English Summer Rain

di Forbidden_Snowflake
(/viewuser.php?uid=851357)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You're so fucking special. ***
Capitolo 2: *** Since I was born I started to decay ***
Capitolo 3: *** Nothing ever ever goes my way ***
Capitolo 4: *** I think our lives have just begun ***
Capitolo 5: *** Forbidden Snowflake ***



Capitolo 1
*** You're so fucking special. ***


You’re so fucking special.
 
Camminavamo tra il grigio dell’asfalto e il grigio delle nuvole con i capelli incollati alla fronte dalla fine pioggia londinese.
Non avevamo ancora compiuto tutti sedici anni e per la prima volta avremmo passato qualche giorno insieme lontani da casa.
Alcuni nostri amici un paio d’anni più grandi suonavano in un locale nella capitale, dove si erano trasferiti da poco, e quelle poche centinaia di persone che avrebbero assistito al concerto noi, con la nostra piccola band, ancora ce le sognavamo .
Eravamo in ritardo, la pioggia era sempre più insistente e il vento rallentava il nostro passo.
Dovevamo ormai aver raggiunto la fermata secondo la cartina che aveva appena consultato Chris ma non sapevo se fidarmi, aveva già sbagliato strada un paio di volte nell’ultima ora e mezza.
Invece questa volta sembrava avere ragione, infatti l’autobus era già in fondo alla via e non potevamo fare altro che correre o non saremmo mai arrivati in tempo.
Così cercai di farmi strada tra la folla di turisti e le pozzanghere ma fu tutto inutile; feci segno al conducente di aspettarmi ma finse di non vedermi e partì nell’esatto momento in cui lo raggiunsi.
“Non se ne accorgeranno anche se arriveremo quando il concerto sarà già iniziato, vero?”
Nessuno mi rispose.
“Dom? Chris?”
Erano di fianco a me, ne ero certo.
“Dannazione, dove siete?”
Non potevano essere partiti senza di me.
“Stronzi, dove siete finiti?”
Mi guardai intorno ma loro non c’erano.
Non sapevo quando sarebbe passato l’autobus successivo e controllai gli orari: avevo mezz’ora, decisi di andare a mangiare qualcosa nel frattempo.
Un piccolo locale poco più avanti attirò la mia attenzione; riuscivo a sentire Creep dei Radiohead provenire da quel posto, almeno avrei ascoltato buona musica.
Così entrai, mi sedetti al bancone e ordinai un sandwich; era un locale non troppo pulito ma frequentato da gente interessante: c’era un gruppo di ragazzi con la maglia dei Nirvana che probabilmente non si erano più tolti da aprile a giudicare dalle condizioni, davanti a loro era seduta una coppia di artisti che discutevano della prossima mostra che dovevano allestire, e alla mia destra una ragazza minuta, più o meno della mia età, mi dava le spalle; con la testa teneva il tempo della canzone che stavano trasmettendo al momento in tv. Doveva piacerle tanto dato che aveva abbandonato il suo bicchiere e non staccava gli occhi dal video. Io nemmeno la conoscevo quella band.
Non avevo ancora visto il suo volto ma mi incuriosiva; era così simile a me.
La sua felpa era persino dello stesso colore della mia, aveva il mio stesso taglio di capelli e evidentemente amava la musica come la amavo io.
La osservavo aspettando che si voltasse anche solo per incrociare il suo sguardo per un attimo.
Non avrei mai avuto il coraggio di parlarle ma questo mi sarebbe bastato a rendere l’imprevista attesa meno spiacevole.
Si girò e riprese in mano il bicchiere.
Ero riuscito a guardarla negli occhi per un istante, erano così chiari e la sua pelle era così pallida che sarebbe potuta sembrare una bambolina di porcellana se non fosse stato per il trucco nero abbastanza marcato.
Però ora non ero più così certo si trattasse di una ragazza.
“Che pezzo, cazzo!”
Non lo era di certo.
“Hey, che ne dici?”
Stava parlando con me?
Non me n’ero nemmeno reso conto, ero troppo confuso per l’aver scambiato un ragazzo per una ragazza e avere persino pensato che potesse essere carina.
“Ehm, sì scusa, sì, sono forti!”
“Ahahah, non li conosci, vero? Tranquillo, non sono molto famosi …. ”
Il ragazzo si alzò, lasciò un paio di sterline sul banco e andò verso l’uscita.
 Non riuscivo a smettere di fissarlo, forse per il suo singolare modo di muoversi e parlare o semplicemente per il fatto che per qualche secondo ne ero stato attratto davvero e questo mi aveva un po’ turbato ma allo stesso tempo sentivo ancora una strana curiosità.
Prima di uscire si voltò verso di me e mi sorprese mentre i miei occhi erano ancora incollati a lui; sorrise e mi fece l’occhiolino.
No, no, no. Chissà cos’avrà pensato. Non sapevo come reagire, sorrisi come un idiota e mi rigirai velocemente.
Finii il mio sandwich e mi avviai verso la porta; stavo per andarmene senza pagare ma fortunatamente me ne accorsi prima che il barista mi riprendesse.
Aveva smesso di piovere e le nuvole si erano diradate. Il cielo aveva lo stesso colore degli occhi di quel ragazzo ora, o forse dello stesso colore dei miei.
Salii finalmente sull’autobus, trascorsi tutto il viaggio appoggiato al finestrino,  ammirando Londra scorrere sotto i miei occhi, mentre il sole scendeva  e scompariva dietro ai tetti e la mia mente era completamente priva di pensieri.
 
Finalmente riuscii a raggiungere il locale ma il concerto era già iniziato.
Si trovava in una zona non troppo centrale della città, in quello che sembrava essere stato un magazzino o una fabbrica in passato.
All’interno era esattamente come ci si aspetterebbe sia un locale alternativo in cui spesso suonano band emergenti: poster alle pareti, locandine dei prossimi concerti e parecchio chiasso.
Non era pieno ma i nostri amici erano riusciti a riunire un bel numero di persone e tra queste cercai Dominic e Chris.
Erano davanti al palco che cantavano a squarciagola canzoni che probabilmente erano tra i pochi a conoscere tra i presenti.
“Bastardi, mi avete lasciato da solo!”
“Oh, Matt, ce l’hai fatta ad arrivare alla fine!”
“Cosa?”
“Ce l’hai fatta ad arrivare!”
“Andiamo più indietro che non si riesce a parlare”
Per quanto ci si potesse allontanare la musica era comunque troppo alta.
“Siamo saliti in autobus, c’era un casino di gente, pensavamo ci fossi anche tu ma non ci siamo preoccupati troppo, la strada la sapevi. Beh, l’importante è che tu sia arrivato!”
Finito il concerto andammo a trovare i nostri amici in una specie di sgabuzzino adibito a backstage.
Ero stanchissimo, avevamo viaggiato per ore per raggiungere Londra,  e il concerto mi aveva distrutto.
Mi congratulai con loro e mi presentai ai componenti della band che ancora non conoscevo.
“C’è anche un bar in questo posto?” chiesi al batterista, nonché amico di Dom.
“Sì, nell’altra sala …”
“Ok, prendo qualcosa da bere e torno da voi”
Un arco a lato dell’ingresso si apriva su una stanza più piccola ma meno rumorosa.
Ordinai soltanto della Coca-Cola e cercai un tavolino dove sedermi.
 
