Divisa A Metà

di BabyLolita
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Abisso - Kentin ***
Capitolo 2: *** Tempo Perso - Kentin ***
Capitolo 3: *** Parlami - Kentin ***
Capitolo 4: *** Dal Mio Punto Di Vista - Hilary ***
Capitolo 5: *** Non Era Previsto - Castiel ***
Capitolo 6: *** Non Ti Lascerò Andare - Castiel ***
Capitolo 7: *** Scegli Me - Kentin ***
Capitolo 8: *** Amami Anche Quando Arrivo Ad Odiare - Kentin ***
Capitolo 9: *** Sogno Lucido ***



Capitolo 1
*** Abisso - Kentin ***


Non ricordo con precisione quale serie di eventi portò a tutto questo, ma ricordo perfettamente quale fu la causa scatenante che fece prendere a mio padre quella decisione.
 
Avevo cinque anni quando la conobbi per la prima volta. Facevo l'asilo e dei bulletti si stavano prendevano gioco di me per via dei miei occhiali dalla montatura ridicola e dalle lenti troppo spesse. Giacevo a terra raggomitolato su me stresso tenendo stretti al petto i biscotti al cioccolato che mi aveva preparato la mamma. Uno di loro mi stava prendendo a calci. Tutti lo facevano. Tutti si divertivano a farlo. Non ricordo i loro nomi, né i loro volti, ma ricordo che fu grazie alla loro violenza che la nostra amicizia ebbe inizio. Un calcio mi colpì in pieno stomaco facendomi iniziare a tossire. Cercavo di ripararmi il più possibile ma nessuno poteva salvarmi. Eravamo a ricreazione, nascosti dentro una delle casette giocattolo, dove le insegnanti non venivano mai a controllare. Sapevo che quella volta sarebbe finita male. Me lo sentivo. Le percosse erano diventate fin troppo violente.
   «Smettila! Gli lascerai i segni se continui così!» gridava uno di loro.
Ma l'altro non lo stava ad ascoltare. Era troppo divertente picchiarmi. Poi, qualcosa scattò. Una voce interruppe le percosse.
   «Maestra! Maestra! Erik e gli altri stanno di nuovo trattando male Kentin!»
I colpi si fermarono improvvisamente ed i ragazzi fuggirono all'esterno mentre ancora ero raggomitolato a terra dolorante. Vidi una figura avvicinarsi e nascosi la testa fra le ginocchia, temendo di venire colpito ancora. Mentre tremavo disperato una mano accarezzò gentilmente la mia testa.
   «Va tutto bene, se ne sono andati! Tranquillo li ho fatti scappare a gambe levate! In realtà le maestre sono lontane... ma loro questo non lo sanno!»
Quando alzai il viso vidi il suo sorriso risplendere in quella piccola e buia casetta. La sua mano si tese verso di me ed io timidamente l'afferrai. Non sapevo cosa aspettarmi, non sapevo chi fosse venuto a salvarmi. Quando uscimmo le mie idee si fecero più chiare. Per prima cosa vidi le sue iridi color nocciola, poi i suoi capelli castano scuro lisci e lunghi fino a metà schiena. Indossava un vestito azzurro e delle ballerine nere. Non la conoscevo, se non di vista. Non sapevo il suo nome ed ero troppo imbarazzato per parlarle. Mentre con le mani mi puliva dalla terra sui vestiti presi uno dei biscotti che reggevo in mano e glielo porsi. Lei lo guardò estasiata e poi tornò a fissarmi.
  «Posso???»
Che strana domanda.
Pensai.
Prima mi salva e poi mi chiede il permesso di mangiare il biscotto che le sto offrendo?
Feci cenno di si con la testa e lei mi sorrise prima di afferrarlo e divorarlo in un sol boccone.
   «Adoro i biscotti al cioccolato!» squittì gioiosamente prima di tornare a fissarmi. «Comunque il mio nome è Hilary. Ti va se, da oggi in poi, giochiamo assieme?»
Nessuno mi aveva mai chiesto di giocare assieme. Nessuno mi aveva mai dato attenzione visto quanto il mio fisico gracile faceva sembrare che fossi malaticcio. Ma a lei non importava quello che sembravo. A lei andava bene così. Non appena sussurrai un flebile si lei mi afferrò le mani, ancora strette sul mio petto, ed iniziò a saltare di gioia sorridendomi allegra. Fu in quel momento che il tempo si fermò.
 
La mia prima impressione su di lei fu che era davvero coraggiosa: nessuno si sarebbe mai messo contro quel bullo ma lei lo aveva fatto. La seconda fu che era una persona strana: nessuno chiede mai a qualcuno se può favorire di un qualcosa che gli viene offerto, e la terza, forse la più importante, fu che era dannatamente carina.
 
Da quel giorno sono passati parecchi anni e, in un modo o nell'altro, per chissà quale ragione, Hilary è sempre rimasta al mio fianco, difendendomi ogni qualvolta poteva. Fino alle superiori tutto questo era sempre andato bene e nessuno le aveva mai messo i piedi in testa. Ma quando iniziammo a cambiare fisicamente per via della pubertà, le cose si modificarono drasticamente. Lei, che era sempre stata un maschiaccio per via del suo carattere forte ed impetuoso e per la sua forza superiore a quella degli altri, piano piano divenne sempre più bella, sempre più femminile e gracile, sempre più donna e questo, mio malgrado, si trasformò nella mia rovina. Con il tempo lei non riuscì più a prendere le mie difese poiché non era più forte come un tempo. I ragazzi si burlavano di me, un bulletto di nome Castiel si divertiva più di altri a farmi scherzi umilianti, ma non fu per causa sua che il corso degli eventi cambiò. Qualcun altro fece in modo di farmi allontanare dalla mia città natale. E la cosa davvero triste fu che si trattò di una ragazza. Quest'ultima, di nome Ambra, amava prendersi gioco di me. Fino a quei tempi, ero riuscito a nascondere tutto ai miei genitori ma, purtroppo, la questione con Ambra saltò fuori e, quella mia debolezza, fece andare fuori di testa mio padre che decise di iscrivermi alla scuola militare per fortificare sia il mio corpo che il mio carattere. Il giorno della mia partenza fu uno dei più duri di tutta la mia vita. Hilary mi abbracciava forte mentre, insieme, piangevamo attendendo l’arrivo del treno. Non volevo andarmene, non volevo lasciarla. Fu in quel momento che il mio cuore reagì mostrandomi quei sentimenti che da troppo tempo teneva nascosti dentro di sé. Mi resi conto di amarla nell'istante esatto in cui dovetti lasciarla. Ma questo, in un certo senso, mi diede la spinta per andare avanti. Non ero in grado di proteggerla in quelle condizioni, ma la scuola militare mi avrebbe dato le capacità per farlo. Fui io a sciogliere l'abbraccio e a baciarla sulla fronte prima di andarmene. A quei tempi eravamo alti uguali.
   «Aspettami.» le dissi prima di salire sul treno.
Lei mi fece cenno di si e, travolta dalle lacrime, mi salutò.
 
Passarono anni, due per la precisione, ed io e Hilary ci scrivevamo tutti i giorni. Ogni mese lei mi mandava una sua foto. Non gliele chiedevo esplicitamente, ma ero davvero felice di riceverle. Anche lei mi chiedeva spesso di inviargli delle foto ma io non lo facevo mai, dicendo che avrei voluto sorprenderla una volta tornato. Con il tempo la vidi cambiare e, ogni volta che sul display compariva la sua immagine, mi chiedevo quanti momenti accanto a lei mi stavo perdendo ma, nonostante questa sofferenza, strinsi i denti ed andai avanti, per diventare l'uomo perfetto per lei. Alla fine del mio addestramento il mio corpo era notevolmente mutato. Avevo smesso di portare quei ridicoli occhiali sostituendoli con le lenti a contatto, avevo tagliato i capelli rendendoli decenti ed avevo iniziato ad indossare vestiti che valorizzavano il mio nuovo fisico scolpito. Era un sabato pomeriggio quando finalmente rimisi piede a casa mia. Gettai in fretta i bagagli e corsi a casa sua.
Voglio vederti.
Ripetevo nella mia mente mentre correvo da lei. Quando arrivai fu suo padre ad accogliermi. Il suo sguardo duro mi colpì come un pugno dritto in faccia.
   «Posso esserti d'aiuto?»
Il suo tono lasciava trapelare il suo senso protettivo nei confronti della figlia.
   «Sto cercando Hilary. È in casa?»
   «Certo che è qui. Ma di certo non te la farò incontrare. Chi sei? Da dove vieni? Non ti ho mai visto.» Sorrisi tra me e me mentre queste parole risuonavano nelle mie orecchie ma il mio gesto venne frainteso da suo padre. «Ti stai prendendo gioco di me?! Chi ti credi di essere ragazzo?»
   «No, chiedo scusa, non volevo mancarle di rispetto. Sono Kentin. L’amico di Hilary dai tempi dell’asilo. Ho fatto due anni di accademia militare e sono tornato oggi e volevo venirla a trovare visto che lei è sempre stata la mia unica amica.»
In quel momento il suo sguardo duro si sciolse in un attimo diventando docile e affettuoso. Le sue braccia mi tirarono a lui abbracciandomi.
   «Benedetto ragazzo! Mi chiedevo giusto quando saresti tornato! È un piacere riaverti tra noi!» Risposti all'abbraccio un po' imbarazzato e, quando chiesi nuovamente di Hilary, suo padre lasciò la presa. «Perdonami, in realtà non è in casa. È andata al centro commerciale a fare spese! Sono sicuro che se fai presto fai in tempo a raggiungerla!»
Sorrisi facendo cenno di si con la teste e ripresi a correre. Volevo andare da lei ad ogni costo. In poco raggiunsi in centro commerciale. Girai per una decina di minuti prima di scorgerla. Indossava dei jeans lilla ed una maglietta bianca con delle all star bianche. I lunghi capelli castani erano raccolti in una treccia che teneva di lato. Fui rapito dalla sua bellezza ma il mio stato di trans venne interrotto quasi subito. Alcuni ragazzi la stavano importunando. Uno di loro la teneva per un braccio incitandola a seguirlo. Lei tentava di ribellarsi ma purtroppo non ne aveva la forza. Con una falcata giunsi accanto a lei afferrando il braccio del ragazzo e facendolo allontanare con uno spintone. Mi misi davanti a Hilary, pronto a difenderla. I ragazzi mi guardavano con aria strafottente e uno di loro si scagliò contro di me ma, in un attimo, fui in grado di atterrarlo con un sol colpo. Gli altri ragazzi, terrorizzati dalla mia abilità, recuperarono l'amico da terra e se ne andarono a gambe levate. Quando furono sufficientemente lontani abbassai la guardia e mi girai verso Hilary. Immaginavo di trovarla spaesata e spaventata ma, quando fui di fronte a lei, l'unica cosa che sentii furono i tonfi dei sacchetti della spesa cadere. Hilary mi saltò in addosso stringendomi le braccia intorno al collo ed iniziando a piangere.
   «Avresti dovuto dirmelo!» Gridava. «Avresti dovuto dirmi che saresti tornato oggi, scemo!»
Non sapevo come. Non capivo. Si ero tornato ma... insomma, non ero più io. Non riuscivo a capire. Mi ponevo mille domande sul come avesse indovinato chi si era trovata di fronte ma poi ci rinunciai. Lei era lei, mi avrebbe riconosciuto in ogni caso. La strinsi forte fra le mie braccia. Ora avevo la forza per proteggerla, e non l'avrei fatta più avere paura di niente e di nessuno.
   «Perdonami, ma volevo farti una sorpresa.»
Mentre la stringevo mi accorsi di quanto piccola e minuta fosse e di quanto io fossi diventato alto rispetto a lei.
   «Sei la sorpresa più bella che potesse capitarmi.» squittì asciugandosi le lacrime.
   «Felice di sentirtelo dire.»
   «Felice di riaverti qui.»
Quando sciolsi l'abbraccio mi persi nei suoi occhi. Ci fissammo per alcuni minuti senza dire niente, ma in realtà ci stavamo dicendo molte cose. Quando ci allontanammo del tutto afferrai le borse della spesa e ci incamminammo verso casa sua. Ci tenevamo a braccetto e la cosa mi rendeva estremamente felice. Quando arrivammo a casa sua ci salutammo a fatica e, quando stava per chiudere la porta alle sue spalle, la sua voce mi raggiunse un’ultima volta:
   «Ti rivedrò domani?»
I suoi occhi speranzosi mi fissavano.
   «Si. Ci rivedremo a scuola.»
La vidi sorridere prima di farmi un cenno di saluto con la mano e sparire dentro casa sua. Mentre passeggiavo per tornare da me canticchiavo felice.
Se solo sapessi quanto mi sei mancata... ora posso dirtelo. Ora potrò dirti quello che due anni fa non ero pronto a confessarti.
 
Il giorno dopo mi alzai per fare la mia corsa mattutina. Quando rientrai, mi docciai e mi diressi a scuola. Raggiunsi Nathaniel che si sorprese nel vedere il mio estremo cambiamento, ma mi diede il benvenuto come era normale fare. Mi diressi nella mia aula e, non appena entrai, la vidi seduta nella penultima fila a destra. Lei scattò in piedi correndomi incontro. Io rimasi fermo e sorridente, vederla venire verso di me era una gioia infinita.
   «Buongiorno!» mi disse sorridendomi.
Dio se mi è mancato questo sorriso.
   «Buongiorno a te!»
   «Vieni.» disse prendendomi la mano. «Siediti accanto a me!»
Non potevo chiedere nulla di meglio. Mi sedetti vicino a lei e tutti ci fissavano straniti. Quando scoprirono chi ero in realtà ci furono diverse reazioni, ma tutti restarono basiti nel realizzare che quel ragazzo mingherlino di una volta aveva lasciato posto a qualcuno di totalmente diverso. La lezione iniziò ed ero felice. Davvero felice. Pensavo che niente avrebbe rovinato il mio rientro, che nulla fosse cambiato durante la mia assenza. Pensavo che sarebbe stato tutto perfetto, ma la realtà mi schiacciò come un masso. Mancavano un'ora all'intervallo e Hilary, in quanto rappresentante di classe, dovette assentarsi un attimo per consegnare dei moduli a Nathaniel. La osservai camminare attraverso la classe per poi sparire oltre la porta. I miei occhi si piantarono sull'orologio. Non volevo che stesse via troppo a lungo poiché già mi mancava. Dopo dieci minuti però, di lei non c'era ancora traccia. Non so per quale motivo, ma iniziai ad innervosirmi. Scattai in piedi chiedendo al professore di andare al bagno. Lui acconsentì e sgattaiolai rapido fuori dall'aula. Girai per un po' per i corridoi ma non la trovai. Qualcosa in me si agitava sempre più. Qualcosa come un brutto presentimento. Quando la situazione stava diventando per me insostenibile e l’ansia mi aveva ormai attanagliato, la vidi. E non era sola. Aveva la schiena appoggiata agli armadietti azzurri e, davanti a lei, Castiel le impediva la fuga tenendo un braccio sopra la sua testa. Le braccia di lei erano appoggiate al petto di lui ed i suoi occhi erano spaventati mentre lui le sorrideva. Rimasi impalato qualche secondo intento ad elaborare cosa stesse succedendo. Vidi la mano libera di Castiel accarezzarle il braccio mentre lei sussultava leggermente. La sua mano salì fino a raggiungerle in collo ed appoggiarsi sotto il suo mento, alzandole il viso nella sua direzione:
   «Su andiamo.» sibilò a voce bassa. «Non dovresti più agitarti in questo modo a questo punto, non credi?» disse prima di sigillare le sue labbra su quelle di Hilary facendo scattare la mia furia.
Con un balzo li raggiunsi e scaraventai Castiel il più lontano possibile mettendomi tra lui e Hilary. Entrambi restarono spaesati e, quando Castiel si riprese, si avvicinò a me con fare rabbioso.
   «Chi cazzo sei tu?!»
   «Kentin! Ma dubito che ti ricordi di me!»
   «Kentin?! Kentin il nano?!»
   «Già. Divertente vero come il tempo cambia le persone, eh? Che diavolo stavi facendo?!»
   «Non sono affari che ti riguardano!»
   «Oh si che mi riguardano! Mi riguardano eccome! Avanti! Vuoi fare a botte? Sappi che farò di tutto per difenderla! Non sono più il pappamolle di una volta!»
   «Kentin ora basta!» intervenne Hilary, mettendosi di lato a me e facendo scivolare la sua mano fino ad intrecciare le mie dita alle sue. «Andiamo via, per favore.»
Il mio sguardo si posò su di lei, ma lei non guardava me, guardava lui. Iniziai a trascinarla via prima che lo facesse lei. Camminammo per un po' fino a raggiungere il sottoscala. Lì mi fermai. Le nostre mani erano ancora intrecciate ed io le sciolsi immediatamente, non volevo che sentisse quanto ero agitato.
   «Kentin...io...»
   «Una spiegazione. Esigo una spiegazione, se non ti dispiace»
Mi voltai verso di lei che mi guardava spaventata.
   «Io... è.... è complicato.»
   «Complicato?! Come può essere complicato?! Hilary stiamo parlando di Castiel! Ti sta usando?!»
   «No...»
   «Ti ha fatto del male?!»
   «No...»
   «E allora cosa?! Cosa?!»
La domanda successiva era la più cruciale, ma più tentavo di dirla, più le parole mi morivano in gola.
   «Kentin io... ecco... sono passati due anni da quando te ne sei andato e le cose sono cambiate e... tu non hai mai... ecco... vedi...»
   «State insieme?»
Non volevo aspettare. Se doveva ferirmi, volevo che lo facesse adesso.
   «No.»
La risposta fu secca e decisa. Senza esitazione.
   «Sei sicura?»
   «Si. Non è il mio ragazzo.»
   «E allora perché...»
   «Kentin, ti prego. Non farmi domande. È complicato...»
   «Hilary guardami! Guardami e cerca di capire! Cerca di capire come mi sento! Sono stato via per due anni e quando torno bum! Mi ritrovo quest'assurda immagine di te che baci quel ragazzo che tanto entrambi odiavamo! Che è successo?! Cosa mi sono perso?! Spiegamelo! Non capisco! Non sto capendo! Guardami! Guardami e cerca di capire!»
Ero sconvolto, agitato, scombussolato. Mille idee mi affollavano la testa, idee contrastanti, timore che mi mentisse, ansia che fosse appena andato tutto a pezzi. Sudavo freddo mentre tentavo di ragionare in modo razionale. La sua mano mi raggiunse accarezzandomi la guancia.
   «Ti guardo Kentin. Non hai neppure idea di quanto tempo abbia passato a guardarti.»
Vidi i suoi occhi diventare lucidi per un istante prima di vederla correre via.
 
Come dovevo interpretare quella frase? Che senso avevano le sue parole? Era una specie di dichiarazione d'amore? Cosa sarebbe successo da ora in poi? Cos'altro dovevo aspettarmi? Che cos'era successo durante i miei due anni di assenza? In quell'istante mi sentivo trascinare all'interno di un abisso vuoto.




