Il rito

di xingchan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1a parte ***
Capitolo 2: *** 2a parte ***



Capitolo 1
*** 1a parte ***


Il rito - 1a parte

 

Akane si sedette su un divano della sala del palazzo di Tohma, esausta.

Quello sarebbe stato il penultimo giorno sull'Isola delle Illusioni, poi la vita sarebbe ritornata come prima.

Osservò come Nabiki, sdraiata sul divanetto accanto, schiavizzava piacevolmente Tatewaki Kuno, e come Shan Pu e Ukyo si contendessero il titolo di miglior cuoca dell'Isola insieme ad altre cinquanta ragazze conosciute sul posto. Per fortuna, nonostante apprezzassero la fisicità del suo fidanzato erano impegnate a loro volta e conti fatti erano più interessate alla sfida che aveva lanciato quella matta di Ukyo. La sfida di cucina si sarebbe svolta sulla sala comune del palazzo, ma Akane decise di non prendervi parte.

Aveva passato quei giorni comportandosi come al solito, avanzando la sola pretesa di vederlo mangiare qualcosa preparato da lei, ma Ranma aveva rifiutato la sua attenzione.

"Per favore, Akane. Dopo tutto quello che ho passato, credi abbia voglia di mangiare?"

L'aveva preso come un ennesimo declino di fronte alla sua cucina poco commestibile -anche se a dire il vero, non aveva accettato niente neanche da parte delle altre ragazze- ma Akane percepì anche una cadenza piuttosto triste e delusa nella voce di Ranma. Ed anche lei, nonostante fosse dannatamente felice per averlo visto correre in suo soccorso, udire quelle parole e dedotto che sì, Ranma provava qualcosa per lei, non poteva fare a meno di sentire una punta di colpa nei suoi confronti. Ranma aveva trovato la sorgente che poteva restituirgli la sua completa virilità e a causa sua e della sua incolumità non ha potuto usufruirne. Come se non bastasse, poi, tutti gli uomini maledetti dalle sorgenti di Yusenkyo della comitiva lo hanno incolpato pestandolo come se fosse un pupazzo, regalandogli una collezione di lividi che si andavano ad aggiungere a quelli subiti dal principe dell’Isola.

"Stupida gattaccia, ti faccio vedere io chi è più brava tra i fornelli!"

"Ah, come no!" rimbeccò la bella cinesina. "Sai fale solo okonomiyaki, e non sono neanche questa prelibatezza! Conosco posti miglioli del tuo localino da quattlo soldi! Uno di questi è ploplio il mio!"

Le voci delle due cuoche si spansero per tutta la sala, attirando l'attenzione di tutti, persino delle altre partecipanti. A differenza delle due ragazze di Nerima, le altre avevano accettato la competizione con cuore molto più leggero. 

"Guardale, che ochette starnazzanti!" commentò Nabiki alla sorella, sbadigliando e accavallando le gambe oltre il vertiginoso spacco del vestito. Anche lei osservava la scena. "Proprio non sanno che fare, quelle due! Oh, grazie Kuno!" disse poi, vedendo che Tatewaki le stava portando un bicchierone di aranciata ghiacciata.

"Non così in fretta, Nabiki Tendo" disse lui, minacciosamente. "Sai perfettamente che il mio cuore apparterrà per sempre alla dolce Akane tua sorella."

"Ah, certo che lo so! Ma lei è già impegnata, e non credo voglia rompere il suo fidanzamento con Ranma." Ammiccò alla sorella, sorridendo sorniona.

"Per tutti i kami!" esclamò Tatewaki inorridito. "Davvero hai ancora intenzione di essere la donna della sua miserabile vita, mio dolce bocciolo di rosa?"

"Miserabile non per molto" asserì la mezzana. "Sono certa che una volta alla guida del dojo molte ragazze vorranno apprendere le magnifiche arti marziali indiscriminate con il maestro Ranma Saotome. Solo per sbavargli dietro!" Levò un braccio al cielo in una splendida posa teatrale, ridendo maliziosamente.

Akane assunse un'espressione disgustata. Il pensiero che decine di ragazzette ringalluzzite aleggiassero intorno a Ranma le diede sui nervi. "Nabiki, smettila!"

"Certo, se vuoi tenertelo stretto ti conviene imparare a... soddisfarlo. Altrimenti non c'è matrimonio che tenga!" E rise, talmente forte da sovrastare le voci di Ukyo e Shan Pu, le quali si voltarono con sguardi interrogativi come il resto dei presenti.

"Oh, no!" ripartì il giovane Kuno, portandosi una mano al petto. "Non vorrai, mia dolce Akane Tendo, farti deflorare da quel rozzo plebeo, spero!" Lo disse con una serietà tale che in altre circostanze avrebbe fatto scoppiare a ridere chiunque, perfino lei, ma l'argomento era così imbarazzante che Akane neanche ci pensò. Al contrario, avvampò così intensamente da sentire il corpo bruciare. Persino Kuno parlava con naturalezza di certi argomenti! Doveva andarsene via da quei due prima di diventare rossa come un pomodoro.

"Chiamalo rozzo, chiamalo plebeo, ma..." Insistendo ancora, Nabiki lasciò la frase in sospeso apposta, un guizzo di pura lussuria negli occhi. Ma l'ilarità prese nuovamente il sopravvento, e quasi non dovette sputare l'aranciata nel bicchiere per il troppo ridere.

Esasperata e più imbarazzata che mai, Akane scattò in piedi, e incurante delle proteste di Kuno affinché restasse vicino a lui a consolarlo per la sua orrenda condanna con la sua sola presenza, si avviò per i lunghi corridoi che conducevano alle sale riservate del principe. Una ragazza spinta dalla curiosità, qualche giorno prima chiese di visitare la biblioteca di cui disponeva Tohma, affermando a ragione che ogni palazzo ne aveva una. Così Tohma l'aveva aperta per chiunque volesse consultare qualche libro. Akane ne era rimasta contenta, ed ora decise di recarsi proprio là.

