Innocentia Sanguinis

di LVBNR5
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Opera I: Resurrezione e Conoscenza. ***
Capitolo 2: *** Opera II: Sonno Inquieto e Mente Fragile ***
Capitolo 3: *** Opera III: Sete e Comprensione ***
Capitolo 4: *** Opera IV: Annientamento. ***
Capitolo 5: *** Opera V: Lacerazione ***
Capitolo 6: *** Opera Ultima: Innocentia Sanguinis. ***



Capitolo 1
*** Opera I: Resurrezione e Conoscenza. ***


A.N: Salve a tutti, innanzitutto. Dato che non sono molto bravo con gli AN, e non ho nemmeno molto da dire, in verità, sarò conciso: come ho già spiegato nella descrizione, questo è il seguito diretto della mia altra storia, Twisted. Pertanto vi consiglio vivamente di andare a leggere quella per prima, altrimenti troverete questa di non poca difficile comprensione. Detto ciò, vi auguro buona lettura e vi ringrazio nuovamente per aver cliccato su questo link. Diamo inizio alle danze ora, vi va?

 

Opera I: Resurrezione e Conoscenza.


*cough cough*
Stephanie riusciva a malapena a respirare. Ogni maledetto lambo di carne le doleva da impazzire. Cercò di alzarsi, non riuscendosi. Provò a sdraiarsi supina, riuscendoci a malapena. Iniziò a ansimare violentemente.
“Dannazione.”
Si penti di averlo detto. Iniziò a tossire violentemente, sputando sangue.
“Non adesso… non adesso che sono uscita…” sussurrò Stephanie, stringendo i denti.
Il dolore… era veramente troppo forte…
Stephanie chiuse gli occhi un’istante, distrutta. Era arrivata fino a quel punto, non poteva mollare ora! Ma non ce la faceva…
Stephanie sentiva la sua coscienza allontanarsi sempre più. Senza che lei potesse farci nulla, i suoi sensi lentamente si spensero, lasciando il sonno ad accoglierla.

 
[(----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------)]

 
Raven stava sorridendo. Come mai prima. Era finalmente felice. Aveva lui, era tutto quello che poteva desiderare. Aveva distrutto la scocciatrice; ridacchiò un poco al pensiero di quale tortura stessero ora riservando i Guardiani a Neo-Slade.
Accanto a lei, Robin era silente. Era così da quando Stephanie era scomparsa. Non parlava; faceva quello che gli veniva detto di fare e basta. Nulla più, e nulla meno. Ma a lei bastava.
Dopo gli eventi al molo, secondo gli archivi, erano scomparsi. In realtà, Raven se n’era semplicemente andata. Con Robin al seguito. Adesso erano entrambi in una vecchia magione abbandonata, molto in linea coi gusti di Raven.  
E i Titans?
Andati. Scomparsi dalla loro vita. Chissà se in questo momento li stavano ancora cercando… chissà.
“Magari si saranno arresi” pensò Raven. Stavano per gettare la spugna anche con Robin, cosa avrebbe potuto spingerli ad alzare il culo e cercarli solo perché un altro membro se n’era andato? Nulla, ecco cosa.
Ma tanto meglio così. Lei era felice ora, e quel branco d’inetti non avrebbe più rovinato la sua vita. Adesso era tutto perfetto.
Nel frattempo Robin continuava a fissare l’ignoto, immerso nel silenzio che da sempre lo contraddistingueva. Sguardo serio ed espressione truce, come sempre.
Raven gli si avvicinò, abbracciandolo. Lui non si mosse di un muscolo.
“Ehi, Robin… come stai?”
Silenzio.
“Giusto… è tutto perfetto, vero? Adesso non abbiamo più nulla che ci ostacoli. Possiamo finalmente vivere felici assieme, no?”
Ancora silenzio.
“Si, lo so che ho ragione,” fece lei “ma dimmi una cosa… secondo te ci staranno cercando in questo momento?”
Silenzio. Stavolta Robin scosse leggermente la testa.
“Giusto… se non si sono mossi per te, non lo faranno di certo per noi, no? Ricorda, Robin, io sono l’unica che fin ora abbia veramente tenuto a te… l’unica e sola... perciò per te devo esistere solo io. Solo io. Capito?” fece lei, sorridendo.
Robin non rispose. Annuì leggermente.
Raven sorrise. Un sorriso sempre più largo, fino a che non divenne una vera e propria risata, che riecheggiò in tutta la magione.
Eh sì.
Adesso… era felice.


 
[(----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------)]

