Sii Mia

di Haruhi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ciao, sono Mia e odio la filosofia, forse! ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Ciao, sono Mia e odio la filosofia, forse! ***


Guardo e riguardo la domanda che avevo davanti,non riuscendo a trovare minimamente una risposta. Prendo l’elastico che ho sul polso e lo giro attorno ai capelli.
Forza devo almeno completare quest’analisi o ancora una volta non passerò l’esame di filosofia.
La stupide materie letterarie, cosi insulse, che cercano di trovare un significato a quelle stupide domande di carattere critico. affondo la testa tra le mani, disperata. Non posso credere che dopo giorni e giorni di studio, a leggere e ripetere, lo sforzo era stato inutile. Cerco di ricordare tutto quello appreso dalle numerose notti passate tra un libro, un riassunto sul computer e all’incirca un migliaio di tazze di caffè. Eppure tutto sembra essersi fermato in prossimità degli occhi, senza che il cervello apprendesse e rielaborasse quello appena letto. Posso infatti rispondere a qualsiasi domanda su la vita di questi autori, ma appena la richiesta svincola dalla normale dalla elencazione di quello appena imparato, la mente si offusca da qualsiasi risposta. Il rumore di qualcosa che sbatte sul tavolo mi entra nel cervello. Giro la testa senza neanche pensarci, per vedere da dove arriva questo fastidioso rumore .
Dall’altra parte un ragazzo alto con i capelli così neri da intravedere al suo interno sfumature di blu scuro, che con sguardo fisso davanti a lui, continua a sbattere a matita sul foglio.
Lo fisso sperando di incontrare i suoi occhi per mettere fine a questo tormento, ma gli occhi del ragazzo non smettono di fissare con sguardo assente un punto indecifrato del muro.
“Ehi”
Gli sussurro, con la speranza di non essere sentita dal professore. Il rumore continua e il ragazzo non sembra essersi accorto minimamente di me.
“Ehi!” gli urlo in maniera un po’ più decisa.
Due occhi blu, come il mare e se è possibile, come la sfumatura che potevo intravedere nei suoi capelli, mi guardano con insistenza. Non riesco a parlare, per a prima volta sento come delle minuscole catene che chiudono le mie labbra e mi impediscono di pronunciare qualsiasi parola. Le sue pupille riflettono perfettamente la mia immagine e posso notare la faccia da ebete che sto facendo, eppure sono incantata.
“troppi festini e niente studio?”
Mi risponde e all’interno dei suoi occhi vedo un velo di malizia. Non so se la domanda è sarcastica o meno ma le guance arrossiscono e posso sentire che sto andando in fiamme, ormai qualsiasi possibilità di concentrazione è andata in vano. Scrivo qualche risposta a caso sulle ultime domande e mi alzo lentamente, riponendo tutti gli oggetti, nel loro posto . Consegno il test al professore e lo sguardo va quasi automaticamente al ragazzo che come me si sta alzando, ma non mi sta degnando di uno sguardo. Mi sbrigo ed esco dalla sala. Mi dirigo subito in bagno e mi scaravento una quantità indefinita di acqua sulla faccia. Per fortuna quella mattina non avevo messo nessun trucco. Tolgo l’elastico e scuoto la cascata di capelli rossi carota che avevo.  Il rossore ancora è presente sopra le mie guance, facendo accentuare ancora di più il colore verde dei miei occhi e le lentiggini che oltre al mio viso ricoprivano quasi tutto il mio corpo. Prendo il mascara e faccio due passate ogni occhio, tanto per non sembrare totalmente arancione. Adesso non mi dispiace il colore della mia pelle, chiarissima, colorata di arancione da piccole macchiette rosse; o il colore dei miei capelli, ma da piccolina il nomignolo carota non mi lasciava mai da sola. Tre ragazze entrano nel bagno e cominciano a parlare dell’esame appena svolto. Non voglio sentire, mi allontano  a tutta velocità , uscendo dal bagno.
La stanza è piena di ragazzi che si muovono verso le aule degli esami. Vedo gente agitata che sfoglia il libro come nella speranza di poter apprendere il più possibile con i minuti contati; gente che si mostrava sicurissima, come se i proprio occhi potessero trasmettere all’insegnate le ore interminabili di studio. Rido, cercando di identificarmi all’interno delle diverse tipologie di alunni. Eppure io non sono né  quella studentessa nel panico che cerca in tutti i modi di apprendere più notizie possibile, né quella che mostra la propria sicurezza. Io sono semplicemente quella ragazza che è nel mezzo.
“aia”
Sbatto con la testa sopra il corpo di un ragazzo. Alzo lo sguardo, mentre con la mano mi tocco la testa.
“Ehi, donna da festini”
Mi dice il ragazzo che pochi minuti fa stava condividendo con me l’orrore di quel maledetto test di filosofia.
“Scu…sa” balbetto, presa da un’improvvisa agitazione.
“oh” mi dice fissandomi con quegli occhi celesti come il mare; anzi no come l’iris.
