Ib - la volontà di guertena di Kaleido_illusion (/viewuser.php?uid=855853)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prelude ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 1 *** Prelude ***
°°
Prelude °°
I
pittori si sa, mettono nelle loro opere,
mescolati a i colori e alle sfumature, tutti i loro sentimenti, le loro
impressioni ed i loro desideri più nascosti. Lo stesso era
toccato a Weiss
Guertena, uno tra i più visionari e geniali artisti di tutti
i tempi. Nato e
cresciuto in un piccolo paese sperduto del nord, aveva iniziato sin da
piccolo
a coltivare l’amore per l’arte, facendolo diventare
ben presto un lavoro a
tempo pieno e successivamente l’unico scopo della sua
esistenza. Passava ore,
giorni, a volte mesi quando dipingeva quadri più complessi e
dalle dimensioni
assurde, senza staccare un attimo il pennello dalla tela, imprimendo
tutto sé
stesso nei colori e soggetti. Ma la pittura non era il suo unico campo,
si
destreggiava anche nella scultura e installazioni più
moderne e di difficile
comprensione. Creava di tutto, anche su commissione, e ben presto
passò il
tempo e la sua giovinezza venne perduta. Si accorse troppo tardi di
aver donato
la sua essenza a qualcosa di artificiale e inanimato, perdendo per
sempre
l’occasione di costruirsi una famiglia, ma non
perché non fosse piacente, anzi
i suoi capelli biondo platino e gli occhi azzurri come laghi di
montagna lo
facevano assomigliare ad un arcangelo, ma il colorito grigiastro ed il
viso
smunto per le troppe volte di digiuno, l’avevano messo in
cattiva luce con
l’altro sesso. Inoltre le donne non vedevano di buon occhio
la sua ossessione
per la pittura ed i suoi ritiri forzati nello studio, degni di un
monaco di
clausura. Non si fece scoraggiare, usò la sua arte per
crearsi un mondo che
l’avrebbe accettato con tutti i suoi difetti e ossessioni. Fu
l’impresa di una
vita, in tutti i sensi. Prima si costruì una schiera di
donne bellissime dai
lunghi capelli ed avvolte in sontuosi abiti, che gli ammiccavano dalle
pose
ispirate alla “ Monnalisa”, poi una serie di quadri
minori, fino alla statue di
persone senza volto e nome. Ma ancora non bastava, gli mancava la cosa
fondamentale: un erede. La questione era assai tormentosa e snervante.
Era
sempre in dubbio e non sapeva decidersi
su domande basilari. Sarebbe stato un maschio o una femmina? gli doveva
somigliare? Quale sarebbe stato il suo nome?
Passò mesi a scervellarsi su queste domande
e mille altre di carattere tecnico, come la luce i colori, il vestiario
e
altro… finché un giorno,
l’illuminazione venne da sola e guidò le sue mani
esperte e segnate da anni di conoscenze con acidi e solventi. La
dipinse un bel
giorno di primavera, sotto un albero frondoso del giardino sul retro
dove vi
era un cespuglio di rose gialle come limoni, mentre il vento faceva
ballare i
fiori appena sbocciati in un lento e dolce valzer.
“ Un momento perfetto per creare” pensò
commosso.
Rimase seduto al suo posto senza mangiare
né bere fin tanto che l’opera non fu finita nella
tarda serata; solo allora
smontò tutto e rientrò in casa sfinito ma
orgoglioso della sua creatura. Non
avrebbe potuto essere più perfetta di così ed era
la sua gioia e fonte di
ritrovata contentezza. Da allora i poi non se ne separò mai,
la portava
ovunque, e quando i suoi viaggi glielo impedivano era come se gli
strappassero un
pezzo della sua voglia
di vivere. Tuttavia tornava sempre da lei, profondendosi di scuse e
lacrime per
averla abbandonata, portandole sempre dei regali per farsi perdonare.
Ora erano
un blocco da disegno, ora una bambola di pezza, altre dei pastelli che
deponeva
accuratamente davanti al quadro. In questo periodo la sua arte,
definita poi
del tardo Guertena, fu la più prolifica ed ispirata.
Purtroppo tutte le cose
arrivano ad una fine ed anche i momenti felici svanirono,
perché Guertena
agognava sempre di più quel contatto figliale che la tela
non poteva dargli.
Allora cercò in lungo ed in largo un metodo per portare alla
vita quello che era
inanimato. Si rivolse a chiunque avesse esperienza e conoscenze di arti
magiche,
ma a nulla valsero i suoi sforzi e dovette tornare a casa,
più disperato di
prima e con i primi segni di una malattia incurabile.
Sembrava che ormai tutte le speranze lo
avessero abbandonato, quando una lettera allegata ad un pacchetto
avvolto in
carta di giornale, gli arrivò da un corriere che
sparì come era venuto. La
semplice busta conteneva un bigliettino con poche frasi.
Caro
Weiss,
mi
è giunta voce della tua ricerca infruttuosa e di quanto
questo ti affligga.
Perciò sentendomi vicino alla tua causa, ho deciso di
condividere con te il mio
più prezioso segreto. Ti invio insieme a questa missiva un
vasetto il cui
contenuto dovrai spalmare su ciò che ti è caro.
Prima però dovrai creare
un’opera, una veduta di un mondo, fatto a posta per gli
abitanti che vorrai
farci vivere ed attraverso di esso potrai incontrarli. Ma ricorda il
risultato
di tutto dipenderà da cosa esprimerai nel tuo capolavoro.
Confido
in te,
con
affetto, un caro amico.
La
gioia che provò Guertena fu
indescrivibile, sembrava che per la ritrovata speranza il cuore potesse
esplodergli
dal petto. Non si chiese mai chi era il benefattore, né come
facesse a
conoscerlo o ad averlo trovato, non gli importava nemmeno.
Ringraziò a squarcia
gola il misterioso mittente e si fiondò subito nel suo nuovo
obbiettivo.
Ordinò una tele di dimensioni mai viste e
si mise all’opera. A parte il ritardo nella consegna, nulla
avrebbe più fermato
la sua foga, nemmeno i pochi amici rimastigli e che da tempo gli
rimproveravano
la trascuratezza e l’abbandono in cui viveva.
La
terminò con l’ultimo briciolo delle sue forze e
riuscì ad applicare il liquido
trasparente che aveva ricevuto in dono, quando purtroppo la malattia lo
stritolò tra le sue grinfie affilate e implacabili. Era
davvero frustrante per
l’autore, proprio ora che il suo desiderio stava per essere
esaudito, perché il
male che lo colpiva lo costringeva a letto, tenendolo lontano dai suoi
amatissimi quadri, e soprattutto dal suo prediletto.
<< Adesso come farò a venire da
voi?!?>>
si chiedeva l’uomo in ogni istante di lucidità che
si accendeva in lui tra un
eccesso di febbre e l’altro. A
Guertena sembrava che ogni qual volta
ponesse nuovamente la domanda, il suo beneamato quadro, sembrasse un
pochino
più triste ed a quel faccino non poteva trattenersi dal
promettergli che un
giorno l’avrebbe raggiunto. Cercò in tutti i modi
di raggiungere la tela
principale nascosta nello studio al piano di sotto, tuttavia le
infermiere che
l’assistevano, inviate dal comune, lo riportavano prontamente
a letto.
Alla fine, tra sforzi andati a vuoto e la
disperazione più nera, arrivò il suo ultimo
giorno in questo mondo e con le
ultime forze che gli restavano, espresse un unico ed intenso desiderio,
ovvero
che le sue opere potessero trovare qualcuno che le avrebbe conosciute
ed amate
come aveva fatto lui con ogni pennellata che le aveva dato vita, e
avrebbe
varcato quel confine che a lui era stato negato. Quel
desiderio riuscì a raggiungere le sue
creature che gli promisero di mantenere la sua volontà,
aspettando la sua
venuto o padroni idonei.
Una volta spirato la casa del pittore venne
chiusa e venduta all’asta con tutte i quadri che racchiudeva
e solo dopo anni
quando un maniate amante dell’arte comprò il
podere, venne riportata alla luce
la preziosa collezione. L’uomo, riconoscendo il genio dietro
a quelle
pennellate esperte, forgiate da mille e passa opere, decise di mostrare
al
mondo quelle meraviglie tanto a lungo custodite nell’ombra,
organizzando mostre
e gallerie in onore del grande maestro Guertena.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
°
L’Eredità del Pittore°
Atto.1
“Nel
primo pomeriggio, sotto un cielo
grigio…
Ib ed i suoi genitori si
dirigevano verso una
galleria d’arte…”
Nel
primo pomeriggio, sotto un cielo grigio
piombo e coperto di nuvoloni scuri, Ib ed i suoi genitori si dirigevano
verso
una galleria d’arte. La macchina si faceva largo a fatica tra
il traffico
cittadino, già congestionato dalle numerose macchine in fuga
dalla pioggia imminente.
C’era troppa gente in giro, per essere una domenica di fine
Ottobre e forse, proprio
come loro, avevano deciso di godere di quella mite giornata autunnale
per
mettere un po’ il naso fuori dalla porta e prendere
l’ultima boccata d’aria,
prima di ammuffire in casa a causa del rigido clima predetto da
lì a pochi
giorni.
“ Tutta queste macchine… che vadano a
vedere la mostra? ” si ritrovò a pensare Ib,
osservando i pochi e temerari
pedoni che sfilavano sul marciapiede oltre il suo riflesso annoiato nel
finestrino. Il suo umore era di certo opposto al loro che, intenti ad
avvolgersi nei loro impermeabili scuri, erano di sicuro felici di
immaginarsi
già al riparo nelle loro case a svagarsi con hobby e
passatempi. Lei invece
poteva figurarsi solo di vedersi rinchiusa in una galleria a visitare
una
mostra che la lasciava indifferente. Tra l’altro, per
l’occasione, sua madre l’aveva
vivamente invitata a vestirsi in modo elegante, “come una
signorina di società ”
aveva detto; perciò si era vista costretta ad infilarsi i
primi vestiti più
“eleganti” che aveva trovato e con cui si sarebbe
sentita più o meno a suo
agio. Indossava perciò una camicetta bianca con un vistoso
foulard a voillant scarlatto
al collo, aggiunto da sua madre, come
esigeva l’alta moda. Abbinata ad una gonna corta a pieghe
coordinata, perciò
rosso vermiglio, delle parigine nere al ginocchio (tanto per spezzare
la
monotonia cromatica) e delle polacchine porpora che ne avevano viste di
tutti i
colori, ma ancora estremamente comode. Per fortuna il genitore non
aveva avuto
nessuna pretesa sull’acconciatura e si era limitata ad
affermare che i sui
lunghi e lisci capelli castani potevano andare bene anche
così. Eppure,
pensandoci a
posteriori, abbigliata a
quel modo assomigliava più ad uno dei dipinti che stava per
ammirare, che ad
una semplice visitatrice. Poco male, ormai non poteva farci
più nulla.
Suo padre invece era riuscito a scampare
alle pretese della coniuge. Aveva semplicemente riesumato un vecchio
completo blu
scuro, usato forse ad un matrimonio chi sa quanto tempo fa, abbinato
con una
bella cravatta celeste sulla camicia bianca. La mamma aveva messo tutto
il suo
impegno per prepararsi, mettendo il suo miglior tailleur, quello di
seta rossa
scura, sopra una camicia e collant neri, insieme alle inseparabili
scarpe con
il tacco, anch’esse nere. Inutile dire che era appassionata
di pittura e appena
ne aveva l’occasione, trascinava il marito a tutte le mostre
in programma in
città e provincia, e per questo ci teneva in particolar modo
a fare bella
presenza. Ad Ib era toccata soltanto una volta partecipare ad una di
queste
uscite, soltanto che si trattò di una pinacoteca, per tanto
era la prima volta
che metteva piede in una galleria d’arte.
La macchina si arrestò nel parcheggio di
proprietà della galleria.
<< Ib, tesoro! Ib! Tua madre ti sta
parlando>> la richiamò il padre dal mondo dei
suoi pensieri.
<< Che c’è mamma?>>
<< Ti sei ricordata tutto Ib? Oh! Hai
il tuo fazzoletto? Ricordi, quello del tuo compleanno. Tienilo al
sicuro nella tasca,
ok? Non perderlo!>>
<< Sì, mamma>> rispose lei
accondiscendente,
ed istintivamente infilò una mano in tasca per controllare
di averlo
effettivamente preso dalla scrivania prima di uscire. Sentì
sotto i
polpastrelli la familiare sensazione rugosa del pizzo, seguita dal
quadrato
liscio di seta. Si trattava di un costosissimo fazzoletto di stoffa
candida ornata
di pizzo e con sopra ricamate le sue iniziali in caratteri tutti
svolazzi e
ghirigori. L’aveva ricevuto in dono per il suo nono
compleanno. Anche allora le
era sembrato strano come presente, tuttavia non aveva fatto commenti,
accettando di buon grado il suo morbido tocco. L’impressione
che ebbe quando lo
strinse per la prima volta tra le mani, fu di accarezzare un fiore,
seppure
artificiale. Infatti il pizzo le ricordava le foglie intorno alla
corolla,
mentre il tessuto erano i petali, lisci e setosi, ed i ricami
rappresentavano i
pistilli e i sepali.
“ Chissà perché tiene tanto a questo
fazzoletto?!
Ogni volta che usciamo non fa che ricordarmelo”. Poteva darsi
che si
preoccupasse del valore dell’oggetto poiché
l’aveva pagato un po’, e questo Ib,
poteva anche capirlo, ma addirittura doverselo portare ovunque, le
sembrava
leggermente eccessivo. Comunque per evitare questioni inutili era
diventato
quasi meccanico riporlo in una delle tasche degli abiti che indossava.
Presero i cappotti dal sedile posteriore e
si incamminarono verso l’ingresso principale, sotto un cielo
ancora più scuro e
minaccioso. L’edificio era un anonimo stabilimento dalle
pareti grigiastre e
dello stesso stile architettonico delle case del circondario, con
l’unica
eccezione della coppia di colonne ad incorniciare le finestre.
Perciò ad un
primo sguardo, nessuno avrebbe intuito che si trattasse di un luogo per
esposizioni; se non fosse che, ai lati della porta, erano appesi due
enormi
manifesti con l’ingrandimento dell’opera principale
di Guertena: una rana
pescatrice su sfondo blu notte. Si precipitarono verso le ante della
porta
scorrevole che si aprirono automaticamente al loro passaggio, per
evitare le
prime lacrime rabbiose del temporale ed i suoi portentosi ruggiti.
<< Appena in tempo!>> disse la
madre, sistemandosi il fermaglio che raccoglieva in cima alla testa i
cappelli dalle
stesse sfumature rossicce di quelli della figlia. << Beh!
siamo arrivati.
Questa è la prima volta che vieni in una galleria
d’arte, vero Ib? Siamo qui
oggi per vedere una mostra delle opere fatte dall’artista
Guertena. E non ci
sono solamente quadri, ma anche sculture e tanti altri tipi di
creazioni! Non
dubito che anche a te piacerà un sacco>>
proseguì elettrizzata.
<< Andiamo al banco della
reception?>> annunciò gioviale il padre,
vedendo la moglie di buon umore.
<< Ah, sì! Prendiamo anche qualche
opuscolo>>
Ad accoglierli dietro al banco in legno
chiaro, c’era un uomo, sulla sessantina e a cui il tempo
aveva donato una
candida chioma e baffi voluminosi, vestito di scuro.
<< Benvenuti signori, lasciate pure
qui le vostre giacche. Penseremo noi a sistemarle nel
guardaroba>> disse
con distaccata gentilezza, come se si fosse calato troppo nella parte
del
maggiordomo, a cui effettivamente assomigliava.
<< Che gentile! Senta, potremmo
prendere un paio di volantini?>> chiese la donna.
<< Ma certo, uno anche a lei
signorina. La mostra incentiva i giovani a farsi un’idea
critica e autonoma
dell’arte>> disse il signore rivolto a Ib,
sfoggiando un enigmatico
sorriso affilato.
La ragazzina soppesò seriamente le sue parole;
in effetti avrebbe preferito girovagare da sola e, se proprio doveva
ammirare i
quadri, almeno l’avrebbe fatto con i suoi tempi e a modo suo,
senza dover
arrancare dietro i genitori e sorbirsi i loro soliloqui su quanto era
bello tal
quadro, quale era l’interpretazione di un altro, eccetera.
C’era già passata
una volta, non voleva ricapitasse una seconda. Perciò
cogliendo il
suggerimento, espose le sue intenzioni alla madre.
<< Hm? Vuoi andare avanti? Veramente,
Ib … oh, ok. Solo cerca di stare in silenzio nella galleria,
va bene? Non che
ci sia bisogno di preoccuparsi per te, immagino… non dare
fastidio agli atri
visitatori, però!>> replicò lei non
troppo convinta.
Lasciò i genitori all’ingresso, mentre il
responsabile dava loro informazioni su come era strutturata la mostra e
rispondeva alle curiosità sull’autore.
L’esposizione si snodava su due piani di
cui il primo direttamente collegato al portone principale, mentre
l’altro era
al primo piano e raggiungibile da un lunga scalinata bianca come le
pareti ed
il pavimento di marmo. Ib si ritrovò immersa in un enorme
spazio bianco dalle
dimensioni indefinibili, senza sapere da che parte iniziare. Da dove si
trovava,
però, poteva
scorgere l’interno della
prima sala in cui un drappello di individui era radunato attorno a dei
cordoli.
Si risolse per iniziare da quella, incuriosita da cosa stessero
guardando tanto
interessate quelle persone. Prima di entrare nella sala, vide sul muro
un
pannello introduttivo su cui v’era scritto:
“Benvenuti
nel mondo di Guertena”
Stiamo attualmente tenendo
una mostra per il
grande artista Weiss Guertena e vi ringraziamo per la vostra
partecipazione.
Speriamo che gradiate profondamente l’arte del tardo periodo
dell’artista, le
cui creazioni contengono sia mistero che bellezza.
XX/Ottobbre/XX
Fin
ora non le era stato detto nulla di
nuovo e probabilmente erano le stesse parole dell’opuscolo,
che non aveva
letto, lo abbandono in un cestino. Si avvicinò al gruppo di
persone,
intrufolandosi tra gli spazi vuoti per vedere meglio. Sul pavimento
spiccava
per contrasto un’enorme voragine blu scuro, da cui faceva
capolino lo stesso
soggetto stampato sui manifesti e opuscoli che tappezzavano la
galleria: una
rana pescatrice dalla fauci spalancate, irte di denti aguzzi, e dagli
occhi
neri come la pece, sembrava invitare i visitatori a seguirla negli
abissi che
lambivano il suo corpo, promettendo di guidarli e proteggerli
dall’oscurità con
la sua appendice luminosa. L’impressione che ne ebbe fu di un
ambasciatore
alieno proveniente da un mondo sconosciuto e desolato.
“
Come farà a vivere senza mai
vedere la luce del sole?” si chiese Ib, guardando i suoi
lucidi occhi
inespressivi. Non le piaceva quel quadro che incuteva un timore
reverenziale, perché
le era impensabile che si potesse abitare in un mondo dove non
esistesse la
possibilità di vedere a cosa si andasse incontro. Intorno a
lei, invece, il
parere era diverso; si levavano brusii estasiati e profondamente
impressionati
dalla maestria che animava l’essere di tempera.
Girò
attorno all’opera, seguendo i cordoni
rossi che ne delimitava il perimetro, fino ad imbattersi in un
piedistallo su
cui era incisa la descrizione a cura dell’autore.
“ABISSO
DEL
PROFONDO” un mondo dove l’uomo non sarà
mai…
per
raggiungere quel
mondo, ho deciso che lo avrei ritratto nella tela.
La
scritta non contribuì ad incrementare un idea positiva
dell’immagine.
Aveva
appena finito di leggere che una coppia la spintonò per
riuscire ad
aggiudicarsi un posto di favore d’avanti al quadro,
perciò si
vide costretta a proseguire, esplorando la
parete alle sue spalle. Galleggiava, come sospeso in un nulla bianco,
un enorme
tela che ritraeva uno stilizzato bambino
azzurro alle prese con i tasti di un pianoforte disposti a raggiera,
mentre una
signora rossa lo ammoniva per qualcosa. Purtroppo quella
raffigurazione, non
l’aveva colpita come la precedente, non le trasmetteva nulla,
perciò passò
oltre. Adesso capiva come mai era stato deciso quel colore candido per
gli
interni; era stata una scelta volta a dare l’impressione che
le cornici
apparissero animate e sembrassero stare in piedi per volontà
propria.
Non si
poteva dire che Guertena non fosse un pittore prolifico, vi erano un
sacco di
quadri in quell’ala della mostra. Ib ne aveva visti almeno
una dozzina quando finalmente
vide delle istallazioni a cui diede un occhiata veloce.
Passò
davanti a molti altri quadri, che osservava sommariamente e di sfuggita
leggeva
i nomi, tra cui vi erano: UOMO
CHE TOSSISCE, GUARDIA ALTRUISTA,
SPIRITO DEL …, VETRO DEGLI…, … DELLA
SPIAGGIA; finché in un angolo della sala
non trovò una scultura di una rosa rossa alta almeno due
metri, di cui la
targhetta informativa riportava: “INCARNAZIONE
DELLO SPIRITO” bello allo sguardo, ma se vi avvicinate troppo
vi indurrà
dolore. Può sbocciare solo nei corpi salubri.
Ib
rimase delusa dalla criptica e scarna spiegazione, si aspettava una
descrizione
migliore di un opera così realistica e viva. Sembrava che
effettivamente la
rosa stesse appassendo, seminando i sui delicati petali sul pavimento
che un
moccioso, di non più di sette anni, cercava di rubare
scavalcando le transenne.
Il gesto le sembrò meschino e irrispettoso, pertanto si
risolse di fermare il
bambino.
<<
Non dovresti toccarle!>> gli intimò, cercando
di moderare per quanto
possibile il tono.
<<
Sono così belli! Voglio prenderne uno, è un
peccato lasciarli lì. Non lo pensi
anche tu?>>
<<
Ti sgrideranno>> gli rispose lei per tutta risposta ed
evitando la
domanda.
<<
Sei noiosa bambina! Proprio come il signore altone di
prima!>> le
rinfacciò il bambino.
Il suo
commento l’aveva punta nel vivo. Non era più una
bambina, era un adolescente e
sebbene la natura le avesse assegnato una statura più bassa
della media
rispetto ai suoi coetanei, non per questo ci si poteva permettere di
chiamarla
bambina! la ragazza stava
per rispondergli per le rime, tuttavia venne bloccata dalla
consapevolezza di
essere osservata dall’altro visitatore che stava osservando
il rovo con lei.
Sperò che fosse l’uomo di cui parlava il moccioso,
anche se la sua statura non
poteva dirsi di certo alta, ed intervenisse per bloccarlo nuovamente.
Ma non fu
così, perciò fu costretta a girare i tacchi e
guadagnare l’altro capo della
sala, certa che uno dei responsabili della sala, avrebbe svolto il
dovere di
custodire l’integrità della statua meglio di lei.
Si ritrovò dunque al punto da
cui era partita. Scorse due figure note sotto il quadro del pianista
bambino, i
suoi genitori, perciò decise di tastare il terreno e vedere
se la madre si
fosse arrabbiata del suo allontanamento durante una gita di famiglia.
<<
Ib, dov’eri finita?! Hai visto che meraviglie? Guertena
non è
popolarissimo come artista, ma, non a caso, ci tenevo particolarmente a
partecipare alla sua mostra! Spero che anche tu arrivi ad apprezzare la
sua
arte.>> incalzò la madre non appena la
ragazzina le fu vicina. Ib decretò
che non era ancora il momento di seguire la mostra con i suoi ed
infatti il
padre le venne in soccorso, notando la sua espressione allarmata.
<< Hai già controllato il secondo
piano? Mi hanno detto che ci sono un sacco di esposizioni e non solo
quadri
lassù.>>
La figlia scosse la testa e si precipitò al
secondo piano senza voltarsi indietro. La sala era identica a quella al
pian
terreno, con una sfilata ordinata di cornici alle pareti. Ne aveva
abbastanza
dei colori sulla tela e per questo fece passare le cornici con animo
annoiato,
finché il suo sguardo non venne catturato da un soggetto
reale. In piedi
immobile d’avanti ad un quadro di un uomo appeso per i piedi,
stava un giovane
molto alto e dall’insolito abbigliamento nonché
acconciatura. I suoi folti e
mossi capelli viola caratterizzati da ciocche nere che si diramavano a
raggiera
dal centro della chioma, simili ad un ragno, di certo facevano a gara
di
eccentricità con le tempere squillanti dei dipinti. Per non
parlare dei
vestiti; il cappotto blu marino scuro e lungo dall’orlo
slabbrato, era abbinato
a dei pantaloni di taglio classico sul beige e scarpe eleganti marrone
scuro.
Come tutte le persone anche Ib non poté fare a meno di
fissare quel bizzarro
essere umano, probabilmente uscito più da una discendenza
cartacea che dalla pura
genetica. Ciò le diede la sensazione che vi fosse qualcosa
di particolare in
quel ragazzo dall’aspetto alternativo, che di sicuro aveva
capito come fare del
suo vestiario un arte che potesse competere con quella esposta. La
ragazzina rimase
lì ad ammirarlo a lungo ispezionando la sua figura,
l’unica dalla quale fosse
incuriosita, e si rammaricava del fatto di non potergli scorgere il
volto per
decifrare il carattere e dare un tratto definito del soggetto. Si
risolse
allora per un lento avvicinamento, fingendo di ammirare un quadro alla
destra
di lui, per poi sporgersi in avanti a completare la sua analisi. Si era
appena
mossa che lui, forse avendo la sensazione di essere osservato, si
voltò di
scatto. Ib colta sul fatto ed in preda all’imbarazzo, si
girò meccanicamente e
raggiunse un’altra istallazione, dando le spalle al ragazzo
che tornò alla
contemplazione del quadro.
“ C’è mancato poco che mi
scoprisse!” pensò
trafelata mentre i battiti del suo cuore riprendevano un andamento
normale. Aveva
appena ripreso l’autocontrollo che si accorse di qualcuno che
le stava
parlando.
<< “Morte dell’individuo”
un nome
affascinante, per un opera simile. Secondo me quello che Guertena dice
qui è
che l’individuo sia nell’espressione di uno. Ecco
perché queste figure non
hanno le teste, vedi? Non è forse
così?>>
Fu colta di sorpresa. Di che cosa stava
palando?
Era appena arrivata e non aveva la minima
idea di cosa rispondergli, voleva ignorarlo per non fare una
figuraccia, ma le
sembrò estremamente scortese. Allora sollevò lo
sguardo, fissandolo sulle tre
statue davanti a sé. Si trattava di tre manichini femminili
neri come la pece,
con indosso lo stesso modello d’abito ma di
tonalità diverse: blu, rosso e
giallo, e scarpe con il tacco. La nota distorta del tutto era che i
manichini
non avessero le teste e terminassero con un abbozzo di collo come un
piedistallo senza trofeo. Le fecero una certa impressione.
<< Penso solo che facciano
paura>> disse all’ uomo che
l’affiancava ed aspettava ancora una risposta.
<< ah, beh … infatti. Ma pensa che
più che perdere le loro teste hanno perso la loro
personalità…>> riprese
il suo monologo. Ib aveva scaricato i suoi genitori per evitare questo,
perciò
era decisa a non permettere ad altri di pendere il loro posto.
Così approfittò
di un momento di distrazione della sua guida e, senza più il
senso di colpa,
aggirò le sculture rifugiandosi dietro ad un’altra
a forma di divano bianco
trapassato da tubi rossi, come arterie. Purtroppo le stranezze non
erano certo
finite. Qui vi trovò una donna in celeste e sulla trentina
che parlava tra sé e
sé.
<< Che strano divano… non
c’è niente
di strano, certo…vorrei sedermici, ma credo di non potere
…>> concluse
con una risatina, alludendo forse alla titolo dell’opera
“ POSTO RISERVATO”.
La ragazza non vi trovò nulla da ridere e
prima che anche lei cercasse di attaccare bottone, si
dileguò verso una nuova
sezione della sala, evitando accuratamente di tornare indietro.
“ Ma che razza di gente viene alle mostre?
Sono tutti così strani!” Si trovò a
pensare, ma riflettendoci, secondo il suo
ragionamento, anche lei lo era altrettanto. Le venne da ridere,
perché
effettivamente, così abbigliata non poteva che ricadere
nella categoria appena
descritta. Chi poteva dirlo, magari anche lei un giorno sarebbe
diventata il
soggetto di un quadro!
Riprendendosi dalle sue fantasticherie si
guardò intorno. Oltre a lei in quella parte non vi era
nessuno e tutto era così
tranquillo, con solo la musichetta stridente del violino che
l’aveva
accompagnata per tutto il tragitto fino a lì. La cosa che la
colpì maggiormente
fu l’enorme tela che ricopriva la parete. Raffigurava un
ampia veduta di un posto
dai contorni indefiniti e contorti, riusciva a distinguere un quadro di
una
donna in rosso e delle teste di manichino. I tratti poi erano rabbiosi
ed
imprecisi, come disegnati da un bambino, e le tonalità su
sfondo bianco erano
molto cupe. Raggiunse la targhetta con il nome dell’opera
“MONDO DISTORTO” in
ottone. Ritornò a scrutare il quadro ed ebbe una stranissima
sensazione, come
se una forza oscura o un invisibile attrazione gravitazionale la
attirasse
verso il quadro. In contemporanea ad un’improvvisa vertigine,
che la costrinse ad
appoggiarsi alla
didascalia, le luci si spensero lasciandola al buio, con solo i faretti
d’emergenza, azionatisi quasi immediatamente, ad illuminare
il posto. La musica
non si riversava più dagli
altoparlanti, ormai degradati a diventare bocche mute.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
°
Tra Genio e Follia °
Atto.2
“
VIENI IB ”…
…
vieni di sotto Ib ti mostrerò un posto segreto. ”
Pensò
inizialmente ad un balck-out dovuto
al temporale che colpiva ormai da un pezzo la città,
lasciando il suo tocco
umido sulle case e le strade per poi colare sui muri fino
all’asfalto, ma
iniziò ad abbandonare l’idea quasi subito, siccome
in tutta la sala non volava
una mosca. Non un brusio, né voci preoccupate e nemmeno i
sorveglianti con le
torce erano passati in quei cinque minuti d’attesa
nell’oscurità.
Si staccò mal volentieri dalla parete e
seguì il fascio di led d’emergenza che fendevano
l’oscurità oltre l’angolo alla
sua sinistra. Aveva appena mosso il primo passo che un rumore acquoso
la
raggiunse e della vernice rossa si materializzò sul
pavimento. Il colore
spiccava tetro sulle mattonelle ingrigite dalla mancanza di luce e
componeva
poche parole sbavate in stampatello: “ VIENI IB”.
Le prese un colpo. Come
facevano a conoscere il suo nome? Ma soprattutto chi aveva scritto
quella frase?!
<< C’è qualcuno? Per favore vieni
fuori… >> chiese ad alta voce e tuttavia
timorosa di ottenere una
risposta, perché in caso affermativo chi poteva dire se si
trattasse di una
persona amica o meno? Non aveva decretato poco fa che lì si
trovava molta gente
strana e perciò imprevedibile? La sua fantasia suscettibile
aveva iniziato a
farle ipotizzare tutta una serie di situazioni e circostanze spiacevoli.
In risposta alla sua chiamata però ebbe
solo uno sgocciolio proveniente dalla sua sinistra. Lo seguì
non avendo altra
scelta. Non ci pensava nemmeno di restare un minuto di più
lì da sola e per di
più quasi al buio. Raggiunse l’angolo speranzosa
di trovarvi qualcuno, ma fu
ripagata da una macchia di vernice blu che gocciolava dalla cornice
dell’enorme
quadro.
“ I quadri non dovrebbero perdere la
pittura! ” pensò sorpresa dall’insolita
scoperta, finché non si accorse che
all’ altezza dei suoi occhi vi era un nuovo indizio scritto
sul muro con lo
stesso colore lucido.
‘
vieni di sotto Ib ti mostrerò un
posto segreto ’
Adesso
era davvero spaventata. Lì con lei
c’era qualcuno che conosceva il suo nome e si divertiva a
scrivere frasi strane
sulle pareti.
Aveva appena finito di leggere, che un
rumore di pesanti passi riecheggiò in tutta la sala.
Tlak, tlak, tlak …
Avevano una cadenza calma e tranquilla come
se alla persona che li produceva non importasse che i locali fossero
immersi in
una coltre d’inchiostro.
Ib venne rianimata da una scossa di
sollievo, forse finalmente lo staff si era mobilitato e stava
recuperando i
visitatori sparpagliati nei saloni. Si slanciò oltre
l’angolo, impaziente di
riunirsi agli altri, e percorse tutto il corridoio fino ad arrivare
alla parte
centrale delle stanza.
<< Signore, sono qui!>> disse
ad alta voce, dimenticandosi del divieto di rumori molesti della
galleria.
Nessuna risposta le venne in rimando, solo
il lento e costante passeggiare di questo individuo celato dalle ombre.
<< Signore! Dov’è? così
la raggiungo…>> riprovò, facendo
qualche
passo incerto verso la fonte del rumore.
Ancora nessuna risposta e la situazione
cominciava a diventare inquietante.
Perché non rispondeva? Era uno scherzo per
caso?? Perché se così fosse stato non lo trovava
affatto divertente!
Stava appunto per annunciare il suo disappunto
quando si spensero anche le luci di emergenza immergendola in una
coperta scura
e densa come la pece. Non vedeva assolutamente nulla e procedere era
impossibile,
perciò andando a tentoni cercando di raggiungere una
qualsiasi parete da cui
potersi orientare. Finalmente sfiorò con la punta delle dita
la liscia
superficie del muro e i freddi cartellini apposti sotto i quadri. Vi si
gettò
contro come se avesse trovato un ancora di salvezza, mentre i battiti
del suo
cuore acceleravano per l’agitazione.
<< Dove sono tutti?!>> mormorò
a se stessa per non farsi schiacciare dalla paura della solitudine.
Tlak,
tlak, tlak … I passi continuavano senza sosta aumentando
l’ansia di Ib che era
ormai sull’orlo delle lacrime.
“ Cosa devo fare? Che vuole questo tipo?”
pensò con rabbia e frustrazione, usando la ragione come
appiglio per
contrastare l’imminente sfogo delle sue paure. Ma non voleva
cedere e per prima
cosa si impose di resistere e trovare i suoi genitori. Non poteva farsi
prendere dal panico, altrimenti si sarebbe immobilizzata e non sarebbe
andata
più da nessuna parte. Costrinse perciò i suoi
piedi a muoversi, mettendo una
scarpa d’avanti all’altra con silenziosa
circospezione ed avanzando alla cieca.