 
Stephanie aprì lentamente gli occhi. Un piacevole tepore l’accolse, in contrasto col freddo in cui si era addormentata. Si alzò di scatto, spaventata, e subito si pentì di averlo fatto. Una fitta di dolore la fece ritornare alla realtà, facendola cadere subito sul letto.
“Dove mi trovo?” pensò subito, guardandosi attorno. Le pareti erano completamente bianche, e nell’intera stanza erano presenti solo un letto, un comodino ed una piccola finestra sbarrata. Più che una stanza, sembrava una prigione.
Stephanie provò a massaggiarsi la testa. Non ci arrivò; la sua mano era fissata alla sbarra del letto con delle manette. Belle robuste, c’era d’aggiungere.
“Ok, questa è una prigione.” Si disse Stephanie, sconsolata. Evadere ora come ora era impossibile per lei.
Il filo dei suoi pensieri fu interrotto dal rumore dei passi in lontananza. Stephanie si fece attenta.
La porta si aprì, rivelando la figura imponente di Cyborg.
“Ben svegliata.”
“Chi non muore si rivede.” Fece lei, sprezzante. Una fitta al fianco le mozzò il fiato in gola alla fine della frase.
“Non credo che questo sia il momento giusto per fare i presuntuosi, sai?” disse Cyborg, con leggero sorrisetto da vincitore stampato in faccia. Stephanie lo ignorò semplicemente.
“Come mi avete *cough cough* trovato?”
“E’ stato facile. Creare un portale da Athrias fin qui, attraversarlo e sperare di passare inosservata… ci hai preso per degli idioti?”
“Già” fece Beast Boy, appena entrato. “Noi non siamo degli idioti!”
“Solo tu lo sei” fece Cyborg, di rimando.
“Oh, sta zitto, Cyborg!”
“Smettetela, tutti e due!” intervenne Starfire.
Stephanie entrò nella discussione: “Oh, non preoccupatevi, per me siete tutti, degli idioti.”
“… lasciamo perdere” fece Cyborg.
“Piuttosto, che ti è successo?” chiese costernata Starfire. “Sei ridotta malissimo…”
Stephanie sentì dei brividi lungo la schiena. Non voleva nemmeno pensare a quello che le avevano fatto. Le avevano tolto tutto. La dignità, la gioia, la voglia di vivere… tutto. Ma quel che era peggio… è che ogni volta veniva curata. Ogni volta soffriva, moriva e resuscitava. E così, all’infinito, per mesi. E mesi.
"Non... non sono obbligata a dirlo. Le domande le faccio io. Avete trovato Raven? Robin?" Alla pronuncia di quel ultimo nome le facce dei TT si scurirono immediatamente, in contrasto col bagliore negli occhi di Neo.
"Beh? Dove sono?"
"Non lo sappiamo" intervenne calmo Cyborg. "Abbiamo smesso di cercarli tempo fa. E poi, diccelo tu dov’è Raven! Sei tu l’ultima che l’ha vista!"
All'udire quelle parole, Neo scattò in avanti verso Cyborg, e se lui era ancora in piedi lo doveva solo al dolore ed alla catena che stava tenendo Neo ferma.
"Voi... inetti! Branco di stupidi ragazzini montati! Chi pensate mi ci abbia mandato ad Azriath, eh? Secondo voi ero lì in gita di piacere?  Ah, perché non vi ho ucciso subito quando potevo!"
Il pugno arrivò veloce, a sorpresa, e fu amplificato dalle ferite di un passato doloroso. Neo si ammutolì immediatamente.
"Cosa credi, che non ci abbiamo provato? Non so cosa tu creda, ma sei stata via per ben tre anni! Non hanno voluto farsi trovare, e noi ne rispettiamo le volontà. È l'unica cosa che possiamo fare..." disse Beast Boy, la cui serietà era sicuramente innaturale.
"Tsk. Provarci... Avete fatto esattamente il suo gioco! Branco d'incapaci! Quanto tempo pensate passerà prima che l'oscurità di Raven inizi ad espandersi attorno a lei? Quanto prima che la sua ossessione l'amplifichi e la renda sanguinaria?! Folli! Gli avete dato esattamente quello di cui aveva bisogno: tempo!"
La stanza ricadde nel silenzio.
"Ma... noi-"
"Silenzio, Starfire." La interruppe Cyborg. "Lascia fare a me."
"Bene. Giudicando da come parli, tutto questo sarebbe dovuto essere un giochetto per noi. Dimmi: e tu? Come pensi di poterli trovare? D'impedire tutto questo? Huh? Non sono sicuro di come tu sia finita ad Azriath, ma di sicuro non era una vacanza. Non sei nemmeno una sfida per loro due! Noi tutti non lo siamo!" Cyborg disse, a basso tono.
"Voi forse. Io lo sono. Ringraziate che sono ancora debole, altrimenti vi ritrovereste col collo spezzato a quest'ora. E non basta una mera manetta a fermarmi."
"Vorrei ricordarti che ci sei finita tu a combattere coi Guardiani per mano di Raven. Se ti ha battuto, cosa le può impedire di rifarlo?" Disse Starfire, col suo solito tono allegro, totalmente fuori luogo.
"Non devo certo dirlo a voi. Voi invertebrati senza cervello... sparite dalla mia vista, ora." Disse Neo, spezzando con un gioco di polso la manetta.
"Devo riposare."
"Stupida montata." Sussurrò Cyborg, uscendo assieme agli altri e chiudendo la porta della cella.
Chiudendo una maledizione che non sarebbe tardata ad arrivare.

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Capitolo 2
*** Opera II: Sonno Inquieto e Mente Fragile ***


A.N: Bene, eccoci qua, secondo capitolo. Un pò prima delle 24 ore pattutite, ma le notti tempestose sono ottima fonte d’ispirazione (che cliché…). Vi ricordo inoltre che il marchio dei Teen Titans è un marchio registrato (sfortunatamente) non a nome mio, ed io posseggo solo la mia immaginazione e gli eventi che vi sto narrando. Buona lettura.


Opera II: Sonno Inquieto e Mente Fragile


Neo non poteva dormire. Il suo sonno era inquieto, devastato dagli incubi. Nel buio c'erano i sorrisi, le zanne, il suo stesso sangue... il dolore era nelle sue ossa, scorreva dentro lei, la paura le annebbiava la mente.

Si guardò la mano. Quel simbolo... Quell'orologio.

Le Lancette della Dannazione.

Quello era il prezzo da pagare per il potere. Il suo sangue non era bastato...

-

-

-

Dolore. Sofferenza. Disperazione. Voci. Occhi. Lame. Zanne. Sangue. Tanto, troppo sangue.

Urla. Le sue, o di chi? Non si sentiva più la gola. Il suo corpo...?

Ah.


Eccone i pezzi, laggiù.


Il dolore uccide. E resuscita. E continua. Ma se c'è una cosa che poteva battere il dolore, era la follia.

E la sua era stata rinchiusa troppo a lungo.


Il dolore. Non importava più ormai. Che problema c'era? Sarebbe guarita poco dopo! Era immortale! Immortale!

La sua risata echeggiò nella sua mente. Nel buio oscuro della sua mente, si rifugiavano gli aborti dei suoi pensieri.

Immortale! Onnipotente!

"Desideri il potere?"

Si, si lo voglio!

"Desideri il dolore?"

Si, dammelo! Il dolore della mia immortalità!

"Desideri la follia?"

Risate. Risate e silenzio.

"Molto bene. Io ti garantirò tutto questo. Ma tu, dovrai pagare col sangue il peso dei nostri peccati! E soprattutto... Portaci da lui."

Puoi contarci. Ma tu... Chi sei?


Un sorriso riempi la sua mente, assieme ad un volto mostruoso, sorridente, le cui zanne penetravano l'oscurità sanguinante dei suoi pensieri.

"Io... Sono te."

-

-

-

Slade si risvegliò ancora una volta, sudata ed ansimante. Ma ad accoglierla non c'era il suo letto, quello della sua cella. Ad accoglierà c'era il freddo vento della costa. Si rialzò, e senti qualcosa di viscoso coprirle le mani.

Sangue.

Ne era ricoperta da cima a fondo, come se fosse stata immersa all'interno di una vasca.

Parole, urla si formarono nella sua mente.

"Questo è il mio potere, Maledetta."

Che cosa...?

"Non avrai già dimenticato chi ti ha fatto uscire di lì."

"Ma che cosa...?"

"Questo è solo una parte del mio potere. Le Lancette della Dannazione ti diranno quanto ti rimane prima che la mia sete si manifesti di nuovo."

"Ferma tutto! Che cosa succede qui? Che cosa sei tu? Che cosa hai fatto?" Neo urlò all'aria attorno a lei.

"Io ti ho salvata. Io sono te, sono il marcio che scorre nelle tue vene, il dolore che hai sofferto, la follia che hai soffocato. Io sono la Disperazione. E tu sei la mia Dannata."

"Io... Sono cosa? Piantala di giocare con la mia mente! Rispondi! Che cosa è successo?"

