Ocean

di LePableu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Naufrago ***
Capitolo 2: *** Naufragio ***
Capitolo 3: *** Ritorno a casa ***



Capitolo 1
*** Il Naufrago ***


#1 Il naufrago
 
Mi svegliai in una mite mattinata disteso sulla sabbia. Mi guardai istintivamente intorno e vidi qualche isola, dedussi che mi dovevo trovare su una specie di atollo.
La mia isola era rettangolare, di circa 30 per 10 blocchi ed era coperta da alberi e sabbia bianca, in giro non c'era anima viva, solo io.
Appena cercai di mettere insieme due pensieri mi resi conto che non riuscivo a ricordare nulla, né come ero arrivato lì, né tantomeno il mio nome, vuoto totale. Mi sedetti all'ombra di una betulla. Quando un uomo non ha neanche più un nome, allora, cosa può fare? 
...
...
NO!
Qualcosa può fare!
Ruppi un albero e creai la mia prima crafting table, l'Oceano mi aveva risparmiato, ora toccava a me continuare.
Lavorai per due giorni, ora avevo un orto e una miniera, era il momento di iniziare la mia casa.
Stavo tagliando il legno per la casa quando notai un'etichetta uscire dalla mia manica. 'Le Pableu' c'era scritto sopra, pensai che forse era solo il nickname di quel buffo costume medievale che vestivo ma decisi che non m'importava, avevo bisogno di un nome: sarebbe stato Le Pableu. Passarono altre due settimane. Era un'afosa serata e io stavo seduto sui muri della mia casa in costruzione quando vidi qualcosa muoversi sull'isola vicina. Ero curioso, chissà cosa poteva essere. Presi una barca e vi andai. Iniziai ad addentrarmi tra i suoi alberi, tutto normale... ad un tratto però sentii una fitta alla schiena. Mentre il sangue mi colava sulle spalle io iniziai a correre verso la barca. Tornai alla mia isola e mi gettai sulla sabbia bianca addormentandomi. Passarono altre due settimane, mi ripresi dallo scontro e smisi di cercare di capire cosa fosse quello scheletro. Ripresi a uscire di casa e mi concentrai su un nuovo fenomeno, un palo che emergeva dalle acque ad ogni bassa marea. Pensai che avrebbe potuto aiutarmi a ricordare qualcosa. Dovevo andarci, ora ero solo io, contro l'oceano.

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Capitolo 2
*** Naufragio ***


