30 days of Johnlock

di gateship
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Holding Hands ***
Capitolo 2: *** Cuddling somewhere ***
Capitolo 3: *** Watching a movie ***
Capitolo 4: *** On a date ***
Capitolo 5: *** Kissing ***
Capitolo 6: *** Shopping ***
Capitolo 8: *** Cosplaying ***
Capitolo 9: *** Wearing eachothers’ clothes ***
Capitolo 10: *** Hanging out with friends ***
Capitolo 11: *** With animal ears ***
Capitolo 12: *** Wearing kigurumis ***
Capitolo 13: *** Making out ***
Capitolo 14: *** Eating icecream ***
Capitolo 15: *** Genderswapped ***
Capitolo 16: *** In a different clothing style ***
Capitolo 17: *** During their morning rituales ***
Capitolo 18: *** Spooning ***
Capitolo 19: *** Doing something together ***
Capitolo 20: *** In formal wear ***
Capitolo 21: *** Dancing ***
Capitolo 22: *** Smoke ***
Capitolo 23: *** In battle, side-by-side ***
Capitolo 24: *** Arguing ***
Capitolo 25: *** Making up afterwards ***
Capitolo 26: *** Gazing into eachothers' eyes ***
Capitolo 27: *** Getting married ***
Capitolo 28: *** On one of their birthdays ***
Capitolo 29: *** Doing something ridiculous ***
Capitolo 29: *** Doing something sweet ***
Capitolo 30: *** Doing something hot ***



Capitolo 1
*** Holding Hands ***


Ebbene, riassumendo brevemente:
30 giorni, un prompt al giorno. Ci proverò davvero, ma tra un po' dovrei andare qualche giorno in campagna, e li la connessione non tiene per niente... ma speriamo di si!
Qui c'è il link della challenge:
http://30dayotpchallenge.deviantart.com/journal/30-Day-OTP-Challenge-LIST-325248585

Primo prompt:
Holding Hands

(non posso credere di farlo... sono pazza...) Dunque, the game is on!

 

John? John, mi senti? John?”

La voce baritonale gli arrivò ovattata, mentre le chiazze di nero che gli impedivano la visuale a poco a poco si facevano più rade.

“Shrlck?” sussurrò, una fitta lancinante che gli trapassava il cranio.

“Non ti muovere, sta arrivando un'ambulanza.”

“Sh-Sherlock?” chiese confuso, la gola improvvisamente secca,

“Continua a parlare d'accordo? Credo che tu abbia una commozione.”

“Sherlock.” ripeté, questa volta in modo chiaro.

“Sono qui.”

“Sherlock! - esclamò, allontanando la mano dell'amico dal suo petto - Sto bene, fammi sedere.”

“No, hai una commozione cerebrale, devi restare immobile, tranquillo.” rispose il detective, inginocchiato di fronte a lui.

“Sherlock, non è una commozione, sono un medico.”

“Ah.”

“Già. - rispose burbero mettendosi a sedere, una mano sulla testa – Mi hanno... devono avermi drogato. Per quanto tempo...?”

Sherlock gli portò una mano dietro la schiena, impedendogli di cadere di nuovo sull'asfalto della strada. Era stato troppo veloce, tutto troppo veloce. La chiamata di Lestrade, l'inseguimento, John che cadeva a terra colpito da chissà cosa mentre lui continuava a correre. Poteva essere morto. Per dieci lunghissimi minuti aveva pensato che John fosse morto.

Ed erano stati troppi.

“Un quarto d'ora. L'ambulanza dovrebbe arrivare entro cinque minuti, Gavin sta arrivando.”

“Gavin?” chiese John inarcando le sopracciglia.

“Greg?”
“Meglio.” annuì lui.

“Credevo che fossi morto. - disse dopo qualche secondo, un tono di voce così poco naturale da far chiedere a John se non era in compagnia di un alieno -Non ti muovevi e ho pensato...”

“Mi dispiace.”

“John io... Io non voglio che succeda mai più. Non posso vederti morto, per favore. Farebbe troppo male. Va bene?”

Ferita. Ecco come era quella voce. Ferita con una sfumatura di dolcezza, una di quelle che solo a John era consentito vedere.

“Sherlock...”

“Non voglio vederti morire mai più. Promettimelo.”

“Sherlock.”

“Promettimelo.”

“Sherlock, vieni qui.” sussurrò John gli occhi inumiditi, le braccia aperte per avvolgere quell'uomo in un abbraccio. E lo strinse forte, come se la sua vita, la vita di entrambi, dipendesse da quello.

“Non farlo mai più John, d'accordo?”

Lui sorrise, mentre spettinava con una mano i capelli già arruffati di Sherlock, “D'accordo.”

E restarono così, la luce calda dei lampioni londinesi ad illuminarli.

“Sherlock? – chiese qualche minuto dopo – dovremmo separarci, Greg sta...”

“Altri due minuti. Per favore, ho bisogno.” gli sussurrò all'orecchio, la stretta dell'abbraccio che si faceva ancora più forte.

“C'è l'ambulanza, dovrei...”

“Oh.” fece Sherlock, ritirandosi improvvisamente dalle braccia di Watson. - Si, io... d'accordo.”

“Possiamo trovare un compromesso.” rispose John mentre tendeva la mano verso l'amico, ancora troppo debole per alzarsi.

 

Quando circa due minuti Lestrade arrivò, sterzando la macchina della polizia e precipitandosi verso l'ambulanza dove Watson era seduto, la scena che vide fu piuttosto interessante:

John gli stava tenendo la mano. Di Sherlock. Non stava appoggiando, non stava sfiorando, la stava tenendo.

John e Sherlock.

Eh.

Greg inarcò le sopracciglia, poi scosse la testa e, sorridendo, si diresse verso l'automobile.

Donovan gli doveva un mucchio di sterline.



 

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Capitolo 2
*** Cuddling somewhere ***


Buonsalve! Secondo giorno!! Evviva!! Allora, mi sono scordata di dirlo prima, le storie tra loro non hanno nessuna connessione e nel caso in cui decida di collegarne due lo scriverò!

 

Poi, devo assolutamente ringraziare marghevale123, mikimac e Pamir per aver inserito la storia tra le seguite e di nuovo mikimac per aver recensito e nojioko x per aver inserito tra i preferti! Grassie!!!

Buona lettura a tutti e ci vediamo domani! ^^

Se volete lasciare una recensione mi fate felice ^^

 

Secondo prompt:

Cuddling somewhere / Coccolarsi da qualche parte

 

 

John Watson.

Sherlock ne aveva osservato spesso i tratti, per la scienza si intende, perchè le espressioni facciali sono utili per capire se la persona accanto a te sta mentendo.

 

Quando stavano scattando alla coppia una fotografia, il portamento di John era militare, gli occhi indecifrabili, con una scintilla di cortesia, quasi a dire, “Non vorrei esserci ma ci sono, già che ci siamo, siamo cortesi”.

La sua bocca era perfettamente chiusa, rigida, serrata.

Il capitano in John Watson si risvegliava. I flash dei fotografi troppo simili ai riflessi della sabbia in Afghanistan.

Troppo inconscio per mentire.

 

Quando sorrideva la dentatura superiore, brillante e perfetta, era bene in vista, non era timido. Le sue narici, ben fatte, si dilatavano leggermente. Gli si formavano delle pieghe attorno agli occhi, che si socchiudevano, luminosi.

Non stava fingendo, era troppo affascinante per essere una bugia.

 

Quando era allegro, rideva, i suoi occhi si socchiudevano e mandava la testa all'indietro. Se era imbarazzato, la sua mano volava alla tempia destra, quasi a segno di protezione.

Ma le altre volte, quando era divertito, aveva una risata tonsillare, di quelle che vengono dal profondo del corpo. In altre parole, dal diaframma, passando poi per le tonsille.

Amava quel suono. Era dolce.

E il suono del naso. Quello simile ad un riccio^.

Gli si inumidivano gli occhi, era un riflesso delle ghiandole lacrimali, ovviamente, segno che la sua risata era vera, oppure era un ottimo attore.
Sherlock apprezzava le sue iridi, rese ancora più lucide, più profonde, più intense, da lacrime di gioia.
Per la scienza, ovviamente.

 

Quando era stupito, la sua bocca era mezza aperta, mentre le labbra sottili disegnavano una curva deliziosa. Gli occhi erano uno leggermente più aperto dell'altro, blu opaco, quasi grigio. Le sopracciglia aggrottate.

Non stava mentendo, naturalmente. Era sinceramente stupito di sapere che Sherlock era vivo.

 

Quando era triste, le palpebre sbattevano lentamente, a spazzare via l'umidità tra le ciglia. Deglutiva leggermente, come per sciogliere il groppo in gola. Le sue labbra si stringevano.

Faceva troppo male per non essere reale.

 

Quando era amarezza quella che gli si leggeva sul volto, le labbra serrate erano inclinate verso il basso, gli occhi non restavano mai su un punto fisso. Poi annuiva leggermente, e il suo sguardo si poggiava sul soggetto del suo sentimento. Ancora una volta, gli occhi erano leggermente stretti,.

Al suo matrimonio, mentre guardava Sherlock dritto negli occhi e gli diceva di amare Mary, quella era senz'altro amarezza. Rimpianto di un sapore dolce-amaro. No, non era dolce, neanche un po'.

 

Quando piangeva, al suo funerale, al funerale di Mary, il singhiozzo di John gli aveva trapassato i timpani, non per quanto fosse acuto, ma per quanto fosse doloroso, fisicamente. Gli occhi non esprimevano niente quella volta, la postura non era più dritta, ma rattrappita, contorta.

Quella volta, aveva mentito. Aveva detto che era soltanto pioggia che gli cadeva sulle guance. Il modo in cui si teneva a Sherlock diceva il contrario.

 

Quando era stanco, quando sbadigliava, la sua bocca raggiungeva dimensioni enormi, il naso andava all'insù, gli occhi erano serrati in attesa di espirare. Poi sbatteva le palpebre due volte, velocemente, assumendo quell'aria innocente come quando gli aveva chiesto, “Am I a pretty lady?”

Era stanco, per davvero. “Sherlock, mi stai osservando gli occhi da ore, occhi che io ho dovuto tenere aperti tra l'altro, mi hai baciato per non so quanto tempo, ora, per l'amor del cielo, mi fai dormire?”

Se le espressioni facciali non bastavano, la voce di John era fin troppo esplicita.

 

Quando dormiva, la sua bocca era leggermente aperta, non più in guardia, rilassato tra le braccia di Morfeo. Gli occhi chiusi, ma non stretti. La testa sul materasso, John del tutto ignaro che il cuscino era a pochi centimetri dal suo naso. Non gli piacevano i cuscini.

Il corpo in posizione fetale, non in quella tipica dei soldati, supina. Ma John non era tipico, non lo era per niente.

 

Un tempo, guardarlo dormire era un privilegio raro, un'eccezione ad una rigida regola. Spiare quel soldato che disfaceva il letto, muovendosi mentre gli incubi lo aggredivano. Sognando di potergli passare la mano tra quei capelli brizzolati.

Ora, Sherlock poteva farlo liberamente, di fianco a lui, in un letto troppo piccolo per entrambi.

Amava osservare il suo John, per la scienza si intende.



 


^https://www.youtube.com/watch?v=JtaQzAjNEIA


 

(questa si poteva interpretare meglio, si... però dai, Sherlock che osserva John è coccoloso ammettetelo! È il suo modo di coccolare, mentale!) *va a rifugiarsi in un un bunker antiatomico*

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Capitolo 3
*** Watching a movie ***


Buonsalve!!

 

Ancora una volta ho delle persone da ringraziare, ma davvero, grazie tantissimo!

- Baileyzabini90, Vale_Efp, Ellie96 e maru che hanno messo questa storia tra le seguite.

- mikimac che ha inserito la storia tra le ricordate.

- chiara_LN, klonoa75, OmegaHolmes e Pamir per avere messo questa ff nelle preferite.

- mikimac e OmegaHolmes per aver recensito.

Grazie millissimo!! :)

 

Terzo prompt:

Gaming/watching a movie

 

 

“Ancora non capisco perchè portarmi qui, è noioso John. Noioso.” ripetè Sherlock, mentre si apprestavano ad entrare nel Clapham Picturehouse, uno dei più rinomati cinema di Londra.

“Non sarà noioso. Sarà come vedere Doctor Who in TV, solo che sarà su uno schermo più grande.”

“E non sarà Doctor Who.” aggiunse il detective.

“Non dovevo fartelo conoscere.” replicò, mentre si mettavano in fila per i biglietti.

“No, tutt'altro. È geniale. A trame intricate, che pochi possono capire. Non così difficili, ovviamente, sapevo chi era River dall'inizio, o meglio da quando Moffat ha scelto di...”

“Sherlock! - esclamò John, posandogli una mano sul braccio – Sherlock, i DVD non sono ancora usciti, ti prego! Molte persone non hanno ancora...”

 “Esiste lo streaming.” sentenziò lui, facendo un passo avanti in una coda che sembrava interminabile.

 “Si, ma è illegale.”

“Non ti ha mai fermato, mi pare.” rispose il detective senza abbassare minimamente la voce.

John arrossì furiosamente, “Sherlock!”

“Cosa vediamo?” chiese Holmes come se nulla fosse.

“I gialli li eviterei, non voglio essere sbattuto fuori dalla sala, di nuovo. C'è... Lo Hobbit?” chiese, leggendo sull'enorme tabellone in alto, sul quale, a caratteri cubitali, c'erano i nomi dei film che dovevano essere riprodotti.

“Oh, no. Quello no. È già abbastanza seccante sentirtelo leggere tutti i giorni. Non mi interessano le avventure di un nano.”

“Hobbit.” corresse John seccato.

“Stessa cosa.”

Frozen?” suggerì di nuovo Watson.

“Oh, per favore John! Film di animazione a me? Vuoi scherzare spero!”

 “Noi siamo infinito? C'è una replica.” chiese speranzoso.

“Sentimentale.”

“Unfirended?”

“Un horror? Gli horror devono spaventare per piacere...”

“Non è vero.”

“... non spaventerebbe te, figuriamoci me.”

John sospirò, ormai era il loro turno e non avevano ancora trovato niente, non che il cinema offrise molte altre scelte. “I guardiani della Galassia oppure... oh.” il sorriso sulla faccia di John si allargò, prese per il polso Sherlock, trascinandolo fino alla cassa, “Salve. Due biglietti per 'Sherlock Holmes', per favore.



“È ridicolo John. I documentari sono ridicoli, raccontano solo cose scontate e potenzialmente false, sconvolgono le cose, rendendole come non sono. Non sono imparziali, sono di parte più dei giornalisti, solo in modo più velato. Un documentario su di me, poi. Pensavo che ormai fosse stato tolto dalle sale.”

John sorrise, infilandosi una manciata di popcorn in bocca. “Non è un documentario, è un film con attori che ci impersonano in un'altra epoca, Greg me ne aveva parlato, non sapevo che ci fosse ancora. È un fenomeno di massa, Sherlock.”

“Scrivere cose fittizie su di noi per poi proiettarle in sale cinematografiche?”

“Esatto. E non hai visto le storie che circolano sul web.” rispose, portandosi il bicchiere alla bocca.

Sherlock alzò le sopracciglia, mentre l'ennesimo trailer veniva trasmesso sull'enorme schermo del Clapham. Estrasse il telefonino, digitando un breve messaggio a Mycroft:

Blocca le riproduzioni del Clapham Picturehouse. SH

Per favore. SH

Sarà divertente fratellino, tu e John in un cinema buio, devo avvisare la Signora Hudson che stasera resterete nella tua camera tutta la notte o vuoi farlo tu? MyH

“Spegni il cellulare Sherlock, sta iniziando.”, sussurrò John, passandogli un bicchiere di coca cola, che Sherlock guardo sospettoso.

“Si beve?” chiese il detective, osservando la sostanza liquida con sguardo scettico.

“Sì.”, rispose.

