Vorrei guardarti dormire

di Lela150995
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


"Corri. Sorridi. Non voltarti. Non guardarti indietro. Dimentica. Al passato non pensarci. È passato perché appunto è andato via. Non voltarti. Corri. Scappa. Salvati. Hai te stessa. Salvati." Mi svegliai di soprassalto. Ancora quel sogno, quella voce, quel viso, quel passato. L'amaca dondolava insieme al vento, e insieme a loro anche io. Iniziava a fare freddo, avevo la pelle d'oca e i brividi. Il cielo era blu pieno di stelle, la luna piena e qualche nuvola di passaggio. Guardai l'orologio, era quasi l'una di notte. ―Marea torna dentro, ti prenderai la febbre così. ― disse mia madre. Che razza di nome è Marea? Non mi rappresentava per niente, non lo sentivo mio come non sentivo mio quel corpo. La Marea era alta e poi bassa, lunatica e in continuo cambiamento, io invece ero così statica, vuota, ed ero così da sempre. Mia madre era l'unica a chiamarmi così. Dall'età di sei anni iniziarono a chiamarmi Mare, Fred iniziò a chiamarmi Mare. 
Fred era il mio migliore amico sin da quando eravamo bambini, era un ragazzo così intelligente, dolce e..fragile. Eravamo al fiume quando lo vidi per la prima volta, piangeva, così decisi di avvicinarmi. Aveva il ginocchio sbucciato con il sangue che colava lungo la gamba. Presi la fascia dai miei capelli, la bagnai al fiume e iniziai a pulirlo facendo attenzione a non fargli male. Mi guardava con i suoi occhi blu mentre cercavo di medicarlo. Osservava ogni mio movimento e a poco a poco smise di piangere ma continuò a fissarmi. 
― Sei apposto ora. ― gli dissi rialzandomi. 
― Come ti chiami? ― mi chiese con un sorriso, come se già si fosse dimenticato del suo ginocchio.
― Marea. ― mi fissò.
― Ciao Mare, io sono Fred. ― disse prendendomi per mano ― vieni, andiamo a giocare. ― e mi trascinò con se.
A distanza di anni gli chiesi per la millesima volta perché mi chiamasse Mare. Si fermò a pensare.
― Perché il mare è profondo come i tuoi occhi, hanno lo stesso colore e sono rumorosi come il mare, fanno rumore in silenzio. ― rispose poi guardandomi e sorridendomi con quel sorriso da bambino.
Mi addormentai ripensando ai giorni passati con lui, alle altre volte in cui l'ho aiutato con altre ferite, sia fisiche che mentali, alle volte in cui l'ho aiutato a rialzarsi e alle volte in cui, invece, mi sdraiavo accanto a lui perché eravamo distrutti entrambi.

Il mattino seguente passò tra le diverse faccende di casa e i preparativi per la partenza. Era l'ultimo giorno di giugno e l'indomani sarei partita per andare in campeggio con il gruppo. Erano le sei del pomeriggio e avevo finito di preparare la valigia. Ero sempre molto ordinata e precisa su alcune cose e doveva essere sempre tutto al proprio posto, quindi feci una lista con su scritto tutte le cose che dovevo portare per il viaggio, e mi sembrava di aver messo tutto così uscii di casa e andai al casale. 
― Mare, smettila di fumare ― disse Val arrivando da dietro e togliendomi la sigaretta di mano.
― Val che rottura. ―risposi infastidita.
― Ti fa male. ― mi guardò con occhi dolci, io ricambiai con i miei occhi di ghiaccio come sempre, poi distolsi lo sguardo e mi voltai a salutare Micael e Fede.
― Dov'è Fred? ― chiesi guardandomi in giro.
― Fuori.
Andai a cercarlo. Il suo skate era abbandonato in un angolo ma lui non c'era. Mi guardai un po' intorno e all'improvviso sbucò da dietro una parete del casale. Il suo comportamento sembrava piuttosto sospetto. Non si accorse di me e si guardava intorno, come se stesse cercando di capire se qualcuno l'avesse visto fare chissà cosa. Gli bloccai la strada mettendomi avanti a lui facendolo sbattere contro di me mentre cercava di abbottonarsi l'ultimo bottone dei jeans con molta fretta.
― Hey.. ― si voltò verso di me, con gli occhi sbarrati e il respiro sospeso. 
― Che stavi facendo? ― chiesi guardandolo in faccia e solo in quel momento mi accorsi che aveva il volto leggermente arrossato, la fronte e le tempie sudate e i capelli in disordine. 
― Ehm.. Io... ― balbettò. 
― Tu? ― chiesi io scrutando la sua espressione e cercando di capire cosa stesse nascondendo.
― Sono andato.. aa-a.. fare pipì. ―disse con tono poco convincente.
― Pipì? 
― Si. Sai che non riesco a trattenerla tanto. 
― Cosa mi stai nascondendo Fred? ― chiesi senza giri di parole. 
― Te l'ho detto. Sono andato solo a far pipì lì dietro. ― rispose guardando da un'altra parte facendo l'indifferente. 
Sentii dei rumori provenire da dove lui era sbucato fuori pochi minuti prima e, incuriosita, mi avvicinai. Qualcuno si stava allontanando a passo veloce, era di spalle con una felpa e il cappuccio in testa, quindi non riuscii a vedere chi fosse.
― E quello era la tua 'pipì'? ― gli chiesi. 
― Non è come credi. ― disse cercando di giustificarsi. 
― Ti conosco troppo bene. Non mi importa di quello che fai però io ti dico sempre tutto e poi scopro che mi nascondi le cose?
―Ma.. Non è come credi.. Era giusto per..
― Giusto per, cosa? ―dissi interrompendolo. ― Chi è? ― chiesi.
― Nessuno di importante.
Lo guardai con uno sguardo torvo. Mi stava facendo arrabbiare sul serio. Io ero sempre così sincera con lui, non avevo una vita molto movimentata ma gli raccontavo tutto quando succedeva qualcosa. E pensavo che lui facesse lo stesso con me. 
― Avrà pur un nome questo qualcuno no? ― dissi con un finto sorriso sulle labbra.
― Non lo so.
― O non vuoi dirmelo. 
― Mi ha chiesto di non dirlo a nessuno e io gliel'ho promesso.
― Quindi hai dei segreti con me.. Bene. ― dissi con tono freddo.
― Ma no.. E' solo che.. Cioè lui.. Io...
― Lascia perdere. ― dissi voltandomi e incamminandomi.
― No ti prego, non andare ― mi rincorse.
― Non mi frega un emerito cazzo di chi ti scopi Fred. ― risposi con un tono di voce leggermente più alto. Mi voltai di nuovo e iniziai a camminare con più decisione di prima. Volevo allontanarmi. Pensavo di potermi fidare, almeno di lui.
― Mare.. ― sentii alle mie spalle, con la paura nella sua voce tremante. Era terrorizzato all'idea di perdermi e di deludermi, non litigavamo quasi mai ma quelle poche volte che succedeva era una distruzione per entrambi. 
Non volevo nemmeno litigare, ma non sopportavo l'idea che avesse dei segreti con me. A me diceva sempre tutto. Sono stata la prima persona a cui ha detto che fosse gay, la prima persona a cui ha raccontato ogni cosa e con il tempo ha portato anche me ad essere aperta nei suoi confronti, a confidarmi. 
― Questo proprio non posso accettarlo. ― dissi tra me e me, mentre scalciavo le pietre che di tanto in tanto si imbattevano sul mio cammino.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Eccola che tornava. Quella sensazione di vuoto immenso. Dovevo essere incazzata per quello che era successo con Fred e invece non provavo niente. Non capivo mai quella sensazione, si avvicinava molto al vuoto, ma non come un cassetto vuoto o il frigo vuoto di cibo, no, quello era un vuoto diverso, il mio vuoto, e non finiva mai, come quello spazio nero in cui correvo nel sogno, infinito.
Continuavo a camminare e cercavo qualcosa da pensare. Era strano. Le persone si arrabbiavano e andavano a fare un giro per non pensare, per liberare la mente. Io invece volevo qualcosa nella mia testa, colmare quel vuoto, riempirlo di qualsiasi cosa, ci avevo provato con un panino e un gelato, ma non aveva funzionato. Provai con la musica, presi le cuffiette che mi portavo sempre dietro e le collegai al cellulare, ma non trovai nessuna canzone che andasse bene con il mio umore. Arrivai davanti al cancello del parco senza nemmeno accorgermene, mentre la musica continuava a rimbombare nelle mie orecchie. C'erano bambini che giocavano a rincorrersi e coppie di vecchietti che camminavano sotto braccio. 
― Forse sono vecchia dentro. ― pensai tra me e me. Ero marcia, come se la mia vita avesse già fatto tutto, bruciato ogni tappa, arrivata a quell'età dove ci si siede in poltrona e ci si ferma a pensare alla vita trascorsa, al tempo passato, ai rimpianti e alle soddisfazioni, solo che io nei miei 19 anni di vita non avevo fatto nulla, nei miei anni passati non c'era niente, apparte il vuoto. 
―Come può il vuoto pesare così tanto? ― mi chiesi. 
Camminavo e fui attratta da un anziano signore su una panchina. Era tenero, vestito in modo elegante, con un fiore in mano, lo guardava e lo girava tra le mani. Aveva le rughe sulle mani, mani di chi aveva vissuto la vita; aveva pochi capelli bianchi, capelli che rappresentavano il suo tempo. Rimasi lì, imbambolata, a guardarlo per qualche minuto. Erano poche le cose che mi colpivano nella mia vita ma lui era così triste, sembrava stesse aspettando qualcuno, forse sua moglie, o forse sua moglie era morta ma lui continuava ad aspettarla. Volevo sedermi accanto a lui ma non volevo occupare quel posto, dove forse avrebbe dovuto esserci sua moglie. Mi guardò, aveva gli occhi lucidi e il mare sulle guance. Mi sorrise. Ricambiai il sorriso e andai via. Mi lasciai trasportare dal vento fino ad arrivare ad un altalena che cigolava. Mi ci sedetti e iniziai a dondolarmi. 
Passai le ore intere lì sopra e i miei pensieri caddero di nuovo su quel vuoto. Non era un vuoto qualsiasi. Era il vuoto legato ai miei ricordi, ricordi che la mia mente aveva cancellato. C'era un buco nel mio passato e io non riuscivo a ricordare e mi tormentano per questo, se mi sentivo così era per qualcosa successo in passato, in quel buco della mia mente. 
Avevo lo sguardo abbassato e fissavo l'erba quando sentii qualcuno avvicinarsi. Alzai lo sguardo e davanti ai miei occhi c'era quel vecchietto. Mi guardò e mi porse il fiore che aveva tra le mani. Non volevo prenderlo. Quel fiore non era per me, ma per sua moglie.
― Prendilo. ―disse. 
Lo presi stando attenta a non rovinarlo e lo appoggia sulle mie gambe. 
― I giovani non dovrebbero guardare per terra. I giovani dovrebbero guardare sempre avanti. Chi soffre dovrebbe guardare il cielo, il dolore sarà sempre piccolo in confronto al cielo immenso, e se il dolore o le difficoltà sembrano più piccoli si può superarle con facilità e non avere paura. ― disse sedendosi sull'altalena affianco alla mia. 
La sua voce era profonda, ricca, ricca di esperienza, di vita vissuta, ma anche un po' tremante. 
― Secondo lei, il vuoto quanto può essere grande? ― guardai il cielo.
― Quanto un granello di sabbia. 
― Un granello di sabbia? ― gli chiesi meravigliata. Non mi sarei mai aspettata una risposta del genere.
― Può essere un granello di sabbia se sei tu a dominarlo. Ogni cosa nella tua vita devi essere tu a deciderla. 
― E perché allora è così pesante? Come può pesare così tanto da farmi sentire la sua presenza costantemente anche se non c'è? ― chiesi.
― Perché ti manca qualcuno o qualcosa, forse. O magari ti senti sola.
― Tutti sono destinati ad essere felici? ― avevo la grande capacità di saltare da una domanda all'altra senza problemi.
― La felicità non è poi così importante, è solo l'intervallo di tempo tra un male e l'altro. L'amore. Quello è importante. Tutti dovrebbero essere amati e saper amare. ― rispose facendo un triste sorriso.
― E se non si è capaci di amare? ― chiesi.
― Per amare non c'è una scuola, l'amore non si insegna e non si impara. L'amore scoppia dentro, irrompe dentro di te e pretende di restarci, ti sfonda il cuore e si impossessa di esso. L'amore è una cosa naturale. Vien da se. ― rispose alzandosi. ― è tardi, ora devo andare. Grazie per la chiacchierata, piccolo oceano. ― se ne andò dopo avermi accarezzato la testa, lasciandomi così. Cosa voleva dire con piccolo oceano? E davvero tutti erano capaci di amare? Potevo davvero esserne capace anche io? 
Quando finalmente la testa iniziò a riempirsi miei pensieri crollarono al suono del mio cellulare. 
Un messaggio. 
Fred.
"Mi dispiace."
Sapevo quanto gli fosse costato quel messaggio. Era dolce ma anche molto orgoglioso, non chiedeva quasi mai scusa o almeno non faceva mai il primo passo quando litigava con qualcuno. Non con me però, sapeva che se non lo avesse fatto lui, io non lo avrei fatto. 
Posai il cellulare. Volevo stare ancora un po' per conto mio e poi preferivo parlare con lui faccia a faccia, quindi decisi di non rispondergli. Ne avremmo parlato il giorno dopo, a mente fredda.
Tornai a casa e andai in bagno, riempii la vasca e prima di spogliarmi coprii lo specchio con un lenzuolo. Era diventata un'abitudine. Non mi guardavo mai allo specchio. Mi faceva male. Mi vergognavo di guardare il mio stesso corpo.
Completamente nuda mi immersi nell'acqua calda su cui galleggiava una nuvola di schiuma profumata. 
Amavo fare il bagno, mi rilassava, sentire il corpo avvolto mi faceva sentire al sicuro e soprattutto nascosta dal mondo intero. Ma l'unico bagno che facevo era nel bagno di casa mia. Per quanto amassi il mare non facevo il bagno dall'età di 11 anni, odiavo i costumi, ma vestita ci andavo volentieri, a guardarlo, sedermi in spiaggia e ascoltare tutto ciò che avesse da raccontare, cullarmi nel suono delle sue onde e provare a guardare sempre un po' più in là, oltre l'orizzonte. 
Dopo essermi rilassata abbastanza e aver fatto le mani piene di pieghe decisi di uscire. Mi avvolsi nell'asciugamano e mi asciugai. Indossai il pigiama e poi mi diressi in cucina.
― Ciao mamma. 
― È quasi pronta la cena. ― mi disse con un sorriso mentre controllava ciò che si nascondeva nella padella.
―Non ho molta fame. ― dissi abbassando lo sguardo e nascondendo le mani nelle maniche della maglietta.
― Almeno un po' devi mangiare.
― Ho mangiato un panino e un gelato mentre ero in giro. ― dissi, anche se al panino avevo dato si e no tre morsi. 
― Non importa. ― disse mettendomi il piatto avanti ― non ti fa male mangiare un po' in più, mi sei diventata pelle e ossa. 
Mi sforzai di mandar giù qualche boccone e poi aiutai mia madre a sparecchiare e lavare i piatti.
― Buonanotte mamma.
― Buonanotte Marea. Controlla la borsa prima di andare a dormire. 
Entrai in camera e ricontrollai ancora una volta la valigia. Sembrava esserci tutto, quindi la richiusi e la posizionai vicino alla porta della mia camera, poi mi gettai tra le coperte. L'indomani dovevo svegliarmi presto. 
Dopo essermi girata e rigirata nel letto stavo finalmente per crollare in un sonno profondo quando sentii il cellulare vibrare di nuovo. 
Un nuovo messaggio.
Lo lascia lì, tra i messaggi non letti. Ci avrei pensato il giorno dopo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