In quel momento diversi milioni di persone si trovavano a Londra, e questo non era certamente il locale più frequentato della città; era tardi, erano rimaste solo poche persone.
Eppure lui era lì. Stava ancora bevendo ed era sempre solo.
Lo stavo di nuovo fissando.
Lui alzò lo sguardo e mi sorrise, proprio come aveva fatto qualche ora prima.
“Hey, che coincidenza! Vuoi farmi compagnia?”
Mi aveva visto.
“Oh, ok. Va bene”
“Mi hai seguito o siamo destinati a rincontrarci?”
“No, no, io non …  Sei venuto a vedere la band che suonava stasera?”
“In realtà sono appena arrivato, mi annoiavo, ero solo e sono già venuto a suonare in questo posto, mi piace …”
“Suoni?”
Avevamo altro in comune, quindi.
“Sì, canto, suono, recito … Amo l’arte, ecco”
“Anch’io suono e canto, ho una band!”
“Ah sì, come vi chiamate?”
“Beh abbiamo appena cambiato nome, per adesso ci chiamiamo Muse”
“Suona bene, suonate altrettanto bene anche voi ?”
“Io, beh, credo di sì, cioè, dobbiamo perfezionarci ma ci piace quello che facciamo”
“Cantami qualcosa”
“Non so, qui in mezzo a tutti?”
“Non canti per essere ascoltato?”
Perché mai avrei dovuto fare quello che mi chiedeva un tizio mezzo ubriaco che conoscevo appena?
Non lo so, però lo feci. Per fortuna nessuno sembrò troppo sorpreso dalla cosa, in fondo avevano bevuto un po’ tutti.
“Non è male, hai ancora tanto tempo per migliorare, quanti anni hai?”
Parlava come se avesse molta esperienza alle spalle quando dimostrava circa la mia stessa età.
“Sedici …”
“Mi piacerebbe suonare qualcosa con te.”
“Ehm, ok, però io non vivo qui, rimarrò solo per tre giorni”
“Me ne basta anche uno solo”
“Sì, certo, ok. C’è un posto dove provi di solito?”
“Sì, ti scrivo l’indirizzo. Domani pomeriggio, quando vuoi, non ho molto da fare, sarò lì. Ci conto, eh! A domani!”
Così quando dovevo ancora realizzare quanto era assurdo ed improbabile il fatto di averlo incontrato due volte nello stesso giorno, il ragazzo se ne andò, senza nemmeno dirmi il suo nome.
Forse sarebbe stato il caso di invitare anche i miei compagni di band, però lui non mi aveva chiesto questo.
Non sapevo se avrei potuto davvero fidarmi di quel tizio che beveva parecchio  e in alcuni momenti mi aveva dato l’impressione che addirittura ci stesse provando con me.
Ma no, era solo la sua abitudine a guardarmi negli occhi mentre gli ero davanti e il suo aspetto decisamente androgino. Era soltanto un ragazzo, sarei andato alla sala prove, avrei suonato con lui e me ne sarei andato appena finito, magari guadagnando un amico con i miei stessi interessi, non avevo niente da temere e in realtà non vedevo l’ora.
 
Rientrai nella sala del concerto dove Chris, Dom e la band stavano portando gli strumenti verso l’uscita sul retro.
“Matt, aiutaci a smontare la batteria per favore”
“Sì, certo Jake”
“Ci hai messo un po’, cos’hai fatto in tutto questo tempo?”
Mi chiese Chris mentre staccava i cavi dagli amplificatori.
“Niente, ho bevuto una coca e beh, ho conosciuto una persona …”
“Era una bella ragazza almeno?”
Questa poteva essere una scusa valida per poter andarmene da solo il giorno il dopo
“Oh, sì”
“Allora sei perdonato. Però muoviti che tra un po’ ci mandano fuori a calci in culo”
In pochi minuti avevamo caricato strumenti e attrezzature varie nel furgoncino del padre di Ethan, il bassista della band, che avevo conosciuto solo quella sera.
“Jake e Harry abitano qui vicino, tornano a piedi, quindi dovremmo starci. Dan, Matt, Chris, Dom, salite pure.”
“Guidi tu Ethan?”
“Perché? Non vi fidate?  Sinceramente non mi fiderei nemmeno io” , ammise ridendo.
In effetti la sua guida non era delle più prudenti, soprattutto considerando che aveva la patente da appena un mese.
Mi sedetti di nuovo accanto al finestrino, non potevo perdermi lo spettacolo di Londra in piena notte. Nonostante il cielo non fosse del tutto coperto, stava di nuovo piovendo e ogni cosa mi sembrava attenuata, la radio al massimo volume, i miei amici che cantavano, il rumore del traffico. Non pensavo ad altro che alle pozzanghere in cui si rifletteva la luna la quale tremava alla caduta di ogni goccia d’acqua, ai rivoli che scendevano dai tetti dei palazzi con i mattoni a vista, alle luci delle auto che erano ancora moltissime nonostante l’ora, cosa inusuale per me, abituato alla solitudine delle notti di Teignmouth. Pensavo anche a lui, al ragazzo che avrei dovuto incontrare il pomeriggio di quello che ormai era diventato il giorno stesso.
Era una delle persone più strane che avessi mai conosciuto nella mia vita; ero cosciente fosse una di quelle persone che ti insegnano ad evitare ma allo stesso tempo non riuscivo a far altro che seguirlo. I suoi gesti, che rimanevano in un certo modo eleganti anche dopo aver bevuto più del dovuto, e il tono in cui si esprimeva, così maturo per un ragazzino bassetto e con una voce non proprio da uomo adulto, avevano qualcosa di affascinante.
 