Incredibilmente, Sherlock riuscì a restare in silenzio per i primi cinque minuti, poi alzò le sopracciglia, guardando il suo se stesso fittizio stringere la mano di Watson, “Ne hai lette alcune? Di quelle storie su di noi?"

John annuì lentamente, "Sarah me ne ha fatta leggere una. In mia difesa, non sapevo di cosa si trattasse. Tu, letto qualcosa?", chiese, gli occhi incollati sullo schermo. Quel Watson ci sapeva davvero fare.

Sherlock sorseggiò lentamente la sua dolciastra bevanda, "Piuttosto, ho scritto qualcosa."

 

 

 

Allora, ho cercato di mettere film conosciuti, anche perchè vedo principalmente serie TV.

Comunque, se qualcuno avesse dei dubbi:

- Nello Hobbit ha recitato Martin Freeman (Jawn)

- Lo Sherlock Holmes che Sherlock e John stanno vedendo è appunto quello del 2009, il primo con Downey.

- Doctor Who è stato sceneggiato da Steven Moffat, che ha anche co-prodotto insieme a Gatiss Sherlock. In particolare, il personaggio di River Song è stato creato da lui e per circa due stagioni non si è ben capito chi fosse, grazie ad una trama intricatissima... quindi, mi riferisco a quello.



Spero che vi sia piaciuto, se vi va lasciate pure un commentino che non mi dispiace per niente! ^^ :)

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Capitolo 4
*** On a date ***


Buongiorno!!

Io davvero... non so più come rendere originali i messaggi di ringraziamento...


 

- Lillyvero e L Ignis_46 per averla messa tra le ricordate

Lillyvero per avere messo questa ff nelle preferite e seguite.

- mikimac per aver recensito, di nuovo... grazie!!


 

Grazie mille, mi scaldate il cuore!


 

Quarto prompt:

On a date/Ad un appuntamento


 


 

La maniglia è lucida.

A qualcuno sembrerebbe una buona cosa, è pulita.

Ma non è semplicemente lucida, è nuova. Il locale è vecchio, non guadagna di certo bene, non potrebbe permettersi una maniglia di quel tipo, non nelle attuali circostanze.

Allora perchè? Perchè quella maniglia è lucida? Si chiede, passando un dito sull'ottone. Semplice, non è utilizzata, è leggermente appiccicaticcia, sudore, in altre parole. Non utilizzata e non lavata.

La gente tende a non aprire quella porta.

In altre parole, quello non è un buon ristorante cinese.

Almeno spera, si dice, girando sui tacchi per incamminarsi verso la strada principale, altrimenti avrebbe perso un'altra occasione per stare zitto, o per gustarsi un buon pranzo.

Apre la porta di Angelo's e si siede ad un tavolo. No, non un tavolo, il loro tavolo. Si siede e controlla l'orologio. 14:20 Ancora poco, poco e poi potrà verificare. Magari è vero, magari ha ragione, forse.

Si sistema sulla sedia, deglutendo nervosamente. 14:21

Sospira e si guarda attorno. Ci sono persone. Quella più vicino alla finestra ha un gatto, non troppo affettuoso però. I peli sui pantaloni sono radi, tigrati, non si struscia. O se lo fa è per chiedere cibo. È una ginnasta, a giudicare dai muscoli delle braccia e dell'addome, ben visibili grazie alla maglietta aderente. Lui deve essere uno sportivo, calciatore probabilmente, è muscoloso, ma slanciato, non troppo alto.

Non sa dire altro.

Sherlock avrebbe potuto sicuramente, ma lui non è Sherlock, unico consulente investigativo al mondo.

Ordina due piatti di pasta e ridà una veloce occhiata all'orologio. 14.25

Con la mano batte un ritmo nervoso, lo sguardo perso nel vuoto, si gratta un sopracciglio. Perchè il tempo sembra rallentare quando hai bisogno che vada svelto?

Sospira e si dedica alle altre persone nel locale, le guarda, le osserva, le rivolta cercando di capirle. O almeno, ci prova. Ma John Watson e Sherlock Holmes non sono sinonimi.

14.27

I primi arrivano, uno per lui, l'altro per Sherlock, ora è sicuro che arriverà, non fa mai freddare i piatti di Angelo.

14.28

Il cameriere. È un lavoro part time, probabilmente per arrotondare le spese del figlio recente, si può vedere la sua foto e quella della moglie spuntargli dalla tasca. È un impiegato, usa molto la tastiera, le parti inferiori della dita sono leggermente appiattite, gli occhi lievemente strizzati come chi sta molto al computer, il suo aspetto è curato, sta a contatto con i clienti anche per lungo tempo.

14:30

John sorride e si aggiusta la camicia, schiarendosi la gola e versando il vino in due bicchieri, come al loro primo appuntamento.

Si mette a fissare la porta del locale con sguardo intenso, sta per arrivare.

E un uomo entra, “SH-” inizia, alzandosi in piedi.

Poi sbatte le palpebre, no. Non è decisamente Sherlock.

Si schiarisce la gola e guarda la porta, mettendosi seduto sotto gli occhi curiosi degli altri clienti.

Si porta l'orologio vicino al viso. 14:31

Sherlock, l'uomo più puntuale dell'universo, in ritardo.

Non è in ritardo, gli dice una voce nella sua testa, lui è...

No. No, si dice, addentando di malavoglia un maccherone, è in ritardo. Non è andato. Non è... È solo in ritardo, ecco tutto. Non è morto. Non lo è.

Guarda il piatto dall'altra parte del tavolo e sospira leggermente.

È molto in ritardo.

Ma lui continua a credere che verrà.

Lui ci crede. Crede in Sherlock Holmes.

 

Lo so, forse non si capisce bene se Sherlock sia morto, se sia in ritardo, o cos'altro... è intenzionale. Perchè quello che volevo esprimere era l'attesa di Jawn, spero di esserci riuscita.

È morto? Non è morto? Lo scoprirete nella prossima puntata! No, non è vero... anzi, ora che ci penso il capitolo per domani l'ho già scritto... oggi vacanza! No... il punto è che domani escono i risultati degli esami e sono agitata... aiutooo!

Comunque, l'idea inizialmente era un post-Reichenbach, l'ultima frase è presa dal blog di John, “I believe in Sherlock Holmes”, l'ha postata “John” dopo Reichenbach appunto.

 




Spero che vi sia piaciuta... review?

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Capitolo 5
*** Kissing ***


Hola!!

Machas gracias (ma davvero, un grazie stra enorme come queli che danno gli attori ai BAFTA) a camillax per avere messo questa ff tra i preferiti, camillax, Vikyfaro, Soqquadro04 per averla messa tra le seguite e grazie ancora a Vikyfaro per aver recensito il capitolo scorso.

Quinto prompt:
Kissing



Sherlock aveva letto un sacco sull'argomento ovviamente, si era documentato.

Avevo preso dei libri in biblioteca, naturalmente senza farlo sapere a John, usando però la sua tessera.

Aveva persino guardato su internet, su WikiHow, e dopo svariare consultazioni aveva deciso che quello era sicuramente il metodo migliore.

Nonostante tutto, c'erano dei rischi. John era sposato, ne era consapevole.

Ma non importava.

Era pronto.

Aspettò John sulla poltrona quella sera, le mani giunte sotto il mento appuntito e perfettamente liscio, i capelli e il corpo ancora umidi per la doccia. Quando l'ex coinquilino entrò con uno sbuffo, Sherlock alzò lo sguardo, “Buonasera.”

“Ciao Sherlock.” rispose stancamente John, passandosi una mano tra i capelli e appoggiando con l'altra il latte sul tavolo. Era diventata una pratica comune portargli del cibo da quando se ne era andato.

Il detective si alzò in piedi, avvicinandoglisi con circospezione, passandosi la lingua sulle labbra, “Com'è andata?”

“Bene, sai, come al solito, nulla di interessante, anche se il signore con la sepsi che è venuto poco prima della fine del turno somigliava decisamente a quel tassista, ricordi?”

Sherlock annuì, arretrando di qualche passo, lo sguardo fisso sugli occhi di John, “Hai fame? Possiamo andare da Angelo's se vuoi, o devi tornare subito da Mary?”

John scosse la testa, ignorando del tutto le inusuali attenzioni dell'amico, “No, credo che resterò solo per un tea e che me ne andrò.”

Sherlock annuì vigorosamente, “Bene, un tea! È proprio quello che ci vuole, verde magari?”

“Oh... sì, magari...” confermò John, le sopracciglia leggermente aggrottate. Si diresse in cucina, mettendo sul fornello il bollitore e chiudendo per un attimo gli occhi, era stata una giornata stancante.

Pochi minuti dopo, il medico tornò in soggiorno e si lasciò cadere sulla poltrona, una tazza di tea sul tavolino di fianco a lui, l'altra posta di fronte a Sherlock.

“Fatto qualcosa di interessante, oggi?”

“Ho pensato.” rispose, prendendo un sorso dalla tazza, ancora bollente.

“A cosa?”

Sherlock s schiarì la gola, “A tante cose. Ho finalmente capito come reagiscono i singoli arti al rigor mortis.”

“C'entrano quei piedi nel frigorifero?”

“Già.” annuì Sherlock. Il detective si alzò di scatto, avvicinandosi all'amico, “John, io...”

“Mmm?” chiese l'ex militare, guardandolo negli occhi.

Sherlock si inginocchiò di fronte al medico, facendo scivolare lo sguardo dalle iridi grigie fino alla bocca, a quelle labbra perfette. Poi si avvicinò ancora di più al viso di John, fino a toccargli il naso, mentre lui continuava a guardarlo, immobile come in una fotografia. Sherlock deglutì, leccandosi le labbra prima di posarle sulla bocca leggermente aperta dell'uomo di fronte a lui.

Watson non si ritrasse, ma continuò a guardarlo negli occhi, e poi li chiuse. Sherlock si allontanò leggermente, poi lo baciò di nuovo, questa volta in modo più diretto, passionale. Fece scorrere la sua mano sotto la maglietta di John, incontrando le cuciture della stoffa, chiuse gli occhi, mentre le mani di John gli stringevano la schiena. Iniziò ad alzare il braccio, raggiungendogli le scapole, e poi...

John si staccò improvvisamente, le guance di un rosso scarlatto, chiuse gli occhi, andando in dietro, verso la poltrona dalla quale era scivolato, “Sherlock, cosa...?”

Il detective sbatté le palpebre, “Io non...”

John per tutta risposta si alzò in piedi, infilandosi le mani tra i capelli e chiudendo gli occhi, il respiro ancora leggermente affannato, “Cosa... Sherlock io non...” lo fissò, la bocca mezza aperta, gli occhi spalancati, indecisi, confusi.

“Pensavo che anche tu...”

“Certo che io... cioè non ho... insomma...” John scosse la testa, le sopracciglia aggrottate, “Sono stanco, dovrei andare...”

“Ma ho fatto come le guide dicevano! Mi sono rasato, lavato, ho inumidito le labbra, ho bevuto del te verde per rinfrescarmi l'alito, ho iniziato con un bacio senza lingua per vedere come reagivi, ho...”

“Non è... non è questo il punto.” sussurrò lui, dirigendosi silenziosamente verso le scale.

“Mi dispiace, io... John – lo bloccò, la mano sulla spalla – qual è il punto allora?”

John scosse la testa, “Io non posso, ho Mary e... sono sentimenti, Sherlock.”

“Ma tu mi hai... io ho dei sentimenti, davvero, capisco cosa... io...”

“Lo so. Mi dispiace Sherlock... Io... m dispiace.” rispose, iniziando a scendere le scale.

Sherlock sentì le scarpe di John sui 13 gradini delle scale. Il portone del 221b chiudersi di scatto.

Mentre si rimetteva sulla sua poltrona, le mani di nuovo giunte in una preghiera, si chiese se quella sarebbe stata l'ultima volte che avrebbe sentito quei passi.

 

 

 

Lo so, me perfida, sono cattiva! Ve la lascio così, quella di domani sarà più fluffosa e meno triste, o meglio, spero che questa sia stata triste!

 

Ah, se avete qualche domanda sui vari passaggi che ha fatto Sherlock, come per esempio quello del te verde... si ecco... mi sono davvero ispirata a “Come dare il bacio perfetto di WikiHow”, perchè... boh... forse Sherlock farebbe così, di certo non arriverebbe al fatidico momento impreparato!

Poi, boh... spero che vi sia piaciuta, perchè davvero...  boh... non so descrivere questo tipo di scene! Se vi va lasciate un commentino, mi fa piacerissimo! :)
 

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Capitolo 6
*** Shopping ***


Buondì!

Allora, passando subito alle cose importanti, ieri ho rivisto l'unaired pilot di Sherlock e devo ammettere che è quasi più Johnlockosa una singola scena di quell'episodio che tutta la serie messa insieme... quasi! E i jeans di Sherlock!! E soprattutto... gli sguardi di quei due!! Aw...

 

Ma passando alle cose realmente importanti, grazie a Skyliria e Emrys3103 per aver messo questa storia tra le seguite, grazie a White_Converse per averla messa tra le preferite e un grazie speciale a Vikyfaro e mikimac per aver recensito lo scorso capitolo... vi adoro ^^

Bene, spero di non essermi dimenticata nessuno (la connessione oggi lascia profondamente desiderare) e via con il capitolo!

 

Sesto prompt:

Shopping

 

“Mi annoio.” ripetè Sherlock per l'ennesima volta, mentre seguiva John, le braccia incrociate, il cappotto e la sciarpa nonostante l'aria condizionata di quel supermercato fosse guasta.

“Manca poco.” rispose distrattamente il medico, controllando la lista della spesa per poi riposare lo sguardo sulle varie marche di pasta.

“Sei inglese John – disse Sherlock dietro di lui – perchè non puoi semplicemente mangiare quello che il nostro paese ad offrire?”

“È bello variare – rispose, prendendo finalmente due confezioni e mettendole nel carrello – tu piuttosto, perchè non vai a prendere il latte? E due corsie più a destra. Quattro pacchi, per favore.”

“No."

John si girò di scatto, le sopracciglia alzate, “No?”

“È uno spreco del mio tempo. È trasporto.”

“Ma se stai qui senza fare niente ci metteremo il doppio del tempo.” protestò.

“Ma stare qui con te non è uno spreco del mio tempo.” spiegò lui tranquillamente, guardandolo fisso negli occhi.

John sbattè le palpebre, facendo un passo indietro, “Grazie.”, disse sorridendo.

“Muoviti.” fu la risposta spiccia del compagno, impegnato a guardare una bambina discutere, o meglio strillare, a sua madre per quella che sembrava una scatola di cereali al cioccolato.

Indecente.

 

“John, quanto ci vuoi mettere ancora?” chiese Sherlock.

“Mmm... una ventina di minuti. Non fare quella faccia, sei tu che sei voluto rimanermi appiccicato.” gli ricordò John mettendo nel carrello lo Stick Burger.

“Si, ma...”

“Ah. - fece John, alzando l'indice per zittire il coinquilino – Ricordi? Solo uno sciocco discute

con il proprio medico. ”

“Ma mi annoio.”

“Deduci i clienti, se ti puoi far sentire meglio.”

Sherlock inarcò le sopracciglia, guardando le persone di fronte a lui.

“Oppure sei sempre in tempo per andare a prendere il latte se ti... Sherlock?” chiese, guardandosi attorno. Perchè doveva farlo ogni volta? Un perfetto idiota, ecco cos'era. Si guardò attorno, cercando di scorgere un lungo Belstaff nero e una sciarpa blu, ma dove diavolo...

“NO, no Sherlock! Torna qui immediatamente!” gridò, mentre correva verso il suo coinquilino, perchè diavolo gli aveva detto di osservare i clienti?!
“Suo marito la tradisce, da almeno tre, quattro anni, osservando la cover del cellulare e la sua fede nuziale. Non la tradisce con altre donne ovviamente, ma con degli uomini, uno probabilmente. Cosa del tutto comprensibile dato che il figlio che porta in grembo e quello di fianco a lei non sono di lui, ma di uno dei suoi tanti amanti. Due traditori compulsivi che si tradiscono a vicenda. Interessante.”