La notte era trascorsa tranquilla, tranne che per quel sogno, a cui non diedi tanto peso, ormai ci avevo fatto l'abitudine. 
La mattina seguente la sveglia era impostata alle 6:00, il pullman sarebbe partito alle 7:30 ma me la prendevo con comodo per preparami al mattino, ero lenta e svogliata in tutto, avevo bisogno almeno di dieci minuti per svegliarmi, quindi la sveglia la impostavo prima e facevo tutte le mie cose con calma. Al suono della sveglia la staccai ancor prima di aprire gli occhi. Passai dieci minuti buoni ancora a letto. Presi il cellulare dal comodino e chiusi gli occhi quando la luce forte del cellulare si accese. Mi ricordai di aver ricevuto un messaggio la sera prima quando vidi la bustina sullo schermo. Lo aprii. 

"So che non sei arrabbiata, sei delusa. Lo so, e mi dispiace. Lo sguardo tuo di oggi mi ha fatto crollare il cuore, ed è arrivato nelle caviglie. Mi dispiace davvero, non ti ho mai vista così, e la paura di perderti mi scorre sotto la pelle. Poi il tuo silenzio dopo il messaggio che ti ho mandato prima mi ha fatto molto male. Preferisco lasciarti in pace a riflettere. Non partirò con voi domani. Non sopporterei di averti lì e non poterti parlare. Sei la mia migliore amica da sempre e ho sopravvalutato il tuo cuore di ghiaccio, non pensavo che avrei potuto ferirti. 
Divertiti in campeggio.
Buonanotte Mare."


Buttare su di me la scusa che volesse lasciarmi sola per farmi riflettere quando in realtà era lui che voleva solo scappando per non affrontare la realtà, per non affrontare me, non mi sembrava affatto giusto ma era il suo solito fare, scappare di fronte agli ostacoli e far crollare tutto come un castello di sabbia. Non capivo però di cosa avesse paura stavolta. Io non lo avevo mai giudicato ne per il suo orientamento sessuale ne per altro, solo mi dava fastidio che avesse dei segreti con me. 
― Ora mi sente quel coglione. ― pensai infuriata.
Mi alzai subito dal letto e mi diressi in bagno per prepararmi. Il pavimento freddo sotto i miei piedi mi fece rabbrividire così mi lavai in fretta e poi tornai in camera a vestirmi. Il sorgere del sole fuori dalla finestra della mia camera mi scaldò leggermente, mi fece venire voglia di cambiare aria per un po', di andare lontano.
Presi la valigia e tutte le cose, non mancava niente. Presi la collana che non dimenticavo mai, una collana di ferro a forma di chiave che mi regalò una persona anni fa, una persona che non ricordo, che faceva parte di quel buco della mia mente, ma, nonostante tutto, quella collana non so per quale motivo doveva essere dov'ero io, sempre. La misi al collo.

Erano le 7:00, feci quanto più veloce possibile. Lasciai la mia camera con le mie cose e trascinai mia madre fuori casa di corsa.
― Dobbiamo fare una deviazione prima di andare alla fermata. ― le dissi mentre chiamavo al cellulare Fred, ma non rispondeva. 

Arrivai sotto casa sua e bussai ripetutamente al citofono. Non mi importava di svegliare tutti, lui doveva svegliarsi, preparare quella cazzo di valigia e venire in campeggio con me. Andavamo in quel posto da quando eravamo bambini, ogni anno, era diventato come un rito, e non poteva non venirci, non potevo andarci da sola. O veniva con me o non ci andavo nemmeno io. O con lui o con nessuno.
Quello era il nostro rifugio.
Dopo diversi secondi rispose la madre. ― Chi è?
― Buongiorno signora, mi scusi per il brutto risveglio, ma suo figlio non risponde al cellulare e tra 20 minuti abbiamo il pullman per partire. Può aprirmi per favore? ― non mi fregava un cazzo in realtà del suo risveglio e poi conoscevo quella signora da tanti anni e lei conosceva me e sapeva che non ero una persona abbastanza normale. 
Mi aprii e salii le scale a due a due fino al secondo piano, entrai come un razzo in casa e andai dritta alla camera di Fred passando di corsa attraverso il lungo corridoio. Entra nella sua camera senza nemmeno bussare e lui era ancora nel mondo dei sogni raggomitolato in un lenzuolo bianco. Gli tirai la coperta e iniziai a scuoterlo per svegliarlo. 
― Brutto coglione se non ti alzi rischiamo di perdere il pullman. Muoviti. 
Aprii il suo armadio e presi le prime cose che mi capitavano a tiro e poi deponendo il tutto in un borsone. Fred era seduto sul letto e mi guardava imbambolato.
― Ti muovi? Siamo in ritardo! ― dissi con tono alterato e poi riportando la mia attenzione alle cose da mettere nella suaborsa. Dopo diversi minuti sembrò iniziare a connettersi con il mondo, così si alzò e andò a prepararsi. 
In pochi minuti riuscii a trascinarlo giù. Salimmo in macchina e andammo alla fermata dove ci aspettavano gli altri. 
Il pullman era già lì quando arrivammo, prendemmo di corsa le borse e corremmo verso il pullman. Non ebbi nemmeno il tempo di salutare mia madre, mi voltai e le feci un sorriso e la salutai con la mano da lontano mentre continuavo a camminare, lei ricambiò e sibillò "divertiti". Non parlavamo molto io e mia madre, però le volevo un gran bene. È una di quelle persone di cui non puoi fare a meno, che quando c'è ti irrita e quando non c'è senti la sua mancanza fino a perdere il fiato.
Posammo le valige nella parte bassa del pullman e poi salimmo sopra. Feci correre i miei occhi tra i vari posti per cercane due vicini per me e Fred. C'era una faccia nuova tra le persone che c'erano di solito, guardava fuori dal finestrino con uno sguardo triste e il suo volto si rifletteva nel vetro. L'avevo già vista da qualche parte. 
―Buongiorno. ―dicemmo io e Fred in un suono sincronizzato. 
Trovai due posti accanto a Val, ci andammo a sedere lì. Fred vicino al finestrino e io al posto accanto. 
―Buongiorno Mare. ― mi disse val. 
―Buongiorno Val. ― risposi sorridendogli facendo poi scivolare il mio sguardo sulla figura sconosciuta accanto a lui, iniziai a fissare quel volto che mi incuriosiva. 
―Tanto sconosciuto poi non è. ― pensai. 
Val mi interruppe facendo collare i miei pensieri ― È mio cugino, viene con noi. Mica è un problema? ― mi disse guardandomi e facendomi l'occhiolino. 
― No, nessun problema ― dissi guardando quel viso teso e imbronciato e anche un po' misterioso, mentre sentii il suo sguardo sfiorarmi le guance. ― mica me lo devo portare sulle spalle. ― continuai ridendo, distogliendo, poi, lo sguardo e riportando la mia attenzione su Val. Sentii le guance andarmi a fuoco. Ero imbarazzata? Io? Perché? Val mi sorrise ancora e io abbassai lo sguardo sentendomi colta sul fatto e scacciai quelle domande dalla mia testa, mi girai verso Fred per nascondere il rossore delle mie guance. 
Notai che era triste e a disagio, mi sentii un po' in colpa. Gli diedi un bacio sulla guancia e lasciai i miei pensieri indietro. 
― Come ti è venuto in mente di mandarmi la giù senza di te? ― chiesi con un'espressione seria, poi gli sorrisi. Iniziammo a ridere. Sapevo ridere così solo con lui. Una risata che mi usciva dal cuore. Era quel suo sorriso ancora da bambino che mi faceva star bene, mi faceva ridere l'anima. 
― Chi vuole una caramella? Faccio beneficenza. ― disse Val divertito. 
Mi voltai verso di lui per prenderne una dalla busta che aveva in mano. Non andava da nessuna parte se non aveva le sue caramelle frizzanti, alla fragola. Alzai lo sguardo, mi sentivo osservata. Era quel ragazzo. Il suo sguardo incrociò il mio, ancora una volta.
Stavolta i suoi occhi si tuffarono nei miei stravolgendo ogni cosa, facendomi sentire nuda.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Dopo due ore di viaggio ci fermammo in un autogrill, alcuni rimasero ad aspettare in pullman e altri andarono al bar, così ne approfittai per fumare una sigaretta. Fred dormiva quindi scesi da sola e lo lasciai riposare. 
La carta della sigaretta bruciava sotto il mio sguardo lasciando una scia di fumo, ad ogni tiro la piccola fiamma si illuminava diventando di un colore molto più forte e scintillante portandola poi ad accorciarsi sempre di più.
Feci gli ultimi due tiri e poi tornai su in pullman a sedermi al mio posto. Dopo circa venti minuti riprendemmo il viaggio. C'era gente che urlava e rideva, rumore di buste di patatine e una canzone alla radio decisamente orrenda, così presi le cuffie, chiusi gli occhi e lasciai il mondo fuori ancora una volta, ma non riuscivo a togliermi quella sensazione di essere osservata, uno sguardo che si posava addosso, quasi come una seconda pelle.

Dopo circa un'ora arrivammo a destinazione. Avevo la schiena a pezzi e Fred dormiva ancora, così decisi di far scendere prima tutti per sgranchirmi la schiena e svegliare poi lui con calma. Lo osservai e notai che aveva le occhiaie, segno che non aveva chiuso occhio la notte prima. Era colpa mia? Non volevo farlo stare male, solo non volevo mi escludesse dalla sua vita. 
Lo svegliai scuotendolo dolcemente per il braccio, lo vidi aprire con difficoltà gli occhi, quasi come se avesse un macigno sulle palpebre che gli impedivano di stare sveglio. 
― Dai dormiglione, siamo arrivati, svegliati. ― gli dissi cercando di essere affettuosa. 
―Ancora due minuti. ― rispose. 
― Dai andiamo, continui a dormire in casetta. 
―Uhmm.. ― si stropiccio gli occhi come un bambino e poi si passo una mano tra i capelli per aggiustarli. 
Scendemmo e un profumo di mare, pini e legno invase le nostre teste, ci guardammo e sorridemmo insieme.
― Siamo a casa. ― mi disse poggiando un braccio intorno alle mie spalle, con il volto verso di me e un sorriso che mi fece sentire protetta e mi trasmise quel senso di felicità per un momento, mi sentii quasi libera, con il cuore leggero. 
Insieme prendemmo le nostre valige e ci dirigemmo verso il nostro campeggio. Si vedeva il mare in lontananza che brillava sotto i raggi del sole e le chiome degli alberi assieme al vento ci diedero il bentornato con i loro movimenti eleganti e delicati.
C'erano diverse casette di legno ed ecco perché amavo quel posto così tanto, il mio sogno fin da piccola era di avere una casetta sull'albero, un posto tutto mio dove poter star tranquilla, lontana dal mondo, e quella ovviamente non era una casetta sull'albero ma ci si avvicinava molto. Erano tutte in legno, abbastanza piccole, con una veranda sul davanti con le panche e un tavolo sempre in legno. In ognuna di essa c'era un bagno, una piccola cucina e dei letti. 
Ad un certo punto, dopo essere passati dal custode per prendere le chiavi, i maschi andarono da una parte e io e Fede nella casetta di fronte alla loro. Appena aprimmo quella porta un profumo misto tra legno e mare ci invase completamente. 
I letti erano sempre gli stessi e da piccole incidemmo i nostri nomi su una parte delle testiere. Anche se eravamo solo in due c'erano tre posti per dormire, un letto a castello e uno singolo. Io dormivo in quello di sotto e Fede in quello di sopra, e l'altro lo usavamo per appoggiarci sopra i vestiti e diverse cianfrusaglie.