#2 Naufragio
Vedevo tutto in bianco e nero come se stessi rivivendo un ricordo molto lontano, un ricordo che non mi sembrava il mio.
Il corridoio di quella nave dove io e lei ci eravamo rifugiati mentre tutti gli altri festeggiavano sul ponte, i nostri costumi preparati con cura per quella festa in maschera, io ero un conte medievale, lei aveva quel buffo vestito di Cleopatra candido come le nuvole che coprivano il cielo notturno.
La nostra attenzione venne richiamata dalle urla che improvvisamente si sentirono dalla coperta.
‘Il faro lampeggia, il faro lampeggia!’
Quando quelle parole ruppero la nebbia e si propagarono per tutta la nave la nostra vita cambiò.
La vita di quei 20 giovani che si trovavano a bordo dello yatch cambiò radicalmente.
Gli ultimi istanti di vita di molti di loro non furono altro che una offuscata visione del fondale marino.
‘Dobbiamo allontanarci dalla costa’
‘Non possiamo lasciare la città in preda al nemico’
‘Ci uccideranno’
‘Dobbiamo fuggire’
Tutti urlavano il loro rimedio ma tutti sapevamo cosa avremmo scelto, eravamo giovani e quella guerra ci spaventava, il faro era il segnale.
Andammo al largo.
I motori si riaccesero con un forte rumore.
Forse è stato quel rumore a svegliarmi, forse il mio sogno si interrompeva lì, ma è questo che era, un sogno.
Un sogno… oppure un ricordo che tentava di riaffiorare.
Sta di fatto che nulla di tutto ciò era reale, quello che vedevo era la mia casa finalmente terminata sull’isola che da più di un mese mi teneva prigioniero e quel pavimento di legno sul quale mi ero ormai abituato a dormire.
Mi ero abituato un po’ a tutto, a vivere di ciò che quell’isola mi offriva e ad apprezzare ogni semplice cosa che l’oceano donava, il profumo di pesce arrostito così come i miei vestiti appena puliti nella riserva d’acqua dolce che avevo trovato scavando in miniera.
Avevo tutto ciò che mi serviva, ma il vuoto nella mia mente era ancora un fardello troppo pesante per me.
Mi ricordai di quando un paio di settimane prima ero stato attaccato da uno scheletro sull’isola  vicina, era giunto il momento di ritornarvi, stavolta di giorno, almeno avrei avuto meno paura.
Anche stavolta però l’isola non era deserta, sentii un rumore arrivare dal bosco. Impugnai la spada che avevo fabbricato e corsi tra gli alberi ma con grande sorpresa mi trovai davanti una piccola pecora.
Finalmente qualcosa di vivo dopo tanto tempo.
Non ebbi il coraggio di ucciderla, pensai che mi sarebbe piuttosto tornata utile per la lana, scelsi quindi di portarla con me sulla barca.
Le costruii un recinto e la tosai. Ottenni così la lana sufficiente a costruirmi, finalmente, un letto.
Passai lì la notte, in casa, al caldo, in quel torpore che mi fece però sentire ancora più nostalgia di quello che doveva essere stato il mio passato. Dovevo agire, se non potevo tornare alla mia vita dovevo almeno scoprire che cosa avevo perso.
Il palo che a ogni bassa marea riaffiorava dalle acque mi avrebbe aiutato, raccolsi il necessario e la raggiunsi con la barca.
Mi immersi e nuotai fino alla base del palo che scoprii, aprendo a fatica gli occhi, essere nient’altro che l’asta di una bandiera situata sul ponte di uno yatch. Mi avvicinai sempre più e riuscii a entrarvi mettendo a dura prova i miei polmoni.
Improvvisamente un cadavere mi passò davanti agli occhi trasportato dalle correnti, aveva un busso vestito da agente segreto, ne vidi un altro aggrappato alla porta di una stanza, lui era vestito da generale.
Mi accorsi che non potevo più trattenere il fiato e iniziai a risalire.
Mentre nuotavo per tornare su vidi l’acqua diventare da blu a grigia, tutto intorno a me era di nuovo in bianco e nero, come nel sogno della sera prima.
Solo che adesso sentivo sempre meno urla, tra le mani stringevo il lembo del vestito di cleopatra per il quale avevo trattenuto lei mentre la barca veniva travolta dall’onda. Non avremmo dovuto andare al largo, lì dove quella dannata tempesta ha distrutto lo yatch gettando nell’abisso quelle diciannove vite. Solo io sono sopravvissuto.
Tornato a galla, riacquistata la visione dei colori non persi un attimo e mi rituffai, dovevo trovarla, dovevo ritrovare Cleopatra, avevo perso la memoria ma da quando l’avevo sognata ho sentito riaffiorare i miei sentimenti per lei come quell’amicizia che mi legava a tutti gli altri.
Passò il pomeriggio.
Lei non riaffiorò, non la trovai e scelsi di arrendermi.
Rimisi in piedi quei pochi ricordi che avevo: mi trovavo in una festa sullo yatch, a un certo punto un faro ci ha avvertito di prendere il largo e lì siamo stati travolti da una tempesta.
Tutto qui.
Mi sedetti sconfortato accanto al recinto della pecora.
Adesso cosa avrei fatto? Il mio destino era di rimanere tutta la vita su quell’isola.
Era ormai sera e io alzai lo sguardo verso le stelle cercando una risposta.
Incredibilmente quella risposta arrivò.
Me la diede una stella.
Una stella che si accendeva… e si spegneva… si accendeva e si spegneva.
Guardai meglio quel pallino luminoso… quella non era una stella…