All’improvviso un lampo biancastro irruppe prepotentemente
contro il nero pece,
illuminando le scale che portavano al piano inferiore, accecando la
giovane.
“ È un invito?” si chiese intimorita.
Non
voleva scendere e si attaccò al muro, premendovisi
più che potè; sembrava
volesse diventare un tutt’uno con esso, tanto che picchiò la
testa contro la cornice di un
quadro. Qualcosa le rotolò addosso, facendola sobbalzare
dalla paura e portare
d’istinto le mani a coprire la bocca per trattenere un grido.
Una oggetto
oblungo giaceva spappolato sul pavimento ai suoi piedi. La
curiosità ebbe la
meglio sullo spavento ed accovacciandosi, riuscì a
riconoscere l’oggetto nella
fioca luce. Era una pera!
“ Da dove arriva?” domandò frastornata
dall’improbabile ritrovamento e guardò in su verso
l’alto, scorgendo il dipinto
nella penombra. Riconobbe nella figura una natura morta, dove in un
cesto di
frutta era rimasto uno spazio vuoto.
<< Che sta succedendo?!?>>
scattò, allontanandosi dal frutto troppo maturo e passando
d’avanti ad un altro
quadro. Anche qui gli oggetti presero a muoversi, oscillando
pericolosamente
verso il bordo della cornice.
Ib era terrorizzata, procedeva a ritroso,
dando le spalle alle scale e scrutando con orrore le ombre nere nei
quadri
brulicare come incubi notturni.
D’un tratto urtò con le spalle contro lo
stipite della porta e si voltò di scatto in allarme. Non
c’era nessuno
nonostante i passi la seguissero come una presenza impalpabile. Per cui
non ci
pensò due volte e si avviò verso la rampa
desiderando ardentemente che tutto
finisse. Ma suoi sensi vennero subito attratti da una finestra sul
pianerottolo
che prima, salendo, non
aveva notato. Vi
si scagliò contro, tastando freneticamente il contorno in
cerca della manopola
per aprirla. Non la trovò. Stava per cedere allo sconforto
quando una figura
sfrecciò oltre superficie opaca ed Ib senza indugio
iniziò a battere sul vetro
nella speranza di richiamare la sua attenzione.
<< Ehi! Ehiiiiii! Si fermi, ho
bisogno d’aiuto>> strillò, mentre i
pugni si abbattevano sulla barriera
che la separava dall’esterno.
La figura tornò indietro inaspettatamente
ma invece di aiutarla, incominciò a percuotere la superficie
trasparente,
spaventando a morte la ragazza. Urlò di terrore e senza
sapere come, si vide
scendere a rotta di collo gli immacolati gradini inondati dai neon.
<< Mamma, Papà! Dove
siete?!?!>> sbraitò, senza scomporre
minimamente il visitatore che
passeggiava indisturbato da diverso tempo.
Raggiunse l’ingresso con il fiato corto e
siccome nessun suono le era giunto come risposta, guadagnò
la strada della porta,
sicura di trovarvi una via d’uscita, ma cozzò
contro la fredda anta scorrevole
che non accennò a volersi spostare nemmeno di un millimetro.
In preda alla
disperazione la ragazza cercò di aprirla concentrandovi
tutta la sua forza,
incastrando le unghie nella stretta fessura che si creava
dall’accostamento
delle due vetrate e tirando.
“ Ti prego, ti prego , ti prego … apriti!!
“ ripeté mentalmente sperando che qualcuno la
ascoltasse ed esaudisse la sua
preghiera, tuttavia i battenti non si mossero per nulla.
Non era ancora pronta a mollare e tentò un
ultimo disperato tentativo con le due finestre a nastro incastrate
lì vicino a
portata di mano. La prima non cedette né si
spostò e allora provò con la
seconda, ma ebbe una brutta sorpresa; appena la sfiorò, un
getto di liquido
rosso iniziò a scorrere come un torrente dalle guide delle
ante creando rivoli
scarlatti e schizzando ovunque, disegnando un campo di papaveri sul
pavimento
niveo. Si ritrasse disgustata e preoccupata: poteva essere vernice
oppure poteva
essere sangue? Il colore era scuro, ma talmente indefinito e lucido da
non poterlo
identificare in modo esatto.
‘ Ib…’ una voce proveniente dalla stanza
a
piano terra la chiamava preoccupata.
<< Mamma? Papà? >> chiese la
ragazza sbigottita e la voce la chiamò di nuovo con urgenza.
“ Grazie al cielo! I mie sono rimasti in
quella stanza!” si incitò mentalmente e senza
perdere altri secondi preziosi
seguì il dolce conforto che dava quella voce parentale.
Stranamente i passi sembrarono
intensificarsi a mano a mano che Ib andava avvicinandosi alla sala, e quando vi
entrò si rese conto che
il suono rimbombava contro le pareti ed il soffitto come se fosse
proprio il
calcestruzzo di cui erano fatte o l’intonaco a produrre quel
sinistro scalpiccio.
Non vi prestò molta attenzione e si diresse immediatamente
al quadro dove aveva
lasciato i suoi genitori una manciata di minuti fa, era troppo
concentrata sul
nuovo obbiettivo per notare qualcos’altro.
Il quadro svettava in tutta la sua
imponenza; i colori erano cupi ma il disegno intuibile nonostante la
stanza
albergasse nelle ombre.
<< Mamma sono qui!>> sussurrò
una volta che si rese conto di essere nuovamente da sola. Tuttavia non
risentì
più la voce. << E dai papà, non
è divertente!>> sentenziò rivolta
al nulla nero di fronte a sé, mentre il panico le
serpeggiava lungo la schiena
afferrandole le scapole. Ib girò un paio di volte su
sé stessa osservando con
angoscia crescente lo spazio. Nessuno, non c’era nessuno
nemmeno lì. Voleva
piangere dalla frustrazione e per la paura, siccome non riusciva a
capacitarsi
del perché non avesse incontrato anima viva in tutto questo
tempo. Dove erano scomparsi
tutti?
Un rumore di carta strappata l’agghiacciò,
pietrificandole il sangue nelle vene. Quel suono scricchiolante
proveniva da un
punto dietro di lei. Si girò lentamente portandosi le mani
al petto, come
faceva da bambina per proteggersi dal mostro che viveva sotto al letto.
Aveva
paura ed allo stesso tempo sapeva di doverne conoscere
l’origine. Stava
accadendo esattamente quello che aveva visto in una marea di film
Horror:
qualcuno si ritrovava da solo a dover fronteggiare suoni preoccupanti e
lo
spettatore, a questo punto, sapeva già che la sorte del
protagonista poteva
finire solo in un modo. Infatti la scoperta che fece, sebbene fosse
preparata, fu
peggiore di quanto si aspettasse. La madre in rosso, che inizialmente
stava
sgridando il figlio, con movimenti a scatti e disconnessi come un
burattino
impazzito, si ribellava alla sua prigione di stoffa, rivolgendo il suo
volto
privo di connotazioni fisiche verso la ragazza. La sagoma si scollava
con uno
strappo secco e raccapricciante ed in quei punti comparivano delle
crepe scure,
come il terreno che si spacchi per la siccità, mandando
parte della pittura a
sbriciolarsi sul pavimento, mentre il bambino blu si rannicchiava in
posizione
fetale sulla tastiera reinventata del pianoforte, artigliandosi la
testa con le
dita celesti. Ib osservava con gli occhi sbarrati la scena ed a poco a
poco il
sangue le defluiva dal viso, donandole un pallore degno
dell’intonaco privo di
colore. Il suo cuore poi perse un battito quando il sottile braccio
scarlatto
della donna, solcato da venature nere e rinsecchite, si distese nella
sua
direzione, schiudendo le dita affusolate nel tentativo di ghermirla
come gli
artigli di un uccello rapace.
<< … No…no… non ti
avvicinare!>> sillabò a stento con la voce
incrinata dal nodo che andava
formandosi in gola. La sagoma però non voleva saperne e
continuava la sua
inesorabile avanzata, sporgendo il busto esile ed aggrappandosi con
l’altra
mano, ormai libera, alla cornice d’orata.
Istintivamente iniziò a ritrarsi,
camminando all’indietro finché non finì
con una scarpa su qualcosa di scivoloso
che minacciò di farla cadere. Spaventata dalla
possibilità che si trattasse di
una nuova minaccia, diede una rapida occhiata verso il basso, dove una
serie di
impronte blu elettrico andavano nella stessa direzione a cui lei dava
la
schiena. Ancora della vernice che le tormentava con i suoi indovinelli.
Ancora
della pittura che minacciava di farla impazzire.
“ Che siano le impronte del signore che
stava camminando prima?” la domanda le si presentò
alla mente come una scarica
elettrica. Tuttavia non era questo il momento di pensare a certe cose.
Provava
un mix di angoscia, paura, terrore, impotenza e smarrimento che le
opprimevano
il petto minacciando di schiacciare i suoi piccoli polmoni. In preda ad
un’agitazione selvaggia, sollevo lo sguardo, avvertendo uno
strano spostamento
d’aria che le solleticava il viso e le fece accapponare la
pelle. All’
improvviso la donna si era slanciata di colpo, bruciando la distanza
che le
separava, facendo serpeggiare le sue dita scheletriche fra le ciocche
dei suoi
capelli e cercando di afferrarla per la nuca.
Lo sgomento la colse impreparata e,
seguendo un ondata di ribrezzo, si scansò da quel contatto
spingendosi
all’indietro. Sperava di cadere sul pavimento e da
lì poter cercare di sfuggire
all’essere senza volto, ma al contrario si ritrovo con la
sensazione che i
piedi perdessero aderenza ed il terreno venisse a mancare. Infatti
nemmeno una
frazione di millesimo dopo vide chiudersi sopra di sé un
muro freddo e bagnato.
<< HAHAHAHAHAHA, che bello!
Finalmente è arrivato qualcuno!>>
sghignazzò una risata cristallina ed
infantile. Fu l’unica cosa che riuscì a sentire
prima di infrangere una
superficie umida.
Ib si ritrovò immersa in quella che
sembrava una piscina immensa, con l’unica differenza che
quella che
l’abbracciava non era acqua, era qualcosa di più
denso e pesante che le
impediva di risalire in superficie, facendole aderire persino i vestiti
al
corpo. Annaspò, cercando di trattenere il fiato. Si
agitò e si sbracciò a più
non posso per raggiungere il bordo e portarsi in salvo, ma ogni sforzo,
ogni
misero tentativo di arrancare verso il bordo dell’abisso,
risultò inutile e
sfiancante, mentre preziose bolle d’aria le sfuggivano dalle
labbra volteggiando
come leggiadre meduse e sollevandosi in alto.
“ Perché solo io non posso muovermi?!”
urlò
la sua mente febbricitante. Non riusciva a pensare con
lucidità ed il petto era
dolorante per la mancanza di ossigeno. Il corpo le sembrava sempre
più pesante
e stava per fare la fine di un sasso lanciato nel mare, ovvero
affondare. Tentò
disperatamente di resistere, trattenendo l’aria nel suo
albero respiratorio per
non annegare, eppure tutto era così maledettamente difficile
ed i polmoni la
imploravano di aprire la bocca ed aspirare qualsiasi cosa, minacciando
altrimenti un collasso. Lottò più che
poté ma il fato le fu avverso, un ombra
nera si precipitò con destrezza su di lei, avvolgendo la
gamba di Ib con la sua
appendice luminosa e strattonandola verso il basso. Il movimento
azzerò tutte
le sue ultime resistenze e quel poco di speranze che ancora le
rimanevano
l’abbandonarono sotto forma di sinuose e trasparenti ellissi
irregolari, mentre
ingoiava quell’ liquido indefinito che le bruciava la faringe
come se avesse
ingollato dell’alcol puro.
“ Ma cosa?! Questo è il mostro marino del
dipinto di Guertena. Come faccio ad essere in un quadro?” si
domandò
esterrefatta prima che le enormi fauci dentate del pesce la
ingabbiassero sotto
il suo sguardo impotente. Le forze la abbandonarono e nei suoi ultimi
momenti
prima di perdere conoscenza e lasciare questo mondo, sognò.
NDA: ciao a
tutti! vi allego qui l'indirizzo facebook della pagina che gestisco
insieme all'autrice di EFP Dusky Doll. Se volete rimanere aggiornati
sugli sviluppi delle storie, vedere i disegni dei vari capitoli,
condividere articoli, musica, immagini e ... improbabili
cross over e one shot, perchè non ci date un' occhiata?
Grazie mille e buona lettura ;)
https://www.facebook.com/pages/Black-Signs/917414278320549?fref=ts
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
° Abisso del
Profondo°
Atto.3
“LADRA,
LADRA, LADRA!”…
Si svegliò
di soprassalto, boccheggiando per scacciare la sensazione di annegare
che
ancora le attanagliava la gola, e staccandosi dalla fredda
parete che era
stata il suo sostegno durante il sonno. Purtroppo non era stato un
incubo come
aveva sperato, perché effettivamente vomitò quel
liquido indistinto su un
pavimento blu scuro. Tuttavia era asciutta, come prima. Lo scenario era
simile
al precedente, un corridoio immerso nella penombra, eppure totalmente
diverso
perché le pareti in questo caso erano dello stesso colore
uniforme delle
piastrelle su cui era seduta. Si alzò faticosamente in
piedi, mentre un ronzio
disturbante le ricordava il dolore della pressione sui timpani durante
la
discesa in quelle strane profondità, prima che venisse
ingoiata dal mostro
degli abissi. Cercava di ricordare come avesse fatto a raggiungere quel
posto e
cosa avesse effettivamente sognato perché aveva la
sensazione che vi fosse
qualcosa di importante che doveva sapere sul motivo per cui era
lì, un
dettaglio urgente che le avrebbe svelato il significato di tutto
ciò. Tuttavia
mentre si arrovellava la mente, qualcosa di bagnato le
impattò sulla fronte
facendola scattare come una molla e battere il cuore
all’impazzata nel
petto. Guardò verso l’altro pregando che nessun
essere mostruoso le stesse
tendendo un agguato dal soffitto. Fortunatamente le sue paure vennero
dissipate, ma ugualmente la scoperta non fu piacevole in quanto si
trovò difronte
ad una distesa nera di un materiale sconosciuto, che a prima vista
poteva
essere simile alla china, ed increspato da lievi onde di risacca.
<< Sono caduta da lì?>> chiese
al vuoto sconcertata, poiché non si
ricordava minimamente dell’urto con il suolo.
<< Ma come sono ancora
nella galleria?>> disse, notando due grossi quadri
affiancati che
ritraevano lo stesso tratto di cascata con rocce affioranti,
ciò nonostante
distinti per il diverso colore dell’acqua: quello alla sua
sinistra aveva uno
scroscio rosso sangue, mentre l’altro era di un celeste
chiarissimo come se un
velo ghiacciato avesse cristallizzato la superficie; eppure erano gli
unici
quadri appesi per quanto potesse vedere nella semioscurità.
Tutto il contesto
era dannatamente assurdo e per questo pensò davvero che
quanto era successo
fino ad allora fosse soltanto una sua fantasia, un incubo che stava
facendo
appisolata da qualche parte nella mostra per sfuggire alla visita
forzata. Ma
si poteva sognare in un sogno? Altrimenti Ib non poteva spiegarsi
ciò che era
appena accaduto. Comunque decise di sperimentarlo sulla sua pelle con
un
classico trucchetto, per capire se si era ancora svegli o meno: si
pizzicò un
braccio con forza. Il dolore le percorse tutto l’arto
raggiungendo il centro
del suo sistema nervoso.
“ Decisamente non sto avendo un incubo”
decretò trattenendo le lacrime perché
aveva ecceduto con il vigore della stretta. Appurato che era desta,
questa
consapevolezza le diede le vertigini. Non riusciva a capacitarsi, era
impossibile! Non poteva essere…
Era persa nella sua incredulità, quando il mare al contrario
sopra la sua testa
incominciò ad incresparsi violentemente, formando cavalloni
degni di una
tempesta.
“ Forse è meglio che sposti da qui”
pensò la ragazza, guardando apprensiva le
onde infrangersi con uno scroscio contro le pareti laterali. Ora le si
presentava un nuovo dilemma. “Da che parte andare? Destra o
sinistra”. Decise
di andare a caso, non che potesse fare molto altro e prese la strada
alla sua
destra seguendo il corridoio. L’oscurità era fitta
e a malapena riusciva a
vedere dove stesse andando, perciò per tutto il tragitto di
diversi minuti,
tenne una mano sul muro per non inciampare o andare a sbattere contro
qualche
ostacolo improvviso. Finalmente raggiunse la fine, dove un quadro di
una lisca
di pesce in nero spiccava contro la parete blu. Non
osò leggere la
descrizione e puntò direttamente verso la porta di un tono
di turchese più
scuro. Afferrò la maniglia e con fermezza
strattonò l’uscio, ma la porta
era chiusa. Riprovò nuovamente sbatacchiando il legno contro
la cornice e ciò
nonostante non successe niente. Allora si chinò per
osservare attraverso il
buco della serratura cosa vi fosse al di là, dove il nero
più totale si
estendeva a perdita d’occhio.
Purtroppo non c’era altra soluzione; doveva tornare indietro
e prendere l'altra strada oppure trovare la chiave per aprire
quell’ingresso. Ripercorse i
suoi stessi passi stando attenta al pavimento e sperando di trovarvi,
per un
miracolo, ciò che le serviva. Passò davanti ai
due quadri gemelli e proseguì
oltre nella direzione opposta. Questa volta la superficie su cui
poggiava la
mano le sembrò fredda e viscida al tocco. Ib
osservò i polpastrelli su cui era
depositato uno strato appiccicoso color rubino. Col panico negli occhi
ispezionò la parete che la sovrastava balzando
all’altro capo del corridoio.
Per tutta la lunghezza del muro color oceano, era scritto con vermiglie
lettere
cubitali: “ VIENI VIENI VIENI VIENI”. Dunque era
quella la strada giusta da
prendere? Non voleva andare ulteriormente avanti, ma nemmeno voleva
rimanere
bloccata lì, in quella terra di nessuno, con una burrasca
che infuriava sopra
la sua testa, inoltre non aveva nessun altro luogo dove andare.
Ingoiò il
groppo che le occludeva la gola e si incamminò, tesa come
una corda di violino,
mentre le diciture la seguivano come un ombra comparendo con schiocchi
sul
colore monocromatico e con le lettere che pendevano sempre
più sbilenche. Toccò
un tavolino all’estremità del percorso che
sbarrava l’ennesima porta sprangata.
Guardando meglio però, Ib notò che sullo
scrittoio dal design retrò e scuro,
c’era un vaso di terracotta con appoggiata al suo interno una
rosa scarlatta
dai petali chiusi. Le sembrò una visione troppo bella in
quello spazio così
cupo e pieno di orrori per essere finta là per
puro caso. Con lo scopo di
accertarsi che non fosse una scultura, sfiorò con la punta
dei polpastrelli i
petali setosi e questa si dischiuse rilasciando il suo
peculiare ed
intenso aroma. Alla ragazzina erano sempre piaciuti quei fiori, li
riteneva
fragili e tenaci allo stesso tempo perché difendevano la
loro corolla con dure
e pungenti spine, inoltre nel linguaggio botanico erano sinonimo di
passione e
regalità. Invece il colore scarlatto simboleggiava
l’amore, la vita, il sangue
e il fuoco, oltre ad essere considerato il colore del Dio della
felicità nelle
culture antiche e non solo.
Era davvero incantevole e si domandò nuovamente come mai
fosse stata lasciata
là a marcire nell’oscurità, quando
ancora nessuno aveva assistito alla sua
fioritura.
“ È tua Ib. Tu e la tua rosa siete la
stessa cosa ed ora conosci il peso
della tua vita. Dunque devi prenderla se vuoi andare avanti, altrimenti
il
tavolino non si sposterà” disse una voce
fuoricampo a cui era impossibile
dare un’età o anche solo un genere. Era saggia
come d’un anziano ma giovane,
gentile ma profonda come di un uomo.
<< Chi sei? E perché sono finita
qui?!>> chiese allora Ib
sospettosa, sebbene mossa dal desiderio di appagare il suo interesse.
Era
sempre stata un tipo curioso, oltre ad essere anche molto avventurosa,
però un
conto era cercarsele le avventure ed un altro era finire in un mondo
surreale e
horrorifico; per quest’ultimo motivo il suo spirito
spericolato era al momento
annichilito e tutto quello che non poteva vedere, e non solo, era una
potenziale minaccia. Però la rosa era davvero stupenda e non
seppe resistere
all’invito di coglierla. Immediatamente il tavolino
si disintegrò
mandando in frantumi il vaso, che sparse le sue schegge appuntite e
l’acqua che
conteneva, su tutto il pavimento.
La ragazza rimase di sasso, mentre l’eco rimbombava in ogni
dove, mischiandosi
allo sciabordio della mareggiata. Se non altro adesso il passaggio era
sgombro
e la porta socchiusa, perciò non farsi domande al momento
era la soluzione
migliore. Fece attenzione a non ferirsi con i cocci e varcò
la soglia. Entrò in
una stanzetta quadrata dello stesso intonaco delle pareti là
fuori, ma la cosa
che la impressionò maggiormente fu il ritratto di donna
difronte a lei. Era insolitamente
pallida e aveva gli occhi chiusi, come se stesse riposando con un
leggero
sorriso sulle labbra. Inoltre una cascata di lunghissimi capelli neri
le
ricadeva sulle spalle fasciate di bianco, scavalcando addirittura la
cornice.
Tra queste tende nere si poteva intravedere un fogliettino
giallo del
tipo usato per i promemoria. Si avvicinò cauta, pensando che
come era successo
con i quadri in galleria, anche questo potesse prendere vita e nel qual
caso,
era meglio evitarlo.
Quello che lesse alla fine fu: “Quando la rosa appassisce
anche tu morirai”.
“ Che significa?” pensò Ib. La frase era
talmente surreale che non riusciva ad
afferrarne il senso, come le parole che poco prima aveva sentito
e poi,
come se potesse morire in un posto simile. Quel bizzarro post-it le
sembrò solo
uno scherzo di cattivo gusto di qualcuno che voleva metterle paura,
perciò
smise di lambiccarsi su quello che accadeva lì dentro, non
aveva senso perché
anche chiedendoselo non avrebbe comunque trovato una risposta. In
compenso era
sicura di una cosa, ovvero avrebbe trovato l’autore e gliene
avrebbe dette
quattro.
Nel resto della sala non vi era nulla degno di nota, dunque che fare?
Stava per
uscire in cerca di una strada alternativa quando un luccichio sul
pavimento
catturò la sua attenzione. Alla fine aveva trovato
l’oggetto delle sue
ricerche, ovvero una chiave blu notte che poteva essere solo della
porta
all’altro capo e della stessa sfumatura.
Contenta come non mai per la prima cosa che andava nel verso giusto,
rimirò il
manufatto dalle forme tondeggianti ed infantilmente semplici.
Un guizzo nero nella penombra la fece girare sui talloni e fissare il
dipinto
che fino ad allora l’aveva osservata assopita.
“ Sarà stata la mia immaginazione” si
disse per tranquillizzarsi, infilando la
sua via di salvezza nella tasca della gonna, ma appena puntò
il riquadro nella
stanza, la donna spalancò di scatto gli occhi neri e
iniettati di sangue. Sul
volto era comparso un ghigno demoniaco, rivelando una chiostra di denti
aguzzi
e macchiati di sangue, mentre una schiuma cremisi tingeva le labbra ed
il mento
di rosso.
“ Ladra!” urlò una
voce femminile nella sua testa, che nulla aveva di
gentile rispetto alla prima, e le tenebre presero a tremolare. Adesso
poteva
capire cos’era stato il movimento che l’aveva
distolta dai suoi pensieri, si
trattava dei capelli della donna che, cresciuti smisuratamente, adesso
tappezzavano tutta la stanzetta.
“LADRA!” ripeté
nuovamente in tono rabbioso, nel mentre che ciocche di
capelli si disponevano come lance nello spazio che le separava.
Ma non aveva rubato nulla perciò non capiva come mai quel
mostro ce l’avesse
tanto con lei. Che fosse colpa della rosa? Ma le era stato detto che
era sua e
poi sentiva uno strano legame con quel fiore solitario, non poteva
volerlo. Non
rimaneva che la chiave, ma le era necessaria per spostarsi, dunque non
gliel’avrebbe ceduta e senza pensarci due volte si
catapultò in direzione della
porta, sperando di essere più veloce di quella chioma di
tentacoli.
Sfortunatamente appena varcata la soglia, una ciocca serpentina
riuscì ad
afferrarla per la caviglia, strattonandola all’indietro.
Ruzzolò sul pavimento
finendo dritta sul legno ed i cocci del contenitore rotto, battendo
violentemente il gomito e l’addome sulla pavimentazione
divenuta una grattugia.
Il dolore fu rapido ma intenso come una scarica elettrica.
Sentì le schegge
graffiarle gli arti e penetrare nella pelle, facendole sfuggire un
rantolo,
mentre la capigliatura, improvvisatasi un lazzo, continuava a
trascinarla verso
la padrona come un cane fedele, ed incurante dei frammenti acuminati su
cui era
riversa la ragazza. Ib doveva liberarsi ed in fretta,
altrimenti aveva la
sensazione che se non fosse riuscita a sfuggire al dipinto, non sarebbe
mai più
uscita da quella camera; così si aggrappò allo
stipite della porta e con un
immenso sforzo vi si ancorò trattenendosi con le braccia.
Tuttavia il tentacolo
non demordeva anzi, trovando resistenza incominciò a tirarla
con intensità
crescente, strattonando la gamba con tale violenza che Ib ebbe
l’impressione
che potesse staccargliela in tronco. La prima cosa da fare in ogni
caso, era
sciogliere il nodo di capelli che le imprigionava e a tale scopo
afferrò un
frammento liscio e tagliente come un rasoio, o almeno così
le sembrava sotto l’effetto
stimolante dell’adrenalina. Strinse la sua arma con forza
finché non ne sentì i
bordi affilati inciderle la pelle, trovando in una sensazione fisica
una
motivazione per non lasciarsi andare. Non poteva avvicinare la gamba
alla
scheggia, perché la forza della chioma era più
forte della sua, allora,
trovando determinazione nel suo spirito di sopravvivenza,
lasciò
improvvisamente il suo appiglio sicuro ed assecondando la spinta
trainante, si
mise a sedere per tranciare più facilmente la ciocca con un
colpo secco e
deciso. I fili neri si tramutarono subito in un povere cupa che si
disperse
nell’aria scossa dalle urla del quadro femminile. Col cuore
che batteva
all’impazzata, Ib si voltò di scatto e veloce come
il vento, fece schiantare la
porta nella sua stessa cornice. Si allontanò di corsa
chiedendo alle sue gambe
uno sforzo sovrumano, essendo in quel momento inseguita da minacciose
lettere
scarlatte che la identificavano come una ladruncola. Le bruciavano i
polmoni ed
i suoi occhi sondavano in vano nell’oscurità, ma
proprio per questo non
si fermò finché non raggiunse la destinazione.
Prese allora la chiave che aveva
custodito al sicuro in tasca e, lottando contro la frenesia del momento
che la
faceva incespicare, tentò di farla combaciare perfettamente
con la serratura. I
tentacoli erano riusciti in qualche modo a superare
l’ostacolo ed ora
convergevano nuovamente su di lei, poteva percepire
nell’ombra chiazze
d’inchiostro ancora più nere , dense e ondeggianti.
“ Ib calmati altrimenti sarai davvero spacciata!”
urlò mentalmente e
finalmente, con un gesto urgente, la chiave scattò nella
serratura.
La ragazza scivolò contro la parete della stanza oltre la
soglia, fino al
pavimento. Ce l’aveva fatta per un soffio e, non appena era
riuscita a bloccare
l’uscio, facendo girare nuovamente la chiave nella toppa
questa si era
disintegrata lasciando il posto ad un mucchietto di polvere celeste.
Ora era
bloccata in quel nuovo limbo, incerta su dove andare e su che fare per
l’ennesima volta. Raccolse le gambe contro il petto,
circondandole con le
braccia, e si lasciò andare ad un pianto disperato, dando
finalmente sfogo alla
paura ed alla frustrazione, mentre la sua rosa perdeva silenziosamente
quattro
petali ormai raggrinziti.
Non sapeva
di preciso quanto tempo era rimasta in quella posizione a versare
salate
lacrime amare, tuttavia dopo quell’esplosione di sentimenti
negativi, si sentì
se non meglio, per lo meno svuotata come un recipiente pronto per un
nuovo
compito di contenimento. Quando si riprese del tutto, si accorse di un
cartaceo
riquadro giallo ai suoi piedi.
|Aiuta
la formica e guadagna l’uscita|
dicevano quei curiosi e
bambineschi segni neri sul foglietto.
“ Certo che le sorprese non hanno mai fine … e poi
quale formica?” pensò Ib
apatica ed ormai rassegnata a seguire il filo di quelle stramberie.
<< Ciao! Ehi, ehi, sono qua
giù!>> la sorprese una vocina stridula
e flebile. Spostando lo sguardo un po’ in giro, vide una
macchiolina nera sul
pavimento, era disegnata eppure si muoveva come l’insetto di
cui portava il
nome. << Hai visto il mio quadro?>> le
chiese descrivendo ampi
cerchi con il corpo minuto.
<< Il tuo quadro?>> ripeté la
ragazza.
<< Sì, mi raffigura. Dovresti vedere che bello
che è! Sai prima era in
quella stanzetta laggiù, poi è stato spostato
più lontano e non riesco a
raggiungerla, così adesso non posso più
vederlo.>> stridette amareggiata.
Quindi il suo compito consisteva nel riportare al suo posto il
ritratto, solo
così sarebbe riuscita ad uscire? Sembrava abbastanza
semplice.
<< E sai dove l’hanno portato?>>
domandò per ottenere più
informazioni. Forse stava impazzendo, si era messa a parlare con un
disegno a
forma di formica come se fosse la cosa più naturale del
mondo. Alla fine le era
come se fosse finita nella storia del paese delle meraviglie, solo che
doveva
inseguire, invece di un bian-coniglio, un dipinto. La qual cosa, le
sembrò un
divertente controsenso: i quadri mica si spostavano di loro
volontà e per
questo dovessero essere inseguiti! Poteva quasi sorriderne. A questo
punto non
c’era nessun altra opzione plausibile se non fare quello che
le era stato
chiesto.
<< In fondo, dietro l’angolo …
credo>> rimuginò.
Per Ib era confortante sapere che nemmeno la sua ingaggiatrice avesse
la più
pallida idea di dove fosse stato appeso. Cedette perciò
all’idea di vagare a
caso in cerca dell’oggetto d’indagine.
<< Ho capito. D’accordo, lo cercherò
per te e lo rimetterò a posto, va
bene?>> sospirò esausta, rimettendosi in
piedi.
<< Grazie mille! In cambio riceverai
qualcosa>> esultò l’esserino nero
riconoscente.
“Immagino una chiave per uscire da questa stanza”
concluse mentalmente la
giovane. prima si sbrigava e prima sarebbe uscita di lì,
magari avvicinandosi
d’un passo alla conclusione di quel delirante incubo.
Si diresse e seguì il corridoio alla sua sinistra, mentre la
formichina la
incitava a tornare presto per ritirare la sua ricompensa. Strano, per
il
momento non era successo nulla di ché e la cosa le
sembrò sospetta, tuttavia
non vi si soffermò più di tanto, e raggiunse la
parete di fondo in poco tempo.
Come aveva detto l’esapode, appena dopo la svolta vi era
l’immagine descritta
che spiccava sul bianco perlaceo del foglio. Non era tanto grande e
poteva
essere trasportata facilmente, anche per una persona minuta come Ib.
Tuttavia mentre la ragazza stava per afferrare la cornice, vide la
porta
smeraldo occhieggiare poco più in là e la
curiosità ebbe la meglio. Si avvicinò
cauta e saggiò la maniglia, ma non ci fu verso di muoverla,
era chiusa. Doveva
aspettarselo. Stava per tornare sui suoi passi quando uno schianto la
fece
sobbalzare a un metro da terra. Pensava di essersi infine liberata di
un po’ di
tensione ed invece era ancora tesa come una corda di violino.
Aspettò quello
che le sembrò un’infinità di tempo,
prima di lasciare il pomello per cercare
l’origine del suono proveniente dal corridoio appena
percorso. Scoprì invece
che il rumore era stato prodotto dall’impatto della cornice
sul pavimento ed al
suo posto, sul muro , era comparsa una scritta fluorescente
perfettamente
visibile con la luce soffusa della sala.
“Non vale, vuoi barare!
Allora paghi pegno, perciò
da adesso stai attenta ai bordi!! ”
Lei barare?
Era così sbagliato voler cercare di scappare da un luogo
completamente privo di
senso?! Cercò di calmarsi e non perdere le staffe per
analizzare meglio lo
stile uguale al fogliettino di prima. Ricevere due messaggi a distanza
di dieci
minuti l’uno dall’altro, era inquietante e
praticamente impossibile,
soprattutto perché nei sogni non si potevano leggere le
scritte, così recitava
un documentario che aveva visto in Tv.
“ Devo
rassegnarmi al fatto che non si tratta di un dannatissimo
incubo”
meditò.
Quest’
informazione le era riaffiorata alla mente solo in quel momento,
che strano non se ne fosse ricordata prima. Ma cosa poteva indicare
come
effettivamente normale in tutto quello?
Perciò
c’era qualcuno che la stava seguendo e spiando, se non si
trattava di un
delirio. In un certo senso ci sperava ancora, perché era
molto meglio
impazzire, visto che non ne eri consapevole, piuttosto che essere la
vittima di
qualche macchinazione. In ogni caso, lo sconcerto si
impadronì di qualsiasi
altro sentimento e ponendole l’interrogativo sul se esistesse
davvero gente del
genere. Trattenendo a stento i brividi, la ragazza non volle pensarci,
non in quel
momento, e bai-passò il nuovo senso di inquietudine.
Infilò la cornice sotto al
braccio e ripercorse a ritroso la strada.
“ I
bordi? Perché mai dovrò starci
attenta…” si chiese, ma purtroppo, dopo
neanche un secondo, la sua curiosità venne soddisfatta. Per
qualche arcano ed
oscuro motivo, contro ogni legge della fisica, laddove c’era
stata una solida
ed interrotta parete, si protesero degli scheletrici arti neri da
entrambi i
lati. Istintivamente Ib si gettò a terra, lasciando la presa
sul quadro, seppur
rinsaldando quella sulla rosa e coprendosi la testa con le mani. Prese
a
tremare vistosamente perché gli arti erano fatti di
… capelli! Capelli neri!
