Vita. Destino. Morte.

di jeraiya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sophy ***
Capitolo 2: *** John ***
Capitolo 3: *** Angela ***



Capitolo 1
*** Sophy ***


Sophy

Sophy

 

 

“Sei certo che su c’è ancora il cielo?

C’è uno spot pubblicitario

Ma dimmi solo dove devo andare

Qui non c’è più un’indicazione

Fallo prima che finisca la passione

Un centimetro quadrato

un po’ di sensibilità

Circondato da un deserto

immenso di grande aridità.”

 

 

Due metri per quattro circa.

Le misure minime per farci stare un minuscolo letto, un lavandino impercettibile.

Il freddo è pungente, l’umidità ti penetra le ossa.

Il silenzio è assordante.

La solitudine è soffocante.

Non è posto per me questo.

Lo so.

La sento.

La pazzia si avvicina, è ormai alla porta.

Non è posto per me questo.

Perché sono qui?

Rinchiusa tra questa quattro mura grigie e perfide.

Sola come un cane.

Dove sono i miei due bambini, dov’è la mia dolce metà?

Mi sembra di sentirli…da lontano… mentre arrivano a casa, corrono per il corridoio chiamandomi a gran voce… “Mamma!mamma!”

“sono qui miei angioletti…venite ad abbracciarmi”.

Ma non arrivano, li chiamo ma nessuno più mi risponde… non ci sono più.

Non ci sono.

Dei passi.

“John sei tu?”.

Nessuna risposta.

Lo chiamo. Urlo il suo nome, quel nome che significa amore.

Niente. Era solo la mia fantasia, solo vecchi ricordi che ogni tanto si fanno vivi, con come unico scopo quello di tormentarmi, di rendermi ancora più pesante questa situazione.

 

Mi sento soffocare, è come che due grandi mani mi stessero afferrando la gola, stringendo spietatamente, senza un briciolo di pietà. Mi manca il fiato.

Devo restare calma, respirare profondamente, mantenere il controllo.

“andrà tutto bene… andrà tutto bene..” da un mese e mezzo me lo continuo a ripetere, tento disperatamente di convincermi, ma senza successo. Non riesco a convincere me stessa, come potevo riuscirci con il giudice?

Gliel’ho detto, gliel’ho ripetuto, ma è stato tutto inutile.

“sono innocente!sono innocente!”urlavo disperatamente mentre le lacrime mi rigavano il viso, e loro mi fissavano con quei loro occhi freddi e insensibili.

La verità era evidente. Avevano una sospettata, un’accusata, un’imputata tra le mani, e con essa l’occasione di porre fine a questa triste storia. Che fossi colpevole o innocente non importava, quello che contava era il poter dire pubblicamente di aver arrestato l’assassino di Erik Low e Elisabeth Smith; nessuno avrebbe mai saputo la verità, nessuno avrebbe mai scoperto la mia innocenza.

L’unico lato positivo che riesco a vedere in tutto ciò è la durata della mia prigionia, quattro mesi, solo un terzo dell’anno, poi tutto sarà finito.

Quattro mesi, solo quattro mesi…poi sarò libera.

Mi dispiace solo per loro , per i miei bambini. Non voglio che assistano a quello spettacolo, non voglio che vedano la loro giovane madre morire.

La morte…non ne ho paura. Per me è sinonimo di liberazione. La mia vita riprenderà con la mia morte. Ma fino a quel momento…

Ho sempre avuto paura del buio, qui dentro, però, è diventato terrore, puro e semplice terrore. Alla notte non dormo, resto sveglia a rigirarmi sul letto, mentre innumerevoli pensieri aumentano la mia ansia. Il mio cuore inizia a battere veloce, sempre più forte, a quel punto mi raggomitolo su me stessa tentando disperatamente di ritrovare la calma, ma la quiete dopo la tempesta non sopraggiunge mai.

Chiudo gli occhi. “dormi..dormi..” ma è tutto inutile, non ci riesco. La visione dei corpi senza vita di quella giovane coppia è sempre davanti ai miei occhi, mi ha così sconvolta che non riesco a rimuoverla, ma non sono stata io!

Perché nessuno lo vuole capire?perché nessuno mi ascolta?

È così difficile credermi?

Non ho fatto niente, l’unica mia colpa è l’essermi trovata nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Tutto qui, nient’altro. Vengo condannata per un reato che non ho commesso!

Non sono un’assassina!

 

Non sono un’assassina, sono un’insegnante.