“Di solito non mi dispiace quando le ragazze mi si spalmano addosso” ride, sotto i baffi, come per prendermi in giro. Sono sicura di essere arrossita.
“Io non mi ti sono spalmata addosso, sei tu che sei d’intralcio!” Ride più forte di prima, forse per la mia presa di posizione e giuro è una di quelle risate di quei divi del cinema. Controllata, cristallina.
“ Mi preoccuperò a non esserti più d’intralcio ragazza dei festini” saluta con la mano una cerchia di ragazze che improvvisamente si animano tutte insieme.
“Potresti non chiamarmi così? Non so che idea ti sei fatto di me ma io non sono quel tipo di ragazza” gli dico indicando le studentesse poco più là.  Lui le fissa, poi passa con lo sguardo su di me, come per fare un confronto.
“Senti, io devo andare, però sta sera organizzo una festa e non posso fare a meno della ragazza dai festini, a casa mia, tieni questo è l’indirizzo, ci tengo”
Mi porge un bigliettino con scritto a penna il nome di una via. Lo guardo esterrefatta.
“Ma mi hai ascoltato per diamine? Ti ho detto di non chiamarmi così!” gli urlo mentre se ne va camminando velocemente.
Lui si gira e con una sicurezza da far paura mi dice di venire per le otto. Rimango lì, abbastanza confusa. Non sono mai stata a una festa, non ho mai avuto neanche così tanti amici da poterne organizzare qualcuna, eppure adesso sono invitata ad una festa del college e mi sentivo stranamente impaurita ma anche emozionata.
Cammino per il corridoio della scuola, per poter arrivare alla macchina. Faccio tutto con calma come se non credessi realmente a quello che stava succedendo. Decido di andare al mio solito pub, per scaricare lo stress e in pochi minuti sono al parcheggio e davanti a quella familiare porta blu.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Il Molly’s è un pub tipicamente irlandese. Si trova a dieci minuti dal campus e a tredici dalla mia casa.  Ha una simpatica porta blu ed è  stata quella ad attirarmi fin da subito.  Vado  lì da circa un anno e mi sento stramente a mio agio, ormai tutti mi trattano come se facessi parte del personale.  

Entro, facendo titillare le campanelle attaccate alla porta. Molly mi saluta con la mano mentre serve un tavolo e io mi fiondo al bancone. Ci sono pochi clienti all’interno del locale, una musica nel sottofondo e una luce soft che ti rilassa gli occhi. 

“Ehi piccola” mi saluta Adam, il mio barista di fiducia. Gli poso un bacio sulla guancia per salutarlo e mi siedo davanti a lui, mentre pulisce il bancone con una  pezza. 
“Allora, piccola Mia, cosa vuoi oggi? Un bicchiere di vino, vodka, rum?
Rido. Il solito Adam che mi prendeva in giro.
“Bhe, siccome mi manca ancora un anno per poter uscire ubriacarmi e non ricordarmi più il mio nome, opterò per un hamburger, patatine e una cola senza zucchero”
Mi guarda ridendo “il solito dunque” mi dice e manda l’ordine in cucina. 
Guardo l’orologio sul muro, sono appena le cinque, ho quindi tre ore per essere pronta. Non so cosa mettermi, né come acconciare i capelli, né che scarpe mettere. Sono nel caos più totale.
Dopo dieci minuti Adam viene con il mio cibo. Mi avvento ingurgitando tre patatine alla volta.
“Wow, Mia eri affamata!” mi dice mentre è affaccendato tra le bottiglie di alcool. 
“Sono abbastanza stressata” mi guarda e se ne va dentro alla cucina, ritornando due minuti dopo con una fetta gigante di torta alle more.
“Questa la offro io, piccola, scommetto che è andato male l’esame, vero?”
Lo guardo e ne prendo subito un pezzetto, ignorando perfettamente il fatto che stavo mangiando delle patatine esattamente un secondo fa. Sento il sapore delle more che mi esplode in bocca e quello del burro che rende tutto più soffice. Sorrido, mostrando tutti i denti sporchi di more. Lui si siede e finalmente si prende due minuti di pausa. Lo vedo mettersi le mani tra i capelli e assaporare anche lui un pezzo di torta. Non sembra avere trentacinque anni, ma allo stesso tempo sprizza maturità da tutti i pori. Ogni volta che sorride si formano delle piccole rughe attorno agli occhi che non possono non fare tenerezza. I capelli neri sono corti, quasi rasati e i suoi occhi sono verdi, quasi smeraldo. E’ divorziato da poco più di sei mesi, perché la sua compagna voleva dei figli mentre lui si sente ancora  giovane, fin troppo.
“Ehi, vecchietto come procede con la tua ex” 
Fa una smorfia e subito capisco tutto. 
“Oh, le cose stanno sempre più degenerando, adesso sta fingendo di essere pazza per farsi aumentare il mantenimento! Cioè ti rendi conto? Io qua a spaccarmi la schiena giorno e notte e lei per quattro spicci e lei decide di diventare pazza!”
