortato lo zio ostentando un sorriso fiducioso al quale Anthony non aveva risposto. Alla reception erano stati accolti da una giovane e algida infermiera, probabilmente una tirocinante, che li aveva condotti fino in reparto dove a riceverli era stata la caposala, una donnina avanti con gli anni ma dal piglio arzillo.

"Bene signor Brown la sua camera è la 114. Si sistemi, si prenda il suo tempo e se ha bisogno di qualcosa chieda pure alla nostra Flanny. Il dottor Leonard passerà a visitarti prima di questo pomeriggio."

Anthony aveva tenuto gli occhi bassi, faticando ad abituarsi a quella sua situazione di malato, di ricoverato. Voleva restare in ospedale il minor tempo possibile, voleva tornare a casa, a Lakewood, nel suo giardino, tra le sue rose...Dalle sue Dolce Candy.

Cercò di scacciare quei bei pensieri che anziché mitigare la nostalgia e le paure le accentuavano e levò uno sguardo determinato su Miss Mary Jane.

"Quando crede che potranno operarmi?"

Albert gli aveva lanciato un'occhiata preoccupata ma, poi, anche in lui il desiderio di sapere aveva prevalso.

La caposala aveva fatto scorrere l'attenzione sulla cartella clinica di quel nuovo, giovane, paziente.

"Molto presto suppongo. Probabilmente dopodomani o, al massimo, entro la fine della settimana!"

Anthony aveva ingoiato a vuoto ed Albert si era accorto della sua cedevolezza, tanto che gli aveva passato un braccio attorno alla vita accompagnandolo fino in stanza.


Lo zio William era rimasto per tutto il tempo che gli era concesso, si era assicurato che ad Anthony non mancasse nulla, che stesse bene (per quanto fosse possibile nella sua situazione) e che fosse più tranquillo rispetto a quando erano arrivati qualche ora prima.

"Io adesso devo andare ma se dovesse servirti qualsiasi cosa chiamami, a qualsiasi ora."

Anthony, seduto sul lettino ancora restio a cambiarsi e ad indossare il pigiama, aveva annuito automaticamente.

C'era così tanta confusione nella sua testa, si sentiva così vulnerabile che sarebbe bastato poco per abbassare le difese, per mostrare la sua fragilità e chiedere allo zio di distruggere il loro patto, di dire a Candy la verità.

Di dirgli che aveva un bisogno disperato della ragazza che amava.

"Starò bene, non preoccuparti zio!"

Albert si era avvicinato e lo aveva salutato con un bacio tra i folti capelli biondi.

"Andrà tutto bene!"

"Sì. Grazie, grazie per esserci per me!"

Quando la sera era scesa e le asettiche stanzette dell'ospedale erano illuminate solo dai neon artificiali e freddi, dopo che l'inserviente aveva portato via il vassoio con i resti della cena e l'inflessibile Flanny era passata per l'ultimo giro del turno, Anthony si era sentito completamente solo.

Abbandonato a sé stesso.

Aveva cercato di scacciare i suoi demoni, di distrarsi leggendo ma quando aveva sfogliato uno dei libri presi in prestito dalla biblioteca della zia, si era dovuto fermare come congelato. Tra una delle pagine centrali c'era un piccolo bocciolo, ormai appassito, della Dolce Candy.

Era stata proprio Candy ad usarlo come segnalibro un caldo pomeriggio d'estate in cui quel piccolo angolo verde vicino al lago di Lakewood, era stato riscaldato dalle loro risate spensierate e complici.

Anthony aveva sentito l'aria mancargli a quei ricordi. Con un tonfo sordo aveva chiuso il libro e aveva afferrato il telefono.

Era rimasto con il cellulare in mano per un buon quarto d'ora dicendosi che stava sbagliando, che non aveva il diritto di concedersi quel gesto egoistico. Ma poi l'altro lato della sua coscienza lo pungolava: voleva solo sentire la sua voce, almeno questo. Un suono tanto caro, familiare, in quel nosocomio così intimidatorio.

Aveva digitato il numero d'istinto. Aveva eseguito, alla lettera e pazientemente, tutte le direttive per inoltrare quella chiamata verso l'estero.