Commento dell'autrice: salve a tutti quanti xD Allora innanzitutto chiuedo scusa per gli eventuali errori di grammatica ma sono le quattro del mattino (si lo so ho dei problemi xD ho scritto questa storia quest'ora perchè, mentre cercavo di dormire, mi è balenata in testa questa idea e non riuscivo a dormire perchè continuavano a venirmi in mentre frasi del racconto allora mi sono detta ''si va beh ho capito mi alzo e la scrivo almeno poi è fatta e la mia testa la smette di sfornare idee''. Morale della favola ho passato quattro ore a scrivere e questa è una parte del risultato!) spero comunque che il racconto vi piaccia nonostante sia uno stile diverso rispetto a quello che uso di solito (o forse no? bah non ho la mente abbastanza lucida al momento xD) spero di leggere quello che ne pensate nelle recensioni! Grazie a tutti coloro che si sono soffermati a leggere il racconto e al prossimo capitolo (se questa storia continua come le mie idee al momento sfornano frasi...sarà moooooolto complicata xD non mi piacciono i triangolo nella vita reale e farli per iscritto invece è divertente xD anche se questa volta mi sa che sono dannatamente malefica eheheh xD ok basta) vi saluto alla prossima e grazia ancora =D

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Capitolo 2
*** Tempo Perso - Kentin ***


Una parte di me voleva sapere, un’altra avrebbe voluto nascondersi e non venire a conoscenza di nulla. D'un tratto mi sentii come se fossi io al posto sbagliato, come se la mia presenza fosse quella fuori posto.
Avrei dovuto restare alla scuola militare.
Iniziai a pensare.
Anzi, non sarei nemmeno dovuto partire! Ora ciò che è stato... è perso. Tutto quanto. Le mie pene sono state vanificate. È andato tutto a puttane!
Diedi un pugno contro il muro in cartongesso perforandolo. Estrassi la mano coperta di polvere bianca e l'osservai. Era grande e forte. Le vene si vedevano perfettamente e sui polpastrelli erano evidenti le cicatrici che gli anni di arti marziali mi avevano lasciato. Era davvero tutto perso? Perché era successo a me? Cercai di focalizzarmi su un pensiero sensato ma tutto ciò che avevo di sensato era l'istinto omicida che provavo nei confronti di Castiel.
   «Ehi, bel fusto.»
Una voce familiare ed odiosa giunse alle mie orecchie.
Ci mancava solo lei...
   «Non ti ho mai visto in giro da queste parti... ti serve una guida per caso? Sai, sono la persona giusta!»
Mi voltai lentamente, la sola idea di vedere la sua figura mi disgustava più di qualsiasi altra cosa. Ambra sorrideva con aria felice mentre mi squadrava dalla testa ai piedi. Fece un leggero giro su sé stessa come per permettermi di fissarla meglio.
Come se davvero mi interessasse.
Si avvicinò di qualche altro passo cercando di annullare la distanza tra noi. Avevo i nervi a fior di pelle e la sua presenza di certo non migliorava la situazione.
   «Allora?» mi chiese poi tracciando con il dito dei cerchietti sul mio petto.
   «No, grazie.» risposi cercando di mantenere la calma. «Conosco bene il posto.»
   «Oh ma davvero? E allora com'è possibile che sia la prima volta che ti vedo?»
   «Non è la prima volta, ma sei semplicemente troppo stupida per ricordarti di me.»
   «Come ti permetti?!»
Vidi il suo volto arrossire improvvisamente per la rabbia mentre sventolava davanti a sé le mani chiuse a pugno. In quel momento mi accorsi che dietro di lei Hilary era tornata sui suoi passi. I suoi occhi mi fissavano tentando di capire la situazione. In un istante mi ricordai del bacio a cui avevo appena assistito e qualcosa scattò dietro di me.
Questa volta non verrai a salvarmi. Questa volta... te ne andrai e basta.
Presi Ambra per le spalle tirandola verso di me e baciandola. Mentre lei prima si irrigidiva e poi mi abbracciava con gli occhi continuavo ad osservare Hilary che, spaesata, ci osservava. Quando trasformai il bacio in qualcosa di più intenso la vidi arretrare di qualche passo prima di portarsi una mano sulle labbra e correre via. Mi accorsi ancora una volta dei suoi occhi lucidi e solo in quel momento mi resi conto di quanto fossi stato idiota. Mi staccai da Ambra immediatamente.
   «Ehi...» mi disse avvinghiandosi ancora di più a me. «Non vorrai interrompere il bacio sul più bello. no?» continuò avvicinando le sue labbra dischiuse alle mie.
   «Smettila.» risposi allontanandola.
   «Oh andiamo... guarda che ho capito che mi tratti male solo perché ti piaccio.»
La sua frase mi fece imbestialire.
   «No, Ambra. Tu non mi piaci. Non mi sei mai piaciuta e mai mi piacerai.» dissi scaraventandola via.
   «Ehi, ma chi ti credi di essere?! E come sai il mio nome?!»
   «Perché so chi sei, Ambra. E anche tu mi conosci molto bene.» conclusi allontanandomi da lei.
   «E chi saresti?!» urlò mentre me ne andavo.
   «Kentin.» risposi voltandomi verso di lei. «Il ragazzino che passavi il tempo a maltrattare.»
Sul suo volto comparve un’espressione che non sprecai tempo a decifrare. Avevo altro da fare in quel momento. Girai per il liceo alla ricerca di Hilary. Volevo scusarmi di... beh... in realtà non era mio dovere scusarmi. Io e lei non stavamo insieme. Lei aveva baciato Castiel, io avevo baciato Ambra. Dove stava il problema? Decisi di andare in giardino, restare dentro la scuola mi soffocava. Mi recai sul retro dove sapevo che nessuno sarebbe venuto a disturbarmi. Mi appoggia ad un albero e chiusi gli occhi. Volevo solo svuotare la mente. Passarono alcuni minuti dopodiché sentii dei passi avvicinarsi. Non mi mossi. Riconoscevo bene quella camminata. Hilary si appoggiò al tronco dell'albero dalla parte opposta alla mia.
Le nostre schiene si toccherebbero in questo momento se solo non ci fosse l'albero... dio solo sa quanto vorrei abbracciarti e dimenticare tutto quello che ho visto... come vorrei che anche tu dimenticassi ciò che, stupidamente, ho voluto farti vedere. Questo non sono io e lo sai... ma davvero capirai il perché l'ho fatto quando nemmeno io capisco perché sono stato vittima della mia stessa ira?
Sospirai. Non avevo voglia di parlare, non sapevo cosa dire. Hilary restò in silenzio. Probabilmente anche lei non aveva nulla da dire. Eppure era venuta a cercarmi. Era venuta da me. Avrei dovuto essere felice di ciò.
Perché il fatto che sia qui non mi basta?
Risi tra me e me.
Quando sono diventato così egoista e possessivo?
Mi portai una mano alla fronte passandomela poi tra i capelli.
Forse è perché... credo di non essere la sua prima scelta? Quando mai poi sono stato una sua scelta? Perché ero così convinto che mi amasse?
Osservai il cielo ignaro che dentro di lei si tormentavano mille domande. Ignaro del fatto che lei soffrisse tanto quanto me. Passarono diversi minuti prima di sentirla alzare ed allontanarsi. Io non mi mossi. Non volevo farla soffrire ancora. Quando mi alzai mi resi conto che era tardi. Tornai a casa e chiesi scusa ai miei genitori per il ritardo. Salii al piano di sopra rintanandomi in camera mia. Mi lasciai sprofondare sul letto gettando il cellulare accanto a me. Era la prima volta che io e Hilary non messaggiavamo. La prima volta che passava così tanto senza sentirci. Mi sentivo male. Tanto male. Probabilmente troppo. Ma cosa potevo farci? Lei mi aveva detto che era complicato. Mi aveva chiesto di non farle domande. Ma io volevo sapere.
Perché mi escludi? Perché non mi parli? Perché devo assistere a tutto questo senza poter sapere che diavolo sta succedendo?
Quando sentii vibrare il cellulare scattai afferrandolo ma quando vidi che era mia madre mi sentii abbattuto. Mia madre non era tipo da intromettersi nella mia vita privata. Quando vedeva che stavo male si limitava a mandarmi un messaggio al cellulare chiedendomi se era tutto ok. Una delle cose che non ho mai capito di lei era questo suo comportamento. Ma alla fine mi ci ero semplicemente abituato. Risposi al messaggio dicendo che ero solo stanco, che riprendere il ritmo scolastico era più complicato del previsto. Mi rispose con un semplice ok. Sapeva che mentivo, ed io sapevo che lei sapeva. Ma il nostro rapporto era così. Freddo ma amorevole allo stesso tempo. Le ho sempre voluto un bene dell'anima e lei ne ha sempre voluto a me, ma non ci piaceva esprimerlo così apertamente. Restai tutta la sera sdraiato sul letto ad osservare il soffitto sperando di ricevere un messaggio di Hilary, ma non accadde. Quando riaprii gli occhi mi accorsi di essermi addormentato e di aver passato la nottata vestito. Mi alzai infilandomi la tuta da ginnastica ed andai a correre. Dovevo distrarmi. Corsi per un’ora, forse due. Nonostante macinassi sempre più chilometri la mia mente non si allontanava mai dal pensiero di Hilary. Volevo vederla ma, allo stesso tempo, non volevo affrontarla. Sia per via del mio gesto stupido, sia per il timore di sentirmi dire cose che non volevo sentire.
E se ora mi odiasse? Se non mi rivolgesse più la parola?
Più tentavo di immaginarmi come risolvere le cose più idee deprimenti mi balenavano per la mente. Quando mi fermai mi accorsi che erano le nove e mezza del mattino.
   «Grandioso Kentin.» dissi asciugandomi il sudore dalla fronte. «Tagliare il secondo giorno di scuola, sei davvero il massimo!»
Ripresi a correre dirigendomi a casa. Mi feci una doccia e poi guardai di nuovo l'ora. In ogni caso, era troppo tardi per raggiungere l'aula e poi, non avevo comunque molta voglia di farlo. Scesi al piano di sotto, i miei genitori erano al lavoro. Mi feci una omelette e mi sedetti sul divano a mangiarla. Accesi la televisione. Cambiai diversi canali prima di fermarmi su un programma che mi parve interessante. Parlava di un investigatore privato alla ricerca di un serial killer che uccideva giovani donne. Rimasi affascinato da come le sue deduzioni meticolose lo portarono alla risoluzione del caso. Mi trovai a pensare a ciò che avrei fatto del mio futuro. Fino a quel momento, la mia mente era sempre stata focalizzata sul pensiero del mio ritorno da Hilary ma, ora che ero qui, avrei dovuto fare i conti anche di ciò che doveva essere davvero il mio avvenire. Pensai che, infondo, l'idea di diventare un detective non era male. Risolvere crimini, inseguire serial killer... alla scuola militare avevo imparato ad amare il brivido di vivere sotto copertura grazie alle simulazioni di guerra che spesso facevamo. Mentre in me si delineava sempre più chiara questa idea il campanello di casa suonò. Andai ad aprire e quando vidi Hilary rimasi impietrito. Per lei era normale venire da me quando non mi trovava a scuola ma, di certo, non mi aspettavo lo facesse anche in questa occasione.
   «Non ti ho visto a scuola e mi sono preoccupata.» disse giocando con l'elastico che teneva al polso.
   «Non era necessario. Come vedi sto bene.» risposi chiudendo la porta.
Dio ma perché diavolo sono così freddo?!
   «Aspetta!» reagì lei afferrando la porta e riaprendola. «...posso entrare?»
Si...si...si...si...SI! Si dannazione! 
Mi spostai di lato lasciandola entrare. Mentre mi passava davanti notai che questa volta i suoi capelli erano sciolti. Per qualche istante venni inebriato dal suo profumo ma tornai presto in me. Chiusi la porta alle sue spalle e lei mi guardò.
   «Vuoi mangiare?» le chiesi poi.
   «No grazie, ho già mangiato.»
   «D'accordo.»
Tornai a sedermi sul divano. Notai che non mi seguì. Mi voltai nella sua direzione e la vidi intenta a fissarmi, come a chiedermi il permesso di raggiungermi. Alzai un sopracciglio.
   «Di solito eri la prima a fiondarti sul divano.» dissi abbozzando un sorriso.
   «Già. Ma non siamo più bambini, Kentin. Ed io ho imparato le buone maniere.»
   «... Preferisco vederti espansiva come sempre che impietrita mentre segui il galateo.» conclusi voltandomi verso la televisione.
Passarono pochi secondi prima di sentila gettarsi sul divano accanto a me. Rise per qualche istante prima di mettersi a guardare la televisione.
   «Che cos'è?» mi chiese incuriosita dal programma.
   «A dire il vero non lo so. Ma lo trovo interessante.»
   «Mmm... è un programma stile criminal mind?»
   «Siamo informate, vedo. Credo di si.»
   «Da quando ti piacciono i polizieschi?»
   «Da poco in realtà. Meno di quello che oseresti credere.»
   «Mmm...»
Restammo in silenzio qualche istante. Il mio braccio, che per abitudine tenevo disteso sullo schienale del divano, sembrava le stesse cingendo le spalle. Rabbrividii di piacere per un secondo prima di ricompormi per non farle notare la mia reazione. Guardammo il programma fino alla fine. Poi ne guardammo un altro ed un altro ancora. Nessuno diceva nulla, se non qualche commento riguardante ciò che avveniva in televisione. Sapevamo bene che avevamo delle cose da chiarire, ma nessuno aveva il coraggio di farlo. Quando mi decisi a parlare, mi resi conto che non sapevo da dove iniziare.
Devo chiederle scusa? Devo chiederle delucidazioni sul suo rapporto con Castiel? O devo lasciar perdere e evitare proprio l'argomento?
   «Senti io...» fu la sua voce a distogliermi da ciò che mi stavo chiedendo. «Vorrei che non ci facessimo domande.»
   «Domande?»
   «Si... vorrei evitare di parlare di quello che è accaduto. Di quello che mi hai visto fare e di quello che ti ho visto fare.»
   «Perché dovremo seppellire tutto?»
   «Perché è meglio così. Io non voglio sapere e non voglio che tu sappia.»
   «Perché non vuoi che io sappia?! Credi che non sia ancora in grado di proteggerti?!»
Se prima ero teso perché non sapevo come affrontare l'argomento in modo delicato, ora ero furioso per quanto lei fosse stata diretta e tagliente.
   «No Kentin non è per questo ma è---»
   «Complicato, scommetto!»
   «... Già...»
   «Si, certo. Ora complicato è diventata la tua parola preferita?! Cristo santo Hilary che diavolo ti è successo?! Perché non vuoi che io sappia?!»
   «Perché non so come spiegarti!»
   «Provaci!»
   «Non voglio farlo!»
   «E perché mai?!»
   «Perché non voglio rovinare il nostro rapporto!»
I suoi occhi mi fissavano intensamente e mi accorsi che stava piangendo. Ancora. La stavo facendo piangere ancora.
È questo l'uomo che sei diventato?! Dio quanto fai schifo! Non è questo! Non è per questo che hai faticato tanto! Non è per farla piangere che sei tornato!
Avvicinai la mano alla sua guancia ma mi fermai prima di toccarla realizzando le sue parole.
Rapporto? Di quale rapporto sta parlando?
   «Non preoccuparti...» dissi ritraendo la mano. «Di certo, qualunque sia il motivo per il quale Castiel ti ha baciata, non rovinerà la nostra amicizia.»
La osservai morsicarsi il labbro.
   «Non è di questo che sto parlando.»
   «E di cosa allora?»
   «Di quello che... sarebbe stato se... non te ne fossi andato.»
   «Ah ora sarebbe colpa mia?!»
   «No! in realtà è colpa mia...»
   «Adesso ti metti a fare la vittima?!»
   «No è ...complicato...»
   «Ancora?! Dannazione Hilary, basta! Basta usare quella parola! Non la voglio più sentire! Vi siete baciati, voglio solo sapere il perché!»
   «E allora perché tu hai baciato Ambra?»
   «Me lo stai chiedendo davvero?! Oh andiamo, non ti facevo così stupida!»
   «Certo che te lo sto chiedendo! Ho visto con quanto odio mi guardavi! Ho temuto di averti perso per sempre solo perché mi hai vista con lui! Ho avuto davvero paura che te ne andassi di nuovo ma senza dirmi niente! Ho pensato che non eri più tu! Ho pensato che davvero ti interessasse Ambra!»
   «Quel bacio non è stato niente per me!»
   «Ah si? Non sembrava visto come la baciavi!»
   «E allora tu invece?! Non mi sembravi così dispiaciuta dal bacio di Castiel! Chissà cosa sarebbe successo se non fosse intervenuto! Il mio è stato un bacio vendicativo ma il tuo... il tuo no.» il mio tono era diventato freddo e glaciale. Non trasparivo più ira. Solo freddo e ghiaccio. «Forse per te quel bacio... in realtà è stato addirittura importante.»
   «Io...»
   «Basta. Lascia stare. È tempo perso. Hai ragione tu. Non voglio farti domande. Non voglio sapere.»
   «Che cosa è tempo perso?»
   «Tutto quanto. Il tempo trascorso insieme prima che partissi, il motivo per cui ho passato ogni giorno ad allenarmi come un matto, il motivo per il quale, appena tornato dalla scuola militare, sono corso da te. È tutto tempo sprecato. Non ha più senso insistere. Probabilmente anche il fatto che tu mi abbia aspettato non ha un senso visto che, a questo punto, non capisco nemmeno che cosa tu abbia aspettato.»
Perché non riesco a far altro che sputare veleno quando, in realtà, vorrei solo stringerla forte a me e dirle che sono d'accordo sul fatto di non fare domane, sul fatto che sono stato uno stupido? Perché non riesco semplicemente a dirle che l'ho sempre amata e che vederla tra le braccia di un altro mi ha ferito a morte?
   «Non è tempo perso! Ti prego, renditi conto che nulla di ciò che è stato è tempo perso!»
   «Beh allora è perso ciò che sarà, perché non ci sarà un bel niente!»
   «Che stai dicendo Kentin?»
   «Che io non voglio sapere. Non ti farò domande, non mi intrometterò nella tua vita. Non voglio sapere se lui ti sta usando per qualcosa o meno. Non voglio sapere. Non ti proteggerò. Non è più affar mio. Se hai bisogno di qualcosa, rivolgiti pure a lui.»
Scattai in piedi allontanandomi di qualche passo. Poco dopo sentii alzare anche lei. Non la guardavo ma la sentivo singhiozzare. Volevo girarmi ed abbracciarla ma avevo deciso di recidere i legami. Se il suo cuore apparteneva a qualcun altro, la mia presenza era superflua e, in ogni caso, per me sarebbe stato solo peggio restarle accanto. La sentii avvicinare di qualche passo.
   «Kentin...»
   «Va via.» le dissi senza voltarmi.
   «Kentin...»
   «Vattene, ho detto.»
   «Kentin, guardami»
   «Hilary, ho detto basta. Va via da qui. Lasciami stare.»
   «Non posso farlo... ho passato troppo tempo a guardarti senza che tu nemmeno te ne rendessi conto. Ora sono io che ti chiedo di guardare me.»
   «Guardarmi, eh? Oh certo, ti ringrazio per aver vegliato su di me mentre ero vittima di bullismo ma, come vedi, ora non ho più bisogno della tua supervisione.»
   «Kentin finiscila di far finta di non capire.»
   «Capire un corno Hilary. E ora vattene, non voglio sentire altro.»
   «…»
Restammo in silenzio qualche istante. Sperai di sentirla allontanare e varcare la soglia di casa, ma non lo fece. Mi voltai verso di lei per incitarla nuovamente ad uscire ma, quando lo feci, lei affondò il viso sul mio petto stringendomi in un abbraccio.
   «Hilary...» le sussurrai e lei strinse ancora di più la presa. «Ti prego... va via.»
Il mio tono era tornato normale. Sentii la sua testa muoversi a destra e a sinistra per imitare un no. Cercai di allontanarla ma lei non si lasciò spostare.
   «Ti prego... dimmi che stavi scherzando. Dimmi che non è stato tutto tempo perso. Per me... il tempo passato con te è stato importante.»
   «Lo è stato anche per me. Per questo è meglio per me non sapere, ed è meglio per entrambi separarci.»
   «Perché?»
   «Perché per te è stato importante il tempo passato con me, ma lo è stato anche il tempo in cui io non ci sono stato e, probabilmente, in quel lasso di tempo ho perso tanti momenti con te che non potrò mai recuperare. Momenti in cui qualcun altro ha preso il mio posto. Ed io non voglio assistere allo spettacolo che io avevo immaginato per me ma che vedo vivere ad un altro.»
Mi resi conto che mi stavo praticamente dichiarando, ma non aveva importanza. Se dovevo perderla tanto valeva che sapesse la verità.
Infondo... sei rimasto lo stesso pappamolla di un tempo, o forse... preferisci semplicemente la sua felicità alla tua.
   «Ci sono tante cose che reputo importanti. Tante cose che non voglio perdere nel corso del tempo... e tu fai parte di entrambe le categorie.»
   «Ma non faccio parte di quella che vorrei.»
   «Kentin... chi è lo stupido adesso?»
   «Siamo entrambi degli stupidi.»
   «Si... ma tu sei anche dannatamente cieco.»
   «Non direi, indosso le lenti a contatto.»
   «Kentin... non prendermi per i fondelli.»
Il suo abbraccio si fece più lieve e vidi il suo viso allontanarsi dal mio petto. L'osservai allontanarsi ma solo quando i suoi occhi incrociarono i miei mi accorsi che non stava affatto sciogliendo l'abbraccio. Si alzò sulle punte dei piedi sollevandosi abbastanza da raggiungere le mie labbra. Quando sentii il contatto il mio cuore sobbalzò. Hilary chiuse gli occhi e quando sentii le sue labbra dischiudersi persi completamente la testa. L'abbracciai istantaneamente. Non mi importava più niente dei miei buoni propositi. Non mi importava più del fatto che se la sua felicità era con Castiel l'avrei lasciata andare. Fanculo. Fanculo a tutto. Lei era mia, e mia sarebbe rimasta per sempre. Non volevo più essere quello di un tempo. Mi odiai per un istante realizzando quale decisione stupida stavo prendendo. Realizzando quanto idiota le sarò sembrato. Quando sentii la sua lingua accarezzare la mia sentii il suo corpo fremere e capii che provava gli stessi sentimenti che provavo io. Non avevo bisogno di altre dimostrazioni. Lei era con me. Lei stava baciando me. La strinsi ancora più forte sollevandola da terra. Sentii le sue labbra inarcarsi in un sorriso mentre avvolgeva le gambe intorno alla mia vita. La strinsi di più e lei fece altrettanto. Quando ci staccammo avevamo entrambi il fiatone. La riposai a terra ma lei rimase fra le mie braccia.
   «Questo è importante.» disse tra un respiro e l'altro.
   «Lo so.» risposi baciandola ancora.
Lei non si tirò indietro e ci baciammo fino a quando non esaurimmo del tutto l'aria. La strinsi forte. Non mi importava più sapere perché Castiel l'avesse baciata. Quei nostri baci mi avevano fatto capire che qualunque fosse stato il motivo, gli avrei impedito di farlo ancora perché avevo compreso che i miei sentimenti erano uguali ai suoi. L'abbracciai ancora una volta sprofondando nel suo profumo.
   «…Mi odi?» le chiesi poi, sicuro che la risposta sarebbe stata tutt'altra.
   «No... io ti amo...»
Gioia, felicità, euforia. Di tutte queste parole, nessuna era in grado di esprimere l'alta dose di energia positiva che mi pervase tutto il corpo. Lei mi amava. Io la amavo. Cosa poteva allontanarci dal nostro happy ending?
   «Però...» continuò poi, sottovoce e riprendendo a piangere. «Amo anche lui...»
In quel momento tutto ciò in cui avevo appena creduto si spaccò in mille pezzi. Realizzai che il tempo che avevo perso lontano da lei nessuno me lo avrebbe ridato. Probabilmente non si sarebbe innamorata di lui se io non me ne fossi andato ma questo, non lo sapremo mai. Io l'ho sempre amata. Lei è sempre stata tutto per me. Lei era il mio fiore sbocciato all'ombra di un albero. La mia splendida rosa ma, come ogni rosa, purtroppo aveva le sue spine. Spine che mi stavano lacerando da dentro.
 
