The toys room di Ellyna_Mel (/viewuser.php?uid=41597)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Meeting ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Salve a tutti!
Bene bene… come avevo già anticipato ad alcune
“ colleghe” del TMPCP, ha inizio una nuova fan
fiction firmata Elly & Lolly!
“The toys room” è una storia che avrei
voluto scrivere già un po di tempo fa… ma
purtroppo non ero sicura che sarei riuscita a “metterla in
piedi” da sola… e così mi sono rivolta
alla mia ormai collaboratrice di fiducia, la Lolly! <3 ( Lolly
ti adorooo!!!!) e dalla nostra collaborazione… ecco una
nuova storia sulle orme di “R.H” ( che, state
tranquilli, aggiorneremo!).
Ma adesso basta…niente spoiler! XD
Buona lettura!
† The
Toys Room †
Prologo
C’era una luce fioca in quella stanza. Avrebbe sicuramente
potuto essercene di più, ma il Bambino non voleva. Andava
benissimo così, le candele facevano l’atmosfera
giusta. Gli erano sempre piaciute, le candele.
Sorrise. Era arrivato il momento di giocare un po’. Aveva
sistemato la sua Bambola su una seggiolina bassa, con un bel vestito
nuovo, ed era pronto a servirle del tea caldo. Perché
c’era solo una cosa che interessava il Bambino, i giocattoli,
e in particolare le sue Bambole. Quelle non erano giochi comuni, le
custodiva gelosamente, non le faceva vedere a nessuno, e le teneva
nella Dimora fino a che non si rompevano. Perché purtroppo,
le Bambole avevano il grande inconveniente di essere molto fragili.
< Spero sia di tuo gradimento il nuovo vestito che ti ho
regalato... Desideri dell'altro tea, Halle-Doll?>
sussurrò a voce bassa alla Bambola dai capelli dorati che
stava davanti a lui. Era una delle sue bambole preferite, una delle
più rare... Aveva veramente faticato per riuscire ad
ottenerla, a farla sua. Aveva tanto lottato, ma alla fine si era
arresa. Esattamente come tutte le altre.
I biondi capelli le ricadevano sulle spalle, coperte dalla seta nera
del vestito nuovo che il Bambino aveva provveduto a donarle.
Le braccia ricadevano sul tavolinetto in legno. Lo sguardo puntato nel
vuoto... Dopotutto era solo una Bambola.
Le avvicinò, fissandola con le iridi di carbone, alle labbra
la tazza fumante di tea. Era bollente.
Il piccolo poté notare gli occhi di ella tremare, producendo
piccole gocce trasparenti che ricaddero giù dalle guance.
La Bambola piangeva.
< Oh oh! Ma cosa fai? Le Bambole non piangono, perché
sono finte... Magari sei difettosa...>
Nel pronunciare tali parole fece gocciolare lentamente il liquido
bollente sulle labbra di lei. Il tea percorse il candido corpo
facendolo arrossare lungo tutto il percorso.
Lievi gemiti misti a dolore. Dolore che ella tentava di celare dietro
ad un falso sorriso.
Allora il Bambino si alzò di scatto rivolgendole uno sguardo
di puro disprezzo. Era decisamente più basso del suo
giocattolo, e vestito buffamente, tutto di bianco. In lui tutto era
latteo e irreale, a partire dai riccetti candidi da angelo fino alle
punte delle dita delicate e infantili… Ma il suo fisico non
gli impedì di strattonarla per la veste nera facendola
cadere a terra.
< Devi avere qualche cosa che non va... Ma non preoccuparti,
adesso ti aggiusto io, non temere...>
Immobile sul pavimento, osservò il suo padrone allontanarsi
per qualche istante, tornando poi con un'altra sua simile trascinata a
forza per il colletto.
La lasciò andare facendole ricadere la testa sul pavimento.
Anche questa non accennava a muoversi, ma non dava nemmeno il minimo
segno di vita come invece, purtroppo, aveva fatto lei.
Vide il suo padrone, questa volta, armeggiare con uno strano oggetto
luccicante, tipo una lama.