"Ti ho liberata, e per stavolta non ho chiesto nemmeno un tributo. Ho scannato quei poveri insetti. Ho banchettato sul loro dolore, ed il loro sangue è stato il mio pasto. Questi erano i patti."

"Tu... Io... Cosa?"

"Adesso basta. Voglio sangue, altro sangue. Sbrigati e trovami un tributo entro il tempo stabilito. Allora potremo parlare."

"Aspetta! Io non so nemmeno cosa sia un tributo! Cosa devo fare?!"

"Oh, ma tu lo sai.”

"Ma che cos- aspetta!" urlo invano Neo Slade. La sua voce non rispondeva più.

Immagini. Immagini iniziarono a mostrarsi. Sussurri. Urla. Lame. Dolore.

Doveva farlo. Doveva scendere. Doveva accogliere l'oscurità.

Doveva trovare un tributo. In fretta.

-

-

-

La notte era accogliente, in città. I tetti erano vuoti, bui, accoglienti. Le strade deserte, i vicoli oscuri e pericolosi...

La vecchia città che tanto avrebbe voluto governare assieme a lui. E che farà.

Slade si buttò in strada, buia e senz'anima. Si fermo dinanzi ad una vetrina, con un televisore sintonizzato sulle news.


"Buonasera. Ultime notizie: massacro al Penitenziario di St. Bay. Un prigioniero è evaso dalla struttura di massima sicurezza uccidendo nella fuga ben 57 guardie delle 60 presenti a guardia dell'edificio, apparentemente a mani nude. Sembra che quest'ultime siano state brutalmente squartate e scannate prima di essere violentemente uccise. Si teme per la sicurezza dei cittadini, ma i Teen Titans assicurano la popolazione che " non si fermeranno a nulla pur di fermare l'autore del massacro", la cui identità non è stata ancora rivelata."


Neo improvvisamente ricordò. Il sangue, le urla, le facce terrorizzate delle guardie... Trattenne a malapena un conato di vomito. Era a dir poco terrificante!

Ma allora, perché...

Stava sorridendo?


[(----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------)]



Raven era immersa nel buio. Anche dopo la sua follia, amava meditare. La cosa la rendeva calma, non quanto lo era essere accanto a Robin, ma aiutava. Era una cosa a cui era affezionata, dopotutto.

La calma era assoluta, quanto tutto ad in tratto la pace si spezzò, per fare spazio ad un orrida sete di sangue. Una sete primordiale, un istinto nato dalla più pura follia nascosta nelle profondità della mente umana.

Raven spezzo subito la sua meditazione. Che cos'era quello? Da dove poteva venire un tale demoniaco potere? Da dove, se non da Azarath...

Raven s'alzo di scatto, maledicendosi mentalmente infinite volte. Lo sapeva, lo sentiva che l'avrebbe dovuta distruggere completamente! Ma al tempo era ancora debole, l'oscurità non le aveva ancora donato la sua mente...

Ma non era certo troppo tardi. La ragazza sorrise, l’aveva annientata una volta, poteva rifarlo. Ma stavolta sarebbe partita al massimo, sin da subito. E soprattutto…

Non avrebbe mostrato la pietà dell’ultima volta.

Questa volta l’avrebbe annientata, schiacciata definitivamente come l’insetto che era: mai lasciare ad un Guardiano il compito di una Dea. Ma adesso, non avrebbe commes-

No.

Raven guardò Robin, con un demoniaco ghigno stampato in faccia.

Non avrebbero commesso errori.

Al pensiero di cosa le avrebbero fatto, Raven rise. Robin l’avrebbe annientata, distrutta completamente; sia nel corpo…

…che nell’anima.

Ma per far ciò il suo Robin avrebbe avuto bisogno di un piccolo… incentivo, per così dire. D’altronde era la prima volta che il suo amato si sarebbe gettato in un combattimento per massacrare l’avversario sino alla morte. E lei voleva che andasse tutto liscio.

Anche perché moriva dalla voglia di vederlo uccidere.

Il suo ghigno demoniaco si espanse ancora di più, mentre un globo nero si materializzava sulla sua mano.

“E ora di rendere il nostro rapporto ancora più forte, Robin. E lo faremo col sangue.”


[(----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------)]



Cyborg era incazzato nero. Come diavolo era possibile? Il penitenziario era LA struttura di massima sicurezza, dannazione! Come poteva Slade, a mani nude, da sola, e ferita ridurre a brandelli i corpi di ben 57 guardie armate ed addestrate!

No, no. C’era qualcun altro dietro a tutto questo. Ma chi? O, più verosimilmente, cosa? Un potere simile non era certo un affare da poco conto.

L’androide sospirò nuovamente. Detestava ammetterlo, ma ogni volta che si ripresentava un caso, era costretto a dirlo: aveva bisogno di Robin. Quella mente sveglia e tagliente era il vero cervello dell’intera banda. Cyborg aveva provato a portarsi il peso della sua assenza sulle spalle, ma non c’era semplicemente metro di paragone.

“Dannazione!” imprecò nuovamente, sbattendo il pugno sul tavolo, il cui legno resse a malapena.

“Ehi Cyborg, qualcosa non va…?” Chiese una preoccupata e non troppo lontana Stella.

“No, Stella, tutto ok. Solo un po’ di frustrazione. E’ tutto ok.” Ripeté, più a se stesso che a lei.

“Sei sicuro? Per qualunque cosa, io sono qui.”

“Si… grazie, Stella.”

“Figurati, Cyborg.”

Stella se ne stava andando, quando l'androide tirò fuori un’ultima frase.

“Stella… mi mancano.”

L’espressione della così solitamente solare Starfire si scurì, prima di rispondere con un mesto “Lo so, Cyborg. Mancano anche a me.”

“Già.”


[(----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------)]


Slade si era rintanata in un vicolo buio, lontano da occhi indiscreti. Aveva bisogno di tempo, calma e soprattutto di qualcuno che le spiegasse che cazzo stava succedendo. Non erano quelli i patti che aveva siglato quando era ad Azarath!

“Ancora vacilli. Ti facevo più forte, per essere me.”

“TU! Adesso stai zitto, e rispondi alle mie domande!”

“Ti convincerà a muoverti per placare la mia sete?”

“Questo lo vedremo… prima di tutto, che cosa sei?”

“Ora mi sto veramente stancando di ripeterlo. Io sono te. Sono il male che hai accumulato nella tua mente, l’odio e la sete di vendetta che hai nutrito sino ad ora.”

“Per favore… la vendetta non parla, né tantomeno ordina o stermina 57 uomini a mani nude.” Neo enfatizzò l’ultima parte.

