Hear my voice

di Restart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


“Uno, due, tre. Si entra in scena!”
Entrambi dicevano la stessa cosa. Entrambi iniziavano un capolavoro con questa frase, ma in ambiti diversi.
Zayn era pronto a esplodere su un palco.
Emily nella sua sala operatoria.
 
Emily’s POV
 
Non capisci cosa significa morire.
Nessuno lo può sapere, neanche il chirurgo più bravo lo può intuire.
Eppure credo di esserci andata vicina.
 
Camminavo piano, strusciando le scarpe consumate dal correre avanti e indietro per i corridoi dell’ospedale. Mi affacciai alla cameretta di Chyler. Un dolce sospiro regolare fece ritornare tale anche il mio ritmo cardiaco.
Entro nel guardaroba e mentre prendo l’accappatoio per la doccia, mi tolgo le scarpe e gli abiti.
 
-Dottoressa Ford, ha un’operazione tra venti minuti, ma non ha ancora scelto lo specializzando che l’assisterà. Se le posso consigliare qualcuno…-
-Martin non fare la leccapiedi, li odio. Voglio Taylor come assistente. Vallo a scrivere sul tabellone. Adesso-
La osservo sgusciare dalle mie grinfie malefiche.
 
“SI! J, continua così! Ti voglio dentro di me adesso! SI!”
Poi un gemito. Chiudo gli occhi, inspiro profondamente e esco da quella casa, dopo essermi rivestita. Tutto nel massimo silenzio.
Guido fino all’ospedale, al buio. Dagli occhi scende una piccola lacrima, solo quando varco la porta di quell’edificio, così familiare.
“Dottoressa Ford, ha bisogno di qualcosa?” quella stupida e appiccicosa matricola. 
“Sì. Vai a dire al Primario di Cardio che lo aspetto in sala conferenze. Nel caso in cui non potesse, perché sta operando, aspetta che abbia finito per parlargli. Muoviti!” 
 
Il tempo necessario per lavarmi è di quattro minuti, ma sono sicura di averne impiegati di più. Fisso quel ragazzo, ferite multiple al volto, ricostruzione facciale. Sì, forse sono una dei primi chirurghi plastici donna.
Ma io principalmente sono otorinolaringoiatra.
-Dottoressa Ford, sarà il caso che si dia una sbrigata, no? – il Primario di Neuro si è affacciato. Lo fisso con disprezzo. E’ una delle persone più disgustose del mondo.
-Per la cronaca, ho finito, caro dott. Styles – ed entro nella mia sala. So che è rimasto lì, a fissare quel pavimento in mattonelle grigiastre, con quei grandi occhi verdi e qualche ciocca riccioluta sfuggire dalla cuffia rossa.
“Emily, sono arrivato prima che potevo. La matricola era abbastanza terrorizzata. Ne avevamo già parlato… Devi smetterla di fargli paura. Sono pesciolini indifesi della chirurgia, quando te sei già uno squalo. Emily…” gli tappo la bocca con un bacio leggero. Dapprima sgrana quegli occhi celestiali, per poi chiuderli, assaporando ogni momento.
“Niall, Jesse mi ha tradita”. Per la prima volta piango veramente. Lui pulisce le mie guance chiare, con il suo pollice caldo. Poi mi abbraccia, un abbraccio caldo e sincero, quello del mio migliore amico.
---------
 
Zayn’s POV
 
Vento, freddo, neve.
Neve, freddo, vento.
L’inverno è la stagione che più odio.
L’aria fredda mi brucia la pelle, rovinandola. Tiro fuori dal cappotto, Armani, ovviamente, una boccetta e ingurgito le ultime gocce di Whisky. Ahh. Ora mi sento meglio. Infilo di nuovo le mani congelate nella tasca del cappotto ed estraggo le chiavi della mia villa. Assaporo l’aria calda proveniente dal camino del salotto. Tolgo il cappotto e lo porgo alla cameriera. Quella mi fissa con aria stranita, con gli occhi sgranati e la bocca spalancata.
“Cosa vuoi, eh? Cosa ho di strano? Ho il maglione macchiato?” gli dico acidamente. Lei fa segno di no, per poi dirigersi verso la cucina.
Scuoto la testa desolato. Mi avvicino al caminetto e prendo il quotidiano. Il rumore della carta è l’unico che si sente nella casa.
“Mark, mi porteresti una cioccolata per favore?” chiedo al mio maggiordomo. Lui annuisce.
Dopo pochi minuti riappare la cameriera che mi aveva preso il cappotto. Si piega per poggiare il vassoio in argento sul tavolo.
Che grande errore. Dalla tasca destra della divisa scorgo quello che dovrebbe essere un giornale di gossip. E non mi attirerebbe neanche se non fosse che sulla prima pagina spicca un nome che conosco fin troppo bene.
“Sam, mi fai vedere quel giornale?” chiedo, cercando di mantenere la calma.
“Non sono proprio sicura che lei lo voglia vedere, Sir” disse con voce tremante.
“Risposta errata. Ora dammi quel giornale”. Porgo la mano, e lei infila la sua nella tasca, estraendo la rivista.
L’apro e il nome di Ellen Benjamin dà subito all’occhio.
 
“La famosa attrice Ellen Benjamin è stata avvistata con il chirurgo Harry Styles nella capitale tedesca, mentre la donna girava un film. E’ un evidente tradimento verso il fidanzato ufficiale della donna, il cantante pluripremiato, Zayn Malik.” 
Non provo rabbia. Non provo dispiacere. Provo solo pena.







 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


“My head is under the water,

But I am breathing fine.

You are crazy,

And I out of my mind”

-John Legend, All of Me

 

Emily POV

 

-Emily, è venti minuti che è in arresto. Devi farlo- Niall ripete queste parole con una particolare tranquillità. Ma non posso. Non mi posso arrendere. Non questo paziente.

-Emily dichiara il decesso- sta sussurrando, porgendo la mano verso di me.

-Dottoressa Ford faccia quello che il dott. Horan le consiglia di fare- Harry sta parlando, con quella meravigliosa voce rauca, ma che stona con il suo essere particolarmente antipatico. –Bene, visto che nessuno lo fa, lo farò io. Ora del decesso 18:42- e se ne va, con il passo sbilenco e la mano destra che cerca di sciogliere il nodo della mascherina.

-Emily, dobbiamo andare dai familiari- la voce dolce di Niall è l’unico suono che si sente nella sala operatoria. Le sue mani hanno stretto i miei polsi e li stanno prelevando da quella massa di sangue secco.

Quando le stacca completamente, urlo. Urlo con quanta aria nei polmoni. Niall, invece di lasciarmi, mi stringe ancora di più. Questo paziente non può essere morto. Non lui. Conosco tante persone che sarebbero dovute morire sotto i ferri, persone che non meritavano di vivere. Ma lui, questo ragazzo aveva lottato, seppur perdendo.

Questo ragazzo che era stato pestato a morte da l’amante della sua ragazza. Quello doveva morire. Quello stronzo.

Urlo ancora più forte e Niall mi stringe ancora più forte. Cerco di liberarmi dalla suo forte stretta, ma per me non c’è niente di più liberatorio di quello.

-Calmati! - mi grida, ammutolendomi. Non l’avevo mai sentito gridare. –Calmati- mi dice, ma con la pacatezza che gli appartiene.

Getto la mia testa sulla sua spalla e piango tutta la mia rabbia e il mio dispiacere. Lui passa la sua grande mano calda sulla mia schiena tremante. Le infermiere sono andate via su ordine di Harry, quindi siamo solo io, Niall e il ragazzo ancora aperto sul tavolo operatorio.

-Dobbiamo andare dalla famiglia, ma prima chiudiamo qui. Okay? - mi sussurra con voce leggera. Annuisco.

Ritorno al tavolo, cambio i guanti e finisco un lavoro mai iniziato.

Poi abbandono la sala, strusciando i piedi sul pavimento verdognolo. Quando vedo Harry e Niall parlare con la madre del ragazzo, sospiro. Ma non capisco se per il sollievo, o per il rammarico.

Pigio il pulsante dell’ascensore e quello arriva immediatamente. Salgo, ma prima che le porte si siano chiuse, una mano le blocca. Una mano sinistra fin troppo curata, ornata da un anello particolarmente brillante all’anulare. Una donna della mia età entra, ticchettando gli stivaletti, Gucci, sul pavimento. Sebbene abbia i tacchi è alta quanto me, che ho solo un paio di scarpe da ginnastica. Mi sorride, un sorriso sbilenco, privo di sentimento.

-A che piano va? – chiedo con gentilezza.

-Oh devo andare al piano di neurochirurgia, ma non so dove si trovi- la sua voce acuta è fastidiosa. La fisso per qualche istante, poi riconosco il suo volto. E’ Ellen Benjamin, la famosa attrice con cui Harry è andato a letto per qualche mese.

-Ce la porto io. Devo parlare col dott. Styles, anche lei? – sorrido, quasi maliziosamente. Lei annuisce, continuando a guardare la porta metallica dell’ascensore. Quella si apre improvvisamente, mostrando il piano desiderato. L’accompagno nell’ufficio di Harry e dopo aver bussato tre volte entro, come mia abitudine.

Harry sta leggendo l’articolo che gli avevo portato un paio di giorni di fa, un progetto importante, che aumenterebbe il prestigio del nostro ospedale.

-Harry ti volevo parlare dell’articolo, che come vedo stai leggendo, ma ho una persona in ascensore che gradirebbe il piacere della tua compagnia. Della ricerca ne parliamo prima dell’operazione di oggi pomeriggio- sorrido maliziosamente vedendo le facce di entrambi spiazzate. Lei si avvicina cautamente alla scrivania di Harry, e io le faccio l’occhiolino, sussurrando un “dicono che sia molto dotato” e le strizzo di nuovo l’occhio. Lei spalanca gli occhioni verdi, troppo truccati per i miei gusti. Esco silenziosamente. Prendere per il culo Harry è una delle poche cose che mi può sollevare. Ma appena varco le porte del mio piano, tutto ritorna triste.

-Dottoressa Ford, c’è un paziente che l’aspetta in camera 7. Dice che pretende la massima segretezza-

Lo specializzando dice ciò, biascicando un po’ le parole.

-Okay, vieni con me per mostrarmi il caso- dico dirigendomi verso la camera.

Appena entriamo Spencer inizia a blaterare.

-Zayn Malik, 36 anni, non sappiamo cosa abbia, ma è venuto qua senza un filo di voce e ha scritto che è sette mesi che è così. Presumo serva una ricostruzione delle corde vocali-

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Zayn POV

La mia mano trema troppo pericolosamente. La carta della rivista è troppo delicata per poter sopportare la mia rabbia.

Credevo di avere autocontrollo.

Credevo di poter provare solo pena per quell’essere inutile.

Credevo di non potermi realmente innamorare di quell’essere inutile.

Ma credo di dover rivedere le mie priorità. Ellen. Il suo nome rimbomba nella mia mente continuamente. Ellen. Solo un mese fa le avevo chiesto di sposarmi. Dopo tutto questo tempo.

Forse è questo il problema “tutto questo tempo”. In questo tempo in cui l’ho annoiata, evidentemente. E lei è andata da quell’ammasso di merda che è Harry Styles. Non è la prima volta che succede. Stronzo. E’ andato con tre mie ex. Sapevo che prima o poi la mia amicizia con lui mi avrebbe rovinato del tutto.

Flashback

“Harry, Louise, cosa state facendo?” la mia voce tremante, quell’immagine così chiara di due persone così all’apparenza oscure. Corro, come non ho mai fatto in vita mia. Poi qualcosa, anzi qualcuno blocca la mia strada. Uno, due, tre, dieci lividi sovrastano la mia faccia. Il mio aggressore colpisce con una violenza innata.

“Codardo” sussurra una voce, che fino a quel momento credevo pura, cristallina.

E se ne vanno. Provo a tirarmi su, appoggiandomi al muretto. Le mie braccia sono troppo deboli, le mie gambe collassano al peso del mio corpo senza anima. Cado, un rumore sordo si sente nel vicinato. Ma la mia testa non tocca il marciapiede bollente. Una mano, seppur delicata, la sorregge.

“Non ti preoccupare, ti porto in ospedale. Ci sono io qui con te” quella voce. Quella voce di cui mi sono innamorato.

Mi risveglio sotto delle coperte appiccicose, sudate, tra l’odore del disinfettante. Mi passo la lingua sulle labbra secche. Provo ad aprire delicatamente gli occhi e finalmente la vedo. I capelli castani che le ricadono scomposti sulle spalle abbandonate. Le mani strette in un pugno intorno alla mia. Un pugno di speranza. Noto che ha il trucco leggermente colato, ma è un particolare minuscolo in confronto alla sua bellezza. La gambe sono accartocciate vicino al petto. Dorme come una creatura irreale. Sbadiglia leggermente e apre gli occhi mostrando quel colore pieno di speranza.

Sorride, sorride con le labbra, con gli occhi.

“Ti sei svegliato” sussurra leggermente. Guarda un attimo le nostre mani intrecciate e fa per ritirarle, quasi impaurita.

“Oh, non lo fare, ti prego. Comunque io sono Zayn, grazie per avermi salvato” le sorrido e lei annuisce.

“Io sono Ellen” la sua voce è pulita. E’ meravigliosa la sua voce. Abbassa di nuovo lo sguardo, silenziosa. Noto il suo sorriso attraverso capelli lisci.

“Oh, Zayn, ti sei svegliato. Devo chiamare il primario” la specializzanda, della mia età, più o menocon la coda di cavallo. Potrebbe sembrare bella, ma non è niente in confronto a Ellen.

“Emily presentami il caso” dice il primario alla specializzanda dai capelli rossi.

Salgo le scale come un fulmine. La mia casa non è mai stata così silenziosa. Eppure Mark mi sta chiamando da fondo le scale.

“Sir, la prego scenda” dice con voce pacata.

“Mark, sono stati qui? Quando ero in tour, loro sono stai qui, non è vero?” sbraito.

“Sir non lo so. Io ero in vacanza negli Stati Uniti dalla mia famiglia; chieda alle domestiche” risponde ancora una volta tranquillo.

“SAMANTHA, SOPHIE! VENITE QUI, IMMEDIATAMENTE!” sono fuori di me. La testa mi gira vorticosamente. Scendo le scale e le vedo avvicinarsi.

“Sono stati qui, non è vero?” chiedo con una calma impaziente.

“Sir, sono stati qui. Ma la signora ci aveva fatto promettere di non dire niente, sennò ci avrebbe licenziate” è Sophie, la francese a parlare.

“Me lo dovevate comunque dire” il mio tono sta ritornando rabbioso. “Siete licenziate da me”. E le invito ad uscire. Mark sta osservando la scena con gli occhi sgranati in uno sguardo troppo teso.

“Tu Mark no, sarai il mio braccio destro” E mi dirigo nella mia sala musica. Chiudo la porta a chiave. Prendo il pennarello dalla mia tasca e inizio a disegnare la parete avorio.

Ho bisogno della mia arte pazza per sollevarmi momentaneamente da questa pazzia.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Emily POV

Il primo anno di specializzazione è sempre il peggiore. Sei sottomesso a tutti, tutti ti mettono i piedi in testa. Ed io mi sono innamorata di uno di loro.

“Ford tu sei con me a chirurgia plastica” Jesse White. Quarto anno. Temuto per la sua freddezza. Amato per i suoi occhi verdi. Ed è con lui che ho iniziato ad amare la chirurgia plastica.

“Incidi qui. Brava. Sì, sei proprio brava Ford, sei portata. Potresti diventare un ottimo plastico.” Mi volto verso lui e fisso quel verde così bello, così pieno di speranza. Rimaniamo a fissarci ed è bellissimo. Due diversi paia di occhi verdi a scontrarsi.

“White, Ford lasciate stare gli occhi dolci e ritornate a lavoro” il supervisore ci richiama.

“Ne parliamo dopo” mi sussurra Jesse nell’orecchio.

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“Bravi ragazzi, chiudo io” il supervisore ci manda via, non appena concludiamo l’operazione.

“Vieni con me, Emily” Jesse mi prende il polso e mi conduce nella stanza del medico di guardia. Mi toglie il camice. E poi si toglie il suo. Siamo a petto nudo, ed io ammiro i suoi addominali scolpiti.

“Cosa, vuoi…” non mi lascia finire, appoggiando l’indice sulla mia bocca, invitandomi a stare zitta.

“Jesse”. E lo rifà. Ed io capisco. Silenzio e fai sesso. Mi tolgo velocemente i pantaloni, sorridendo.

Lui segue i miei movimenti con gli occhi che mi fissano in continuazione. C’è questo specie di legame indissolubile.  

Siamo nudi. Lui mi abbraccia e posso subito sentire il suo calore. La sua erezione pulsa sulla mia coscia scoperta. Mi solleva di peso e mi trascina sul lettino.

Sale sopra di me e sorrido. Inizia a baciarmi dolcemente le scapole e il seno. E poi arriva alla mia intimità. Solleva lo sguardo come se dovesse chiedermi il permesso di entrare. Io inarco il sopracciglio e Jesse sorride. Entra dentro di me con movimenti sinuosi, prima delicatamente, poi tutto d’un colpo. Gemo, sempre più forte. Questa è la cosa più bella del mondo.

Mi correggo su quanto detto stamattina.

Primo anno di specializzazione. Quello più bello, quello più magico. Quello in cui scopri il mondo.

Nuova vita, nuovo amore. Quello vero. Tutto è più bello quando hai venticinque anni. Vedi tutto ancora da scoprire, nonostante tu sia vicino ai 30. La soglia che ho paura di varcare.

Sei grande, ma non abbastanza per tutto.



 

--Due anni dopo—

“Sei pronta?” Mia madre mi fissa. I suoi occhi sono identici ai miei. I capelli rossi ora stanno diventando bianchi. Mi fa quasi tristezza. Vedere che mia madre sta invecchiando. Il suo viso che ha sempre cercato di sorridere, quello che le è sempre stato negato. Le è sempre stata negata la felicità. I suoi occhi stanchi mi fissano. Le sue rughe leggere peggiorano anche il quadro.

“No. Cioè non lo so” la mia voce è piccola piccola. Il mio sguardo è basso e fissa le scarpe firmate di raso costate 400£. Non oso fissarla negli occhi.

“Emily, guardami” dice con la voce dolce che le è sempre appartenuta. Sebbene sia sempre stata stressata, indaffarata in ufficio, lei ha sempre avuto cinque minuti per rivolgermi delle parole on quella voce che amo tanto. Quei cinque minuti erano dedicati soltanto a me. Ma non ce la faccio comunque a guardarla.

“Emily, guardami” ripete. E io mi decido a fissarla. Sta sorridendo.

“Lo so che sei preoccupata e che non sei pronta. Ed è un bene. Vuol dire che ci tieni. Al mio primo matrimonio non me ne importava. Io dovevo comunque sposarmi con lui. Che lo amassi o meno. Questo era il contratto,” gli occhi tornano a essere oscuri “ma poi ho conosciuto Juliette. E tutto è cambiato. In bene per certi aspetti, in peggio per altri. Ma non mi importava degli aspetti negativi dell’amore. Io volevo e voglio tutt’ora vivere e assaporare quelli positivi” Eccola. Lei è mia madre. Quella che vede il sole oltre le nuvole. Peccato io non sia così.

“Ora sono pronta mamma” annuisce e mi sistema il velo bordato in pizzo sulla nuca. Toc toc. Qualcuno ha bussato della porta della mia suite, così mia madre va ad aprire. Un uomo entra.

E lì il sangue mi si gela nelle vene.

“Emily, sei così bella…” il suo è un sussurro impercettibile.

“Chi sei tu?” chiedo accigliata, conoscendo la risposta.

“Emily sei troppo intelligente per questa domanda. Lo sai chi sono” e abbozza un sorriso. E’ più giovane di mia madre. Almeno di cinque anni. I capelli sono chiari e credo tendano al grigiastro. I suoi occhi sono i più belli che abbia mai visto. E il suo sorriso…

“Cosa ci fai qui? Il giorno del mio matrimonio?” domando, ancora più accigliata “Vuoi rovinarlo?”

Lui scuote la testa sorridendo. Ma poi torna serio troppo velocemente. I suoi occhi si inumidiscono.

“Emily, mi dispiace. I-i-io non volevo assolutamente abbandonarti. Ma prova a capirmi. Avevo vent’anni. E un corso di Medicina negli Stati Uniti. Io volevo poter vivere con te, con tua madre, ma ero troppo giovane e stupido” posso sentire il forte disprezzo di sé stesso nella sua voce. Mia madre se ne sta seduta sulla sedia, la testa nelle mani.

“Perché i discorsi di scusa sono sempre gli stessi? Perché sei qui? Perché…” non mi lascia terminare.

“Sono qui per accompagnarti all’altare. Solo questo e poi scomparirò dalla tua vita per sempre. Ma lasciami far fare questo” i suoi occhi bellissimi sono supplichevoli.

“Certo che lo puoi fare. Tu sei mio padre.” Sorrido e lo fa anche lui. Mia madre tira su la testa di scatto, quasi spaventata.

“Ne sei sicura? Eravamo d’accordo che ti avrebbe accompagnato James, tuo fratello”

“No, lui è mio padre. Lui mi accompagnerà all’altare” e il mio sorriso arriva alle orecchie.

In quel preciso momento Juliette si affaccia e annuncia si prepararsi che la cerimonia inizia.

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“Tu lo sai che non sono tanto bravo a parlare e a ricordarmi le cose sotto una forte pressione” Jesse sorride

“Quindi mi sono scritto le promesse su questo foglio di carta. Ma ovviamente l’inchiostro si è sciolto col sudore della mia mano. Oddio sono costretto a improvvisare. Allora Emily Ford se qualcuno dovesse chiedermi grazie a cosa ci siamo conosciuti io direi grazie a delle tette troppo piccole” la gente ride tra le lacrime e lo faccio anche io “perché lì, nella sala operatoria 3, ho capito che tu saresti diventata mia moglie. In quel momento in cui ti sei girata per accertarti del taglio che avevi appena fatto. Lì ho capito di aver trovato l’amore della mia vita” piango come una fontana. Oddio. Ora sta a me.

“Jesse White sei la persona più speciale del mondo. Sei pieno di sfumature e non vedo l’ora di conoscerle ogni giorno che passiamo insieme. Ogni giorni della nostra vita insieme. Io, Emily Ford, ti amo sopra ogni altra cosa” e ci baciamo. Il celebrante ci rimprovera perché abbiamo saltato un step. Ma non ci facciamo caso. Ci amiamo troppo.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Even when the night changes
It will never change me and you.

One Direction- Night Changes

Emily POV

"Liam vieni immediatamente con me" gli bisbiglio nell'orecchio.

"No! Perché dovrei?"

"Ho detto vieni e niente discussioni" ribatto rabbiosa.

"Okay" mi segue. Quando trovo un posto sicuro, dove nessuno possa sentirmi parlo con voce normale.

"Hai sempre intenzione di fare ginecologia?" chiedo con una punta di sarcasmo.

"Senti, non ho né tempo né la voglia di sentirti prendermi in giro. Oggi io e Niall assistiamo il dott. Roger. Quindi è una cosa importante, o me ne devo andare?" sbuffa.

"Ho paura di essere incinta. Devi farmi un'ecografia" Liam spalanca gli occhi e prendendomi per il polso mi porta in ginecologia.

"Non potevi dirlo prima, cretina?" domanda frettoloso.

"Scusa" bisbiglio.

Mi fa sedere sul lettino e inizia con la procedura.

"Congratulazioni tesoro! Devi dirlo a Jesse" dice per poi uscire e lasciarmi lì da sola, spaventata. Appoggio la testa allo schienale del lettino e inspiro.

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"Avvicinati" sussurro lievemente.

"Emily, ho paura" se ne sta lontano da me le mani abbandonate lungo i fianchi.

"Jesse, vieni qui" ci riprovo ma lui non vuole farlo.

"Ho paura" sussurra di nuovo, fissando fuori dalla finestra, fissando quel miliardo di macchine che passano sotto la nostra finestra. Guardo il viso radioso di mia madre. È fiera di me, me lo sento. Juliette è andata a casa, visto che è rimasta con me per tutta la notte, nonostante Jesse facesse il turno di notte.

"Ehi, tesoro" provo a richiamarlo.

"Ho paura" sembra quasi un sospiro. La sua voce è flebile, come non lo è mai stata.

"Amore mio..." pronuncio, cercando di avvicinarlo a me. Faccio cenno a mia madre di prendere la bambina. Chyler fa un verso, visto che si è separata per la prima volta da me.

"Jesse vieni qui" lui finalmente mi guarda. È stato vicino a me durante la gravidanza, il parto. Ma ora non capisco perché questa freddezza.

Si siede accanto a me e io lo bacio.

Un bacio lungo, passionale, sicuro.

"Ti amo" dice ai miei capelli.

"Anche io" gli rispondo sottovoce.

"Emily, ho paura di questa cosa. Ho paura di non essere bravo. Sono sempre stato un bambino. Emily, come posso fare?" i suoi occhi verdi sono lucidi e brillano sotto la luce a neon della mia stanza.

"Sarai fantastico. Ma ora prova a prenderla in braccio". Mia madre si avvicina di nuovo a noi e porge la bambina a mio marito. Lui la stringe tra le sue braccia e annusa il suo profumo. La porta davanti alla finestra e inizia a parlarle piano in modo che io non senta.

"Sarà bravo"

"Ne sono sicura mamma" lei mi abbraccia.

"E lei sarà felice. Perché lei avrà entrambi i genitori" dice con una punta di delusione.

"Mamma, non è solo colpa sua, lo sai bene" la rimprovero, provando a capirla. Ma so che non ci riuscirò mai.

Guardo di nuovo mio marito e mia figlia, non sperando di meglio. Assaporo questo momento felice.

-

"Certo che posso entrare! È mia figlia quella e quella è mia nipote!"

"Signore, l'orario di visita è terminato" l'infermiera guarda torva quell'uomo sulla cinquantina che mostra ancora una beltà particolare. L'uomo sbuffa.

"Sa chi sono io?" chiede spazientito all'infermiera.

"Certo che lo so. Dottor. Smart" lei incrocia le braccia.

"Bene, allora mi faccia entrare o la sospendo" la sua voce minacciosa non fece sciogliere Suzie.

"Suzie fallo entrare" le dico dal letto, sperando che possa sentirmi. Lei mi guarda dalle fessure della finestra e sbuffa

Michael entra, con quel bellissimo sorriso sulla faccia.

"Scusa se ti ho svegliato" sussurra. "Volevo vederla" e posa gli occhi sulla bambina. 

"Puoi prenderla" gli dico. "Tanto tra poco si sveglierà comunque" E sorrido. Lui mi fissa ancora per un po' e esita un pochino nel prendere la piccola.

"Come si chiama?" sussurra, mentre le dondola tra le sue braccia forti.

"Chyler" gli dico. Lui sorride di nuovo e culla la bambina.

"Benvenuta in questa strana famiglia Chyler" le dice posando un dolce bacio sulla fronte. 

"Sono molto orgoglioso di te Emily" e io finalmente mi sento come Alice. Questo è il mio paese delle meraviglie.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Zayn POV

 

Basta un sorriso per innamorarsi di qualcuno. O uno sguardo? Non lo so, non me lo ricordo. Io però mi sono innamorato dei suoi occhi scuri. Del suo sguardo fatale. Del suo sorriso sexy. Del suo dolce naso. Delle sue orecchie sempre piene di orecchini, io mi sono innamorato della sua spontaneità. Mi sorride mentre prepara il mio borsone. Poi si morde il labbro, portandosi una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio. Chiudo gli occhi e la sento sbuffare lievemente. Sorrido, perché non le ci entrano tutti i vestiti nel borsone.

“Tutto okay?” chiedo con gli occhi ancora socchiusi.

“Oh, sì, certo, tu non ti devi sforzare, rimani a sedere finisco io” dice frettolosa, tirando nuovamente fuori i vestiti dalla borsa. Mi alzo dalla poltrona, stufo di stare fermo e mi avvicino a lei. La prendo per i polsi e tolgo le sue mani dalla borsa. La invito a sedersi e, sebbene lei protesti in un primo momento, poi acconsente. Ripiego con calma gli abiti e li sistemo dentro il borsone.

“Sei incredibile” mi sussurra dietro le spalle. E mi abbraccia. Sento il suo calore diffondersi in tutto il mio corpo.

“Lo so” sussurro. Lei ride e si separa da me. Prende le mie cose, dopo aver indossato il cappotto. Lo faccio anche io e ci dirigiamo verso l’uscita.

Sono così intento a guardarla camminare sicura, che non mi accorgo di andare incontro alla specializzanda dai capelli rossi e le lentiggini.

“Oddio, mi scusi” biascica veloce.

“Non è niente” le dico e proseguo dietro a Ellen. So che la ragazza è rimasta ancora qualche secondo a fissarmi, sento i suoi occhi verdi addosso. So che questo è durato solo una manciata di secondi, e che poi lei è scappata via.

---

Sono i momenti a caratterizzare la nostra vita. Ogni singolo momento è speciale e irripetibile. Ma noi crediamo che la vita sia uno scorrere lento o veloce di ore. Mi sono sempre chiesto perché tante persone pensano di cogliere l’attimo, di viverlo, quando sono solo spettatori. Io ho sempre saputo di essere spettatore della mia vita. Ellen, invece crede di viverla appieno. Soprattutto ora che ha appena ricevuto un paio di orecchini Chopard. Regalo dei nostri cinque anni insieme, ovviamente. Però c’è stato un momento, in cui i suoi occhi hanno avuto una tonalità molto più scura del normale. Un’ombra di delusione di affacciata sul suo viso, una piccola ruga è comparsa sulla sua fronte, per poi scomparire. Tutto in uno, o forse due secondi.

“Grazie amore mio” mi sussurra mentre mi bacia. Rimaniamo a momenti interi a baciarci, ad abbracciarci, come se si non ci si vedesse da mesi.

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“Mi mancherai, amore mio” mi dice, mentre sono alla porta. Lei è sempre in pigiama, gli occhi assonnati, i capelli non sistemati, cioè Ellen, quella di cui mi sono innamorato. Semplice. Non quella che piano piano il mio successo, la mia fama, i miei soldi stanno trasformando. La bacio un’ultima volta prima di chiudere la porta e salire sul taxi per l’aeroporto.

Quando sono sull’aereo tiro fuori un foglio di carta stropicciata e inizio a scrivere. Le parole scorrono veloci dalla mia mano e si gettano sul foglio strappato dal quadernino dove scrivo le mie canzoni normalmente.

“Signore siamo arrivati” l’hostess si è avvicinata. Scendo dall’aereo con le cuffie nelle orecchie, per evitare di sentir gridare.

--

Sono pronto a salire sul palco. Respiro un’ultima volta profondamente e salgo tra gli applausi delle ragazze che gremiscono sotto di me. Prima di attaccare col pezzo, come d’abitudine, le fisso. Tutte adolescenti con cartelloni e facce disegnate. Il mio nome è ovunque. Poi una cosa mi dà all’occhio.

Una coda di cavallo rossa, le lentiggini, il camice azzurro, pulito, gli occhi verdi, spersi.

E’ a qualche metro da me, i capelli mossi sciolti sulle spalle, gli occhi resi incisivi dal trucco scuro. Quegli occhi che sei anni fa erano spersi, ora sono tenaci, sicuri. Tra tutte quelle ragazze saltellanti riconosco quella che mi ha salvato la vita. Lei, al contrario di quelle che le stanno intorno è immobile e mi fissa negli occhi.

“Zayn sarà il suo sguardo a farti innamorare”

Ecco come disse mia nonna.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Emily POV

Qualcuno una volta mi disse che scegliere la specializzazione di chirurgia sarebbe stato estremamente facile. Beh, si sbagliava di grosso.

Sì perché in quei cinque anni in cui cresci, impari, sbagli devi capire cosa ti attrae di più.

Il mistero di Neuro.

La perfezione di Plastica.

L’armonia di Ortopedia.

La funzionalità di Chirurgia Generale.

Il ritmo, la musicalità di Cardio.

I miracoli di Pediatria.

Il brivido di Chirurgia d’urgenza.

Io quando ho iniziato la specializzazione avevo solo un’idea per la testa. Neuro. Sarei diventata un neurochirurgo di fama mondiale. Evidentemente mi sono sbagliata. In cinque anni ho capito che quello che serviva a me era semplicemente la perfezione. Tutto doveva coincidere, doveva sembrare sublime. E solo la mia mano poteva farlo sembrare tale. Jesse mi diceva sempre che avevo la mano dello scrittore, del poeta, che viaggiava sicura sulle imperfezioni. Che creava miracoli. Creavo cose inaudite. Sapevo dare sicurezza a chi non ne aveva per niente. Poi presi la seconda specializzazione in Otorinolaringoiatria. Ma non era magica come Plastica. La mia mano non ha mai tremato così forte come adesso. Devo semplicemente firmare. E sarà tutto finito. Il mio matrimonio perfetto è finito dopo nemmeno dieci anni. Questo sarà per sempre il mio più grande insuccesso. L’unica imperfezione che mi bloccherà a vita. Guardo Jesse, notando che è nella mia stessa situazione. Si passa la grande mano sulla testa rasata e sbuffa. Per la prima volta mi fissa diritto negli occhi. Il suo acquamarina così chiaro, limpido entra in contrasto col mio verde scuro, macchiato dal nero. Ho gli occhi come Harry. L’ho sempre pensato. Per questo odio così tanto i miei occhi.

Mi mordo violentemente il labbro, creandomi un taglio. Continua a muovere lo sguardo nervosa da Jesse a Sandra, il mio avvocato. Chiudo gli occhi e ripenso ai termini del divorzio. Cosa ci guadagno? Niall, la casa a Londra e in Italia. Cosa perdo? Troppo. Mia figlia, mio marito, la casa a New York e a Dublino. Riapro gli occhi e noto che Jesse ha firmato. Devo farlo anche io? Veramente? Poi penso ad Anne, la nuova compagna di mio marito, ortopedica. Eravamo amiche. Eravamo. Abbiamo fatto la specializzazione insieme, ma poi l’ho scoperta a letto con mio marito. E lì la nostra amicizia è finita. Ma come biasimare Jesse. Io sono stata con Niall. Riporto lo sguardo al foglio di carta. Con un coraggio che non pensavo di avere siglo quel foglio con la mia firma, mettendo la parola fine al mio matrimonio. Do il foglio a Sandra e me ne vado. Un intervento mi aspetta.

--

Mentre mi passo vigorosamente il sapone sulle dita ossute sento la porta aprirsi.

“Oh, Emily, come stai?” La sua voce acuta entra nelle mie orecchie con un orrendo sibilo che cerco di dimenticare.

“Dottoressa Winters, sto bene grazie” rispondo gelida.

“Emily mi dispiace, oggi non deve essere una giornata facile per te” si avvicina a me, con lo sguardo da cucciolo abbandonato, con qualche ciocca di capelli biondi che le fuoriesce dalla cuffia colorata. I suoi occhi azzurri mi fissano costantemente e io non posso non sentire il disagio. Lei è un angelo. Una creatura magica scesa dal cielo a soccorrere Jesse nel merdaio che era finito sposandomi.

“Ah Anne, tu credi eh? Bene nel caso tu non lo sappia stamattina sono andata a firmare i fogli per il mio divorzio, visto che tu hai rovinato il mio matrimonio. E come se non bastasse devo operare con le persone che odio di più al mondo, tu ed Harry. Perciò non ti mettere a fare la crocerossina; non lo sei e non aiuti per niente” entro veloce nella sala, cercando di evitare lo sguardo divertito di Harry che mi fissa da un po’.

“E’ un grande chirurgo. Non la schernire così. Poi non eravate amiche?” chiede accennando un sorriso.

“Anche io sono un grande chirurgo. Lo sai anche te. Ma io non sono un’amante, cosa che a quanto pare va di moda in questo ospedale, no dott. Styles? Lei deve essere il primo a vergognarsene” lo fisso con aria truce, ma lui non sembra affatto presso alla sprovvista.

“Allora lei voci che sono arrivate su una tua storia con Niall? Cosa mi dici, eh, dottoressa Ford?” ecco il suo classico sguardo divertito.

“Sono falsità” mento.

“Lisa, chi hai beccato nella stanza del medico di guardia lo scorso mese?” chiede beffardo all’infermiere che posizionava con cura tutti i bisturi e le clamp.

“Dottore non posso dirlo” abbassa lo sguardo terrorizzata. 

“E dài! Non ti uccide nessuno eh. E’ solamente una dimostrazione pratica per la dottoressa Ford… Allora Lisa?” la fissa con quegli enormi occhi verdi, così belli, così profondi, così seducenti. Lisa mima un “mi dispiace, e si decide a parlare.

“Il primario di Chirurgia Plastica con il Primario di Cardio” non fa nomi. Ma quell’apposizione, quell’appellativo è troppo vicino al nome Emily Ford. Harry annuisce e chiede un bisturi, visto che sono arrivati anche gli specializzandi con Anne. Spero non abbiano sentito niente.

---

“Emily ti devo parlare” Anne si toglie la mascherina azzurra e mi fissa. Passano troppi minuti. E noi restiamo lì a guardarci. Mi sciacquo le mani, tolgo il sangue incrostato sui polsi.

“Non volevo andare a letto con Jesse” prova a dire tra le lacrime che scendono copiosamente sul suo viso candido.

“Basta mentire. Ormai l’hai fatto, noi siamo divorziati, perché evidentemente non riuscivamo ad amarci veramente. E poi chi lo dice che dagli amanti non viene niente di buono. Mio padre era l’amante di mia madre che era ancora sposata con un uomo. Lascia passare, non ho più voglia di discutere” ammetto stanca.

Mi passo stancamente la mano sugli occhi, sbavando sicuramente quel filo di eyeliner che i passo quotidianamente sulle palpebre. Ma adesso me ne importa poco. Anne stranamente mi abbraccia.

 

“Possiamo tornare amiche allora?” chiede timidamente alla mia spalla. Non rispondo, perché sono che lei sa già la mia risposta. Si stacca bruscamente da me, e io sento di nuovo tutto il mondo che riparte a girare nel senso giusto. Ma qualcosa intoppa il flusso. Anne mi bacia.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Emily POV

Non mi stacco per non ferire i suoi sentimenti. Li ho già feriti già abbastanza, anche se non a lei.

“Da quanto va avanti?” le chiedo allontanandomi.

“Da un po’” risponde abbassando ferita lo sguardo.

“Lo sai che hai imboccato un vicolo cieco?” domando e lei annuisce. La supero veloce ed esco da quella stanza che stava diventando opprimente. Cammino superando le infermiere che si parano davanti, cercando di essere meno scortese del solito con loro. Quando arrivo in sala d’aspetto per parlare con la madre della ragazza che è appena uscita dalla sala operatoria. Ma non c’è. Il suo posto è stato preso dalla stupida amante di Harry. Mi avvicino a lei con grandi falcate, cercando di mostrare un sorriso tirato.

“Harry non può venire adesso” le dico secca, chiara. Lei alza lo sguardo dal libro che stava leggendo e mi fissa con i suoi grandi occhioni scuri. Accenna un sorriso, mentre si passa la mano sui capelli castani, appena piastrati. Sembra una dea greca, bellissima, splendente.

“Non sono qui per Harry. Anzi volevo parlare con lei. Mia sorella, Josephine Benjamin, deve essere appena uscita dalla sala operatoria. La sua sala operatoria” e continua a sorridere.

“Esattamente” annuisco, spiazzata. “L’operazione è andata bene, la potrà vedere tra due ore” concludo, cercando di sviare da quella situazione in cui io avrei sempre perso.

“Oh non posso vederla adesso? Ho il volo per Parigi che parte tra due ore, per l’appunto” chiede, sbattendo le lunghe ciglia nere. Rimango a fissarla, quasi schifata per la sua stoltezza. 

“Ora Jo è sempre sotto sedativi. E’ inutile” rispondo acidamente. Lei abbassa lo sguardo, dispiaciuta. Si piega per raccogliere la borsa di Armani e fruga dentro di essa. Ne estrae un piccolo pacchetto rosso, infiocchettato.

“Dopodomani è il suo compleanno e io non posso esserci, perciò volevo lasciarle questo, posso?” la osservo dall’alto in basso, ma lei è superiore a me. Lei ha i capelli freschi di parrucchiere ogni giorno; lei ha le unghie laccate in modo a dir poco perfetto; lei ha un trucco che non cola neanche sotto un monsone.

“Va bene” acconsento e la conduco nella stanza di Jo in terapia intensiva. Ma così facendo, Ellen Benjamin passa davanti all’unica stanza che non doveva vedere. Si blocca, come se i suoi piedi fossero diventati blocchi in cemento. Rimane a fissare la camera privata di Zayn, con la bocca spalancata.

“Cosa ci fa lui qui?” domanda, girandosi verso di me. Mi mordo il labbro, avvicinandomi a lei, per prenderle il braccio e portarla dalla sorella. Ma lei rimane ferma in quella posizione.

“Non lo posso dire, signorina. Segreto professionale, mi dispiace” rispondo, meno dolcemente di quanto credessi.

“Me lo dica” ribatte testarda. Io faccio segno di no con la testa. Lei mi fulmina con lo sguardo ed entra nella stanza. Zayn sta dormendo. I suoi capelli scuri sono una matassa indefinita sul cuscino scuro. Le labbra socchiuse, gli orecchini, i tatuaggi.

Quando andai a vedere un suo concerto, quasi sei anni fa, era diverso. Era semplicemente un ragazzo. Lo si sentiva nella sua voce. Era calda e seducente, le sue canzoni erano speciali. Inutile dire che mi sono innamorata di Jesse con una canzone di Zayn. Era tutto così perfetto.

Odio l’imperfetto. E’ quel verbo così odioso che ti ricorda che quel bel momento è passato, ma non da tanto. Ti porterai, per tutta la tua miserabile vita, le ferite del passato, che sono raccontate all’imperfetto.

Ellen sta in piedi a fissare l’uomo, proprio come sto facendo io; gli occhi socchiusi, per evitare che delle lacrime colino, le labbra semiaperte, per cercare di parlare, ma le parole che si fermano sulla punta della lingua. E quelle parole non dette ti bruciano dentro per tutta la vita. Vorrei dire a Ellen di allontanarsi, di proseguire il percorso ed andare da sua sorella, ma quelle parole semplicemente rimangono rinchiuse dentro di me.

La vedo avvicinarsi al lettino, il passo cauto, cercando di non svegliarlo. Poggia la sua mano delicata e sottile su quella tatuata di Zayn e improvvisamente inizia a piangere in un pianto incontrollato. Le sue lacrime scendono veloci sul viso fragile, ancora giovane. Si porta i capelli dietro l’orecchio, mostrando una quantità eccessiva di orecchini, che partono dal lobo, per arrivare alla parte più alta. Mi avvicino anche io e finalmente riesco a vederla con chiarezza. Due righe di mascara nero appaiono sulla carnagione chiara.

“Scusa amore mio, scusa, perdonami” ripete sottovoce, una litania terribile.

“Cosa gli è successo? Ti prego Emily dimmelo! Tu ti ricordi di me, lo so. Sei stata tu la prima persona a consolarmi quando Zayn ebbe quell’incidente. Sono passati undici anni. Non riesco ancora a realizzare. Ti prego, Emily, aiutami. Poi non ti darò più fastidio” il suo sguardo è sincero. Non scorderò mai più il suo sguardo quando arrivò con l’ambulanza.

“Come stai?” mi avvicino alla ragazza che ha la testa nelle mani. Sono bellissime. Sottili, con qualche anello e completamente incrostate dal sangue. Piange come una bambina, dondolandosi.

“Starà bene?” mi domanda con voce rotta. Io annuisco, poco sicura.

“Ti porto a darti una ripulita” le propongo e stranamente acconsente.

“Non lo conosco nemmeno. L’ho trovato a terra, sembrava quasi in fin di vita” dice fissando il vuoto davanti a sé.

“Hai fatto la cosa giusta” la rassicuro con fare materno.

“Non so cosa abbia. E’ arrivato qui qualche giorno fa, senza un filo di voce. Dovrò procedere con una lunga e dolorosa per lui ricostruzione delle corde vocali, perché a quanto pare sono usurate” Ellen annuisce in silenzio.

“Grazie” mi sussurra. Ed esce dalla stanza. Vorrei seguirla, ma rimango fissa a guardare il mio futuro. Questo intervento metterà in ballo la mia carriera. Un errore e sono fuori dal mondo della chirurgia.

