Dammi un buon motivo.

di cin75
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La separazione. ***
Capitolo 2: *** L'incontro ***
Capitolo 3: *** La crisi ***
Capitolo 4: *** Il chiarimento. ***
Capitolo 5: *** A casa di Jensen. ***
Capitolo 6: *** Una nuova vita ***



Capitolo 1
*** La separazione. ***


LA SEPARAZIONE.

“ Io ti amo, Jared. Nonostante tutto, nonostante quello che sei diventato. Ti amerò sempre. Ma la questione è che non ce la faccio più a fare questa vita!” fece sconsolato e triste Jensen, guardando il compagno fermo e in piedi, di fronte a lui. “Guardati! Sei talmente ubriaco che a stento ti tieni in piedi. Devo venirti a recuperare in un bar diverso, tutte le sere, perché bevi talmente tanto che non riesci nemmeno a distinguere il taxi che chiamano per mandarti via.” lo accusò con calma.
“Ma che ne vuoi sapere tu!” sembrò redarguirlo l’altro, biascicando le parole.
Il corpo che barcollava, incapace di stare diritto. Gli occhi lucidi , offuscati dall’alcool. Il viso arrossato per lo stesso motivo. “Tu….” Fece puntandogli il dito contro. “… Il sempre stoico Jensen Ackles. Colui che riesce a cadere sempre in piedi!”
“In piedi!!?” fece eco Jensen, con tono sofferente. “Tu pensi che la morte di Josh abbia colpito solo te? E’ questo che pensi?!” domandò iniziando ad alterarsi.
“Io…” ma non riuscì a finire.
“C’ero anche io quando il cancro ce lo ha portato via. C’ero anche io accanto a quel letto quando , nonostante tutto quel dolore, ci ha sorriso per l’ultima volta. C’ero anche io quando la sua bara è stata calata nella terra. E anche io ho pianto vedendo la terra che ricopriva per sempre il corpo di nostro figlio!” e adesso anche se le lacrime non scendevano, la sua voce piangeva per lui. E soffriva comunque nel vedere quanto soffrisse il giovane marito, distrutto sia dal dolore che dalla sbronza che lo stordiva.
“Io non riesco… io non…voglio..” cercava di giustificarsi l’altro, cercando anche di riprendere il controllo del suo stato fisico e mentale. Inutilmente, però.
“Lo so che stai soffrendo. Soffro anche io. Lo so che quello che è successo ti ha annientato. Ha annientato anche me. Ma io mi sono rialzato da quella terra, o almeno ci sto provando…. tu invece, nonostante io abbia cercato di riportarti su con me, hai usato tutte le tue forze, per iniziare a scavare.” fece con tono duro, cercando una qualche reazione che gli mostrasse che la decisione che aveva preso, era quella sbagliata. Ma non fu così.

Jared cercò di drizzarsi. Di mostrarsi in tutta la sua statura. Provò perfino a sorridergli ironico.
“Allora che farai? Mi lascerai, Jensen?” domandò con tono sprezzante, andando verso il mobile bar e , ignorando lo sguardo di disapprovazione di Jensen, prendendosi da bere. Ancora.
Come se l’alcool che aveva in corpo non fosse stato già abbastanza.

Jensen chinò il capo. Sconfitto.
Non poteva, non poteva continuare in quel modo.
Josh non meritava di essere ricordato così.

“No, Jared. Non ti lascerò.” fece atono. “Io ti sto già lasciando.” e poi indicò i due borsoni appoggiati in un angolo del soggiorno. “Speravo in qualcosa di diverso. Ci speravo davvero. Credevo che parlandoti così, stasera, sarei riuscito a …non so…forse…Ma vedo che non è così!” convenne amareggiato, vedendo Jared che lo fissava , forse incredulo, con un bicchiere tra le mani, che svuotò senza problemi e la bottiglia di scotch nell’altra. “Fra dieci minuti arriva il mio taxi. Ho il volo tra un ora. Torno in Texas, ad Austin. Devo farlo perché non ce la faccio a continuare a stare qui e vederti distruggerti in questo modo. Mi dispiace, mi odierò un giorno per quello che ti sto dicendo e facendo, ma ti farai del male da solo. Io voglio ricordarti in una maniera diversa, nella stessa maniera in cui ti guardava Josh!” disse infinitamente triste e in quello stesso momento il suono di un clacson richiamò la sua attenzione.
Il biondo si avviò verso l’angolo della stanza e recuperò le sue valigie, guadagnando subito dopo, la via della porta.
Si voltò verso il giovane che lo fissava impietrito, convinto forse, che quello che stava facendo il compagno, fosse il solito, ennesimo tentativo di “recuperarlo” da quel suo tunnel senza fondo.

Ma non era così e Jared si sentì il fiato spezzarsi in gola quando vide Jensen aprire la porta e varcarla.
No!, questa volta non sembrava la solita messa in scena.
Questa volta Jensen sembrava davvero volersene andare.
Peggio!, Jensen se ne stava andando.

“Jensen…” sussurrò incredulo. Confuso.

“Ti prego….” fece Jensen, voltandosi un ultima volta verso di lui. “Ti prego…trova la forza di rialzarti Jared. Io non sono stato capace di aiutarti. Forse non sono stato capace di amarti nel modo in cui tu, in questi mesi, avresti voluto essere amato. In cui avevi bisogno di essere amato. Non lo so…forse è stata anche colpa mia…ma ….io…io davvero non ce la faccio a stare qui e vedere che sto per perdere anche te. Non sopravvivrei a questo.” disse e questa volta piangeva.
Non ne riuscì a fare a meno.
Jared non sapeva però, che quella scelta di Jensen, era una decisione presa grazie o per colpa di un responsabile del centro alcolisti.
 
“Fin quando ci sarai tu a raccoglierlo da terra, Jared, non si costringerà mai a trovare la forza di rialzarsi da solo. Devi allontanarti, Jensen. Sarà solo per il suo bene. Non temere, non sarà solo. Anche quando penserà di esserlo!”
 
“Non puoi andartene sul serio!” provò a dire.
“Dammi un buon motivo!” replicò Jensen, sperando in qualche gesto. Sperandoci fortemente.
Jared lo guardò intensamente. Guardò la bottiglia che aveva tra le mani e poi il bicchiere vuoto. Poi di nuovo il compagno sulla soglia di casa. La bottiglia. Il bicchiere.

Il cuore di Jensen fremette. Forse.….