“Matt, smettila di pensare alla tipa di prima, siamo arrivati a casa di Dan, dovresti scendere!”
“Sì, scusa, grazie Ethan, ci vediamo!”
Mi rendevo conto solo ora di essere rimasto in silenzio a guardarla per tutto il viaggio ma non potevo evitarlo, era da tanto che non la vedevo ed era proprio bella lei, Londra, questa città che si era rivelata imprevedibile, come le persone che la popolavano, come le nuvole che avevano appena nascosto la luna lasciandoci privi dei suoi riflessi. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Since I was born I started to decay ***


Since I was born I started to decay

Mi svegliai presto la mattina successiva; io, Dominic e Chris avevamo dormito in soggiorno e i primi raggi di sole che filtravano tra le tende ci impedivano di continuare a dormire.
Ci spostammo nella cucina comune e iniziammo a prepararci la colazione nonostante Dan stesse ancora dormendo.
Viveva in un piccolo appartamento dove si era trasferito da pochi mesi per studiare alla Goldsmiths University. Divideva l’affitto con altri due ragazzi che però, fortunatamente, sarebbero tornati soltanto il lunedì successivo; non riuscivo ad immaginare come sarebbe stato dividersi quelle due stanzette in sei.
“Dan, caro, la colazione è pronta! Vuoi che te la porti in camera, tesoro? Daaaan!”
“ Cazzo Dominic, smettila di urlare”
“Si è svegliata la bella addormentata?”
“Non prendermi tanto per il culo che ti lascio dormire per strada domani”
“Dai, stavo scherzando … Poi te l’abbiamo preparata davvero la colazione …”
“Allora sei perdonato …”
“Cosa facciamo oggi?”
“Vi posso portare un po’ in giro per Londra, magari il pomeriggio prendiamo le chitarre e andiamo al parco, come volete …”
Non so perché non avevo raccontato a loro del mio incontro, forse sentivo di aver conosciuto una persona speciale e non volevo condividere questa piccola fortuna con nessun altro.
“Ragazzi, io non posso venire questo pomeriggio …”
“Hai un appuntamento con la ragazza di ieri eh, Matt?”
“Ehm sì, in realtà sì …”
“E ci abbandoni?”
“Scusate …”
“Cerca di concludere qualcosa almeno”
“Mi presteresti una chitarra?”
“Ah, il fascino del musicista, va bene, prendi l’acustica vecchia, tanto non credo capirà la differenza”
“Grazie mille Dan!”
Dan non era un granché come guida e rinunciammo presto al nostro piano di visitare la città, in fondo eravamo tutti troppo stanchi, e finimmo per trascorrere gran parte della mattinata in un caffè vicino a St. James Park.
Non ci vedevamo da soltanto due mesi ma nonostante ciò avevamo così tante cose di cui parlare, il concorso vinto a Teignmouth e quello a cui dovevamo partecipare tra pochi giorni a Torquay, per la prima volta con il nuovo nome; loro invece avevano attirato l’attenzione di qualche etichetta indipendente e speravano di poter incidere il primo album. Jake aveva trovato una ragazza qui a Londra ma a Dan non sembrava andare troppo a genio, diceva che non sarebbe durata molto, erano troppo diversi.
Tornammo da Dan per pranzo, sempre se si poteva considerare tale. Dan non si era preoccupato di fare la spesa in previsione del nostro arrivo e dovemmo dividerci qualche scatoletta di tonno e del pane vecchio di un paio di giorni. Non era cambiato per niente, l’organizzazione non era mai stata il suo forte.
Dopo pranzo si addormentarono tutti sul divano e io ne approfittai per controllare sulla cartina come potevo raggiungere l’indirizzo che il ragazzo mi aveva lasciato.
Mi resi conto che si trattava di una laterale della stessa via in cui ci trovavamo, sarebbero bastati una decina di minuti a piedi per raggiungerlo; così mi unii agli altri e andai a riposarmi.
“Oh merda!”
“Matt, cos’hai?”
“Merda, merda, che ora è?”
“Sono le quattro. Ah sì, a che ora devi andare?”
“ Ok, è ancora presto, meno male … Adesso vado … Dov’è la chitarra?”
“È in camera mia, vicino al letto. Però almeno cambiati la maglia, cazzo Matt, puzzi …”
Non credo sarebbe stato un problema per quel tizio dato che nemmeno lui sembrava tenerci troppo alla pulizia.
Cercai di rendermi presentabile, mi misi la chitarra in spalla e uscii di casa mentre gli altri mi spiavano dalla finestra, forse per cercare di vedere la mia “ragazza”.
Mi rendevo conto che mi stavo comportando da incosciente però ero troppo curioso, per qualche assurdo motivo ero certo che un giorno quel ragazzo sarebbe diventato un grande artista e mi sentivo già orgoglioso di avere avuto la fortuna di conoscerlo; forse perché un po’ mi ricordava qualcuno di famoso, e non l’avrei immaginato a fare nient’altro nella vita se non il musicista.
Stavo un po’ esagerando con le fantasie, però mi divertivano e giustificavano l’interesse che provavo nei suoi confronti.
In meno di dieci minuti mi ritrovai davanti ad un vecchio palazzo che corrispondeva all’indirizzo scritto sul foglio sgualcito.
Suonai e il portone si aprì ma nessuno rispose.
Doveva trovarsi al quinto piano e sembrava non esserci l’ascensore. Salii le scale e quando ero ancora al piano inferiore dall’alto sentii la sua voce.
“Hey, sei venuto davvero! Non sapevo se sperarci!”
Stava fumando una sigaretta ed era vestito con un’orribile camicia viola lucida, dei pantaloni neri attillati e i suoi occhi erano contornati da uno spesso strato di matita nera, evidentemente si truccava così ogni giorno.
“Sì, eccomi!”
Lo raggiunsi, rischiando di inciampare su un grosso gatto appisolato su uno scalino.
“Cerca di non ammazzare Archie se non vuoi dover affrontare la signora Thompson, quella donna mi spaventa”
 “Ho rischiato che lui ammazzasse me piuttosto! Comunque, ciao ehm … Non ci siamo mai presentati in realtà, come ti chiami?”
“Brian, e tu?”
“Matt”
“Ciao Matt, benvenuto nella mia umile dimora”
Quindi mi aveva invitato proprio a casa sua.
“Scusa il disordine, Matt, siediti pure sul divano se riesci, vado a prendere la chitarra”
In effetti non fu un’impresa semplice trovare posto tra spartiti e fogli pieni di note che presupponevo dovessero essere testi di canzoni che stava componendo.
Se non fosse stato per questo, in realtà il resto del piccolo appartamento era decisamente ordinato, non me lo sarei aspettato da uno come lui.