Mi abbasso in modo da arrivare all’altezza degli occhi chiusi di Zayn e gli poggio un leggero bacio sulla punta del naso diritto.

Rimarrà tutto un segreto, non ti preoccupare.

Le parole di quella sera mi rimbombano nella mente.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Zayn POV

“Perché mi vuole salvare la vita?” Questa domanda tormenta i miei pensieri. Alzo per un momento lo sguardo delle mie unghie mangiucchiate e mi concentro su di lei che sta leggendo davanti a me. I suoi capelli rossi dono raccolti nel suo modo abituale, lasciando che qualche ciocca le ciondoli sulle orecchie incorniciandole il volto. Una leggera linea di eyeliner le indurisce lo sguardo, in cui sono protagonisti gli occhi verdi. Con una mano si tortura il naso, mentre il suo sguardo scorre veloce sul libro. Rimango sorpreso dal fatto che potrei descriverla anche ad occhi chiusi.

“Perché mi vuole salvare la reputazione?” Ecco così mi pare più corretto. Perché senza voce si vive, sì. Ma per uno come me, un cantante, vivere senza voce, non è nemmeno sopravvivere. Scrivo quella domanda da un pezzo di carta che strappo dal mio quaderno e glielo tiro. Lei sussulta e lo spiega. L’angolo destro della sua bocca si alza leggermente.

“Zayn, sono un chirurgo. Il mio lavoro è salvare le vite” spiega con calma tirata. E ritorna a torcersi il naso lentigginoso con le sue fantastiche dita lunghe. Scuoto la testa e le lancio un altro bigliettino.

“Zayn, non lo so. Sei tu che sei venuto qui da me. E quindi io devo salvarti la vita, la reputazione. Cristo Zayn, che domande di merda fai?” sbuffa, ributtandosi nella lettura. Sospiro, lasciando perdere questo discorso.

“Sono una tua fan, Zayn” inizia a parlare, non smettendo però di mantenere il contatto visivo con il libro. “Lo sai anche tu. Lo so che te ne ricordi. Sono passati solamente sei anni, te ne devi ricordare. Era il tuo ultimo concerto. Cantavi con quella delicatezza che solo tu hai. Mi piace quando canti; gli occhi chiusi, il sorriso. Ma quella sera fu speciale: tu non avevi gli occhi chiusi, guardavi me. Mi fissavi negli occhi.

Io ovviamente ero stupita, non credevo che dopo sei anni tu te ne ricordassi. Invece i tuoi occhi erano fissi sui miei. La serata più bella della mia vita” finalmente mi degna di uno di quei bellissimi sguardi. Rimaniamo a fissarci per tutto il tempo necessario per entrambi. Poi il suo cercapersone suona e lei mi saluta, per andare a tagliuzzare qualcuno.

Emily POV

Zayn si ricorda di me? Mentre gli parlavo, speravo che lasciasse trapelare qualche emozione da quel guscio da duro che lo riveste. E invece io parlavo come una stupida e lui mi fissava, apatico. Né un sorriso né niente.

Mi sfrego il sapone sulle dita con forza, per poi sbatterlo dalla rabbia nel lavello.

“Ehi calmati tesorino!” e una risata. Riconosco questa voce. Una voce che non sentivo da troppo tempo. E’ tornato, non ci posso credere.

“Louis!” gli getto le braccia intorno al collo e lo stringo forte, non curandomi del fatto che lo stia bagnando tutto.

“Eh sì, sono tornato” mi sorride. Louis è tornato. E con lui sono tornate la gioia, la spensieratezza di quando eravamo soltanto specializzandi.

“Come mai sei tornato?”

“Beh, New York non mi faceva impazzire, mi mancava l’Inghilterra. Ed ora questo ospedale avrà un nuovo chirurgo pediatrico”

“Oh pediatria, ma è fantastico! L’ho sempre saputo che fossi adatto per stare con i bambini. Ti dovrei far conoscere Chyler, tu” mi blocco a metà frase, per evitare di impazzire e quindi piangere di nuovo.

“Chi è Chyler?” domanda col sorriso stampato sul volto. Vederlo parlare così della mia bambina mi fa salire le lacrime agli occhi.

“Dio, sei stato via così tanto tempo, Louis. Chyler è mia figlia”. Spalanca gli occhi per la sorpresa.

“Perché non mi hai mai detto nulla a riguardo?” ed adesso cosa dico? Odio mentirgli.

“Non lo so. Avevo paura, non lo so. Cavolo, Louis, mi sei mancato così tanto. Ma adesso raccontami di tu” Sorride. Ed i suoi occhi brillano.

“Ho finito la specializzazione a New York, dove ho incontrato Amelia, mia moglie, una scrittrice, da cui ho due figli, gemelli: Emma e George. Posso considerarmi felice” annuncia e io annuisco silenziosa. Solo io mi sono beccata la sfiga del marito traditore e di non essere considerata una buona madre.

“Scusami, ho un’operazione, ci vediamo dopo” mi metto la mascherina e mi infilo nella sala operatoria.

Zayn POV

Sta parlano con un chirurgo che non conosco. La vedo sorridere e abbracciarlo. Cristo, proprio davanti alla mia stanza si dovevano mettere. Mi alzo in piedi per chiudere la tendina, ma un fitta acuta mi colpisce il petto, mi accascio a terra, mentre le macchine a cui sono collegato iniziano a emettere un rumore fastidioso.

Beep, beep

Chiudo gli occhi, addormentandomi in un sonno rilassante.

 “Libera!” la sento urlare e una scarica mi attraversa interamente.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Emily POV

“Emily non c’è più speranza, ormai” la voce di Niall è puntigliosa, fredda. Non gli do ascolto e faccio caricare le piastre un’altra volta.

Zayn, per favore. La tua morte dipende solo da te. Sei tu a decidere se vivere o morire. Ma ti prego non farlo. Vivi per me

Niall è sopra di me, mi fissa dall’altro con il suo sguardo superiore. La sua voce mi martella. La sua scarsa speranza, il suo amore per la medicina. La sua cecità per questo mi uccide.
“Ti prego, ti prego, ti prego” il mio sussurro è angosciante. Una scarica elettrica fa vibrare il corpo di Zayn. Un ultimo grido di speranza si sente dentro di me. Un grido disperato, l’ultimo. Un grido talmente forte che riesce a prendere Zayn dalle mani della morte. Ed anche io sono di nuovo viva. Aiuto le infermiere a tirarlo su e metterlo nel letto. Intanto sento la voce di Niall ordinare una TAC per individuare eventuali problemi cardiaci. Avvicino la mia bocca al suo orecchio in modo che solo lui possa sentirmi.
“Non farlo mai più ti prego” Lui mi passa leggermente una mano tra i capelli, come per acconsentire.
Sento bruciare sulla mia schiena lo sguardo di Niall, ma faccio per non pensarci. Lascio la camera totalmente persa nei miei pensieri.
“Non è un paziente normale, posso notare” Niall legge la cartella che tiene in mano, non mi guarda nemmeno. Ed io ho tanto bisogno di un suo sguardo. Così mi avvicino le gli poso un leggero, impercettibile bacio sulle labbra.
“Non essere geloso. Ci sarai sempre e comunque te, prima degli altri” mi posa la mano sulla guancia e sorride. Mi bacia di nuovo e poi si stacca bruscamente per rispondere alla chiamata del cercapersone. Ed improvvisamente mi sento vuota. Ho giudicato Anne, Ellen come ehm, donne di facili costumi, (non conoscendole bene, evidentemente) comunemente chiamate troie, e poi ne sono io la portabandiera. E poi è scientificamente provato che è impossibile amare più uomini nello stesso periodo, no?

Ellen POV

Guardo le luci della città brillare dal finestrino dell’aereo. Amo Parigi, la mia città. E pensare a quando ci tornerò mai mi fa venire il voltastomaco. Non posso vivere a qui perché Harry mi aspetta in Inghilterra. Zayn una volta mi propose di lasciare tutte le nostre carriere e di scappare dal mondo. Di scappare dai riflettori, dai flash. Di essere solo Zayn e Ellen, di sposarci, di avere una famiglia, di vivere come persone normali, cosa che nemmeno tutti i nostri possedimenti messi insieme avrebbero potuto comprare. Ma lui era ubriaco. Ha detto quelle cose con l’alcool che gli annacquava i sensi, la ragione. E per un momento è stato bello perché ci credevo davvero, come una bambina. Ma come tutti i momenti sono destinati a morire. A far franare un sogno. E il momento dopo vedevo i suoi occhi lucidi, spersi. L’uomo che conosco non si sarebbe mai ridotto così. Sento già le lacrime bruciarmi gli occhi, come ogni volta che ci penso. Mi sorprendo a scoprire che questo accade almeno una volta al giorno. Per dimenticarmene provo a chiudere gli occhi e addormentarmi, ma non ci riesco. E così rimango a fissare la mia città, il mio sogno, la mia libertà, allontanarsi.

Zayn POV

Non voglio morire. E’ la cosa più straziante che mi sia mai successa. Soprattutto sentirla piangere per me, un suo semplice paziente. Ma come dice il cardiochirurgo, per lei non sono per niente un semplice paziente. Il cardiochirurgo che ama. Mi ricordo che quando la conobbi, era sposata, aveva una figlia. Ma ora, ora non parla mai della sua famiglia, non parla mai di sua figlia. Ora ha gli occhi solo per il dottore biondo, dagli occhi azzurri, uno con un nome così insulso che non mi ricordo nemmeno. Mi chiedo chi sia suo marito. Se l’altro Chirurgo Plastico, quello con la pelle scura, o il Primario di Traumatologia. E poi finalmente capisco. Io passerò, come ha fatto suo marito. Io e lei, non avremo mai un futuro insieme. Siamo troppo simili tra di noi. Siamo due anime inquiete. Non staremo bene, non ci incastreremo come pezzi di puzzle, come farebbero lei e il dottore Comesichiama. Voglio scomparire dalla sua vita in più fretta possibile. Voglio fare quell’operazione.

Ellen POV

Un leggero movimento dell’aereo mi fa svegliare. Guardo fuori dal finestrino e vedo Londra. Sono arrivata a casa. Alla casa che mi ha cresciuta, alla casa che sento più mia di Parigi. Mi allaccio la cintura in vista della discesa. Chiudo gli occhi, non vedendo l’ora di arrivare a casa.
La macchina sguscia veloce per le strade trafficate. Abbasso leggermente il finestrino per sentire la brezza che mi accarezza i capelli, il viso. E vedo la gente che passeggia tranquilla per le strade, e io vorrei essere come loro. Vorrei poter andare in giro senza essere continuamente fotografata. Senza mai dovermi fermare per firmare autografi. E’ il mio sogno più grande. Le luci della città mi riempiono gli occhi di gioia. Natale si sta avvicinando e finalmente potrò rivedere i miei genitori. Il mio primo vero Natale, come quelli che si festeggiavano quando ero piccola, col cenone, la famiglia al completo. Vorrei che venissero anche i genitori di Harry, ma lui dice che è meglio di no. Non ci trovo niente di male in loro. Dopo un paio di volte ho lasciato passare. Quando dice di no è no. Ormai lo conosco.
Con Zayn i Natali erano molto tristi. Andavamo solo noi due in un ristorante costoso e basta. Ci scambiavamo i regali la mattina dopo, e poi non ci vedevamo quasi mai per il resto della giornata. O meglio questi erano i Natali festeggiati negli ultimi anni. E dalla nostra crisi, nacque la mia favolosa storia con Harry. E’ un uomo favoloso, sa amarmi in quel poco tempo in cui ci vediamo. Se in una giornata ci vediamo cinque o dieci minuti, lui sa come renderli speciali. Lo amo così tanto. Il flusso dei miei pensieri di blocca con l’auto. Sono arrivata. Harry è davanti alla porta di casa e sorride. Mio marito è l’uomo più bello del mondo. Corro verso di lui e lo bacio. In tre mesi mi è mancato moltissimo. Mi sono mancati i suoi occhioni versi, il suo sorriso magico, i suoi ricci castani che profumano costantemente di vaniglia.
“Mi sei mancata” sussurra dolcemente tra una bacio e l’altro.
“Anche tu” lo stringo forte come se da un momento all’altro potesse scomparire, come succedeva nei sogni che facevo a Parigi.
“Mammaa sei tornataa!” la vocina viene da dentro la casa. Thomas ci viene incontro e ci stringe le gambe con le sue piccole braccia. Strofina il naso sui miei pantaloni come fa sempre quando rivede qualcuno dopo un po’ di tempo. Io e Harry ci abbassiamo alla sua altezza e lui ci sorride, mettendomi l’indice sulla punta del naso.
“Tu sei la mia fidanzata, mamma” ridacchia e anche io lo faccio.
“Ma ehi” Harry protesta, col sorriso stampato in volto.
“Va bene, è tutta tua papà” e ci bacia entrambi. Passo una mano sui suoi riccioli crespi che sovrastano la sua testolina scura. Sì, adottare Thomas è stata la migliore che io ed Harry abbiamo fatto.

 


||Scusate ancora per l'enormità di tempo che è passata! Mi dispiace tanto...
Questo è un capitolo un po' particolare, perché oltre ad aggiungere il POV Ellen, sono voluta entrare nei dettagli della sua storia con Harry, per conoscere entrambi i personaggi che piano piano mostreranno grande profondità e importanza nella storia. Vorrei precisare che Thomas "Tom" Lucas Styles è adottato e che Ellen e Harry sono sposati. Vorrei ringraziare tutti i lettori che seguono la mia storia con costanza. Grazie! Grazie anche a quelli che (forse) l'amano (sempre che ci siano). Alla prossima,
Restart||

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Emily POV.

Le passi le dita tra i sottili capelli biondi e bevi un altro sorso di quel liquore così buono, che scende giù che è una bellezza. Me lo ricordo, lo portò Liam una volta che venne a casa nostra. Tu facesti quella faccia strana, storcesti il naso, perché non ti era mai piaciuto il Whisky. Lo poggiasti sul tavolo e ringraziasti comunque Liam. Eravamo sposati da pochi anni, Chyler aveva due o tre mesi. Avevamo fatto quella cena deliziosa e poi quando gli ospiti se ne andarono, ci sdraiammo sul divano e bevemmo il Whisky.

Dio come era buono.

Quando ho traslocato da Niall ho dimenticato di prenderlo. Ma ora vedo che ti sta tornando utile. Tu e Anne con la mia bambina. Parlate, lei leggete e siete una vera famiglia. Chyler è più figlia di Anne che mia. Odio pensarlo, ma è evidentemente così. Io sono rossa, tinta, ma pur sempre rossa e lei è bionda, bionda come Chyler. Mia figlia ha lo stesso colore dei miei capelli, ma anche di quelli di Anne.

Mi infilo la sigaretta in bocca e continuo a camminare. Devo smetterla di fermarmi davanti alla finestra della casa di Jesse quando vado in ospedale a piedi.

Oggi è il grande giorno.

Il giorno più importante della mia vita.

Oggi renderò la voce a Zayn.

-

Zayn POV

Allungo un po’ il braccio per arrivare al comodino. Mia sorella mia ha portato il mio quaderno e finalmente ho un po’ di tempo per scrivere. Lo apro dove ho lasciato il segno.

Merda.

Avevo messo l’anello tra le pagine del mio quaderno. E’ un anello particolare, sottile, in oro bianco, intrecciato. L’anello di famiglia.

Mi ricordo di quando l’ho messo qui. E’ stato due mesi prima che lei mi lasciasse. Mi ero deciso a sposarla, ma poi non ricordo perché non gliel’abbia dato.

Mia nonna me l’aveva dato quando avevo solamente diciassette anni, dicendomi che dovevo darlo alla donna che mi avrebbe salvato la vita. In qualche modo mia nonna leggeva il futuro.

Mi ero illuso che fosse Ellen. Lei mi aveva salvato dai miei aggressori, mi aveva portato in ospedale, mi aveva curato e protetto.

Dio quanto l’amavo.

La nostra sembrava una favola.

Lei era la mia principessa e io il suo principe. Vivevamo nel nostro castello in centro a Londra e andava tutto bene.

Poi lei ha iniziato a girare film, a diventare famosa, e io ho iniziato a fare concerti in Giappone, in Cina, dall’altro capo del mondo in pratica. E ci vedevamo raramente e io non ho fatto niente per tenermela stretta, perché ero così innamorato di lei che credevo, mi illudevo, che lei lo fosse di me quanto io di lei. Dovevo darle prima l’anello, farla mia prima.

Prima che arrivasse Harry e che me la portasse via. Che la sposasse lui che adottassero un figlio insieme.

Ero così concentrato sull’amarla alla follia, sul regalarle gioielli da migliaia di sterline che non sapevo che fosse sterile.

Dio quanto mi sento male.

Mi sento male per lei, perché dev’essere stata una tortura starmi vicina per così tanto tempo, cercando in me soltanto una cosa, cioè il matrimonio, una promessa per sempre, lei voleva fare solo una promessa. E io continuavo a vederla cinque minuti o nello schermo del computer e lei mi sorrideva, mi diceva che stava bene e io mi illudevo che così fosse veramente.

Per fortuna ha trovato la sua promessa in Harry. Sono contento che ora lei sia felice, ma oggi lo sarò anche io.

Da oggi voglio essere felice anche io.

Voglio vendere quella casa uggiosa e prendere un nuovo appartamento, voglio vendere l’unica cosa che ancora ci lega.

Mi rigiro tra le mani l’anellino in oro bianco e fisso costantemente il diamante incastonato. E’ un anello talmente sottile che può stare tra le pagine del mio quaderno senza dare troppo nell’occhio.

Un anello talmente sottile agli occhi di migliaia di persone non vale niente.

Per Ellen sarebbe valso più di una miniera di diamanti, ma io non ci pensavo, o forse avevo paura a impegnarmi. Ma adesso sono più maturo e sono pronto a darlo alla donna che amo.

L’infermiera e la specializzanda di Emily sono venuti a prepararmi per l’intervento. Sento i minuti gocciolarmi addosso, li sento scivolare via veloci, silenziosi.

La grande ora si avvicina.

Forse mi sono dimenticato come si fa a parlare, a cantare.

Questa è la mia più grande paura, non poter più cantare.

Come potrò dirle ‘ ti amo ’ senza le parole?

Come farò sognare migliaia di persone senza le parole?

Eccola che arriva, ha il camice scuro e sopra un altro coso, non so come si chiama. Ha la cuffietta verde lime e i suoi capelli rossi sono nascosti dentro di essa.

Mi sorride e i suoi grandi occhioni verdi splendono alla luce della stanza.

“Sei pronto?” Annuisco e sorrido, sperando che anche lei continui a farlo. E per un po’ rimaniamo così, a fissarci negli occhi e a sorridere all’ignoto, alla speranza, alla fortuna.

Chiudo gli occhi e appoggio la testa sul cuscino lasciandomi trasportare da lei.

Quando mi stanno iniettando l’anestetico penso all’anello che ho lasciato nel quaderno.

 

E sorrido al futuro.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


"Emily ti avevo avvisata dei rischi cardiaci, ma te come al solito non mi dai retta" mi guarda torvo mentre mi rimprovera. E' dall'altra parte del tavolo e cerca di tenere in vita Zayn.

"Gli volevo salvare il culo" ribatto testarda.

"Ed ora io gli devo salvare la vita" le sopracciglia eccessivamente incurvate che lo rendono ancora più misterioso. Uno sguardo che sicuramente non gli si addice. Al suo sguardo celestiale si addice il sorriso, la felicità. Non questo odioso sguardo da rimprovero. Infila la mano nel petto di Zayn e lavora sul suo cuore.

"Aiutami" il suo tono è quasi supplichevole. Mi avvicino al tavolo operatorio e lo aiuto con le suture.

Ho toccato il suo cuore.

Letteralemente

Il suo battito torna normale. Tiro un sospiro di sollievo.

"Se tu mi avessi ascoltato" sussurra Niall guardandomi con i suoi infantili occhioni blu.

"Ti odio" mimo, ma lui non riesce a vedermi, sebbene mi stai fissando.

C'è qualcosa di nuovo nei suoi occhi. Una strana ombra che li nasconde, che li rende oscuri.

Un velo di mostruosità che campeggia nel suo spirito. Ho sempre saputo che Niall avesse un lato oscuro. Ed ho sempre avuto paura di questo.

-

"Chyler!" Apro le braccia in modo che possa abbracciarmi.

"Ti eri dimenticata di andare a prenderla, vero, Emily?" Jesse ha le braccia incrociate e le sopracciglia aggrottate in un cipiglio rabbioso.

"Stavo lavorando" affermo, ed è la verità.

"Emily non è la prima volta che succede io non-."

"Smettila. Me ne ricorderò la prossima volta" taglio corto, chiudendo gli occhi.

"Caroline te ne sei nuovamente dimenticata" Philip stava davanti al portone di casa con le braccia incrociate. Aveva ancora la camicia da lavoro con le maniche rimboccate fino ai gomiti.

"Stavo lavorando" ribatté lei rigida. Teneva la schiena dritta, il mento fiero, lo sguardo duro, puntato contro Philip.

"Ogni volta stavi lavorando. E ogni volta ci deve andare Julia" avevano entrambi un carattere forte, erano entrambi molto testardi.

"Non è colpa mia se lei non lavora" lo stuzzicò Caroline.

"Torna da Jeanne, Caroline. Ci starà la prossima settimana con te" Philip sbatté sonoramente la porta

Emily stava giocando con James. Philip si mise a sedere di fronte a loro. Li guardava con un sorriso stampato in volto e lo sguardo orgoglioso.

-

Caroline Monica Ford penso che non sia stata una grande madre. La vedevo in media cinque minuti al giorno quando lei era ancora sposata con mio padre Philip. Quando poi si separarono un giorno alla settimana. Avevo nove anni e mio fratello otto. Mi affidarono a mio padre, quindi andavo da lei il sabato. La mia giornata con mia madre non era il massimo. Lei, sebbene avesse la giornata libera, andava e veniva continuamente dall'ospedale. Io stavo un po' con Jeanne che però doveva disegnare e un po' con Felicité, la figlia di Jeanne. Era una famiglia strana, la mia. In totale avevo tre madri e due padri. E due fratelli. Quando io tornavo a casa, ero felice. Ero felice di rivedere mio padre, Julia e James. Cenavamo insieme, ridevamo. Eravamo una vera famiglia.

Mio padre è morto quando avevo ventisei anni. Incidente stradale. Stava venendo da Manchester dove abitava, a Londra per la tesi di laurea di mio fratello. James pianse tutto il tempo che parlò il giorno dopo, anche se poi prese il suo fantastico 110 e lode. Penso che quello fu uno dei periodi più bui della mia vita.

Julia dopo qualche settimana tornò a New York dai genitori. Ora sta con architetto spagnolo e hanno adottato un figlio, Philip. Quando mi ha chiamato per dirmelo, ho iniziato a piangere. Philip ha quanto Chyler e qualche volta si sono visti.

Penso che la persona che abbia più sofferto per la morte di mio padre sia stata mia madre. Ha mantenuto il suo cognome da sposata, Ford sebbene fossero iniziate le pratiche del divorzio.

Caroline Monica Ford. Emily Callie Ford. Due persone diverse, ma incredibilmente simili. Ed oggi sono stata quella madre che si era dimenticata di prendere la figlia a scuola, ventisette anni fa.

"Grazie Jesse, sei il migliore" gli sorrido mentre raccolgo lo zaino di Chyler.

"Di niente" sorride . "So che domani è un giorno, ehm, particolare. Se vuoi stare con tua madre e James, la posso tenere io la bambina" si passa la grande mano sulla testa.

"Non ti preoccupare, Jesse. Penso che la porterò con me. Le presenterò suo nonno" abbozzo un piccolo sorriso e lui annuisce silenzioso. 
"Buon weekend, Emily" 
"Anche a te" prendiamo due strade diverse. Prendiamo due vite diverse.
-
"Ma perché hai scelto di aggiustare i cuori?" Chyler prende una patatina e se la infila in bocca, mentre guarda Niall curiosa, con i grandi occhi verdi fissi su di lui. Lui sorride .
"È una bella storia. Quando ero al primo anno di specializzazione, ho operato una persona al cuore, un mio amico, in una baita, con il solo aiuto dello strutturato al telefono. È stato abbastanza inquietante e difficile, ma lui è ancora vivo. È da lì che ho capito che avrei dovuto fare quello. Ne sono contento" sorride a mia figlia e prende anche lui una patatina.
"E chi era quel tuo amico?"
"Harry" lo dice con una note grave nella voce. Mi ricordo quel giorno. Eravamo tutti in quella baita in cima ad una montagna. Io, Niall, Harry, Liam, Louis e Anne. Era il periodo in cui io stavo ancora con Harry. Mentre noi eravamo a fare una passeggiata, Niall e Harry rimasero nella baita e fu orribile. Non oso immaginare quanto possa essere stato difficile per Niall.
-
Cammino per i silenziosi corridoi dell'ospedale. Alle quattro del mattino non c'è mai un gran fermento. Passo a dare un'occhiata ai miei pazienti, lasciandomi Zayn per ultimo. Sembra paradossale che non abbia nessun parente che venga a trovarlo. Dopo una settimana non è venuto nessuno a parte Ellen, quando operai Jo. 
Apro la sua porta delicatamente e noto che è sveglio.
"Buongiorno, hai dormito bene" annuisce.
"Zayn hai le corde vocali nuove di zecca, puoi parlare adesso" sorrido appena e lui non risponde. Rimane a fissarmi con uno sguardo perso. Dopo una manciata di minuti prende il quaderno dal comodino e su una pagina bianca scarabocchia qualcosa. Poi prende qualcosa che aveva infilato tra alcune pagine. Mi fa segno di avvicinarmi e gira il quaderno in modo che io lo possa leggere.
'Emily, mi vuoi sposare?'
Appoggia un anello sulla pagina e sorride.
Ha un bellissimo sorriso.
Lui ha un bellissimo sorriso.
Ha un bellissimo sorriso.
Ha un bellissimo sorriso.
Ha un belliss-

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Tenerife Sea – Ed Sheeran
Emily’s POV
“Ripetimi cosa è successo e come” Niall mi fissa dall’altra parte del divano, la mano stretta in un pugno e la testa appoggiata su di essa. E’ stanco, oggi è stata una lunga giornata e non ha voglia di stare a sentire le mie storie. Anche se i suoi occhi non dicono lo stesso.
“Mi ha chiesto di sposarlo” sentenzio a voce bassa. Lui sbuffa leggermente e si alza. Dopo aver fatto un paio di giri intorno al tavolino si risiede accanto a me, tenendo però le distanze.
“E tu che gli hai risposto?” mi guarda con gli occhi che luccicano e i denti che stringendo il labbro inferiore, non permettono ad esso di tremare.
“Lo sai cosa gli ho risposto” sbuffo scocciata. Lui si volta a cincischiarsi l’orlo della maglietta, mentre vedo il suo pomo d’Adamo salire e scendere velocemente.
“E come la rimedi adesso?” mi fissa nuovamente, e questa volta nei suoi occhi si s’illumina la speranza che io ritorni da lui. Scuoto appena la testa perché sono nell’indecisione più totale.
“Buonanotte, Emily, ci ritorneremo quando sarai cresciuta. Io l’ho fatto per te, tu lo dovrai fare per me” sbatte la porta della camera da letto e così capisco che è realmente arrabbiato con me. Mi alzo lentamente, prendo la borsa accasciata accanto al divano e me ne vado.
Londra è bellissima di sera. Mille luci, mille odori, mille rumori. I grattacieli che illuminata raccolgono tante storie. Mi piace inventare storie su cosa potrebbe essere successo a quei due che litigano furiosamente. E che cosa sta guardando quel bambino alla TV.E con chi sta parlando quella ragazza affacciata alla finestra.
Non volendo la mia passeggiata mi ha condotto a casa di Harry. Non so come mai, ma sono davanti alla sua bellissima villa, dove abita insieme alla sua bellissima Ellen, con il loro fantastico figlio Thomas. Fui la prima a cui Harry ne parlò, in tutto l’ospedale. Guardo l’ora per decidere se bussare o meno, non vorrei disturbare troppo. Lo venti. Infilo la mano in tasca e busso. Apre subito qualcuno, una domestica.
“Desidera?” mi chiede meccanicamente, per via del suo accento straniero.
“Cercavo il dottor Styles” dico velocemente, tanto da non rendermene conto. Mi pare impossibile che con tutti gli amici e le conoscenze che ho in questa città, io sia capitata proprio da Harry. Il mio acerrimo nemico, la persona che odio più al mondo. Ma come direbbe Juliette “E’ il destino”.
Ah beh, allora,
vaffanculo destino.
“Ehi, Emily, che piacevole sorpresa” è apparso davanti a me, con un infantile stampato sulle labbra.
“Smettila di fare lo sdolcinato, Harry, non ti viene bene, assolutamente” dico schietta. Lui sembra ritornarne in sé e mi fa accomodare nel suo studio.
“Va bene. Qual è il problema, dottoressa Ford? C’è qualche problema con il paziente dell’altro giorno?” chiede improvvisamente serio.
“Non propriamente” lui mi fa cenno di sedermi, mentre la domestica che mi ha aperto prima entra con un vassoio con sopra due tazze di thè fumanti.
“La signora desidera il latte?” mi chiede avvicinandosi a me. Scuoto la testa.
“Faccio da sola, non si preoccupi” le sorrido appena e lei ricambia. Harry le fa cenno di andarsene e lei gli obbedisce ciecamente.
“Da quando hai la domestica, Harry?” chiedo versandomi il latte nel thè nero. Lui mi passa lo zucchero prima di prendere parola.
“Ellen l’ha voluta. E’ comodo, può guardare Thomas quando noi siamo a lavoro. Ma ritorniamo alla questione del paziente. Cosa è successo? Ha qualche infezione?”
“Per l’amor del cielo, no! Sta bene, ma non so se l’intervento è andato bene. Lui si rifiuta di parlare” Harry alza lo sguardo dalla sua tazza e mi fissa negli occhi. Sento il suo sguardo ferirmi.
“Come è possibile? Non è quello che voleva?” chiede lentamente. Io alzo le spalle.
“Lo so. Ma non vuole parlare. Io non so cosa fare, seriamente. MI ha anche dato un anello chiedendomi di sposarlo”
“E tu?” alzo il sopracciglio e lui annuisce.
“Vuoi che ci parli io?” mi chiede in tono fraterno. Io mimo un grazie e mi allontano, lasciando la tazza di thè ancora piena.
-
La città luminosa inghiottì Emily. Si poteva vedere chiaramente il suo passo esitante e i suoi occhi pieni di lacrime. Le luci non erano abbastanza per poter illuminare il suo viso spento e stanco. Sembrava che le avessero succhiato ogni sentimento, ogni elemento umano. Era un corpo vagante per una città piena di corpi vuoti. Era paradossale, per lei, incontrare tante persone che condividessero il suo stato d’animo, se ancora ce l’aveva un animo.
Non aveva posto dove andare, era un corpo senza casa. Dopo qualche chilometro si tolse le scarpe che  iniziavano a farle male. Camminò per un tempo indefinito, facendo ciondolare le braccia intorno al corpo.
E non volendo arrivò a casa sua. I suoi piedi l’avevano condotta lì, senza che lei volesse.
Rimase impietrita davanti all’elegante portone per qualche minuto – o forse qualche ora, chi lo sa? Finché non decise di girare i tacchi e ritornarsene a vagabondeggiare in strada.
Ormai anche di Londra c’era rimasto lo scheletro. Ogni palazzo che qualche ora prima brillava, era rimasto senza vita. Tutti erano nelle loro case, a letto.
No, non tutti.
Emily era sempre sui marciapiedi deserti e salterellava come faceva quando era piccola.
Quando fu arrivata sul Tower Bridge si sporse dal parapetto, non per buttarsi, ma solo per ascoltare meglio il suono del Tamigi che scorreva. Un passante la chiamò impaurito e lei si voltò solo per rivolgergli un sorriso ebete, come quelli che fanno gli ubriachi, ma lei era perfettamente lucida.
Riprese a camminare, ma con più decisione. Sapeva dove andare.
La strada era lunga. L’asfalto pizzicava i suoi piedi nudi, ma lei non ci faceva caso. Sorrideva piena di speranza. Finalmente aveva un scopo. I pochi passanti la guardavano storto, e se ne fregavano. Per loro quella matta poteva fare qualunque cosa, basta che non rivolgesse loro la parola.
Era lì davanti. Corse veloce, ma qualcosa la fermò. Il cancello. Non aveva pensato né all’ora, né al fatto che fosse chiuso. Si tolse una forcina dai capelli e fece come le aveva insegnato suo cugino. Dopo un paio di tentativi riuscì ad aprirlo. Entrò e richiuse il cancello alle sue spalle. Gira due volte a destra, una a sinistra e poi tutto a diritto.
La tomba di suo padre era quella più nuova. Aveva anche la sua foto, una delle migliori. I fiori erano appena appassiti, ma tutto sommato a lei stava bene. Le bastava sentire suo padre vicino.
“Mi manchi. Tu saresti stato l’unico a saper trovare il bandolo della matassa. Nessuno sa aiutarmi. Nessuno sa capirmi. James è a Sacramento, si sta per sposare e non lo posso disturbare. Jesse è troppo impegnato con Chyler e Anne. Niall mi ha lasciata, Louis si deve occupare di due figli, Liam è a Monaco, Felicité non la chiamo nemmeno, rischio di prendermi qualche bestemmia, e la mamma. Lei è quella che ci capirebbe meno di tutti. L’unico è Michael, ma non lo vedo da quando è nata Chyler, potrebbe anche essere morto. Perciò mi rimanete e Julia. Papà, te lo dico a te, Julia la chiamerò domani. Non voglio disturbarla.
Sono innamorata di tre uomini, ti pare possibile? O forse quattro, contando Louis, che è la mia più vecchia cotta e tu lo sai. Il mio ex marito, Niall e Zayn. Jesse, ho iniziato ad amarlo di nuovo dal divorzio, che scemata. E poi Niall, lui mi trasmette tranquillità e una casa e infine Zayn” si fermò un attimo, raccolse qualche filo d’erba e se lo girò intorno all’ anulare. “Zayn è sempre stato il mio grande amore. Dalla prima volta che abbiamo fatto l’amore dopo il suo concerto, anzi, dalla prima volta che gli ho salvato la vita. E lui mi ha chiesto di sposarlo oggi. Gli ho fatto una ricostruzione delle corde vocali, ma non vuole parlare, perciò me lo ha scritto su un foglio e l’anello era lì. L’anello più bello del mondo, papà. Io lo amo, io amo Zayn. Dimmi tu, che devo fare” posò l’indice sulla foto di Philip e poi se ne andò, conoscendo già la risposta.







|Nota autrice|  secondo voi Emily ha accettato la proposta di Zayn o no?
Un bacio
Restart

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Emily's P.O.V.

"Penso che partirò" annuncio trionfante ad Anne. E' davanti a me, un tazza in mano che avvicina piano piano alle labbra carnose. Si ferma un attimo per fissarmi e poi scoppiare in una fragorosa risata.

"Stai scherzando, vero? Tu adori  Londra. Mi hai sempre detto che non saresti mai voluta andare via da qui!" ha gli occhi spalancati e le braccia aperte in una smorfia di sorpresa e incredulità. Annuisco tenendo il bordo della tazza chiara stretto tra le labbra.

"E dove pensi di andare?" si arrende ai fatti, portandosi una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio.

"Vorrei andare a trovare Julia a New York. E poi chissà, magari trovo un lavoro più redditizio che qui" tengo il fondo della tazza poggiato sul palmo delicato della mia mano e per poco non mi ustiono.

"Mi stai prendendo per il culo" scuote l'indice in segno di dissenso continuando a bere il liquido scuro che dovrebbe essere caffè. "Mi vorresti lasciare qui, a Londra, con questa banda di chirurghi pazza e scatenata? Seriamente? Se mi vuoi bene, portami con te, per favore" arriccia il labbro inferiore e avvicina il suo volto al mio. Rido divertita per la sua reazione eccessiva, ma scuoto la testa.

"E Jesse? Sarebbe strano, molto strano, e poi voi state preparando un matrimonio, no? Ma dai, Anne" distolgo lo sguardo dal suo viso, concentrandomi sul bordo del tavolino sporgente.

"Sì, beh, sarebbe abbastanza imbarazzante... "Chi è quella lì?" "Oh è solamente la futura moglie del mio ex marito" non vorrei essere al tuo posto" ride nervosamente. Finisce in un sorso il suo 'beverone' e si alza di scatto.

"Ci avviamo? Continuerai a parlarmi della tua strana idea all'intervento di Niall" mi sta porgendo una mano e io la stringo dubbiosa. La strana è lei.

*

Per arrivare alla Sala 1, dobbiamo obbligatoriamente passare dalla camera di Zayn. Non sono ancora mentalmente pronta nel vederlo. Mi trema la mano, perciò la infilo nella tasca del mio camice bianco.

"Ei, ma cosa hai?" mi chiede Anne, voltandosi.

"Niente" mento continuando a guardare la sua schiena. Cerco in tutte le maniere di non voltarmi alla mia destra, rischiando di incrociare il mio sguardo con quello malinconico di lui.

"Se lo dici tu" alza le spalle, prima di ficcarsi le mani nella maglia per tirarsi fuori la matassa di capelli biondi che era rimasta dentro. Proseguiamo a passo lento, ma ben cadenzato, finché non ci fermiamo. Per un attimo non capisco il motivo, ma poi sì. Zayn è in piedi davanti a noi, col il suo completo firmato e il cappotto scuro che gli sta dannatamente bene.

E' così sexy

Per il momento è l'unico pensiero che mi frulla in mente. Scuoto appena la testa come per scacciarlo, ma quello rimane ben arenato lì dove si trova.

Mi fissa con gli occhi spalancati e la bocca socchiusa. Con una mano stringe il borsone, nell'altra non lo so. E' stretta in un pugno talmente forte che le nocche sono diventate bianche. Fa male rivederlo. Mi sento una sensazione maligna che mi graffia lo stomaco.

Anne muove velocemente lo sguardo da me a lui e trattiene il respiro.

"Ehi" dico con un soffio. Lui alza la mano in cenno di risposta. Siamo a tre metri di distanza, ma io vorrei che fosse di meno. Rimaniamo a fissarci, in un silenzio eccessivo, veramente troppo sil...

Mi sta baciando.

Le sue labbra fresche colpiscono voracemente le mie, e io mi sento senza respiro. La sua mano è scivolata dietro il mio orecchio, alla mia nuca, mentre l'altra si sta operando a scorrere freneticamente lungo la mia spina dorsale. I suoi capelli mi graffiano la fronte, ma non mi importa. Un mia mano lo sta tenendo stretto per la vita, mentre l'altra è alla ricerca di quella che mi sta consumando la schiena. Faccio intrecciare dolcemente le mie dita con le sue. Quando finalmente si stacca per prendere il respiro, io distolgo lo sguardo verso Anne. Ha la bocca aperta, spalancata, ma quando si accorge che la sto guardando sorride eccitata e applaude insieme a tutte le infermiere che hanno assistito alla scena. Riporto lo sguardo agli occhi nocciola di Zayn. Mi sta sorridendo, non solamente con la bocca, ma con tutto se stesso.

"Dimmelo e sarò tua" gli sussurro nell'orecchio. Lo sento irrigidirsi improvvisamente e si stacca da me. Ora la nostra distanza è diventata troppa, nuovamente. I suoi occhi sono colmi di lacrime, so che mi vuol dire qualcosa. Scuote la testa e se ne va.

Io rimango ferma su quella mattonella, la stessa degli ultimi dieci minuti. Tutto intorno è diventato freddo, discostato. Anne mi passa lentamente un braccio intorno alle spalle, appoggiando la sua tempia alla mia.

Ormai siamo rimaste noi due. Tutte le infermiere si sono dileguate, imbarazzate per me, della scena.

Ricominciamo a camminare, con un passo forse più lento del precedente.

Ma qualcosa mi ferma.

Un piccolo luccichio a terra attira la mia attenzione. Mi accuccio in modo che il sedere sia premuto sui miei talloni. Nel fare questo movimento le ginocchia schioccano appena, segno che i quaranta si avvicinano. Merda.

Sto invecchiando.

Un diamante semplice e puro, incastonato nei fili intrecciati d'oro bianco che gli fanno da crisalide.

Un anello bellissimo, il suo.

Il mio.

Il nostro.

Me lo faccio roteare tra le dita, soffermandomi all'anulare. Lo faccio scivolare lentamente, con cautela, con la costante paura che lui potesse tornare indietro a recriminarlo. Lo osservo scintillare con una punta di orgoglio mista alla forte malinconia. No, non malinconia, rimpianto. Rimpianto di non aver accettato, di aver bisbigliato quel no stropicciato insieme a qualche lacrima ed essere corsa via.

Ho il rimpianto di non averlo accettato, anche senza voce.

Ma la voce ce l'ha, per la miseria! Dodici ore sotto i ferri, sarebbero dovute bastargli per una vita intera, per calcare i palcoscenici di tutto il mondo.

"Ehi, cosa c'era per terra?" la voce limpida e cristallina di Anne fa scoppiare la bolla di solitudine che con tanta cura e calma mi ero costruita intorno.

"Ehm, niente di importate" mento spudoratamente, mentre mi infilo l'anello nella tasca del camice, insieme a tutte le cose importanti. Rimarrà per sempre un segreto tra me e lui.

"Allora sbrigati che voglio vedere l'intervento di Cardio, e poi mi devi spiegare il tuo piano idiota di andare negli States" borbotta allegramente lei. Mi porge la mano per la seconda volta nelle giornata e, per la seconda volta nella giornata, io gliela stringo, lasciandomi aiutare.

*

"Dammi il camice, su! Che lo do a Rebecca per lavarlo!" sbraita tendendomi la mano. Lo fisso per un attimo incerta sul da farsi, e poi glielo cedo. Ingenuamente.

Comincia a frugare nelle tasche larghe e capienti, togliendoci di tutto e di più. Una penna malandata, dei fazzolettini di carta, un block-notes, l'orologio che mi metto ogni mattina, ma che poi mi tolgo perché mi dà fastidio, la fede in oro bianco, inutile ormai, e poi lui.

L'anello.

Niall tiene l'anellino delicato stretto tra l'indice e il pollice, una morsa velenosa, tanto da fargli divenire i polpastrelli più chiari. Gli occhi azzurri sono fissi sul minerale, quasi ipnotizzati.

"Che cos'è questo?" chiede con la voce tremante. Poi allunga l'altra mano, dicendomi di zittirmi.

"Hai detto sì? Dopo che l'hai dimesso, hai accettato di sposarlo?" chiede a bocca aperta.

Silenzio.

Paura

Timore.

"No, ho scelto te" vedo formarsi il sorriso sul suo volto pallido. Si avvicina e mi bacia dolcemente.

Ed io vorrei che quelle fossero le labbra di Zayn.

In cuor mio, ho scelto lui.

Ma questo è un segreto nascosto accuratamente dentro di me.

 

 

 

 

 

||NdA||

Non so come mai, ma adoro questo capitolo. E' quello che preferisco in tutta la storia, insieme al 6.

Mi piace, perché finalmente i sentimenti di Emily vengono chiariti anche se non realizzati.

Un bacio, 

Restart

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Tonight let’s get some, and live while we’re young

One Direction – Live While We’re Young

 
C’è un orologio qui vicino a me.

Sta battendo lentamente il ritmo del mio respiro, che diventa ogni secondo sempre più affannoso.

Chyler è con me

Lei è con me.

E stiamo scappando a New York.

Jesse lo sa, Anne lo sa. Sanno che stiamo andando due settimane da Julia. Solo due settimane, io e la mia bambina.

     “Mamma, ma quindi papà e Anne si sposano veramente?” la voce di Chyler interrompe i miei pensieri in una maniera troppo brusca. Fino a quel momento non avevo mai pensato sul serio al matrimonio di Anne. Perché l’ho sempre chiamato il matrimonio di Anne. E non quello del mio ex marito e della mia migliore amica.

      Loro si sposano e avranno un figlio. E io non farò niente. Sarò solo una triste spettatrice di quella che sarebbe potuta essere la mia favolosa vita con un favoloso uomo e una favolosa figlia, in una favolosa casa… Insomma, sarei stata bene.