Candy era seduta, tesa come una corda, su una panchina dell'aeroporto Heathrow di Londra in attesa che fosse chiamato il suo volo, quando quel suono l'aveva strappata ai mille pensieri che la tormentavano e l'aveva fatta sussultare.

Aveva esitato prima di accettare di rispondere. E se fossero stati quelli della Saint Paul?

Se le suore avessero scoperto la sua fuga? Se la copertura che le avevano offerto Annie, Archie e Stear non fosse bastata?

Se si fosse messa nei guai? Non poteva permetterselo! Lei doveva arrivare in Colorado il prima possibile per capire ciò che stava accadendo.

"Pronto!"

Dall'altro capo, dall'altra parte del mondo, non provenne nessun suono se non quello di un cuore in tumulto che Candy non poteva percepire.

"Pronto! Chi sei?"

Insistette la ragazza. Il silenzio era persistente, pesante, carico di attesa.

"Guarda che è uno scherzo molto stupido..."

Inveì Candy iniziando ad inalberarsi. Poi, come colta da un sospetto improvviso, cercò conferme.

"Anthony? Anthony sei tu?"

Poté sentire il suono tipico di una chiamata interrotta e poi il tu-tu-tu che la lasciava basita, ancora più confusa.

Ancora turbata per quella strana chiamata, lascio scivolare il telefono nella tasca del cappotto. (Non voleva spegnerlo, non ancora).

Fu annunciato il suo volo ma quando si chinò per prendere il suo bagaglio a mano una mano più veloce la precedette.

"Lascia che questo te lo porti io, Tarzan tutte lentiggini! So essere anche un gentiluomo, vedi?"

Candy si raddrizzò, colpita da quella voce, da quel viso tenebroso e giocoso allo stesso tempo, da quella mano protesa verso di lei.

"Terence cosa ci fai qui?"

"Abbiamo fatto il viaggio d'andata insieme, faremo insieme anche quello di ritorno. A quanto pare è destino!"

"Perché non sei a scuola? Perché vai in America?"

Poté scorgere un'ombra determinata su quel ragazzo tormentato.

"Vado a cercare mia madre!"

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Capitolo 19
*** XIX ***


Non avevano parlato molto durante il volo. Completamente persi nelle loro incertezze, Terence e Candy si erano scambiato soltanto qualche impacciata parola di cortesia.

Una volta sbarcati, al momento di salutarsi e di separare le loro strade, i due ragazzi si erano bloccati e nessuno faceva quel primo passo che li avrebbe allontanati forse per sempre. C'era troppo in sospeso perché potessero fingere che il loro incontro, così rocambolesco e cameratesco, non li avesse cambiati.

Era stato Terence il primo a muoversi. Aveva recuperato una penna dal taschino della sua giacca e aveva scarabocchiato qualcosa su un foglio sdrucito che poi consegnò sul palmo teso di Candy.

"Buona fortuna piccola Tarzan. Una volta che avrai fatto pace con i tuoi fantasmi se ne avrai voglia potrai venire a cercarmi!"

Aveva sussurrato il giovane Granchester con una voce sommessa che Candy aveva stentato a riconoscere. Poi le aveva posato un delicato e sfuggevole bacio tra i capelli e si era allontanato tra la calca dell'aeroporto.

Allora la ragazza si era concessa di leggere il bigliettino, un indirizzo. L'indirizzo di Eleanor Beker, la mamma di Terence.


Non era stato difficile far ritorno a Lakewood. Lo zio William aveva lasciato disposizioni ben precise nella sua lettera e a Candy era bastato fare una semplice telefonata perché George si precipitasse a prenderla per riportarla a casa.

Anche l'umore dell'autista, nonostante la solerzia nell'accogliere la signorina, aveva qualcosa di diverso e di strano. Candy tuttavia, conoscendo il proverbiale rispetto che l'uomo di fiducia aveva verso gli Andrew, desistette immediatamente dal proposito di carpire qualche informazione in più da lui.