Le pareti erano tappezzate di poster, principalmente di David Bowie, e di fotografie che credo avesse scattato lui stesso. Non tutte erano di Londra, credo avesse vissuto in altre città prima, inoltre il suo accento non sembrava del posto, non ero sicuro nemmeno che fosse inglese.
Brian tornò con una Fender Jaguar e un piccolo amplificatore sempre della Fender, un‘armonica e diversi fogli.
“Eccomi, chissà cosa avrai pensato di me, un tizio che non conosci e subito ti invita a casa sua, mi sorprendo che tu sia venuto … Comunque a parte il fatto che avevo bevuto un po’ quella sera, mi è piaciuto quello che mi hai cantato, scrivi dei bei testi, sei tu a scriverli almeno?”
“Sì, da poco però …”
“Sai sto pensando di mettere su una band, ho appena ritrovato un ragazzo della mia scuola dopo anni e stiamo scrivendo qualcosa insieme”
 “Sei di qui tu?”
“No, sono nato in Belgio, ho studiato in Lussemburgo ma mio padre si è spostato spesso per lavoro e ho sempre dovuto seguirlo finché non mi sono trasferito qui per studiare recitazione alla Goldsmiths, ”
La stessa università che frequentava Dan.
“Tu di dove sei? Dicevi che non saresti rimasto qua per molto …”
“Teignmouth, nel Devon”
“Sì, ho presente, anche se non ci sono mai stato … Beh, iniziamo! Ti va se suoniamo qualcosa di altri prima? Non so The Smiths?”
La sua voce era nasale, quasi gracchiante, un po’ sgraziata, ma nonostante tutto, bellissima.
La mia era ancora acerba all’epoca ma era comunque più pulita, molto diversa dalla sua, e insieme creavano uno strano effetto.
“Hey, mi piace la tua voce ragazzo! Niente male davvero!”
 “Grazie … Anche tu sei bravo, non ho mai sentito una voce come la tua, tu, diventerai grande …”
“Non credo, sono solo uno sfigato che si atteggia da ribelle romantico ma che in realtà non sa nemmeno cosa vuole dalla vita e sa appena cosa non vuole, ovvero finire in un ufficio e fare la vita di mio padre”
“Brian, mi piacerebbe sentire una tua canzone …”
“Questa non l’ho ancora finita però …”
Non riuscivo a capire di cosa parlasse quella canzone, il testo non era per niente semplice da interpretare, ma potevo percepire dolore, abbandono, amore e tragedia e tutto ciò traspariva nella sua voce, nella chitarra che suonava con rabbia e con un trasporto che non avevo mai visto in nessuno. Era una canzone ripetitiva ma che sembrava tendere a qualcosa di irraggiungibile e non potevi far altro che trattenere il respiro.
“È …  Bella … Molto”
“Grazie Matt, adesso è il tuo turno”
Suonai una canzone che avevamo appena scritto e di cui ero molto fiero.
“Sei bravo sai, però ci sono così tante band che cercano di essere i nuovi Nirvana in questo periodo …  Ascoltami, vuoi che al posto del loro nome ci sia il vostro tra qualche anno su qualche arena con migliaia di persone che sono là soltanto per voi? Siate i Muse, e basta. Prendi tutto quello che ti piace  e mettilo insieme e poi rimescola tutto, mettici del tuo, fai qualcosa che non sia già stato sentito. È un consiglio che do anche a me stesso, ma non sarei qua se fossi in grado di seguirlo davvero”
“Io non so se questo diventerà mai più di una semplice passione”
“Lo è già Matt, o non saresti qui, a casa di un tizio che non conosci, solo per poter suonare con qualcuno che ti possa capire”
“Già, forse hai ragione … Posso chiederti una cosa? Non hai la mia età, vero?”
“Hahaha dimostro sedici anni? So di non essere molto alto ma hey, ho ventun’anni!”
Devo ammettere che la notizia mi stupì parecchio.
“Sono troppo grande per poter essere tuo amico?”
“No no, è solo che, insomma, non me lo aspettavo”
“Non sei il primo a dirmelo … Ad ogni modo, ti va di scrivere una canzone insieme?”
“Adesso?”
“Tra due giorni non sarai più qui, adesso è il momento migliore”
“Facciamolo, allora”
Presi in mano la chitarra e iniziai a strimpellare a basso volume un riff che avevo in testa da qualche giorno. Brian iniziò a suonare l’armonica cercando di starmi dietro.
Improvvisavo e lui mi seguiva, ogni tanto ci fermavamo e scrivevamo quello che avevamo appena creato.
Non avevamo ancora in mente un testo ma Brian ad un certo punto iniziò a cantare una frase che avrei risentito molte volte ancora negli anni successivi e che rispecchiava ciò che così spesso mi ero ritrovato a pensare a sedici anni: “Since I was born I started to decay, now nothing ever ever goes my way”; ogni volta speravo di risentirla accompagnata dalla musica che avevamo scritto insieme ma questo non sarebbe mai più accaduto.
Mi unii a lui con le prime parole che mi venivano in mente; la canzone divenne una conversazione e ad ogni parola ci conoscevamo un po’ meglio.
Mentre stavo cantando Brian si avvicinò a me, appoggiò la mano sulla mia e spostò delicatamente le mie dita sulla tastiera della chitarra.
“Prova questo, dovrebbe suonare meglio” mi disse guardandomi fisso negli occhi.
Ero rimasto immobile per qualche secondo.
“Ehm, sì, è vero, avrei dovuto pensarci”
“Sta venendo bene questa canzone”
“Sì, mi piace, anche se è molto diversa da tutto quello che ho scritto finora”
“Anche da quello che ho scritto io, siamo riusciti nel nostro intento allora”
Mi girai un attimo e guardai l’orologio appeso alla parete.
“Sono già le sette?”
“È volato il tempo!”
“Scusami ma devo andare, è stato un piacere conoscerti!”
“Non abbiamo ancora finito la canzone, hai tempo nei prossimi giorni?”
“Credo di sì …”
“Allora ti scrivo il mio numero, chiamami quando vuoi! È troppo bella per lasciarla incompiuta, Matt!”
Mi accompagnò sul pianerottolo e ci salutammo.
Mentre camminavo verso casa di Dan pensavo a quello che era successo, quel pomeriggio mi aveva cambiato la vita.
Sapevo cosa volevo, sapevo chi volevo diventare.
Con lui mi ero sentito a mio agio come con i miei compagni di band, eppure ci conoscevamo solo da un giorno; era bastata una canzone per diventare amici e conoscerci più di quello che avremmo potuto in mesi e mesi.
Mi ero innamorato.
Amavo la musica più di prima e volevo che diventasse la mia compagna di vita, per sempre.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Nothing ever ever goes my way ***


Nothing ever ever goes my way.
 