“
Q-quella donna è riuscita ad estrare?! Non può
essere, ti prego basta!!!!”
strillò la sua mente febbrile congetturando una via di fuga.
Poteva strisciare
fino al punto di partenza, dove stava la formica, oppure correre e
sperare di
non essere afferrata all’improvviso. Strinse più
forte le ciocche di capelli
per risolversi e saltò in piedi, schivando quelle cose
disgustose e
trascinandosi dietro il manufatto. La ragazza ignorò la
formichina che le
chiedeva di dare un’occhiata al suo ritratto e come una furia
spalancò l’altra
porta. A sbarrarle il passaggio vi era però una voragine sul
pavimento con una
impercettibile segno più chiaro. Non ci pesò due
volte ed usò il quadro come
passerella per l’altro lato. Trascurò volutamente
il suono scricchiolante delle
suole sulla tela, insieme alle impronte rosse che lasciò in
seguito, non poteva
sopportare qualcos’altro. Riprese nuovamente fiato
appoggiandosi alla parete
della nuova stanzetta occupata da un manichino senza testa e qualcosa
di
rilucente sul pavimento vicino alle suole scarlatte della statua.
Ib in un primo
momento non si mosse, rimanendo a fissare sbigottita il quadro
che torreggiava dietro alle spalle della figura nera e coperta di
rosso: una
leggiadra farfalla veniva attaccata da un ragno striato di giallo. In
qualche
modo aveva il presentimento che se si fosse avvicinata, la scena si
sarebbe
tramutata in realtà, dove lei avrebbe interpretato il
lepidottero. Nonostante
ciò non poteva mollare ad un passo dalla possibile salvezza
e armandosi di una
corazza di coraggio, avanzò con cautela chinandosi
leggermente, senza
distogliere lo sguardo dalla statua, per afferrare rapidamente
l’oggetto e poi
darsela a gambe. Nell’istante in cui i polpastrelli lo
urtarono, la
donna-scultura si animò a scatti, protendendosi in avanti
con uno scatto per
afferrare Ib. La ragazza si ritrasse e saettò verso la
porta, usando gli
stipiti come perno per svoltare senza schiantarsi contro il muro
difronte e
oltrepassare il ponticello creato innanzi. Si voltò solo un
attimo per
calcolare quanto avesse distanziato l’essere, e vederla
precipitare nella
voragine del pavimento. Il quadro, già intaccato dal peso
seppur leggero di Ib,
aveva ceduto definitivamente sotto quello massiccio della busto,
facendolo
sprofondare nel baratro nero. Lei non se ne curò, anzi
meglio, per lo almeno un
problema se ne fosse andato. Adesso poteva correre fino
all’altra porta per
lasciarsi alle spalle anche quella tortura.
<<
Cosa è successo al mio quadro??>> stridette la
formica, vedendo
la ragazza ritornare senza. << Cosa hai
fatto!!!>> urlò.
Ib si
tappò le orecchie, impugnando l’inseparabile fiore
in una mano e la
chiave smeraldo nell’altra, zigzagando tra quei viticci
carbonizzati e bramosi
di stritolarla. Questa volta non si fece prendere dal panico e con
destrezza
sbloccò la serratura per chiuderla nuovamente, una volta
passata dall’altro
lato. E come prima questa si disintegrò, lasciando che una
polverina verde che
scivolò tra le sue dita. Si voltò, appoggiando le
spalle sempre all’assito ed
osservando il nuovo scenario. Davanti a lei il corridoio si biforcava
ai lati
di due gialle iridi ferini dalle pupille strettissime che la
osservavano
ossessivamente dal muro.
Spalancò
gli occhi per l’ennesima brutta sorpresa.
“Quando
finirà tutto questo?” si chiese Ib in preda ad un
rinnovato sconforto.
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
° Hide and
Seek°
Atto.4
“Giochiamo
a nascondino?”…
Gli occhi di gatto la
inchiodavano alla porta come gli insetti
immortalati nell’altra stanza. A Ib non piaceva lo sguardo
sinistro che le
rivolgeva, così si mosse senza perdere il contatto visivo
con quelle iridi
topazio. Entrò a precipizio nella sala
alla sua destra e appena varcata la soglia, si trovò
difronte a un labirinto di
pareti grigie.
“ Di
male in peggio” pensò tra sé e
sé, ma la parte peggiore doveva
ancora venire.
Si
avventurò nella stanza seguendo la parete alla sua destra e
raggiungendo ben presto la fine dove, sul muro, un grande quadro bianco
guardava
il circondario. “ IL TALENTO DELLO CHEF” recitava
la ormai classica e monotona targhetta
in ottone. In effetti, era il secondo, forse terzo quadro, da quando
era
approdata lì, in cui il nome anticipasse effettivamente
l’immagine dipinta: un
pesce adagiato su un tagliere che stava per essere sfilettato.
C’era qualcosa
che stonava, come una pausa mancante alla fine di uno spartito
musicale.
“
Cos’ha a che fare con il resto?” si chiese Ib,
costatando che si
trattava dell’unica opera esposta.
Pensò
a lungo, sperando vi fosse celato un indizio su come proseguire,
perché una cosa era certa, una volta entrati in una stanza
c’era qualcosa che
dovevi completare per ottenere una chiave. Questa era la regola che
aveva
imparato. Tuttavia nella sezione precedente gli insetti avevano un
senso poiché
bisognava prestare aiuto a una formica, però questo no.
Dunque, cosa voleva da
lei quel locale?
Apparentemente
sembrava arredato da un’accozzaglia di pareti senza
ordine né logica e chiunque l’avesse progettata di
per certo non voleva
semplificarle la vita. Si risolse che avrebbe aspettato che la
richiesta si
presentasse da sé, infatti, fu esattamente quello che
accadde poco dopo. La
ragazza si era preparata psicologicamente a qualsiasi cosa: da insetti
parlanti,
a palle di polvere danzanti su un filo da acrobata, ma non che il suo
aguzzino
andasse a scavare e inviasse un personaggio preso dai suoi incubi.
Così le si presentò
davanti all’improvviso una figura alta il triplo di lei,
magra come uno
stuzzicadenti e fatta della stessa consistenza impalpabile delle ombre
del
crepuscolo, con due aguzzi occhietti giallo paglierino simili a
stoppini accesi
di candele fluttuanti. Lui era quello che si nascondeva sotto il suo
letto o
nel suo armadio quando aveva nove anni, terrorizzandola prima di andare
a letto.
E tutto perché sua madre lo chiamava ogni volta che Ib
faceva i capricci per
addormentarsi.
“ Se non ti metti subito a
letto e fai la brava, viene l’uomo nero
che ti porta via!”
le diceva dopo la milionesima volta che le aveva
rimboccato invano le coperte, che prontamente scalciava in segno di
protesta. Tuttavia,
quando sentiva quella frase, era il segnale che era meglio arrendersi
senza
fare storie, perché ormai il danno era fatto e
l’uomo nero la aspettava
nascosto dietro l’anta socchiusa dell’armadio
difronte al suo lettino, invitato
dalla madre. “ Ecco da brava e adesso
è meglio se dormi perché lui ti guarda
e verrà a prenderti se rimani sveglia fino a tardi.” Aggiungeva
prima di augurarle
la buona notte e spegnere la luce. E chi avrebbe preso sonno in quel
momento?!
La piccola Ib però di stare al buio da sola, o meglio con
l’abitante del
guardaroba, non se ne parlava proprio, perciò svelta
accendeva la lucetta da
notte sul comodino. Poi un’ultima sbirciata allo spiraglio
sui suoi abiti e velocemente
si nascondeva sotto le coperte, tirandole fin sopra la testa e
ascoltando gli
scricchiolii che provenivano dalla casa e che, nel suo fervido
immaginario da
bambina, erano prodotti dal mostro per farle sapere che era
lì con lei. Per
questo la ragazzina ebbe un tuffo al cuore vedendolo. Possibile che
l’essere,
che nell’adolescenza aveva imparato a riconoscere come
favoletta per spaventare
i più piccoli, fosse vera?
L’uomo
d’ombra restava con le spalle curve e le braccia penzoloni,
tanto che le dita sfioravano il pavimento, a osservarla con la testa
inclinata
da una parte come un rapace curioso. Ib voleva scappare, lo voleva
davvero,
tuttavia le sue gambe non la pensavano allo stesso modo e presero
invece a
tremare. Boccheggiava come un pesce saltato fuori dalla boccia e alla
ricerca
d’acqua per respirare. Fu allora che la creatura si mosse,
schiacciando un
palmo sul pavimento per strisciarlo come se volesse cancellare
qualcosa. Invece
di eliminare qualcosa, vi comparvero delle scritte giallognole talmente
brillanti da fare male nella penombra in cui si trovavano.
“ Ciao
bambina, vuoi giocare con me?
”
esordì
sbattendo le sue
palpebre inconsistenti.
Non voleva
assolutamente avere nulla a che fare con quella creatura,
tantomeno giocarci insieme poiché non poteva uscirne nulla
di buono. Doveva
muoversi, allontanarsi di lì il più in fretta
possibile; gambe permettendo. Così
tentò di muoversi a ritroso, per provare se gli arti
inferiori l’avrebbero
sostenuta e, dopo un timido paso all’indietro di conferma che
la paralisi era
quasi passata, saettò verso la porta sotto lo sguardo
immutabile dell’ombra.
Poteva ancora salvarsi, bastava superare la soglia e serrarla, che
l’essere non
avrebbe più potuto seguirla; o almeno così
credeva ed era anche ad un passo dal
riuscirci, quando la porta girò volontariamente sui cardini
chiudendosi per
sempre. L’ultima cosa che Ib vide della sua salvezza furono
gli occhi ferini
socchiudersi derisori, prima che si schiantasse contro
l’uscio, incapace di
arrestare la corsa.
“
Apriti dannata, apriti!” strillo mentalmente, mentre i pugni
si
abbattevano violenti sulle decorazioni geometriche del battente.
Ciò nonostante,
di schiudersi non ci pensava minimamente e la ragazza
artigliò il legno, piena
di frustrazione e paura.
Cosa le sarebbe
successo ora? Era costretta a giocare ad un gioco dalle
regolo sconosciute e forse pericolose.
Una luce
giallastra riflessa sull’assito, anticipò la
presenza dello
spiacevole inquilino. Ib si girò lentamente, mentre
l’essere si ricompattava
come fumo espirato.
“
Giochiamo a nascondino?”
scrisse di nuovo
il
mostro ripetendo lo stesso gesto.
La giovane
inghiottì a vuoto. “ Per favore, per favore
… no!” implorò a
sé stessa, ma non vi era via di scampo e dovette assentire,
ricacciando
indietro nuove lacrime.
L’uomo
nero strinse gli occhi per la contentezza di avere una nuova
compagna di giochi, ed in baleno svanì come la foschia,
diradandosi in una
nuvola nera. Nello stesso istante i muri tremolarono ed assunsero uno
schema
ben preciso, rivelando dei pesanti tendaggi posti ad intervalli
rigorosamente
misurati.
Ib rassegnata
all’inevitabile, si fermò davanti al primo
tendaggio di
pesante velluto rosso, talmente lungo da raccogliersi sul pavimento in
tante
pieghe. A un lato, poi, era posta una corda sfrangiata. Prima di
toccare
qualsiasi cosa però, voleva farsi un’idea di cosa
la aspettasse. Ad ogni modo
l’intera sala era sempre uguale, per cui ancora una volta
doveva affidarsi al
caso. Tirò il primo cordone con violenza giusto per
sfogarsi, sperando non vi
fossero altre sorprese. I lembi si separarono lasciando scoperta una
tela
completamente bianca. Non vi era disegnato nulla, era una tavola
completamente
vuota, perciò doveva trovare un immagine precisa?
“ Basta
trovare il disegno dell’uomo nero?” si chiese
osservando gli
innumerevoli tendaggi tutt’intorno, ci sarebbero volute ore
prima di scovarlo,
vista la grandezza dell’ambiente. Purtroppo però
era una cosa da fare per
proseguire, perciò iniziò a tirare tutti i
tendaggi a caso. Passò una buona ora
senza trovare nulla e Ib si sentiva leggermente stanca; non sembrava ma
la
corda era abbastanza pesante da tirare, specialmente per uno scricciolo
come
lei e mancava più di metà sala. Una nebbiolina
nera sgusciò fuori da un
tendaggio in fondo alla sezione dov’era e
s’insinuò sotto un altro.
“
Brutto imbroglione! Così ti sposti, ecco perché
non ti trovo, ma
giustamente a te non danno una punizione” inveì la
giovane in silenzio. Valutò
l’idea di smascherarlo a voce, ma sicuramente questo non
avrebbe decretato la
sua vittoria, per ciò a passettini leggeri raggiunse il
punto esatto in cui aveva
visto nascondersi l’ombra. Disgraziatamente, ancor prima che
mettesse mano alla
fune, la fuliggine scappò in un altro corridoio.
Così iniziò una caccia
frenetica.
La giovane ci
metteva tutto il suo impegno per coglierlo nella giusta
tela, eppure ogni volta riusciva a sfuggirle. Più che
nascondino, il gioco si
era tramutato in acchiapparello, dove il suo avversario non aveva
solidità. Ma
chi dura la vince, e finalmente con uno scatto misto ad una buona dose
di
fortuna, riuscì ad inchiodarlo alla tela. Si trattava di un
minuscolo omino
stilizzato che imbrattava la stoffa. Visto così non faceva
più tanta paura, per
questo trovò il coraggio di parlargli.<<
Finalmente non mi scappi più! Ho
vinto. Adesso mi lascerai andare?>> esultò
trionfante e sfidando lo
scarabocchio con uno sguardo risoluto.
L’omino
ammiccò, evaporando per riprendere le sue fattezze. Ib
dovette
rimangiarsi le considerazioni sulla sua innocuità.
“ Mi hai
trovato, meriti un premio… ” scrisse con
le sue strambe lettere abbaglianti
senza però risponderle; anzi indicò il fondo
della sala dove era appeso il
quadro dello chef con il braccio scheletrico come un ramoscello in
inverno.
“ Ma solo
se non ti prendo prima io”
aggiunse maligno
alla
fine, schiudendo un ghigno malvagio irto di denti aguzzi dello stesso
colore
degli occhi. Gli arti anteriori a quel punto si trasformassero in scuri
conficcandosi pesantemente nel pavimento. L’audacia
abbandonò definitivamente Ib
ed il cuore prese a battere all’impazzata. Quel mostro voleva
proprio lei! Ma non
aveva vinto e pertanto non doveva liberarla? Il suo istinto di
sopravvivenza si
attivò immediatamente, prese a correre
all’impazzata cercando di mettere più
distanza tra sé e l’inseguitore, ma non appena
svoltò bruscamente a sinistra
per schivare una parete, lo ritrovò esattamente difronte a
sé. La giovane voleva
urlare, ma il grido le morì tra le labbra, tramutandosi in
un soffio insonoro.
Come poteva eludere un essere fatto di … nulla e che quindi
poteva
materializzarsi ovunque a suo piacimento. Ritentò di nuovo
andando nell’altra
direzione, ma ottenne lo stesso risultato. Con la velocità
non poteva batterlo,
doveva giocarsela in modo diverso, usando l’astuzia,
altrimenti non avrebbe più
abbandonato quel luogo. Si chiese come mai in ogni stanza dovesse
essere una
trappola. Girò sui tacchi e ripercorse i suoi stessi passi
per tornare al
corridoio precedente e nascondersi immediatamente dietro una tenda,
tenendola
leggermente discostata per non rivelare la sua figura. Si
accovacciò a terra,
aspettando che l’essere passasse oltre, sentendo avvicinarsi
sempre più l’eco
delle punte aguzze, che si piantavano nel suolo, finché
l’uomo nero non arrivò
esattamente dove si trovava. Piantò uno delle sue
estremità, esattamente ad una
spanna sopra la sua testa, squarciando parte della tenda. Ib
portò una mano
alla bocca per soffocare un urlo e strinse talmente forti gli occhi che
iniziarono a lacrimare. Non aveva idea se l’essere potesse
udirla per cui, a
scanso di equivoci, pensò fosse meglio non provarci,
adottando tutte le misure
per rendersi invisibile. Il mostro iniziò a far scorrere il
suo artiglio nel
muro, aprendolo come se fosse burro e destinando la stessa fine anche
al
tessuto.
“ Ti
prego, ti prego, ti prego,
fa che non strappi la tenda!” pregò a
più non posso. Ciò nonostante,
come si sa, al peggio non c’è mai fine ed infatti,
poco a poco le fibre vennero
stracciate lasciando sul pavimento il pesante tessuto. Fu soltanto una
questione di buona sorte che il mostro fosse girato di spalle, e
grazie alla prontezza di riflessi della
ragazza, che ella riuscì a nascondersi sotto un altro
drappeggio, cercando di
essere il più silenziosa possibile. Anche quando il campo fu
libero, la giovane
non volle muoversi. Era terrorizzata, ma non poteva assolutamente
restare
ferma, tempo pochi attimi e l’avrebbe trovata di sicuro,
perciò si costrinse a
muoversi in direzione opposta seppur tremando come una foglia. Era
necessario
raggiungere il quadro o la porta? Una rapida riflessione sulla
situazione le
suggerì la meno ovvia, ovvero il quadro; inoltre era stato
lo stesso essere a
darle il suggerimento precedentemente. Aveva una paura folle. Se quel
“coso”
l’avesse acciuffata, sarebbe stata davvero la sua fine. Quasi
quasi rimpiangeva
la donna dai capelli neri, almeno con lei aveva avuto qualche chance di
salvarsi, qui invece doveva giocarsela, pregando la sua buona stella
come in
una roulette russa.
Perciò
avanzò usando come rifugio ogni tenda ed angolo riparato dal
momento che i ruoli si erano invertiti, giungendo così a
pochi metri dal
traguardo. Dalla sua postazione nascosta poteva vedere benissimo il
dipinto che
però sembrava assolutamente diverso da come lo ricordasse.
Infatti, lo chef
aveva calato il suo coltello decapitando il povero pesce, ma della
testa non vi
era traccia, era letteralmente scomparsa. “ Ci manca solo che
debba cercagli la
testa” pensò la giovane con amara ironia.
“
Aspetta, cosa c’è sul pavimento?”,
dovette costatare. Difatti la sua
attenzione era stata calamitata da un oggetto argentato sul pavimento,
giusto
sotto il quadro. A guardarlo meglio sembrava… sì,
sembrava proprio la testa del
pesce. Che si trattasse della sua ricompensa. Si chiese se non fosse
accaduta
la stessa cosa che aveva visto nella galleria e con il quadro della
donna in
bianco. Stare lì impalata a porsi domande
all’infinito era rischioso, doveva
agire e subito perché l’essere nero si stava
spazientendo di non riuscire a
trovare la sua preda.
“ Ok
Ib, tranquilla, puoi farcela. Sono solo pochi metri, con uno
scatto la raggiungi sicuro. Dai Ib!” si incitò
mentalmente e dopo l’ennesimo
respiro profondo, lasciò il suo riparo.
Corse come mai
nella sua vita, senza voltarsi indietro, chiedendo alle
sue gambe uno sforzo disumano, ad ogni modo il suo corpo le rispose
prontamente.
L’ominide fumoso avvertì subito i passi della
ragazza e le fu addosso in un
baleno, infilzando i poveri muri con le sue lame e sfregiandone molti
altri.
Ib si
lanciò a peso morto sulla testa del pesce, mentre la scure
dell’uomo
nero le sibilava a un soffio dal cranio. Le sue mani, però,
furono più veloci,
richiudendosi avide sul bottino e immediatamente l’essere
evaporò in una
pioggia di gocce nere come la pece. Anche in quest’occasione
la rosa, che la
giovane aveva infilato tra le asole della camicetta, perse un altro
petalo
avvizzito. Non aspettò di riprendere fiato, si
catapultò verso la porta, che
aperta, cedette sotto il suo assalto, e la oltrepassò grata
della fine
dell’ennesimo incubo.
Gli occhi felini
la aspettavano colmi di scherno, ma non appena videro
la testa mozzata dell’ittiopside, si fecero brillanti e
attenti per la golosità
suscitata da quella leccornia.
“
È il pesce che vuoi?” pensò stremata e
piena di astio. << Sto
facendo tutto questo per te, brutto faccia da muro>>
sbottò, contro
l’unica cosa che di certo non poteva saltarle addosso,
mostrandole il bottino.
Di solito Ib non era così irosa o istigatrice ma, trovarsi
sempre sotto stress e
in uno stato di lotta/fuga, stava mettendo la stabilità
mentale oltre all’autocontrollo,
a dura prova.
Sull’altro
capo
del corridoio, a destra, l’ennesimo uscio immise in quello
che aveva tutta
l’aria di un ripostiglio o magazzino pieno di oggetti
inutilizzati. C’erano
manichini accantonati in un angolo, alte pile di scatoloni da una parte
e più
in là a una fila di teste di gesso dall’altezza di
un uomo. Probabilmente
l’altra parte del pesce doveva trovarsi tra quegli scatoloni
impilati o dietro
ad uno di quei mezzi-busti di profilo. Per lo meno stavolta sembrava
una
ricerca abbastanza semplice, costatò rassicurata. Decise
allora di ispezionare
il locale partendo dal fondo, anche se la cosa non si prospettava tanto
piacevole, con quelle luci sfarfallanti e psichedeliche.
Notò solo allora, tra
un flash di luce artificiale e l’altro, una gigantografia
della scultura a
forma di rosa osservata alla galleria.
“
Questo adesso
che significa?” disse sbigottita tra sé e
sé. Proprio quando aveva deciso di
non pensare ad una possibile connessione tra quel labirinto infernale e
la
mostra di Guertena, qualcuno decideva di turbare la voluta
inconsapevolezza dei
fatti. “ non devo cedere a questi trucchetti”. Si
era ormai convinta che vi
fosse qualcuno dietro a tutto ciò, altrimenti non si sarebbe
spiegata i
biglietti e le numerose scritte apparse qua e là, e che
questo qualcuno volesse
farle prendere uno spavento, sebbene il motivo le sfuggisse. Forse, la
ragazzina aveva intuito solo in parte la verità o forse no,
c’erano ancora
troppi tasselli mancanti del puzzle da rintracciare, per avere un
quadro
decente o solo un’idea plausibile. Ad ogni modo la giovane
decise di procedere
nel suo piano, preferendo muoversi e tenersi impegnata, piuttosto che
stare
ferma ed aspettare che qualcos’altro di spiacevole si
verificasse. Purtroppo
non doveva stare attenta solo alle cose, ma anche a dove metteva i
piedi,
poiché una spaccatura nel pavimento per poco non la fece
ruzzolare a terra e
sbattere la faccia. Incespicò, ma alla fine
riuscì a rialzarsi indenne,
maldicendo il difetto edile. A un capo della stanzetta trovò
finalmente una
cosa nota, un vaso della stessa fattura e identico a quello in cui
aveva
trovato la sua rosa, pieno fino all’orlo di acqua
cristallina. Prima che
potesse chiedersi il motivo di tutto ciò, la medesima voce
che l’aveva guidata
al fiore comparve di nuovo tra i suoi pensieri.
‘Ib, fanne buon uso,
ti aiuterà’
<< Chi sei?
Perché mi aiuti? Per favore rispondimi o
impazzirò>> chiese supplice la
ragazza al nulla tremolante della stanzetta. L’essere
impalpabile si era
dileguato per l’ennesima volta. Sospirò sconfitta,
senza altro indizio se non fare
quello che le era stato consigliato. Ipotizzò quindi, che
quello affidatole
come indizio, si riferisse alla rosa scarlatta che teneva saldamente in
mano,
perciò lasciò che quell’acqua azzurrina
ne lambisse il gambo. In un batter
d’occhio il bocciolo assorbì tutto il liquido
rigenerando i petali perduti, che
solo in quel momento Ib si accorse essere mancanti. Poi come era
successo
precedentemente, il coccio si ruppe.
Curiosamente
si sentì molto più in forze, come dopo una pausa
da un gravoso sforzo. Capì
allora le parole che l’essere etereo le aveva rivolto in
precedenza sul fatto
che lei e la pianticella che trasportava fossero la stessa
entità. Doveva
prendersi molta più cura di quel prezioso regalo che adesso
assumeva connotati più
seri, ne andava della sua stessa salute.
Nonostante tutta
la stanza fosse tranquilla e silenziosa, non era prudente abbassare
così tanto
la guardia, poiché gli spaventi non vengono mai soli e
così, mentre riprendeva
a rovistare nei cartoni, alla ricerca di una coda squamosa, e persa fra
i suoi
pensieri sull’evento straordinario appena visto, una delle
teste si mosse dal
gruppo. Avanzò piano una manciata di centimetri alla volta
con gli occhi
iniettati di un rosso cupo, tuttavia fermandosi ad ogni movimento
dell’intrusa.
Sembrava volesse giocare ad uno, due, tre, stella! E sorprenderla
ancora
affaccendata nella ricerca.
Nei primi
scatoloni Ib, trovò solo un mucchio di tavolozze sporche
abbinate a manciate di
tubetti secchi e nessuna coda di legno, quando un rumore graffiante,
come qualcosa
che venga trascinato sul pavimento, la strappò dalle sue
ipotesi, facendole rizzare
i capelli sulla nuca.
“Basta, ti prego!
… non ne posso più!!” stava per
arrivare al limite, i suoi nervi erano talmente
tesi da rischiare di spezzarsi come foglie secche, vanificando il lieve
beneficio apportato dal vaso..
Fortunatamente
non a tutti i partecipanti “non umani” di quel
gioco, le brutte sorprese
andavano bene ed la stessa crepa sul pavimento, lo fece capitombolare.
Crash!
Ib si porto di
scatto le mani alle tempie credendosi ormai spacciata. Dopo un
po’ però si
voltò, non sentendo più nessun rumore e con il
cuore che batteva all’impazzata,
per poco non rischiò di finire in uno degli scatoloni alle
sue spalle. La testa
di gesso si era aperta in due come un cocomero troppo maturo, e dalla
sua
calotta cranica vuota, era saltato fuori il pezzo mancante della
chiave.
Lo raccolse in
tutta furia, senza accertarsi se la statua fosse ancora
“viva” o meno. Mentre
una domanda inevitabile le affollava i pensieri, “ Se non
fosse caduta cosa
sarebbe successo?”. Basta doveva lasciare quel dannato posto
e alla svelta, ne
andava della sua salute non solo mentale. Per cui una volta arrivata
nel
corridoio, assemblò il pesce di legno per poi mostrarlo
all’avido gatto guardiano.
In un batter d’occhio una lingua ruvida e spinosa
fuoriuscì dal muro,
arrotolandosi sulla mano della ragazzina. Era calda e viscida, come una
vera
lingua di un essere vivente, e le grattò l’arto
prima di ritirarsi da dove era
arrivata portando con sé la sua chiave pranzo. I gatti non
le erano mai
piaciuti molto, erano esseri egoisti che ti si avvicinavano solo per
ottenere
qualcosa poi se ne andavano rapidamente come erano venuti. Per questo
guardò
con diffidenza tutte le mosse del felino, con un moto di disgusto
quando la
lingua le cinse il polso.
Il pavimento
prese a tremare, squassando tutto il locale e, con un acuto miagolio,
la parete
si spezzo in due lasciando intravedere una lunga passerella verso un
nuovo
locale. Il micio era stato tranciato a metà, dividendo il
suo muso in strappi
slabbrati e sanguinolenti. Con i conati di vomito che le occludevano la
gola,
Ib si affrettò ad attraversare il varco, badando bene e non
soffermarsi sulle
pozze scarlatte che andavano formandosi alla base del muro, mentre un
olezzo
ferroso riempiva l’aria. Stavolta non poteva sbagliarsi, non
era semplice
tempera rossa. Perciò affrettò il passo, temendo
anche che potesse chiudersi e
lasciarla indietro da un momento all’altro; infatti, fece
appena in tempo a
uscirvi che la parete ritornò nuovamente compatta senza
lasciare alcuna traccia
del passaggio, del sangue o degli strappi, tornando semplicemente di un
monotono color sabbia.
<<
Che…>>
cercò di dire, ma l’inquietudine le
strappò il fiato. Davanti a lei si stendeva
una distesa interminabile di bambole che pendevano dal soffitto in pose
scomposte e macabre; alcune erano addirittura ad altezza
d’occhio e la
fissavano con lo sguardo vitreo e inanimato. Erano tanto realistiche
che soltanto
la loro vista, bastò a farle venire i brividi, per non
parlare del disagio che
provava, sapendo che avrebbe dovuto attraversarla; poteva benissimo
essere
scambiata per una sadica camera mortuaria.
Fortunatamente
toccò
qualcosa con la punta della scarpa e questo la distolse momentaneamente
dalla
macabra vista. Sul pavimento c’era una lettera bianca con
solo poche parole
leggibili su tutte le righe scritte a matita: “ …
Proprio quello che hai
dimenticato … Ib...”. Il resto del testo
era stato malamente cancellato.
Cosa ci faceva
una lettera in un posto simile, ma soprattutto perché il suo
nome era scritto anche
lì? Che cosa aveva dimenticato, ma soprattutto chi aveva
scritto una cosa
simile?!
La ragazza era
notevolmente
turbata.
“ Come
fa a
sapere anche questo?” si chiese piena di sgomento, rievocando
la sensazione che
vi fosse qualcosa di importante che le stesse sfuggendo da quando si
era
svegliata in quella galleria ammantata di ombre. Indagò
più a fondo la
scrittura, sperando di trovarvi qualche indizio in più; non
era quella
infantile che aveva trovato sui fogliettini gialli, poiché
presentava dei
tratti più marcati e lineari, nel complesso era una grafia
complessa, non opera
di un bambino. Per questo si chiese nuovamente quante persone fossero
coinvolte
in tutta quella serie di eventi, ciò nondimeno:
Perché lei. Che cosa volevano
da una ragazzina, un riscatto o cos’altro?! Cosa?! Aveva i
nervi a pezzi.
Sembrava lo facessero apposta a confonderla, mandarle degli indizi
discordi,
lasciarla in balia di mostri e allucinazioni macabre. Volevano
sfinirla, perché
più lei cercava di stare calma, più avvenivano
episodi che minavano il suo
raziocinio. Infatti, Ib era sempre stata una ragazzina abituata a
ragionare sui
problemi e trovarvi una soluzione, consuetudine presa dal metodo
educativo dei
suoi genitori, tuttavia quello che le stava capitando era fuori dal su
controllo, e più si arrovellava nel trovare dati mancanti
nello schema di cui
faceva parte, più aumentava la sua angoscia e disperazione.
E se
fosse stato
tutta un’azione premeditata del suo aguzzino per confonderla
e spingerla sempre
di più all’interno di quel gioco malato? In questo
modo, con il suo
atteggiamento spaurito, stava assecondando i piani di questo
fantomatico mastro
di fili, che stava intessendo anticipatamente le sue azioni future.
L’assurdità
dei
suoi stessi pensieri la fece rinsavire da quelle ipotesi astruse che
affollavano come trottole impazzite la sua mente. Doveva focalizzarsi
sul suo
obbiettivo: proseguire per scoprire la verità di quanto
stava accadendo, senza
farsi distrarre dai giochi mentali che l’allestitore della
sala aveva disposto
per metterla in crisi. Decise di ignorare perciò le bambole
che pendevano
macabre dal soffitto e seguire gli indizi che la vernice gialla aveva
inciso
sul muro.
“
I numeri aprono la via”.
Un nuovo
indovinello significava una nuova brutta sorpresa; perciò,
con l’angoscia nel
cuore, Ib si costrinse ad avanzare nel cimitero sospeso.
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
° Ti
Diverti? °
Atto.5
“Nella
sala dei Bugiardi”…
“solo
il verde dice la verità”
Le ultime ore erano
state un vero inferno per Ib,
un susseguirsi di scene terribili, fughe e battito cardiaco accelerato
degno di un cardiopatico, tanto
che alla fine per lo stordimento, non aveva capito per quale
misericordiosa grazia divina era
finita lì né, e di certo non le importava il
perché, per il momento era al
sicuro tra quegli scaffali e tanto le bastava.
La partenza di quel film horror vissuto a velocità
10x, era stata la foresta delle bambole sospese. Sebbene tutto non era
iniziato con
scene da cardio palma, ma c’era voluto del tempo, una sadica
messinscena
dell’organizzatore affinché la ragazza si
abituasse prima dell’alzarsi del vero
sipario. Per questo la scoperta dei primi due numeri era stata fin
troppo
semplice: uno in un quadro completamente bianco, dove c’era
voluto un po’ per
distinguere la macchiolina grigiastra dallo sfondo, poi quello stampato
sulla
maglietta di una delle bambole, cadute dal soffitto. Il manichino le
era
cascato esattamente difronte con gli occhi vitrei rivoltati
all’indietro in una
posa scomposta, facendole venire un colpo,
il primo di una lunga serie di spaventi. L’unico
locale non ancora
esplorato era stato un atrio chiassoso, anticipato da una targhetta
luccicante
come un’insegna al neon: “ La sala dei
Bugiardi”. Il nome ne aveva già annunciato
il tema, eppure l’invitante chiacchiericcio la convinse a
sorpassare l’arco
murario. Aveva una voglia insopprimibile di sentire delle voci, di
qualsiasi natura
esse fossero, prima che il silenzio la facesse impazzire del tutto.
Sei quadri in fila e divisi in due gruppi da tre
ai lati di una porta, avevano smesso immediatamente di cianciare per
voltarsi
con le loro teste bidimensionali verso la nuova arrivata.
<< Avete visto?! C’è un
ospite.>> aveva
detto un immagine maschile dalla maglietta verde.
<< Ti sei persa?>> aveva chiesto un
altro in giallo osservandola con occhi inesistenti, inghiottiti dal
nero che
gli caratterizzava la pelle.
<< Ma che peccato!>> aveva
sghignazzato un terzo in canotta blu, <<
Perché non ti unisci a noi
allora?>>
Ib aveva declinato il più cortesemente possibile, evitando
che la tensione le rendesse difficile qualsiasi forma di gentilezza.
Inoltre
era bene concedere meno confidenze possibili, perché sei
quadri che volevano
tenerla lì, non era stato di certo un bel presagio.
<< Vi ringrazio, ma devo trovare un numero
per aprire la porta in fondo al corridoio>> aveva detto
in fine, scegliendo
la verità. Non valeva la pena mentire e non aveva potuto
escludere che loro non
ne sapessero nulla.