Il tragitto in auto si svolse quasi nel silenzio totale, con il cuore di Candy che galoppava ad ogni chilometro che l'avvicinava a Lakewood, a casa.

Fu la zia Elroy ad accoglierla benché le sue occhiate truci non avessero nulla di caloroso. La matriarca, in verità, ribolliva di rabbia e di paura: ancora una volta era in disaccordo con le direttive e le disposizioni di William, per il modo il cui stava trattando l'intera faccenda e, a questo, s'ammontava il terrore per quello che stava passando Anthony, per quello che sarebbe potuto capitargli.

"Ero sicura che non ti avremmo rivista mai più. Che avessi almeno il buonsenso di non presentarti alla mia porta ma, a quanto pare, sottovalutavo la tua sfrontataggine!"

L'aveva aggredita l'algida zia. Ma Candy aveva in sé una forza nuova, la forza della verità e dell'innocenza, e non si era fatta irretire dalle accuse di Elroy.

Aveva puntato i piedi e ne aveva sostenuto lo sguardo con sfida.

"Voglio incontrare lo zio William, immediatamente. Mi deve molte spiegazioni. Voglio che lei mi dia l'indirizzo di Chicago, zia; che trovi il modo di farmi parlare con lui."

Elroy la guardava con gli occhi fuori dalle orbite, paonazza per quell'affronto. Spiazzata, in verità, da quella ragazzina che aveva tirato fuori gli artigli e le teneva testa.

L'ennesima replica al veleno con cui stava per rispondere fu anticipata da un rumore di passi che portò entrambe a voltarsi verso la direzione del neo giunto.

"Albert?"

Aveva chiesto incredula Candy, stropicciandosi gli occhi per essere certa di non avere le allucinazioni. Quel giovane uomo così elegantemente vestito era praticamente una goccia d'acqua con il suo amico vagabondo che tante volte l'aveva tratta in salvo.

"Sei proprio tu? Che ci fai qui?"

Elroy aveva alzato le mani in cenno di resa e si era lasciata cadere pesantemente sul divano portandosi una mano alla testa che le stava scoppiando. Lei se ne lavava le mani.

Albert prese sottobraccio la figlia adottiva e le sorrise rassicurante.

"Vieni con me, Candy: è giusto che le tue pretese siano esaudite. Non ci saranno più menzogne: saprai tutto"


"Il mio nome per intero è William Albert Andrew!"

Candy si era aggrappata ai braccioli della poltroncina situata in quello studio luminoso. Lo studio dello zio William, di Albert.

"Tu sei lo zio William!"

Aveva ripetuto lei come un eco, ancora stralunata.

Era seguita la concisa ma necessaria spiegazione: il legame di parentela con Anthony e con Rosemary, la giovanile ribellione che lo aveva portato a rifuggire gli obblighi che comportava essere un Andrew per vivere come uno spirito nomade, la richiesta di adozione che i nipoti gli avevano fatto pervenire...

"Per tutto questo tempo sei stato il mio angelo custode, mi hai protetta, e non sei mai uscito allo scoperto. Perché?"

Aveva analizzato e chiesto Candy con tono svelato e recriminatorio. William Albert Andrew, il suo Albert, si era stretto nelle spalle e aveva aggiunto solo un succinto:

"Essere un capofamiglia così giovane comporta tanti sacrifici e rinunce."

"Perché non mi hai detto la verità una settimana addietro, quando sei venuto a Londra?"

"Avevo fatto una promessa, Candy!"

Lei sentì un brivido attraversarla all'altezza della schiena e ogni parola di quella lettera prese forma nella sua testa confusa.

"Anthony! Dov'è Anthony?"

Albert aveva svoltato dall'angolo della scrivania, si era inginocchiato all'altezza della ragazza, contratta sulla sedia, e le aveva afferrato le mani guardandola serio:

"Va in camera tua e prepara una valigia, Candy. Ti porto da lui, ti porto da Anthony!"

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Capitolo 20
*** XX ***


Anthony non era riuscito a dormire. Aveva rifiutato, deciso, il leggero sedativo che Miss Mary Jane avrebbe voluto somministrargli la sera prima così aveva passato una nottata tesa e angosciata.