Restai immobile com'ero. Non sciolsi l'abbraccio. Non volevo vedere la sua espressione anche se, probabilmente, non volevo che lei vedesse la mia. Cosa stava esprimendo il mio volto in quel momento? Rabbia? Tristezza? Odio? Ira? Disprezzo? Nemmeno io lo sapevo.



Commento dell'autrice: Salve xD Ammetto che la scena del bacio doveva essere più in la...ma la mia mente ha deciso che dovevo inserirla adesso e non si discute con la capa indiscussa delle storie quindi ode a te o mia mente, ho eseguito gli ordini! (ok, deliri a parte...) spero che il capitolo vi sia piaciuto. Vi confesso che il finale è già scritto e che molte mi odieranno per come l'ho fatto finire (non vi svelerò altro preferisco lasciarvi immaginare un eventuare ending per conto vostro xD) sappiate che sarà un finale mooooolto particolare, diverso da tutto ciò che ho mai scritto nella mia carriera (hemmm....posso davvero definirla tale?? xD) in ogni caso grazie a tutti coloro che si sono soffermati a leggere e alla prox! PS: alla fine del titolo di ogni capitolo c'è il nome del personaggio che vive in prima persona gli eventi. Questa storia è strutturata in modo davvero differente da come le strutturo di solito e capirete quando ci sarà uno dei colpi finali più grossi il perchè...ma per ora non dico altro anche perché mi conosco...se inizio a dilungarmi poi spiffero troppo xD Detto questo grazie ancora e alla prossima =D Lasciate piccola recensione e farete me felice xD

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Capitolo 3
*** Parlami - Kentin ***


Quando realizzai fino in fondo ciò che mi aveva appena detto il mio cuore si crepò all’istante.
Io…ti ho sempre amata. Ho sempre o solo amato te… perché ora mi fai questo? Perché ti sei innamorata di un altro? Come è successo? Perché è successo?!
La strinsi forte tra le braccia nascondendo le lacrime. Soffrivo terribilmente. Di tutto ciò che poteva accadere, di certo non mi aspettavo che si sarebbe innamorata proprio di lui.
Forse ora comprendo perché diceva che era complicato… forse capisco perché mi ripeteva che non voleva rovinare il rapporto… come puoi convivere con due sentimenti così?! Se ti chiedessi di scegliere… che cosa faresti?
Non sapevo cosa fare, non sapevo cosa dire. Mi sentivo umiliato. Tutti gli sforzi che avevo fatto per lei… li aveva appena buttati nel cesso. Si, mi amava, ma non ero il solo. Cosa dovevo fare? Cos’altro dovevo fare per diventare l’unico ed il solo?
   «Kentin…?»
   «Non dire niente, ti prego…»
Le mie lacrime scesero lungo il suo collo. Sapevo che le sentiva. Non nascondevo nemmeno più i singhiozzi.
Sei una femminuccia…
L’umiliazione appena subita non era sufficiente. Io stesso continuavo a gettarmi merda addosso, come se l’essere messo sullo stesso piano di Castiel non fosse abbastanza.
   «Io ti amo maledizione… ti amo Hilary! Ti ho sempre amata! Ti amo cazzo! Ti amo! Ti amo! TI AMO!» Non volevo più nasconderglielo. Volevo ripeterglielo fino alla nausea. Volevo che lo sentisse talmente tante volte da stancarsi. Sentii che anche lei stava piangendo. «Siamo patetici…»
   «No Kentin… è colpa mia… mi dispiace…»
   «Se io non me ne fossi andato, che sarebbe successo?»
   «Non lo sapremo mai, e dobbiamo smetterla di chiedercelo…»
   «Dobbiamo?» chiesi ripentendo le sue stesse parole.
   «Si» rispose stringendo la presa e affondando ancora di più nel mio petto. «Dobbiamo.»
Capii che entrambi stavamo male un po’ per lo stesso motivo. Vivevamo nello stesso incubo, tormentati dalle stesse domande. Non volevo chiederle di scegliere, perché avevo capito che se avesse potuto farlo, lo avrebbe già fatto. Ma cosa potevo fare io a questo punto? Non volevo essere la ruota di scorta, volevo essere la prima scelta. Ma chi mi garantiva che avevo una possibilità di esserlo?
   «Cosa posso fare? Io… cosa posso fare per farti scegliere me?»
Non sapevo di poter essere così diretto, ma non avevo più voglia di vivere nelle incertezze.
   «Non so cosa risponderti.»
   «Come fai a non saperlo?!»
   «Kentin, io non lo so! Non lo so… non so nemmeno come sia potuto accadere tutto questo! Io…Castiel…è---»
   «Raccontami.» le chiesi cercando di nasconderle la sofferenza di queste mie ultime parole. «Raccontami di come lui è diventato così importante.»
La sentii annuire e poi mi raccontò che tutto ebbe inizio durante la corsa campestre. Lei era finita in gruppo con Castiel e, per via della stupidità di lui, si persero in mezzo alla foresta. Lui, in quell’occasione, la baciò a tradimento e lei, di risposta, lo prese a schiaffi iniziando ad insultarlo e a spiegargli che lei non era come tutte le altre, che non era innamorata di lui e che non voleva averci niente a che fare. Da quel giorno tutto cambiò. Castiel iniziò a darle attenzioni. Attenzioni positive. La difendeva dagli attacchi di Ambra, le teneva compagnia durante l'intervallo, l'aspettava all'ingresso della scuola. Inizialmente queste sue attenzioni erano fonte di disgusto per lei. Poi, piano piano, divennero un'abitudine e poi una dipendenza e, quando si accorse che aveva bisogno che lui la facesse sentire importante ormai era troppo tardi, poiché si era già innamorata. Più il suo fiume di parole scorreva implacabile, più io mi sentivo annegare dentro di esse. Ogni volta che lo citava la stringevo un po’ di più, esattamente come la morsa del mio cuore si faceva sempre più stretta, sempre più dolorante. Quando il racconto finì tentai di nascondere il mio ribrezzo nei confronti di Castiel. Lo volevo morto, ma quelli erano pensieri ignobili per chiunque. Hilary rimase in silenzio, aspettava una mia risposta, ma l’unica cosa che fui in grado di dire per l’ennesima volta fu quanto l’amassi e lei mi rispose ancora una volta che mi amava e questa volta fece un po’ meno male, poiché non aggiunse “ma amo anche lui”, e questo mi rasserenò per un istante. Restammo abbracciati per molto tempo senza dire niente. Tutto ciò che facevamo era ascoltare il reciproco battito del cuore che, nonostante il tempo trascorresse inesorabile, continuava ad essere accelerato. Le chiesi un bacio e lei sorrise baciandomi ancora, poi gliene chiesi un altro, ed un altro ancora. Quando ci fermammo pensai a tutte le cose che ipoteticamente aveva fatto con Castiel e la scaraventai lontano disgustato. Lei mi guardò spaventata ed io mi voltai di lato.
   «S-scusa…»
   «Kentin…»
Lei non si mosse e si mise a guardare a terra. La osservai di soppiatto e la vedevo accarezzarsi le labbra. D’istinto accarezzai anche le mie. Mi facevano male. Ci eravamo baciati a lungo, insaziabili, tanto da farci male.
   «Hilary… che cosa ci hai fatto? Con lui… che cosa avete fatto in mia assenza?»
Prima o poi lo avrei scoperto comunque quindi non aveva senso aspettare ulteriormente. Volevo che tutte le ferite mi venissero inferte ora, così non avrei dovuto aspettarmene altre altrettanto profonde più avanti.
   «C-ci…ci siamo solo baciati.»
   «Sei sicura?»
   «Si… vedi… io non ti ho mai dimenticato e… quando lui tentava di andare oltre io glielo impedivo perché… non volevo che fosse lui la mia prima volta…»
La osservai ridacchiare ma non cercai di capirne il motivo poiché, questa volta, afferrai subito il significato delle sue parole. La presi per mano trascinandola fino in camera mia e, aprendo la porta, le dissi che i miei non sarebbero tornati prima di sera. Non avevo bisogno di ottenere una sua risposta vocale poiché vidi subito che si stava già sbottonando la camicia. Rimasi un attimo sbigottito dalla sua audacia, ma mi persi nei suoi occhi. Non volevo aspettare. Non voleva aspettare. Non volevamo più perdere tempo. La baciai prendendola in braccio e lei si avvinghiò a me. I nostri baci divennero sempre più intensi, quasi dolorosi, famelici l’uno dell’altra, senza più voglia di perderci in ulteriori chiacchiere. La spinsi fino al letto e lei si lasciò cadere all’indietro trascinandomi giù con lei. Quando l’accarezzai sul seno mi accorsi che la camicetta che indossava era già del tutto sbottonata. Pensai che, fino al giorno prima, indossava una maglietta bianca.
Come mai ora aveva indosso una camicetta? Aveva già pensato che venendo qui…
Lasciai perdere quei pensieri inutili e continuai a baciarla. Volevo che imprimesse bene nella sua mente il mio ricordo, il ricordo dei nostri baci, il ricordo di me. Volevo prevalere su tutto, e su tutti. La tirai su di peso facendola sedere sulle mie gambe. Le nostre labbra ancora non si erano separate e velocemente le sfilai la camicetta. Le accarezzai la schiena nuda con le mani e la sentii rabbrividire. In quell’istante si allontanò dalle mie labbra ed io non persi tempo ed iniziai a baciarle il collo. La sentivo fremere sempre di più e le sganciai il reggiseno togliendoglielo. Le lasciai prima un succhiotto, poi un altro, ed un altro ancora. Iniziai ad accarezzarle il seno con la mano. La sfioravo delicatamente, mi piaceva vederla rabbrividire. Quando con le labbra mi staccai dal suo collo mi persi qualche istante a guardare il suo seno. Era bello e sodo. Perfetto. Perfetto come lei. Continuai ad osservarlo ma lei me lo impedì incrociando le braccia sul petto.
   «Kentin non guardarmi così è imbarazzante!» disse rossa in volto.
Sorrisi compiaciuto e la presi di peso coricandola sul letto e mettendomi sopra di lei.
   «Ho aspettato per tutto questo tempo. Ho pregato a lungo di poterti guardare come sto facendo ora e adesso che sono qui… niente e nessuno mi impedirà di guardare la stupenda ragazza che sei e che da sempre amo.»
Lei mi guardò sorpresa e poi mise il broncio distogliendo lo sguardo.
   «Anche io voglio guardare te però…»
Sorrisi un’ulteriore volta e mi sfilai i vestiti restando a torso nudo lei mi guardò e rimase senza parole.
Beh…se non altro uno degli effetti che volevo fare su di lei è riuscito alla grande.
Hilary si portò subito le mani sul viso coprendosi gli occhi. Non persi tempo e tornai a prendere possesso delle sue labbra mentre con le mani mi impadronivo del suo seno, questa volta in modo più deciso. Più il tempo passava e più scoprivo cosa le piaceva di più e cosa meno. Mi accorsi che adorava farsi toccare la schiena, la faceva impazzire allora, ogni volta che la stringevo, con la mano le percorrevo tutta la schiena facendola fremere ogni volta. Quando le mie mani scesero più in profondità, sfilandole i pantaloni, lei non oppose alcun tipo di resistenza anzi, mi aiutò addirittura a sfilarglieli. Mi distrassi per un istante e lei ribaltò la situazione mettendosi sopra di me. Mi restituì il favore riempiendomi il petto di succhiotti e la cosa mi fece impazzire. Mi sfilò anche lei i pantaloni e restammo entrambi solo in mutande. La cosa si fece imbarazzante e ci guardammo negli occhi per qualche secondo, come a cercare le reciproche conferme. La osservai chiudere gli occhi attendendo un altro mio bacio e subito lo presi. Mi misi nuovamente sopra di lei, appoggiandola delicatamente sul materasso. L’accarezzai su tutto il petto con un dito facendole venire i brividi. L’imbarazzo iniziale stava sparendo piano piano e non restava che la voglia di arrivare al dunque. Le sfilai gli slip e lei teneva gli occhi chiusi mentre lo facevo. Iniziai ad accarezzarla nel suo intimo e lei mi lasciò fare. Mentre io giocavo con lei, lei iniziò a giocare con me. Mi sfilò i boxer ed iniziò a giocare con il mio membro ormai stufo di essere lasciato in disparte. Più mi toccava e più andavo fuori di testa. Il solo pensiero che in quel momento fossi lì con lei faceva esplodere il mio cuore. La sentivo ansimare ad ogni mio movimento e anche la sua presa si faceva più stretta se facevo qualcosa che le piaceva particolarmente. Fu così che scoprii le cose che più la eccitavano e che più la facevano gemere. Quando arrivammo entrambi al limite ci scambiammo una rapida occhiata e fu più che sufficiente. Mi insinuai fra le sue gambe e lei mi accolse più che volentieri. Ci guardammo ancora. I nostri sguardi non si persero di vista nemmeno per un istante. La penetrai per la prima volta e vidi una piccola espressione di dolore sul suo volto.
   «Scusami…» le dissi.
Mi sentii un po’ in colpa, non volevo farle male. Lei mi sorrise e mi fece cenno di non preoccuparmi. Iniziai ad aumentare il ritmo e vidi, grazie alle sue espressioni, che il dolore stava andando via lasciando spazio al piacere. Le sue braccia mi avvolgevano sempre più forte mentre insieme ansimavamo e gemevamo. Era la cosa più bella del mondo, l’atto d’amore più bello del mondo, ed io lo stavo facendo con la persona che da sempre sognavo. In quel momento fui davvero felice, esistevamo solo io e lei e nessun altro. Aumentai ancora il ritmo. E poi ancora ed ancora. E lei sorrideva gemendo e questo mi dava ancora di più la carica.
   «Ti amo Kentin…ti amo…ti amo…ti amo da impazzire!»
 Le sue parole mi riempirono di gioia e fu in quel momento che raggiungemmo l’estasi insieme, ed anche questo mi sembro surreale, ma fu dannatamente piacevole.
 
Quando fu tutto finito riprendemmo fiato per qualche secondo. Eravamo entrambi vergini ed entrambi sfiniti. Mi coricai accanto ad Hilary e lei si appoggio sul mio petto, stanca tanto quanto me. Ci addormentammo abbracciati e, quando mi svegliai, trovarla li che riposava accanto a me mi fece scendere una lacrima di gioia.
   «Non mi importa di quello che è successo mentre ero via. Sei stata debole ma non ti biasimo. Eri sola, non avevi nessuno, io stesso avrei vacillato. Ma ora sono qui, e non permetterò a nessuno di toccarti. Io morirei per te. Farei di tutto per te. Ti amo. Ti amo troppo per perderti. Se non riuscirò a farti mia… se non riuscirò a farti dimenticare Castiel io… potrei non riuscire ad andare avanti senza di te. Sei tutto. Sei sempre stata tutto…» le sussurrai all’orecchio pensando dormisse.
La strinsi forte forte e mi riaddormentai di nuovo. Scoprii solo tempo dopo che, quello stesso giorno, lei era sveglia e sentì tutto. Forse, se non avesse sentito quelle parole, ora sarebbe ancora qui.
 
Fu mia madre a svegliarmi quando rientrò e subito mi allarmai temendo mi avesse scoperto con Hilary ma lei, ormai non c’era più. Nascosi il mio allarmismo a mia madre e finsi di essermi addormentato per via del troppo allenamento. Non appena se ne andò scattai in piedi e mi infilai i boxer cerai il cellulare per mandare un messaggio ad Hilary ma la vidi uscire da sotto il letto:
   «Ma che diavolo…»
   «Scusa, è che ho sentito tua madre rientrare e mi sono vestita in fretta e furia ma non sono riuscita a sgattaiolare via in tempo.»
   «Perché avresti dovuto “sgattaiolare via”? Sa benissimo che siamo amici.» sillabai stranamente questa parola.
Cosa siamo adesso?
   «Si, certo, un tempo eravamo sempre assieme, ma come ci giustificavamo se ci trovava nudi nello tuo letto? Andiamo, tua madre non è così tonta.»
   «Giusta osservazione.»
La guardai ancora.
Come mi sento ora? Felice. Come voglio sentirmi in futuro? Felice. Come voglio rendere Hilary in futuro? Felice.
Mi avvicinai a lei che si stava sistemando i vestiti e l’abbracciai per l’ennesima volta.
   «Kentin?»
   «Ti amo.» La sentii sussultare ancora ma la strinsi forte. «Sono qui adesso e non andrò da nessuna parte.»
Volevo farle capire che sarei rimasto lì per sempre. Lì per lei. Nel bene e nel male. La sentii rilassare prima di ricambiare l’abbraccio.
   «Ti amo anche io.»
Restammo in silenzio qualche secondo e poi la sentii sospirare. Sentii che stava per aggiungere qualcosa ma la interruppi.
   «Hilary, non aggiungere altro. Ora ci sono io. E vivremo le cose assieme da ora in poi. Sei d’accordo?»
   «I-io…»
   «Hilary. Io e te. Sono qui. Non me ne andrò più. Non ti lascerò mai sola. Qualunque cosa accadrà. Non ti chiederò di essere la mia ragazza. Capisco che la situazione sia complicata e, a modo mio, cercherò di accettarla. Ma ora che sono qui, non ho intenzione di cederti a nessuno. Prima non avevo la possibilità di combattere perché ero lontano… ma ora sono qui. Non siamo mai stati insieme… quindi il fatto che siano successe delle cose con Castiel non le reputo un tradimento. Mi fanno male, molto male lo ammetto, ma questo non cambia il fatto che ti amo immensamente, e so che anche tu mi ami e questo per ora mi basta. Ma non mi accontento. Riavrò il monopolio sul tuo cuore sappilo. Dammi solo la possibilità di conquistarti come si deve. Dammi la possibilità di farti capire che sono io la persona giusta per te. Sarai tu a scegliere alla fine, ma farò in modo di essere io il vincitore.»
   «Kentin… tu hai sempre fatto parte del mio cuore. Quindi non hai bisogno di chiedermi una possibilità. Tu… ci sei sempre stato e ti darò tutte le possibilità che vuoi. Perdonami se mi sono… innamorata anche di lui. È stato uno sbaglio, lo ammetto, ma non posso negarlo. Vi amo entrambi e… ora come ora non so scegliere. Mi dispiace di essere così… però io sono qui ora. E ti amo. Ti amo davvero. Sarò sincera da ora in poi. Chiedimi quello che vuoi ed io risponderò sinceramente. Ti ringrazio per il fatto che non mi poni davanti ad una scelta… e perdonami se ti creo così tanti problemi.»
   «Non sarebbe una relazione vera se non ci fossero dei problemi… beh… la nostra non è ancora iniziata, ma va bene lo stesso perché io farò in modo che diventi vera. E sarà per sempre.»
Hilary mi strinse fra le sue braccia e poi mi salutò con un bacio prima di sgattaiolare fuori dalla finestra e tornare a casa sua. Mi sedetti sul letto iniziando a pensare ad un modo per conquistarla in modo definitivo eliminando dalla sua mente e dal suo cuore Castiel.
 