      Ma per qualche strana ragione io sarò sempre destinata a soffrire, anzi a farmi soffrire. Mi girerò e troverò sempre una grande solitudine, nessuno mi vorrà più e Zayn…

      Mi ha lasciata col cuore in frantumi. Non c’è nessun Niall che possa aiutarmi. Lui non può più aiutarmi, non può più alleviare il mio dolore e la mia solitudine. Lui fa parte del mio passato anche se non sono ancora riuscita ad ammetterlo, sia a me stessa che a lui. C’è sempre nella mia vita, anche se non vorrei. Eppure sento il bisogno di averlo accanto. Forse per svagarmi, o forse perché ne ho veramente la necessità. Mi giro lentamente e la cosa che vedo subito è lo sguardo chiaro di mia figlia. Ha i miei stessi occhi verdi scuro, ma puliti e innocenti come quelli di Jesse. Inclina un po’ la testa, aspettando una risposta alla sua domanda così ovvia e genuina.

      “Sì, si sposano” mi sforzo nel sorridere, constatando che alla fine non è così difficile ammetterlo. E’ come togliersi un cerotto. Più veloce lo fai e meno fa male.

      “E tu come stai?” mi passa delicatamente la manina sulla manica del cappotto, insudiciandolo appena dell’unto che ha sulle dita per via della focaccia che sta mangiando.

     “Sto bene, Cy, non ti preoccupare per me” le accarezzo la guancia piena e morbida e lei mi sorride.

     “Anne non sarà mai meglio di te come mamma” accosta la sua testa a me e io la stringo forte al mio petto, per sentire il suo calore avvolgermi. Lei sa. Ovvio che sa.

     “Sai, giovedì ho visto papà abbracciare Anne e piangevano tutti e due. Papà diceva che non vedeva l’ora di diventare di nuovo padre. Io li spiavo dall’armadio” fa una pausa per staccare un morso alla sua merenda, per poi riprendere: “Dev’essere bello essere la sorella maggiore, vero mamma?”

      “E’ fantastico. Devi sempre proteggere il tuo fratellino, insegnargli le cose importanti, ma anche gli scherzi. Dovrai sgridarlo per evitare che si metta nei guai. Tu sarai la sua guida” tira su la testa per fissarmi nuovamente.

      “Tu hai fatto così con lo zio James?” mi guarda leccandosi le labbra rosee e unticce.

      “Oh certo, io e Jamie ci divertivamo tanto insieme. Però litigavamo spesso. Su tutto. Ma alla fine facevamo sempre pace. Ti andrebbe di andare a trovarlo uno di questi giorni che siamo in America? Dovrebbe essere a Boston, potremmo andare a salutarlo” le propongo e lei annuisce. Dà un altro morso alla focaccia e appoggia nuovamente la testa sulle mie cosce. E mentre le accarezzo i capelli rossi, capisco che questo viaggio sarà grandioso.
*

       Arriviamo a New York che è piena notte. Chyler sta dormendo beata, con la testa sulla mia spalla e io a malapena mi reggo in piedi. E’ abbastanza freddo per essere aprile, ma tutto sommato va bene. Sto bene.

      Sono lontana da Londra, da Niall, da Jesse e Anne e soprattutto da Zayn. Una parte di me spera di non vederlo mai più, ma so che non è fisicamente possibile. Io dovrò rivederlo, sicuramente, perché lui si è portato con sé una piccola parte di me e io dovrò andare a riprendermela, perché lui non tornerà più indietro a riportarmela. Anche io ho una parte di lui, quell’anello così brillante che custodisco da così tanto tempo. Mi chiedo cosa stia facendo ora, se mi sta pensando come io penso a lui, se la mia immagine lo tormenta la notte come lui tormenta i miei sogni.

      Chyler abbraccia il mio collo con le sue sottili braccia e io la stringo di rimando. All’aeroporto scorgo immediatamente la figura snella di Julia, che ci sorride e ci saluta con la mano. La saluto anche io, felice di essere finalmente con la mia famiglia. La mia vera famiglia.

      “Ciao Emily” mi lascia due baci sulle guance e poi passa a osservare mia figlia. Le fa scorrere una mano sulla schiena mentre la scruta forse per trovare una somiglianza con me che non c’è. Chyler ha gli occhi verdi di Jesse, così come la pelle che non è lattea come la mia ma leggermente più scura. E per scherzo del destino è bionda, come lo ero io da piccola.

      “Lei è Chyler, vero? Com’è cresciuta…” mi guarda alla ricerca di ovvie risposte. Annuisco, sorridendo orgogliosa. Nonostante le braccia mi facciano male, non riesco a svegliarla per farla camminare. Julia mi sorride di rimando e mi indica l’uscita. Parcheggiata fuori sul marciapiede c’è una berlina nera che luccica sotto le centinaia luci della città che non dorme mai. Julia mi apre la portiera e io scivolo dentro, tenendo mia figlia stretta al mio petto. Sussulta appena quando la macchina parte, ma non fa cenno di svegliarsi. Mentre l’auto scorre veloce tra gli imponenti palazzi, io appoggio la fronte al finestrino gelido e guardo le luci scattare veloci vicino, ma allo stesso tempo lontano da me. Arriviamo al palazzo dove abita Julia in meno di venti minuti, cosa strana per essere nel cuore della Grande Mela. Chyler è in uno stato di dormiveglia, ma almeno si regge in piedi.

      Non appena entriamo in camera, ci buttiamo sul letto, addormentandoci di colpo.
*

Lo vedo nei miei sogni.

      Lo vedo camminare in quel viale coperto dai cipressi lunghissimi fino al cielo. Ha un cappotto grigio che gli arriva a metà polpaccio e che ondeggia lentamente quando lui cammina. Ha il passo lento ed è leggermente zoppo, come se avesse una lunga cicatrice sulla gamba destra. Tiene il bavero del cappotto alzato, in modo da nascondere la linea squadrata della mandibola. Le due grandi mani, morbide e calde, sono premute nelle tasche e gli occhi incorniciati da due eleganti occhiali da vista. I capelli scuri sono tirati indietro, come li ha sempre portati.

     Io cammino a breve distanza da lui, dietro, tenendo gli occhi fissi sulla schiena ricurva. Le spalle larghe si chiudono appena in segno di timidezza e chiusura verso il mondo che lo circonda. Lo osservo ciondolarsi e guardare lontano, in fondo al viale che sembra non avere fine. Una leggera brezza che viene dal mare ci accompagna in quella che sembra essere una passeggiata infinita.

      Ad un certo punto di ferma e si volta verso di me. I suoi occhi sembrano ancora più scuri di quanto me li ricordassi. Le sue labbra sottili formano un sorriso rugoso, segnato dal tempo.

      “Bimba, cammini accanto a me?” mi guarda dolcemente, arricciando leggermente il naso e increspando le labbra: sa che io non so resistere a quello. Sfila con lentezza la mano dalla tasca e me la porge. Io lo guardo con un misto di felicità e incredulità e non esito a stringerla. Lui ricomincia a camminare ancora più lentamente di prima e inizia a mancargli il fiato. Lo vedo incurvarsi ancora di più e respirare affannosamente. Mi guarda, con le lacrime che bagnano i suoi occhi, la bocca socchiusa che cerca di dire una qualche parola.

      “Vai avanti da sola, bimba, non hai più bisogno di me” mi bacia la mano e prova a fare il più doloroso sorriso della sua vita.

      “Vai avanti. Io sarò sempre vicino a te” e un attimo dopo scompare nel nulla. Mi ritrovo a fissare quel punto dove fino a qualche momenti prima c’era l’amore della mia vita.

      “Ciao papà” sussurro prima che tutto diventi buio.
One day I’ll fly away,

Leave this to yesterday

-One day I’ll fly away, Randy Crawford
*

      Sento ancora il suo odore sulla mia pelle, sulle mie mani, tra i miei capelli. Sento la sua mano stringere la mia, proprio come quando ero piccola che mi accompagnava a fare una passeggiata a Saint James’s Park. Era vicino a casa nostra e per questo ci andavamo ogni giorno quando lui tornava da lavoro. Solo io e lui.

      Mi giro dall’altra parte e ora riesco a vedere fuori dalla grande finestra che incombe nella mia stanza. Gli alberi verdi del mio giardino nell’appartamento di Londra sono solamente un grande ricordo; qui ci sono solo mattoni. Qui quando soffia il vento non sento i rami sbattere contro il vetro, come se volesse svegliarmi per farmi andare a lavoro. Ma qui non è casa mia, non è la mia Londra, non è il mio letto, non c’è il mio lavoro, non c’è Zayn. Ma Zayn per me non c’è neanche in Inghilterra e quindi è bene che metta l’animo in pace.

      Un lieve chiacchierio mi risveglia da quello stato di trance in cui ero caduta e, malvolentieri, mi alzo. Chyler sta giocando con Philip nella porta accanto e io rimango lì ad osservarli senza disturbarli. Solo una stretta allo stomaco dettata dalla fame, mi dà l’incentivo per andare in cucina. Julia è proprio lì, intenta a sfogliare una rivista di gossip e a sorseggiare un thè bollente. Appena metto piede nella stanza, sussulta come se stesse pensando a qualcosa di molto più importante dell’ennesimo scandalo che dominava più di metà rivista.

      “Oh, ciao cara, dormito bene?” annuisco leggermente e provo anche a stenderle un sorriso di facciata, ma lei sa benissimo che c’è qualcosa che non quadra.

      “Chyler è sveglia da molto?” domando.

      “Si è svegliata poco prima di pranzo” si alza dalla sedia per guardarmi meglio “Stai bene Emily?” tiene gli occhi fissi su di me con aria preoccupata.

      “Stanotte mi sono sognata papà e sono sempre scombussolata. Mi manca troppo, Julia” le rifaccio il sorriso stiracchiato di prima, ma non è abbastanza per soddisfarla e calmarla. Scuote appena la testa e mi appoggia la mano magra sulla spalla.

      “Non è solo questo, vero?” i suoi occhioni scuri mi fissano con preoccupazione crescente. Le labbra sono strette in una smorfia che allude solo ad una cosa: paura.

      “È vero, non è solo quello. Julia è successa una cosa strana in questi mesi. Io” mi soffermo per soppesare bene quello che sto per dire. Sarebbe la prima volta che parlo ad alta voce del mio amore per Zayn, sono proprio sicura di farlo? “Ho conosciuto una persona” chiudo gli occhi e incurvo gli angoli della bocca, imitando un’espressione di felicità.

      “Ma…?” incurva le sopracciglia aspettandosi quello che c’è sempre da aspettarsi con me; il risvolto negativo.

      “Me ne sono innamorata. Ma ne sono innamorata da troppo tempo e ho paura che ho fatto male a scegliere Jesse tanti anni fa. Io… Non mi ricordo nemmeno più perché l’ho sposato. Ero giovane, un pesce fuor d’acqua, non avevo un punto fisso nella mia vita e ne volevo uno. Anche se in realtà lo avevo di già. Zayn era il mio punto fisso. Ed ora che l’ho ritrovato, lo sento distante; ora che sono libera, che non sono più sposata. Oh Julia, ho paura di aver fatto un terribile errore a respingerlo anni fa. Se tornassi indietro cambierei tutto”

      “Vuol dire che ti penti che io sia nata?” la candida voce di Chyler mi giunge alle spalle e mi fa gelare il sangue nelle vene.

      “Oh no, amore mio, non mi pento che tu sia nata. Hai capito male” provo ad abbracciarla, ma lei si scosta.

     “Hai appena detto che ti penti di aver fatto le cose proprio come le hai fatte. Ti penti di aver sposato papà, ma se tu non l’avessi fatto, io non sarei nata. E quindi tu ti penti di me!” due grosse lacrime scivolano sulle sue guance. In quelle due gocce d’acqua sono raccolte la fiducia e l’ammirazione che la mia bambina aveva per me. Sono scivolate via in un attimo.

       La vedo scappare via, Philip le va dietro a corsa. Anche io e Julia facciamo lo stesso, ma dopo qualche metro i due si confondono tra la folla. E scompaiono.









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Note autrice

Lo so, non ci sono scusanti per 11 mesi di assenza. Mi dispiace tanto, ma quest'anno oltre a trovare un buco libero per scrivere è stato difficile anche trovare l'ispirazione per scrivere qualche riga. 

Questo capitolo è stato scritto perciò in tre momenti diversi, ma la maggior parte negli ultimi giorni...

Spero che vi piaccia, 

Un bacione e  alla prossima,

Restart

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


       Mi sveglio di scatto.
       Fuori è freddo, troppo freddo e, sebbene le finestre siano state accuratamente chiuse, sento la pelle accapponarsi. Ho la bocca secca e il respiro affannoso.
       Non ricordo niente, mi ricordo solo di papà, del sogno e basta. Ma mentre mi guardo attorno e capisco di non essere nella mia scialba camera londinese, ma in una elegantemente ammobiliata dell’appartamento newyorkese di Julia, e i ricordi riaffiorano anche troppo dolorosamente.
       New York, Chyler, Philip.
       La mia bambina. Dov’è la mia bambina?
       Mi alzo velocemente dal letto, inciampando nel piumone che nella notte era scivolato a terra, come io adesso. La faccia rivolta verso la moquette beige pulita, il naso schiacciato dal peso della mia testa troppo piena di paure, di pensieri, di tormenti.
       Vorrei piangere, ma non ho più lacrime. Vorrei correre da Chyler, ma non ho più forze. Vorrei chiamare il suo nome, ma le parole mi si fermano in gola.
       Mi rialzo in piedi lentamente e, usando con parsimonia la mia esigua fonte di energia, mi avvio verso il bagno per darmi una rinfrescata. Cammino in punta di piedi, respirando pesantemente, mentre passo sopra le mattonelle gelide che collegano la morbida e tiepida moquette della camera degli ospiti ad altre fredde mattonelle marmoree del bagno.
       Entro nella stanza e chiudo la porta con un paio di mandate. È una toilette enorme, come non ne avevo mai viste in giro. C’è di tutto, perfino il bidet, quello strano aggeggio che avevo visto una volta e basta in vita mia, durante un viaggio in Italia, a Firenze. Ogni cosa qui dentro profuma di pulito ho paura di toccare, prendere qualcosa col rischio di danneggiarlo, sporcarlo o altro. Mi avvicino faticosamente al lavandino e apro il getto freddo del rubinetto. L’acqua scorre veloce e cristallina e io sento solo il suono che produce scrosciando sul lavello. Tutto attorno a me è ovattato e indistinto.
       Ma poi la sento. Chiara, trasparente come l’acqua che scivola sulle mie dita.
       Mi fiondo sulla porta e impacciatamente giro la chiave che era rimasta infilata nella toppa. Quando l’apro la vedo.
      È davanti a me, con i capelli biondi legati in una treccia e gli occhi verdi brillanti come due smeraldi. Il viso infantile è corrucciato in un’espressione perplessa e le braccia pallide conserte davanti allo stomaco.
     “Chyler! Oh Cy, bambina mia” mi getto su di lei e la stringo più forte che posso.
     “Mamma, ma che succede?” si scosta leggermente da me e mi fissa curiosa. Anche Philip accanto a lei mi guarda perplesso. Dei passi giungono dalle scale e vedo la figura snella di Julia arrivare.
     “Va tutto bene?” chiede sorridendo. Sorride. Come fa a sorridere dopo quello che ci è successo? Dopo che i nostri bambini sono spariti tra la gente di New York?
     “Julia come hai fatto a ritrovarli? Oh Cy sono stata così male per te, dopo che sei…” mi zittisco subito dopo aver visto le loro espressioni. Stupore, scherno. Mi stanno guardando come si guarda un bambino piccolo che sta raccontato delle storie una più strampalata dell’altra. Julia si avvicina a me con un sorriso pieno di pena per me e mi accarezza il braccio.
      “Hai solo fatto un orribile incubo tesoro; solamente un brutto sogno” annuisco lentamente. Chyler torna a giocare con Philip mentre io seguo Julia giù per le scale. Quando siamo quasi arrivate al primo piano, lei si volta verso di me e accenna un sorriso. “Ho una sorpresa te, ti piacerà”. Fa gli ultimi scalini più velocemente e si dirige in cucina. La seguo a passo lento e un po’ timoroso. Julia è sempre stata una persona molto scherzosa e quando stava con mio padre, mi ricordo, non perdeva minuto per divertirsi a nostre spese. Ma, stranamente, per quanto odiassi le persone che mi prendevano in giro o altro, lei non risultava mai pesante e riusciva a migliorarci l’umore sempre nero per via della scuola o del lavoro.
       Mi affaccio alla porta della cucina lentamente. E lo vedo. Un uomo giovane, bello, con i suoi capelli castani e gli occhi verdi, alto quasi due metri e un fisico asciutto e allenato. Sta parlando sottovoce con Julia e al suo fianco ha un’altra donna con i capelli biondi, occhi blu e un bellissimo sorriso.
      “James! Sei qui!” gli salto letteralmente al collo mentre sul suo viso abbronzato si fa spazio una leggera espressione di sorpresa. Mi stringe la vita e affonda il viso nei miei capelli rossastri.
      “Mi sei mancata Milly” lo dice nel mio orecchio, mentre mi stringe tra le sue braccia forti. Sento le lacrime calde scivolare tra le mie ciocche ed inumidirle. Anche io le sento scendere sul viso. La mente annebbiata dai ricordi, dal dolore che avevo provato dalla sua lontananza. Nove anni di chiamate, di lettere, di Skype, il mare in mezzo a noi e io che in questo momento non riesco a pensare ad altro a quanto siamo stati degli stupidi, perché non abbiamo mai trovato un momento per fermarci e per incontrarci. Il mare ci separava e noi abbiamo usato questa scusa per evitarci. Quando nostro padre morì, io mi rinchiusi in un bozzolo, estraniandomi dal mondo esterno. Nessuno poteva entrare. Né Jesse, né mia madre, né Julia, né James. Lui partì poco dopo per Sacramento perché aveva ricevuto un’offerta di lavoro irrinunciabile e lo rividi solo un anno dopo, al mio matrimonio. E poi solo sullo schermo di un computer, nelle parole dei messaggi di auguri, nella voce gracchiante delle chiamate nel bel mezzo della notte, come quando seppe del mio divorzio. Ma ora è qui accanto a me, sento la sua pelle vicino alla mia e non posso che fremere dalla felicità. Il mio fratellino è con me. E il resto non conta.
       Ci separiamo dopo qualche minuto di abbraccio. Ho un sorriso stampato sulla faccia che va da orecchio ad orecchio che non riesco a mandare via. E non voglio nemmeno.
       “Milly, ti devo presentare, ufficialmente, una persona” mette la mano sulla schiena della donna accanto a lui. Lei sorride leggermente imbarazzata e mi porge la mano.
       “Alicia Parks, sono sua moglie. Ci siamo già viste per Skype, vero?” gliela stringo, ma troppo forte per la sua manina delicata.
       “Piacere, Emily, la sorella strana di James” lei ride e io non posso che imitarla. Mi sento così bene come non mi sentivo da anni.
        “Stasera andiamo tutti a cena fuori, così conoscerai Pablo” annuncia James con tono squillante.
 
*
 
        “Emily quindi tu sei chirurgo?” Pablo affonda il cucchiaino nel dolce al limone che si sta gustando e poi mi guarda con gli occhi scuri puntati sul mio viso. Annuisco con la bocca piena di cheesecake alla fragola.
         “Emily è il genio della famiglia; quando eravamo piccoli voleva sempre giocare a Scarabeo e studiava di continuo. Se avessi studiato di più anche io…” James mi fa passare il braccio sulle spalle e mi avvicinò a lui.
        “Parla il pediatra delle star di Hollywood” commento sarcastica mentre tutto il tavolo è animato da una risata di assenso.
       “Che specializzazione hai preso? Julia mi ha sempre detto che sognavi di fare Neuro” un altro cucchiaio.
       “Plastica e otorinolaringoiatria. Ho scoperto questa specializzazione grazie al mio ex marito, Jesse. È una storia molto lunga in realtà e per molti, troppo romantica”
        “Oh questa voglio sentirla” esclama contenta Alicia, appoggiando il mento sulla mano e fissandomi con quegli occhioni da cerbiatto azzurri. Anche quegli altri si sono fatti più interessati.
        “Ma è la stessa che vi ho raccontato al matrimonio” protesto.
        “Io non c’ero al tuo matrimonio” dichiara Alicia, seguita a ruota da Pablo con un “Nemmeno io, quindi parla”. Mi schiarisco la voce, più per l’imbarazzo più che per la gola secca.
        “Beh allora non mi rimane che parlare” risatine. “Allora si parla di dieci anni fa se non mi sbaglio. Io ero al primo anno di specializzazione ed ero l’unica ragazza del mio anno. Eravamo in cinque. Io, come hai detto prima te, volevo fare Neuro ed ero perfino diventata la pupilla del Primario. Assistevo a tutti i suoi interventi fino a che non fummo mischiati e quindi destinati ad assistere ad interventi di altre specializzazioni, sapete per avere una conoscenza più o meno generale di tutta la chirurgia. E io fui inserita in Plastica, una specializzazione che veramente trovavo molto superficiale perché mi limitavo a pensare alle donne con le labbra a canotto e gli zigomi gonfiati. Ma, in effetti non era solo quello. Plastica, più di qualunque altro riusciva a dare autostima nelle persone, a credere in loro stesse. Come il mio primo caso, quello grazie a cui conobbi il mio ex Jesse. Nelly Truman, aveva venticinque anni ed aveva bisogno del seno dopo aver subito una mastectomia l’anno precedente. Aveva sconfitto il cancro, ma senza il seno non si sentiva più una donna. Ecco vedete lei non lo faceva per attrarre gli uomini, per essere seducente, ma a lei serviva per sentirsi se stessa. E noi l’aiutammo ad esserlo. Oppure come” il mio secondo caso in Plastica fu quello di Zayn. Quando lo vidi per la prima volta, quando sentii per la prima volta la sua voce così bella, che mi manca così tanto. La voce roca e calda che mi ringraziava sincera per quello che gli avevo fatto. L’avevo salvato per la prima volta. Anche la seconda avrei voluto sentirlo dirmi grazie, ma non è stato così. Sono pronta a raccontare del mio amore? “come uno degli ultimi casi, quando ho fatto una ricostruzione delle corde vocali…”
         “Oh sì, ho sentito. A quel famoso cantante, giusto? Ne hanno parlato anche sui giornali qui. Sei stata grande Milly” James si avvicina e mi schiocca un bacio sulla tempia. “Veramente grande”.
         “Spero solo che ritorni a cantare” s’intromette Alicia e io subito mi sento gelare il sangue nelle vene. “Lui mi piaceva un sacco sono anche andata ad un suo concerto qualche anno fa. Ma ora pare sia in depressione perché la fidanzata l’ha lasciato e ha sposato il suo amante. Cavolo dev’essere una dura botta” Lo so, vorrei dirle, cavolo se lo so. Io l’ho vissuto in prima persona.
         “È grazie a lui che ci siamo incontrati” dichiarò James guardandola con dolcezza. Lei sorrise e si protese per lasciargli un delicato bacio sulle labbra. C’è un breve silenzio pieno di leggerezza perché tutti stanno guardando la felice coppia e nessuno pensa più alla mia storia che è rimasta a mezzo. Nessuno vuole sentire del mio matrimonio finito in modo disastroso. Tutti vogliono pensare al loro, e al fatto che stasera probabilmente mentre io non lo faccio da settimane. Praticamente non parlo con Niall da quasi un mese, per colpa dei turni che non riescono a incontrarsi per lasciarci dieci minuti insieme. Se io faccio il giorno, lui fa la notte e viceversa. Sento l’angoscia salirmi su per la gola e cerco di affogarla in un cucchiaino di cheesecake. Funziona, ma per poco. E io mi sento nuovamente attanagliare.
           “James hai visto la partita sabato?” chiede Pablo e la conversazione declina su l’argomento calcio e quanto sia ridicolo il football, una delle tante cose in cui lo spagnolo e mio fratello sono d’accordo.
 
*
 
         Mi giro dall’altra parte per l’ennesima volta e mi tiro il piumone fin sopra il naso. Fuori tira vento e ho paura che stia per nevicare. E io non riesco a prendere sonno. Guardo l’orologio posato sul comodino e alla luce della luna che filtra dalle finestre vedo che sono le tre e mezza passate. Mi rigiro un’altra volta sbuffando silenziosamente e provo a strizzare gli occhi per vedere se riesco a dormire. Ma niente.
          Alla fine rinuncio e mi alzo. Infilo le pantofole che riscaldano subito i miei piedi sempre freddi e poi prendo la vestaglia che avevo gettato sulla poltroncina rosa nell’angolo opposto della stanza. Scendo le scale cercando di fare più silenzio possibile. La mia missione è agevolata dal fatto che tutti i pavimenti siano ricoperti da una morbida e sempre pulita moquette rossa.
          La cucina è immersa da una densa penombra. Fuori si sente il vociare di un gruppo di ragazzi e le macchine sfrecciare per le strade. E poi il vento incessante che fa da sfondo a tutte le parole sussurrate in quella notte newyorkese. Sbircio un po’ alla finestra e vedo una coppia litigare furiosamente sul marciapiede, mentre dall’altro lato della strada un’altra si sta scambiando un bacio pieno d’amore e di promesse. Mi rivedo nella ragazza che sta urlando furiosa, ma anche in quella che sta stringendo il suo lui al suo corpo.
         Mi scosto dalla finestra con uno strano sorriso sulle labbra. Mi sento stranamente felice per quella ragazza che in questo momento sicuramente si sente al settimo cielo. Quella che mi ricorda me qualche anno fa, quando sentivo che non mi mancava niente. Quando ero al top, quando Jesse aveva occhi solo per me, quando eravamo ancora giovani, acerbi, pieni di promesse e speranze per il futuro. L’altra è la me di un anno e mezzo fa, col cuore a pezzi per il divorzio, con il mondo che gli stava sfuggendo di mano e che non vedeva niente di roseo e di bello nell’avvenire.
          Prendo il latte dal frigo e ne verso un po’ nel pentolino e accendo il gas. Voglio tornare ad essere la ragazza che sognava una lunga vita accanto all’uomo che aveva sposato, avere tre bambini e non dover mai pensare a tradimenti, a non dover essere attanagliata dalla gelosia, dal rancore, dalla rabbia. Voglio essere tutto questo e ho ancora tempo per farlo. E col tempo capirò chi mi potrà offrire quello che cerco. Ora le mie ferite causate dal divorzio sono ancora troppo fresche e pizzicano e non riesco ancora a capire chi possiede la mia cura.
           Allungo la mano e prendo la tazza rossa e blu sullo scaffale bianco sopra il tavolo e ci verso dentro il latte bollente. Con un cucchiaino ci butto un po’ di miele ed inizio a girare lentamente, fino a che quest’ultimo non si è sciolto tutto.
          Quando ritorno in camera sento le palpebre pesanti e una voglia matta di coprirmi col morbido piumone bianco.
           Prima di stendermi prendo il cellulare più per abitudine che per controllare che non fosse arrivato niente. C’è un messaggio.
Di Zayn.
Col cuore a mille lo apro.
Mi manchi. Io ti voglio vicina a me.
Ti amo, Z.
 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


 
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Starman - David Bowie

"Dovresti venire, Emily. Ci divertiremo!" Alicia mi fissa sorridente. Siamo dentro un caffè in una delle tante strade che percorrono New York. Si sta bene qui, al caldo, con un leggero chiacchiericcio e un thé bollente tra le mani. Le abitudini sono dure a morire e io da inglese purosangue non rinuncio mai ad una tazza piena della mia bevanda preferita. Alicia, avvolta nella sua sciarpa rossa e blu, con i capelli biondi che le sfiorano le spalle e gli occhiali tondi a incorniciarle gli occhi azzurri, mi guarda oltre il suo muffin al limone. 

"Allora?" Giusto Emily, allora cosa vuoi fare? Vuoi finalmente cambiare pagina, cominciare una nuova vita, o continuare ad aspettare uomini che non ti meritano minimamente, perfino non ti considerano? Sorrido anche io; mi trovo nella merda fino al collo e se uscissi con Alicia, sono sicura che non cambierei niente, anzi. Mi ubriacherei fino a perdere il controllo di me stessa per poi ritrovarmi domattina in uno squallido appartamento, di uno squallido patito del sesso. Oppure potrei rimanere a casa di Julia, a fare la buona madre, guardando i cartoni animati con Chyler e addormentarmi sul divano. 

"Va bene, vengo". E poi mi chiedo come mai hanno affidato Chyler a Jesse.

                                                                                    *

Il locale è immerso nella penombra e una bellissima melodia jazz riscalda l'ambiente immerso in un leggero gioco di luci rosa. Alicia si muove senza problemi nel suo bellissimo abito nero che le arriva fino a metà coscia. Ha le maniche ampie che le arrivano alle mani perfettamente curate, con le unghie laccate di rosso fuoco, come il suo rossetto. Mi chiedo come faccia James ad essere tanto tranquillo e nemmeno un minimo geloso. Alicia è  una calamita per tutti gli uomini che sono dentro il locale. Lei sorride malizosa a tutti, ma poi sfodera con nochalance la fede d'oro bianca e tutti virano sulle altre succinte in mini abiti e le mani libere da ogni impedimento morale e legale. 
《Vieni con me Emily, conosco il proprietario, ci ha riservato il tavolo migliore, quello che dà  su tutto lo skyline》 protende la mano verso la mia e la afferra con un gesto deciso. Io mi lascio trascinare, traballando un po' sui tacchi alti che non sono abituata a portare, al contrario di lei, che pare abbia delle infradito ai piedi. 
Arriviamo ad un tavolo più appartato rispetto agli altri; alle nostre spalle una vetrata azzurra si specchia sulle migliaia di luci che caratterizzano New York. Le poltrone di pelle bordeaux circondano un tavolo nero lucido, a sua volta sovrastato da una grande lampada di plastica trasparente. 
Neanche il tempo di sedersi che già  una cameriera bionda ci raggiunge per prendere le ordinazioni. Io sono ancora stordita da tutto il lusso che mi circonda per ordinae, così mi affido a Alicia. I Cosmopolitan non si fanno aspettare molto.
《Non è  bellissimo questo posto?》 Mia cognata mi guarda da dietro il suo drink. Ha i capelli biondi raccolti in una crocchia scomposta e i grandi pendenti in filigrana dorata illuminano il suo viso. Non è un mistero che sia così  desiderata. È  l'essere umano più  bello che conosca e in questo momento mi sento come se avessi Angelina Jolie accanto. Con una come lei vicina, mi sento nuovamente al liceo, quando uscivo con Anne ed io ero la cessa amica che si portava dietro quasi per pietà. Non sono mai stata quella figa, ma semplicemente quella 'carina'. I ragazzi mi si avvicinavano solo per chiedermi se Anne fosse libera. E questa cosa era un'occasione di divertimento per l'oca di Wendy. 
Non immaginate neanche la soddisfazione ad incontrarla al supermercato e sfoderare l'anello di Tiffany. Mi ricordo ancora il suo volto diventare rosso per la rabbia e l'invidia. Ma soprattutto quando Jesse mi raggiunse tutto sorridente. Credo che quello fu uno dei momenti miglori della mia vita. Le ultime news su di lei mi sono arrivate da Anne poco tempo fa e a quanto pare si è  sposata con un miliardario in fin di vita che tradisce ripetutamente con il cuoco. Bah, contenta lei. 
Ma come sono arrivata a pensare a lei? Ah già, Alicia. 
Mi sta fissando dritta negli occhi come si aspettasse qualcosa, ma cosa?
《Emily tutto bene?》 Mi stringe la mano e aggrotta le sopracciglia perfette. 
《Oh sì, scusa se non ti ho risposto, ero sovrappensiero》le sorrido, prima di bere un sorso di Cosmopolitan. O almeno quella era l'intenzione. Guardo amareggiata il bicchiere vuoto. 
《Te lo sei scoltata in un battere di ciglia, mi hai fatto quasi paura!》 Esclama Alicia ridacchiando. Le rivolgo uno sguardo dispiaciuto e colpevole, cercando di trattenere le risa. 
Mi conosco troppo bene e questo è  il primo di una lunga serie. 
《Vado ad prendertene un altro》 fa per alzarsi ma le afferro il braccio.
《Non scherzare, drink mio, mio culo ad alzarsi》 lei ridacchia ancora e si mette di nuovo a sedere. 
《Me ne prenderesti uno anche a me? Ah, Emily, poi mi raccomando...》 strizza l'occhio maliziosa prima di bere un altro sorso. Capisco le sue intenzioni, per questo rimango interdetta. Ho visto centinaia commedie americane e il rimorchio al bar è uno dei più tristi cliché del cinema. 
Ho sempre provato una pena infinita per quelle ragazze che si lasciavano abbordare da tizi col bicchiere di scotch. E poi finivano a letto insieme e poi iniziavano una relazione tutta rose e fiori fino a che, boom, a dieci minuti dal finale litigavano per riappacificarsi prima dei titoli di coda. Okay, ammetto che mi sia successo anche a me un paio di volte, ma questo solo quando ero una giovane stupida studentessa di medicina. E quello che mi aveva offerto da bere era il mio professore di anatomia. Abbiamo iniziato una relazione come quella di Derek e Meredith in Grey's Anatomy. L'unica differenza è noi siamo durati sette settimane e loro per undici stagioni di serie. 
《Desidera?》 Il barista col tatuaggio del drago sul braccio mi fissa un po' frustato. Devo aver fissato il bancone in granito per troppo tempo. 
《Oh, sì, due Cosmopolitan》 lui annuisce velocemente e scappa a prendere le bottiglie e i bicchieri dall'altra parte del locale.
Nel frattempo mi guardo un po' attorno. Dopo tutto non sarebbe una cattiva idea una storia di una notte. Zayn non mi parla, io e Jesse siamo divisi e con Niall, beh, con lui è  complicato. Anne mi ha chiamato ieri solo per dirmi che l'aveva visto flirtare con la psichiatra coi capelli neri. A mia migliore amica c'è  rimasta un po' di stucco quando le ho detto che con Niall è solo sesso alla fine. Ha chiuso la chiamata con un "e io che vi vedevo benissimo sposati con tanti  bimbi biondi con gli occhi verdi". 
Come facevo a starle lontana? È  vero che era l'amante di mio marito, ma alla fine si amano veramente e io ero solo un intralcio. Ed ora si stanno vivendo la vita che io avevo progettato con lui. Ma pazienza. So che questo momento arriverà anche per me, prima o poi. 

Scuoto la testa come per togliermi dalla testa questi ragionamenti assurdi e i miei occhi cadono su i due dai capelli neri come la pece che parlano tranquillamente alla mia destra. Lui mi dà le spalle, mentre lei riesco a vederla bene, con  quei capelli setosi che scendono morbidi sul seno abbondante, ma non troppo e il corpo fasciato in un bellissimo e sicuramente costosissimo vestito rosso che le arriva poco prima delle ginocchia. E' una visione celestiale e io mi chiedo come qui in America siano tutte così sexy e bellissime. Quei due sembrano una di quelle coppie dei film perfette e senza alcun problema; quelle coppie dove entrambi hanno un lavoro di successo e due figli bellissimi, educatissimi, ed intelligentissimi, proprio come i genitori.  

Sbuffo lievemente perché quei due potevamo essere anche io e Jesse. Ma abbiamo mandato tutto a puttane. Nel mio stile, giustamente. Ma quando vedo arrivare il barista con i Cosmopolitan in mano il mio sguardo s'illumina. Finalmente una gioia nella mia vita. Il ragazzo pelato con l'orecchino e l'eyeliner però si ferma poco prima di me e posa i due bicchieri davanti alla coppia perfetta. Il mio sorriso si spegne all'istante. La donna stringe subito il cristallo tra le sue lunghissime dita e scompare tra i tavoli. Lui rimane lì a fissare il bancone con fare fin troppo assorto. 

Quando vedo il barista che si sta per allontanare lo richiamo: 

"Ehi, tu, ti avevo chiesto, gentilmente, se mi potevi fare due Cosmopolitan, ma li hai portati a loro!" C'è una nota di rabbia nella mia voce e solo dopo che ho finito di parlare mi accorgo di quanto io appaia antipatica. Sono l'inglese perfettina che è arrivata a rovinare la serata a tutti. Lui mi guarda con un sorriso beffardo e solleva le spalle:

"Scusa, sono in pausa" e sgattaiola via. Rimango con la bocca semiaperta dalla sorpresa e la mano ancora sollevata nell'atto di chiamarlo. Lentamente mi ricompongo e mi preparo a tornare da Alicia a mani vuote.

"Ehi" un forte accento irlandese mi fa voltare di scatto. Il marito della coppia perfetta si sta rivolgendo a me e per la prima volta riesco a vedere il suo viso (praticamente perfetto). Due occhi blu come non so cosa, non sono in vena di discorsi poetici, incorniciati da due folte sopracciglia nere. Una lieve barba gli copre il viso allungato e gli circonda le labbra carnose e rosee. Mi sta accennando un sorriso e io credo di svenire da un momento all'altro. Apro la bocca, cercando di non emettere suoni assurdi ed imbarazzanti, ma tanto sappiamo tutti che non è possibile. 

"Senti, a me non piace questo coso, preferisco una birra in un pub" mi porge il bicchiere con il liquido rosa e io allungo meccanicamente la mano per prenderlo. 

"Grazie mille" gli rivolgo un impacciato sorriso che lui ricambia prontamente. Poi vedo la sua mano allungarsi verso di me: 

"Piacere, Mark Watson." Gliela stringo con più eleganza possibile, continuando a mantenere il sorriso sul volto:

"Emily Ford" Le nostre mani dondolano un po' in aria, stretta l'una dentro l'altra e i nostri occhi sono incatenati da un legame molto forte. 

"Cosa ci fa un irlandese a New York?" domando, cercando di instaurare uno di quelli che chiamano "rapporti sociali".

"Potrei farti la stessa domanda Mary Poppins" 

"Sono venuta a trovare la mia matrigna, tu?"

"Lavoro. Lavoro qui dal 2011, circa"

"Caspita, in tutto questo tempo non sei riuscito a prendere l'accento, ti ammiro veramente tanto" faccio un inchino scherzoso e lui ride. E se lui ride nascono unicorni. Non so se ho reso l'idea. "Ma per quale lavoro sei venuto oltreoceano?" bevo un sorso di Cosmopolitan mentre aspetto la sua risposta. Lui mi sorride appena prima di rispondere:

"Sono un chirurgo. Dopo la laurea ho ottenuto un posto qui e non ho esitato molto per venirci. Sai quando sei nato in un paesino vicino a Dublino dove la maggior parte degli abitanti sono coltivatori o allevatori e tu oltre a laurearti in Medicina, ottieni un posto a New York non rinunci". Un medico. Come me. Come mai io rimorchio sempre dottori? Zayn a parte, tutte le mie storie sono state con medici o chirurghi vari. A quanto pare ho lo stesso carisma di un bisturi.

"Oh ma non mi dire" voce della finta sorpresa che mi viene benissimo. 
"Sono un chirurgo. Plastico per la precisione" Ecco, appunto. Cosa devo fare per trovare qualcuno che non sia un medico? 

"Anche io!" Quello che mi esce dalla bocca è una sorta di urletto da quindicenne in piena crisi ormonale. Mi schiarisco la voce prima di ricominciare a parlare: "Ehm, volevo dire che anche io sono chirurgo plastico in patria"

"Incontro sempre dottori, non è strano?" Dentro di me sento una piccola me esultare ed urlare che lui è quello che aspettavo e di lasciar perdere Zayn. Ma come posso lasciarlo stare? Lui è l'amore della mia vita, l'unico che ho veramente amato. Non posso dimenticarlo. Ma non posso neanche stare una vita intera ad aspettarlo. Io devo pur vivere, no?

"A me succede lo stesso, sembra di vivere dentro Grey's Anatomy" E lui ride. Lo osservo tirare la testa indietro, con gli occhi stretti, i denti bianchi che risaltavano nella penombra del locale e la mano sulla pancia. Potrei stare una vita intera a fissarlo. 

No. No. No. 

Non ci pensare nemmeno, Emily. 

No.

"Io adoravo Grey's Anatomy, era come vedere la mia vita in tv" aggiungo, facendolo così ridere più forte. Quando si calma si avvicina al mio viso. Il mio cuore inizia ad accelerare e per un secondo temo di collassare a terra.

"Ti posso confidare un segreto? Anche io lo guardavo e ne andavo matto. E mia moglie mi prendeva in giro per questo" Fingo una risata perché tutta la mia attenzione si è fermata alla parola moglie. 

Moglie.

Tutte le mie fievoli speranze di una notte di sesso col fico del bar si dissolvono immediatamente. Un imbarazzante silenzio cade tra di noi e io mi ritrovo a passare l'indice sul bordo del bicchiere molte volte. Decisamente troppe. Con la coda dell'occhio osservo Mark e lo trovo intento a mangiucchiarsi ansiosamente le pellicine. 

Non possiamo continuare così. Glielo devo chiedere, devo togliermi il peso dallo stomaco:
"E quindi sei sposato?" Okay l'ho detto. L'ho detto. 

Mi mordo il labbro inferiore come pena della mia impertinenza. Lui sembra prepararsi un discorso da farmi, uno che faccia sembrare la moglie come Lucifero.

"Lo ero" mi sorride dolcemente e io mi sento molto meglio. E' vero che non è una bella cosa essere contenti per il divorzio di qualcuno. O peggio, se lei è morta. Oddio e se lei è morta? 

"Io e Sylvia ci siamo separati, uhm, tre anni fa. Dopo quindici anni di matrimonio, due figli, una mattina io mi sono svegliato e il letto era vuoto. Se ne era andata. Aveva lasciato un biglietto dicendo che aveva bisogno di vedere il mondo in cui viveva. Mi ha lasciato solo. E io non potevo far altro che continuare con la mia vita. Ma dovetti anche imparare ad essere sia padre che madre per i miei figli. Loro mi chiedevano continuamente di Sylvia ed io inventavo una bugia dopo l'altra. Finché un giorno Susan, la più grande, mi disse che loro sapevano che la mamma non sarebbe più tornata. E allora io mi sentii più leggero in un certo senso. Ma capii anche che non potevo continuare a vivere in questo posto. E ho deciso di tornare in Irlanda, a casa mia. Ho fatto domanda di lavoro in vari posti sia in Irlanda che a Londra, la città in cui ho sempre voluto vivere, ed ora sto aspettando le risposta" sorride nuovamente, ma questa volta il sorriso è più tirato. E più triste. Mark ha una storia che sento vicino a me. Anche a lui è stato portato via tutto dalla persona che più  amava al mondo. Vedo i suoi occhi blu scintillare. Anche lui è spezzato, spezzato da un'enorme crepa dentro se stesso. 

Come me. 

"E tu? Sei sposata?" Eccola, la domanda. L'avevo sentita arrivare. E mi sono preparata a rispondere.

"Anche io lo ero. Io e mio marito non stiamo più insieme da due anni. Lui mi ha tradito con la mia migliore amica e a marzo loro si sposano" Cerco di tirare fuori il mio sorriso migliore, ma quello che viene fuori è solo una forzata alzata degli angoli della bocca.

"Mi dispiace, Emily"

"Oh, non ti preoccupare. Non eravamo più così innamorati. Rimanevamo insieme per Chyler, mia figlia. Ma poi tutto è crollato, io ho avuto un brutto incidente che è stato utilizzato contro di me per vincere la custodia esclusiva della mia bambina da parte di Jesse, il mio ex. E io mi sono ritrovata praticamente senza niente a cui aggrapparmi emotivamente. Tranne il mio migliore amico Niall." Bevo un piccolo sorso per soffocare le lacrime. E' la prima volta che parlo di questa storia ad un perfetto sconosciuto. Non so cosa mia sia preso. Può non essere la persona che dice di essere, ma solamente un patito del sesso che mi vuole solamente portare a letto.
"Scusami se ti ti ho buttato addosso tutte queste informazioni su di me. Dev'essere tanta roba dopo neanche mezz'ora che ci conosciamo" cerco di mascherare tutto il mio disagio in un sorriso forzato e lui ricambia.
"Non ti devi preoccupare. Io ho cominciato. Io sono stato il primo a scaricarti tutta la mia triste vita da padre single. Soprattutto mi dispiace di stare qui a lamentarmi di quanto sia difficile stare dietro a due bambini da solo quando tu non hai la mia stessa fortuna" lo osservo parlare ma non riesco a sentire niente. 
Forse dovrei ascoltare la me interiore, quella che mi dice di lasciare stare Zayn perché se ci tenesse a me l'avrebbe detto, mi avrebbe chiesto di sposarlo qualche settimana fa. E invece no. Ha deciso che non era pronto per me, ha deciso di non volermi. 
Ma poi mi ritorna alla mente quel messaggio, quel messaggio che mi  ha mandato ieri notte e non riesco a non pensare a lui e a tutto il mio amore per lui. 
Ma Mark è qui. Mark sarebbe pronto ad impegnarsi. Sarebbe pronto ad amarmi. 
E come faccio a dedurlo da solamente una chiacchierata con lui? Lo vedo nei suoi occhi, lo sento nelle sue parole. A lui importa delle persone che ha vicino. E poi Mark è come me, capisce i miei dolori e sono sicura che non mi abbandonerebbe mai.