Fortunatamente per Sherlock, John riuscì a sentire chiaramente solo l'ultima parte del discorso e, ancora più fortunatamente, le prime parole che gli uscirono dalla bocca furono per la donna che il detective aveva importunato, “Mi dispiace, io e il mio amico ce ne andremo immediatamente... mi dispiace...”, ripetè sussurrando, mentre trascinava Sherlock, quasi di peso, fuori dall'area di prodotti per bambini. “Quando dico osservare, Sherlock, non dico importunare, quando dico osservare, non dico spiattellare a una persona i tradimenti di suo marito.”

“Lo tradiva anche lei.” corresse il detective con le sopracciglia alzate e le mani congiunte dietro la schiena.

“NON È QUESTO IL PUNTO! - esclamò John ad alta voce, attirandosi parecchie occhiatacce dagli altri clienti del supermarket – Non è questo il punto, - ripetè, la voce più bassa - Sherlock. Ti avevo chiesto una sera, mm? Una sola, sera. Ma è tanto, è troppo chiedere a Sherlock Holmes di comportarsi normalmente per due ore, vero?” chiese acido, dirigendosi verso la cassa.

“Co – Sherlock ammutolì, guardando imbambolato l'amico allontanarsi – No! No, John, per favore io non... - il medico si fermò, ancora voltato di schiena, in ascolto – è solo che io... non capisco perchè sono dovuto venire anche io, insomma tu vuoi che... noi... noi Holmes non siamo geneticamente programmati per gli acquisti nei supermercati. Siamo una coppia, dobbiamo condividere tutto, lo capisco... ma io non è solo... lo sai che io ti... ti voglio bene, ti... insomma...”

John sospirò, rimettendosi in marcia verso la cassa, non quella automatica stavolta, ne aveva abbastanza di litigare con un pezzo di ferraglia. “Allora, vieni oppure no?” chiese al detective, che era rimasto impalato, fermo ad osservarlo.

“Pensavo non avessi finito di fare la...”

“Lo faccio domani – gli urlò, senza voltarsi – ora torniamo a casa.”

Sherlock gli corse dietro, fermandosi poco prima di cadergli addosso. “Mi perdoni quindi?”

John sorrise, mettendo pacchetti sul nastro trasportatore, “Sempre.”

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Capitolo 8
*** Cosplaying ***


Hola!

Allora, prima di tutto, grazie mille MatildexLevixEren e Violet_Penny per aver messo questa cosuccia tra le seguite. Sempre a MatildexLevixEren un enorme grazie per averla messe anche tra le ricordate!! Grazissimo anche a winchester99 per averla inserita tra le preferite.
Non so più come dire grazie, ricorrerò presto all'ausilio del traduttore per dirvelo in cinese.
In più grazie alle cinque persone che hanno recensito lo scorso capitolo Violet_Penny, Emrys3103, mikimac, BJgir e OmegaHolmes. Non so davvero come dirvi grazie... mi avete regalato un enorme sorriso! 
 
Scusate il ritardo nel pubblicare ma ho passato la notte in bianco e stamattina ho preferito dormire! Quindi la storia di oggi è corta... mi dispiace!


Settimo prompt:
Cosplaying (una specie...)


 

“Andiamo, Sherlock! Stai benissimo!” disse John, trascinando il detective fuori dal 221b.

“È inutile, è noioso! È umiliante!” sbraitò Holmes, stringendosi nel suo Belstaff.

Faceva freddo, i vestiti erano leggeri ed era buio pesto.

Potevano stare a casa e suonare il violino, oppure stare sotto le coperte a coccolarsi, andare da Angelo. Andare a Scotland Yard e minacciare Lestrade affinché desse loro un caso. Qualunque cosa.

Ma, per l'amor del cielo.

Non Halloween.

Con bambini che saettavano da tutte le parti con i cestini pieni di dolci che sfavorivano l'igiene dentale.

Persone che andavano in giro vestite come se non ci fosse stato un domani.

Beh, per qualcuno di loro era così, per loro ovviamente no.

Travestirsi era stato puramente un desiderio di John.

 

Quella era la quinta casa avrebbero visitato. John in una perfetta imitazione di Joker, che terrorizzava davvero.

E lui era diventato un pirata. Nessun se nessun ma. Il dottore gli aveva semplicemente messo il costume davanti e gli aveva detto di indossarlo, che tra un quarto d'ora si usciva.

Assomigliava a Jack Sparrow, dei Pirati dei Caraibi, con un pizzetto assolutamente assurdo e i capelli ricci leggermente lisciati. Si era persino infilato delle perle in alcune ciocche.

John si incamminò verso la villetta, sacchetto di plastica in una mano, la mano di Sherlock nell'altra.

“Va bene, questa volta lo fai tu.” dichiarò, spingendolo verso gli scalini.

“Oh, no. Io sono l'accompagnatore, non tu. Tu dici le tue cose, prendi i dolci. Io ti sto di fianco.”

“Bene, per questa volta farai tutto tu.” replicò, trascinandoselo dietro.

“Ma John...”

“Niente ma. - disse, posizionando il corpo rigido e immobile del detective davanti al portone dalla casa. Bussò. -Beh, cosa aspetti?” chiese, mettendosi dietro di lui.

La porta si aprì e Sherlock lanciò un ultimo sguardo a John. Sospirò, mettendo davanti un sacchetto di plastica e alzando gli occhi al cielo, la voce seccata, “Dolcetto o scherzetto?”

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Capitolo 9
*** Wearing eachothers’ clothes ***


Buonpomerì!

Scusate!
Grazie a... winchester e Viki che hanno prontamente recensito lo scorso capitolo! E grazie di cuore a chi ha messo la ff tra le preferite e le seguite! <3

Mi sono accorta di aver sbagliato l'ordine dei prompt, ovvero, Shopping era l'ottavo e questo era il sesto... scusate! La prossima volta rileggo l'ordine prima di postare! 


Ottavo prompt:
Wearing eachothers’ clothes/ Mettersi i vestiti l'uno dell'altro.

 

“Va bene. Dammelo Sherlock.” John tese la mano, aspettando rigido che il detective alzasse lo sguardo dallo schermo dal computer.

“Cosa?” chiese Sherlock innocentemente.

“Oh, lo sai benissimo.” rispose seccato, piantandosi di fronte a Sherlock.

“No se non me lo dici.” disse, continuando a battere sulla tastiera, quasi ignorando l'ex militare.

“Non posso andare al lavoro in maglietta, fuori è freddo!”

“Metti un maglione, ne hai in abbondanza.”

“Ma sono troppo pesanti. Quelli più leggeri li ho ancora da Harry e...”

Sherlock sospirò, posando il computer da un lato del divano e alzandosi di scatto, dirigendosi verso la cucina.

“Sherlock, per favore! Ti stai comportando come un bambino, dammi il cardigan!”

“No. - rispose semplicemente l'altro, prendendo un sorso di caffè e facendo smorfia. - È freddo.”

“È di ieri mattina. Ora dammi il cardigan.”

“Ma a me sta meglio.”

John lo guardò, i capelli arruffati e la tuta del pigiama. Sembrava un liceale addormentato.

Stava decisamente meglio.

“Non importa.” sussurrò.

“Eravamo d'accordo che ti stesse stretto! - protestò Sherlock, stringendoselo intorno dopo aver posato la tazza– e poi a me sta bene. A te stanno meglio i maglioni. In conclusione, non ti serve.”

“Sherlock, sono ancora in mutande, devo lavarmi e uscire in venti minuti. Toglitelo ora.” disse gelido, la mano nuovamente tesa e lo sguardo severo fisso su Sherlock.

“Ma è mio.” ripeté debolmente.

“No, è mio. Ora, Sherlock.”

Il detective obbedì, sfilandosi il maglioncino di John, tenendolo però tra le mani.

“Me lo dai?” chiese il medico lentamente.

“Preditelo.” disse, mettendoselo dietro la schiena.

“Sherlock.”

“È incredibile quanto sarcasmo possa trasparire da una tua sola parola, sai?”

John sospirò, avvicinandosi di qualche passo, poi girò attorno a Sherlock, strappandogli il cardigan dalle mani, “Grazie.”, disse, schiarendosi la gola.

Si diresse verso il bagno lentamente, coprendosi le spalle infreddolite con il tessuto caldo del golf.

“Stava meglio a me." commentò Sherlock, avvicinandoglisi da dietro.

Nessuna risposta.

“E comunque – iniziò il detective, avvicinando la sua bocca all'orecchio del medico – quei boxer non sono di certo tuoi!”

“Oh, ti odio.” sussurrò John, aprendo la porta del bagno.

Sherlock sorrise ampiamente, seguendolo nella stanza, “Non è vero.”

 


 


Ispirata alla scena del gilet in Sherlock Holmes 2009, le due battute finali risalgono a una degli migliori OTP di sempre, RiverxDottore, in altre parole, sono di Moffat!
È tutto di Moffat!

Se recensite mi fate felice!! ^^

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Capitolo 10
*** Hanging out with friends ***


Buondì! Oggi ho pensato ad Alone on the Water... perché ci ho pensato?

Ha fatto male fisicamente.

Ispirato anche ad un prompt su livejournal che chiedeva una School Reunion.
E niente... spero che vi piaccia!

 

Nono prompt:

Hanging out with friends/ Uscire con gli amici (beh... una specie!)

 

“Perché non ci vai? Potrebbe essere divertente.” chiese John, rigirando l'invito tra le mani.

“Sarebbe solo una perdita di tempo.” rispose seccamente Sherlock, mentre osservava con interesse le mani della vittima.

“Non lo sarebbe! Ti vogliono vedere, ecco perché ti hanno mandato questo!” disse, sventolandogli il foglietto davanti agli occhi.

“Dobbiamo farlo ora?” sussurrò brusco Sherlock, lanciando una veloce occhiata a Lestrade, che li guardava a sopracciglia alzate.

“A casa non ne vuoi parlare.” si giustificò John, mettendosi l'invito in tasca.

“Beh, neanche ora.” Sherlock si girò, riportando la sua attenzione sul corpo steso sul pavimento.

 

 

“No.”

“Ma perché?! Li ha frequentati per cinque anni!” insistette John quella sera, comodamente seduto sulla sua poltrona in Baker Street.

“Cinque anni che sono stati i peggiori della mia vita, socialmente parlando. Perché dovrei voler rivedere i miei vecchi compagni di liceo? Erano degli idioti.” rispose il detective, continuando imperterrito a pizzicare le corde del violino.

“Beh, per te io sono un idiota.”

Sherlock piegò la testa in segno di assenso, “Ma un idiota speciale. Preferisco restare qui con te piuttosto che rivedere loro.”

John annuì, sporgendosi in avanti sulla poltrona, “Bene. Vengo anche io.”

 

Erano degli idioti.

Idioti nel vero senso della parola.

Con i loro pregiudizi, le loro ragazze e mogli che sembravano bambole di porcellana, perfette fisicamente quanto ignoranti mentalmente.

Certo, qualcuno era restato single, qualcuno c'era sempre.

Sherlock non era tra quelli, naturalmente, non con lui al suo fianco.

 

“Sì, e poi ieri c'è stato un incidente, un nostro camion che trasportava carne si è ribaltato. È stato un disastro!” fece Walter Gardner, addentando un pezzo di arrosto.

“Avete sistemato tutto?” chiese Jamie, seduta di fianco a John a tavola.

“Oh, si. E mi hanno promosso! L'autista non ce l'ha fatta e ho preso il suo posto, è stato abbastanza immediato in effetti.”

Sherlock, dall'altro lato, a fianco a John, strusciò la manica della camicia sul maglione del compagno, che gli lanciò uno sguardo interrogativo, “Andiamo?”, sussurrò.

“Oh, dai! Aspetta almeno il dolce!” disse John sorridendo.

“E tu Sherlock – iniziò Michaela, seduta di fronte a loro ora diventata commessa in un supermercato, non aveva neppure finito il liceo, a quanto aveva detto il detective – cos'hai fatto ultimamente? E chi è il tuo amico?” chiese, sorridendo spudoratamente verso John. Sherlock guardò il medico per un attimo, “Abbiamo trovato l'assassino di cinque ragazze. L'uomo accanto a me è John Watson, è un medico e non è un mio amico. E, Michaela, lui non è disponibile. È già stato occupato.”

John alzò le sopracciglia, guardando Sherlock interrogativo.

“È ovvio che tu non sia mio amico, la definizione corretta del nostro rapporto è amante, John.” spiegò in breve.

“Si, ma... occupato?”

Sherlock sorrise leggermente, “Era per mettere in chiaro le cose.”

“Quindi, risolvi omicidi ora?” chiese Walter, sporgendosi verso Sherlock.

“Non solo. Ma principalmente.”

“Hai trovato qualcuno che davvero ti ascolta? Oppure te lo stai inventando?”

Sherlock aprì la bocca per rispondere, ma John gli mise una mano sul braccio, prendendo parola, “Certo che qualcuno lo ascolta.”

Walter lo ignorò, “Ci osservavi e ci dicevi com'era la nostra vita in un lampo. Lo fai ancora?”

“Senti...”

“Non ho bisogno che qualcuno mi difenda John - gli sussurrò Sherlock – Certo che lo faccio, Walter, come so che hai da poco lasciato tua moglie... no, è stata lei a lasciarti. Che hai tentato di entrare nel mondo della medicina ma che hai miseramente fallito, ti impressiona la vista del sangue. Patetico, direi. So che non ti sei neanche laureato e che hai pers-”

“Sherlock!” sbottò John, mentre il silenzio più assoluto calava nella loro parte della sala. Walter che guardava i due furioso.

“Tempismo?” chiese il detective.

“Questa volta no.”

Gardner si alzò lentamente dal tavolo, torreggiando su Sherlock. Era più alto di lui. Non che il consulente investigativo fosse così alto. “Sei sempre il solito, vero Holmes? Arrogante e sbruffone. Non sei cambiato di una virgola, prima nel cortile del liceo e ora nella polizia insieme a un tuo amico. Come l'hai trovato, in un bar per...”

John si alzò, lentamente, senza fretta, pulendosi le labbra con un tovagliolo, “Sherlock non lavora nella polizia, lavora con Scotland Yard assieme ad uno dei suoi migliori detective. Sherlock non va trattato così. Sherlock insegue criminali e ha una vita eccitante, mentre l'unica che tu puoi fare è guidare camion. E soprattutto, non sono un suo amico. Sono il suo ragazzo. Sherlock, noi ce ne andiamo.” disse, prendendolo per un braccio e alzandolo in piedi, quasi di peso.

 

“Non eri tu quello che voleva restare?” chiese il detective poco dopo, mentre si accomodava sul sedile di un taxi.

“Nessuno può trattarti così – rispose il medico, appoggiando la testa sulla spalla dell'altro - solo io posso dirti che se eccentrico, arrogante e...”

“Non te ne approfittare. - disse stiracchiandosi - A proposito, quella su Lestrade che è uno dei migliori detective di Scotland Yard era una battuta, vero?”

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Capitolo 11
*** With animal ears ***


Bonjour!!
Qualcuno ha un ventilatore/condizionatore/ventaglio automatico? Mi sto sciogliendoooo.
Il lato positivo è che si mangiano più gelati.
So...
Grazie a bilbo_jawn_coccoloso (che ha il nick più bello dell'universo) per aver messo questa storia tra le preferite. Anche un grandissimo grazie a flopi, che l'ha messa tra le preferite a mikimac, Orleans e Emrys3103 per aver recensito! Vi amo! ^^
KEA LEBOHA !! (per fortuna che esiste google traduttore... è "grazie" in sesotho, credo che si parli... in africa?)

Decimo prompt:
With animal ears (più o meno... quando arrivano i kigurumi mi faccio perdonare!)

 

Sherlock era stato accerchiato.

All'inizio non era stata una cosa seria: era solo un bambino che parlava con lui, e che lo ascoltava, per quanto strana quella situazione potesse sembrare. Poi ne era arrivato un altro, e un altro. In breve tempo, Sherlock Holmes era stato accerchiato da feroci bimbi di dieci anni travestiti di tutto punto.