Quando rientrai i miei amici avevano già finito di cenare.
“Allora, com’è andata?”
“Bene, credo che la rivedrò ancora una volta prima di tornare a Teignmouth”
“Vogliamo i dettagli!” gridò Chris dal bagno.
“Beh siamo usciti, le ho detto che non sono di qui ma vuole che ci salutiamo prima che me ne vada e niente, volevo solo divertirmi un po’ con una bella londinese, lo fareste anche voi”
 “Non sono dettagli questi!”
Non volevo continuare questa conversazione, mi sentivo in colpa per aver mentito senza motivo ai miei amici ma tra un paio di giorni sarei tornato a casa e si sarebbero dimenticati di tutto, ormai era più comodo così.
“Cosa facciamo stasera?”
“Matt vuole cambiare discorso, cosa possiamo fare stasera?”
“Non siete nemmeno maggiorenni dove pensate di andare? Non preoccupatevi, mi ha chiamato Jake, andiamo da lui stasera, dato che domani partite non ci saranno altre occasioni per stare tutti insieme”
 
Saranno state le tre quando mi svegliai di soprassalto. La camera era stata illuminata a giorno  e un fragoroso tuono aveva interrotto il mio sonno.
Stavo sognando, ed era così bello.
Le sue dita, intrecciate alle mie, il rumore del suo respiro, la sua voce, non rimase più niente.
Non riuscivo a continuare a dormire, il mio battito era ancora accelerato per lo spavento, così mi alzai e iniziai a scrivere.
C’erano sempre troppi pensieri nella mia mente, vorticavano e si scontravano, mi chiedevano di uscire.
Avevo bisogno di tenerli a bada, a volte avrei voluto distruggerli tutti, ma questa volta mi servivano.
Cercai di ordinarli e di dargli un senso, scrivevo e cancellavo, gettavo via fogli e me ne pentivo, non era mai abbastanza bello quello che ne usciva.
Non ero mai abbastanza, non sapevo nemmeno cosa, non capivo più niente della mia vita.
Ero solo, volevo dormire e non ci riuscivo, volevo diventare qualcuno che non sarei mai stato, volevo qualcuno che non avrei mai avuto.
Mi trovavo nel bel mezzo di una città abitata da milioni di persone, ma nessuna era accanto a me, dovevo continuare quel sogno, lì era diverso.
Non potevo permettermi di perderlo per sempre, così lo continuai su un foglio.
Sorprendentemente quello che scrissi mi piaceva ed era perfetto per la musica che avevamo scritto insieme, non vedevo l’ora di farlo sentire a Matt.
Non vedevo l’ora di vedere Matt, mi divertiva molto quel ragazzino, ero stato così bene con lui. Lui era venuto a trovarmi quando non sarebbe stato ragionevole farlo.
Speravo con tutto il cuore che sarebbe tornato, non poteva rimanere incompiuta quella canzone, non doveva succedere.
 
Quando mi risvegliai ero dolorante, dormire su un tappeto non era stata una grande idea ma non potevamo fare altrimenti e la sera prima eravamo tutti troppo stanchi e ubriachi per poter pensare ad un’alternativa.
Eravamo rimasti a dormire da Jake e Harry e prima di tornare avevamo deciso di rimanere qualche ora in centro, era l’ultimo giorno che avremmo trascorso insieme e Dan voleva mostrarci i suoi posti preferiti.
Pranzammo in un locale carino, sulle rive del Tamigi, poi Dan ci accompagnò in un negozio di dischi molto fornito dove finii i pochi soldi che mi erano rimasti, infine ci fermammo al parco a goderci il sole che era finalmente tornato.
Faceva particolarmente caldo per essere un pomeriggio di novembre ma l’erba era ancora umida. Il parco era quasi deserto e ne approfittammo per renderci il più ridicoli possibili. Mi sentivo così stupido e così felice e le ore sembrarono minuti.
“Tra un’ora abbiamo il treno, ci conviene tornare da te a prendere le nostre cose, Dan. Ma aspetta, Matt non dovevi salutare la tipa?”
Me ne ero completamente dimenticato.
Avevo anche pensato a come finire la canzone, sarebbe potuta diventare la più bella che avessi mai scritto.
Dovevo almeno chiamarlo per salutarlo, mi dispiaceva così tanto di non aver mantenuto la promessa.
“Cazzo”
“Matt, non posso crederci!”
“Me ne sono dimenticato, sono un idiota!”
“Mi sa che la prossima volta che tornerai a trovarmi dovrai cercare un’altra –bella ragazza londinese con cui divertirti-“
“Almeno chiamala …”
“Ok, aspettatemi un attimo, nessuno può prestarmi i soldi per la chiamata?”
“Tieni, potevi evitare di spendere proprio tutto”
Corsi alla prima cabina telefonica che trovai e composi il suo numero, che fortunatamente tenevo in tasca.
 
Ormai era sera.
Non ero mai uscito dalla mattina e non mi ero mai allontanato dal telefono per paura di perdere la sua chiamata. Per niente.
Volevo prendere quello stupido foglio e gettarlo via, insieme a tutte le ore che avevo sprecato per l’ennesimo stronzo che entrava nella mia vita e fuggiva, dovevo spaventare molto le persone.
Presi quell’inutile pezzo di carta e lo strinsi tra le mani.
Cosa avevo fatto questa volta?
Ero stato gentile con lui.
Strinsi più forte le dita, finché non sentii le unghie imprimersi sul palmo.
Mi stavo facendo del male da solo, sembrava essere il mio passatempo preferito. Più gli altri mi ferivano, più io mi ferivo.
In quel momento squillò il telefono.
“Pronto?”
“Ciao Brian, sono Matt”
Aprii il pugno e lasciai cadere il foglio sul comodino.
“Matt”
“Volevo chiederti scusa, non sono proprio riuscito a passare oggi, mi dispiace tanto”
Non sarebbe più venuto.
“Non, non ti preoccupare, tranquillo”
“Sapevo anche come finirla quella canzone, ci tenevo davvero”
Stava riuscendo a convincermi.
 “Scusami, Brian, scusami”
“Tornerai mai a Londra?”
“Certo, verrò sicuramente a trovare Dan e Jake qualche altra volta”
“Se vuoi passare da me, non farti problemi,  ti aspetto.”
“Te lo prometto, questa volta davvero, non perdere quello che abbiamo scritto!”
“Non lo farò, Matt. È stato un piacere conoscerti, buon viaggio”
“Lo è stato anche per me, grazie Brian”
Riaprii il foglio e lo fissai al muro della mia camera, non volevo dimenticarmene.
Avevo deciso di fidarmi di lui, mi era sembrato sincero. Un giorno sarebbe tornato e avremmo suonato ancora insieme, poi avremmo scritto un’altra canzone e non l’avremmo finita così da avere sempre qualcosa in sospeso, una ragione per ritrovarci.
A volte succede, ma è molto raro, che si incontrino persone che si inseriscono perfettamente nel nostro puzzle, come le sue parole si inserivano perfettamente tra le mie in quella canzone.
Era solo un piccolo pezzo della mia vita, un amico di poche ore, ma sentivo che mi mancava qualcosa ora.
Mi aveva ricordato che avevo bisogno delle persone, che a volte sono la cosa migliore che possa capitarci; quel giorno l’avrei passato a farmi del male se non mi avesse fermato lui.
Presi la bustina che avevo in tasca e la gettai tra i rifiuti.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** I think our lives have just begun ***