< Dunque... Questa è Takki-Doll... Era la mia Bambola
preferita prima di te, un buon modello, non ci sono dubbi... Non mi ha
mai dato problemi lei, a differenza di te, però... Se
riuscissi a concentrare le sue funzioni con il tuo corpo magari potrei
ricavarne qualcosa di meglio, penso...>
La Bambola seduta non si scompose. Poteva parere immobile, come se non
avesse sentito, ma in realtà non era così. Un
osservatore attento, un osservatore come il Bambino, avrebbe notato
immediatamente che aveva incominciato a tremare. Erano piccoli sussulti
quasi impercettibili… Perché se solo la Bambola
ne avesse ancora avuto la capacità, avrebbe urlato di
terrore…
Il piccolo boia non rimase con le mani in mano. Abbandonata a terra la
minuscola tazza in ceramica mal decorata come solo un oggetto
giocattolo vecchio di anni poteva essere, piantò il coltello
che aveva in mano direttamente nel petto della figura stesa a terra.
Una figura che doveva essere morta da tempo.
La Bambola l’aveva capito, anche perché le sue
narici riuscivano ancora a percepire debolmente un filo di fetore
putrido che fino al momento in cui quel demonio travestito da creatura
innocente non aveva portato nella stanza quella cosa non
c’era.
Nel frattempo l’altro sembrava scavare facendo uno strano
frushfrush inquietante, senza curarsi di niente, ne del sangue nero e
denso che gli ricopriva le mani pallide anche a quella fioca luce, ne
del modo terribile con cui stava macellando quella cosa… No,
lui non provava mai niente. Niente.
Ad un certo punto, ne tirò fuori (e si poteva intuire un
ghigno soddisfatto dietro la maschera atona del suo volto coperto di
ombra) un organo sanguinolento, una viscera avariata e violacea, che
sapeva solo di morte…
La Bambola bionda chiuse gli occhi, aspettando la fine. Voleva che
arrivasse in fretta, voleva solo questo. Nessuno avrebbe potuto
salvarla, lo sapeva. E quel pazzo non si sarebbe mai fermato.
Perché lui era il Bambino, e i bambini non sono consapevoli
delle azioni che compiono…
Quando il Bambino ebbe finito la sostituzione dei circuiti della
bambola bionda, si occupò dell’altra,
anch’essa nelle medesime condizioni… Come poco
prima, la riprese per il colletto del vestito trascinandola via, ormai
inutilizzabile.
Tornò allora da Halle-Doll, la sua prediletta con un sorriso
tra il sadico ed il pazzo stampato sulle labbra.
< Come ti senti ora, Halle-Doll? Va meglio, vero? Non sono stato
bravo?>
La bambola non mosse un muscolo. Gli occhi vitrei serrati.
< …>
La smosse un pochino per vedere se riprendeva le proprie funzioni, ma
nulla…
< Oh! Si è rotta!> constatò infine
notando distrattamente di non essersi ricordato di ricucire la stoffa,
e che questa era macchiata di uno strano e denso liquido…
Piccolo errore di distrazione, poteva accadere ogni tanto,
dopotutto… Anche se gli dispiaceva un po’ per la
sua Halle-Doll, lei gli piaceva tanto!
Forse era l’ora di concedersi un riposino, giusto il tempo
per pensare a come ottenere un nuovo giocattolo che sostituisse quello
ormai rotto. Uno che era bello uguale.
Il Bambino si allontanò lentamente. Le impronte dei suoi
piccoli piedi stampate sul parquet erano di un rosso acceso.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Meeting ***
†
The Toys Room †
Capitolo 1: Meeting
In un appartamento di Fleet Street, a Londra, un ragazzo si
svegliò di colpo, nel cuore della notte. Il viso sudato, i
capelli rossi arruffati appiccicati alla fronte, respirava
affannosamente seduto sul materasso, le coperte mezze buttate per
terra. Non capiva nemmeno bene cosa gli fosse successo: non si
ricordava di aver fatto un incubo. Era stato un svegliarsi
improvvisamente preso dal panico senza alcuna ragione.
Si guardò attorno furibondo, la testa che girava a destra e
a sinistra in cerca della motivazione di tutto quello. Niente, solo la
luce del lampione gialla che entrava attraverso la finestra nella
caotica camera da letto, illuminando un po’ dappertutto.
E adesso, Mail Jeevas, così si chiamava il ragazzo, aveva
anche bisogno di andare in bagno! Ancora più di cattivo
umore (Era infatti una persona abbastanza pigra.), si sfilò
dalle coperte e si catapultò nel minuscolo bagnetto del suo
appartamento. Non accese nemmeno l’interruttore, conosceva a
memoria la strada per il gabinetto.