Sono figlia di operai, mio padre e mia madre mi hanno sempre insegnato l’importanza dell’istruzione, fin da quando ero piccola si sono impegnati a convincermi che andare a scuola  non era solo un obbligo, ma che tutto era nei miei interessi. Certamente all’ora non ne ero molto convinta, in fondo quanti sono i bambini che vedono la scuola come un dovere e non una condanna?

Tuttavia con il passare degli anni scoprii che era vero. Studiare non mi dispiaceva, anzi ero particolarmente interessata alle varie lezioni, apprendere era per me un piacere. Decisi così che nella mia vita volevo far provare questo piacere anche ad altri, a tutti.

Ricordo i numerosi sacrifici che fecero i miei per finanziarmi, e quanto tentassero di non farmeli notare per non farmeli pesare.

Erano fieri di me, la loro unica figlia che mirava a una laurea, che voleva diventare maestra,  che credeva in tutti quei valori che le avevano insegnato.

Mi hanno sempre spiegato l’importanza della famiglia, che è sacra e inviolabile; il rispetto per entrambi i sessi, perché entrambi hanno lo stesso valore e la medesima importanza nel ciclo della vita e della società. Lo stesso rispetto che si deve avere per tutti i popoli e per la loro cultura. Il diritto alla libertà, ma soprattutto l’intoccabile diritto alla vita.

La vita con i suoi profumi.

La vita con le sue emozioni, con le sue esperienze.

La vita con i suoi suoni e i suoi silenzi.

La vita che dovrebbe spettare a tutti, quella stessa vita che ora mi vogliono togliere.

Sono figlia di cattolici.

Ho imparato ad amare il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo e anche la Madre mia. A ringraziare Dio per tutto ciò che ho, a rivolgermi a lui come un figlio fa con il padre, a chiedergli scusa e anche qualche favore.

Ho sempre creduto in Dio.

Ricordo che un tempo gli parlavo così spesso, lo stressavo immensamente, gli raccontavo tutto perché per me, oltre al Padre, era anche un mio grande e intimo Amico. Forse è per questo che ora mi succede tutto questo.

No, non credo. Il Dio di cui mi fidavo ciecamente non farebbe mai una cosa simile. Magari la realtà è un’altra, forse la verità è che neppure esiste.

Questo luogo, queste mura, questa solitudine mi privano di tutte le mie convinzioni, di ogni mia certezza… ciò che mi resta è solo il vuoto.

Non ci credo più, non credo più in quel Dio buono che ci affianca e ci sostiene sempre. Sono tutte menzogne, stupide favole che si raccontano ai bambini.

I casi possono essere solamente due: o Dio non esiste, o si tratta di un perfido Dio punitore.

Ma se si tratta davvero di un Vendicatore, come posso mettermi contro di lui?

Se tutto ciò, se questa mia agonia è causata da una sua decisione, da una sua volontà, come posso cambiare la mia sorte? Se così è, sono rovinata!!

E se..se è così..che ne sarà di me dopo la mia morte, come potrò ritrovare la vita, la libertà? Anche la mia vita nell’Aldilà sarà un’agonia?

Non voglio!!

Perché tutto il mondo, tutto l’universo cospira contro di me? Che ho fatto di male?

Dio mio! Dio mio! Abbi pietà di me!

Prego lui? Come posso pregarlo se neppure sono sicura della sua esistenza?

Non ne posso più! Non capisco più nulla! Mi sto perdendo nell’immensità di questa oscurità.

Un tempo ero così serena, così ottimista, ora invece vedo tutto così nero, è tutto così sfuocato, così privo di senso.

Vorrei avere ancora qualcosa a cui aggrapparmi, la fede un tempo era un appiglio perfetto, ora invece non  c’è nulla, perché non credo più in niente.

La mia è una caduta libera, in questo pozzo scuro e senza fondo.

La fine, la mia fine è dannatamente sempre più vicina, e di fronte a ciò non posso fare a meno di tremare.

 

 

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Capitolo 2
*** John ***


John

John

 

“Ma i miei sogni non sono così vuoti
Come sembra essere la mia coscienza.
Ho ore, in totale solitudine
Il mio amore è una vendetta
Che non è mai libera.”

 

 

Aria nuova, finalmente.

L’America mi aveva fin troppo stancato…non c’era più gusto nel vivere là. Era tutto così monotono e ripetitivo, tutto così uguale.

Una vita nuova ha inizio…no, niente di nuovo, in realtà. Alla fin fine tutto il mondo è uguale, dopotutto è fatto da uomini, e quelli sono tra loro identici, sempre e comunque.

