You're crazy about him di germangirl (/viewuser.php?uid=228131)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 – Hey, you’ve reached Richard Castle… Lucky you! ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Was that supposed to be some big secret? ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - You're not alone in this ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Always ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 – Hey, you’ve reached Richard Castle… Lucky you! ***
Capitolo 1 – Hey,
you’ve reached Richard Castle… Lucky
you!
Apre
gli occhi a fatica, sentendosi ancora più spossato
di quando si è coricato solo poche ore prima. Una telefonata
in tarda serata lo
ha fatto fiondare sulla scena di un crimine, nonostante le temperature
rigide e
il fatto che il loft, con il caminetto acceso, fosse un luogo
decisamente più
invitante. Ma del resto, quando Beckett chiama, Castle risponde. Punto.
Questa
volta il cadavere è stato trovato in un vicolo non
distante da Central Park, nel cuore di Manhattan. E naturalmente
l’analisi
della scena del crimine non ha richiesto solo pochi minuti. Poi Beckett
non
aveva né sciarpa né guanti e lui non poteva certo
esimersi dal prestarle la
propria stola di cashmere per evitare che si ammalasse. E
già che c’era le ha
passato pure i guanti, anche se le vanno grandi, assicurandola che a
lui non
servivano. E’ pur sempre la sua musa e si è
beccata una pallottola in pieno
petto solo pochi mesi prima. Come dire, è suo dovere
prendersi cura di lei. Quella
sera i programmi del detective Beckett prevedevano un’uscita
con Lanie, a bere
qualcosa e a parlare di uomini, non certo una passeggiata sulla neve a
cercare
indizi, e si era abbigliata di conseguenza. Ovvero un maglioncino
leggero
scollato, un paio di jeans e il suo cappotto rosso. Peccato che il
destino
avesse piani diversi per quel povero cadavere senza nome.
Gonfiando
il petto, le ha detto che lui è uno che non si
ammala mai, quindi che non aveva bisogno di tutti quegli strati di
lana. Il
solito sbruffone.
Non
si è accorto che, appena ha voltato le spalle, Kate
si è avvolta la sciarpa al collo e l’ha annusata,
affondando il naso nel suo
profumo e mordendosi il labbro inferiore. Poi però la
risoluta detective ha
ripreso il posto della ragazzina e si è messa al lavoro.
Le
conseguenze di quella serata in cui ha fatto lo
splendido, però, non sono mancate. Questa volta Castle teme
di aver beccato una
sonora influenza.
Sarà
il bagno nell’Hudson di qualche tempo fa, per il
quale deve ringraziare Sophia Turner.
Sarà
tutta la faccenda legata a quella donna, il tuffo
nel passato (accidenti, meglio non usare metafore
acquatiche…), quando faceva
ricerche per il personaggio di Clara Strike, quell’accenno al
ruolo che suo
padre avrebbe avuto nell’aprirgli le porte della CIA.
Sarà
che negli ultimi giorni non ha dormito molto, vuoi
per le parole di Sophia, vuoi per il messaggio minatorio di Gina che
aspetta i
capitoli del suo nuovo romanzo e lui, tanto per cambiare, è
indietro con la
consegna, troppo impegnato a giocare al poliziotto.
O
forse sarà per quel patto che ha stipulato in quel
garage, con quella voce al telefono.
Insomma,
per farla breve, quella mattina lo scrittore si
sente uno zombie: il suo corpo è scosso dai brividi, un
bruciore gli incendia le
vie respiratorie e gli occhi sono ancora abbottonati.
L’immagine che gli
rimanda lo specchio del bagno non corrisponde a ruggedly
handsome, nemmeno lontanamente. Ma tutto questo non conta.
Se solo il loft smettesse di girare all’impazzata, Castle
potrebbe apprestarsi
a dare inizio alla sua missione: deve portare il caffè alla
sua musa, solo per
vedere un sorriso aprirsi sul suo volto, come ormai fa da tempo. E non
saranno
un mal di testa martellante, un naso colante, la carta vetrata in gola
o
qualche brivido di freddo a fermarlo. Lo consola il fatto che
né Alexis né
Martha siano a casa: sua figlia è in viaggio con la scuola e
sua madre è in
ritiro spirituale in un resort a cinque stelle per lavorare su un
progetto
teatrale top secret, forse un monologo, di cui Rick ha preferito non
sapere
nulla, terrorizzato fin nel profondo dall’entusiasmo della
Grande Diva. Se non
altro, non attaccherà l’influenza anche a loro.
Quindi, ingoia un’aspirina al
volo, indossa giaccone pesante, sciarpa di lana, guanti e via, verso
nuove e
scintillanti avventure. Che al momento si limitano a trovare la forza
per
raggiungere la caffetteria preferita di Beckett.
Giungendo
al Dodicesimo, gli pare di aver compiuto uno
sforzo sovrumano e il suo aspetto non deve essere migliorato nemmeno un
pochino
da quando si è alzato dal letto, tanto che persino Ryan, che
di solito ci va
giù meno pesante di Espo, lo apostrofa con un “you look like you got hit by the milk truck”.
Però
poi vede lei, appoggiata sulla scrivania di fronte
alla lavagna sulla quale ha già cominciato ad appendere foto
e ad annotare le
informazioni raccolte. La osserva per qualche attimo, mentre
è intenta a
studiare con attenzione gli indizi e le immagini, come dimostra quella
ruga che
le si forma sulla fronte quando è concentrata su qualcosa. E
gli sembra quasi
che l’influenza sia solo un lontano ricordo. Ma
l’ennesimo brivido, seguito da
un capogiro, gli fanno comprendere che le virtù
taumaturgiche del detective
Beckett non arrivano a tanto. Fa finta di niente e si lascia scivolare
con
nonchalance sulla sedia vicino alla scrivania, giusto in tempo per
evitare di
collassare rovinosamente sul pavimento, porgendole il suo
caffè e chiedendole gli
sviluppi del caso.
A
sua volta, Beckett pretende di non aver visto in quale
stato sia il suo scrittore, troppo felice di averlo vicino anche
stamani. E non
certo perché le ha portato la sua dose quotidiana di
caffeina. Da quando ha
cominciato la terapia con il dottor Burke, per essere precisi da quando
l’ha
cominciata di sua spontanea volontà e non solo allo scopo di
rientrare in
servizio a tempo record, ha fatto dei notevoli passi avanti nel
comprendere
cosa prova per Castle.
Stronzate.
Sa
perfettamente cosa prova per Rick, anche senza
l’intervento dello strizzacervelli. E’ pazza di
lui. Lo ama con la stessa
intensità che ha percepito nelle parole di lui quel
maledetto giorno al
cimitero, ma è fottutamente spaventata ed è
ancora prigioniera, almeno in
parte, di quel muro che ha tirato su con tanta determinazione in tutti
questi
anni.
Per
adesso si limita a sorridergli, con uno di quei
sorrisi che a lui scaldano il cuore, e a ringraziarlo, poi lo aggiorna
su ciò
che hanno scoperto: si tratta di Lizzie Donaldson, 17 anni, studentessa
presso
una prestigiosa scuola privata. Dalle prime informazioni raccolte,
dietro la
facciata da brava ragazza pare nascondesse una brutta storia di
tossicodipendenza. Figlia unica, le sue amiche hanno confermato che non
aveva
un bel rapporto con i propri genitori, totalmente anaffettivi, e che
negli
ultimi tempi aveva cominciato a frequentare un gruppo di balordi. Il
padre pare
fosse sempre impegnato a fare soldi, mentre la madre era altrettanto
impegnata
a farsi il giardiniere. E il massaggiatore. E probabilmente anche un
collega
del padre.
Le
tragedie che colpiscono delle ragazzine hanno sempre
un effetto amplificato su Rick: anche in questo caso, Kate lo vede
armeggiare
con il cellulare, pronto a mandare un messaggio alla sua Alexis,
ansioso di
sapere se stia bene. Adora il suo essere un padre affettuoso, una
caratteristica
che l’ha affascinata sin da subito.
Ri-stronzate.
Sin
da subito è stata affascinata da lui in quanto è
il
suo scrittore preferito ed è uno degli uomini più
fighi che abbia mai
incontrato. Punto. Ma questo naturalmente non glielo può
confessare, non sia mai.