Non ricordava precisamente la strada giusta, ma provò comunque a ricordare il percorso. Sapeva perfettamente la via per arrivare al salone privato del ragazzo, ma per la biblioteca avrebbe dovuto fare un percorso diverso, dove c'era la statua di leone nell'atto di agguantare una palma. Era quello il punto a cui far riferimento, aveva detto il piccolo principe.

Ma della scultura bronzea, neanche l'ombra.

Camminando per lunghi minuti, si ritrovò inghiottita da un inestricabile labirinto fatto di antiche fiaccole e di pareti ornate con complicate decorazioni; e più andava avanti, più non riconosceva il percorso alle sue spalle. Doveva essersi persa.

 

 

 

Aveva proprio bisogno di un bagno.

Era da un po' che non riusciva a rilassarsi in una vasca d'acqua calda, e aveva così desiderato la pace che lo circondava che a momenti si sarebbe addormentato, se non fosse stato per gli altri che, immersi nella vasca con lui, stavano scommettendo su chi avrebbe mangiato di più quella sera.

Avrebbe partecipato volentieri, se non avesse avuto la testa che gli scoppiava.

Il fatto era che stava pensando a cosa avrebbe fatto se avesse perso Akane. In altri tempi avrebbe fatto salti di gioia, ma il solo pensiero gli provocò rabbia e un'inspiegabile dolore al petto.

Ci sono state altre occasioni in cui davvero rischiava di non essere più il suo fidanzato, ma quel io-sono-il-principe-tu-no lo aveva davvero esasperato.

Per non parlare dell’acqua! Era ciò che stava cercando da anni ormai, e la prospettiva di ritornare un uomo completo svanì sotto i suoi stessi occhi. Ma non avrebbe mai potuto e voluto trascinare Akane con sé condannandola a sua volta ad avere un’identità diversa. Sapeva bene quel che significava avere un peso simile sulle proprie spalle, e farlo provare ad Akane era ben peggiore che non riacquistare più le sue fattezze naturali al cento per cento.

Scosse la testa per scacciare la brutta sensazione, cominciando a vestirsi per uscire. Successivamente, prese la strada del ritorno, stando ben attento ai dettagli che gli indicavano le varie uscite; e non appena mise a fuoco l'orizzonte davanti a sé scorse Akane. Aveva nuovamente indossato il vestito giallo che aveva scelto quando Tohma l'aveva rapita, ma ora si guardava intorno, spaesata.

"Akane!" la chiamò, avvicinandosi.

Akane gemette, quasi spaventata. "Ma tu che ci fai qui?"

"Ritorno dai bagni, mi pare ovvio" disse Ranma, indicando la stanza che aveva appena lasciato. "Tu, piuttosto, ti sei messa a giocare alla piccola esploratrice o... non dirmi che ti sei persa come quello scemo di Ryoga!"

Rise sguaiatamente, del tutto indifferente allo sguardo torvo che la fidanzata gli aveva rivolto.

"Sono in cerca della biblioteca che il principe ci ha messo a disposizione" sbottò irritata, scostandosi per poter proseguire oltre. Ma Ranma spostò il peso del suo corpo sull'altro piede per non lasciarla passare. Ad Akane sembrò come un bambino dispettoso che ha scelto il suo piccolo nuovo trastullo per divertirsi, non avendo nient'altro da fare. Con un lampo di gelosia negli occhi, che si affrettò a nascondere. Invano.

"Credevo che il marmocchio si fosse messo l'animo in pace riguardo te. Ora come mai ti fa ritornare nelle sue stanze private?"

"Lo ha concesso a tutti, idiota che non sei altro!"

"Sì, e io sono l'imperatore del Giappone!"

Non era da Akane mentire, ma quando sentiva il nome di un uomo -potenziale avversario- sulle sue labbra non riusciva a trattenersi dal riempirla di domande. Domande indispensabili, ma anche temibile fonte di sospetti.

"Sei geloso?" insinuò lei, con un sorrisetto furbo.

"Neanche per idea! Solo, trovo molto strano che..."

"Allora non deve importarti!" lo fermò Akane, mutando la sua espressione in una più torva.

"Dai, stavo scherzando!" cercò di rabbonirla lui.

"Sì, dici così quando ti conviene!"

Le guance di Akane si tinsero di un pericolosissimo rosso vermiglio e le sue sopracciglia erano aggrottate al limite, segno che si stava arrabbiando sul serio. Paradossalmente, però, a Ranma venne l'impulso di farla scoppiare come una bomba ad orologeria, soprattutto per cercare di ingoiare l'invidia che provava ancora un po' nei confronti di Tohma. Tirò le labbra alle due estremità con le dita, e cacciò quanto più possibile la lingua. Su, Akane, fammi vedere quanto ti arrabbi, si ritrovò a pensare.

"Non hai un minimo di autocontrollo, Akane!" la canzonò. "Proprio un maschiaccio in piena regola, non c'è che dire!"

Il battito cardiaco di Akane accelerò per la collera, e si preparò a caricare un pugno che gli avrebbe sfondato il naso, se non fosse che Ranma si stava dando alla fuga. Akane si lanciò all'inseguimento più furibonda che mai, i corti capelli che ondeggiarono tentando di sfuggire dal fermaglio a forma di un complicatissimo fiore.

"Sei una schiappetta, Akane! Non riuscirai a prendermi!"

"Ti faccio vedere io! Sono perfettamente in grado di acciuffarti, cretino!" Non poteva lasciare che vincesse lui, non dopo tutto quel che ha ancora una volta negato. "Vieni qui!"

"Mai, dovessi crepare!"

Rinvigorita la rabbia, Akane accelerò l'andatura, notando con disappunto che Ranma la stava staccando di parecchio. In quei giorni non si era allenata quasi per niente, e ne stava pagando le conseguenze. Ma ad un certo punto lo vide arrestarsi, e infilare cautamente la testa nella sala comune. Protese il braccio indietro, verso di lei, lanciandole un'occhiata di ammonimento ed incitandola così a fermare la sua corsa.