Sono tutti sporchi, tutti dei giganteschi peccatori.

Tutti legati ai soldi, al sesso e al potere.

Mi fanno schifo.

Mi faccio schifo.

Appartengo a questa miserabile razza, e ciò mi disgusta particolarmente.

Mi sento il loro odore addosso, blah…

Non dire sciocchezze John, tu non sei come loro…tu non sei uno di loro.

 

Guarda quanti sono. Tutti qui, raggruppati in questo aeroporto. Si guardano intorno, fissano gli altri facendo chissà quali commenti mentalmente, pronti a giudicare qualsiasi azione, qualsiasi avvenimento. Con che coraggio possono anche lontanamente pensare di poter giudicare…loro così miserabili, così indegni.

Il mondo avrebbe bisogno di una bella ripulita, un gigantesco cataclisma che spazzasse via tutta questa spazzatura detta uomini.

Ringraziami natura, ringrazia l’aiuto che ti do…nel mio piccolo, per quanto mi sia possibile, ti sto aiutando a ripulire la nostra amata terra.

 

Sono figlio di un professore universitario e di una ballerina classica.

I miei si sono sposati quando lui aveva 43 anni e lei 20, dopo solo alcuni mesi di relazione.

Mio padre era un senatore strapieno di soldi, mia madre una giovane stupenda donna.

Soldi, sesso e potere.

Soldi, sesso e potere.

Solo questo, nulla di più.

Il loro fu un matrimonio felice, il cui principio base era la falsità.

 Per quanto ne so mio padre è sempre stato ossessionato dalle donne, ha condiviso il suo letto con una miriade di giovani; per lui mia madre era solamente quella che si scopava più spesso, la bella donna che si portava dietro alle varie manifestazione a cui era costretto a partecipare a causa del suo incarico politico, la bella donna che avrebbe dovuto provocare l’invidia di tutti gli altri uomini di potere, e contemporaneamente colei che lui poteva orgogliosamente definire “Mia proprietà”.

A mia madre, invece, interessava solo il potere, e aveva visto in mio padre una scorciatoia per raggiungerlo. Lui aveva sempre pensato di averla sotto il suo totale controllo, di averla come addomesticata…che sciocco che era mio padre. Lei, invece, incredibilmente astuta. Durante la relazione con mio padre ne aveva avuto tante altre con altri politici, militari, uomini di successo…sempre più in alto. Gli sguardi della gente che mio padre riteneva d’invidia erano in realtà di rabbia nei confronti di mia madre.

Mia madre si è concessa a molti uomini, talmente tanti che effettivamente non posso dire che suo marito sia effettivamente anche mio padre, in cambio lei si faceva fare dei piccoli grandi favori, alcuni legali altri no. 

In un paio di anni mia madre si è costruito un impero.

Imprese donatele da uomini sconosciuti ai quali aveva promesso eterno amore, per poi lasciarli appena aveva ottenuto ciò che voleva.

Denaro sporco proveniente da chissà dove.

Aveva ottenuto il potere, e nessun uomo osava denunciare tutto ciò, farlo avrebbe comportato una terribile confessione, ammettere di essere colpevole, di averle donato potere perché incapace di resistere alla seduzione del suo corpo.

Lui aveva 48 anni, lei 25…e io nacqui.

Chissà da chi, chissà perché.

In realtà la mia nascita non fu vista molto allegramente ma con grande indifferenza, perciò fin da subito imparai ad essere autonomo, ma soprattutto fin dal principio potei vedere quanto sporco fosse il mondo.

A 16 anni compii la scelta che avrebbe condizionato tutta la mia vita.

Decisi di fare del mio meglio per ripulire il mondo dalla feccia umana.

 

Pedinai mia madre.

Raccolsi più prove possibili che dimostrassero i suoi numerosi tradimenti.

Una sera dell’agosto 1979, chiesi a mio padre di seguirmi in ufficio, gli dissi che era una cosa molto importante, una faccenda da uomini, e che per  questo mia madre non poteva sentire.

Abbandonammo mia madre in salotto.

Una volta soli gli mostri le foto e tutto ciò che dimostrava la colpevolezza di lei.

Fu una scena stupenda.