“Credi che ad Azarath le regole che governano la realtà siano immutate? Continui a rinfacciarti la tua fuga. Ma alla fine ti è servito, o sbaglio? Slade, i patti erano questi: io ti presto il mio potere, tu continuerai ad assetarmi. Considera la tua liberazione una specie di saggio delle mie capacità.”

“So già che cosa sai fare. Sei stato tu a liberarmi dai Guardiani dopotutto. Quello che non capisco è altro… a partire dal tributo.”

“Suppongo che il passaggio da Azarath a qui ti abbia fatto perdere la memoria. E va bene, lo ripeterò, ma per l’ultima volta. Io sono la tua sete di sangue, Slade, sono il tuo io omicida. E come tale, esigo sangue per allietarmi. Voglio che, una volta per servigio, tu sacrifichi qualcuno a me- o a te stessa, se ciò appaga il tuo narcisismo. Sgozzalo. Allora saremo pari.”

Slade trattenne appena, per la seconda volta nella stessa nottata, un conato di vomito. Era folle! Semplicemente folle!

“Non è possibile! Te lo puoi scordare!”

“Eppure non è così difficile. Hai ucciso ben più esseri umani quando lavoravi su commissione. Ed ammettilo, ti piaceva farlo. Non dovrebbe costarti poi così tanto.”

“Non sgozzavo persone per appagare il mio ego!”

“Io ci ho provato con le buone. Adesso però, se davvero ti rifiuti di farlo, sono costretta a ricorrere alle maniere forti. Vedi le Lancette? Se per il tempo in cui fanno un giro completo non hai ancora ucciso nessuno, inizierò a divorare la tua mente, fino a che non sarai solo che una bestia che agisce per istinto e sete di sangue. Ed ora sbrigati.”

“Mostro…”

“Non è carino insultare se stessi, né tantomeno che ti ha salvato. Vedila così: un piccolo male val bene di una grande gioia.”

“Di che cosa parli…?”

“Vuoi uccidere Raven. Ed hai bisogno di me. Dimmi, la vita dei miei tributi vale forse più della tua vendetta?”

Slade stette in silenzio.

“E vale forse più di Robin?”

Slade esclamò subito un forte “NO!”.

“Esatto. Lascia che schiacci quella scocciatura, ma in cambio portami la vita di quegli insetti. Non c'è paragone, giusto? Lo fai per una giusta causa...”

Slade iniziò a ridere. Una risata forte, deviata, ma allo stesso tempo terribilmente sincera.

“Si… hai ragione… nulla può mettersi fra me e Robin! Tantomeno la vita di quelle povere, stupide nullità! Affare fatto, me. Avrai il tuo tributo… prima che il sole sorga di nuovo.


[(----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------)]


Bentornati, cittadini. Iniziamo subito con i principali fatti di cronaca: oggi è stato ritrovato il corpo senza vita di una giovane 37enne, non ancora identificata, sgozzato ed orrendamente distrutto nei vicoli della città.  La polizia teme un collegamento fra questo e l’evasione della notta scorse al Penitenziario di St. Bay, poiché ‘il modus operandi sembra lo stesso’, commenta il comandante in capo della polizia. Intanto la popolazione teme per la propria sicurezza, mentre stavolta i Teen Titans non hanno rilasciato dichiarazioni.


“DANNAZIONE!” Urlò Cyborg, scaraventando il telecomando sull’enorme schermo del rifugio. Non solo non erano ancora riusciti a trovare anche solo un minimo indizio su Slade, ma adesso quella… “cosa” si doveva mettere in mezzo, ad uccidere civili innocenti senza motivo!

“Ehi, amico, calmati. Non è colpa nostra.” Disse BB, cercando di apparire rilassato.

“Non è colpa nostra? E di chi allora, eh, geniaccio dei miei stivali?! Ti ricordo che siamo NOI i protettori della città! Se succede qualcosa ad un cittadino, siamo NOI a dover intervenire!” Rispose Cyborg, alterato.

“Calmati, Cyborg. Quello che voleva dire BB è che non potevamo farci niente. Brancoliamo nel buio per ora.”

L'androide tirò su un bel respiro, cercando di calmarsi.

“Forse. Ma ciò non cambia il fatto che qualcosa doveva essere fatto. E noi non ci siamo mossi.”

Il gruppo si ammutolì alle ultime parole di Cyborg. La verità era cha la perdita del loro leader e di un valido membro del gruppo li aveva messi KO. Per quanto tutti e tre detestassero ammetterlo, non erano nulla senza la guida di Robin. Ma i Titans tenevano duro. O vittoria…


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Capitolo 3
*** Opera III: Sete e Comprensione ***


A.N: Nulla da dire, il disclaimer è nel secondo capitolo. Buona lettura.

Opera III: Sete e Comprensione

Slade sentì un brivido d’eccitazione nel vedere il frutto del suo operato, con gran sorriso stampato sulla faccia fiocamente illuminata dalla luce del televisore dinanzi a lei. Per ora aveva ancora il suo potere. E nulla la poteva fermare.
Allora? Vedi che non era poi così difficile? In realtà…”
“… è stato anche divertente!” Ammise Slade, trattenendo le risate. Continuava a riavvolgere la scena, l’espressione sul volto della sua vittima mentre urlava, pregava per la sua inutile vita… donata alla causa.
La voce si permise una sonora risata.
“Così mi piaci, me! Io e te faremo grandi cose assieme, me lo sento…”
“Già. Ne sono sicura…” Disse Slade, uscendo dal bar nella quale si trovava. In incognito, naturalmente.
Prese una moto parcheggiata lì vicino, ed in poco tempo stava già sfrecciando lungo la città.
“Dove stiamo andando?”
“In un posto che potrebbe aiutarmi a trovarli.”
Non fece in tempo a formulare la risposta, che la moto raggiunse la destinazione: il molo. Slade scese, dirigendosi a grandi passi verso la porta del suo capannone. La serratura era arrugginita, i catenacci in pessimo stato, e la porta stessa sembrava poter crollare da un momento all’altro. Nondimeno, Slade amava quel posto. Era dove loro due erano stati assieme per la prima volta, prima che una dannata e maledetta scocciatura si mettesse in mezzo.
Entrò nel capannone, e subito la polvere le face tossire violentemente. Era tutto marcito, lì dentro. Proprio tutto.
Slade si guardò attorno, assaporando i ricordi di quando era finalmente riuscita a rompere la sua psiche a farlo suo. Prima che quella dannata si mettesse in mezzo...
Neo tirò un pugno pieno di frustrazione su un mucchio di vecchi pesi d'acciaio arrugginiti messi lì vicino, spezzandoli e facendoli volare diversi metri più in là. Una lacrima stava solcando le sue guance: era la tristezza, l'abbandono; i peso di ricordi di un'ossessione troppo grande. Se non fosse stato per lei... A quest'ora lei e Robin sarebbero felici assieme. Si sarebbero seduti sul loro trono, ed avrebbero dominato l'intera città assieme! Ma lei... lei aveva rovinato tutto!