Ha smesso di parlare e mi sta fissando con un'intensità che prima non c'era nei suoi occhi. D'istinto mi avvicino a lui. I nostri nasi sono vicini, posso sentire il suo respiro caldo sul mio viso. 
Lui mi vuole.
Io lo voglio.

Fanculo Zayn. Almeno per una notte.

Ci baciamo lentamente, un bacio casto dove le lingue non sono interpellate.
Dentro me sento mille emozioni invadermi e il respiro mancarmi.

Ci stacchiamo poco dopo, ma i nostri sguardi continuano ad essere incatenati.

"Vogliamo andare?"

"Andiamoce" rispondo. E lui mi stringe la mano.
 

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Spazio autrice

Scusate tanto per il lunghissimo periodo di assenza, ma come detto in precedenza scrivere questa storia si sta rivelando veramente difficile.

Ho cercato di farmi perdonare con un capitolo piuttosto lungo e corposo, dove la storia di Emily prende una piega diversa. Soprattutto con l'introduzione di questo nuovo personaggio, Mark che poi con il continuare della storia avrà un ruolo sempre maggiore. 
Ma non voglio spolierarvi niente!
Ritornando al capitolo, ho voluto dargli un tono un po' più leggero rispetto al solito dove malinconia e drammaticità dominavano di più. In questo abbiamo scoperto una nuova Emily. E abbiamo scoperto anche come sta realmente vivendo la storia con Zayn e i suoi problemi nell'aspettarlo.

Spero vi sia piaciuto.
Io spero di poter aggiornare nuovamente prima di dicembre, lo spero davvero tanto.

Un bacione e buona domenica,
Claudia

Ah qui sotto vi allego la foto dell'attore che nel mio immaginario può rappresentare Mark

Ah qui sotto vi allego la foto dell'attore che nel mio immaginario può rappresentare Mark

(Sì, è lui, Uncino di Once Upon a Time)

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***




The Smiths - Please, Please, Please, Let Me Get What I Want



Cannella.

Ogni anno per il mio compleanno mio padre preparava una crostata di mele e cannella. La preparava la sera prima, insieme a me. Quando poi la sfornava, la casa si riempiva di un favoloso odore di cannella che permaneva per qualche giorno. E io ero felice.

Lo eravamo tutti.

Anche dopo la morte di mio padre ho continuato a farla, ma era ovviamente una brutta e cattiva copia della sua.

E l'odore della cannella che c'era a casa mia, in quei sempre caldi giorni di agosto è lo stesso che aleggia qui, in casa di Mark. Lo stesso, identico profumo che mi faceva attorcigliare lo stomaco quando ero piccola.
Mi stringo nella coperta arancione e mi faccio cullare dai ricordi, mentre osservo la città coprirsi delle sfumature che caratterizzano l'alba. La casa è immersa nel silenzio e perfino i rumori della strada sono ovattati dalla grande vetrata che imponente guarda sull'ampio salotto e che fa guardare sulla macchia verde che è Central Park.

La casa di Mark è un inno all'eleganza. O almeno lo deve essere stata. Ha ancora qualche rimasuglio di mobili minimalisti bianchi e neri, che sono stati sostituiti da altri più colorati, più sicuri e più economici dopo la nascita della prima figlia. Il salotto grande ancora possiede, per esempio, un ampio divano nero a netto contrasto con la libreria colorata e piena di disegni dei figli.
Sul tavolino di fronte al divano c'è una foto di loro tre sorridenti tra la neve bianca. Il bambino, stranamente, non assomiglia per niente a Mark. Anzi. Ha dei ricciolini biondi che sbucano dal casco e dei ridenti occhi blu. Deve somigliare alla madre, la sua ex. Invece la bimba ha i capelli corvini e gli occhi come il padre. Sebbene entrambi abbiano gli occhi azzurri, quelli del maschio hanno sfumature diverse da quelle della femmina che sembra abbia rubato lo sguardo al papà.
Penso alla mia bambina, così simile a me nell'aspetto, così simile a Jesse nel carattere. Per sua fortuna.
Presa dai sensi di colpa e dalla nostalgia chiamo Julia, sapendo che è già alzata da un pezzo, nonostante siano le sette del mattino. Mi risponde quasi subito, con la voce già squillante ed energica come sempre.
«Emily! Come stai? Alicia mi ha raccontato tutto!» Mi sento già meglio a sentire che non c'è la minima nota di preoccupazione nel suo tono.
«Sto bene. Chyler?»
«Alla grande. Abbiamo guardato i cartoni fino a tardi e poi siamo andati a letto. Sta ancora dormendo. Non ha mai chiesto di te, era abbastanza tranquilla».
Lo so che dovrei essere tranquilla per il fatto che non abbia creato problemi a Julia, ma quest'ultima frase mi ha dato un forte fastidio. Sembra sia quasi abituata a queste mie uscite. E che non abbia bisogno di me. E questo fa troppo male.
«Oh, bene» la mia voce risulta falsa e tesa. Cioè come mi sento adesso.
«Oggi James ha promesso di portarla allo zoo. Ha detto che vuole passare la giornata da solo con sua nipote. Quindi non ti preoccupare e divertiti» c'è un pizzico di malizia nella sua voce. Alicia non riesce proprio a stare zitta. Non ha resistito molto a dire a tutti di quello che è successo l'altra notte.
«Ma voglio andarci anche io allo zoo con Chyler» mi lamento, ma lei ride.
«Oh no cara, è la tua giornata libera. Ne hai bisogno. Non hai più avuto relazioni dopo Jesse e hai bisogno di divertirti. Tanto quello che fai a New York, rimane a New York. Ora ti saluto cara, devo andare a preparare la colazione, un bacio» e riattacca senza darmi modo di risponderle.
Quello che fai a New York rimane a New York.

Va bene.

E così sia.

Rinfilo il cellulare nella borsetta e decido ad alzarmi.
Piano piano arrivo alla porta della camera dove Mark sta dormendo profondamente. Riesco a vedere i suoi capelli pece scorgere tra il candore delle coperte.

I capelli che ho sfiorato molte volte questa notte.

I capelli dove ho affondato le mie dita così consumate dal mio lavoro.

Ogni parte di Mark profuma di casa, ogni, singola parte del suo corpo mi dice che sono a casa. E questo non voglio provarlo. Questo non va affatto bene.

Per niente.

Lo vedo muoversi un poco prima di tirare su la testa e fissarmi.

"Buongiorno Ford" esordisce con un sorriso che io ricambio prontamente.

"Buongiorno Watson" mi avvicino a lui e mi protendo per lasciargli un dolce bacio sulle labbra, ma lui lo fa diventare subito qualcosa di più. Mi stringe i fianchi e mi fa avvicinare a sé mentre continuiamo a baciarci.

Voglio rimanere qui per sempre, tra queste lenzuola calde, con Mark che mi bacia, che mi abbraccia, con Mark.

No.

Non voglio veramente questo.

Io voglio Zayn; voglio che sia lui a baciarmi, voglio che sia lui ad abbracciarmi, voglio che sia lui ad amarmi.

Voglio che dica il mio nome con la sua voce, voglio sentirla ancora.

Ma lui non vuole queste cose così tanto come le voglio io.

Non vuole vivere una lunga vita accanto a me.

Non gli interesso.

Se così fosse stato non se ne sarebbe andato. Mai.

Non mi avrebbe lasciato sola e indifesa in quel gelido corridoio dell'ospedale.

E invece l'ha fatto.

L'ha fatto e per questo io lo odio, lo odio con tutto il cuore. Ma lo odio così tanto che non riesco ad odiarlo. Lui mi ha fatto male sì, ma se non l'avesse fatto non sarei qui.

No Emily, no. Non ci pensare nemmeno. Tu ami Zayn e quella con Mark è solo un tremendo equivoco. Tutto si risolverà, tutto andrà bene. Zayn ti sta aspettando a Londra, te l'ha detto, lui ci sarà per sempre. Mark no. Mark è la storia di una notte che non può durare.

Non può. Stop.

"Tutto bene? Mi sembri un po' sovrappensiero" Mark si è staccato da me e ora mi sta guardando con aria preoccupata. Scuoto la testa con un sorriso cucito sulle labbra a mascherare i miei pensieri.

"Non è niente. Pensavo solo a quanto stessi bene qui, accanto a te" I suoi occhi e il suo viso si illuminano subito e si avvicina di nuovo per lasciarmi un bacio. Mi lascio andare per qualche istante di piacere senza dover pensare a tutto quello che è legato a Londra. Smettiamo dopo qualche secondo e allora io mi appoggio sulla sua spalla e lascio che mi abbracci. Ho la testa sul suo petto e riesco a sentire il suo cuore battere. E se all'inizio è solo un battito regolare, piano piano aumenta, sempre più forte, sempre più forte.

"Mark." Sussurro impaurita. Mark prova qualcosa per me, sennò non avrebbe altra spiegazione questo effetto.

"Mh?"

"Il tuo cuore." Porta la mano sul mio petto e rimane in silenzio per qualche istante.

"Anche il tuo." Faccio scorrere la mano fino alla sua e la stringo. Iniziamo a ridere come due stupidi, come se non ci importasse di niente e di nessuno. Ridiamo, ridiamo fino alle lacrime. Ma se all'inizio sono lacrime provocate dalle risate, finiscono per diventare lacrime di tristezza.

Tutto quello che temevo si sta realizzando. Ogni mia paura sull'amore per Mark si sta solidificando dentro di me. Quella che prima era solo un'idea, qualcosa di falso e allusivo ora sta diventando vero.

Vero come il sentimento che provo per Zayn.

"Emily, perché piangi?" Mi sposta il viso con le dita in modo che possa fissare i suoi occhi cristallini.

"Che succede?" Gli sorrido dolcemente per cercare di tranquillizzarlo ma sa che è tutto una montatura.

"Ho paura. Ho paura che questa cosa" indico quella parte del mio petto che nasconde il mio cuore prima di continuare: "che questa cosa diventi più grande di me, che non riesca a controllarla." Mi asciugo la l'ultima lacrima che stava scendendo sulla mia guancia lentigginosa. Lui mi guarda serio mentre fa girare lentamente il suo pollice sulla mia guancia. Io mi abbandono al suo tocco così caldo e così, suo.

"Anche io ho paura, molta paura. Ho provato questo solo un'altra volta nella mia vita. E questo mi ha fatto soffrire. Ma non voglio dire quella parola, non così presto. Ti conosco solo da dieci ore e non è possibile. Ma io lo sento e bene" continuava a parlare mentre fissava il soffitto bianco immacolato della stanza. Un ago di luce filtrava dalla finestra e illuminava appena la camera spaziosa. I mobili chiari erano ancora nell'ombra, bramosi di ricevere qualche attenzione da quello spiraglio di sole che ancora titubava ad entrare.

Rimanemmo in silenzio più del dovuto. Io non riuscivo ad aprire la bocca e pronunciare una parola che andasse bene, tutto mi sembrava sbagliato e fuori posto. Ma alla fine decisi che era abbastanza. Mi tirai su per guardarlo ancora una volta negli occhi, in quegli occhi color del mare.

"Parlami di te. Raccontami la tua storia" si gira di scatto e mi osserva un po' turbato. Poi inizia a ridere.

"La mia storia? Okay, ma non aspettarti niente di che" si schiarisce la voce e inizia a raccontare: "Dunque, sono nato in una città, anzi in una cittadina ad un'ora da Dublino. Sono il primo di tre fratelli, cioè in realtà ho due sorelle minori, Martha e Margaret. E non ridere del fatto che i nostri nomi iniziano tutti con 'mar'. Lo so, è strano, ma mia madre era fissata con questo tipo di cose. Comunque, dicevo, ho due sorelle che abitano tutte e due qui con me, due genitori che si amano da quarantacinque anni in modo quasi morboso, e tre nipoti. John, Alfred e Karen. Tutti figli di Margaret. Martha, la più piccola, era quella, cioè è, quella che hai visto ieri sera nel locale insieme a me. Ho avuto un'infanzia sostanzialmente facile e felice, i miei mi volevano bene, con le sorelle mi litigavo spesso ma alla fine ci volevamo bene. E poi quella dopo il liceo è storia che sai" conclude sorridente. Ma quel sorriso lo conosco. E' il mio sorriso, quello che maschera quello che vuoi nascondere. E con le persone funziona sempre piuttosto bene. Ma io non sono le persone e con me non funziona.

"Mark, io non sono le altre persone. Io non sono una donna con cui ci passi una notte e basta. L'hai detto prima. Quindi raccontami qualcosa che non racconteresti a un'altra" mi appoggio sul palmo della mia mano e aspetto che parli. All'inizio sbuffa un po' e non vuole parlare. Continua a fissare il soffitto per qualche secondo, finché non si decide a guardarmi. È serio, i suoi occhi hanno una patina lucida che li bagna.

"Sei veramente curiosa, lo sai? Però hai ragione, tu non le altre" inspira profondamente, forse per paura di quello che sta per dire. "Era il 2009, novembre. Io e Sylvia eravamo a cena in questo bellissimo ristorante. Volevo lasciarla, perché mi vedevo con una mia collega già da qualche settimana. Sophia. Mai più sentita da quella sera. Insomma, eravamo al dolce quando lei smise improvvisamente di mangiare e mi fissò terrorizzata. Io non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Rimanemmo così per secondi lunghissimi, finché alla fine lanciò la bomba: 'sono incinta'. Io feci quello che dovevo fare. Mi finsi felice e abbandonai l'idea di lasciarla. Lei aveva bisogno di me e io non potevo lasciarla sola. Certo, un figlio a ventitré anni era una cosa enorme. E io non avevo ancora voglia di responsabilizzarmi. Ma ormai quella che all'inizio era una storiella di un'estate era diventata il progetto di vita. La mia vita avrebbe seguito quelle rotaie da lì in avanti. Ci sposammo in febbraio e a luglio nacque Jade, una bambina bellissima. Assomigliava tutta a Sylvia, con i capelli biondi e gli occhi grigi. In quei mesi della gravidanza io avevo imparato ad amare Sylvia e tutto aveva preso una piega giusta. Lo so a cosa stai pensando adesso. Ti starai sicuramente chiedendo cosa è successo a Jade. Lei" delle grandi lacrime solcavano le sue guance arrossate e finivano nella sua barba scura. Non sapevo cosa fare, mi sentivo inadeguata e in colpa per avergli chiesto questo, di essermi spinta oltre il limite, come al mio solito. Mi avvicinai al suo viso e gli lasciai un leggero bacio sulle labbra.

"Scusami Mark, non avrei dovuto spingerti a dirlo" accoccolai la mia testa nell'incavo del suo collo e strinsi le mie braccia attorno al suo busto. Lui passò le sue braccia sopra le mie prima di riprendere a parlare:
"Non è colpa tua. Io ho voluto parlartene. Non sono mai riuscito a sfogarmi del tutto con qualcuno a proposito della morte di Jade. Aveva una malattia della pelle. E' per questo che poi ho preso la specializzazione in Plastica. Dovevo essere migliore dei dottori che avevano curato mia figlia, di quelli che non gli avevano diagnosticato la malattia. Non sono mai riuscito a sfogarmi con qualcuno della sua morte. Quando è successo aveva appena due anni. Io e Sylvia non riuscivamo neanche più a guardarci. Siamo stati separati in casa per un anno. Forse di più. E' stato il peggior periodo della mia vita. Poi piano piano abbiamo iniziato a conoscerci di nuovo. E poi è tutta storia che sai" lo abbraccio più forte che posso, perché mi sembra l'unica cosa sensata che io possa fare adesso.
"Grazie" sussurra alla mia fronte.
"Per cosa?"
"Perché se non fosse stato per te avrei vissuto con questo peso per tutta la mia vita. Grazie Emily. Grazie per essere entrata nella mia vita".
Mi manca il respiro.

Non riesco a respirare.

Cosa ha appena detto.

Sì, è vero, sono nel panico. Ma è giustificabile, no?

Cioè, voi come avreste reagito?

Rimango a fissarlo con la gola secca e nessuna parola che si azzardasse ad uscir fuori dalla bocca. Se prima il mio cuore batteva forte, ora sembra che sia sul punto di schizzarmi fuori dal petto.

Cosa devo rispondere?

"Emily tutto bene?" Un'ombra di preoccupazione oscura il volto di Mark. Non so che dire, non so che pensare. Sento solo una grande confusione dentro di me, come una pesante coltre di nebbia che mi ha inghiottito.

"Grazie" sputo. Non so da dove mi sia uscito fuori. Mark è visibilmente più confuso di me.

"Anche io sono felice che tu sia entrato nella mia vita" continuo la frase e allora il suo volto si distende insieme alle labbra carnose che incorniciano una fila di denti bianchissimi.

Lo bacio piano, cercano d'imprimere quegli istanti nella mia memoria. Un ricordo bello, come non molti.

Ci baciamo per qualche minuto; lui mi passa la mano lungo la linea che solca ma mia schiena nuda e io rabbrividisco al suo tocco dolce. Poi lui si stacca dalle mie labbra e inizia a baciarmi sul collo e lungo la spalla.

E finalmente riprendiamo quello che credevamo di aver concluso qualche ora prima.

---

"Hai mai assaggiato i Kanelbullar*?" gli chiedo in piedi davanti al bancone della cucina. Lui è seduto su uno sgabello e mi guarda divertito.

"I cosa?"

"I Kanelbullar!" il suo sguardo si trasforma in interrogativo e io ridacchio nervosamente.

"Sono dei dolcetti a forma di chiocciola alla cannella. Sono deliziosi" Mark mi guarda sorridente e io mi perdo nei suoi occhi blu. Sento una stretta allo stomaco che sicuramente non è dovuta dalla fame. No, certo che no.
"Va bene, assaggiamoli"

*

Venti minuti dopo siamo in un piccolo bar su un incrocio a Brooklyn. Non chiedetemi come, Mark conosce questa città a menadito.

Insomma dopo un paio viaggi in metropolitana siamo qui, in questo bar svedese che fa i migliori Kanelbullar che abbia mai mangiato. Nemmeno Julia sa farli così buoni.

"Sono deliziosi" sentenzio con la bocca piena. Mark ridacchia e si avvicina a me. Con il pollice mi pulisce il naso dallo zucchero e mi ci lascia un dolce bacio.

"Sì, lo ammetto, sono buonissimi" concorda prima di dare un ultimo sorso al suo caffè e poi torna a concentrarsi sulla strada rumorosa.

Chiudo gli occhi per poter fotografare questo momento. Io, lui, Brooklyn, il profumo del caffè che mi attanaglia i sensi e poi quella morsa allo stomaco che non mi vuole più abbandonare.

Solo quando riapro gli occhi mi rendo conto che il mio telefono sta squillando.

Anne.

"Pronto?"

"Ciao Emily" la sua voce è bassa e rauca come se avesse urlato. In quel momento vengo investita da una bruttissima sensazione. E' successo qualcosa di orribile, ne sono certa.

"Annie, Annie, cosa è successo?"

Silenzio.

Un singhiozzo represso.

"Torna a Londra, Emily. Ellen è" un pianto incontrollato che mi fa gelare il sangue nelle vene.

"Annie, cosa è successo ad Ellen?"

"Ellen è morta, Emily. Torna a Londra per favore" e cade la linea.

Non riesco a muovere neanche un muscolo. Rimango a fissare lo sfondo del mio telefono inerme. Non sento neanche Mark che mi passa la mano sulla spalla, non riesco a sentire la sua voce. Tutto è ovattato e confuso.

Ellen.

La simpatica Ellen: quella ragazza dagli occhi nocciola sempre sorridenti, quella ragazza che avevo giudicato troppo presto. Quella donna che era sempre disponibile.

Il primo amore di Zayn.

"Emily, stai bene?" Mark ha gli occhi lucidi dalla preoccupazione. Lo abbraccio stretto e affondo il viso nell'incavo del collo.

"Una mia amica è morta" sussurro e lui mi stringe ancora più forte. Vengo colpita dal suo forte profumo costoso e mi lascio inebriare da esso. Rimaniamo così per un tempo che non riesco a decifrare; i secondi ci scivolano addosso veloci e se ne vanno via ancora più veloci.

Poi, Mark si stacca e mi guarda dolcemente:

"Che cosa vuoi fare?"

"Ritorno a Londra"

*

Londra, due giorni dopo.

Zayn aprì le tende subito un ago di luce gli punse il volto. Era la prima volta che vedeva un poco di sole nella sua cupa Londra. Sorrise appena, compiacendosi di quella cosa rara e bellissima. Ma la felicità era destinata a durare poco: minacciose nubi scure si stavano avvicinando.

La pioggia sarebbe presto arrivata, lo sentiva.

Chiuse le tende e tornò alla scrivania. Era piena di fogli, matite e penne; l'ispirazione era tornata, finalmente. Era riuscito a scrivere già qualche brano, si sentiva meglio. Era tornato a vivere da sua madre, perché la sua vecchia casa l'aveva venduta per pagare i grossi debiti che aveva. Coi soldi avanzati aveva comprato una nuova chitarra e lavorava nel bed and breakfast di sua sorella. Aveva ricominciato da capo, come quando aveva diciassette anni e nessuno lo conosceva. Era ritornato a essere un signor nessuno e questo era perfetto per lui.

Un leggero ticchettio al vetro della finestra lo distrasse dalla canzone che stava scrivendo. La pioggia aveva iniziato a scendere veloce e improvvisamente la stanza era piombata in una penombra. Era saltata la luce in tutto l'appartamento. C'era un silenzio tombale e uno strano freddo.

A Zayn parve di essere finito in uno di quei terribili film horror che si era sempre rifiutato di vedere. Prese la pila che custodiva nel comodino e l'impermeabile, pronto ad affrontare la tormenta per rimettere la luce.

Ma non appena aprì la porta la vide.

Emily era difronte a lui, con i capelli e gli abiti zuppi per la pioggia, il trucco colato e gli occhi rossi come se avesse pianto per ore. Tremava copiosamente, scossa dal freddo e forte da un pianto incontrollabile.

"Ellen è morta"

La sua voce gli arrivò lontana e confusa. Emily gli aveva appena sganciato una bomba addosso e lui si sentiva le ginocchia cedere sotto il suo peso. Voleva correre, piangere, urlare, non lo sapeva neanche lui cosa voleva fare. Sentiva un grande vuoto farsi spazio dentro di lui.

Ellen.

Ellen, il suo primo amore.

Ellen, la cara e dolce Ellen.

La ragazza che sorrideva sempre, la ragazza dai capelli castani che profumavano sempre di vaniglia.

Ellen la ragazza che lo faceva sempre ridere.

Ellen se ne era andata.

E l'aveva lasciato solo.

Guardò Emily tentare di asciugarsi il viso con la manica zuppa del piumino e provò solo una grande pena per lei. Le si avvicinò e la strinse, bagnandosi il viso. Lei non ricambiò l'abbraccio, rimase con le braccia penzoloni e non accennava a nessun simbolo d'affetto. Zayn non sapeva perché l'aveva fatto, perché l'aveva abbracciata, ma credeva che avesse bisogno di qualcuno a cui appigliarsi.

O forse ne aveva bisogno lui.

Rimasero così per un tempo indefinito, finché lei si liberò da quell'abbraccio e lo fissò negli occhi.

"C'è il funerale stasera" se ne andò via veloce, verso la sua macchina, lasciandolo lì, in piedi davanti alla porta rossa, senza che avesse detto una parola e con il sapore della donna stampato sulle labbra.


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I'm back!
Scusate se ritorno dopo un bel po' di tempo, ma scrivere questo capitolo è stato complicatissimo (non avevo molto tempo e se ne avevo non avevo voglia o ispirazione)
Comunque, ritorniamo a quello che succede:
Emily riflette nuovamente sulla sua posizione e su Mark che ci rivela la sua triste storia, ma il vero colpo di scena viene alla fine.
Ellen è morta, ma non si sa ancora perché (si scoprirà nel prossimo capitolo ;)) e c'è (finalmente) il ritorno di Zayn che dopo l'intervento si sta reinventando e sta preparando il suo ritorno sulle scene. E poi abbiamo una piccola scena tra i nostri protagonisti alla fine.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate passato delle buone feste (domani si ricomincia, sigh),
un bacione e alla prossima,
Claudia 



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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Harry scostò la tenda color panna e si affacciò alla finestra che dava sul grande giardino. Era una bella giornata. Il sole brillava nel cielo pulito, dove neanche la più debole delle nuvole accennava a sbucare fuori. Se non fosse per tutto il dolore che si portava dietro sarebbe stato felice. Ellen lo era sempre nelle giornate di sole.

In un certo senso Ellen era il suo sole.

E adesso che lei non c'era più, per lui non c'era sole che reggesse il confronto con lei.

Richiuse le tende e si guardò attorno. La stanza, la sua camera da letto era rimasta come l'aveva lasciata lei qualche giorno prima. Ad Harry gli parve così strano e doloroso il fatto che solo tre giorni prima Ellen stesse svuotando l'armadio alla ricerca dell'abito perfetto per il gala a cui erano stati invitati. Solo tre giorni prima.

Il letto era sempre sfatto, alcuni vestiti erano ancora buttati sulle lenzuola sgualcite, un paio di sandali firmati erano stati lasciati ai piedi del letto. Harry poteva ancora sentire la sua presenza nella sua stanza. Se chiudeva gli occhi la vedeva sbuffare perché erano in ritardo e lei non trovava il collier di pietre azzurre che, a detta sua, era l'unico che si abbinasse all'abito che aveva indossato.

In quel momento Thomas entrò nella stanza. Indossava sempre il pigiamino verde coi dinosauri e si stropicciava gli occhi.

"Papà?" La vocina dolce era ancora impregnata di tristezza e malinconia. Harry lo guardò a lungo: Thomas aveva gli stessi occhi di Ellen. Lo sapeva che non poteva essere possibile però era così.

"Dimmi campione" Harry si accucciò sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza.

"Voglio la mamma" piagnucolò il piccolo gettandosi addosso al padre che dal canto suo non sapeva come replicare. Anche a lui mancava. Troppo.

Aveva il cuore lacerato, faceva fatica a respirare e ancora si chiedeva come continuare a vivere. Come andare avanti ogni giorno sapendo che non l'avrebbe più rivista, non avrebbe più sentito la sua voce, la sua risata. Ellen l'aveva abbandonato nel peggiore di tutti i modi. E lui non riusciva a perdonarla per questo. Strinse il corpicino del figlio al suo petto più forte che poté.

"Papà però così mi fai male" bisbigliò Thomas cercando di liberarsi dalla stretta del genitore.

Harry lo osservò ancora.

Thomas sarebbe stato la sua ancora.

"Hai voglia di fare un viaggio?"

*

Quattro anni prima

Harry entrò a corsa nell'ascensore. Un secondo dopo e sarebbe arrivato tardi alla cena con Roxanne, quella psicologa americana con delle cosce da urlo. Sorrise alla ragazza che era in piedi accanto a lui e che gli aveva bloccato la porta dell'ascensore. Era carina, sì, ma niente di che. Viso troppo appuntito, gli occhi scuri e i capelli castani. Aveva un bel nasino, ma forse troppo magra e un pochino insulsa. Inoltre pareva avesse dodici anni.

"Grazie per avermi salvato la vita" la ringraziò porgendole la mano e tirando fuori un sorriso seducente. Lei la strinse arrossendo un po'.

"Ti ho già visto da qualche parte?" chiese lui aggrottando le sopracciglia. Lei annuì dolcemente.

"Al cinema magari" azzardò lei. "Sono un'attrice" sussurrava per paura che le due donne insieme a loro li sentissero. Ad Harry si accese una lampadina.

"Già, già, ora ricordo. Sei Ellen Benjamin, vero?" Lei sorrise. Non sapeva bene perché lo aveva fatto, di solito evitava che la gente che la riconosceva, tantomeno rivelava di sua spontanea volontà la sua identità. Ma c'era qualcosa in quell'uomo che gli ispirava fiducia. Sapeva che poteva fidarsi di lui.

La porta dell'ascensore si aprì e lui sparì, senza che lei se ne accorgesse. Quando si richiuse sentì come un vuoto dentro di sé che non riuscì mai a spiegarsi.

Tre mesi dopo

Ellen bevve un sorso di caffè mentre scrutava il Tamigi scorrere tranquillo. Era primavera inoltrata e la temperatura mite stava arrivando anche a Londra, per fortuna. Zayn sarebbe arrivato con la sera e sicuramente avrebbe avuto lo stesso umore nero di tutte le volte che tornava da casa di sua madre. Lei si stava godendo le ultime ore in solitudine.

"Signorina Benjamin, che piacere rivederla" l'uomo dell'ascensore era davanti a lei. Aveva i capelli più corti e tirati indietro dagli occhiali da sole.

"Piacere mio, signor..?"

"Styles, Harry Styles" rispose subito lui con un sorriso che gli fece nascere due lunghe fossette ai lati della bocca. "Posso sedermi un po' con lei?" chiese lui indicando la sedia. Lei fece cenno di sedersi. Quando furono di fronte lei poté guardare meglio le iridi verdi dell'altro.

"Cosa ci fa qui da sola?" chiese lui rompendo il silenzio che stava diventando imbarazzante.

"Mah, sa, sono sempre circondata da un mucchio di gente, ogni tanto ho bisogno di stare sola" lui annuì meccanicamente.

"E lei? Cosa fa qui?"

"Sai, posso darti del tu?" Ellen annuì e gli fece cenno di continuare. "Sono un chirurgo e il mio pochissimo tempo libero solitamente lo spendo passeggiando per questa zona" accennò un sorriso che lei copiò. In quel momento si sentiva invasa da migliaia di emozioni che non riusciva neanche a spiegarsi. Non ricordava l'ultima volta che si era sentita così. Forse la prima volta che aveva baciato Zayn credendo che fosse l'amore della sua vita. All'epoca aveva appena venticinque anni e era ancora giovane ed ingenua. Ma ora, ora era diverso. Ora ne aveva trentadue di anni, era una donna adulta e non credeva all'amore a prima vista. Non più. Eppure in quell'esatto momento le pareva di avere sedici anni.

"Hai voglia di bere qualcos'altro che non sia caffè?" chiese lui, con una punta di malizia nella voce.

Harry aveva individuato la sua prossima ragazza. Ma in quel momento non poteva sapere che quella domanda avrebbe per sempre cambiato la sua vita.

Quattro mesi dopo

Ellen sentì il telefono squillare proprio un momento prima di entrare nella doccia.

"Ellen?" la voce roca di Harry la fece sorridere.

"Ciao Harry" sussurrò sempre con il sorriso sulle labbra.

"Sei a casa?"

"Sì"

"Sei sola?" Ellen lo fece aspettare qualche secondo prima di rispondergli. Era sola, sì, ma aveva voglia di tenerlo un po' sulle spine.

"Sto facendo la doccia in questo momento".

"Ti aspetto a Piccadilly tra un'ora". Riattaccò ancor prima che lei potesse ribattere. Non c'era altra scelta allora. Doveva andarci.

Un'ora dopo Ellen lo stava aspettando davanti al ristorante di Jamie Oliver's. Aveva indossato l'abito che aveva comprato il giorno precedente da Chanel e i sandali che gli aveva regalato Jo, sua sorella. Harry arrivò pochi minuti dopo, vestito in maniera impeccabile e con una rosa stretta tra le dita.

"Buon compleanno amore" la baciò sulle labbra e lei si sentì colma di felicità. Finalmente.

Tre mesi dopo

Ellen si svegliò molto presto quella mattina. Si svegliò con la mente che pensava ad Harry, mentre al suo fianco c'era la figura di Zayn. Guardò il compagno a lungo, osservando ogni suo singolo dettaglio del suo profilo. Avrebbe mentito se avesse detto che non l'aveva mai amato. Fino a quel momento quella con Zayn era stata la più bella e profonda storia d'amore che aveva mai avuto con un uomo. Sarebbe stata una bugia anche dire che non l'amava più. Lo amava ancora tanto, ma non come un rapporto serio richiedeva. Avevano obiettivi diversi, lei voleva dei figli, lui no e sebbene fosse il più classico del cliché in una relazione, era vero. Era finito il loro amore, ed era finito dal momento che aveva capito che loro stavano andando su due strade diverse; parallele e che non si sarebbero mai incontrate.

Lo baciò sulla guancia e si alzò per preparare i bagagli per Berlino. Lasciò una lettera nel portagioie e se ne andò prima che un ago di luce bucasse l'oscurità della stanza.

Venne a sapere di Zayn qualche settimana dopo dell'incidente. Lo aveva scoperto nel peggiore dei modi, leggendo una rivista all'aeroporto di Los Angeles. "Il famoso cantante inglese a quanto pare sta sperperando ogni suo bene per una ricostruzione completa delle corde vocali che nessun chirurgo vuole fare, ARTICOLO COMPLETO A PAGINA 25".

Provò a chiamarlo un paio di volte ma scattava sempre la segreteria. Tornò a Londra un anno dopo essere partita per Berlino quella fredda mattina del 4 marzo. Trovò la sua città profondamente cambiata. Non aveva più il fascino che l'aveva sedotta quando aveva tredici anni. Era tenebrosa, più del normale, le faceva venire i brividi. Londra era la stanza buia in cui aveva lasciato Zayn, dove lo aveva abbandonato a se stesso, lasciando che si facesse del male.

Lo vide in ospedale pochi giorni dopo dal suo arrivo. Era con un chirurgo che era sicura di avere già visto. Era una donna, coi capelli rossi raccolti in una treccia e con gli occhi innamorati. Anche Zayn ce li aveva mentre le scrutava. Ellen si sentì stranamente felice. Aveva sempre voluto bene a Zayn e vederlo nuovamente innamorato la faceva stare bene.

*

Harry le chiese di sposarlo sul Tower Bridge, qualche settimana dopo. Teneva un anello in mano e gli tremava la voce. Non si ricordava bene quel momento, si ricordava solo di aver pianto tanto da rovinarsi il trucco.

Si sposarono il primo giugno in una giornata troppo piovosa per la stagione. Erano solo loro due. Non c'era bisogno per loro che ci fossero delle altre persone, una festa, un abito per rendere speciale quei momenti. L'unica compagnia era un paparazzo nascosto dietro un albero che fece sapere al mondo intero che l'attrice inglese più in del momento si era sposata col suo amante.

*

Thomas entrò nelle loro vite poco più tardi. Un bambino di appena due giorni fu abbandonato all'ospedale dove lavorava Harry, nella notte tra il 6 e il 7 agosto di quell'anno. Harry lo trovò su un lettino del pronto soccorso e capì subito che quel bimbo non era stato lasciato lì per caso, ma che c'era qualcosa dietro che aveva fatto in modo che lui lo trovasse, che lo prendesse. Ellen all'inizio fu un po' titubante, perché si era messa in testa di dover trovare la madre naturale. Ma facendo passare le settimane, si affezionava sempre di più al piccolo e lasciava sempre più perdere le "indagini".

*

Una sera di un anno dopo, Harry trovò Ellen in lacrime in una stanza del St. Thomas. C'era Jesse con lei che cercava di consolarla. Quando Harry chiese cosa fosse successo, l'amico lo guardò triste e mortificato. Conosceva fin troppo bene quello sguardo.

Sta morendo, Harry.

Tre parole bastarono per distruggerlo.

Quanto tempo le manca?

Pochi mesi.

Ellen decise che non avrebbe fatto nessun tipo di terapia. "Soffrirò troppo e poi tanto la fine sarà la medesima. Preferisco vivere al massimo i miei ultimi mesi"

"Non vuoi lottare? Non vuoi provare a vivere per me, per Tom?" chiese una sera Harry tra le lacrime. Ellen lo baciò dolcemente sulle labbra e provò a memorizzare quel sapore così buono, che sapeva di suo.

"Ti amo" gli sussurrò nell'orecchio e lui pianse ancora di più.

*

In quegli ultimi sei mesi accanto ad Ellen, Harry si preparò psicologicamente alla sua morte. Ma quando la sera del 31 gennaio arrivò, lui non seppe cosa fare. Andò nel panico e per fortuna c'era Niall lì con lui.

La portarono in ospedale a corsa ed Harry non riusciva a pensare a niente. Sentiva la paura che lo attanagliava. Non voleva vivere una vita senza Ellen.

Lei morì tra le sue braccia alle prime ore del primo giorno di febbraio.

Lui non ricordava di aver pianto tanto come in quel momento. Era solo. Lei l'aveva lasciato nel peggiore dei modi. Gli aveva parlato di una lettera prima di spirare.

La trovò nel portagioie, scritta con la sua calligrafia elegante e precisa.

Amore mio,

fin dal primo momento in cui ti ho visto ho capito che tu saresti stato importante nella mia vita.

E così è stato. Sei entrato nella mia vita, scusami la ripetizione, come un turbine di emozioni che mi ha travolto.

Non saprei come ringraziarti per aver cambiato, in meglio, il mio mondo.

Grazie amore,

Ellen.

*

Harry non si separò mai più da quella busta. Era l'ultima cosa di lei che gli era rimasta.

Quella mattina dopo il funerale, preparò Tom, caricò i bagagli in auto e guidò fino a Leeds, dove sua madre l'accolse a braccia aperte.

"Tesoro mio" lo strinse in un abbraccio. Lei sapeva cosa stesse provando il figlio. "Andiamo in casa". Lo fece entrare e chiuse la porta alle sue spalle.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Londra, fine Luglio

Il caldo afoso che in questi giorni sta aleggiando su Londra non fa nemmeno respirare. Il cielo è costantemente ricoperto da una cappa scura e grigia che fa diminuire ancora la mia voglia di uscire di casa. I giornali dicono che sarà l'estate più lunga e calda degli ultimi tredici anni. E a me viene da piangere solo al pensiero. Lo dice anche il Guardian del tizio accanto a me sulla metro. Io allungo l'occhi per sbirciare qualche notizia quando lui se ne accorge e gira pagina per leggere l'articolo sul calcio.

Stronzo.

Mi guardo un po' attorno, osservando i volti dei miei compagni di carrozza e immaginando che vita possano avere. Una è una ragazza con un dolce vestito floreale e le cuffie agli orecchi. Canticchia e ondeggia i capelli rossi fuoco. Tiene in mano due o tre libri di letteratura francese. Studentessa di lingue. Okay, ora il nome. Rebecca? No, non mi piace. Eliza? No, forse meglio Lisa. Sì, Lisa è perfetto. Dunque, poi c'è, uh carino quello. È in piedi, cuffie nell'orecchie anche lui, capelli lunghi, un po' mossi e molto scuri. Ha gli occhi scuri quasi quanto i capelli e la barba. Okay, non è solo carino. È molto di più. Veramente tanto di più.

Proprio mentre gli sto facendo i raggi X, il mio telefono squilla distraendomi dal figo con la barba.

"Annie"

"Oh ciao tesoro, cioè buongiorno. Allora sai tra quanto arrivi? No, perché Tanya ha detto che deve parlarti"

"Annie sono sulla metro" rispondo sbuffando. "Il mio turno inizia tra mezz'ora e tra cinque minuti sono lì. Dille di non preoccuparsi".

"Okay, okay" sospira lei dall'altro capo del telefono. "Oh, Em, ci sono novità." Il suo tono di voce cambia e assume quella punta leggermente acuta che ha quando vuole raccontarmi un gossip. "C'è un nuovo chirurgo. Credo sia il sostituto di Harry. A proposito ci hai più parlato? Iniziamo ad essere tutti molto preoccupati". Harry è sparito da qualche mese ormai. Gli unici con cui si tiene in contatto siamo io e Niall, ma sono tutti sintetici messaggi di risposta ai nostri, dove ci dice che sia lui che Tom stanno bene. L'ultimo l'ho ricevuto all'inizio del mese e da allora niente, buio totale. Nessuno sa dove sia realmente, però crediamo che sia dalla madre.

"Lo sai che appena mi scrive lo dico. E' dal tre luglio che non lo sento più". C'è qualche secondo di silenzio imbarazzante che Annie spezza alla fine con un lungo sospiro.

"Prima o poi tornerà". Cerco di consolarla. "Ne sono sicura"

"Si vedrà". Sospira lei. "Comunque ti dicevo, il nuovo chirurgo". Il suo tono di voce cambia di nuovo e ritorna quindi la nota acuta ed eccitata. "Oh Cielo, Emily! Lo dovresti vedere, ti toglie proprio il fiato". Rido un po' più leggera rispetto a qualche minuto fa. Adoro quando Annie si trova davanti agli uomini.

"Ricordati che devi sposare Jesse tra meno di un mese". La rimprovero scherzosamente. "Anzi tra due settimane precise. Lasciami qualcosa a me, per favore". Lei ridacchia in maniera soffocata-

"Okay, okay, ma sbrigati, lo devi proprio vedere. Ora devo andare, un bacio Em". Chiude la chiamata ancora prima che io possa salutarla.

Senza che me ne accorga ho il sorriso stampato in viso. E non so come mai. Alzo lo sguardo per caso e mi accorgo che il figo di prima si è seduto davanti a me. E mi sta guardando sorridente. Ma quando mi accorgo di essere diventata praticamente rossa come un peperone la voce metallica della metro annuncia la mia fermata. Mi alzo di scatto e passando accanto a lui, lascio cadere con nonchalance il mio biglietto da visita.

Sono già all'uscita di Waterloo Station quando mi sento chiamare.

"Ehi!" Il figo della metro è a pochi scalini da me.

"Possiamo vederci qualche volta Emily?" Sfacciato. Bene, bene, mi piace.

"Certo. Ma io non conosco il tuo nome"

"Ian"

"Molto piacere Ian". Gli porgo la mano e lui la stringe sorridente. "Io sono Emily"

"Ti chiamerò Emily". Mi ammicca un occhiolino prima di tornare indietro sui suoi passi. Che bello rimorchiare in metro. Sempre meglio che in un bar.

Quando arrivo in ospedale neanche il tempo di indossare il camice che vengo attaccata da Annie.

"È in quella sala lì". Indica la sala 3 con il dito magro. "Tra poco dovrebbe aver finito. Era con Jesse. Comunque non credo che sia un Neurochirurgo. Credo che sia un altro plastico". Annie mi trascina in galleria. "Guarda è quello accanto a Martin". Mi ci vuole un po' per localizzarlo e individuarlo visto che Martin è un energumeno di due metri.

Oh Cielo.

"Merda, merda" sussurro piano, cercando di non farmi sentire da Annie. "Merda, merda, merda!"

"Cosa dici Emily? Che è successo?" Esco dalla galleria a grandi falcate cercando di non farmi notare da lui. Annie mi segue con lo sguardo confuso. "Perché fai così? Che è successo?"

"Quello nuovo". Prendo fiato per metabolizzare la cosa. L'ultima volta che l'ho visto mi supplicava di non scappare. E mi chiedeva di chiamarlo. "È lui". Esalo alla fine, ma lei continua a non capire.

"Lui chi?"

"Lui, Mark! Il figo del bar di New York". Negli occhi di Annie c'è un guizzo divertito.

"Oh cielo! Non mi avevi detto che era un chirurgo!" Mi tira una botta scherzosa sul braccio e sorride. "Ho sempre saputo che hai degli ottimi gusti in fatto di uomini".

"Ma tu lo sai cosa ci fa qui?" chiede dopo qualche secondo di silenzio e io scuoto la testa.

"Non ci parlo da qualche mese ormai" ammetto un po' in colpa. L'ho lasciato al JFK di New York per tornare qui per il funerale di Ellen. Lui chiamava sempre, tutti i giorni, ma io non rispondevo mai. Alla fine ha smesso e io me ne sono dimenticata. Mi sento così in colpa adesso.