<< Numero? Nascondiamo un numero?>>
<< Dove?!>>
<< C’era una porta e non lo
sapevamo?>>
Le chiacchiere si erano sovrapposte in uno
schiamazzo indefinito e irritante, finché una donna in
bianco non aveva detto
qualcosa di interessante, superando la cacofonia.
<< Allora devi per forza partecipare al
nostro gioco! Cercavamo di stabilire chi di noi sa mentire. Sai ci
hanno dato
delle indicazioni per la sala alle nostre spalle, dicendoci che solo
una serie
di passi sono esatti per trovare un tesoro. Così, visto che
noi non possiamo
muoverci, tu puoi aiutarci a scoprire chi dice il vero e smascherarlo.
Magari
il tesoro è proprio il numero che cerchi. Allora?! Che ne
dici affare
fatto?>>.
Ib, che non era una ragazzina sbadata, aveva
notato immediatamente la frase: “ ci hanno detto”,
e questo verbo al plurale
implicava che qualcosa o qualcuno li aveva messi lì e
istruiti su quello che
dovevano fare. “ perciò è vero che
qualcuno ne è l’autore” aveva pensato,
ma
non si era limitata solo a questo, aveva
trasformato i suoi pensieri in accurate parole capaci di ottenere
informazioni.
Purtroppo non era riuscita a cavare un ragno dal buco, anzi, era
riuscita solo
a far ricominciare il frastuono; al ché si era vista
costretta ad accettare,
non avendo nessun’alternativa o idea. Così uno per
volta le sagome in nero avevano
detto ciò che era stato loro riportato e alla fine Ib si
ritrovò con tre
individui che avevano insultato gli altri o li avevano indicati come
potenziali
sinceri, mentre solo la donna in marrone, quella in bianco e il tipo in
verde,
avevano dato veri e propri indizi. Uno aveva dichiarato la
verità, mentre gli
altri avevano mentito. A chi credere? Aveva più del sessanta
per cento di
possibilità d'errore e solo il trenta percento di successo,
come fare? Si era
chiesta per un minuto interminabile cosa sarebbe successo in caso di
fallimento
e quale sarebbe stato il prezzo da pagare, perché con
l’uomo nero se l’era
vista brutta, dunque non era da escludere che le sarebbe potuta
capitare una
sorte simile. E se fosse morta? Che cosa
sarebbe successo in
quell’istante: si sarebbe ritrovata alla galleria o sarebbe
finito tutto per
sempre?Non valeva la pena di scoprirlo con una
puntata
così alta, e come il migliore giocatore di poker, decise di
vedere lo sviluppo
degli eventi e studiare gli avversari come le aveva insegnato suo padre
nei
pomeriggi in cui si esercitava per la partita mensile con gli amici.
Non
scommettevano soldi, perché la moglie non
gliel’avrebbe permesso, ma poteva
concedersi di puntare una birra o un sigaro della collezione del nonno
che
nessuno toccava. Quante cose le avevano insegnato i suoi genitori e che
ora le
tornavano utili, soprattutto l’avevano istruita ad usare il
cervello, strumento
dato in dotazione alla nascita, ma di cui pochi sapessero la vera
funzione.
Già, i suoi genitori, chi sapeva dove si trovavano
in quei momenti e se la stessero cercando in preda alla preoccupazione
più
nera. Oppure erano finiti anche loro in un posto simile?
Accantonò i pensieri
per un momento più adatto, quando da sola senza pressioni
imminenti, avrebbe potuto
rammaricarsi quanto voleva in un angolino buio e possibilmente al
sicuro. Non pensando
a loro, altrimenti l’angoscia e la tristezza le avrebbero
impedito di andare
avanti, aveva messo in moto i neuroni ricordando le parole
apparentemente
inutili degli altri raffigurati.
Alla fine
dopo un’attenta analisi, e presupponendo che tutti mentivano,
scelse di
affidarsi alle parole della donna marrone: “ Stai davanti
alla statua, fai
quattro passi a est e poi due a nord. Ecco la risposta! ” e
seguite alla
lettera, aveva finalmente trovato quello che stava cercando, un quattro
inciso
dietro una mattonella del pavimento.
Mentre aveva contato mentalmente le mosse che
doveva eseguire, si era talmente concentrata che non si era resa conto
dei
suoni leggeri di sottofondo: strappi, risolini, un grido soffocato e
poi solo
il ticchettio di una rara goccia, come se un rubinetto non potesse
essere
chiuso del tutto. Perciò il suo sconcerto era stato
agghiacciante, nel momento in
cui era tornata trionfante difronte alle sei immagini. Il sorrisetto
compiaciuto le era svanito dalle labbra come i semi di un dente di
leone
attaccati dalla brezza, poi era subentrato l’orrore per le
risate degli ultimi
cinque rimasti. Infatti, la donna che l’aveva inconsciamente
aiutata, era stata
ridotta a un cumulo di brandelli attaccati tra loro da qualche filo
superstite,
mentre una scarlatta cascata morente imbrattava i piedi del muro. Non
la
cornice, non i superstiti e nemmeno le pareti erano state risparmiate
dalle dita
cremisi, che avevano lasciato schizzi, spruzzi e mezzelune create da un
insieme
eterogeneo di chiazze, ma la cosa peggiore erano stati i restanti
quadri, tutti
macchiati di rosso e con un arma in pugno.
<< A Morte il vero traditore!>>
urlavano nella loro distorta e malata visione della realtà.
Tuttavia la cosa che aveva turbato Ib nel profondo
era stata che, nonostante i presenti avessero le facce imbrattate e i
vestiti
zuppi, questi continuassero a ridere e sghignazzare come se non fosse
mai
accaduta una cosa più divertente.
Non si chiese perché l’avessero fatto, forse non
c’era nemmeno una ragione, ma si domandò,
“ Perché ridono?! ”, arretrando
sconvolta dai loro sorrisi bianchi e dai visi chiazzati di rosso.
Perché per
Ib, in quel momento, era più facile chiedersi come mai
avvenisse un atto tanto
semplice, piuttosto del motivo per cui avevano sbrindellato un loro
compagno.
Che motivo avrebbero avuto per farlo? Solo il fatto che aveva detto
qualcosa
diverso da loro? Un motivo probabilmente non c’era stato,
perché lì erano tutti
irrimediabilmente pazzi e forse anche lei si era messa sulla buona
strada.
Il resto era successo molto in fretta, al ritmo frenetico
di un rientro a casa nell’orario di punta, quando non si
vedeva l’ora di
lasciare tutto alle spalle e dire che era finalmente finita, anche se
per la
ragazza la “fine” era una meta mooooolto lontana.
Aveva impiegato qualche secondo per staccare gli
occhi da quel delirio rosso, argento scintillante e giallo delle
pareti, ed era
corsa a sbloccare la porta protetta dalla password. Nella nuova
stanzette
quadrata aveva trovato una mela di legno, l’unica cosa che
potesse essere
portata via per saziare una bocca famelica che le aveva chiesto
insistentemente
e ossessivamente del cibo da quando l’aveva notata in un
angolo della foresta
di bambole: “ Fame … dammi cibo. Quello cibo
… Dammelo! ”. Poi le fauci, una
volta assaggiato il finto frutto, si erano spalancate simili, ma non
troppo, a
quelle del gatto-parete, schiudendo un tunnel nero quanto una notte
senza luna.
Aveva Potuto entrarci, senza rischiare? No.
Aveva avuto altre possibilità valide e più
sicure? No. Quindi
la scelta era stata una sola, andare.
L’ennesimo lungo e interminabile corridoio di cui
la fine era sconosciuta a causa della fitta coltre di ombre dovute alla
poca
illuminazione e negli angoli erano così fitte che Ib,
nonostante si fosse
abituata ormai da tempo a quella scarsa quantità di luce,
aveva fatto lo stesso
fatica a distinguerne i dettagli, tranne per i primi tre poster
attaccati alle
pareti raffiguranti l’ascensione di una lama da ghigliottina.
Quello era stato il momento più terrificante di
tutti almeno fino a quel punto siccome, cosa poteva indicare una scure
che si
solleva una dozzina di centimetri alla volta?
La ragazza sapeva che dopo ogni salita, c’era
sempre una discesa, ma il nodo del problema era stato il
“quando”; in quale momento
avrebbe scelto di calare, sarebbe stato il fattore decisivo tra la sua
condanna
o una miracolosa fuga, e probabilmente, con le cattive, avrebbe trovato
la
risposta almeno a una delle sue domande: “Che fine
farò? ”
Il fattore che le mise più angoscia non era stata
la consapevolezza di
cosa la aspettasse
un passo più in là, ma era sapere esattamente
cosa sarebbe successo, e non aver
modo di prevederlo, nemmeno intuirlo, se non un millesimo di secondo
prima
dell’inevitabile. Per lo meno, l’ignoto le avrebbe
dato il vantaggio di poter
ancora sperare che il peggio le sarebbe passato accanto senza nemmeno
sfiorala,
proseguendo per la sua strada, invece Ib non aveva avuto nemmeno
quello, perciò
si era preparata come meglio aveva poteva e aveva affinati i sensi fino
allo
spasmo.
Se prima aveva giocato a nascondino e
acchiapparello, quella volta aveva giocato a guardie e ladri, dove il
colpevole
se catturato non avrebbe visto la prigione, ma un’esecuzione
sul posto. Così
passo dopo passo, piede davanti a piede, era avanzata con cautela come
un
topolino circondato da trappole a molla, laddove un passo falso avrebbe
condannato il roditore. La ragazzina aveva provato le medesime
sensazioni di
quel topolino: terrorizzata, guardinga e tremendamente titubante,
nonostante vi
fosse un’unica strada da seguire, scandita dai fotogrammi
della scure che
saliva sempre di più, fino al penultimo poster, dove la lama
era sparita oltre
le tenebre annidate sul soffitto.
“ Correre o aspettare?” aveva ponderato con il
cuore a mille ed i peli della nuca ritti per la paura, mentre era
rimasta
immobile ed ancorata al muro alla sua sinistra. Le era sembrato
più logico e
sicuro tenersi vicino ai poster, piuttosto che procedere lungo
l’altro capo del
corridoio, osservando poi lo spazio di appena sei metri quadrati che
l’avevano
separata dallo squarcio nero a strapiombo verso il basso, probabilmente
una
scala.
Dopo minuti lunghi ere, si era azzardata a fare un
passettino in avanti, per vedere oltre il bordo tagliente del primo
gradino
della rampa, segnando l’inizio della prospettata scena
finale.
Le ci era voluto un millesimo di secondo per
guardare in alto da dove era giunto un sibilo sinistro e, la ragazza
topolino era
diventata una lepre e il taglio affilato della lama, largo quanto il
passaggio
al piano di sotto, era diventato i fari abbaglianti di un camion. Ferma
come sempre accade
difronte a un pericolo
improvviso, era riuscita solo a guardare la lama che in frazioni di
secondo aveva
macinato ingorda manciate di centimetri. Era certa che avrebbe dovuto
far
correre i suoi impulsi nervosi più velocemente di quello che
le stava sopra la
testa, ma per quanto ci avesse provato, il suo corpo non le aveva
risposto,
come se si fosse ormai arreso al finale. Era stato impossibile dire se
era
intervenuto l’istinto primordiale di autoconservazione o
l’aiuto di uno
sconosciuto che l’aveva spinta nella direzione da prendere,
fatto stava che aveva
superato il primo gradino cadendo di peso, quando tutta la mole ferrosa
dell’arnese
si era conficcata pesantemente nel pavimento del pianerottolo, seguito
da un
botto simile a una detonazione, mentre lei era rotolava e aveva
sbattuto contro
tutti gli spigoli nella folle discesa.
Si era ripresa poi, quel tanto da capire dove
fosse e cosa fosse successo, in seguito si precipitata a controllare la
rosa
nella tasca, notando che aveva perso più della
metà della corolla. Si era
rassegnata e con sforzo sovrumano si era tirata su con il corpo
dolorante.
Purtroppo per Ib non era finita lì, poiché
un’ombra impazzita, correndo al capo
opposto del corridoio, le aveva fatto balzare il cuore contro la cassa
toracica,
con la paura folle che il misterioso regista di tutto si fosse
finalmente
deciso a venirle incontro. Invece l’ombra non si era fatta
più vedere e non
potendo che proseguire, era finita in una saletta nascosta, rischiando
un attacco
di panico per l’unico quadro appeso, intitolato
“CHE RUBA L’ANIMA”. Forse era
stato il quadro più inquietante che avesse visto,
perché rappresentava delle
ombre infantili dagli occhi rossi infossati rivolti verso lo
spettatore, raccolte
sotto un albero sfiorito scosso dal vento di tempesta. Si era data
immediatamente alla fuga, ma non era più riuscita a trovare
la porta,
mimetizzatasi con l’intonaco dello stesso colore scurissimo,
mentre suoni
raccapriccianti e canzoncine infantili avevano cercato di attirarla
verso la
tela. Non si era voltata nemmeno una volta a controllare cosa era
successo alle
sue spalle, continuando nella disperata ricerca del pomello. Poi una
volta
uscita di lì era stata rincorsa, o meglio inseguita, dalla
strisciante donna in
rosso per ottenere una schifosissima chiave per aprire
l’ennesima porta, dell’ennesimo
corridoio, dopo l’ennesimo ingresso.
Ed eccola lì in una specie di biblioteca
dimenticata piena di scaffali e librerie stracolme di volumi, intenta a
osservare la porta che subiva gli attacchi della donna-quadro e
pregando che
non la sfondasse a testate o con i pugni.
Quando finalmente i lamenti e le graffiate, si
attutirono quel tanto da far sentire Ib più al sicuro, si
concesse di voltarle
le spalle per controllare che la stanza fosse un luogo sicuro.
Vedeva solo colonne altissime di libri e una
porticina esattamente nel mezzo delle due file di scaffalature. Si
precipitò a passo
spedito barcollando e oscillando pericolosamente verso il quadrato
cremisi che
non la ringraziò per la sua veemenza
nell’abbassare la maniglia, schiudendosi.
Questo voleva dire solo una cosa, serviva un modo per aprirla e doveva
essere
cercato nella stanza.
Il solito bigliettino giallo, che spuntava tra due
libri nello scaffale di mezzo, attirò la sua attenzione come
una calamita, il
polo opposto, e due paoline scarabocchiate in fretta e tremolanti,
nella solita
scrittura, le chiedevano: “ T I
D I V E
R T I ?”.
<< Ma che razza di domande è?!>>
sbottò le ragazza senza pensare, a causa della stanchezza
opprimente che la
provava già da un po’. No che non si stava
divertendo! Aveva rischiato la vita
almeno una quindicina di volte, era stata terrorizzata a morte e per di
più non
sapeva nemmeno dov’era. Si sentiva peggio di Alice persa nel
Paese delle
Meraviglie, perché alla protagonista di quel libro non era
andata tanto male quanto
a Ib. In quel momento desiderò che lì vi fosse un
altro vaso pieno d’acqua per
rigenerare la sua rosa ormai ridotta a un ammasso spelacchiato di
petali e
anche se stessa, perché di certo non avrebbe retto a
qualsiasi cosa la
attendesse oltre la porta rossa. Purtroppo non vi era nulla del genere
nascosto
tra le librerie. Rimise a posto il cartoncino con frustrazione,
cercando di
nuovo il modo per sbloccare la serratura. Rovistava tra le letture, la
maggior
parte riportava stampe dei dipinti dell’autore Guertena,
scorgeva i titoli
delle copertine e più continuava nella sua ricerca
più cose scopriva,
soprattutto grazie ad un libro seminascosto dagli altri, “ Le
donne nella tela”.
Questo l’aveva avvertita che le ragazze dipinte diventavano
aggressive a causa
del continuo desiderare gli umani e che avrebbero inseguito qualsiasi
cosa
finché non sarebbero state soddisfatte, e se esisteva un
loro punto debole, era
proprio quello di non poter aprire le porte da sole.
<< Meno male, almeno qui dentro sarò al
sicuro per un po’>> aveva commentato Ib finito
di sfogliare le pagine.
Poi la ragazza aveva continuato a guardare i tomi finché un
libricino per
bambini, chiaramente fuori posto, non l’aveva incuriosita. Lo
tolse dallo
scaffale rigirandoselo tra le dita per capire cosa contenesse e come
avesse
fatto a finire lì, ma le lettere cicciottelle e in grassetto
non fecero altro
che confermare la sua impressione, si trattava di un libro per bambini
disegnato
con pastelli a cera nel classico modo inesperto dei bimbi nella prima
infanzia.
“ Storybook
animato, Carrie la sbadata e la gallette des rois”
rilesse mentalmente,
studiando le scritte e l’immagine di copertina che riportava
un sipario chiuso,
poi sfogliò le prime pagine in cerca di una chiave nascosta
in una pagina, o
qualsiasi oggetto o indizio che la aiutasse a uscire da lì.
Come si poteva
aspettare da un libricini del genere, non trovò nulla
d’interessante e, per
quanto la sua presenza fosse strana e fuori luogo tra quei volumi
artistici e
fotografici, si convinse a rimetterlo a posto e cercare altrove.
Tuttavia
quando tentò di richiuderlo o staccare una delle mani dal
volumetto, non riuscì
né nell’una, né nell’altra
cosa. Presa dal panico cercò di staccarsi dal libro,
di sollevare le braccia o anche solo muovere la testa alla ricerca di
un arnese
ma nessun movimento le fu permesso. Perciò con gli occhi
incollati alle pagine,
queste iniziarono a girare da sole raccontando la loro storia.
“ C’erano
una volta tre quattro amici che si erano ritrovati a casa di una delle
ragazzine del gruppo per festeggiare un compleanno.
- Buon
compleanno!- urlarono in coro i bambini rivolti alla loro amica.
- Grazie
ragazzi- replicò la festeggiata nel suo nuovo vestito
turchese.
- Per il tuo
compleanno abbiamo fatto una Galette des Rois!- disse la padrona di
casa con un
ampio sorriso, contenta che la sorpresa fosse riuscita.
- Che
cos’è?-
chiese la bimba.
-
C’è una
monetina in questa torta, e se mangi la fetta con la monetina, sarai
una
persona felice- continuò ignorando la sua amica e indicando
la torta di un
invitante color cioccolato.
-sembra
divertente!-
- E già- e la
padroncina di casa, impugnato un coltello a seghetto, la divise in
quattro
porzioni identiche, una per ogni invitato.
- Prendete la
fetta che volete-, disse la cuoca esortando i presenti e quando tutti
ne ebbero
una tra le mano, le addentarono la loro di gran gusto, facendo ancora
tanti
auguri alla festeggiata. Quest’ultima però
spezzò il religioso silenzio della
degustazione.
- Aaah!- urlò
spaventata.
- Cosa
succede?- disse un'altro dei presenti.
- Credo di
aver… ingoiato qualcosa di duro!- disse tra un bel respiro e
l’altro.
- Ah! O
Carrie, deve essere stata la monetina- disse un bambino palesemente
spaventato.
- Che cosa
faccio- disse Carrie la festeggiata, preoccupata che quello potesse
provocarle
seri danni.
- È tutto ok,
la moneta è piccola piccola! Bene e adesso puliamo tutto-
disse la bimba non curante,
spazzolando il tavolo, raccogliendo vassoio e coltello, mentre i suoi
amici
recuperavano i tovaglioli sporchi. Poi si avviò in cucina
per poggiare tutto
nel lavello.
- Cosa
c’è
mamma?- chiese incontrando sua madre nel corridoio davanti alla porta
rossa
dello studio del padre.
- Hai visto
la chiave dello studio? È sempre qui su questo tavolo- le
chiese la madre
perplessa e angosciata nel ricordare dove avesse lasciato
l’oggetto.
“ Huh! Oh,
no. È la monetina! La monetina che avrei dovuto…
mettere … nella torta. Non è
che …” pensò la bambina allarmata.
- Ma dove può
essere finita? Oh, il babbo si arrabbierà così
tanto- borbottò la mamma con una
faccia serissima.
“ Che devo
fare?” si disse. Poi la soluzione venne da se, quando il
coltello colpì il
pavimento, così tornò indietro coltello alla mano.
- Sembra che
io sia sbadata quanto Carrie- si disse ghignazzando, tornando dai suoi
amici. ”
Il sipario si chiuse,
mentre Ib inorridita cercava
di scrollarsi il libro di dosso e chiudere quella storia che di certo
non è per
bambini. Tra uno strattone e l’altro nel tentativo di
liberarsi, non poté fare
a meno di sentire i rumori raccapriccianti provenienti da dietro le
tende
rosse, con gli occhi inchiodati al libro e incapaci di sbattere le
palpebre.
Dopo non molto ebbe gli occhi che le pizzicavano e cercò
invano, con tutte le sue forze, di
staccare quell’affare dalle sue mani, quando la figurina
della bimba assassina,
sbucò dal bordo delle tende.
“
- Ho trovato
la chiave!... ora apro la porta.- sorrise, con il visino disegnato
sporco di
chiazze cremisi. “
E dette queste
parole con un click la porta si
spalancò, mentre il libro si richiuse di scatto, piombando a
terra tra
l’incredulità di Ib e le figure sghignazzanti dei
quattro bambini della festa.
Non poteva
crederci, la bambina aveva tagliato la
pancia dell’amica per recuperare l’oggetto che
aveva messo nella torta, ma come
aveva potuto, tra l’altro con quel sorriso smagliante dipinto
sul volto?
Iniziava ad odiare le persone che sorridevano e con la nausea crescente
per
l’omicidio in diretta di Carrie, se così si poteva
dire, non ci pensò nemmeno a
rimettere a posto quel libro dell’orrore e avanzò
verso la stanza successiva.
Lì
finalmente uno dei suoi desideri venne
realizzato: il vaso con l’acqua che l’aveva guarita
secoli prima. Lo
raggiunse immediatamente per posarvi la sua rosa torturata. I petali si
rigenerarono
a mano a mano che l’acqua spariva dal contenitore e allo
stesso modo si sentì
meno indolenzita e più vigile, grazie alla benedizione
eterna, come la indicava il
cartellone appeso sopra la sua testa e che raffigurava
un’ampolla di vetro con
dentro un misterioso liquido celeste e luccicante.
Non le
importò da che luogo o da chi fosse
stata prodotta, l’importante era che si trattasse di qualcosa
che la facesse stare
meglio, l’unico oggetto che non avrebbe tento di ucciderla.
Questa volta,
accadde una cosa bizzarra, il vaso
non si ruppe come l'ultima volta, ma rimase intatto senza nemmeno una
scalfittura
che indicasse il passaggio di qualcuno.
“
Davvero strano” costatò Ib, esaminando il vaso
più da vicino ed infilandosi la rosa al sicuro tra le pieghe
della gonna.
“ Quindi posso usarla ancora?”, purtroppo
però di acqua non ne era rimasta
nemmeno una goccia e così i pensieri felici ebbero vita
breve.
Lì
accanto su un altro tavolino, scorse un enorme
quaderno spalancato e, siccome la curiosità ebbe la meglio,
si avvicinò
senza toccarlo memore di quanto era successo pochi attimi prima. Adesso
che si
trovava più vicino, Ib poté vedere chiaramente
che si trattava di un libro per
le presenze, tipo quelli che si trovano nei musei per lasciare una
dedica
con la propria firma o un’impressione della visita. Infatti,
sulle due facciate
c’era un infinito elenco di nomi, alcuni talmente sbiaditi e
altri quasi illeggibili tanto che era difficile decifrarne le
lettere; però tra questi ne spiccavano due in vivido
inchiostro nero. Il primo, tutto sommato ancora leggibile, stava
diventando
sempre più chiaro come se una gomma, facendo avanti e
indietro, togliesse ad
ogni passata una mano di inchiostro, e riportava il nome
Garry, che la
ragazza non riconobbe affatto e neppure ebbe l’impressione di
conoscere, perciò
passo oltre. Il secondo invece era il suo nome, Ib, scritto a chiare
lettere
nere come se fosse stato appena impresso su quel foglio bianco.
“
Allora è vero!” urlò una vocina nella
sua testa,
“ Segna davvero i nomi di chi è stato qui,
perciò oltre a me c’è qualcun altro
o c’è stato qualcun altro”. Non poteva
dire se fosse più sconvolta per il suo
nome scritto sul registro o se per speranza di non essere
più da sola, che quel
nome aveva risvegliato in lei. Era talmente presa dalle sue ipotesi e
congetture quasi verosimili, che in un primo momento non si accorse del
rantolo
soffocato che la raggiuse dal corridoio scuro alla sua destra, solo un
secondo lamento mise i allarme i suoi sensi.
A questo punto
difronte a lei si aprivano nuovamente due
scelte, andare a controllare assecondando la vocina nella sua testa che
le
diceva di essere fiduciosa, o girarsi dal lato opposto e proseguire.
Questa
volta non perse tempo a valutare le opzioni e le
probabilità, non ebbe nemmeno
bisogno di quella gentile voce fuori campo che l’aveva
guidata qualche volta,
perché sapeva già che percorso prendere.
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
°La Rosa Blu °
Atto.6
“Garry”
Nella
parte poco illuminata del corridoio da cui arrivavano i lamenti,
Ib poté vedere una sagoma scura riversa sul pavimento. Si
avvicinò in tutta
fretta pur rimanendo vigile e sospettosa, intanto che seguiva
l’onda di
sollievo per aver trovato qualcun altro di “
reale”. Si trattava di una persona
di sicuro più alta di lei, sdraiata sulla pancia con le
braccia distese vicino
al capo e le mani serrate a pugno. Da quel poco di
luminosità che litigava con
le lame di ombre che li avvolgeva, riuscì ad identificare
solo il lungo
cappotto che indossava l’altro e una fitta chioma di capelli
mossi; in un primo
momento sembrò che fosse svenuto, ma un nuovo lamento fecce
fare a Ib un salto
all’indietro.
<< Va tutto bene? >> chiese alla sprovvista
la ragazza,
avvicinandosi ancora.
Purtroppo, non ottenendo risposta, fu costretta a formulare nuovamente
la domanda scrollandogli la spalla per avvertirlo della sua presenza.
<< Urghhh… fa … male.
>> rispose la persona sul pavimento in
un sussurro strozzato. Nella sofferenza rilasciò i pugni e
si ancorò alle
mattonelle sopra la sua testa, come se il solo parlare fosse uno sforzo
sovrumano. Nello stesso momento qualcosa cadde sul pavimento, un
oggetto grande
quanto il palmo; era l’ennesima chiave scarlatta. A Ib
balenò subito un’idea
folgorante come un lampo tra le nubi minacciose. Per essere in possesso
di un
oggetto simile doveva trattarsi di qualcuno che si trovava nella sua
stessa
situazione e per cui erano state imposte le stesse inquietanti regole
ed indizi.
Doveva essere di sicuro qualcuno che era alla mostra insieme a lei ed
era
finito intrappolato in quel pazzo labirinto, almeno lo sperava.
Altrimenti… poteva
essere tutta una messa in scena.
Ib non sapeva che fare: se prestargli soccorso o diffidare. Era
paralizzata
da una dilaniante dicotomia: da una parte la confortante sicurezza di
un’altra
persona al suo fianco voleva dire avere una spalla a cui affidarsi
nell’affrontare i pericoli futuri; dall’altra, come
un arma a doppio taglio,
c’era la possibilità che si trattasse di un trucco
architettato per ingannarla.
Valutò attentamente le alternative, perché dopo i
manichini che camminavano, le
persone che uscivano dai quadri e tutte le orribili stramberie che
aveva visto
fino ad allora, non avrebbe retto all’ennesimo brutto
scherzo. A conti fatti
però, la bilancia pendeva nettamente verso la lista dei
contro, che non per
quella delle mozioni a favore. Da un lato c’erano tutte
argomentazioni molto valide
e difficili da tralasciare come ad esempio il motivo per cui si
trovasse lì il
ragazzo, cosa fosse successo, oltre al fatto che erano sconosciute le
sue fattezze,
nascoste dal velo nero ed impenetrabile della penombra. Soprattutto
quest’ultima osservazione la faceva desistere
dall’azzardo di inginocchiarsi e
capire cosa avesse quell’uomo che non andava. Se per lo meno
avesse visto il
suo viso, con un eventuale riconoscimento tra i volti visti di sfuggita
tre i
corridoi della Galleria, tutto sarebbe stato più semplice e
avrebbe messo a
tacere tutte le sue paranoie. Chi poteva sapere se invece di una
normale
faccia, si fosse trovata di fronte ad un viso di porcellana simile a
quello
delle bambole impiccate?
A quel punto per lei sarebbe stata la fine, letteralmente. Malgrado
ciò
una piccola e tenace vocina nella sua testa, troppo dolorosa da
ignorare, le
insinuava il dubbio speranzoso che le sue idee fossero solo castelli in
aria,
costruiti dalla paura e dall’ansia della situazione irreale.
Questa la invitava
insistentemente ad aiutare lo sconosciuto, fidandosi del suo istinto
nonostante
iniziasse a dubitarne. Era stanca e provata, nonostante gli effetti
benefici
che l’acqua attinta per la rosa le aveva dato, non ne poteva
più di quel posto.
Le sarebbe piaciuto avere qualcuno su cui contare e fare affidamento,
convincendola che tutto sarebbe andato per il verso giusto e sarebbero
usciti
di lì. Oltretutto l’indecisione non stava affatto
migliorando il suo umore. Aveva
voglia di mettersi le mani nei capelli ed urlare fino a non avere
più voce,
finché i polmoni non si fossero svuotati completamente
liberandola da un peso,
se solo quel gesto avesse significato la fine di ogni preoccupazione.
Rimase
intontita, mordendosi un labbro per la frustrazione del non saper
prendere una
decisione ed accettarne le conseguenze.
Fu lo sconosciuto allora, a smuoverla dalla sua indecisione e
allontanarla dal baratro, erompendo in un sonoro attacco di tosse come
se
stesse soffocando, mentre il corpo si contraeva in spasmi dolorosi che
irrigidivano
gli arti ed incurvavano la schiena. Di certo tutto quel dolore non
poteva
essere una finzione e se non lo era, lei non se la sentiva di
abbandonare
qualcuno in difficoltà. In fin dei conti se si fosse trovata
nella sua stessa
situazione avrebbe voluto che qualcuno la trovasse e soccorresse.
Inoltre aveva
una brutta sensazione, un subdolo e strisciante senso di ansia che le
era
rimasto da quando aveva visto il suo nome in quel “ quaderno
delle presenze ” anche
a causa dei tanti nomi cancellati e ormai prossimi a diventare delle
tracce
indefinite nel mare di pagine ingiallite. Si impose per
l’ennesima volta di
usare tutto l’autocontrollo che le restava per gestire al
meglio la situazione.
Per prima cosa doveva trovare la causa del dolore. Perciò
ispezionò superficialmente,
e per quanto l’imbarazzo lo permettesse, il corpo riverso.
Non trovò nessuna
ferita aperta e sanguinante, nulla di nulla, perciò la causa
doveva essere
diversa e perciò non evidente sul suo corpo. Magari
ripercorrendo il percorso da
cui era venuto, o scappato, avrebbe trovato degli indizi utili alla
causa. Le
si prospettavano così due alternative, entrambe valide o
forse no: il tornare
indietro imboccando il passaggio che aveva intravisto sulla sua destra
quando
aveva lasciato la biblioteca, oppure continuare per quel corridoio. Un
nuovo
suono strozzato affrettò i tempi di scelta, propendendo per
continuare nella
stessa direzione. Oltrepassò l’arco di pietra
difronte a sé e proseguì dritto
finché non si trovò il passo sbarrato da un
manichino nero senza testa e adornato
da una cravatta azzurra a sottolineare la mancanza.
La statua faceva da guardia ad una porta alle sue spalle.
“ Possibile che sia passato di qui? ” si chiese Ib
osservando la
disposizione della figura antropomorfa.
Con un penoso risultato a
smuovere la statua dal suo posto che di conseguenza non si mosse
nemmeno di un soffio. Era troppo pensante per le scarse
forze della ragazza, che si vide costretta a rinunciarvi. Da quel lato
non
poteva passare e era improbabile che l’altro fosse venuto da
lì, perché in quel
caso la statua non ci sarebbe stata. Perciò dovette tornare
indietro, correndo
a perdifiato nella direzione opposta per non sprecare altri secondi
preziosi.
Ripassando accanto al corpo disteso ebbe appena il tempo di percepire
che le sue
condizioni si fossero aggravate per aumentare il livello
d’urgenza della sua
ricerca.
La parte inesplorata si rivelò essere simmetrica alla
precedente o
quasi, fatta eccezione per un piano rialzato su cui erano posizionati
lo stesso
modello di tavolino e di vaso incontrarti in precedenza. Lo spazio
terminava poi
con un vicolo cieco, dopo una piccola sala munita di porta. Si
aggrappò
all’uscio e si sorprese nel trovarlo aperto. Contro ogni buon
senso entrò lo
stesso. Una tenda da campeggio con sacchi a pelo e attrezzi vari
stipati al suo interno, le
diede il benvenuto dall’angolo buio del suo spazio di
esposizione. La quiete a
cui era abituata era alterata da ringhi sommessi, che costrinsero Ib,
colta alla
sprovvista, a prendere parte alla scenografia del campeggio.
Si sporse cauta oltre il bordo della parete a cui si era appoggiata per
poter vedere il resto della stanza. Nella zona attigua vi era una delle
donne
dei quadri con mezzo busto fuori dalla cornice e il vestito ceruleo
semi
inghiottito dalla tela. I lunghi capelli castani formavano una cascata
spettinata
che si raccoglieva in ciocche serpentine sul pavimento, tanto lunghe da
rassomigliare ad uno strascico infangato. La creatura aveva il capo
chino,
intenta a sfoltire i rigogliosi petali di una rosa blu cobalto. La
ragazza
finalmente comprese la dinamica degli avvenimenti. La persona
agonizzante aveva
perso la sua rosa, probabilmente rubata dall’opera vivente, e
poi fosse
scappata facendo perdere le tracce di sé, mentre il mostro
infieriva sul suo
bottino. Doveva recuperarla prima che venisse tirato via
l’ultimo petalo,
altrimenti non sapeva
cosa ne sarebbe
stato del suo proprietario. Probabilmente si sarebbero avverati gli
scenari ipotizzati
per sé ed alcuni visti accadere al fiore dopo che il suo
fisico era stato ferite.
Da ciò era riuscita a dedurre che la corolla rappresentava
il suo corpo e che
qualsiasi cosa fosse capitata al fiore o al possessore, si sarebbe
ripercosso sull’altro.
Intervenne senza perdere nemmeno un secondo a pensare. Si sporse oltre
lo
spigolo del muro per attirare l’attenzione della donna, che
sentendo violato il
suo momento di divertimento le rivolse uno sguardo iniettato di sangue
e
follia, schiudendo la sua dentatura da squalo per la nuova ed
indesiderata
comparsa..