Si accascia quasi teatralmente sul bancone.
“Spaccarsi di lavoro mi sembra esagerato, Adam” dice Molly, rimproverandolo.
“Ehi, Mia, come stai?”mi chiede sedendosi.
“Tutto apposto” gli dico mentre finisco il pasto.
“Non è vero sta mentendo!” dice Adam “ Non ha passato l’esame!” lo trafiggo con lo sguardo e lui si irrigidisce.
Abbasso lo sguardo. “Diciamo che non è l’unica cosa che mi preoccupa! Sono inviata a una festa e non so per niente cosa mettere!”
Molly mi guarda, spostandosi gli occhiali, studiando tutte le mie misure.  
“Vieni, Mia, ti risolvo io questo problema!”
“Festa? Mia, quale festa? Dove? Ci sarà dell’alcool?” mi dice farfugliando Adam. Si comporta sempre quasi come se  fosse un padre per me.
“Tranquillo vecchietto, non mi azzarderei mai a bere il mio primo bicchiere senza il mio barista preferito!” gli urlo, mentre Molly mi porta nel retro.

Il retro profuma di muffa ed è pieno di scatoloni. Molly si avvicina ad uno e cerca indaffarata. Molly è una signora di mezza età,  in carne con i capelli biondi e corti. Insomma assomiglia all’idea di segretaria che abbiamo tutti nella nostra mente. In effetti lo era, ma ha abbandonato il suo lavoro per aprire questo locale, il suo sogno più grande.
“Devo averlo qui, da qualche parte in questi scatoloni, eccolo!”
Tira fuori un vestito rosso con delle paillettes rotonde, in una mano e nell’altra un paio di decolté nere.
Mi spinge dietro un paio scatoloni enormi. Mi spoglio lentamente ho paura di sembrare una ragazza poco di buono con questo vestito, nonostante ciò lo provo per non farle dispiacere. Entra tutto con facilità ed esco fuori dal mio nascondiglio.
Molly mi aspetta seduta su una sedia impolverata e appena mi vede le si accendono gli occhi.
“Sei bellissima!” dice.
Il vestito mi arriva più o meno a metà gamba, ha una scollatura piuttosto profonda, ma con il mio poco seno non da l’impressione di essere squallido. I capelli mi scendono lisci e lunghissimi fino a coprirmi quasi il sedere. 
“Molly, ma perché avevi un vestito del genere nel retro del negozio?” le dico.
“ Dovevo farli indossare alle cameriere nella serata gangster,  ma devo ammettere che ti sta una meraviglia! Ah, ho anche un cappello con una piuma e una collana di perle, li vuoi ?” 
Rido e lei fa lo stesso. Metto le scarpe ed esco . Appena arrivo davanti il bancone faccio una giravolta e vedo gli occhi di Adam diventare grandissimi, mentre la sua bocca si apre. Lo fisso e lui si ricompone.
“Non vorresti andare cosi vero? Tu lo sai cosa succede durante le feste del college?” 
Non faccio in tempo a rispondere che Molly si intrufola nel discorso.
“Dai Adam non fare il padre geloso! La nostra bambina sta crescendo è normale che cresca e faccia certe cose!”
Vedo nel suo sguardo il panico più totale, passa dalla mia figura a quella di Molly mozzicandosi il labbro. Io rido ancora di più e guardo l’orologio. Sono le sei e mezzo e devo assolutamente andare via. Do un bacio a Molly e uno ad Adam. I miei capelli gli sfiorano il braccio e lo sento tirarmeli per farmi incontrare il suo sguardo. Si appoggia alla mia fronte, mentre i nostri nasi si toccano. Se non fosse per il centimetro che separa i nostri nasi, adesso ci staremmo baciando. 
“Stai attenta. Non voglio che fai qualcosa di cui ti possa pentire” 
Io lo guardo senza dire niente. La situazione mi sta mettendo a disagio, lui se ne accorge e mi lascia.
Gli sorrido e annuisco.
“Grazie Molly ti devo un favore enorme!” 
“Vorrà dire che quando ci sarà la serata gangster, sarai la mia cameriera! Con una ragazza così farò impazzire gli uomini!” Ride e io annuisco. Cammino via e mentre apro la porta sento Adam rimproverare Molly.
“ Perché diamine gli hai dato quel vestito?”
Scuoto la testa e entro nel parcheggio. Mi affretto ad entrare nella macchina,ma non riesco a trovare le chiavi. Ormai è buio, io sto morendo di freddo perché non ho né un paio di calze né un giacchetto. Mi accovaccio, poggio la borsa in terra e, per trovare le chiavi, tolgo ogni cosa. Le trovo tra un libro e il portafogli. Esulto di gioia. 
“Ehi, bella come va?”