"Cavolo Emily, come hai potuto lasciar perdere? Da quello che mi avevi detto Mark ti aveva fatto perdere la testa. E poi sembrava okay. Oddio, no, aspetta, non è per via di Zayn vero? Vai avanti tesoro, lui non ti merita".

"Oh Cielo, no. Non è per lui. Non lo vedo dal funerale". Prendo qualche minuto per riflettere sul perché. Perché ero troppo spaventata e di cosa? Di innamorarmi? E che poi che mi succedesse come a Harry ed Ellen, che mi venisse strappato via. "Non lo so perché non l'ho più richiamato". Ammetto mentendo. "Ora però è strano averlo qui, doverci parlare tutti i giorni e..."

"Emily?" Il suo accento irlandese arriva da dietro e mi fa sobbalzare. Mi giro lentamente e nel vederlo sento un tuffo al cuore. Non è cambiato di una virgola dall'ultima volta che l'ho visto. Sempre stessi occhi azzurri, stesso fisico asciutto, stessi capelli neri come la pece.

"Mark" sospiro piano. Non riesco a trovare un tono di voce decente, sono troppo scombussolata da questa situazione. "Cosa ci fai qui?"

"Il lavoro di cui ti avevo parlato, ricordi?" Sì, certo che ricordo. Ho fatto domanda di lavoro in vari posti sia in Irlanda che a Londra, la città in cui ho sempre voluto vivere, ed ora sto aspettando le risposta.

"Oh, beh, congratulazioni" abbozzo un sorriso tirato e anche lui lo fa. Ci fissiamo negli occhi per un tempo infinito e nessuno dei due si azzarda ad accennare parola. Anne passa lo sguardo da me a lui, sempre più scioccata.

"Ti posso parlare in privato, Emily?" Domanda accennando alla stanza alla sua destra. Annuisco a scatti e mi muovo verso di lui.

Entriamo nella stanza in silenzio quasi religioso. Lui entra dopo di me e si chiude la porta alle spalle.

"Senti, prima di tutto vorrei chie..." Mi bacia ancor prima che possa proferire un'altra parola. All'inizio m'irrigidisco per lo shock ma poi mi lascio andare. Mi era mancato. Dio, se mi era mancato. M'infila la mano calda sotto il camice azzurro e mi stringe ancor più a sé.

Il bacio dura troppo, ma allo stesso tempo troppo poco.

"Mi sei mancata Ford". Sorride dolcemente mentre mi guarda con i suoi occhioni blu. È ancor più bello di quanto ricordassi.

"Mi dispiace per non aver risposto alle tue chiamate"

"Non importa, ora sei qui. Possiamo riprendere da dove era stato lasciato tutto". Mi bacia di nuovo e io mi sento nuovamente in colpa. Mi sento in colpa per essere andata a letto con Zayn, mi sento in colpa per aver flirtato con uno sconosciuto sulla metro mentre lui non aspettava altro che questo giorno per rivedermi, per riabbracciarmi, per baciarmi. Lui si è innamorato di me e io continuo a non sapere cosa voglio.

"Vieni qui". Mi stringe di nuovo a sé. "Ti voglio baciare ancora". Ed io sento la stessa identica stretta allo stomaco che avevo sentito la prima volta che l'avevo baciato.

Lo squillare del mio cercapersone blocca qualunque cosa fosse in atto. Tanya. Dio, quanto la odio.

"Devo andare". Gli lascio un semplice bacio sulle labbra e mi avvio verso la braccia. "Ci vediamo stasera, okay?" Esco ancor prima che lui possa rispondere.

L'ufficio di Tanya è grande e luminoso, con la vista sul Tamigi. Quando entro lei è i piedi e sta fissando lo skyline di Londra che con questa luce è spettacolare. Non sente aprire la porta perché non accenna a girarsi. Se ne rimane lì rigida come sempre, nella sua figura slanciata, i suoi boccoli scuri e le sue Louboutin in piedi.

"Buongiorno Tanya, mi hai chiamato?" Lei si volta con lentezza e mi guarda con un sorrisetto gelido sulle labbra.

"Siediti Emily, dobbiamo parlare di una cosa importante". Con un cenno indica la sedia davanti alla sua scrivania. Mi siedo un po' timorosa di quello che avrà da dirmi. Anche lei si siede, guardandomi negli occhi e incrociando le braccia davanti a sé.

"Emily, è difficile da dire..." Comincia con tono melodrammatico e io mi sento morire dentro. Mi sta licenziando. Ora mi è tutto chiaro. Ha assunto Mark al mio posto.

"Mi stai licenziando vero?" Chiedo per cercare di smorzare il dolore. Pensavo che finalmente la mia vita avesse preso la giusta piega. Invece no, per me non esiste la felicità.

"Oh, ma certo che no, tu sei uno dei nostri migliori chirurghi, non posso perderti. Sei eccezionale". Si prende una pausa. C'è un ma. Oddio che significa quel ma? "Ma purtroppo non sarai più Primario. Ho assunto un nuovo chirurgo a sostituirti. Avrei scelto Jesse, ovvio, ma lui l'abbiamo spostato a Neuro fino al ritorno di Harry, sempre che lo faccia, prima o poi". Mi sento andare giù. Da una parte sono sollevata perché alla fine ho sempre un lavoro.

"Ma perché?" Sbotto dopo qualche minuto di silenzio. Lei mi guarda un po' turbata prima di rispondermi.

"Beh, perché dopo quell'incidente di cui sappiamo entrambi, la tua condotta non è sempre stata perfetta e tu non sei mai andata in terapia come ti avevamo consigliato"

"Ma io sto bene!" Il mio tono esce un po' stizzito e un po' troppo alto. Tanya si acciglia severa e io cerco di ricompormi.

"Abbiamo deciso che se andrai in terapia e non avrai più atteggiamenti da squilibrata, il posto da Primario di Plastica sarà tuo di nuovo"

"Okay, okay, parlerò con Roxanne, ci accorderemo su degli appuntamenti e cercherò di partecipare a tutti. Migliorerò Tanya, te lo prometto". Mi sforzo a sorridere e anche lei lo fa.

"Bene, sono contenta. Sei uno dei migliori plastici che abbia mai conosciuto Emily, non voglio perderti". Allunga la mano nella mia direzione e io la stringo piano.

Quando esco dall'ufficio di Tanya, Mark è qui fuori ad aspettarmi. Che faccia tosta.

"Emily vorrei scusarmi con te per quello che ti ha detto, volevo dirtelo".

"Mi hai praticamente rubato il posto Mark". Sbotto con tono arrabbiato. In realtà non è colpa sua, è solo colpa mia. Mia e del mio carattere del cazzo.

"Non avevo idea che fossi tu". Ha lo sguardo da cucciolo ferito che mi fa stare male. Mi dispiace essere così tanto dura con lui.

"Senti, scusa Mark, non è veramente colpa tua, mi dispiace". Lui sorride dolcemente. "Devo andare ora, ho un consulto". Mi allontano a grandi falcate senza guardarlo un secondo di più.

*

Il mio turno finisce poco prima dell'ora di cena. Stasera io e Anne abbiamo in programma di fare un addio al nubilato solo tra noi due, senza spogliarelli e gente ubriaca. Solo noi due, in un bel ristorante. Mentre mi avvio verso l'uscita vedo Mark venirmi incontro.

"Mi hai evitato tutto il giorno Ford". Sorride con quel suo bellissimo, struggente sorriso.

"Non ti ho evitato. Ho solo lavorato molto". Mento spudoratamente e lui se ne accorge perché faccio davvero schifo a mentire.

"Volevo invitarti a cena una di queste sere, che ne dici?" Propone d'un tratto e io sono immobilizzata. Okay, che devo rispondere? Sono nel panico più totale.

Poi mi viene in mente un flash di stamattina. Ian, la metro, i suoi lunghi capelli scuri.

"Mark, non posso ora. Sai, c'è una persona..." Non è effetti vero, però in parte sì. Vedo tutta la felicità scivolare via dai suoi occhi. Mi fa male vederlo così. Mi avvicino a lui e li passo la mano sulla guancia.

"Mark, quello che provo per te è sempre lo stesso da febbraio, ma ora , beh..."

"Beh, vaffanculo Emily". Si stacca da me e mi guarda serio. Merda, dev'essere parecchio incazzato. "Vaffanculo. Io ti ho chiamato, ti ho scritto e tu non ti sei fatta mai sentire. Sei stata una stronza. Ma io ho cercato di non pensarci e di pensare solo a quando sarei stato a Londra e avrei potuto vederti. Ma poi tu te ne esci con quella frase e no, non ti aspettare che io sopporti. Non abbiamo sedici anni, non ti aspetterò. Ne ho già passate troppe e ora voglio stare con qualcuno che sono sicuro che mi farà stare bene. E a quanto pare mi sono sbagliato. Non sei tu quella persona". Lo vedo allontanarsi veloce verso l'uscita. Sono scioccata. Non mi aspettavo certo un'uscita del genere dal dolce e gentile Mark.

"Ehi, Em, sei pronta? Andiamo?" Anne è accanto a me e mi sorride allegra. Cerco di sorridere mentre annuisco meccanicamente.

*

"Merda". Dico tra me e me a denti stretti. "Merda, merda". Anne mi sente e si gira con gli occhi sbarrati.

"Che succede?" La prendo per un braccio e la obbligo a guardarmi negli occhi. "Lo vedi quell'uomo sulla porta del ristorante? Quello con i capelli legati, la barba e un sorriso favoloso? Non far vedere che lo stai spiando, Anne". Lei lo guarda sottecchi.

"Beh, mica male eh". Mi fa un occhiolino di approvazione. "Lo conosci?" Io annuisco piano e i suoi occhi si illuminano.

"Hai fatto sesso anche con lui a New York?"

"No! Ma cosa dici? No". Mi affretto a precisare. "L'ho conosciuto stamattina in metro. Mi ha chiesto di uscire".

"Uh, Em, lo so che l'hai già sentito miliardi di volte, ma hai veramente degli ottimi gusti in fatto di uomini". Mi dà un colpetto scherzoso al braccio col gomito e mi guarda allegra. Già, ha proprio ragione. Lancio uno sguardo a Ian che sorridente accoglie i clienti in abito da sera e completi firmati. Ha un meraviglioso sorriso, i capelli scuri sono raccolti in una crocchia sulla nuca e sembra un modello di Armani sceso tra noi comuni mortali.

"Che intenzioni hai, Em?" Annie attira nuovamente la mia attenzione su di lei. Okay, questa è la sua serata, devo lasciar perdere tutti i miei drammi amorosi.

"Andiamo dentro, ci aspetta una bella serata". La prendo a braccetto e ci avviamo verso l'ingresso. Scansiamo Ian per un pelo e io posso finalmente respirare normalmente quando entriamo dentro la grande sala super chic. Mentre Anne mi parla del suo intervento io mi guardo attorno, ammirata. Non ci posso credere di essere qui! In questo posto! Nel ristorante più chic, più cool di tutta Londra. Devo concentrarmi su questo e non sul fatto che spenderemo quasi un mese di stipendio stasera. Okay, questa cosa mi fa un po' andare nel panico, ma alla fine una volta nella vita va sperimentato questo tipo di terrore. Godiamoci una bella cena per il momento.

"Emily?" Oh no. Oh nonono. No, per favore, no. Mi giro lentamente col sorriso gelato sulle labbra. Gli occhi scuri di Ian mi stanno guardando vivaci. Cavolo, ha proprio dei begl'occhi.

"Oh". Mi schiarisco e penso più velocemente possibile a quale tipo di tono di voce sarebbe migliore per un momento come questo. Disinteressato? Gentile? Sbavoso del tipo "non ho smesso di pensare a come saresti nudo"?. "Ciao, ehm, Ian". Okay quello che è venuto fuori è un balbettio da bimbetta di quinta elementare.

"Mi sembravi tu prima all'ingresso, ma non ero molto sicuro"

"Uh, eri all'ingresso? Non ti ho visto". Premetto che le mie doti attoriali non sono niente male, ma a questo giro dalla faccia rossa di Annie capisco di aver fatto altamente schifo. Susseguono dei secondi di silenzio piuttosto imbarazzante che Annie decide di rompere con un piccolo colpo di tosse.

"Ehm, io sono Annie, la sua migliore amica"

"Piacere Ian". Le porge cordialmente la mano che lei stringe con vigore.

"Dunque signore, volete ordinare?" Tira fuori dalla tasca un palmare super tecnologico e mi guarda sorridendo.

*

Non ci ha più parlato da quel momento, se non per prendere le ordinazioni del dolce o dei semplicissimi "prego". Annie è stata tutta la sera a ripetermi di chiedergli di uscire, ma io non so se ne ho veramente voglia o bisogno. Alla fine, dopo lungo rimuginare penso che è meglio lasciar perdere. Non voglio immischiarlo nella mia complicata vita. E poi non voglio iniziare un'altra relazione. Forse.

"Emily, ehi, aspetta". Mi sento stringere il braccio e sono obbligata a voltarmi. Ian è proprio qui, a trenta centimetri da me. I suoi occhioni scuri sono puntati contro i miei. "Te ne vai di già?"

"Beh sì." Mi guardo attorno indicando il locale quasi vuoto. "Qui state per chiudere".

"Hai ragione, che domanda stupida". Sorride imbarazzato, cercando ora di evitare il mio sguardo. "Senti pensavo ad una cosa..."

"Prima che tu dica qualcosa, ti voglio fermare." Poggio una mano sul suo petto e sento la schiena fremere. Cavoli che pettorali. Si sentono anche attraverso la giacca e la camicia. "Ho una vita complicata. Molto complicata, proprio come me. Quindi, siccome mi sembri un bravo ragazzo e con la testa a posto, ti consiglio vivamente di no..." Mi sta baciando. La sua mano calda dietro la nuca, le sue labbra morbide che sfiorano le mie, la sua barba che pizzica leggermente la mia pelle. Ha un sapore favoloso, anche se sento vagamente quello del fumo. Dopo un po' mi lascio andare. Dio, bacia proprio bene.

Quando ci stacchiamo la prima cosa che vedo non sono i suoi meravigliosi occhi, no. È Anne che sorride come una bambina a cui è stato appena dato il regalo di compleanno. Tira i pollici in su e mi fa l'occhiolino. E questo mi strappa un sorriso. Ian intanto mi ha preso la mano e mi guarda con gli occhi languidi.

"Vogliamo andare?"

"E il locale? Puoi andartene così?"

"Non ti preoccupare, sono loro che lavorano per me." Ammicca un occhiolino e sorride. Cielo, che meraviglioso sorriso. Okay, lo sto facendo di nuovo. Mi sto infilando nuovamente in una relazione. Avrò fatta la scelta giusta? Prima di rispondermi guardo nuovamente Ian.

Cavoli, sì che ho fatto la scelta giusta.

 

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Angolo autrice.

Ciao!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se ha un tono un po' più frivolo. 

Su Ian non vi dirò nient'altro che non sia già nel capitolo;)

Un bacio e buona serata,

Claudia

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Oasis – Stop Crying Your Heart Out
Agosto
C’è un bel sole oggi. Non è troppo caldo, non ci si scioglie solo a pensare di uscire. No, oggi è una giornata perfetta. Perfetta per cosa? Beh, per un matrimonio, no?
Il matrimonio di Jesse e Anne. Il matrimonio del mio ex marito e della mia migliore amica.
Lo supererò mai questo? Beh, la risposta è no, ovvio.
Ma io che posso farci? Niente. Solo sorridere ed essere felice per Anne che si merita tutta la felicità del mondo. E io spero che Jesse gliela possa dare. Perché, tradimento a parte, mi ha sempre trattato bene. È sempre stato un buon marito e un fantastico padre per Chyler, sebbene i vari dubbi iniziali.
Mi guardo allo specchio e opto per un’altra passata di mascara. La cipria che mi ha messo quella specie di make up artist, mi evidenzia ancor di più le prime rughe intorno agli occhi e agli angoli delle labbra. Alla fine controllo il risultato finale e beh, non è malaccio. Il trucco è leggero, l’unico tocco più importante è il rossetto fucsia. L’abito giallo (sì, proprio giallo. A quanto pare mi sta molto bene ed è tutto merito di Anne se l’ho scoperto solamente alla veneranda età di quasi trentasette anni) è lungo fino a terra e mi lascia la schiena scoperta. Ian ha detto che è l’abito più sexy che abbia mai visto.
Ah a proposito, ora sto con lui. Ian. Il tipo della metro che possiede il ristorante più in di Londra. Il tipo praticamente milionario che va a giro con i soliti jeans, magliette sformate e le Vans consunte. Chiaramente non è costantemente vestito così, come adesso. Adesso indossa un completo nero e super elegante firmato Valentino. Valentino! Non voglio nemmeno pensare quanto possa essergli costato un abito del genere. E non che quello che io sto indossando ora sia da meno. Me l’ha regalato Ian per il compleanno (che tra l’altro è domani) e ha detto che sarebbe stato perfetto per il matrimonio. Quindi eccoci qui, davanti allo specchio e sembriamo appena tornati da una sfilata sul red carpet del Dolby Theatre.
“Ti sta veramente bene il giallo”. Mi dice facendo gentilmente scivolare la sua mano grande sulla mia schiena nuda. “Veramente bene”. Mi lascia un paio di baci umidi sulla spalla e sorride.
“Vogliamo andare?” Mi porge la mano e io la stringo sorridendo. Che inizi il vero supplizio.
*
Anne è veramente bellissima questa sera. L’abito bianco e morbido le sottolinea le curve armoniose e cela appena il pancione. Ha i capelli biondi sciolti in delle onde che le stanno da dio e una coroncina di fiori in testa al posto del velo. Il mio sguardo passa poi a Jesse. Ha gli occhi verdi che luccicano per l’emozione. Non riesce a tenere lo sguardo lontano da lei, dalla sua Anne. Ed è in questo momento che capisco veramente i loro reciproci sentimenti. Si amano, si amano sul serio e io non posso farci niente. Jesse amerà molto di più Anne di quanto non mi abbia amato.
“Ti sposeresti con me se te lo chiedessi?” Mi voltai di scatto guardandolo con gli occhi sbarrati. Jesse era semplicemente seduto al bancone del tavolo in cucina e stava tranquillamente mangiando dei cereali. Non mi guardava nemmeno, stava leggendo un libro. L’ombra del vento. Zafón. Il mio libro preferito e presto sarebbe diventato anche il suo.
“Cosa ti viene in mente?” Posò il libro, tenendo il dito tra le pagine per non perdere il segno. Mi fissò con i suoi grandi occhi verdi incredibilmente seri. Se all’inizio credevo stesse scherzando, ora temevo stesse dicendo sul serio.
“Ti sposeresti con me se te lo chiedessi?” Ripeté con voce più bassa. Allora non capivo. Da piccola avevo sempre creduto che per una proposta di matrimonio fosse necessario il romanticismo. Quella mi sembrava più un “perché non mangiamo la pizza stasera?”. Quindi nella vita reale non c’era il romanticismo nelle proposte di matrimonio?
“Dobbiamo parlarne proprio ora?” Domandai timidamente e lui rimase interdetto da quelle parole.
“No, certo che no”. Inforcò un’altra cucchiaiata di cereali e riprese a leggere.
Quel giorno non lo vidi praticamente mai. Quando la sera tornai a casa non c’era nessuno. Solo un biglietto ad aspettarmi.
Ti aspetto sul London Eye,
Jesse.
Quando arrivai ai piedi della ruota c’era lui ad aspettarmi. Facemmo metà giro in completo silenzio. Quando arrivammo in cima, con tutta Londra davanti ai nostri occhi lui mi prese la mano e fece in modo che lo guardassi. S’inginocchiò e mi guardò a lungo con i suoi profondi occhioni verdi.
“Ho capito che chiederti di sposarti nel posto dove ho capito di essere innamorato di te sarebbe stato più romantico che chiedertelo a colazione”.
“Non ci voleva tanto”
“Non interrompermi, ti sto chiedendo di sposarmi”. Ridemmo insieme e in quell’istante capii quale sarebbe stata la mia risposta. “Emily, sei fondamentale per me. Sei come le rocce sulle quali camminiamo, sei l’aria che respiro. Non vedo un futuro senza di te al mio fianco. Vedo solo te nel mio futuro. Vedo i tuoi occhioni verdi che mi fissano felici la mattina appena svegli. Vedo le tue risate sonore alle mie battute. Vedo i tuoi capelli rossi che mi hanno affascinato fin da subito e che continueranno a farlo per sempre. Vedo la tua ruga tra le sopracciglia di quando ti arrabbi. Vedo la tua lingua stretta tra le labbra di quando ti concentri. Vedo il tuo sorriso. Vedo il tuo viso. Vedo tu che mi abbracci. Vedo i tuoi baci. Vedo noi due. Insieme”. Tirò fuori dalla tasca della giacca una scatolina verde. L’aprì e dentro c’era un bellissimo anello. Mi mancava il respiro.
“Io non conosco altra risposta che sì”. Sussurrai piano e vidi il suo viso illuminarsi. Mi baciò subito, di scatto, stringendomi tra le sue forti braccia.
Vedeva noi due insieme, per sempre. Purtroppo il per sempre è durato appena dieci anni.
Ma ora non posso crogiolarmi nel passato. Lui è felice con un’altra donna. E io sono felice con Ian. O almeno credo. Ci frequentiamo da troppo poco tempo per capirlo. Però per il momento sto bene. La mia vita sta finalmente prendendo la giusta piega.
 
*
 
Emily rimase imbambolata con un bicchiere di champagne in mano. Ian stava parlando con Annie e lei era sola. Teneva il bordo del bicchiere appoggiato sulle labbra e le mani incrociate sul petto. Sembrava una statua col suo luminoso abito di Versace, fin troppo luminoso per una serata buia come quella. Non c’era neanche una stella in cielo. In compenso il giardino in cui si trovavano era illuminato da tante piccole lucine che rendevano l’atmosfera magica. Era stato un bel matrimonio alla fine. Anche ad Emily era scesa una lacrima quando i due sposi si erano scambiati le promesse. Aveva capito che l’amore che Jesse provava per Anne per lei non l’aveva mai provato. Però in quel momento sperava d’essere da tutt’altra parte. Voleva sparire, non voleva stare in mezzo a gente che la guardava male per essere l’ex-moglie dello sposo. E soprattutto voleva sparire dal mirino di Myrcella, la terribile madre di Jesse. Non l’aveva mai accettata in famiglia e Fred, il fratello di Jesse, le aveva raccontato che aveva aperto una bottiglia di champagne quando Emily e il figlio avevano firmato le carte del divorzio.
Quando riaprì gli occhi la prima cosa che vide fu Mark. La sua figura snella e un po’ tenebrosa le provocò una stretta allo stomaco. Non aveva ancora dimenticato il trattamento che le aveva riservato giusto qualche settimane prima. Per non parlare di come l’aveva trattata in quei giorni. Non lo riconosceva più, ed era tutta colpa sua. Era insieme a Leslie, la pediatra. Un essere spregevole e antipatico con tutti, tranne che con i suoi piccoli pazienti, tra cui Chyler. Con i bambini si trasformava dalla Regina Cattiva a Biancaneve, alla quale assomigliava anche nell’aspetto, con i suoi capelli scuri e la pelle candida. Erano proprio belli insieme, pensò. Con quel fascino oscuro, quella complicità che si vedeva da lontano un miglio. Forse Mark non era destinato a stare con lei. 
*

Mi allontano dalla festa con la scusa di una sigaretta. Tiro fuori il pacchetto dalla pochette, ne prendo una e me l’infilo tra le labbra. Alla fine l’accendo e faccio un lungo tiro. Non fumo una sigaretta da mesi. Era Jesse che mi aveva convinto a smettere dopo che ci eravamo sposati e per un po’ ero stata bloccata dalla gravidanza. E poi dalla voglia di dimostrare a mia figlia che io ero più forte del vizio. Ma col divorzio, la sigaretta è stata mia amica per un lungo periodo. Le tiro fuori ogni volta che mi sento affogare. Mi sembra di respirare, quando è chiaramente l’opposto. E poi sono un medico, lo dovrei sapere, no? No, mi piace rotolarmi in questa falsa ignoranza.
“Me ne daresti una?” Ian si mette al mio fianco e mi sorride. Cristo com’è bello quando sorride. Anche quando non sorride. Con i suoi occhioni scuri così lucenti, i suoi capelli morbidi e sempre profumati. Okay, Emily, digressione inutile. Dagli la sigaretta, su, muoviti. Ne estraggo una dal pacchetto e gliela porgo.
“Perché te ne sei andata?” Chiede ad un certo punto, continuando a fissare davanti a sé. “La scusa della sigaretta non regge”. Sorrido tra me e me, cercando di non farmi vedere da lui.
“Forse venire a questo matrimonio è stata una pessima idea. C’è il mio ex marito, c’è un uomo con cui ho avuto una relazione brevissima qualche mese fa e poi c’è lei”. Mi giro e indico Myrcella che si sta tracannando un bicchiere di champagne. “La mia temutissima e odiosa ex-suocera. Un mostro vero e proprio”. Ian scoppia a ridere, tenendosi la mano stretta sulla pancia.
“Mi sembra di essere in quel film con Jennifer Lopez”. Ha le lacrime agli occhi. Che carino.
“In realtà qui siamo in una versione ancora più fantasiosa e interessante di Grey’s Anatomy”. Suggerisco prima di portarmi la sigaretta nuovamente alle labbra.
“Quindi tu saresti una versione londinese di Meredith Grey?” Io annuisco lentamente, stando al gioco. Ma lui si avvicina e mi bacia il collo. Gli piace vincere facile. “Allora chi è il tuo dottor Stranamore?” Per un momento m’irrigidisco. Mi ha beccato nel mio punto debole.
“Pensavo di averlo trovato”. Rispondo sinceramente, voltandomi verso Jesse che sta ballando con Annie. “Ma a quanto pare devo ancora aspettare per quello vero”. Abbozzo un sorriso triste. Ian si stacca e mi guarda con lo sguardo un po’ malinconico.
“Capisco”. Sussurra prima di rimettersi a fumare.
“Non volevo ferirti Ian”. Mi volto a guardarlo e rimango un po’ incantata dal suo profilo, come se in queste due settimane non l’avessi mai fatto. “Non escludo la possibilità che possa essere tu”. Appoggio la mano sul suo braccio e la testa sulla sua spalla.
“È solo che sono stata ferita talmente tante volte, anche io ho ferito, non lo escludo, e quindi ci voglio andare piano con noi due”.
“Capisco”. Dice prima di espirare una grigiastra nuvola di fumo.
“Capisco”. Ripete. “Capisco veramente, credimi. Capisco cosa significa amare qualcuno e vederlo andare via. E poi ritrovarlo felice con qualcun altro. Capisco che significa dover pregare per vedere cinque minuti tuo figlio. A proposito, anche io lo sono stato, sposato. Lola, una musicista spagnola. Era a Cambridge per suonare col suo gruppo, me ne sono innamorato appena l’ho vista montare sul palco. Era un po’ più grande di me, aveva dei lunghi capelli scuri e dei bellissimi occhi verdi. Non diceva una parola in inglese, per fortuna io sapevo un po’ di spagnolo, sempre molto scolastico. Ci sposammo sei mesi più tardi e lei era già incinta. Dopo la nascita di Ryan è stato tutto un disastro. Io non c’ero mai per colpa del ristorante qui a Londra che si stava avviando alla grande e lei aveva incontrato il suo ex marito. Mi ha chiesto il divorzio e voleva Ryan solo per sé. Non me lo faceva vedere, non è stato un bel periodo per me, insomma. Alla fine sono riuscito a vincere e Ryan è stato affidato a me”. Sorrise felice, con gli occhi che gli luccicano. È proprio bello per lui che abbia vin… Fermi tutti. Dov’era quel bambino tutte le volte che sono stata a casa sua?
“Ian, uhm, senti”. Lui mi guarda curioso e io indugio un po’ prima di chiedergli quello che voglio chiedergli. “Ma Ryan, dov’era quando sono venuta da te? Mi pare un po’ strano non averlo mai visto in giro…”
“Ryan ha diciannove anni. E studia a Oxford dove vive con Molly quella che dice essere la sua migliore amica, anche se sono sicuro che ne è innamorato”. Sorride dolcemente al contrario di me che sono un po’ scioccata. Diciannove anni. Vuol dire che lo ha avuto ad appena vent’anni. Mi guarda e soffoca una risata.
“Tutte le donne sono sempre così sconvolte quando glielo dico”. Ride ancora più forte di prima e questa volta mi contagia.
“Com’è lui?” Domando appena finisco di asciugarmi le lacrime che scendevano dagli occhi.
“Lui è brillante, Un vero genio. Non a caso studia legge. Assomiglia a Lola nell’aspetto. Con i capelli neri e gli occhi verdi. È una persona fantastica, gli voglio tanto bene”. Guarda la sigaretta ormai ridotta a un mozzicone e la getta nel tombino. “Ho adorato quel ragazzo dal primo istante in cui l’ho visto. Dal primo istante in cui ho visto il suo dolce viso. Ho avuto molta paura quando Lola me lo voleva portare via”.
“Mi piacerebbe conoscerlo”. Sussurro prima di lasciargli un bacio sulla guancia. Lui mi guarda a lungo con i suoi occhioni neri e poi mi bacia dolcemente. Il bacio dura a lungo e io mi dimentico della festa.
“Ce ne vogliamo andare?” Mi chiede quando ci stacchiamo. Io annuisco prendendo la sua mano. “Andiamo da me”.
*

La mattina dopo mi sveglio molto presto. Sono molto stanca, eppure non mi riesce prendere nuovamente sonno. Ian, al contrario dorme sempre profondamente. Gli passo la mano sul volto e sorrido. Ian è solo arrivato nel momento sbagliato della
mia vita. Se fosse arrivato prima che mi sposassi, forse sarebbe stato veramente lui il mio dottor Stranamore. Ma oggi, capisco che con lui non potrà funzionare nel modo che io desidero. C’è Zayn che mi tormenta, così come Mark. Sono ancora troppo presenti nella mia vita, nel mio cuore. Mentre mi preparo la colazione penso al discorso che gli farò.
Prendo il latte dal frigo mentre inizio a recitare il mio monologo a bassa voce. Verso l’acqua nel bollitore per il thé, ma quando lo metto sul fuoco sento una cosa strana.
Una voce.
Qualcuno sta cantando. Alle sette la mattina.
Mi avvicino alla finestra per sentire meglio e i cucchiaini che avevo in mano cascano rovinosamente a terra.
Non può essere.
La mia canzone. Quella voce. Quella voce che conosco fin troppo bene.
Quella voce che mi mancava più di ogni cosa al mondo.
Mi affaccio e giù in giardino vedo lui.
Ha i capelli più lunghi di quanto ricordassi e indossa un paio di occhiali da vista. Suona con la chitarra stretta tra le mani e gli occhi chiusi come quella sera.
[…]
may your smile (may your smile)
shine on (shine on)
don't be scared (don't be scared)
your destiny may keep you warm
[…]
Scendo le scale più velocemente possibile. Quando mi sente arrivare smette di suonare e sorride nella mia direzione.
“Buon compleanno E…” Non lo lascio nemmeno finire che sono subito tra le sue braccia.
“Ti amo Emily”. Lo bacio a lungo, assaporando finalmente il sapore delle sue labbra. Cavoli, mi era mancato così tanto.
“Ti amo anch’io”. Mi bacia di nuovo e io mi sento al settimo cielo.




---
Nota Autrice:
Questa della serenata è stata una delle prime idee che mi è venuta in mente quando ho deciso di scrivere la storia, quindi sono tre anni che aspetto di scriverla (eheh!)
Comunque non ho molto d'aggiungere visto che mi pare che il capitolo sia molto eloquente, però se avete delle domande o dei dubbi chiedete pure.
Poi vi devo dire che con l'estate (diciamo da metà luglio) inizierò a correggere e migliorare tutta la storia, aggiungendo anche parti inedite (probabilmente, non ho ancora un'idea molto precisa di cosa voglio fare)!
Un bacione,
Claudia
ps la canzone che canta Zayn è quella all'inizio del capitolo:)

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


10 agosto
«Quindi non l’hai più sentita dall’altra mattina?» Anne guarda supplichevole Ian, mordicchiandosi il labbro inferiore.
«No, mi ha lasciato una lettera dove diceva che non ero il suo tipo e che aveva finalmente aveva trovato la voce». Ian sospira prima di riprendere a parlare. «Ma non ho idea di cosa volesse significare. Non posso nascondere di quanto ne sia rimasto deluso e ferito da questo, a me lei piace verament…»
«Fermo lì». Anne appoggia la mano sul petto di Ian e lo fissa a lungo. «Hai detto che ha trovato la voce?» Si gira verso il marito e con sguardo triste annuncia: «E’ con lui, Jesse».
«Lui? Lui chi?» Chiede Ian ancora più incuriosito dalla vicenda. Anne si volta, pienamente dispiaciuta per lui. Alla fine le era sempre piaciuto. Gentile, educato e un figo pazzesco.
«È andata con un uomo di cui è innamorata da una vita. È quel cantante a cui ha ricostruito interamente le corde vocali qualche mese fa, sicuramente ne hai sentito parlare». Anne sorride. «E’ con lui». Dice più a se stessa che all’uomo. Ora si sente tranquilla. O almeno molto meglio di prima. Rivolge nuovamente un sorriso a Ian. «Grazie e ancora mi dispiace per tutto quello è successo con Emily». Si avvicina a lui con la mano davanti alla bocca. «E p.s. mi piacevi un casino. Spero di poter rimanere tua amica». Gli fa l’occhiolino e lui ride.
«Sei veramente simpatica Annie, ti adoro. E per il discorso di Emily non ti preoccupare, ci frequentavamo da poco tempo». Sorride dolcemente e per un brevissimo istante Anne si pente di aver sposato Jesse.
«Senti io devo scappare, ho un appuntamento tra venti minuti, ci sentiamo okay? Aggiornami anche su Emily, mi raccomando». Le sorride e le fa l’occhiolino prima di girare l’angolo. Anne fa in tempo a urlargli “contaci” prima che lui sparisca. Poi si volta verso Jesse che era rimasto in dispare e gli sorride.
«Possiamo partire per la luna di miele tesoro». Lo abbraccia e lo bacia dolcemente sulle labbra.

*

Zayn accende la radio al massimo. La voce di David Bowie si diffonde nell’aria. Chiudo gli occhi e mi faccio trasportare dalle parole, mentre i miei capelli si muovono nel vento. L’aria è fresca qui. Non sento più il caldo di Londra opprimermi. Non sento più Londra opprimermi. Sono libera.
«Che ne pensi di Edimburgo?» Chiede Zayn ad un certo punto abbassando il volume della radio.
«Penso che sia meravigliosa, ci sono stata un week-end con mio padre quando avevo sedici anni» Rispondo continuando a tenere gli occhi chiusi. La Scozia è meravigliosa. Questi paesaggi fantastici non mi potrebbero mai annoiare.
Apro appena gli occhi per sbirciare il profilo di Zayn. Lui sta guidando tutto concentrato, con gli occhiali scuri calati sul naso dritto. Dio, mi era mancato.
«Non hai idea di quanto tempo ho aspettato che tu tornassi». Gli passo la mano tra i capelli scuri e lo guardo sorridere.
«E tu non hai idea di quanto ho sognato questo momento». Mi guarda per un istante prima di riportare l’attenzione sulla strada. «Ti sogno ogni notte da più di dieci anni*. Sogno i tuoi bellissimi occhi verdi che mi hanno stregato la prima volta che mi hai salvato la vita. Sogno i tuoi capelli rossi che si muovono al vento come stanno facendo adesso. Sogno il tuo sorriso, sogno i tuoi baci» si avvicina per un veloce bacio e poi ritorna a guardare la strada. Io invece chiudo gli occhi e mi faccio cullare dal vento.

*

Harry aveva lo sguardo perso. Il St. James’s si stava svuotando piano piano. Si sentiva stanco, gli occhi si stavano chiudendo. Aveva un solo pensiero in quel momento: il letto. Poi pensò che la serata non era finita con gli studenti che se ne andavano. No. C’era quella cena con Niall che avevano ormai fissato da mesi. “Ho bisogno di parlarti faccia a faccia.” Era il suo migliore amico d’altronde; come avrebbe potuto rifiutare?
Così quella sera andò al Crafthouse senza nemmeno passare da casa per salutare Tommy. Aveva portato in ospedale l’ultimo completo che gli aveva comprato Ellen. Era ancora nuovo. La stoffa blu era morbida ed eccezionale. Prese le scarpe e le indossò con estrema lentezza. Sapeva di essere in ritardo, ma non se ne curava. Si vestiva piano solo per assaporare una delle ultime cose che gli aveva lasciato Ellen. La sua Ellen. La sua bellissima moglie. La sua bellissima e defunta moglie. Sentì un nodo in gola che non poté mandare giù per tutta la serata.
Arrivò al ristorante con venti minuti di ritardo. Non si era curato di chiamare per avvertire Niall, perché Niall lo conosceva da quindici anni e sapeva meglio di lui che non era mai puntuale. Trovò il suo migliore amico seduto al bar con un drink in mano. Anche lui indossava un completo. Grigio. Aveva i capelli più corti di quanto ricordasse, la pelle più abbronzata, il viso meno fresco e riposato. Come se lo avesse sentito arrivare, si voltò a guardarlo con i suoi soliti occhioni blu. Almeno quelli non sono cambiati pensò Harry e sorrise tra sé. Niall gli andò incontro e l’abbracciò. Gli era mancato tanto. Gli era stato vicino per più di quindici anni e non erano mai stati così lontani per così tanto tempo.
Parlarono tutta la sera. Non ci fu mai un silenzio imbarazzante. O almeno non ci fu fino a che Niall non gli chiese se avesse intenzione di ritornare al St. Thomas. Harry allora s’ammutolì per dieci minuti buoni. Finirono il dessert in silenzio, entrambi con le parole pronte sulla lingua ma che non si decidevano ad uscire fuori. Solo quando furono fuori dal ristorante, entrambi con una sigaretta tra le dita, Harry fissò Niall a lungo e rispose alla domanda che l’amico gli aveva fatto prima.
«Sento che è il momento di tornare» e s’infilò in bocca quella sigaretta che stringeva tra le sue lunghe dita. Niall sorrise appena, celando la sua felicità in una nuvola di fumo.

*
 
Mark montò sull’ultimo vagone della sera. Era tardi, molto tardi, non riusciva a comprendere che ora fosse. Le uniche persone che erano montate con lui era una coppia di fidanzatini per i quali Mark provò una grande invidia. Si chiese perché i rapporti da adulti dovevano essere così complicati e confusionari. Si chiese perché non bastava mettersi con una donna per dimenticarsi di quella precedente. Perché Leslie non gli faceva smettere di pensare a Emily? Chiuse gli occhi lasciandosi dondolare dalla metro. Pensò a Emily per tutta la notte, come tutte le altre notti. E questo lo feriva perché non poteva permettersi di pensare a lei. Lo aveva stregato come Calipso aveva fatto con Ulisse. Leslie sembrava così innamorata che gli faceva paura. Sì, paura, perché lui non provava niente per lei.
Quando aprì la porta del suo appartamento la prima cosa che vide fu Jocelyn, la tata, russare profondamente sul divano. Susan e Ian erano sdraiati vicino a lei e dormivano entrambi. Sorrise automaticamente nel vederli. Solo loro riuscivano a distrarlo dalla sua vita così confusionaria. Rimase a guardarli per qualche altro secondo, almeno finché la sua vista non fu distratta da una busta appoggiata sulla mensola accanto alla tv. Era color avorio e il mittente era stato scritto a mano, con una calligrafia bellissima e fin troppo familiare. La prese con sé e se ne andò in camera da letto. Chiuse anche la porta a chiave, anche se era ben conscio del fatto che nessuno dei suoi figli sarebbe arrivato in camera sua a quell’ora, visto come stavano dormendo. Prese il tagliacarte che teneva nel cassettone e l’aprì tremante.
 
Caro Mark,
Prima di iniziare a dire quello che ti devo veramente dire, mi voglio scusare con te. So che le scuse non saranno mai abbastanza per quello che ti ho fatto, ma ho pensato “meglio che nulla”. Oddio scusa, non so che cosa stia scrivendo. Ho solo avuto il bisogno di scriverti. E so che è stata una pessima idea. So che cosa stai pensando: “questa cretina scompare tre anni prima, lasciandomi solo con due figli da crescere e poi si aspetta che io la consideri?”. Hai ragione. Alla fine è stata veramente una terribile idea scriverti. Anche perché non ho realmente qualcosa da dire. Solamente che in questi tre anni dove ho cercato di scoprire me stessa, ho solo capito che senza di voi non lo sarò mai. Ma non vi posso avere. Non più. Come non posso riavere la mia bambina. La mia Jade. Sono stata a trovarla a Londra sai? Sono stata due ore a fissare quel faccino così dolce, così innocente, che non aveva ancora ferito nessuno. Perché è dovuta morire? Guardavo i suoi occhi così uguali ai tuoi e mi sentivo morire dentro piano piano. Mi manca veramente tanto. Ti sto confidando queste cose perché sei l’unico che può capirmi, anche se magari non vorrai. Lo posso capire.
Comunque, spero che tu e i bambini stiate bene.  
Vorrei chiederti di farmeli vedere, vorrei vedere come sono cresciuti. E da qui in avanti vorrei essere più presente, ma solo se tu me lo permetterai… Posso capire se non vorrai.
Io mi sono trasferita a Londra qualche settimana fa e ho saputo che anche tu lo hai fatto di recente.
Spero con tutto il cuore tu possa accettare la mia proposta. Se vuoi rispondermi, contattarmi di persona, io sto al 136 di Arlington Road.
Ti auguro il meglio,
Sylvia
 
Mark la lesse tutta d’un fiato. Tre anni. Tre anni senza una parola e poi eccola che torna. Torna indietro con la coda tra le gambe a chiedere perdono. Glielo avrebbe concesso?
Si tormentò parecchio quella notte a proposito di quella questione. Si addormentò quando l’alba iniziava timida a illuminare la sua camera da letto e lui ancora stringeva la lettera in mano

* 
 
20 Settembre
Zayn recuperò il suo quaderno dalla valigia. Nelle ultime settimane aveva scritto tanto da riempire tutte le pagine del suo logoro quaderno giallo ocra. Aveva chiamato il suo agente il giorno prima e aveva annunciato che era pronto a ricominciare e registrare le canzoni che aveva scritto dal momento che era partito con Emily. Lei non ne sapeva ancora niente e lui era pronto a farle una sorpresa. Aveva deciso che l’avrebbe intitolato Her, Lei. La sua lei. La guardò dormire profondamente con i capelli sparsi nel candore del cuscino e il naso arricciato. Si pentì di aver aspettato così tanto, di averla lasciata da parte per più di dieci anni. Ma quello non era più il momento di pensarci. Aveva bisogno di concentrarsi sulla vita che sarebbe arrivata, la sua prossima vita al suo fianco.
Avevano parlato di matrimonio qualche sera prima e Emily aveva persino tirato fuori il suo, il loro anello. Lui aveva sorriso e l’aveva stretta forte a sé, inspirando a lungo il suo odore così buono. Non avrebbe permesso a niente e nessuno che le venisse portata via.
 