Per lui, il momento di pisciare era da considerarsi una goduria. Una
piccola e magra consolazione di fronte a quel risveglio tremendo. Mezzo
minuto per calmarsi, passarsi una mano sulla fronte, e poi rialzarsi
tirandosi su le braghe, ma senza tirare l’acqua.
Si fermò poi davanti allo specchio, osservando il suo
riflesso nella penombra notturna. La pelle un po’ troppo
pallida, nessun muscolo in evidenza, i contorni poco nitidi, in quel
buio, di un tatuaggio sull’avambraccio sinistro, fatto un
anno prima in un momento di particolare spregiudicatezza: una
diavoletta dalle forme provocanti, portante solo le mutandine, il seno
enorme ben in evidenza. Si chiese, per l’ennesima volta, cosa
ne avrebbe fatto arrivato ad un’età più
matura…
La domanda rimase come al solito senza risposta.
Grattandosi un gomito, uscì dalla stanza, ma non si diresse
in camera sua. Tanto non aveva più sonno…
Preferì, al contrario, andare nell’altra camera,
quella di Mihael, il suo coinquilino. Vivevano assieme da due anni
ormai…
Lo trovò disteso nel suo letto, quello matrimoniale che una
volta era appartenuti ai suoi genitori, Mr. e Mrs. Jeevas, che dormiva
profondamente, i capelli biondi sparpagliati sul cuscino, le labbra
semiaperte che gli davano un’aria tenera, pareva un bambino.
“Meno male che almeno lui dorme tranquillo.”
Pensò già più sollevato.
Ci teneva molto a lui, erano inseparabili.
Mihael non lo sapeva, ma erano molte le volte in cui Mail, osservando
l'amico addormentato, ripensava al loro primo incontro, a come era
iniziata questa morbosa amicizia... Morbosa da parte sua, non certo da
quella del biondino che, nonostante avesse accettato di convivere con
lui, non aveva altrettanto digerito la prima impressione che poteva
aver avuto Mail sul suo conto...
Era una gelida notte d'inverno, quella di due anni prima... Di quelle
in cui sarebbe stato un bene restasene in casa al caldo, magari davanti
un camino acceso e in compagnia di amici o parenti. Al calduccio,
lontano da quel vento gelido che ti penetrava in corpo come lame
taglienti, fino alle ossa.
Ma a Mail del vento e del freddo, quella sera, non importava nulla...
Sentiva semplicemente il bisogno di uscire da quell' orrido
appartamento che da alcuni mesi era rimasto a lui in
eredità... No, i suoi non erano morti, se ne erano
semplicemente andati via senza alcun preavviso, senza salutare ne dare
spiegazioni, ne avvertire su un loro probabile ritorno. Niente di
niente, eclissati nel nulla.
Mail aveva diciassette anni all'epoca, e conosceva abbastanza la sua
famiglia da potersi aspettare tale gesto... Non se ne preoccupava
più di tanto, a lui bastava stare bene con se stesso ed
avere i suoi videogiochi. I soldi non gli mancavano, aveva giusto
trovato un lavoretto part-time ad un pub in Fleet Street, a pochi
isolati dal suo appartamento.
Da quando i genitori lo avevano abbandonato, quel luogo era un vero
macello. Disordine ovunque, letto sfatto durante tutta la giornata e
cicche di sigarette, perché ovviamente data l' assenza dei
genitori poteva permettersi di fumare tranquillamente, sparse per il
pavimento, accanto al divano bucato un po’ ovunque sempre a
causa di queste ultime... Mail purtroppo aveva rotto involontariamente
il posacenere e non aveva decisamente voglia di interrompere le sue
partite per andarne a comprare uno nuovo.
Quella sera però, Mail non aveva intenzione di starsene a
marcire in quel porcile che aveva creato negli ultimi mesi.
Uscì di casa nonostante il tempo per dirigersi, come ogni
sera, al pub in cui lavorava fino a tardi...
Aveva appena messo piede fuori casa quando, guardando il cielo nuvoloso
e sentendo la neve cadere sui suoi capelli facendolo rabbrividire, si
accorse di aver dimenticato qualcosa di essenziale per la sua
incolumità! Corse nuovamente sulla scalinata che portava
all'appartamento dandosi dell'idiota per poi, raggiante, uscirne con il
suo amato game boy...