Nel
corso della mattinata, mentre Esposito e Ryan sono
fuori in cerca di quella banda di ragazzi per bene che paiono aver
trascinato
Lizzie sulla cattiva strada, Rick si limita a ciondolare sulla sedia,
cercando
disperatamente di non addormentarsi fra uno starnuto e
l’altro.
All’ennesima
manifestazione sonora di quel raffreddore,
il capitano Gates esce dal proprio ufficio. Ha le mani sui fianchi e
gli
occhiali sono in bilico sulla punta del naso, contro ogni legge della
gravità. “SIGNOR
CASTLE, credo che il suo maggior contributo oggi sia di aver diffuso
germi e
microbi nell’intero distretto. Non voglio correre il rischio
di avere metà dei
miei uomini a letto con la febbre domani, per cui mi faccia il piacere
di
andarsene a casa. SUBITO. E non osi rimettere piede nel MIO distretto
prima di
essersi ristabilito del tutto, sono stata chiara?”
Quella
donna decisamente non lo adora.
Rick
non ha nemmeno la forza di ribattere a quell’ordine
perché, in cuor suo, sa perfettamente che Iron Gates ha
ragione da vendere. Gli
dispiace solo allontanarsi da Beckett, perché…
beh, è facile immaginarsi il
perché. Ma questa influenza lo sta davvero mettendo KO e
tutto sommato l’idea
di sdraiarsi per qualche ora non gli pare poi tanto malvagia.
“Ci
vediamo domani, detective” le dice con voce roca.
“Ciao
Castle, riguardati” gli risponde, mentre la
sindrome da crocerossina, da cui nemmeno l’integerrimo
detective Beckett è immune,
le suggerirebbe di prendersi cura lei in prima persona del suo
scrittore. Ma il
dovere la chiama e la tiene incollata alla scrivania.
Da
quel momento, Rick è come se fosse sparito, ingoiato
dalla Grande Mela.
36.
Trentasei.
T-R-E-N-T-A-S-E-I
ore e nessuna notizia da parte sua. Non
risponde ai messaggi né alle chiamate. Beckett non ne
può più di sentire “Hey,
you’ve reached Richard Castle… Lucky
you”. Lucky you un cavolo! Ha telefonato anche a
Martha e Alexis, ma
nemmeno loro sono riuscite a mettersi in contatto con lui e le hanno
chiesto di
verificare di persona.
Avendo
risolto velocemente il caso – la povera Lizzie si
era trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato ed era finita in
un
regolamento di conti fra bande per la spartizione dei territori per lo
spaccio
di droga – Beckett si concede il lusso di uscire puntualmente
al termine del
proprio turno, lasciando le scartoffie al turno successivo, che per sua
fortuna
non sarà prima di lunedì. Da 36 ore un tarlo le
sta consumando il cervello e
comprende che non c’è altro modo per avere un
po’ di pace. Deve sapere come sta
Castle, e non certo perché gliel’hanno chiesto le
due rosse.
Una
vocina continua a dirle che probabilmente lo
scrittore se la sta spassando con qualche biondona, magari con una
hostess, che
sia fun and uncomplicated, quindi
la
sua preoccupazione è del tutto fuori luogo. Ma considerando
che nemmeno sua
figlia ha sue notizie, un’altra vocina le dice che
è il caso di intervenire.
Arrivando
al 595 di Broome Street, Kate saluta
cordialmente Miguel Hernandez, il portiere che presidia la hall,
impegnato in
una telefonata con la signora Taylor del terzo piano. La riconosce al
volo,
quella graziosa detective che da tempo frequenta il signor Castle. E
gli piace
assai di più di tutte quelle hundreds
of
super hot girlfriends che negli anni hanno avuto accesso al
loft dello scrittore.
Per carità, non si può certo lamentare di quelle
frequentazioni: in fin dei
conti, gli hanno dato modo di bearsi della vista di un discreto numero
di belle
donne. Ma il detective Beckett ha qualcosa di speciale. Non
è artificiale come
le altre: la sua è una bellezza autentica, pura.
“Buonasera
detective Beckett, cosa posso fare per lei?”
le chiede il signor Hernandez appena mette fine a quella interminabile
chiamata.
“Buonasera
Miguel, mi dispiace disturbarla, ma non riesco
a mettermi in contatto con il signor Castle da due giorni. Sa se
è in casa?”
“Credo
di sì, non mi pare di averlo visto uscire. In
effetti, non aveva una bella cera quando è rientrato ieri
all’ora di pranzo”
risponde, non celando un accenno di preoccupazione nella voce. Il
signor Castle
è sempre stato generoso con lui, non soltanto con le mance
ma chiedendogli
spesso della famiglia rimasta in Messico e preparando una
raccomandazione per
suo figlio, permettendogli così di accedere a una borsa di
studio per il
college. Sono cose che non si dimenticano. “Provo a cercarlo
con l’interfono”
Niente.
Anche quello squilla a vuoto.
“Sarebbe
così gentile da aprirmi il loft? Comincio ad
essere un po’ in ansia. Non è da Rick…
voglio dire, non è dal signor Castle non
rispondere alle chiamate o ai messaggi. Quell’uomo vive
appiccicato al suo
cellulare! E anche Alexis non lo sente da un paio di giorni”
“Tutto
questo è decisamente strano. Venga, detective, la
accompagno all’ultimo piano”
Il
viaggio in ascensore si svolge in silenzio, vuoi per
la riservatezza del portiere, vuoi per l’ansia di Kate.
Giunti
davanti al loft, Miguel utilizza la sua tessera
magnetica e sblocca la porta, lasciando entrare la detective che
accende la
luce. A una prima occhiata non c’è assolutamente
niente di insolito. A parte il
silenzio. La zona giorno è ordinata e tutti gli aggeggi
elettronici di
ultimissima generazione sono al loro posto.
Anche
se ha vissuto in quella casa per qualche giorno,
quando il proprio appartamento era saltato in aria per gentile
concessione di Scott
Dunn, Kate prova un certo disagio ad aggirarsi lì dentro
senza gli effettivi
inquilini. Ma è un pensiero che dura lo spazio di un
respiro, perché ha una
missione da compiere: scovare lo scrittore. Si reca a passo deciso
verso la sua
stanza, mentre il signor Hernandez rimane impalato
sull’uscio, quasi a non
voler infrangere un codice etico.
La
camera è in penombra, ma la luce proveniente dal
corridoio le permette di distinguere che nel letto
c’è qualcuno. Una massa
aggrovigliata di coperte che potrebbe ricordare vagamente uno scrittore
di
gialli di successo.
Si
avvicina a lui e un senso di terrore le attanaglia le
viscere. Del resto, di mestiere fa la detective della squadra omicidi
ed è
abituata ad avere a che fare con scene del crimine il cui contenuto
è spesso
cruento.
“Dio,
fa che stia bene” è il pensiero che si forma nella
sua mente e nel suo cuore.
Lo
chiama ma non ottiene alcuna risposta e quella
sensazione terribile si rafforza, fin quasi a chiuderle la gola.
Si
china sul letto e gli mette una mano sulla fronte.
E’
bollente.
Ma
almeno è vivo.
Rilascia
un respiro che non si era accorta di aver
trattenuto e prova a scuoterlo.
Lo
scrittore le sussurra: “Don’t
get up yet, stay in bed”
Ok,
questo conferma che è vivo. Forse non del tutto lucido,
ma almeno parla.
“Castle”
lo chiama di nuovo, toccandogli un braccio,
finché lui apre gli occhi, li chiude, poi li riapre quasi a
voler mettere a
fuoco ciò che vede. “Kate…
Hi” le
dice e prova anche a sorridere.
“Ehy,
come stai? Dove sei finito in tutto questo tempo?”
gli chiede.
“Detective…
non mi vedi da un paio d’ore… e senti
già la
mia mancanza?” le risponde a fatica.
“Castle,
non rispondi alle chiamate né ai messaggi da
quasi due giorni, non da due ore. Io… ero
preoccupata” gli confessa.
“D-due
giorni? Oh, credo…credo di aver dormito… e ho mal
di testa” annuncia, toccandosi la tempia. Nel frattempo, Kate
si abbassa e posa
le labbra sulla sua fronte, lasciandolo quasi congelato davanti a quel
gesto
così intimo. O forse sta avendo un’allucinazione,
questo non è il comportamento
di Beckett.
“C-cosa
s-stai facendo?” le chiede.
“Ti
provo la febbre. Lo faceva sempre mia mamma quando
ero piccola. Accidenti, Castle, scotti. Hai un antipiretico da qualche
parte?