“... è quando io e John siamo arrivati sulla scena del crimine abbiamo trovato i resti del cadavere. La testa era quasi spaccata in due, gli occhi sbarrati e la bocca aperta, la mascella a formare uno strano angolo. I capelli erano incrostati di sangue che...”

“Sherlock, non è abbastanza? - sussurrò Greg dal fondo della stanza – li stai spaventando.”

Holmes alzò le sopracciglia, seduto sulla piccola sedia gialla della cucina, “Se tu non sai organizzare una festa decente per il compleanno di tuo figlio, Lestrade, non vedo cosa io ci possa fare. Sto disturbando bambini? - chiese rivolto al suo personale auditorium, che rispose con un coro di 'no' – visto? Mi amano.” dichiarò con un sorriso.

“Sherlock...”

“Zitto John, mi sto mettendo in mostra.”

“Appunto!” protestò il medico seduto a fianco a lui, una tazza di te caldo in mano e un'aria seccata sul viso.

“Beh? È il mio lavoro. - ribattè, girandosi di nuovo verso gli amici del figlio di Greg, beh figlio adottivo, Mycroft di certo non poteva restare incinto. - Dunque, il corpo era piegato su se stesso, la schiena era stata trapassata da parte a parte dalla motosega...”

John chiuse gli occhi e si levò il cerchietto. Un cerchietto sul quale spiccavano due grandi, grosse orecchie da volpe. “È il primo compleanno che Rob passa con noi, per favore John! Se non volete mettervi in costume, almeno mettetevi delle orecchie!” aveva detto loro Lestrade. Aveva rinunciato a due ripiani del frigo per far indossare a Sherlock quelle dannate orecchie da gatto.

Che, tra parentesi, gli calzavano a pennello.

E quel dannato detective stava lì, circondato da tutti quei bambini che lo osservavano, lo toccavano, lo mangiavano con lo sguardo. Erano avidi. Di descrizioni horror, certo, ma era pur sempre un senso di possessività verso il suo compagno.

E Sherlock era comunque lì, attornato da loro, con delle orecchie feline tra i capelli e baffi disegnati con una matita per occhi.

 

“Si mangia la torta!” urlò Mycroft dalla sala da pranzo della villetta.

Si levò un chiasso improvviso, mentre i bambini correvano verso la porta, lasciando John e Sherlock da soli.

“Se Mycroft non la smette di cucinare e mangiare scoppierà. La vita da sedentario gli fa male.” commentò Sherlock girandosi verso il medico, ignorato fino a quel momento.

“Mmm.”

“Ho fatto qualcosa?” chiese, afferrando la tazza di John e prendendo un sorso di tea ormai freddo.

“No, niente.”

Sherlock inarcò le sopracciglia, il che, invece di dargli un'espressione più seria, gliene diede una ancora più ridicola, “Cosa?”

“No, davvero!”

“John...”

“È solo, tu, quei bambini...” iniziò. Lasciando la frase in sospeso.

“Sei geloso?”

“No! No, no! No, io non...”

Sherlock sorrise dolcemente, un sorriso raro, anche da quando stavano insieme. “Tu sei geloso di me.”

“Ora non gongolare.” rispose il medico arrossendo.

“John, sono bambini, preferivi che distruggessero la cucina di Lestrade?” domando delicatamente il detective, mentre si alzava in piedi.

“No, ma... non mi hai... mi hai ignorato. Per tutto il pomeriggio. È stato umiliante, essere lasciati così dal proprio partner...” spiegò lui, ancora seduto, lo sguardo fisso su Sherlock.

“Scusa. Mi dispiace, non volevo... Scusa?” iniziò a farfugliare.

“Mmm... - disse John mettendosi in piedi – dipende.”

“Da cosa?” chiese, seguendolo verso l'uscita della cucina.

“Oh, da tante cose. Ora, Sherlock Holmes, vuoi farmi l'onore di venire a mangiare la torta?”
 



Ispirata al fatto che Sherlock faccia vedere i vermi nell'occhio di uno ad un bambino e che lui esulti.
Se volete, recensite pure!!

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Capitolo 12
*** Wearing kigurumis ***


In una galassia lontanta lontana...
Riporto da wikipedia, dicesi kigurumi il cosiddetto gioco delle bambole viventi; si tratta di costumi composti da una calzamaglia completa e da una maschera di gomma o resina con le fattezze di un personaggio dei manga.
Questo è un esempio di kigurumi.
So, grazie a 
Violet_Penny per aver recensito lo scorso capitolo, grazie a sonia1977, AmmaliaApi e La Prima Ultima che hanno messo questa storia tra i preferiti, grazie di nuovo a AmmaliaApi per averla messa tra le seguite e anche a Soru Evans per aver fatto lo stesso.
Zikomo! (ovvero... grazie in chichewa)



Undicesimo prompt:
Wearing Kigurumis


 

“Oh, dai Sherlock, non fare così, stai benissimo!” disse John, trascinando l'amico per la manica del Kigurumi.

“Questo non è bene. Bene, John, sono io in camicia. Bene non è un vestaglia gigante con una testa.” protestò, seguendo di malavoglia l'uomo per i corridoi di Scotland Yard.

Perchè farlo, poi? Una raccolta di beneficenza indetta dal capo di Lestrade, che naturalmente aveva pensato a quanto sarebbe stato divertente vedere Sherlock indossare uno di quei... cosi.

Non era stato obbligato a parteciparvi, non da Lestrade comunque. Il lato positivo era che John, nel suo Kigurumi da orso, era perfetto. Sembrava ancora più morbido del solito. - Quello che non capisco è perchè non possiamo semplicemente tornare al 221b, a casa li potremmo tenerli tutto il tempo del mondo. Così è imbarazzante.”

“Pensavo che non ti importasse di quello che pensa la gente.”

“Sto cercando di pensare alla tua reputazione. Penso che in molti vorranno saltarti addosso.”

“Io voglio solo te.” rispose, accelerando, era incredibile quanto fosse grande quella centrale di polizia.

“Scontato. - disse Sherlock, continuando a camminare a passo lento, molto lento. John alzò un sopracciglio – ma dolce.” concluse il detective con un piccolo sorriso.

“Bene. Sei pronto?” chiese, arrivando all'enorme porta in vetro dalla quale si potevano vedere chiaramente altre persone, tutte con quegli strani vestitoni. John squadrò il coinquilino da capo a piedi, il kigurumi da panda era stato un colpo di genio: il corpo slanciato di Sherlock e i suoi arruffati capelli corvini erano perfetti per un costume di quel tipo.

E la sua coda. Un batuffolo magnifico.

“No.” rispose il consulente investigativo, in un ultimo, disperato, tentativo di sfuggire a quella tortura.

John sorrise, “Se fai il bravo quando torniamo a casa sto tutta la sera con te.” gli sussurrò, mentre, prendendogli la mano, lo guidava verso Lestrade, che, nel suo completo da unicorno, si sbracciava per farsi notare.

“E tutta la notte?” chiese Sherlock a bassa voce.

“Quella e mille altre – rispose John con un sorriso – ma solo se ti metti anche il cappuccio.”





Il kigurumi di Sherlock
Il kigurumi di John
Il kigurumi di Lestrade
*fa l'enorme sorriso sadico di Sherlock*

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Capitolo 13
*** Making out ***


Addio.
Qualcuna di voi sa il capitolo che vi aspetta oggi, quindi, tanto vale avvertirvi prima! *fa la voce di Carlo Conti*, la parola di oggi è... Making out, ovvero... pomiciare!
Non è quello che vi aspettate, perchè io le tematiche sessuali non le so proprio trattare, e pomiciare... cioè... so a malapena cosa sia.
Faccio questo capitolo, spooning, something hot e poi mi ritiro da questo genere di cose.
Più che altro è un “come Sherlock e John evitarono di pomiciare in un pomeriggio di mezz'estate.”
Che poi, all'inizio pensavo che making out (pomiciare) fosse sinonimo di going out (uscire).
Quindi ero tranquillissima...
Alle medie non ce le insegnano 'ste cose! Davvero.

Prima di farmi linciare, ringrazio Vikyfaro che ha recensito tuuutti i capitoli con infinita pazienza, compreso lo scorso e AkaNagashima che ha  commentato la storia di ieri... grazie ad entrambe!!

Dodicesimo prompt:
Making out/pomiciare


 

“Dio, che caldo.” sbuffò John sdraiato sul letto, la pancia all'aria, le mani e le braccia aperte nel tentativo di prendere aria. Perchè il condizionatore si era rotto a metà luglio? Perchè?

38 gradi.

Non aiutava di certo il fatto che Sherlock gli volesse stare appiccicato, nello stesso letto, a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altro.

Toccarsi faceva troppo caldo.

“Se sudiamo ancora di più ci sentiremo meglio.” sussurrò Sherlock nella camera in penombra, le tapparelle abbassate fino a far entrare solo uno spiraglio della luce del sole estivo.

“Stai zitto.” ribattè John, muovendo il braccio per arrivare ai capelli, imperlati, no, bagnati, di sudore.

“Hai voglia di...?”

“Oh, no. Sherlock, non ricominciare, fa troppo caldo, ci disidrateremmo nel tentativo.”

“Ma mi annoio!” protestò.

“Esci!”

Sherlock si mise seduto su un lato, completamente nudo, “John, se varcassi quella soglia potrei non fare mai più ritorno. Morirei. Fa troppo caldo per uscire, per vestirsi, per..."

"Apunto, non ricaveresti niente dallo..."

"Avere un'esperienza sessuale con te?" suggerì il detective innocentemente.

"Lo avrei detto in altri termini."

"Sei troppo volgare.", commentò Sherlock, passandosi un fazzoletto sotto il collo.

“Mi annoio anche io, se ti può interessare.” aggiunse John, prendendo un altro generoso sorso d'acqua dalla bottiglia sul pavimento.

Sherlock si sedette, chinandosi su John e dandogli un bacio sulla guancia, vicino alla bocca. Gli passò la mano sul petto liscio fino a raggiungergli la spalla, “Ti fa male?”, chiese dolcemente, tracciando i contorni della cicatrice a stella.

"Il caldo non fa altro che peggiorarla."

Sherlock lo baciò di nuovo, questa volta in modo più insistente, toccandogli le labbra, mentre le braccia circondavano il corpo accaldato di John e scorrevano fino alla schiena per stringerla ancora più forte, mentre la scia di baci scendeva lentamente verso il basso, fino al petto, poi fino allo stomaco, fino a fermarsi dove gli occhi del detective incontrarono la stoffa dei pantaloncini estivi del coinquilino.

“Sherlock, togliti di li.”

Il detective alzò lo sguardo sorpreso, “Cos'ho fatto di male?”

“Niente, è solo... togliti.” ripetè, mentre cercava di scrollarsi di dosso il ragazzo. “Fa troppo caldo.”, spiegò, dopo che Sherlock si fu rimesso nella sua posizione, prono, molto... nudo.

Almeno John aveva avuto la decenza di indossare dei boxer.

“Mi stava venendo bene?”

“Sei perfetto.” assicurò il medico, lo sguardo fisso verso il soffitto – Ma hai i capelli grondanti solo stando fermo, chissà cosa succederebbe se ti mettessi a...”

“Si squaglierebbero probabilmente.”

John annuì leggermente, prendendo un libro da sotto il comodino, “Ti va se leggo qualcosa?”

Sherlock sbuffò, “Noia è e noia rimane, John. E ti prego, non provare a leggermi Aghata Cristie, il suo modo di scrivere è così scontato che anche...”

“È una delle migliori scrittici mai esistite.” protestò.

“Come vuoi tu – concesse Sherlock sistemandosi sul materasso – ora vuoi iniziare a leggere?”

John sospirò, aprendo alla prima pagina, “"In un buco nel terreno viveva uno Hobbit. Non era una cavità brutta, sporca, umida, piena di resti di vermi e di trasudo fetido...”

“Un horror mi sembra eccessivo.”

“Sherlock, è un fantasy.”

Lui scrollò le spalle, “Mi annoio. È tutto noioso. L'acqua sta diventando noiosa. Voglio qualcos'altro.”

John sospirò, “Fatti del tea?”

“Caldo, John? Sei masochista, per caso?”

“C'è del succo di mela in frigo se vuoi.”

Sherlock annuì, “Perfetto.”

John si girò su un fianco, iniziando a far scorrere le dita, sulla schiena di Sherlock, “Vai a prenderlo?”

Sherlock si voltò di scatto, fissando gli occhi grigi di John, “Vacci tu.”

“Lo sguardo da cucciolo non funziona su un me accaldato Sherlock.”

Lui sospirò, “Voglio l'inverno, John. Voglio un caso che non siano persone morte per colpi di caldo e voglio che faccia freddo. Voglio tornare al mio cappotto, alla sciarpa blu che mi hai regalato e a quello che accadeva sotto il piumone a notte fonda. Questo – dichiarò, guardando la stanza – sta diventando insostenibile.”

John annuì tranquillamente, “D'accordo.”

“Voglio quel succo, John.”

Il medico sorrise, facendo risalire le dita verso il viso del detective, sforandogli gli zigomi appuntiti, “Vattelo a prendere, Sherlock.”


 

Post scriptum: Il gufo morde. No, fandom sbagliato. Il doodle di oggi è bellissimo!^^

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Capitolo 14
*** Eating icecream ***


Buondì!
Thanks to mikimac che ha recensito lo scorso capitolo e a Janes_Holmes che ha messo questa piccola ff tra le seguite,
Ho visto le foto dello speciale di Natale, ma come facciamo ad aspettare altri 169 giorni?!

Comunque...
Tredicesimo prompt:
eating icecream


 

Sherlock aveva sempre saputo che John era un militare. Era evidente, lampante.

Sapeva che aveva ucciso delle persone e che ne aveva salvare molte altre. Che gli avevano sparato e che aveva passato esperienze traumatiche, uno delle quali gli aveva lasciato come ricordo una zoppia psicosomatica.

Sapeva che essere militare implicava addestramento, addestramento implicava, beh... muscoli.

Si stavano asciugando, quei magnifici muscoli, ancora piccole goccioline d'acqua, mista a salsedine e sabbia, si riuscivano a intravedere.

“Sherlock, che stai facendo?”

Il detective sbatté le palpebre, alzando gli occhi verso il coinquilino, “Niente. Pensavo.”

John annuì, osservando le persone che, verso l'orizzonte, schizzavano e giocavano con l'acqua del Canale della Manica, “Vuoi un asciugamano per i capelli?”

Perché anche lui si era bagnato.

Beh, non volontariamente, si intende.

 

 

No.” aveva dichiarato Sherlock, le braccia incrociate e i piedi che non riuscivano a stare fermi, in cerca di qualcosa che non fosse sabbia bagnata. Che non fosse acqua.

Ma è divertente.” aveva provato ancora una volta John, qualche metro più avanti, immerso fino alle cosce nell'acqua limpida del mare.

È deleterio. Sai cosa fa la gente in quell'acqua? Di tutto, ecco cosa. E ci sono dei pesci, pesci che rilasciano i loro escrementi nel liquido che potresti per caso ingoiare mentre sei immerso. Meduse che ti potrebbero pungere, chi ti dice che non sono allergico al morso delle meduse? Potrei morire. Ci sono alghe che ti si potrebbero attorcigliare alla caviglia, dandoti fastidio. Fa male, John immergersi in quell'acqua causa danni che tu non ti potresti neanche immaginare.”

Il medico per tutta risposta si era tuffato, annaffiando il povero coinquilino da capo a piedi.

 

 

“AHI, AHI, AHI, AHIII!” urlò Sherlock, seduto sula sabbia, le gambe leggermente divaricate, la schiena arcuata.

“Calmati, ci vorrà poco.” disse una voce paziente dietro di lui, mentre John si strofinava la pomata tra le mani.

“AHIIII!” l'urlo di agonia di Sherlock trapassò i timpani dell'ex militare, che gli diede una manata sulla schiena, “Ahi.”

“Sherlock, non ti ho neanche toccato, aspetta almeno che inizi. Dio, sei troppo melodrammatico.”