Ma Jared lo sorprese. Riempì il bicchiere e bevve ancora.
Non trovò il coraggio di dire altro  o solo di guardare mentre Jensen, addolorato, andava via.
L’alcool avrebbe portato via anche quest’ennesimo dolore.

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Capitolo 2
*** L'incontro ***


L’INCONTRO
 

Circa diciotto mesi dopo…..

Jensen era nel suo studio a finire di riordinare gli ultimi documenti di quella lunga giornata di lavoro.
I suoi colleghi ed amici erano già andati via, e lui, per l'ennesima volta aveva trovato una scusa plausibile per rifiutare gentilmente l'invito a seguirli al bar, per uno svago post lavoro.
Era tornato ad Austin per rimettersi in piedi, cercare di riprendersi dalla morte di Josh, dalla fine della sua storia con Jared. Lo voleva con tutte le sue forze, ma niente si era dimostrato essere facile.
Il dolore della perdita era, ancora , costantemente presente al centro del petto. In quella parte di cuore che aveva consegnato a Josh, il giorno in cui l'adozione era stata ufficializzata.
E poi c'era quel vuoto che sentiva, pressante, la mattina e la sera. Quella mancanza che sentiva nella sua testa. Quella risata che non smetteva di rimbombargli nella testa. Il ricordo di quegli abbracci e di quelle carezze, di quei baci a volte leggeri come neve e a volte appassionati come i temporali estivi. Gli mancava sentirsi chiamare da quella voce in particolare. Gli mancava chiamare quel nome in particolare.
Gli mancava.
 
E niente, al contrario di quello che aveva pensato quando era andato via, aveva smesso di fare male.
 
Chiuse con un respiro affranto la borsa dei documenti che avrebbe portato via con lui e che gli sarebbero serviti per far passare l'ennesima lunga notte, quando quella voce che tanto gli mancava , gli risuonò nella testa.
E sembrava così vicina, così reale, così presente.
 
"Ciao, Jensen!"
 
Il biondo si girò di scatto. "Jared?"
 
Jared era di fronte a lui. Esattamente come lo ricordava eppure così diverso.
Il volto sereno , non più costantemente affaticato dai fumi dell'alcool. Gli occhi erano di nuovo dolci come li ricordava e non più arrossati o cerchiati. Le sue mani era ferme lungo i fianchi e non tremavano più in cerca di un appiglio sicuro. Il corpo non più ciondolante ma fermo, di nuovo in forma. Sembrava il Jared di cui si era innamorato otto anni prima e che aveva sposato dopo appena due anni di convivenza.
Solo i capelli erano più lunghi, quasi alle spalle. Ma anche se troppo lunghi, Jensen dovette ammettere a se stesso che gli donavano comunque.
 
"Mi ha fatto girare quasi tutta Austin per trovarti!" scherzò Jared.
"Che ci fai qui?!" fu invece la risposta di Jensen ancora incredulo.
Jared poteva capire perfettamente lo stato d'animo del compagno o dell'ex compagno - dentro di lui sapeva che anche quella era una delle situazione che dovevano chiarire.
"Sono uscito due settimane fa e ho pensato che ormai era il momento di dover parlare con te!" disse solo.
"Sei...uscito?" ripetè Jensen , pensando che il giovane avesse fatto qualche sciocchezza, dopo che lui lo aveva lasciato. "Cosa hai..."
"Non fraintendere. Il fatto è che.." poi si fermò un attimo e si guardò intorno. Erano in mezzo alla strada e quello non gli sembrava davvero il posto per affrontare un argomento del genere. "Senti!, dobbiamo parlarne per forza qui? Non c'è un posto dove possiamo metterci tranquilli e ....parlare?" chiese quasi con timore.
 
Jensen non sembrava convinto. Di lui, di Jared. Di quella situazione.
 
“Jared, veramente io…” provò a dissuaderlo.
“Voglio solo parlare, Jensen. Per favore!” chiese ancora.
Jensen lo fissò. Titubante. Aveva una gran voglia di sapere tutto, ma aveva anche una grande paura che quello che avrebbe sentito non gli sarebbe piaciuto. Doveva farlo, però. Doveva parlare con lui e farlo parlare.
"Seguimi!" disse cercando di rimanere freddo e concentrato.
Jared sorrise appena. Un po' per la felicità di quella concessione a potersi spiegare, un po' perchè conosceva Jensen e sapeva che quel suo comportamento distaccato era un modo per proteggersi da una situazione che ancora non sapeva come affrontare. Ricordò per un attimo quando non era certo che avrebbero affidato loro il piccolo Josh, e Jensen era quello che si sforzava di rimanere ...lucido.
Jensen lo portò ad un bar che sapeva essere non molto frequentato a quell'ora. Salutò Rich, il barista e invitò Jared a seguirlo in un tavolo d'angolo dove avrebbero avuto una certa privacy.
"Allora!?" fece non appena si furono accomodati.
"So che dirti "sono appena uscito" è potuto sembrare strano, ma non è quello che pensi." fu il prologo per rompere il ghiaccio.
"E cosa dovrei pensare?"
Jared decise di non girarci troppo attorno. Dritto al punto, come aveva imparato in quei mesi.
"Quando quella sera te ne andasti via, rimasi per circa due giorni a casa nostra. Bevvi così tanto che quasi mi scoppiò il fegato. Volevo perdermi. Volevo che finisse tutto perchè ormai non avevo più niente."
"Jared io ..." si ritrovò quasi pensare di doversi scusare.
"No. No, Jensen. Non provare a scusarti.” Lo anticipò il giovane. “Tu hai fatto l'unica cosa che doveva essere fatta. Ora lo so!  " disse sereno e guardando quasi con apprensione il volto sconvolto di Jensen.
" Jared cosa.."
"Jim, mi trovò a terra. Privo di sensi a causa di tutto quello che avevo buttato giù. Chiamò l'ambulanza e quando mi svegliai in ospedale, non mi fece nessuna paternale. Mi mise tra le mani due foto: una di Josh e una tua." disse mentre i suoi occhi si inumidirono a causa di quel ricordo e del ricordo di quelle foto. "Mi disse solo: la vita ti ha portato via Josh senza motivo. Non darle un motivo per portarti via anche Jensen."
Jensen lo ascoltava, in silenzio. Anche in quelle parole sembrava stare ascoltando di nuovo l'amato Jared. Calmo, chiaro, gentile. Con quello stesso tono con cui infinite volte avevano parlato di tutto l'uno di fronte all'altro o magari stretti nel loro letto.
"Che cosa è successo?!" domandò.
"Quando mi rimisero in sesto in ospedale, uscii. Tornare a casa nostra, troppo dolore. Infilarsi nell'ennesimo bar, troppo scontato. E in quei pensieri mi ritrovai al centro recupero alcolisti gestito da Jim. Bussai e con mia grande sorpresa, non provai difficoltà o vergogna a chiedere aiuto." raccontò con aria fiera ma non spavalda. "Non bevo da allora. Sono lucido da diciotto mesi." e dopo quella frase concluse il suo racconto.