Nessuno di noi avrebbe mai potuto immaginare che il concatenarsi degli eventi successivi e della “guerra” che si scatenò tra me e Castiel scatenò un terribile effetto domino che ci distrusse tutti quanti, e che quella che ne subì le conseguenze più di tutti fu Hilary stessa.




Commento dell'autrice: immagino di dover smettere di scrivere a quest'ora...ma che ci posso fare...sono un animale notturno xD In ogni caso questa sera non mi sono limitata a scrivere questo capitolo. Come già avrete notato (e come ho scritto in precedenza mi pare) ogni capitolo, nel titolo, ha in fondo il nome del personaggio che vivrà la storia. Per ora il personaggio è sempre stato Kentin ma questa sera ho scritto tutta la parte vissuta da punto di vista di Hilary (la quale include gli eventi vissuti con Castiel che per ora sono ancora "segreti" uhuh) il mio dubbio è se postarlo già adesso o metterlo verso la fine quando succederà una determinata cosa (ehi non vi aspettato spoiler...ho la bocca cucita xD) credo che lo metterò verso il fondo quindi quando vedrete il capitolo di "Hilary" armatevi di pazienza perchè sarà bello lungo xD il mio vero dilemma sta se fare un capitolo con Castiel come "protagonista" o meno...perché per ora non è necessario....puff dilemmi xD Va beh nel dubbio come sempre chiedo perdono per gli errori (se scrivessi di giorno magari ne farei meno...mannaggia a me xD) in ogni caso grazie a tutti coloro che leggeranno e un grazie ancora più grande a chi lascerà una recensione! UN BACIONE E ALLA PROSSIMA!! PS: BUON ANNO A TUTTI (anche se leggermente in ritardo xD)

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Capitolo 4
*** Dal Mio Punto Di Vista - Hilary ***


Fin da quando ho memoria, ricordo di essere sempre stata un maschiaccio. Ricordo mia madre lamentarsi con le sue amiche del fatto che mi rifiutavo di indossare abiti femminili come gonne o vestiti, di farmi acconciare i capelli o di giocare con le bambole. Ricordo la sua voce piagnucolante che mi accoglieva ogni volta che tornavo a casa coperta di terra perché avevo passato il pomeriggio al parco giocando alla lotta con i miei amici. E ricordo anche di quel giorno, quando salvai Kentin dai bulli. Era il compleanno della mamma e, come regalo, decisi di indossare uno di quei vestitini che mi aveva regalato ma che mi ero sempre rifiutata di indossare. Aprii l’armadio afferrando quello che mi sembrava meno sbarazzino ed appariscente e la scelta ricadde su quello azzurro. Lo infilai a fatica, non essendo abituata a quel genere di abito ci misi qualche minuto prima di capire come indossarlo per il verso giusto. Una volta indosso afferrai delle ballerine nere che trovai li vicino. Scesi al piano di sotto e mia madre scoppiò in lacrime non appena mi vide. Iniziò a baciarmi il viso ripetendomi più volte che ero la bambina più bella del mondo e che le avevo fatto una sorpresa meravigliosa. Non mi aspettavo di certo una reazione simile e forse fu un po’ per quel motivo che, tempo dopo, decisi che vestirmi con qualcosa di più femminile non fosse poi una così pessima idea.
 
Mi accompagnò a scuola ricordandomi ancora una volta quanto fossi stupenda con quell’abito prima di scendere dall’auto e raggiungere le maestre. Non appena arrivai nella mia aula i miei amici non mi riconobbero anzi, iniziarono a prendermi in giro per via della mia appena scoperta femminilità. Rimasi isolata per tutta la mattinata. I maschi, quelli che fino a poco prima credevo miei amici, mi prendevano in giro da lontano e quindi non mi lasciavano avvicinare a loro mentre le ragazze erano spaventate dalla mia presenza. Pensavano che, visto che avevo passato tutto quel tempo con i maschi, fossi un abominio che non sa come giocare con una bambola. Effettivamente, non avevano tutti i torti su quest’ultimo punto. Non avevo mai apprezzato le bambole e non ci avevo mai giocato, ma non ero comunque un abominio. Ricordo che ero in un angolo a giocare con le macchinine quando sentii qualcuno piangere dentro la casetta poco lontano da me. Mi alzai avvicinandomi per vedere cosa stesse succedendo. La prima persona che scorsi fu Erik, il ragazzino che tutti temevano per via della sua innata violenza. Nessuno gli diceva mai niente poiché era il figlio dell’insegnante più cattiva di tutto l’asilo. Quando mi accorsi che stava percuotendo Kentin non ci vidi più. Non conoscevo Kentin personalmente, ma conoscevo la sua storia. Da sempre veniva snobbato da tutti per via della sua corporatura gracile e minuta. Non giocava mai con nessuno, restava sempre da solo. Visto come avevo passato la mattinata capii quanto dovesse essere dura per lui venire qui tutti i giorni e decisi di intervenire immediatamente. Mi resi conto che, con un vestito, non avrei potuto essere d’aiuto più di quel tanto. Subito dopo mi accorsi che la madre di Erik non era presente quel giorno e, di conseguenza, non avrebbe potuto difenderlo. Decisi allora di entrare in azione:
   «Maestra! Maestra! Erik e gli altri stanno di nuovo trattando male Kentin!»
Vidi i ragazzi scattare sull’attenti e correre via all’istante. Sorrisi vittoriosa mentre mi avvicinai al povero Kentin aiutandolo a rialzarsi. Lui mi guardava con aria spaesata. Capii che, probabilmente, si sentiva a disagio e non sapeva come ringraziarmi. Iniziai a pulirgli i pantaloni e lui mi offrì un biscotto. Ci scambiammo qualche parola prima di addentarlo. Forse fu in quel momento che qualcosa scattò in me. Fu quella sua semplice gentilezza a farmi decidere che volevo restargli accanto per sempre. Lui non era come i miei precedenti “amici”. Nessuno di loro mi aveva mai invitata da nessuna parte o offerto qualcosa. Tutti venivano a lottare con me perché mi vedevano come un loro pari ma nulla di più. I li reputavo miei amici, ma loro non mi reputavano tale. Probabilmente ero solo un passatempo, ma a questo punto poco mi importava. Kentin era gentile, non gli importava come mi vestivo o come mi comportavo, lui era diverso, diverso abbastanza da farmi decidere di passare il resto del tempo con lui.
 
Passò del tempo da allora ma io continuavo a restare al suo fianco. Lui era il mio prezioso amico, l’unico che mi aveva accettata completamente anche quando aveva scoperto tutte le sfaccettature del mio carattere, l’unico che non mi aveva mai abbandonata. Passammo tutta la nostra infanzia assieme. Io ero il suo “cavaliere”, come mi chiamava lui. Diceva che solo io potevo esserlo perché ero l’unica in grado di salvarlo sempre e comunque e questo mi rendeva felice perché mi faceva capire che ero qualcuno di importante per lui. Le cose per noi andavano bene fino a quando non arrivammo al liceo. La pubertà fu la mia rovina. Mai più di quel momento odiai il mio corpo. La mia forza, che prima era sufficiente per difenderci entrambi, piano piano divenne sempre meno efficiente di quella dei miei avversari. Il mio corpo, che prima era lineare, si coprì di forme che non sentivo mie e che non volevo. Quando mi guardai allo specchio e vidi la mia femminilità sbocciare mi maledii perché temevo che Kentin mi avrebbe abbandonata se non fossi più stata in grado di essere il suo cavaliere. Ricordo che coprii tutti gli specchi della casa, poiché il mio riflesso era diventato fonte di odio per me stessa. Un giorno, quel maledetto giorno, arrivai a scuola troppo tardi. Entrai alla seconda ora ed incrociai Nathaniel che mi disse che Kentin era finito nei pasticci ed era dalla preside insieme a suo padre. Subito mi allarmai e corsi in direzione dell’ufficio della preside. Per i corridoi incrociai Castiel e furibonda mi fermai davanti a lui.
   «Giuro che se gli hai fatto qualcosa la pagherai cara!!»
   «Ehi, calma bambolina, io non ho fatto proprio un bel niente.»
Lo superai velocemente. Se davvero non era coinvolto, non mi serviva parlare con lui. Quando arrivai davanti alla porta ero pronta a bussare ma qualcuno uscì prima che potessi farlo. Lo sguardo triste di Kentin mi travolse all’istante e subito lo abbracciai.
   «Scusami, non sono arrivata in tempo.» dissi stringendo l’abbraccio. «Che è successo?»
   «Beh… Ambra si è messa di nuovo a umiliarmi in mezzo al corridoio… solo che questa volta ha pensato che versarmi addosso il succo che avevo appena comprato per regalartelo fosse divertente e… beh… mentre lo faceva la preside ci ha visto e ci ha convocati tutti quanti… compresi i nostri genitori.»
   «Oddio santo scusami… se solo fossi arrivata prima…»
   «Hilary sta tranquilla, non è colpa tua, sono io che avrei---»
   «Kentin, ora andiamo.» tuonò suo padre da dietro di lui. «Dobbiamo parlare.»
Non ebbi il tempo di accorgermi di cosa stava accadendo poiché suo padre lo prese per un braccio strattonandolo dalla mia presa e trascinandolo via impedendomi di sentire il continuo della sua frase. Subito dopo Ambra mi passò accanto. D’istinto l’afferrai per la maglietta alzandola di qualche centimetro e sbattendola contro gli armadietti.
   «Razza di oca schifosa, giuro che se succederà qualcosa a Kentin io---»
   «Signorina Hilary! Devo convocare anche i suoi genitori, per caso?!»
Lo sguardo furibondo della preside mi fulminò all’istante ed io lasciai la presa. Ambra scappò a gambe levate mentre i suoi genitori mi guardavano disgustati. Li guardai contraccambiando lo sguardo e me ne andai. A pochi metri da me vidi Castiel che osservava divertito la scena.
   «Ma come siamo aggressive.» mi disse mentre lo superavo.
   «Fottiti Castiel.» risposi irritata.
 
Per tutta la giornata non ebbi notizie di Kentin e suo padre non mi permise di vederlo nemmeno quando mi presentai sotto casa sua. Solo il giorno dopo ebbi sue notizie. Mi disse che suo padre lo aveva ritirato da scuola e che presto, molto presto, sarebbe partito per quella nuova. Una scuola totalmente diversa. Una scuola militare. Non accettai di buon grado la notizia anzi, probabilmente non l’ho ancora accettata. Avevo sempre temuto che qualcuno, prima o poi, me lo avrebbe portato via ma, di certo, non mi aspettavo che sarebbe stato suo padre. Il giorno della sua partenza lo abbracciai forte forte. Non volevo lasciarlo andare. Non volevo perderlo.
Cosa farò senza di te? Come passerò le mie giornate? Io… non sono niente senza di te… io ho solo te… io…
Fu in quel momento che me ne accorsi. Io, che da sempre ero stata il suo cavaliere, improvvisamente mi accorsi invece di essere la principessa. Già. La stupida principessa innamorata del suo principe.
Perché?! Perché adesso?!
Ancora oggi non comprendo perché ci misi così tanto, a quei tempi, a capire che l’affetto che provavo per lui non era quello che si prova per un semplice amico. Quando partii mi chiese di aspettarlo ed io gli dissi di si. Non potevo far altro.
Io ti amo Kentin. E ti aspetterò per sempre.
 
Il giorno dopo la sua assenza si fece sentire ed ogni giorno era sempre peggio. Ero tornata da sola. Di tanto in tanto parlavo con Nathaniel, ma nulla riusciva a coprire la sua assenza. Nulla mi toglieva la sete che avevo di lui. Il vuoto che aveva lasciato mi logorava sempre di più. Gli mandavo le mie foto poiché speravo che anche lui sentisse la mia mancanza. Gliele spedivo sperando di riceverne una sua. Me ne bastava una. Una soltanto avrebbe fatto la differenza ma lui non lo fece. Mai. Diceva che voleva sorprendermi con il suo cambiamento, ma non si accorgeva che mi faceva solo sentire più sola. La mia vita cambiò radicalmente. Persino Ambra aveva la meglio su di me. Non mi difendevo e la lasciavo fare. Non avevo più voglia di combattere ed essere forte. Non avevo più motivo di farlo. Quando ci dissero che avremo fatto una corsa campestre mi sentii sollevata in parte poiché pensavo, o per lo meno speravo, che questo avrebbe aiutato a farmi distrarre ma, quando vennero sorteggiate le coppie e scoprii di essere con Castiel, la mia piccola speranza morì istantaneamente. Cercai di convincere mia madre a non firmare il foglio con il permesso scritto ma lei insistette dicendomi che mi sarebbe stato d’aiuto per distrarmi. Mai fece scelta più sbagliata.
 
Quella mattina la partenza era fissata per le sette. Salii sull’autobus e mi sedetti a metà. Nessuno si mise accanto a me, ma poco importava. Non volevo nessuno anche perché, l’unica persona che davvero volevo, era a più di mille chilometri di distanza da me. Ricordo che mi addormentai risvegliandomi all’arrivo. Scesi dal pullman e Castiel mi raggiunse. Nessuno dei due parlava. Nessuno dei due voleva essere lì. La direttrice ci diede la mappa e Castiel decise di esserne il detentore. Pessima scelta, poiché la perse poco dopo, proprio mentre eravamo al centro del bosco. Girammo a vuoto per ore e, quando calò la notte ed il freddo iniziò a farsi sentire, Castiel cominciò a diventare tremendamente irritato. Non so cosa scattò in lui improvvisamente, fatto sta che mi prese a forza sbattendomi contro un albero e baciandomi. D’istinto gli morsicai la lingua e, quando si allontanò, lo presi a schiaffi insultandolo con tutti e termini più maleducati che conoscevo. Lui mi guardò furioso in un primo momento ma poi la sua espressione cambiò. Non mi accorsi di che tipo fosse poiché ci trovarono in quel momento. Fu la mia sbadataggine di allora che fece scattare quel qualcosa in lui. Sul viaggio di ritorno si sedette accanto a me. Per quanto tentassi di farlo allontanare lui restava lì seduto. Decisi di ignorarlo ma, forse, per lui quello fu un segno di via libera, cosa che invece non era. Da quel giorno mi si appiccicò come una medusa. Me lo ritrovavo davanti a scuola, all’uscita dell’aula all’intervallo, dovunque. Ambra iniziò a torturarmi ancora di più poiché diceva che le avevo rubato “il suo Castiel”, ma nulla di tutto ciò che faceva aveva effetto poiché lui accorreva sempre in mio soccorso. Non capivo il perché delle sue attenzioni. Inizialmente le trovavo odiose e seccanti, ma alla fine divennero un’abitudine e, senza che me ne accorgessi, il suo essere così onnipresente colmò il vuoto che l’assenza di Kentin aveva lasciato in me. Quando mi accorsi che ero diventata io la prima a cercarlo ogni mattina, capii che era già troppo tardi. Mi resi conto che una parte di me, quella che si era arresa e che pensava che Kentin non sarebbe più tornato, si era innamorata di Castiel, mettendosi così contro l’altra parte di me, che ancora fremeva al pensiero del mio principe. Quando ci fu la recita scolastica e venni scelta come protagonista della fiaba “la bella addormentata nel bosco”. Di certo non mi aspettavo che Castiel avrebbe fatto carte false per ottenere la parte del protagonista maschile. Quel che so è che quel giorno mi baciò di nuovo durante quella stessa recita, dove quel bacio avrebbe dovuto essere finto ma finto non fu. Furono le sue labbra appoggiate sulle mie che fecero fremere il mio cuore. Quando la recita si concluse corsi fuori dalla palestra rintanandomi nell’aula di scienze. Credevo di essere sola, invece mi resi conto di non aver corso abbastanza in fretta.
   «Che vuoi? La recita è finita.» gli dissi seccata.
   «Si può sapere perché mi tratti con tanta ostilità? Penso sia ora che la smetti di fingere.» mi rispose Castiel affiancandomi.
   «Ho smesso di recitare da un po’. La recita è finita qualche minuto fa, se ben ricordi.»
   «Sto parlando di noi. Devi smetterla di recitare quando sei con me.»
   «Te? Noi? E quando mai ci sarebbe stato un noi
Non volevo ammettere a me stessa, quella parte di me stessa che lo amava, che quel sentimento esisteva davvero.
   «Ti ho vista, sai? Ho visto come sei arrossita quando ti ho baciata. Tu avevi gli occhi chiusi, ma io no. Ti ho guardata. Ti ho guardata per tutto il tempo. Ho visto il tuo viso passare dal rilassato al teso ed il tuo corpo fremere non appena ti ho sfiorata. Sono mesi che ti sto dietro e ancora ti ostini a non capire? Io ti amo Hil, non è difficile da comprendere. E anche tu mi ami, ormai l’ho capito bene. Perché lo stai negando a te stessa?»
Me stessa dici? Non hai idea di quanto sia sbagliato tutto questo… di quanto io non voglia essere innamorata di te. Di quanto ogni singola parola che stai dicendo stia mandando in mille pezzi tutto quello in cui ho creduto fin ora.
Castiel iniziò ad avvicinarsi a me sempre di più lasciandomi indietreggiare fino a quando non toccai il muro con la schiena. Non mi bloccò la fuga come immaginai anzi, mi lasciò libera di fare la mia scelta e, probabilmente, sbagliai a non fuggire il quel momento. Se l’avessi fatto, probabilmente lui avrebbe mollato la presa. Se l’avessi fatto, probabilmente non sarebbe nato tutto questo casino. Se l’avessi fatto, magari quella parte di me che lo amava sarebbe scomparsa per sempre. Ma non lo feci, anzi. Rimasti ferma dov’ero mentre lasciavo che le sue dita si intrecciassero alle mie. Lasciai il suo corpo premere sul mio mentre le sue labbra si impossessavano di quello che era il mio primo, vero bacio. Mentre la sua lingua giocava con la mia, la parte di me che amava Kentin implorava perdono piangendo disperata, ma tutto ciò che sentivo era la parte che amava Castiel, che si dimenava felice come una pasqua facendo correre la maratona del secolo al mio cuore. Non ci mettemmo mai ufficialmente assieme. Castiel non me lo chiese mai, anche perché probabilmente intuiva quale sarebbe stata la mia risposta. Aveva lottato per mesi per avermi e ora aveva deciso di fare le cose con calma, sebbene ogni tanto facesse il prepotente per ottenere ciò che voleva. Non ci spingemmo mai più in la del bacio, io non volevo, la parte di me che amava Kentin era ancora ben vigile e non mollava la presa. Era lei ad impedirmi di fare il passo successivo e di questo, ora come ora, la ringrazio. Non gli permettevo di essere affettuoso con me in pubblico, non volevo che qualcuno sapesse, poiché io stessa non volevo renderlo pubblico perché, in fondo, non ogni parte di me lo accettava. Più passava il tempo e più ero combattuta. Sebbene non soffrissi più per il vuoto lasciato da Kentin, ora soffrivo per la battaglia interiore che viveva in me.
 