Percorse Fleet Street a grandi falcate: dopotutto il tempo era quello
che era, e lui non era certo uno dei suoi amati personaggi dei
videogame, il freddo lo sentiva e fin troppo bene, e non aveva alcuna
intenzione di beccarsi una qualche polmonite...
Aveva ancora gli occhi puntati sulla sua consolle quando, sentendo un
fruscio continuo provenire da dietro il pub in cui lavorava, i suoi
occhi si posarono, curiosi, su un ammasso di coperte contro il muro.
Sospirò pieno di sconforto. Non era una cosa nuova per lui,
vedere dei senza tetto morire congelati in mezzo alle innevate strade
londinesi... Non era altrettanto una cosa nuova trovarsi questi ultimi
a cercare un poco di calore accovacciati accanto ai muri dei pub,
riparati dai bordi dei tetti.
Non seppe mai spiegarsi bene il perché, perché
sentì un grumo pesante in mezzo allo stomaco davanti a quel
quadretto desolante di un povero di paese detto
“occidentale” come il Regno Unito.
Gli si avvicinò lentamente, notando che questo si muoveva.
Il battito dei denti di quel poveretto era a malapena percettibile,
doveva essere esausto e mezzo assiderato.
< Hey, tu... Stai bene?> chiese gentilmente accucciandosi
lentamente di fronte alla figura tremante.
Quest'ultima alzò il capo coperto da un leggero cappuccio in
pile, scoprendo un viso da ragazzino, forse un po’ sciupato a
causa delle condizioni in cui stava, con i segni della denutrizione
sulle guance, ma che mostrava fin troppo evidentemente l'età
del possessore. La fronte era coperta da una frangetta bionda... Gli
occhi azzurri, resi acquosi dall’influenza che non aveva
potuto evitare stando al freddo, strabuzzati e fissi su quelli del
castano.
La giovane figura annuì lentamente battendo
ininterrottamente i denti e riprendendo a fissare la neve che cadeva al
suolo.
Mail era rimasto abbastanza scosso vedendo un ragazzo, molto
probabilmente della sua età, in quelle condizioni.
< Sei sicuro? Fa davvero freddo ‘sta sera, hai bisogno
di aiu...>
< Mail!> lo interruppe la voce del suo capo, fermo
davanti all'ingresso del locale con un'aria leggermente irritata sul
volto < Si può sapere cosa ci fai lì
fuori? Avanti, cammina a lavorare, mica ti pago per startene ad
osservare la neve che cade come un bambino di cinque anni! Se vuoi
metterti a fare pupazzi di neve li farai domani, ti aspetta una lunga
nottata di lavoro adesso!>
Mail distolse velocemente lo sguardo dal biondo, correndo
immediatamente dentro il pub.
Avrebbe avuto voglia di aiutare quel ragazzo, magari offrendogli
qualcosa da mangiare, ma non ne aveva la possibilità in quel
momento... Era già una fortuna per lui aver trovato lavoro,
e non poteva certo permettersi di far irritare il suo capo, o sarebbe
certamente finito a fare compagnia a quel poveretto in mezzo alla
strada...
Si diresse talmente velocemente al bancone da non accorgersi che,
mentre lui obbediva al proprietario, quest'ultimo aveva lanciato un'
occhiata poco rassicurante al ragazzo che poco prima aveva tentato di
soccorrere...
La serata passava velocemente. Ogni tanto Mail si fermava per
chiacchierare del più o del meno con qualche amico seduto ad
un tavolino, ma non poteva permettersi più di tanto... Non
con il capo che si ritrovava... Era il classico vecchio burbero pronto
a prendersela con lui al minimo errore. Due enormi baffi gli coprivano
la bocca, e lo sguardo gelido sempre puntato su di lui, a controllarlo
perché lavorasse come si deve...
"Aspetta che ne abbia la possibilità e me ne vado da questo
postaccio..." pensava il ragazzo da alcuni mesi... Sperando arrivasse
presto l'opportunità di trovare una casa altrove e non
rivedere più quel vecchiaccio che tanto lo assillava.
Aveva quasi finito di lavorare, i clienti erano quasi spariti tutti,
quando, sentendo delle grida provenire da fuori, corse subito a vedere
cosa fosse successo.
C' era il suo capo che urlava... E c'era un ragazzo a terra davanti a
lui, seduto sempre con lo sguardo fisso sul terreno bianco.