Dopo aver aperto le finestre, svuotato le valige e riordinato le cose uscimmo e ci incontrammo con i ragazzi per andare in spiaggia. Mi portai dietro il mio asciugamano, le cuffie e il cellulare e mentre loro facevano il bagno io mi rilassavo al sole e li guardavo da lontano divertirsi in acqua. 
Il sole si poggiò dolcemente sulla mia pelle, mi sentivo avvolta dal suo calore, mi distesi sull'asciugamano, chiusi gli occhi per un istante, e assaporai quella sensazione con tutto il corpo. Sentivo il mio respiro lento e calmo, le labbra leggermente secche e i capelli mossi dal vento leggero e tiepido. Riaprii gli occhi delicatamente per ricollegarmi con il mondo esterno e fissai il cielo di fronte a me, poi portai gli occhi verso il sole, fin da bambina provavo a sfidarlo, cercavo di guardarlo per quanto più tempo possibile e non erano altro che pochi attimi, alla fine vinceva sempre lui. Mi chiedevo come potesse essere così forte una luce così lontana. Improvvisamente un movimento alla mia destra attirò la mia attenzione, mi voltai. C'era lui. Guardava lontano, con il viso serio e la testa ricoperta da quella nuvola di capelli neri. Mi incantai a guardarlo. Era poggiato sulle mani leggermente spostate indietro rispetto alla schiena e le gambe stese. Lo sguardo verso il cielo e notai lentamente le sue labbra muoversi in un sorriso, gli occhi chiudersi, ma il corpo sempre rigido creando un contrasto tra la mente che voleva rilassarsi e il corpo sempre in allerta di chissà quale pericolo. Era strano vederlo sorridere, sembrava una persona così triste e fredda, più di me. Poi di scatto si voltò verso di me, con la testa di lato e ciocche di capelli che gli cadevano sulla spalla. Sapeva. Sapeva che lo stavo guardando e il suo sorriso era per avermi colta sul fatto. Gli occhi profondi ma allo stesso tempo impenetrabili. Tornò serio, e il suo sguardo mi infastidì, essere guardata per lunghi attimi mi metteva a disagio fin da sempre, ma non riuscivo a distogliere il mio sguardo, quasi come una calamita mi impediva di voltarmi lasciando che i suoi occhi sprofondassero nei miei rendendomi vulnerabile. Non poteva essere vero. Lui non poteva farlo.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Non poteva riuscire a tenere testa ai miei occhi, sempre così freddi, così vuoti. Mi sentivo debole, come se con i suoi occhi stesse assorbendo tutte le mie forze, ma nonostante ciò non riuscivo a girarmi, non riuscivo ad ignorarlo, era come se fosse una calamita e avevo bisogno di guardarlo a costo di liberare tutto ciò che avessi dentro di me, a costo di consumarmi sotto il suo sguardo proprio come quella sigaretta bruciava, poche ore fa, con il fuoco. Lo lascivo fare, lo lasciavo leggermi dentro senza che io potessi leggere nei suoi, come se ci fosse un muro oltre il quale io non riuscivo a guardare ma lui poteva guardare me. 
I ragazzi stavano tornano dal mare gridando, spingendosi e scherzando e ciò fece crollare i miei pensieri portandomi alla realtà, quindi ebbi la scusa per girarmi prima che fosse troppo tardi, prima che mi lasciasse senza forze. 

― Io ho una gran fame ragazzi, che ne dite se andiamo a mangiare? ― disse Val, mentre si asciugava. 
― Io ci sto. ― rispose Fred.
Io non avevo per niente fame, ma andai con loro o Fred avrebbe iniziato a fare storie e non avevo voglia di ascoltare le solite cose.
Val era ai fornelli, nonostante fosse un coglione con la testa vuota sapeva cucinare meglio di chiunque altro.
― Cosa prepari di buono Val? ― chiese Fred.
― Pasta al pomodoro fresco, una cosa sbrigativa e non troppo pesante. ― rispose lui sorridendo intento a girare la pasta.
Tutti erano seduti intorno al tavolo della veranda della casa dei ragazzi aspettando di mangiare.
Guardavo Fred, aveva un'espressione strana, un luccichio negli occhi che non avevo notato prima. All'improvviso gli comparve una fossetta sulla guancia e mi accorsi che stava sorridendo guardando il cellulare. 
― Chissà che sta guardando o con chi sta messaggiando. ― chiesi tra me e me. Cercai di allungarmi con lo sguardo per capire cosa lo avesse fatto sorridere.
― Fred e posa un po' quel cellulare e smetti di fare l'asociale. ― disse qualcuno. 
Lui alzò lo sguardo arrossendo leggermente e incrociò i miei occhi, il suo sorriso scomparve. Aveva capito che lo stavo guardando già da prima e la mia espressione non mostrava nulla ciò non era un buon segno. Il suo sorriso sparì e tornò serio.
― Ecco è pronto. ― disse Val interrompendo quel momento è poggiando al centro del tavolo la pentola con la pasta. ― Passatemi i piatti. ― continuò. 

Iniziarono a mangiare. Io no. Guardavo il mio piatto senza dire nulla. 
― Mare, mangia. ― mi disse Fred in tono severo. Mi voltai di scatto guardandolo male.
― Non ho fame. ― dissi forse in torno troppo duro.
― Mangia! ― ringhiò.
― Ma non ne ho voglia, dopo mi sento male. ― abbassando di qualche tono la mia voce.
― MANGIA! ― disse ancora più forte.
― Ok! Ok! ― mi arresi. "Hai vinto la battaglia ma non la guerra." pensai. 

Iniziai a mangiare, ma ne lasciai più della metà nel piatto, e per mangiare quel poco impiegai mezz'ora, quindi mentre io mangiavo gli altri avevano già finito da un po'. Giocavo con il cibo nel piatto fissandolo contro voglia.

Fede e Micael tornarono in spiaggia. Val lavò i piatti e Fred andò in casetta a riposarsi. Ed io ero lì a mangiare, mentre quello lì mi fissava. Mi dava fastidio, odiavo essere guardata, soprattutto mentre mangiavo. Era seduto, appoggiato con la schiena alla ringhiera in legno e le gambe sulla panca mentre fumava. Mi morsi la lingua per non sbottare e gridargli in faccia che cazzo avesse da guardare, decisi di non mangiare più e portai il piatto a Val. Mi era passata la fame completamente e non reggevo più quella tensione.
― Vado a fare un giro, a dopo. ― dissi uscendo dalla casetta e andando verso il bagno. Era sbagliato, sentivo un peso sullo stomaco, ma dovevo farlo, era diventata un ossessione prima che me ne accorgessi. 
Uscii dalla cabina e mi sciacquai il viso con l'acqua fresca poi uscendo completamento dai bagni. 
In cassetta avevamo i bagni ma c'erano anche i bagni in comune (però sempre divisi tra maschi e femmine) dove c'erano anche le docce, cosa che nell'altro bagno non c'era.
Andai verso il boschetto. Sapevo a memoria quel posto, e mi dava un senso di tranquillità. Gli alberi emettevano quel loro fruscio e ospitavano i nidi degli uccelli. Alcuni volavano, e io mi incantavo a guardarli. Chissà com'era volare, sentirsi liberi. Forse ci si sentiva vivi. Avrei voluto provare. Sentire l'adrenalina scorrere lungo il corpo.

― Smettila. ― disse qualcuno alle mie spalle, facendomi crollare dai miei pensieri. Abbassai lo sguardo che prima era rivolto verso il cielo. Mi voltai. Era lui.
― Cosa vuoi? ― chiesi non capendo a cosa si riferisse.
― Smettila. ― Chiuse leggermente gli occhi a fessura.
― Di fare cosa? ― chiesi guardandolo negli occhi.
― Il tuo stomaco non reggerà ancora per molto. ― disse. 
Il suo tono di voce era neutro, né arrabbiato, né calmo, ma metteva i brividi. E mi fece sentire in colpa per quello che avevo fatto. Per la prima volta mi sentivo in colpa per quello che stavo facendo a me stessa. Nessuno si era mai accorto di quello che facevo dopo mangiato. Nessuno si era mai accorto che andavo in bagno e vomitavo pure l'anima. Nemmeno Fred o mia madre. Nessuno. Perché lui si? Come aveva fatto?
― Perché lo fai? ― mi chiese.
― Secondo te? ― risposi, scocciata e infastidita. A lui che importava di quello che facevo io? ― e poi non sono cose che ti riguardano ― la mia voce mi tradì, c'era quel filo di paura. Paura che lo avrebbe detto a qualcuno, prima o poi. Mi guardò, ancora più serio, ancora più forte, sembrava volesse prendermi a schiaffi con i suoi occhi azzurri. Non ci riuscivo. Non ci riuscivo proprio, e non potevo farglielo capire. Sarebbe stata una sconfitta.
― Lasciami stare. ― camminai e gli passai accanto, con lo sguardo dritto cercando di essere rilassata, ma dentro stavo per esplodere, e avevo il cuore a mille. Un soffio di vento mi venne contro, portando con se anche il suo profumo. Era dolce, ma forte allo stesso tempo. Come lui.
― Prima che sia troppo tardi. ― sentii mormorare in un tono così basso che mi sembro di essermelo immaginato.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Cercavo di mantenere la calma. Quel ragazzo mi mandava in confusione. La sua presenza mi agitava e mi faceva sentire a disagio. Per la prima volta mi sentii confusa. C'erano sensazioni che non avevo mai provato e non riuscivo a riconoscerle, non sapevo esattamente come mi sentivo ma c'erano. Il cuore batteva forte, cosa significava? E il respiro accelerato? E perché avevo le gambe tremanti? 
Cercai di allontanarmi il prima possibile da lì, passi incerti, stavo scappando senza sapere dove andare.

Feci una lunga passeggiata sulla spiaggia, e poi mi fermai per godermi il tramonto. Quei colori così forti, così vivi. Amavo quando il sole veniva mangiato dal mare, e poi vomitato il mattino seguente. Un po' come me, solo che lui era forte, più forte di me, e poi era bello e non lasciava quel gusto amaro in bocca.

"Siamo liberi da qui, di lasciarci andare poi riprenderci, perché l'amore non finirà se è anche libertà. Quando tutto sembra senza uscita devi guardare bene infondo alla tua vita e chiederti se è proprio come la volevi tu o ti aspettavi di più." La musica esplodeva nelle mie orecchie, attraverso le cuffiette, e arrivava direttamente dentro di me, mentre guardavo quello spettacolo. Il vento passava tra i miei capelli, e mi accarezzava le guance, raffreddando mi leggermente la pelle. Cercavo nel vento e nel mare quella sensazione di essere al sicuro che nessuno sapeva darmi, stavo cercando di ristabilire il mio equilibrio dopo quell'incontro. 
Perché Fred mi paragonava al mare? Avevo gli occhi color ghiaccio, invece il mare era blu; ero grassa quanto un continente e mi sentivo orrenda, invece il mare era immenso, dieci volte più grande di un continente, ma era stupendo. Io no.
La società era così, aveva un prototipo di bellezza pari a uno scheletro, magra, alta, forme al punto giusto, è tutto ciò che era diverso da questo era sbagliato. 
Questo faceva la società, ti metteva in testa delle idee, ti metteva in testa di essere sbagliato, di essere diverso, e venivi escluso da tutto il resto. Se non eri come loro, eri fuori dal gruppo. E per fortuna avevo trovato, dopo tanta fatica, dopo anni di solitudine, un gruppo tutto mio, dove nessuno era uguale, ma tutti diversi, e il bello era questo, avevamo trovato il nostro luogo, la nostra casa. Loro erano la mia casa. 

Il cielo era diventato blu, ripresi a camminare e tornai nella casetta. Ormai era calata la sera e iniziavano a vedersi le stelle. Raggiunsi gli altri. 

Ad ognuno di noi era assegnato un compito, come negli scout. Io dovevo raccogliere la legna nel boschetto per accendere il fuoco. Mi prendevo sempre gli incarichi più solitari, volevo stare sola, non riuscivo a stare tanto a lungo con le persone, ero una persona silenziosa quindi dopo un po' calava il silenzio che mi faceva sentire a disagio. Non sono mai stata brava a parlare, io ero quella che ascoltava. 

― Mare vai a raccogliere la legna? ― mi chiede Fede vedendomi arrivare.
― Si, vado, prima prendo una felpa. ― dissi entrando in casetta e prendendo una felpa a caso, tornando poi fuori.
― Ti mando qualcuno a darti una mano tra poco, appena finiamo di riordinare qui. ― mi disse Val urlando mentre io mi allontanavo verso il boschetto. 
Alzai la mano, come segno di aver ascoltato è capito, continuando a camminare e dandogli le spalle
Mi avviai e iniziai a raccogliere i ramoscelli che si trovavano per terra lungo la strada appoggiandoli sul mio stesso braccio. Non c'era molta luce ma la luna illuminava leggermente da concedermi di vedere dove mettevo i piedi e di individuare la legna. Sentii un rumore e mi irrigidii. Ero come un animale, avevo i sensi alterarti, e il mio corpo andava subito in allerta. Dei passi segnati dal rumore delle foglie cadute per terra quando ci passava sopra. Mi voltai e cercai di guardarmi intorno. Una sagoma nera si avvicinava, ma non avevo paura. Si fermò di fronte a me e mi guardò. La luce della luna gli illuminava il viso. Era lui. Ci guardavamo, ma sentivo che stavo per cedere. Di nuovo il cuore che batteva forte non so per cosa esattamente, per il nervosismo forse. 

― Che ci fai qui? ― chiesi senza avere risposta mentre il suo sguardo continuava ad invadermi. Era lì che mi fissava, non guardava me, ma guardava dentro di me. Gli stavo permettendo di nuovo di tuffarsi nei miei occhi.
― Smettila. Non puoi farlo. ― gli dissi cercando di rompere quel silenzio, cercando di rompere quel contatto visivo. 
― Non sei forte. ― rispose, deciso, forte.