Il cipiglio indispettito della piccola Tendo si tramutò in uno accorto ed estremamente guardingo. Arrivò alle spalle di Ranma, trovandovi in lui una sorta di scudo protettivo che la rendeva pressoché invisibile.

"Perché ti sei fermato?" chiese sottovoce, un filo di vento che solleticò l’orecchio del ragazzo.

"Aspetta" le fu risposto.

Ma era troppo curiosa per attendere; così si apprestò a osservare.

La sala principale ora era completamente trasformata. I divani erano stati spostati tutt'intorno alle pareti, e al centro c'era un lungo tavolo con il ripiano che si estendeva in lunghezza, e tre immense file di pesche si srotolavano per tutta la sua ampiezza.

Un senso di vertigine mista a desiderio investì Akane come una marea, e dovette aggrapparsi al braccio di Ranma per non cadere. Il ragazzo con il codino avvertì la pressione su di sé e intuì che c'era qualcosa che non andava. Si voltò, sorreggendola appena in tempo, prima che crollasse. "Akane, che hai?" Il suo corpo era scosso da fremiti impercettibili, come se fosse stata colpita da qualcosa.

Stranamente Akane si sentì infastidita dal suo intervento. "Sto bene, Ranma" assicurò con tono indisponente. Era attratta da quelle pesche in una maniera che non aveva mai sperimentato, ma era sicura che non fosse per fame.

Alcuni servi di Tohma si avvicinarono ed intimarono loro di sedersi ed aspettare finché tutte le fanciulle si fossero radunate lì. Lo dissero con una cadenza dura, che non ammetteva repliche, tanto meno dissensi. Obbedienti come due cagnolini, i due si accomodarono su uno dei sofà.

Ranma era preoccupato. Dopo quello che sembrava una sorta di mancamento, Akane era una maschera di apprensione, le sue labbra rosse e morbide serrate l’una contro l’altra. Fissava un punto indefinito del lungo tavolo, ed era chiaro come il sole che avrebbe voluto alzarsi e dirigersi verso di esso.

Ed infatti, era proprio così. Dentro Akane cresceva un senso di smarrimento, di paura e rancore, che, era più o meno certa, avrebbero trovato la loro conclusione solo mangiando una di quelle pesche.

"Ma stai male? Come ti senti?"

"Sento che voglio una di quelle pesche, Ranma."

"Hai fame?"

"No."

“E allora...? Ah, ho indovinato!” disse Ranma, fingendo un'illuminazione inaspettata. “Hai lo stomaco largo quanto quello di un elefante! È per questo che non...”

Una gomitata sferrata al suo di stomaco gli mozzò il fiato, e mente i suoi occhi cominciarono seriamente a lacrimare per il dolore una voce tanto familiare quanto molesta gli inondò le orecchie.

“Che colpo! Complimenti, Akane!” si congratulò il principe Tohma, il quale torreggiava in piedi davanti a loro, con un sorriso sinceramente soddisfatto. “Pazienta ancora,” disse ancora, rivolto a lei “fra pochi minuti arriveranno tutte le altre e potremo cominciare.”

“Cominciare cosa?” domandò Ranma con freddezza inquisitiva. Sebbene fosse decisamente più affabile da quando Akane lo respinse, Ranma non era affatto propenso a fidarsi completamente di lui.

“È un... diciamo una sorta di rito” spiegò esitante il ragazzo. “Le ragazze dovranno mangiare le pesche lasciate nell’istante del loro rapimento, altrimenti non potranno ottenere la completa libertà da quest’Isola. Ti direi il nome di questa legge, ma non si può pronunciare.”

“Tohma, quando dovrò aspettare ancora?”

Esterrefatto, Ranma spostò lo sguardo sulla sua fidanzata. Era impallidita d’un tratto.

E nel frattempo, molte delle altre ragazze affollarono la sala, vestite di tutto punto con gli abiti di Tohma. Come Akane, pensò Ranma.

“E perché non ce lo hai detto prima, di questa roba?” sbottò Ranma risentito.

“Nessuno l’ha chiesto!” sentenziò il principe con ovvietà. “Guarda!”

Spinta dalla volontà a lungo repressa di alzarsi, Akane fece passi meccanici verso i frutti, imitando le ragazze prima di lei ed imitata dalle altre. Le fanciulle sfilarono una ad una di fronte alle tre file di pesche con una compostezza quasi soprannaturale, e ciascuna ragazza, con un criterio del tutto sconosciuto, prese una specifica pesca. Come facessero a riconoscerle, Ranma non sapeva proprio dirlo. Per lui, le pesche erano tutte uguali, non c’era nessun segno che le distinguesse una dall’altra. Passavano lungo il bordo del tavolo scrutando i frutti con occhi attenti, poi allungavano il braccio e prendevano quella che apparteneva loro, e apparivano molto convinte della loro scelta.

Shan Pu, Ukyo, Kasumi, Nabiki, in mezzo ad altre tante ragazze, perlopiù giovanissime come loro, sembravano come ipnotizzate. I loro movimenti erano lentissimi e calcolati, e nessuno guardava nessuno, come se ciascuna fosse sola con se stessa.

Ranma si rese conto che gli uomini assistevano senza che potessero fare alcunché.

Venne il turno di Akane: la sua pesca era una della fila centrale. Nella mente di Ranma cominciò a spuntare il sospetto che fossero in qualche modo pericolose. La sua fidanzata ebbe interminabili attimi di incertezza, poi prese il suo frutto e passò oltre, addentandola distrattamente e proseguendo il tragitto marcato dalle altre.

Il tutto avvenne nel più completo silenzio, sebbene l’atmosfera non fosse tetra ma molto tranquilla. Ranma ebbe la sensazione che respirare fosse diventato improvvisamente proibito. Ma l’intervento di Tohma faceva supporre che non era importante.