Dobbiamo assolutamente far scendere la temperatura”
“Armadietto
del bagno” le dice, stremato dall’influenza, dalla
disidratazione e dalla sorpresa di vederla impegnata a prendersi cura
di lui.
No,
un momento. Proviamo a riformulare questo pensiero.
Kate
Beckett è venuta a cercarlo nel suo appartamento
perché non lo sente da un giorno e mezzo e adesso sta
cercando l’aspirina nel
mobiletto del suo bagno. Ah, e gli ha provato la febbre poggiandogli le
labbra
sulla fronte. Wow, quest’influenza non è poi
così male se gli provoca queste
allucinazioni! Non c’è altra spiegazione. Ora gli
basterà sbattere gli occhi e
tutto tornerà normale.
Lo
fa, ma ciò che vede invece è la sua musa che gli
porge
delle pillole e un bicchier d’acqua e gli sorride,
incoraggiandolo anche con lo
sguardo. Inghiottisce la medicina e gli pare che gli abbiano strofinato
la lana
d’acciaio lungo trachea ed esofago.
“Devi
bere, Castle. Tutto il bicchiere, forza” gli
ordina.
“Ma
mi fa male la gola” piagnucola.
“Non
fare il bambino, Rick. Le tue labbra secche sono un
sintomo di disidratazione. Adesso fai il bravo e riposati, intanto io
saluto
Miguel, poi chiamo Alexis e Martha e le avverto che sei un
po’ accoppato ma
stai bene”.
Annuisce
a fatica e sente le palpebre farsi di nuovo
pesanti. Prima però trova la forza di chiederle:
“Kate? Ti troverò qui quando
mi sveglio? E non ci saranno manette? O una tigre?”
Gli
sorride in risposta: “Tranquillo, non vado da nessuna
parte”
Nota
dell’autrice
Dopo
aver fatto qualche viaggio lungo il viale dei ricordi con JAG, torno a
scrivere
sui Caskett… mamma mia, da quanto non li portavo a fare un
giro!
Spero
che mi seguirete in questa breve rivisitazione della quarta stagione,
quando i
nostri tontoloni erano, appunto, ancora dei deliziosi tontoloni.
Grazie
come sempre al mio angelo custode e alla sua preziosa penna verde.
E
a
tutti voi, per avermi regalato il vostro tempo ed essere arrivati fino
qui.
Un
abbraccio,
Deb
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 - Was that supposed to be some big secret? ***
Capitolo 2 – Was
that supposed to be some big secret?
Una
volta rassicurato e congedato Miguel, che si è fatto
promettere di non esitare a contattarlo per qualsiasi
necessità, Beckett si
ferma nella zona giorno, recupera il proprio cellulare dalla tasca del
cappotto
che aveva abbandonato sul divano e cerca il numero di Alexis.
Dal
funerale di Montgomery le sembra che la giovane
Castle sia diventata più fredda con lei e teme di conoscerne
la ragione. In fin
dei conti, da quando ha deciso di nominarla sua musa e di seguirla sul
campo, anche
la vita di Rick viene messa in pericolo costantemente e questo non
può andare
giù ad Alexis, visto il profondo legame che la unisce al suo
papà. Quella
sensazione di gelo è leggermente diminuita dopo
l’episodio della banca, ma
ancora non è riuscita a recuperare appieno il rapporto con
lei. E non sa come
reagirà nel sapere che Castle si è ammalato
perché era sulla scena di un
crimine con lei, a notte fonda e con tanto di neve e temperature
rigide. Prende
un respiro profondo e aspetta che la ragazza le risponda.
“Pronto,
Kate? Hai trovato papà?” il tono di voce
tradisce immediatamente la sua angoscia.
“Ciao
Alexis, sì, è a casa e ha una bella influenza.
Non
ha fatto altro che dormire da ieri, è per questo che non ha
mai risposto al
telefono” le spiega, cercando di minimizzare.
“Come
ha fatto ad ammalarsi? A papà capita di
rado…”
“Beh,
due sere fa è stato scoperto un cadavere vicino a
Central Park e forse ha preso freddo
lì…”
“OK,
prendo il primo volo e arrivo” taglia corto la ragazza,
come se fosse stufa di quanto la nuova scelta di vita di suo padre
sconvolga
l’esistenza di tutti e attenti alla sua salute.
“No,
aspetta Alexis, so che sei abituata a fare l’adulto
nella vostra famiglia, ma non è necessario che tu rinunci al
tuo viaggio con la
scuola, sei all’ultimo anno… qui ci sono io e
posso… voglio prendermi
cura di tuo padre.”
Per
alcuni secondi non c’è nessuna reazione
dall’altro
capo della linea, anche se a Beckett pare di sentire gli ingranaggi del
cervello di Alexis lavorare a pieno regime, soppesando scrupolosamente
i pro e
i contro di quella proposta. Finché con un sospiro la sente
dire: “Ok, ma sappi
che quando è malato si comporta come un bambino.”
“Quindi
esattamente come quando sta bene. So come tenerlo
a bada” commenta con un tono di voce leggero, sperando di
farla sorridere.
“Sì,
hai ragione” risponde con un risolino. OK, missione
compiuta! Poi Alexis aggiunge: “Penso io ad avvertire la
nonna. Ah, Kate?”
“Dimmi.”
“Se
succedesse qualcosa chiamami subito, d’accordo?”
“Non
mancherò. Per ogni evenienza puoi darmi il numero
del vostro medico?”
“Ti
mando il contatto via sms. Senti, Kate... Occupati di
lui, ok? Papà è… è la mia
famiglia. E… lui… ci tiene a te. Molto.”
“Lo
so. Stai serena, Alexis, anch’io tengo molto a lui.
E’
il mio partner. E ora pensa solo a divertirti, me lo
prometti?”
“D’accordo.
Abbraccialo da parte mia.”
Anche
se non stanno facendo una videochiamata, le sorride
e la rassicura: “Lo faccio subito, se non si è
addormentato di nuovo. Gli ho
fatto prendere un antipiretico per abbassare la temperatura e credo sia
crollato un’altra volta.”
“E
ha assunto la medicina senza lamentarsi? Senza che tu
lo abbia minacciato o senza che tu gli abbia dato un cucchiaino di
miele subito
dopo?” le chiede sorpresa, tanto che le pare di vederla con
gli occhioni
spalancati dallo stupore, con quegli stessi fari azzurri che ha suo
padre.
“Oh,
naturalmente ha piagnucolato” le risponde, alzando
gli occhi al cielo.
“Ah,
ecco, mi sembrava strano. Anche se stravede per te
non era pensabile che fosse cresciuto di colpo!” commenta
ridendo.
“Già,
anche i miei superpoteri non arrivano a tanto.
Adesso ti saluto, Alexis, torna dai tuoi compagni che a tuo padre ci
penso io.
Ti chiamo domani, ok?”
“Grazie,
Kate. Ci sentiamo.”
Chiude
la telefonata e si dirige di nuovo verso la camera
di Rick, per portargli i saluti della figlia. Lo sente russare dallo
studio,
quindi non ci sarebbe bisogno di affacciarsi per verificare le sue
condizioni,
ma è più forte di lei. Apre piano la porta e lo
osserva: sta dormendo di
traverso sul letto, messo del tutto KO dall’influenza e
probabilmente dagli
effetti soporiferi del medicinale che gli ha fatto assumere poco fa. Ne
segue
con lo sguardo i lineamenti del viso: la fronte distesa, il profilo del
naso,
le labbra un po’ screpolate, quel filo di barba che gli sta
oscurando le
guance. E’ un bell’uomo, forte, solido e
accogliente. Lo ha sempre saputo, sin
da quando faceva la fila per ottenere un suo autografo, ma non si
è mai
concessa il lusso di guardarlo a lungo senza che lui se ne accorgesse.
Senza
volerlo, si ritrova a sorridere al pensiero di quanto questo suo
atteggiamento
sia inquietante e, al tempo stesso, divertente. Ecco cosa deve provare
lui
quando lo becca a parti inverse!