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Capitolo 3
*** Ritorno a casa ***


Ritorno a casa 

Navigai tutta notte seguendo la luce del faro. La mattina finalmente alle prime luci dell’alba si delineò tra la nebbia mattutina la sagoma di una grandiosa città. Con buone probabilità quella era la città da cui settimane prima ero salpato a bordo dello yatch. Attraversai il porto e misi finalmente piede a terra. Iniziai a vagare per le vie della città cercando di riconoscere gli edifici della città ma…niente. Continuai a camminare fino a che il mio percorso non fu sbarrato da un uomo. Mi fissò per qualche secondo e poi mi venne incontro dicendo di conoscermi. Il suo nome non mi diceva nulla, ma a quanto diceva era il padre di un mio amico che era venuto con me alla festa sullo yatch naufragato. Scelsi di seguirlo dopo che si offrì di farmi rivisitare la città sperando che la mia amnesia svanisse. A un certo punto gli chiesi quale fosse casa mia e lui si fece cupo. Mi disse di seguirlo fino ad un piccolo vicolo in rovina e si fermò di fronte a un piccolo rudere a ridosso delle mura.
Allora la riconobbi e nella mia testa riaffiorarono tutti  i ricordi che erano svaniti nel naufragio. Le Pableu, ero io e quel costume così come quello di Cleopatra erano per una festa in maschera organizzata su uno yatch da uno dei nostri amici della città. Quella sera, lasciata casa mia mi sono recato dal mio amico, il figlio dell’uomo che mi aveva accolto appena tornato in città. Dopodichè, giunti al porto, ci siamo uniti alla festa, ma quando lo yatch salpò il faro iniziò a lampeggiare e noi fummo costretti da quel segnale a prendere il largo dove una tempesta ci colse uccidendo tutti quelli che erano a bordo.
L’uomo mi spiegò che il faro lampeggiante era il segnale che la città era sotto attacco. Infatti la città era spesso vittima di scontri con orde di zombie e quello di quella sera fu disastroso. Appena visto il faro l’uomo si era precipitato in strada per aiutare i suoi concittadini nella difesa mentre noi prendevamo il largo. Ma quando giunsero ai piedi delle mura un creeper esplose dall’altra parte di queste con una furia tale che distrusse il muro e la casetta che c’era oltre questo: la mia, uccidendo tutti i suoi abitanti.
Lo scontro durò fino al mattino successivo e l’uomo si mise da allora ad aspettare il ritorno della nave con suo figlio. Entrambi sconfortati ci avviammo verso casa sua e lui si offrì di ospitarmi nella camera di suo figlio. Lo ringraziai, ma non ebbi il tempo di riposarmi che vidi di nuovo il faro lampeggiare: la città era di nuovo sotto attacco e questa volta vidi l’orda di zombi dalla finestra mentre combatteva nella piazza contro il mio nuovo amico e altri difensori.
Mi precipitai per aiutarli, ma era troppo tardi, il suo cadavere giaceva sulla scalinata della chiesa insieme a quello di molti altri. Ma non ebbi tempo di rimuginare, un uomo mi fece cenno di entrare nella chiesa davanti al piazzale mentre una nuova ondata di zombie arrivava alle mie spalle. Mi rintanai là dentro dove si era rifugiata buona parte della popolazione. Difendemmo l’edificio fino al mattino quando potemmo finalmente uscire. Scendendo gli scalini della chiesa rividi il cadavere dell’uomo che mi aveva ospitato. Allora capii che non ero più lo stesso LePableu, non avevo più niente in quella città e non le appartenevo. Corsi verso il porto e tornai a bordo della mia barca per poi prendere il largo sul placido mare del mattino. Io, appartengo all’oceano.
 
 
Mes chers amis vi ringrazio per avermi seguito in questa storia, vi ricordo che sul mio canale youtube pubblicherò l’animazione di questo stesso capitolo (il canale si chiama LePableu) e che ai 5 like su quel video pubblicherò il gran finale della storia.
Ci vediamo al prossimo racconto
Ciao da LePableu.

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