Il profumo del fiore che l’opera vivente percepiva addosso
alla ragazza
era molto più invitante e robusto di quello che stava
martoriando e quindi, colta
dalla smania ossessiva di possedere quel raro esemplare da
brutalizzare, si
lanciò contro Ib artigliando la moquette rossa con una
velocità inaudita. Il suo
ringhio famelico raggelò ad Ib, che tuttavia per un riflesso
incondizionato ebbe
appena il tempo di ripararsi all’esterno e bloccare
l’uscita prima che la
signorina del dipinto vi si gettasse contro con tutto il suo peso
artistico.
Nonostante la sua trovata, non ebbe molto di cui rallegrarsi,
poiché doveva
recuperare lo stelo abbandonato all’interno della prigione
improvvisata. Sebbene
non se la sentisse di affrontarne la carcerata e attirarsi
ulteriormente le sue
antipatie, cercò di concentrarsi nella ricerca di una
soluzione.
Mentre pensava colpi si spostarono dalla porta al vetro della finestra
a nastro adiacente che poco dopo andò in frantumi, facendone
riemergere
l’essere che protendeva le unghie affilate contro la sua
preda, come un gatto affamato
davanti una
boccia di pesci rossi. Non aspettò di sentire il tonfo del
legno che picchiava
contro il pavimento mentre cadeva, e si riparò nuovamente
dietro la porta
invertendo i ruoli da carceriera a detenuta.
Da quello che aveva letto nella biblioteca era sicura, o ci sperava
fortemente, del fatto che la donna in blu non sapesse usare le
maniglie. Di conseguenza,
lasciò andare la maniglia pregando che
l’informazione non fosse l’ennesima trabocchetto;
poi si precipitò a recuperare la rosa. Era messa davvero
male. I petali superstiti,
tutti spiegazzati e rigati, erano a malapena attaccati al calice, uno
addirittura le scivolò sul dorso della mano per poi
infrangersi ai suoi piedi
con una aggraziata danza di morte. Sembrava che dovessero cadere tutti
da un
momento all’altro con la minima folata di vento.
“ Devo sbrigarmi! ” si mise fretta Ib.
Non c’era margine d’errore; doveva tornare subito
al vaso per curarla,
altrimenti avrebbe perso l’unica possibilità di
compagnia in quel viaggio
allucinato. Ib salì sullo sgabello che la sua antagonista
aveva usato come
appoggio per sfondare la finestra e osservò la scena per
pianificare una
strategia per liberare il passaggio.
Il quadrato con attaccato all’essere strisciava in ogni
direzioni
mentre la proprietaria graffiava tutto ciò che incontrava,
cercando una via di
accesso, fortunatamente senza successo.
Forse poteva sfruttare il momento in cui percorreva il perimetro alla
base della finestra e sgattaiolare via non appena avesse girato
l’angolo che
portava ad una rientranza nel muro. Era la sua unica chance, anche
perché di
armi a portata di mano non ne aveva ed il vetro era fuori questione. Se
si
fosse ferita avrebbe dovuto pensare prima alla sua di rosa e non alla
cugina
dai toni freddi, cosa che non poteva permettersi sapendo che in palio
c’era la
vita di una persona.
Non appena la dama sparì dalla visuale, Ib piazzò
lo sgabello a cavallo della cornice
della finestra e si precipitò alla porta con la fretta di
chi è inseguito da
uno sciame di vespe assassine. Il trambusto attirò il mostro
che tornò sui suoi
passi come una furia e non appena raggiunse il corridoio, la ragazzina
si era
già nascosta dietro alla sporgenza della parete. La dama
inizialmente sembrò
confusa guardandosi intorno famelica. Sentiva la rosa della ragazza
tutt’intorno come un aroma per ambienti, ma alla fine
optò per irrompere nella
saletta dalla porta socchiusa da cui proveniva con intensità
maggiore il
profumo. Non appena si dileguò oltre l’uscio Ib le
sbatté la porta alle spalle
e recuperò la seggiola dal davanzale, così che
non potesse essere usato
nuovamente come mezzo di fuga. Poi ancora con l’adrenalina in
circolo rintracciò
il vaso della Benedizione eterna.
Pochi minuti
dopo era tronata difronte allo sconosciuto con la rosa
color degli abissi stretta in pugno e la sua ben nascosta nella tasca,
pregando
che si svegliasse e che il suo atto di coraggiosa disperazione non
fosse stato
vano.
Il
personaggio oggetto delle sue cure prese all’improvviso un
respiro profondo
come se stesse emergendo da un’apnea prolungata e spalancando
gli occhi con uno
scatto secco quasi meccanico. Non appena riuscì a
focalizzare i dintorni di dove
si trovasse e controllare se vi fossero minacce, facendo leva con le
braccia,
si ritrasse di scatto accorgendosi dalla figura che lo sovrastava.
<<
Mostro!
Non c’è più nulla che puoi prendere.
Stammi lontana!>> fece sentire la sua
collera una voce maschile con toni bassi e autoritari.
La ragazza
rimase un attimo di stucco, riconoscendo i tratti che aveva sbirciato
di nascosto
nel silenzio della visita in quello che le sembrava accaduto secoli
prima. Davanti
a lei c’era proprio il giovane che aveva attirato la sua
attenzione al primo
piano della mostra. Non poteva credere che tra i tanti partecipanti
all’evento,
esattamente l’unico che l’avesse sinceramente
incuriosita, la stesse osservando
da dietro una frangia laterale ribelle e mossa che ricordava era lilla
e
striata di nero. Purtroppo non riuscì ancora a capire di che
colore fossero gli
occhi o come apparissero i tratti del viso visti da di fronte, ma
sperava che
sarebbero rimasti insieme il tempo necessario per soddisfare le sue
curiosità. Tralasciando
però le frivolezze, non sapeva se esultare dalla gioia per
l’incontro miracoloso
o voler scappare a gambe levate per l’eventualità
che potesse essere
riconosciuta e morirne per l’imbarazzo. Nel dubbio
ammutolì di colpo tenendo il
fiore stretto al petto.
<<
A…aspetta,
tu non sei Quella. Possibile… possibile che tu sia qualcuno
della Galleria? >>
chiese incredulo il ragazzo, soffermandosi sulla minuta e immobile
figura con
gli occhioni spalancati e le mani tremanti, inginocchiata ai suoi
piedi. << Certo che
lo sei!- gioì lui rassicurato - Oh, grazie al cielo!
C’è qualcun altro qui a
parte me. Credevo di essere impazzito!>>
continuò stupito, abbandonando
l’atteggiamento truce.
<<
S-stai …
bene? >> balbettò Ib, cercando qualsiasi cosa
di sensato da chiedere per
distogliere l’attenzione dal discorso pazzia
poiché non si sentiva ancora fuori
pericolo.
<< Sì, ora sì. Grazie.
>> le sorrise prendendo la
rosa che la ragazza gli porgeva timidamente.
<<
Sai come
siamo finiti qui? >> chiese di getto sentendosi
più sereno e tranquillizzato da
un’altra presenza umana.
La ragazza
negò con un gesto della testa, visibilmente a disagio e poi
gli diede una breve
resoconto di quello che le era capitato da quando si erano spente le
luci al
museo fino a quel momento. Sentiva il bisogno di raccontalo a qualcuno,
anche
solo per il fatto di sfogarsi, dimenticandosi per un po’ di
dove fosse in
realtà.
<<
Capisco…
neanche tu hai idea di come le cose siano arrivate a questo punto. Alla
fine
sembra che siamo finiti in situazioni molto simili, devo dire; anche
per queste
rose. Mi compaiono delle ferite addosso quando perde i petali e credevo
di
essere spacciato. Grazie per avermela riportata >> le
raccontò, concedendole un
sorriso riconoscente. << Ora,
innanzitutto faremmo meglio a trovare un’uscita. Credo che
potrei diventare
matto se resto qui un minuto di più. Ah! Non ti ho ancora
chiesto come ti
chiami, scusami sono un maleducato. Beh, io mi chiamo Garry e tu
?>> le chiese
affabilmente puntando in quelli di lei l’unico occhio che
spuntava dalla chioma
ribelle.
Quindi era
davvero suo il nome che la ragazza aveva letto nell’albo e
che rischiava di dissolversi.
- Ib- rispose monocorde, cercando di trattenere lo sconcerto per le
nuove
implicazioni degli indizi trovati. Era stata sul punto di vedere la
fine
destinata ai giocatori di quella partita e il peggio era che non erano
ancora
fuori pericolo.
<<
Perfetto
Ib, allora pronta ad andare?!>> sentenziò
porgendole la mano per aiutarla ad
alzarsi.
<<
Vuoi
proseguire con me?>> chiese stupita
dall’improvvisa intraprendenza del giovane, ma
accettando comunque la stretta dello sconosciuto. Il tocco
bastò a
rassicurarla, come quando da piccola stringeva l’orsacchiotto
di peluche
implorandogli di proteggerla dai mostri nell’armadio.
<<
Certo che
sì, non posso mica lasciare una bambina a gironzolare in un
posto così pericoloso.>>
<<
Non sono
una bambina. Ho quindici anni nonostante
l’altezza.>> disse con stizza punta nel
vivo.
<<
Perdonami,
non volevo offenderti.>> si affrettò a
rimediare Garry riconciliante, per poi
incamminarsi imbarazzato e senza chiederle altro, se non che lo
seguisse.
<<
Woooooo!>>
urlò di terrore finendo con il sedere per terra, quando un
quadro gli sputò davanti
dell’acido corrosivo, suscitando il riso
soffocato della ragazza. << Mi sono solo un
po’spaventato! D-davvero, ecco
tutto! Cooooomunque andiamo avanti e fai attenzione, soprattutto alle
cose come
quella.>> dissimulò il ragazzo, alimentando il
divertimento di Ib che cercava di
non scoppiargli a ridere in faccia. Aveva visto cose
anche di peggiori, che all’altro sembravano non essere
capitate, ad eccezione
della dama. Comunque dopo aver assistito al suo scivolone, poteva
ritenersi
ripagata per l’errore sull’età che aveva
superato da un pezzo. Senza aggiungere altro, si limitò a
trattenere le risa e seguirlo lungo il corridoio.
Alla fine
insieme riuscirono a spostare la statua ed aprire il passaggio alle sue
spalle
con l’ultima chiave che Garry aveva ricevuto e Ib gli aveva
restituito.
<<
Tu invece
come sei arrivato qui? >> gli chiese Ib incuriosita,
mentre passavano da una
stanza all’altra. Il bisogno di conoscenza fu
più forte del senso d'imbarazzo.
<<
A dire il
vero non ricordo molto. Come te ero nella galleria e stavo guardando un
quadro
piuttosto interessante quando le luci si sono spente. Poi mi sono
risvegliato
che ero già in questo museo, se così possiamo
dire. La rosa blu era in un vaso
su un tavolino con un mazzo di chiavi accanto e un bigliettino mi
raccomandava
di prendermi cura del fiore. Ho lasciato la saletta senza la minima
idea di
dove andare. Ero così confuso, in più avevo
l’impressione di aver dimenticato
qualcosa di fondamentale, ma non sapevo cosa e tutt’ora mi
sfugge. Comunque
l’ultima zona che ho visitato è stata quel
corridoio, dove ho incontrato la
donna in blu. All’inizio pensavo volesse indicarmi la strada
e invece… ti risparmio
i dettagli, ma puoi immaginarlo. A proposito! Come hai fatto a
recuperarla?>>
la interrogò preoccupato, ricordandosi solo allora del
dettaglio importante che non le aveva chiesto.
<<
L’ho
trovata in una saletta.>> rimase sul vago per non
doverglielo raccontare. Non
voleva agitarlo più di quanto non fosse necessario, inoltre
se gli avesse
rivelato quel particolare, avrebbe dovuto parlargli anche
dell’esistenza del
libro dei nomi. Perciò voleva che
quell’informazione destabilizzasse anche lui, era meglio che
almeno uno dei due restasse speranzoso per entrambi. <<
Era messa male perciò ho trovato un vaso e l’ho
curata.>> disse facendo sembrare le sue azioni come la
cosa più naturale del mondo ed intanto osservava le iridi
azzurre del ragazzo.
<<
Non so
ancora come ringraziarti.>> le disse
sincero sostenendo il suo sguardo. Garry sapeva che c'era qualcosa che
non andava, ma preferì non insistere, ritenendo
più rispettoso non indagare oltre. Era
comprensibile, anche lui non sarebbe andato a raccontare tutto alla
prima persona che incontrava, malgrado si trovassero a dover affrontare
le stesse situazioni. Se si fosse mostrato
troppo incalzante, avrebbe ottenuto l'effetto opposto a quello
desiderato e la ragazzina non si sarebbe fidata di lui.
La loro
conversazione però
si interruppe difronte alle nuove opere che agghindavano la stanza.
<<
E queste
cosa sono?!>> si allarmò Garry, tendendo ogni
muscolo del corpo in posizione di
difesa. Era convinto che da un momento all'altro potessero balzare via
dalla parete e iniziare l'inseguimento, perciò Ib decise di
intervenire prima che Garry impazzisse per il dubbio.
<<
Sono il
prossimo indovinello. Da quando sono qui ogni stanza è un
rebus da risolvere
per passare alla successiva. Non credo che ci faranno nulla questi.
Tranne le
donne con gli abiti non ci sono altri quadri capaci di
inseguirci.>>
<<
Devi
averne passate tante, eh?>> la scrutò
pensieroso il ragazzo, rilassandosi un pò e concentrandosi
invece sulla ragazza. Capì che allora le sue supposizioni
fossero vere.
La ragazza nel tentativo
di rassicurarlo si era lasciata sfuggire proprio ciò che non
voleva rivelargli
e per il disagio distolse lo sguardo puntandolo sulla statua
più vicina, una delle
due mani scheletriche protese verso l’alto.
<<
Quindi è
così che funziona.>> mormorò lui
fidandosi delle parole dalla compagna,<<
D’accordo,
vorrà dire che adesso li risolveremo insieme e non dovrai
più preoccuparti di
affrontarli da sola. In due è meglio, no?>> le
chiese tendendole il palmo aperto per sancire
nuovamente l’accordo e, stavolta, nel modo giusto. L'unione
faceva la forza, il ragazzo ne era sempre stato convinto e allora
più che mai.
Ib rimase di
stucco per la sorpresa e la contentezza. L'altro non poteva immaginare
quanto la
sua proposta la confortasse e alleggerisse il peso che si era portata
dietro
fino a quel momento.
Non rimase imbambolata a valutare i pro e i contro quella volta;
afferrò
la mano del ragazzo con gli occhi che le pizzicavano per le lacrime
ringraziando silenziosamente quell'incontro fortunato.
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
°In
Trappola°
Atto.7
“
Non
è un posto fantastico? Perché non ti unisci a me
qui?
Starai
bene con tutta questa compagnia…”
<< Gli
sposi non mi sembravano molto contenti.>>
commentò
Garry mentre passavano oltre ed imboccavano il corridoio che divideva i
consorti.<<
A che cosa servono? >> chiese poi ragionando ad alta voce.
<< Non saprei, dovremmo proseguire per
scoprirlo.>>
Ib sapeva che fino ad allora gli indizi per risolvere gli indovinelli
erano sempre stati nascosti in una o due camere, non di più.
Ciò nonostante fu la
prima volta che passava da una stanza a un corridoio dalle molteplici
diramazioni.
Si stava abituando alla presenza del ragazzo, anche se ne scrutava ogni
movimento per conoscerlo meglio. Siccome non si sentiva pronta a
chiacchierare
del più e del meno, nonostante lui avesse attratto la sua
curiosità alla
mostra.
<< Da che parte andiamo?>> chiese per
rendere partecipe l’altro,
intanto che fissava l’intonaco di una prima stanza.
<< Non possiamo sapere quali percorsi scartare a priori,
dovremmo
provarli tutte.>> dichiarò sconfortato Garry e
Ib seguendo la sua logica
ne fu d’accordo. << Ma cosa stiamo cercando
esattamente? >> continuò
a indagare lui per avere almeno l’idea su che oggetto
focalizzare l’attenzione.
<< Dipende. A volte sono porte nascoste, altre sono
passaggi
dietro a dei quadri. All’inizio però erano per la
maggior parte delle chiavi.>>
scavò lei fra i ricordi.
Si era costantemente focalizzata sull’andare avanti, che
aveva quasi
dimenticato di tenere d’occhio il quadro d’insieme
degli eventi.
<< Perciò hanno tutte come collegamento finale
un passaggio o una
porta? Va bene, teniamo gli occhi aperti per qualsiasi oggetto che
possa averci
a che fare.>> assentì speranzoso.
Così incominciarono la loro ricerca dall’accesso a
portata di mano e
Garry avanzò per primo assumendosi il compito di
controllare, ma si bloccò
quasi subito nel trovarsi un muro di fronte e un cartello dalle
infantili
lettere sbiascicate.
<< Che cosa succede?>> lo
incalzò la ragazza sporgendosi oltre
il suo fianco per sbirciarne il contenuto. Non le dispiaceva che il
ragazzo
fosse così premuroso nei suoi confronti, a volte
però, venire a sapere le cose
per ultima le creava non poco fastidio. Aveva sempre preso le decisioni
per sé
stessa e in quel momento invece doveva scendere a compromessi con
un'altra persona.
<< Un altro labirinto…>> disse
la ragazza in preda all’angoscia.
Aveva ancora chiaro in mente l’ultimo in cui era stata e non
le piaceva per
nulla l’idea di un nuovo uomo nero con cui scontrarsi.
Rabbrividì al pensiero.
<< Un altro?>> scappò detto a
Garry. Si era trattenuto da
commenti sulle avventure precedenti, ma questo non riuscì a
trattenerlo.
Ib si irrigidì alla interrogativo, tuttavia, sentendosi in
colpa per le
molte cose taciute (ad esempio il registro), gli spiegò
brevemente l’accaduto.
Come le aveva detto suo nonno una volta, dato che l’essere
umano è un individuo
sociale, deve instaurare un rapporto con le persone e per fare
ciò bisognava
raccontarsi a vicenda le proprie
esperienze, altrimenti la nuova relazione appoggiava su basi sterili e
insidiose come il deserto.
Fortunatamente Garry non espresse un parere, sebbene il suo sguardo
tradisse una lieve preoccupazione che la ragazza non seppe se associare
a una
sincera apprensione nei suoi confronti o alla paura di incontrare
l’uomo
d’ombra. Così quando, attraversando un cunicolo,
stava per interrogarlo, con un
braccio fu trattenuta indietro dal giovane, aderendo alla parete.
<< Che fai?>> lo rimproverò
più per la sorpresa che per il
gesto in sé.
Un conto era abituarsi alla presenza, un altro che ci fosse qualcuno
che,
intervenendo prima di lei, si attribuiva il diritto di un contatto
fisico. Per
tutta risposta lui mise un dio sulle labbra, in un invito al silenzio,
e le
indicò oltre l’angolo. La ragazza gli
scivolò davanti e guardò nella direzione
mostrata. Nel piccolo atrio che si creava all’incrocio di
più vie, c’era una
delle statue di donna decapitata che avanzava a grandi falcate e
imboccava un
passaggio. Non appena l’orlo dell’abito non fu
più visibile, Ib raggiunse
l’atrio per decidere la prossima direzione.
<< Dove vai?!>> cercò di
richiamarla Garry, ma alla fine fu
costretto a inseguirla.
<< Dobbiamo muoverci. Potrebbe aggirarci e arrivare
dall’altro
lato, meglio andarle incontro che trovarcela alle spalle in uno dei
corridoi,
non credi?>>.
<< Hai ragione, ma avvisami la prossima volta o
morirò d’infarto.>>
sdrammatizzò il giovane, ottenendo una riluttante promessa
da parte della
compagna.
Proseguirono a tentoni per le viuzze seguendo l’ispirazione,
ma non trovarono
l’ombra di un possibile indizio, al contrario incontrarono
almeno tre donne di
pietra che fu un’impresa schivare per non essere accerchiati.
Alla fine una
traccia nella stessa identica scrittura che aveva seguito Ib per tutto
il
percorso, li indirizzò verso una porzione di muro che
nascondeva un pannello. I
due ragazzi si guardarono all’unisono incapaci di decidere se
premere il
pulsante di un rosso preoccupante o no. Alla fine lo fecero insieme,
attirandosi addosso le tre figure umanoidi. Corsero a perdifiato,
facendo a zig
zag per passare da un tunnel all’altro e perdendo
completamente l’orientamento.
<< Così non andiamo da nessuna parte! Ci serve
un piano.>>
disse Garry esasperato e a corto d’aria.
<< Usiamo il trucco del labirinto. La conosci la teoria
di tenere
la mano destra sul muro?>>.
<< Sì. Sembra un pessimo piano, ma anche
l’unico che abbiamo.>>
acconsentì.
Ib prese due grossi respiri e riprese la corsa, stavolta con il palmo
destra incollata alla parete. In questo modo rischiarono più
volte di finire
tra le grinfie delle donne, ciò nonostante riuscirono a
riguadagnare il punto di
partenza e chiudere l’uscio.
<< Erano così le prove
precedenti?>> le chiese preoccupato
il ragazzo, ricevendo una poderosa scrollata di capo come negazione
insieme ad
un affannosa e stringata spiegazione.
Dopo aver recuperato il fiato, ripresero il cammino con gli spiriti non
troppo allegri, o per lo meno da parte di Garry. Sembrava
più pensieroso e cupo
di prima, soprattutto dopo la misteriosa apparizione di una porta
parallela a
quella da cui erano usciti. Con questa ebbero maggior fortuna, anche se
il
contenuto li lasciò visibilmente spaesati e senza nuovi
indizi, se non quattro sculture
apparentemente inutili.
Il silenzio aleggiava da un po’ tra loro, così Ib
arrischiò una
domanda.<< Garry, tutto bene?>>
<< Certo… non ti preoccupare.>>
disse troncando ogni
possibilità di continuare e Ib non insistette oltre. Quando
il ragazzo se la
fosse sentita di parlarle, lei avrebbe ascoltato comprensiva.
D'altronde lei poteva
comprendere perfettamente le sue motivazioni, forse più
simili alle sue di
quanto credesse. Nella sala successiva spostarono sgabelli e sedie,
evitando di
guardare i dipinti terrificanti davanti ai quali erano posti, per poter
raggiungere un tavolino centrale che portava un flacone di gocce
mediche. Solo
dopo scoprirono che si trattava di collirio per un occhio congestionato
in un
corridoio pieno zeppo di bulbi oculari. Grazie alla riconoscenza del
nuovo
amico, recuperarono una biglia rossa da un pertugio nel muro che
apparteneva a
un quadro di serpente che risvegliatosi aveva tentato di mordere Garry.
Il
ragazzo era andato a sbattere contro il quadro a fianco per evitarlo,
scaraventandolo a terra in un gran fracasso.
<< Stai bene?>> chiese Ib avvicinandovisi.
<< Sì, sì, tutto
ok.>> rispose lui impacciato e ancora sconvolto,
mentre osservava in cagnesco il dipinto che era tornato nella sua
cornice per
fissarli con la rubina iride ritrovata. Per il tempo in cui i due si
fissavano
malamente, la ragazza raccolse il quadretto da terra per riappenderlo,
quando
vi vide un messaggio inciso sul legno: “ Dietro il grande
albero” recitò ad
alta voce.
<< Tutto questo per farci vedere quella?! Non potevi
dirlo
prima?>> questionò la serpe che
tentò nuovamente di attaccarlo al volto.
Tornarono nuovamente alla sala delle sculture dove l’ultima
era
effettivamente ciò che era stato indicato nella frase. Lo
ispezionarono meglio
stavolta, trovandovi incastrato tra i rami un cerchietto
d’argento che Ib
poteva usare come bracciale e al cui interno erano incisi dei numeri in
successione.
Rimuginando a fondo sulla sua applicazione, alla fine lo associarono
alle mani installate
all’ingresso della sezione. Posizionandolo poi come fede
sull’anulare sinistro
della sposa, la ragazzina ottenne il bouquet di fiori dalla sposa nel
dipinto. Il
profumo floreale impregnò l’aria andando contro le
convenzioni della ragione.
<< A quanto pare adesso sono felici.>>
osservò il ragazzo
analizzando i sorrisi radiosi dei due neo-coniugi che tuttavia
stonavano con
l’opprimente sensazione che avvolgeva i due ragazzi e il
mondo in cui si
trovavano. << Ora?>>
<< Non sap...>> ma le parole di Ib vennero
troncate da un
ghigno inquietante che risuonò per i corridoi.
| I fiori, sono belli. Dammi i fioriiiiiiiiiiii…
dammeliiiii e
potrai passare. Questo è l’accordo.|
Ripeté la voce a ciclo continuo con una
nota sempre più bassa e cupa.
I ragazzi seguirono con circospezione il verso finendo per trovarsi
difronte a un quadro di circa due metri. Si distinguevano a malapena i
tratti
di un volto distorto e colante dalla cui bocca spalancata era riversato
un
liquido nerastro che raggrumava sul pavimento.
| Quelli… sì! Quelli. Dammeli!! Teneri
fiorellini da divorare…
tutti. Divorare. Sminuzzare. Tranciare…|
cantilenava in trance sgranando
gli occhi dalle bianche orbite sciolte.
<< Che schifo. Ib per favore … stai
attenta.>> commentò
Garry a bassa voce, cercando di non fissare troppo a lungo quello
scempio.
La ragazza però reduce da un’esperienza simile, ma
con una mela, si
avvicinò di un passo, facendo tendere il compagno per la
paura di un attacco. Spinse
i fiori verso le labbra maciullate dell’essere, non senza un
pizzico di terrore
quando il quadro si flesse, sporgendosi e tendendo la tela in
un’ellissi tanto
curva da poter spezzare i sostegni. La bocca poi squarciò la
tela mentre rideva
di gusto e strattonava con i denti il fascio d’erbe. Ib, che
teneva con troppa
foga i gambi, rischiò di finire inghiottita insieme alle
corolle e sminuzzata
dai denti aguzzi, se Garry non l’avesse affretta in tempo.
Lui la tirò indietro
tenendola un po’ troppo stretta nel suo abbraccio per tutto
il tempo in cui
osservavano il mostro divorare e schiumare bava nera.
Quando ebbe terminato, si rivolse nuovamente a loro estremamente
soddisfatto dal pasto.
| Ora come promesso … potete passare |
articolò impastando tra
di loro le parole. Poi dove prima c’era un volto deformato,
vi fu solo un
enorme buco tenebroso.
<< Grazie, ma …dovremmo andare. Non sappiamo
per quanto tempo
resterà così.>> dichiarò
Ib sciogliendosi con imbarazzo dalle braccia del
ragazzo.
<< Sei davvero sicura che possiamo passare? Ok, non
dirmelo non
abbiamo scelta.>> si rispose da solo e insieme
scavalcarono la cornice
evitando comunque di calpestare la pozza nera sul pavimento.
Quello che trovarono oltre fu altrettanto, se non più,
preoccupante.
Dopo una piccola anticamera, sbucarono in un corridoio con due file di
teste mozzate
poste alla base di questo, mentre tre grandi dipinti raffiguranti lo
stesso
capo, occupavano tutta la lunghezza del passaggio.
<< O signore!>> esclamarono in coro. La
vista era orribile
ed il senso di nervosismo e disgusto venne incentivato dalle chiazze
scure, più
o meno vistose, che univano il taglio circolare del collo al linoleum.
Di certo
non migliorava la vista il colore esangue di quella che doveva essere
la pelle
degli sconosciuti, e le loro labbra violacee che in alcuni erano
dischiuse al
punto da far intravedere i denti appuntiti.
<< È sangue quello?>> chiese Ib,
presa dal panico suscitato
anche dalle palpebre schiuse degli abitanti del luogo che con i loro
sguardi
persi le fecero rizzare i cappelli sulla nuca.
<< N-non credo, le teste sono tutte uguali. Non
è possibile…sarà
vernice e quelle statue.>> la rassicurò il
ragazzo. Eppure il tono di
voce gli tremava, lasciando intendere che nemmeno lui si fidasse
ciecamente di
quelle deduzioni. Quasi certamente aveva capito che da un posto simile
non ci
si poteva attenere alle normali leggi fisiche e razionali, inoltre
aveva avuto
più di una conferma a questo proposito.
<< Possiamo solo proseguire.>>
mormorò la giovane ad
un tratto visibilmente angosciata,
aggrappandosi alla manica del ragazzo per richiamarlo. Istintivamente
si era
girata verso l’anticamera sperando di rifugiarvisi e come,
sempre era accaduto,
l’uscio era scomparso. Chi sa perché sperava
sempre che le costanti cambiassero
miracolosamente di tanto in tanto.
<< Cosa?!>> Garry, si voltò a
sua volta seguendo lo sguardo
della compagna e venne colpito come uno schiaffo in pieno volto dalla
verità.
<< Dannazione! È a senso unico questo
posto.>> inveì ispezionando
la parete per trovare qualsiasi traccia della via dalla quale erano
venuti, ma
a parte una macchia d’umidità verdastra, non
c’era segno né della cornice né di
quello che vi era prima.
Un rintocco secco e assordante squarciò l’aria,
facendo sobbalzare la
coppia. Dopo un attimo di sorpresa, il ragazzo posando una mano sulla
spalla di
Ib per tenerla vicina come precauzione, nel caso in cui fosse spuntato
qualcosa, la incitò a proseguire. Era scomodo camminare in
quella posizione, ma
per lo meno si sentiva più sicura ad avere il fianco di lui
a coprirla.
Probabilmente se non ci fosse stato, avrebbe corso in volata lo spazio
o non
avrebbe proseguito affatto, condannandosi per sempre.
Scacciò tutti i possibili
pensieri negativi come delle mosche fastidiose e per distrarsi prese a
contare
i passi. Avanzavano a passi svelti e tesi come cavi elettrici, messi in
allerta
dal nuovo e improvviso rintocco. Il ragazzo teneva lo sguardo puntato
verso la
fine del corridoio, lasciando che vagasse sul resto solo se uno degli
oggetti gli
sembrava fuori posto, mentre Ib non riusciva a non osservare le opere
appese
sui muri, abbandonando perciò il suo proposito di mantenere
la mente occupata
nel conteggio. Quando il secondo soggetto roteò gli occhi
per seguirne i passi,
la ragazza riuscì a stento a trattenere il terrore per non
allarmare Garry, prima
di aumentare l’andatura per accorciare i tempi. Giunsero
così a una nuova sala,
oppressi però dallo sconforto, alla vista delle numerose
stanzette cubiche
sparse per lo spazio. Tanto più si addentravano nel cuore
dello strano mondo e
più complicate diventavano le disposizioni delle sale. In
aggiunta alle sensazioni
spiacevoli, c’era qualcosa di strano in quello che vedevano.
Per quanto cercassero
di guardare in lontananza, le immagini sembravano sempre troppo
ingrandite e sfalsate.
La ragazza per chiarire i dubbi avanzò di qualche passo,
finendo dritta contro
una parete trasparente e fredda. Erano rinchiusi in una sorta di casa
degli
specchi, dove le pareti erano fatte di vetro che crudelmente lasciavano
loro
vedere cosa li aspettasse in ogni direzione senza però
poterle raggiungere.
<< Non siamo soli.>> riportò
tetro il ragazzo puntando lo
sguardo verso la parete di fondo alla sua destra. Una fila di dame in
posa
nelle loro lucide cornici, aspettavano con le mani in grembo gli
spettatori che
avrebbero fatto loro compagnia. Entrambi identificarono le stesse
figure capaci
di fuoriuscire dalla tela per inseguire qualsiasi cosa passasse loro
davanti. Ad
aggravare ulteriormente la situazione Ib scorse dal lato opposto i
manichini
senza testa.
<< Meglio passare da un’altra
parte.>> propose il ragazzo
indicando esattamente le sculture che preoccupavano la ragazza.
<< Siamo circondati.>> sentenziò
Ib avvilita. Le sue stesse
parole le stringevano la gola facendole mancare l’aria.
<< Perché?>>
<< Perché anche le statue possono
muoversi…>> gli ricordò
con lo sguardo perso nel vuoto.
Mai come in quel momento si sentiva persa e senza speranze. Era
arrivata la loro fine, lo sapeva, e non potevano scappare questa volta.
La
fortuna girava insieme alla sfortuna, e se prima erano miracolosamente
usciti
indenni, stavolta non c’erano speranze.
<< Ne sei sicura?>> insisté lui.
Ib non rispose. Non aveva nulla di rassicurante da dirgli,
perciò gli
rivolse uno sguardo disperato che parlò da solo.
<< Ce la faremo. Dobbiamo farcela. Coraggio Ib! Prima
proviamo a
raggiungere quella porta>> disse convinto e
indicò l’unico passaggio che
come un’isola spuntava nel mare di vetri.
La ragazza voleva credergli, davvero, ma l’esperienza invece
le diceva
che non avevano scampo. Tra l’altro quando finalmente aveva
trovato compagnia e
poteva sperare di salvarsi, il mondo le crollava addosso e non aveva le
forze
per scansarsi. Era proprio vero che non c’era fortuna che non
si ripagasse con
la stessa moneta, però in negativo. Tuttavia
annuì, ingoiando le sue stesse
paure per seguire l’alta sagoma del ragazzo. Doveva resistere
e sperare che ne
sarebbero usciti, esattamente come aveva fatto da principio, altrimenti
era
spacciata. Anzi erano spacciati. Perché dalle sue scelte
dipendeva anche la
sopravvivenza di Garry. Che persona ignobile sarebbe stata, nel
lasciare morire
una persona che stava facendo di tutto per tirarli fuori da quel guaio?
In più
l’aveva salvata dal manichino e dal quadro senza chiedere
nulla in cambio se
non la sua collaborazione.
Si fece forza. Non era cambiato nulla da quando si era svegliata e
aveva
trovato la rosa e per questo, a maggior ragione, doveva tenere gli
occhi
aperti; non c’erano scappatoie.
Un paio di volte andarono a sbattere con il naso in vicoli cechi,
maledicendo la lucentezza del materiale, ma nessun suono o eco riusciva
ad
attirare l’attenzione delle creature assopite. Garry le
rivolse allora un
sorriso d’incoraggiamento. Arrivando a destinazione
però, ebbero l’ennesima
brutta sorpresa: l’uscio contrassegnato con un cinque grigio,
era bloccato da
una serratura di cui la chiave non era in vista. Il ragazzo non
mollò, li
costrinse a proseguire, usando il trucco della mano destra per
districarsi
dagli innumerevoli ostacoli come aveva visto fare alla compagna. Alla
fine
anche le altre tre aule, intraviste dall’ingresso, si
rivelarono sbarrate: la
numero due aveva un codice con cilindri scorrevoli da inserire,
l’atra, la uno,
esattamente adiacente, chiedeva il numero a due cifre dei quadri
femminili
presenti, mentre la quarta era chiusa dall’interno.