“Le ragazze le riconoscono, e nessuno sa perché” commentò il principe. “Io interpreto questa sicurezza dettata dal rapporto che hanno con la loro prigionia qui. Più la giovane sarà stata serena, più hanno maggiori probabilità di riconoscerla. Non ho motivo di specificare che non essendo donna, tu non conti in questa faccenda nonostante ti sia intromesso.”

Ranma gli fu grato per le spiegazioni in merito che il principe gli stava fornendo, tuttavia c’era del sarcasmo nelle parole di Tohma che proprio non riusciva a mandar giù.

“Perché Akane ha esitato?”

“Non era soltanto smarrita quando fu condotta qui” rifletté il principe, sentendosi terribilmente responsabile.

“Cosa succederà ora? Voglio dire, come sapremo che saranno libere di lasciare questo posto?”

“Dovrebbero esserci effetti collaterali, ma niente di grave.”

Il giovane Saotome si rese conto che man mano che camminavano, le ragazze sparivano oltre un folto tendaggio.

Akane era lì con loro. Dopo aver finito di mangiare la propria pesca, si sentì come se fosse uscita da un sonno letargico. Ricordò di aver inghiottito il frutto che Tohma e i suoi lasciavano al posto delle vittime dei loro rapimenti, e uno strano senso di libertà la pervase. Constatò che anche le ragazze intorno a lei provavano la stessa bellissima esperienza. Era come se non ci fossero mai state barriere di sorta, e come se fosse libera da qualsiasi promessa, da qualsiasi luogo, da qualsiasi persona.

Poi, l’inaspettato. Una giovane cadde a terra come svenuta, e molte altre la seguirono, accasciandosi al suolo come bambole di stoffa. Vide le sue sorelle e le sue amiche/nemiche perdere i sensi, e non appena realizzò che doveva fare qualcosa per loro, di colpo si sentì orribilmente debole. La vista le si offuscò. E poi non ci fu nient’altro che buio.

 

 

 

 

 

NDA

Ciao! :)

L’idea di questa ff mi è venuta un po’ di tempo fa, ma solo ora sono riuscita a scriverla di getto. -.-‘

Doveva essere una OS, ma volevo che tutto si svolgesse con calma, siccome già di per sé è fin troppo scorrevole - eh, sì... sono polemica e non posso farci niente! xD

Che dire, spero che questa sciocchezzuola vi piaccia. Scusate il titolo, ma non mi veniva niente di concreto!  -.-

Baci! :*

 

 

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Capitolo 2
*** 2a parte ***


Il rito - 2a parte

Nabiki aprì gli occhi.

Sprazzi di migliaia di colori le disturbavano la visuale, e dovette sbattere più volte le palpebre per poter mettere a fuoco l’ambiente circostante. Sentì un odore pungente sovrastarla e qualcosa di morbido sotto di sé. I muscoli le facevano incredibilmente male, ma riuscì a tirarsi su a sedere, massaggiandosi la testa dolorante. Si concesse un attimo per riacquistare appieno le sue facoltà sensoriali, e solo allora si accorse di esser stata sdraiata su uno dei soffici divanetti della sala; e di avere vicino qualcuno di sua conoscenza che balbettava di commozione.

“Nabiki Tendo, i kami hanno udito le mie devote preghiere e ti hanno ricondotta su questa triste ma dolce valle di lacrime!”

La ragazza emise un gemito disgustato, riconoscendo il ragazzo dai versi melensi ancor prima di vederlo in faccia. “Kuno, capisco che io sono la tua sola fonte di scatti hot di mia sorella e della ragazza con il codino, ma diamine, risparmiami questa roba, per favore!”

“Sono pur sempre un gentiluomo,” rimbeccò Tatewaki scandalizzato. “Non lascerei mai una fanciulla in difficoltà.” Cominciò una digressione sulle qualità che ciascun individuo di sesso maschile avrebbe dovuto avere, ma la mezzana Tendo non l’ascoltava. C’era qualcosa di più importante su cui riflettere, se mai gli argomenti di Tatewaki Aristocrat Kuno fossero davvero importanti.

Nabiki ripercorse tutto ciò che le era accaduto prima di addormentarsi. Era ancora sull’Isola delle Illusioni, era chiaro, ed aveva dei ricordi sfocati della pesca che Tohma e i suoi lasciavano ogni volta che una ragazza veniva sottratta ai suoi cari. Solo, non sapeva cosa l’aveva fatta svenire. Forse era stata proprio la pesca stessa che, ricordava sfocatamente come in un sogno, aveva mangiato. A detta di Kuno, doveva parer quasi morta - anche se mise in conto che era proprio da lui ingigantire ogni cosa. Povero Kuno, pensò, è completamente immerso nelle sue fantasie di nobile cavaliere... Ma in fondo è solo una tua pura illusione, Kuno, anche se la tua mente non le percepisce come tali.

Provò una sensazione densa di pietà, per lui. Ma non aveva intenzione di dar credito a quei pensieri, ora. Cercò con lo sguardo le sue sorelle domandandosi dove fossero, ma la risposta le arrivò dalle sue stesse orecchie. La voce di suo padre che frignava come un disperato era inconfondibile.

“Nabikiiiii, aiutami!” singhiozzava già da tempo, mentre l’interpellata faceva slittare il suo sguardo su ogni singola fanciulla lì presente.

“Dove sono Akane, Kasumi e le altre?”

Sì. Suo padre, oltre che di arti marziali, era un maestro anche di apprensione. E si trattava di una prerogativa tutta sua, e non il risultato di anni ed anni trascorsi con le sue sole figlie nubili.

“Sono... morte, Nabikiiiii!” disse, senza neanche sincerarsi di controllare. “Sei l’uni... l’unica f... figlia che mi è rimastaaa!”

Nabiki non ne fu affatto convinta. Se era rinvenuta lei, anche tutte le altre avrebbero riacquistato i sensi. Era così ovvio che la fece ridere. Sei troppo apprensivo, papà.