Tra poco sarebbero venuti a prenderlo per portarlo in sala-operatoria e di Albert non c'era l'ombra.

Scoraggiato, il ragazzo si era lasciato ricadere sui cuscini, terrorizzato alla prospettiva di dover affrontare tuto da solo. Di dover subire l'anestesia senza aver prima, nemmeno, visto un viso familiare e rassicurante.

Sembrava un paradosso che proprio lui, il più amato tra e dagli Andrew, si trovasse da solo in un momento tanto cruciale.

Agli scalpicci sempre più vicini sobbalzò e ingoiò a vuoto: probabilmente si trattava dei barellieri.

Accolse con un sorriso sollevato la vista di suo zio. Albert si avvicinò al letto, si accertò con solerzia della salute di Anthony, poi assunse quell'atteggiamento del chi-va-là, aspettando il momento giusto per sganciare la bomba.

Anthony si accorse immediatamente che lo zio William stava sulle spine.

"Non sono venuto da solo!"

Ammise alla fine. Anthony corrucciò la fronte e poi sbuffò.

"Ti avevo detto che non voglio mio padre. E nemmeno la zia Elroy!"

Al cenno di negazione convinto di Albert, il ragazzo capì che non si trattava di loro ed ebbe un brivido.

Non fece in tempo ad accusare, a recriminare o a disapprovare: Candy era entrata nella stanza, restando incerta per qualche secondo.


Era una storia assurda e, per tutto il viaggio fino a Chicago, Candy si era chiesta se non fosse, all'improvviso, diventata la travagliata protagonista di un romanzo. Le verità che Albert gli aveva svelato, poco a poco, l'avevano travolta come un fiume in piena.

Quando erano arrivati nell'atrio dell'ospedale si sentiva tramortita e confusa. Le sembrava di vivere un sogno, un brutto incubo, indistinto e senza logica.

Non ci aveva creduto per davvero finché non aveva visto Anthony, smorto e malaticcio, in quel letto.

Le lacrime le avevano velato gli occhi mentre, vincendo ogni remora, aveva fatto quei due passi e si era avvicinata a lui prendendogli una mano. Il tradimento era stato dimenticato in un baleno.


"Perdonami!"

Era riuscito a smozzicare soltanto lui abbassando gli occhi tristi e privi di luce. Candy gli aveva fatto una carezza leggera e poi, dimentica delle bugie e del rancore che aveva portato in quei mesi senza un vero valido motivo, l'aveva stretto in un abbraccio rappacificatore.

Avevano tanto da chiarire, tanto da dirsi. Prima, però, c'era qualcosa di più incombente, di più urgente, da superare: i ragazzi ed Albert se ne resero conto appena entrarono nella stanza l'anestesista e i barellieri.

Anthony lanciò un'occhiata sconcertata a suo zio e a Candy. Fu, ancora una volta, la ragazza a farsi e a fargli coraggio.

"Vai e guarisci Anthony. Io ti aspetterò qui, non me ne vado!"

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Capitolo 21
*** XXI ***


Candy era uscita nel giardino dell'ospedale e si era concessa qualche minuto di solitudine, su una panchina, prima di tornare da Albert con un buon caffè.

Anthony era ormai in sala operatoria da un bel po' e l'attesa si stava facendo logorante inoltre, aspettare insieme a questo Albert così nuovo e al contempo così amico, era destabilizzante.

D'istinto la ragazza afferrò il suo telefono e ne fissò a lungo il display: aveva memorizzato il numero di Terence nella rubrica e la brama di digitarlo, di confidarsi, di spiegarsi e chiarirsi con lui, la sopraffece.

Candy resistette. Doveva pensare ad Anthony, doveva pensare a rimettere insieme i cocci di una storia assurda, della storia della sua vita.

Assorta in questi pensieri, accolse con un sussulto la figura in divisa bianca che si era avvicinata incerta.

Flanny le aveva allungato un bricco di caffelatte forse in maniera indelicata ma l'altra non era stata intimorita da quel gesto sgraziato. Era pur sempre un gesto cortese, un'attenzione che la faceva sentire bene al pensiero che qualcuno volesse prendersi cura di lei.