*
 
Ryan quella mattina si era svegliato stranamente presto. L’aria di Oxford era particolarmente frizzante. La tenue luce del primo sole avanzava piano piano dalle fessure delle persiane. Provò a girarsi dall’altra parte del letto e chiudere gli occhi per provare a riprendere un po’ di sonno. Ma tutte le volte che abbassava le palpebre la stessa immagine gli appariva: Molly stretta nelle forti braccia di Trevor Miller, il suo più grande nemico. Poteva percepire ancora le fitte che aveva provato quando si erano baciati, di quando lui le aveva passato le mani tra i ricci scuri. Cercò di scacciare l’immagine di quei due concentrandosi sull’esame che avrebbe dovuto dare la settimana seguente, ma niente. I grandi occhioni nocciola di Molly ritornavano prepotentemente nei suoi pensieri. Si rigirò nelle lenzuola un altro paio di volte prima di rinunciarci e alzarsi. Diede un’occhiata sconsolata al suo minuscolo appartamento disordinato: da ogni parte che si guardasse si vedeva un indumento, un libro, una scarpa. Decise che quel pomeriggio avrebbe sistemato tutto. Almeno avrebbe avuto un’ottima scusa per distrarsi e non pensare a lei.
Mentre cercava nel mobiletto delle cucina qualcosa di commestibile, il suo cellulare vibrò un paio di volte. Suo padre gli aveva scritto.
Oggi sono a Oxford per un meeting. Pranziamo insieme?
Perfetto. Questo scombussolava tutti i suoi piani di ordinare la casa. «Vabbé» sospirò. «Sarà per il prossimo pomeriggio libero». Con un alzata di spalle lasciò il piccolo bilocale per andare a correre.
Arrivò all’appuntamento con suo padre venti minuti più tardi. Quando aveva svoltato l’angolo l’aveva visto: erano passati otto mesi dall’ultima volta che era stato con lui. Lo vedeva cambiato. C’era una nuova luce nei suoi occhi. Lo salutò con un abbraccio frettoloso prima di mettersi a sedere.
«Allora che racconti?» gli aveva chiesto guardandolo negli occhi scuri che avevano tanto incantato sua madre. Ad Ian si erano colorate le guance di un tenue e patetico rosa pre-adolescenziale.
«Ho conosciuto una persona» annunciò sorridente. «Si chiama Lisa». Ryan si congratulò cercando di apparire più felice possibile. Ma non poté nascondere tutto il suo dispiacere. Perfino suo padre acchiappava più di lui. Ian si accorse della tristezza che aleggiava negli occhi del figlio.
«Tutto ok?» chiese mentre metteva in bocca una forchettata di insalata. Ryan non rispose e continuò a fissare il suo piatto ancora colmo.
«Credo di essermi innamorato» sbottò quasi con rabbia. Rabbia verso se stesso per essere stato così stupido in tutti quegli anni e aver perso lo spettacolo di Molly, quello dove ha conosciuto Trevor. Suo padre si congratulò con lui, ma lui riuscì a catturare solo alcune parole di quello che diceva. «Sono così felice… me la dovresti presentare… Natale…»
«Papà, basta. Mi sono innamorato di Molly» ammise e con dolore vide farsi spazio un grande sorriso sul viso del genitore.
«L’ho sempre saputo. Siete una coppia così bella insieme» Ecco, troppo tardi. Stava già organizzando le nozze.
«Lei sta con un altro però» sputò Ryan prima di bere un sorso d’acqua. Ammetterlo gli era costata una fatica immane. Era vero purtroppo. Molly era di un altro. E a lui non rimaneva che crogiolarsi nel dolore, nel rimpianto e non cedere alla tentazione di uscire con Fran a ubriacarsi e fare sesso con la prima tettona che gli appariva davanti.
«Ehi Ryan, sto parlando con te» Ian sventolò la mano davanti agli occhi del figlio. Questo scosse il ragazzo dal torpore in cui era piombato. «Hai sentito quello che ti ho detto» Ryan scosse la testa. Effettivamente non aveva capito nulla.
«Ti ho detto di alzare il culo e andare a prendertela, adesso. Perché non puoi lasciartela sfuggire». Ian sorrise compiaciuto, mentre il giovane aveva un’espressione ebete dipinta sul volto. Non stava sognando.
«Vai, cretino. Vai e prendila». Con un gesto della mano l’uomo lo incitò ad alzarsi. Il ragazzo eseguì meccanicamente e dopo aver raccattato la bici da terra fece una corsa fino al campus.
 
*
 
Mi rigirai il cartoncino color panna tra le mani per un tempo infinito mentre tenevo gli occhi fissi sul panorama fuori dalla finestra. Il castello di Edimburgo svettava tenebroso su tutta la città vecchia e lo sfondo di nuvole scure rendeva l’atmosfera perfetta per un film horror. Guardai ancora una volta i caratteri stampati sul biglietto.
Anne Catherine & Jesse Matthew White
Annunciano la nascita di Edward Philip White
E vi invitano al battesimo il prossimo 12 ottobre 2017
Il tutto era accompagnato da un biglietto scritto a mano di Anne in cui mi chiedeva di essere la madrina di Eddie.
Edward Philip. Mi ricordo di quando avevamo vent’anni e parlavamo scherzosamente dei figli che avremmo avuto. Lei disse che l’avrebbe chiamato Edward perché così si chiamava il personaggio di Richard Gere in Pretty Woman, il suo film preferito. (Se fosse stata una femmina sarebbe stata Vivian, mi pare ovvio). Ma quello che mi colpisce è il secondo nome. Philip. Come mio padre.
La chiamo per confermare la mia presenza e quella di Zayn. Lei mi risponde con una voce meno trillante del solito.
«Non dormo da quattro giorni. Sembro un cadavere» annuncia tra uno sbadiglio e l’altro. Io ridacchio, ricordandomi di come fosse quando Cy era appena una neonata. Una settimana non dormii quasi mai e nemmeno Jesse. La domenica decidemmo che la settimana seguente avremmo assunto una tata.
«Tesoro, tranquilla passerà» la rassicuro ma per risposta ricevo un brontolio.
«Annie posso chiederti una cosa?» domando dopo qualche secondo di silenzio in cui si sentiva solo lei sbadigliare. «Perché l’hai chiamato Philip?». Lei per un po’ sta zitta e io ho paura di aver utilizzato un tono troppo duro.
«Volevo dargli il nome di una persona che ha importato tanto per me e nessuno è stato più fondamentale per me di Philip» la sento tirare su col naso e mi pento di averla accusata. Annie è cresciuta nella casa vicino alla mia con sua zia perché ha perso entrambi i genitori all’età di quattro anni. Mio padre è stato per lei il genitore che non ha mai avuto visto che sua zia non è che le importasse tanto della sua unica nipote e che i genitori non ha mai avuti.
«Scusami se ti ho attaccato così» mi scuso con una voce piccola piccola.
«Non ti preoccupare cara. Ora scusami ma ti devo lasciare, Eddie si è svegliato, baci» chiude la telefonata prima che io possa salutarla. Appoggio il cellulare sul piano della cucina e vado a sedermi sul terrazzo ad osservare la città abbracciata da grandi nubi nere. Un temporale si sta avvicinando a minacciare la quiete.
 
*
 
Molly aprì la porta dell’appartamento per andare all’università e si vide arrivare Ryan tutto trafelato. Le mise una mano davanti al viso mentre lui cercava di riprendere fiato.
«Due cose» ansimò lui sotto lo sguardo curioso della ragazza. «La prima: sono un cretino. Un enorme cretino. E per sapere il perché aspetta la seconda cosa: sono innamorato di te da sempre e sono un cretino perché non te l’ho mai detto, ho sempre avuto paura che tu non ricambiassi, avevo troppa paura di rovin…» Molly l’aveva zittito con un lungo e dolce bacio.
«Ti sei deciso ad ascoltare il tuo cuore finalmente» sussurrò lei alla fine ed entrambi risero stretti l’uno nelle braccia dell’altro.
 
*
 
Zayn tornò tardi quella sera. Trovò Emily addormentata sul lettino sul terrazzo, con i vestiti zuppi per la pioggia scrosciante del pomeriggio. La prese tra le sue braccia e la portò dentro. Lei si svegliò solamente quando lui iniziò ad asciugarla con un asciugamano asciutto.
«Buongiorno principessa» le baciò la punta del naso e lei ridacchiò.
«Mi sono addormentata come una cretina»
«Cretina è la parola giusta» la baciò di nuovo, però questa volta sulle labbra. Fu un bacio molto lungo, uno di quei baci che si sarebbe ricordata bene anche negli anni avvenire.
«Da domani registro le ultime canzoni» le annunciò Zayn tra un bacio e l’altro. Lei si congratulò con lui e quella notte fecero l’amore lì, sul divano, con Emily ancora mezza dalla testa ai piedi e con la mente che viaggiava da un’altra parte, che pensava a quel foglio stropicciato che teneva sotto il cuscino.
Il foglio che avrebbe per sempre cambiato le loro vite.


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Allora, innanzitutto scusate il ritardo ma questo mese non ho mai avuto un momento libero. Stamattina mi sono messa d'impegno e ho scritto tutto il capitolo (quindi non so dirvi quanto possa essere grammaticalmente corretto, lo revisionerò nei prossimi giorni)
Insomma su questo capitolo non c'è molto da dire visto che è un capitolo di passaggio dove mostro come le storie dei personaggi stiano evolvendo.
C'è una piccola aggiunta che all'inizio non doveva esserci, ossia la parte di Ryan e Molly su cui sto pensando di scriverci uno spin-off di Hear My Voice (data ancora da destinarsi visto che ho una miriade di idee in testa e tante storie che voglio pubblicare). Quindi lo chiedo a voi... che ne pensate? Vorreste una storia su loro due? Fatemelo sapere!
Comunque, dicevo, essendo di passaggio non è che succedano tante cose, ma solo perché la parte più importante della storia sta arrivando adesso (e il finale di questo capitolo lo anticipa un pochino.....)
Un bacione e a presto (lo spero tanto)!!!

Claudia



 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Eddie è un bambino meraviglioso. Ha la pelle color caffellatte come Jesse e gli occhi chiari. Anne me l’ha fatto tenere in braccio per gran parte della celebrazione finché non l’ha voluto un po’ per sé anche Fred. Io e lui componiamo la coppia di padrini peggio assortita che Anne e Jesse avrebbero potuto mettere insieme. Il fratello del mio ex è un tipo forte e l’ho sempre considerato come una compagnia piacevole. Ma lui a relazioni è messo peggio di me: due divorzi e due figli avuti con due donne diverse. Li ho conosciuti quando stavo con Jesse da appena sei mesi. Allora erano ancora piccolini; oggi Andy e David hanno rispettivamente diciassette e diciannove anni.
Da un lato sono contenta di poter far parte di questa famiglia in qualche senso, anche perché sono tutte buone persone (Myrcella a parte, sia chiaro), ma dall’altro mi sento un po’ a disagio con gli occhi stralunati di chi mi fissa con stupore. Io e Jesse alla fine abbiamo riallacciato i rapporti (e questo è tutto merito di Anne) e siamo ritornati ad essere amici.
Ho parlato con lui ieri sera: ho intenzione di chiedere la custodia congiunta per Chyler e questo però significa che debba tornare a Londra. Ma questo non è un problema visto che Zayn dovrà essere qui per qualche giorno per aggiustare le ultime cose per il suo album. E poi io ho bisogno di ritornare nella mia città. Nella mia Londra.
Ho bisogno di ricominciare da qui.
Quella sera
Zayn stava guidando in silenzio mentre Emily era intenta a chattare con Tanya per fissare un appuntamento l’indomani per un colloquio di lavoro. La donna era sicura che per il Primario del St. Thomas quello sarebbe stato solamente una formalità. La voleva nel suo team anche solamente per vantarsi di avere il più bravo chirurgo plastico d’Inghilterra. Quando Tanya le augurò la buonanotte lei ripose il cellulare nella pochette e sorrise. La sua vita stava andando a gonfie vele. Sbirciò Zayn che stava canticchiando una canzone a bassa voce. Dondolava un po’ la testa e teneva il ritmo con l’indice. Ad un certo punto il silenzio tra loro due fu interrotta dalla voce calda di lui.
«Sono alcuni giorni che ti devo chiedere una cosa» esordì per attirare la sua attenzione. Emily si voltò e lo guardò curiosa. «Ho trovato una cosa mentre rifacevo il letto l’altra mattina» La donna sentì il sangue gelarsi nelle vene. Lui con un cenno della mano indicò il cruscotto della macchina e la invitò ad aprirlo. Lei lo fece con la mano tremante e col cuore che gli pulsava violentemente nel petto.
«Quando pensavi di dirmelo?» Chiese lui. Si poteva sentire una leggera nota accusatoria nella sua voce. Emily boccheggiò non sapendo quel che rispondere.
«Aspettavo il momento giusto» si giustificò il chirurgo evitando di alzare lo sguardo.
«Beh, ora lo so. Che pensi di fare quindi?» Emily si sentiva in estrema difficoltà. Non sapeva come rispondere, come comportarsi. Lei voleva esultare, ma non aveva idea di come avrebbe reagito lui.
«Em, tranquilla sono contento matto» L’uomo esibì il suo sorriso più bello e lei si sentì sollevata. Lo guardò sorridente. «Avremo un bambino» sussurrò e lui annuì felice. Si sentivano al settimo cielo. Avevano tutto quello che avevano sempre desiderato.
La loro felicità purtroppo durò troppo poco.
*
Mark si svegliò nel bel mezzo della notte trasalendo. Aveva sognato Emily. Aveva visto i suoi occhioni verdi spegnersi, l’aveva vista morire tra le sue braccia. Si sentì sollevato nell’accertarsi che fosse tutto solo un sogno, un terribile sogno.
Si alzo per prendere un bicchier d’acqua e proprio in quell’istante il suo cellulare squillò. Anne.
«Pronto?»
«MARK?! Oddio Mark, io non ce la faccio…» piangeva, piangeva a dirotto, non riusciva a costruire una frase che fosse una. Mark cercò di calmarla, per quanto si possa al telefono, ma lei non accennava a smettere.
«Emily… ferita…per favore vieni…» L’uomo sentì mancargli un battito. Per poco non fece cadere il cellulare a terra. Stava per perdere la testa. Ma poi pensò che aveva bisogno di restare lucido per poter raggiungere Emily.
«Anne, ehi, ascoltami. Ehi, calma. Sai dirmi dov’è Ford?» un singhiozzo.
«Liverpool Road. Vieni per favore Mark»
«Certo. Arrivo subito».
Il tempo di svegliare Jocelyn e annunciarle che sarebbe dovuto scappare per un’improvvisa chiamata e prendere le chiavi dell’auto che gli arrivò una chiamata di Tanya.
«Dottor Watson c’è bisogno di lei qui. Penso abbia sentito dell’incidente della Dottoressa Ford» per la prima volta da quando era arrivato al St. Thomas aveva sentito la voce del Primario di Chirurgia tremare.
«Sono vicino al luogo dell’incidente, vado direttamente lì» Tanya risposa con un veloce e sussurrato “okay” prima di chiudere la chiamata. Era certamente sconvolta.
Arrivò sul posto in simultanea con le ambulanze. C’era un caos enorme tutt’intorno; la gente non era in grado di farsi gli affaracci propri. Individuò Anne tra loro: era messa male povera ragazza, con i capelli sconvolti e gli occhi arrossati per il pianto. Mark s’avvicinò di corsa a lei e l’abbracciò.
«Non voglio vedere, non voglio vedere, la mia migliore amica» pianse e le lacrime bagnarono la maglietta di Mark.
«Dov’è Jesse?»
«La sta aspettando in ospedale»
«C’è qualcuno con Eddie e Chyler?»
«Per fortuna mia suocera è rimasta a dormire da noi questa sera…»
«Bene. Ora Anne devo andare a controllare Emily» la lasciò alle cure di una ragazza accanto a lei e si fiondò dalla donna a terra. «Sono un medico, fate spazio per favore»
La vide e si sentì mancare. Era identica alla Emily del sogno: i capelli rossi sparsi sull’asfalto, gli occhi chiusi, la pelle pallida. Le prese il battito e lo sentì lieve lieve.
«C’È BATTITO, MUOVETEVI A PORTARLA IN OSPEDALE» tuonò, ma nessuno dei paramedici parve sentire. Si diressero verso quel che rimaneva della vettura. Mark osservò con stupore la scena: ne estrassero un corpo sicuramente messo peggio rispetto a Emily. Riconobbe in lui Zayn, l’uomo con cui era scappata appena un paio di mesi prima. I paramedici arrivarono anche per lei. La misero sulla barella e la fecero salire sull’ambulanza. Mark aiutò anche Anne a montare e insieme si diressero verso il St. Thomas.
**
Non riesco ad aprire gli occhi. La luce è troppo forte. Le mie orecchie sentono solo suoni ovattati. L’unico che riesco a distinguere appieno è il bip di quella macchinetta infernale accanto al mio letto. E poi che cos’è questa cosa che ho in bocca?
Non…
…Riesco…
…A…
…Respirare…
Tossisco per cercare di togliermi quel tubo dalla bocca e allora tutto attorno a me si forma quello che mi sembra un capannello di gente. Tra le due voci riconosco quella di Jesse che mi sta parlando con la solita calma e serietà. Finalmente riesco ad aprire gli occhi. Jesse, alla mia destra, mi guarda fisso coi suoi occhioni verdi, mentre alla mia sinistra c’è Harry che sorride dolcemente.
«Buongiorno Emily» la salutò senza smettere di mostrare una fila di denti bianchissimi. «Ce la fai a parlare?» domanda poi con una punta di preoccupazione nella voce.
«S..Si…» balbetto e vedo il viso del neurochirurgo distendersi e allentare tutta la tensione.
«Bene, bene. Ora ti devo fare i test neurologici, ma dalle TAC sembra che vada tutto bene. Però prima dimmi una cosa… ti ricordi qualcosa di quello che ti è successo?»
«Non posso fare la TAC»
«Ne hai bisogno, Emily» asserisce sicuro l’altro.
«Non posso farla perché…»
«Perché è incinta» conclude una voce alle spalle di Harry. Entrambi si voltano e i capelli corvini di Mark fanno capolino. Lui si avvicina con sguardo fermo e con in mano un foglio che tiene ben stretto nella sua presa. «Queste sono le analisi che ha fatto Liam questa mattina» le sbatte con moto rabbioso sul materasso e poi mi guarda a lungo coi suoi profondi occhi blu.
«Mark mi dispiace…» tento di scusarmi ma lui mi ferma.
«Non ti devi scusarti. Non stavamo mica insieme. Ma almeno dimmi, Zayn sa che sta per avere un figlio?»
«Lui…» non riesco a finire la frase perché la mia mente si annebbia e un’immagine di Zayn mi colpisce: lui a terra, con un rivolo di sangue che scende da una ferita alla testa. Non apre gli occhi, non risponde, non respira. Io mi sento bruciare i polmoni, mi sento sempre più debole, sempre di più, di più…
«Dov’è Zayn? Come sta?» chiedo improvvisamente, col cuore a mille. Vedo gli occhi di Harry fare guizzo luminoso per un breve secondo e poi spegnersi in un pozzo di malinconia.
«Lui, beh… è in coma» improvvisamente ho la sensazione di cadere. Anzi che qualcosa di pesante mi cada addosso, schiacciandomi e impedendomi di respirare. Dal quel momento in poi tutto torna ad essere ovattato e offuscato.
**
Mi sveglio di nuovo a notte fonda. La stanza è nel silenzio più totale. Sono sola. O così mi è parso in un primo momento. Mark sta dormendo sulla poltroncina vicino al mio letto e mi tiene la mano stretta nella sua presa.
È rimasto al mio fianco.
Nonostante tutto.
Sorrido appena e di scatto, senza neanche pensarci. È stato al mio fianco. Lo guardo dormire per un po’: guardo i suoi capelli scuri ritti e sconvolti, le labbra carnose chiuse e il camice sgualcito. Improvvisamente però si sveglia dal suo sonno, come se fosse stato disturbato dal mio sguardo indagatore.
«Ehi» lo saluto sottovoce, regalandogli uno dei sorrisi migliori che possa fare. Lui si stropiccia gli occhi e risponde al saluto con un borbottio indistinto.
«Non dovevi rimanere qui» comincio dolcemente, accarezzando la sua mano col pollice. «Non sei obbligato a fare questo».
«Ma io volevo farlo» mi rassicura stringendo ancor di più la presa della mia mano. L’altra se la passa tra i ciuffi neri per cercare di sistemarli e mi sorride. Vorrei fermare il tempo. Vorrei rimanere qui per sempre. Vorrei averlo conosciuto quindici anni fa. I suoi occhi azzurri mi fissano a lungo luminosi e bellissimi come la prima volta che ci siamo incontrati. Sono così chiari, così limpidi, non come quelli di… Zayn. Anche solo pensare al suo nome sento una fitta al cuore.
«Hai per caso visto, ehm, lui?» chiedo timidamente e i suoi occhi si rabbuiano subito. L’ho ferito. Strano, eh?
«Harry mi ha parlato dei traumi celebrali. A quanto pare sono piuttosto gravi» risponde cercando di evitare il mio sguardo.
«C’è dell’altro, non è vero?» attacco duramente. «Me lo devi dire se c’è dell’altro». Mark cercò di non guardarmi per un po’. Fissa la finestra che dava sul fiume. La notte buia ha avvolto Londra. Non c’è neanche una stella nel cielo. Solo una triste luna calante.
«Ha avuto un recupero nella notte» alla fine si decide a parlare, ma il suo tono è grave e io sento che la stretta allo stomaco si sta facendo sempre più dolorosa. «Un recupero fittizio. Pochi minuti. Harry mi ha mandato a chiamarti. Ma il tempo di arrivare qui che lui aveva perso conoscenza» sento l’aria farsi sempre più rarefatta anche se è solo una mia impressione. Mark si alza veloce e mi porge la maschera dell’ossigeno che io non indugio a infilarmi. Potrei svenire di nuovo. Mi controlla i valori, forse solo per non incontrare il mio viso. Ma io cerco di attirare l’attenzione su di me. So che non mi ha detto tutto. Lo so.
«E poi?»
«Senti, Ford, non dovrei dirtelo io. È Harry il suo medico» dice piano, come se stesse cercando di mantenere la calma.
«Per favore Mark. Se mi vuoi bene me lo devi dire» lo fisso con gli occhi pieni di lacrime. Supplichevoli come quelli di un cane bastonato. Lo vedo torturarsi le pellicine attorno alle dita e facendosene sanguinare un paio. Con lentezza si avvicina al lavello e si lava le mani con acqua fredda. Vuole evitarmi. Vuole scappare da questa situazione scomoda. Si avvicina alla finestra e guarda la città svegliarsi lentamente.
«Ha firmato i fogli per staccare tutte quelle macchine che lo tengono in vita nel caso in cui non si dovesse svegliare in trenta giorni» sputa rabbioso e io sento nuovamente quel macigno schiacciarmi il cuore.
«Non è giusto» mi accorgo di piangere solo quando una lacrima mi bagna il palmo della mano. «Non è affatto giusto. Abbiamo aspettato dieci anni per… per… due mesi di vita insieme?» la gola mi si è seccata, non riesco più a dire neanche una parola. Mark si avvicina e mi stringe tra le sue braccia e io vengo invasa dal suo profumo delizioso e familiare. Mi abbandono nel suo abbraccio e piano piano mi addormento.
**
Mark rimase in quella stanza finché non fu illuminata appieno dalla luce del mattino. Emily dormiva con la fronte corrugata come se stesse facendo un incubo dopo l’altro. Voleva solo calmarla, dirle che sarebbe andato tutto bene, che lui sarebbe stato al suo fianco, che l’avrebbe aiutata in tutto. Voleva dirle quanto l’amava, quanto i suoi occhi lo stregassero ogni volta che s’incrociavano coi suoi.
Ma non poteva.
Emily amava Zayn, non lui. Però questo non gli impediva di aiutarla solo come un amico.
La luce del sole illuminava il suo volto pallido e scopriva qualche efelide spruzzata sugli zigomi. I capelli rossi fuoco erano sparsi sul cuscino azzurro e le mani strette in pugni. Pronta a combattere, come sempre.
Harry entrò con un paio di caffè in mano e un sorriso triste stampato sulle labbra.
«Sei stato qui tutta la notte?» domandò mentre gli porgeva la tazza di cartone colorato. Mark ringraziò e annuì mentre sorseggiava un po’ di quella bevanda che adorava tanto.
«Si è svegliata verso le cinque» comunicò continuando a guardarla. «Ha chiesto di lui»
«E tu che le hai detto?»
«La verità. Si meritava solo quella» concluse freddamente sorseggiando ancora un po’ di caffè. Rimasero in silenzio per un bel po’ di minuti. Nessuno dei due osava fiatare.
Dopo una decina di minuti si affacciò alla porta una donna dai capelli rossi come quelli di Emily.
«Oh ciao Harry caro, come stai?» la voce di lei era profonda, seria e con un leggero accento americano. Mark la scrutò mentre lei parlava con il neurochirurgo. Aveva la mascella pronunciata, delle labbra tinte di un rosa chiaro, neutro, e due profondi occhi verdi evidenziati ancor di più dall’ombretto scuro. Aveva dei diamanti alle orecchie e i capelli lisci, sciolti parevano freschi di parrucchiere. Era alta e slanciata; lo sembrava ancor di più grazie al tubino grigio fumo lungo fino al ginocchio. Doveva avere poco più di cinquant’anni. Le uniche rughe che aveva erano alcune attorno alla bocca e agli occhi. Mark aveva lavorato per più di dieci anni negli Stati Uniti, ma la fama di Caroline Ford si estendeva fin là. Aveva assistito ad una sua conferenza qualche anno prima a New York e da lì era sicuro che fosse la donna più carismatica che avesse mai conosciuto.
«Dottoressa Ford le presento il Dottor Mark Watson» lei si voltò verso l’irlandese e lo squadrò a lungo. Alla fine sorrise. «Piacere Dottor Watson» gli strinse la mano con fare leggermente sensuale. «Lei in cosa è specializzato?»
«Plastica. E otorinolaringoiatria» lei parve particolarmente sorpresa dalla risposta dell’uomo, ma si ricompose subito e il suo sguardo serio tornò di colpo.
«Sapevo che era Jesse a seguirla» notò lei con una nota leggermente amara. Mark si sentì un po’ a disagio. Spostò fugacemente lo sguardo su di Harry che gli fece cenno di lasciare perdere.
«Ero solo venuto a trovare un’amica e collega» asserì il plastico sorridendo sornione. «Se non le dispiace però ora devo andare. Mi aspetta una mastectomia» fece un piccolo inchino e si dileguò. Solo quando fu fuori da quella stanza si sentì finalmente bene. Ma neanche il tempo di respirare che un altro uomo gli venne incontro. Non era molto alto, aveva due freddi occhi grigi e i capelli quasi dello stesso colore. Ma era molto più giovane di quello che si potesse pensare. Aveva un naso all’insù che gli ricordava molto quello di Emily.
«Dottor Smart» lo salutò calorosamente l’irlandese. L’altro arricciò le labbra in un sorriso.
«Mark!» si abbracciarono come vecchi amici. Cosa che erano veramente. Michael era stato il mentore di Mark quando aveva iniziato a lavorare a New York come semplice specializzando. Il dottor Smart sperava di poterlo portare sotto la sua ala nel reparto di Neurochirurgia, invece il giovane contadinotto irlandese aveva scelto la chirurgia plastica per il suo futuro.
«Non mi aspettavo di trovarti qui» dissero all’unisono prima di scoppiare in una bella risata.
«Cosa ci fai a Londra?»
«Dirigo il reparto di Plastica, come puoi vedere» rispose indicando il camice blu notte con un sorriso smagliante. «E tu? Ti hanno chiamato per un importante caso come quello di Dolly Fisher?»
Lo sguardo del neurochirurgo si oscurò appena. Mark ebbe l’impressione di aver pigiato il tasto sbagliato.
«Beh, non proprio. Sono qui per mia figlia, ha avuto un incidente» annunciò piano, con la voce che cercava di non finire in pianto. Solo allora Mark collegò: per forza Michael gli ricordava Emily. Era la figlia che aveva avuto tanti anni fa con quella donna di cui non aveva mai voluto parlare. Gliene aveva parlato una sera in cui avevano ecceduto con lo scotch.
«Oh, sei qui per Emily»
«La conosci?»
«Beh, facciamo lo stesso lavoro, siamo colleghi e amici» mentì e mentre lo fece si morse la lingua. Non gli aveva mai mentito. O meglio non c’era mai riuscito perché l’altro aveva una sorta di potere speciale che gli permetteva di individuare subito le menzogne. Eppure quella volta stette zitto e si fece condurre nella camera dove si trovava sua figlia.
Mark ripassò da Emily quella sera, quando avrebbe dovuto staccare e tornare a casa dai suoi figli. Quel giorno erano stati a trovarla diverse persone che non aveva mai visto in vita sua, mentre il fratello, a quanto gli aveva riferito Anne, sarebbe arrivato il giorno dopo da Sacramento con la moglie.
Leslie gli si avvicinò con occhi languidi e lo scrutò a lungo prima di posargli un bacio leggero sulle labbra. «Non possiamo continuare così» dichiarò visto che lui non la considerava. «Non posso vivere nell’ombra della Ford». Solo allora Mark la calcolò. Non poteva che essere sollevato da quello. Voleva bene a Leslie e non voleva farla soffrire.
«Mi dispiace» sospirò e lei ammiccò un sorriso confidenziale.
«Eravamo meglio come amici» lo baciò sulla guancia e si allontanò. Non aveva provato nulla da quella rottura.
Si diresse a passo lento verso il reparto dove si trovava Emily e fece capolino nella sua stanza. Era sveglia, con gli occhi fissi al soffitto.
«Come stai?» chiese lui. Lei staccò lo sguardo dall’intonaco bianco e lo fissò.
«Di merda» rispose con un sorriso sarcastico. «Ho avuto un incidente e sono incinta del mio fidanzato che morirà tra un mese».
«Non è ancora detto che muoia» cercò di consolarla lui, ma lei sbuffò.
«È impossibile che si risvegli. Non credo nei miracoli e non so neanche come si prega» piagnucolò la donna tornando a guardare il soffitto immacolato. Mark si guardò attorno mordicchiandosi il labbro e pensando a cosa fare. Alla fine fece quello che sua nonna May gli aveva insegnato. Era irlandese lui e qualche preghiera se la ricordava ancora. Buttò la giacca ai piedi del letto, s’inginocchiò a terra e incrociò le mani. Emily lo guardò curiosa: aveva iniziato a pregare, a implorare il Signore di salvare Zayn e di riportarlo da lei.
Emily dal canto suo si sorprese nel sentire quelle parole: Mark la doveva amare veramente se preferiva porre la sua felicità prima della propria. Lo imitò, limitandosi però a incrociare le mani sulla pancia e a parlare sottovoce.
Alla fine lui rimase con lei anche quella notte. Parlarono finché le palpebre di entrambi non cedettero.
Quando la mattina Anne arrivò nella camera per trovare l’amica, trovò Mark accasciato sulla poltroncina e Emily stesa sul letto. Sorrise nel vedere le loro mani strette: in fondo al suo cuore Anne sperava che quei due finissero per stare insieme.


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BOOM.
Ho scritto questo capitolo in due giorni. Mi sento molto ispirata ultimamente e sto scrivendo tanto (ho già in preparazione il prossimo che dovrebbe arrivare o lunedì o venerdì prossimi).
Non è stato facile scriverlo però. Mi è costata molta fatica (emotivamente parlando) e quello successivo ancora di più  eheh
Comunque parliamo di questo: Zayn è in coma a causa di un incidente di cui non ho voluto parlare perché volevo soffermarmi sulle persone che ricevevano il danno. E poi alla fine il protagonista di questa parte risulta Mark. 
Mark che vuole stare vicino alla sua Emily ma che deve comunque mantenere le distanze di sicurezza perché lei ha Zayn nel cuore. 
E poi c'è il ritorno della Mamma Ford che sarà una roccia per Emily. 
Ma non voglio dire altro perché poi vi rivelerei ciò che verrà poi, con gli capitoli.
Vi annuncio con un po' di malinconia che siamo quasi alla fine della storia...:(
Un bacio e alla prossima,
Claudia
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Ingrid Michaelson – Keep Breathing
Diario di bordo di Emily Callie Ford per la nascita del pupo/della pupetta
17 ottobre
È stata mia madre ad accompagnarmi alla prima ecografia per il piccolo. Mi avevano dimesso dall’ospedale da un giorno ma sono stata costretta a ritornarci perché Liam aveva bisogno di tenere sotto stretto controllo il feto. Lui era l’unica persona di cui mia madre si fidava perché era cresciuto e aveva imparato con lei. Conosceva tutte le sue tecniche, tutti i suoi trucchi. Mi ha fatto sentire il cuore battere e io mi sono emozionata come una deficiente. Ma mica per il battito, no. Lo sapevo che il piccolo era un tosto come me. Ma solo perché Zayn non poteva essere con noi ad ascoltarlo. Mia madre l’ha registrato e poi l’ha fatto sentire al mio fidanzato ancora in coma. Quando le ho chiesto perché l’ha fatto ha risposto che lei e sua moglie credono in qualcosa che vada oltre la scienza e che secondo lei, lui sentiva.
Inutile dirlo, mi sono fatta convincere.
Per questo gli ho raccontato tutte le cose che mi tenevo dentro: gli ho parlato della mia vita mentre lo aspettavo, gli ho parlato di Mark e di Ian e di Chyler che adesso era anche mia. Gli ho fatto sentire il battito del nostro bambino e ho infilato dentro il suo quaderno delle canzoni l’immagine della prima ecografia di quella mattina.
Lo visito ogni giorno, ma non ci sono cambiamenti. È sempre così fermo, immobile.
Ora capisco quel che provavano le famiglie quando noi consigliavamo di staccare la spina ai loro cari perché era la cosa migliore. Ora capisco la sofferenza, il volere di averli comunque accanto sebbene loro non dessero segnali di ripresa. Lo dovrò lasciar andare via quando sarà il momento. Lui ha scelto questo.
20 ottobre
Oggi pupetto (ho deciso che ti parlerò direttamente) sono andata a fare una passeggiata a St. James’s Park. C’era un’aria fresca che mi faceva rabbrividire però era ancora abbastanza caldo. C’erano tante mamme che portavano a passeggio i loro bambini e io mi ci sono vista con te tra qualche mese. Nascerai in primavera che è la migliore stagione per nascere; ci sono i fiori, gli uccellini e gli alberi tirano fuori le foglioline verdi. Porteremo anche la tua sorellona che conoscerai e che amerai. E se vuoi potremmo portare anche Anne e Eddie con noi.
Ma la nostra passeggiata mi piacerebbe farla insieme al tuo papà. Non sarebbe bello, eh pupetto? Solo io tu e lui.
È dura lasciarlo andare, sai? Tanto dura. Però scriverti mi aiuta. Per un attimo volo nel mondo dei sogni e mi immagino il tuo bel faccino, magari con i suoi occhi scuri e i suoi capelli corvini. E allora la tristezza mi passa.
Io continuo a sperare in un miracolo, anche se sono sicura che non accadrà. Non ci ho mai creduto ai miracoli.
Anche Harry è dubbioso. È l’unico che sa sempre confortarmi però. Lui sa che vuol dire perdere qualcuno che si ama e non poter far nulla per impedirlo. Fa quasi strano pensare che fino all’anno scorso non potevo vederlo. Invece ora siamo tornati amici come un tempo.
2 novembre.
È tanto tempo che non ti scrivo pupetto. Ma sai in questi giorni non ho avuta molta voglia. Sono sempre triste, ma mi sa che tra dieci giorni lo sarò ancor di più.
Ma parliamo di altro. Ieri sono andata a trovare il mio papà (che sarebbe il tuo nonno). Era tanto che non ci andavo. Però ho avuto bisogno di parlarci. E poi, mentre ero lì, indovina chi ho trovato? Mark. L’ho osservato per un po’ non capendo il perché si trovasse in un cimitero londinese. Mi sono avvicinata e ho scoperto che era venuto a trovare la sua Jade.
«Eravamo venuti a Londra per incontrare il dottor Eagle che ci aveva promesso delle cure miracolose. E invece lei è morta nella notte. Sylvia è di qui e quindi abbiamo deciso di seppellirla qui» mi ha detto cercando di trattenere le lacrime. Allora io l’ho abbracciato stretto come faceva lui quando ero in ospedale. E l’ho lasciato piangere sulla mia spalla. L’ho invitato a prendere un tè e lui ha accettato. Abbiamo passato tutto il pomeriggio da Pâtisserie Valerie, ci siamo riempiti di tramezzini e di dolci e parlato come vecchi amici. Mi piace stare in compagnia di Mark. Mi trovo sempre a mio agio con lui.
9 novembre
Oggi rientro a lavoro. Mi sento così bene. So che mancano pochissimi giorni, ma sto bene. Mi sento carica.
*
Anne stava passeggiando tranquilla per i corridoi del St. Thomas. Aveva una mezz’oretta libera e di solito la sfruttava per andare a trovare Eddie nella nursery. Ma quel giorno aveva bisogno di fare due passi. Passò prima da Pediatria per poi finire nel piano di Terapia Intensiva. Lì trovò un Harry completamente assorto nei suoi pensieri. Era seduto sulla sedia reclinabile e fissava un vuoto davanti a lui. Teneva gli occhioni verdi sbarrati. La donna si avvicinò con un grande sorriso stampato sulle labbra.
«Ciao, che fai?» la voce di Anne parve svegliare il neurochirurgo dal torpore in cui era piombato.
«Stavo pensando»
«Beh sì, quello l’avevo capito» rise e anche lui lo fece. Ne aveva bisogno. La pressione era stata alle stelle quei giorni. Vedeva ciondolare Emily per i corridoi di Terapia Intensiva e voleva fare qualcosa, ma non poteva fare niente.
«Senti, stasera arriva in città la cugina di Jesse e andiamo a cena fuori. Ti va di venire?» domandò lei prendendosi una caramella al limone e infilarsela in bocca.
«Ti sembro così disperato?»
«Beh, ad essere sinceri un po’ sì» confessò lei. «Però se non vuoi non ti obbliga nessuno». Harry ci pensò su. Era parecchio tempo che non usciva con una donna. Ellen aveva sempre voluto che andasse avanti e non l’aveva mai fatto. Erano passati otto mesi ormai. Forse era il momento giusto per ricominciare.
«Okay» accettò lui con un sorrisetto.
«Okay okay? Ho sentito bene?»
«Sì, Anne, ho detto che vengo» rise lui e Anne lo abbracciò.
«Oh, Harry sono così contenta! Ci vediamo stasera alle otto a casa mia» e se ne andò proprio così com’era arrivata, camminando veloce e con i lunghi capelli biondi che gli ondeggiavano sulla schiena.
*
Sono distrutta.
Veramente, prima come facevo a stare in piedi per così tanto tempo?
Mi sdraio sulla panca fuori dalla sala operatoria e chiudo le palpebre. Avrei bisogno di dormire un po’…
«Emily?» Jesse fa schioccare le dita a due centimetri dalla mia faccia e io mi sveglio dal torpore.
«Grazie, mi stavo per addormentare» lui alza le spalle indifferente e si tira fuori dalla tasca una caramella alla menta e se la infila in bocca con gesto svelto. Ha sempre avuto delle caramelle alla menta in tasca fin da quando lo conosco.
«Ne vuoi una? Ti fanno bene un po’ di zuccheri, per poco non svenivi in sala operatoria» se ne tira fuori un’altra e me la porge. Io accetto senza fare storie.
«Vai a dormire, ti farà bene. Io ti posso coprire. Se ci dovessero essere problemi ti chiamo» mi consiglia e io mi sento sollevata. Per fortuna oggi non è una giornata movimentata, o almeno non troppo. In programma avevo solamente l’intervento che ho appena finito e poi un pomeriggio di consulti che può fare tranquillamente Jesse.
Mi avvio piano verso la sala degli strutturati ed entro. Il divano color mattone è libero. Posso finalmente riposare. La stanza è in penombra grazie alle tapparelle abbassate e il tempaccio che ormai è un amico fisso e fedele del novembre londinese. Mi accoccolo tra i due grandi cuscini crema e chiudo gli occhi. Però vengo immediatamente svegliata da un bisbigliare concitato.
«Ho sentito dire che si è svegliato» una voce maschile che non riconosco subito.
«Oh sì, l’ho visto con i miei occhi. Harry mi sembrava molto felice. Ora dovrà dirlo a quella puttanella» ridacchia. «Si è fatta mezzo ospedale e poi è andata a finire con quel drogato mezzo morto»
«Fran…» la ammonisce l’uomo e ora li riconosco. Fran è una strutturata di Ortopedia, come Anne, ma con l’unica differenza che è una stronza colossale. Mi ha sempre odiato perché lei aveva una cotta per Jesse e io l’ho sposato. Ha goduto come una matta quando abbiamo divorziato e ci ha provato con lui. Peccato che fosse già impegnato a farsi la mia migliore amica. Quindi ora odia anche lei. L’altro è Roger, si occupa di Medicina Sportiva ed è una delle persone che conosco da più tempo qua dentro. Siamo stati vicini di casa fino a quando non siamo andati all’università. Quando avevo diciassette anni avevo una cotta per lui, ma era già fidanzato con quella che adesso è sua moglie, Scarlett.
Comunque, concentriamoci sulla situazione. Harry, svegliato, puttanella. Mi ci vuole fin troppo tempo per realizzare che parlano di Zayn (colpevole la profonda stanchezza che provo).
Mi alzo di scatto e passo veloce accanto a loro, gustandomi appena lo sguardo stupito di Fran che non si era accorta di me.
Terapia Intensiva è poco lontana per fortuna. Faccio il corridoio a corsa, non rendendomi conto del dipinto sulle mie labbra. Il cuore è arrivato a battermi forte nel petto e io non riesco a trattenere tutta la mia gioia. Poi quando arrivo davanti alla sua stanza tutta la gioia svanisce lasciando posto alla paura, all’ansia. Sembra quasi che tutta la voglia che avevo che si svegliasse sia sparita. Ho imparato a vivere da sola, come ho sempre fatto, in questi giorni. È vero che stavo sempre da mia madre, però ero riuscita a sopravvivere. A vivere persino. Ora che lui è sveglio, tutto mi ritorna alla memoria. Il colpo che abbiamo preso, i suoi occhi ancora fissi sui miei, però non erano più lucidi. Erano spenti. Il suo sangue macchiare le mie mani, le mie lacrime bagnargli il viso. Credevo di averlo perso per sempre.
Invece no.
Vedo Harry sorridermi e farmi cenno di entrare dentro. C’è anche Anne con lui. La vedo uscire con un sorriso a trentadue denti e prendermi per un braccio.
«Non voglio realmente entrare» le confesso e il suo sguardo si rabbuia subito. Mi porta velocemente in un angolo più appartato e mi fissa a lungo con i suoi occhioni azzurri.
«Di cosa hai paura?»
«Di lui» Anne si ammutolisce. Non le succede quasi mai. Mi guarda a lungo, scrutandomi con le sopracciglia aggrottate.
«Dimmi che non c’entra Mark» rifletto a lungo. No, non è per lui. O almeno credo. Scuoto la testa e la vedo irrigidirsi.
«Ho paura di scoprire che la vita che avremo davanti non sia come la progettavo» sputo fuori. Non ricordo che questo pensiero mi sia mai passato di mente. «Ho paura che lui mi lasci nel momento più importante. Avevo conosciuto la vita senza di lui, Annie, ed andava bene per me. Me l’aveva insegnata mamma. Anche lei l’aveva dovuta scoprire piano piano dopo la morte di mio padre»
«Sono sicura che andrà tutto bene tra voi due. Tu non lo sai, ma lo stile di vita che conducevi senza di lui faceva cagare. Hai bisogno di lui» mi rassicura stringendomi in un caldo abbraccio.
«Grazie Anne» la stringo ancora più forte e mi faccio portare da lui.
*
Quando fu Emily ad entrare dentro la camera, gli altri uscirono. Erano rimasti solo loro due in quella stanza asettica. A Zayn s’illuminò lo sguardo quando incrociò quello smeraldo del chirurgo.
La donna lo baciò a lungo. Le era mancato il sapore delle sue labbra. Le erano mancati i suoi capelli pece, il suo sguardo profondo.
Si chiese come aveva fatto ad avere quei dubbi prima.
Ora che gli era accanto non ne aveva più.
*
Rimase a dormire lì quella notte. Dormire per modo di dire visto che non chiuse occhio, al contrario dell’uomo che alle nove di sera dormiva già.
Lei si sedette sul davanzale della finestra con una tazza di Earl Grey fumante stretta tra le dita e guardava fuori nel parcheggio. Vide Mark uscire e lo seguì con lo sguardo. Si fermò davanti ad una macchina che non era la sua. Ne uscì una donna bellissima, con biondi capelli mossi e un paio di occhiali da vista poggiati sul naso. Mark la strinse in un abbraccio dopo essersi scambiati due baci sulle guance.
La riconobbe subito.
Sylvia.
Provò una fitta di gelosia insinuarsi dentro di sé. Era tornata dunque. E Mark era probabilmente tornato con lei, con l’amore della sua vita.
Sapeva che non avrebbe dovuto sentirsi così, perché anche lei sia era finalmente riunita con il suo. Eppure vederlo con un’altra le faceva male.

Li vide andar via, inghiottiti dalla densa notte londinese e sparire.