I think our lives have just begun 
 
Mi vedevo sempre più spesso con Stefan, il nostro progetto di formare una band con lui e il mio amico Steve stava prendendo forma e ne eravamo tutti entusiasti.
Stefan, proprio lui. Il giocatore di basket. Il ragazzo alto e sorridente che attraversava i corridoi della mia stessa scuola, dove io ero deriso e lui era ammirato.
Le nostre vite si sfioravano ogni giorno ma non si erano mai incontrate, eravamo troppo diversi.
Questo era quello credevo prima del giorno in cui l’ho rivisto, con una chitarra in spalla mentre guardava gli orari della metro.
Lui era come me.
Amava la musica, era un ragazzo sensibile e insicuro, avevamo molto in comune.
L’avevo invitato a vedermi suonare, lui era venuto, aveva apprezzato più del previsto la mia musica e ora scrivevamo insieme.
Chi l’avrebbe mai immaginato …
 
C’era una ragazza sul mio letto, lei era lì e io pensavo ad altro, forse era questo il motivo per cui nessuno restava davvero per sempre. Ero egoista, desideravo sempre ciò che non avevo e dimenticavo chi mi aveva appena reso felice.
Non mi ero dimenticato di lui però, la nostra canzone era ancora appesa al muro, la rileggevo ogni sera prima di chiudere gli occhi e ogni tanto modificavo alcune parole, ci scrivevo sopra accordi, ma era ancora lo stesso foglio che avevo quasi gettato via il mese scorso.
“Scusa devo andarmene, non dovevo passare la notte fuori, dio mio, dovrei essere a casa, io, beh, se vuoi potremmo scambiarci i numeri, mi piacerebbe rivederti”
Non mi ricordavo nemmeno il suo nome.
 “Certo … Sei bellissima” le dissi mentre le baciavo la fronte
Ci eravamo conosciuti soltanto la sera prima in un posto orribile, ci stavamo annoiando entrambi e avevamo deciso di farci compagnia, era una ragazza sola e assurda come lo ero io.
Pensavo davvero fosse bellissima, nonostante i capelli rovinati dalla tinta e il suo modo di vestire decisamente poco grazioso, ma devo ammettere che i miei gusti non sono mai stati troppo convenzionali.
Strappai un foglio dall’agenda e scrissi il mio numero sbagliando intenzionalmente diverse cifre; non me la sentivo di frequentare qualcuno in quel momento, volevo essere io questa volta a dimenticarmi degli altri, ero stanco di essere dimenticato. Lei avrebbe trovato un altro strano tipo con cui passare la notte in qualche altro orribile locale di Londra e non ci sarebbe rimasta poi così male.
Prese il foglio e mi baciò sulle labbra prima di andarsene.
Accesi una sigaretta e uscii a prendere un po’ d’aria, anche se questo poteva sembrare un controsenso ma non lo era quanto ciò che avevo appena fatto.
Un’altra volta mi ero ferito da solo per evitare che lo facesse qualcun altro.
Mi sedetti su una panchina ad osservare la gente camminare cercando di contrastare il vento gelido; sembravano tutti così di fretta, sembravano tutti avere una meta, ma se questa doveva essere una scrivania, la sala d’aspetto di un dottore o il prossimo autobus, preferivo non averne una. Io invece sarei potuto rimanere lì seduto per ore, non avevo nient’altro da fare quel giorno.
Portai le ginocchia al petto per cercare di trattenere il calore, forse mi ero vestito troppo poco ma non volevo tornare a casa. Stavo bene lì, nonostante tutto; l’aria pungente mi faceva sentire vivo.
 
Un furgoncino uscì da una stradina laterale.
Un’auto stava sfrecciando sulla strada principale.
Davanti ai miei occhi.
Non riuscii nemmeno a gridare.
La gente iniziava ad accorrere, chiamavano i soccorsi, cercavano di fermare il traffico.
La sigaretta mi cadde dalle mani e rimasi immobile con lo sguardo fisso.
Nessuno sapeva come comportarsi, chi cercava di aiutare, chi andava in panico.
Il tempo sembrava scorrere più lento.
Non c’era davvero niente che potessi fare in quel momento, ero completamente inerme.
Anche se mi fossi avvicinato a chiedere cos’era successo, non avrei aiutato nessuno, c’erano già troppe persone, ma non me la sentivo di andarmene, non potevo fingere di non aver visto niente.
Sentivo in lontananza la sirena dell’ambulanza che una volta arrivata portò via due ragazzi più giovani di me e l’uomo alla guida dell’auto.
Le loro condizioni sembravano critiche, soprattutto il ragazzo biondo sui diciotto anni che era seduto sul lato del passeggero.
 
Sentivo qualcosa di caldo scendere sul mio volto.
Mi asciugai con la manica, ma era inutile.
Stavo piangendo, io che ero lì su una panchina, mentre un uomo e due ragazzi stavano lottando per la vita a pochi metri da me, non riuscivo a far altro che piangere.
Com’ero debole, come lo siamo tutti, è tutto così fragile.
Mi ero reso conto in quel momento che per quanto mi fosse capitato di voler sparire per sempre, di voler distruggermi completamente, quello che volevo non era la morte.
Volevo vivere, il più possibile, ma i miei sogni erano troppo grandi e io mi sentivo troppo piccolo, mi sentivo schiacciato a terra dal peso delle mie ambizioni invece che innalzato da esse.
Però non volevo il nulla, volevo tutto e finché ero vivo potevo lottare per averlo, poteva finire anche domani, in un incrocio, non dovevo permettermi di non essere mai stato felice davvero.
Ormai non era rimasto più nessuno così decisi di alzarmi e andare da Stefan a provare, anche se avevo ancora negli occhi quella scena, ma era la mia salvezza, volevo che restasse lì per sempre.
 “Mi scusi, sa cos’è successo?”
“Un brutto incidente signora, due ragazzi e un uomo sulla quarantina, spero siano sopravvissuti”
“Io quel furgoncino l’ho già visto, sembra quello dell’amico di mio figlio, oh cielo! E riuscito a vederli per caso?”
“Uno aveva i capelli lunghi, castani, l’altro era biondo, decisamente alto”
“Non possono essere loro, erano a casa nostra l’altra sera, non possono essere Ethan e Jake”
“Come ha detto che si chiamano?”
 