"Grazie!"

Disse con gentilezza, bevendo un sorso di liquido fumante. Flanny, sempre imperscrutabile, si sedette affianco alla ragazzina, che sembrava avere grossomodo la sua età.

Non era da lei attaccar bottone con i pazienti o con i parenti in attesa ma molti, Miss Mary Jane in primis, le avevano fatto notare che quel suo caratteraccio scontroso e riluttante le sarebbe stato d'ostacolo per la sua futura carriera e l'algida tirocinante stava sforzandosi per smussarlo, per essere più aperta e cordiale.

"Quello di Anthony non è un intervento molto complicato e ha buone possibilità di riuscita. Non devi preoccuparti!"

Erano parole inusuali per la restia Flanny eppure era un conforto per Candy sentirle. L'esuberante signorina Andrew allungò una mano verso l'altra sfoderando un largo sorriso.

"Io sono Candy!"

Seguì qualche momento d'incertezza poi la tirocinante formalizzò le presentazioni.

"Flanny!"


Candy era tornata di sopra con il cuore più leggero. Quell'infermiera misteriosa le aveva dato delle garanzie, le aveva assicurato che si sarebbero prese cura di Anthony insieme e che le avrebbe dato qualche dritta su come affrontare il decorso postoperatorio del suo amico.

Aveva portato un caffè, dalle macchinette, ad Albert ma fu assolutamente spiazzata quando rientrò nella sala d'attesa.

Albert non era solo. Seduto accanto a lui, su una delle poltroncine di tela, c'era un uomo di mezz'età: stavano parlando fitto, fitto.

Accortosi della figlia adottiva, lo zio William le rivolse un sorriso e la esortò ad avvicinarsi.

"Vieni, vieni Candy. Ti presento Vincent Brown..."

Lei era rimasta impalata, senza essere certa quale fosse la cosa giusta da dire e, infatti, dalle sue labbra uscì la domanda più ovvia.

"Lei è il papà di Anthony?"

Gli occhi stanchi e colpevoli del signor Brown si posarono sulla ragazzina, poi la prese per le spalle cercando un abbraccio precario.

"Si sono io. Volevo conoscerti da tanto tempo!"

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Capitolo 22
*** XXII ***


Quando la sagoma del dottore si era allungata nella sala d'aspetto, Candy aveva tutti i muscoli intorpiditi e tesi ma si era alzata comunque, emulata da tutti gli altri, con il cuore in gola.

Il medico aveva accennato un sorriso e i nervi degli astanti si erano rilassati ancor prima che parlasse.

"Stanno riportando Anthony in stanza. Uno di voi potrà andare da lui tra poco!"

Era andato tutto bene. Era sufficiente e a nessuno interessavano, per davvero, i particolari dell'intervento.

Albert e Candy si erano fissati per un secondo poi lo zio William aveva appoggiato la sua mano grande sulle spalle di un Vincent Brown ancora attonito.

"Credo che sia un compito e un diritto che spetti a te più che a chiunque altro!"


Anthony aveva aperto gli occhi piano, ancora intontito e infastidito dalla luce artificiale ed improvvisa. Era steso a letto, mezzo sollevato su una pila di cuscini, con il petto nudo tempestato di elettrodi e una flebo nel braccio.

Aveva soffocato una smorfia di dolore e si era voltato, sorpreso, a scrutare quella mano ispida che accarezzava, titubante, il dorso della sua.

"Stai bene?"

Anthony aveva spalancato la bocca a quella domanda così ovvia e, al contempo, così inattesa e non sapeva se essere più adirato o sorpreso di trovarsi così vicino a suo padre.

"Cosa ci fai qui?"

Aveva chiesto di rimando, con acrimonia.

Vincent gli sembrava ancora più vecchio, con spruzzi d'argento più fitti tra i capelli, e ingobbito dall'ultima volta che si erano visti.

Sembrava, anzi, che fosse proprio quella sensazione di colpa con la quale condivideva da quando era morta Rosemary, ora più accentuata, ad incurvargli la schiena come un peso troppo grande da portare ancora.

"Sono tuo padre!"