Si avvicina un signore con i capelli bianchi e in notevole sovrappeso. Non rispondo e mi sbrigo a infilare la chiave, per entrare in macchina. Possono darmi un premio per le mani più veloci del west, perché in neanche due secondi sono nella macchina chiusa a chiave. Il signore cerca di aprire la portiera e il respiro si ferma. Non ci riesce, spiccica qualche imprecazione e se ne va. Rimango in macchina per altri cinque minuti appoggiata al volante, cercando di far fermare il cuore. Forza Mia, prendi coraggio.
Accendo la macchina e parto.

Dopo neanche dieci minuti sono a casa. Devo aver corso troppo, ma l’adrenalina è ancora nel mio corpo. Tolgo i tacchi e mi butto sul letto. Mi sono scordata di rifarlo quando sono uscita questa mattina. E’ faticoso avere una casa propria lontano da mamma e papà. Devi avere il tempo di studiare, fare gli esami, cucinare e ordinare tutto in ventiquattro ore. Per fortuna non ho vita sociale perché se no era qualcosa di impossibile. Guardo l’orologio sulla parete, sono le sette e venti. Dovrei alzarmi per poter andare, ma non ho la forza. Sono ancora abbastanza scombussolata da prima. Prendo il telefono e ascolto un messaggio di mia madre lasciato in segreteria.
Ciao Mia, sono la mamma! Come va? Oggi non hai chiamato, ma capisco che con lo studio ti è troppo difficile! Non fare troppo la secchiona, divertiti un po’, baci.
Questo è uno dei messaggi che ti capita a proposito quando decidi di non andare da qualche parte. Ho bisogno di riposo? In effetti stando qui a deprimermi non risolverei niente. Mi alzo e mi guardo allo specchio. Guardo la scollatura e improvvisamente mi sento nuda, forse proprio per quanto accaduto prima. Mi avvicino all’armadio e cerco una felpa e la indosso. Perfetta. Prendo le scarpe da ginnastica e le metto sotto. La felpa è nera, lunga con delle fragole rosse. Mi arriva quasi all’orlo del vestito quindi non sta così male. Guardo i tacchi ai bordi del letto. Non voglio metterli, ma ho paura che saranno tutte super eleganti. Per un decimo di secondo mi passa l’idea di portarli con me ma decido di no. Non voglio metterli, io non sono così io sono più felpa e scarpe da ginnastica. Prendo un elastico e mi faccio una treccia. Bene, faccio schifo. Ho il mio solito look da secchiona. Ma non ho voglia né il tempo per potermi cambiare, così corro in macchina.

Ci ho messo tre quarti d’ora per arrivare, guidavo a trenta chilometri orari. Non voglio entrare. Sono davanti a casa del ragazzo dagli occhi blu, non conosco nessuno e ho paura. Respiro. Vedo gente uscire dalla casa per fumare. Sembrano tutti cosi a loro agio.  Ripenso alle parole di mia madre! Ho il diritto di divertirmi anche io! Esco con più decisone ma scompare tutta appena entro nella casa. E’ tutto molto carino. Entrando ci sono delle scale che portano al secondo piano nelle camere da letto. Vengo spinta da una coppia di ragazzi che corrono per le scale, non voglio immaginare cosa stanno per fare. Scuoto la testa. Vado in salone, dove una musica assordante mi impedisce di pensare. Decido di andare verso la cucina a prendermi un goccio d’acqua. Qui, la musica è sopportabile. Vado verso l’angolo adibito a bar e guardo le etichette. Rum, Vodka, un intruglio particolarmente strano e poco raccomandabile e altri dieci marche di alcolici di cui ignoro  l’ esistenza. Prendo un bicchiere e lo riempio di acqua del rubinetto. La sorseggio mentre rimango seduta a guardare tutti. Non c’è traccia del ragazzo con gli occhi blu. Forse non dovevo venire. Forse queste feste sono troppo per me, forse avrei dovuto rimanere a casa con dei popcorn a guardare per l’ennesima volta una commedia romantica. Mi riempio ancora il bicchiere, l’agitazione mi sta assorbendo tutta la saliva nella bocca. 
“Ehi la ragazza dei festini!”
Alzo lo sguardo e lo vedo. Vedo i suoi occhi blu intenso, i suoi  capelli ancora più scompigliati, riccissimi ma pur sempre perfetti. Vedo il suo sorriso nell’incontrarmi e vedo la sua mano. La sua mano intorno a quella di una ragazza. Una ragazza bellissima alta, con un vestito giallo e i capelli neri corvino. Mi guarda disgustata mentre li saluto. 
“Ehi il ragazzo che fa i festini” 
Osservo la sua mano e lui se ne accorge. Dice qualcosa alla ragazza al suo fianco, che se ne va guardandomi male. Lui arriva e si serve un bicchiere dello strano intruglio.
“Cosa bevi?” 
“Acqua” rispondo senza pensare, maledicendomi per non aver risposto in qualche altro modo.
“Troppo presto per l’alcool, la notte è ancora giovane!”