"Shhh, non piangere. Andrà tutto bene. Immagina cosa le farai, la sua faccia a terra, sotto i tuo stivale, che implora pietà e perdono... Immagina di riservarle tutto ciò che i Guardiani ti hanno fatto per tutto questo tempo, direttamente per mano nostra! Immagina di tagliarle la gola in un ultimo, grande sacrificio alla tua pazzia! Pianifica, poiché io renderò questo tuo sogno realtà!" La consolò la voce, con tono gentile e viscido.
Slade smise di piangere, per fare spazio ad un sorriso nervoso. Si. Oh, sì, se gliela avrebbe fatta pagare. L'avrebbe scuoiata viva, ed appeso la sua carne esanime al sole, come pasto per i corvi. L'avrebbe fatta soffrire così come meritava.

Iniziò a scannerizzare la zona; il breve periodo passato sotto il Cavaliere Oscuro aveva affinato di parecchio le sua abilità investigative, e dalla sua aveva un paio di gingilli elettronici niente male. Senza sorpresa trovò poco o nulla. Le poche tracce che potevano esserci se le era portate via il tempo, e la polvere. Tuttavia...
Una così grande energia come quella di Raven non poteva essere passata inosservata in tre anni. Qualcuno doveva pur sapere qualcosa. Eventi strani, cose fuori posto… avranno pure attirato l’attenzione, no? E quelli doveva cercare. A modo suo.
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Sbatté a terra l’ultimo corpo senza vita, soddisfatta. Erano passati giorni, e le informazioni non erano certo mancate. Slade aveva setacciato biblioteche, siti di fanatici, ed ogni posto che potesse aiutarla a trovare informazioni su eventi particolari accaduti negli ultimi 3 anni. Ma il suo metodo preferito restava sempre quello: il pestare fuori dai criminali ciò che voleva. Solo che, stavolta, anziché lasciarli svenuti, si dilettava a sgozzarli metteva avanti sul lavoro. Quello che aveva raccolto era abbastanza interessante.
Subito dopo la sua scomparsa, la notizia della scomparsa di due membri portanti dei Titans fece subito smuovere un’ondata di criminalità non indifferente, che i Titans ebbero non poche difficoltà a contrastare. Furti, stupri, rapine ed omicidi si consumavano veloci, ma v’era una sola serie di delitti a cui la polizia non aveva trovato risposta: una serie di morti bianche, di causa sconosciuta. Una scia di cadaveri che s’interrompeva bruscamente nella zona morta della città, un cumolo di vecchie ville e magioni abbandonate e logorate dal tempo.
E’ mia adesso.”

Slade rise, coprendo il rumore del motore della macchina che correva a tutta velocità verso di lei.

 [(----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------)]

 Cyborg stava sogghignando. Finalmente avrebbe ottenuto delle risposte, le stesse che aveva atteso da troppo tempo, oramai. E che ora gli si avvicinavano assieme al segnale del trasmettitore.
“Sei mia adesso, Slade!” Pensò il robot ad alta voce, schiacciando a tavoletta. Ma, pur essendo Cyborg così eccitato, gli altri la pensavano diversamente. Non si erano dimenticati dell’umiliazione subita anni fa, della facilità con cui Slade li aveva surclassati, e messi fuori combattimento.
E stavolta temevano per la propria vita più che mai.
Cyborg non ci fece caso. Non era il momento di vacillare. Ripercorse mentalmente come aveva fatto a trovarla.
Gli omicidi con lo stesso modus operandi dell’evasione erano tanti, ma circoscritti. Le vittime erano criminale ben conosciuti nel giro delle informazioni classificate, e Cyborg (pur non essendo un brillantissimo detective) non ci aveva messo molto a fare due più due. Qualcuno stava cercando informazioni, e quel qualcuno non poteva che essere Slade.
Da lì Cyborg si era fatto in quattro pur di sfruttare appieno l’unica pista che aveva. Aveva bazzicato i bassifondi, incontrato criminali, ricettatori e manigoldi della peggior specie. Aveva sparso trasmettitori ovunque v’erano covi, che potessero segnalare attacchi. E finalmente, il segnale era arrivato, infine.
E lui era pronto.
Si fermò nel posto dello schianto, scendendo di corsa dalla macchina, seguito a ruota dai suoi compagni. Si precipitò sul posto…
E si fermò quasi subito, in preda alla nausea. Eccola lì, Slade, in piedi, con il suo solito carattere fiero ed accigliato.
Ma attorno a lei… c’era solo sangue. E cadaveri. Beast Boy rimase inorridito, Stella per poco non svenne. Non era così, non era così che doveva andare.
“Salve, Titans. Complimenti per avermi trovato.” Disse Slade, sorridendo. “Devo dire che non me lo aspettavo. Pensavo che dopo la messa in mostra delle mie capacità a St. Bay la paura vi avrebbe paralizzato, codardi com’eravate. Invece mi devo ricredere. Coraggio non vi manca, siete solamente stupidi.”
“Sta zitta, assassina!” Urlò BB, lanciandosi alla carica…
…che non durò per molto. BB si lanciò sotto forma di gorilla, potente ma lento. E Slade lo sapeva perfettamente. Schivò la carica, lasciando che l’avversario si schiantasse al muro, per poi contrattaccare con una tempesta di pugni, brutalmente interrotta da un raggio di Starfire.
“Oh, mi ero quasi dimenticata di voi due! Avete intenzione di star lì tutto il giorno? Andiamo!” Disse Slade, lanciandosi contro i due.
Stavolta, però, nessuno di loro due arretrò di un passo. Cyborg l’affrontò testa a testa, difendendosi di suoi attacchi con la sua massa e una velocità molto superiore, frutto di tre anni di allenamento, mentre Stella cercava di tenerla occupata dalla distanza per permettere ai colpi di Cyborg di connettere.
E questo gioco di squadra le stava dando sui nervi, e parecchio. Stava quasi per mettere fine a questo stupido siparietto, quando improvvisamente non riuscì a muovere il braccio, e subito dopo tutto il corpo. Beast Boy si era trasformato nuovamente in un gorilla e la stava stringendo in una presa fortissima, mentre Stella contribuiva a tenerla ferma. Slade abbozzò un sorriso nervoso.
“Avete intenzione di portarmi in prigione così?”
Stavolta fu Cyborg a sorridere.
“No.”
Cyborg caricò il colpo in pochi secondi; le migliorie apportate negli anni alla sua parte robotica lo avevano reso possibile.
“Titans! Ora!”
Beast Boy si ritirò subito, trasformandosi in un insetto, mentre Stella rilasciò il suo raggio. Slade, oramai libera, provò a saltare via per evitare il raggio, ma questi fu più veloce.
La prese in pieno, facendole distruggere diversi muri dietro di lei, e seppellendola sotto un cumulo di macerie.
“Accidenti amico, ci sei andato giù pesante!” esclamò Beast Boy, sorpreso. “Ed ora che ci penso… Avresti potuto prendere anche me!”
“Non credo saresti stato poi una grande perdita” si permise di scherzare Cyborg, seguito dalle risatine di Stella.
“Oh, non preoccupatevi.” I Titans si voltarono, spaventati.
“Quando avrò finito qui, SARETE TUTTI CONSIDERATI UNA GRAVE PERDITA!”