Vidi l’incredulità comparsa nei suoi occhi trasformarsi in un attimo in rabbia e collera. Uscì a passo rapido dalla stanza, e tutto andò come previsto. Lui le urlò di tutto e di più, mentre lei negava…ma poi come previsto, stanca delle sue urla confessò a gran voce ogni cosa. Si insultarono, per passare poi alle mani finchè…mio padre non colpi  ripetutamente mia madre con un coltello, fu così che sfogò la sua collera, mentre io lo denunciavo alla polizia.

Quando arrivarono gli agenti trovarono mio padre inginocchiato a fianco di mia madre con il coltello insanguinato ancora in mano. Lo arrestarono immediatamente.

Quanto a me mi portarono da una psicologa immaginando il trauma che può subire un ragazzo della mia età nell’assistere a una scena del genere. Ci andai regolarmente, senza mai lamentarmi, ma anzi ripetendo a chiunque quanto utili fossero per me questi incontri. Solo una cosa avevo imparato da mia madre… mentire.

Dopo un paio di mesi la psicologa mi disse che non avevo più bisogno di lei, che ero riuscito a superare piuttosto bene questa sciagura, mi fece promettere di non smettere di reagire e lottare, ma di continuare per questa strada. L’accontentai, in fondo era vero io volevo continuare per questa strada.

 

Ero decisamente soddisfatto del mio lavoro, avevo eliminato due piaghe del nostro mondo, e di questo ne ero, e ne sono, fiero.

Il mondo intero mi dovrebbe ringraziare.

Un giorno qualcuno capirà ciò che sto facendo.

Un giorno qualcuno si complimenterà con me.

“ci serviva proprio uno come te…hai fatto un buon lavoro, bravo” mi dirà così, mentre fumandosi una sigaretta, guarderà, con me, un nuovo mondo.

Aria nuova.

Vita nuova.

Mondo nuovo.

Quando accadrà, avrò creato un’opera di cui andare fiero.

Ma la strada è ancora lunga, e ora è arrivato il momento che la mia pulizia si espanda in Europa, poi in Asia, Africa, Oceania…tutto.

L’intero mondo avrà il piacere di provare il mio servizio.

Devo solo trovare le mie prossime vittime.

Ce n’è una così vasta scelta che non sai da dove partire.

Uno vale l’altro, sono tutti uguali.

Talmente uguali che per intrappolarli nella tua rete puoi usare sempre lo stesso piano, tanto ci cascano sempre, tutti e comunque.

Sono patetici.

Ignobili, miserabili e patetici.

Una razza da estinguere.

 

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Capitolo 3
*** Angela ***


Angela

Angela

 

“Questo gran silenzio quasi fa rumore

Sono ancora sveglio e sto ascoltando il cuore

Fuori nell’immenso domina la notte

Mentre i miei pensieri fanno ancora a botte

Quale strada ha scelto  questo mio destino

Sapere dove andrò…”

 

 

Sono all’Inferno?

Sono quindi giunta alla famigerata dimora di Lucifero?

Una luce bianca mi acceca.

Non riesco ad aprire gli occhi.

Mi duole tutto il corpo.

Non pensavo che anche da morti si sentisse il dolore.

Forse ci sono regole diverse; all’Inferno si prova ancora la sofferenza, mentre in Paradiso solo gioia.

Peccato che io mi trovi sicuramente negli Inferi.

Una voce mi sta chiamando, un angelo oscuro, un demone probabilmente, oppure addirittura lo stesso Lucifero.

“Angela…Angela…” la voce sussurra  al mio orecchio il mio nome “apri gli occhi Angela…”

Lentamente ubbidisco.

Una luce bianca mi sta accecando.

“ben tornata tra noi Angela…”

Tornata tra noi?che significa?sono morta o  no?

“dove sono?”chiedo fissando la luce.

“in ospedale, tesoro…” è la voce di mia madre.

Che ci fa qui?

Ospedale?

Ospedale…allora sono ancora viva…peccato.

Mi volto verso mia madre, la vedo.

Mi sta sorridendo. Gli occhi lucidi.

“tesoro, per fortuna sei viva!!!…hai perso l’equilibrio sul poggiolo e sei caduta…dal secondo piano….ma stai bene!è un miracolo!grazie al cielo!”

mi continua a sorridere.

“sì…per fortuna sono viva”

 

Mia madre è una delle donne più oppressive di questo mondo. Mi vuole bene, mi ama, ma troppo. Ha paura di perdermi come ha perso mio padre, e così mi impedisce di vivere la mia vita.

Mamma era molto affezionata a mio padre, nonostante i vent’anni di matrimonio sembravano ancora una coppia di giovani innamorati. Erano stupendi insieme.