Mi sentii come un vetro frantumarsi in mille pezzi. Strinsi la legna che avevo raccolto poco prima, come a cercare un appoggio, qualcosa a cui aggrapparmi. 
Come poteva distruggere le mie convinzioni e come mi mostravo agli altri? Nessuno fino a quel giorno aveva avuto il coraggio di guardami negli occhi per più di trenta secondi. Dimostravo freddezza e nient'altro. Gli occhi sono lo specchio dell'anima dicono, ma non i miei. Nei miei occhi c'era un muro, e nessuno riusciva a vedere cosa c'era dentro, oltre quella barriera. E io ero contenta così, mi bastava. Non volevo mostrare a nessuno ciò che ero. Ma lui rompeva tutti i miei equilibri.

― Non farlo. ― dissi.
― Ho sentito parlare del tuo sguardo. Quello di una persona forte. Ma non è così. Tu sei debole. ― disse fissandomi e avvicinandosi. Io feci un passo indietro, come un riflesso. ― pensano di guardare nei tuoi occhi qualcosa di forte. L'unica cosa di forte che hai lì dentro è il dolore. Guardare in faccia il dolore fa paura, ecco perché scappano tutti dai tuoi occhi. ― disse iniziando a raccogliere dei rami intorno a lui che a me erano sfuggiti. 

Lo guardavo. Era vero. Aveva capito e ora non c'era più bisogno di distogliere lo sguardo. Ormai mi aveva letto dentro. Aveva rotto quel muro. E io mi sentivo a pezzi. Per la prima volta, dopo tanto tempo sentivo gli occhi pungermi e bagnarsi. Non dovevo piangere. Non avanti a lui. Non adesso. Ma per la prima volta qualcuno si era accorto di me. Mi dava fastidio, ma allo stesso tempo ero felice. Qualcuno si era accorto che non ero quella persona fredda, senza sentimenti. Per la prima volta capii io stessa che non ero ciò che apparivo. Sentivo il cuore battere a mille, e ciò mi diede la conferma di essere viva, che ero un essere umano anche io. Non provavo quella sensazione da tanto. Come se il mio cuore tutto questo tempo si fosse fermato. Come un lungo respiro durato tutta la vita.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Riuscii a ringoiare le lacrime. 

― Lascia stare. ― dissi riprendendo a camminare inoltrandomi ancora di più nel boschetto per finire di raccogliere la legna. Sentivo i suoi passi dietro di me, mi seguiva in silenzio.
"Con tutta quella gente Val proprio lui doveva mandarmi per aiutarmi?" Pensai. 

― Forse dovremmo tornare indietro, inizia a fare tardi. ― disse con un tono neutro guardandosi alle spalle. 
Senza dire nulla inizia a percorrere il percorso di ritorno con lui che continuava a seguirmi. 
Raggiungemmo gli altri e insieme a Val creai una piccola montagna di legna per poi accendere il fuoco. 
Dopo dieci minuti riuscimmo nel nostro intento è chiamammo gli altri, ci sedemmo tutti intorno, mentre riscaldavamo marshmallow, e parlavamo del più e del meno. O meglio, gli altri parlavano, io mi limitavo ad ascoltarli. 
Avevo Fred a destra con la sua testa appoggiata sulla mia spalla e a sinistra c'era Val, poi avanti avevo lui con il suo sguardo che iniziavo a sentire pesante sulla mia pelle. 
Accesi una sigaretta per distrarmi e allontanare i miei pensieri, ma fu peggio, invece di rilassarmi inizia ad agitarmi, mi capitava spesso che la sigaretta mi portasse uno stato d'ansia e le mani tremanti con dei leggeri giramenti di testa.
Per tutta la sera ci furono diversi sguardi tra me e lui. Ogni tanto lo fissavo senza farmi notare. Aveva le braccia muscolose, le mani grandi e le spalle larghe. Anche se eravamo lontani, mi sembra di riuscire a sentire il suo respiro. Era lento, e il suo petto si alzava ogni volta che immetteva aria nei polmoni. Il mio sguardo fisso sul suo petto, sembrava così accogliente, ci avrei voluto dormire lì, con la testa appoggiata sopra. Con lo sguardo salii dal petto fino ad arrivare al suo collo, gli si vedevano le clavicole e c'era una vena leggermente più visibile proprio sul collo, la seguii con lo sguardo fino ad arrivare al mento, coperto da un filo di barba, e poi alle labbra, erano rosse, molto rosse, ed erano grandi, sembravano morbide come i marshmallow mangiati poco prima. Notai qualcosa di strano. I suoi denti avvinghiarono il suo labbro inferiore mordendolo piano e poi lo lasciarono andare lentamente. Perché quel gesto? Poi sorrise, ma non era un sorriso, sembrava più un ghigno. Salii ancora con lo sguardo e i nostri occhi si incontrarono ancora. Un tuffo al cuore. Aveva visto che l'avevo fissato per tanto tempo. Con quel sorriso ancora sulla faccia, sembrava quasi soddisfatto di avermi colta sul fatto. 
Sentii le mie guance arrossire leggermente e distolsi lo sguardo cercando di essere il più indifferente possibile, ma il disagio e l'imbarazzo si impossessarono di me. Accessi un'altra sigaretta, le mani ricominciarono a tremare e la testa a girare. 

―Hey Mare tutto bene? ― mi chiese Val prendendo la mia mano cercando di calmarmi. Lo guardai poi mi voltai verso l'altro che era avanti a me. Il suo sguardo era truce e i pugni che stringevano sulla sabbia. 
― Si, tranquillo, tutto bene. ― risposi girandomi verso di lui e stringendolo di più la sua mano. Guardai di nuovo avanti a me e l'espressione era ancora più seria di prima, la mascella contratta e la vena del collo che avevo notato prima ora era più sporgente. Si stava arrabbiando? Per quale motivo? 

Erano le 4:30 del mattino ed alcuni erano andati a dormire, c'erano anche altre persone del campeggio che non conoscevo ma che si erano riuniti attorno al nostro fuoco. Si erano presentati magari ma io ero troppo concentrata su altro che non li ascoltai. Decisi di andare anche io.

― Vado, buonanotte.. O forse buongiorno.. ― dissi con un mezzo sorriso. 
― Notte piccola. ― disse Fred.

Mi ritrovai a fissare il tetto per due ore, mentre nella mia testa risuonavano le sue parole. Ogni volta che chiudevo gli occhi mi appariva il suo volto davanti, e ogni volta aveva sempre la stessa espressione. Cercavo di scacciarlo dalla mia mente. Cosa mi stava succedendo? Qualcosa mi tormentava, mi rigiravo nel letto e non trovavo pace. Avevo la sensazione di aver dimenticato qualcosa. 
"Cazzo!" pensai sedendomi di botte al centro del letto "il suo nome" non sapevo come si chiamasse, l'avevo visto altre volte, ma di sfuggita, e non ci avevano mai presentati. 
Il sonno non voleva proprio saperne, così scesi dal letto, infilai la felpa di prima e andai nella piccola cucina per prepararmi una tazza di the caldo.
Con la tazza fumante tra le mani uscii fuori. Mi sedetti su una delle panche appoggiate al muro e mi accesi una sigaretta, nascondendo l'altra mano nella manica della felpa enorme. Buttai la testa all'indietro e cercai di rilassarmi. I miei occhi furono rapiti da un movimento nella casetta difronte. Cercai di mettere a fuoco, e lui era lì, seduto anche lui su una panca, appoggiato al muro, con una gamba piegata verso il petto e il braccio, che teneva la sigaretta, appoggiato sul ginocchio. Erano le 6:30 del mattino ed io ero con una felpa orrenda che mi faceva sembrare quattro volte più grande, i capelli in disordine raccolti in una cipollina sulla testa e i pantaloncini del pigiama. "Cazzo", dissi di nuovo nei miei pensieri. Perché stavo lì a preoccuparmi del mio abbigliamento? Non mi era mai importato, ma ora mi sentivo agitata. Non distolse lo sguardo da me nemmeno un secondo, nemmeno per spegnere la sigaretta. Io ero così buffa, e lui sembrava così sexy con quel pigiama e i capelli spettinati. Le sue braccia sembravano davvero forti, anche quando era rilassato. I miei occhi caddero sul suo petto di nuovo. Chissà com'era appoggiarci la testa e sentire il suo cuore, chissà che suono avesse il suo cuore, e chissà come doveva essere calda la sua pelle.
"Nonono." Scossi la testa. Ma cosa pensavo. Dovevo togliermi quei pensieri dalla testa. Sul suo volto parve apparire un piccolo sorriso, diverso da quello di prima, sembrava dolce e anche un po' divertito. 
Stava ridendo di me? Fanculo, però sembrava dolcissimo nonostante la sua armatura. Studiai il suo volto. Aveva gli occhi grandi e le labbra carnose, la fronte piccola con ciocche di capelli che gli ricadevano lungo il viso. In quel momento mi accorsi che era davvero bello. Anche se eravamo lontani, mi tuffai nei suoi occhi. Mi sembrava di essere in mare, avvolta da quel blu splendente. Scesi guardando i lineamenti delle sue guance, ed erano leggermente sollevate. Stava ancora sorridendo. Non mi importava. Volevo stare lì anche fino a perdere le forze. Ma lui forse no. Si alzò e tornò dentro. Rimasi delusa. Ma infondo cosa mi aspettavo? Tornai dentro anche io, e provai a dormire, con un peso sul petto che mi sembrava di soffocare.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Point of view Alan.

"Cazzo." Esclamai tra me e me. "Un passo in più e non avrei resistito alla tentazione". 
Mi buttai sul mio letto avendo l'immagine del suo viso avanti, c'era rimasta male, ma non potevo rischiare, eppure non perdono a me stesso di averla lasciata lì, ho bruciato l'unica opportunità di un suo avvicinamento.
Ero nel panico. Mi alzai di fretta e tornai fuori, ma lei già non c'era più e io come un coglione l'avevo fatta scappare. 
"Coglione, coglione!" Ripetei mille volte tra me e me a bassa voce prendendomi la testa tra le mani. 
Misi le mani in tasca poi e mi avviai alla spiaggia da solo. 
6:30 del mattino, il sole stava sorgendo. 
Mi sedetti sulla sabbia e mi accesi una sigaretta mentre guardavo l'alba e quel rosa diffondersi nell'azzurro del cielo. Il mare era calmo ma quel dolce suono in sottofondo mi cullò e mi rilassò, fino a farmi addormentare sulla spiaggia.

Mi svegliai intorno alle 9:00 quando iniziavano ad arrivare le prime persone. Provai ad alzarmi barcollando un po', mi ripulii la maglia e il pantalone dalla sabbia e mi diressi verso le casette. 
Tutti già erano svegli intorno al tavolo a fare colazione così andai da loro e mi sedetti su una panca, appoggiandomi al muro con la testa e chiudendo gli occhi. Sentivo le loro voci ancora roche, le risate e qualche urla "Come cazzo fanno a stare così svegli questi a quest'ora." C'erano tutti ma mancava qualcuno. Riaprii gli occhi lentamente lottando contro la pesantezza delle palpebre e del sonno. 

― Sembra che ti sia passato un treno addosso. ― mi disse Val.
― Mmh.. ― mi limitai a rispondere e guardandomi intorno notando la sua assenza. "Starà ancora dormendo." pensai. 
― Dai vado a mettermi il costume così poi andiamo in spiaggia. ― disse Val.
― Io vado a dormire. ― dissi alzandomi e dirigendomi nella casetta maschile. 
Val era avanti a me che camminava e io mi trascinavo svogliatamente con i piedi per terra fino ad arrivare al letto di nuovo e buttarmici sopra. 

― Io vado, ci vediamo dopo. ― disse lui.
― Val... ― chiamai poggiando un braccio sulla mia fronte e chiudendo gli occhi. 
― Si? ― chiese fermandosi.
― Dov'è lei? 
― Stai alla larga da lei, te l'ho già detto e non te lo ripeterò più, lei non si tocca. ― disse guardandomi e poi andandosene sbattendo la porta.
Serrai le labbra provando a non pensare fino ad addormentarmi di nuovo.

Point of view Mare. 

Riuscii a dormire solo una mezz'ora. Erano le 7:00 e quella stanza mi sembrava troppo piccola che mi sembrava di soffocare, così mi alzai e andai fuori. 
L'aria fresca mattutina mi pungeva la pelle, e l'odore dei pini era leggermente più forte, le tortore sui rami degli alberi facevano risuonare in tutto il campeggio il loro verso che gin da bambina amavo e ora mi faceva sorridere pensando a quei tempi in cui tutto era più facile. 
Mi stiracchiai la schiena e le braccia, mi sentivo a pezzi. Mi lavai e indossai la maglia a mezze maniche dell'Hard Rock Café, un pantaloncino di jeans e le vans nere, poi andai a preparare il caffè latte e presi i miei biscotti preferiti. Uscì anche Fred e venne verso di me. ― Buongiorno Mare ― mi baciò la guancia sedendosi poi accanto a me sulla panca. 
― Buongiorno a te ― risposi.
― Sempre così mattiniera tu eh! ― disse sorridendo, dandomi un bacio sulla fronte facendomi sorridere per quel gesto così dolce.
― Sempre. 

Facemmo colazione insieme, e intanto uno alla volta barcollando uscirono tutti fuori e si unirono a noi. Tranne lui. Il suo posto era vuoto. Avevo un nodo allo stomaco. Perché mi sentivo così? 

Si fecero le 8:30 e decisi di andare a fare una passeggiata, avevo bisogno di stare un po' da sola per conto mio. Mi inoltrai nel boschetto e andai a sdraiarmi sull'erba tra gli alberi con gli uccellini che cantavano allegramente già dalle prime ore del mattino.
Le ore passavano e mi torturai mentalmente senza arrivare ad una conclusione. Perché avrà reagito così m? Non mi voleva nemmeno avere vicino? 