“Che cosa?”
“Matt sono in ospedale, tra poco dovrebbero arrivare anche i loro genitori, mi hanno detto che dovrebbero essere fuori pericolo ma sono preoccupato, è stato davvero un brutto incidente, ti tengo aggiornato se qualcuno mi dice qualcos’altro”
Lo dicevo che Ethan non era in grado di guidare ma questo non doveva succedere, non ci potevo credere.
“Appena posso chiedo ai miei se posso raggiungervi a Londra”
“Ok Matt, ti aspetto, spero tanto di  doverti dare belle notizie, non voglio nemmeno immaginare il contrario”
“Ciao Dan, stai tranquillo, ok?”
“Ciao Matt, ti richiamo appena so qualcosa”
 Corsi a dirlo ai miei, Jake era uno dei miei amici più cari, dovevo assolutamente andare a trovarlo.
Acconsentirono a lasciarmi partire la mattina successiva così preparai lo zaino e chiamai Dom e Chris per sapere se sarebbero venuti con me.
Le ore successive trascorsero lentamente e quando finalmente Dan mi richiamò non erano buone le notizie che doveva darmi.
“Dobbiamo stargli vicino quando Jake si sveglierà, sarà difficile per lui accettarlo …“
“E Ethan, lui come sta?”
“Dicono che sopravvivrà ma non sa ancora niente, si sentirà così in colpa, non so se riuscirà mai a superarlo. Sto cercando di essere forte ma sono troppo legato a loro per riuscirci, ho bisogno di vederti Matt”
“Domani sarò lì, ci vediamo Dan”
“A domani”
Jake era un ragazzo determinato e ottimista ma da quel giorno non sarebbe più stato lo stesso.
Gli piaceva così tanto suonare, la loro band iniziava ad avere un discreto successo e Jake ne era entusiasta.
Non avrebbe più potuto suonare la chitarra privo di metà del braccio, tutti i suoi sogni si erano infranti insieme ai vetri del furgoncino guidato da uno dei suoi migliori amici.
Si vive pensando di poter controllare gli eventi, di poter fare andare le cose esattamente come noi desideriamo, poi in un attimo ci si rende conto di quanto niente sia prevedibile, di come ci si possa ritrovare a ridisegnare da capo tutti i propri progetti e non c’è nient’altro che si possa fare se non costruirsi nuove speranze e credere che queste non faranno la stessa fine delle precedenti.
Aveva gli stessi miei sogni, forse era per questo che sentivo lo stomaco contorcersi all’idea di vedere tutto andare in fumo così, tra l’asfalto e i rottami.
 
Dormii malissimo quella notte e mi svegliai che era ancora buio.
Servono diverse ore di viaggio per raggiungere Londra e volevo arrivare prima di pranzo.
Dom e Chris erano già arrivati, riuscii a prendere il treno per poco e quasi non parlammo per tutto il viaggio.
Arrivati a Londra Dan ci stava aspettando in stazione.
“Dan, come stai?”
“Grazie di essere venuti”
“Novità?”
“Jake si è svegliato, è molto scosso ma sai com’è fatto lui, riesce sempre a reagire bene, è felice di essere vivo, dice che è quello che conta. Dicono che la colpa sia stata del conducente dell’auto perché andava troppo veloce ma sarà difficile convincere Ethan che non è colpa sua. Ad ogni modo ora vi accompagno a casa mia, ho ordinato le pizze”
Mi sentivo meglio ora che avevo degli amici vicini, cercammo di distrarci quella sera ma riuscivo a percepire che nell’aria c’era qualcosa di diverso.
Il giorno successivo andammo in ospedale; Jake era molto stanco e provato ma riuscì a farci sorridere anche il quel contesto con le sue battute.
“Avete fatto tutta questa strada per me, siete degli amici fantastici … spero che questa non diventi un’abitudine però, non vorrei dover perdere anche l’altro braccio prima di rivedervi, è il destro, mi serve”
Aveva davvero reagito meglio del previsto anche se temevo fosse perché era ancora al protetto qui in ospedale, circondato da tutte le persone che ama.
La sera tornammo a casa di Dan, ci avrebbe ospitato ancora lui per qualche giorno.
Riuscii a dormire meglio quella notte, avevamo bisogno dei nostri amici e stare tutti insieme ci aveva risollevato il morale.
Cercai il mio spazzolino nella tasca anteriore dello zaino quando mi finì tra le mani un pezzetto di carta.
Era il numero di Brian.
Avevo fatto una promessa a quel ragazzo.
Uscii di casa dicendo di dover prendere un po’ d’aria e lo chiamai dalla prima cabina telefonica che riuscii a trovare.
“Pronto, Brian? Sono Matt, ti ricordi di me?”
“Certo che mi ricordo di te, è passato un mese appena!”
“Sono a Londra, ti va se ci troviamo non so, domani?”
“Sicuro! Ho tante cose da farti sentire!”
“Anch’io ho scritto qualcos’altro nel frattempo, a che ora vai meglio?”
“Domani alle sei va bene?” 
“Benissimo! Ciao Matt, sono felice che tu sia tornato a trovarmi”
“Ciao Brian, a domani!”
La vita è troppo imprevedibile per lasciare qualcosa in sospeso.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Forbidden Snowflake ***