Restò in silenzio, in attesa che Jensen metabolizzasse la storia, le sue parole, il modo in cui lui si era confidato. Doveva dare tempo a Jensen di rendersi conto di tutto. E forse di credergli.

Jensen era visibilmente confuso. Se da un lato era sconcertato da quel nuovo Jared, dall'altro ne era terrorizzato.
Non si spiegò perchè ma l'unica domanda che la sua mente fu capace di mettere insieme fu la stessa che aveva già fatto a Jared quando lo aveva rivisto.
"Che ci fai qui, Jared?!"
"Sono qui per te, Jensen. Sono qui per non dare un motivo alla vita per portarti via da me. Di nuovo!" disse deciso, spostando una mano verso quella di Jensen e stringendola dolcemente e soprattutto provando un’immensa felicità che tenne solo per sè, quando si rese conto che Jensen, nonostante tutto, portava ancora il loro anello nuziale.
Quindi, ora, si sentiva ancora più deciso ad andare avanti. “Io ti amo ancora. Non ho mai smesso e spero…spero tanto che anche tu mi ami, perché se è così, ti rivoglio Jensen. Ti rivoglio con me. Nella mia vita. E non ho intenzione di rinunciare a te, amore mio.”
 
Jensen scattò a quel semplice e pur sconvolgente contatto di mani  ma qualcosa , comunque, dentro di lui, gli impedì di sottrarsi a quel contatto. Quelle che aveva sentito erano parole meravigliose. Parole che non sperava di poter ascoltare ancora una volta nella sua vita e tanto meno dette dall’uomo della sua vita, ma che la sua mente si ripeteva notte dopo notte.
Ma ora…in quel modo….dopo quello che era successo…dopo il modo in cui si erano separati.
 
Era confuso. Si sentiva sballottato tra cuore  e mente.
Che fare ? Che dire?
 
"Jared, io non penso che....insomma...quello che ci è successo....il modo in cui abbiamo reagito...giusto o sbagliato....giustificabile o meno....io...tu... e poi adesso....." continuava a dire anche se sapeva che non aveva un gran che senso quello che stava dicendo.
Jared stava per replicare quando Rich si avvicinò al loro tavolo.
 
"Che vi porto da bere, ragazzi?!" disse sorridendo.
 
I due ragazzi lo fissarono muti, quasi imbarazzati da quella interruzione.
"Acqua tonica, per me!" fece Jared cercando di uscire da quell'empasse.
"Ok! e per te , amico?!" disse rivolgendosi a Jensen che ancora perplesso continuava a spostare lo sguardo tra l'amico, Jared, e le loro mani ancora unite.
"Io...io...." balbettò confuso. "Scusate. Scusatemi. Io devo andare. Mi dispiace...mi dispiace. Ma devo andare. Non posso. Non posso." fece alzandosi in tutta fretta. Si liberò dalla presa di Jared e afferrando velocemente la sua roba, quasi scappò fuori dal locale.
"Jensen?...Jensen..?..amico?!" fece preoccupato Rich che stava per andargli dietro.
"No. Fermo!" lo bloccò Jared. "Sta bene. Più o meno." precisò. "Ma ha bisogno di pensare. Di stare da solo. Lo conosco. Lui ha solo bisogno di....razionalizzare!" sembrò voler tranquillizzare il barista.

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Capitolo 3
*** La crisi ***


LA CRISI
 
 
Passarono un paio di giorni da quel loro incontro.
Jensen sapeva che Jared era ancora in città. Alcuni suoi amici glielo avevano fatto presente, preoccupati e anche un po’ curiosi di quella presenza inaspettata.
In quei giorni che erano passati non aveva fatto altro che pensare e ripensare alle parole di Jared.
 
Non che anche il suo ritornare ad Austin avesse migliorato la situazione emotiva e psicologica di Jensen, di certo era più normale, regolare o meglio era più stile automa: lavoro, casa, respirare, casa, lavoro, respirare.
Almeno riusciva ad andare avanti giorno per giorno.
 
Ora, Jared, invece , era tornato. E sembrava stare bene.
E gli aveva parlato in quel modo.
E gli aveva detto che lo rivoleva con lui. Che rivoleva la loro vita insieme. Che voleva riprendere a vivere. Con lui.
Faceva male.
Soprattutto perché era esattamente quello che voleva lui , che aveva sempre voluto ed era il motivo per cui, paradossalmente, era andato via, lasciandolo ubriaco nel salotto di casa loro. Farlo ritornare a vivere.

Non sapeva che fare, che pensare, come reagire.

La sua mente aveva preso a formulare miriadi di possibilità. Come un uragano, tutte le emozioni che con fatica cercava di tenere riposte in un angolo remoto della sua mente, si stavano abbattendo su di lui, senza dargli tregua o scampo. Si sentiva schiacciato da sensazioni che a volte erano così opprimenti che si sentiva mancare il fiato.

Una sera, ancora in evidente agitazione, Jensen , se ne stava nel suo appartamento, quello che non aveva mai venduto e in cui aveva convissuto per qualche mese con Jared, prima di trasferirsi entrambi a Cleveland, quando sentì bussare.
Aveva trovato il coraggio di chiamare un suo caro amico, Misha, e con lui pensava di trovare almeno la possibilità di uno sfogo.
Ma quando andò ad aprire, fu ben altro il viso che si ritrovò davanti.
 
“Che ci fai qui?”
 
“Non riesci proprio a farmi una domanda diversa?” lo provocò gentilmente Jared, sorridendogli.
Jensen se ne rese conto, in effetti non aveva fatto che chiederglielo da quando lo aveva rivisto.
“Posso entrare?” fece il giovane.
Jensen tentennò. Guardò il giovane. Si guardò velocemente alle spalle, quasi volesse assicurarsi di essere in un posto in cui sarebbe stato al sicuro.
Al sicuro da che o da chi, poi?, si ritrovò a chiedersi.
“Ok!” acconsentì con un filo di voce.
 