“D'accordo.” sussurrò il detective, abbracciandosi le lunghe gambe con le braccia pallide, “Da fastidio, John.”

“Shh, ho quasi finito.” lo calmò lui, impegnato a spalmargli lentamente la crema solare sulla schiena. “Va bene, voltati che ti faccio anche il petto.” disse, sfregandosi le mani.

Sherlock girò la testa di scatto, “Oh, no. Neanche a parlarne. La tua è stata una tortura. Faccio da solo.”

 

 

“Vado al bar – annunciò John poco dopo, alzandosi di scatto e dirigendosi verso la piccola costruzione che si ereggeva a poco più di venti metri – tu vuoi qualcosa?”

Sherlock scosse la testa, impegnato a leggere un grosso volume “I misteri dei veleni. Dall'antichità a oggi”

Il detective sospirò, la fine sabbia bollente che gli si infilava tra le dita dei piedi, seduto su una di quelle tipiche sedie da mare, l'ombrellone a proteggerlo dai raggi solari. Si respirava un condensato di mare, sabbia, caldo e sudore.

Era terribile.

E decisamente troppi bambini, impiegati a schiamazzare e a tirarsi palline da ping pong.

Donne decisamente troppo nude, uomini che avrebbero decisamente fatto meglio a stare a casa.

E quel bagnino che ci stava provando da mezzora con un gruppo di ragazze...

“Hai fatto presto.”, disse senza alzare lo sguardo. John gli si sedette accanto, un gelato in una mano e il resto che gli aveva dato la barista nell'altra, insieme a quello che sembrava il numero di telefono della ragazza.

“Hai intenzione di contattarla?”

“Chi?”, chiese il medico, iniziando a scartare il cono al cioccolato.

“La barista.”

“Oh, non lo so, in effetti sembrava carina.” commentò lui, dando un primo morso al gelato.

Sherlock sentì una leggera stretta al petto che si costrinse ad ignorare. Si schiarì la gola e tese una mano verso il coinquilino.

“Cosa?”

“Assaggio.”

John si scrollò le spalle, allungandogli il cono.

Il detective lo guardò con circospezione, sembrava innocuo, dannoso per i denti e calorico. Come tutti cibi. Aprì la bocca, mettendo per un breve istante la lingua a contatto con la panna.

Sbattè le palpebre e diede un morso.

Poi ne diede un altro.

E un altro.

“John, ti consiglio vivamente di non accettare le avance di quella ragazza, è sposata e ha due figli, di cui uno ancora in grembo. Oh, e mentre vai a restituirle il numero, prendimi un altro gelato.”



 
NdA: Purtroppo l'idea della crema solare non è mia, ho trovato un immagine con Sherlock e John in spiaggia con il detective che fa storie per la crema solare. La linkerei, ma non la trovo più...

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Capitolo 15
*** Genderswapped ***


UAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH

Perché urlo? Bene, per chi ancora non lo sa... è uscito qualcosina sullo speciale direttamente dalla comicon!!! Tutti a vederlo, poi però tornate qui, d'accordo?

QUI

 

Bene, se avete finito di urlare come fangirl impazzite e esservi messe le mani tra i capelli, aver strillato, essere corse fuori per poi ricordavi che fa un caldo bestiale e che solo dentro avete il vostro ventilatore...

 

Quattordicesimo prompt:

Genderswapped (cambio di genere di uno o più personaggi)

 

“Shirley?”

Chiese la voce ancora leggermente intontita di John Watson.

“Shirley?”

La moglie si mosse, voltandosi per dargli la schiena.

“Shirley?” ripetè, scuotendola leggermente.

“Mmm...” mugugnò la detective, gli occhi ancora serrati per non far passare la luce del sole di prima mattina.

“Shirley ti vuoi svegliare?” insistette il medico dolcemente, mettendole una mano sugli occhi.

“Mmm... John, altri cinque minuti.”

L'ex militare sorrise, “Dobbiamo andare da Greg oggi, ricordi? Il caso, il suo fidanzamento e tutto il resto?”

Sherlock “Shirley” Holmes si girò verso di lei sbadigliando leggermente, “Ho sonno.”

“Lo so – rispose, piantandole un bacio sulla guancia – ma dobbiamo andare, e dopo ho il turno alla clinica.”

“Non ci andare.” sussurrò, buttando la faccia sul cuscino, gli occhi che non accennavano ad aprirsi.

“Devo.” rispose lui con un sorriso, alzandosi dal letto e raccogliendo calzini e pantaloni dal pavimento.

“Datti malato.”

“Ne abbiamo già parlato, non posso.”

“Ma John!! Non posso andare da Lestrade da sola, quell'idiota non troverebbe l'arma del delitto neanche se l'avesse davanti agli occhi, figuriamoci se capirebbe cos'è successo a Roylott! Dovresti venire e fare da traduttore per la sua piccola buffa testolina.”

John sorrise, allungandosi per darle un altro bacio prima di correre nel bagno adiacente, “Lo sai che non è vero. È un ottimo detective.”

Shirley sbuffò, sedendosi sul materasso e passandosi una mano tra i lunghi capelli corvini, “No, lui è un detective. Io sono un'ottima detective. E per favore, John, dammi i miei calzini.”

 

 

PS: Roylott esiste davvero, cioè... fa parte del racconto “La Banda Maculata”, uno dei miei preferiti... perchè anche Conan Doyle shippava Johnlcok... ma vi rendete conto che è davvero uscito il... boh... definirlo trailer ancora no... però... AWWW!



Grazie a Vikifaro che ha recensito lo scorso capitolo!!

E io... boh! Spero che queste storie vi stiano ancora piacendo!

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Capitolo 16
*** In a different clothing style ***


Stamattina ho iniziato il primo libro di Percy Jackson.

Stamattina ho finito il primo libro di Percy Jackson.

Mi sento cattiva.

Un grazie abnorme a Virgi22 e a Violet_Penny che hanno recensito, Carolina_love_books per aver messo questa ff tra le seguite e a Belle98 per averla messa tra le preferite.

Bene, signori e signore... siamo a metà!

Quindicesimo prompt:
In a different clothing style

 

“No! No, no, no! NO! - esclamò John, scuotendo energicamente il capo – No, Sherlock, neanche morto!”

Il detective si appoggiò alla porta della stanza del coinquilino, “Ma è per un caso.”

“Non me li metterei neanche se fosse per la regina.”, urlò il medico, rinchiuso nella sua stanza da più di venti minuti.

“Ma non ci posso andare da solo.” insistette Sherlock, cercando di forzare la porta.

“Chiama Greg, Mycroft, Anderson... ma io non ci vengo conciato così.”

“Non essere stupido, non ci andrei mai con mio fratello e nemmeno con Lestrade. E Anderson rovinerebbe tutto. - si lamentò il consulente investigativo - Ti sei già cambiato?”

“Si.”

“Posso entrare?”

“NO!” urlò John esasperato

“Per favore?”

Un sonoro sospiro.

Poi la porta si aprì e il detective si fiondò all'interno della stanza.

In sua difesa, i vestiti che indossava John gli calzavano a pennello. Erano proprio... fatti su misura, ecco. Quei pantaloni blu aderenti poi erano stati un colpo di genio. E la maglietta azzurra metteva in risalto i muscoli.

“Vai benissimo.”, assicurò, la voce più alta di un'ottava.

“Sembro gay.” protestò, continuando imperterrito a guardarsi allo specchio, quella specie di pantacalza stava diventando insopportabile. Prudeva, impediva di respirare alla pelle. Come facessero le donne ad indossarle era un vero e proprio mistero.

“Tu sei gay.” evidenziò Sherlock con un sorrisetto.

“Non uscirò così, è un insulto a tutto ciò in cui credo.” rispose, sedendosi sul letto.

“E sarebbe?”

“La mia dignità, Sherlock! Almeno io ne ho una!” esclamò John guardando il partner da capo a piedi. Jeans fin troppo aderenti, camicia viola fin troppo sbottonata.

Era...

Sexy.

Sherlock Holmes era sexy.

Beh, quasi.

“Anche io. È per questo che ci vestiamo così, il sospettato va in un bar gay, noi andiamo vestiti da gay.” informò.

John sbuffò, buttando la testa all'indietro fino a colpire il materasso, “È stupido.”

“Il tuo maglione non riuscirebbe ad integrarsi nell'ambiente. Non c'è altra scelta. Sei il mio accompagnatore.”

 

 

Purtroppo, che Sherlock in quei vestiti fosse doppiamente affascinante non lo aveva pensato solo John, anzi.

Quel dannato detective stava ottenendo più attenzioni di lui, di Watson “Tre continenti”.

Il lato positivo era che l'assassino non si era presentato. Positivo per John, negativo per Sherlock, che stava tentando di affogare i suoi dispiaceri nell'acqua.

Niente alcolici, non quando sto lavorando John.”

E così, mentre John era al quarto bicchiere di birra, Sherlock era al sesto d'acqua.

Peccato che con l'acqua non ci si potesse ubriacare.

 

“Io non sono gay!!” urlò John sopra il fracasso della musica del locale.

“Sei ubriaco.”

“Brillo. - rispose sorridendo mentre gli metteva una mano sulla spalla - E comunque non sono gay.” ripetè annuendo vivacemente.

“Ubriaco, e sì, lo sei.” rispose Sherlock, mentre si toglieva il braccio del medico dalla schiena.

“Cosa?!” gridò John, la musica che gli pulsava nelle orecchie, gli occhi ridotti a due fessure.

“Gay!”

John sbattè le palpebre e guardò il coinquilino, “Naaa, sono... shelockizzato!!” borbottò facendo un sorriso da ebete a Holmes.

Meno di venti secondi più tardi, la testa dell'ex militare colpì senza tanti complimenti il tavolo.

Sherlock sospirò, prendendo un sorso d'acqua, “Era decisamente ubriaco.”

 

Emh, si ecco... volevo mettere Shelocked, diciamo che sherlockizzato è la traduzione di "Sherlocked".

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Capitolo 17
*** During their morning rituales ***


Buonasera e benvenuti a questa caldissima notte di mezz'estate! Grazie tantissimissimo a Violet_Penny che ha recensito lo scorso capitolo e grazie anche a Amerise che ha messo la storia tra le ricordate!! ^^


Sedicesimo prompt:
During their morning ritual(s)

 

“Sherlock, ti vuoi alzare? Le uova si raffreddano!” chiamò John dalla cucina, due tazze stracolme di te in mano.

“Mmm... no.” rispose Sherlock dal divano sul quale era stravaccato.

“Io non te le riscaldo. Ti diventeranno fredde e poi si geleranno e alla fine l'unica che avrai sarà un tea ghiacciato messo in freezer dal sottoscritto e delle uova andate a male.” minacciò il medico, sedendosi al tavolo e spingendo le beute piene acido corrosivo sul bordo.

In tutta risposta, Sherlock si alzò, trascinando i piedi fino alla cucina, avvolto nella sua vestaglia blu, “Idiota.”, sbuffò, lasciandosi cadere sulla sedia di fronte al coinquilino e prendendo in mano un becher dall'aria mal ridotta. Prese il cucchiaio dalla tazza di te e mescolò lentamente il contenuto del recipiente.

“Sherlock!!” sgridò Watson mettendosi in bocca una generosa porzione di uova strapazzate.

“La mia bacchetta di vetro è rimasta in camera - spiegò, prendendo un sorso di tea e facendo una smorfia – Non c'è zucchero.”

“L'ho messo, sei tu a non averlo mescolato. E potresti usare la pipetta.”

“La pipetta?! - Sherlock guardò l'uomo come se fosse impazzito – non metterei mai la mia pipetta nell'urina del gatto della Signora Turner. E non fare quella faccia – protestò quando John aprì la bocca per ribattere – il cucchiaio lo puoi disinfettare.”

Il militare abbassò lo sguardo e prese in mano il giornale, “Mangia prima che ti si freddino le uova.”

Passarono tre minuti, 15 secondi e 40 millesimi di secondo prima che Sherlock aprisse di nuovo la bocca, o meglio, reputasse che la pausa di John dal badare a lui fosse finita.

Prese la pipetta e la riempì di tea bollente, poi iniziò a farlo sgocciolare tranquillamente sul giornale del medico.

Per i primi minuti, John fece finta di niente, poi, quando le lettere iniziarono ad essere cancellate dall'acqua. abbassò il giornale e fissò Sherlock, “Cosa?”

“Mi annoio.”

 


 

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Capitolo 18
*** Spooning ***


Ma... sbaglio o oggi fa ancora più caldo di ieri e dell'altro ieri? E io che volevo andare fino al supermercato a rifornirmi di gelati, cioè... di alimentari vari.

Bene, buongiorno a tutti! Grazie mille a mikimac e Violet_Penny che hanno recensito lo scorso capitolo! Grassie!!! :D

 

Diciassettesimo prompt:

Spooning (e io aggiungo: Spooning in a very platonic way... è un amoreggiamento (?) mentale!!)


 

John Hamish Watson, medico, militare, era un genio.

Perché quella cosa solo un genio l'avrebbe potuta fare.

Era iniziata come un gioco, almeno per Sherlock.

Per lui era terribilmente seria.

 

Mettere come password SherlockHolmessmettidiusareilmiocomputer0123456789 però, non era stato particolarmente intelligente, anzi, Sherlock era entrato nel suo computer dopo meno di cinque secondi.

Anche Sherlockseiunidiota non aveva aiutato.

E Sherlockvaiaprendereiltuocomputer era stata del tutto ignorato.

 

Poi gli era venuta in mente, mentre osservava il coinquilino suonare ad occhi chiusi il violino, immerso nei suoi pensieri.

Quella password non l'avrebbe mai scoperta.

Prese il portatile e la digitò velocemente, in modo che il detective non vedesse.

 

Ed era stato perfetto.

 

Quando Sherlock, circa mezz'ora dopo, sequestrò il computer di John – il suo era in camera – sbatté le palpebre e guardò il medico stupito.

“Cos'hai fatto?” chiese seccato, il portatile tra le mani.

“Ho cambiato password.”

“No, hai messo un blocco, hai messo qualcosa. Hai manomesso il computer!”

John scosse la testa con un piccolo sorriso, “No, proprio non ci arrivi?”

 

E andò avanti per giorni, ogni volta Sherlock ci provava, ogni volta falliva miseramente.

Tre parole, 13 caratteri totali, erano riuscite a fermare l'unico e il solo consulente investigativo al mondo.

“Eppure te l'ho detta, almeno un centinaio di volte, ogni santo giorno, più volte al giorno. E me lo dici anche tu, beh, non molto spesso, ma me lo dici.” commentò John una sera, una tazza di tea in mano, James Bond in un'altra, guardando Sherlock osservare in cagnesco il computer.

“Impossibile.”

“Oh, possibile. Ti ricordi Irene Adler?”

Il detective gli lanciò un'occhiataccia, poi continuò a guardarsi attorno, alla ricerca di un indizio, quell'indizio, quello che gli avrebbe svelato la misteriosa parola chiave, e il suo sguardo si posò nuovamente su John.

Ancora stanco per la notte precedente, non era uscito per tutto il giorno, sua sorella aveva chiamato, aveva lavato i piatti, a giudicare dall'odore di detersivo al limone che emanava, lavato i pavimenti, ovvio, aveva ancora la suola delle scarpe umida. Aveva mangiato il curry, si era lavato i denti e aveva spazzolato i resti della torta.

Niente.

“Mi arrendo.” annunciò, chiudendo di scatto il computer e porgendoglielo.

John alzò le sopracciglia, “Come scusa?”

“Lo hai sentito, non lo ripeterò un'altra volta, dimmi qual è questa dannata password, John, devo controllare la posta.”

Il medico sospirò, alzandosi e avvicinandosi a Sherlock.

Alzò lo schermo del portatile, spuntò quella casella che diceva “visualizza password”, sorrise, e digitò:

Sherlocktiamo

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Capitolo 19
*** Doing something together ***


Buondì! Prima di tutto, buona Presa della Bastiglia/Rivoluzione Francese, se qualcuno la celebra!