Scuote
la testa e si decide a lasciarlo riposare: il
sonno al momento pare la migliore medicina. Anche perché
cos’altro potrebbe
fare per lui? Nelle sue relazioni precedenti non si è mai
trovata a doversi
prendere cura di un fidanzato malato. Che poi Castle non è
nemmeno il suo
fidanzato, ma che le viene in mente? Scaccia quel pensiero e lascia che
la sua
mente vaghi verso il ricordo di ciò che sua madre faceva
quando lei era piccola
e aveva la febbre. Dunque… contro le malattie da
raffreddamento è fondamentale
la vitamina C. Agrumi! Ecco, gli può preparare una bella
spremuta d’arancia,
quella gli farà sicuramente bene. Poi… brodo di
pollo, sì, anche quello è un
toccasana, un conforto per il corpo e per lo spirito. Si reca in cucina
e apre
frigorifero, congelatore, pensili, armadietti finché non
trova tutti gli
ingredienti e gli attrezzi necessari. Scongela la carne al volo nel
microonde e
si mette all’opera. Mentre è intenta nel suo
lavoro, le viene in mente un’altra
cosa che lei e sua madre avevano fatto insieme quando aveva 9 anni e
doveva
togliersi le tonsille: una maratona di Temptation Lane! Sorride al
ricordo, sia
del tempo trascorso con Johanna sotto quella coperta, sia della
reazione di
Rick quando aveva scoperto questo lato so
delightfully not you, le aveva detto. Che poi, diciamocelo,
visto lo stato attuale
di Castle non riuscirebbe a stare sveglio oltre la sigla iniziale e lei
potrebbe
godersi gli episodi in santa pace, senza che lui la prenda in giro
perché
shippa le coppie di quella soap opera.
Un’occhiata
all’orologio la informa che si sta facendo
tardi. Non può abbandonarlo in queste condizioni, ma non ha
un cambio con sé e
non le va di dormire vestita. Non vuole nemmeno rovistare
nell’armadio di Rick
e o di una delle donne di casa in cerca di qualcosa da mettere per la
notte,
pertanto non le resta che una soluzione: rivolgersi a Lanie. Si
assicura di
aver acceso correttamente il piano cottura, vi deposita la casseruola
con il
brodo e poi recupera di nuovo il cellulare.
Dopo
pochi squilli, la dottoressa Parish risponde
sospirando: “Tesoro, non dirmi che c’è
un altro cadavere perché non ne posso
più questa settimana.”
“Tranquilla,
Lanie, non ti chiamo per lavoro. Avrei
bisogno di un favore…”
“Spara,
ragazza” la invita, con un tono assai più
sollevato di quello utilizzato poco prima.
“Senti,
Castle ha una brutta influenza ed è solo a casa,
non mi sembra il caso di abbandonarlo ma mi serve qualcosa per la
notte…
potresti passare dal mio appartamento e poi venire qui?”
“Wow
wow wow, mi stai dicendo che stai giocando al
dottore con Castle?” sghignazza dall’altro lato
della linea.
“No,
Lanie, non è così… è solo
il mio partner” si
giustifica Kate, anche se sa perfettamente che la sua amica dottoressa
non se
la berrà mai. Del resto, è lei la prima a non
credere alle proprie parole!
“Sì,
certo, Kate” le dice con tono accondiscendente. Poi riprende con maggior enfasi: “That guy is crazy about you and despite your little
act you’re crazy
about him. E
anche se non ti vedo, so perfettamente che
stai alzando gli occhi al cielo, tesoro. Ma è del tutto
inutile con me, lo sai
bene. Oh, what, was that supposed to be some big
secret?”
Per
un paio di secondi nessuna delle due parla, poi Kate
trova il coraggio di chiederle: “Do
you
think he knows?”
Il
medico legale sospira e pensa che, santo cielo, questi
due la manderanno al manicomio: ormai non sa più dove
sbattere la testa per
farsi comprendere. Poi si accinge a spiegare alla sua amica
ciò che hanno
capito anche i muri del Dodicesimo:
“Guarda
quanto è cambiato in questi anni… E lo so che hai
le tue cose da sistemare,
però se vuoi un consiglio approfitta di questa occasione in
cui siete da soli e
al di fuori del distretto. Strapazzalo un po’, tesoro, vedrai
che gli passa
persino l’influenza!”
“Oh,
Lanie, it’s
complicated… intanto puoi recuperarmi un cambio
per stasera?” cerca di
riportare la conversazione su un terreno più sicuro.
“Certo,
Kate, in meno di un’ora sono lì” le
promette,
scuotendo la testa perché quei due sono un caso perso.
“Grazie,
ci vediamo fra poco” la saluta e chiude la
conversazione.
Fedele
alle sue parole, 45 minuti più tardi
l’anatomopatologa
bussa alla porta del loft, portando un borsone. Kate le apre e la
invita a
entrare.
“Lanie,
ciao, grazie ancora. Senti, visto che sei qui,
potresti dargli un’occhiata?”
“You do know
living patients are not my thing, right?”
controbatte
la dottoressa Parish. A
ben pensare, fra persone normali un’uscita
del genere suonerebbe assurda, ma non quando a pronunciarla
è Lanie. Infatti
nessuna delle due è turbata.
“Lo
so, scusa, fai conto che non te l’abbia chiesto. Ti
offro qualcosa?”
“Ti
senti proprio a casa qui, vero? Comunque non ti
preoccupare, ti ho portato quello che mi avevi chiesto e ci ho aggiunto
qualcosa di extra. Prendilo come un incoraggiamento. E adesso scappo
che ho un
appuntamento per cena. Domani mi racconti tutti i dettagli, Kate. E per
tutti i
dettagli intendo TUTTI, compreso quelli più piccanti, anzi,
SOPRATTUTTO quelli
più piccanti!”
“Oh
Lanie, shut
uuuuuuuuup!”
L’uragano
Parish abbraccia Beckett e la lascia di nuovo
da sola nel loft, con Rick che sta ancora dormendo. Ripensando alle
parole
della sua amica, Kate non resiste alla curiosità di vedere
cosa ha aggiunto ai
suoi effetti personali, così solleva il borsone, lo appoggia
sul divano e apre
la zip. La prima cosa che nota è un completino intimo super
sexy, che non
ricordava nemmeno di aver acquistato. Lanie è un segugio
quando si tratta di
sesso! Scuote la testa e ripone quel trionfo di seta e pizzo in fondo
alla
borsa, confidando che ci sia anche qualcosa di più neutro da
indossare. Per
fortuna, il buonsenso non ha abbandonato del tutto il medico legale: un
paio di
confortevoli leggins e una rassicurante maxi t-shirt spuntano fuori,
calmando
il batticuore di Beckett. E naturalmente anche i calzettoni che usa per
dormire, ché se ha i piedi freddi non riesce a prendere
sonno.
Controlla
che il brodo stia cuocendo correttamente, poi prende
il bicchiere con la spremuta e si reca di nuovo nella stanza di Rick,
che
continua a dormire in modo profondo. Questa volta non resiste e gli
accarezza delicatamente
la fronte, ancora molto calda. Il suo tocco lo sveglia.
“Hey,
Kate… sei ancora qui…” constata
sorpreso,
regalandole un sorriso stanco.
“Certo,
Castle. Come stai?” gli chiede
“Sono
arrabbiato” ammette, facendo persino il broncio.
“Arrabbiato?
E perché?” gli domanda. Questa poi non se
l’aspettava. Era preparata a sentirlo lamentarsi per le sue
indicibili
sofferenze, ma non certo a questo.
“Perché
tu sei a casa mia e io non faccio altro che
dormire. Potremmo fare un sacco di altre cose, molto più
divertenti, specialmente
in questo letto” risponde.
Beckett
si limita ad alzare gli occhi al cielo, poi
commenta: “Darò la colpa alla febbre per questa
tua uscita. Ti ho portato un
po’ di vitamina. Su, bevi.”
“Non
mi va. E’ amara” piagnucola.
“Alexis
aveva ragione, sei davvero un bambino. Castle, I
have a gun and you don’t really have a
choice” dichiara Beckett con un tono che non
ammette repliche e
assottigliando lo sguardo. E infatti Rick obbedisce immediatamente e
butta giù
tutto il contenuto, senza ulteriori lamentele.
“Bravo
Castle, così sì che andiamo d’accordo.
E ora
lascia che vada a controllare il brodo.”
Gli
regala un’altra carezza – giusto per verificare che
la febbre non sia salita – ed esce dalla camera per recarsi
nella zona giorno.
Ha preso proprio sul serio il suo compito di crocerossina.
Dunque,
ricapitoliamo.