Jared entrò e restò vicino alla porta che Jensen chiuse alle sue spalle. Vide il biondo allontanarsi da lui , ma lui non si mosse da dove era. Aveva chiesto di entrare, ma voleva che fosse Jensen a sentirsi pronto per riprendere il discorso da dove lo avevano lasciato.
Jensen fissò il ragazzo. “Vieni, accomodati.” e Jared obbedì, felice.
Si tolse il giaccone e si andò a sedere sul divano che campeggiava al centro del piccolo soggiorno.
Tutto era esattamente come ricordava in quel appartamento, dove fecero l'amore per la prima volta, qualche settimana dopo che avevano scoperto di piacersi e poi di amarsi.
“Credo di doverti delle scuse!” fece poi. “Forse ti ho sconvolto con il mio modo di agire. E capirei se tu fossi arrabbiato con me. Mi presento qui, come se niente fosse. Dicendoti che sono stato in riabilitazione, che ora sto bene, che ti amo e che ti rivoglio con me.”  elencò in breve quello che era successo. “Jensen, il fatto è che io…”

“Sta’ zitto.” sembrò quasi ringhiare Jensen dall’angolo della stanza da cui lo guardava e lo ascoltava.

“Come?”
“Tu devi stare zitto!!” ribadì con più decisione che a Jared parve quasi rabbia.
“Jensen che..”
“Tu non hai idea di quello che provavo io quando ti vedevo ridotto come uno straccio inzuppato di alcool. Di quello che ho provato lasciandoti perchè Jim mi aveva detto, anzi quasi costretto a capire che era l’unico modo per salvarti. Tu…”
“Jim, cosa?...è stato Jim a dirti di..”
“Sì e vedendoti adesso, non lo ringrazierò mai abbastanza.” Esclamò con enfasi. “Ma questo non cambia il fatto del dolore e la sofferenza , anche fisica, che ho provato. Giorno dopo giorno. Tu stai bene?” domandò ironico. “Beh! buon per te!” sbottò lanciando le braccia all’aria. “Perché io, no!! Io continuo a vederti barcollare per la casa completamente sbronzo, continuo a sentirti mentre vomiti anche l’anima. Rivedo la tomba di Josh, mi rivedo da solo su quella tomba , sapendo che tu invece eri in qualche bar a scolarti l’impossibile.” Continuava ad inveire contro Jared che a quella reazione improvvisamente isterica si era alzato dal posto in cui era, perché voleva cercare di calmarlo dato che quasi ansimava tra un accusa e l’altra. Iniziava perfino a sudare per l’agitazione.
Ma non appena Jensen lo vide avvicinarsi, si allontanò.

Sentiva di stare come per esplodere. Sentiva di non riuscire più a trattenere la rabbia che da tempo covava dentro. Sentiva finalmente di dover tirare fuori tutto. Di dirlo ad alta voce. Di dirlo a Jared. Ma non aveva messo in conto il dolore che avrebbe provato nel farlo.
“Non provare…non provarci nemmeno ad avvicinarti a me, Jared. Per l’amore di Dio non pensarci nemmeno a..” lo avvertì furioso, mettendo più spazio tra loro. Spazio che Jared cercava di dimezzare dato che Jensen sembrava sempre più fuori di sé.

Jared lo vedeva ansimare, sudare più del dovuto. Lo vedeva agitarsi come non era abituato a fare. Come non aveva mai visto fargli.
“Ora, vieni qui e credi che dirmi “ti amo.. torniamo insieme..sto bene…” risolva come niente tutti questi mesi?!” gli domandò retorico. “Credi davvero che basti questo?..io sono stato da solo a combattere con i ricordi di Josh, da solo a pensare a quello che stavo passando…che stavi passando....per la miseria!!, a volte mi chiedevo addirittura se tu fossi vivo....io…ero …da solo a cercare di riattacare…ogni stramaledetto…..pezzo della mia …vita….” e più continuava e più sembrava annaspare in cerca di aria. “…io ..io…ho dovuto…”
“Jensen, ok!...ma  calmati adesso….ti stai agitando…” cercò di farlo calmare.
“Io…a malapena respiravo i primi…giorni che sono arrivato….ho pianto come un disperato ogni singola notte che Dio possa farmi ricordare …..da quando….da quando…da quan…” e poi qualcosa successe e Jared se ne allarmò.

Vide Jensen sbiancare. Non respirava più normalmente, ma inspirava soltanto, come se non riuscisse più a compiere il normale atto del respirare.
“Jensen…che hai?” chiese preoccupato avvicinandosi velocemente.
“Stai...stai..lontano….stai…lontano…da me!” cercava di allontanarsi, mentre si portava una mano sulla maglietta e si strattonava il girocollo come se quello gli impedisse di respirare.
“Jensen…tu non stai bene. Sei pallido,  respiri male…lascia….lascia che ti aiuti!” fece ancora, cercando ancora il modo per avvicinarsi.
“Nooooo!!!” e si spostò ancora ma non appena fu solo un paio di passi lontano da Jared, la stanza iniziò a girare.
La testa a rimbombare. Gli occhi gli si appannarono. Perfino la voce di Jared alle sue spalle che lo richiamava preoccupato parve ovattata, quasi irreale. “Io…io…” e poi gli si piegarono le  ginocchia e si ritrovò a terra.

“Jensen!!!” fu l’ultima cosa che sentì prima di non sentire più niente.

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Capitolo 4
*** Il chiarimento. ***


                                                                                           IL CHIARIMENTO 


Quando riaprì gli occhi, Jensen si guardò attorno e capì immediatamente di essere in ospedale, forse anche grazie al fatto che c’era un infermiera che gli stava controllando le funzioni vitali dai monitor a cui era collegato.
“Finalmente sei sveglio!” fece la voce ancora preoccupata di Jared.

Jensen si girò di scatto verso la voce , ma quel movimento repentino fu , per la sua testa, come una fitta impietosa e gemette vistosamente.

“Che c’è?...stai male?” domandò mentre si avvicinava al letto. “Sta male!!” fece poi rivolto all’infermiera.
“Non si preoccupi. E’ solo una conseguenza del collasso che ha avuto!” disse con disinvoltura.
“Un…collasso?!” fece eco Jensen, basito.

“Sì, gran genio! Un bel collasso nervoso.” fece, invece, il dott. Morgan, appena entrato nella stanza.