Ride e si siede accanto a me.  C’è il silenzio ed è imbarazzante. Lui beve, io bevo e guardiamo gli altri. 
“Vuoi assaggiarlo? E’ buono! Sai me la cavo con gli alcolici” mi dice offrendomi il bicchiere.
Istintivamente penso a Adam e alla promessa che gli avevo fatto e invento una scusa.
“No guarda non posso, sono sotto antibiotici”
Mento con poca convinzione. Lui si alza e io mi maledico. Mi alzo anche io, per non sembrare la solita sfigata che sta da sola ad una festa. Lo sorpasso e vado nel salone. La musica si è abbassata e tutti sono in cerchio. Un ragazzo sta in piedi e aspetta che tutti siano nel silenzio più totale. 
“Ragazzi gioco della bottiglia?”
Tutti ridono e non gli danno conto, continuando a bere e a parlare con gli altri. Alzo la mano.
“Io gioco!”
Tutti si girano a guardarmi e per la prima volta mi maledico per aver messo una felpa con delle fragole.
“Fragoline gioca! Tu Ethan?”
Il ragazzo dietro a me risponde con un si e riconosco subito la sua voce. Il ragazzo con gli occhi blu, adesso so il suo nome. Mi siedo accanto al ragazzo che aveva proposto il gioco e Ethan di fronte a me, accanto alla ragazza con il vestito giallo. Li vedo giocare e parlarsi mentre lui gli tocca i capelli passando poi alla gamba. Sono un po’ gelosa. 
“Bene iniziamo, sapete come sono le regole. Obbligo e verità con la bottiglia, iniziamo!”
Dice il ragazzo accanto a me. Obbligo o verità? Nessuno aveva parlato di obbligo e verità, ma solo del gioco della bottiglia. Mi sudano le mani.
Qualcuno gira la bottiglia e mi asciugo i palmi su le cosce. La bottiglia gira per trenta secondi, li conto uno dopo l’altro, poi si ferma davanti a me. Lo sapevo. La ragazza con il vestito giallo è la prima a parlare.
“Obbligo e verità?”
Non voglio dover dire qualcosa di imbarazzante del tipo: non sono mai stata a una dannatissima festa.
“Obbligo” dico senza pensare.
La ragazza si avvicina a Ethan e i due ridono. Mi guarda ridendo. Sono sicuramente diventata rossa.
“Ti obbligo a togliere quella bellissima felpa con le fragoline”
Ridono tutti e io sprofondo nella vergogna. La vedo prendere girarsi verso Ethan e ridere ancora con più cattiveria. Mi vengono in mente le parole di Molly e lo sguardo di Adam. Raccolgo tutte la mia sicurezza e mi alzo, quasi per farmi guardare da tutti. Con una lentezza estrema mi alzo la felpa, tenendo gli occhi incollati a quelli di Ethan e lui fa lo stesso ma rivolge lo sguardo al mio corpo che man mano si scopre sotto il vestito rosso attillato.
Vedo la ragazza guardare Ethan e dagli un schiaffo per fargli chiudere la bocca. Il ragazzo accanto a me si tocca i capelli biondi.
“Cazzo, perché mai lo tenevi nascosto?” dice ridendo .
Mi siedo in maniera goffa. Tutta la sicurezza di due secondi fa è sparita. L’adrenalina del momento ha lasciato il posto all’imbarazzo. 
Il gioco continua, tocca a Ethan, chiedermi se scelgo obbligo o verità.
“Obbligo” dico, senza neanche pensare.
“ Via le scarpe e la treccia” mi dice guardandomi intensamente. Riesco a vedere un fuoco dentro quei occhi blu, sento la sua voglia di starmi accanto. Come se fossimo due poli di una calaminte costrette ad avvicinarsi.
“Sono due obblighi” gli dico con la voce bassa, quasi suadente. Mi sto sorprendendo di me stessa. Ma Ethan mi fa questo effetto. Mi fa venire voglia di essere donna.
“Via tutte e due” mi dice con la voce ancora più bassa della mia. Sta volta non controbatto e tolgo prima una scarpa e il calzino poi l’altra. Lo guardo prima di sciogliere la treccia, lui continua a fissarmi. Prendo i capelli e tolgo l’elastico. Una cascata rossa mi incornicia il viso. La treccia ha lasciato piccole onde. Tutti parlano, ridono, eppure nella sala non sento nessuno tranne lo sguardo di Ethan, che continua a fissarmi. Il nostro gioco di sguardi viene interrotto dal ragazzo affianco a me.
“Ok, ragazzi però adesso basta con lo spogliarello!” Ride e improvvisamente mi sento nuda. Incrocio le mani attorno al petto e il gioco continua. Ci sono baci, verità imbarazzanti altre un po’ meno. E’ un gioco tranquillo che degenera verso la fine. Tutti sono per terra straiati stanchissimi. Decido di alzarmi e andare verso la cucina per prendermi da bere, Ethan mi segue subito dopo.
“Ancora acqua, signorina dei festini?” 
