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… MAI
PIU'.
“Elena
… dove sei?” la mia voce
tremava per la tensione.
“Il
sogno è tuo … se non lo sai
tu …”
La
sua risata mi fece voltare di
colpo, ma l’unica cosa che riuscii a vedere fu il suo profilo
evanescente
contro la finestra buia.
Ancora
una volta l’immagine stava
perdendo i suoi contorni, cancellata dal buio.
Mi
strinsi ad Elena ancora più
forte, avvolgendola in un abbraccio di gambe e mani, desiderando con
tutto me
stesso che la visione non sparisse del tutto.
Posai
il palmo aperto della mia
mano al centro del suo petto, aspettando il battito successivo.
I
polmoni le si riempirono appena
di aria quando la pulsazione arrivò.
La
camera proiettata nella mia
mente riprese forma e, questa volta, Elena era seduta sul letto.
“Cosa
ci fai qui, Damon?” mi
domandò con un sorriso curioso.
“Secondo
te?”
“Bonnie
…?”
“Sei ancora
addormentata, quindi … Bonnie sta bene …
purtroppo.”
“Piantala.
Ripeto: cosa ci fai
qui, cosa ci faccio io dentro questa visione? Come è
possibile?”
“Come sia possibile, non lo so. Perché, mi sembra
ovvio,” borbottai.
Parlarle,
sentire la sua voce …
realtà o illusione non m’importava: era come
rinascere.
Quando
il corpo di Elena si fece
di nuovo evanescente, premetti la mano sul suo sterno, causando un
nuovo battito.
Lei
riapparve.
Funzionava.
“Se questa
sarà la nostra stanza, devo dire che mi piace.”
Sorrise.
“Ci hai messo tu
lo zampino, te ne se appropriata e l'hai
rovinata con le tue 'cose da donna' ”, la punzecchiai.
“L’ho
solo sistemata … credo. Non riesco a distinguere il
sogno dal presente: sei un gran casinista anche quando crei
illusioni.”
Con un ghigno ironico mi
avvicinai al letto, fermandomi
davanti a lei.
“Vediamo se
riesco a fare di meglio” la sfidai.
Elena
alzò lo sguardo e mi guardò
con un sorriso felice, mentre dentro di me il desiderio e la
disperazione
facevano a gara per bruciarmi l’anima.
Le presi il mento tra le
dita e mi avvicinai, affondando nei
suoi occhi, cercando conforto nel calore delle sue iridi color
cioccolato.
Lieve, appoggiai le mie
labbra sulle sue, godendo
nell’inganno di poter assaporare l’aroma del suo
respiro.
Le sue labbra si
dischiusero per accogliermi ed io mi
rifugiai in lei.
Poterla
toccare, stringerla a me,
respirare il suo bacio, era una consolazione tale da farmi scordare,
per un
attimo, ogni maledetto giorno passato in solitudine. Le sue mani che
scorrevano
sul mio viso cancellarono l’amarezza del nostro distacco
forzato, la
disperazione di quell’anno passato all’inferno.
Senza
staccare la mia bocca dalla
sua, la feci sdraiare sul letto, adagiandomi sopra di lei, dimenticando
la
delicatezza e lasciando che la frustrazione diventasse passione e la
rabbia una
dolente felicità.
Elena
si aggrappò alle mie spalle
e mi attrasse contro di lei, affamata della stessa fame, assetata dello
stesso
amore.
Il
suo cuore batteva frenetico,
confondendo il battito sotto la mia mano con quello sotto il mio corpo.
Era viva, vitale, vivace,
vorace …
Le emozioni ricominciarono
a scorrere sotto la mia pelle,
tanto intense ed improvvise da mozzarmi il fiato.
I sensi si accesero,
donandomi un piacere che sconfinava nel
dolore.
Alzai il viso per
ammirarla, per cogliere la sua bellezza,
per leggere sulla sua pelle la risposta alle mie preghiere.
Il bisogno di sentirla, di
toccarla, di amarla si fece
disperato.
Cercai con le mani la
morbidezza del suo corpo sotto i suoi
vestiti …
Com’era vestita?
Non riesco nemmeno a ricordarlo.
Ricordo solo che quella
stoffa mi sembrava una barriera inutile,
un ostacolo alla mia fretta alla mia voglia irrefrenabile.
Elena
non si oppose al mio
assalto: si abbandonò con un sorriso soddisfatto alle mie
carezze, adattando le
sue curve alle mie mani, il suo corpo al mio.
E il cuore batteva
… batteva talmente forte che sembrava
volerle uscire dal petto per entrare nel mio.