“Jeff?”
Jeffrey Dean Morgan era amico da tempo di Jensen e lo divenne anche di Jared, quando i due ragazzi si misero insieme. “Felice di rivederti Jared!” fece al giovane e poi più in silenzio. “E felice di vedere che stai bene!” e Jared annuì solo a mo’ di ringraziamento.
Poi spostò lo sguardo sul suo paziente. “E ora veniamo a te, genio!” mettendosi accanto al letto dell’amico.
“Che diavolo è successo, Jeff?!” domandò mentre provava a mettersi seduto con le spalle appoggiate alla spalliera del letto. Movimento in cui il medico lo aiutò.
“A quanto pare hai finalmente buttato fuori tutto. Avrei preferito tu lo facessi in ben altro modo, ma dato come sono andate le cose, anche così va bene. I valori si stanno normalizzando, la pressione anche e l’episodio di tachicardia non si è più ripresentato.” Lo mise a conoscenza leggendo la sua cartella.
“Tachicardia?!” chiese sorpreso Jensen.
“E già! avevi i battiti oltre i 120 quando sei arrivato qui. Stavi quasi per fare boom!, amico mio.” Scherzò per alleggerire la situazione che in effetti, all’inizio sembrava non proprio piacevole.
“Ma cosa…come..”
“Di tempo per i chiarimenti ne avrete. Ora, quello che mi interessa è che tu abbia tutto ai livelli giusti.  Ti terrò in osservazione ancora stanotte. Ma domani potrai andare a casa. Ti prescriverò dei tranquillanti leggeri per i primi giorni, poi dovrai venire qui e ti controllerò di nuovo e..”
Jensen sbuffò, quasi seccato. “Oh, andiamo!! Tranquillanti?....non sono una donnetta isterica.”
“Non fare così Jensen!” intervenne , improvvisamente, Jared che fino a quel momento era rimasto in silenzio. "Se Jeff dice che puoi.."
“Tu stanne fuori, non sono affari tuoi!” lo riprese severo Jensen, zittendolo.
“Beh!! caro il mio “non sono una donnetta isterica”  , sai che ti dico? Che dovresti , invece, ringraziarlo. E’ stato lui a portarti qui!”
“E’ stato lui la causa per cui io sono qui!” lo corresse sarcastico, Jensen.
“Già, perché tu credi che esserti sentito male è dovuto alla discussione che stavi avendo con Jared?” e Jensen capì che evidentemente Jeff aveva chiesto spiegazioni e che Jared, di conseguenza, aveva detto tutto. “Ti sbagli, Jensen. Quello che ti è successo sarebbe successo da un momento all’altro. Serviva solo l’innesco e fortunatamente l’innesco è stato Jared ed è successo mentre era con te. Lascia che ti dica che saresti potuto “scoppiare” anche vedendo una qualsiasi cosa, anche per strada. E magari l’aiuto non sarebbe stato repentino come quello che ti ha dato Jared!” fece guardando il giovane alle sue spalle che era ritornato ad essere muto dopo l’ammonizione di Jensen.
“Ora vado a prescriverti le medicine. Credo che voi due abbiate parecchio da dirvi!” e senza attendere ulteriori repliche da paziente e visitatore, uscì dalla stanza chiudendo la porta alle sue spalle.

Ci furono infiniti minuti di silenzio tra i due.
Infiniti pensieri. Infinite sensazioni. Infinite emozioni.
“Grazie!” sussurrò, poi, appena appena, Jensen, che però ancora non guardava il giovane poco distante. Lo disse al pezzo di lenzuola che continuava a tirare e ritirare tra le dita.
“Non c’è di che!” si ritrovò a rispondere, il giovane,  con lo stesso tono.

Poi ancora silenzio. Piccoli e fugaci scambi di sguardi. A volte indagatori. A volte imbarazzati. A volte indecisi se dare anche una parola a quei silenzi oppure no.
“Mi hai fatto paura.” e questa volta fu Jared a spezzare quel silenzio. “Ti ho visto impallidire, respiravi male e non riuscivi a rispondermi. Sembrava che non riconoscessi niente e nessuno. Sembravi….”
“..perso!” finì per lui Jensen che ora lo guardava.
"Sì!" ammise il giovane.
"Mi sentivo perso!" continuò. Guardava la dolce tristezza sul viso del giovane. Guardava i suoi occhi lucidi per l’emozione. Vedeva la voglia che Jared aveva di avvicinarsi a lui o solo un po’ di più al suo letto.

Anche se non pienamente convinto, Jensen, abbassò le sue difese. Fece un respiro profondo. “Prometto che non ti mordo!” disse facendo cenno al ragazzo, assicurandolo che aveva il permesso di sedersi accanto a lui.
Quando Jared vide Jensen battere la mano al bordo del letto per invitarlo a sedergli vicino, sentì il cuore fare mille capriole.
Era un enorme passo avanti. Jensen non lo allontanava più.
Il primo istinto fu quello di corrergli vicino e poi dovette costringersi ad avvicinarsi con lentezza, ma Jensen se ne accorse e sorrise timidamente quando capì quello che Jared stava per fare ma che si costrinse a non fare.
“Ok! Ti ascolto!” fece guardando il giovane ormai seduto al suo fianco e che lo guardò dubbioso a quella richiesta. “Che ha detto Jeff?”
“In poche parole…che per quanto abbiamo percorso strade diverse, il dolore che abbiamo dentro, è lo stesso. Lo abbiamo solo usato in maniera diversa. O meglio lui ha usato noi in maniera diversa!” cercò di spiegare.
“Non ti seguo!” disse con calma, tirandosi su e sedendosi meglio.
“Il mio dolore mi ha spinto verso l’alcool e la distruzione che l’alcool può portare. Il tuo, ti ha costretto a tenerti tutto dentro e di conseguenza alla distruzione che questo comporta. Io affogavo in una bottiglia, tu nel silenzio.” rispose e non sapeva  come altro spiegarlo.
“Ci siamo fatti del male da soli…. credendo di farne uno all’altro!” convenne.
“Credo di sì. Io l’ho capito durante i miei mesi di riabilitazione. Tu, purtroppo, hai scelto una strada un po’ più veloce. Troppo veloce!” fece sorridendo e senza rendersene conto andò a stringergli la mano che Jensen aveva poggiato sulla pancia.
Questa volta però Jensen la strinse, ricambiando il gesto.
“Jensen, io…”
“Jared…”

“Mi dispiace, signore. L’orario di visite è finito e lui dovrebbe assolutamente riposare!” li interruppe un infermiere.
“Sì. Grazie ! Vado tra cinque minuti, lo giuro.”
“Facciamo tre!” lo riprese l’altro, prima di lasciarli di nuovo soli.