<< Niente da fare, dobbiamo per forza risolvere gli
enigmi per
poter entrare, altrimenti resteremo qui.>>
sbuffò il ragazzo forzando
l’ennesima maniglia.
<< A quanto pare dobbiamo aprirle in ordine
>> rimarcò lei
di rimando osservandosi nervosamente in giro.
<< Già, ma la terza
dov’è? Dall’altro lato?>>
chiese
sporgendosi in direzione della parte inesplorata. Entrambi trattennero
il fiato
vedendo quanti quadri, suddivisi in due file li aspettassero con i
sorrisi
maliziosi e occhi scintillanti.
<< Niente panico, il rumore non le sveglia. Partiamo dal
primo
enigma e poi proseguiamo. Ce la possiamo fare.>> la
rincuorò ancora
vedendo il panico prosciugarle il colorito.
Ib contò le dame nella prima e seconda fila, mentre
l’altro nella terza
e quelle che si erano lasciati indietro, finché lei non lo
chiamò notando una
discordanza nella successione. Avvicinandosi insieme furono sopresi da
un uomo
appeso che li osservava con le orbite vuote dalla sua posizione
innaturale.
<< È il dipinto che stavo guardando alla
mostra!>> esordì
Garry.
<< Come?!>>
<< Sì, ne sono sicuro è proprio
lui. Lo stavo studiando prima che
le luci si spegnessero. Ma … ha qualcosa di diverso, i
numeri prima non
c’erano.>>
<< Che siano i numeri della porta due?>>
ipotizzò la
ragazza.
<< Probabile. Teniamoli a mente.>>
Tornarono sui loro passi e introdussero la soluzione del primo codice.
<< Ammetto che mi aspettavo di
più.>> criticò il ragazzo
girovagando per il piccolo spazio che a parte un vaso benedetto e
poster di
carta non aveva nulla di speciale. << “ Per
favore non toccare le
esposizioni. Se in qualche modo ne danneggiaste alcune, d…..
te il r….. c m….”. Beh, meglio non
farli
arrabbiare. Non credo che il seguito non sia divertente,
l’hanno anche
cancellato.>> lesse ad alta voce per Ib. Tuttavia
l’attenzione della
ragazza era stata catturata a metà del discorso, da un
foglietto svolazzante
che le fluttuò davanti.
“ La galleria
è come un inquietante parco
dei divertimenti pieno di cose strane! È così
divertente giocare qui che la
giornata passa prima che te ne accorga! Non è un posto
fantastico? Perché non ti
unisci a me qui? Starai bene con tutta questa
compagnia…”
“
Di nuovo questa scrittura.” pensò Ib e
sollevò il capo per vedere da
dove fosse caduto. Nel soffitto effettivamente c’era un buco
e poté giurare di
vedervi una figura salutarla per poi scomparire nelle ombre. La ragazza
rimase
paralizzata, come se una forza oscura volesse risucchiarla in quel
baratro, poi
uno schianto la riportò al presente.
<<
Cos’è stato?!>>
scattò Garry per spalancare la porta, lasciando entrare un
ruggito
irato, proveniente dal labirinto di vetri. <<
…Niente di buono. Presto,
risolviamo in fretta gli enigmi. Non mi piace come si stanno mettendo
le cose.>>
Lei, ancora
scossa, si precipitò fuori dalla stanza e accartocciando il
bigliettino, lo infilò malamente nella tasca,
l’avrebbe mostrata in un secondo
momento all’altro. Tuttavia non riusciva a togliersi dalla
testa la subdola
idea che il messaggio fosse rivolto soltanto a lei.
Subito Garry
inserì due volte il codice ritrovato sul vestiario del
condannato, prima che la porta si aprisse, mentre l’urlo
gutturale si
avvicinava sempre più. Temporaneamente al sicuro
questa volta
la stanza gli chiese di sistemare un tavolino nella
posizione giusta che diede come effetto un clack, di serratura aperta,
e un
nuovo fragore. Il ragazzo imprecò tra i denti, socchiudendo
l’uscio nel trovare
fondati i suoi sospetti, oltre ad un’indesiderata testa di
manichino rivolta
verso l’uscio e che prima era assolutamente sicuro non vi
fosse.
<<
Dobbiamo corre vero?>> disse Ib con il sudore freddo che
le scendeva lungo la schiena.
<<
Sì>> ribatté lui lapidario.
<<
Sbrighiamoci. >> lo sollecitò, senza pensare
effettivamente a quello che stava accadendo. Se si fosse soffermata ad
analizzare la situazione avrebbe ceduto alla disperazione.
Dovevano
arrivare alla terza porta, dall’altro capo della sala, ma il
percorso era ostacolato da due donne quadro che irate, sfogavano la
loro
frustrazione sul pavimento. Al tre eruppero dallo sgabuzzino, chiedendo
uno
sforzo enorme alle loro gambe, schivando braccia avide e ghigni
bramosi, e non
si fermarono finché non impattarono contro il nuovo ingresso
sbattendo l’assito
negli stipiti dopo il loro passaggio. Era ancora presto per tirare un
sospiro
di sollievo; li aspettava una nuova prova che aveva come colonna sonora
gli
schianti di nuovi mostri che lasciavano le loro posizioni.
Rimasero
alquanto sbalorditi nel vedere un enorme specchio solitario.
Niente biglietti, manifesti o indizi, niente di niente.
<<
Strano dovrà pur servire a
qualcosa…>> disse la ragazza
avvicinandosi alla superficie riflettente.
<<
Ehi, non essere così avventata e se fosse un trabocchetto?!
Non ti fidare ciecamente.>>
La giovane lo
guardò di sbieco. Se lo specchio si trovava lì un
motivo
doveva esserci, perciò stava a loro trovare quale. Eppure la
loro immagine si
rifletteva placida e senza alterazioni.
<<
Visto… nulla.>> lo punzecchiò lei,
alludendo al fatto
che non fosse comparso nulla. Tuttavia la frecciatina non venne
indirizzata per
cattiveria ma a causa dei nervi logori.
Si voltarono
dubbiosi e pronti a lasciare la camera, invece trovarono
il passo sbarrato da una delle teste di manichino che aveva segnato il
corridoio in precedenza.
<<
Cosa
diav… quando è entrato nella
stanza?>>.
<< Forse se ci specchiamo di nuovo, scomparirà
com’è apparsa.>>
propose Ib, vedendo che la testa non si schiodava dall’arco
d’apertura della
porta.
Rifecero la stessa cosa, solo che questa volta il riflesso
riportò uno sviluppo
inquietante: la testa comparve esattamente alle spalle di Garry per
guardarlo con
uno sguardo glaciale come se fosse un intruso indesiderato.
<< Hm? Ma che cos’è
quella…>> ma non ebbe nemmeno il tempo
di dirlo che cacciò un urlo di terrore notando la testa che
cercavano di
scacciare. Garry cadde per terra, lasciando Ib attonita e raggelata.
<< T-tu! Maledetta!>> scattò il
ragazzo pronto a calciarla
lontana.
<< No! È un’esposizione, non
farlo!>> lo fermò la compagna
strattonandolo per il braccio, ricordando l’avviso dietro la
porta numero uno.
Garry abbandonò la posizione e la guardò mesto.
<< Giusto Ib… è stato immaturo da
parte mia. Scusa… Andiamo.>> si
giustificò, prendendo la via della porta.
La
ragazza non sapeva che fare, voleva confortarlo ma allo stesso tempo
cosa
poteva dire? Era solo una sconosciuta che non lo conosceva per nulla,
che
argomentazioni avrebbe potuto usare? Forse poteva raccontargli che una
cosa
simile era successa più volte anche a lei, e per questo non
c’era nulla di cui
vergognarsi. Eppure più cercava di trovare qualcosa di
sensato da dire, meno le
parole le venivano, aumentando il suo senso
d’inutilità.
Contemporaneamente,
nell’atrio si era scatenato il putiferio. Era un brulicare
unico di mostri in
cerca di persone su cui mettere le grinfie.
Tentarono
di ripararsi nella sala, ma l’uscio venne nuovamente chiuso a
chiave.
<<
Andiamo!>> iniziò a prenderlo a spallate in
ragazzo, senza successo.
<<
Garry!>> urlò Ib spingendo il ragazzo lontano
da un artiglio proteso
nella sua direzione.
<<
Stai bene?!>> la afferrò lui per le spalle ad
esaminare lo squarcio che
le si era aperto sul tessuto della manica.
<<
Via! Via, via, via!!!>> lo incitò lei di
rimando, sospingendolo lontano
dalle nuove figure che li stavano per accerchiare. Intrapresero la fuga
decisi
a raggiungere la meta quattro, ma qualcosa trattenne Ib.
L’aveva distratta un
luccicare argentato a pochi metri da lei e dai suoi inseguitori.
Essendo reduce
delle esperienze precedenti e capendo perciò
l’importanza dell’oggetto, balzò
in quella direzione il più in fretta che poté per
afferrare la chiave. Ma un
secondo di troppo per rallegrarsi della conquista, le costò
caro. Sollevando lo
sguardo, incrociò gli occhi iniettati di sangue della donna
in rosso. Il cuore
perse un battito mentre l’essere digrignava i denti a
chiostra nella sua
direzione, poi qualcosa la afferrò sotto l’ascella
e la ritrasse indietro nell’esatto
istante in cui la mascella schioccava nel chiudersi.
Il
ragazzo la stabilizzo, rimettendola in piedi e, con la mano chiusa come
una
manetta attorno al suo polso, se la trascinò dietro. Garry
usò l’aria per
respirare e concentrarsi sullo sforzo, mentre saettava e schivava gli
oppositori, anche se dentro di se voleva rinfacciare la promessa alla
ragazza e
sfogarsi per il terrore che l’aveva assalito. Se fosse
arrivato anche un solo
istante più tardi, Ib non ci sarebbe più stata.
Pestò i piedi più forte che
poté per imprimere maggior velocità allo scatto,
finché i polmoni non
iniziarono a bruciargli per lo sforzo. Finalmente in
prossimità della menta
spinse la ragazza in contro alla porta intimandole di fare in fretta.
Lei
incespicò con la serratura, ma alla fine la aprì.
Erano
salvi per miracolo.
<<
Non farlo mai più!>> le urlò contro
mentre dava una doppia mandata alla
porta.
<<
Garry…>> sussurrò lei di schiena.
<< Per
poco non ti facevi ammazzare … me
l’avevi promesso!>> continuò
imperterrito lui, quando un primo colpò si
abbatté sulle assi. << Dannazione! Siamo anche
in trappola.>> inveì
squadrando i cardini per vedere se avrebbero retto.
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Capitolo 9 *** Capitolo 8 ***
° Quello Che
Avverrà°
Atto.8
“Mi
dispiace.
Ero
così concentrato dall’uscire da qui che
non
ho veramente badato a te…”
<<
Ib, Ib che fai lì
impalata? Dobbiamo cercare una via di fuga.>> ripeteva
Garry in preda
all’agitazione, cercando a tentoni nel buio
l’interruttore della stanza. Ciò
nonostante la ragazza a malapena lo ascoltava, era fissa su una
scultura lattea
illuminata dalle lame di luce filtranti da sotto la porta e dalla
piccola
finestra all’angolo. Aveva un’aria familiare e,
infatti, non appena la lampadina
ne rese chiari i contorni, capì il perché: si
trattava del divano di pelle
candida presentato dal museo; ne erano un tratto distintivo i cavi
rossi come
vene di un organismo che legavano le varie parti sospese, mentre un
cartello
sbeffeggiativo attaccato allo schienale li invitava a sedersi per
riposare e
abbandonare le preoccupazioni.
<< Siamo davvero all’interno
della mostra…>> mormorò lei a mezza
voce tanto era sconvolta dal
ritrovamento. Tuttavia non era troppo scioccata, visto che la
realizzazione
della verità era avvenuta in un lasso di tempo abbastanza
lungo per abituarcisi.
Aveva capito tempo prima la vera natura di quel mondo, una sorta di
universo
parallelo, dove risiedevano le ombre viventi di ciò che
aveva visto inanimato
nel suo mondo, ma il peso di quella realizzazione era stato troppo da
assimilare in precedenza. in quel momento invece, con una prova
così lampante, era
stato più facile prendere atto della cosa e accettarla. Era
così, punto.
<< Come?! >> disse
Garry comparendole alle spalle per vedere quello che gli atava
indicando.
<< Ma che…! È identico.
>>
continuò osservando più da vicino. Sembrava
visibilmente scosso e incredulo di
fronte alla scoperta, tanto che gli serviva saggiare la consistenza
dell’oggetto
per renderlo reale per la sua mente. Se poi si aggiungevano come
colonna sonora
di sottofondo i sibili e i colpi inferti sulla porta, le impressioni
negative
venivano di certo accentuate.
Intanto che il ragazzo ispezionava
minuziosamente l’artefatto lasciandosi sfuggire di tanto
intanto qualche verso
di stupore, un altro oggetto catturò l’attenzione
di Ib. Un enorme drappo
sdrucito che a malapena riusciva a tenere nascosto l’oggetto
sottostante, svettava
sulla parete alle spalle del divano rendendo impossibile non notarlo.
Così il
ragazzo, vedendo lo sguardo indagatore della compagna e mosso dalla sua
stessa
curiosità, si avvicinò a grandi falcate.
Scegliendo come spiegazione del loro
gesto la scusa di non poter lasciare nessun angolo della stanza
inesplorato,
benché meno le opere d’arte che si era visto
essere dotate di volontà propria,
decisero di scoprire cosa coprisse. Con uno strattone Garry fece
scivolare la
stoffa lungo la cornice mogano del dipinto e rimase a esaminare i due
anonimi
soggetti ritratti a grandezza naturale in completi eleganti, intenti ad
osservare l’ambiente di fronte a loro con le perfette iridi
finte. Fissò
esterrefatto l’uomo e la donna saldi nella loro posa
statuaria per la dovizia
di particolari. << Non ricordo di averli visti tra quelli
esposti e tu? >>
chiese lui ripescando tra i ricordi delle poche ore spese
all’evento dedicato a
Guertena. Ciò nonostante non trovò nessun
riscontro, così si voltò per cercare
spiegazioni da Ib che rimasta senza parole da quando aveva posto la
domanda. La
trovò più esangue della camicetta che
indossava con le braccia rigidamente premute contro i fianchi e gli
sembrò che
anche lei si potesse tramutare in una macchia di tinta sulla tela. Per
non
parlare degli occhi della ragazza sgranati a dismisura ed il tremolio
che si
era impossessato del suo labbro, tanto pronunciati da
mettere il ragazzo in allarme. << Che
c’è?! >> urlò
preoccupato.
In un primo momento non si mosse
come se non si fosse nemmeno resa conto della sua presenza, poi
lentamente,
quasi a scatti, si voltò di tre quarti.
<< Questi… questi sono i miei…
>> balbettava incontrollata. Lo sguardo era distante come
catapultato in
un altro presente e mostravano tutto il terrore che non riusciva a
esprime con
le parole.
<< Chi? Li conosci o li hai
visti alla mostra? >>. La incalzò per farla
parlare. Voleva capire cosa
le stesse succedendo e chi fossero le persone che l’avevano
sconvolta tanto.
<< Sono i miei genitori.
>> concluse in un rantolo tornando a fissare difronte a
sé ed
aggrappandosi con le iridi castane alle effigi.
Era come se l’opera fosse
improvvisamente diventata un enorme buco nero che risucchiava tutte le
sue sensazioni
e percezioni con il suo potere attrattivo, impedendole di interrompere
il
contatto visivo nonostante gli occhi le pizzicassero per le imminenti
lacrime.
Anche la voce del ragazzo le arrivava ovattata come se si trovasse a
mille anni
luce di distanza come se si stesse allontanando sempre più
dalla realtà. Non
voleva cedere e non voleva credere che anche i suoi parenti fossero
finiti in
quel girone infernale che si era dimostrato il nuovo mondo, altrimenti
sarebbe
andata in pezzi insieme agli ultimi brandelli della sua
sanità mentale.
<< Perché ci
dovrebbe essere un
quadro così da queste parti?>>
continuò il ragazzo.
Forse
non lo faceva con cattiveria o forse nemmeno si era accorto di quanto
quella
frase suonasse allarmante alle orecchie della sventurata.
<< Non sono loro, vero? Loro
stanno bene. Non sono finiti in un posto simile,
giusto?!>> disse la
ragazza afferrandolo per la manica e stringendola come se fosse la sua
unica
ancora di salvataggio. Era giunta al punto limite, aveva bisogno di
rassicurazioni e l’unico che poteva dargliele era
lì a portata di mano ma era
anche un estraneo, e per tanto non avrebbe colto il suo appello
supplichevole.
Mentre il ragazzo soppesava le
parole da usare, per Ib il tempo si dilatava opprimente, lasciando
campo libero
alla sua fantasia di elaborare scenari catastrofici finché
un unico e spaventoso
pensiero prevaricò gli altri diventando assillante:
“ Se le stesse cose che mi
sono capitate sono successe anche ai miei genitori, cosa né
è stato di loro? ”
Era insopportabile pensare alla
coppia che fronteggiava le belve la fuori. Era decisamente troppo. I
Suoi
genitori non erano per niente agili: sua madre non aveva mai fatto
sport e suo
padre a parte scartare velocemente le carte, non sapeva nemmeno come
impugnare
una scopa.
<< Dove sono non lo so, ma
vedrai che stanno bene. >> cercò di
rassicurarla Garry, vedendo la
disperazione e il terrore affiorarle sul viso. “ Pensavo
fosse un tipetto duro, ma questo
sconvolge anche
lei”, pensò, “forse è meglio
cambiare argomento ”.
<<
Ib, non sembra anche a te che i manichini si siano calmati? Magari
riusciamo ad
uscire da qui. >> esordì costringendola a
ritornare dagli abissi oscuri
della paura. Tuttavia il suo sforzo fu parzialmente invano
perché non riuscì a
scacciare nemmeno un briciolo dello shock dal volto della compagna.
Nonostante
questo non si diede per vinto e anzi raggiunse la porta in un lampo e
sbloccò
la serratura con decisione. Prima lasciavano quell’inferno e
meglio sarebbe
stato per tutti.
<<
È UNO SCHERZO?!>> sbraitò per la
frustrazione nel vedere che nonostante
non ci fossero blocchi la porta non si smuoveva. Garry
infierì in tutti i modi
che poteva sulla maniglia, ma non ottenne nessun risultato.
Un
sonoro clack echeggiò all’esterno, seguito subito
dopo da gorgoglii sommessi e
il rumore di oggetti strascicati e distrutti, poi qualcosa venne
scagliato sul
muro, facendo sobbalzare i ragazzi e oscillare il quadro sul suo
chiodo. A quanto
sembrava i mostri erano tornati dalla loro pausa.
<<
Ib stai indietro >> scandì Garry e spostando
la ragazza alle sue spalle per
farle da scudo, evitando anche di non sostare
troppo vicino alla porta.
Ripiombò
un silenzio pesante e carico di tensione.
Il
cuore del ragazzo galoppava impazzito per l’ansia e la
consapevolezza di essere
in trappola senza nemmeno un arma per difendersi. Per cui se qualsiasi
cosa
fosse entrata nella stanza, erano spacciati. A dispetto di tutto Garry
era
deciso a trovare almeno il modo di far scappare la ragazza, voleva che
almeno
lei si salvasse e non solo per restituirle il favore. I suoi pensieri
di gloria
però ebbero vita breve. Una donna-dipinto sfondò
l’unica finestrella,
trascinando con sé parte del muro di cartongesso, irrompendo
prepotentemente
nella stanza schioccando le mascelle chiostrate di denti aguzzi.
Garry
si spostò subito per togliersi dalla linea di tiro della
creatura e frapporre
tra loro il divano niveo.
<<
Ib mentre io la distraggo tu raggiungi il buco e
scappa.>> la istruì
senza ottenere risposta. << Ib. Ib!! >>
cercò di farsi sentire,
tuttavia la ragazza doveva essere ancora molto scossa. In quelle
condizioni non
poteva permettersi di perderla di vista, sarebbe stato come mandare un
bambino
allo sbaraglio e peggiorando ancora di più la situazione.
Senza perdere il
contatto visivo con il mostro che avanzava con gli occhi spiritati, il
ragazzo face
lavorare il cervello per trovare la salvezza.
“
Questa non ci voleva, maledizione!” imprecò con
ira quando la situazione
precipitò ulteriormente.
Esattamente
a pochi centimetri dai coniugi si aprì un ulteriore squarcio
nell’intonaco,
lasciando emergere l’ennesima e famelica dama schiumante di
saliva. La coppia
fu costretta a fare una brusca virata e ripararsi con uno angolo del
sofà.
Avevano pochi istanti per decidere la loro mossa prima di essere
circondati e sbranati
vivi. Garry attese qualche secondo, nel frattempo che la seconda
arrivata si
avvicinasse loro il più possibile, per poi giocarsi il tutto
per tutto. Al
momento giusto strattonò Ib per un braccio nel saltare sulla
mobilia per poi
scagliarsi con tutto il peso sullo schienale. Il mobilio
cigolò sui piedini e
crollò rovinosamente all’indietro con un boato
assordante che rimbalzò sulla
pareti. Il ragazzo non attese il risultato della sua impresa, gli
bastava
sentire le grida disperate della mostruosità a cui aveva
distrutto il supporto
con il peso dell’istallazione e il ringhio di rabbia
dell’altra che aveva
urtato mentre si azzuffava con la sua simile, per passare oltre a tutta
velocità. In più, rassicurato della stretta di Ib
nella sua mano e del margine
di vantaggio guadagnato, si infilò nello squarcio del muro
senza dare una
seconda scorsa alle sue spalle.
Si
precipitò verso il labirinto di specchi già
conscio sul da farsi.
Le
creature convogliavano tutte su di loro da ogni direzione, sfondando le
mura di
silice, strappando le vesti dei compagni, strattonando e calpestando
senza mai
smettere di ululare di smania e eccitazione. Ib cercava di stare al
passo con
Garry che aveva una falcata doppia rispetto alla sua, ma non
riuscì a non
voltarsi indietro per conoscere il distacco dai braccatori.
Scoprì con
rammarico che non era stata una buona idea visto lo spettacolo che si
offriva.
Vide tutti i suoi inseguitori protendere gli artigli, appendici e
qualsiasi
cosa per ghermirli. Vide la follia erompere dai loro bulbi oculari
fittizi e
l’inumanità dipinta sui volti distorti da ghigni
idrofobi e continuò ad
osservarli per parecchi metri. Percepì il vetro
scricchiolarle sotto i piedi
senza curarsi da dove provenisse o ad evitarlo. Non udì
nemmeno la voce distante
dell’amico che la incitava a concentrarsi sulla corsa, tanto
era ipnotico il
branco degli scempi che brulicavano come una massa delirante. Anche il
suo
stesso grido le sembrò incorporeo quando
uno degli esseri, un manichino, riuscì a staccarsi dal
gruppo con lo slancio di
un felino e lanciarsi su di lei ad artigli scoperti. Sentì
Garry aumentare di
conseguenza l’andatura, forzando i muscoli
all’inverosimile mentre stringeva
con veemenza il suo polso, con l’intento di portarla fuori
dalla portata del
mostro che mancando la presa ruzzolò malamente a terra
spaccandosi in diversi
punti. Non era ancora abbastanza. Corsero a perdifiato, superando tutte
le
crepe lasciate dai vandalici abitanti del labirinto che li aveva
ostacolati
all’inizio fino ad arrivare alla quinta tappa. La maniglia si
arrese subito
alla presa del ragazzo e Ib si sentì catapultare
all’interno con un unico
movimento senza interrompere lo sprint, poi il rumore sordo
dell’assito che
sbatté per una sola manata ben assestata ed infine lo
strappo del nuovo scatto
della fuga. Ib avvertì solo lampi candidi di facce
opalescenti che sfrecciavano
ai lati del campo visivo, diventavano via via più nitidi man
mano che il passo
scemava in marcia ed infine si arrestava.
<<
Do… dovremmo essere abbastanza lontani.>>
boccheggiò Garry appoggiandosi
alle ginocchia per costringere grandi boccate d’aria a fluire
nei suoi polmoni
al collasso. << Siamo stati fortunati. Wow …
beh. Meglio continuare a
muoversi per sicurezza.>> decretò a corto di
fiato intanto che riguadagnava
la posizione eretta per massaggiarsi il fianco. Però Ib non
riusciva ad
afferrare il senso del discorso, le sembravano così assurde
le sue parole. “
Continuare? A che scopo” si ripeteva come un disco rotto.
Visto come stavano le
cose, chi c’era ad aspettarla? I suoi probabilmente erano
diventati parte
integrante di una tremenda esposizione e a breve lei li avrebbe
raggiunti in un
modo o nell’altro. ecco quello che succedeva a chi restava
imprigionato lì!
Lentamente si stava convincendo dell’inesorabilità
della disfatta, tanto che
nemmeno i piedi volevano assecondare la folle scelta proposta dal
giovane. Si
accorse solo in quel momento di un fastidioso fischio nelle orecchie e
la
pesantezza che le schiacciava le membra a terra come la pressione di
Venere. Cercò
con lo sguardo il compagno, ma Garry le sembrava così
distante e sfocato con i
vivaci capelli lilla che stemperavano in un nero indefinito. Non si
rese
nemmeno conto di collassare verso il pavimento finché non
vide la macchia
indistinta che era Garry sbilanciarsi verso di lei urlando. Tuttavia
l’unica
cosa che sentì fu un gran dolore alla testa inghiottito da
un vuoto nero e
assoluto che l’avvolse.
Una
voce le fece riprendere
conoscenza, era il familiare tono del suo suggeritore
nell’ombra. Colui che le
aveva dato indizi per poter proseguire e spiegarle, seppur con delle
limitazioni, ciò che non capiva. Sebbene le apparizioni
dell’essere fossero
sporadiche, servivano sempre a qualcosa, perciò che voleva
da lei?
Riaprì gli occhi ma invece di
trovarsi con Garry era sdraiata su un pavimento marmoreo, sovrastata da
due
porte speculari di una stanza quadrata. Tutto lo spazio era stato
graffitato da
cerchi e disegni infantili fatti con pastelli a cera i cui colori
litigavano
gli uni con gli altri per tonalità e accostamento.
“ Ib, di qua. Presto o ti prenderanno.”
la chiamava la voce dalla porta alle sue spalle, con il tono urgente di
chi ha
il tempo contro.
<< Perché, chi sta
arrivando? >> chiese confusa mentre un dolore martellante
le comprimeva
il lato sinistro del cranio.
“ Sbrigati! Non c’è …
” rispose accorata
la voce mentre si affievoliva in lontananza.
Nello stesso istante in cui
l’uomo smise di parlare, l’uscio opposto venne
squassato da violenti urti. Con
un movimento rapido dettato dai riflessi, Ib si precipitò
alla porta scura e
avanzò nella nuova stanza identica. Anche qui
sentì l’uomo suggerirle di
affrettarsi, ma non riuscì a muoversi se non dopo aver
sentito ancora i colpi
con l’aggiunta di grida e strilli identici a quelli di
qualche momento
addietro. Si inoltrò nell’ennesima stanza e qui si
arrestò agghiacciata. Non
c’erano più porte con cui sfuggire agli
inseguitori inferociti ed il panico di
Ib aumentò insieme alla forza dei colpi sul tavolato.
“ Devi raggiungermi, se no non
potrò aiutarti. ” supplicava l’uomo
oltre il muro.
<< Come?! non c’è un
passaggio. Se mi prendono che mi faranno?!>> gli chiese
appoggiandosi
alla parete di fondo nella speranza di trovare un qualsiasi passaggio.
“ Raggiungimi, fai in fretta. ”
continuava imperterrito l’altro come se non ci fosse
nessun’ostacolo ad impedire
il loro incontro se non la volontà della ragazza.
La porta saltò dai cardini e si
schiantò sul pavimento con una pioggia di schegge
irregolari. Quello che entrò
fu niente di meno
che un esemplare di
mostro per ogni tipo di quelli incontrati. Come l’ultima
volta in cui vi era imbattuta,
questi tentarono di afferrarla e strapparle con i loro artigli e denti
aguzzi, un
pezzettino di pelle, una ciocca di capelli o un lembo di stoffa da
tenere come
trofeo. Fortunatamente non ebbero il tempo di raggiungere il centro
dello
spazio, che una voragine si aprì ai piedi di Ib e la
inghiottì in un sol
boccone con le fauci zigrinate di marmo e striate di cera. Era la
seconda volta
che veniva ingollata e la viscida sensazione che ne derivava era sempre
troppo
intensa. Serrò le labbra e le palpebre cercando di contenere
il terribile senso
di vuoto nell’addome con la speranza che le viscere non le
venissero
strappate mentre precipitava in un tunnel
buio come
l’inchiostro e senza fine come l’universo.
“ Finalmente possiamo parlare”. Si
fermò un attimo la voce e con lei si arrestò
anche la caduta di Ib che rimase a
galleggiare a mezz’aria come un palloncino d’elio
sgonfio. “ Non abbiamo molto
tempo e quello che ti devo dire è importante per quello che
deve avvenire”.
“ Ti prego, ricorda quello che
vedrai o perderai una persona per te molto importante.
Finché ricorderai …
finché lo farai andrà tutto bene.” le
sussurrò l’uomo invisibile con l’affetto
e malinconia che riempivano le sfumature del suo timbro vocale.
<< Aspetta, ma che succede!
Ti prego spiegami meglio.>> supplicò Ib.
“ Mi dispiace è l’ultima volta
che ci vedremo. Lei è sempre più vicina e non mi
permetterà di avvicinarti,
perciò Arrivederci Ib. Ricorda ciò che
vedrai.” la voce si spense
definitivamente.
<< Aspetta ti
prego!>> le sue parole furono espresse troppo tardi ed in
quell’esatto
momento il buio intorno a lei si crepò come pittura secca.
La spaccatura più
grossa iniziò ad allargarsi a dismisura, fino a quando non
raggiunse il doppio
dell’altezza della ragazza e si spostò al di sopra
alla sua testa. Non appena
tutto fu in posizione la testa della ragazza scattò
all’insù verso la scheggia,
insensibile ai comandi della proprietaria di abbandonare la posizione
dolorosa.
Si afferrò le guance con i palmi, affondando le dita nei
capelli, per
costringere la parte interessata a smuoversi, ma non ci
riuscì. Intanto sopra
di lei la superficie della crepa mutava, diventava liquida e nebulosa,
virando
verso una tonalità di grigio perlaceo, poi iniziò
un flusso frenetico di
immagini.
Le sfrecciavano d’avanti agli
occhi la scena di lei e altre due persone, di cui una le infondeva una
sensazione spiacevole, perché sapeva che quella stessa
persona non doveva
trovarsi lì; il trio si separò e via verso altri
scenari e nuove prove, si
profilarono scelte importanti da fare fino ad arrivare alla
più importante dove
per un attimo le parve di sentire di nuovo la voce familiare:
“ Ti prego, stai
attenta quando arriverai qui.” diceva mentre la sè
stessa delle proiezioni si
sporgeva oltre il bordo di qualcosa. “ Non separarti da loro,
tienile strette
mentre cadi o lo perderai!” la rimproverava con la voce
straziata dalla
tristezza, mentre le sue parole venivano accompagniate da due chiazze,
rossa e
blu che precipitavano nel vuoto. Alla fine la blu si disintegrava in
piccole lacrime
per svanire per sempre.
Sentì un pianto disperato
riempirle la testa, seguito da un lancinante dolore al petto che
minacciava di
spezzarle in due il cuore. Si portò le mani al torace
cercando un modo
qualsiasi di tenere uniti i lembi, ma il dolore era talmente intenso
che il gesto
non diede nessun effetto.
Urlò piegandosi su se stessa,
cercando di dare un spiraglio di sollievo alla sua anima stretta nella
tenaglia
di dolore.
Il
suo grido riecheggiava ancora contro le pareti del locale in cui si
trovava,
quando finalmente riprese i sensi. Era seduta sul pavimento, avvolta in
un
caldissimo cappotto blu scuro. Gocce di sudore freddo le imperlavano il
viso e
la nuca, intanto che la vista lentamente metteva a fuoco il circondario.
<<
Ib era un incubo, tranquilla, sei al sicuro. Come ti senti? >> cercava di
calmarla una figura
maschile inginocchiata al suo fianco. Dopo un primo moto di repulsione,
riconobbe
la folta chioma bizzarra, anche se non ricordava di avergli visto
addosso la
canotta verde acido. Si sentì improvvisamente in imbarazzo
non solo nel
realizzare di essere svenuta di punto in bianco.
<<
Ehm, scusami .>> balbettò nascondendosi dietro
la cascata di capelli
castani per nascondere il live rossore che iniziava ad arrampicarlesi
dalle
orecchie fino agli zigomi.
Voleva
nascondersi sotto il cappotto e diventare un bruco pur di sfuggire
all’imbarazzo della situazione ed in più a
peggiorare il tutto c’era il sogno. Lo
ricordava a pezzi di cui i più nitidi riguardavano la prima
parte, dell’altra
restavano solo vaghe sensazioni e poche immagini offuscate come una
polaroid
venuta male. << Ora sto bene, davvero. >>
aggiunse rapidamente alla
fine del resoconto onirico nella sua mente.
<<
Sul serio? Grazie al cielo. Mi sono spaventato da morire, non ti
svegliavi. Per
fortuna ho trovato questa stanza altrimenti saremmo stati
spacciati.>> la
informò lui accomodandosi sul pavimento per poterla
osservare meglio. Garry le
guardò attentamente il viso facendo scorrere le dita tra i
capelli fino alla
tempia sinistra.
<<
Hai preso una bella botta, per fortuna c’è solo un
bernoccolo e nient’altro di
grave>> disse strofinando la gobbetta con il pollice.
<< Ti fa
male? >>.
Ib
sbiancò ed arrossì contemporaneamente, facendo
allarmare il ragazzo per il
repentino cambio di colore. Scosto subito la mano. <<
Potresti guardare
nella tasca del giubbotto per favore? >> le chiese
d’un tratto facendo
sobbalzare la ragazza ancora concentrata sulla sensazione del tocco di
lui
sulla guancia. Assecondando la richiesta pur di non doverlo guardare in
faccia,
perché le si sarebbero letti in faccia i suoi pensieri,
estrasse una cartina
gialla. Era rigonfia ed il logo, con alcuni favi che gocciolavano miele
su un
limone tagliato delle lettere a ghirigori, chiariva il gusto. La
ragazza lo
guardò perplessa tenendo il confetto sul palmo della mano.