Il giorno che tornò fu uno dei più belli di tutta la mia vita. Ero andata a fare spese ed un gruppo di ragazzi aveva iniziato ad importunarmi. Non sapevo cosa fare. Stavo per chiamare Castiel poiché non avevo nessun altro a cui rivolgermi quando lui tornò. Lo vidi balzare davanti a me mettendo KO il ragazzo che mi stava trattenendo, spaventandoli tutti quanti e facendoli allontanare. Quando si voltò verso di me lo abbraccia d’istinto. Sapevo che era lui. Il mio cuore me lo stava dicendo. Lo strinsi forte. Il suo profumo, il suo calore, ora che li stavo dimenticando finalmente erano tornati. Ero felice, tanto felice. Tornai a casa tenendolo a braccetto e, una volta arrivata, gli chiesi se l’avrei rivisto l’indomani. Lui mi rispose di si e quelle parole furono abbastanza per farmi quasi piangere dalla gioia. Il giorno dopo mi alzai presto e andai a scuola prima del solito. Non volevo incrociare Castiel. Sapevo che sarebbe stato ad aspettarmi e mi resi conto che ero in una pessima situazione. Non appena arrivai in aula mi sedetti al mio banco. Capii che era il momento di agire e di scegliere. Iniziai a vedere Castiel solo come un ripiego per la mancanza di Kentin e decisi che era davvero così che mi sentivo. Quando Kentin arrivò lo feci sedere accanto a me. Passai l’intera lezione a fissarlo di soppiatto. Era diventato davvero bello. Volevo baciarlo. Desideravo ardentemente farlo. Quando il professore mi disse di consegnare dei moduli a Nathaniel mi alzai ed uscii dalla classe per andare da lui ma sentivo che Kentin mi stava guardando e questo mi spinse a farmi forza.
Devo “rompere” con Castiel e dichiararmi a Kentin.
Uscita dalla sala delegati camminai in fretta per tornare in aula da Kentin quando la sua voce mi fece fermare.
   «Ehi.» Un brivido mi percorse la schiena mentre sentivo Castiel avvicinare. «Non ti ho vista stamattina. Ti ho aspettata. Quando sei arrivata?»
Capii che se c’era un momento perfetto per affrontarlo senza avere intorno un pubblico curioso, era quello. Mi voltai verso di lui che subito mi serrò le labbra con un bacio. Scattai all’indietro e mi guardai intorno temendo di essere stata vista.
   «Oh andiamo potresti anche rendere pubblica la cosa a questo punto!» disse tentando di nascondere il fatto che ormai si era stancato di tutto quel mistero.
   «Visto che siamo in argomento.» continuai. «Devo parlarti.»
   «Era ora.» mi disse sorridendomi ed avanzando verso di me.
Io indietreggiai fino a restare bloccata con le spalle al muro. Per un attimo, ebbi un dejà vu, ma purtroppo lui non fu così accondiscendente come durante il nostro primo bacio. Si avvicinò a me e mi guardò aspettando il continuo della mia frase.
   «Castiel io… ho deciso… noi… dobbiamo farla finita. Questa cosa mi ha stufata quindi diamoci un taglio.» dissi mentre una parte del mio cuore urlava “non è vero”.
Volevo essere diretta. Avevo scelto Kentin e non volevo che quello che c’era stato tra me e Castiel rovinasse quello che volevo creare con Kentin. Cercai di andarmene ma la mia fuga venne bloccata istantaneamente. Cercai di respingerlo spingendolo via ma non ci riuscii.
   «Noi non diamo un taglio proprio a niente, mia cara. Non ho fatto tutta questa fatica solo per ricevere un due di picche. Dopo tutto quello che c’è stato tra noi poi… perché adesso, di punto in bianco, te ne esci con un “dobbiamo farla finita?” credi davvero che lo accetterò? Scordatelo!» Cercai di respingerlo in tutti modi, ma lui era fin troppo forte. Quando la sua mano mi accarezzò sussultai. Non volevo continuare tutto questo, volevo farla finita. Eppure, qualcosa in me continuava a non respingerlo del tutto. «Su andiamo.» sibilava a voce bassa. «Non dovresti più agitarti in questo modo a questo punto, non credi?»
Perché mi tratti come se fossi tua?! Smettila di farmi sentire importante… smettila di farti amare… io non voglio amarti… io voglio odiarti… voglio odiarti!!!
Quando mi baciò mi sentii sprofondare. Non volevo tutto questo, ma non potevo combatterlo. Il mio cuore che batteva così forte per lui… non potevo controllarlo. Io lo amavo esattamente come amavo Kentin. Non potevo dire di “no” quando una parte di me diceva “si”. Sebbene volessi una cosa, da un lato c’era sempre qualcosa che mi spingeva a volere l’altra. Vivevo in un limbo di scelte contraddittorie che si scontravano a vicenda portandomi all’autodistruzione. Mentre mi arrendevo a lui accettando che non lo avrei dimenticato lo sentii allontanarsi improvvisamente. Quando mi accorsi che ad intervenire fu proprio Kentin mi crollò il mondo addosso.
Di tutte le persone… perché lui?! Perché proprio lui dannazione!
Li guardai discutere per un attimo quando decisi di intervenire. Afferrai la mano Kentin con l’obbiettivo di trascinarlo via ma, alla fine, fu lui a portarmi via da lì. Quando si fermò la prima cosa che fece fu lasciare la mia mano.
È la fine.
Pensai, terrorizzata da quello che stava per accadere. Kentin mi chiese più volte una spiegazione. Era agitato, frustrato, arrabbiato. Lo vedevo, lo capivo, lo conoscevo abbastanza bene da comprenderlo con uno sguardo cosa che lui non era mai riuscito a fare con me… chissà perché. Più mi chiedeva chiarimenti più mi chiudevo in me stessa. Non volevo affrontarlo, non volevo che tutto questo venisse alla luce.
Volevo solo dichiararmi e stare con lui… volevo solo che finisse tutto bene… se solo… se solo non mi fossi innamorata anche di Castiel… DANNAZIONE!
Cercai un modo per dirgli come stavano le cose senza ferirlo troppo, ma mi accorsi che non c’era un modo per farlo. Non volevo mentirgli, ma non volevo nemmeno dirgli la verità. Quanto mi intimò di guardarlo e cercare di comprenderlo gli risposi con quella che, per me, fu una piccola dichiarazione di quell’amore che da sempre provavo per lui.
   «Ti guardo Kentin. Non hai neppure idea di quanto tempo abbia passato a guardarti.»
Mi veniva da piangere. Sentivo come se le mie parole risuonassero dentro di me. Una me vuota. Una me che lo aveva tradito innamorandosi di un'altra persona durante la sua assenza. Sentii le lacrime salirmi agli occhi e corsi via prima che potesse farmi ulteriori domande. Mi allontanai di qualche metro, abbastanza da nascondermi da lui. Lasciai le lacrime scendere e, quando si fermarono, mi feci forza e tornai suoi miei passi. Lui era Kentin, se gli avessi spiegato la situazione, sicuramente avrebbe capito. Quando tornai, la scena che vidi mi uccise. Lui mi lanciò una rapida occhiata prima di baciare Ambra, la nostra nemica giurata, la stessa persona che l’aveva fatto partire per la scuola militare. In un secondo mi sentii morire. Realizzai come si fosse sentito lui poco prima vedendomi baciare Castiel, anche lui nostro nemico giurato. Pensai a quanto fossero pateticamente simili ma al contempo diverse le situazioni. Corsi via di getto prima di riprendere a piangere. Quando mi asciugai le lacrime per la seconda volta decisi di cercarlo. Sapevo dove si era rintanato. Andai sul retro della scuola e lo trovai li, appoggiato ad un albero. Mi appoggiai anche io, dandogli le spalle, aspettando una sua qualche reazione. Subito non fece nulla, poi lo sentii prima sbuffare e poi ridacchiare.
A cosa stai pensando Kentin? A chi stai pensando? Sei felice? Sei triste? Perché ora che siamo qui assieme, così vicini dopo tanto tempo, ti sento così lontano? Dio se solo sapessi quanto ti amo… se solo sapessi quanto mi dispiace, quanto non avrei voluto tutto questo. Vorrei gridarti che mi dispiace, ma ho paura che non capiresti. E come potresti capire? Nemmeno io comprendo come siamo giunti a tutto questo… amare te è sempre stato così semplice ma poi… puff… te ne sei andato via. Per giorni… mesi… anni. Per tutto questo tempo sei stato via. Sei sparito. Sentirti non mi bastava, non mi è mai bastato. Ho sempre e solo voluto te, ma l’ho capito troppo tardi, e tu te ne sei andato. Come sarebbe andata eh, Kentin? Che ne sarebbe stato di noi? Se non te ne fossi mai andato… mi sarei mai accorta dei miei sentimenti? Probabilmente si… prima o poi. Sono troppo forti, non avrei potuto non accorgermene ad un certo punto. E tu invece? Mi ami? Mi hai mai amata? Mi amerai? Come andranno le cose? Come sarebbero andate? Mi hai raccontato di come hai vissuto la tua vita alla scuola militare… e allora perché mi sembra di aver perso attimi importanti sebbene me li hai raccontati tutti? Perché mi sembra di aver perso una parte fondamentale di te in questi anni? Kentin… perché sei dovuto andare via? Perché mi hai lasciata sola? Se solo non te ne fossi andato io…
Quando mi resi conto che stavo scaricando la mia frustrazione su di lui dandogli la colpa scossi la testa e mi alzai allontanandomi.
Non è colpa tua… sono stata io la stupida a lasciare che Castiel facesse breccia nel mio cuore.
 
A fine lezione tornai a casa e mi rinchiusi in camera spegnendo il cellulare. Volevo restare sola, ma sola davvero. Il giorno dopo a scuola di Kentin non c’era traccia. Mi preoccupai immediatamente e, a fine lezione, corsi da lui. Suonai il campanello e quando li vidi aprirmi la porta mi sentii meglio. Il suo sguardo era gelido ma, per lo meno, sembrava stare bene. Riuscii ad entrare in casa sua sebbene lui non sembrasse entusiasta della cosa. Guardammo un po’ di televisione, parecchie puntate di un programma a cui non prestavo davvero attenzione. Tentavo di trovare le parole giuste per sistemare la situazione e, quando iniziai a parlare, mi resi conto che l’essere diretta non fu la migliore delle mie idee. Iniziammo una discussione che volse al peggio. Kentin mi chiese di andarmene ma io non volevo. Temevo di perderlo ancora ma, questa volta, gli avrei impedito di sparire sotto i miei occhi. Quando si voltò nella mia direzione lo abbraccia forte, decisa a non mollare la presa. Lui tentò di allontanarmi e parlammo ancora ma fu una sua particolare frase a colpirmi più di tutte:
   «Perché per te è stato importante il tempo passato con me, ma lo è stato anche il tempo in cui io non ci sono stato e, probabilmente, in quel lasso di tempo ho perso tanti momenti con te che non potrò mai recuperare. Momenti in cui qualcun altro ha preso il mio posto. Ed io non voglio assistere allo spettacolo che io avevo immaginato per me ma che vedo vivere ad un altro.»
Ascoltai attentamente quelle parole e mi accorsi subito che era una specie di dichiarazione. Non avevo bisogno di altro. La mia conferma era lì. L’avevo appena sentita.
Kentin… per quanto tempo andremo ancora avanti a farci dichiarazioni celate? Ora…basta.
Cercai di fargli capire che anche io lo amavo ma lui sembrava ostinarsi a non comprendere e decisi che, se le parole non erano sufficientemente chiare per lui, sarebbero stati i fatti a parlare. Lo baciai improvvisamente. Di certo non se lo aspettava, ma io ero stufa di girare attorno al nostro amore reciproco. Quando la sua presa si fece più forte capii che anche nella sua mente ogni dubbio era finalmente cancellato. Ci baciammo a lungo e, sebbene i suoi baci erano decisamente meno “esperti” di quelli di Castiel, erano i più dolci che avessi mai provato. Quando ci allontanammo e gli dissi che lo amavo capii che non potevo più mentirgli. Se voleva la verità, doveva saperla tutta. Fu in quel momento che gli dissi che amavo anche Castiel. Gli raccontai tutto. Gli spiegai di come Castiel, da odioso nemico giurato, divenne la persona che mi stava sempre accanto, la persona che tappò il vuoto che la sua assenza aveva creato, senza però mai farlo sparire dai miei pensieri. Gli parlai apertamente come mai avrei creduto di fare e sperai, pregai fino all’ultimo che lui non mi abbandonasse proprio ora. Le parole ripresero a scorrere e lui mi stringeva sempre più forte fino a chiedermi di baciarlo. Lo feci, senza pensarci due volte. Ci baciammo più e più volte fino a quando non mi scaraventò lontana, per un qualche motivo. Lo guardai spaventata. Temevo che fosse il suo modo per dire “game over”. Temevo che non potesse accettare tutto ciò che era accaduto. E chi poteva biasimarlo?
Se invertissimo la situazione tu fossi innamorato sia di me che di Ambra…io non so come reagirei.
Iniziai ad accarezzarmi le labbra, temendo che il suo sapore sarebbe sparito di lì a poco. Quando mi chiese cosa era successo tra me e Castiel gli risposi apertamente. Notai che rimase impalato quando gli dissi che avevo sempre sognato la mia prima volta con lui. Le sue parole di risposta non arrivarono ma, questa volta, furono i suoi gesti a parlare per lui. Mi afferrò per la mano trascinandomi per mezza casa fino ad arrivare in camera sua. Aprii la porta e, voltandomi verso di me, mi disse:
   «I miei genitori non tornano prima di stasera.»
Non avevo bisogno di altro, anche perché mi stavo già sbottonando la camicetta. Facemmo l’amore per la prima volta quel pomeriggio. Non fu particolarmente doloroso, anche perché ero troppo felice per far caso al dolore. Mentre lo facevamo iniziai a ripetergli quanto lo amassi, per fargli capire che provavo gli stessi sentimenti che lui provava per me. Non volevo farlo sentire solo, non volevo che non si sentisse amato, perché io lo amavo. Dio solo sa quanto lo amavo. Quando finimmo ci addormentammo abbracciati. Fui io la prima delle due a svegliarmi ma restai immobile nella mia posizione con gli occhi chiusi. Volevo godermi il momento fino in fondo. Quando lo sentii svegliarsi restai in silenzio. Volevo fargli un piccolo scherzo ma, fingendo di dormire, sentii una frase dolcissima che forse non avrei dovuto sentire.
   «Non mi importa di quello che è successo mentre ero via. Sei stata debole ma non ti biasimo. Eri sola, non avevi nessuno, io stesso avrei vacillato. Ma ora sono qui, e non permetterò a nessuno di toccarti. Io morirei per te. Farei di tutto per te. Ti amo. Ti amo troppo per perderti. Se non riuscirò a farti mia… se non riuscirò a farti dimenticare Castiel io… potrei non riuscire ad andare avanti senza di te. Sei tutto. Sei sempre stata tutto…»
Cercai di non piangere mentre dentro di me nacque l’ennesimo conflitto interiore che mi spinse ad odiarmi ancora di più.
 
Quando sentii rientrare sua madre scattai sull’attenti. Mi vestii in fretta e furia ma non ebbi il tempo di fuggire. La sentii avvicinarsi alla porta ed io dovevo nascondermi al più presto. Mi infilai sotto il letto, sperando di non essere scoperta. Fortunatamente, il nascondiglio funzionò e quando sgattaiolai fuori Kentin mi guardò con aria inquietata. Ci scambiammo qualche frase buttata lì e finsi di ignorare il tono particolare con cui pronunciò la parola “amici”. Non volevo affrontare la nostra attuale situazione poiché, dato che non sapevo dare una risposta a Castiel, non ero in grado di darla nemmeno a lui.

Kentin mi abbracciò ancora, ripetendomi che mi amava ed iniziò a parlare di un’ipotetica relazione futura, del monopolio che voleva avere sul mio cuore. Mi disse apertamente che non voleva che scegliessi ora ma che, nel momento in cui l’avessi fatto, quella scelta ricadesse su di lui. Cercai di sviare la questione come più potevo e lo salutai con un bacio prima di andarmene. Mentre rincasavo tentai di fare ordine tra i miei sentimenti ma mi sentivo sempre più confusa, sempre più vulnerabile.
Nessuno avrebbe mai potuto avvisarmi che sarebbe finita in questo modo. Nessuno avrebbe mai pensato che il peso di questo doppio sentimento mi avrebbe schiacciata a tal punto. Nessuno avrebbe mai pensato ad un tale epilogo.
 
 
 
 
Commento dell'autrice: Questa volta mi sento un sacco in colpa, più che altro perché il capitolo è pronto da mesi, ma mi ero totalmente scordata di averlo scritto (al che vi chiederete "ma dove hai la testa?!" eh...vorrei saperlo anche io xD) Comunque, questa volta come vedete la protagonista del capitolo è Hilary, quindi si vedono la cose con i suoi occhi. Inizialmente pensavo di inserire il punto di vista di Hilary come ultimo capitolo prima di quello finale, ma poi sarebbe diventato davvero troppo lungo xD Allora ho pensato di inserirlo qui xD Vi dico già che il prossimo capitolo sarà vissuto dal punto di vista di Castiel (anche questo è già scritto, vedrò di ricordarmi di postarlo tra un mesetto circa xD Magari qualcosa prima...vedo come va questo capitolo e deciso xD
Bene, direi che ho concluso, come sempre prego che abbiate la pazienza di lasciare una recensione anche piccina piccina xD ogni sorta di commento è ben accetto! Grazie a tutti e alla prossima :*

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Capitolo 5
*** Non Era Previsto - Castiel ***


Nome: Castiel
Cognome: ha davvero importanza?
Età: abbastanza per fare quello che mi pare.
Hobby: suonare la chitarra.
Segni particolari: playboy.
 
Quella mattina era una mattina come tante altre. Il giorno prima avevo fatto le prove con la mia band e, dopodiché, io e Lysandro eravamo andati al pub lì vicino a berci una birra. Inutile dire che la serata si era conclusa in modo relativamente soddisfacente almeno per me, che ero tornato a casa con una biondina niente male. Per quanto riguardava Lysandro beh, diciamo che non era mai stata la sua aspirazione di vita quella di passarsi tutte le ragazze che ci provano con lui. L’ho sempre reputato uno stupido per questo ma lui non mi ha mai veramente ascoltato anzi, mi ripeteva che quello che si stava rovinando ero io. Ma a me non sembrava proprio. Mentre passeggiavo per i corridoi della scuola mi misi ad osservare le varie ragazze che incrociavo ricordando mentalmente come, una dopo l’altra, le avessi portate a casa mia e fatte mie per una notte o poco più. Pensai a quanto fossi annoiato in quel periodo. Di quanto fosse monotona la mia vita. Avevo voglia di qualcosa di nuovo. Per un istante pensai di portarmi a letto addirittura quell’odiosa di Ambra, sperando di ottenere qualche piacevole istante di divertimento facendole patire le pene dell’inferno con giochini sadici che conoscevo solo io, ma ritornai immediatamente in me. Non potevo cadere così in basso. Mi appoggiai al muro iniziando a pensare se davvero mi sarei innamorato veramente di qualcuna, prima o poi.
Merda, Lysandro deve avermi intasato la testa con le sue stronzate.
Ripresi rapidamente a camminare fissando il suolo, prima che un conato di vomito mi assalisse. Quando rialzai lo sguardo la vidi arrivare, più furibonda che mai, con quella camminata burbera che solo quando era veramente arrabbiata mostrava. I capelli castani ondeggiavano di qua e di là seguendo il movimento dei suoi passi e gli occhi erano intrisi di rabbia. La osservai avvicinarsi a me ed accusandomi di qualcosa di cui, quella volta, non ero il responsabile. Non ebbi il tempo di continuare il discorso poiché se ne andò seduta stante. Mi voltai a guardarla andare oltre e i miei occhi caddero subito sul suo culo. Tutto sommato, era un gran pezzo di ragazza. Non sapevo molto di lei, conoscevo il suo nome, ma solo perché conoscevo quello di tutte le ragazze della scuola, e sapevo che passava tutte le sue giornate insieme a quello sfigatello di Kentin. Non avevo mai ben capito che tipo di rapporto ci fosse tra quei due, ma poco mi importava. Avevo deciso che la mia prossima preda sarebbe stata lei ma, prima di mettermi all’opera, avrei dovuto osservare e studiare ogni sua mossa, ogni sua abitudine, per farla cascare nella mia rete senza che se ne rendesse conto. La seguii e assistetti alla scena che avvenne davanti all’ufficio della preside. Qualche giorno dopo scoprii che il suo amichetto avrebbe cambiato scuola. Iniziai a controllare ciò che faceva e notai subito quanto il suo attaccamento morboso nei confronti dello sfigatello aumentò notevolmente. La cosa iniziò a puzzarmi, ma non credevo possibile che una così fosse interessata a quello. Quando lui se ne andò lei cambiò totalmente. Mentre prima era raggiante, forte e solare ora improvvisamente si era chiusa, era diventata distaccata ed aveva tagliato fuori il mondo. Decisi di lasciar perdere, infondo avevo scelto lei perché pensavo che andare a letto con una persona con la sua forza d’animo sarebbe stato uno spasso. Non mi serviva l’ennesimo “materasso”. Una settimana dopo, quando ci comunicarono della corsa campestre, scoprii di essere finito in gruppo con lei. Poco male, sempre meglio che avere Ambra tra le palle. Prima di partire nella foresta ci consegnarono una mappa che decisi di tenere io. Lei era troppo depressa, l’avrebbe persa ancora prima di partire poiché non ci avrebbe fatto caso. Iniziammo la nostra escursione e nessuno dei due parlava. Stavo iniziando a stufarmi ed affrettai il passo. Volevo finire quella maledetta corsa il prima possibile. Quando mi voltai la vidi intenta a fissare l’acqua di un torrente. Mi arresi e mi fermai attendendo la sua prossima mossa. Mentre restammo a riposo la osservai attentamente: indossava dei pantaloni della tuta neri ed una canottiera bianca attillata. Mi accorsi subito del suo seno generoso e questo riaccese il mio interesse. Quando riprendemmo a camminare mi accorsi di aver perso la mappa. Non era possibile, eppure era successo. Continuammo a camminare a lungo, tanto a lungo che calò la notte. La vidi iniziare ad accusare i morsi del freddo e, stufo ed irritato dalla situazione, decisi di scaldarla a modo mio. La presi per le spalle spingendola contro un albero e la baciai a forza. Fu in quel momento che mi spiazzò. Mi morsicò spingendomi via a forza. Iniziò a sbraitarmi insulti che nemmeno conoscevo accusandomi di essere un maiale violento ed affermando di non volere avere niente a che fare con me perché, a differenza delle altre, non mi amava e non provava alcun interesse nei miei confronti. Subito dopo ci trovarono e, mentre lei correva da Nathaniel, sghignazzai divertito.
Sarà divertente.
Pensai mentre lei era appena tornata ad essere il mio obbiettivo. Trovavo allettante e stuzzicante l’idea di dover lottare fin dal principio per portarmela a letto. Fino a quel momento erano state le ragazze a provarci con me perché provavano un interesse fisico ma, questa volta, sarebbe stato totalmente diverso. Avrei dovuto mettermi alla prova e questo non faceva che spronarmi ulteriormente. Durante il viaggio di ritorno mi misi accanto a lei. Inizialmente mi intimò di andarmene ma poi si arrese e si limitò a non dire più nulla, mi lasciò li. Io non feci nulla e restai in silenzio a guardarla. Lei mi ignorò per tutto il viaggio. Della mia presenza non le importava nulla.
Interessante, davvero interessante.
Avevo raccolto sufficienti informazioni per sedurla e portarla dalla mia parte ed iniziai ad attuare il mio piano. Dal giorno successivo iniziai ad aspettarla davanti a scuola, a tenerle compagnia, a proteggerla e a difenderla. Diventai quella figura di supporto di cui aveva bisogno. Le donne sono semplici e banali, basta capire che cosa cercano, che cosa vogliono, plagiare sé stessi in quel modo e puf…ecco che ti cadono ai piedi.
Patetiche. Siete tutte quante patetiche.
 