Il
detective Beckett sta dedicando il suo tempo libero a
prendersi cura di lui, gli ha preparato una spremuta
d’arancia e adesso sta
facendo il brodo di pollo. Che meraviglia essere malati…
Nota
dell’autrice
Il
ruolo della crocerossina va affrontato con serietà e il
detective Beckett non
si tira certo indietro: eccola intenta a preparare spremute e brodi.
Del resto,
lo ha detto anche ad Alexis: vuole prendersi cura di Rick.
Perché è il suo
partner, naturalmente. Quale altro motivo potrebbe spingerla a
occuparsi di
lui?!?!?
La
prossima settimana scopriremo cosa succederà durante la
notte… che Kate metta
in pratica la cura Parish?
Grazie
per l’affetto con cui avete accolto la storia!
Un
abbraccio,
Deb
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 - You're not alone in this ***
Capitolo 3 – You’re
not alone in this
Con
un paio di minacce ben formulate e supportate dalle
occhiatacce alla Beckett, quelle che sarebbero in grado di incenerire
anche un
ghiacciaio eterno, Kate costringe Rick ad ingoiare qualche cucchiaiata
di brodo
di pollo e a sgranocchiare un paio di cracker, così da poter
assumere un altro
antipiretico visto che la febbre non vuole dargli tregua.
Quest’influenza
sembra non volerne sapere di lasciarlo in pace. Se continua
così, domani dovrà
rivolgersi al medico curante.
Nel
giro di pochi minuti Castle ronfa di nuovo e Beckett,
dopo aver sistemato la cucina, si ritrova a pensare a come organizzarsi
per la
notte. La camera degli ospiti, così come le stanze di Alexis
e Martha sono al
piano di sopra e teme di essere troppo lontana da lui, tanto da
rischiare di non
sentirlo qualora avesse bisogno di aiuto. Decide pertanto di sistemarsi
sul
divano nel soggiorno. Il loft è caldo e confortevole e le
basterà una coperta
per stare bene.
Si
toglie gli abiti, indossa la sua mise notturna –
quella rassicurante, non certo il completino aggressivo proposto dalla
sua
amica Lanie –, si lega i capelli in una treccia morbida e
dopo aver fatto un
passaggio nel bagno del piano superiore, per non attraversare di nuovo
la
stanza di Rick, si mette comoda sul sofà, si avvolge nel
plaid e accende la tv.
Le è anche venuto in mente di leggere qualcosa, ma la
libreria si trova nello
studio di Castle e le parrebbe di invadere il suo spazio, quindi quel
pensiero
è stato subito accantonato. La fatica della settimana e la
mancanza di
programmi interessanti (ma non c’è mai una
maratona di film? Magari di John
Woo? The bloodier, the better?) la
fanno piombare presto in uno stato di sonnolenza, così che
afferra il
telecomando e spenge il televisore, addormentandosi quasi subito.
Poche
ore più tardi, un mugolio sofferente la sveglia.
E’
un suono appena percettibile, ma il detective Beckett è un
poliziotto: è sempre
in allerta, 24 ore su 24. Aprendo gli occhi, ha bisogno di qualche
secondo per
realizzare dove si trova, però poi riconosce la voce e parte
a razzo, in
direzione della stanza di Rick.
Entra
nella camera e lo vede che si sta agitando: ha la
fronte imperlata di sudore, le mani stringono con forza il lenzuolo,
mentre
gira la testa a destra e a sinistra e ripete frasi sconnesse, di cui
Kate riesce
solo a percepire brandelli: “Io… ho provato a
fermarla… ma non ci sono
riuscito… lo so, l’accordo era chiaro…
niente più indagini… ma no… vi
prego…
non uccidetela… NOOOOO… Kate… Don’t leave me, please. Stay with me. Ok.
Kate, I love you. I
love you Kate.”
Eccole,
quelle parole.
Quelle
parole che la riportano a un momento terribile e
meraviglioso.
Quelle
parole che, paradossalmente, l’hanno spaventata a
morte e le hanno dato la forza di continuare a vivere.
In
questo momento la inchiodano sulla porta, mentre Rick
continua a dimenarsi e a respirare in modo sempre più
affannato, finché Beckett
si scuote dal suo torpore e si avvicina a lui.
“Rick”
prova a chiamarlo, ma dalla gola le esce solo un
flebile sussurro, ancora sconvolta dalla portata di quella
dichiarazione.
Si
siede sul letto e gli afferra le mani, ripetendo il
suo nome: “Rick, you’re
not alone in
this, I’m here. Svegliati…”
Castle
apre gli occhi a fatica e le rivolge uno sguardo
confuso. “Kate? Stai bene?”
“Dovrei
essere io a chiederlo a te, non pensi?” gli domanda,
stupita ancora una volta dal modo in cui lui la mette sempre al primo
posto.
“Perché?”
replica perplesso.
“Castle,
non ero io a lamentarmi. Hai avuto un incubo?”
prova a indagare, ma lo vede assumere subito una posizione di difesa.
“Sssssì”
risponde a fatica.
“Ti
va di parlarne?” gli domanda, accarezzandogli il
volto. Per verificare che la febbre non sia salita troppo. Certo, Kate, continua pure a raccontarti delle balle.
“Magari
un’altra volta… ehy, stai rabbrividendo.
Perché
non entri qui sotto?” la invita, sollevando la coperta. Gesto
di fronte al
quale Kate, invece, solleva un sopracciglio. “Non
fraintendere, Beckett, è solo
che fuori fa freddo e non vorrei che poi ti ammalassi anche tu. Non
riesco a
spiegarmi il motivo ma stranamente non vado a genio al capitano Gates.
E se
dovesse anche rinunciare alla sua migliore detective per colpa mia,
Iron non me
lo perdonerebbe!” Ottimo, Rick,
grande
mossa: mettere di mezzo il suo capo. E’ scritto su tutti i
manuali del
corteggiamento.
Resta
indecisa per qualche secondo, poi fa il giro del
letto e scivola sotto il piumone, tenendosi a debita distanza da
Castle, ma
voltandosi verso di lui. Rick si mette su un fianco e la guarda
intensamente,
per quanto glielo permetta la penombra della stanza, rischiarata solo
dalla
luce proveniente dallo studio.
“Sai
Kate, sei una continua sorpresa.”
Lei
aggrotta la fronte davanti a questa affermazione,
così Rick si affretta ad aggiungere: “Ti stai
occupando di me, mi fai prendere
delle medicine cattivissime e per compensare mi hai persino preparato
uno
squisito brodo di pollo. Te l’ho già detto, ma te
lo ripeto. Penso che non
riuscirò mai a svelare il tuo mistero, a scoprire tutti i so many layers to the Beckett onion”
le sussurra con voce dolce.
“You’re not so bad
yourself, Castle, nemmeno in queste condizioni” gli
risponde sorridendo. “E
adesso perché non provi a dormire? Ti ricordo che hai un
febbrone da cavallo.”
Annuisce
e risponde, con le palpebre già cariche di
sonno: “Until tomorrow, detective
Beckett.”
Until
tomorrow is more hopeful,
le ha detto anni fa, spiegandole il
motivo per cui preferisce quel saluto. Ha sempre adorato la sua
smisurata
fiducia nel futuro, il suo approccio fanciullesco alla vita. Una volta
ce lo
aveva anche lei.
Ma
questo era prima.
Prima
di Johanna.
Prima
del muro.
Anche
se… quel muro si sta sgretolando, giorno dopo
giorno. Grazie proprio all’uomo che sta dormendo accanto a
lei. Un momento, è
nel letto di Castle? E perché non si sente a disagio? Anzi,
perché si sente
sicura, accolta, insomma… a casa? Come se lei appartenesse a
quel luogo e a
quell’uomo? Come se fosse finalmente nel posto giusto e
accanto alla persona
giusta? Troppe domande per quest’ora della notte. Meglio
godersi questa
sensazione confortevole e dormirci su.
Qualche
ora più tardi, quando Kate si sveglia, la prima
cosa che vede sono due occhi sorridenti che la osservano. Da vicino.
Molto
vicino. Eppure le sembrava di essersi addormentata assai più
distante, tanto al
limite da rischiare di ruzzolare giù dal letto. E invece
adesso il suo volto è
a pochi centimetri da quello dello scrittore e la sua mano è
appoggiata sul suo
petto. Un momento, che ci fa la sua mano sul petto di Rick? Non riesce
a
formulare una spiegazione razionale per questo avvicinamento
perché il suo
ragionamento mentale viene interrotto dal proprietario di quelle due
iridi azzurre
che afferma: “Beckett, continuiamo a dormire insieme ma non
facciamo mai sesso.