Verso le 10:30 decisi di raggiungere gli altri in spiaggia. Io mi sdraiai sull'asciugamano all'ombra, mi immersi nella musica e provai a dormire un po' ma altre domande affollarono la mia mente "perché stamattina non era con noi a fare colazione? Perché non è uscito? O forse è andato via perché la mia presenza era insopportabile. Perché faccio questo effetto alle persone? E lui poi dov'è andato? Dov'è ora?" Volevo rivederlo ancora anche se la sua presenza mi metteva agitazione e mi irritava anche. 

Quando riaprii gli occhi sembrava passata un'eternità. Non avevo dormito, ma mi ero riposata. Era una giornata bellissima e i 34 gradi si sentivano tutti m, anche all'ombra.

La mattina passo in fretta, tra scherzi, sigarette e chiacchiere con gli altri. Fecero il bagno a diverse persone che dormivano in spiaggia riempiendo i secchielli dei bambini, io mi divertivo a guardarli da lontano. 

Tornammo su per pranzare con Val che appoggiò un braccio intorno alla mia spalla. 
― Cosa gradisce mangiare la mia donzella oggi? ― disse lui scherzosamente. 
― Cosa c'è nel menù, Chef? ― dissi ridendo. 
― Tutto quello che vuole My Lady. ― disse con un sorriso e poi facendomi l'occhiolino. 

Quando mi sedetti a tavola lui era già lì e non mi accorsi della sua presenza, distratta da Val, fino a quando non mi sedetti nel posto in cui ero la sera prima esattamente come lui che era di fronte a me. 
Si era appena svegliato, lo dimostravano i segni del cuscino sul viso, gli occhi ancora assonnati e l'espressione come quella di un bambino. Girai lo sguardo, come se fossi arrabbiata, lottando con tutte le forze contro me stessa. Perché poi? Non lo so. Forse perché qualche ora prima mi aveva lasciata sola lì fuori. 

― Ma mi ascolti? ― disse Fred, strappandomi dai miei pensieri. Non mi ero accorta che i piatti già erano a tavola e che anzi alcuni già avevano finito e io invece giocavo con il cibo nel piatto ed eravamo rimasti solo io, Fred e Val vicino al tavolo, e lui nel tavolo della casetta difronte. Mi stava fissando ancora e aveva ancora quell'espressione da bambino che mi faceva sorridere dentro. Mi lordi l'intero della guancia per provare a resistere. I nostri sguardi si incrociarono un secondo, poi mi voltai, ma sentivo ancora i suoi occhi camminare sulla mia pelle leggermente arrossata.

― Scusami. Dimmi. ― risposi.
― Non farlo. ― disse Fred.
― Cosa? ― chiesi perplessa.
― Mare non è il tipo per te. ― disse Val.
― Ma? ― lo guardai ancora più perplessa. Non capivo.
― Lo conosco da quando eravamo piccoli, è mio cugino. E ti posso assicurare che è uno stronzo assurdo. Ti brucerai. E se ti fa del male gli spacco la faccia. Tu tieniti alla larga da lui. ― disse Val, mantenendo il tono di voce basso. Il suo essere protettivo mi faceva sorridere. Conoscevo il gruppo da anni, e anche se ero così fredda, tutti avevano quel senso di protezione nei miei confronti, anche se non capivo per quale motivo esattamente.

― Stai sorridendo? ― chiese Val con gli occhi sbarrati. ― Non l'ho mai vista così. E le volte in cui sorride è raro. ― disse, rivolgendosi a Fred sbalordito.
― Secondo me l'abbiamo già persa. ― disse Fred scuotendo la testa.

Cosa mi stava succedendo? Io non sorridevo mai, e questa volta lo avevo fatto senza volerlo. 
― Ma va, che avete capito? ― dissi ridendo nervosamente provando a nascondere la mia sensazione. ― Non sono interessata a lui. ― le parole mi uscirono di bocca con la mia solita freddezza, mentre lo guardavo fisso in quelle due pozze blu, e nei miei occhi calò un velo, quel velo che avevo sempre, e calò anche dentro di me, portando via quel senso di sollievo riportando quel vuoto con cui mi ero svegliata quella mattina. Era tornato l'inverno dentro di me, e mi si gelò di nuovo l'anima. Lui si irrigidì, e contrasse la mascella.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


― Si prende sempre i fiori più belli, e poi li spezza. ― disse Val ― usa le ragazze come uno spazzolino, poi quando si stanca le butta via, e cambia spazzolino. ― continuò con un sorriso amaro che trasmetteva disprezzo.
Nei suoi occhi passò un lampo e il suo viso cambiò espressione. Se l'ansia avesse avuto un'espressione sarebbe stata di certo la sua.
― Sono le ragazze stupide ad andarci a questo punto, le cose si fanno in due, comunque ripeto, non sono interessata a lui. ― risposi, alzandomi e portando il piatto dentro per poi uscire di nuovo fuori chiedendomi perché l'avessi difeso pur non sapendo nulla di lui. ― Vado a fare un giro, a dopo. ― dissi. E ovviamente passai prima per il bagno per la solita routin che si stava impossessando un po' alla volta di me e il controllo della situazione stava per sfuggirmi di mano.
Provai a calmarmi per poi uscire e andare verso la spiaggia.

― Cosa ti hanno detto? ― disse la sua voce dietro di me. Voltai leggermente la testa e lo guardai. ― Niente che non sapessi già. ― risposi con un sorriso amaro. Ripresi a camminare con il suono della sua voce che galleggiava nei miei pensieri. Senza accorgermene arrivai sulla spiaggia dove c'era Fede distesa al sole. Lei era la classica ragazza, piccolina, magra che quasi si spezzava quando l'abbracciavi, una cascata di capelli lunghi e rossi, e gli occhi castani. Ma non era come tutte le altre. Lei era lei, e nessun altro. Notò che la stavo guardando, e mi fece un sorriso, così, lentamente mi avvicinai.

― Tutto bene Mare? ― mi chiese con lo sguardo dolce.
― Si.
Mi guardò, sapeva che non avrei detto altro, il mio era sempre un "si, sto bene" e niente più. ― Ti va di parlare un po'? Dai siediti. ― disse, facendomi spazio sull'asciugamano.
Rivolte verso il mare lo ammirammo in tutta la sua bellezza.
Io e lei parlavamo poche volte, ma quando lo facevamo ci raccontavamo tutto, o meglio, lei mi raccontava tutto, io come sempre ascoltavo e assorbivo ogni piccola notizia, anche quella più insignificante. Ero un suo punto di sfogo, e io mi sentivo come il suo diario personale, scrivevo tutto quello che diceva dentro di me, custodendo tutto come se i suoi pensieri fossero i miei segreti.

― C'è un visino triste sotto quella maschera. ― dissi osservandola appoggiando una mano sulla sua per rassicurarla ― cosa succede?
― Il solito. ― rispose secca, quasi in segno di rassegnazione.
― Cos'è successo 'sta volta? Dai sputà il rospo.
― Niente. È questo il punto. Non succede mai niente. Non c'è mai una svolta, mai un passo avanti, e nemmeno indietro, ferme lì a farci del male. Ferme sempre su quel filo, e non sapere mai quale scelta prendere, se andare avanti o stare lì ad aspettare, non sapere quale sarà il prossimo passo o se, ogni volta, quello che mi da è l'ultimo abbraccio. Sono così stanca, Mare.
― L'amore fa questo. ― dissi.
― No. Io e lei non siamo amore. Non siamo niente. E lei non prende una decisione. Non sa in che direzione andare, e io sono costretta a stare qui, ferma, perché la amo, e preferisco averla anche solo come amica, piuttosto che perderla.
― Dovreste chiarire una volta per tutte. Così vi fate solo del male. Potresti farla venire qui e parlare un po'. Restare così ferma non ti servirà.
― Davvero posso? ― chiese con il sorriso negli occhi, e scivolò via anche quella maschera triste che aveva sul visto qualche secondo prima.
Io annuii. ― Ma certo, e poi mica devi chiedere il permesso, sei libera di invitare chi vuoi qui.
― Grazie. ― mi disse saltandomi addosso e abbracciandomi.
― Di nulla piccolina. Ora vado, se hai bisogno sai dove trovarmi. Tu chiamala e fammi sapere.― dissi facendole l'occhiolino e mi alzai per tornare in casa. Poi mi voltai di nuovo nella sua direzione ―e comunque ogni volta che ti abbraccia stringila sempre un po' più forte in modo che se sarà l'ultimo abbraccio almeno ci hai provato a trattenerla. ― dissi e lei sorrise.
Mi sentivo stanca e avevo bisogno di riposare, il mio corpo era debole, le ore di sonno che avevo addosso erano poco e non davo modo al mio corpo di nutrirsi o prendere energie visto che tutto quello che mangiavo lo vomitavo.
Lui era seduto di nuovo lì. Mi si strinse il cuore. Sembrava così solo e triste. Quando alzò lo sguardo, e i nostri occhi si incontrarono, al mio cuore mancò un battito. Le mie gambe presero a camminare senza che me ne accorgessi, e mi ritrovai seduta sulla panca di fronte alla sua. I miei pensieri crollarono, e mi domandai come fossi arrivata lì. Alle mie gambe non arrivò il segnale del cervello che diceva che dovevo fermarmi e tornare indietro.
Lo guardai imbambolata. Aveva una canotta bianca, che metteva in mostra le sue braccia forti. ― Come ti chiami? ― chiesi tutto d'un fiato, pentendomi poi di aver parlato, ma tanto ormai ero lì e di certo non potevo star zitta e guardarlo. Nel suo sguardo ci fu stupore e delusione. Cosa si aspettava?

― Alan. ― freddo.

Ci fu silenzio. Accarezzavo il suo corpo con il mio sguardo, e a lui sembrava che non dispiacesse. Aveva la pelle chiara, e le vene leggermente in mostra nella parte interna delle braccia. Un bracciale in pelle, nero, gli circondava il polso. Speravo dicesse altro, volevo sentire ancora la sua voce dolce ma al tempo stesso forte.

― Dalla tua faccia sembra che tu non abbia mai visto un ragazzo meraviglioso. ― disse ammiccando un sorriso ma con lo sguardo serio.
― E nemmeno un ragazzo con un livello di autostima fuori dalla norma. ― sbottai guardandolo male.
― Ho un bel corpo, tutto qui. Può sembrare perfetto. ― rispose gesticolando con una mano.
― Ah. Pure modesto eh.
Sorrise, e a quella visione mi paralizzai. Era un sorriso diverso da tutti quelli che aveva fatto in questi giorni, era un sorriso che avevo già visto una volta, ma non ricordo quando. Era un sorriso da bambino. Gli si formò una fossetta sulla guancia sinistra, e come in un mare, mi ci tuffai dentro.

― Infatti ho detto che può sembrare perfetto. Ma non lo è. ― disse. A quelle parole il sorriso scomparve, e tornò la solita espressione di sempre. Si era leggermente irrigidito, e aveva i muscoli tesi, quasi come se fosse in allerta.
― Quanti anni hai? ― chiesi.
― 21. ― le sue risposte erano brevi e dirette. Rimasi leggermente colpita. Era più grande di tutti noi.
― Non li dimostri. ― risposi stupita.
― Lo so. ― disse.

Mi arrivò un messaggio sul cellulare. Era Fred.

"Cosa ci fai lì? Vieni via."

Sentivo il suo sguardo su di me. Mi alzai.
― Devo andare scusa. ― e camminai di qualche passo, scesi i due gradini in legno.
― Ciao, Marea. ― disse guardandosi le mani per poi prendere una sigaretta.
Mi voltai di scatto. Come faceva a saperlo? Io non gli avevo detto il mio nome, e in più nessuno mi chiamava Marea a parte mia madre.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Lo guardavo, mentre Fred continuava a chiamarmi e a dire qualcosa che non capivo visto che ero concentrata solo su ciò che stavo guardando, e quindi non lo ascoltavo nemmeno. Camminavo all'indietro lentamente mentre guardavo lui sperando che alzasse lo sguardo per incrociare il mio ma lui continuava a stare con lo sguardo basso a fumare quella maledetta sigaretta, volevo i suoi occhi su me, volevo che mi guardasse, volevo capire come avesse fatto a scoprire il mio nome se io non mi ero nemmeno presentata. Ma lui non si girava e io poi man mano mi girai e andai verso Fred. Mi prese per mano e mi portò in casetta quasi correndo.
― Si può sapere cosa stavi facendo? ― disse con uno sguardo truce.
― L'ho visto da solo e volevo fargli compagnia, mi sembrava triste. Nessuno di voi gli fa compagnia, l'avete portato qui e poi lo lasciate da solo. Si può sapere cosa vi ha fatto? Non è giusto, tutti meritano degli amici Fred, non potete abbandonarlo così.
― Devi stare alla larga da lui, è pericoloso. ― disse.

― Pericoloso? E cos'è un serial killer? Ma dai non esageriamo. So badare a me stessa, comunque. ― tirai il braccio dalla sua presa e andai via infuriata.

Con passi veloci raggiunsi la spiaggia, presi un lettino e mi ci appoggiai sopra cercando di rilassare i miei nervi e lasciar andare via la rabbia, lentamente il sonno si impossessò della mia mente e il mio ultimo pensiero fu lui, seduto lì, a guardarsi le mani a sentirsi colpevole chissà di cosa.

"Corri. Sorridi. Non voltarti. Non guardarti indietro. Dimentica. Al passato non pensarci. È passato perché appunto è andato via. Non voltarti. Corri. Scappa. Salvati. Hai te stessa. Salvati."