----
Sono tornata con un capitolo brevissimo (non è da me) ma non preoccupatevi che ho già il prossimo pronto per essere pubblicato (in questi giorni).
Dopo aver pubblicato il 25 è possibile che prenda una piccola pausa da questa storia perché voglio concentrarmi sulla storia che ho pubblicato questa settimana, Secretly, (che trovate sul mio profilo, se vi va di darci un occhiata). 
Comunque, ritorniamo a questo capitolo: Zayn si è svegliato, però Emily inizia ad avere qualche dubbio sulla loro futura relazione, soprattutto ora che c'è un pupo in arrivo.
Vi lascio con un paio di domande: i dubbi di Emily saranno fondati?
E poi: il pupo sarà maschio o femmina?
Un piccolo spolier del prossimo capitolo: ci sarà una sorpresa non da poco per Emily;)
Un bacio e a presto,
Restart

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Diario di bordo di Emily Callie Ford per la nascita del pupo/della pupetta
3 dicembre
Oggi abbiamo scoperto che sei un mostriciattolo femmina. Papà ha quasi pianto nel vederti nelle immagini dell’ecografia che gli ho portato. Mi ha stretto forte e ha detto che aveva già in mente un nome bellissimo.
Me lo sono fatto dire e inevitabilmente siamo entrati in contrasto, perché io ne avevo in mente un altro.
Ma le scelte sono diventate tre, perché ci si è messa di mezzo anche tua nonna Caroline che ha proposto il suo secondo nome. Comunque, dicevamo, le tre scelte.
Io pensavo a Grace (tua sorella doveva chiamarsi così, ma poi Jesse ha tirato fuori Chyler ed era così bello che abbiamo scelto quello).
Papà a Emma e nonna a Monica.
Credo che riuscirò a scegliere quando vedrò il tuo visino.
*
Febbraio
Zayn rientrò tardi quella sera. Era mezzanotte passata e fuori era un freddo glaciale. Quando mise piede in casa sentì un caldo torpore invaderlo e le mani cominciarono a scongelarsi piano piano. Trovò Emily addormentata sul divano e col telecomando in mano, mentre l’altra la teneva appoggiata sul pancione che iniziava ad essere scomodo. Aveva la bocca aperta e russava appena. Sorrise appena nel vederla. Gli era mancata così tanto in quei giorni che era stato fuori città per la promozione di Her. Le lasciò un bacio sullo zigomo lentigginoso e lei arricciò il naso.
«Bentornato» biascicò con la bocca impastata dal sonno. Gli detto un bacio sulla bocca e gli strinse le braccia al collo. «Come sei bello».
«Anche tu sei bellissima» la baciò ancora e le accarezzò il viso. Rimasero qualche minuto lì ad apprezzare la presenza dell’altro. Avevano aspettato così tanto per quei momenti intimi e adesso se li volevano godere per bene.
«Andiamo a letto?» chiese prima di mettersi le pantofole e ciabattare fino alla camera al primo piano.
«Amore dovremmo fare una camera al piano terra. Tra poco sarò gigantesca e non ce la farò a montare le scale» urlò lei dal piano superiore. Zayn sorrise tra sé e la raggiunse.
Marzo
Il telefono di Zayn emise un bip. Lui lo prese e distrattamente lesse il messaggio.
Sam:
Pranziamo insieme oggi??

Ci mise troppo poco tempo a rispondere con un frettoloso “sì”.
S’incontrarono in una piccola brasserie bretone nel centro della città. Sam era già arrivata in anticipo. Era una delle cose che preferiva di più della sua bassista. L’aveva trovata seduta sulla sedia di legno impagliata, i capelli castani legati in una coda confusa, i jeans aderenti infilati dentro gli stivaletti neri di pelle e la camicia bianca. Aveva anche il cappotto scuro ben stretto addosso e la sciarpa di lana viola, che le aveva regalato lui per il compleanno, avvolta attorno al collo esile. Si era messa gli occhiali da vista e leggeva attentamente il menu. Sorrise nel vederla. Sam era sempre un’esplosione di energia. E di disordine. Ma era per questo che gli piaceva così tanto. L’aveva colpito fin dal primo momento in cui aveva incrociato i suoi occhi color nocciola nascosti da un paio di lenti da vista.
Si avvicinò a lei e la salutò con un frettoloso bacio sullo zigomo spigoloso.
«Sai già che prendere?» lei annuì con foga.
«Le crêpes galettes con le coquilles di Saint Jacques sono deliziose qui» sorrise mostrando due file di denti bianchissimi. Lui nel vederla sorridere sentì il pizzicore all’altezza dello stomaco farsi sempre più insistente.
*
Aprile
Il telefono di Anne squillò varie volte quella mattina. La prima quando stava dando da mangiare a Eddie e il cellulare era in camera. La seconda quando era sotto la doccia. Alla terza rispose.
Dall’altro capo si sentivano solamente dei singhiozzi sommessi. Anne si allarmò.
«Em tutto okay?» chiese e non ottenne risposta se non un altro singhiozzo.
«Vengo da te» tagliò corto la bionda e buttò il cellulare in borsa. Infilò Eddie nell’ovetto e lo sistemò in macchina. In dieci minuti era davanti alla casa di Emily. Usò le chiavi che l’amica le aveva dato in caso di emergenza ed entrò velocemente. Trovò l’altra seduta sul divano a guardare il televisore spento. Due lunghi righi neri solcavano le sue guance lentigginose. Tirava su col naso e continuava a tenere lo sguardo fisso sul muro opposto. Anne lasciò Eddie sulla poltrona insieme a qualche giocattolo.
Si sedette accanto alla sua migliore amica e la strinse in un abbraccio. Lei si lasciò andare e chiuse gli occhi.
Passarono parecchi minuti così, senza riuscire a spiccicare una parola.
Alla fine fu Emily a tirarsi su di scatto e pulirsi il viso.
«Sono una terribile ospite, vuoi qualcosa da bere? Dovrei avere ancora un po’ di Earl Grey» si avviò in cucina con passo lento a causa della gravidanza ormai alla fine. Anne la seguì piano, osservandola con preoccupazione. Si appoggiò allo stipite della porta la guardò a lungo. Lo sapeva che c’era qualcosa che non andava già da qualche giorno. Zayn aveva prolungato la sua permanenza a Parigi più del necessario. Sentiva che stava tradendo la sua migliore amica. E lei l’aveva scoperto.
«Emily sputa il rospo» disse con tono autoritario la bionda. L’altra poggiò la tazza-souvenir di Edimburgo sul ripiano della cucina e la guardò con gli occhi sul punto di ricominciare a buttare fuori lacrime.
«Lo sento distaccato, Annie. Non gliene importa più di me, né della bimba. Non gliene frega niente della sua famiglia» piagnucolò stropicciandosi il viso con le mani pallide. «Mi sta tradendo, me lo sento». Dirlo ad alta voce fece ancor più male di tutte le volte che lo aveva sospettato. «Mi sta trattando come Ellen. Lui non vuole la tranquillità di una vita senza troppi sconvolgimenti e si è annoiato di me. Mi sta lasciando da sola con una bambina».
Anne era rimasta in silenzio senza saper cosa dirle, come confortarla. Le faceva così male vederla così distrutta. Erano ormai qualche settimana che Zayn cercava tutti i modi per starle alla larga. E questo non faceva altro che aggravare il disprezzo che l’ortopedico provava per il cantante.
«Andiamo a fare un giro a St. James’s Park. Ti farà bene» propose e senza aspettare risposta, prese il cappotto di lana leggero dell’amica e glielo porse.
Mezz’ora dopo stavano passeggiando per le viottole asfaltate del grande parco davanti a Buckingham Palace. Un frizzante vento primaverile sfiorava i loro volti. Annie aveva avuto ragione: le stava facendo bene un giretto nel suo posto preferito. Parlavano di Eddie, della bimba che stava per arrivare e di quanto fosse contenta di avere un altro figlio.
Proprio non si aspettavano di incontrare qualcuno di loro conoscenza lì.
*
Ian aveva deciso di andare a correre più tardi quella mattina. Non era sua abitudine, visto che ci andava sempre verso le otto. Ma quella mattina era stato inspiegabilmente occupato fino alle dieci ed era stato costretto ad infilarsi le scarpe da corsa verso le dieci. Decise anche di cambiare il posto e si diresse verso Buckingham Palace che in realtà era più vicino alla sua casa a Myfair di quanto non fosse Hyde Park.
Mentre correva spensierato, con Bohemian Rhapsody nelle orecchie, qualcosa gli dette nell’occhio. Dei capelli rosso fuoco, legati in una morbida treccia che scendeva sulla schiena. Era davanti a lui e l’avrebbe potuta riconoscere tra migliaia.
«Emily!» la chiamò a gran voce. Lei si fermò e si girò. Aveva un bel sorriso ad arricciare le sue labbra piene.
«Ian, che piacere!» si diresse verso di lui con le braccia aperte e per poco a lui non prese un colpo. L’abbracciò e lui rispose poco calorosamente.
«Wow, da quanto tempo non ti vedevo? Che sorpresa!» si congratulò guardandole il pancione e occhi sbarrati. Ad occhi e croce doveva essere di otto o nove mesi. E sicuramente l’ultima volta che erano andati a letto insieme erano otto mesi prima.
Emily parve non farci caso e si accarezzò dolcemente la pancia. «Sono di otto mesi, siamo agli sgoccioli orma…» le parole le si gelarono in gola. Alzò in fretta gli occhi verso quelli scuri di Ian che aveva la sua identica espressione. «Cazzo» bisbigliò. Nel frattempo Annie aveva indietreggiato e aveva salutato calorosamente Ian. Ma si era fermata appena aveva visto i loro sguardi terrorizzati.
«Cos’è successo…?» chiese, ma nessuno rispose. Rimasero così per altri secondi, entrambi che non sapevano che dire, entrambi con il cuore che gli pulsava veloce nel petto.
«Non hai mai fatto nessun test…?» domandò lui, ma Emily lo fulminò con lo sguardo.
«Ma secondo te? Ero fidanzata, cioè sono, con Zayn, mi mettevo a pensare a quelle cose?» lo attaccò senza rendersi conto di aver alzato troppo il tono di voce. Nel frattempo Anne era senza parole. Le sembrava di essere finita in una scena di una brutta soap opera.
«E adesso non puoi farne?» tentò lui, ma lei scosse la testa.
«Devo aspettare la nascita della bambina. Anche se allora sarà abbastanza evidente, non so se hai mai visto Zayn»
«Già» asserì lui sconsolato. «Non ci resta che aspettare dunque?» Emily annuì macchinosamente e riprese a camminare. Gli altri le andarono indietro senza proferire parola.
Qualche sera dopo a cena da Emily c’erano Anne, Jesse, Eddie, Chyler e Caroline.
Stavano tutti bene. Chiacchieravano, ridevano, erano una grande famiglia allargata. Jesse aveva annunciato che aveva parlato con il suo avvocato per annullare l’affidamento esclusivo di Chyler e aveva proposto un brindisi dicendo che presto la bambina sarebbe stata presto in affidamento congiunto.
Emily si sentiva finalmente felice.
Anne portò in tavola il semifreddo alle arance e cioccolato che aveva comprato quel pomeriggio e tutti mangiarono con gusto. Quando le mancavano giusto due cucchiaiate per finire la sua fetta, sentì i piedi umidi. Guardò con terrore in basso e notò di essere bagnata. Alzò lo sguardo verso gli altri commensali, ancora ignari della grande notizia.

«Mi si sono rotte le acque» annunciò con la voce tremante. Improvvisamente calò il silenzio. Si sentiva il gongolare divertito di Eddie che picchiava la giraffa di peluche sul tavolo. Emily guardò Chyler che era sbiancata più degli altri, le prese il viso tra le mani e sorrise. «Stai per avere una sorellina». La bambina sorrise.
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Innanzi tutto scusate il ritardo, ma sono stata senza WiFi per oltre una settimana.
Del capitolo c'è da dire molto poco, come potete vedere Zayn ha qualche tentazione che non passa inosservata agli occhi di Emily... vedremo come andrà avanti la cosa;) 
In più nella testa della nostra protagonista s'insinua un dubbio che potrebbe essere anche ben fondato... eheh
Ho già pronti i due capitoli successivi e sto lavorando sul 28. Il 26 e il 27 arriveranno non prima di lunedì perché sarò nuovamente senza internet in casa.
Quindi niente, un abbraccio sudaticcio e alla prossima!
Claudia
 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Coldplay – Fix You
Zayn aprì distrattamente il cellulare quella sera. Si era illuminato parecchie volte, ma lui non ci aveva fatto troppo caso, perché era impegnato.
Dieci chiamate senza risposta. Tutte di Anne.
Sbuffò spazientito: la migliore amica di Emily non gli era mai andata a genio. Ed era sicuro che il sentimento era reciproco. Provò a richiamarla, ma non rispose. Con un’alzata indifferente di spalle abbandonò l’apparecchio nuovamente sul piumone.
«Sei sempre al telefono» lo rimproverò Sam, seduta alla scrivania davanti a lui. Aveva i capelli sciolti in deboli onde e gli occhi marcati dall’ombretto nero. Gli piaceva quando liberava il suo spirito rock. Il mini dress di seta nera che si era infilata quella sera le calzava perfettamente. Aveva indossato i tacchi, ma se ne era liberata qualche minuto prima e li aveva abbandonati davanti alla porta d’ingresso della stanza d’albergo. Sam allungò la gamba verso di lui e fece strusciare il piede sul polpaccio nudo di lui mentre gli sorrideva maliziosamente. Lui rispose alla tentazione avvicinandosi a lei e iniziando a baciarla lentamente sul collo e sul mento.
Il suo telefono squillò di nuovo quando era sul punto di baciarla sulle labbra. Sam alzò gli occhi al cielo e sbuffando gli fece cenno di non rispondere. Ma Zayn non si lasciò convincere.
C’era qualcosa che non andava. Dieci chiamate non erano nella norma.
«Dimmi Anne» rispose svogliatamente e in tutta risposta ottenne un forte urlo.
«Sentito deficiente? È Emily, è in travaglio. Sei centimetri. Tu fai quel che ti pare» il chirurgo chiuse la chiamata prima che Zayn potesse replicare. Sentì come se tutto il sangue fosse defluito dalle vene. Guardò Sam con gli occhi sbarrati e provò solamente rimorso. La sua fidanzata stava avendo sua figlia e lui era sul punto di tradirla con un’altra.
«Devo tornare a Londra» mormorò mentre raccoglieva i jeans a terra. Andò via più veloce che poteva, non sentendo nemmeno ciò che gli urlava la ragazza.
Stava arrivando la sua bambina.
*
Emily non chiese di Zayn quando fu il momento di partorire. No, chiese a Mark e Anne di rimanere lì con lei. Suo padre Michael stava arrivando New York. Con lui c’erano anche James e Julia. La sua famiglia sarebbe stata lì presto. Jesse aspettò fuori con i suoi figli. Era stranamente contento, eccitato per la figlia della sua ex.
Lì vicino c’era anche Ian. Jesse non capiva realmente il perché della sua presenza, soprattutto non capiva come mai fosse così teso. Stringeva quel mazzo di fiori colorati con estrema forza tanto da rendergli le nocche già abbronzate pallide come un lenzuolo.
«Tra quanto potrò vedere la mia sorellina papà?» chiese ad un certo punto Chyler, guardando con i suoi grandi occhi verdi il padre che le sorrise.
«Credo a breve» la strinse in un abbraccio e sperò che quello che aveva appena detto fosse vero. La prima volta, quando nacque Chyler ci volle tanto tempo e la fine fu un cesareo d’urgenza perché la piccola si era attorcigliata al cordone. Jesse si ricordò di essere quasi morto per l’ansia in quella sala operatoria, con Emily stesa sul tavolo, pallida, il ventre aperto e incosciente. Si ricordò della paura che aveva provato quando l’idea di rimanere vedovo e probabilmente senza neanche sua figlia gli aveva sfiorato la mente.
A Zayn, a quanto pare, sembra non importargli niente, pensò. Era stato via per le ultime due settimane, a giro per il mondo e aveva tenuto il cellulare staccato, come se non stesse per diventare per la prima volta padre.
«È nata Emma» la voce di Mark spezzò l’aria carica di tensione. Jesse e Ian si alzarono insieme, sorridenti e impazienti di conoscerla. Il primo abbracciò l’amico chirurgo in un moto d’affetto che non riconosceva come suo.
«Emily vuole parlare con Ian» disse l’irlandese stretto nelle braccia forti dell’altro. Ian non esitò ad entrare nella sala. Vi trovò Emily distrutta, ma sorridente.
«L’hai vista?» gli chiese con un filo di voce, ma lui scosse la testa.
«Sono andati Jesse con i bimbi e Mark» rispose Ian porgendole il mazzo di fiori.
«Liam sta facendo il test per sicurezza. Ma la bambina ha la pelle dello stesso colore di Zayn» Ian sentì come se quel macigno di venti chili che si portava sulle spalle fosse svanito in un attimo. Abbracciò Emily finalmente sollevato.
«Devo darti una bella notizia» annunciò lui, quando si furono liberati di quell’abbraccio. «Ryan si sposa con Molly»
«Wow, è una grande notizia. Sono così contenta per te e per loro» lo era veramente, soprattutto nel vedere la felicità uscire da ogni poro della sua pelle.
«Sì, beh, sono sempre piuttosto giovani, però sono adulti e intelligenti, sanno cosa fanno» disse con calma, lasciando però trasparire una nota di disappunto che a Emily non passò inosservata. Aveva paura che il figlio facesse gli stessi passi sbagliati che aveva fatto lui.
«Comunque, ti volevo invitare alla cerimonia. È il mese prossimo» le propose dopo una scrollata di spalle, come se volesse far scivolare via tutti i pensieri negativi che aveva a proposito della questione. Emily fu leggermente spiazzata dalla richiesta. Sicuramente era l’ultima cosa che si aspettava.
«Beh, vedo come si evolve questa cosa e poi ti dico» Ian sorrise contento e le lasciò due baci sulle guance ancora arrossate.
«Non voglio rubarti ancora altro tempo, vado a vedere la bambina. Oh, quasi dimenticavo, ecco questo è per lei» estrasse dalla borsa a tracolla che aveva con sé un pacchetto rosa. «Un pensierino. Ora vado a vederla» se ne andò prima che la donna potesse aprire il pacchetto. Conteneva un body rosa con delle farfalle disegnate sopra. C’era anche un foglio scritto a mano.
Cara Emily,
Non sappiamo ancora se questa bambina sarà anche mia, ma voglio farti sapere che se lo dovesse essere, io le sarò vicino, sempre.
Anche se non fosse mia, vorrei starvi vicino, come uno zio acquisito, perché io mi sono affezionato a te, anche se non ti conosco da molto tempo.
Spero che tu possa accettare la mia proposta.
Stammi bene, Ian
Quando nella stanza entrò Caroline, la trovò piangente. «Che è successo tesoro?» le domandò, avvicinandosi per prenderle stretta la mano. Emily si asciugò le lacrime e le mostrò il biglietto di Ian.
«Quest’uomo che ho conosciuto per poco è disposto a starmi vicino, ad aiutarmi con la bambina. Mark è disposto a starmi accanto, perfino Jesse. Ma l’unica persona che io veramente voglio al mio fianco, non c’è. Se ne è andato via due settimane fa, lasciandomi sola» le disse, con voce ferma. Non voleva più consumarsi e consumare lacrime per un individuo come lui. «Sembra che non sia nemmeno sua».
Caroline non rispose subito e non perché non sapesse come destreggiarsi in una situazione come quella, ma semplicemente perché non aveva parole. Era allibita dal comportamento di quello che credeva realmente l’uomo giusto per sua figlia.
«Gli dovrò dire addio» concluse la più giovane tra le due, affondando il viso nel petto della madre. «Per sempre»
È in quello scenario che Zayn fece irruzione. Era tutto trafelato, i vestiti indossati male, gli occhi stanchi e la mano tremante. Stringeva uno sgualcito mazzo di fiori e gli occhi che parevano ostentare felicità. Caroline si staccò dalla figlia e guardò in cagnesco l’uomo appena entrato.
Zayn la scansò e si diresse verso la fidanzata. «Ciao Amore» si piegò per baciarla, ma Emily lo evitò.
«Troppo tardi» furono le uniche due parole che uscirono dalla bocca della donna. Distolse lo sguardo dagli occhi profondi di lui che sentì il cuore creparsi.
Caroline capì che in quella stanza era diventata di troppo. Se ne andò lentamente, facendo ticchettare i tacchi a spillo sulle mattonelle verdi.
«Mi dispiace» sussurrò lui alla fine, dopo che Caroline ebbe fatto sbattere rumorosamente la porta. «Sono stato un cretino»
«Non lo avevo capito, grazie per l’informazione» ribatté acida lei, evitando ancora il suo viso. Zayn si sedette accanto a lei sul materasso, prendendole la mano nelle sue.
«Non lo farò mai più»
«Non ti credo»
«Fai bene» ammise amaramente lui. L’aveva cercata e aspettata per così tanto tempo, per poi tradirla, tradire la sua fiducia. Si sentiva infimo come un verme. «Ma vorrei dimostrarti che posso cambiare»
«Zayn, tu non cambierai mai. Tu ti annoi di una donna e poi la lasci finire nel dimenticatoio. Hai fatto così con Ellen e hai fatto così con me» prese una pausa per evitare che grosse lacrime scendessero sul viso. «Come si chiama il tuo nuovo giocattolo? È Sam, vero? Avete una grande sintonia insieme. E poi lei è giovane, è bella, e non sembra una balena come me»
«Non è vero» disse debolmente, non riuscendo più a sostenere lo sguardo di fuoco di lei.
«Cosa non è vero? Che mi tradisci o che sembro una balena?» lo attaccò ferocemente e l’altro non rispose per qualche secondo. Quando fece per aprire bocca, lei lo bloccò.
«Risparmiami le tue scuse, per favore. Prima sono stata io l’altra, ora tocca ad una più giovane e con cui te la spassi alla grande. Spero solo che tu smetta di trattare le donne come fazzoletti di carta. Spero che tu cresca, Zayn. Hai quasi quarant’anni, è l’ora di smettere di giocare» lui si staccò e andò alla finestra. Si sentiva distrutto in mille frammenti, non credeva che sarebbe mai tornato quello di prima.
«Io sono stata una stupida ad aspettarti per così tanto tempo. Sono stata una stupida a piangere sul tuo corpo quasi senza vita quando eri con un piede nella tomba. Lo so che non sono cose belle da dire, ma sono le uniche che vengono da una me ferita. Sì esatto, scopertona delle scopertone, non sei l’unico ferito. E poi, sono persino stata stupida ad essere scappata con te quella calda mattina d’agosto. Ma se non lo avessi fatto, forse non avrei avuto la nostra bambina. Quindi alla fine una cosa giusta con te l’ho fatta. A proposito, lei è perfetta. Ha solo un piccolo difetto: ogni volta che la guardo, vedo te. Vedo tutto il dolore che mi hai causato» tirando su col naso cacciò dentro le lacrime già pronte ad uscire. Non ne avrebbe più versate per lui.
«Come sta lei?» chiese lui, capendo che ormai non c’era più niente da fare per la loro relazione.
«Benissimo. Se vuoi vederla è nella nursery» rispose freddamente, fissandolo negli occhi: ormai non gli facevano più effetto. Erano come pozzi neri, completamente vuoti. Come il suo cuore.
«E come hai deciso di chiamarla?»
«Emma Grace» Zayn sussultò e lei sorrise amaramente nel vederlo reagire così. «Si caro, esatto. Perché forse in fondo io ti volevo ancora un po’ di bene quando l’ho vista per la prima volta. Lo vuoi sapere che ho pensato? È bella come lui. E poi lui, si è presentato qui ore dopo, con un profumo addosso che non è mai stato suo. E tutto quel bene per te annidato in un angolo del mio cuore è svanito».
L’uomo non riuscì più a sostenere le occhiate che lei gli inviava. Cercò delle parole che avrebbe potuto dirle in quel momento, ma sapeva che sarebbero state solamente futili. Lei non lo voleva più al suo fianco. Si avviò mogio alla porta, ma appena mise la mano sulla maniglia la voce di Emily spezzò nuovamente il silenzio.
«Ho deciso che non vivremo separati. Io provato che vuol dire avere genitori separati e ho anche provato che vuol dire poter vedere tua figlia poche volte al mese. Voglio troppo bene a Emma per non vederla crescere vicina al padre, sebbene suo padre sia tu. Questo vuol dire che dovrai essere presente fino a che ne avrà bisogno. Questo significa che dovrai essere a casa quando si sveglia la notte, quando avrà bisogno di essere cambiata, quando avrà fame. Io ricomincerò a lavorare presto e non voglio rinunciare alla mia carriera perché te hai manie di protagonismo e vuoi pensare solamente alla tua. La figlia è di entrambi e ce ne occuperemo entrambi.» Zayn si voltò a guardarla un’ultima volta e le sorrise; un sorriso che mostrava gratitudine, ma allo stesso tempo un’immensa tristezza. Uscì senza proferire parola e Emily allora si sentì finalmente sollevata.
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Alla fine è arrivato anche il momento del confronto tra Emily e Zayn e quest'ultimo pare non esserne uscito molto bene...
Vedremo come procederanno le loro vite da qui in avanti...
Un bacione e alla prossima!!
Restart

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Maggio
«Mark, sei libero il 9?» gli occhioni verdi di Emily lo fissarono e lui la guardò curioso. Accanto a lei, Anne annuiva energicamente.
«Dì di sì» bisbigliava senza che l’altra se ne accorgesse.
Rifletté qualche secondo sui suoi impegni. Il 9 avrebbe dovuto passare la giornata coi suoi figli, ma a Sylvia non sarebbe sicuramente dispiaciuto passare qualche ora in più con loro.
«A regola sì» rispose lui e Anne alzò contenta i pollici. Lo sguardo di Emily invece s’illuminò di una luce brillante. Erano settimane che non la vedeva così felice e quindi così bella.
«Mi accompagneresti ad un matrimonio di un mio amico?» chiese candidamente, risvegliandolo dai suoi pensieri. Sbatté le palpebre un paio di volte cercando di comprendere meglio la situazione. Vide Anne annuire con un sorriso forzato sulle labbra e gli occhi sbarrati.
«Va… va bene» balbettò non proprio sicuro di quello che stava dicendo. Non metteva a fuoco la situazione, gli pareva parecchio paradossale. Emily lo ringraziò sorridente e se ne andò velocemente borbottando qualcosa su dei fogli da ritirare o dei consulti da fare. Anche Anne fece per andarsene, ma Mark la bloccò tenendola per un braccio.
«Mi puoi spiegare, per favore?» chiese a denti stretti e lei arrossì appena.
«Promettimi che non ti arrabbi» lui diventò sempre più confuso: che stava architettando? Non c’erano molte alternative e perciò dovette fidarsi e annuì piano
«Okay, prima di tutto mollami e andiamo in uno posto più sicuro» lo fece andare sulle scale di servizio. Si mise a sedere sugli scalini mentre lui stava in piedi davanti a lei con le sopracciglia aggrottate. La donna si schiarì la voce e prese parola.
«Emily ha già chiesto a tutti se potevamo accompagnarla a questo benedetto matrimonio del figlio di Ian. Noi ci siamo messi tutti d’accordo per tenerci occupati quel giorno. Jesse ti ha messo il giorno libero apposta» spiegò con calma, gesticolando appena com’era suo solito. Quando ebbe finito guardò l’altro mordicchiandosi il labbro, sperando che avesse colto le sue intenzioni, anzi, le intenzioni di tutto il gruppo di amici di Emily. Ma lui sembrava ancora perplesso
«Continuo a non capire. Che cosa…» poi gli occhi gli s’illuminarono e parve comprendere. «Oh»
Anne sorrise contenta. «Mark, tu sei quello di cui ha bisogno Emily» iniziò. «Lei non lo sa. O almeno non lo vuole ammettere perché crede ancora che Zayn sia l’amore della sua vita e continua a colpevolizzarsi per il fatto che l’abbia tradita. Mark, lei ha bisogno di ricominciare»
Il plastico voleva essere furioso con tutti quelli che si erano messi d’accordo per una farsa del genere. Perfino con Jesse e Niall che parevano gli unici sani. Ma non trovava un pretesto che reggesse. La sola idea di poter aiutare Emily ad uscire dalla relazione malata che aveva con quel cantante che le aveva spezzato il cuore, riempiva il suo.
Negli anni successivi si chiese parecchie volte come quella donna era riuscita ad entrare nel suo cuore e nella sua mente in maniera così prepotente, così assillante, così fastidiosamente piacevole. Si chiese come aveva fatto ad innamorarsi così velocemente – una sola notte era bastata – di lei.
Non si sa se trovò mai la risposta a queste domande.
«Okay, ho capito. Va bene, vado» concluse mestamente, ottenendo uno stretto abbraccio di ringraziamento da parte di quella che avrebbe potuto chiamare, negli anni a venire, un’ottima amica.

9 maggio

Sento il clacson dell’auto di Mark arrivare forte e chiaro dalla finestra di camera mia. Mi affaccio e lo vedo in piedi, appoggiato allo sportello, gli occhiali scuri posati sul naso e penso che più bello non possa essere. Mi sembra di essere tornata indietro di vent’anni, di essere ritornata la diciassettenne che deve andare al Prom con il più fico della scuola. In realtà ci andai con mio cugino Laurence che di fico aveva ben poco. Gli faccio cenno di aspettare qualche minuto e mi sbrigo a infilare lo stretto necessario nella pochette che mi ha prestato Alicia. Scendo frettolosamente al piano terra, tenendo tra le mani lo scialle di seta, la borsa e i tacchi. Ad aspettarmi in fondo di scale c’è mia cognata con Emma in braccio. Lei e mio fratello abitano qui a Londra con me dalla nascita della piccola. James ha espresso il desiderio di trasferire il suo studio qui e io non potrei essere più felice di averli qui vicino a me.
Anche Zayn abita sempre qui, anche se al momento è a Madrid per il tour. Probabilmente si starà scopando Sam, ma ormai non sono più affari miei. Lui non è più mio e io non sono più sua. Basta crogiolarsi nel passato, nei rimorsi. L’ho già fatto fin troppe volte dalla nascita di nostra figlia. Troppe volte mi sono trovata a piangere per come la nostra storia è finita. Una parte di me lo ama ancora, lo devo ammettere, ma non posso perdonarlo per tutto il dolore che mi ha provocato. È la vita e bisogna farla scorrere. Noi siamo solo spettatori.
«Come sei bella mamma» mi dice Alicia imitando la voce di un’infante. Io sorrido a mo’ di ringraziamento e lascio un bacio sulla fronte rosea di Emma.
«Mi raccomando se dovessero esserci problemi, o mi chiami o…»
«O c’è James. Ci sa fare lui con i bambini» conclude frettolosa lei, facendomi l’occhiolino. Non posso negare che sia vero. James è il pediatra più competente che conosca.
«L’importante è che tu ti diverta» si raccomanda Alicia abbracciandomi sinceramente prima che io possa dire altro su come fare con la bambina.
Mi infilo di fretta la scarpe e prima di uscire di casa do un’occhiata alla mia immagine allo specchio.
I miei capelli, più corti del solito, sono mossi da tante onde. Ho concesso ad Alicia il privilegio di truccarmi e il risultato è meraviglioso: l’ombretto verde scuro mette in risalto il colore dei miei occhi, mentre sulle labbra ho un neutro rossetto rosa scuro. Ma la parte migliore del look è la tuta che ho comprato e per la quale provo un amore infinito: il corpetto è completamente rivestito da cristalli, mentre i pantaloni sotto sono semplicemente a sigaretta. In vita è legata una lunga striscia di stoffa color antracite che scende morbida lungo il mio fianco fino a terra, tanto da sembrare uno strascico.
Esco piano, cercando di non svegliare Emma e faccio con calma il vialetto fatto di pietre. Vedo Mark fissarmi con un meraviglioso sorriso dipinto sulle labbra carnose.
«Sei uno schianto» commenta prendendomi la mano e aiutandomi ad entrare in auto.
«Grazie, anche tu sei favoloso».        
Arriviamo alla piccola chiesetta appena fuori dalla città mezz’ora dopo. C’è Ian fuori dall’ingresso ed è il perfetto ritratto della felicità. Sta divinamente nel suo completo scuro: ha i capelli legati e la barba leggermente più corta del normale. Ha gli occhi luminosi che brillano alla luce del tiepido sole del tardo pomeriggio.
«Oh, Emily, finalmente» mi accoglie con un forte abbraccio. «Ciao, Mark» saluta anche il mio accompagnatore con una stretta di mano.
«Credevo dovesse venire Harry» sussurra al mio orecchio poi, quando siamo poco distanti dall’irlandese.
«Imprevisto dell’ultimo minuto. Lui era l’unico libero» spiego velocemente, con una leggera alzata di spalle.
«Dai, venite dentro, la cerimonia sta per iniziare» Ian mi prende per mano e mi conduce all’interno del piccolo edificio in mattoni.

*

«Sono proprio belli, eh?» Mark si siede accanto a me e mi porge un bicchiere di Martini. Io bevo un lungo sorso prima di rispondergli. Dio com’è buono. Quanto mi era mancato in questi mesi.
«Lei è un incanto» commento, ammirando Molly. Ha un vestito così semplice e delicato che le calza in modo delizioso, valorizzando le sue forme. I capelli castano scuro sono stati lasciati liberi di scendere morbidamente sulla schiena nuda. Se ne sta stretta nelle braccia forti del suo sposo e i loro sguardi sembrano incatenati. Aveva ragione Ian a dire che fossero perfetti l’uno per l’altro. Molly fissa Ryan così intensamente… Per lei c’è solo lui e per lui c’è solo lei. Sono avvolti nel loro bozzolo d’amore e io spero per loro che possa durare per sempre.
«Andiamo a fare una passeggiata?» chiedo improvvisamente al mio accompagnatore e, senza dargli il tempo di replicare, gli stringo la mano e lo conduco fuori dal tendone.
C’è una fresca e piacevole brezza qui fuori. Il lago brilla sotto la luce pallida della luna già alta nel cielo pece. Si vede anche qualche stella splendere timidamente. Il vento fa strusciare tra di loro le foglie creando una sinfonia stupenda. Il leggero sciabordio dell’acqua che bagna la riva si unisce all’orchestra naturale a creare un complesso unico. È proprio una serata fantastica.
«Perché siamo venuti qui fuori?» domanda Mark guardandosi attorno curioso. Io non rispondo e lo conduco alla panchina proprio davanti al lago. Quando ci sediamo lo guardo fisso negli occhi.
«Avevo bisogno di parlare con te senza il vociare delle persone in sottofondo» mi giustifico così, accompagnando le parole da un’innocente alzata di spalle. Lui sembra gradire, così si siede meglio e sostiene il mio sguardo.
«Okay, parliamo. Ma di cosa?»
«Com’era Sylvia al vostro matrimonio?» attacco subito così, a bruciapelo. Lo vedo attutire malamente il colpo, boccheggiando appena. Poi sembra riprendersi e si schiarisce la voce.
«Era un incanto» comincia a parlare e nei suoi occhi vedo una luce diversa. La stessa luce che gli ho visto brillare tutte le volte che parlava di lei, del suo passato. Il sentimento per la sua ex moglie dev’essere ancora così puro, così vivo. «Aveva questo abito di un bianco così candido che splendeva di luce propria. Era semplice come lei. Aveva i capelli intrecciati e dei fiori tra le ciocche. Non c’era nessun altro. Solo noi due. È stato un il simbolo del nostro nuovo inizio dopo quello che era successo con Jade» abbozza un debole sorriso, cercando di evitare i miei occhi. Lo vedo giocherellare con di bastoncini che erano caduti dagli alberi. Allungo la mano e sfioro la sua: a questo contatto sussulta, come se avesse toccato la corrente.
«Non dovresti farmi questo» sussurra come ferito. «Emily non dovresti»
«Perché?»
«Perché io non ho più voglia di giocare» risponde amaramente, riuscendo finalmente a trovare il coraggio per alzare lo sguardo e scontrarsi col mio. Riesco a riconoscere il colore delle sue iridi anche con la tiepida illuminazione che la luna offre. Mi osserva a lungo, senza dirmi nemmeno una parola. E poi ad un certo punto si alza e se ne va, lasciandomi sola su quella vecchia panchina di legno, a pensare come abbia potuto perdere una persona come Mark.

*

«Emily cosa fai qui da sola?» la voce di Ian la fece sobbalzare; era concentrata sulla luna che rifletteva sulle lievi increspature dell’acqua. Lui si sedette accanto a lei, ma non disse niente.
«Mi sono appena lasciata scappare la felicità» disse ad un certo punto, senza scostare lo sguardo da quel punto indefinito di fronte a sé. L’uomo non capì quello che lei voleva dire. O almeno non subito. Tutto gli parve più chiaro quando l’immagine di Mark che tornava da solo sotto il tendone, con uno scuro cipiglio, gli balenò la mente.
«Mark è proprio un bravo ragazzo, eh?»
«Uno dei migliori che conosca» ammise lei con un sospiro. Era vero, era ciò che pensava. Ma se n’era accorta troppo tardi. E lui le era sfuggito dalle mani.
«Posso darti un consiglio da uomo, amico e tuo ex?» Ian interruppe i suoi pensieri. Lo guardò per la prima volta da quando si era seduto accanto a lei. Annuì piano. «Non te lo lasciar scappare» si alzò e se ne andò, dopo aver studiato brevemente il suo viso.
Emily rimase quindi sola, ancora una volta. Si chiese se forse sarebbe stato meglio così. Non avrebbe avuto problemi con Zayn. E per un attimo prese quella decisione.
Ma poi l’immagine di Sam che dormiva seminuda sul suo divano le venne come sbattuta davanti. Lui aveva aperto un nuovo libro. Perché non farlo anche lei?

*

Era appoggiato ad un tronco d’albero e fumava una sigaretta. O almeno era quella l’impressione. In realtà l’aveva accesa e dopo aver fatto un tiro l’aveva lasciata consumarsi tra le sue dita magre. Con l’indice si torturava le pellicine del pollice e teneva gli occhi fissi su qualcosa davanti a sé. Non si riusciva a intendere a cosa stesse pensando così intensamente. Per l’agitazione fece passare per l’ennesima volta la mano sinistra tra le ciocche corvine che aveva sistemato con tanta cura quel pomeriggio. Si stavano allungando fin troppo, avevano bisogno di una scorciata, pensò improvvisamente, distraendosi dai pensieri più profondi che lo consumavano da qualche minuto ormai. Guardò la lunga sigaretta bianca ridotta ad un misero mozzicone e la gettò a terra con disprezzo. Avrebbe voluto essere al suo posto, avrebbe voluto essere buttato via. Non c’era giorno che passasse senza che lui pensasse a lei. Ai suoi profondi occhi smeraldo e alle lentiggini che macchiavano in modo confuso il suo naso e i suoi zigomi sempre pallidi.
Ormai se n’era andata. Non sarebbe mai più tornata indietro. Lo vedeva negli sguardi che gli rivolgeva ogni santissimo giorno. Vedeva il disgusto, la rabbia, tutte quelle emozioni che gli aveva scaraventato addosso quella notte d’aprile.
Sam gli apparse improvvisamente davanti, o forse lui non si era accorto prima della sua presenza. Era particolarmente elegante quella sera. Aveva raccolto i capelli in una coda ordinata e indossava una discreta tuta blu notte. Il trucco era scuro come al suo solito, ma aveva un che di raffinato. «Andiamo?» chiese con un tono leggermente scocciato. Aveva incrociato le braccia sul petto e lo guardava con i suoi meravigliosi occhi nocciola.
«Arrivo, aspettami in macchina» la ragazza si allontanò con passo svelto. Guardò ancora una volta davanti a sé, a quella casa che era stata sua per così poco tempo e poi anche lui entrò nell’abitacolo dell’auto.
Prima di andarsene, forse per sempre, pensò al tenero viso di Emma e di quando gli aveva sorriso per la prima volta e una lacrima piena di rimorso sgorgò, strisciando sul suo viso. Cercò di rassicurarsi che aveva fatto la cosa migliore per lei. Non si meritava un padre così.