Dobbiamo rimediare!”
“In your dreams,
Castle. Magari facciamo una cosa a tre come sognavi qualche
tempo fa?”
ormai è talmente abituata alle sue uscite svalvolate che non
le prende nemmeno
più sul serio. Un po’ come si fa con gli
psicopatici, quando li si lascia
blaterare senza interromperli e anzi si dà loro corda
perché alla fine sono
divertenti. Senza considerare che da tempo non riposava così
bene e adesso si
sente piena di energia. Che lo scrittore funga da sonnifero? Meglio non
dirglielo, sarebbe un colpo troppo duro per la sua virilità.
“No,
nei miei sogni siamo solo noi due. Ci svegliamo nudi
e facciamo l’amore. Nel sesso mattutino sono imbattibile!
Oppure alcune volte
sogno che veniamo destati dai nostri figli che saltano sul letto. Tre,
per la
precisione. Non ho ancora pensato ai nomi, ma non mi dispiacerebbe che
uno dei
maschietti si chiamasse Cosmo. E la bambina sicuramente avrà
il nome di tua
madre” dichiara serio.
Di
fronte a queste parole Beckett rimane totalmente senza
fiato e riesce solo a sussurrare: “Rick…”
“Ehy,
è l’influenza. Sto delirando. Non sono in grado di
intendere e di volere, pertanto ciò che dico non
potrà essere usato contro di
me” minimizza Castle.
Kate
si poggia sul gomito, solleva la mano dal suo petto
e gliela pone sulla fronte per verificare se sia ancora caldissima come
la sera
precedente, lasciandola scivolare lungo la sua guancia e indugiando
forse più a
lungo del dovuto.
E’
il suo modo per dirgli grazie.
Grazie
per esserle sempre stato accanto, rispettando i
suoi tempi e i suoi spazi, e regalandole dei momenti di assoluta e
impagabile serenità.
Grazie
per averle permesso di dormire senza incubi e
senza nemmeno ricorrere a qualche medicinale.
Grazie
per essersi gettato su di lei, quel giorno,
rischiando di beccarsi una pallottola al suo posto.
Ma
a parlare non sono mai stati bravi. Nemmeno lui che
con le parole ci lavora. Così si limita a guardarlo dritto
negli occhi per
qualche secondo. Finché, scuotendo la testa, commenta:
“Spiacente, scrittore,
la febbre è passata. Forse hai bisogno di una doccia per
schiarirti le idee e…
frenare i bollenti spiriti?”
“Vieni
con me?” le chiede, con un misto di sfrontatezza,
speranza e dolcezza. Proposta davanti alla quale lei solleva gli occhi
al cielo,
anche se dentro di sé sente l’ennesimo mattone del
muro crollare. Anzi, le pare
quasi di udire il tonfo della terracotta che si sgretola a terra. Ma
non è
ancora completamente pronta a donarsi a lui. Lui si merita una donna
migliore.
Un
momento, precisiamo.
Lui
si merita una versione migliore del detective Beckett,
non qualcun’altra. Non ha alcuna intenzione di farselo
portare via da una
Serena Kaye. O da un’altra musa, stile Sophia Turner, tanto
per citarne due. O
da qualunque altra donna affascinante o semplicemente disposta a farlo
divertire senza drammi.
E’
per questo che sta continuando le sedute con il dottor
Burke. Ed è sempre per questa ragione che non ha interrotto
nemmeno la fisioterapia.
Vuole essere in forma, nel corpo e nello spirito. Per lui e per
sé stessa. Per
loro due, insomma.
“Vediamo
se riesci a stare in piedi da solo, altrimenti
ti preparo un bagno. E ti lascio in ammollo nella vasca mentre mi
dedico alla
colazione, ok?” gli domanda. Naturalmente lui le fa il
broncio per trasmetterle
la sua profonda delusione ma prova ad alzarsi, mettendosi dapprima
seduto sul
letto e poi cercando di assumere la posizione verticale, con
l’aiuto di Kate
che si è precipitata al suo fianco, pronta a sorreggerlo.
Gli gira un po’ la
testa, ma tutto sommato non sta male. Anzi, rispetto a due giorni
prima, gli
pare di essere fresco come una rosa. Sì, la detective
Beckett ha delle indubbie
qualità taumaturgiche. Dovrà inserire una scena
simile anche nel prossimo
romanzo di Nikki Heat. Con un risvolto assai più piccante, that goes without saying. Il pensiero gli
fa comparire un sorrisino
malizioso sul volto. Rassicura Kate sulle sue condizioni e si avvia
verso la
doccia.
Lei
invece si reca in cucina, con la ferma intenzione di
preparargli una colazione sostanziosa. Mentre sta armeggiando con lo
spremiagrumi e le padelle, lo sente canticchiare. Drizza le orecchie,
cercando
di riconoscere la melodia e sorride: Frank Sinatra,
“I’ve got you under my skin”.
Solo ora si accorge di quanto quel testo rispecchi la sua vita:
I said to myself: this affair never will go so
well.
But why should I try to resist when, baby,
I know so well I’ve got you under my
skin?
Ha
provato a resistergli, Dio solo sa con quale cocciuta tenacia
si sia impegnata a negare di provare un sentimento profondo per lui, ma
ormai
lui le è entrato nel cuore, è diventato una parte
di lei.
A
sua volta, sotto la doccia, mentre canta la strofa
centrale, Rick ripensa al suo legame con Kate e a quel patto che ha
stipulato
con Smith:
I’d sacrifice anything come what might
For the sake of havin’ you near
In spite of a warnin’ voice that
comes in the night
And repeats, repeats in my ear:
Don’t you know, little fool, you
never can win?
Già,
nell’incubo che ha avuto la notte precedente, un
sogno terribile che gli ha avvelenato il sonno più di una
volta negli ultimi
mesi, quella voce nell’oscurità gli ha ribadito
che non ha vinto. Non vince mai.
Anche stanotte non è riuscito a salvarla
dall’ennesimo cecchino. E ancora una
volta, in punto di morte, le ha ripetuto quanto la amasse.
Un
momento, stanotte c’era anche lei quando si è
svegliato.
Chiude
il rubinetto della doccia e si rende conto che questa
volta deve averlo sentito.
E
non può averlo dimenticato.
Questa
volta non c’è stato alcun evento traumatico che
possa giustificare l’amnesia. Allora perché non
gli ha detto niente? Forse
perché non ricambia i suoi sentimenti? Eppure eccola qui che
ha rinunciato al
suo tempo libero per curarlo. Benedetta donna, è the most challenging, maddening, frustrating person
che abbia mai
incontrato! Si avvolge nell’accappatoio e guardando la
propria immagine nello
specchio, offuscata dall’alone del vapore, si dice:
“A noi due, detective
Beckett: è il momento della verità.”
Nota
dell’autrice
Un
incubo nel cuore della notte fa sentire di nuovo a Kate quella
straziante
dichiarazione d’amore, mentre Rick, dopo un piacevole
risveglio in compagnia
della sua musa, si rende conto che questa volta non può non
aver udito le sue
parole.
Ahi
ahi ahi, è giunto il momento della verità!
Grazie
per aver letto anche questo e a giovedì prossimo per la resa
dei conti!
Deb
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 - Always ***
Capitolo
4 – Always
Lo
vede arrivare in cucina coperto solo dall’accappatoio,
con i capelli ancora bagnati e sparati in tutte le direzioni. Un filo
di barba
gli tinge le guance e gli conferisce un’aria ancora
più affascinante, tipo
bello e dannato. In una parola: irresistibile. La prima reazione di
Kate,
infatti, sarebbe quella di andargli incontro, passargli la mano fra i
capelli,
tentando inutilmente di dare una forma a quel ciuffo ribelle, e baciare
quel
triangolo di pelle del petto lasciata scoperta. E’ un
pensiero così inebriante
che non riesce a trattenersi dal mordersi il labbro inferiore. Ma
mentre è
ancora intenta nel godersi quella visione, il suo sguardo viene
attirato dalla
determinazione che gli legge negli occhi.
“Mi
hai sentito, vero?” le chiede.