 

Grazie tanto a mikimac che ha recensito lo scorso capitolo! E anche grazie a chi legge tutti questi deliri, non lo dico abbastanza spesso! Spero che vi piacciano!

 

 

Diciottesimo prompt:

Doing something together

 

 

 

“Va bene – John si schiarì la gola – iniziamo?”

“No.”

Il medico gli lanciò un'occhiataccia, “Oh, si invece.”

“È che non ne vedo l'utilità, John. Proprio nessuna.” insistette Sherlock, le braccia incrociate e strette attorno alla sua polo nera.

“Vediamo, è estate e nei taxi fa un caldo incredibile, tu non vuoi andare a piedi e odi i mezzi pubblici. Per l'amor del cielo, Sherlock, vuoi salire su quella bicicletta?”

Il detective rimase immobile, poi, sotto lo sguardo fermo del coinquilino, si mise a cavalcioni del sellino.

“Bene, ora devi semplicemente mettere le mani sul manubrio, no, sui manici, Sherlock. Bene così. Ora metti il primo piede sul pedale.”

Sherlock lo guardò sorpreso, poi sbatté le palpebre, “Come, scusa?”

“Tu. Metti il piede sul pedale.”

“È un suicido.” affermò Sherlock, non poteva tenersi ancorato a terra con un piede solo. E poi, una volta messi entrambi i piedi sui pedali sarebbe sicuramente caduto. Andava contro le leggi della fisica, quello strano aggeggio chiamato bicicletta.

John sbuffò, mettendosi a sua volta a cavalcioni della due ruote, “Vedi? Un piede così, e poi invece di mettere l'altro direttamente sul pedale, spingi. La spinta che ti dai ti farà andare avanti, e poi pedali, così. - spiegò, facendo il giro della panchina del parco. - Tutto chiaro?”

Chiarissimo. Certo che era chiaro, persino Anderson sarebbe riuscito a capire una cosa del genere.

Capire era facile. Agire di conseguenza lo era molto meno.

“D'accordo.” annuì lentamente Sherlock, non accennando però a scollare i piedi dall'erba.

“Sherlock?”

“Mmm?”

“Vuoi un casco?”

“Oh, no.” rispose precipitosamente, lanciando uno sguardo impanicato al casco rosa accesso sulla panchina.

“Va bene – sbuffò John – sei pronto?”

Il detective annuì. Prima un piede, poi sollevare l'altro e poi...

Sherlock cadde a terra come un peso morto, la bici che gli pesava sul fianco, “Ahi.” sussurrò imbronciato.

John tese la mano per aiutarlo a rialzarsi, poi prese la bici e la osservò, “Non hai tolto il cavalletto. E non hai spinto, devi darti quella spinta subito, Sherlock.”

Se gli sguardi avessero potuto uccidere, John sarebbe stato polverizzato dagli occhi del detective, che, seppur con stizza, risalì a cavallo del velocipede.

Prima un piede, poi alzare l'altro piede, spingere e... Sherlock si ritrovò ancora in sella, alzò lo sguardo terrorizzato, mentre le gambe continuavano a pedalare senza il suo consenso.

L'aria gli sferzava il viso, impedendogli la visuale, i moscerini gli andavano pericolosamente vicino agli occhi.

Con tutta quella confusione, Sherlock non si accorse dell'albero finché non gli andò a sbattere contro, di testa.

Ouch.

Quando si costrinse ad aprire gli occhi, John era sopra di lui, a guardarlo.

Solo che non era preoccupato, stava sorridendo. No, peggio, stava ghignando soddisfatto a vederlo per terra, con un livido che iniziava a farsi intravedere tra i ricci corvini.

Idiota.

“Hai intenzione di restare sdraiato tutto il giorno, o vuoi riprovarci?”

Sherlock sbatté le palpebre, incrociando le braccia e togliendosi l'erba dal viso, “Sono quasi morto e vuoi che ci riprovi?”

“Non sei quasi morto. Sei caduto e poi se rimasto a fissare le nuvole.”

“Potrei avere una commozione.” spiegò Sherlock, una voce così preoccupata da sembrare quasi realistica.

“Dai, non fare così, io tuoi capelli sono così folti che avranno attutito la maggior parte della caduta.”

“John!!” sbottò mettendosi seduto.

“Dai, alzati e riprova!”

Sherlock sbuffò, alzandosi con sospiro e prendendo di malavoglia la bici,“John, se non dovessi sopravvivere a questo allenamento non dare il teschio a Mycorft, d'accordo? Voglio essere sepolto con lui.”

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Capitolo 20
*** In formal wear ***


Ma... MOFFAT!!!!!!!!

Buonsalve a tutti e un grandissimo grazie a Violet_Penny che ha recensito lo scorso capitolo!
 

Diciannovesimo prompt:
In formal wear



Pioveva. A Londra pioveva spesso.

Era bello, lo scroscio dell'acqua sulle foglie e sui marciapiedi, l'onnipresente ticchettio delle gocce che si infrangevano sui tetti delle case. I lampi, che fendevano il cielo con la loro luce dorata, e i tuoni, poco dopo, che rimbombavano per le strade di Londra e nel cuore dei suoi abitanti.

Sherlock Holmes amava la pioggia.

Amava il suo odore, amava respirarla, averla dentro di sé, nei suoi polmoni, amava sentire quelli profumo di fresco, di nuovo, alla fine di un acquazzone. Amava la pioggia londinese.

Alle due di notte, le strade erano silenziose, la luce dei lampioni ad illuminare le anime che vagavano senza meta in quell'immensa città.

Niente taxi, niente macchine, niente vita.

Solo lo sferzare della pioggia e due uomini.

“Avresti dovuto accettare il passaggio di Mycroft!!!” sbottò John, camminando velocemente sotto quell'affresco di nubi temporalesche.

“No!”

“Sei un idiota.” annunciò, la faccia imbronciata.

“Ma non pioveva così forte, all'inizio!”

“Perché non hai portato un ombrello?!”

“Non pensavo che ce ne fosse bisogno!” urlò Sherlock, correndo per raggiungerlo e schizzando acqua da tutte le parti.

Erano entrambi bagnati fino al midollo, i vestiti da sera attaccati addosso ai loro corpi. Se non fossero stati nel bel mezzo di un temporale a sette chilometri da Baker Street, Sherlock avrebbe potuto trovarlo anche romantico.

“Sto gelando.” borbottò John, stringendosi ancora di più nella giacca del suo smoking.

Una festa, aveva detto Mycroft.

L'acquazzone non l'aveva previsto.

“Siamo quasi arrivati.”

“Mh...”

Per un momento ci fu soltanto silenzio, il rumore delle scarpe lucidate dei due gentiluomini londinesi che pestavano l'asfalto bagnato e le pozze di fango, rovinando l'orlo dei pantaloni.

“Possiamo fermarci?” chiese John, il cui passo era rallentato.

“Ma mancano solo...”

“Sherlock, per favore. La spalla.” Il detective lo fissò, fermandosi di scatto. Certo. Un capitano dell'esercito con una ferita di guerra non ancora del tutto guarita, l'umidità doveva semplicemente aver peggiorato la situazione.

Sbatté le palpebre, poi si tolse il cappotto e lo mise attorno al corpo tremante del blogger. “Non qui – gli sussurrò ad un orecchio – conosco un posto.”

Il 'posto' che Sherlock aveva in mente era nientemeno che l'obitorio del Bart's.

Aveva la chiave, naturalmente.

Dopo che aveva svegliato Molly nel cuore della notte per il piede di quel tizio, lei aveva subito deciso fargliene una copia.

Si sistemarono nelle poltroncine fuori dalla sala principale, John ancora avvolto nel cappotto di Sherlock, in uno stato di dormiveglia.

“O capitano, mio capitano...” sussurrò il detective passandogli una mano tra i capelli brizzolati.

John si mosse leggermente, poi si appoggiò sul petto del coinquilino, “Mmm... Sherlock, non sono Lincoln.”

Lui sorrise, passandogli una mano sulla guancia ancora umida, “Il nostro tremendo viaggio è terminato...”

 

 

 

La poesia in questione (O capitano! Mio capitano!) è di Walt Whitman e parla, appunto, della morte di un presidente statunitense (Lincoln), paragonandolo al capitano di una nave.

E, ecco... John è un capitano dell'esercito, ma per Sherlock resterà sempre il suo capitano.

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Capitolo 21
*** Dancing ***


Buongiorno!

Grazie a lululove2 che ha commentato lo scorso capitolo! 


Ho notato un leggero calo nelle recensioni, ma spero sia soltanto perchè siete tutti al mare o in montagna e non perchè ho iniziato a scrivere male... o ad annoiarvi!! :)

Poi... io fino a martedì non scrivo più. Si, mi rendo conto che questa stia diventando la 40 days otp challenge, ma... vado da una mia amica che non vedo da mesi e che poi non vedrò per mesi e ci starò solo qualche giorno, non vorrei non stare con lei perchè devo aggiornare!
Scusate!


Ventesimo prompt:
Dancing


 

“No, no. No! John... dall'altra parte!!” sgridò Sherlock tenendo le mani dell'amico tra le sue.

“Non riesci a spiegare. - borbottò John facendo due passi indietro – So ballare benissimo.”

“Quello che ho visto non era ballare, era ondeggiare sul posto, Capitano Watson.”

“Oh, piantala” disse, avvicinandosi allo stereo e rimettendo da capo il valzer dello Schiaccianoci.

Sherlock si schiarì la gola, “Bene, ricominciamo! Uno, due, tre...”

John gli rimise con un sospiro la mano sul fianco sinistro, tenendogli la destra saldamente, quasi senza più lasciarlo andare. Sherlock si mosse, facendo il primo passo con eleganza, un giro a destra*. Lo fece lentamente, osservando John ripetere i suoi stessi movimenti.

Scosse la testa, schiacciando il pulsante del telecomando per stoppare la musica. “No! No, John! Stai strisciando i piedi. Li stai trascinando. I piedi nel valzer si muovono leggeri, come se volassero. E per l'amor del cielo, stai sulle punte! Non appoggiare subito il tallone.” criticò, guardando l'amico.

John si mosse a disagio, prendendo, dalla tazza poggiata sul tavolo, un altro sorso di tea. “Sherlock, non è per una missione sotto copertura, non devo essere perfetto.”

“Non devi essere neanche un indiano che fa i suoi riti tribali ad una cena di gala. Benché mi piaccia l'idea, non possiamo permetterci di offendere il mio dolce fratellone.”

Watson sbuffò, lanciandogli un'occhiataccia. “Da quando ti preoccupi di Mycroft?”

“Tra un po sarà il compleanno di mamma.” spiegò.

John annuì, i fratelli Holmes che si riappacificavano per la madre.

Tenero.

Ed era importante per Sherlock.

“D'accordo. Allora – iniziò aggiustandosi il maglione – inizio così?” chiese, facendo un passo avanti con il piede destro, come soleva fare il cavaliere nel tipico valzer inglese.

Gli occhi azzurro ghiaccio di Sherlock guardarono attentamente l'amico. “Si. Attento alla punta del piede, si poggia sempre prima del resto del corpo. Riprova con la musica, ora.” disse brusco.

Le note pesanti e galanti del Valzer dei Fiori iniziarono a suonare nell'appartamento mentre, ora con più sicurezza, John cingeva il fianco dell'uomo.

Lentamente, senza che nessuno dei due se ne accorgesse, la mano di John scivolò sempre più in basso, fino a trovare quella di Sherlock, anch'essa abbandonata, invece di essere sopra la spalla del medico. L'ex militare la strinse dolcemente, per un attimo lasciandosi trasportare dalle note sempre più leggiadre della musica.

 

“Ragazzi, mi chiedevo se aveste bisogno di qualcosa da oh-”

 

John riaprì gli occhi, trovandosi davanti la Signora Hudson con un piatto di ciambelle in mano e lo sguardo a metà tra il sorpreso e il soddisfatto.

“Interrompo qualcosa vedo.” disse lei, con un sorriso ad adornarle le labbra.

“No. Noi stavamo solo...” protestò debolmente John - “Io non sono, noi non siamo...” le parole gli morirono in gola. In quel momento sembrava esattamente gay.

E non era poi così male, non con Sherlock.

Ma John Watson non era gay.

“Ripasso più tardi.” rispose la padrona di casa con un ghigno allegro, chiudendosi la porta alle spalle e lasciando dietro di sé un leggero odore di pane appena fatto.

John si schiarì la gola, girandosi verso Sherlock, che, senza dire una parola, rimise il valzer da capo, ripartendo dalle posizioni iniziali.

Questa volta però, quando le loro mani si incontrarono, le dita rimasero intrecciate.

 

 

 

*è un passo del valzer lento, anche chiamato valzer inglese.


 

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Capitolo 22
*** Smoke ***


Martedì? Ma giovedì intendevo!!

Mi dispiace, ma ci sono stata io che mi sono quasi rotta un dito con la porta del treno, mia madre che è stata male, io che ho avuto visite a destra e a manca... Anyway, grazie mille a chi ha recensito e sta recensendo gli scorsi capitoli, un grazie enorme alle tante persone che mentre ero via hanno inserito questa storia tra seguiti e preferiti.

 

Come avrete forse notato al posto del prompt questa volta ho messo un titolo vero e proprio... ma l'argomento di cui tratta questa brevissima ff è uno spoiler di per sè, dirvelo la "rovinerebbe" non poco. Quindi... il prompt lo troverete in fondo.

 

 

 

Fumo.

Fumo grigio, che usciva dalla finestra del 221b di Baker Street.

John lasciò cadere le borse sul asfalto, ignorando la bottiglia d'acqua che si infrangeva al suolo, la pozza latte che iniziava a dilagare sul terreno.

Corse verso la porta del palazzetto, sfondandola con la spalla, una smorfia di dolore che gli si dipingeva sul viso.

Salì le scale due gradini alla volta, tirò un calcio alla porta di legno dell'appartamento, precipitandosi dentro, “SHERLOCK?!” urlò, cercando di trovarlo tra quell'immensa nube di fumo che si diffondeva velocemente per tutto l'appartamento.

Odore di bruciato.

Si precipitò in cucina, dove il coinquilino teneva gli esperimenti più pericolosi, “SHERLOCK!?!” gridò, precipitandosi verso quella che sembrava una figura umana.

Il corpo dell'uomo era chino sul tavolo.

“Sherlock, per l'amor del cielo, stai...?” Watson gli mise una mano sulla spalla, voltandolo di scatto.

“John – salutò il detective con un sorriso, in mano due gambi di sedano – ciao. Appena in tempo. Togli il polpettone dal fuoco o inizierà a carbonizzarsi.”

 



 

Ventunesimo prompt:

Cooking

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Capitolo 23
*** In battle, side-by-side ***


Buongiorno!! Grazie a mikimac e a BJgirl che hanno recensito nonostante questo caldo infernale! Ma perchè qui non piove?!
Ah, poi... avete presente gli awkward moments? Ce ne sono di bellissimi su Doctor Who.
Ecco: the awkward moment when you realize that... il tuo compleanno e l'anniversario della morte del tuo presonaggio preferito condividono la stessa data.
Ora non so più come classificare il 15 gennaio. Festa o lutto?
Magari la mattina festeggio e poi il pomeriggio mi metto a guardare Reichenbach.
Sigh.

Ma bando alle ciance!


Ventiduesimo prompt:
In battle, side by side




Gli erano vicini. Quasi addosso.

Sentiva il sangue pulsargli nelle vene, l'adrenalina scorrergli lungo il corpo.

Corsero a più non posso per le strade di Londra dietro al criminale.

Il fiato corto.

“Prendi la tua pistola.” gli sussurrò Sherlock, la voce appena udibile sopra il suono dell'aria che sferzava il viso dei due.

“Sherl-”

“Fai come ti dico!” intimò lui scoccandogli un'occhiataccia, mentre continuavano a correre forsennatamente lungo i marciapiedi e l'asfalto delle vie più impensabili della capitale del Regno Unito.

“STOP!” Il detective impuntò i piedi all'improvviso, frenando sul terriccio umido della Lambeth Palace Road, costringendo John all'arresto.