La visione era talmente
vivida e sensoriale sotto ogni
aspetto, che mi scordai completamente che non era reale.
Sentivo le sue mani sulla
mia schiena.
Sentivo ogni centimetro
della sua pelle sotto i miei
polpastrelli.
Sentivo la sua voce che mi
chiamava, prima in un sospiro poi
in una supplica.
Po la voce si distorse
fino a diventare un urlo disperato.
“Damon
… Damon …”
Il tono era stentoreo e la
voce non era più quella della
ragazza che mi stava accanto, dormiente.
L’illusione
divenne un’immagine sfuocata.
Premetti sul petto di
Elena, ma il suo cuore batteva
accelerato come nel mio sogno.
Mi
strinsi più forte ai suoi
fianchi per richiamare la visione, ma la voce, quasi soffocata, mi
richiamò
crudelmente alla realtà.
“Damon
… cosa stai … f … facendo?”
Bonnie.
No! Perché?
Perché era qui?
“Bonnie, cosa
vuoi? Che cazzo ci fai qui? Lasciami in pace …
lasciami con lei”
La rabbia si fuse alla
supplica.
I
miei ordini scivolarono in
preghiere e le preghiere avevano il tono imperioso degli ordini che non
accettavano un rifiuto.
“Vattene
e lasciami qui con
Elena!” urlai con la voce spezzata.
“D…Damon…
Mi stai uccidendo!”
Le
sue parole non avevano senso:
come potevo ucciderla se nemmeno la vedevo?
“Che
cosa stai blaterando?”
imprecai, mentre cercavo di non interrompere il contatto con Elena.
“Stai
cercando di risvegliarla?”
mi domandò tra i rantoli.
“No
… sto solo …”
“Lei
si sta risvegliando?”
insistette.
Mi
costrinsi a riaprire gli
occhi, ma il volto di Elena non aveva cambiato la sua espressione
… forse solo
le labbra avevano un accenno di sorriso … o forse il buio ne
alterava i
contorni.
“No
… non credo …” risposi, ormai
rassegnato a dar retta a quella strega invadente.
“Aspettarmi
qui, Elena” le
sussurrai all’orecchio. “Mando a quel paese la tua
amica inopportuna, poi
potremo ricominciare da dove ci ha interrotti.”
Uscii
dalla bara, mi diressi alla
porta della cripta e, spinto dalla furia, la spalancai.
Bonnie
giaceva a terra: annaspava
senza fiato.
Per
un attimo, per un brevissimo
istante, fui tentato di porre definitivamente fine alle sue sofferenze,
ma
avevo promesso ad Elena che non avrei mai attentato alla vita della
nostra
amica più cara, quindi mi chinai per capire cosa le stesse
accadendo senza
oltrepassare la soglia della cripta.
“Damon
… il suo cuore …”
“Batte
… batteva già quando sono
arrivato … non è morta! Ma questo
cos’ha a che fare con te e con il fatto che
sembra che tu stia per schiattare qui, davanti a me?”
“Quanto
forte batte?”
“Cos’è
questo? Un episodio di
Grey’s Anatomy? Batteva molto lentamente, Dr Bennet, un
battito ogni tanto. Poi
… sai com’è: la visione, noi
… insieme … sul letto …”
“Damon!
Se il suo cuore accelera,
rallenta il mio … se lei si risveglia, io muoio!”
“Ma
lei non può risvegliarsi! Non
può … vero?”
“Non
dovrebbe, ma a quanto pare
tu stai per riuscire a fare quello che non dovresti, stai per
riportarla dove
non dovrebbe tornare, perlomeno non fino a quando io sarò
viva.”
Più
rimanevo lontano da Elena,
più il respiro di Bonnie si faceva regolare.
Mi
voltai spaventato verso la
bara, sicuro che Elena stesse tornando nell’oblio, troppo
presto, sempre troppo
presto.
“Bonnie
… voglio stare con lei
ancora qualche minuto” …
per sempre ...
“Damon,
non so quanto io possa
resistere se tu continui a far battere il suo cuore troppo in fretta.
Lei
dormirà, ma sarà viva … io posso solo
morire.”
“Sei
morta mille volte … una più
una meno …” ringhiai.
Il
ronzio della tentazione
nefasta di farla finita lì e subito divenne assordante.
Non
potevo lasciare che Bonnie
morisse.
Non
potevo lasciare Elena
un’altra volta.
Con
la mano aperta diedi una
botta allo stipite della porta che mi separava dalla strega accasciata
sui
gradini di pietra, che mi rinchiudeva in uno spazio tanto infernale
quanto
paradisiaco. Non potevo essere all’inferno se Elena era con
me, non potevo essere
in paradiso se non mi era concesso di averla … e il
purgatorio era pura agonia.