Scorse Kasumi preda dei forti giramenti di testa che lei stessa aveva provato, vide Soun precipitarsi da lei, e sua sorella minore ancora avvolta fra le braccia dell’incoscienza, ma non era sola. Ranma le era seduto accanto: con una mano le stringeva la mano inerme e con l’altra le scuoteva con forza la spalla nuda per farla rinvenire. La chiamava insistentemente, con sussurri impazienti di mutare in urla da un momento all’altro, con una cadenza di voce che non tradiva la benché minima sfumatura di rassegnazione, anzi, così risoluta che avrebbe convinto anche un cadavere a resuscitare. Era troppo impegnato perché potesse voltarsi e vedere Nabiki arrivare, ma ne percepì la presenza; soprattutto vide che con delicatezza, Nabiki sollevava la testa di Akane e l’appoggiava sulle sue ginocchia. La piccola Tendo parve scontenta del cambiamento, ma ci vollero pochissimi istanti perché aprisse gli occhi e si specchiasse in quelli di Ranma.

Comparve del sincero e adrenalinico sollievo sulla faccia del suo giovane futuro cognato, l’ultimo residuo di una speranza tenace, seppur appesa ad un filo, mentre più passavano i secondi, più Akane perdurò nel fissarlo.

Senza che ne fosse consapevole, Nabiki distinse l’amore che l’uno nutriva nei confronti dell’altra, diverso da tutti gli altri con una chiarezza nitida come una fotografia: più profondo, più sincero di quello che loro davano a vedere, dettato da una strana alchimia che rendeva Ranma indispensabile per Akane e viceversa come l’aria che respiravano.

Era proprio ciò che aveva sempre pensato. Solo che ora, con uno strano senso di meraviglia, ne era assolutamente certa. Sicura quanto sapeva che lo fossero la vita e la morte. Il paragone le mise addosso un senso di soggezione non indifferente, ma non poté far altro che reputarlo del tutto conforme a quel che stava assistendo.

Sorridente, Ranma attirò a sé Akane in un abbraccio delicato, e si apprestò a tastarle la fronte. Dalla sua espressione ormai rasserenata sembrava tutto a posto anche da quel punto di vista.

“Ma cosa è successo?” chiese intanto lei.

“Non lo so di preciso,” rispose Nabiki “dovremmo domandare a Tohma. Dovrà darci un paio di spiegazioni.”

“È stato molto vago quando gli ho parlato,” disse Ranma furioso. “Ma gli estorcerò la verità, dovessi pestarlo.”

“Ranma, aspetta!”

“Akane, ti ha fatto qualcosa, e ha fatto qualcosa a tutte loro” affermò, indicando le altre ragazze.

“Aspetta!” insisté la ragazza prendendogli inavvertitamente il volto fra le mani.

Un fiume di informazioni si stava riversando nella sua mente addormentata, e all’improvviso le parve di aver bevuto così tanto tè da scoppiare. Completamente libera dall’intontimento del sonno, fissò Ranma intensamente, le sopracciglia aggrottate dalla perplessità; e appena prima che Ranma potesse chiederle cosa avesse tanto da guardare la sentì sciogliere velocemente il contatto per offrirgli uno più pressante. Lì, davanti a una folla in cui era presente anche  gente che avrebbe potuto ribellarsi a quell’approccio, gli strinse il torace in un abbraccio.

E pianse, il pianto più dolce e genuino che Ranma avesse mai sentito. Dapprima pietrificato per la platealità con cui la sua fidanzata aveva agito in pubblico, Ranma sentì centinaia di paia d’occhi che puntavano lui ed Akane: sguardi meravigliati, gioiosi, inteneriti, alcuni pericolosamente umidi.

Ma ce n’erano due che trasmettevano tutt’altro. Entrambi gli sguardi di Shan Pu ed Ukyo erano spenti a quello spettacolo, ma paradossalmente non facevano niente per strappare il loro amato dalla stretta di Akane. Assistevano, apparentemente impotenti, mentre calde lacrime di tristezza e rabbia solcavano i loro volti. Ranma non sapeva cosa passasse nella loro testa, ma era chiaro che non avrebbero mosso un dito per separarli. Molto probabilmente né in quel frangente, né mai.

“Ranma, tu...”

La voce soave della fidanzata lo riscosse, e tremante, il rigido corpo che faceva da bizzarro contraltare con quello rilassato di Akane, provò ad allontanarla.

“Io... cosa? E finiscila di piangere!” borbottò, mentre era intento a dimenarsi.

Ma non ci fu nessuna risposta da lei. Piuttosto replicò una voce che per le sue orecchie era orribilmente ripugnante.

“Sei un libro aperto per lei, adesso.”

Dall’alto del suo seggio, la sagoma di Tohma dominava tutta la sala. Incurante della sua espressione rilassata, della sua autorità su quell’Isola, e dello scranno che la marcava, ormai libero Ranma si fiondò su di lui con il preciso intento di agguantargli la gola come un leone, ma venne bloccato dalle robuste braccia delle sue guardie. Sentì appena il tocco di Akane sulla sua spalla, che evidentemente si era precipitata nel tentativo di dissuaderlo.

“Cosa le hai fatto?” ringhiò Ranma, l’unica cosa che poté fare in quel momento.

“Vi è stata data la facoltà di distinguere fra le vostre pie illusioni e l’effettiva realtà, oltre che ad affrancarvi per sempre da quest’Isola. In altre parole, vedrete qualsiasi emozione di chi vi sta accanto, che sia uomo o donna, e riuscirete a valutare la loro sincerità in tutta sicurezza” disse Tohma rivolto alle giovani donne presenti.

Dal nugolo di ragazze si levò un borbottio indistinto. Era evidente che erano terribilmente turbate da quella notizia, ma nessuna di loro si azzardò a protestare. Piuttosto, più avevano il tempo di pensarci, più ne rimanevano allibite. E pian piano diedero un nome alla tenerezza che fluiva da quella coppia alle loro anime e alla consapevolezza di essere più lucide, come se qualcuno avesse rimosso dai loro occhi una patina creata da loro stesse e vedessero molto più dell’esteriorità degli altri.