In
tutta risposta Beckett aggrotta la fronte: non può
certo riferirsi alla sua interpretazione di Sinatra. Non ci sarebbe
certo da
vergognarsi, sia perché ha una splendida voce baritonale,
sia perché lei per
prima si diverte a canticchiare sotto la doccia. Anche a ballare, se
è per
questo: ha persino inventato una shower
routine, nella quale potrebbe inserire qualche passo a due,
magari fra le
braccia di uno scrittore, possibilmente di gialli. Però lui
aggiunge: “Stanotte,
quando sei venuta in camera mia… quando ho avuto
l’incubo.”
Kate
abbassa la testa e fa un sospiro profondo,
scacciando l’immagine sensuale di loro due che danzano nudi.
Prima o poi quel
momento sarebbe arrivato, lo sa bene. Ma non è sicura di
essere abbastanza
forte per affrontare la portata e l’intensità di
quel sentimento. Né ha idea di
come spiegargli il fatto di saperlo da sempre e di avergli mentito al
riguardo.
Poi
solleva di nuovo gli occhi e annuisce, regalandogli
un sorriso timido. “Sì, ti ho sentito. Eri
così disperato, Rick… io… mi
dispiace…”
“Ti
dispiace perché ti ho detto che ti amo?” ora
è il suo
turno di aggrottare la fronte, perplesso.
“No,
no, anzi, quello è stato bellissimo… mi dispiace
perché stavi soffrendo. Io… non vorrei mai che tu
stessi male. Mai. Tanto meno
per causa mia.”
Con
pochi passi Castle si trova davanti a Kate. Le
accarezza il volto con un tocco leggero, assaporandone ogni singolo
centimetro,
quasi volesse imprimere l’immagine della donna sulle proprie
dita, e lei si
appoggia a quella mano, grande e calda, chiudendo gli occhi e godendo
la
sensazione di pace che quel gesto le trasmette.
“Io…
ti avevo sentito anche allora, Rick. Ma ho avuto
paura” confessa a bassa voce, quasi sussurrando.
“Paura?
Perché non provi lo stesso per me?” indaga,
terrorizzato
dall’idea di poter ricevere una risposta affermativa.
Ma
lei abbassa lo sguardo e scuote la testa. Poi posa la
guancia sul petto dell’uomo e gli cinge la vita, chiudendo
gli occhi e
affidandosi a lui. E’ già successo in passato,
più di una volta: quando si sono
scambiati un abbraccio sudato dopo aver scavato in un cimitero alla
ricerca di
un tesoro sepolto, quando hanno salvato New York dallo scoppio di una
bomba
sporca, quando sono rimasti in quella cella frigorifera, rischiando di die frozen in each other’s arms.
E tutte
le volte che hanno ballato insieme, con o senza la scusa di essere
sotto
copertura. E al matrimonio di Kevin e Jenny, Richard era
così elegante… E come
dimenticare che si sono persino baciati in quel vicolo? Per ben due
volte! That was amazing! Eppure mai
come in
questo istante Beckett sente le farfalle nello stomaco al solo stare
fra le
braccia dello scrittore, che l’hanno immediatamente avvolta,
stringendola forte
a sé quasi temesse di vederla sparire
all’improvviso. Certo, a Rick piacerebbe sentirle
pronunciare quelle stesse parole, ma al momento è
più che felice di starsene
così, in piedi nella sua cucina, avvinghiato alla sua Kate.
E chi se ne frega
se così facendo rischia di far salire di nuovo la febbre.
A
questo punto, però, sta a lui essere sincero. Si
scioglie dall’abbraccio, la bacia sulla fronte, la prende per
mano e la conduce
al divano. “Devo confessarti una cosa. Sappi che
l’ho fatto perché volevo… voglio proteggerti. Perché non
riesco a
immaginare la mia vita senza di te. Perché quando penso a
chi mi riempie sempre
il cuore di gioia quando mi chiama al telefono, fosse anche per
convocarmi su
una scena del crimine quando fuori ci sono venti gradi sotto zero, vedo
il tuo
viso. Perché quando penso a chi vorrei accanto nei momenti
di felicità, di solitudine
o di dolore, vedo il tuo viso. Perché quando penso al mio
futuro vedo solo te,
Kate.”
Nonostante
la splendida dichiarazione, l’istinto
poliziesco di Beckett entra in allerta. Il tono accorato usato
dall’uomo,
infatti, grida a gran voce che sotto c’è
qualcos’altro. “Cosa hai fatto,
Castle?”
“Qualche
mese dopo il funerale di Montgomery io…. Ecco…
ho ricevuto una telefonata. Da un certo Smith che conosceva bene Roy.
Insomma…
mi ha detto che c’era un unico modo per salvarti la vita:
dovevo impedirti di
continuare a investigare su chi aveva ucciso tua madre. E io ci ho
provato, lo
faccio da tempo. Perché se non smetti di smuovere le acque
loro ti uccideranno,
Kate. Before Montgomery went into that hangar, he
sent a
package to someone, someone…he trusted. It contained
information damaging to
the person behind all this. Montgomery was trying to protect you. But
the
package didn’t arrive until after you’d been shot.
Montgomery’s friend…struck a
deal with them. If they left you alone, the package and the information
inside
would never see the light of day. But they made one condition
— you had to back
off. And that’s the reason you’re alive, Kate,
because you stopped.” Dice
tutto d’un fiato, come se temesse che,
fermandosi, non sarebbe riuscito ad arrivare fino in fondo.
Per
alcuni secondi Kate continua ad osservarlo incredula,
senza parlare, mentre le guance le si imporporano e gli occhi le si
riempiono
di lacrime di rabbia. Poi
sbotta, con voce tremante: “Castle,
you
cut a deal for my life like I was some kind of a child. My
life. Mine. You don’t get to decide.
Tu
non hai nessun diritto. Nessuno. Mi hai mentito sulla cosa che per me
contava
più di tutto! Per tutto questo tempo! Come hai potuto? Dimmi
almeno dove lo
trovo.”
E’
come se il mondo le fosse crollato addosso, come se
non avesse più punti fermi nella sua vita, nessuna Stella
Polare cui affidarsi per
trovare la rotta nell’oscurità della sua
esistenza.
“He’s
a voice on the phone, a shadow on a parking garage”
sussurra
sconfitto.
“Lo
hai persino incontrato?” non riesce a credere alle
sue parole.
“Sì.
Ma Kate, ti prego, ascoltami. Non ti voglio perdere.
Permettimi almeno di aiutarti” le dice con voce implorante.
“Io…
tutto questo è troppo per me” si alza dal divano e
si avvia al piano di sopra, rinchiudendosi nel bagno.
Si
ritrova da solo, in un loft paurosamente vuoto e
silenzioso. Il calore che gli aveva inondato il cuore mentre stringeva
Kate fra
le braccia lo ha abbandonato, lasciandogli una sensazione di gelo
nell’animo. Un
freddo che supera di gran lunga quello provato poche sere fa quando si
è
trovato senza sciarpa e guanti in mezzo alla neve. Teme di averla
perduta per
sempre proprio adesso che lei gli aveva dato una
possibilità. Si passa le mani
sul viso, più volte, come se volesse scacciare il dolore che
percepisce.
Dolore
e senso di impotenza.
Farebbe
qualsiasi cosa per proteggerla. Darebbe la sua
vita per lei. Ed è per questo motivo che non si è
tirato indietro quando quei
tipi misteriosi lo hanno convocato in quel garage. Sarebbe sceso
all’inferno e
avrebbe fatto anche un patto con il diavolo se fosse servito per
garantire la
vita della sua Kate.
Quello
che non è riuscito a dirle è che ha continuato a
investigare per conto proprio perché lui per primo vuole
rendere giustizia a
Johanna. Gli sarebbe piaciuto conoscerla: doveva essere una donna
straordinaria,
proprio come sua figlia. E’ sicuro che sarebbero andati
d’accordo.
Di
Jim, invece, ha un po’ paura.
Stronzate.
Si
sente un vero fallito nei suoi confronti. L’avvocato
Beckett gli aveva chiesto di proteggere la sua bambina e il risultato
è che le
hanno sparato in pieno petto, a un soffio dal cuore. Senza considerare
quella
patetica scena all’ospedale, quando si è azzuffato
con Josh come se fossero due
balordi adolescenti, mentre Kate stava lottando fra la vita e la morte
in sala
operatoria. Come potrebbe volerlo accanto alla sua Katie? Al posto suo,
non
vorrebbe certo che Alexis frequentasse un tipo del genere. Ma
è una domanda inutile.