 

 

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Capitolo 4
*** Opera IV: Annientamento. ***


A.N: Nulla da dire, leggete con calma. Ne avrete bisogno.

 

Opera IV: Annientamento


Slade era lì, in piedi, ancora ricoperta dalla polvere e dai piccoli detriti. Non aveva la solita posa, quella simile a Robin, del combattente metodico. Era piena di aperture, e ricordava più una bestia affamata che un’assassina addestrata. E, proprio come una belva, Slade si avventò su di loro senza esitazione.
Fu un combattimento a senso unico. Per ogni colpo che Slade incassava, ne restituiva almeno tre, mordeva, graffiava, combatteva per uccidere, per divorare. Aveva smesso di completamente di difendersi, incassava ed incassava, ma non retrocedeva mai. Anzi, ogni volta tornava indietro più veloce e forte di prima. Gli unici spossati e distrutti da quel combattimenti furono i Titans. Cercavano di contrattaccare, di difendersi, ma ogni colpo faceva sempre più male, ogni pugno, ogni graffio era sempre più profondo, sempre più vicino al collo, alla testa, al cuore.
Lo sapevano, lo sentivano che erano dinanzi a qualcosa molto più forte di loro, ma ciò nonostante combatterono, e continuarono a farlo.
E, in fondo, lo sapevano…
Sapevano che Slade stava solo giocando con loro.

Il primo a cedere alla fatica ed ai colpi fu BB. I suoi continui assalti fallivano, e quello che perdeva in resistenza amplificava gli effetti dei colpi di Slade. E, bestia contro bestia, alla fine cedette, cadendo al suolo, dopo un ultimo, fatale graffio al collo da parte di Slade. Cercò di resistere, ma alla fine, il suo corpo si accasciò a terra, esanime, senza vita.
Se n’era andato.

La seconda fu Stella. Pur mantenendosi sulla distanza, la sua velocità non era paragonabile a quella di Slade. E per ogni volta che la respingeva, lei tornava alla carica, riprendendosi in meno di un secondo. E di nuovo l’attaccava, non le lasciava scampo, non le dava tregua. Si divertiva, gli faceva pensare di averla presa e poi distruggeva quelle speranza assieme alle sua ossa. Ma tutto ha una fine. E Slade la portò in modo implacabile.
Prima la spossò. Gli girava intorno, la faceva attaccare da tutti i lati, e connettere da nessuno. Alla fine, quando non aveva più energie, iniziò ad attaccarla. Attacchi leggeri, via via sempre più pesanti, finché non la finì, con un unico colpo allo stomaco, che la trapassò da parte a parte, sotto il bestiale ghigno di Slade. Ed anche lei, infine, cadde a terra, preda di demoni che non avrebbe mai dovuto combattere. 

Infine, fu il turno di Cyborg. Stremato, distrutto dalla morte dei suoi compagni, la sua disperazione era diventata tangibile, chiara. Si lanciò in battaglia, il sangue che gli copriva gli occhi, la testa gli girava; era stanco, spossato ancor prima di cominciare. E Slade aveva voglia di farla finita.
Non fu un combattimento lungo, o epico. Fu molto più semplice, un puro massacro. Slade si era stufata di giocare, ed ora aveva solo voglia di uccidere. Non ci volle molto affinché Cyborg commettesse un passo falso nella sua difesa. E quel passo falso gli costò molto più di quanto avrebbe dovuto.
Slade si avventò su di lui come un leone sulla sua preda. In un disperato tentativo di allontanarla, Cyborg provò a contrattaccare, con un forte diretto. Slade schivò il colpo, afferrò il braccio…
e glielo strappò.
Le urla del robot riecheggiarono in tutta la zona. Ma Slade ancora non aveva finito. Continuò a picchiarlo; ormai non era altro che un sacco da boxe nelle sue mani. Infine, egli si accasciò al suolo, morente. Slade si abbassò al suo livello, prendendone l’irriconoscibile volto fra le mani.
“Com’era che dicevate, voi stupidi ragazzini montati? O vittoria…”
Slade schiacciò la sua testa a terra più volte, finché il terreno sotto di lui non diventò completamente rosso.
“…o morte.”

 [(-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------)]

 Raven accese il televisore, un vecchio catorcio a batteria. Meno contatti col mondo aveva, meglio sarebbero stati. Con sua sorpresa trovò nientemeno che un comunicato del Sindaco in persona.

Cittadini, oggi è giorno di pianto per la giustizia. I Teen Titans, i noti protettori delle nostre strade, delle nostre vite, sono stati barbaramente massacrati da un nemico sconosciuto, un nemico della comunità, dell’umanità intera. L’unico, inquietante messaggio lasciatoci da questo raccapricciante criminale è “STO ARRIVANDO”, scritto proprio col sangue di quegli eroi che, ancora nel fiore della giovinezza, hanno dato la loro stessa vita per proteggere-

Raven distrusse il telecomando e la televisione in un colpo solo. Per la prima volta da quando si era data all’oscurità, provava paura. Paura dei demoni che considerava sepolti, di quell’ondata di sete che tanto la scuoteva nel profondo.
Ma adesso basta. Non si sarebbe limitata a distruggerla, ad ucciderla. L’avrebbe annientata, completamente sopraffatta.
“Robin!” la sua voce tuonò, mentre dall’ombra emerse una figura incappucciata, coperta dal suo grande mantello.
“Cambio di programma.” Disse, appoggiandosi a lui. “Non distruggeremo solo lei. Annienteremo tutto, ridurremo questo mondo ad una distesa arida che governeremo assieme. Solo così, non potremo mai essere fermati.”
Raven sorrise. Era ora di fare una chiamata al suo regno…

 [(----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------)]