Jared e Jensen si guardarono.
Le dita delle mani ancora intrecciate. Gli occhi che si cercavano. Che cercavano di nuovo di ritrovare quell’anima che solo loro sapevano dove trovare. Si sorrisero.
“Passo domani mattina e ti riporto a casa!” fece Jared.
“Non ce n’è bisogno, posso fare…” provò a sottrarsi Jensen, ma senza voler sembrare duro o scortese.
“Passo domani mattina e ti riporto a casa!” ribadì con più decisione ma rendendo il suo tono comunque dolce.

Poi , non se ne rese nemmeno conto, ma istintivamente si sporse verso il viso di Jensen. La sua mente lo avvisò di quello che stava per fare solo un attimo prima che le loro labbra si trovassero troppo vicine per avere lo spazio e per poter dire una qualsiasi parola.
Non fu un bacio o forse si.
O forse fu solo una carezza sulle loro bocche vicine.
O forse fu solo il loro fiato a toccare uno le labbra dell’altro.

“Dammi un buon motivo!” mormorò , Jared , fermo in quella posizione.
Ma questa volta fu Jensen a non rispondere. Il maggiore si limitò ad abbassare gli occhi, forse in imbarazzo.
Poi, anche, Jared abbassò lo sguardo e fermò tutto in quell’esatto momento in cui erano.
Non era il momento di andare oltre.
Jensen non era pronto. Lui non lo era. E ancora tante cose dovevano essere chiarite.

Spostò di poco la testa e andò a baciare la fronte di Jensen che non si sottrasse a quel dolcissimo tocco.
“Ci vediamo domani. Cerca di riposare, ok?!” fece Jared, alzandosi dal letto su cui era seduto.
Jensen annuì appena. Confuso da quello che era successo o non era successo, da quello che aveva provato e che provava ancora.
Ma stranamente questa volta non c’era rabbia o frustrazione in quelle sensazioni, ma qualcosa di bello e leggero che non provava più da tempo.
“Dove andrai tu?!” si ritrovò a chiedere al giovane che ancora lo guardava mettersi giù a letto, più comodo.
“Compro qualcosa da mangiare e poi tornerò in albergo!” fece mentre recuperava il suo giaccone.
“Potresti….” e poi si fermò quasi tentennante. Ma poi riprese. “Puoi andare a casa mia. La conosci e il frigo è pieno e poi staresti più comodo che in una stanza di albergo!”
“Non ti darebbe ….fastidio?!” si assicurò.
Jensen fece cenno di no con la testa. “Non te lo avrei proposto se mi avesse dato fastidio. E poi, mettila così: saresti già lì, se avrò bisogno di qualcosa per quanto mi faranno uscire domani!” tentò di giustificare quel suo suggerimento.
Jared lo guardò e poi sembrò valutare attentamente la cosa. Infondo non era una cattiva idea. L’albergo era da tutt’altra parte rispetto all’ospedale e alla casa di Jensen. Quindi la cosa era fattibile.
“Ok!, ma domani appena sarai sveglio, chiama. Dimmi quello che ti serve e io arriverò il prima possibile!” promise.

Jensen gli sorrise e gli disse dove trovare la chiave di emergenza.

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Capitolo 5
*** A casa di Jensen. ***


                                                                                           A CASA DI JENSEN

Il giorno dopo , come previsto, Jeff diede a Jensen il permesso di tornare a casa, facendosi promettere che da lì a una settimana sarebbe tornato a farsi controllare.
"O ci vieni da solo o giuro che ti mando a prendere da un ambulanza a sirene spiegate!" fu l'amichevole monito.

Quando Jared lo riaccompagnò a casa, lo costrinse a mettersi a letto.
"Ma dici su serio?!" disse sorridendogli e cercando di sottrarsi gentilmente all'invito di Jared di portarlo in camera.
"Certo che dico sul serio. Jeff in persona mi ha ingaggiato, quindi ho ti metti a letto da solo o ti ci metto io con la forza!" disse e solo in un secondo momento si accorse del modo in cui Jensen lo guardava dopo quella sua affermazione.
In un altro momento, in un altra situazione, in un'altra vita, sarebbe stato un provocante doppio senso.
Forse lo era anche in quel momento ma ....no!, si costrinse a pensare. Non era il momento.
“Ok! Tu cambiati e riposa!” fece immediatamente dopo essersi distaccato da Jensen, mettendo tra loro, due metri abbondanti. “Io vado di là e quando ti sarai svegliato troverai qualcosa di meglio da mangiare del brodino ospedaliero, ok?!” promise, lasciando su una poltrona, con modi impacciati, la borsa che Jensen aveva portato via dall’ospedale.
“Tu?..cucinerai?” fece dubbioso Jensen.
“Ehi!? non sarò Ramsey….ma un paio di hamburger riuscirò a metterli sulla piastra!” fece sicuro delle sue abilità culinarie. “Va’  a letto ora!” e uscì dalla sua camera.

Quando si chiuse la porta alle spalle , Jared, rimase per qualche momento appoggiato con la schiena alla parete del corridoio.  Chiuse gli occhi e cercò di respirare con più regolarità. Jensen gli mancava. Gli mancava terribilmente.
E sì! Gli mancava anche fisicamente. Gli mancava quella sensazione di pura completezza quando stavano insieme. Gli mancava il battito sincrono dei loro cuori. Il ritmo identico dei loro respiri, insieme.
E vederlo in quelle condizioni lo faceva star male. Deglutì l’ansia che sentiva dentro e si costrinse ad allontanarsi dalla stanza.

Andò in cucina e iniziò a preparare qualcosa per Jensen e anche per lui.
Magari un semplice momento di intimità come cenare insieme , avrebbe fatto bene ad entrambi.
 
Nella stanza da letto, Jensen, era sommerso dagli stessi dubbi. Se una parte della sua mente si ostinava a vedere un Jared costantemente ubriaco, quella parte di mente focalizzata sul presente, invece, era abbagliata dalle premure che quello stesso Jared gli stava mostrando.
Vedeva la sua…lucidità. La sua nuova concentrazione. La sua dolcezza. La sua voglia di essere presente ed essere di aiuto.
Affondò la testa nel cuscino e fissò gli occhi al soffitto, come se in quell’intonaco bianco potesse trovare la risposta alle domande e ai dubbi che gli ronzavano nella testa.
Poi, si addormentò.
 