“Perché non ne hai parlato prima?” domandò Ranma furibondo.

“Perché nessuno ha chiesto!” esclamò Tohma divertito. Ma tornò serio di colpo, tanto che Ranma si ritrovò a chiedere se la sua risata fosse stata un’allucinazione provocata dal disordine del momento. “Prima di tutto, neanche io so il perché di questa cerimonia. Nei miei studi se ne fa accenno, ma alcune delle informazioni necessarie sono state perdute. Perché non l’ho detto? Perché sicuramente tu lo avresti impedito per mancanza di affidamento, e senza questo rito ed i relativi effetti nessuna ragazza poteva lasciare l’Isola.”

“Quindi, era necessario” rifletté Akane. La pavimentazione in marmo sembrò oscillare sotto il peso di tutte quelle informazioni. Alla piccola Tendo parve di essere vittima dell’ennesimo capogiro.

“Sei decisamente più intelligente di quell’ignorante del tuo fidanzato” commentò ironico. “Non volevo però che qualcuna di voi prendesse così male questo rapimento. È stato il malcontento di qualcuna la matrice che ha gettato le fondamenta della difficoltà impiegata nel portare a termine il rito. La pesca simboleggiava la vostra permanenza su quest’Isola, e il mangiarla, oltre che affrancarvi da questo luogo, vi ha anche liberato dal desiderio di vendetta.”

“Ecco perché ho avuto difficoltà nel riconoscere la mia pesca.”

“Davvero pensavi che un rapimento sia piacevole? Sei proprio un idiota, fattelo dire!” inveì il giovane Saotome. Davvero non poteva credere che l’essere sottratti avrebbe potuto arrecare felicità.

Tohma annuì però alla piccola Tendo, ignorando del tutto il suo ex rivale. “Sì, eri piuttosto arrabbiata di trovarti qui, seppure circondata da tutto ciò che una donna può desiderare. È stato questo il motivo della tua esitazione: il tuo inconscio, così come quello di chiunque di voi abbia avuto reticenza nel prendere la propria, ne risentiva. Così ha provato di sua iniziativa a ritardare il momento per poter prendere il sopravvento e reagire. Anche se, in cuor mio, penso che Akane non me l’avrebbe mai fatta pagare troppo duramente.”

“Beh, no. Non l’avrei fatto, non ad un bambino come te” sussurrò Akane con l’ombra di un sorriso. Ranma le rivolse un’occhiataccia risentita, sbattendo istericamente un piede a terra.

“Non credevo che qualcuna di voi sarebbe stata infelice qui” proseguì Tohma in tono affranto.

“Lei, proprio lei, non desidera tutto questo, più di quanto non desideri tornare a casa propria” intervenne Nabiki con un tono duro. “E tu, nella tua ignoranza, pensi che le donne siano tutte uguali. Ma dobbiamo ringraziarti, su questo non ci sono dubbi.”

“Basta, Nabiki” l’interruppe Kasumi, seguita a ruota da suo padre. “Tohma ha imparato la lezione, no?”

Il principe bambino annuì con vigore, la serietà dipinta sul viso ancora molto infantile, promettendo che d’ora in avanti sarebbe stato coscienzioso.

 

 

 

Shan Pu non aveva resistito a tutto questo, così si era rintanata in un angolo in completa solitudine a fare un discreto bilancio della sua vita fino a quel momento: la sconfitta subita da Ranma, la consapevolezza di esser stata battuta da un uomo, il trasferimento in Giappone, i giorni passati a far la cameriera sperando che in qualche modo - in qualsiasi modo - Ranma prendesse coscienza dei suoi sentimenti e la sposasse.

Ed invece, dentro Ranma non c’era niente che potesse essere motivo di speranza per lei. Aveva scandagliato ogni centimetro della sua psiche per trovare un qualsivoglia pensiero che fosse indirizzato a lei, ma niente. C’era sua madre, le arti marziali, il cibo, e cosa più importante, che occupava gran parte del suo essere, Akane.

Akane, Akane, sempre Akane.

Incrociò le braccia al petto, guardandosi attorno spaesata. Dire di sentirsi vuota era ben poco dell’avvilimento che stava passando. Ma non poteva farci niente: a conti fatti non ci sarebbe stato modo di separare quello che reputava con ostinazione il suo futuro marito dalla ragazza che amava sul serio.

Avrebbe dovuto capirlo fin dall’inizio che neanche con i sortilegi e gli intrugli avrebbe mai fatto breccia nel suo cuore. Ranma si era sempre dimostrato piuttosto freddo con lei, e le sue carinerie e le soddisfazioni che le aveva dato erano solo espedienti per arrivare ai suoi veri obiettivi: riacquistare le sue sembianze e correre in aiuto di Akane.

“Shan Pu, che ci fai qui tutta sola?”

Le doleva ammetterlo, ma solo Mousse, al contrario, non aveva mai fatto mistero dei suoi sentimenti nei suoi confronti. Ma lui non era l’uomo che realmente amava.

“Niente che ti rigualdi” interloquì lei, il tono più arrogante che riuscì a sfoderare. Avvertì il nervosismo insinuarsi nella mente del ragazzo, ma tentò di schermarsi per provare a restarne indifferente. “Vattene via.”

“Mi riguarda moltissimo, invece. E non me ne andrò finché non mi ascolterai. So bene che non sono quel che hai sempre cercato. Ma sapevamo tutti che Ranma non è mai stato il tuo potenziale marito, non davvero. È vero, ti ha battuta, ma è stato per fortuite circostanze di cui neanche sapevi la natura, e non è stato perché voleva sposarti.”

Il giovane cinese vide i lineamenti della ragazza contrarsi, ma il suo dubbio di aver colpito nel segno fu subito dissolto da alcune lacrime salate che rotolavano via dalle sue guance.

“Tu non puoi capile...” mentì, ma sapeva di sbagliarsi.