Aveva risposto semplicemente, sottendendo il significato ampio che quella puntualizzazione implicava.

Anthony era rimasto in silenzio quasi che gli servisse del tempo per elaborare quella nuova presenza. Aveva cercato di sollevarsi ma, ancora troppo debole, era ricaduto sul materasso, sbuffando.

"Aspetta. Ti aiuto io!"

Vincent si era fatto avanti e si era prodigato ad alzare un po' il suo ragazzo finché aveva incrociato quegli occhi cobalto, così simili a quelli incantevoli che aveva amato, e si era lasciato sfuggire uno strano sorriso.

"Dove sono lo zio Albert e Candy?"

Il signor Brown era stato un po' deluso da quella richiesta, temendo che Anthony non lo volesse ,che fosse ancora troppo presto per rientrare nella sua vita.

"Sono di là. Vuoi che chiami uno di loro due?"

Anthony aveva scosso la testa e aveva chiuso un attimo gli occhi. Li aveva riaperti dopo un secondo e aveva regalato un sorriso al genitore.

"Resta tu, papà. Hai visto Candy? Non è proprio bella?

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Capitolo 23
*** XXIII ***


Glielo aveva insegnato Anthony una volta: ogni colore di rosa ha un suo particolare significato. Le aveva anche detto che quando si è di brutto umore basta guardare quella regina dei fiori per tornare a sorridere.

I primi boccioli di Dolce Candy immacolati, puri e bianchi come latte, sembravano voler dare il bentornato a Lakewood ai due giovani appaciandoli con il mondo intero con la loro fioritura anticipata.

Anthony migliorava a vista d'occhio e dopo i primi giorni passati sul divano, con una coperta calda a confortare i suoi ozi e l'affabile compagnia di Candy, aveva scalpitato per poter tornare in giardino, tra i suoi fiori.

Fare attività fisica era la seconda raccomandazione che gli avevano lasciato i medici, dopo quella di non scordare assolutamente le medicine.

Quella mattina di maggio, ancora convalescente, si era messo a lavorare di buona lena anche se percepiva che il muro di bugie che lo aveva allontanato da colei che amava presto si sarebbe sgretolato, franando sul fragile equilibrio che avevano instaurato da quando lei era tornata.

Candy si era avvicinata con il suo solito passo delicato e aggraziato e aveva poggiato il vassoio con un paio di biscotti e con il bricco di caffè-latte sul tavolo in legno.

"Tra qualche giorno sarà il tuo compleanno!"

Aveva osservato Anthony senza interrompere il lavoro e senza avere il coraggio di voltarsi a guardarla. Ad affrontarla.


Lei gli aveva poggiato una mano sulla spalla senza più essere disposta a fingere, a ricorrere a sotterfugi.

"Basta. Non possiamo continuare a mentirci!"

Anthony era crollato: aveva levato i suoi occhi cobalto e Candy vi aveva potuto leggere dentro tutta la sofferenza, tutta la forza, che gli ci era voluta per mandarla via.

Gli erano tornate in mente le parole di Albert: a volte scacciamo chi amiamo per proteggerlo.

"Sono stato un codardo. Perdonami Candy! Ti ho dato dell'ingrata, di ho rovesciato addosso quelle parole crudeli che non pensavo soltanto perché avevo paura di farti soffrire. Il vero irriconoscente sono io!"

Lei, innanzi a tanta sensibilità, aveva nuovamente scordato l'accidia dei giorni successivi al suo arrivo a Londra e non aveva replicato. Aveva intravisto qualcosa, però, e aveva allungato la mano nella scollatura a V della camicia di Anthony fino a rivelare la croce della felicità che gli aveva lasciato in pegno.

"La porti?"

"Dal giorno in cui te ne sei andata!"


C'era ancora molto da dire, da raccontare, da chiarire ma il fatto tangibile che Anthony l'avesse sempre portata vicino al cuore aveva fatto sorridere, commossa, Candy.

"Mi è mancato il tuo sorriso!"