Lo fisso e prendo un bicchiere.
“Cosa mi consiglieresti, re degli alcolici?”
Prende una bottiglia e mi riempie all’incirca un quarto del bicchiere.
“Questo” mi dice toccandosi i capelli.
Ho paura di berlo. Non ho mai toccato niente di alcolico e non voglio farlo in sua presenza. Ethan mi fa già uno strano effetto non voglio immaginare cosa potrebbe succedere. Lo odoro. Il liquido dentro il bicchiere è rosso per via del contenitore. Glielo porgo e faccio un sorriso.
“Non mi va grazie, prendo dell’acqua”
Lui beve tutto in un sorso e riempie lo stesso bicchiere con dell’acqua. Mi fa un po’ schifo ma lui mi sta fissando. Poso le labbra. Indirettamente è come se ci stessimo baciando. Arrossisco per il pensiero cosi infantile.
“Sai che ci siamo dati quasi un bacio adesso?”
Lo guardo e sorrido al pensiero di aver avuto la stessa idea. Lui si avvicina, siamo distanti poco più di due centimetri,. Mi sposta i capelli portandoli dietro le spalle e comincia a passare il suo indice sul collo. Si sofferma sulle piccole lentiggini che ci sono. Sono poche ma sono sempre state su tutto il mio corpo. 
“Come ti chiami?”
“Mia” rispondo senza neanche pensarci.
“Mia, mia mi piace. Mia posso baciarti?” il suo tono si abbassa sempre sul mio nome, mentre si  avvicina sempre di più, piegandosi per arrivare alle mie labbra. 
“No” dico, piano quasi un sussurro. Sono incantata da lui, dal suo profumo, ma non ho voglia di baciarlo.
Lui rimane basito. 
“No?” 
Dice allontanandosi. Io riprendo coscienza e rido.
“No!” mi allontano e vado a prendere le scarpe in salone, lui mi segue per tutto il tragitto. Le metto mentre lui chiede spiegazioni.
“Perché no?!” faccio le spallucce e vado per la porta. 
Lui rimane lì a guardarmi andare via,mentre il freddo della notte mi punge la pelle. Mi sento libera e potente.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


E’ mezzogiorno e sono a letto. E’ mezzogiorno e non mi sono ancora lavata. E’ mezzogiorno e non ho mangiato e sistemato. Non ho voglia di alzarmi. Voglio rimanere qui a fissare il soffitto. Mi sento stupida per aver detto no. Chi diavolo dice no a un bacio a vent’anni? Una sfigata, ecco chi lo fa. Sono stata tutta la notte a sentire la pressione delle sue labbra sulle mie, a immaginare il loro sapore. Scuoto la testa per l’ennesima volta per scacciare questo pensiero. Oggi dovrei vedere come è andato l’esame ma non ne ho voglia. Potrei incontrare Ethan che molto probabilmente non mi vorrà neanche parlare. Mi alzo, devo sapere se mi toccherà un altro mese di filosofia o se finalmente posso accantonare questa materia. Non pensavo che giurisprudenza fosse tanto difficile. Ho pensato anche di cambiare facoltà, ma resisto solo per realizzare il sogno di mio padre. Lui sogna una figlia avvocato e io sogno un padre orgoglioso di me. Mi vesto in cinque minuti e lego i capelli in una antiestetica cipolla. Non ho voglia neanche di truccarmi. Prendo la borsa ed esco arrivando fino alla macchina. Il cuore mi martella mentre arrivo al campus. Ho paura di non aver superato l’esame, di incontrare Ethan, in effetti ultimamente ho paura di troppe cose. Eppure ieri sera mi sentivo potente, sentivo di poter governare il modo solo per due attenzioni da parte di un ragazzo. Ma digli di no è stato meraviglioso, una rivincita verso tutte le cattiverie che avrà detto con la ragazza con il vestito giallo, mentre ridevano di me.
Spengo la macchina e sto dieci minuti a fissare le persone attorno a me. Sento tutto il mio corpo sprofondare nell’auto, anche lui è consapevole che non ho passato l’esame. Prendo il telefono dalla borsa e mi dirigo senza pensare, mentre guardo le chiamate. Ne ho tre di un numero sconosciuto, così lo richiamo quasi istintivamente.
“Pronto?”
“Finalmente di degni di rispondere signorina”
E’ la voce di Adam.
“Ho dormito tutto il giorno, ma come fai ad avere il mio numero?”
Dico mentre cerco di schivare le trenta persone che ho davanti per arrivare ai risultati del test.
“Ah, si me l’ha dato Molly, non so dove l’abbia trovato. Tu come stai?  Come mai hai dormito tutto questo tempo? Cosa hai combinato ieri sera?”
Rido.
“Adam, mi stai veramente chiamando solo per sapere di ieri sera, sembri mio padre!”
Lui non risponde, cosi continuo.
“Comunque sono tornata presto nell’orario del coprifuoco tranquillo papino,vi vengo a trovare per pranzo, ho una fame!”