“She-sherlock?” chiese tra una boccata d'aria e l'altra mentre si metteva le mani sulle ginocchia, la milza che doleva come non mai

“È qui dietro. Tu coprimi, vado io. - mosse i primi passi, ma la mano di John sull'avambraccio lo costrinse a fermarsi – eh?”

“Vado io. - annunciò il militare, osservando l'ombra scura appartata dietro il muro. - Tu ti faresti ammazzare.”

“Io non so sparare, tu sei un tiratore scelto.” sibilò Sherlock guardando furioso l'amico.

Quel medico sarebbe fatto ammazzare.

Quel pazzo maniaco era armato.

Senza un'adeguata copertura John sarebbe potuto venire ferito, buttato nel Tamigi, il cui alto argine era solo a qualche decina di metri, oppure ucciso.

“Vado io. Usa quella pistola, Capitano, usala e basta.” Sherlock gli sfiorò la mano guantata. Poteva essere pericoloso, e, benché fosse lecito credere l'opposto, non voleva reclutare John per delle missioni suicide senza un buon motivo.

Non dopo gli ultimi sviluppi della loro relazione.

Sorrise.

Il tipico sorriso che si fa alle persone per dir loro che andrà tutto bene, quando sei quasi certo del contrario.

“Stai attento.” sussurrò Watson.

Sherlock annuì, staccandosi silenziosamente dalla parete dell'edificio e avanzando di qualche passo verso l'uomo. Adocchiò dei bidoni della spazzatura poco distanti, si sarebbe nascosto lì. Si infilò nello stretto spazio tra un contenitore e l'altro, aggiustandosi il cappotto, quel Belstaff non sarebbe sicuramente uscito indenne da quell'avventura.

Raggiunse la figura scura da dietro.

Alzò la mano per colpire la scapola del sospettato, poi sentì qualcosa.

All'inizio era soltanto freddo.

Un freddo gelido che gli attraversava il braccio.

Poi un urlo, non suo.

Non proveniente da una voce baritonale, ma da quella di John.

Uno sparo.

E Sherlock realizzò di stare sanguinando. Un coltellino svizzero piantato nel suo braccio.

Poi registrò un dolore acuto, che lo riscosse.

L'uomo di fronte a lui era a terra, che si cullava la gamba destra, completamente inerme. Era bucata. Trapassata da parte a parte da un proiettile che ora giaceva sul bordo del marciapiedi. Il foro di entrata era enorme, quattro - cinque centimetri. Preciso, millimetrico, un solo colpo che gli aveva messo fuori gioco l'intero ginocchio, bloccando interamente i muscoli, ma non i nervi, che ora ricevevano segnali di dolore a più non posso.

L'intera rotula era stata squartata, l'osso bianco rotto a metà visibile.

Guardò verso John, la pistola stretta ancora in pugno, la posizione rigida, tipica militare.

“Stai bene?”

“Sparargli in un punto meno critico sarebbe stato sufficiente. Gli dovranno amputare tutta la gamba.” commentò, comparando l'assassino che pochi secondi prima aveva cercato di ucciderlo al patetico ometto che giaceva sdraiato sull'asfalto, gemendo.

“Un grazie sarebbe stato sufficiente. - ribatté John secco, mentre gli toccava cautamente il braccio – ha sfiorato la vena. Sei stato fortunato.”

Sherlock alzò le sopracciglia, “Grazie.”

“Prego. Sarei perso, senza il mio detective.”

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Capitolo 24
*** Arguing ***


Buon compleanno Sherlock!!! Cinque anni!! ^^


Ventitreesimo prompt:
Arguing

 



“C'è ancora polvere – commentò Sherlock passando una mano sull'attizzatoio vicino al caminetto – è peggio di quando lo avevo lasciato.” disse, alimentando il fuoco con lo strumento, mentre il crepitare delle fiamme e l'odore di legna bruciata si disperdeva per la stanza.

John si schiarì la gola.

Sembrava tutto come un tempo, era tutto così dannatamente normale.

“Sei stato via – specificò – non entro in questo appartamento da... lo sai.”

Sherlock annuì, sprofondando nella sua poltrona nera e prendendo un sorso di vino dal bicchiere, “Ovviamente.”

John sospirò, si sentivano le cicale del cortiletto del 221a.

Il tubare dei piccioni.

Tutto troppo giusto, troppo perfetto.

Non doveva essere perfetto.

O forse...

Era lì, il suo detective, come tanti anni prima.

“Suoni?” chiese, il tono della voce leggermente abbassato.

Il detective alzò le sopracciglia per un attimo, cercando di leggergli il volto, poi impugnò l'archetto del violino accanto a lui, ancora fuori dalla custodia.

C'era un velo di polvere.

John amava la musica, e il suo coinquilino lo sapeva bene. Ogni volta che suonava, le note erano per l'uomo che stava ad ascoltare sulla poltrona. Le sinfonie si potevano susseguire per ore e ore, e quell'uomo era sempre nella stessa posizione, ad ascoltare incantato.

Poteva chiudere gli occhi, immaginandosi i luoghi che lui e l'amico avevano visitato. Onde che si infrangevano sulla costa, lavando via le orme. Paesaggi verdi, doline desolate. Un sorriso gli abbelliva il volto, mentre la musica gli risuonava nelle orecchie. Un cielo al tramonto.

Una volta.

Ma questa... questa era una musica triste, quella che aveva composto per Irene Adler, per la Donna.

Colei che gli aveva stregato il cuore.

Adorava quella melodia, l'aveva sempre fatto. Ma quella sera... quella sera chiudeva gli occhi, le orecchie tese, e riusciva a vedere solo Sherlock. Sherlock e la sua testa che formava uno strano angolo sul cemento del marciapiedi del Bart's.

Una lacrima gli scivolò sul viso.

Sherlock.

La musica, come era iniziata, si interruppe, “Stai bene?”, chiese una voce.

E il mondo gli crollò addosso.

Ogni sguardo di pietà, ogni lacrima versata, ogni secondo speso davanti a una tomba di marmo nero vuota. “Tre anni, Sherlock. - mormorò, scuotendo lentamente la testa – tre dannatissimi anni in cui ho creduto che tu fossi morto e mi chiedi se sto bene?”

Una delle cose che infastidivano, che terrorizzavano Sherlock, erano le espressioni di John. Il momento in cui si arrabbiava, e non per uno screzio, per una cosa seria.

Perché John Watson sorrideva.

Una sottile linea incurvata verso l'altro, un piccolo sorriso, il dolore nei suoi occhi, la rabbia.

“Io...”

“Tre anni, Sherlock. - ripeté con voce tremante – tre anni. Tre anni sono tanti, sai? Uno potrebbe morire, un altro potrebbe nascere. Accadono tante cose in tre anni. Molly si è trovata un fidanzato, Greg ha lasciato sua moglie... e io sono rimasto ad aspettarti.”

“Io non potevo...”

“Non saresti mai tornato, certo che lo sapevo, me lo hanno ripetuto tutti, Ella, Lestrade, la Signora Hudson, persino Mycroft.”

“Sai che...”

“Hai la minima idea di cosa sia stato?! - esclamò alzandosi – Ogni giorno, Sherlock, pregavo che tu, tu – sussurrò avvicinandoglisi, puntandogli l'indice sul petto – potessi ritornare. - sorrise – Poi ho smesso però, ho iniziato a piangerti. A venirti a trovare alla tua tomba. A chiedere alla Signora Hudson di portarmi la tua vestaglia. Ed è stata la cosa più difficile che abbia mai fatto.”

Le ricordava ancora, quelle serate. Passate in una vestaglia blu che odorava di Sherlock. Sempre di meno, ogni volta che dicideva di stringersela al petto.

Quelle notti.

Passate a pregare perché non ci fosse un domani.

“John, devi capire che se tu lo fossi venuto a sapere avresti potuto dir...”

Il medico scosse la testa, “No. Non rivoltarlo contro di me, Sherlock, non ci provare. Non dirmi neanche per un secondo che tutto questo è colpa m...”

“No. Certo che no. Ma io dovevo... John, - il detective cercò lo sguardo dell'amico - mi dispiace.”

Ma, per una volta, una scusa non era abbastanza.

John inspirò, chiudendo gli occhi, “Non parlare. Solo per un secondo, Sherlock. Non. Parlare. D'accordo?”


 

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Capitolo 25
*** Making up afterwards ***


Hola!! Grazie a mikimac che ha recensito lo scorso capitolo... ma anche a tutti voi che leggete, dal mare, dalla montagna e dall'Oceano pacifico (?), perché il contatore delle visite non smette mai di aumentare... e mi fate davvero tanto felice!! Si va magari commentate anche!

 

Questo capitolo è collegato al precedente, la Challenge chiedeva di far litigare i due... e poi scrivere un dopo, facendo fare ai nostri piccioncini pace.

 

Quindi...

 

Ventiquattresimo prompt:

Making up afterwards


 

 

“Dovresti andare a letto.”, sussurrò Sherlock, posando il bicchiere sul tavolo.

John deglutì, seduto sulla sua poltrona, dopo tanto tempo, le ultime braci che ardevano nel caminetto. “No.”

Sherlock si voltò verso di lui, gli occhi azzurro ghiaccio interrogativi.

“Non... non voglio. Stiamo qui, solo un altro po'.”

Il detective scosse la testa, “Hai bisogno di dormire.”

“No, per favore. Qui.” ripeté, quel bisogno, così raro, nella sua voce.

“Perché?”

“Te ne andresti, te ne andresti e mi sveglierei ancora avvolto nella tua vestaglia e le lacrime secche sugli occhi. Voglio restare qui e guardarti, fino a quando non... potresti andartene. Al mio risveglio ti cercherei e tu saresti semplicemente andato. Non voglio che succeda di nuovo, non voglio preparare due tazze di tea, apparecchiare la tavola per due, per poi rimanere da solo. Non voglio fingere di vivere con un fantasma. Non puoi chiedermelo. Ogni volta che batto le palpebre ho paura che dopo sarai scomparso. Ogni volta che chiudo gli occhi, ogni volta che distolgo lo sguardo temo che tu non sarai lì, a ribattere, ad analizzare. E fa troppo male. Dio, Sherlock, non so nemmeno se sei reale, se sei vivo, se non è solo frutto della mia mente!”

Sherlock sbatté le palpebre. C'era qualcosa di umido, proprio nel retro dell'occhio. Qualcosa di estremamente fastidioso. La gola leggermente irritata, gonfia, come se ci fosse stato qualcosa che aveva l'impellente bisogno di uscire.

Sbatté le palpebre.

Questa volta uscì del liquido cristallino, che gli rotolò sulla guancia.

Sbatté le palpebre.

Le gocce d'acqua erano di più.

Forse stava piovendo.

Una perdita dal condizionatore.

Ma non provenivano d'alto, quelle goccioline che sembravano non volere smettere di cadere, venivano da lui.

Uno di quei piccoli ammassi d'acqua gli arrivò a toccare la bocca.

Era salato.

Oh.

Lacrime.

Stava piangendo.

Lo faceva raramente.

Era una sensazione strana, quel blocco, quel nodo alla gola che si stringeva sempre di più.

Emise un suono sfocato. Era un singhiozzo, forse.

“Forse... forse potremmo trovare altre soluzioni. - disse, una voce che non sembrava nemmeno la sua. Così umana, così... emotiva. Si alzò, avvicinandosi alla poltrona di John, ancora immobile. - Potremmo decisamente farlo.” sussurrò, chinandosi verso di lui, le labbra bagnate di quelle lacrime che non accennavano a fermarsi.

John gli si avvicinò leggermente, sigillando il bacio.

Un po' umido, un po' tremante, un po' incerto.

Perfetto.

 

Ti sembrava reale, Dr. Watson?”

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Capitolo 26
*** Gazing into eachothers' eyes ***


Venticinquesimo prompt:
Gazing into eachothers's eyes (more or less)




Si dicono tante cose sul tempo.
Si dice che sbiadisca i ricordi fino a farli diventare solo brandelli senza senso di memoria.
Si dice che lenisca le ferite, aiuti a dimenticare, a perdonare.

La verità è che due anni sono tanti, lo sono per chiunque. 750 giorni, 16 ore, 26 minuti e 34 secondi.
In un lasso di tempo così ampio molte cose vanno perdute, parole, frasi, sensazioni, emozioni, pensieri, cicatrici, ricordi.
Erano tante le cose che Sherlock, disperso in Serbia chissà dove, aveva dimenticato, abbandonato a malincuore in stanze sigillate del suo palazzo mentale.
Il sapore del tea della signora Hudson.
Il tono della voce di Greg Lestrade.
Cosa Anderson gli aveva detto in quel collegio.
L'odore asettico delle camere mortuarie del Bart's.
Il tessuto dei vestiti di Molly.
Il calore del breve contatto che aveva avuto con Mycroft prima di partire.

Ma tra i meandri del suo palazzo mentale, c'era una porticina in legno di quercia, con una piccola incisione “John Watson.”
E dentro quella camera c'era tutto, ordinato in scaffali, cassetti e armadi. Metodico. Sulla sinistra c'era quello che lui e John si erano detti. Non i momenti più importanti. 
Le piccole cose che tanto gli mancavano.
Al centro, in bella vista si ereggeva il contenitore in frassino. Quello delle emozioni. Un insieme di sensazioni che aveva provato e parole come “amore”, delle quali ancora non riusciva a comprendere il significato.
A destra c'era un armadio bloccato, recava la scritta: “Aspetto fisico.”
Erano tante le cose che non ricordava, quanto fosse realmente basso, il colore della sua pelle, il suo odore.
Ma c'era un cassettino, in fondo, verso la fine dell'ordinata stanza. Lì c'erano i suoi occhi. Grigi e azzurri. Il cielo e il mare in tempesta.
Quello che non poteva scordarsi, mai.
Lo sguardo di John quando era saltato, quello che lo perseguitava la notte e che sembrava essere in ogni viso di giorno.
Blu, grigio, verde verso la pupilla color ossidiana.
Quegli occhi che volevano trafiggerlo, picchiarlo e abbracciarlo.
Quegli occhi appartenenti ad un corpo il cui ricordo diventava ogni giorno sfuggente.
Ma no, non lo avrebbe dimenticato.
Passò una mano sul piccolo mobiletto, lasciando una scia sulla polvere presente nella stanza, “Ci vediamo presto, John Watson.”

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Capitolo 27
*** Getting married ***


Grazie a Belle98 per aver aver recensito lo scorso capitolo!! :)



Ventiseiesimo prompt:
Getting married



 

“Sto bene così?” chiese per la millesima volta, guardandosi allo specchio e stringendosi ancora di più la cravatta attorno al collo.

Molly sorrise, “Sei perfetto, John.”

Il medico si schiarì la gola, passeggiando nervosamente su e giù per la stanza, torcendosi le mani con ansia, “Quanto manca?”

“Dieci minuti.” rispose Greg stancamente, stravaccato su una delle sedie della piccola stanzina, adiacente alle sala dove si sarebbe propriamente tenuto il-

“Mi sposo. Tra dieci minuti mi sposo. - disse John, guardando il suo riflesso stralunato nello specchio. Abito nero, camicia bianca, fiori all'occhiello e una cravatta color petrolio compratagli appositamente da Sherlock “Non metterai qualcosa a righe per il nostro matrimonio, nemmeno i calzini o i boxer. A costo di passeggiare per quella navata nudo.” aveva minacciato il detective con i suoi soliti modi delicati.

“Mi sposo con Sherlock Holmes. - ripeté, colpito – Mi sposo con un sociopatico iperattivo che risolve crimini e tiene teste mozzate in un frigorifero. Mi sposo con il mio coinquilino. Mi sposo con Sherlock!”

 

 

“Suggerisco vivamente che tu ti tolga la cravatta e che ti segga, fratellino. Non vorrai sudare nel tuo nuovo completo.” disse Mycroft nella camera accanto, le braccia incrociate, appoggiato su una scrivania.

“Suggerisco che tu stia zitto.” gli rispose seccamente Sherlock, le cui mani, a forza di stritolarsi a vicenda, erano diventate di un rosso acceso.