Si erano abbracciati e lei aveva ritrovato la fiducia per aprirsi come un libro, svelando come fosse stato destabilizzante scoprire che Albert fosse lo zio William e di come fosse incerta nel muoversi in quei segreti divenuti verità.

"Magari un giorno mi rivelerai che tu eri io mio principe della collina!"

Si era lasciata sfuggire in un impeto di profonda confidenza. Anthony si era irrigidito e si era ritratto brusco: proprio come la prima volta che aveva sentito parlare di quel fantomatico principe.

"Non sono io il tuo principe Candy ma Albert! Sempre lui: è lui che suonava le cornamuse quando tu eri bambina!"


Un'altra verità che non aveva fatto in tempo ad assimilare e a metabolizzare. La zia Elroy li aveva raggiunti con la sua aria di sufficienza.

"Domani sera avremmo un ospite illustre a cena: Eleanor Becker, una rinomata attrice. Spero che il vostro comportamento sia consono all'occasione!"

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Capitolo 24
*** XXIV ***


Candy era stata aiutata da Dorothy nel prepararsi per la serata e, con un po' di soggezione, aveva deciso di raggiungere il soggiorno in stile vittoriano in anticipo.

La incuriosiva incontrare quella raffinata ed elegante attrice che aveva sempre guadagnato le pagine dei giornali grazie alla sua bravura piuttosto che per gossip che la riguardassero.

Eleanor Baker era una donna che sapeva farsi ammirare per la sua bellezza semplice e la ragazza un po' temeva di fare delle gaffe in quella cena improvvisa e improvvisata ma, soprattutto, ne era molto incuriosita.

Restò di stucco quando, dopo aver sceso le scale, ritrovò la figura slanciata di un ragazzo che sembrava voler indovinare il paesaggio che dominava oltre le tende oscuranti delle finestre. Era voltato di schiena e Candy esitò un momento, chiedendosi se non fosse più prudente aspettare che Anthony la raggiungesse.

Lo sconosciuto, però, si era voltato di scatto e tale era stata la sorpresa di riflettersi uno negli occhi dell'altro che, per un certo tempo, erano rimasti immobili.

"Terence?!"

"Ciao Tarzan tutta Lentiggini. Dunque hai ritrovato la tua felicità?"


Non c'era stato il tempo di rispose: in quel momento Albert era rientrato con l'importante ospite, dopo averle fatto fare un tour dei giardini.

La cena era stata un mezzo disastro, viziata da imbarazzi, disguidi e giudizi affrettati.

La zia Elroy aveva riconosciuto il ragazzo con cui, a Londra, aveva colto in atteggiamenti equivoci quell' orfanella e soltanto la sconcertante rivelazione che fosse il figlio di Eleanor Beker le aveva imposto di darsi un contegno e le aveva impedito di sbatterlo fuori in malo modo.

Albert osservava i tre giovani, schierati dall'altro lato della tavola, e si accorgeva della loro infelicità.

Terence non riusciva proprio a digerire i modi affabili e delicati di Anthony e non si capacitava di come Candy avesse rischiato tutto per quel gracile damerino.

Il rampollo degli Andrew, dal canto suo, aveva intuito che tra Candy e Terence ci fosse già un'amicizia e ne aveva avuto conferma quando era saltato fuori che anche il Granchester aveva studiato alla Saint Paul. Anthony stava, finalmente, realizzando quanto fosse stato rischioso allontanare la ragazza amata in quel modo così brusco.

Candy, infine, galleggiava nella confusione più totale: non era a disagio nemmeno nel sapere che tutti gli occhi, soprattutto quelli penetranti della zia Elroy, erano puntati su di lei. Presa tra tre fuochi e con segreti e verità che facevano la staffetta nella sua vita ad una velocità vertiginosa, non le importava più di essere giudicata.


Dopo cena, mentre la zia Elroy, Albert ed Eleanor discutevano di un progetto di beneficenza che li avrebbe visti coinvolti, Terence propose a Candy una passeggiata sotto lo sguardo livido e il malumore di Anthony.

I due ragazzi avevano passeggiato per il roseto e, ritrovando l'antica confidenza, si erano raccontati delle loro vite in quelle settimane lontani.