*

Mark la vide camminare barcollante. Il ghiaino non era l’ideale per un paio di tacchi a spillo di dodici centimetri. Soprattutto per una che è abituata a portare scarpe da ginnastica dieci, dodici ore al giorno per sei giorni su sette. Cercò di trattenere un sorriso, ma era più forte di lui. Era così bella.
Teneva le mani dietro la schiena e lo guardava sorridente, sicuramente nascondendogli qualcosa. Quando fu a dieci centimetri da lui, svelò il segreto. Tra le dita chiare teneva un cupcake alla vaniglia, il preferito dell’uomo da quanto aveva potuto comprendere dopo quel pomeriggio passato insieme da Pâtisserie Valerie. Infilata nella glassa bianca c’era una candelina azzurra.
«Buon compleanno» sussurrò, mostrando due file di denti bianchissimi.
«Non credevo te ne ricordassi»
«Beh, effettivamente ti rimangono solo venti minuti di compleanno, però siamo ancora in tempo per il regalo» constatò lei guardando l’orologio con il cinturino in pelle nera che le aveva comprato suo padre quando si era diplomata.
«E che sarebbe il regalo?» domandò curioso, ma con una punta di scherno nella voce.
Emily gli si avvicinò. «Questo» e così dicendo posò le labbra sulle sue. Dopo più di un anno riassaporarono il sapore dell’altro. E lo sentirono più familiare che mai. Si baciarono a lungo, come se sentissero il bisogno di colmare quel grande vuoto che c’era stato tra l’ultimo bacio che si dettero un anno e tre mesi prima al JFK di New York. Si erano baciati una volta in ospedale, era vero, ma quello era solo l’anticamera del sesso: un bacio rabbioso e passionale, che non lasciava spazio ai sentimenti. Quello che si dettero sotto quel grande abete no. Quello era diverso.
«Oh, aspetta» si staccò bruscamente e lo fissò nelle iridi celesti. «Devi esprimere il desiderio». Gli mostrò di nuovo il dolcetto: la candela si stava consumando quasi del tutto e la fiammella stava diventando sempre più debole. Mark chiuse gli occhi e dopo qualche secondo soffiò spegnendola.
«Che cosa hai espresso?» chiese lei, curiosa. L’altro scosse la testa.
«Te lo dirò quando si sarà realizzato» e la baciò di nuovo.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Cara Emily,
Ti scrivo questa lettera principalmente per ringraziarti per tutto l’amore che mi hai dato e che io non sono mai stato in grado di accettare.
Sentirti dire quelle cose quella notte, la notte in cui la nostra meravigliosa figlia è nata, mi ha fatto male, ma mi ha anche fatto realizzare quanto ne ho arrecato a te e quanto te ne avrei potuto arrecare ancora.
La decisione che ho preso è la migliore per entrambi e per Emma.
Io non posso più starti vicino perché ti farei soffrire ancora e vederti star male farebbe stare male anche me.
Io ti amo ancora Emily, per quanto possa valere ormai. Ma non ti merito.
Tu meriti una persona che possa starti sempre accanto, anche nei momenti più bui, una persona che ti prometta di aiutarti ogni giorno. E quella persona non sono chiaramente io.
Non so quando crescerò, quando avrò la maturità tale per poter crescere un figlio, ma sono sicuro che non lo sono ancora. Emma ha bisogno di un padre che sia presente. E sappiamo entrambi che quella persona non sono io.
Ho visto come guardi Mark. Anche quando stavamo sempre insieme, voi due avevate quel legame che andava contro ogni logica spiegazione. Mi sentivo infuocare dal fastidioso fuoco della gelosia quando eravate accanto. Lui ti ama, Emily. E spero che tu te ne renda conto prima che sia troppo tardi.
Non so per quanto starò via, per quanto sarò nomade nel nostro grande mondo. Ho bisogno di viaggiare come non ho mai fatto. Ho bisogno di essere libero.
E tu hai bisogno di stare lontana da me.
Hai presente quel detto che ripetono sempre nei film americani? «Se ami qualcuno lascialo andare: se ti ama veramente tornerà da te». Non può essere più veritiero.
Se dev’essere destino, ci rincontreremo e allora capiremo che non possiamo rimanere separati. Ma quel momento non è ancora giunto.
Pensami qualche volta, se vuoi.
Arrivederci amore mio, e porgi un arrivederci a Emma, l’altro amore della mia vita.
Zayn
 
Ripiego la lettera dopo averla letta per la terza volta. Ho il viso bagnato dalle lacrime che non riescono a smettere di venir giù. C’è Anne qui insieme a me, giusto un po’ di supporto morale.
«Beh, ora mi sta un po’ meno antipatico» mormora mentre scruta attentamente le parole scritte dall’uomo che ho amato, che amo e probabilmente amerò con tutta me stessa. Per quanto abbia cercato di rinchiuderlo in una scatola piccola, per quanto abbia tentato di spingerlo a stare in un angolo del mio cuore, lui è sempre ritornato, con il suo sorriso e con i suoi occhi neri.
«Cavoli Em, sono proprio delle belle parole» commenta Annie rendendomi il foglio insieme ad un paio di fazzoletti di carta.
«Tu lo ami sempre vero?»
«È stato l’amore della mia vita. E quasi sicuramente lo è sempre» rispondo, prima di soffiarmi il naso. Siamo rinchiuse in camera mia per paura che Mark al piano di sotto ci senta. Ho trovato la lettera di Zayn solo la mattina dopo la sua partenza. Non credevo nemmeno che fosse in Inghilterra. Quando l’ho letta per la prima volta, per poco non mi sentivo male. Ho chiamato subito Anne che si è presentata velocemente con una scusa deficiente. Ha liquidato Mark con un “è roba da femmine”. E ora è già mezz’ora che siamo chiuse qui.
«Ma mi ha fatto troppo male. Mi ha ferito in una maniera in cui nemmeno Jesse aveva fatto. Forse perché il mio amore per lui era più grande che di quello per Jesse»
«Quindi che farai?» chiede guardandomi dritta negli occhi. Che farai? Giusto Emily, che farai? Ce la farai a cancellarlo dalla tua vita? Probabilmente no.
Un’immagine della prima volta che ho visto Mark mi balza improvvisamente in mente. Coi suoi abiti eleganti, i suoi occhi limpidi, puri, come lui. Sono sicura al 100% che mi sono innamorata di lui nel momento in cui mi ha sorriso per la prima volta. E poi penso a tutte le volte che mi ha fatto stare bene, che mi ha consolato, le notti in cui mi è stato accanto, che mi ha stretto la mano. Ripenso al bacio che ci siamo dati ieri sera, al vuoto allo stomaco che ho provato quando le nostre labbra si sono toccate.
Con Zayn non è mai stato così. Ci siamo sempre divertiti un sacco insieme, ma lui non mi ha mai protetto. Non mi ha mai consolato, o almeno non l’ha mai fatto come ha fatto Mark. Lui, voleva solo divertirsi insieme. E quando io non ho potuto farlo più mi ha lasciato in un angolo buio.
La risposta adesso mi sembra più limpida.
«Annie»
«Dimmi»
«Ho capito che cosa fare».
*
30 Dicembre
«Em?»
«Mh?»
«Em sveglia» Anne mi dà una forte pacca sulla schiena che mi fa rizzare di colpo dal comodo – cioè non proprio comodissimo, però dopo essere stata in piedi tredici ore, avrei dormito anche sulle pietre – materasso della stanza del medico di guardia. «Ma sei cretina?» le urlo contro, massaggiandomi la spalla. Lei mi risponde con una scrollata di spalle.
«Era troppo importante, non potevo lasciarti ronfare dell’altro» si accuccia per arrivare alla mia altezza e mostra un sorriso da orecchio a orecchio. «Ho scoperto una cosa»
Okay, mi devo preoccupare.
«Mark ti chiederà di sposarlo» per poco non mi strozzo con la mia stessa saliva.
«CHE?» strillo, ma lei mi fa cenno di fare silenzio per non svegliare Harry collassato nel letto sopra il mio.
«Siii, l’ho scoperto stamattina. Gli dev’essere cascata la scatolina dalla borsa. Lo sai che sono curiosa e quindi ho dato una sbirciatina e cavoli, è proprio bello. Quando lo avrai davanti non potrai dire di no».
Non rispondo niente, ancora scioccata per la scoperta. Questa non ci voleva. Cioè io sono sempre troppo scombussolata per la storia con Zayn e non credo di potermi impegnare in una cosa come questa. Guardo terrorizzata Annie, che al contrario mio sembra all’ottavo cielo. Ha sempre amato alla follia i matrimoni.
«Sai già che risponderai?»
«Non ancora» mi pongo la domanda che mi sono già posta molte volte in questi mesi: riuscirò mai amarlo appieno o ci sarà sempre Zayn a infestare i miei pensieri?
«Beh, vedremo. Io spero di sì. Un bacio, ciao cara» si alza di scatto e esce dalla stanza di corsa. Io mi ributto giù, ma ormai il sonno è passato. Ora riesco solo a pensare alla proposta che mi farà.
*
31 dicembre, sera. St. Thomas
Sono tutti a cena da me questa sera. Jesse e Anne, Harry e la cugina di Jesse, la sua nuova fiamma, Roxanne. Sono contenta per lui: è riuscito finalmente a voltare pagina dopo Ellen. Niall arriverà a mezzanotte passata perché deve sempre lavorare.
Infilo le mie cose velocemente nella borsa e cerco di sbrigarmi per arrivare in tempo a casa. Devo sempre fare un sacco di cose, per fortuna c’è Mark ad aiutarmi. Ebbene sì, io e Mark stiamo insieme. Conviviamo da un paio di mesi. Siamo noi due, Emma e i suoi figli. Sylvia viene quasi ogni fine settimana a prendere i suoi figli e portarli a giro, mentre Chyler è da me una settimana sì e una no. È una casa affollata, non c’è che dire. Ma stiamo bene, sto finalmente bene. Ho tutto quello che volevo.
Certo Mark non è Zayn, ma lui ha preferito lasciarmi sola, ha preferito andarsene con Sam e io non posso fare altro che accettare a malincuore la sua decisione. Non ha voluto Emma che in questi mesi ho potuto constatare che è la migliore bambina sulla faccia della Terra. Quando mi guarda con i suoi occhioni scuri e mi sorride, sento il cuore stringersi. È così simile a lui da far quasi impressione. Mi sembra di averlo sempre vicino quando sono con lei. E forse è per questo che in tutti questi mesi sono riuscita ad andare avanti.
Esco dalle porte di vetro dell’ospedale e mi avvio a passo svelto verso l’entrata della metro.
«Emily» sono sicura di aver perso un battito appena sentita quella voce. Il mio corpo non risponde più, sono un blocco di marmo e non solo per il freddo. Alzo macchinosamente il viso per scontrarmi col suo.
È ancora più bello di quanto ricordassi: indossa gli occhiali che siamo andati a comprare insieme e ha il collo magro avvolto nella mia sciarpa. Ossia quella che io gli ho regalato per il compleanno. Sorride, col suo struggente sorriso. Sento ogni parola morirmi in bocca.
Sette mesi.
Mi ha lasciato per sette mesi, andandosene via con la sua nuova fidanzata. Mi ha lasciata sola con una figlia, nostra figlia.
Tutto quello che mi è rimasto di lui, oltre a qualche vestito, è quella lettera. Quella lettera che conservo gelosamente nel doppiofondo del cassetto del comodino. Quella lettera di cui Mark non è ancora a conoscenza.
Mi sono aggrappata solo a quella in questi mesi. In fondo al mio cuore ho sperato che tornasse e adesso eccolo qui. Ho provato a dimenticarlo, ricordandomi del tutto male che mi aveva fatto, di quanto mi avesse fatto soffrire, ma il mio amore per lui era sempre troppo grande da inghiottire le sofferenze.
«Ciao» è l’unica cosa che riesco a dire. La voce è tremante, un balbettio.
«Ciao»
«Sei tornato» sussurro e lui annuisce, diventando improvvisamente serio. «Vorrei parlarti»
«Sono in ritardo per la cena» protesto con poca convinzione. Lui mi prende entrambe le braccia con le sue forti mani e mi obbliga a guardarlo negli occhi. «Per favore. Cinque minuti». Per un po’ non rispondo, dubbiosa sul da farsi. Ma alla fine acconsento con un debole “va bene”.
Mi fa entrare da Starbucks e ordina un caffè. Io non prendo niente e mi limito a sedermi sulle poltroncine chiare. Si mette davanti a me e abbozza un sorrisetto di circostanza, ma non spiccica parola.
«Zayn sono veramente in ritardo, non farmi perdere tempo» sbuffo infastidita. Non farò mai in tempo a fare tutto. A partire dal ritirare l’abito di lavanderia prima che chiuda.
«Scusa. Volevo solamente riguardare il tuo bel viso per la prima volta dopo tanto tempo»
«Potevi farlo ogni giorno, se avessi voluto» commento acida e un po’ mi pento di quello che ho detto. Ma alla fine è la verità. Aveva l’opportunità di guardarmi ogni giorno, ogni anno della sua vita. Ha sprecato quella possibilità.
«Ho viaggiato tanto in questi mesi, Em. Ho visto il mondo come non l’avevo mai visto. Ho conosciuto tante persone, ho visto tanti volti. Ho imparato tante cose nuove. Ho vissuto, sono stato libero come non lo ero mai stato in vita mia. Ma in ogni angolo del mondo in cui mi trovassi, sentivo che mi mancava qualcosa. Ho provato a cercarlo negli occhi di Sam, ma non c’era. Io cercavo tu. E tu non c’eri. Sono tornato a Londra due settimane fa per farti questa chiacchierata, ma ogni volta le parole mi morivano in gola. Ti vedevo uscire dall’ospedale ogni giorno, a volte da sola, a volte con Annie. Solo un giorno ti ho visto uscire con Mark. Vi tenevate la mano, vi davate degli sguardi che io non mi sono neanche mai sognato. Lui ti ama così tanto, e tu probabilmente non te ne accorgi. Come non ti accorgi che lo guardi nel suo stesso modo. Sono contento per te. Hai finalmente trovato qualcuno che ti rende felice. Non nascondo che in parte sono geloso per non essere io quel qualcuno. Ma capisco perché Mark ti merita molto più di me.
Ma non era questo che volevo chiederti in realtà. Volevo chiederti il permesso di poter vedere Emma, vorrei che conoscesse suo padre, vorrei essere più presente per lei. Mi sento pronto per la paternità» mi sorride in una maniera che rende più focosa la mia voglia di prenderlo a schiaffi. Inspiro piano un paio di volte per non sfociare nella violenza fisica e lo fisso negli occhi.
«Sono contenta che tu ti sia riposato e che tu ti sia sentito libero in questi mesi. Io no. Io sono stata obbligata a svegliarmi tre, quattro volte per notte perché Emma piangeva. Io sono stata obbligata a portarla a tutte le visite, a fare tutti i vaccini, a controllare che respirasse quando le era venuta la tosse, ad angosciarmi quando le era venuta la febbre alta. Vuoi sapere quando Mark mi ha chiesto di andare a vivere insieme? Quando sono arrivata alle quattro la notte in ospedale con mia figlia in braccio che aveva la febbre a 40. Mi ha detto “non puoi più stare da sola, ti devo aiutare”. Viviamo insieme da due mesi. E io sono veramente serena. Sono tranquilla.
Ah, e poi per informazione, la prima parola di Emma non è stata “mamma”. No. È stata “papà”. E indovina a chi l’ha detto? Esatto, a Mark. Emma un padre ce l’ha. Un padre che le vuole bene nonostante non condivida il sangue». Con queste parole sputo fuori tutta la rabbia accumulata in questi mesi. È vero quello che ho detto prima, che lo amo sempre. Ma quando se ne è andato ha creato un vuoto tra di noi che io ho riempito più con odio e rancore che con amore, nostalgia.
Lo vedo accusare il colpo, mentre i suoi occhi si bagnano di lacrime. Ha il labbro inferiore che gli trema e lui cerca di non darlo a vedere, coprendosi la bocca con la mano. Abbassa lo sguardo e per qualche secondo tra noi crolla il silenzio. Butto un’occhiata all’orologio appeso al muro e mi rendo conto di essere terribilmente in ritardo.
«Ora devo andare Zayn» esordisco prendendo la borsa e alzandomi, ma lui mi afferra un braccio.
«Posso vederla un giorno? Io mi stabilisco qui a Londra» mi chiede supplichevole, con le pupille chiare iniettate di sangue. Mi fa male vederlo così, lo ammetto, ma se l’è cercato alla fine. Si è cercato tutto questo.
«Ne riparliamo. Ora devo andarmene. Buon anno Zayn» mi libero dalla presa e mi allontano a grandi falcate. Quando esco fuori il vento freddo di dicembre mi colpisce il volto. Inspiro appieno, cercando di bearmi di un po’ d’aria fresca.
Okay, andiamo ad affrontare il cenone di Capodanno.
*
«Posso parlarti un secondo?» la voce mi distrae dalla mia routine quotidiana: seduta sulla poltroncina chiara davanti allo specchio a togliermi il trucco che mi sono passata la sera precedente. Lui arriva alle mie spalle, guardando il mio viso sul riflesso del vetro. Ha gli occhi di un azzurro brillante, luminoso.
È arrivato il momento che ho tanto temuto per tutta la sera.
Faccio ruotare il mio corpo sulla seduta e mi ritrovo faccia a faccia con lui. Si è accovacciato per vedermi meglio. Sento una stretta allo stomaco e la testa inizia a girarmi. Ma mi sento molto convinta della decisione che ho preso sulla metro prima di arrivare a casa.
«Em, io…»
«Sì, Mark, sì» lo interrompo con una strana euforia. Da dove viene fuori? Dov’è nascosto tutto il terrore per un matrimonio che ho provato ultimamente? Dove sono l’ansia, la paura, il sudore freddo? Tutto sembra rimpiazzato da una gioia smisurata.
Vedo la confusione nei suoi occhi bruciare ardentemente. «Ma…cosa…chi…»
«Anne non ha resistito» confesso e lo vedo appena un poco sollevato. «Mi ha rovinato la sorpresa» commenta aspramente, ma io rido perché si era rivelata una scena veramente buffa.
«Possiamo fare tutto come se niente fosse se vuoi. Ma ti avverto, non sono una brava attrice» gli dico tra le risate e lui fa cenno di lasciar perdere. Mette la mano in tasca, tira fuori la scatolina chiara e la apre. L’anello al suo interno è meraviglioso. È un Setting, il famoso anello di Tiffany. Boccheggio e non poco.
«O mio Dio»
«Era di mia madre. L’ho fatto restaurare solo per te» spiega con calma mentre me lo infila all’anulare. «Mamma non me lo aveva concesso quando sposai Sylvia. Disse che non mi aveva preso l’anima. Tu sì invece. Mi hai rubato anima e cuore, mi hai reso un uomo diverso, Emily. Te ne sarò eternamente grato» mi sorride e io sento che sto facendo la cosa giusta. Nel profondo sento che finalmente la mia vita sta prendendo la piega giusta.
Finalmente.
*
La mattina dopo decisi di scrivere a Zayn. Avevo capito che anche lui aveva bisogno di stare un po’ con Emma. Era giusto, era suo padre in fin dei conti.

Ci vediamo lunedì da me. Emily


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Siamo agli sgoccioli ormai. Questo è il penultimo capitolo prima dell'epilogo che ho finito di scrivere proprio oggi. Sono molto triste perché devo dire addio a dei personaggi che mi accompagnano dal 2014... 
Non ho molto da aggiungere su questo capitolo, fatemi sapere voi cosa ne pensate.
Un bacio, 
Restart.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Gennaio
Zayn si presentò puntuale alla porta quella mattina di fine gennaio. Il freddo prepotente entrava sotto i vestiti, sotto i cappotti pesanti e lo faceva tremare visibilmente. Aveva ficcato le mani nelle tasche, ma niente pareva proteggerle dal gelo di quei giorni. Grossi fiocchi di candida neve scendevano dall’alba e non esitavano a smettere.
Aveva sempre odiato l’inverno. Da giovane perché era immediatamente collegato all’idea della scuola. E da adulto perché tutto si tingeva di tinte tristi e scure che favorivano male la sua vena creativa.
A Emily invece no. Lei aveva sempre amato la neve, il freddo, i maglioni di lana, il caminetto acceso. L’aveva supplicato in ginocchio per far mettere quel benedetto camino nella loro nuova casa. Sorrise appena nel ripensare a quell’episodio.
«A cosa pensi?» chiese Sam al suo fianco, fissandolo con una viva curiosità accesa nei suoi occhi scuri. Zayn scosse la testa per comunicarle che non c’era niente a cui pensasse.
Emily aprì la porta in quell’istante. Per Zayn fu come una visione. Indossava un paio di jeans morbidi e un maglione grigio col collo alto.
«Ciao, stiamo per uscire, scusa il disordine» disse mentre cercava di infilarsi un mocassino. Li fece entrare nella casa che una volta era stata anche sua. Li condusse in salotto, che lui notò non essere cambiato di una virgola, e consigliò loro di sedersi.
Un bambino di circa otto o nove anni era sdraiato sul tappeto grigio e leggeva attentamente un libro. Aveva le sopracciglia aggrottate e la lingua stretta tra le labbra. Ad osservarlo attentamente Zayn poté intuire che si trattava del figlio minore di Mark
«Ian, saluta» lo riprese Emily prima di uscire dalla stanza con passo svelto. Il piccolo abbassò il libro e guardò curioso gli ospiti.
«Ciao» lo salutò Sam mettendosi a sedere accanto a lui. «Che leggi?» Ian osservava sospettoso quella ragazza che gli riservava tante confidenze.
«Piccole Donne. E prima che tu dica qualcosa, no, non è una lettura da femmine» sia lei che Zayn rimasero stupiti dalla lingua tagliente del bimbo. Sicuramente non si sarebbero aspettati un’uscita del genere da uno della sua età.
«Non crediamo che sia da femmine. Anche io l’ho letto quando ero piccolo» lo consolò l’uomo con un sorriso. Anche il piccolo lo fece, come sollevato. Aveva finalmente trovato qualcuno che potesse capirlo.
«Me lo ha prestato mia sorella» spiegò lui. «Lei ha due anni più di me»
«Ah, Susan?»
«No, Chyler» Sam spalancò gli occhi. La semplicità di quel bambino la stupiva sempre di più. Lui non parve notarlo, tanto che si rimise a leggere tranquillo il suo libro.
«Scusa, ma non è Susan tua sorella?» chiese lei dopo qualche minuto.
«Sì, ho anche una sorella che si chiama Susan» rispose piano, guardandola dritta negli occhi. «Ma sono fratello anche di Chyler perché i nostri genitori si stanno per sposare»
Zayn guardò la sua ragazza, lievemente sbalordito da quelle affermazioni. Anche lei era rimasta senza parole. Sicuramente non era usuale che un bambino così piccolo potesse affrontare così bene un nuovo matrimonio del padre, accettare una nuova famiglia e perfino iniziare a considerare i figli di quella nuova donna come suoi fratelli.
«Ehi, noi siamo pronti» Emily entrò di fretta nella stanza, tenendo in braccio Emma che sorrideva sornione mostrando l’unico dente che per il momento aveva deciso di venir fuori. A Zayn s’illuminò lo sguardo appena la vide.
«Ciao tesoro» porse le mani verso di lei e la prese dalle braccia della madre. Sentì un’improvvisa ondata di gioia colpirlo in pieno petto. Emma si divincolava freneticamente, mugolando appena.
«Allora sai già tutto quello che c’è da sapere. Se hai dei problemi chiama James, lui saprà aiutarti». Emily s’infilò il cappotto che più preferiva al mondo, quello grigio scuro coi bottoni neri, ce lo aveva la sera di Natale quando andarono a Parigi insieme, e gli sorrise. Un debole sorriso di circostanza.
Mark scese le scale a corsa, chiamando Susan e invitandola a sbrigarsi. Pochi secondi dopo una ragazzina dai capelli corvini scese le scale. Era identica al padre in maniera impressionante.
«Bene, noi andiamo» Emily si avvicinò a Zayn e dette un buffetto sulla guancia paffuta di Emma. «Ci vediamo tra qualche giorno tesoro mio» alzò gli occhi per guardare quelli scuri dell’uomo e per un attimo vi si perse. Erano sempre stati il suo punto debole. Si riprese quasi subito, con una scrollata di spalle. «Fatti sentire, mi raccomando». Lui annuì con un sorriso dolce dipinto sulle labbra carnose.
«Divertitevi» le sussurrò e questo parve allentare la tensione che provava la donna. «Fate tante foto di Dublino»
«Io vado a vedere le location per il matrimonio più che altro» brontolò lei. «Sono loro che vanno a fare i giretti per la città. Beh, ci vediamo, statemi bene» dette un paio di baci sulle guance scavate di Sam e un paio su quelle di Zayn che sentì il cuore sprofondare.
Quel contatto l’aveva distrutto come niente prima.

*

«Zayn, cazzo, ma quante volte si sveglia quel mostriciattolo? Alzati, su» Sam gli dette una pacca sulla spalla e lui aprì appena gli occhi.
«Tua figlia sta piangendo di nuovo» gli fece notare la ragazza rigirandosi dall’altra parte. «Spero che tu non mi metta mai incinta se la vita che bisogna fare poi è questa». L’uomo si alzò malvolentieri, avvicinandosi alla culla di legno dove Emma si stava divincolando e strillando. La prese in braccio e scese al piano inferiore, cercando di disturbare il meno possibile la sua compagna.
Mise il latte sul fuoco, mentre cercava di calmarla. Si chetò solamente quando ebbe il biberon in bocca. E solo allora lui poté tirare un sospiro di sollievo. Iniziò a comprendere ciò che gli aveva detto Emily quella sera da Starbucks. E iniziò a sentirsi veramente e profondamente in colpa per tutto quello che aveva fatto.
«Ho fatto un grosso casino con tua mamma, Emma» disse improvvisamente, mentre la piccola beveva beata il latte. «Vorrei poter rimediare, vorrei poter ritornare indietro, farla innamorare nuovamente di me. Ma lei non è più mia ormai. Lei sta con Mark, e lo ama così tanto…».
Quando la bimba ebbe finito di bere, le prese il biberon e si preparò a tornare su. Prima di farlo però, la fissò a lungo. Sebbene avesse i suoi colori, i lineamenti erano quelli di Emily. Soprattutto il dolce nasino all’insù e i grandi occhi. Aveva sperato che le venissero del colore della madre, ma purtroppo non era successo. Emma lo guardava sorridendo, infilandosi le dita paffute nella bocca.
«Da-da» biascicò ad un certo punto, il tutto accompagnato da una breve risata. «Da-da». Zayn sentì il cuore perdere un battito. Glielo aveva ripetuto tante volte in quelle ore passate insieme e lei aveva finalmente deciso di dirlo.
«Oh Emma!» la strinse in un abbraccio, inspirando il suo profumo. «L’hai detto, l’hai detto»
«Da-da» ripeté lei contenta, battendo le mani. «Da-da.» La strinse ancor di più e fere una piroetta contento mentre la piccola continuava a ripetere all’infinito quelle due semplici sillabe e a battere le mani.
«Che succede?» un’insonnolita Sam apparve sulla soglia di cucina. Aveva i capelli scompigliati e gli occhi profondamente impastati da un sonno tormentato. Zayn le si avvicinò con un sorriso stampato sul suo viso abbronzato.
«Senti» le indicò con un cenno della testa la bambina che sorrise a sua volta. «Da-da» scandì contenta e allora anche il volto della ragazza s’illuminò.
«Wow, che bello. Ora puoi cominciare di nuovo a dire anche le altre parole oltre a quella?» girò sui tacchi e tornò in camera, mentre lui rimase ancora un po’ lì, a dondolare dolcemente la figlia.

*

Giugno
Emily aprì la porta e si trovò Zayn perfettamente in orario. «Ciao, senti, piccolo cambio di programma. O meglio, tu puoi scegliere cosa fare, non sei obbligato a fare niente» sorrise dolcemente e lui si perse, non riuscì più a capire niente.
«Mi sono dimenticata di andarmi a provare l’abito l’altra settimana e ora la boutique mi sta chiamando insistentemente tutti i giorni e la mia auto è dal meccanico. Potrei prendere la metro, ma arriverei troppo tardi ormai. Non è che mi accompagneresti?» incrociò le mani davanti il petto e tirò fuori il labbro inferiore, cercando di imitare lo sguardo di un cagnolino bastonato. Zayn sorrise divertito dalla situazione, ma in realtà stava morendo dentro. Se avesse accettato, avrebbe dovuto accompagnare la sua ex – l’amore della sua vita – a comprare l’abito per il matrimonio con un altro. Ma non aveva il coraggio di dirle di no, avrebbe fatto di tutto per aiutarla, soprattutto dopo quello che aveva fatto.
«Va bene, andiamo» Emily esultò facendo un saltello e schioccandogli un bacio sulla guancia. Quel contatto fece sussultare Zayn. Gli faceva strano sentire le sue labbra morbide di nuovo a contatto con la sua pelle.

*

«Oh, cielo tesoro! Come sei smemorina!» una donna sulla cinquantina venne incontro a loro e abbracciò Emily in una stretta materna. Le prese poi il volto tra le mani e le schioccò due baci sugli zigomi.
«Vieni, ti faccio vedere quelli che ha scelto tua madre, se non ti piacciono ne troviamo altri, non c’è problema, tu dimmi solo… Oh, ma chi è questo bel ragazzo?» disse quando si accorse di Zayn che era rimasto in disparte, con Emma stretta in braccio «Non sarai mica il fidanzato? Noi siamo superstiziose, se sei il fidanzato aspetti in macchina» lo guardò seria e parve sollevarsi quando lui scosse la testa.
«No signora sono solo un amico» rispose piano. Quelle parole gli erano costate una fatica immane. Sentiva il cuore esplodergli in petto e un nodo alla gola che non si sarebbe sciolto neanche nei giorni successivi. Cercò di mantenere un sorriso gioviale e cortese a mascherare il suo reale stato d’animo.  
«Bene» la donna spostò poi lo sguardo sulla bambina che giocherellava in braccio al padre. «Oh Emily, questo pezzetto è veramente adorabile. È la tua seconda, vero? Oddio, ma somiglia tutta a lui» mosse l’indice dalla piccola all’uomo con sguardo scioccato. C’era qualcosa in tutta quella faccenda che non gli tornava. Emily sbarrò gli occhi e per la prima volta pensò che forse portare Zayn a quell’appuntamento non fosse stata proprio la migliore delle sue idee. Lui invece prese le redini del discorso con molta scioltezza:
«Oh, in realtà lei è mia nipote. Io sono il fratello dello sposo, piacere» sfoderò un sorriso smagliante, porgendo la mano alla donna che la strinse leggermente scombussolata dalla situazione.
«Ehm, dunque, Emily, ti faccio vedere quel paio che Caroline ha messo da parte» scortò il chirurgo verso i camerini, mentre Zayn rimase lì seduto su uno scomodo divanetto azzurro, posizionando l’ovetto di Emma accanto a se stesso. Allungò anche la mano verso il bicchiere di champagne e lo bevve tutto d’un sorso. Aveva bisogno di essere almeno un pochino brillo per poter assistere alla prova dell’abito da sposa della sua ex fidanzata.
Emily entrò poco dopo, con un meraviglioso abito addosso. Era con lo scollo all’americana e senza strascico, con delle strisce luminose attaccate alla stoffa che sottolineavano lo stile anni ’20 del vestito. Zayn ne rimase letteralmente folgorato. Il colore dell’abito splendeva addosso a lei ed evidenziava il rosso dei suoi capelli.
«Meraviglioso»
«Orribile» ribatté immediatamente lei. «Non mi ci sposo con questo. Può andar bene per un red carpet, per un gala, non per un matrimonio nel centro storico di Dublino, troppo eccentrico» disse prima di ritornarsene in camerino.
Il secondo non andava bene. E nemmeno i successivi sei o sette.
Alla fine uscì con un uno che fece andare Zayn in apnea per qualche minuto. Aveva le spalle coperte dal pizzo ed era semplice e lineare. Scendeva sul suo corpo in maniera perfetta, fasciandole le deboli curve. Aveva la schiena scoperta solamente nella parte centrale, quindi in maniera molto delicata.
«Fantastico» dissero all’unisono, guardandosi negli occhi e ridendo. Si sentirono entrambi così bene: era passato fin troppo tempo da quando non ridevano insieme. Emily sentì uno strano calore allo stomaco e lo associò al fatto che l’amore per lui stesse ritornando, più forte e prepotente di prima.
Anche lui lo sentì, ma cercò di non farci caso. Non poteva assolutamente permetterselo. Rischiava di perdere di rifare tutto da capo e ferirla di nuovo. E poi avrebbe ferito anche Sam e le voleva troppo bene per lasciarla.
«Allora è deciso per questo?» chiese con tono freddo ricomponendosi. Emily sentì il sangue gelarsi nelle vene. Non poteva negare di essersi illusa per qualche brevissimo secondo. Distolse lo sguardo da lui e rispose con un mormorato sì, prima di scomparire in camerino.
Il viaggio di ritorno a casa fu estremamente silenzioso. Nessuno osava fiatare. Si sentivano solo i versi divertiti di Emma che faceva sbattere il suo pupazzo a forma di giraffa sul finestrino.
Zayn parcheggiò davanti alla casa a King’s Road, la casa che era stata anche sua una volta. Aspettò che Emily scendesse, ma non si mosse. Continuava a torturarsi le mani, a cercare di strappare una pellicina che era fastidiosamente spuntata accanto all’unghia del pollice.
«Tutto okay Em?» lei alzò lo sguardo e scrutò i suoi occhi a lungo. Erano scuri, profondi, misteriosi, intensi, così belli. Studiò per bene ogni singolo angolo del suo volto e si chiese più volte se quello che stava per fare sarebbe stata la scelta giusta. Si fiondò sulle sue labbra spinta da una forza che non riconosceva come sua. Si baciarono a lungo, assaporando il sapore delle loro bocche. Si erano mancati così tanto. La mano di Zayn passò tra i capelli ramati di lei e scese lungo la schiena, provocandole un fremito a tutto il corpo. Quando si staccarono sentivano le labbra gonfie e le teste che pulsavano tremendamente.
«Andiamo a fare un giro?» propose lui e lei acconsentì.
Appena l’auto nera di Zayn uscì dalla città, una profonda sensazione di sconforto assalì Emily. Lo stava facendo di nuovo. Stava nuovamente scappando con lui, ma quella volta era diverso. Quella volta c’era qualcuno a casa che l’avrebbe aspettata, che sarebbe stato in ansia per lei. Qualcuno che l’amava, che progettava un futuro con lei e che lei amava.
Guardò il profilo affilato di Zayn e non vi vide tutte le cose che vedeva in Mark: non vedeva stabilità, non vedeva una famiglia. Vedeva un paio di mesi di felicità assoluta e poi sette mesi di infelicità. Lui era così, lui non era per i legami a lungo termine.
«Ferma la macchina, per favore» gli chiese continuando a guardare la strada. Lui non capì e per un po’ continuò a guidare. «Ti ho detto di fermare la macchina» questa volta gli uscì un grido dalle labbra carnose. Zayn accostò immediatamente e la guardò confuso.
«Sto facendo un errore, voglio tornare indietro» spiegò lentamente, fissandolo nelle iridi.
«Ti prometto che non sarà come l’altra volta. Sono cambiato e tu lo sai» disse lui, pregandola. «Dammi l’opportunità di dimostrartelo.»
Lo fissò a lungo, studiandolo come aveva fatto prima, ma questa volta pesando i pro e i contro di quella che sarebbe stata la vita insieme a lui.
E alla fine decise cosa fare.
 
 
 
 
 
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Eheh finale messo giusto giusto per farvi stare un po' sulle spine... chi avrà scelto Emily? Lo scoprirete nell'ultimo capitolo che è anche l'epilogo di questa storia.
Non ho da aggiungere altro, alla prossima,
Restart
 

 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 - Epilogo ***


Un anno dopo, 8 agosto.
 
La lieve luce dell’alba entra dalle fessure delle persiane verdi della mia casa di campagna e illumina debolmente tutta la stanza. Mi rigiro un paio di volte tra le lenzuola e alla fine decido che non riesco più a dormire. Sono troppo elettrizzata per questo giorno.
Cioè, oddio, non proprio. Oggi compio quarant’anni e non c’è molto per cui essere contenti. Sto invecchiando, il tempo scorre ad una velocità impressionante da quando ho compiuto venticinque anni. Gli ultimi quindici anni della mia vita sono passati in un batter di ciglia.
Quindici anni fa la mia vita era completamente diversa. Avevo conosciuto da poco Jesse, ci stavamo frequentando da qualche mese, e stavo lavorando al mio primo caso di chirurgia, quello di Zayn. Appena lo vidi rimasi incantata da quei occhi così profondi e scuri. Mi aveva implorato di salvarlo, mi aveva stretto il braccio con la sua mano incrostata dal sangue e mi aveva obbligato a guardarlo. «Aiutami» aveva implorato.
Io l’ho aiutato. Quella prima volta e quando ho fatto miracoli su di lui. Quando mi hanno osannato, mi hanno messo in vetrina e ho portato ancora più prestigio all’ospedale. Da quel momento in poi varie cose si sono susseguite a raffica, Zayn, Mark, Ian, Emma. Ho vissuto bei momenti, ho vissuto momenti terrificanti.
Ogni tanto la notte mi sveglio sudata perché rivedo il corpo quasi senza vita di Zayn stretto tra le mie braccia. Quel mese in cui è stato sul filo del rasoio, sempre ad un passo dalla morte, quello è stato il periodo peggiore di tutti.
Prendo un paio di bustine di thè e le infilo nella teiera gialla che ho comprato il mese scorso. Un dolce profumo di agrumi si diffonde in tutta la grande cucina del piano terra. Mi porto la tazza fuori in veranda e rimango un po’ lì ad ammirare il paesaggio davanti alla mia vista. Il sole è già abbastanza alto e la luce illumina tutto con la sua calda luce. È ancora abbastanza fresco per questo voglio godermi questo prima che la calura arrivi.
Un pianto infantile infrange la quiete. La pace è finita, la vita di tutti i giorni è ricominciata. Salgo velocemente le scale per evitare che il pianto possa disturbare mio marito.
«Shh, Jaime, ssh sennò svegli papà» prendo in braccio mi figlio e cerco di calmarlo mentre riscendo le scale. È la prima volta che dorme così tanto, quindi sono abbastanza soddisfatta. Mentre lui mangia io mi rimetto i veranda a leggere l’ultimo libro che ho comprato.
«Ei mi hai battuto sul tempo» mio marito arriva ciondolando in veranda e si mette a sedere accanto a me, osservando nostro figlio mangiare serenamente. Accarezza la guancia piena col pollice e sorride.
«Ti somiglia veramente tanto» sussurra guardandomi sorridente. Non è vero, lo sa anche lui. L’unica cosa che Jaime ha preso da me sono gli occhi, verdi e grandi. Poi i capelli sono corvini e folti come i suoi, la pelle è del suo stesso colore. Se mi assomigliasse avrebbe la pelle particolarmente pallida, quasi trasparente. E poi le labbra sono le stesse sue. Carnose, rosee, sempre arricciate in un dolce sorriso.
Mi bacia sulla guancia e appoggia la sua testa sulla mia spalla, continuando a guardare il nostro bambino. In fondo al mio cuore ho sempre desiderato un figlio maschio e quando l’ho saputo ho fatto i salti mortali. In realtà, come mi ripeto sempre io un figlio maschio l’avevo. Ma questo è ad ogni effetto mio, nostro. Lo vedo alzare la testa e guardarmi con i suoi profondi occhi blu.
Sì, esatto. Alla fine la mia scelta è ricaduta su Mark. La tentazione è stata forte è vero, ma sto capendo che è stata la scelta giusta. Sono finalmente felice e in pace con me stessa. Sono tornata a casa quel pomeriggio di giugno. Abbiamo fatto inversione e siamo tornati a King’s Road. Zayn mi ha baciato ancora prima che io scendessi di macchina. Sono volata in un altro posto per qualche minuto. Durante quel brevissimo tempo ho sognato di tornare indietro di dieci anni, di tornare a quella notte, alla prima notte che abbiamo passato insieme in quel lussuoso hotel nel centro di Londra. Vorrei aver avuto il coraggio di chiudere la relazione con Jesse e poter cominciare una nuova vita al fianco di Zayn, ma le parole mi sono rimaste in bocca. Forse se avessi avuto quella briciola di coraggio in più, tutto sarebbe stato diverso. Ma non è detto che lo sarebbe stato in meglio. Non avrei mai avuto Chyler, forse nemmeno Emma e in questo momento vivrei nell’ansia, con la paura che Zayn se la stia spassando con un'altra più giovane, più magra, più tonica.
Quando ha smesso di baciarmi ho capito che quello era il massimo che lui poteva darmi. Dieci minuti di passione concentrati e una vita intera di delusioni. Ci siamo rivisti molte volte dopo quel pomeriggio, quando lui veniva a prendere Emma, ma ogni volta che lo vedevo non provavo più niente. Era come se tutto il grande amore per lui fosse rimasto in quella macchina. Lui è andato avanti e anche io l’ho fatto. A settembre dell’anno scorso ho sposato Mark e tre mesi fa sono è nato Jaime, il nostro meraviglioso bimbo.
E io sto veramente bene.
«Buon compleanno amore» mi lascia un delicato bacio sulle labbra e io assaporo il suo sapore così buono, così familiare.
«Grazie»
«Andiamo a svegliare gli altri, facciamo una colazione tutti insieme» si avvia verso le camere dei bimbi, prendendo Jaime per rimetterlo nella culla.
 
*
Quella sera sono tutti lì da me a cena. Tutta la mia famiglia, i miei amici. È tornato anche mio padre Michael da New York, finalmente in pensione e in pace.
Julia non è potuta venire per colpa di impegni lavorativi e questo mi è dispiaciuto e non poco, ma mi ha promesso che verrà il prossimo mese per conoscere il suo nuovo nipote.
Mia madre Caroline invece si è stabilita ufficialmente in Inghilterra e ora dirige il reparto di Chirurgia Prenatale. Lei e sua moglie sono più legate che mai. Ultimamente mi sono riavvicinata alla mia sorellastra Felicité e siamo abbastanza unite. Mi ha chiesto di fare da madrina al battesimo del suo quarto figlio, Yves.
Anche James e Alicia vivono qui, ma questa non è proprio una novità. La novità sono i miei due meravigliosi nipoti, Olivia e Dan, due gemellini adorabili.
Jesse e Anne sono la coppia migliore che conosco. Sono fatti per stare insieme. Hanno un’affinità che non ho mai visto, forse solo tra mio padre e Julia. Eddie è diventato il migliore amico di Emma e sono inseparabili.
Niall alla fine ha trovato la felicità in una psichiatra, Vivian, con cui si vedeva quando stavamo sempre insieme. Programmano di sposarsi prima di dicembre e io trovo siano molto carini. Nicole, la loro figlia è stupenda. È identica a Niall sia nel carattere che nell’aspetto e lui va matto per lei. Adora spupazzarla di continuo.
Anche Harry è riuscito ad andare avanti dopo Ellen. A quanto pare con Roxanne, la cugina di Jesse, è stato colpo di fulmine. E Tommy non può che essere contento nel vedere suo padre finalmente tranquillo.
E poi c’è quello che negli ultimi anni è diventato il mio migliore amico: Ian. Ne ha passate parecchie prima di trovare quella giusta per lui. Un pomeriggio mi chiamò e mi chiese se poteva venire casa mia per parlarmi. Appena aprii la porta lo vidi sorridente ed esordì con «mi sono innamorato». Lo abbracciai contenta e lui mi raccontò una bellissima storia di come si sia infatuato di lei nel momento in cui aveva messo piede nel suo ristorante. Aveva aspettato tutta la sera una persona che non era arrivata. Quando a chiusura la vide sull’orlo delle lacrime si avvicinò a lei con una fetta della sua torta preferita e glielo porse, scoprendo così che era anche il dolce preferito della donna. Passarono tutta la notte a parlare dentro il ristorante chiuso, raccontandosi delle loro vite strane e un po’ disastrate. Da quel giorno si sono visti di continuo, Ian mi raccontava che la sua storia con lei era come quelle degli anni cinquanta. La frequentazione infatti si è dilungata per parecchio tempo. Finché lui non si è deciso a chiederle di andare a stare da lui e ora sono sei mesi che vivono insieme. E sono perfetti. Ah, lo volete sapere chi è lei? Sembra il copione di una soap opera e quando l’ho scoperto io ho pensato che il detto “com’è piccolo il mondo” non potesse essere più veritiero. È Sylvia, la ex moglie di Mark. Quando lui l’ha scoperto è rimasto un po’ scombussolato e gli ci sono voluti dei giorni, settimane, per riprendersi. Ma poi alla fine è riuscito ad accettare la storia, soprattutto perché Ian è per lui come un fratello.
Lo so cosa vi state chiedendo. E Zayn? Zayn è andato avanti nella sua vita. Ha continuato a cantare con maggior successo di prima dell’operazione e io sono molto orgogliosa di lui. Mi sono impegnata parecchio per rimetterlo in sesto e sono contenta che sfrutti le sue corde vocali nuove di zecca. Siamo sempre in contatto e lui si è rivelato un buon amico e un buon padre, nonostante tutto, per Emma. Ma ormai quello che c’era tra noi fa solo parte del passato.
Okay, okay, non posso negare che ogni volta che lo vedo ho un piccolo sussulto e un amore come quello che c’è stato tra noi non si può superare dopo solamente un anno. Probabilmente era lui l’amore della mia vita. O forse no. Forse è Mark. Ma credo che sarà solo il tempo a dircelo.
Sam è meno antipatica di quanto credessi. Emma l’adora. Adora fare lunghe passeggiate con lei a St. James’s, guardare i cartoni animati, andare con lei a mangiare i cupcakes da Pâtisserie Valerie. È per lei come una sorella maggiore. E passati i primi mesi in cui odiava la bambina perché si svegliava la notte, anche lei ha iniziato a volerle un mondo di bene. Qualche mese fa Zayn mi ha confidato che una sera Sam ha detto che le piacerebbe avere un figlio. Lui non ha replicato all’inizio, leggermente impaurito, come al suo solito aggiungerei io. Si è confidato con me un pomeriggio intero a proposito di questo e in lui ho visto per la prima volta un sentimento che non aveva provato né per me né per Ellen. Sam l’ha cambiato. Gli ha dato lo spazio di cui aveva bisogno. Quella sera è tornato da lei e le ha detto che sarebbe stato felicissimo di avere un figlio da lei. Purtroppo dopo qualche mese di tentativi, Sam ha scoperto di non poterne avere e questo l’ha buttata giù tantissimo. Zayn è stato bravo a starle accanto, a supportarla. È proprio in quelle settimane che il loro amore si è consolidato ed è arrivato ad un livello superiore, un livello sconosciuto ad entrambi.
Alla fine hanno deciso di adottarne uno e sono entrambi in fibrillazione. E io sono contenta per loro.
E quindi questa è la mia vita, completamente diversa da quella che era cinque anni fa e sicuramente migliore. A trentacinque anni non sapevo cosa volevo, se mai sarei stata felice. Invece adesso, nel giorno del mio quarantesimo compleanno, ho tutto quello che ho sempre desiderato e mai creduto di desiderare.


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Alla fine anche l'epilogo è arrivato ed Emily ha fatto la sua scelta definitiva. Purtroppo non sempre le storie vanno come si vuole e tra Zayn e Emily è stato così. Si sono amati tantissimo, ma insieme non funzionavano. 
Sono dei giorni che sto rimandando la pubblicazione di quest'ultimo capitolo, ma alla fine mi sono decisa e l'ho fatto, per non farvi aspettare troppo.
Ringrazio chi ha seguito questa storia dall'inizio alla fine, chi l'ha amata, chi mi ha supportato. Grazie, grazie, grazie!
Al momento non ho intenzione di fare nessun sequel, ma non escludo un'idea di uno spin-off nel futuro. Nel frattempo, se volete, potete leggere le altre storie sul mio profilo (prometto che a breve pubblicherò il prossimo capitolo sia di Revenir che di Secretly. Mentre How I met you,  Non Dovevi e City Of Angels, ossia le fanfiction sugli One Direction, verranno quasi sicuramente cancellate perché ho voglia di concentrarmi su storie con personaggi totalmente miei. L'unica che verrà pubblicata di nuovo, probabilmente, sarà City Of Angels, ma con trama e alcuni personaggi nuovi. Ci sto lavorando).
Un forte abbraccio a tutti quanti,
Claudia

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