Quando si svegliò, fu l’invitante odore di carne alla piastra a svegliarlo del tutto. “Che mi prenda un colpo!! Sta cucinando davvero!!” disse a se stesso.
Si alzò, si infilò un pantalone di tuta e una maglietta e dopo essersi dato una rinfrescata la viso, raggiunse Jared in cucina.
“Ehi?!” lo richiamò vedendolo intento tra i fornelli. Jared si voltò di scatto. Sul suo viso un misto di felicità e di apprensione.
“Non dirmi che ti ho svegliato io?!” fece dispiaciuto.
“Non direttamente. Ma l’odore che viene da quelle bistecche!” rispose indicando la carne che sfrigolava.
“Mi dispiace. Avrei voluto cucinarle fuori per non disturbarti, ma ha iniziato a piovere e c’ho dovuto rinunciare.” Si scusò.
“Piove?!” chiese guardando fuori.
“Diciamo che diluvia!” lo corresse e poi si fermò a fissare Jensen che fissava l’impetuoso scrosciare del temporale.
Vide la tristezza palesarsi di nuovo sul viso del ragazzo alla finestra. “Lui li adorava. Adorava i temporali.” Disse solo, sapendo che Jensen avrebbe capito.
“Sì. Lo ricordo. Rideva come un pazzo quando lampi e tuoni si rincorrevano velocemente.” Rispose quasi senza pensarci, Jensen.

Poi si voltò verso di Jared e lo fissò perplesso. “Hai smesso di soffrire per lui?!” fu la strana domanda.
“No!” rispose immediatamente. “Ed è questo che mi ha salvato.” Fece notando lo sguardo perplesso di Jensen. “Bevevo perché volevo dimenticare. Un classico!” ironizzò. “Ma quando sono andato in riabilitazione, Jim mi ha fatto capire che quel dolore poteva tenermi vivo. Il suo ricordo doveva spronarmi ad andare avanti e non ad arrendermi. Che quel dolore , alcool o non alcool, non avrebbe mai smesso di fare male.” Confidò, rivelando quello che gli aveva permesso di riprendersi la sua vita.
“Mi stai dicendo che ….hai accettato quel dolore? Che hai accettato la sua morte?” fece Jensen sperando che in quella risposta potesse trovare anche lui una sorta di aiuto.
“Come uomo, ho accettato il dolore, non la sua morte. Quella, da padre, non potrò mai accettarla.” disse consapevole di quella dolora verità.

Spense i fornelli e si avvicinò a Jensen quel tanto che potesse permettergli di posargli le mani sulle spalle, ora, lievemente curve, da quel discorso e dai ricordi che quel discorso aveva scatenato.
“E se io non fossi in grado di accettare nè il dolore né la sua morte?!...se io avessi finto fino a questo momento di essere forte?” domandò Jensen, sforzandosi per l’ennesima volta di essere forte, ma non essendo capace di impedire , ai suoi occhi, di mostrare la sua debolezza.
“Allora ti aggrapperai a me. Ti reggerò io e ti terrò in piedi. Ora posso farlo e lo farò con tutte le mie forze!” gli disse abbracciandolo finalmente e stringendolo più forte a lui, quando si rese conto che Jensen non solo , non lo allontanava, ma ricambiava quella stretta.

Poi, quella stretta divenne un urgenza da soddisfare.

Le mani iniziarono a cercare un appiglio più sicuro,  a stringersi con più enfasi o forse disperazione, sulle spalle l’uno dell’altro. Sembrava come se volessero recuperare tutto quel tempo in cui quel contatto era mancato loro.
Alle mani si unì , un altro bisogno. Quello delle loro bocche.
Lentamente , quasi senza rendersene conto,  le labbra di Jared, si posarono sul collo del compagno, che non si ritrasse a quel tocco.
Jared ne assaggiò la pelle sempre meravigliosamente profumata , sempre quel suo sapore che non aveva mai dimenticato e che gli era terribilmente mancato.
Jensen trattenne un gemito soffocato quando altri baci seguirono il primo.
E quando finalmente le loro labbra si incontrarono di nuovo, quell’unione sembrò compiersi ancora. Perfetta.

E se all’inizio quel bacio sembrò essere nervoso, titubante, bastò il riassaporare i loro sapori, bastò il lieve ma intenso contatto delle loro lingue, per far diventare quel timore , un timore che non aveva senso di esistere.

Il bacio divenne profondo, appassionato, quasi disperato.
Le teste si muovevano alla ricerca di un contatto sempre più intimo, sempre più languido. L’irruenza di quel gesto, fece perdere l’equilibrio a Jensen , che si ritrovò con la schiena contro la parete della cucina, con Jared che lo sosteneva. Che lo bloccava contro il suo corpo forte e saldo. Si baciarono, ancora, ancora e ancora. Come a voler rimediare ai mille baci di cui, ingiustamente, si erano privati.
Quando , solo l’esigenza di riprendere fiato, li costrinse a separarsi, l’unica cosa udibile in quella stanza erano i loro respiri affannati e i loro nomi sospirati in quei respiri.

Stettero per infiniti secondi fronte contro fronte. Gli occhi chiusi per cercare di tenere il più possibile dentro di loro quel momento.
“Jensen…” sussurrò Jared, che nel frattempo aveva spostato le sue mani dalla schiena ad incorniciare il collo e la nuca del compagno. “Jensen….il mio Jensen…” sussurrò ancora, mentre le sue labbra si piegavano in sorriso felice e le dita ferme sul suo viso, gli portavano via quelle lacrime pregne di un indimenticato dolore.
A quell’appellativo, Jensen, sentì un emozione forte, esplodergli dentro. Era sempre così che Jared si rivolgeva a lui, quando stava per dirgli che lo amava e che lo aveva sempre amato e infatti…
“Ti amo….ti ho sempre amato, Jensen. E farò di tutto per riavere la nostra vita insieme.” Sembrò giurare su quel bacio di cui ancora sentiva il sapore.

Jensen aprì finalmente gli occhi e li fissò su quelli brillanti di Jared.
Alzò una mano verso il suo viso e glielo accarezzò dolcemente, poi gli posò un altro bacio leggero sulle labbra lievemente tremanti. Si spostò solo un po’ da lui, gli prese la mano e cercando una sorta di complicità, lo invitò a seguirlo in camera.
Jared se avesse potuto, sarebbe impazzito in quel momento. Perché impazziva dalla voglia di Jensen, ma allo stesso tempo non voleva spingere troppo, terrorizzato dal fatto che forse era troppo presto.
“Jensen..ne sei…” provò a chiedere, ma Jensen gli impedì di continuare. Gli si avvicinò di nuovo e lo baciò di nuovo. Più dolcemente.
“Oggi sono crollato e tu mi ha tirato su. Hai mantenuto la tua promessa prima ancora di farmela. Fallo ancora, sorreggimi ancora, prima che io cada ancora!” disse sulle labbra del giovane.
Non ci furono più dubbi, da parte di entrambi.