A metà dell’opera iniziai a pensare che anche lei fosse come tutte le altre. Sebbene inizialmente rigettasse la mia presenza ora non mi allontanava più, alle volte addirittura mi cercava. Quando pensai di essere arrivato al dunque mi spiazzo dicendomi che mi era grata per esserle stato vicino durante questo suo periodo grigio ma che ora non le servivo più. Le sue parole mi fecero infuriare.
Io sono servito a te?! Sei tu che devi servire a me, ragazzina!
Avevo voglia di prenderla e baciarla a forza ma non lo feci. Il motivo? La vidi sorridere. Per la prima volta vidi un sorriso che non avevo mai visto, e stava sorridendo a me. Nessuna ragazza mi aveva mai sorriso in quel modo. Era qualcosa di nuovo per me, qualcosa che non mi sarei mai aspettato di vedermi rivolto. Fu quando la sua espressione mi travolse che il mio cuore iniziò ad accelerare. Mi allontanai in fretta chiudendomi nel bagno per cercare di capire cosa stava succedendo e, quando mi vidi allo specchio, notai un fastidioso rossore sulle mie guance. Aprii immediatamente l’acqua gelata dei rubinetti e me la tirai in faccia. Non potevo. Io non potevo provare un interesse che andasse oltre al sesso per una ragazza. Non potevo. Non era la mia indole. Non era qualcosa che mi interessava.
Perché diavolo dovrei desiderare una relazione stabile con qualcuno se posso passarmi e ripassarmi tutte le ragazze della scuola ogni qualvolta voglio?!
Quando tornai a guardarmi allo specchio incrociando il mio stesso sguardo mi risposi da solo. Perché volevo quel sorriso. Volevo che me lo mostrasse ancora ed ancora. Volevo che quell’espressione serena le comparisse sul volto tutti i giorni. Volevo essere io la fonte di quel sorriso. Mi accorsi che il tempo passato insieme era diventato prezioso per me e non per lei, mi accorsi che io ero caduto in un agguato, il suo agguato, agguato che sicuramente non mi aveva teso. Sbattei il pugno al muro mentre realizzavo che era stata lei a mettermi in un angolo ad affrontare i miei sentimenti. Tornai a cercarla ma non la trovai. Girai per tutta la scuola ma era sparita. Le mandai un messaggio ma non rispose. Ero furibondo ma lasciai cadere la cosa. Ci avrei pensato il giorno dopo, e così feci. Quando la rincontrai finsi che il discorso del giorno prima non fosse mai esistito. Lei mi guardò titubante ma mi permise di restare con lei. Passò parecchio tempo da allora e cominciai ad accorgermi che anche lei arrossiva quando ci incontravamo, che scattava quando accidentalmente la toccavo e che spesso, prima di incontrarci, si sistemava i vestiti davanti ad una vetrina. Capii immediatamente che il nostro interesse era reciproco ma, questa volta, avevo paura di perdere tutto. Feci le cose con calma, non volevo forzarla poiché temevo di perderla. Quando ci annunciarono che avremo recitato come spettacolo di fine anno sbuffai irritato ma, quando la vidi illuminarsi per quella stupida idea, decisi che sarebbe stata una buona occasione. Controvoglia votai per fare “la bella addormentata nel bosco” e, non appena scoprii che Hilary avrebbe fatto la principessa, combattei fino alla fine per ottenere il ruolo del principe. Cercai di nascondere il mio disgusto mentre recitavo o il mio piano sarebbe fallito miseramente e, quando arrivammo al momento del bacio, che doveva essere finto, la baciai sul serio. La sua reazione mi disse più di tutte le parole che avrebbe potuto comunicarmi. A fine recita la vidi correre via e la seguii immediatamente. Non appena la raggiunsi mi tratto malamente. Sapevo che, questa volta, quella con le spalle al muro era lei. Ormai non poteva più negare di provare qualcosa per me, ed io non avevo più voglia di fingere che non mi sentissi allo stesso modo. Cercai di tirarle fuori la verità a parole, ma era troppo ostinata ed orgogliosa per ammettere che provasse qualcosa per me. La feci indietreggiare fino a che si fermò contro il muro e, quando le fui praticamente addosso, le lasciai la possibilità di andarsene, ma non lo fece. Iniziai a sfiorarle le braccia fino a quando le mie dita andarono ad intrecciare le sue. Mi avvicinai sempre di più e la baciai ancora. Prima delicatamente, non volevo ferirla ma poi, quando vidi che non mi respingeva, andai oltre. Dischiusi le labbra e lei fece altrettanto. Ci scambiammo il nostro primo bacio. Il primo di tanti altri. Mai mi sentii più felice. Mai avrei pensato che io, lo stronzo di turno, si sarebbe innamorato di qualcuno. Da quel giorno certe cose cambiarono e certe no. Non le chiesi di metterci assieme, la vedevo ancora agitata e scombussolata quando ci baciavamo e capivo che non era il momento di affrettare le cose. Sapevo che, se avessi avuto ancora un po’ di pazienza, sarebbe stata lei ad ufficializzare la cosa. Quanto mi sbagliavo. Poco tempo dopo l’inizio del nostro “rapporto” la incrociai per i corridoi e, quando le strappai un bacio, lei reagì malamente e mi disse che voleva farla finita. Non potevo accettare una cosa del genere. Non avevo passato due anni della mia vita a starle dietro per nulla. Non potevo accettare che, ora che ero così vicino ad averla tutta per me, mi sfuggisse dalle mani. Decisi di baciarla come sapevo che le piaceva. Inizialmente tentò di respingermi ma, a poco a poco, la forza che mise per allontanarmi iniziò a diminuire. Mentre la baciavo sentii qualcuno colpirmi e scaraventarmi lontano e, quando guardai il responsabile, mi sorpresi nel vedere un ragazzo che non avevo mai visto. Inutile spiegarvi quando fossi sorpreso nello scoprire la sua vera identità. Mi misi a guardare Hilary che lo prese per mano e poi la fissai negli occhi.
Che diavolo sta succedendo?
Li vidi allontanare assieme ma non li seguii. Ero rimasto talmente sconvolto dalla situazione che i miei piedi si cementarono a terra. Dovevo ritenerlo un mio rivale?


Commento dell'autrice: come promesso, ho pubblicato il nuovo capitolo in un tempo più accettabile (ma non garantisco la stessa cosa per il prossimo xD) Questa volta vediamo gli eventi raccontati dal punto di vista del badboy per eccellenza del liceo (infondo io Castiel lo inserisco sempre nei miei racconti xD quel personaggio è la mia rovina xD). Vi avviso che ultimamente sono presa a scrivere un racconto per un concorso letterario, quindi è probabile che resterà tutto fermo per un po' (ma visto che questo capitolo era già scritto l'ho pubblicato xD)
Sperando di aver fatto cosa gradita vi porgo i miei più sentiti saluti (Modalità Lysandro ON xD)
Grazie a tutti coloro che ancora seguono le mie storie e Buon inizio di scuola/università a tutto (eh già...Settembre è alle porte O_o)

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Capitolo 6
*** Non Ti Lascerò Andare - Castiel ***


Quando uscii dalla palestra ero ancora incazzato nero. Avevo passato più di due ore ad allenarmi ma non ero riuscito a calmarmi, non ero riuscito a togliermi dalla testa l’immagine di quei due. Lei che voleva farla finita, lui che compare subito dopo. Non ci voleva un genio per capire che il motivo per il quale lei si era distaccata era il nano. Capii quasi subito che il motivo per il quale lei manteneva le distanze fra noi era perché si sentiva attratta, il qualche modo, anche da quel coso. Tornai a casa e mi feci una doccia poi decisi di andare sotto casa sua. Dovevo parlarle, e sapevo che non avrebbe mai accettato di farlo in pubblico ma, allo stesso tempo, io non accettavo questo suo comportamento. Quando arrivai davanti a casa sua iniziai a pensare ad una scusa decente per farla uscire, ma non ce ne fu bisogno. La vidi rientrare poco dopo. Si stava stringendo nelle spalle infreddolite mentre, con aria un po’ inebetita, sorrideva tra sé e sé. La osservai avvicinarsi e, quando si accorse della mia presenza, si fermo cambiando radicalmente. Il suo sguardo tornò quello a cui ero abituato, uno sguardo confuso, felice e triste.
Stai pensando a me e lui, non è vero?
Mi avvicinai a lei, e lei indietreggiò.
   «Che ci fai qui?» la sua voce era cupa. «Non dovresti essere qui.»
   «Questo sì che è il modo migliore per accogliere la persona che fino a poco tempo fa sembrava piacerti.»
Lei si voltò di scatto e non rispose. Mi avvicinai ancora e lei si allontanò.
   «Che vuoi, Castiel?»
   «Una spiegazione. Immagino te l’abbia chiesta anche lui.» Lei si morse il labbro. Capii che era da casa sua che stava tornando. La cosa mi irritò e non poco. «Sei stata da lui, non è vero?»
Lei si agitò per un istante.
   «Non sono cose che ti riguardano.»
   «Hil, non prendermi per il culo. Ora tu mi spieghi che diavolo sta succedendo.»
Ero furioso, avrei voluto distruggere qualcosa. Anzi, in realtà, tutto ciò che volevo distruggere aveva un viso molto chiaro nella mia mente. Lei mi fissò, indecisa, arrabbiata, ma anche titubante e desiderosa di venire da me. Lo vedevo, avevo imparato a conoscerla e, ora che intuivo il perché era così restia a lasciarsi andare del tutto, le cose stavano diventando sempre più chiare.
   «L’ho capito, sai? Ho capito che provi qualcosa anche per lui. Quando se n’è andato ti sei chiusa in te stessa. Lo so, io c’ero. Ti ho vista cambiare, ti ho vista “rinascere”, lo hai fatto grazie a me, non puoi negarlo. Ti sei innamorata di me, esattamente come io mi sono innamorato di te, sai che è così. Ma ora che lui è tornato hai rimesso tutto in discussione. Sai di amare anche lui, probabilmente in un modo diverso da come ami me, eppure ci ami entrambi. Non è forse così?»
Lei mi guardò con aria spiazzata, come se non capisse come avessi fatto a comprenderla così profondamente. Vidi i suoi occhi diventare lucidi e, non appena scorsi questa sua debolezza, mi avvicinai e la strinsi a me. Lei iniziò a tremare, e poi a piangere. Le strinsi forte e sentii su di lei l’odore di lui. La cosa mi fece saltare i nervi, ma non potevo aggredirla, sebbene fossi incazzato nero. Lei mi abbracciò e continuò a piangere.
 
Non riuscivo a capire come potesse paragonarmi a lui. Io ero migliore in tutto e per tutto, e dovevo farglielo capire. Non l’avrei ceduta a nessuno, tanto meno ad un pappamolle come Kentin.
   «Hil, non mi importa quello che provi per lui, o quello che lui prova per te. Sai benissimo che non sono un gran che bravo a parole, ma a fatti so rimediare a questa mia mancanza. Io c’ero quando ti sentivi sola. Lui ha deciso di andarsene, io non l’avrei mai fatto. Sarei rimasto qui, accanto alla donna che amo, per proteggerla, e per fare in modo che nessuno me la portasse via. Io ti capisco meglio di chiunque altro Hil. Ti ho vista ridere, piangere, soffrire e gioire. Ho visto le espressioni più disparate sul tuo viso. Ti ho visto arrossire per me, piangere per me, disperarti per me. Nessuno, più di me, ti conosce davvero. Kentin… se n’è andato, ti ha lasciata. Chi ti dice che non lo farà ancora? Non me ne frega un cazzo di quello che c’è stato prima fra di voi. Quel che è successo è successo, ma ora ci sono io, sono anni che ti sto dietro, lo sai. Non ti permetterò di buttare tutto nel cesso solo perché quello sfigato è tornato a scombussolare la nostra vita. Non mi sono mai messo in gioco così tanto e, ora che l’ho fatto, non ho intenzione di lasciarti a nessuno. Tu sei mia, e lui non potrà mai riaverti indietro, non lo permetterò, costi quel che costi. Sai bene che solo io sono in grado di comprenderti solo con uno sguardo, mi sorprende ancora il fatto che tu non riesca a realizzare questa cosa. Ci sono stato nei momenti in cui nessun altro c’era, ed ora impedirò a chiunque di avvicinarsi a te.»
Le sue lacrime si fermarono. Sapevo che mi stava ascoltando attentamente, e sapeva di non poter negare nessuna delle mie parole. La allontanai da me asciugandole il viso ancora inumidito. La guardai negli occhi. La confusione regnava ancora sovrana dentro di lei. Lo capivo, lo vedevo, lo sentivo. E sapevo di non poter accettare questa cosa. La baciai e lei rispose a quel bacio. Mi strinse forte, ed io più che mai mi sentii invincibile. Sapevo di poter cancellare dal suo cuore l’immagine di lui, sapevo che sarei stato in grado di renderla sicura del nostro legame.
 
Ero convinto di sapere ogni cosa, di poter vincere senza problemi. Ero convinto che farla mia sarebbe stato facile. Ciò che le mie convinzioni non avevano considerato, erano le sofferenze che avrebbe vissuto lei. Quelle sofferenze che distruggeranno ogni cosa, portandoci a quello che è il nostro attuale presente.
 
Quando le nostre labbra si separarono lei mi guardò ancora. Mi parve meno agitata, meno confusa, ma sapevo bene che non potevo vincere con un solo bacio. Le chiesi di entrare, ma lei mi liquidò con una scusa. La guardai allontanare e, prima che entrasse, le chiesi un’ultima cosa.
   «Ho bisogno di chiederti di essere sincera con me. Sempre. So che lo farai, quindi voglio una risposta. Sei stata da lui prima, non è vero?»
Lei mi fissò. Ci mise qualche istante a rispondere. La vidi irrigidirsi e distogliere lo sguardo.
   «Si, ero da Kentin.» disse entrando in casa, impedendomi di chiederle qualsiasi altra cosa.
I nervi mi tornarono a fior di pelle.
Se sei scappata così velocemente da queste mie parole, vuol dire che non è un bacio che mi stai nascondendo.
Tornai a casa ed iniziai a suonare la chitarra. Lui l’aveva avuta prima di me e questa era la cosa più disgustosa che avrei mai potuto accettare. Ero davvero furibondo, come mai ero stato prima.
Se è davvero riuscito a portarsela a letto, allora deve amarlo davvero molto. Molto più di quanto ama me. No. Non posso assolutamente permettere che tutto questo accada.
Il giorno dopo andai sotto casa sua. Quando uscì mi resi conto che di certo non si aspettava una mia visita.
   «Non possiamo andare a scuola assieme. Sai benissimo come la penso.»
   «E tu sai benissimo che non prendo ordini.»
Lei mi fulminò con lo sguardo, ed io la baciai senza preavviso. Sapevo che, una volta arrivata a scuola, sarebbe stata tutto il tempo con lui.
No, non posso accettarlo.
La presi per mano e la trascinai via. Lei oppose resistenza, ma sapevo che prima o poi avrebbe ceduto. Quando le sue resistenze crollarono del tutto eravamo sotto casa mia. Lei mi guardò con aria furiosa.
   «Non entrerò.» mi disse poi. «So dove vuoi andare a parare, e la risposta è no.»
   «Senti, io non ti farò domande riguardo a tu sai chi, perché ho già capito tutto. La cosa mi fa parecchio incazzare, ma non ti forzerò a fare qualcosa che non vuoi. Non l’ho mai fatto, e sai benissimo che non lo farò nemmeno adesso. Ma ho bisogno che tu ti fidi di me, ok?»
Sapevo che era in imbarazzo. Sapevo che non accettava il fatto che io avessi capito tutto. E sapevo che, probabilmente, si sentiva in colpa, in un modo o nell’altro.
 