Un grande giardino che non riuscivo a riconoscere, ma era familiare.
Le lacrime mi rigavano il viso. Correvo forte.
Le mani sporche di sangue.
Le gambe sporche di sangue.
Le mani erano piccole e anche le gambe.
Io ero piccola.
Ero io da bambina.

Mi svegliai di soprassalto, e senza accorgermene mi trovai seduta sul lettino con una mano sul petto e il respiro pesante. Ero confusa, spaesata, quasi non ricordavo dove fossi. Mi guardai intorno, era notte ma lentamente misi a fuoco ricordandomi di essere andata in spiaggia dopo aver litigato con Fred. Si intrometteva nel mia vita, si voleva proteggermi, ma sapevo badare a me stessa, e lui poi non mi raccontava più di sé.
Era tardi e dovevo tornare, conoscendoli, sapevo che gli altri mi stavano sicuramente cercando. Avevo un asciugamano addosso, profumava. Era un profumo che non riuscivo a riconoscere, lo presi in mano poggiai i piedi nella sabbia fredda cercando di non far sporcare l'asciugamano. Ancora mezza addormentata e scossa dal sonno mi ricordai solo dopo di non essermi portata un asciugamano prima. Qualcosa si mosse proprio ad un passo da me facendomi sussultare e mi accorsi che c'era lui seduto per terra, accanto a me. Sgranai gli occhi per poi chiuderli e riaprirli diverse volte per capire se la mia era un illusione o lui era davvero seduto lì.

― C-cosa ci fai qui? ― dissi con un filo di voce è il cuore che batteva forte, un po' per lo spavento di prima, un po' perché lui mi metteva agitazione.
― È pericolosa la spiaggia di notte, dovresti saperlo. ― sorrise, sta volta era un sorriso triste ma continuava ad essermi familiare. come la sua voce. "Chissà." pensai.
― So badare a me stessa.
― Certo.
Il tempo sembrava infinito e stava per calare il silenzio, dovevo dire qualcosa.
― Come mai sei sempre da solo? ― chiesi buttando fuori quelle parole senza accorgermene.
Lui si irriggidì ― Sembra che non vada molto a genio ai tuoi amici. ― disse dopo una lunga pausa, portandosi le ginocchia al petto appoggiandoci le braccia sopra e toccandosi con una mano quel bracciale nero che aveva al polso, lo sguardo verso il mare. Non era più freddo, sembrava quasi triste.
― A me sei simpatico. ― dissi di botto rendendomi conto solo dopo di ciò che avevo appena detto. "Che cazzo ti prende, cogliona?" Disse invece la mia voce interiore.
Mi guardò con gli occhi dolci. Sorrise di nuovo.
Non disse niente.
Accese una sigaretta, e poi me ne offrì una. Quando si avvicinò la sigaretta alle labbra per aspirare mi chiesi che gusto avesse la sua bocca e avrei tanto voluto essere quella sigaretta in quel momento. Sembrava dolce. E chissà se sapeva baciare. "Con il fisico che si ritrova avrà avuto sicuramente molte ragazze." Pensai ancora guardandolo.
― Perché mi guardi? ― disse guardandomi con la coda dell'occhio.
― N-nno niente. Pensavo. ― risposi voltando subito il viso per l'imbarazzo è cercando di calmarmi.
Ciò che avevo avanti era quasi tutto nero, era buio solo qualche luce sfocata in lontananza, e non si distingueva molto il mare dal cielo, sembrava quasi che dall'altra parte si unissero per davvero, quasi come per fare l'amore.
Mi distesi di nuovo sulla sdraio. E guardai il cielo. C'era silenzio tra noi, ma il mare ci teneva compagnia in modo che quel silenzio non diventasse imbarazzante.
― Da piccola, con mia cugina guardavamo le stelle fino a quando iniziava a girarci la testa, e le stelle si muovevano in modo strano. Tipo ora. ― dissi, pensando alla prima cosa che mi venisse in mente.
Guardò il cielo anche lui, e io invece mi voltai a guardare lui. Aveva la testa alzata verso l'alto mettendo in mostra il collo.
Avrei voluto baciarlo, e sentire di cosa profumava.
Avrei voluto passare le mani tra i suoi capelli, e giocarci.
Mi voltai di scatto e pensai "cosa diamine ti viene in mente?". Sentivo il viso leggermente arrossato e il cuore che non ne voleva sapere di rallentare, anzi sembrava di correre su una discesa, aumentava sempre di più.
Mi piaceva guardalo, però mi piaceva di più il fatto che lui si lasciasse guardare. Ovviamente aveva un bel corpo e ne era consapevole, quindi per lui non era un problema lasciarsi guardare, a differenza mia che cercavo sempre di farmi notare il meno possibile dalla gente e mi nascondevo, proprio come in quel momento che mi stavo nascondendo sotto quel asciugamano. C'era un dolce profumo intorno a me. Che fosse il suo?

Point of view Alan.

― Smettila di fissarmi, stupida. ― dissi in tono divertito sorridendo sia con le labbra che con il cuore, dopo tanto tempo.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Con la coda dell'occhio la vidi girarsi di scatto e provai ad immaginare il suo viso arrossato, mi venne da sorridere.
― Alan..―
Mi sentii chiamare con un filo di voce, senza voltarmi sorrisi.
― Cosa? ― dissi guardando ancora verso il cielo, la mia mente era libera da ogni pensiero, lo sguardo verso l'alto. C'era qualche stella e alcune nuvole dietro alle quali si nascondeva timidamente la luna proprio come stava facendo lei con il mio asciugamano. Non disse più niente ma non mi dispiacque, mi bastava la sua presenza.
Il mare era calmo e piuttosto invitante.
Mi alzai pulendo poi i pantaloni sporchi di sabbia.
― Marea..― dissi guardandola.
― S-si? ― rispose guardandomi leggermente a disagio anche se provava a non darlo a vedere.
Mi tolsi la felpa lasciandomi la maglia a mezze maniche sotto e la vidi scattare su dalla sedia.
― C-cosa stai facendo? ― chiese stringendosi l'asciugamano addosso guardandomi.
Sorrisi ancora e le tolsi l'asciugamano per poi togliermi le scarpe.
―Dai vieni, andiamo a fare il bagno. ― la presi per una mano e inizia a trascinarla, correndo, con me sulla spiaggia verso l'acqua.
― No ma sei impazzito? È tardi. ― disse provando a liberare la mano e puntandosi con i piedi nella sabbia.
― Appunto per questo.. Sara divertente dai andiamo.
― Io non faccio il bagno. ― disse seria.
― Tu fai il bagno con me a costo di portartici con tutti i vestiti. ― dissi prendendola di nuovo per mano e ridendo. ― È buio, tranquilla, non ti guardo. ― notai i suoi occhi sgranarsi e un leggero sorriso comprarmele sul viso. Stavo riuscendo a convincerla. Ripresi a correre ridendo ancora. Mi sentii libero da ogni pensiero, il cuore era leggero e quel peso sul petto di sensi di colpa che portavo da una vita sembrarono scomparire per un po'. Mi sentii forte, capace di conquistare il mondo.
La senti correre e ridere dietro di me. Aveva un suono così dolce.
― Siamo dei pazzi. ― disse togliendosi le scarpe a riva e entrando in acqua insieme a me continuando a ridere e provando a correre contro corrente.
Mi lasciò la mano e un po' mi sentii vuoto per quel abbandono e poi si buttò completamente. Era una sensazione così strana vederla spensierata da ogni pensiero.
Riemerse portandosi le mani sul viso per buttare i capelli all'indietro. A quella visione mi sento scoppiare dentro. Si lasciò guardare, proprio come la luna che uscì da dietro le nuvole mostrando tutta la sua bellezza.
Aveva i capelli bagnati che le ricadevano ai lati del viso, la maglietta bagnata che aderiva completamente al suo corpo, il petto che si alzava e si abbassava forte per l'affanno.
― Ora devi buttarti anche tu, però. ― disse prendendomi per un polso e trascinandomi giù con lei e io la lasciai fare lasciandomi andare.
Fino a quel momento tutto era passato in modo veloce, come la corsa sulla spiaggia, ma sott'acqua tutto sembrò rallentare, i suoni, il tempo, sentivo i battiti del mio cuore rallentare fino quasi a fermarsi.
Continuava a tenermi per la mano e riuscii ad aprire gli occhi, la vedevo muoversi e rischiai di affogare per ridere a causa della sua faccia buffa, gli occhi chiusi e le labbra serrate con l'aria nella bocca.
Mi rialzai per non rischiare di bere per ridere e poi iniziai a ridere forte e lei mi guardò, come un bambino che guarda una cosa per la prima volta e non capisce cosa sia.
― Perché ridi? ― mi chiese.
Provai a calmarmi ma non ci riuscii, ero esploso. Per tutto questo tempo, per tutti questi anni, non avevo più riso, non avevo più nemmeno sorriso, era una liberazione buttare fuori tutto.
Mi uscii qualche lacrima e non se per il troppo ridere o per che in realtà tutto ciò che volevo era piangere. Il mo viso era bagnato a causa del tuffo di prima quindi lei non ci fece caso.
― Eddai rispondo, fa ridere anche me. ― disse imbronciandosi portando le braccia al petto.
― Niente niente. ― risposi provando a trattare ancora qualche risata.
― Niente? ― disse lei.
― Niente.
― Ok. L'hai voluto tu. ― di punto in bianco prese a schizzarmi con l'acqua. Faceva un freddo pazzesco, l'acqua era congelata e diversi brividi percorsero il mio corpo.
― Ok avevi una faccia buffa prima ecco perché ridevo, ora fermati. ― dissi provando a prenderle le mani per fermarla.
Le sue labbra tremavano, per il freddo presuppongo.
―Hai freddo? ― le chiesi?
Annuì.
La tirai per un braccio e la strinsi a me. Nascose il suo viso sulla mia spalla e sentii il suo respiro accarezzarmi il collo. Tremavamo entrambi ma non di preciso se per il freddo o per altro.
― Dai andiamo. ― dissi spostandola, a malincuore dal mio corpo spezzando quel contatto fisico.
Risalimmo in spiaggia e le misi l'asciugamano sulle spalle per scaldarla. ― Copriti o ti prenderai qualcosa. ― dissi poi raccogliendo le mie cose. ― non voglio che ti ammali. ― continuai sorridendo.

Point of view Mare.

Era di spalle e lo vidi tremare leggermente per il freddo, la maglia bagnata che gli aderiva sulla schiena mettendo in mostra le sue spalle grandi, non seppi resistere e lo abbracciai da dietro per scaldarlo. Si irrigidì e si spostò provando ad essere il meno brusco possibile, ci restai un po' male per quella reazione e mi sentii stupida per quel gesto, mi voltai.
― Vado a prendere le scarpe a riva. ―dissi con un filo di voce. Mi incamminai lentamente lasciandoli lì. Con la punta dell'occhio lo vidi togliersi la maglia bagnata per poi infilarsi la felpa asciutta, lo fece di fretta, per non farsi vedere da me forse. Perché poi se era così sicuro della bellezza del suo corpo?
Presi le scarpe e tornai indietro e lui era lì ad aspettarmi seduto sulla sdraio con una sigaretta tra le labbra e il suo luccichio brillava in mezzo a quel buio.
Mi appoggiai anche io alla sdraio per pulire i piedi dalla sabbia bagnata e rimettermi le scarpe.
Era tornata la tensione tra noi due, la freddezza. Come qualche ora prima, come due perfetti sconosciuti. Nessuno dei due diceva una parola, c'era silenzio che questa volta metteva a disagio. Mi alzai.
― Andiamo? Gli altri mi staranno cercando. È tardi e devo asciugarmi. ― dissi tornando ad essere la vecchia me.
Non rispose, si limitò a spegnere la sigaretta e ad alzarsi.
Si avvicinò e mi aggiustò l'asciugamano sulle spalle e ci guardammo. La luna gli illuminava il viso, e gli occhi erano così profondi che avevo paura di perdermi. Mi accarezzò la guancia. Aveva la mano fredda e tremava. Il suo viso era triste e pieno di dolore. Perché quel cambiamento? Dovevo evitare il suo contatto proprio come aveva fatto lui pochi minuti prima? O sarei dovuta stare ferma e lasciare che lo facesse, che mi divorasse. Lo vidi fissarmi le labbra e poi chiudere gli occhi.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


― Andiamo. ― disse facendomi crollare dentro.

Camminava fianco a fianco con me, c'era silenzio tra noi, ma mi bastava ascoltare il suo respiro. Questa volta però non stacco il nostro contatto fisico, avevo un suo braccio intorno alle mie spalle e mi stringeva. Continuavo a tremare a causa del freddo e così anche lui.
Aveva ciocche di capelli bagnate che gli ricadevano sulla fronte con goccioline d'acqua che scorrevano sulla sua pelle. Ed era fottutamente sexy in quel modo. Aveva la testa alta e guardava dritto mentre io ogni tanto lo guardavo da sotto le ciglia per non farmi scoprire.
Quando arrivammo quasi alle casette, notai un certo movimento di agitazione, qualcuno ci indicò e Fred corse verso di noi, sembrava infuriato, stavo per chiedergli cosa stesse succedendo quando si butto addosso ad Alan.