L’ha persa ancora prima di averla avuta.
Poggia
la nuca sulla spalliera del divano e fissa il
soffitto del loft, come se da lì potesse arrivare la
risposta salvifica ai suoi
dubbi e alle sue angosce.
Nel
frattempo, qualche metro più su, Kate si è seduta
per
terra, appoggiando la schiena alla vasca da bagno, raccogliendo le
gambe al
petto e prendendosi la testa fra le mani. Percepisce il gelo delle
piastrelle
attraverso il tessuto leggero dei leggings e della maglietta. E dei
calzettoni,
visto che non ha pensato di infilarsi le ciabatte. Ma non le importa,
è come se
i suoi sensi fossero anestetizzati.
Si
sente tradita.
Colpita
alle spalle dall’uomo che le ha detto di amarla e
per il quale ha rimesso insieme i pezzi della sua mente e del suo
cuore.
Dall’uomo per il quale si sta sbarazzando di quel muro. Un
uomo che ha reso il
suo duro lavoro un po’ più divertente. Un uomo che
le ha permesso di compiere degli
insperati passi da gigante nelle indagini per scovare il bastardo che
ha
pugnalato a morte sua madre. Che non ha esitato né a
metterle a disposizione i propri
soldi per comprare delle informazioni né tantomeno a
gettarsi su di lei quel
giorno al cimitero, rischiando la sua stessa vita. Ma le ha tenuto
nascosto una
pista fondamentale.
Kate
ha dedicato ogni momento libero a rileggere gli
appunti degli agenti che hanno investigato sull’assassinio di
Johanna, a
partire da quel sabato 9 gennaio 1999. Ha ricreato la sua personale
lavagna
sulle persiane di casa, annotando dettagli, informazioni, deduzioni.
E
ora potrebbe dare un senso a tutta quella frenesia
morbosa, potrebbe rendere giustizia a sua madre. Forse sarebbe
già stata in
grado di farlo se solo Rick non le avesse mentito.
Le
ha detto di averlo fatto per proteggerla. Ma lei non
ha bisogno di protezione. Diamine, è il detective Katherine
Beckett della
sezione omicidi del NYPD! Ha una pistola e sa bene come usarla. Senza
che
qualcuno si erga a sua guardia del corpo.
Ma
le ha anche detto di amarla e di immaginare i loro
figli. Oddio, sul nome Cosmo nutre qualche perplessità, ma
il pensiero di una
bambina chiamata Johanna le inonda il cuore di gioia. Gli ha sentito
ripetere la
sua disperata dichiarazione d’amore giusto poche ore prima.
Ma con i fatti
glielo sta dimostrando da sempre. Più o meno dal loro primo
incontro. Ed è
inutile che continui a raccontare delle balle a sé stessa:
anche lei lo ama.
Come non ha mai amato nessuno. Né Sorenson, né
Demming, né tantomeno il dottor
Davidson. Will e Josh in realtà erano la sua versione
maschile: completamente
concentrati sulla propria carriera, tanto da mettere il lavoro sempre
al primo
posto a scapito della vita sentimentale. Entrambe le storie erano
destinate a
finire, di questo è consapevole. Tom, invece, è
un bravo ragazzo ed è convinta
che alla fine, nonostante sia lui che Castle si siano comportati come
capibranco
pronti a marcare il proprio territorio quando hanno collaborato allo
stesso
caso, potrebbe persino diventare amico di Rick. Anzi, magari potrebbero
anche
fare un’uscita a quattro. Ha saputo che Demming frequenta una
vice detective da
qualche tempo ed è sinceramente contenta per lui.
No,
un momento, ma che le viene in mente? Lei è furiosa
con Castle, non deve pensare ad andare a cena con lui e con
un’altra coppia. Meglio
tornare a concentrarsi sulle cose serie.
Sua
madre.
Johanna
vorrebbe che lei fosse felice, di questo è più
che sicura.
Prende
un respiro profondo e si ritrova inspiegabilmente a
sorridere. A sua madre Rick sarebbe piaciuto. Anzi, lo avrebbe adorato.
Senza
ombra di dubbio. E’ un uomo buono, sempre pronto ad aiutare
gli altri e a
rendere la vita di tutti più leggera. Ha anche voluto
istituire una borsa di
studio per onorare la memoria di Johanna Beckett, coinvolgendo tutti i
suoi
amici ricchi e famosi per raccogliere fondi. Del resto, è
stato proprio lui a
dirle che money doesn’t change who
you
are. It just magnifies your personality. E la sua
è una personalità altruista.
Un po’ folle, molto sopra le righe, ma ha un cuore grande
come una casa. Si
asciuga velocemente gli occhi dalle lacrime che non è
riuscita a trattenere,
poi stringe i pugni e si solleva da terra.
Ha
preso la sua decisione.
Ha
capito cosa vuole.
Con
la coda dell’occhio, Rick la vede scendere dalle
scale, con un passo risoluto. Gira la testa e incontra il suo sguardo.
Intenso,
fiero. Una delle prime cose che lo hanno affascinato di lei.
Stronzate.
La
prima cosa che lo ha colpito sono le sue labbra e quel
profumo di ciliegie che gli ha inebriato i sensi. Senza considerare il
suo lato
B, che è proprio da urlo, specialmente quando indossa quei
jeans attillati che
le accarezzano le forme. Poi, quando ha imparato a conoscerla, ha
capito che
ciò che c’era dentro il detective Beckett era
addirittura più bello di quello
che il suo esterno mostrava. E, intendiamoci, il fisico di Kate
è
stratosferico. Si ricorda ancora quando l’ha vista in bikini
a Los Angeles,
quando riemergeva dalla piscina come una novella Venere di Botticelli.
Uno
schianto. Tanto che ha rischiato di strozzarsi con quel drink che stava
sorseggiando
per non dare nell’occhio.
Si
alza dal divano ed è quasi spaventato dalla
determinazione che emana quella donna. “Beckett, what do you want?” le domanda,
quando la vede avvicinarsi a lui.
“Stai
fermo un secondo” gli ordina con quel tono
autoritario che ha sempre trovato estremamente sexy. E poi le labbra di
Kate si
avventano sulle sue e lui non capisce più nulla.
E’ come se fosse stato
travolto da uno tsunami, scatenato dal mare che si fonde con il
sottobosco*. Il
suo cervello va in totale blackout e lascia spazio solo agli istinti.
Alla
sensazione del corpo di lei incollato al suo, in un
incastro perfetto.
Delle
loro lingue che danzano come se non avessero fatto
altro in tutta la loro vita.
Delle
mani che scoprono pelle e incendiano sensi.
Ma,
anche se i suoi ormoni gli direbbero di salutare il
mondo e rotolarsi sul divano con quella donna meravigliosa, ha bisogno
di
capire. Con l’ultimo barlume di forza di volontà
che gli è rimasto si stacca da
lei e la allontana da sé, chiedendole: “What
happened?”
“Voglio
mettere questa storia da parte e concentrarmi
sulla mia vita. Ho capito che mi merito di essere felice e so che solo
accanto
a te ho l’occasione di esserlo” gli spiega con un
sorriso commosso e
accarezzandogli il volto, questa volta senza raccontarsi la balla del
volergli
misurare la febbre. “E poi so che potrò sempre
contare sul mio partner per trovare
chi ha ucciso mia madre. Vero?” gli domanda speranzosa.
“Always” le
risponde deciso. Di poche cose è sicuro, ma sa per certo che
lui per lei ci
sarà. Sempre.
Nota
dell’autrice
Cala
il sipario sui tontoloni, che finalmente si sono chiariti e possono
dare… il
via alle danze. E, prendendo in prestito la dedica che
arriverà qualche tempo
dopo con “Deadly Heat”, ciò che gli
auguriamo è may the dance never end and the
music never stop!
Grazie
a tutti voi per avermi fatto compagnia in queste settimane.
Grazie
a chi ha messo la storia nelle seguite e nelle preferite.
Grazie
a chi ha letto in silenzio e a chi mi ha regalato queste splendide
recensioni,
facendo il conto alla rovescia per arrivare al giovedì.
E
grazie come sempre al mio angelo custode che trova sempre il tempo per
me e per
le sciocchezzuole che scrivo nonostante i suoi mille impegni
professionali e
familiari. *Il riferimento a thatswhatfriendsarefor non è
casuale ;-)
Un
abbraccio a tutti,
Deb
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