Avevo  otto anni.

Mio padre andò come ogni mattina al lavoro, io a scuola, mamma, invece, svolse il suo abituale ruolo di casalinga. Erano le cinque e mezza di sera quando arrivarono a casa nostra due carabinieri.

Mia mamma andò al cancello ad aprirgli, io rimasi in casa a disegnare. Non so che cosa le dissero, ricordo soltanto l’urlo straziante di lei.

Mio padre finì così ad ampliare la lunga lista di morti bianche.

Una distrazione.

Un incidente.

Un’orribile disgrazia.

Destino, dicono.

Da quel giorno tutto cambio.

Mia madre si chiuse nella disperazione, dimenticandosi di avere una figlia. Non usciva più, non parlava. Non reagiva. Era totalmente sopraffatta dal dolore.

Insieme a mio padre era morta anche lei.

Ricordo che mio zio ci portò da un psicologo, avrebbe dovuto aiutarci a guardare avanti, anche se in realtà non diede molto risultati. Le cose rimasero così per quasi un anno, poi improvvisamente mia madre si svegliò.

Disse di aver parlato con mio padre, le aveva detto che lui stava bene e che noi dovevamo vivere anche per lui, che la vita va avanti.  Il vederlo le ridiede l’energia, la grinta e la voglia di vivere che aveva smarrito.

Divenne super attiva, disperatamente affettuosa, intollerabilmente apprensiva.

La mia vita finì quando la sua ricominciò.

 

“te lo avevo detto che non dovevi andare a vivere in quel quartiere, che la casa non era sicura, ma tu non mi hai voluto ascoltare, appena uscirai da qui tornerai a vivere con me”.

Ho smesso di ascoltarla, farlo sarebbe inutile. Non potrei ribattere,  non mi ascolterebbe, non accetterebbe obbiezioni. Appena sarò fuori tornerò nel mio appartamento, nella mia solitudine, senza nessuna madre che mi circola intorno.

Ogni giorno riceverò infinite sue telefonate, innumerevoli messaggi in segreteria, diverse visite a sorpresa per assicurarsi che sia ancora viva.

Non mi lascerà in pace un momento.

Non potrò respirare, morirò soffocata.

Lei neppure se ne accorgerà.

Nonostante la sua oppressione, la sua apprensione non si accorge delle cose più elementari, non si rende conto di niente.

Ha paura di perdermi, eppure non capisce che mi sta uccidendo.

 

“scusate non volevo disturbare, ma avrei bisogno di parlare con vostra figlia”.

Qualcuno è appena entrato nella stanza, non so chi, pur di non sentire mia madre ho finto di dormire.

“mi dispiace, ma sta dormendo…”

“vorrà dire che aspetterò il suo risveglio qua fuori”

la porta si è richiusa, il silenzio è tornato.

Ho aperto gli occhi. “chi era, mamma?”

“oh cara…mi dispiace, ti abbiamo svegliata”

“chi era?”

“un agente…”

“fallo entrare”.

 

È trascorso un sacco di tempo prima che mia  madre decidesse di uscire come le aveva chiesto il poliziotto. Ora siamo soli.

Silenzio.

Nessuno dei due parla.

Il suo sguardo si sposta da un angola all’altro della stanza, mentre il mio è perso nell’immensità dell’orizzonte.

“i medici dicono che potrà tornare a casa molto presto signorina…ne sarà contenta”

“sì”

sento il suo sguardo su di me, mi volto verso di lui, lo fisso per ritornare subito a fissare il vuoto, non riesco a sostenere quegl’occhi.

Silenzio, di nuovo.

“appena accaduto il fatto ho parlato con sua madre…non ha fatto altro che ripetere che si è trattato di un dannatissimo incedente, ma che era inevitabile visto la bassa qualità del quartiere. dice che là le case cadono a pezzi…ma per me una ventisettenne che cade dal poggiolo non sa molto da incidente”.

Non rispondo.

Solo mia madre può non rendersi conto dell’evidente realtà, solo lei. 

Questo giro di parole è inutile, sappiamo entrambi che cosa vuole dire e qual è la verità.

“penso che lei abbia bisogno di un aiuto. Con noi agenti collabora una psicologa, è una in gamba, questo è il suo numero”.

Mi ha passato un bigliettino. Bianco, formale, per nulla invitante.

“la contatti, le sarà d’aiuto. Il tentato suicidio non è cosa da poco, signorina, non è da sottovalutare”.

 

 

 

 

 

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