<<
Puoi tenerla. Mangiala e vedrai che ti tirerà su.
>> le sorrise
rimettendosi in piedi pensando di lasciarle un po’ di tempo
per riprendersi.
<< Che ne dici se restiamo ancora un po’ qui a
riposare prima di
ripartire? Non ci guasterà un attimo di pausa e puoi dormire
se vuoi, questa stanza sembra
sicura. Se hai
bisogno di me mi trovi di là.>> disse alla
fine e si allontanò per
riprendere quello che aveva interrotto, dopo averle dato un’
ultimo sguardo per
assicurarsi che stesse bene.
Ib
aveva un mucchio di emozioni che la tormentavano, per cui decise che
era meglio
seguire il consiglio del ragazzo, anche perché non era
pronta affrontarlo in un
novo faccia a faccia. Allora più che mai si sentiva
consapevole della presenza di
Garry e non solo per la premura che le aveva riservato. Inoltre questa
nuova
coscienza veniva accentuata dal terribile sentimento di colpa per come
si era
comportata difronte al pericolo. Si era lasciata sopraffare dal panico
e dalla
paura proprio nel momento in cui doveva restare lucida per mantenere
fede alla
decisione di aiutare Garry. Come aveva potuto lasciare che accadesse?
Non
voleva essere un peso.
Quando
finalmente si calmò, aveva la testa posata sulle ginocchia
ancora avvolte nel
cappotto del ragazzo. Non riusciva a capacitarsi come un estraneo
potesse
essere così gentile con una perfetta sconosciuta, forse era
solo dovuto alla
situazione e perché era una ragazzina, eppure tra tutte le
persone le era
capitata proprio l’unico che aveva catturato la sua
curiosità alla mostra e in
qualche modo si sentiva fortunata.
“
Forse è meglio se glielo riporto… magari ha
freddo.” Pensò Ib ricordandosi del ragazzo
rimasto a giro-maniche. Le sembrò una buona scusa per
troncare sul nascere
pensieri e fantasticherie non necessarie.
Si
alzò lentamente, aveva ancora mal di testa e nel punto della
tempia che aveva
picchiato a terra c’era già un grosso bernoccolo
come annunciato dal ragazzo,
tuttavia riusciva a camminare e la vista era normale perciò
non era nulla di
serio. Girò tra gli scaffali della libreria in cui si
trovava, sotto lo sguardo
severo dello stesso cartellone che si ripeteva in continuazione
strombazzando
con le austere lettere in grassetto il comportamento da tenere nel
luogo:
“
Regole
della galleria. Non parlate a voce alta, non fate fotografie, non
introducete
cibi e bevande. Non toccate le esibizioni, non uscite mai e poi mai
…”
L’ultima
frase la lasciò un attimo interdetta. Era da quando aveva
incontrato Garry che
non si chiedeva più chi l’avesse portata
lì, ma un’unica sentenza lasciata a
metà le fece tornare i dubbi: volevano tenerla
lì? Perché? Istintivamente portò
la mano alla tasca che conteneva la sua rosa, ma al suo posto
trovò il post-it
giallo. Doveva parlare al compagno anche di quello, ma prima doveva
ritrovare la sua rosa. Da quando si era
svegliata aveva la netta sensazione che il sogno ruotasse in torno a
qualcosa
che le era molto caro, perciò poteva trattarsi anche del suo
alter ego floreale,
ma non sapeva dire per certo cosa dovesse temere ne cosa dovesse
evitare.
L’ansia prese di nuovo il sopravvento, facendola correre per
la foresta di
carta come una forsennata pur di trovare l’oggetto perduto.
Che fosse arrivato
il momento annunciato?
Svoltò
l’ennesimo angolo e finalmente trovò il ragazzo
seduto sul pavimento e con la
schiena appoggiata ad uno scaffale intento a leggere, almeno
finché non la
scorse.
<<
Che c’è Ib?! Hai avuto un altro incubo?
>> disse allarmato lasciando
cadere la sua lettura per correrle in contro, quasi inciampando nei
suoi stessi
piedi.
La
ragazza si appoggiò alle ginocchia per non perdere
l’equilibrio a causa di un
capogiro dovuto allo sforzo.
<<
La … Rosa. La mia Rosa …
dov’è? >>
scandì con irruenza tra un respiro e l’altro sotto
lo sguardo sbigottito del
ragazzo per l’improvvisa reazione.
<<
È qui. L’ho messa con la mia nel vaso.
>> rispose mostrandole il
tavolinetto che ospitava i due esemplari a bagno ed in salute. I loro
petali
dai vivaci colori accostati brillavano sotto la luce fredda dei neon,
incuranti
di quello che accadeva intorno a loro. Si avvicinò e
circondò la corolla con le
palme, sospirando di sollievo e sentendo parte della tensione
abbandonarla,
tranne per quella viscida sensazione di inquietudine che le restava
aggrappata
allo stomaco.
<<
Scusami. >> si lasciò sfuggire chinando il
capo, in un lieve inchino e
affrontando il ragazzo rimasto alle sue spalle.
Si
stava comportando come una pazza e non sapeva nemmeno lei
perché. Forse era
l’insieme di tutto ed alla fine era esplosa grazie al colpo
finale del quadro
dei suoi genitori, ma non era una giustificazione per i suoi continui
sbalzi
d’umore, doveva darsi un contegno come le era stato
insegnato, altrimenti era
condannata a restare lì per sempre come il misterioso
burattinaio continuava a
ricordarle.
<<
Perché ti stai scusando? >> le
domandò Garry, inginocchiandosi per portare il suo sguardo
al livello di quello
della ragazza. << Ib, senti … mi
dispiace
e non solo per aver preso la rosa senza permesso. Ero così
concentrato
dall’uscire da qui che non ho veramente badato a te. Scusami.
Oltretutto
potremmo aver bisogno di continuare a camminare per un po’ e
so di non essere
la persona più affidabile per queste situazioni, ma se
all’improvviso pensassi
di non farcela più, dimmelo ok? Se ce ne sarà
bisogno ti porterò sulle mie
spalle. Non voglio essere di nuovo inutile e vederti crollare ancora.
Ho
pensato a quello che è successo e non ho capito che, quando
hai visto il
quadro, mi stavi chiedendo di aiutarti. Siamo compagni, se non ci diamo
una
mano a vicenda non possiamo farcela a risolvere la situazione,
perciò va bene
se vuoi fare affidamento su di me. e io posso contare sul tuo appoggio?
>>
disse di getto, prendendole una mano tra le sue.
La
ragazza rimase a bocca aperta per la sorpresa e in rinnovato imbarazzo
nel trovare
i modi del ragazzo troppo espansivi, ma non in senso
negativo.
<<
Scusami, forse sono stato un po’ precipitoso, ma quello che
ho detto lo penso
davvero. >> cercò di spiegarsi impacciato
grattandosi una tempia improvvisamente
a disagio.
Ib
era rimasta immobile incapace di trovare qualcosa di sensato da dire.
Si
limitava a fissare quell’alta e magra figura che le si
stagliava davanti
cercando di capirne il carattere. Era un ragazzopremuroso e aperto, su
questo
non c’erano dubbi; a questo punto non serviva a nulla
mantenere una certa
distanza.
<<
Direi che siamo pari per quanto riguarda le scuse.>>
ridacchiò lei,
stringendo a sua volta la mano del ragazzo per siglare il loro accordo.
<<
Direi di sì. Ti senti meglio dopo la caramella?
>> cambiò discorso, rallegrandosi
al pensiero dell’utilità del suo dono.
<<
A dire la verità non l’ho mangiata.
>> disse costernata, vedendo vacillare
il sorriso di lui.
<<
Perché non ti piace il gusto? In effetti è un
po’ particolare se non sei
abituato. >>
<<
No, non è per quello… >> si
schermì lei. Non aveva nemmeno preso in
considerazione di assaggiarla, tanto era stata presa dai suoi pensieri,
ma non
voleva dirglielo per non ferirlo. Sembrava così contento di
essere stato d’aiuto
che non se la sentiva di smontarlo.
<<
Hai ragione, scusa. Puoi mangiarla quando vuoi. Sai, siccome sono le
mie
preferite, tendo a farle conoscere a chiunque, perdonami.
>> eruppe in
una timida risata, grattandosi la base del collo.
<<
Continui a scusarti. Non ce né bisogno, siamo una squadra
no? >> lo
rimproverò affettuosamente lei decidendo che era inutile
cercare di essere
forti ed imperturbabili, le situazioni lo avevano dimostrato, poteva
andare
sempre peggio e senza nessuno che potesse capirti poteva sarebbe stato
estremamente duro. Per cui tanto valeva cercare di aiutarsi a vicenda
senza sentirsi
in colpa per la minima cosa anche scherzare se ci fosse stata
l’occasione.
Inoltre con la sua genuina premurosità era impossibile
restare arrabbiati o
turbati per troppo tempo, anche il suo viso cordiale riusciva a
tranquillizzarla solo a guardarlo. In quel momento capì che
la loro relazione
sociale era passata ad un piano diverso rispetto a semplici
sconosciuti, adesso
poteva considerarlo il suo complice.
<<
Scus… hai ragione>> rinnovò il
sorriso questa volta sicuro e pieno.
<<
Grazie. Perché è tutto rovinato? >>
gli chiese restituendogli il cappotto
dagli orli slabbrati, separando le loro mani. Visto che avevano un
po’ di tempo
per riposare, un po’ di conversazione per conoscersi meglio
non poteva
danneggiare nessuno.
<<
No, è fatto apposta. È il suo design, ma non ne
sono sicuro lo indosso ormai da
anni.>> raccontò infilando le braccia lunghe e
snelle nel soprabito e
andando a recuperare il volume trascurato e sghembo sul pavimento.
<<
C’è qualcosa di interessante? >> gli
chiese Ib abbracciando le ginocchia
e sedendosi accanto a lui con le spalle che sfioravano appena, per
poter
sbirciare le frasi sulle pagine.
<<
Parla di Guertena. Da questa biografia sembra che non abbia avuto una
vita
molto agiata nonostante fosse molto famoso come artista. Inoltre
era parecchio tormentato e per questo è un
po’
triste come libro, ma si lascia leggere.>> la
aggiornò brevemente della
travagliata e breve esistenza del pittore, senza staccare mai gli occhi
dai fogli
se non per capire che impressioni dava alla ragazza. <<
Non ha mai
trovato la pace e si pensa che sia suicidato all’apice della
malattia che lo ha
reso pazzo.>> finì il resoconto.
<<
Mi dispiace un sacco, ma non credo sia come dicono le voci.
>> rifletté Ib
ad alta voce, appoggiando il mento alle ginocchia e cercando di capire
cosa le
facesse dire ciò senza indizi. Era solo una sensazione
latente, ma aveva l’impressione
che quello che aveva detto non fosse vero.
<<
Perché? >>
<<
Sono solo voci giusto? Chiunque potrebbe aver mal interpretato le cose,
secondo
me amava il suo lavoro e non penso che volesse togliersi la vita ed
abbandonarle le sue opere. >> espresse i suoi pensieri in
modo logico e
razionale, per avvalorare la sua tesi. Si ricordò
improvvisamente della
struttura e non poté evitare di controllare la sua piantina
personale
mollemente immerse nell’acqua curativa. C’era una
netta somiglianza tra i due
vegetali, ma una rosa poteva essere uguale a mille della sua specie.
<<
Molte sono curate minuziosamente, come la rosa gigante. L’hai
vista? >>
<<
È possibile che tu abbia ragione. Sì, era molto
bella e poi assomiglia un po’
alla tua rosa. Il rosso nei fiori significa amore e
felicità, lo sapevi? >>
le disse distrattamente Garry, seguendo
il suo sguardo.
<<
E la blu allora?>> chiese raddrizzandosi ed incuriosita
dalla sua conoscenza
del linguaggio floreale.
<<
Il suo non è un colore naturale perciò ha doppio
significato. C’è quello positivo
di fiducia e onestà e quello negativo, invece, è
legato all’indifferenza e
all’altezzosità.>>
assecondò la sua desiderio di sapere con
un’espressione malinconica e ferita.
<<
Ma alla fine esiste ed ha un colore magnifico, come il cielo appena
dopo il
tramonto. Mi piace, è rilassante. >> Ib non se
la sentiva di tirare furi
il vero significato delle loro rose, non dopo aver visto
l’espressione
abbattuta di Garry. Probabilmente non c’era nemmeno motivo di
spiegarlo perché
il ragazzo se n’era già accorto che i fiori non
erano soltanto tali. Tuttavia il
silenzio si protrasse, rotto solo dallo scricchiolio delle mensole
piegate dal
peso della cultura che portavano, mentre entrambi seguivano il percorso
dei
propri pensieri. Ib non sapeva che fare, forse si era spinta troppo
oltre con
la confidenza o magari Garry non l’aveva nemmeno sentita,
staccando l’udito
dalla realtà per rinchiudersi in se stesso. In tal caso non
c’era nulla che
potesse fare se non aspettare il suo ritorno, così la
ragazza prese un libro
dallo scaffale dietro di sé e iniziò a
sfogliarlo. Guardava distrattamente le
figure sulle creature d’alto mare che dovevano incutere
terrore, ma a lei
sembravano solo grossi esseri abbandonati a loro stessi ed allontanati
dalla
timorosa umanità.
“
Chi sa a che pensa? Immagino che anche lui abbia i suoi
problemi.” Riflettè accarezzando
l’ennesimo ritratto della rana pescatrice. Come poteva
essergli d’aiuto e
ricambiare la sua stessa gentilezza? Non voleva alleviare le sue pene,
non era
tanto presuntuosa da volersi attribuire un ruolo simile, ma per lo meno
calmare
le sue angosce, zittirle quel tanto che bastava per permettergli di
ritrovarsi.
Stava
ancora decidendo sul da farsi quando fu lo stesso ragazzo a rompere la
quiete.
<<
Sai, mattina mi sono alzato presto e adesso sono un po’
stanco, ma non vedevo
l’ora di venire alla mostra. Poi è successo questo
e onestamente credo di averne
abbastanza delle gallerie a questo punto. Perché
è successo, che senso ha?!>>
vomitò come un fiume in piene altre gli
argini per sfogarsi.
Ib
non lo sapeva, una vera risposta non ce l’aveva, ma poteva
solo immaginare e
mettere insieme gli indizi che le erano stati lasciati come le briciole
di pane
di pollicino. Intanto il fogliettino giallo pesava come un macigno
nella sua
tasca e cercava in tutti i modi di reclamare l’attenzione che
gli spettava.
“
Devo dirglielo o no?” si tormentava lei sgualcendo un lembo
della gonna adibita
a vittima della sua frustrazione. “ Ho deciso di affidarmi a
lui. Eppure non
voglio addossagli altri problemi. Sembra già afflitto di
suo.”
<<
Forse non c’è un motivo. Chi lo sa. Tra
l’altro non mi spiego l’esistenza di
quei mostri. E pensare che li avevi già visti e hai
viaggiato tutta sola prima
di incontrarmi. Non è affatto male, voglio dire, sei stata
molto coraggiosa. Se
fossi stato al tuo posto non sarei durato a lungo, vedi come
è andata a finire
con la donna dipinto.>> rise sarcastico abbandonando le
braccia lungo i
fianchi dopo un gesto di stizza.
Man
mano che parlava e si apriva ad Ib, questa si sentiva sempre
più in colpa di
non riuscire a confessargli tutto … e poi non si sentiva
affatto coraggiosa.
Aveva perso il conto di quante volte si era scoraggiata ed aveva
pianto, di
quante volte era stata sul punto di gettare la spugna e cedere, farsi
catturare
e finire la partita.
<<
Ehi, Ib?! Cos’è quella faccia. È colpa
mia perdonami, non volevo
rattristarti.>> cercò di rallegrarla,
spostandosi di lato per essere
faccia a faccia.
Lei
scosse la testa con decisione e senza pensare cacciò la mano
in tasca per
porgergli poco dopo il foglietto spiegazzato. Il ragazzo lo prese
stupito e
lesse le poche parole riportate, sbiancando di colpo. Ora la quiete era
ancora più
opprimente di quando il ragazzo era perso nel suo mondo,
perciò fu lei a
prendere la parola quella volta. << Mi dispiace tanto.
Dovevo dirtelo
prima! l’ho trovato, in una delle sale di prima e
>>
Garry
la fermò subito prendendola per le spalle <<
Non hai fatto niente di
male. Perché ti scusi per questo? Eri e sei spaventata,
è normale che non
sapessi che dirmi. È tutto così vago e poi
nessuno avrebbe potuto prevedere che
le cose finissero in questo modo. Andiamo sorridi! È un
peccato se il tuo viso
ha quell’espressione.>>
<<
Ma Garry … >> recriminò lei.
<<
Grazie, di avermelo mostrato. Questa è la prova che
c’è qualcuno che è a capo
di questo scherzo di cattivo gusto, anche se non sappiamo il
perché. Va bene è
un inizio ed è sempre meglio di niente. >>
rifletté serio perdendosi in
un punto lontano oltre la schiena di Ib. << Affrontiamo
una cosa alla
volta e concentriamoci su quello che possiamo fare. Così non
perdiamo la testa
e non facciamo il gioco di questo simpaticone. Poi se è
questo posto è collegato
alla galleria d’arte, gli altri presenti, per quanto ne
sappiamo, potrebbero
essersi persi qui. Se ce ne sono spero di trovarli perchè
più siamo e meglio è!
Dobbiamo anche trovare i tuoi genitori >>
esordì tirandosi in piedi e
porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi.
<<
Ti si addice proprio il blu, per quanto non ti piaccia >>
sussurrò lei
con un sorrisetto sghembo.
<<
Come?>>
<<
Ho detto andiamo! >> ed afferratogli il palmo lo
trascinò verso la
porta della biblioteca. Aveva avuto ragione su di lui fin dal primo
istante in
cui l’aveva visto alla mostra: era una persona interessante
ed eccentrica, ma
non solo. Era davvero speciale, per quel suo modo di riuscire sempre a
rasserenarla ed infonderle il coraggio perduto. Non poteva sperare in
un
compagno migliore.
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Capitolo 10 *** Capitolo 9 ***
°
Mary,Mary, Quite Contrary°
Atto.9
“Mary, Mary, quite contrary,
How does your garden grow?…”
I
due ragazzi parlavano del più e del meno mentre camminavano
approfondendo così
sia la loro conoscenza, sia i punti di divergenza che poneva la loro
differenza
d’età. Eppure nonostante ci fossero dieci anni di
distanza trovarono di essere
molto compatibili anche sul piano di discorsi impegnativi. Garry rimase
piacevolmente sorpreso di apprendere che Ib, nonostante fosse appena
entrata
nella fase adolescenziale, era più matura di tante sue
coetanee. Un’altra sua
scoperta fu che la ragazza proveniva da una famiglia altolocata in cui
la madre
aveva deciso di trascinarla alla mostra quel giorno. Dal suo racconto
il
ragazzo
face così indirettamente la conoscenza dei coniugi ritratti
e scambiati per
soggetti qualunque. Per questo, mentre Ib parlava e li descriveva, si
mortificò
ancora una volta per l’indelicatezza che aveva usato allora.
Ciò nonostante si
riprese subito non appena toccarono il tema degli hobby: a lei piaceva
leggere,
a lui dipingere. Si scambiarono molte informazioni su nuovi titoli che
sarebbero
stati interessanti da sfogliare e commentare insieme, oltre a parlare
di molti
pittori e artisti che avevano ispirato il ragazzo nelle sue ore private
con la
tela. Gli animi erano tanto allegri che Garry si sbilanciò
addirittura nell'
invitare Ib a vedere qualche sua creazione, dopo che lei aveva
entusiasticamente dichiarato che le sarebbe piaciuto vedere che
soggetti
attirassero la curiosità, oltre alla fantasia,
dell’amico.
Ib
dall’altra parte iniziò ad apprezzare sempre
più la parte ottimista e semplice
del compagno; non erano molte le persone che aveva conosciuto a cui
potesse
attribuire un simile pregio. Di cosa facesse il giovane nella vita di
tutti i
giorni a parte ritagliarsi del tempo per la pittura, seppe ben poco.
Infatti,
il giovane non era molto propenso a parlare di sé e lei non
se la sentiva di
forzarlo. Se non era sceso nei dettagli della sua
quotidianità voleva dire che
aveva le sue ragioni. Quindi sì limitò a farsi
un’idea di come doveva essere il
Garry che esisteva oltre l’incubo in cui si erano conosciuti.
Aveva un lavoro,
anche se non era stato specificato in che ambito, e sapeva guidare
perché
l’impiego non era vicino a casa sua. Inoltre abitava da solo,
non aveva orari
fissi per mangiare e adorava le caramelle o in generale qualsiasi cosa
dolce.
Continuarono
a scambiarsi informazioni per un bel pezzo, perdendosi nel piacere di
parlare
con l’altro e creare un attimo di tregua dal completo
disastro in cui si
trovavano invischiati, finché le dure leggi della loro nuova
realtà non misero nuovamente
alla prova le loro coronarie. Qualcuno reclamava la loro attenzione
dall’altro
lato di una porta sbarrata con assi di legno trasversali.
“
Non il massimo della sicurezza” pensarono nel vederla. Eppure
la cosa da fare
era solo una purtroppo: andare a controllare.
Si
avvicinarono con circospezione solo quando i colpi sul divisorio
s’interruppero,
lasciando il posto al silenzio. Garry raccolse il coraggio a due mani e
sbirciò
nella serratura per svelare la minaccia nascosta, non prima di essersi
assicurato che nessuna delle due parti potesse incontrare
l’altra senza una più
accurata indagine.
<<
È buio pesto. Non si vede nulla. >> la
informò raddrizzando la schiena e
assumendo un cipiglio dubbioso. In più le espose anche la
sua idea che il posto
fosse vuoto a causa della mancanza di rumori rivelatori.
<<
Dobbiamo preoccuparci? >> indagò la ragazzina
soppesando le rughe che
solcavano il viso di lui.
<<
Non può uscire e noi entrare. Per di più non
sappiamo se sia una minaccia o no,
direi di proseguire e tenere gli occhi aperti nel caso trovassimo una
chiave
che possa aprirla. Non mi piace lasciare nulla di inesplorato,
soprattutto
visto cosa è successo prima. >> propose,
trovando assenso
nell’interlocutrice.
Scesero
una rampa di scale nella più totale assenza di rumori,
piombata di nuovo a
troncare la loro conversazione con la sua morsa soffocante
d’ansia e
preoccupazione. Tesero le orecchie per un possibile nuovo benvenuto da
parte di
entità poco simpatiche, ma non trovarono nessun altro
intoppo di sorta, di
conseguenza ripresero a dialogare con temi più vaghi e meno
allegramente di
prima per smorzare la tensione. Durante una pausa nella loro
conversazione un
petalo di ciliegio solleticò la punta del naso di Ib che per
ciò, guardò in
alto pensando fosse piovuto da lì, ma una tempesta di gocce
rosate lì investì
dolcemente da destra. Dalla parete un bellissimo quadro faceva pendere
oltre il
legno della cornice i suoi dondolanti rami ornati di fiori, accarezzati
da
un’invisibile brezza. La ragazzina affascinata dalla visone
di una cosa tanto
bella ed inusuale per le costanti macabre di quel posto, si
avvicinò per
ammirare l’armonia del paesaggio. Un enorme chiaro
di luna la accolse dallo
sfondo blu notte trapuntato di stelle.
<<
Non è bellissimo? >> le chiese
l’amico.
<<
Ti viene voglia di guardarlo per sempre. Trasmette
tranquillità. >>
dichiarò quasi senza pensarci.
La
lenta danza dei boccioli era ipnotica e, mentre ognuno era immerso nei
propri
pensieri, qualcuno bussò nuovamente e con insistenza da
qualche parte in
lontananza distruggendo ancora una volta il loro attimo di pace. Si
videro
costretti ad avanzare nuovamente alla ricerca di chi o cosa facesse
tanto baccano.
Purtroppo non potevano fare altrimenti perché la strada era
una e con una sola
direzione possibile. Nessun ripensamento o inversione di rotta.
Per
cui s’immersero in un tunnel di specchi che conduceva verso
le perenni ombre
delle sale con i loro sosia ad accompagnarli all’infinito.
Procedevano affiancati
in modo tale che il braccio di uno
sfiorasse quello dell’altra, quasi come se il contatto fisico
fosse una
prerogativa essenziale per farsi coraggio man mano che avanzavano,
segnalando
la presenza del compagno ogni volta che frusciava la stoffa.
Finalmente
trovarono un’interruzione alle loro inesauribili sagome;
infatti, due porte
viola, una di fronte all’altra, occupavano il posto delle
superfici riflettenti.
Con un cenno del capo il ragazzo indicò il primo ingresso,
quello a sinistra,
in modo tale che si potessero spostare verso di esso senza rivelare la
loro
presenza, mentre Ib teneva d’occhio il gemello per evitare
brutte sorprese.
Come da prassi l’uscio era bloccato, ma stavolta da una serie
di pannelli
vuoti, raggruppati in blocchi di tre e non omogenei in numero
<< Adesso
che si sono inventati? Ib credo che qui ci si debba scrivere qualcosa,
sembra
la struttura di una frase…>> sostenne il
ragazzo, invitando l’altra a dare
le sue impressioni. Dopo un piccolo esame dei dintorni, appurarono che
mancava
qualcosa per la risoluzione.
<<
Ma l’indovinello dov’è? >>
chiesero contemporaneamente per poi voltarsi
verso l’unica scelta.
<<
Direi che non ci resta che controllare lì
dentro>> propose pragmatico, trovando
d’accordo Ib.
Spalancarono
il battente tenendosi però a debita distanza. Nessun essere
deforme o dipinto
indemoniato balzò fuori per aggredirli e questo fu
sufficiente a spingerli a addentrarsi.
Il ripostiglio non conteneva nulla di ché se non una statua
senza capo posta
sotto una cordicella simile a quelle per accendere le lampadine nelle
soffitte
o negli scantinati. Oltre a quei due elementi non v’era
l’oggetto della loro
ricerca.
Stavano
per fare marcia indietro quando il manichino alzò un braccio
fulmineo e tirò la
fune, pietrificando all’istante i due sventurati spettatori.
Le luci cambiarono
immediatamente tonalità, passando da quella fredda del neon
a un intenso e
basso blu ultravioletto, che manifestò sul pavimento una
domanda scritta con
inchiostro simpatico dello stesso carattere che Ib aveva imparato a
riconoscere.
“
Qual
è il titolo del grande dipinto sul
pavimento della mostra di Guertena?”
li sfidava ad una gara di memoria.
Ebbero
appena il tempo di leggere le poche parole prima che il manichino si
sbriciolasse in mille pezzi e coprisse la scritta che loro
l’avessero decifrata
o meno. Senza nemmeno aspettare di capire che era successo, i ragazzi
si
precipitarono fuori dalla stanza, sbattendo l’uscio nel suo
riquadro e
bloccandola con le schiene. Ancora palesemente scossi e senza chiedere
nulla di
quanto visto, come se avessero approvato la regola non scritta di
evitare di
parlare delle stranezze se non fosse estremamente necessario, tornarono
alla
prima porta incorniciata dagli specchi.
<<
Dovrebbe essere il dipinto del pesce gigante, giusto? Credo avesse a
che fare
con profondo qualcosa… tu l’hai visto
Ib?>>
<<
Sì, si chiamava “Abisso del profondo”.
Son caduta proprio in quel
dipinto.>> rispose piatta. Non le piaceva ricordare
l’angoscia che aveva
provato nel ritrovarsi faccia a faccia con quella donna dalla pelle
arida che a
scatti protendeva le sue braccia verso di lei, per non parlare
dell’essere
ingoiata viva da un pesce abissale.
Per
fortuna o sfortuna il ricordo fu interrotto da un verso di sorpresa di
Garry che
la fece concentrare sull’origine che l’aveva
provocato. Il titolo dell’opera si
stava materializzando nei giusti pannelli appesi all’assito.
<<
Ok non è la cosa più strana che ci sia capitata,
ma è inquietante lo stesso. >>
sentenziò Garry, facendo da scudo alla compagna mentre
l’uscio si apriva verso
l’interno cigolando.
<<
Questa però è la più
inquietante.>> ritrattò, vedendo
l’enorme sala
biblioteca sormontata da un bizzarro quadro centrale rosso e rigato con
rabbiose fasce nere. Come avevano ormai capito, le brutte sorprese non
arrivavano mai da sole, infatti neanche il tempo di finire la frase che
un
libro cadde dal proprio ripiano aprendosi sul pavimento. Una voce
distorta
cantilenò: “ Alle donne qui, piace giocare a
m’ama non m’ama”.
<<
direi che questo si era capito>> sbuffò Ib
ironica per stemperare
alquanto l’atmosfera.
Un
secondo libro lo seguì a ruota, cadendo qualche metro
più in là per raccontare
le follie di una notte di passione, sovrapponendosi alla prima voce. Il
ragazzo
s’imporporò per la vergogna come
l’amica, perciò corse a chiudere il libro
sperando che questo bastasse a fermarlo. E fu così.
Ciò nonostante il suo gesto
provocò una ruzzolone a catena di libri che lasciarono le
loro ordinate file
per raccontare ai visitatori quello che celavano. La cacofonia di
timbri
diversi e parole accavallate che sgomitavano tra loro per farsi udire
fu troppa
per le loro orecchie, di conseguenza furono costretti a coprirle per
trovare
tregua.
<<
Ib! Meglio uscire di qui! >> Sbraitò il
ragazzo alzandosi dalla posizione
che aveva assunto per sistemare il tomo.
La
ragazza che intanto l’aveva raggiunto,
nonostante gli fosse quasi appiccicata, non riusciva a capire cosa le
stava
dicendo. Vedeva la sua bocca muoversi muta e i suoni confondersi tra le
altre
frasi che riempivano l’aria. Garry percepì la
difficoltà in cui versava, visto
che lo stava osservando con tutta la concentrazione di cui era capace
senza
muovere un muscolo. Così fece l’enorme sforzo di
indicare l’uscita. Purtroppo
la tempistica non era a loro favore e, nell’istante in cui
muovevano i primi
passi, le luci si spensero insieme alle voci.
<<
Garry!>> urlò subito Ib in preda al panico. Il
solo pensiero di perderlo
di vista le faceva affiorare alla memoria delle sensazioni inspiegabili
dovute
al sogno che aveva avuto.
<<
Sono qui.>> si chiamavano nel disperato tentativo di
ritrovarsi a
tentoni. Poi vedendo che l’impresa era più ardua
del previsto preferì un
approccio diverso. << Ib, non muoverti, vengo a
prenderti.>> la
tranquillizzò. Ma come?
Si
ricordò in ritardo che con sé portava sempre uno
zippo, monito dei tempi in cui
fumava; si affrettò ad utilizzarlo. La
prima cosa che fece fu recuperare la compagna che era finita
dall’altro lato
della stanza ai piedi del dipinto maestro.
<<
Stai bene?>> le chiese preoccupato.
<<
Garry! Sì, sto bene.>> gli disse non appena si
accorse del bagliore
aranciato per andargli incontro << Perché sono
andate via le
luci?!>> chiese subito dopo in ansia. Aveva iniziato a
provare una strana
fobia per il buio, soprattutto perché non annunciava nulla
di buono.
Lui,
di contro, non riuscì a risponderle, era troppo preso ad
interpretare i segni
che erano apparsi sotto i loro piedi e si facevano chiassosamente
notare.
<<
Tutto ok?>> lo chiamò lei strattonandogli la
manica per costringerlo a
volgersi verso di lei.
Il
ragazzo era impallidito visibilmente e iniziava a sudare freddo.
<< Ib
non guardare a terra.>> la supplicò con tono
flebile come un sussurro,
con gli occhi sgranati e una miriade di emozioni negative che si
susseguivano
dietro le iridi.
Eppure dire di
non fare qualcosa a qualcuno è
come invitarlo a farla, perciò, senza rendersi conto,
abbassò lo sguardo.
Complice anche la sfortuna, la sala venne nuovamente illuminata a
giorno quasi
a voler invitare l’innocente a prendere parte al giochino
mentale. Solo lo
spettacolo che le si presentò bastava a far venire gli
incubi, aggiungendo poi
anche il significato dei graffiti, il tutto acquistava una nota
horrorifica
ancora più disturbante visto che una miriade di scritte
frettolose in diversi
colori imploravano pietosamente aiuto. Frasi piene di paura e dolore
esprimevano l’angoscia, il puro terrore, che chi le aveva
scritte provava nel
momento in cui aveva subito la tortura, poiché solo chi
è sotto sevizie e forti
pressioni psicologiche avrebbe proferito determinate parole. Inoltre al
posto
del quadro, greve di per sé, era comparso un poster sempre
rosso su cui era stato
inciso ripetutamente lo stesso vocabolo, Separazione, con linee sempre
più
fitte e spesse. Ib spostò lentamente lo sguardo fissandolo
in quello ceruleo
del ragazzo. “ Garry non sta per niente bene” fu
l’impressione che ebbe di
primo acchito leggendogli le emozioni in viso. Sapeva quello che doveva
fare, o
almeno ebbe la risoluzione di agire in fretta sull’onda di
una sensazione che
riteneva essere giusta. Cercò di raccogliere tutta la
determinazione che aveva,
assieme all’autocontrollo, per tenerlo per mano e scortarlo
fuori il più in
fretta possibile.
Ritornarono
al punto di partenza accolti da un altoparlante che starnazzava il
divieto di
usare oggetti che potessero appiccare incendi o rovinare le opere
esposte e
segnalare agli addetti i possessori di tali utensili. Garry si
irrigidì,
stringendo ancora di più l’accendino che aveva in
pugno utilizzando la
pressione del metallo come un potente collante per tenere dentro di
sé tutto
quello che stava metabolizzando. Ib cercò di ignorare la
voce
robotica il più
possibile e per quanto le sue orecchie, ancora dolenti, le
permettessero. Non
aveva segnali di dove andare, per cui seguì il flebile
rumore di un soglia che
girava sui cardini in fondo al corridoio da cui erano arrivati, senza
chiedersi
da dove fosse sbucato perché non ce ne era bisogno;
lì c’era uno schema
prestabilito che s’imponeva su di loro obbligandoli a
seguirlo come la corrente
in un letto di fiume. Non doveva capire, almeno non allora, doveva solo
proseguire perché la sua priorità era allontanare
Garry da qualsiasi cosa
l’avesse gettato in quello stato. Toccava a lei essere la boa
di salvataggio
dell’amico. Non prestò nemmeno attenzione alle
impronte scarlatte che, come
quelle che l’avevano guidata al dipinto quando tutto era
iniziato, le
indicavano la via da imboccare. Le seguì. Lo fece anche
quando s’infilarono
sotto il battente della porta che non doveva esserci. Garry era un peso
morto
che la seguiva senza proferire parola, la qual cosa la preoccupava
ancora di più
dei pericoli in cui potevano imbattersi.