Riuscii a farla entrare in casa mia, anche se vidi che era molto titubante e spaventata. Odiavo il fatto che, nonostante tutto questo tempo, ancora non si fidasse di me. Nascosi la delusione e cercai di darle tempo, ancora, per l’ennesima volta. Le feci posare la giacca sul divano. Aveva capito che quella mattina non sarebbe andata a scuola, e sapevo che pensava a come lui avrebbe reagito. Sentii il suo cellulare squillare ma, prima che riuscisse a prenderlo, glielo sfilai dalla giacca e lo spensi.
   «Che diavolo stai facendo?!»
   «Non ti permetterò di pensare a lui mentre sei con me. Tu sei mia, devi smetterla di metterlo fra noi. Tu hai me, non hai bisogno di nessun altro.» dissi premendo a forza le mie labbra sulle sue.
Lei cercò di divincolarsi e, questa volta, non si arrese alle mie attenzioni. Scivolò via dalle mie braccia. Sembrava davvero spaventata. «Ti giuro che non farò nulla per turbarti. Scusami se ti ho dato questa impressione ma, davvero, fidati di me. Smettila di pensare a tutto il resto. Ci siamo solo noi adesso, proprio come è sempre stato. Apriti con me, ti prometto che andrà bene.»
La vidi cambiare sotto i miei occhi, ancora, e per l’ennesima volta mi sorpresi di quanto il suo atteggiamento potesse cambiare radicalmente in pochi secondi.
Come hai fatto a stravolgermi così tanto?
Allungai la mano e lei la prese. La portai in cucina dove le avevo preparato una colazione con i fiocchi. Sapevo bene che lei la mattina non mangiava mai. Fisso la tavola imbandita con aria sorpresa e poi mi sorrise con quel sorriso che mi stese anni prima. Mi avvicinai a lei e la strinsi forte, lei contraccambiò il gesto.
   «Grazie.» mi disse con voce dolce.
   «Posso renderti felice, se me lo permetti.»
Lei restò immobile per qualche secondo prima di fare cenno di sì con la testa. La feci accomodare al tavolo e mangiammo parlando del più e del meno. Prestai bene attenzione a non affrontare argomenti che potessero turbarla. Dovevo dimostrarle di essere la persona perfetta per lei. Finita la colazione ci sedemmo sul divano. Le cinsi le spalle con il braccio e lei si appoggiò sul mio petto. Sentii il suo respiro farsi sempre più calmo e rilassato.
   «È la prima volta che salto scuola.» mi disse poi.
   «E come ti sembra la vita da ribelle?»
   «… non male.»
Si mise a ridere, ed io risi con lei. Volevo che fosse sempre felice, felice grazie a me. I suoi occhi incrociarono i miei. Sapevo cosa voleva. Mi avvicinai alle sue labbra e ne presi possesso. Lei non si tirò indietro. Ci baciammo a lungo e finimmo distesi sul divano. Non andai oltre. Volevo che fosse lei a darmi il permesso di arrivare allo stadio successivo. Passammo tutta la mattina abbracciati, e mi sorpresi nel vedermi così calmo avendola tutta mia fra le mie braccia. Quando dovetti salutarla mi sentii parecchio allarmato. Sapevo che, fuori da casa mia, non sarebbe stata “al sicuro”. Decisi di accompagnarla a casa. Quando giungemmo davanti al cancello di casa sua, Kentin era lì ad aspettarla. Sapevamo tutti che uno scontro sarebbe stato inevitabile ma, di certo, non pensavamo sarebbe avvenuto così in fretta. Io e Kentin ci guardammo in silenzio per qualche minuto. Entrambi avevamo le stesse idee e, se avessimo avuto delle armi da fuoco, di certo i primi colpi sarebbero già stati sparati da un po’. Kentin allungò la mano nella nostra direzione.
   «Hilary, vieni qui.» le disse poi.
Mi misi davanti a lei.
Col cazzo che te la lascio.
Lo guardai in cagnesco. Hilary si allontanò da me, ma non andò da lui. Si allontanò da entrambi ed iniziò a fissarci. A tutti noi era chiara la situazione, ma noi eravamo troppo accecati dall’odio e dalla rabbia per accorgersi che la crepa che stava distruggendo Hilary era sempre più profonda. La vidi iniziare a piangere e a tremare.
   «Tutto questo… non ha senso… io… mi dispiace… non riesco a…»
Parlava da sola. O forse tentava di comunicare con noi. Nessuno di noi lo sapeva. Tuttora, non so a cosa stesse pensando in quel periodo, come stesse vivendo quei momenti. La situazione era terribile e, probabilmente, vista dall’esterno lei potrebbe sembrare la stronza di turno. Eppure, eravamo noi a lasciarla fare. Noi che, amandola così tanto, non riuscivamo a rinunciare a lei. Eravamo convinti di poter vincere. Ci preoccupavamo solo di trovare il modo di averla al nostro fianco, cancellando l’altro dal suo cuore per sempre. Lottavamo per avere lei ma, forse, lottavamo per noi stessi, per ottenere la nostra felicità più che la sua. Eravamo davvero egoisti, e nemmeno ce ne rendevamo conto. Non gli stavamo chiedendo apertamente di scegliere, ma in realtà era davvero questo che bramavamo.
Una scelta. Una scelta che lei prese, ma che fu diversa da quella che noi le avevamo “proposto”.
 
Ancora oggi, ricordo i suoi singhiozzi di quel giorno. Ricordo quanto furono sordi e strazianti. Ricordo che furono l’inizio di un mare di lacrime che, ancora oggi, mi fa affogare lentamente.







Commento dell'autrice: salve popolo di EFP! Come procede la vita? La mia bene, ora che ho postato il nuovo capitolo mi sento meglio xD l'ho appena scritto e, in realtà, mi sembra un pelo più breve degli altri. Tuttavia mi ritengo soddisfatta, sopratutto per il finale! Mi piace ahah xD C'è un velo di mistero caratteristica di questa storia e mi piace davvero un sacco xD Detto questo vi saluto e alla prossima! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!!! =D

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Capitolo 7
*** Scegli Me - Kentin ***


Quando non la vidi arrivare a scuola capii che qualcosa non tornava. L’avevo salutata la sera prima e stava bene, di sicuro non si era assentata per malattia. Mi innervosii istantaneamente, sapevo che doveva essere con lui. Cercai di mantenere la calma. Anche volendo, non sarei stato in grado di rintracciarla. Non sapevo dove lui l’avesse portata. Afferrai il cellulare e provai a chiamarla. Tempo un paio di squilli e partì la segreteria. Ora non avevo più dubbi.
 
Quella mattina fu infernale, il solo pensiero di loro due assieme mi faceva ribollire il sangue nelle vene. Riportai alla mente il ricordo della sera prima. Quella sera magica che mi aveva fatto sentire importante fino a qualche ora prima. Quella sera che ormai non era altro che un frammento della mia memoria. Strinsi le mani a pugno, alterato, non volevo che ripetesse l’esperienza anche con lui. Uscii dall’aula al primo intervallo recuperando le mie cose, non riuscivo a stare lì senza di lei. Tornai a casa mia e mi infilai sotto la doccia, incazzato nero, cercando di trovare il modo di separarla da lui per sempre. Non riuscii a calmarmi in nessun modo. Tutti i miei campanelli d’allarme suonavano, e non riuscivo a trovare pace. Decisi di piazzarmi davanti a casa sua ad aspettare. Prima o poi sarebbe dovuta tornare. Passarono diverse ore e le sentii tutte scorrere sulla mia pelle. Continuavo a guardare l’orologio mentre, nervosamente, sbattevo il piede a terra. Sapevo che, più il tempo scorreva, più loro potevano avvicinarsi, diventare intimi, e non potevo permetterlo. Non volevo permetterlo. Quando la vidi arrivare non era da sola. Sapevo che non lo sarebbe stata. Mi girai verso di loro e fulminai Castiel con lo sguardo. Desideravo ardentemente ammazzarlo e sapevo che l’avrei fatto se, in quel momento, Hilary non fosse stata presente.
   «Hilary, vieni qui.» dissi allungando la mano nella sua direzione.
Vieni da me.
Lei mi fissò, spaventata, ed io capivo che doveva sentirsi terribilmente combattuta, a disagio, in colpa. Castiel si mise davanti a lei, come per proteggerla. Digrignai i denti.
Sono io che dovrei proteggerla da te!
Feci per avvicinarmi ma mi fermai subito. Hilary si staccò da Castiel. Pensai di vederla avvicinare a me, ma non lo fece. La vidi piangere, e la cosa mi straziò il cuore. Farfuglio qualcosa, parole biascicate e confuse. La guardai iniziare a tremare e sapevo che si stava autodistruggendo ed il fatto che uno dei motivi per il quale lo stava facendo ero io mi faceva sentire un verme schifoso. Mi sentii davvero una merda perché stavo facendo soffrire la donna che amavo follemente. Lei soffriva per me.
Tu stai soffrendo a causa mia.
Hilary mi guardò per un lunghissimo secondo e sembrò capire il mio senso di colpa. Corse in casa senza dire più niente, ma i suoi singhiozzi risuonavano nell’aria. Quando chiuse la porta alle sue spalle io e Castiel ci guardammo. Per un lungo momento i nostri sguardi intrisi d’odio non si lasciarono. Ci saremo presi a pugni, era solo questione di tempo, ma non potevamo farlo lì. Non davanti a casa di Hilary.
   «Non te la lascerò mai.» mi disse poi.
   «No. Sono io che non ti permetterò di averla per te.»
   «Non hai speranze. Sei stato stupido a lasciarla. Non avresti dovuto farlo. Se fossi stato qui, lei non si sarebbe mai allontanata da te. Ma te ne sei andato, i tuoi sentimenti non devono essere poi così forti, infondo. E credo che nemmeno i suoi lo siano. Non si sarebbe innamorata di me se ti amasse davvero. Rassegnati. Le hai permesso di andare oltre, ed io farò in modo che i sentimenti che prova per te spariscano dal suo cuore, esattamente come tu sei sparito da davanti ai suoi occhi.»
Non potevo controbattere. Non su questo. Mi sorpresi nel riscoprire Castiel così astuto. Così intelligente da capire dove colpirmi. Così innamorato da riuscire a intaccare quelli che erano i miei stessi sensi di colpa. Se ne andò lasciandomi da solo ed io lo osservai allontanarsi. Non potevo vincere cancellando il tempo in cui non c’ero stato, ma potevo farlo facendo capire ad Hilary che non sarei mai più scomparso dalla sua vita, dalla sua quotidianità. Io volevo diventare la sua quotidianità. Andai a bussare alla porta di Hilary ma lei non rispose. Il silenzio mi stava assordando. Tornai a casa mia, furioso come ormai era solito rientrare, indeciso sul da farsi. Ripensai al fatto che non avevo un piano preciso ma che, in fin dei conti, non c’era modo di creare un piano per manipolare i sentimenti delle persone. Sapevo benissimo che mi amava, lo avevo capito, ma chi amava di più? Come potevo capirlo? Non lo sapevo. Nessuno lo sapeva.
 
Il giorno dopo l’andai a prendere sotto casa e non mi sorpresi nel vedere che non ero il solo. Io e Castiel ci guardammo.
   «Stai invadendo il mio territorio.» mi disse.
Non ebbi il tempo di rispondere che Hilary uscì di casa. Ci fissò entrambi ed indietreggiò di qualche passo. Capii che voleva fuggire, ancora, ma non glielo lasciammo fare.
   «Scegli me.» le dissi, incurante di come potesse sentirsi.
Volevo vincere ad ogni costo. Castiel mi fissò in cagnesco e poi tornò a fissare lei.
   «Lui ti ha abbandonata. Sarebbe stupido sceglierlo.»
Colpito. Ancora. In quel frangente che non potevo negare. Spiegargli le mie ragioni non sarebbe stato sufficiente, perché esse non sarebbero state in grado di colmare il vuoto. Hilary ci fissava, confusa, agitata, ed io capii che non avrebbe scelto, non ancora. Le avevo promesso che non l’avrei forzata, ed invece lo stavo facendo.
È per diventare così che hai lottato tanto Kentin? Certo che no.
Sbuffai, irritato, e cercai di ritrovare il buonsenso.
   «Bisogna trovare una soluzione.» dissi guardando Castiel. Lui sembrò calmarsi. A quanto pare. la pensavamo allo stesso modo. «Questa situazione sta stretta a tutti quanti, e non è certo in questo modo che la risolveremo. Propongo un accordo. Almeno a scuola, cerchiamo di non far trapelare tutto questo. Facciamolo per Hilary, almeno.» Castiel mi fissava, pareva d’accordo con me. «Ma al di fuori della scuola, tutto è lecito.» Gli lancia un’occhiata di sfida che lui colse ed accettò di buon grado. Non volevo perdere, ma mi resi conto che continuare in questo modo non faceva che pressare inutilmente Hilary, e questo non l’avrebbe mai portata ad attuare una scelta, anzi. Mi misi a guardare Hilary e lei scattò non appena si accorse che l’attenzione era nuovamente rivolta a lei. «Ieri mattina l’hai passata con lui, lo so bene. Quindi, questo pomeriggio, lo passerai con me.»
Castiel mi fissò, era certamente contro questa mia proposta. Fu Hilary questa volta ad intaccare il silenzio, accettando la mia proposta. Si scambiò una rapida occhiata con Castiel prima di dirci di andarcene. Ci allontanammo entrambi e le nostre strade, sebbene con la medesima meta, si divisero poco dopo, non era il momento di regolare i conti a modo nostro.
 
Hilary arrivò a scuola poco dopo e si sedette accanto a me. Sembrava essersi calmata, e mi accolse con un sorriso. Quando la vedevo così, tutto mi sembrava dannatamente semplice ma la realtà, purtroppo, era un altra. Quando la vidi consegnare la giustificazione, ovviamente falsa, del giorno precedente non riuscii a non irrigidirmi. Avevo fatto l’amore con lei, ed il giorno dopo lei aveva scelto di passare del tempo con lui.
Che cosa avete fatto?
Non riuscivo a non pensare che, nonostante fossi tornato, continuavo a perdere minuti preziosi con lei. Mi arrabbiai del fatto che, anche questa volta, non potevo farci niente. Lei tornò a sedersi accanto a me e, come sempre, riuscì a cogliere il mio disagio. Appoggiò la sua mano sulla mia ed io la strinsi. Cercava di rassicurarmi, ma non mi parlava. Ci guardammo a lungo, senza proferire parola. Le lezioni iniziarono e le nostre menti, seppur per poco, restarono occupate. All’intervallo la vidi uscire insieme a Iris. Sapevo che erano diventate ottime amiche, me lo aveva raccontato. Decisi di seguirla poco dopo, non mi fidavo di Castiel, temevo che non mantenesse fede alle sue parole. Quando trovai Hilary era accanto alle macchinette del caffè e, infatti, era con lui. Decisi di non intervenire. Non era il momento. Volevo mantenere fede alle mie parole, ma mi tenni pronto all’azione per qualsiasi evenienza. Rimasi nascosto dietro gli armadietti. Non sentivo cosa si stavano dicendo, ma avevo deciso che volevo capire. Capire come lei reagiva in sua presenza. Capire quanto i suoi sentimenti per lui fossero profondi. La vidi cambiare sotto i miei occhi, cambiare come non mai. Appurai il fatto che con lui riusciva ad essere qualcun altro, riusciva a cambiare espressione in pochi secondi. Prima triste, poi felice, poi arrabbiata. La vidi arrossire di tanto in tanto, ridere per quello che diceva lui, e la cosa mi ferì a morte. Capii che i sentimenti che provava per lui erano sinceri tanto quanto quelli che provava per me. Poi, improvvisamente, la vidi incupirsi, e capii che qualcosa non andava. Che i tormenti erano tornati. Castiel si avvicinò a lei, stava per accarezzarle la testa e lei si scansò. La vidi farfugliare qualcosa prima di allontanarsi. Lei doveva amarlo, e tanto, ma doveva amare con la stessa intensità anche me, e tutto questo doveva essere davvero duro per lei, molto più duro di quanto non lo fosse per noi.
 
Se lo avessi capito allora, se avessi realizzato che non era giusto farla stare così, non ci sarebbero stati degli addii.
 
Tornai in classe prima di lei, non volevo che capisse che avevo visto tutto. Quando rientrò mi accolse con un sorriso. Voleva fingere che non fosse successo niente, ed io finsi di non aver assistito. Al termine delle lezioni le proposi di andare a fare una passeggiata nel parco. Lei accettò e, per un istante brevissimo, temetti che lo fece perché aveva promesso di farlo, e non perché lo volesse davvero. Cacciai dalla mente quel pensiero e, non appena fummo sufficientemente lontani dalla scuola e da occhi indiscreti, le presi la mano. Le nostre dita si intrecciarono e mi sentii subito meglio. La portai al parco vicino alla scuola. La feci avvicinare al lago che stava al centro e le offrii il pranzo. Lì accanto c’era un piccolo ristorante che ricordavo di aver frequentato sin dagli albori. Ordinammo il pranzo e mangiammo ridendo e scherzando. Tutto era perfetto, sembravamo davvero una coppia, ed io speravo che anche lei iniziasse a considerarci come tali. Speravo che capisse che ero li per lei, e che ci sarei sempre stato. Pregavo con tutto il mio cuore che realizzasse che ero io quello perfetto per starle accanto. Io e nessun altro. Quando la riportai a casa mi guardò con maliziosità. La osservai attentamente e lei mi fece cenno di entrare. Facemmo l’amore, ancora, e mi sembrò di essere in tiratura d’arrivo, in testa, al primo posto. La vidi addormentarsi sul mio petto poco dopo. Iniziai a giocare con una ciocca dei suoi capelli, intrecciandomela al dito. Subito ripresi a pensare a lei e Castiel. I dubbi continuavano a tornare, incessanti, ed io non avevo modo di combatterli. Hilary ci amava, lo sapevamo, e questo ci spingeva a lottare fino allo stremo.
   «Ti amo.» le sussurrai all’orecchio e lei si svegliò.
Si stiracchiò leggermente e poi tornò sul mio petto stringendomi a sè.
   «Ti amo anche io.»
Avrei voluto accontentarmi di quelle parole, sentirmi felice dei suoi sentimenti, ma proprio non ci riuscivo. Una parte di me non riusciva ad essere felice in nessun modo. Ripresi i miei vestiti e li indossai nuovamente. Lei mi fissò mentre giravo per camera sua. Incrociai il suo sguardo e la vidi mandarmi segnali contrastanti. Mi avvicinai a lei sfiorandole le labbra con un bacio. Lei mi accarezzò il braccio e poi mi sorrise.
   «C’è una cosa che vorrei darti. Una cosa che ho comprato pensando a te. L’ho comprata circa due mesi dopo la tua partenza ma non te l’ho mai spedita perché pensavo fosse una cosa stupida.»
La vidi arrossire ed il mio cuore prese ad accelerare.
   «Sono sicuro che è un pensiero stupendo. Dammelo, per favore, ora non puoi lasciarmi così!»
Le sorrisi, ero impaziente di ricevere quel regalo. Lei si alzò avvolgendo il suo corpo ancora nudo al lenzuolo e si avvicinò alla scrivania aprendone un cassetto. Estrasse un pacchettino verde e me lo porse. Lo guardai con impazienza ed iniziai a scartarlo. Ne estrassi un portachiavi rotondo ed azzurro con al centro un simbolo. Sul retro, era incisa la scritta “da Hilary”.
   «È il simbolo giapponese dell’amore.» mi disse poco dopo iniziando a giocare con il lenzuolo, mentre il suo viso arrossiva e fissava il pavimento.
La strinsi a me, istintivamente, e finalmente i dubbi svanirono. Mi sentii davvero felice, al settimo cielo, e volevo godermi quella sensazione fino alla fine. Lei mi strinse a sua volta ed io la baciai. Facemmo nuovamente l’amore, volevo farle sentire tutto l’affetto che provavo per lei.
Quando mi rivestii per la seconda volta agganciai il portachiavi alla fibbia dei miei pantaloni.
   «Lo porterò sempre con me.»
Le dissi indicandoglielo. Lei sorrise arrossendo leggermente. La guardai rivestirsi e poi mi accompagnò all’uscita. Ci salutammo con un bacio ed io la vidi sparire dietro la porta di casa sua. Mi sentivo davvero felice. Per la prima volta, mi sentivo completo. Decisi di ricambiare quel gesto così dolce, non potevo non farlo. Andai in una gioielleria. Volevo comprarle una collana o un braccialetto, poi ripensai all’incisione, al fatto che volevo sentirla mia, e decisi di fare la sfrontatezza di comprarle un anello. Ne guardai molti fino a quando il mio occhio non cadde su un anellino azzurro. Sorrisi accarezzando il portachiavi che mi aveva regalato lei. Indicai alla commessa quello che desideravo e le chiesi se potevo farlo incidere. Lei mi rispose di sì. Le dissi di scrivere le parole “Ti amo Hilary” e lei mi disse di passare dopo qualche ora. Uscii e mi diressi a casa mia. Mi misi la tuta ed andai a correre, non potevo saltare i miei allenamenti. Al termine tornai al negozio, il mio anello era pronto. Feci fare un pacchetto e tornai a casa.
 
L’indomani mi alzai di ottimo umore. Diedi un bacio al portachiavi prima di infilarmelo nella fibbia dei pantaloni e dirigermi a scuola. Arrivai prima di Hilary e, per farle una sorpresa, le poggiai il pacchetto sulla sedia, in modo che nessun altro lo notasse. La vidi arrivare e mi sorrise. Il mio cuore sussultò, ancora.
Solo lei riesce a farmi sentire così.
Notai con piacere la sua faccia sorpresa nel vedere il pacchetto ed io le feci l’occhiolino. Lei si sedette iniziando a scartarlo e vidi i suoi occhi diventare lucidi quando afferrò l’anello. Le accarezzai la mano e lei sorrise. Il sorriso più bello di sempre. Improvvisamente pensai che non avevo considerato il problema della taglia. E se non fosse andato bene? Mi morsicai il labbro, temendo di aver sorvolato su un dettaglio davvero importante. Lei si infilò l’anello all’anulare sinistro senza pensarci e restai molto sorpreso nel vedere che calzava alla perfezione.
   «È destino.» dissi ad alta voce senza pensarci.
Lei mi fissò e la vidi arrossire violentemente. Non ebbe il tempo di controbattere che la lezione iniziò. Sentii la sua mano intrecciarsi alla mia poco dopo. Sorrisi da ebete e la lasciai fare. Amavo le sue attenzioni. Amavo lei.
 