― Devi stare alla larga da lei. ― disse Fred, urlando forte, e con le mani sul suo petto lo spinse. ― Non devi toccarla, pervertito.
― Fred ma che cazzo ti prende? Lascialo stare, non ha fatto niente di male. ― dissi tirandolo via. Arrivarono anche gli altri, i ragazzi mantenevano Alan, e Fred si mise tra noi, davanti a me, guardandomi.
― Ti ho detto che non ti devi avvicinare a lui. ― ringhiò rabbioso con gli occhi di fuoco. Non capivo perché questo accanimento contro di lui, sembrava così buono e gentile.
― Lui è gentile con me. ― dissi furiosa. Volevo riavvicinarmi a lui, quando mi tirò di nuovo Fred, allontanandomi.
― È pericoloso, lo vuoi capire? ― disse mettendo le mani sulle mie spalle ― ti farà del male, ancora.
― Lui non mi ha fatto niente. Cosa volete? Perché fate così? ― le lacrime iniziarono ad uscire come non mai.
― Non piangere. ― I nostri sguardi si incontrarono. Aveva gli occhi tristi e pieni di paura, erano diventati più scuri. Il labbro inferiore gli tremava, e non riusciva a liberarsi dalla presa degli altri ragazzi. Dov'era finito quel ragazzo forte di pochi giorni fa? Do?'era finita quella spensieratezza che gli avevo visto fino qualche ora fa?
― Ascoltami e basta. Sta lontana da lui. ― disse Fred.
― Davvero Mare, ascoltalo. ― si intromise Val.
― No. Fatevi i cazzi vostri, la vita è mia e non avere diritto di intromettervi. ― risposto furiosa.
― Tu non sai di cosa è capace. ― rispose Fred.
― Non penso sia un assassino no? Lasciatelo stare, e visto che nessuno di voi si degna di essergli amico e lo lasciate solo come un cane ogni cazzo di giorno, ci penso io ad essergli amica. ― risposi parlando con un tono più alto di quello di Fred stringendo i pugni al lato del mio corpo.
― Lo fai solo per questo? Perché ti faccio pena? ― rispose Alan intromettendosi nel nostro discorso e guardandomi con uno sguardo così triste, sembrava sul punto di spezzarsi in due.
― Non è per questo. Ti sono amica perché voglio esserlo. ― risposi provando ad essere calma e guardandolo.

La voce di Fred interruppe di nuovo il discorso.

― Lui ha abusato di te, cazzo. Ti ha fatto del male! ― disse infuriato. Aveva le vene del collo leggermente in rilievo, i muscoli tesi. Lo guardai sconvolta. E mi prese una risata per il nervoso.
― Ma che dici? ― gli dissi ridendo. ― Ti sei rincoglionito Fred? Ma se non l'ho nemmeno mai visto prima d'ora. ― continuando acida.
― Da piccola ― disse lui.

Il cuore mi crollo nelle caviglie. Sentivo il sangue scorrere nelle vene, e respirare mi faceva male. Come un fulmine mi tornò in mente quel sogno, quella voce, quel sangue. La voce era la sua, solo leggermente più dolce, forse era la sua voce di qualche anno fa. Ecco dove avevo visto quel sorriso, e quel volto. Sembrava tornare tutto al suo posto. E forse quello che dicevano loro era vero. Le cose collegavano ma non riuscivo a ricordare, avevo un buco nella mente. Mancavano dei tasselli.
― Non credergli ti prego! ― disse liberandosi e avvicinandosi a me ― non sono stato io, lo giuro!
Lo guardai, e appena fece un passo avanti io ne feci uno indietro ― Non toccarmi. ― dissi con la voce fredda. In quel momento vidi qualcosa rompersi in lui. Lo avevo ferito? Ma se era vero quello che dicevano gli altri?
Mi facevano male le tempie, mi sforzavo di ricordare, ma non mi veniva in mente niente.
Cos'era successo quel giorno? Era stato davvero lui? Non riuscivo a crederci, mi sembrava irreale è assurdo.
I suoi occhi si riempirono di lacrime, che scivolarono giù sulle sue guance fino alle labbra. Di nuovo le sue labbra. Erano così belle. Ma tremavano come non mai, più di prima. Non ci potevo credere che avesse fatto una cosa del genere. Fece un passo indietro. Poi un altro. E un altro ancora. Si voltò e scappo nel bosco. Dove cazzo andava? Quella che doveva scappare ero io.
― No. ― urlai per non lasciarlo andare, ma ormai era lontano.
― Fermatelo. ― dissi.
― Lascialo perdere, è quello che si merita. ― disse Fred.
In quel momento non capii più niente, la rabbia dentro di me si moltiplicò in attimo e d'istinto gli diedi uno schiaffo sul viso. Ero furiosa, delusa. Loro non sapevano, loro non lo conoscevano davvero, non sapevano com'era dietro quell'armatura.
― Sta zitto. ― dissi acida guardando per terra, continuando a stringere le mani a pugni, una pizzicava leggermente a causa dello schiaffo che avevo dato. ― Non sei nelle condizioni per poter parlare o giudicare qualcuno, nessuno lo è, non siete migliori di lui ora. ― spruzzavo odio con le parole.
Dovevo essere io quella a scappare, io quella a crollare, io quella ferita. E lo ero ma qualcosa mi teneva in piedi. Dovevo sapere la verità.
― È la rabbia che ton fa parlare. ― disse qualcuno ma non mi curai di chi.
― No, è la delusione ― risposi alzando lo sguardo ― pensavo di avere degli amici.
― Noi siamo tuoi amici.
― Perché non me lo avete mai detto allora? ― dissi.
Non ci fu una risposta, solo silenzio.
― Lo avete accusato ingiustamente. Anche se fosse vero ciò che è successo dovevate lasciare che si spiegasse. Riguarda me, quindi la decisione spetta a me. Voi restatene fuori visto che sapete accusare senza sapere le cose. E tu ― indicai Fred ― ti permetti di intrometterti nella mia vita ma della tua di vita non se ne parla nemmeno e mi lasci fuori, e io che pensavo fossimo migliori amici.
Rimasero tutti in silenzio e io mi allontanai da loro.
Tutto ciò di cui avevo bisogno in quel momento era parlare con lui.
Mi accesi una sigaretta e aspettai.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Quella rivelazione mi aveva fatto male, come un pugno al cuore. Erano le 3:17. Ero infuriata come non mai. Tutti sapevano e io no. Sapevano e loro non me l'avevano detto. Accesi la prima sigaretta del secondo pacchetto, ne avevo fumate 15 circa in tre ore. Ero seduta, dove di solito si sedeva lui, ad aspettarlo, mentre gli altri erano seduti dall'altra parte. C'era silenzio e scambi di sguardi. Ero delusa, volevano proteggermi senza raccontarmi la verità, una verità che avevo il diritto di sapere. Mi sentivo più vuota di prima, mi si era prosciugato il corpo di ogni sentimento o emozione. Non avevo più niente. Tutte quelle risate di qualche ora fa, con lui in spiaggia, erano solo un lontano ricordo ormai.
Non potevo più fidarmi di nessuno. E nessuno aveva il coraggio per avvicinarsi a me. Ero bloccata, non riuscivo a piangere, avevo solo l'immagine del suo viso avanti ai miei occhi. Dove diamine era andato? Dovevo sapere la realtà dei fatti. Perché scappare poi? "Affrontale le cose, cazzo. Coglione!".
Le ore passavano ma nessuno si degnò di rivolgermi la parola, si limitavano a guardarmi da lontano e io ricambiavo gli sguardi con rabbia.
Si erano fatte ormai le cinque, alcuni andarono dormire, io rimasi ancora lì ad aspettarlo, anche perché andare dentro per dormire sarebbe stato inutile, mi sarei solo girata e rigirata nel letto.
Sentii dei passi deboli schiacciare le foglie che erano per terra.
Era tornato.
Finalmente.
Sii fermò sui gradini. Aveva il viso stanco, stremato, distrutto. Non avevo paura, sapevo che non mi avrebbe fatto più del male, o meglio sapevo che in quel momento non avrebbe potuto perché era più debole di me.
Ero lì, con i miei occhi e la mia forza. Il cuore era ormai arrivato nelle mie caviglie e al suo posto ci fu un mare vuoto.
Lui aveva gli occhi gonfi e rossi. Aveva pianto per tutte quelle ore?

Fece un passo avanti e notò che io ero ancora lì ferma che lo fissavo impassibile, così venne a sedersi dall'altra parte del tavolo.
Perché scappare? Se la realtà era quella bisognava accettarla e affrontarla. E io avevo bisogno di spiegazioni.

Le mani gli tremavano e cercava di nasconderle nelle maniche della felpa. Come può qualcuno diventare così vulnerabile in così poco tempo? Come ha fatto a nascondere questo suo lato fragile dietro un'armatura di ferro?

― Perché? ― la mia voce dura buttò giù il silenzio che galleggiava da ore ormai nell'aria.
― Non sono stato io. ― disse giocando con un dito sul tavolo e fissandolo.
― Chi allora?
Non mi rispose e scosse la testa.
― Chi? ― girai più calma.
― Non posso dirtelo. Non spetta a me dirtelo. ― rispose portandosi le mani sul viso e appoggiandosi contro. Sembrava stremato, senza più forze e io stavo torturando lui così come quella storia stava torturando me stessa.
― Guardami quando ti parlo. ― dissi. Tolse le mani dal viso con gli occhi ancora abbassati e poi dopo diversi secondi, che sembrarono durare un eternità, il suo sguardo si alzò dal tavolo e si posò nei miei occhi e provo ad aggrapparsi a me solo con quel contatto visivo. Voleva tirarsi su o voleva tirarmi giù con lui?
― E chi allora? Chi deve dirmelo? Ho bisogno di una spiegazione e nessuno vuole darmele. Ne ho il diritto e penso che sia arrivato anche il momento no? ― dissi dando un pugno sul tavolo in legno che scricciolò sotto il mio colpo. ― sto rischiando di impazzire per colpa vostra, mi torturare così. Vi divertite a non rispondere alle mie domande? ― continuai.
Mi guardò ― Tua madre. ― disse poi abbassando di nuovo lo sguardo.

Cazzo! Come se non bastasse, come se il peso da portare sulle spalle non fosse abbastanza pesante ora ci voleva l'ennesimo macigno.
Mia madre. Anche lei doveva sapere e non mi aveva detto niente per tutto questo tempo. Era una tortura. La mia mente arrivava fino agli 11 anni e poi il vuoto fino ai 15. Perché? Cos'era successo?
― Già, perché non ci ho pensato prima. ― dissi alzandomi per andarmene. Si spostò sulla panca venendo verso di me e prendendomi una mano. Continuava a tenere lo sguardo basso.
― Mi dispiace. ― disse.
― Avresti dovuto dirmelo dall'inizio.
― I tuoi amici ti avevano detto di starmi alla larga. ― disse con la voce tremante.
― E quindi? Avresti dovuto dirmelo lo stesso, e anche loro avrebbero dovuto dirmelo. ― dissi.
― Non sai quanto pesa tutta questa storia. Non sono colpevole ― alzò lo sguardo guardandomi ― ma sono colpevole ugualmente. Per la gente, per me e ora anche per te. ― concluse sciogliendo la stretta sulla mia mano e facendola scivolare ai lati del suo corpo. Sembrava quasi un corpo senza vita, mosso chissà da quale forza.
Senza dire niente scesi i gradini sentendo ancora il suo sguardo su di me e mi diressi alla casetta.
Entrai facendo il minor rumore possibile, poichè Fede dormiva e con lei c'era Michael.
Mi lavai per togliermi l'acqua di mare di dosso che ormai si era asciugata sulla mia pelle e poi mi sentivo sporca.
Preparai le mie cose. Erano le 6:30 quando uscii in silenzio, un'altra notte passata in bianco, ma non mi sentivo stanca fisicamente, ero solo stremata dagli ultimi episodi, era successo tutto così velocemente, il suo asciugamano e i suoi sguardi, il bagno, le sue risate, l'abbraccio in acqua, e il rifiuto del mio abbraccio, altri sguardi e poi le sue labbra, quelle maledette labbra, e tutto il resto.
C'erano ancora pezzi di legno, della sera prima, accesi.
Il cielo era nuvoloso, quasi come mi sentivo io dentro.
M'incamminai e arrivai fino alla strada aspettando il primo pullman che mi avrebbe portata a casa. Se le risposte poteva darmele una sola persona, dovevo andare da lei e dovevo farlo subito o il mio cervello si sarebbe bruciato proprio come quei pezzi di legna. Nessuno mi avrebbe fermata.

 

P.s. Scusate gli eventuali errori lo correggo dopo ora devo studiare.
Ringrazio tutte le persone che stanno leggendo questa storia :)

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Finalmente dopo ore di viaggio arrivai e la sua macchina era nel vialetto, quindi era in casa.
Presi le chiavi dalla valigia che mi trascinavo dietro e salii sopra. Mentre percorrevo le scale sentivo il cuore sbattere contro la gabbia toracica, i polmoni sembravano troppo grandi e l'aria troppo poca. Misi la chiave nella serratura e aprii lentamente. Lei era lì, sembrava che stesse aspettando me, il mio cuore si fermò e la valigia cadde con un tonfo. La mia mente era così lontana e i miei sensi si rallentarono.
― Vieni. Ho comprato il the. ― disse dirigendosi in cucina.
Le mie gambe camminarono da sole fino ad arrivare in cucina e mi lascia cadere sulla sedia. Mi sembrava di poter scoppiare da un momento all'altro, altro che vuota, ora ero piena, non so di cosa con precisione, ma dentro di me c'era una guerra.
Amavo il the e anche se eravamo nel pieno dell'estate una tazza di the caldo l'avrei bevuta per far rilassare i nervi e magari sciogliere quel nodo allo stomaco.
― Chi è stato? ― chiesi senza giri di parole, la voce mi uscì di bocca mentre mi fissavo le mani.
― Un giorno ti racconteremo tutto ― disse porgendomi la tazza di the fumate e sedendosi ― e quel giorno non è oggi ― mi accarezzò la mano guardandomi con gli occhi tristi.
― Perché? ― chiesi.
― Perché deve esserci anche lui. ―
Rispose.
La guardai confusa. ― Lui? Che c'entra?
Scosse la testa e si alzò dalla sedia. ― Ti chiedo solo di aspettare ancora un po', intanto vai a riposare, sei stanca e hai bisogno di forze. Non sarà facile. ― disse uscendo dalla cucina e lasciandomi così.