Sentii
Bonnie rialzarsi,
riprendere le forze, respirare regolarmente.
Fulmineo
mi diressi verso la bara
e posai entrambe le mani sul petto di Elena, in attesa di quel lieve
battito
che mi avrebbe riconnesso con i suoi pensieri.
E
ancora chiusi gli occhi.
E
ancora la cercai.
La
sua figura, tremolante e
precaria come la fiamma di un cerino, mi apparve sullo schermo nero
delle mie
palpebre abbassate.
“Lasciami
andare, Damon” sussurrò,
con le labbra piegate in un sorriso sereno.
“Tienimi
con te” la pregai.
“Torna
alla tua vita, io non
scappo …” mi schernì con dolcezza.
“Quale
vita? Senza di te non ho
una vita, solo un lungo, inutile calvario.”
“Dam
...”
L’immagine
svanì mentre io
crollavo sulle mie ginocchia.
“Damon
… vieni fuori … per
favore.”
La
voce di Bonnie mi violentò i
timpani, come unghie sulla lavagna.
“Bennet.
Sei viva. Non sfidare
oltre la sorte. Vattene.”
Trattenni
tra i denti l’urlo che
avrebbe buttato le mie parole in faccia a Bonnie con la violenza di una
manciata di sassi.
“Ma
… tu … non …”
“Vattene
ora, o cambio idea e ti
trascino in questa bara per farti occupare il posto Elena!”
la minacciai.
La
sentii allontanarsi con un
sospiro rassegnato. I suoi passi scricchiolavano lenti sulla ghiaia del
vialetto che conduceva fuori dal cimitero.
Senza
alzarmi mi voltai per
sedermi con la schiena appoggiata ai sostegni della bara.
Affondai
il viso nelle mani e mi
stupii sentendole umide.
Gocce
di disperazione irrigavano
le mie guance senza che me ne fossi reso conto.
Stille
di angoscia m’irrigavano
il volto arato dalla tensione.
Avevo
dato ad Elena i brandelli
della mia anima e lei li aveva ricuciti, insieme a quelle parti che
credevo
perdute per sempre, per poi ritrovarle nel suo sguardo pieno di fiducia.
Mi
aveva ricomposto ed ora le
appartenevo.
Mi
aveva riassemblato, ma sarebbe
basato un soffio e il vento si sarebbe ripreso le schegge del mio essere.
Nel
tempo trascorso senza di lei,
sentivo che il collante stava per esaurirsi, essiccato dalla mancanza
del suo
amore. Avevo la sensazione che presto mi sarei sbriciolato se non
l’avessi
avuta con me e, quando ogni briciola fosse stata ingoiata dai becchi
voraci del
tempo, di me non sarebbe rimasto che un’ombra,
un’anima nera e colma di rabbia,
assetata di sangue.
La
speranza di rivederla non mi
sarebbe bastata, l’attesa mi avrebbe solo consumato,
imbruttito, reso crudele.
Al suo risveglio, Elena non avrebbe ritrovato l’uomo che ero
diventato e
nemmeno quello che aveva conosciuto, strafottente e incurante.
Non
avrebbe trovato più nulla,
solo cenere e tempesta, impossibile da ricomporre, impossibile da amare.
Mi
aggrappai ai bordi della bara
per rialzarmi, fradicio di lacrime e disperazione.
Guardai
Elena e, rassegnato, mi
aggrappai al coperchio di quel maledetto sarcofago per richiuderlo sul
suo
volto sereno.
Il
dolore mi trafisse le costole
e le mie mani sbriciolarono il legno nel punto in cui avevo stretto la
presa.
Il
coperchio rimase alzato.
Pensieri
e dubbi vorticavano, si
rincorrevano in scie confuse nella mia mente.
Fuori
mi aspettava una vita non
vita.
Nella
cripta una morte non morte.
Dolorosa
la seconda.
Insostenibile la prima.
Un
sospiro mi gonfiò i polmoni:
ricominciai a respirare … non mi ero nemmeno accorto di aver
smesso.
La
scelta era solo apparente,
l’opzione valida una sola.
Buttai
fuori l’aria e con essa i
tentennamenti.
Non
c’era più nessun dubbio … non
c’era mai stata alternativa.
Un
sorriso ebete deformò le mie
labbra gonfie mentre mi calavo nella bara: non sarei potuto andare da
nessun’altra
parte, non avrei voluto essere altrove.
“Fammi
spazio, angelo mio … credo
proprio di aver bisogno di dormire un po’. Appena riaprirai
gli occhi,
svegliami.”
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