"Così ho ritrovato mia madre. Ho sempre creduto che mi avesse abbandonato perché senza cuore, invece l'insensibile è stato mio padre. Lui ci ha tenuti lontano per tutti questi anni...Io e lei ci assomigliamo molto più di quanto potessi immaginare. Resterò negli Stati Uniti e studierò recitazione. Forse reciterò nei più prestigiosi teatri della nazione!"

Un sorriso malinconico aveva rischiarato i lineamenti giovani di Candy.

"Sono sicura che riuscirai ad affermarti. Hai carisma, hai passione, sei bello...Tra qualche mese ci saranno orde di ammiratrici in fila per un tuo autografo!"

Aveva cercato di alleggerire quella convinzione con la battuta finale ma la successiva domanda di Terence la colse alla sprovvista.

"E tu sei davvero felice tra questi snob?"


******* ******

Un grazie grande a chi non si è ancora stancato di questa storia. E un "mi dispiace" grande per gli aggiornamenti con il contagocce!

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Capitolo 25
*** XXV ***


Camminare a piedi nudi sull'erba, bagnata ancora dalla rugiada della mattina, era sempre stato un toccasana per Candy e, soprattutto adesso, aveva sentito la necessità di passeggiare scalza per i giardini di villa Andrew per ricaricarsi di energia. Per ritrovare sé stessa.

Le ultime settimane, con i loro giorni carichi di scoperte talvolta sconvolgenti, l'avevano investita come una fiumana impetuosa e le avevano fatto perdere un po' di vista i suoi ideali.

C'era voluto Terence con quella domanda semplice ma dalla risposta complessa per costringerla a scavare nella sua anima tumultuosa.

Avrebbe voluto trovarsi alla casa di Pony, bambina che non può aspettare di crescere, dove tutto era un paradiso e dove riusciva ad essere contenta senza motivo.


Si era resa conto di aver accantonato i suoi sogni, di non aver preteso più con ogni forza ciò che desiderava. Si era imborghesita e anche un po' spenta, lasciando che gli altri decidessero per lei.

No, questa non era la vera Candy. Decisamente no.

Anthony l'aveva osservata a lungo, seminascosto dalla filare alberata del giardino all'italiana che creava una specie di labirinto.

Quando i loro occhi giovani e imbarazzati si erano incontrati entrambi avevano avvertito quella dolorosa sensazione che qualcosa si fosse, irrimediabilmente, spezzato nel loro amore putto.

Il ragazzo aveva allungato la mano e Candy l'aveva afferrata perché compiessero così, paralleli e distanti, il breve tragitto verso la fontanella dove avevano riso, insieme, per tanti pomeriggi.


C'era tanto da dirsi, da chiarire, da giustificare e perdonare ma in quell'umida mattina d'inizio estate Terence, Albert, la Saint Paul apparivano lontanissimi.

"Voglio diventare un'infermiera. Voglio tornare a scuola in autunno, forse fare anche l'università. Voglio farcela con le mie forze!"

Quelle volontà così marcate e delineate avevano ricordato ad Anthony la favola dell' erba voglio che sua madre gli leggeva spesso quand'era piccolino.

L'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re!

Si era ritrovato a ricordare con rammarico. Erano sempre stati tutti un po' egoisti in quella casa e avevano preteso senza mai chiedere per favore.

Anche lui, in maniera sprovveduta ed ingenua, aveva sperato che Candy avrebbe saputo aspettarlo. Non aveva calcolato quanto la lontananza avesse potuto cambiarla, farla maturare e diventare consapevole.

Aveva avvertito una fitta a quel cuore ballerino che aveva rimescolato tutte le carte e, ingoiando la pena, aveva ostentato un sorriso dolce.

"Diventerai una grande donna, Candy. Qualsiasi cosa deciderai di essere."

Era una sorta di addio e aveva portato le mani al collo per slacciare la catenina con la croce della felicità. La ragazza però lo aveva bloccato con il tocco ghiacciato ma dolce delle sue dita che sfioravano quella pelle nuda sul petto da uomo.

"No. Non sto rinunciando a tutti i progetti che avevamo insieme. Solo ad alcuni."

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