< Ho detto che te ne devi andare! Sei sordo forse? Dai una
brutta immagine del locale standotene seduto qui davanti con quegli
stracci per coprirti! Vattene, trovati un altro posto!>
< Io non mi muovo...>
< Cosa?!> esclamò il vecchio rosso di rabbia,
guardandolo malissimo.
< Qui fa più caldo, non voglio andarmene. Non sto
dando fastidio a nessuno, non chiedo l’elemosina e nemmeno
del cibo. Voglio solo riposare.>
La voce del ragazzo era sicura e senza alcun timore, non balbettava, ne
aveva ripensamenti sulle proprie parole ritrovandosi quell' enorme
figura minacciosa e furente davanti a sé... Solo il tono
arrochito mostrava abbastanza evidentemente quanto realmente stesse
male.
Ma di questo il padrone del pub non tenne conto. Quel parassita non gli
faceva alcuna pena.
Stava perdendo la pazienza, e non ci avrebbe pensato due volte a
prenderlo a calci pur di farlo sloggiare. Lo avrebbe tranquillamente
fatto senza preoccuparsi delle conseguenze se non fosse prontamente
intervenuto Mail.
Lo bloccò per un polso giusto in tempo, prima che lo
colpisse violentemente rischiando di farlo rovinare a terra.
< Mail! Che diamine stai facendo?! Torna al lavoro!>
< Sta male… Non penso che colpirlo cambierebbe la
situazione, non crede?>
< Tu fatti gli affari tuoi, ragazzo, e non sopporto questo
genere di rognosi davanti al mio pub. Torna a fare il tuo lavoro e
lasciami il polso!>
Mail obbedì, lasciando andare il braccio del padrone, ma non
osò allontanarsi da loro, anzi, si avvicinò
lentamente alla figura a terra porgendogli una mano per aiutarla ad
alzarsi.
< Avanti, vieni, ti porto in un posto più caldo. Qui
finirai solo per morire congelato…>
Il biondo alzò nuovamente lo sguardo per guardarlo. Mail
stava sempre più male ogni volta che i suoi occhi
incontravano quelli stanchi dell’altro. Gli faceva una gran
male sapere di essere così fortunato, perfino nelle sue
condizioni familiari, rispetto a quel ragazzino assiderato che, molto
probabilmente, non aveva nessuno a cui rivolgersi.
Mosse lentamente le labbra sussurrando un flebile <
Grazie.>, vacillando nel tentativo di alzarsi. Mail lo sorresse
perché non cadesse a terra. Fu nel momento in cui lo
sfiorò che si accorse di quanto, in effetti, fosse esile la
sua corporatura. Gli venne in mente che probabilmente una ragazzina di
tredici anni non avrebbe pesato di più…
rispose l’altro, reggendosi,
le dita che riacquistavano sensibilità
Mail fissò allora il suo capo. Teneva le mani sui fianchi,
un piede nervoso tamburellava sul marciapiede ghiacciato. I suoi occhi
porcini erano serrati a fessura, un’espressione di profondo
disappunto sul grugno.
lo interruppe con voce furiosa
< Sì, lo porto via, non si preoccupi, non le
causerà più alcun fastidio…>
Mail aveva un tono di voce speranzoso, gli batteva il cuore. Non era
mai stato religioso, eppure dentro di sé, sentiva la propria
coscienza che gli diceva che aveva appena fatto una cosa giusta.
Sì allontanò sorreggendo il ragazzo per le
spalle, camminando piano, perché riuscisse ad avanzare.
Doveva avere una bella influenza, perdeva spesso
l’equilibrio, e si aggrappava a Mail come se fosse stato
un’ancora.
< Non avresti dovuto… Potevi lasciarmi
lì…>
< E stare lì a guardare mentre il mio capo ti
prendeva a calci in culo? L’avrebbe fatto senza rimorso,
credi a me… O come minimo, saresti morto congelato. No, non
ho potuto. Non so perché, ma ho sentito di doverlo
fare… Comunque, mi chiamo Mail, e tu? >
< Mihael. E ti ripeto che non devi fare
questo…>
< Piantala, certo che sì. Sarai affamato.>
Entrarono entrambi dentro al fastfood, ma Mihael si bloccò
sulla porta ad aspettare Mail, molto restio a proseguire lì
dentro: non se la sentiva di continuare rischiando che gli occhi di
tutti venissero puntati su di lui, curiosi.