 La pioggia batteva forte. L’acqua puliva, trascinava via il sangue che troppe persone avevano versato, che in troppi avevano visto strapparsi di dosso. E batteva forte anche su Slade, come a volerla cancellare, a voler trascinare il peso enorme dei suoi peccati via, da quel mondo.
Ma non poteva. Nulla poteva.
Slade continuava a camminare, incurante del tempo, per le strade deserte della zona abbandonata della città. Poteva quasi sentire le urla, il dolore che la morte dei Titans aveva causato alla città. I crimini, la natura crudele dell’uomo che stava venendo lentamente a galla.
Ed in un certo senso, Slade si sentiva fiera di averla portata alla luce.
Continuava a camminare, lentamente, mani in tasca, testa china, sotto la pioggia. Lasciava all’istinto il compito di trovare ciò che voleva, la ragione di tutto questo. E la sua follia il suo cuore l’avrebbe guidata.
Si fermò davanti ad una magione, un edificio decadente, oramai corroso e dimenticato da tutti, morto, come tutto in quel luogo oramai. Lo sentiva, lo sapeva che sarebbe stato lì che avrebbe finalmente regolato i conti. E non aveva più paura.
Entrò calma, chiudendo la porta dietro di sé. Attorno a lei, centinaia, migliaia di rune, simboli, stemmi di un linguaggio antico che aveva già visto, ma che non comprendeva. Poi, all’improvviso, un’ondata di negatività, paura, orrore, dolore, la investì, mentre Raven lentamente entrava nella stanza, seguita a breve distanza da una figura incappucciata la cui forma alta e slanciata non lasciava dubbi sulla sua identità.
“Chi non muore si rivede.” Disse sprezzante e con un tono di disgusto Raven, con un globo nero in mano.
“Sei stata tu a rendemii immortale, non ricordi?” disse Slade, oramai in balia della sua sete di vendetta.
“Sta tranquilla. Non commetterò lo stesso errore una seconda volta. Muori!”

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Capitolo 5
*** Opera V: Lacerazione ***


A.N: Leggete la nota alla fine di questo capitolo. E’ importante.

 
Opera V: Lacerazione.

 
Raven e la figura incappucciata si lanciarono subito all’attacco, e Slade ebbe a malapena il tempo di pararsi che fu subito sbalzata via, e sbattuta contro un muro, la cui età non gli permise di resistere.
Si rialzò subito, appena in tempo per schivare uno dei globi oscuri di Raven. Erano due contro una, e la differenza si sentiva. Aveva a malapena il tempo di schivare, figurarsi di contrattaccare. Iniziò ad esaminare la situazione con la poca lucidità che ancora non aveva ceduto all’odore del sangue.

Mentre Raven si limitava a lanciargli fatali globi neri dalla distanza, il vero problema era Robin. Non combatteva più per far del semplice male, per rendere innocuo l’avversario. Mirava ai punti deboli, non esitava a colpire zone vitali, ed anzi, le cercava. Non le dava pace, aveva una forza sovrumana, persino superiore a quella di Raven. Ma a differenza di quest’ultima, lui non si tratteneva affatto.

 Slade stava ancora schivano, aspettando il momento giusto per contrattaccare. L’attesa era snervante, i suoi muscoli bramavano l’azione.
“Al diavolo!” urlò, lanciandosi addosso a Robin. Ma l’unica cosa che riuscì a fare era togliergli il suo lungo mantello. Rivelando qualcosa che non avrebbe voluto vedere.

 L’ormai ex-Ragazzo Meraviglia non era più lui, semplicemente. La sua pelle era diventata bianca, cadaverica, ed uno dei suoi occhi emanava un forte bagliore viola, come quelli di Raven. Ma il suo volto, la sua espressione… non era quella del Robin di un tempo, fiero, duro. Era morta, debole, impassibile.
“Che cosa gli hai fatto, maledetta!” urlò Slade, in preda all’ira.
"Non ti piace? Sapevo che non ti avrebbe mai ucciso… e così gli ho dato un piccolo incentivo a farlo! Non trovi sia meraviglioso, adesso?” Raven disse, prima di scoppiare in una risata maniacale. “Adesso io e lui siamo uno!” Urlò la maga, prima di tornare all’attacco.

Ma adesso i giochi erano finiti.

 La fragile e corrotta psiche di Slade non resse quell’ultimo, tremendo colpo. La poca sanità che ancora non era stata divorata e corrotta da quell’entità che risiedeva nella sua mente, scomparve in un battito di ciglia. La vendetta, la sete erano troppo forti. Slade abbandonò completamente il suo corpo e la sua mente all’oscurità, a quelle zanne che le laceravano la mente.
Tutto, per il potere.

 Slade urlò, in preda ad un raptus, ed il suo urlo sembrava più un ruggito che un verso umano. Si accanì violentemente verso Raven, ignorando ogni pericolo che quella scelta comportasse, e prendendola di sorpresa. Iniziò a combattere, guidata unicamente dall’istinto. Non aveva più freni, adesso.
La battaglia si stava velocemente ribaltando. Slade era molto più veloce, e molto più potente; se prima aveva solo il tempo di schivare, adesso ne aveva appieno per contrattaccare. E non aveva paura. E mentre Robin costituiva ancora un problema, Raven adesso non lo era più. E si sarebbe assicurata che non lo sarebbe mai più stata. Questo, sino a quando anche Raven non rivelò l’ultimo, decisivo asso nella manica che aveva nascosto.

 “ADESSO BASTA!” Urlò la maga, spazientita, prima di ricoprirsi di un globo nero ed espanderlo, allontanando con violenza la bestia che la stava divorando.
“Non avrei mai pensato di dover usare questo contro di te, ma se serve, ben venga!” disse la maga, prima di alzarsi in aria, ricoperta da un globo nero. Improvvisamente, la magione iniziò a crollare, mentre uno dopo l’altro i simboli s’illuminavano. Robin sapeva, e si allontanò velocemente. Slade restò a guardare quel macabro spettacolo che si propinava dinanzi ai suoi verdi occhi: vide, ed impresse nella sua memoria l’apparizione di uno, due, tre, dieci, venti, cinquanta, e poi cento, mille di loro. E soltanto la loro visione le fece tremare le gambe.
I Guardiani. Erano venuti a prenderla.
Raven stava sogghignando. Adesso le cose andavano come diceva lei. I Guardiani erano qui, finalmente, per distruggere questo mondo che tanto odiava assieme a Slade. Aveva la vittoria in pugno, ne era certa.