Passarono
oltre l’infisso quando qualcuno si schiantò
malamente addosso alla ragazza. Lei
agì di riflesso, dando con tutte le sue forze uno spintone
allo sconosciuto,
mandando entrambi a terra tra urla di spavento da ambo le parti.
<<
Ib tutto a posto?>> si riprese Garry per soccorrerla. A
quanto pareva
l’incolumità della ragazzina era una delle
occasioni per cui il ragazzo
riaffiorava dal labirinto dei propri pensieri.
Lei
si lasciò aiutare aggrappandosi alla mano tesa del ragazzo,
non potendo fare a
meno di constatare quanto ancora fosse cereo e angosciato.
<<
Ehi!>> esordì lui una volta appurato che la
ragazza fosse illesa e
voltandosi nell’altra direzione. Aveva ripreso il suo ruolo
di punto di
riferimento del duo. << Anche tu sei per caso uno dei
visitatori della
mostra?>>.
Ib
colta di sorpresa dalla rivelazione mentre ancora si stava spolverando
i
vestiti per la caduta, alzò di scatto la testa per osservare
il nuovo venuto, anzi,
la nuova venuta. Una bambinetta bionda di poco più piccola
di Ib, forse sui
dodici anni, li osservava con un’aria interrogativa lasciando
vagare i suoi
grandi occhi celesti da uno all’altra. La sfumatura delle sue
iridi era di una
tonalità diversa da quella di Garry in quanto quelle di lui
erano di un azzurro
inteso e vivace, mentre quelle di lei erano cupe e statiche tanto da
comunicare
a Ib una sensazione strana, cosa che invece non sembrava turbare Garry.
<<
Scusaci, non volevamo spaventarti! Io sono Garry e lei è
Ib>> la presentò
appoggiandole una mano tra le scapole per rassicurarla della sua
presenza e del
suo ritrovato stato emotivo, oltre ad invitarla a fare un passo avanti.
<< Veniamo dalla mostra. Stavamo osservando i quadri
quando in qualche
modo ci siamo trovati persi qui, perciò stiamo cercando
un’uscita. È capitato
lo stesso anche a te?>> raccontò per provare a
far sentire a proprio agio la ragazza vestita
di un elegante abito verde in stile retrò e orlato di pizzo
bianco. Ib la
scrutò da capo a piedi, cercando di fare presente la
fisionomia dell’altra tra
la folla di personaggi che aveva incrociato nella mostra. Era una
ragazzina
particolare, con le sue calze bianche e scarpe verniciate, se ne
sarebbe ricordata se l’avesse incrociata
tra le esposizioni. Tuttavia non era un metodo di giudizio valido,
c’era stato
un gran via vai in quell’ora che aveva passato tra i curiosi
di Guertena.
Dopo
un attimo di indecisione la piccola riccioli d’oro decise di
rispondere. <<
Stavo andando in giro per vedere se c’era qualcun altro
… volevo uscire…
quindi.>> il suo timbro era monocorde e vagamente
preoccupato come se si
stesse sforzando di sembrare tale.
<<
Ah, lo sapevo! Vorresti venire con noi? >> le propose a
bruciapelo il
ragazzo che non poteva fare a meno di prestare soccorso a chiunque
fosse in
difficoltà.
<<
Huh?>> disse la ragazzina inclinando la testa di lato
come se non avesse
capito la domanda.
<<
È pericoloso essere soli, come ho detto a Ib quando
l’ho incontrata. Ci sono un
sacco di strane creature in giro. È credo sia meglio se
restiamo tutti
insieme.>> espose immediatamente lui con paziente
affabilità.
La
ragazzina ci rifletté un attimo prima di accettare
l’offerta con un freddo
sorriso.
Ib
trovava strano il suo comportamento. Quando si era trovata nella sua
stessa situazione,
aveva fatto i salti di gioia nel sapere che c’era qualcun
altro che come lei
era stato forzato ad intraprendere quel viaggio. La bimba invece non
aveva
mostrato il benché minimo accenno di sollievo, al contrario
sembrava che le
insistenze del ragazzo le dessero fastidio.
Si
sentì immensamente stupida e scorretta a pensare una cosa
del genere perché le
persone potevano reagire in modi differenti in condizioni di stress.
<<
Allora è deciso. Oh, come ti chiami?>>
<<
Mary!>> gli rispose stavolta con più energia.
Il ché rimarcò ad Ib quanto
l’avesse giudicata troppo in fretta. Tuttavia c’era
ancora qualcosa che non la
faceva stare tranquilla, ma non sapeva esattamente identificarne la
fonte.
<<
Tanto piacere Mary >> le sorrise Garry.
<<
Sì!>> disse lei fissando intensamente Ib.
Il
suo sguardo la metteva in soggezione e non solo per
l’inespressività delle pupille,
ma anche per qualcosa che intravedeva sotto di esse e che la agitava.
<<
Uhm … Piacere Ib>> le si rivolse timidamente
la bimbetta.
<<
Piacere>> le rispose senza trasporto e lasciando
sedimentare un silenzio
carico d’imbarazzo.
<<
Va bene! Ora che abbiamo più compagnia, possiamo procedere a
testa
alta!>> le incitò il più grande in
età della nuova comitiva e trovando
l’assenso entusiastico di Mary.
Prima
di proseguire però decisero di sfruttare il vaso
d’acqua che faceva capolino in
un angolo. Ne avevano passate di belle in quelle ultime ore e per
questo le
loro rose ne avevano risentito, mostrando la loro precaria salute con
toni
smorti e petali schiacciati.
<<
Dimmi Mary, siccome io e Ib abbiamo delle rose, per caso ce
l’hai anche
tu?>>
<<
Sì, ce l’ho. Ho una rosa gialla.>>
disse contenta porgendo fieramente il
suo bocciolo color limone.
<<
Mi raccomando, tienilo al sicuro, non perderlo e soprattutto non darlo
a
nessuno.>> la ammonì Garry, ma le sue parole
furono smorzate
dall’apprezzamento entusiastico della neo aggregata.
<<
Wooooow! La rosa di Ib è rossaaaaaa, mentre la mia
è giallaaaaa! Mi piace il
giallo, ma anche il rosa. Oh certamente anche il blu.>>
Il
ragazzo sospirò capendo che la ragazzina presa
dall’emozione non aveva
ascoltato una parola di quanto aveva detto, ma nemmeno i suoi
tentativi successivi vennero
ascoltati dalla piccola Mary. Così dopo un po’ il
giovane rinunciò ad avvisarla
dei pericoli che avrebbe corso per la sua sbadataggine, e presero a
camminare
dopo aver ricaricato i loro fiori.
La
ragazzina neoarrivata trotterellava al fianco di Ib senza scollarle gli
occhi
di dosso e sorridendole contenta come se fosse un girasole rivolto al
proprio
sole. Lei dal canto suo cercava di risponderle con un gesto simile per
non scoraggiare
le sue aspettative che avrebbero intaccato così anche lo
spirito della comitiva.
Sapeva benissimo quanto era importante tenere alto il morale del
gruppo,
specialmente ora che non era più composto soltanto da due
individui e addirittura con
loro c’era anche una bimba.
Continuarono
con il gioco del silenzio sotto lo sguardo divertito di Garry. Tuttavia
la
quasi leggerezza che aleggiava nell’aria perse un
po’ la presa quando
arrivarono a un bivio. Provarono prima con la diramazione di destra,
ma, come sempre, il divisorio per il blocco
successivo non si mosse, perciò furono costretti a prendere
l’altra strada.
Non
restarono molto contenti di ciò che trovarono o almeno non
Garry.
<<
Per l’amor del … Questo quadro, questa stanza.
Perché è così
inquietante?>> sbottò incapace di tollerarne
oltre la vista.
<<
Davvero? Penso sia carina invece!>> cinguettò
Mary facendo un’ampia
giravolta al centro della camera per abbracciarla tutta con lo sguardo.
<<
Quale parte di questo è “carino” ? Ho
l’impressione di essere osservato in
questa stanza…>> il ragazzo sicuro di
sé e leader del gruppo si trovava
in palese difficoltà.
Di
sicuro non aiutavano tutti quei coniglietti di stoffa colorati e dagli
occhi
rossi, disposti in due bancali paralleli sul perimetro laterale e
rivolti verso
di loro constatò Ib; per non parlare della riproduzione
gigante di una lepre ammantata
di rosa che acquattata in un prato sorrideva loro arricciando
sproporzionatamente gli angoli della bocca.
Lasciando
i due a discutere sulla soglia, la temeraria quindicenne, che non aveva
intenzione di partecipare alla discussione e anzi aveva tutte
l’intento di lasciare
alle spalle il prima possibile la sala, si avventurò per
capire meglio cosa
esattamente le desse fastidio di ciò che la circondava e
magari afferrare l’utilità
di quel ambiente. Decise perciò di dare
un’occhiata alla manciata di libri che
componevano l’ambiente e che dalle copertine sembravano
favole per bambini, per
cercare indizi utili. In ogni caso dovette cambiare presto opinione
leggendone
il contenuto. Una trafiletto molto allarmante, intitolato la rovina del
cuore, la
fece rabbrividire fino alle ossa, in particolare un paio di frasi.
“Se il tuo
spirito soffre troppo, inizierai presto ad allucinare, e alla fine
verrai
DISTRUTTO! O ancora peggio è che non sarai neanche cosciente
di quel fatto”
recitava il volumetto.
Lo
rilesse più volte cercando di concepire quale persona
contorta potesse mettere
certe cose in una novella all’apparenza innocente.
<<
Ib tu che ne pensi?! Garry continua a dire che è
inquietante. Io invece la
trovo carina, no Ib?>> reclamò attenzioni Mary.
<<
Non credo…>> si lasciò sfuggire Ib
ancora incredula.
<<
Che vuol dire?!>> protestò la ragazzina bionda
afferrando il lembi del
fiocco azzurro legato alla base del colletto di pizzo. La sua faccina
di
porcellana si era tramutata in una smorfia di disappunto che incupiva
ancora di
più i suoi occhi spenti.
<<
Ok allora. Che ne dite se cerchiamo gli indizi altrove?>>
suggerì Garry e
prese la via della porta prima che cambiassero idea.
In
quell’istante una delle ceramiche si frantumò
autonomamente, spaventandoli a
morte.
<<
A cosa serve?>> chiese innocentemente la bimba, mostrando
una chiave
luccicante, recuperata tra i cocci prima che i gradi potessero fare
alcunché.
<<
Bravissima Mary, ci servirà per passare dall’altro
lato. Bene adesso
sbrighiamoci a uscire da qui.>> le incitò
nuovamente.
Ib
stava seguendo i due compagni quando un risolino soffocato la fece
voltare
dubbiosa. Il leporide la stava guardando con un sorriso ancora
più tirato lacrimando
sangue per lo sforzo di non lasciarsi sfuggire il verso. Lei non si
fece
ingannare e rapida come una saetta chiuse l’uscio dietro di
sé prima che gli altri
potessero chiederle il motivo.
Ritornarono
in corridoio, i primi due contenti del ritrovamento, mentre Ib sempre
più
inquieta per i sospetti non riusciva a stare ferma. Non le piaceva come
si
stavano svolgendo le cose e prevedeva a breve una brutta sorpresa.
Sebbene
avesse tenuto la guardia alta non riuscì ad evitare quello
che avvenne. Infatti
passando davanti al quadro vuoto che avevano ignorato prima di svoltare
a
sinistra, non avevano notato una minuscola macchiolina rossa nella
parte superiore della tela e che ora
con un fruscio assordante cresceva a dismisura.
<<
I fiori del Male!>> lesse Mary ad alta voce dalla
targhetta, prima che
Garry la allontanasse.
La
corolla crebbe velocemente distendendo i petali cremisi insieme a delle
grosse
foglie coriacee. Gli spettatori troppo intenti a cercare di anticipare
i
movimenti della minaccia, non si accorsero degli steli acuminati che
stavano
perforando le piastrelle ai loro piedi finché non fu troppo
tardi.
<<
Ib attenta!>> le strillò Mary afferrandola per
il braccio e trascinandola
dal suo lato, mentre il ragazzo si ritrovò da solo sul
versante opposto a
schivare i fusti.
Quando
tutto si fu calmato il gruppo era stato diviso.
<<
State tutte bene? >> esordì allarmato.
<<
Mi ha spaventata. >> piagnucolò Mary
tastandosi il lungo vestito in cerca
di strappi.
<<
Ib ti sei fatta male?>> le chiese direttamente Garry non
avendo ottenuto
prima una risposta.
<<
No, credo di no. >> farfugliò lei
riguadagnando la postura eretta.
<<
Meno male, aspettate che cerco di togliere i rampicanti così
posso
raggiungervi.>> disse, ma si accorse non appena li
toccò
che non si
trattava di fibre vegetali. << Ma sono di pietra!
>> proruppe
sconvolto. E per quanto tirasse e calciasse, i rovi non volevano
saperne di
cedere.
Questa
volta anche Ib si mise a cercare un punto debole nelle colonne fatte di
rovi.
Non ci pensava nemmeno a lasciare che la situazione prendesse quella
piega.
Mentre
erano indaffarati nella ricerca, Mary prese la parola.
<<
Ehi, Ib. Abbiamo preso una chiave in quella stanza no? Forse apre la
porta e
potremmo trovare qualcosa di là per sbarazzarci di queste
cose.>>
La
ragazza la guardò come un’aliena. Come poteva
pensare di spostarsi anche solo
di qualche metro senza il ragazzo. Si sentiva più sicura se
c’era lui intorno
perché sapeva di poter contare sul sostegno
dell’altro. Invece con Mary alle
calcagna, quante possibilità aveva? Per non parlare delle
responsabilità che sarebbero
state molto più pesanti da sopportare.
<<
Andiamo a cercare?>> insistette la ragazzina euforica.
“ Pensa che sia un
gioco?!” la criticò mentalmente
l’adolescente.
Però
per quanto Ib la osservasse torva, tanto più lei insisteva,
ed in Ib cresceva
il disagio. Prese addirittura a stritolare i cilindri spinosi, tanto
era
il
nervoso per il discorso senza senso dell’estranea. Non voleva
lasciare il suo
di punto di riferimento e le spine offrivano un ottimo diversivo alla
volontà
di sbattere in faccia a Mary la realtà dei fatti.
<<
Mary non credo sia una buona idea >> tentò
Garry, vedendo la sua compagna
scurirsi in viso come una tempesta e guardare freddamente la dodicenne.
<<
Staremo bene, giusto? >> cinguettò Mary per
tranquillizzarlo, mentre si
aggrappava al braccio dell’interlocutrice, incurante delle
reazioni della
controparte.
Ib
dovette fare uno sforzo pazzesco per non scrollarsela di dosso. Fu solo
in
grado di replicare in tono crudelmente distaccato, <<
Preferirei non
dividerci. >>. Tuttavia quei pochi vocaboli furono in
grado di riversare
tutto il suo malcontento e disappunto, in più la voce le
uscì così rabbiosa e
glaciale che anche Garry si irrigidì per la sorpresa.
<<
Perché no?! Torneremo in fretta! Non riesco a pensare a
nient’altro!>>
protestò l’altra senza prestare attenzione allo
stato d’animo di Ib e nemmeno
ai tentativi di Garry di prendere parte al discorso per evitare il
precipitare
della situazione.
<<
Credo tu abbia ragione. Non c’è molto altro che si
possa fare. Se non trovate
niente assicuratevi di tornare indietro, va bene? Poi penseremo a che
cosa
possiamo fare.>> disse alla fine alzando di poco il
volume della propria
voce per superare quello ormai stridulo di Mary.
Alla
sua dichiarazione entrambe scattarono verso di lui con sentimenti
contrari: la
piccina con giuliva sorpresa perché per la prima volta una
sua idea era quella
vincente, mentre Ib con sgomento per la prospettiva di dividersi.
<<
Non ci penso nemmeno!>> si oppose afferrando
più saldamente gli aculei scultorei.
<<
Ib >>
<<
Non, non voglio!>>
<<
Rifletti. Sono bloccato, la stanza lì dietro è un
vicolo cieco e
solamente voi potete avanzare. Non ti preoccupare, dovete cercare un
oggetto
che possa aiutarmi e poi tornerete in dietro. D’accordo?
>>
Lei
non voleva sentire ragioni e scosse ostinatamente la testa per
rimarcare la sua
determinazione.
<<
Ascoltami, non c’è molto altro da fare. Non ti
preoccupare, andrà bene e se non
trovate nulla tornerete subito indietro.>>
rimarcò prendendo le mani
della ragazza per evitare che se le potesse ferire per
l’angoscia.
Gli
occhi della ragazzina lo guardavano ancora con dubbio e preoccupazione.
Capiva
benissimo come si sentiva, anche lui avrebbe preferito una soluzione
alternativa, tuttavia era inutile tergiversare, in più il
tempo era prezioso. Quindi
fu costretto a dire le uniche parole che potessero fare presa su Ib.
<<
Ho bisogno del tuo aiuto ora. Fallo per me.>>
Garry
vide il senso di tradimento colpire il viso dell’amica e
distorcerne l’espressione,
complice anche la consapevolezza di lei per le intenzioni che celava la
sua
richiesta.
Si
era dimenticato di quanto Ib fosse sveglia e perspicace.
L’aveva sottovalutata
lasciandosi forviare dalla giovane età, pensando di poterla
raggirare invece di
chiarire il suo punto di vista. Per questo avrebbe voluto aggiungere
mille e
altre spiegazioni o chiarimenti, ma non ebbe il tempo. La vide
accettare e
seguire Mary rassegnata.
Non
riuscì a dire loro di fare attenzione prima che sparissero
oltre l’angolo e se
ne pentì amaramente.
Lo
sgabuzzino in cui si trovavano a rovistare, tra gli scatoloni
impolverati e i
manichini in disuso, non aveva ancora
svelato i suoi oggetti nascosti, se mai ce ne fossero stati. In parte
perché c’era
sacco di cianfrusaglie di cui fare l’inventario e in parte
perché molte delle
cose che sembravano adeguate si rivelavano latte di vernice ammuffita e
tele
strappate. Non c’era molto altro che valesse la pena di
esaminare. Finalmente
dopo aver inalato quantità spaventose di pulviscolo e
solventi, in un cassone
di legno trovarono qualcosa degno di nota. Gli attrezzi da pittura
stipati lì
erano in buono stato sebbene coperti da un rossiccio velo di ruggine.
Ripresero
il loro lavoro di investigazione scartando oggetti su oggetti,
finché un
luccichio argento attirò la loro attenzione.
Fu
Mary la più veloce delle due ad afferrarlo e riesumarlo dal
mucchio.
<<
Forse può tagliare le rampicanti!>>
strillò rigirandosi tra le dita la
spatola per dipingere.
Eppure
Ib ebbe l’impressione che lo dicesse più per
sembrare contenta che perché lo
fosse davvero, di nuovo.
<<
Ne dubito. >> smontò la sua falsa allegria per
verificare la sua
supposizione.
<<
Forse hai ragione, non funzionerebbe, ma credo che lo terrò.
Sai giusto per …>>
le sorrise complice, cambiando umore tanto velocemente come il
tempo in
montagna.
Adesso
la contentezza di Mary si era fatta più affilata e quasi
sbeffeggiatrice.
Perciò, Ib che non aveva previsto una tale repentina
trasformazione degli
eventi, si trovò a dover sostenere quello sguardo e a non
riuscire a fermarsi dal mettere distanza tra di loro, preoccupata per
la sua incolumità.
<<
Non è meglio se la tengo io? Non vorrei che ti facessi
male.>> cercò di
suonare convincente. In più voleva davvero provare ad usarla
per liberare il
ragazzo, nonostante le avesse detto che non poteva funzionare.
<<
La tengo io! Mi piace. Che ne dici di tornare da Garry per
ora?>> spostò il
discorso per distrarla, mentre si infilava l’attrezzo nella
tasca dell’ampia
gonna verdeggiante.
La
giovane non era disposta a lasciarla andare così facilmente,
ma si trattenne
solo perché c’era una priorità che le
ricordava di abbandonare tutti i suoi, probabilmente
infondati sospetti, verso la bambinetta viziata. Prima che potesse
raggiungerla
o dire altro per provare ad impossessarsi della spatola, le lampadine
spoglie
sfarfallarono per un calo di corrente.
<<
Che succede?!>> strepitò Mary voltando la
testa a destra e sinistra, poco
prima che un nuovo blackout le lasciasse nel nero più
totale. Al nulla seguì un
tonfo tanto potente che le mandò a ruzzolar sul pavimento.
Ib ondeggiò
cercando di mantenere inutilmente l’equilibrio. Alla fine si
accasciò sui quelli
che scoprì essere cartoni saturi di umidità,
quando i bulbi vitrei tornarono in
funzione.
La
luce aveva portato con sé anche una novità:
un ospite inatteso si era
materializzato davanti all’uscita.
<<
No no no no! >> si lasciò sfuggire ad alta
voce Ib, lanciandosi verso il
manichino senza testa, ed incurante del fatto che potesse prendere
vita.
Lo
strattonò, lo spinse, lo assalì con
tutte le sue forze, ma non riuscì a muoverlo di un solo
passo con i pochi
muscoli che aveva. Era troppo pesante per lei sola e anche con
l’aiuto di Mary,
che la osservava apatica, non avrebbe cambiato la situazione.
Arrivò
addirittura a prendere la statua a calci, immaginando di disintegrarla,
pur di
rimuoverla dal suo cammino.
<<
Ib che fai?>> le domandò atona la bambina.
Lei
non rispose e continuò furiosamente ad infierire
sull’argilla senza riserve
fino al momento in cui rimase senza fiato.
<<
Non possiamo uscire Ib che facciamo? >> disse la compagna
fissando
l’assito come in trance.
Ebbe
l’impressione che si stesse prendendo gioco di lei,
perciò perse le staffe e
scoperchiò il vaso di repressione che si portava dietro.
<<
Che facciamo?! Che facciamo mi chiedi!!! Non possiamo passare e ci
toccherà
abbandonare Garry per colpa tua! Tu e la tua dannata proposta. Lo
sapevo che
non dovevo fidarmi. Non dovevo darti retta!>>
urlò di rabbia. Solo quando
finì l’invettiva si girò nuovamente
verso il manichino per non far vedere alla
bambina rimasta a bocca aperta per la paura, lo sforzo che stava
facendo per
tenere a bada le lacrime. Dovette strofinarsi più volte le
palpebre con i polsi
escoriati per impedire di scoppiare in un pianto dirotto ed
incontrollato.
Non
poteva abbandonare Garry. Non poteva lasciarlo li da solo, non dopo
aver
sperimentato quanto facilmente si lasciava abbattere se restava da solo
con i
propri pensieri, non dopo aver visto cos’era successo quando
aveva dovuto
affrontare la Donna in blu. L’idea la terrorizzava.
“
Quand’è che sono diventata così
?!” la investì il suo stesso pensiero di
colpevolezza, dopo aver trovato un briciolo di lucidità nel
vortice oscuro dei
suoi pensieri. “ Garry si fida di te! Sa che sai cavartela e
ti sta aspettando
dall’altro lato. Perciò reagisci e cerca un modo.
Ce la puoi fare!” le giunse
in soccorso la sua coscienza ricordandole anche che adesso non era
più da sola,
doveva pensare anche al bene di Mary. Il ragazzo gliel’aveva
affidata in quanto
la più grande di quel bizzarro duo, non poteva deluderlo,
per quanto la sua
insofferenza verso l’intrusa fosse inspiegabilmente
incalzante come il doversi
grattare una puntura di zanzara. Inghiottì
l’orgoglio e le preoccupazioni,
perché non voleva deludere Garry e doveva un minimo pensare
a Mary, anche per
empatia. Infatti si mise per un attimo nei
panni della bambinetta bionda che doveva essere spaventata come lo era
stata
lei trovandosi da sola nel labirinto, senza un posto dove andare,
nè
una meta.
Che poteva pensare una dodicenne di una situazione del genere? Lei si
era
spaventata da morire ed era un’adolescente, figurarsi quanto
dura doveva essere
stata per l’altra.
Prese
un bel respiro nel voltarsi e, nascondendo la vergogna,
provò a parlarle in
toni più docili.
<<
Mary mi dispiace. Non volevo urlarti addosso >>
L’interlocutrice
teneva la testa bassa e
calciava il pavimento con i sandaletti di vernice turchese.
<<
Non volevo nemmeno dirti tutte quelle brutte cose. Ero solo molto
arrabbiata e
spaventata. Perdonami.>> si scusò.
Finalmente
la ragazzina alzò lo sguardo e le sorrise di nuovo in modo
strano, tanto che Ib
dovette ricordarsi di non ripetere gli errori fatti prima.
<<
Sei perdonata! >> scandì lasciando andare il
broncio. << Visto che non possiamo fare
nient’altro che ne dici di andare per di qua?>>
le propose la ragazzina
saltellando allegramente puntando verso un altro ingresso nascosto
parzialmente
dagli scatoloni. Era partita pe la tangente, lasciando crollare
completamente
il discorso.
“
Non abbiamo scelta” pensò Ib stringendo i denti e
serrando le mani a pugno.
Dopo l’ultimo sguardo alla porta che le separava da Garry, si
decise a seguire il
vestito svolazzante della superstite del trio.
Trovarono
ad aspettarle una distesa di scalini che portavano al piano superiore.
A Ib non
piaceva affatto l’idea di allontanarsi così tanto
dal luogo dove aveva lasciato
il ragazzo perché temeva che, distaccandosi troppo, non
sarebbe più riuscita a
tornare indietro e a ricongiungersi.
“
C’è poco da fare. Forza e coraggio!”
cercò di sollevarsi il morale ed iniziarono
a percorrere la rampa.
Tonk,
tonk, tonk, tonk, tonk …
Risuonò
per il locale un rumore ritmico e costante che mise in allerta i sensi
della
ragazza più grande. Aguzzando la vista scorse
un oggetto tondo saltellare di gradino
in gradino verso di loro. Scappare era impossibile, perciò
Ib si posizionò
difronte alla compagna e attese l’inevitabile. I secondi
passavano
interminabilmente, scanditi solo dal moto uniforme
dell’oggetto.
Nel
frattempo Garry aspettava impazientemente che le ragazze tornassero, ma
era
ormai da diverso tempo che era in attesa, in più senza avere
nessuna risposta
ai suoi richiami. Raggiunse l’angolo da cui si poteva vedere
la direzione
intrapresa dalle giovani e ritentò per l’ennesima
volta di stabilire un
contatto. << Ib! Mary! Mi sentite?!>>
Nulla.
<<
Non va affatto bene. Lo sapevo che era
meglio non lasciarle andare da sole!>> si
rinfacciò.
Valutò
allora la situazione. Le aveva tentate tutte per piegare le sbarre
della sua
prigione, senza ottenere nessun risultato apprezzabile, per cui fu
costretto a
ritornare nella stanza alle sue spalle per un più
approfondito esame.
Riaprì
il battente e si lasciò sfuggire un brivido di disgusto.
<<
Non c’è modo che possa trovare questo “
Carino”>> dichiarò alla miriade
di bambole che lo osservavano con i loro occhietti rossi sproporzionati
e dalle
iridi catramate. Un ritratto centrale della stessa bambola, poi, lo
fissava
ghignando attraverso le sue labbra cucite con un filo della stessa
tonalità del
carbone.
Garry
non riusciva a trovare una singola caratteristica dalla pelle blu
emaciata, ai
capelli neri fatti di lana o nei semplici e sbrindellati vestiti
monocromatici,
che potesse alleggerire il senso di malessere che gli provocavano.
<<
Un tocco di classe impiccarle al soffitto.>>
cercò di sdrammatizzare con
l’ironia l’ennesimo scherzetto del designer
d’interni.
Rovistò
in tutto il locale senza trovare nulla di vagamente interessante. Lesse
anche
lo stesso libro che aveva visto tra le mani di Ib qualche minuto prima
e provò
una dolorosa fitta di preoccupazione per la sorte delle ragazze per la
probabilità che quanto riportato nel volume fosse vero.
Sperava
con tutto se stesso che stessero bene.
“
Pensa Garry, pensa come puoi uscire di qua?!” si
sforzò di ragionare, ma non
gli veniva in mente un’idea sensata da seguire. Poi una
brezza fresca
proveniente da dietro la libreria gli ravvivò i capelli.
Spostandola per
indagare da dove arrivasse, trovò la soluzione al suo
rompicapo.
Le
ragazze videro la sfera rossa spiaccicarsi sull’ultimo
basamento e formare
delle lettere che rapide, come formiche attratte dallo zucchero, si
accostarono
a formare una frase tremolante:
“
Voglio che tu ti diverta Ib! In un mondo
divertente senza Adulti. Staremo insieme. Tu io e i nostri amici.”
<<
Chi è ?>> chiese Mary tirandola per il lembo
della gonna.
<<
Non lo so. Ignoralo.>> le suggerì la ragazza
nonostante stesse tremando
come una foglia. In verità sapeva benissimo chi la stava
cercando per questo
non le sembrava una buona idea spaventare ulteriormente la compagna.
<<
Maledizione!>> imprecò Ib disperata nel vedere
l’enorme voragine che
spaccava in due il pianerottolo che avevano raggiunto.
<<
Mary! Ib! siete voi?!>> gridò una voce
familiare.
<<
Garry. Garry!>> le rispose la più grande delle
ragazzine, correndo verso
l’orlo della fenditura. Si lasciò cadere in
ginocchio per vedere oltre i
materiali che componevano l’impalcatura del piano.
Il
ragazzo era proprio lì, un piano più in basso nel
suo immancabile cappotto.
<<
Stai bene?!>> strillarono in coro per poi scoppiare a
ridere.
La
ragazza non si sentiva più dispiaciuta per come si erano
lasciati, anche per
quello che le aveva detto. Sapeva bene il motivo per cui
l’aveva fatto per cui
se fosse stato in lei decidere come proteggere altre persone in quella
situazione, avrebbe fatto la stessa cosa. Inoltre era bastato vederlo
intero
per placare la sua irritazione.
<<
Io alla grande. Voi come ve la cavate?>>
intavolò lui sperando che la
distanza fosse tale da non lasciarle vedere l’enorme sorriso
di sollievo che aveva
stampato in faccia.
<<
Bene, anche se abbiamo un problema, non riusciamo a proseguire
perché il
pavimento è rotto. L’unico quadro è
troppo lontano da raggiungere.>> si
sentì subito in colpa di dover dare all’amico
altre preoccupazioni, ma davvero
non sapeva che fare.
<<
Non riuscite a saltare?>>
<<
Se lancio Mary dovrebbe riuscire a passare, ma io non ce la faccio.
Riesci a
vedere se c’è una corda che penzola lì
da te? il quadro c’è attaccato.>>
espose la situazione Ib.
<<
Aspetta, vado a controllare>>
Garry
ispezionò ogni angolo del salone ed in effetti oltre alla
sua di uscita, trovò
cinque corde penzolanti addossate ad un capo della parete, proprio
sotto a dove
scorgeva la ragazzina.
<<
Ok, ci sono. Ho trovato le corde, qual è?>>
<<
Io ne vedo solo una qui.>> replicò lei.
<<
Maledizione dovrò provarle tutte.>>
borbottò tra sé e sé. <<
inizio
a tirarle, dimmi quando succede qualcosa>> la
informò afferrando il primo
capo.
Partì
da quella alla sua estrema destra, strattonandola più forte
che poté. Una bambola
come quelle dell’ala precedente si schiantò sul
pavimento in una pozza cremisi
con un suono raccapricciante ed improvviso,
facendo
sussultare il ragazzo per lo spavento.
<<
Garry tutto okay?>> chiese Ib in pensiero.
Non
tardò a rassicurarla, ma di certo non ne poteva
più di quel posto orrendo, in
quel momento più che mai.
Provò
con la seconda cima e rimase al buio, la terza gli fece prendere un
altro bello
spavento, la quarta gli spruzzò addosso una polvere verde
che sapeva di zolfo,
e finalmente l’ultima servì alla loro causa.
Difatti l’oggetto necessario alle
ragazzine si staccò dalla parete e grazie alla corda che
teneva Garry, lui potè
posizionarlo in modo che lo potessero utilizzare come ponte.
<<
Ora riuscite a passare?>>
<<
Sì, andiamo Ib!>> rispose Mary al posto suo.
Mettendo alla prova con i
suoi salti la resistenza del legno.
<<
Grazie Garry. Tu che farai?>> gli rispose la sua prima
compagna di
viaggio che cercava di guadagnare più tempo.
<<
Devo proseguire per forza, ma la porta è bloccata e non vedo
nient’altro da
poter usare.>>
La
ragazza si guardò intorno. Poteva darsi che come era
successo per loro, l’oggetto
che poteva servire al ragazzo fosse da qualche parte nel loro raggio
d’azione,
ma non vide nulla di simile ad un apriporta simile a quelle che avevano
trovato
prima.
<<
Qua c’è una formina a triangolo se ti
può servire.>> gli riferì
agguantandolo.<< Sì, mi serve
quella!>> sbottò il giovane, osservando
più da
vicino la serratura che rispecchiava la descrizione ricevuta.
Così Ib gliela
lasciò cadere di sotto evitando di tirargliela in testa.
<<
Dai Ib andiamoooooo!>> piagnucolava Mary che aveva
già attraversato il
ponte provvisorio e sbatacchiava il nuovo arco di passaggio.
<<
Aspetta!>> la rimproverò. Voleva parlare
ancora un po’ con l’amico, non
voleva lasciarlo di nuovo.
<<
Non ti preoccupare ci rivedremo ancora, promesso! E mi dispiace per
prima>>
la rincuorò.
<<
Hahahahaha ti avevo già perdonato. Allora stai attento! Devi
arrivare intero
intesi? Non me ne vado da qui senza di te.>> gli promise
mimando con il
mignolo il giurin-giurello.
<<
Ricevuto capo. Ma fai attenzione anche tu.>>
sghignazzò lui e copiò il
gesto.
Con
l’ultimo scambio di battute l’impazienza di Mary
ebbe la meglio, trascinando la
povera Ib verso i nuovi locali e sciogliendo ancora il gruppo. Il
ragazzo
rimase ancora un attimo ad osservare le siluette della giovane che
passava
senza problemi la passerella, poi proseguì anche lui per la
sua strada sebbene
in ansia, ma con la speranza che la promessa che si erano fatti li
avrebbe
ricongiunti di nuovo.
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