“Era solo un consiglio. Ci sono passato anche io.”

“Sì, ma tu ti sei sposato con Garrett...”

“Greg.” corresse Mycroft senza quasi farci caso.

“Lui. Io mi sto per sposare con... con John. Sto per sposare colui che io...” si interruppe bruscamente, tirando su con il naso.

“Che tu...?”

Sherlock borbottò qualcosa, poi allentò il colletto della camicia, slacciando i primo bottoni, “Mi sento male, Mycroft. Dobbiamo rimandare tutto.”

Il fratello fece una faccia strana, poi strinse la labbra e lo fissò gli occhi socchiusi.

E si mise a ridere.

Una sonora risata che invase tutta la saletta.

“Sono serio, sto per vomitare.”

Mycroft alzò le sopracciglia, “Si chiama ansia, Sherl.”

Il detective si sedette bruscamente sul pavimento, tirandosi le gambe al petto, “Sto male.” dichiarò, fissando suo fratello con una punta di terrore, il respiro sempre più veloce.

“No, non è vero.”

“John è... è la mia droga, è la mia... Non so se posso farlo. - sussurrò Sherlock, chiudendo gli occhi, il cuore che gli batteva forte – Non so se ci riesco.”

“Devi sposarti!”

“Sì, ma ho paura. - ammise – e se poi faccio qualcosa di sbagliato? Se lo tocco in modo sbagliato? Insomma... noi non abbiamo mai... ci siamo baciati, certo, ma da sposati si fa anche il... il resto. E se dico qualcosa di male? Gli preparo la colazione sbagliata? E se lui muore? E se io muoio? Se Moriarty ritornasse e...” farfugliò Sherlock a bassa voce fissandosi i pantaloni. La mente come un orologio, il cui ticchettio lo separava dall'ora fatale.

Cinque minuti.

C'erano tanti ma.

Troppo se.

Molti sbagli che si potevano fare.

Mycroft sorrise, passandogli una mano tra i capelli e aiutandolo ad alzarsi, “Sono sicuro che sarai perfetto per lui, Sherlock. Lo sei sempre.”

 

 

“Quanto manca?”

“Un minuto.”

John annuì, facendo respiri profondi, cercando in vano di combattere il nervosismo che sembrava avere intenzione di incollarlo a quella sedia per il resto dei suoi giorni. “Ce la posso fare?”, chiese, passando lo sguardo da Molly a Greg, entrambi ghignanti.

“Assolutamente.” confermò l'ispettore di Scotland Yard sornione.

“Okay. - John deglutì - E se non sono la persona adatta a lui? In confronto a Sherlock io sono solo un...”

“È il momento.” annunciò una voce anziana dalla soglia della porta.

Il medico lanciò un veloce sguardo a Greg e a Molly, poi alla Signora Hudson che sorrise leggermente e lui annuì.

 

Alla guerra, avrebbe detto tempo prima Sherlock.

Ma una guerra davvero piacevole.

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Capitolo 28
*** On one of their birthdays ***


Ciao a tutti! E grazie a chi ha letto lo scorso capitolo... e a mikimac per averlo recensito!



Ventisettesimo prompt:
On one of their birthdays​
 


Bang.

Sherlock cadde per terra, rialzandosi a stento.

Bang.

Holmes si abbasso fulmineo, rotolandosi sul terreno bagnato. Gli aveva quasi sfiorato la testa, quell'ultimo proiettile. Si accucciò sull'erba, strisciando fino a raggiungere il tronco di un albero caduto per riposizionare la canna dell'arma.

Poi ci fu un sibilo, e qualcosa lo colpì alla spalla.

 

Sherlock sospirò, pulendosi il collo dalla vernice giallastra e alzandosi in piedi, correndo verso John che sghignazzava poco distante. “Ne è valido colpire alle spalle!!” protestò togliendosi la maschera, il suo tipico broncio disegnato sul viso.

“Oh, si invece.” rispose l'altro, l'arma del delitto ancora in mano.

“Quello che non capisco è come tu ci abbia chiesto questo, di giocare a Paintball, come regalo di compleanno. - rispose Sherlock, tirandolo su con una mano e baciandolo velocemente sulle labbra – Sai di essere molto più bravo di noi.”

John diede una scrollata di spalle, prendendolo per un polso e dirigendosi verso Lestrade e gli altri, già intenti a mangiare patatine e panini.

“Lo hai preso finalmente!!” commentò Greg con un sorriso, un bicchiere di birra in mano.

John ghignò.

Lui e Sherlock erano rimasti gli ultimi sopravvissuti, in quel gioco costituito da proiettili di vernice e spruzzi.

Non avrebbe mai pensato che il detective fosse veramente in grado di resistere a Paintball.

Non per un minuto, figuriamoci per due ore.

“John c'è la torta!!” urlò Molly dall'altra parte del parchetto.

Lui guardò Sherlock, che, con un piccolo sorriso, gli disse di andare avanti, “Devo prendere una cosa”, gli sussurrò in tono complice.

John e Greg si incamminarono a passo svelto verso il tavolo dove era stata posta un'enorme torta al cioccolato con un altrettanto, scandalosamente enorme, 40 disegnato con glassa.

Watson stava per soffiare sulle candele, quando sentì qualcosa di bagnato arrivargli direttamente sul naso.

Gelatinosa vernice gialla.

“SHERLOCK!!!”

 

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Capitolo 29
*** Doing something ridiculous ***


Ventottesimo prompt:

Doing something riduculous (text!fic)






(09:34) Se un batuffolino odoroso. Ti voglio bene.- JW

 

(09:35) Ho un nome, usalo. - SH

 

(09:40) Cosa c'è? - SH

 

(09:45) Non volevo offenderti – SH

 

(09:46) Davvero, sai che non mi piacciono i soprannomi. Mycroft me ne ha affibbiati anche troppi. - SH

 

(09:47) Scusa. - SH

 

(09:48) Davvero. - SH

 

(09:48) Non smetterò di scriverti stupidi SMS finchè non ti prenderai il disturbo di rispondere al tuo ragazzo. - SH

 

(09:48) Sai come sono fatto, mi dispiace. - SH

 

(09:48) Stasera cucino, se rispondi. - SH

 

(09:49) Lavo anche i piatti. - SH

 

(09:49) Faccio il bucato per la prossima settimana. - SH

 

(09:49) Va bene, per il prossimo mese. - SH

 

(09:49) Per due giorni a tua scelta tratterò Anderson come un essere umano e non come un'ameba. - SH

 

(09:50) Annullo tutti i favori che mi devi. - SH

 

(09:50) Ti amo. - SH

 

(09:50) Non fare così, non è la prima volta che te lo dico: John Hamish Watson io ti amo. - SH

 

(09:50) Laverò i pavimenti, spazzerò, sparecchierò, apparecchierò, farò il letto. Se rispondi a questo messaggio non suonerò mai più il violino alle tre del mattino. Promesso. - SH

 

(09:50) Allora? - SH

 

(09:51) Giuro sul teschio che se rispondi domani ti sposo. - SH

 

(09:51) Okay. - JW

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Capitolo 29
*** Doing something sweet ***


Buonsalve!!
Prima di tutto grazie alle quattro che ieri mi hanno recensito il capitolo: EliRa, mikimac, Violet_Penny e SmileGiveMeFive... davvero, mi avete rallegrato la giornata!!

Questo capitolo è un po' diverso da tutti quelli che ho scritto... è molto -lock, con una punta di John-, ma spero che vi piaccia lo stesso!
È un tema. Un tema che il piccolo Sherlock ha scritto in terza elementare, quindi ho cercato di mescolare quel tipo di scrittura (da bambini, diciamo) e il mio (da ragazzina impazzita). Spero che il risultato sembri realistico, ma anche abbastanza decente e dolcioso.
Ormai siamo quasi alla fine, quindi... a domani per l'ultimo capitolo!

Ventinovesimo prompt:
Doing something sweet


 


Traccia 1: Descrivi la tua famiglia, il tuo carattere e cosa vorresti fare da grande. (Idiota, SH)

Traccia 2: Racconta una fiaba, devono essere presenti una strega e un lupo. (Inutile, SH)

Traccia 3: Descrivi la tua tipica giornata, dal momento in cui ti svegli a quello in cui vai a dormire. (Noioso, e non sono affari vostri, SH)

 

Holmes Sherlock, classe 3E.

Data: 15 Gennaio 1983

 

 

Tema per casa (Traccia 1)

 

 

La mia famiglia è composta da tre idioti e un cane.

Il cane si chiama Barbarossa, è lui il mio migliore amico. Poi ci sono mamma, papà e mio fratello Mycroft, che, anche se nessuno glielo dice, ingrassa ogni giorno di più. Tra poco tempo inizierà ad somigliare a Spugna, quello di Peter Pan, con una pancia enorme.

Mycroft va già all'università, studia qualcosa chiamata “economia”, non particolarmente interessante, ma il suo sogno è quello di diventare Primo Ministro (un insieme di parole che non so cosa significhino), per quello ci vuole una laurea.

 

Il mio carattere è strano, dice Victor. Tutti in classe dicono che sono diverso.

Vedo cose che loro non vedono, sento cose che loro non sentono, ma non sono differente.

Sono uguale, ma loro non lo capiscono.

Una volta Jim mi ha rotto un labbro, e Mycroft mi ha sgridato per non aver reagito. Dovrebbe badare di più alla sua dieta e meno a quello che faccio a scuola.

Gliel'ho detto, e lui ma ha mandato a letto senza cena. Tanto, con i nostri genitori fuori, avrebbe cucinato lui, e i suoi piatti non sono un granchè, di solito il pasticcio di rognone alla fine lo mangia sempre il mio cane, a lui non sembra dispiacere.

 

Barbarossa ha il pelo nero, lungo e folto. È grande e grosso, mi difende quando ho paura. Mi lecca la guancia quando sono agitato. Il suo nome viene ad un corsaro ottomano, Khayr al-Din Barbarossa.

Da grande voglio fare il pirata. Ho già il tricorno e la bandiera con un teschio.

Mamma dice che se farò il bravo un giorno me ne regalerà uno vero. Lui, io e Barbarossa insieme ci divertiremo tanto.

Voglio fare questo lavoro, il pirata, perché il mondo non mi piace. Londra è bella, Londra si può respirare, Londra si può sentire battere dentro, ma il resto della Terra... quella no.

Salperò su una nave pirata da un porto sul Tamigi, poi percorrerò il corso del fiume fino all'estuario e andrò in mare aperto, a rubare gioielli ai bagnanti, ad abbordare crociere e petroliere.

Libererò il mondo dai ricconi che vivono di champagne, caviale e costumi da bagno.

 

Fine.

 

P.S. Maestra, credo che suo marito le sia infedele da qualche mese. Questa volta non è come l'ultima: ne sono sicuro. È la sua governante.

 

 

 

“Aw.” fece John finendo di leggere l'ultima riga del brano, mentre un sorriso ebete gli si allargava sul viso.

“Aw?” chiese Sherlock a sopracciglia alzate, sedendosi sul materasso del letto.

“Potrei avere un attacco di glicemia seduta stante.” gli rispose il medico, reggendo il vecchio tema tra le mani.

Il detective lo abbracciò da dietro, appoggiando la testa nell'incavo del collo del coinquilino, “Avevo otto anni, è del tutto comprensibile il mio stile di scrittura. E poi, avevo ragione, il marito tradiva davvero quella donna.”

John annuì, “Con la governante?”, chiese con un mezzo sorriso.

Sherlock si strinse nelle spalle, “Alla fine è venuto fuori che era la sorella.”


 

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Capitolo 30
*** Doing something hot ***


Trentesimo prompt:
Doing something hot




“Sdraiati.” ordinò Sherlock entrando nella camera da letto, il torso nudo, la tuta del pigiama sgualcita.

John si sdraiò sul tappeto della stanza, prono, attendendo pazientemente l'arrivo dell'uomo. Si tolse la maglietta, rimanendo in boxer, la pelle calda a contatto con l'aria improvvisamente gelata della camera.

Sherlock gli si sedette vicino, ponendogli le mani sui fianchi e iniziando a toccarli, ogni attimo più forte.

John gemette, la tensione dell'ultimo caso che gli si scaricava tutta d'un colpo, rilassandosi sul tappetino, “Non so cosa sia, ma funziona ogni volta.”

Sherlock alzò le sopracciglia, facendogli segno di mettersi seduto – Lo spero bene, altrimenti queste sedute sarebbero del tutto inutili.” disse in tono pacato, mettendogli le mani sulla mandibola e esercitando una piccola pressione.

“E non c'è niente di sentimentale, in tutto questo.” continuò John ad occhi chiusi, il mento alzato, la schiena dritta ma incredibilmente a suo agio.

“Dovresti dirmelo tu.” gli rispose con voce rauca Sherlock, senza smettere di massaggiare nei punti di pressione.

“Credi che sia attratto di te?”

“Non credo, lo so. - sussurrò Holmes con finta noncuranza, mentre le dita scendevano lentamente lungo il corpo di John fino alle spalle. - La tua voce si è alzata. Non sono stupido.”

“Non sei un esperto in voci.” ribatté svelto Watson, iniziando a muoversi, leggermente a disagio.

“Stai fermo. - gli disse secco il detective guardandolo - Non ho bisogno di essere un esperto per leggerti.” mormorò, abbassando lo sguardo sui fili dorati del tappeto.

John scosse la testa restando il più fermo possibile, mentre Sherlcok continuava a toccarlo con mani soffici, pelle contro pelle. Scapola contro dito. La mano di Holmes che si aggirava attorno alla cicatrice stellata sulla spalla.

Poteva sentire il profumo del suo shampoo, a quella distanza.

Il rumore e il sapore del suo fiato.

Watson deglutì nervosamente, cercando di mantenere un tono fermo, “Sono attratto da te, quindi?”

“Lo hai detto tu, non io.” gli rinfacciò il detective, mentre, mano a mano, la spinta esercitata sulle spalle dell'amico si faceva più forte.

John gemette, guardando l'uomo di fronte a lui far cadere le braccia al suolo, lo sguardo color cielo estivo, “Vorresti che lo fossi?”

Sherlock, in tutta risposta, gli passò una mano desiderosa sul petto.

 

 

Notes:

1. L'intera scena è ispirata, e alcuni dialoghi sono presi da lì, da un episodio di Star Trek: Enterprise, in una bellissima scena tra Trip e T'pol. Ma non ricordo l'episodio.

2. La pratica che Sherlock sta facendo su John (la prima, quella che avete letto, la seconda ve la lascio immaginare), non esiste. Forse c'è qualcosa di simile, ma l'ho immaginata come la neuropressione vulcaniana. Che appunto, esiste soltanto in Star Trek.

Quindi non esiste.

 

3. That's it.

 

“I really really did... expect it.”

---

“No, I didn't.”, come disse il saggio Martin Freeman ai BAFTA.

 

Mi sento come se fossi ai BAFTA.

E non perché c'è Graham Norton che mi fissa e ride con la sua originalissima risata.

No, davvero. Sono felicissima di averlo fatto (e anche un po' di aver finito, non lo nego).

Ho provato cose che altrimenti avrei probabilmente... ignorato ancora per molto. In primis il genderswapped e quelle sottospecie di cose a sfondo rosso e che non ho voluto sfondassero il giallo. Ma anche il semplice fatto di riuscire a far leggere a qualcuno la mia brillante teoria sui ristoranti cinesi e le loro maniglie.

Un grazie enorme deve per forza andare a tutti, che mi avete recensito, preferito, seguito, ricordato (si, beh... qui mi sto riferendo alle shot, tranquilli) e che, indipendentemente da tutto questo, dal fatto che vi abbiano tutte fatto schifo queste storie o che con qualcuna siate persino riusciti a sorridere... avete letto.

Perché siete persone vere, che leggono quello che scrivo veramente, e che perdono realmente minuti preziosi della loro vita terrena per cercare di dare un senso alle mia parole.

Grazie.


 

Questo era il mio biglietto.

Ed è quello che le persone fanno, no?

Lasciano un biglietto.

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