Attacco e cerco la lettera del mio nome, passo il dito sui nomi quasi automaticamente, di dieci nomi che ho letto cinque non sono passati. Arrivo al mio, Mia Collins, seguo la linea fino ad arrivare alla tanto temuta parola bocciato.
Sospiro, me lo aspettavo. Chiudo il cardigan e mi dirigo con lo sguardo assente verso la macchina. Mi aspetta un bel mese di divertimento.
“Mia!”
Riconoscerei quella voce ovunque, Ethan. Mi giro senza guardarlo e lo saluto con la mano.
“Ehi”
Si avvicina e sono costretto a guardarlo, mi sta sorridendo.
“Senti” mi dice, riprendendo un attimo fiato.
“Ho bisogno di parlarti, hai pranzato?”
Mi sposto una ciocca di capelli che è uscita dalla cipolla.
“Dove vorresti andare?”
Lui mi sorride ancora di più, come quando un bambino riceve il suo regalo preferito a Natale.
“Una caffetteria qui al campus, sono cinque minuti di camminata.”
Annuisco e lo seguo. Siamo in silenzio, mentre tutto attorno a noi fa rumore, i ragazzi che ridono, le macchine che passano, eppure nel nostro piccolo spazio è tutto in silenzio. Mi sento un po’ stupida, ho paura di sentire solo io queste cose. Dalla prima volta che ho incrociato il suo sguardo ho sentito la necessità di parlare con lui e adesso ne ho l’occasione. Eppure siamo in silenzio e, anche se non mi dispiace per niente, non voglio sprecare l’occasione.
“Insomma, com’è andato l’esame?”gli dico incerta. Lo vedo mettersi le mani nei pantaloni, mentre con disinvoltura mi risponde.
“Benissimo, sono passato. Era piuttosto facile no?”
Ho una capacità strabiliante nel fare le domande.
“Sembrava eppure non sono neanche passata”
Si ferma e guardo davanti a me. Siamo arrivati alla caffetteria, si siede su un tavolo e lo seguo. I suoi occhi si scuriscono. Lo guardo più attentamente questa volta e noto che i ricci non sono come l’altra sera che l’ho visto, ma più piatti, come se non avesse dormito durante la notte.
“Mi dispiace, davvero. Andrà meglio la prossima volta no?”
“E’ la terza volta che cerco di passare! Non penso proprio di farcela”
Arriva il cameriere e ci chiede cosa vogliamo e Ethan ordina due hamburger per entrambi. Lui mi guarda per dieci secondi negli occhi e io li conto uno per uno, poi decide di parlare.
“Ti volevo chiedere scusa per l’altra sera, sai l’alcool stava cominciando a fare effetto e poi avevi quel vestito che wow,insomma..” si ferma e si gratta la testa, chiaramente imbarazzato.
“Insomma l’ormone è partito!” ride, diventando tutto rosso e io non posso che sorridergli. E’ cosi carino mentre imbarazzato si colorano le guancie, facendo risaltare i suoi occhi celesti che mi fissano come per potermi studiare. Annuisco senza dire niente e in effetto sembra quasi che non riesca ad avere la forza per parlare. E’ sempre così con Ethan, le parole mi si bloccano nella gola. Siamo in silenzio mentre aspettiamo il cibo, lui mi guarda, ma io faccio vagare il mio sguardo altrove. La giornata è fantastica eppure ieri sera faceva abbastanza freddo. Il sole splende al centro del cielo e chiudo istintivamente gli occhi, sento Ethan che ride accanto a me. Lo guardo con cattiveria e lui ride più forte.
“Scusa ma facevi tanto ridere!” si asciuga una lacrima dell’occhio sinistro e gli faccio la linguaccia.
“Ehi, io amo il sole, sentire il calore sulla mia pelle che passa dalla parte più esterna della mia pelle fino ad arrivare ai muscoli”
Non fa in tempo a rispondermi che è arrivato il nostro pranzo. Mi avvento subito sulle patatine, ultimamente mangio troppo fast-food. Lui prende un sorso di Cocacola e poi con calma da un morso al panino e uno alle patatine. Lo guardo sentendomi imbarazzata, io in dieci secondi ho quasi finito  tutte le patatine. Comincio a rallentare, tanto per non sembrare una scaricatrice di porto, ma mangiare in questo modo non c’è gusto.
“Ti prego, sembri mio padre!” gli dico quasi esausta.  Lui mi guarda perplesso.
“Guarda, stai mangiando come un vecchietto, non c’è gusto, prendi tre patatine e infilale dentro la bocca poi un pezzo di Hamburger, mastichi e un goccio di Cocacola!”
Gli faccio vedere come fare e lui mi guarda divertito.
“Quindi predo due patatine e le metto in bocca, poi un pezzo di Hamburger” si ferma per buttare giù la Cocacola.
“E infine la Cocacola” mi dice con la bocca libera. Io rido nel vederlo quasi soffocare con l’Hamburger.