Al termine delle lezioni la salutai. Dovevo allenarmi e lei mi disse che aveva un impegno. Non le feci domande, era bastato lo sguardo che mi aveva mandato quando mi disse di essere occupata a farmi capire tutto. La guardai allontanare e mi irritai istantaneamente. Non volevo farla andare da lui, ma lui era stato leale nel lasciarla stare con me ieri. Temevo che, se mi fossi messo contro l’accordo che io stesso avevo proposto, Hilary avrebbe iniziato ad odiarmi, ed io non lo volevo.
 
L’indomani la vidi arrivare felice, e mi chiesi se lo era per me o per come aveva passato la serata il giorno prima. Sentii la testa pulsare per il nervoso ma lo nascosi, non volevo che lo notasse. Quando si sedette accanto a me guardai la sua mano, volevo vedere se indossava ancora l’anello che le avevo regalato. Mi irrigidii istantaneamente quando vidi che, proprio accanto all’anello che le avevo regalato io, ce n’era un altro nero. Scattai immediatamente uscendo dall’aula, non guardai nemmeno Hilary in faccia. Volevo affrontarlo, e volevo farlo subito. Non avevo più voglia di rimandare. Non capivo perché quel semplice anello mi avesse alterato così tanto, non sapevo nemmeno se fosse stato lui a regalarglielo, ma nella mia testa la risposta era già chiara. Sentii qualcuno afferrarmi la mano. Quando mi voltai e vidi Hilary piangere mi calmai quasi subito.
   «Ti prego, non farlo.» mi disse fra i singhiozzi.
Perché piangeva? Me lo chiesi a lungo. Non voleva che picchiassi Castiel? O non voleva che io le prendessi da lui? Davvero credeva che fossi ancora così debole? Mi divincolai dalla sua presa. Per la prima volta, ero così tanto incazzato con lei da arrivare al punto di pensare di odiarla.
   «Cosa?» le chiesi poi, urlandole contro. «Cosa vuoi che non faccia?!» Lei mi guardò spaesata, e confermò i miei sospetti. Quell’anello glielo aveva regalato lui. La vidi portarsi la mano sinistra al petto mentre ci appoggiò l’altra sopra, per nascondere i due anelli. «Siamo davvero sullo stesso piano? Pensi davvero che io e lui siamo uguali?! Perché Hilary, perché? Perché hai indossato l’anello che ti ha regalato lui… accanto a quello che ti ho regalato io? Pensi davvero di poterci paragonare?!» Lei mi guardava, senza rispondermi, continuando a piangere. «E rispondimi una buona volta!!!» Ero davvero arrabbiato con lei questa volta. Ero davvero furibondo. Lei continuò a stare in silenzio. I secondi passavano, ma a me persero eterni. Non ottenere una risposta mi stava uccidendo. «Vaffanculo Hilary.» le dissi dandole le spalle ed allontanandomi.
Tornai in classe a recuperare le mie cose e tornai a casa. Non mi importava di quello che pensava. Volevo solo andarmene. Pensai che se davvero pensava che fossimo uguali non avrebbe mai scelto. Pensai che, forse, non valeva davvero la pena lottare.
 
Se a quel tempo avessi preso una decisione diversa da quella che presi, forse le cose si sarebbero evolute diversamente. Quello che, ora come ora, mi fa ridere è che nessuno lo saprà mai. Nessuno saprà mai quanto, se le nostre scelte di allora fossero state diverse, il futuro sarebbe potuto cambiare.





Commento dell'autrice: Capitolo nuovo =D Spero che sia stato di vostro gradimento! Non ho altro da dire per oggi ahahah per cui, come sempre, alla prossima ;D

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Capitolo 8
*** Amami Anche Quando Arrivo Ad Odiare - Kentin ***


Una volta giunto a casa mi rintanai in cantina dove avevo allestito una piccola palestra. Iniziai a prendere a pugni il sacco da boxe, cercando di sfogarmi. Avevo passato gli ultimi due anni a cambiare me stesso per lei. A fortificarmi, mentalmente e fisicamente, per poterla proteggere da tutto e tutti. Avevo immaginato ogni cosa, creato il futuro ideale in cui vivere felici. Mi ero spinto al limite, e per cosa? Per tornare e scoprire che, in qualche modo, mi aveva sostituito. Aveva iniziato ad amare un altro. Ma non una persona qualsiasi, uno dei nostri più acerrimi nemici. Qualcuno che entrambi odiavamo. Io e lui eravamo finiti, chissà come o perché, sullo stesso piano. La cosa mi irritava, mi disgustava. Mi sembrava di vedere la mia vita gettata nel cesso, un progetto dopo l’altro. Colpivo quel sacco con violenza, con rabbia. Mi accorsi che le mie mani iniziarono a sanguinare, ma non mi importava. Il dolore emotivo era più forte di qualsiasi altra cosa. La rabbia che provava cancellava qualsiasi altra sensazione. Aumentai la potenza con la quale urtavo il sacco. Gocce di sudore scendevano dalla mia fronte. Gocce di sangue schizzavano dalle mie mani.
È questo che doveva succedere? È per vederla amare un altro che sono tornato?
Mi fermai. Avevo il fiato corto e le mani distrutte. Mi accasciai a terra ed iniziare ad urlare. Ero sfinito, in tutti i modi in cui una persona potesse sfinire sé stessa. Gridai a lungo, sapevo che nessuno mi avrebbe sentito. Ero solo in quella casa. Solo con me stesso. Mi presi il viso fra le mani, frustrato.
Ed io sarei un uomo?
Mi sentivo patetico. Un mollusco di basso rango.
Come può amare me? È normale che ami lui.
Questo pensiero mi fece venire i conati di vomito.
No. Non è normale. Lui… lui deve averla sedotta, in qualche modo. Non c’è altra spiegazione.
Ero un flusso continuo di energie negative. Lei, per la quale provavo l’amore più profondo del mondo, riusciva anche a farmi vivere un odio così intenso.
Salii al piano di sopra, consapevole di non essere stato in grado di ritrovare un minimo di stabilità. Passando nel corridoio vidi che anche il mio viso era coperto di macchie di sangue. Mi fissai per un lungo istante. Quell’immagine riflessa mi fece tornare alla mente i ricordi dei primi giorni di addestramento quando rientravo alla base coperto di sporco e terriccio. Chiusi gli occhi e riportai alla mente i pensieri di allora: “Lo stai facendo per lei. Per la tua Hilary. Devi diventare forte per poterla proteggere”.
Ma proteggere da chi?
Riaprii gli occhi, scontrandomi con la realtà. Nella mia mente, sebbene mi ripetessi incessantemente quelle parole, non avevo mai preso in considerazione la possibilità di avere un rivale. Probabilmente era quel fatto a farmi arrabbiare a tal punto. Al mio rientro, un rivale lo avevo eccome. E si trattava di qualcuno che mai avrei immaginato. Caricai l’ennesimo pungo rabbioso ma mi fermai prima di colpire il muro. Qualcuno aveva suonato al campanello. Immaginavo di chi si trattasse. Sapevo che era lei. Le aprii, incurante del mio terribile aspetto. Lei mi guardò inorridita, ma non le diedi il tempo di reagire in alcun modo.
   «Che vuoi?»
Mi resi conto che amarla significava anche essere dannatamente odioso. Dannatamente distaccato. Diabolicamente glaciale. Lei si portò le mani davanti alle labbra. Gli occhi divennero lucidi praticamente subito.
   «Tu sei… il sangue… sei… stai…»
Balbettava. La vedevo crollare a pezzi davanti a me. Ma, per qualche ragione molto malata, non mi sentii in colpa. Pensavo che, quel dolore, se lo meritava. Se lo meritava per avermi dimenticato. Per aver iniziato ad amare un altro. Per avermi paragonato a quell’altro. Digrignai i denti, pensando a loro due assieme.
   «Non ti preoccupare. Il sangue è mio. Non ho toccato il tuo adorato Castiel.»
Sputavo veleno, perché quello scorreva nelle mie vene. Ero diventato un mostro, ma lei mi aveva fatto diventare così. Non sopportavo più niente, ed ero in quella situazione da così poco che questa mia reazione sarebbe parsa esagerata a chiunque. Io stesso avevo deciso di continuare a combattere, ma ora mi pareva del tutto inutile. Il suo viso si incupì. Vidi il suo corpo chiudersi a riccio. Incrociò le braccia al suo petto, avvolgendosi, come nel tentativo di non crollare del tutto. La guardai iniziare a tremare e, in quel momento, tutta la rabbia si tramutò in schifo e dolore. La stavo ferendo ancora, e tutto tornò a sembrarmi dannatamente sbagliato. Ma cosa c’era di giusto in tutto quella situazione? Nulla sarebbe mai potuto essere davvero sereno.
   «Kentin io… io ti amo… ti prego non… non dire… non fare…»
Davanti a me vidi una Hilary che non conoscevo. Avevo davanti una sconosciuta. La Hilary sempre forte, sempre coraggiosa, sempre radiosa mi pareva scomparsa per sempre. Davanti a me avevo una ragazza fragile, in pezzi, che cercava di non annegare nel suo stesso dolore. Mi sentivo combattuto, frustrato ed amareggiato. Non sapevo più cosa sarebbe stato meglio fare. Se combattere ancora, o tirarmi indietro e lasciarla libera di andare da lui. Per un secondo, un solo secondo, pensai che forse sarebbe stato meglio sparire per sempre.
 
Il suo viso si alzò nella mia direzione. Gli occhi, intrisi di lacrime, urlavano il suo dolore. Quel dolore che condividevamo. Ci guardammo per un istante eterno, ma nessuno dei due si mosse. Lei ancora tremava, io ancora sanguinavo. Eravamo come due bambole rotte che cercavano di aggiustarsi a vicenda, facendo ancora più danni.
   «Io ti amo.» mi disse ancora, con tono più sicuro e deciso.
La voce ancora le tremava, ma la fermezza non le mancava.
   «Ma ami anche lui.» Quelle parole uscirono dalle mie labbra come un fulmine che colpì entrambi. «Forse… forse ha ragione lui. Tu, in realtà, non mi ami. Non così profondamente, almeno. Se mi amassi come dici, non saresti mai stata in grado di innamorarti anche di lui.»
Vacillai. Per la prima volta, vacillai. Le mie parole erano lame che si conficcarono dritte dentro di lei. La trafissero, disintegrandola ancora di più.
Perché lo sto facendo?
Nemmeno io sapevo il perché delle mie parole. Non sapevo più in che direzione continuare. Forse, volevo solo che qualcuno mi indicasse la via. Forse, volevo solo che lei mi desse un segnale di poter vincere quella guerra così devastante.
Dopo aver pronunciato quelle parole mi immaginai la scena seguente. Il suo pianto diventare ancora più isterico, le sue lacrime farsi ancora più insistenti ed il suo dolore ancora più angosciante. Ma ciò non accadde. Hilary mi guardò con rabbia. Per la prima volta, i suoi occhi traboccavano di rancore. E quel rancore, era rivolto proprio verso di me. Alzò la mano sinistra dove portava i due anelli. Sfilò dal dito quello che le aveva regalato Castiel e, voltandosi, lo lanciò lontano. Rimasi senza fiato, senza parole.
E questo cosa significa?
Si voltò ancora verso di me.
   «Si, amo anche lui. Ma non ti ho mai amato di meno solo perché il mio cuore si è spezzato a metà. Lui ha solo riempito il vuoto che tu hai lasciato, ma non ha potuto prendersi tutto di me perché, l’altra parte, è sempre stata e sempre sarà solo tua.»
Rimasi senza parole. Dopo tutto lo schifo che le avevo lanciato addosso, lei aveva fatto una cosa bellissima. Mi aveva ridato speranza. Hilary corse via, ma io non le andai dietro. Ero ancora troppo in estasi per quella piccola vittoria che avevo appena avuto.
 
L’indomani andare a scuola fu strano. Avevo le mani doloranti e fasciate. Sapevo che la gente mi avrebbe guardato facendosi delle domande, ed io sapevo di non avere nessuna voglia di fornire delle risposte. Contattare Hilary mi era risultato impossibile. Probabilmente, aveva spento il cellulare per non sentirmi. Quando giunsi in classe mi accorsi che lei era già lì, ma non sedeva al solito posto. Era accanto a Iris e, non appena mi vide, mi fece un freddo cenno di saluto prima di tornare a parlare con la sua amica. Sapevo che era arrabbiata ed io, di certo, non potevo biasimarla. Mai avrei pensato che sarei arrivato al punto di dire delle cose così cattive alla donna che amavo. Andai a sedermi al mio posto ma non prestai alcuna attenzione alla lezione. Continuai a guardare Hilary, cercando un modo per scusarmi. All’intervallo non ebbi il tempo di raggiungerla che lei già era scappata. Sapevo che voleva evitarmi, ma io non accettavo che fuggisse da me. Si meritava delle scuse, ed io ero più che intenzionato a dargliele. Girai tutta la scuola, ma non riuscii a trovarla. Il cortile fu l’ultimo posto dove la cercai. Avevo cercato in ogni luogo ma, di lei, non c’era traccia. Quando mi voltai per rientrare nell’edificio, la vidi. Era sul tetto della scuola, in compagnia del mio rivale. Si stavano guardando e lui le stava scompigliando i capelli. Quel gesto così affettuoso mi irritò immediatamente. Lei lo lasciò fare, non si scompose, come se sentisse di aver bisogno di quel gesto d’amore. Pensai che correre lassù per interromperli non sarebbe stata la migliore delle idee. Avevo le mani fuori uso e Hilary era già in collera con me. Se fossi arrivato come una belva assetata di sangue, il suo odio non sarebbe che aumentato. Distolsi lo sguardo scocciato e rientrai in aula. Anche se lui le aveva dato conforto, lei ieri aveva rinunciato all’anello che lui le aveva regalato.
Qualunque cosa tu possa fare per tirarla su di morale, ha scelto il mio regalo al tuo. Sono io quello che sta vincendo.
 
L’egoismo umano non ha fine. Questa è una delle cose che so di aver imparato quando, nel presente attuale, ripenso a quei giorni passati. Noi esseri umani possiamo essere schifosamente avidi. Allora non ci rendevamo affatto conto di come Hilary venisse sballottata da una parte all’altra per via dei nostri comportamenti immaturi. Per via di quel sentimento così puro che inquinò le nostre anime. Ripensandoci ora, mi ripeto che avremo dovuto prestare più attenzione. Riflettendoci adesso, mi chiedo come abbiamo fatto a non accorgerci della terra bruciata che stavamo creando intorno alle nostre vite.
 
Quella sera mi recai a casa sua. Avevo intenzione di scusarmi, ed avrei fatto di tutto pur di farmi ascoltare da lei. Suonai alla sua porta e fu sua madre ad aprirmi.
   «Buonasera, signora.» le dissi, sfoggiando uno dei miei sorrisi più allegri.
Lei contraccambiò quel sorriso, ma mi accorsi subito che qualcosa non andava.
   «Ciao Kentin caro. Se cerchi Hilary mi spiace, ma è uscita.»
Finsi di credere a quelle parole, ma mi accorsi subito che stava mentendo. Con un gesto mi congedai e, non appena vidi la porta chiudersi, mi intrufolai nel giardino che stava di fronte al balcone di camera sua. Alzai lo sguardo e vidi la luce della sua stanza accesa. Iniziai ad arrampicarmi sull’albero vicino e poi, con un balzo sufficientemente silenzioso, atterrai sul suo balcone. Restai nascosto nell’ombra e la osservai. Era sdraiata sul letto, indossava un pigiama rosa a pois bianchi. Fissava il soffitto, persa nei suoi pensieri. Afferrai il cellulare e le mandai un messaggio: “Hai due minuti per un’idiota che ha tanto bisogno di farsi perdonare?”. Il cellulare di Hilary si illuminò. Lei scattò sul letto, afferrandolo dal comodino su cui stava. Lesse il messaggio nascondendo un sorriso. Tuttavia, il suo viso si incupì poco dopo. Posò il cellulare da dove lo aveva preso e tornò a fissare il soffitto. Il suo sguardo, sembrava essersi svuotato. Feci qualche passo e bussai alla finestra. Lei sobbalzò, spaventata, e si voltò nella mia direzione. Quando vide la mia figura trasalì. Le feci cenno di aprirmi ma lei rimase ferma, incapace di qualsiasi azione. Congiunsi le mani davanti a me, fingendo di pregare, per convincerla ad aprirmi. La guardai sospirare e massaggiarsi le tempie. Poi si alzò e mi fece entrare.
   «Perché sei qui?»
   «Perché ti meriti delle scuse.»
Lei iniziò a tracciare dei piccoli cerchi a terra con il piede. Era nervosa, agitata, lo vedevo chiaramente.
   «Mmmm…»
Estrassi dalla tasca la confezione di biscotti al cioccolato che avevo portato da casa. Vidi il suo sguardo illuminarsi per poi allontanarsi subito. Sapevo che non voleva darmela vinta così facilmente. E, infondo, sapevo che aveva ragione. Scartai il pacchetto e ne estrassi un biscotto, porgendoglielo.
   «Scusami per essere stato un grossissimo idiota. Ho detto cose che non ti meritavi, e vorrei rimangiarmele tutte quante. Ti amo. Prima di qualsiasi altra cosa, io ti amo. Immensamente. Follemente. Più di chiunque altro.»
Si morse il labbro, sapevo di averla colpita nuovamente dritta al cuore ma, questa volta, avvolgendola di dolce armonia. Lei si avvicinò di qualche passo ed addentò il biscotto che reggevo in mano. Mi scappò un sorriso che lei contraccambiò subito mentre si leccava i baffi. Ci guardammo nuovamente e poi ci abbracciammo. Sentire nuovamente quel calore mi diede energia. Sentivo nuovamente la forza di lottare. Perché questa era la scelta giusta. Lottare per lei, per il suo benessere. Perché solo io la conoscevo davvero. Solo io l’avevo vista crescere e sopportare tutte le angherie ricevute dagli altri. Solo io potevo essere il suo principe.
Hilary si sollevò sulle punte dei piedi, baciandomi a sorpresa. Le sue labbra erano morbide proprio come ricordavo. Ma quel ricordo non bastava mai, ed avevo sempre bisogno di imprimerlo nella mia mente. Giorno dopo giorno, minuto dopo minuto, secondo dopo secondo. La strinsi a me e ci baciammo a lungo. Con passione, con tormento, con amore. Salutarla fu doloroso, ma sapevo che l’avrei vista l’indomani. Sapevo che, dal giorno seguente, sarebbe tornata a sorridermi come sempre.
 
Sulla via del ritorno giurai a me stesso di vincere quella guerra. Sentivo di poterlo fare. Ero più che convinto che l’unico vincitore sarei stato io perché, solo io, potevo davvero farle provare quel profondo amore. Mi sentivo invincibile, ineguagliabile. Avevo acquisito una forza nuova, una convinzione ancora più forte. Credevo davvero di essere l’unico eroe in grado di salvarla. Ragionandoci adesso, mi sento davvero un’idiota a realizzare di aver avuto pensieri così stupidi all’epoca. Perché ogni qualvolta pensavo di essere un passo più vicino alla serenità, invece, ero un passo più vicino alla distruzione più cupa.

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Capitolo 9
*** Sogno Lucido ***


Un libro intero.
GRATIS in versione ebook.

Vi piacciono le mie storie? Beh, ho scritto un'intero libro che tratta di una storia d'amore <3

Lo potete trovare qui: https://www.amazon.it/Sogno-Lucido-Romanzo-rosa-damore-ebook/dp/B08QC81SW4/ref=tmm_kin_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=1608293839&sr=8-1

C'è anche la versione cartacea, se preferite ^_^

Come già detto, l'ebook è GRATIS fino al 21!!

Se vi va di leggerlo e lasciarmi una recensione lo apprezzerei moltissimo <3

Grazie a tutti!!!!
Sì, scrivo usando uno pseudonimo ("Luna Jadeheart" non è il mio vero nome! Ma potete trovare quel nome su IG, se volete seguirmi anche sui social ^_^)

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