Mail se ne accorse ovviamente, ma non disse nulla: probabilmente il
ragazzo si sentiva decisamente a disagio e, nelle sue condizioni, aveva
solo bisogno di riposarsi e riprendersi.
Pagò non appena gli fu dato l’hamburger, optando
per portare il cibo appena comprato a casa, prima di mangiarlo, per non
metterlo in imbarazzo, vedendolo tanto in difficoltà di
fronte all’idea di sedersi al McDonald.
Non lo avrebbe certamente lasciato per la strada a morire come un cane,
questo era sicuro.
< Ascolta, andiamo a casa mia.> disse tornando da lui
< Eh? C-casa tua?> ripeté incredulo il
biondino.
Perché quel ragazzo che nemmeno conosceva si rendeva
talmente gentile e disponibile nei suoi confronti? Non riusciva a
capire… Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere nei suoi
confronti, neanche le persone che in passate gli erano state vicine.
< Esatto… Non me la sento di lasciarti qui in queste
condizioni, almeno permettimi di darti una medicina e farti mangiare
questo a casa mia, visto che qui vedo che ti vergogni perfino ad
entrare.>
< Perché? Perché fai tutto questo per
qualcuno che neppure conosci? Potrei essere un assassino o un ladro,
non puoi saperlo! E allora perché mi aiuti? Cazzo, sono solo
un fottuto senzatetto rognoso!>
< Non lo so. Non me lo chiedere, perché a parte il
fatto che mi faceva star male la situazione in cui eri, non lo so
nemmeno io… So che nemmeno tu mi conosci, per quanto ti
riguarda… Ma ti prego di fidarti, voglio solo
aiutarti.>
Dopo alcuni istanti di esitazione che i due passarono a fissarsi
silenziosamente, Mihael decise di accettare l’invito,
sentendo le proprie gambe reggere sempre meno il peso del suo corpo,
nonostante questo fosse già gracile per conto suo.
Lo seguì senza proferire parola. Nonostante fosse ancora
debole, riusciva comunque a camminare senza il suo aiuto…
< Non è molto distante casa mia… Abito in
un palazzo di Fleet Street. Non è proprio una reggia, anzi,
è un vero casino, ma ci si vive comunque.>
Tentò di rompere il ghiaccio Mail.
Inutilmente. Mihael pareva non ascoltarlo, aveva lo sguardo vacuo,
molto probabilmente la febbre si stava alzando…
Una volta arrivati all’appartamento, Mail fece accomodare il
biondino nel salotto, mentre lui si apprestava a cercare un’
aspirina da somministrargli.
< Vado a cercare le medicine, tu resta qui. Intanto mangia pure,
non fare complimenti, quell’hamburger è
tuo.>
Lo lasciò seduto sul divano, mentre cercava le medicine che,
sua madre, aveva sempre tenuto in un cassetto del bagno. Il rosso non
si ammalava quasi mai stranamente, perciò non era nemmeno
molto abituato nella scelta delle medicine da utilizzare. Quelle
scatole con sopra dei nomi astrusi parevano tutte uguali…
Buttò a destra e a manca le scatole dei cerotti e delle
pasticche in cerca di una qualche aspirina contro
l’influenza. Una volta trovata, corse subito dal suo ospite.
< Scusa se ti ho fatto aspettare! Ecco
l’aspiri… Na…>
Tacque immediatamente trovandosi di fronte quella figura raggomitolata,
profondamente addormentata sul suo divano. L’hamburger era
ancora intero, probabilmente era talmente stanco da non sentire nemmeno
la fame.
Ma bene bene... vediamo con nostra enorme gioia che il primo capitolo
è piaciuto ^^ Questo è molto più soft
rispetto il primo che avete letto, ma è solo per introdurre
la storia dei due "nuovi" protagonisti, ghgh! Cosa attenderà
i nostri amici? pensiamo abbiate già intuito qualcosa ma
preferiamo non spoilerizzare! <3
Ah! un'ultima cosa... spiacente per le fan del genere, ma
quì niente yaoi, Mello e Matt sono semplicemente amici molto
legati tra loro...
Ne approfittiamo per ringraziare:
Prof
Reidina
Nee_chan
Kocuccha
Ker
per le recensioni ^^ Grazie 1000
Un kissone by Elly & Lolly!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=317361
|