“Perfetto, potrei quasi darti quasi una B-“
Lui mi guarda quasi offeso.
“Una B-? Non ho mai preso meno di A+ professoressa, le prego riveda il mio voto” mi fa l’occhiolino .
“Vorrei tanto signor Ethan, ma non posso proprio ha commesso errori troppo banali”
“Davvero? Me li spieghi, tanto per poter andare meglio al prossimo” mi dice.
“Beh per prima cosa le patatine erano tre e poi dai quello lo chiami morso?” Mordo il panino e ne divoro la metà.
“Questo è un morso!” gli dico con ancora il cibo tra i denti. Lui ride, mentre alza le mani al cielo e io non posso fare che unirmi a lui. Le nostre risate si uniscono e si confondono e per un decimo di secondo mi sento vicinissima a lui. Poi ci ricomponiamo bevendo un po’.
“Sai mi sento in colpa”  io lo guardo confusa così lui continua.
“Forse se ti avessi passato quella cosa all’esame, adesso lo avresti passato” guarda il suo piatto, quasi per paura di incontrare il mio sguardo.
“Ehi” gli dico cercando i suoi occhi. “ In realtà non ti volevo chiedere assolutamente niente, ma volevo solo che la finissi di sbattere quella penna sul tavolo!” Lui mi guarda alzando un sopracciglio.
“Si come no”
“Ti sto dicendo che è cosi!”
Lui mi sorride. “Beh ,mi sento in colpa lo stesso. Voglio rimediare! Ti offro ripetizioni gratis, è un affare di solito le faccio pagare un bel po’ ti conviene approfittare!”
Mi mordo il labbro, da un lato ho paura di stare da sola con lui, dall’altro non ho proprio voglia di ripetere ancora l’esame di Filosofia. Lui mi vede esitare. “Dai, prometto che no ti chiederò nessun bacio” . Mi porge il mignolo per incatenare la promessa, quasi come se fossimo due bambini. Guardo la sua mano, poi i suoi occhi, che mi fissano intensamente aspettando una risposta.  Mi vedo riflessa nei suoi due cerchi blu e vorrei rimanere in quella posizione per tutta la vita.
“Ci sto” dico.
Annuisce e prende le sue cose. “ Bene, adesso devo andare, dammi il tuo numero così ci organizziamo”
Gli scrivo il mio numero sul fazzoletto di carta del ristorante e glielo porgo, lui lo prende e mi stampa un bacio sulla guancia.
“Ciao, Mia! Spero di vederci presto!!” mi dice, poi o vedo allontanarsi. Anche mentre cammina sembra un dio greco, bellissimo, mentre il sole tenue gli fa brillare i capelli neri. Mi tocco le guance che sono sicura sono state rosse per tutto il pranzo e mi sento una ragazzina delle superiori, come se non fossi cresciuta in questi ultimi anni.
Guardo il tavolo davanti a me e vedo i soldi lasciati da Ethan, ovviamente lui ha pagato per me. Mi alzo e sento il sole sulla faccia, per un attimo dimentico l’esame non passato per la terza volta. Eppure adesso pensare alla parola filosofia, non mi causa la chiusura dello stomaco, ma anzi il contrario. Sono stranamente eccitata al pensiero di poter studiare con Ethan, ma allo stesso tempo mi sento agitata da morire. Come mi dovrò comportare? Devo essere divertente? Devo mostrarmi sicura di me? Oppure devo far vedere la totale mancanza di conoscenza in questa materia?
Mi dirigo verso l’auto e sento un bip dal mio telefono. Per un nano secondo penso sia Ethan ma il messaggio mi fa capire che non è lui. E’ Adam, che freddamente mi dice di chiamarlo appena posso, così vado sulle chiamate perse per chiamarlo.
“Ehi, Adam, cosa c’è?”
Lo sento agitato.
“Ehi, mi stavo preoccupando! Non venivi più per il pranzo, avevo paura che ti fossi buttata da un ponte per l’esame!”
Ride, forse per il nervosismo, poi continua.
“Insomma passi per mangiare?”
Improvvisamente mi ricordo di avergli detto che sarei passata   e mi sento stranamente in colpa.
“Mmm… veramente no, ho già mangiato con un mio amico..”
Lui sta in silenzio. Non so il perché ma non me la sento di parlare di Ethan con lui.
“Capito…”dice. Siamo in silenzio entrambi perché non sappiamo cosa dire. Poi prendo coraggio.
“C’è qualcosa che non va Adam?”
Lui non risponde ancora, lo sento armeggiare con quelli che probabilmente sono bicchieri.
“No, tutto bene. Adesso devo andare ci sono abbastanza clienti, ci sentiamo”
A questo punto attacca e sento ancora su di me tutta la tensione di Adam. Non riesco a capire, ma stranamente non mi importa. Nella mia mente ho solo Ethan che mi chiede il numero, che mi da un bacio sulla guancia , che mi lascia una scia di fuoco con le sue labbra.

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