Il letto li accolse in un soffice abbraccio di cotone. La penombra della stanza li nascose al mondo, proteggendo quel loro riavvicinamento come il più prezioso dei segreti. I loro sospiri , i loro gemiti, perfino i loro nomi sussurrati al silenzio della stanza, divennero la più dolce delle canzoni d’amore.
Jared affondò con dolcezza e lentezza nel corpo di Jensen. Quell’unione ritrovò la sua perfezione nell’esatto punto in cui era stata lasciata: al centro delle loro anime.
Il giovane lo amò con infinito amore e Jensen si abbandonò a quell’amore che tanto gli era mancato. Si concesse alla passione di Jared ignorando quella lacrima che gli rigava il viso e che trovò la sua gemella sul volto del giovane.
Queste però, non erano lacrime di dolore, provato o causato. Erano lacrime per quella felicità che gridava con tutte le forze di poter di nuovo far parte della loro vita. Erano le lacrime di quella voglia di tornare a vivere e ad amarsi, perché consapevoli che viversi e amarsi era l’unica cosa che erano capaci di fare.
E quando i movimenti dei loro corpi uniti divennero più frenetici, più passionali, più urgenti, i due amanti permisero al piacere più fisico di sovrastarli e raggiungerli. Si strinsero, l’uno all’altro, fin quando i tremori di quell’amplesso non concesse loro di respirare di nuovo.

Si baciarono, ancora. Si sorrisero, di nuovo.

Si riscoprirono amanti e amati.

E in quella ristabilita consapevolezza, si abbandonarono alla placida carezza del sonno, mentre le loro mani non smettevano mai di accarezzarsi.
I loro cuori erano di nuovo in sincrono. Il ritmo del loro respiro era di nuovo uguale. Loro erano di nuovo completi.




N.d.A. : Siamo quasi alla fine. Dopo di questo , un ultimo capitolo conclusivo che è quasi pronto e che spero di poter postare fra qualche giorno, prima di partire.  
E sì!! Avete capito bene!! Vi libererete di me per più di una settimana buona. Poi tornerò ad assillarvi con un altra long sui J2 attori.

Spero che la riappacificazione dei due ragazzotti vi sia piaciuta. Fatemi sapere. PLEASE!!!!!!


P.S.: oggi è il 21. Buona estate a tutti!!!

Baci, Cin!!
 

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Capitolo 6
*** Una nuova vita ***


 
                                                                                        UNA NUOVA VITA


Quando la mattina , con la sua luce tenue, li risvegliò, i due amanti erano ancora stretti, uno tra le braccia dell’altro.

Jensen era appoggiato con la testa sul petto di Jared che lo stringeva a lui, come a non volerlo fare mai più andare via. Fu il giovane a destarsi per primo, ma non perché volesse svegliarsi e perdere quel momento di assoluta pace, ma solo perché sentiva il corpo del compagno sussultare lievemente su di lui.
Gli accarezzò piano la schiena, per fargli capire che era sveglio, giusto per non sorprenderlo. E infatti non appena quella carezza lo toccò in modo da farsi presente, Jared vide Jensen passarsi una mano sul viso. Sembrava che si fosse asciugato il viso.

“Amore mio?!..Jensen…che…che hai?!” chiese preoccupato, stringendolo di più e cercando di dargli conforto se di quello era ciò di cui , Jensen, aveva  bisogno.
“Mi…mi dispiace…non…non volevo svegliarti…ma..io..io…” balbettò mentre cercava di riprendere il controllo anche del respiro, oltre che delle sue emozioni.
“Jensen..che hai?!” chiese ancora, prendendo il viso del compagno dal mento per costringerlo a guardarlo e quando questo successe, Jared potè vedere gli occhi di Jensen pieni di lacrime. “Oddio…è…è colpa mia?!” fu la prima domanda che la sua mente ipotizzò. E quando Jensen non rispose, il giovane fu quasi preso dal panico. “Jensen?!”
“Ho paura!” gli rispose.
“Paura di me?!” chiese mentre si metteva seduto e tirava su anche l’altro.
“Ho paura di noi.” Affermò abbassando lo sguardo leggermente in imbarazzo sia per quello che stava confessando che per le lacrime che ancora sentiva bruciare nei suoi occhi.
“Non capisco!” fece confuso il giovane.
“Ho paura che tutto possa finire di nuovo. Ho paura che tutto possa finire per sempre se …se dovesse….se dovesse finire….Oddio!!…non ha senso quello che dico!” disse esasperato.

Jared vide che il compagno si stava agitando e capendo quello che in realtà Jensen voleva dire, non aspettò che si agitasse ancora. Si sporse verso di lui e lo abbracciò. Lo abbracciò forte.
“Non finirà, amore mio. Questa volta non finirà. Non ti lascerò mai più e non permetterò a te di lasciarmi. Faremo tutto quello che serve per ricominciare. Lo faremo meglio e staremo bene. Di nuovo. Ancora. Te lo giuro, Jensen!” gli disse ancora stretto in quell’abbraccio.

Jensen finalmente lo guardò di nuovo, nuovamente sereno, felice di quelle parole. Di quella promessa che anche lui sapeva di dover ricambiare. Gli mise le mani intorno al viso, accarezzando con i pollici la linea gentile degli zigomi.

“Dammi un buon motivo!” disse sorridendo.

Jared gli prese la mano destra con la sua destra e mostrò al compagno i due anelli ai loro anulari.
“Questi, sono il mio buon motivo.” fece baciando quello al dito di Jensen. “Non sarebbero ancora dove sono se l’amore che proviamo l’uno per l’altro non fosse stato forte come si è dimostrato essere. Lo hai tenuto al dito e l’ho tenuto anch’io. Nonostante tutto.”

“Nella gioia e nel dolore!” ricordò Jensen.
“Finche morte non ci separi!” continuò Jared.

Si abbracciarono. Si baciarono e in quel bacio decisero di mantenere quelle promesse e di farne e mantenerne altre.
 

Quattro anni dopo, Jared e Jensen erano ancora insieme. Sposati. Felici. Sereni. E nel giardino della loro nuova casa, acquistata per ricominciare quella che sarebbe stata una nuova vita, osservavano felici, loro figlio. Austin.

Come la città in cui tutto era iniziato e poi , in cui tutto era ricominciato.



 

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