 Slade aveva paura, provava terrore, non riusciva più a coordinarsi come voleva. Ma ciò nonostante non si arrese, continuando a combattere, con le unghie e con i denti, con la forza della disperazione, e la consapevolezza che il suo destino era già segnato. O forse no?
Ogni volta che provava ad avvicinarsi, il dolora lambiva la sua carne, la paura la paralizzava. Era a malapena riuscita a scappare da appena cinque di loro, come poteva affrontarne un esercito? Eppure non cedette. Continuò, ed ogni volta le apparivano nuove ferite, nuove contusione, e nuovo sangue sgorgava dalle sue ferite. Ma strinse i denti, decisa a portare almeno uno di quei bastardi nella tomba con lei.
Un sogno irrealizzabile.
Dopo minuti lunghi ore, giorni, forse anni, Slade si inginocchiò. Aveva finito, quello era il limite che la sua follia gli aveva concesso, e che non era bastato. Raven scese dinanzi a lei, il ghigno da vittoriosa stampato in faccia, ed iniziò a prenderla a calci. Slade provava a difendersi, ma la sola presenza dei Guardiani le succhiava via le energie.
Raven continuò a massacrarla per poco. Alla fine la sollevò in aria, bloccandola con una delle sue magie.
“Per quanto io muoia dalla voglia di ucciderti, e porre fine alla tua vita definitivamente, ho deciso che non sarò io ad avere tale compito. Lascerò che sia lui ad ucciderti.” La figura di Robin apparve dinanzi a Raven, e lacrime iniziarono a solcare la guancia di Slade. No… tutto ma non quello, non morire per mano dell’unica persona che veramente amava…
“Robin, prego.” Disse Raven. E passò solo un secondo.
In un momento Robin trapassò, con un singolo colpo, il cuore di Slade. Il suo corpo cadde a terra, esanime, senza vita, consumato dalla sua stessa follia e dalla morte, con, al posto del cuore, un grande foro dove il sangue scorreva libero.
Raven rise. Rise, rise, rise e continuò a ridere, gioiosa, felice! L’aveva annientata! Aveva reclamato il suo potere, ciò che era suo di diritto così è restato! Ed asso nulla l’avrebbe fermata dal portare la morte nel mondo intero, lei ed il suo esercito di Guardiani!
Dopo aver contemplato il corpo senza vita di Slade, si voltò. Ed urlò.
Dinanzi a lei, in piedi, c’era proprio lei: Slade. I suoi occhi verdi la fissavano, le scrutavano ogni minimo anfratto della sua anima, mentre piangevano lacrime di sangue. Al posto del cuore c’era il vuoto, ma questo non le impediva di stare ancora in piedi. Quell’ombra di Slade aprì la bocca, pronunciando due semplici, tremende parole, seguite da un macabro sorriso:
“Hai… perso…”
Prima di accasciarsi al suolo, definitivamente priva di vita, dinanzi a Raven.

 A.N: Come promesso, ecco la nota; sarò conciso: La storia non è finita. V’è ancora un’ultima opera, un ultimo atto da rivelare.
D’altronde, per quanto tu possa tentare di fermarla, la follia è ovunque. Nell’aria, nelle persone attorno a te, nel tuo cuore… nella tua mente. Ed attende, lì, protetta dal buio, il momento in cui ne prenderai coscienza... ma sarà troppo tardi.

 

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Capitolo 6
*** Opera Ultima: Innocentia Sanguinis. ***


Opera Ultima: Innocentia Sanguinis

 

Il mondo era caduto. Passo dopo passo, città dopo città, zona dopo zona, l’esercito dei mille Guardiani era inarrestabile. Uccideva, devastava, distruggeva senza alcuna distinzione, massacrava incurante dell’innocenza, attribuendo alla vita il peso di un peccato mortale, da estirpare fuori dall’intero pianeta.
Tutto, sotto i compiaciuti occhi di Raven.

 
[(---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------)]

 
La maga stava correndo nel nulla. Il buio per la prima volta, la opprimeva, la schiacciava nella sua presa più malvagia. Urla, voci si sovrapponevano, chiedevano il suo sangue, di banchettare con la sua anima.

“FOLLE!” Tuonò una voce sopra tutte le altre, una che Raven conosceva sin troppo bene. Vide le zanne, formarsi, assieme al ghigno demoniaco che tanto l’aveva fatta maledire.
“Illusa! Credevi davvero di potere sfuggire a me?! Sciocca! Non puoi rinchiudere la follia! Non puoi placare la sete che ci guida! Non cercare oltre nella tua mente, poiché io sono e sempre sarò il tuo peggiore incubo, d’ora innanzi! Trema, dinanzi alla forza della nostra vendetta! Inchinati, davanti al peso dei nostri peccati! E pagherai col tuo stesso corpo il male che ci hai inflitto!”

 
[(----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------)]

 
La giovane maga nera si svegliò di soprassalto, ansimando violentemente. Si guardò attorno, spaesata, e successivamente le mani. Si alzò dal suo letto con lentezza, esplorando ogni centimetro dei suoi dintorni, sino a che non trovò uno specchio, vecchio, malandato. Si guardò.

 Ed occhi verdi fissarono altri occhi verdi sopra ad un ghigno malato.

 Una risata echeggiò nell’aria, trasudando una tale follia da gelare il sangue nelle vene. Era sua, finalmente.
La vendetta che tanto aveva bramato.
Che tanto aveva desiderato.
La vendetta, per la quale…
…il suo stesso corpo aveva sacrificato.

 

    
Robin passò dinanzi alla stanza, ancora indosso il suo mantello ed il cappuccio alzato a nascondere il suo oramai irriconoscibile volto.
La maga, oramai sopraffatta e posseduta, gli sorrise.
“Ciao, Robin.”
Passarono secondi, minuti forse, durante i quali la figura non smise mai di fissarla da sotto il cappuccio, come se vedesse oltre, come se stesse esaminando la sua mente, il suo cuore, la usa stessa anima.
Dopodiché continuò a camminare, passando oltre, pronunciando le prime parole in tre anni.

 “Ciao, Stephanie.”



 

[(---------------------------------------------FINE---------------------------------------------------)]

 

 A.N: Bene, bene, bene. Pare che questa sia la fine, a quanto pare. Ma piantiamola di fare i melodrammatici, e parliamo seriamente: Grazie. Grazie a tutti coloro che hanno seguito questa storia dal principio. Grazie a tutti quelli che hanno resistito sin qui. Grazie a chi l’ha apprezzata, ma anche a chi non per averle dato almeno una chance. Grazie a chi abbia intenzione di recensirla, ma anche a chi non lo farà: in fondo, se siete arrivati fin qui, vorrà dire che il mio lavoro non l’ho fatto così male, non vi pare? Grazie a tutti voi per essere arrivati fin qui ed aver sopportato la mia stessa follia, la mia scrittura, e soprattutto la mia storia. Grazie. Semplicemente, Grazie.
Ed ora, un’ultima richiesta: parlate. Ditemi come l’avete trovata, cosa non va bene e cosa sì, se è brutta, bella, odiosa, angelica, qualunque aggettivo abbiate in mente, usatelo. Criticami pure: sono un fan della critica costruttiva (ma un po’ meno della non), sia per quanto riguarda darla, che riceverla. D’altronde, come posso migliorare se non capendo dove risiedono i miei errori? Grazie mille a tutti coloro che lo faranno.
Grazie. Grazie davvero. Spero di rivedervi presto.
Sinceramente,
Sta_98.

 

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