Insieme a chi doveva parlarmi? Mi sembrava di impazzire. Passai la giornata sull'amaca a pensare. Cosa? Chi? Perché?
Ero così stanca, ma non riuscivo a dormire. Appena chiudevo gli occhi mi appariva il suo viso davanti, quel viso così distrutto. Eppure volevo dormire, volevo quel sogno, volevo che mi rivelasse qualcosa, mai come questa volta volevo quel sogno, mai come sta volta ero io a rincorrere qualcosa e non io quella a scappare.

Decisi di andare a fare due passi visto che di dormire non se ne parlava proprio. Per tutte le passeggiate che facevo dovevo essere uno stecchino, invece mi ritrovavo due gambe grandi quanto un continente, e il sedere ancora peggio.
Non dissi niente, presi le chiavi e in silenzio andai via da quella casa che sembrava troppo piccola e iniziava ad opprimermi.

Quel pomeriggio camminai così tanto, pensavo di far stancare il mio corpo, così poi la sera sarei crollata.
E invece no.
Ero lì nel letto, a guardare il soffitto, con mille pensieri nella testa, e milioni di complessi. "Volevi la mente occupata? Eccotela" pensai. Erano più di 24 ore che non dormivo, ma il mio corpo era pronto per fare una maratona.
Il cellulare sul comodino vibrò.
Un nuovo messaggio. Non sapevo chi fosse, e non volevo né saperlo né sapere cosa volesse.

Il giorno seguente fu identico a quello precedente, sul letto, una passeggiata, amaca, di nuovo letto mentre torturavo la mia mente. Quell'attesa mi stava distruggendo e poi cosa stavo aspettando? Chi stavo aspettando?
Mia madre non mi diceva nulla. Vabbe che lei non mi diceva mai niente, io ero troppo chiusa e lei anche. E proprio in quel momento bussò alla porta di camera mia.

― Vestiti. Andiamo in un posto. ― mi disse.
La voglia di vestirmi e prepararmi per uscire non c'era, però sempre meglio che stare lì a rimuginare sulle stesse cose senza trovare nemmeno una risposta alle mille domande.
Dove voleva portarmi?
Mi vestii senza dire nulla e uscii dalla mia camera lavata e profumata.
Poi insieme uscimmo di casa, e salimmo in macchina. Quel silenzio metteva ansia, così accesi la radio.

Andavano verso il fiume e poi ad un certo punto parcheggio e scese dalla macchina. Non capivo, ma scesi anche io, e la seguii. Era una bella giornata, il sole si rifletteva nell'acqua del fiume, e lo guardavo mentre camminavo, infatti non mi accorsi che mia madre si fermò di colpo, e andai a sbatterle contro.

― Mamma, stai attenta. ― dissi.
Fissava un albero, e da dietro ci uscì qualcuno. Aveva la testa abbassata, coperta dal cappuccio della felpa. Chi diavolo portava le felpe a luglio? "Aspetta, ma.."

― Ciao.. ― disse alzando la testa, ma restando con lo sguardo fisso a terra.
Avrei riconosciuto quella voce tra mille. Cosa ci faceva lui qui? Cosa voleva?
Feci un passo indietro, e mia madre mi fermò.
― Fino ad ora hai voluto affrontare la cosa, e ora è davanti a te, non scappare, non l'hai mai fatto, perché dovresti farlo ora? ― disse mia madre. ― Alan ti ha detto la verità, non è stato lui. ― continuò.
― Tua madre è sempre stata l'unica a credermi in tutta questa storia. ― disse lui facendo un sorriso che non trasmetteva nulla.
Il mio cuore batteva forte. Lui si sedette per terra, appoggiando la schiena all'albero, tirò le ginocchia al petto, e vi appoggiò la fronte sopra. Da cosa voleva proteggersi?

― Ascoltalo. ― disse mia madre.
― Porti ancora quella collana. ― disse lui sorridendo.
Lo guardai perplessa mentre mi toccavo la collana. Che c'entrava lui? Ricordavo che qualcuno me l'avesse regalata. Era stato lui?
― È tutto chiuso in quella chiave. ― continuò, alzando la testa e guardandomi per lungo tempo. ― Avevi 12 anni. Era passato un mese esatto dal tuo compleanno. E io e te ci conoscevamo da più di un anno ma eravamo molto amici nonostante la differenza di età. Eri piccola ma molto più matura rispetto alle altre persone della tua età. Ti consideravo quasi una sorella minore, quella sorella che non avevo mai avuto.
Quel giorno volevi a tutti i costi venire a fare il bagno al fiume, e decidemmo di venirci il pomeriggio. Io arrivai in ritardo, ma dalla strada sentì le tue urla, così iniziai a correre. Mi sembrava non arrivare mai. E finalmente ti trovai. Eri qui, in questo stesso punto, sotto quest'albero, per terra, e qualcuno sopra di te ti bloccava le mani, e cercava di spogliarti. Io non sapevo chi era, ma non sopportavo che qualcuno potesse farti del male, così presi di spalle quell'uomo, che si alzo e mi bloccò contro l'albero. Ero già abbastanza alto, ma ero piccolo e debole e lui era forte. Lo guardai in faccia e lo riconobbi. Voleva uccidermi a quel punto. La sua mano contro il mio collo che stringeva, e il respiro che diventava sempre più debole. Tu eri per terra, e riuscivo a vederti, ma non potevo fare nulla. Ero bloccato. Tu non so con quale forza, invece, ti alzasti, e prendesti la sua pistola, colpendolo alla spalla destra. Luì cadde a terra, e noi eravamo così piccoli, e io non capivo. Ero sotto il suo corpo pesante, e tu mi aiutasti a liberarmi. Eravamo sporchi di sangue, e avevo paura che ti avrebbero incolpata chissà di quale reato, non pensando al fatto che, invece, tu l'avevi fatto per difenderti, e così non avrebbero potuto farti niente. Così ti dissi di scappare, di correre, di andare lontano, e di non tornare più in quel posto. Tu iniziasti a correre veloce, e io con ancora i polmoni che chiedevano aria arrivai sulla strada chiedendo aiuto. L'uomo si salvò, ed era così potente che incolpò me. Tutte le prove erano contro di me. Lui era un poliziotto, ed era considerato un brav uomo, così nessuno credette alla mia versione. I migliori avvocati lo accompagnarono in tribunale, e io fui condannato a 400 ore di volontariato, dovevo stare a 50 metri di distanza da te e portavo una cavigliera elettrica vicino alla gamba con il GPS. Avevo 16 anni. Prima del processo definitivo passai da te in ospedale. Dormivi così beatamente nel tuo letto. Eri così piccola e indifesa, e io non avevo saputo proteggerti. Se solo fossi arrivato prima non...― le lacrime gli caddero sul viso, e io iniziavo ad avere immagini continue davanti agli occhi. Poi continuò. ― ti lasciai sul comodino affianco al letto una scatolina con la collana. Quella chiave apre un piccolo baule contenente tutte le nostre foto, i ricordi e i regali.
Lo psicologo disse che sarebbe stato meglio per tutti se tu mi avessi eliminato dalla tua mente. Avevi subito un forte trauma che ti ha portato a dimenticare gli ultimi anni. So che non hai parlato per tanto tempo, sei andata dai migliori specialisti, più passava il tempo e più tu hai dimenticato quel giorno e con esso anche me. E così ti lasciai solo quel ricordo di me. ― finì lui. Con la voce tremante, e le braccia che gli stringevano le gambe al petto. Non voleva proteggersi, voleva solo evitare di mandare se stesso in frantumi, e si accucciolava in quel modo.

― Chi era? ― chiesi. ― dov'è ora?
Il mondo crollò.

P.s. Scusate se può sembrare banale o troppo irreale.
Buona giornata a tutti. :)

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


― Quel pomeriggio, venisti qui con tuo padre, Marea. ― si intromise mia madre da dietro.

Mio padre?

Le gambe cedettero, e mi ritrovai a terra. L'erba era fresca sotto le mie ginocchia. Dovevano esserci intorno ai 33 gradi, ma io diventai un cubetto di ghiaccio, dentro e fuori. Avevo freddo, e gli occhi mi si appannarono. Per tutti quegli anni mio padre non l'avevo più visto, e mai mi ero chiesta dove fosse. Non ci pensavo mai, nemmeno una volta.

Avevo immagini sfuggenti davanti agli occhi, ma non riuscivo a ricordare. Non riuscivo a ricordare il suo volto. Sentii qualcosa avvolgermi, e un profumo arrivò fin nella parte più nascosta di me. Era il suo profumo. E mi stava abbracciando. Avevo sognato quel abbraccio da giorni, e ora era lì, e io invece non provavo niente. Mi sembrava di essere lontana anni luce da quelle braccia.

― Nessuno sa questa storia. Tutti pensano sia stato Alan a farti del male quel giorno. ― disse ancora mia madre.
― Non piangere. ― mi disse lui stringendomi. Ma le mie lacrime uscivano da sole, la mia testa era così confusa e piena di non so cosa, ma il mio cuore era vuoto, e vi si posò sopra un velo di neve. L'inverno era dentro di me, e io ero nuda di ogni cosa, stavo morendo di freddo. Quelle braccia però sembravano così calde e così accoglienti. E io ero così stanca, e non dormivo da ore ed ore.

― Perdonami, ti prego. ― disse.

Furono le ultime parole che sentii. Mi addormentai lì, tra le sue braccia, seduta sull'erba, le mani che stringevano la sua felpa, con il visto contro la sua gabbia toracica, e gli occhi ancora allagati.

Quando mi risvegliai era buio, mi trovavo nel mio letto e lui era lì, seduto sul fondo del letto, e mi guardava con i suoi occhi tristi, la schiena contro il muro e la testa leggermente all'indietro in mostra il collo. Nonostante la sua stanchezza sembrava così bello e sexy.
Io, invece, avrei voluto protestare, nascondermi, ma gli occhi miei erano così pesanti, e non riuscivo a muovermi, il mio corpo incollato al letto. Crollai di nuovo, lasciando che mi guardasse dormire.

Dormii per quasi 12 ore di fila, non mi era mai successo. Il sole illuminava la mia stanza, e mi girai dall'altra parte. Ero tutta indolenzita, avevo mal di testa e sentivo freddo. Vedere che lui non era più lì mi fece sentire ancora più sola, ma era meglio così, non volevo farmi vedere in quelle condizioni.

Mia madre bussò alla mia camera qualche istante dopo.
― Avanti. ― dissi.
― C'è Fred qui. Vuole vederti. ― disse lei.
― No. Non voglio vedere nessuno. ― risposi.
Per la prima volta mi ero rifiutata di vedere Fred. Quando stavo male veniva sempre a trovarmi, e la sua compagnia mi faceva bene. Ma ora non mi andava di vederlo, avrebbe fatto domande, e io dove le trovavo le risposte? Non riuscivo a darle nemmeno a me stessa. Anche se mi dispiaceva, era tornato dal campeggio apposta per vedermi, e io l'avevo trattato male due giorni prima e ora l'avevo rifiutato. Ma l'unica persona che volevo vedere in quel momento era Alan. Mi mancava. Mi mancava quella fossetta che aveva sulla guancia quando sorrideva, i nostri sguardi, la sua voce, il suo profumo. Non capivo il perché di quelle sensazioni, di quella mancanza, ma sapevo che lo volevo accanto a me. Era l'unico che sapeva tutto, e che non avrebbe fatto domande.

― Magari ti farà bene parlare con lui.
― No, mamma. Non sono pronta a tutto questo. ― Mi voltai ancora nel letto, ed eccola. Una strana scatola era lì per terra, con un biglietto sopra.

"Non volevo riaprire vecchie ferite, mi dispiace. Dopo questa, sparirò di nuovo dalla tua vita. Usa la chiave."

No. Perché? Io avevo bisogno di lui, avevo bisogno ancora di un suo abbraccio. E con chi avrei parlato di tutto questo? Avevo bisogno di un appoggio e lui era l'unico che poteva sostenermi e rispondere alle mie mille domande.

Cosa conteneva quella scatola? Solo ricordi? Era in legno, consumata, profumava, e non pesava molto. Scesi dal letto titubante, e con i piedi scalzi mi ci avvicinai sentendo il pavimento freddo sulla pelle, la presi, e la portai sul letto, poi mi sfilai la collana a forma di chiave, e la misi nella piccola serratura. Mi tremavano le mani, e il respiro era pesante. Volevo ci fosse lui con me ad aprirla, e invece era andato via, lasciandomi sola. Tolsi la chiave di colpo, e la rimisi al collo, avevo il sangue che mi pulsava nelle orecchie, posai la scatola sulla scrivania, senza aprirla.
Era troppo presto, la mia mente già era abbastanza confusa e dovevo assimilare prima tutte quelle notizie, per riceverne poi altre.
Me ne tornai a letto sedendomi nel punto esatto dov'era stato lui fino a qualche ora prima.
Quando era andato via? Presto?
Sentivo ancora il suo profumo nell'aria della mia camera e mi lasciai cullare da quel profumo dolce e accogliente. Mi accucciolai sulla coperta proprio in quel punto.
Questa volta c'era un vuoto diverso dentro di me.

Passarono le ore e rimasi lì e senza rendermene conto si fece quasi sera.
Mi alzai dal letto e mi avvicinai alla finestra. La aprii anche se mi dispiacque perché quel profumo avrebbe abbandonato la mia camera, ma avevo bisogno di aria fresca.
Mi arrampicai e mi sedetti sul bordo della finestra a fissare il tramonto. Solo in quel momento il mio cuore sembrò trovare pace.
Il vento accarezzava la mia pelle e mi rilassai sentendo tutti i nervi del mio corpo distendersi.

― Dove sei? ― sussurai con un filo di voce quasi impercettibile. ― Ho bisogno di te.

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