“Sì, che capisco invece! Capisco quando la donna che ami non ti degna di uno sguardo se non per un suo tornaconto personale. Ma non mi importa della tua indifferenza, Shan Pu. Non ho mai nascosto il mio amore per te, ma ora so che puoi fare di più: ora lo puoi percepire, non è così?”

Sì che lo sentiva. Sentiva un potentissimo flusso di emozioni forti come un fiume in piena diramarsi per l’atmosfera circondarla in un invisibile abbraccio. La sensazione di gioia le fece galoppare il cuore, ma dopo un attimo in cui se ne beò, imperterrita provò ad accantonarla. Era troppo sbagliata perché riuscisse ad accoglierla a braccia aperte.

“No!”

“Cosa?”

“Non sento niente, Mousse. Pelché la tua è solo un’infatuazione, che dula fin da quando elavamo bambini! Ecco cos’è quello che tu scambi pel amole!”

“Un’infatuazione non dura così tanti anni, e affievolisce nel giro di pochi mesi. È evidente che è un’infatuazione quella che hai per Ranma Saotome, se la conosci così bene!”

Si pentì subito di quel che disse, ma non aggiunse altro per permetterle comunque di farle assorbire tutte le sue parole accompagnate da un crescendo d’ira che non era riuscito ad arginare. Sembrò che il suo discorso sortì l’effetto desiderato, perché Shan Pu prese ad osservarlo attonita, incapace di spiegarsi come mai Mousse riuscisse a capire quel che le passava per la testa meglio di chiunque altro, perfino della sua bisnonna, e senza l’aiuto di nessuna cerimonia.

Sentendosi in trappola, la giovane amazzone optò per una via di fuga, lasciandosi dietro l’amico d’infanzia.

Di certo, rifletterà su questo, pensò Mousse. Ma se aveva la certezza che la ragazza avrebbe fatto i conti con le nuove scoperte, aveva il serio dubbio che non avrebbe mai imparato a accettarle.

 

 

 

“Scusami se ti ho dato quella gomitata. Non ne ero molto consapevole.”

“Beh, allora se fossi stata in te me ne avresti data una peggiore” asserì Ranma mestamente.

Erano nel giardino del palazzo, seduti sull’erba, e nonostante il crepuscolo ottenebrasse un po’ il mondo circostante le coste del Giappone erano perfettamente visibili, al di là della spiaggia. E Akane era contentissima di tornare a casa e di proseguire con la sua strampalata vita. Ma al contrario, lesse nella mente di Ranma un certo sconforto, come se il ritorno alla normalità fosse una sorta di impedimento alla soluzione del suo problema. Era evidente che qualcosa aveva occupato tutti i suoi pensieri, dimenticando perfino i dolori fisici. E la ragazza non faticò molto per capire di cosa si trattava.

“Mi dispiace...”

Esterrefatto, il ragazzo con il codino le rivolse uno sguardo interrogativo, e davanti ai suoi occhi inquisitori Akane si sentì più colpevole che mai.

“Per cosa?” chiese innocentemente Ranma.

“Non fare il finto tonto,” replicò la giovane. “Mi dispiace che l’occasione di rompere la tua maledizione ti sia sfuggita di mano.” Si strinse le gambe al petto, trovando le sue ginocchia terribilmente interessanti. Percepirlo dibattersi dalla frustrazione era troppo.

“Ancora con questa storia? Akane, è andata ormai. Non me ne importa più, adesso.”

“Bugiardo!” obiettò lei “Sei triste da giorni per questo, e si vede troppo chiaramente per provare a nasconderlo!”

Le sue parole lo colpirono come un dardo infuocato. Distinguere la realtà dall’illusione: era questo che Tohma aveva detto. Facoltà di leggere le emozioni. Se prima era in grado di capirlo più di chiunque altro, ora non le si poteva nascondere niente. Cominciò a mettergli una seria inquietudine addosso, ma tentò di non scomporsi. Piuttosto, forse sarebbe stato meglio se avesse cercato un modo per starle più alla larga possibile, anche se francamente non sapeva da che parte iniziare. Non c’era modo di capire se Akane si rendesse conto del suo stato d’animo anche a distanza grazie alla prepotenza con cui si manifestava.

Il desiderio di avere quell’acqua era ancora troppo vivo e pulsante perché Akane ne potesse rimanere indifferente.

“E va bene, Akane!” sbottò infine. “Sì, voglio la Nannichuan o qualsiasi altra acqua che mi faccia riacquistare la mia virilità completa come mi è necessaria l’aria che respiro! Hai ragionissima, non hai mai detto una cosa più vera di questa!”

Akane incassò il colpo senza ribattere. Percepì ogni singolo frammento di abbattimento riversarsi sul quel letto di angoscia spontanea con un’intensità tale da scuoterla e farle venire ancora una volta le lacrime agli occhi.

Una volta assicuratale la salvezza, Ranma aveva pensato a lungo alla mancata occasione senza però rimpiangerla: avrebbe trovato un altro modo per ritornare un uomo completo in un secondo momento. “Ma troverò un altro modo, Akane,” disse, infrangendo con il pollice una lacrima sfuggita della fidanzata “e se non dovessi riuscirci, pazienza. Ma non ho intenzione di farti rischiare ancora. Non voglio che tu debba addossarti una cosa simile, per di più per colpa mia. Penso tu già lo sappia. Trasformarsi non è uno scherzo, e non è affatto facile conviverci. E poi, Akane lo è già, un maschiaccio” concluse ironicamente.

Akane pianse, commossa dalle sue parole. Non c’era la minima sbavatura psicologica in quel che Ranma le aveva detto. Il ragazzo era molto più sincero di quanto potesse mai immaginare con le sue sole forze.

“Quindi... mi è sembrato di capire che a causa della cerimonia... ora tu... sai... tutto? Tutto quello che sento io, e quello che provo?” balbettò, il volto paonazzo che lasciava trasparire quel che intendeva fin troppo palesemente.

“Tutto tutto!” affermò Akane, divertita. Si asciugò da sola il viso bagnato, consolata dalla faccia buffa che aveva di fronte. “Però, voglio sentirmelo dire. E non solo che mi consideri la tua sola fidanzata...” continuò, un lieve rossore a colorarle le gote.

“Oh, no!” replicò Ranma spaventato “Forza, vieni con me!” disse tirandola in piedi. “Andiamo dal principino a vedere cosa si può fare per annullare questa cosa!”

“Ma smettila!” rise Akane, dandogli uno schiaffo sul braccio. “Tanto ormai lo so che mi a...”

“No! Non dirlo!!”

“E va bene... che ti piaccio.”

Aveva voglia di sorridere, di ridacchiare fra sé lasciando che le sue guance s’imporporassero; e non le importava affatto che Ranma negasse quel che provava nei suoi confronti. L’aveva fatto tutta la vita, ed ora Akane non pretendeva che dichiarasse ogni cosa ai quattro venti tutto d’un tratto.

“Ma che vai farneticando?! Non è che mi piaci soltanto...”

Non credendo alle proprie orecchie, Akane si lasciò sfuggire una risatina dolce con una velata dose di malizia. E solo allora Ranma si rese conto di aver detto qualche parola di troppo. Provò a fuggire, ma incespicò nelle folte nuvolette di cespugli che gli sbarrarono la strada, costringendolo a non avere altra possibilità che soccombere alla vegetazione. Quel che ne derivò fu un fruscio di foglie e un lieve stridio di rami che impigliarono il ragazzo e lo fecero rovinare a terra.

“Ranma, tutto bene?” chiese Akane accovacciandosi, scostando alcuni rametti per vedere quanto era successo. L’unica risposta che ricevette furono indistinte imprecazioni ovattate dalla spropositata quantità di foglie nella bocca del malcapitato. Ranma sputò le foglie temendo di soffocare.

“Dovresti stare più attento a ciò che dici, anche se con me ormai non riuscirai a camuffare granché!” rise la giovane. Un colpo secco arrivò sulla schiena di Ranma, talmente forte da coglierlo impreparato e fargli perdere l’equilibrio in avanti. Il primo riflesso fu quello di protendere le braccia in avanti per attutire la caduta, ma l’intervento di Akane lo prevenne. Gli afferrò le spalle, sospingendolo con il benché minimo sforzo per permettergli di assumere la posizione seduta.

“E dovresti riposare. Immagino ne avrai abbastanza per oggi.”

 

 

 

“Non ho mai preteso molto dalla vita, sai Ryoga? Volevo soltanto che Ranma si prendesse cura di me come aveva promesso, e che mi amasse come pensavo di meritare. A quanto pare, non merito di essere amata.”

“Sbagli, Ukyo. E di grosso, anche. Tu meriti molto, non solo un uomo che ti ami. Ma sai, non si può pretendere che le cose vadano sempre come vogliamo. Io volevo che Akane fosse mia, ma non me la sento di provare ancora a dividerli, non quando li vedo così affiatati. Ed allora rammento a me stesso che non c’è speranza per me, e che farei meglio a lasciarli vivere in pace.”

“Lo vedo e lo sento, adesso” asserì Ukyo rattristata, mentre osservava l’uno arrabbiarsi con l’altra. Non si rese conto che Ryoga si era avvicinato a lei di un passo per catturare la sua attenzione. “E non posso che darti ragione, anche se francamente non mi spiegherò mai il perché di questo eterno tira e molla. Quel flusso di amore...” si bloccò, portandosi una mano sugli occhi affinché non piangesse ancora.

Ryoga continuò per lei, tirandole via la mano. “Quel flusso di amore c’è sempre stato. Siamo stati noi sciocchi che non volevamo accettarlo.”

“Come mai hai cambiato idea con tanta facilità?” domandò la giovane cuoca. “Tu non hai ricevuto questa capacità di percepire i sentimenti altrui. Io li ho avuti, eppure non me ne capacito...”

“Perché con il passare del tempo ho capito che non è in mio potere dividerli, e adesso meno che mai. Da quando la conosco, Akane ha sempre avuto solo Ranma nella testa: perfino quelle volte in cui prendevo il coraggio a due mani per confessarle che l’amavo. Ma lei, qualsiasi cosa mi dicesse, sia in veste di uomo che di P-chan, riguardava sempre lui. Era chiaro che per me non c’era spazio, così come non c’è mai stato per te o per le altre nella mente di Ranma; e non ci vogliono dei poteri per capirlo.”

Inavvertitamente, come se le azioni della coppia lontana volessero dar corpo al discorso fra i due amici, Ryoga ed Ukyo videro Akane baciare una guancia di Ranma, e videro Ranma rimanere sbalordito e poi sorridere.

Ryoga sfoggiò un sorriso a sua volta, ma decisamente più mesto, quasi doloroso. Lo sguardo della giovane Kuonji si spostò verso un punto imprecisato per togliersi Ranma dalla visuale; ed incontrò una mano dell’eterno disperso abbandonata lungo il fianco. Risalì lungo il braccio, soffermandosi sulla sua bocca, ora contratta in una smorfia di mortificazione. Ukyo non faticò a rendersi conto che era lui quello che stava peggio fra i due.

“Ho paura che c’è qualcun altro che ha bisogno di consolazione” disse la ragazza con tono comprensivo. Gli prese la mano terribilmente fredda, incitandolo a lasciare Ranma e Akane a loro stessi.

“Forza, andiamo a mangiare qualcosa” propose. “È stata una giornata lunga, dovremmo metter qualcosa sotto i denti.”

 

 

 

 

 

 

 

 

NDA

Sì, linciatemi pure. L’idea non è granché, ma aleggiava nella testa e l’ho tirata fuori. xD

Ci ho messo tanto, è vero, ma sono stata un po’ di giorni a corto di ispirazione ed altri impegnata. Ad ogni modo, ringrazio tutti quelli che mi hanno solo letta, seguita, preferita, ricordata e recensita! A dispetto delle aspettative, siete in tanti! :)

Scusate se ci sono degli errori. :*

 

 

 

 

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