Forbidden Snowflake
 
Avevo deciso di dire la verità ai miei amici, non era il momento migliore per inventare inutili bugie.
“Questa sera devo andare a trovare un amico che vive qui e mi ha chiesto di suonare con lui …”
“Non sapevo avessi altri amici oltre a noi qui a Londra … Hey, guarda che se è la ragazza dell’altra volta, tranquillo, se ti distrai un po’ non ci offendiamo …”
“No non è lei, cioè sì, è lei, ma non è una ragazza”
Si erano girati tutti e mi fissavano con gli occhi sgranati
“No no no, cos’avete capito! L’altra volta mi ero inventato questa scusa per evitare di spiegarvi perché andavo da solo da un tizio che avevo appena conosciuto in un locale, insomma quando l’ho conosciuto aveva da poco una band … Temevo avreste pensato che volevo lasciare i Muse o che ne so …”
“Grazie al cielo Matt, mi stavo già preoccupando per tutte le volte che abbiamo dormito insieme”
“Idiota”
L’aria si era fatta meno pesante, stavamo iniziando ad accettare ciò che era successo e a convincerci che dovevamo andare avanti e dovevamo farlo soprattutto per Jake e Ethan perché quando sarebbero usciti dall’ospedale dovevamo fargli sentire che niente era cambiato tra noi.
Questa volta Dan mi aveva prestato la sua chitarra migliore che non era comunque una gran cosa dato che non era lui a suonarla nella band.
 Fortunatamente ricordavo ancora la strada per raggiungere il palazzo dove abitava Brian e non vedevo l’ora di raggiungerlo, stavo quasi perdendo la sensibilità delle dita per quanto era fredda l’aria.
Anche questa volta non rispose al citofono ma mi aprì soltanto il cancello, evidentemente doveva essere guasto.
Per le scale non incontrai Archie, o come diavolo si chiamava quel gatto rosso e grasso, in compenso però una lampadina era bruciata e dovetti avanzare a tentoni per metà rampa.
Iniziavo a pensare che fosse un avvertimento, ogni volta che dovevo salire da lui rischiavo di rotolare dalle scale.
Quando lo vidi rimasi sorpreso, portava una semplice maglietta nera a maniche lunghe e un paio di jeans un po’ troppo grandi per la sua corporatura.
Scese alcuni gradini per venirmi incontro e mi abbracciò stretto, come se fossimo amici di vecchia data che non si vedono da mesi. Era strano, però era esattamente quello che sentivo; non mi sembrava fosse trascorso soltanto poco più di un mese dal nostro primo e unico incontro.
“Matt, bentornato a casa Molko!”
“Ciao, mi fa piacere rivederti!”
“Come mai sei qui a Londra?”
“Purtroppo non per un motivo felice, due miei amici sono stati vittima di un brutto incidente, sono venuto a trovarli ma non se la sono cavata senza conseguenze”
“Mi dispiace tanto Matt … Scusa se te lo chiedo, ma dov’è successo?”
“Qui vicino, di fronte all’uscita del parco”
Per quanto la sua carnagione fosse molto chiara sembrava essere ulteriormente impallidito.
“Ehm sì, ne ho sentito parlare, spero che si rimettano presto”
“Lo spero anch’io …”
“Accomodati pure, vuoi qualcosa da bere? Lo so che sembra un invito da vecchie signore ma se vuoi c’è del tè caldo che ho preparato da poco”
Avevo proprio bisogno di qualcosa di caldo.
“Volentieri, grazie”
Mi sedetti sul piccolo divano davanti alla tv mentre Brian versava il tè in due tazze che sarebbero potute appartenere a mia nonna piuttosto che ha un ragazzo di poco più di vent’anni.
Lasciò sul tavolino la sua e mentre andava nella sua stanza a prendere la chitarra mi accorsi di aver quasi schiacciato un libro sedendomi.
Si trattava di “Le fleurs du mal” di Baudelaire e non era nemmeno tradotto in inglese. Mi ricordai che lui era nato in Belgio, forse era per questo che conosceva il francese.
“È bellissimo, te lo consiglio”
Non mi ero reso conto che fosse tornato.
“Scusami mi ci ero quasi seduto sopra”
“Tranquillo, hai freddo? Perché non tengo molto alto il riscaldamento …”
“No no, sto bene”
“Guarda, ce l’ho ancora, ti faccio sentire cosa ho aggiunto poi mi dici se ti piace e cosa volevi aggiungere tu” mi disse mostrandomi il foglio sgualcito con la parte di canzone che avevamo composto insieme. Si sedette sul tappeto e cominciò a cantare.
Ciò che aveva scritto non sarebbe sfigurato in un libro di scuola tra le poesie che lui amava.
Ero rimasto a bocca aperta e non volevo che smettesse mai di raccontare quella storia di cui non sapevo chi potesse essere il protagonista né conoscevo il motivo delle sensazioni che esso provava ma riuscivo a percepirle anch’io, le stavo vivendo tutte mentre Brian cantava.
“Ti piace?”
“Se mi piace? Dio mio, è la canzone con il testo più bello che io abbia mai sentito”
“Non devi ascoltare molta buona musica allora” mi rispose ridendo.
“No, davvero, è splendido! Avevo pensato a qualcosa anch’io ma ora mi sembra così stupido … In compenso ho capito come migliorare un po’ l’accompagnamento. Potresti suonare anche l’armonica nel bridge … E magari potremmo renderla una specie di conversazione così la possiamo cantare insieme”
“Mi piacciono le tue idee, Matt”
Si ricreò la stessa armonia di quel pomeriggio di novembre quando con una sola canzone eravamo diventati amici, così quel giorno il nostro legame era diventato ancora più forte; anche se sapevo molto poco della sua vita, potevo dire di conoscerlo, riuscivo a capire cosa provava in quel momento e questo valeva molto più di sapere se aveva una ragazza, da quanto tempo viveva a Londra, se aveva fratelli o quali erano i suoi orari di lavoro.
Non capivo come potesse fidarsi così tanto di me, tanto da mostrarmi tutta la sua vulnerabilità, ma anch’io mi stavo fidando di lui e mentre scrivevamo gli raccontavo chi ero, raccontavo a lui ciò che non avevo mai avuto il coraggio di ammettere. Non sempre ero felice, il posto dove vivevo mi stava stretto, ero spesso insoddisfatto e confuso. Lui non mi rispondeva che ero un adolescente e che era normale e passerà con il tempo; mi trattava come un uomo, prendeva sul serio ciò che gli dicevo e per questo parlare con lui mi faceva sentire bene.
 
Mi voltai verso la finestra e vidi grossi fiocchi candidi scendere dal cielo; abbandonai la chitarra sul pavimento e mi avvicinai per osservare meglio.
Le strade erano già coperte da un sottile velo bianco illuminato dalle luci dei lampioni. Sentii Brian accostarsi a me.
Non era un evento molto raro ma aveva comunque il suo fascino, anche in una città così movimentata sembrava che il tempo scorresse più lento.
Sulla finestra vedevo riflessi i nostri volti e mi resi conto che Brian non stava osservando la neve ma era voltato verso di me e non spostò lo sguardo finché non mi voltai anch’io verso di lui e prontamente finse di guardare la strada.
Forse la mia prima impressione non era sbagliata e la cosa mi metteva a disagio, stavo molto bene con lui, poteva nascere una grande amicizia ma non di più , insomma, era un ragazzo. 
Immediatamente mi sentii ancora più in imbarazzo per averci pensato; non poteva essere così, continuavo a travisare i suoi gesti, in fondo appena entrato avevo notato sul tavolo della cucina un foglietto con il numero di una certa “Annabelle” e la scritta “Chiamami, già mi manchi”.
Anche se un ragazzo si truccava e vestiva in quel modo non era detto che dovesse essere attratto da me, era solo il suo modo di imitare i molti artisti che lo facevano.
I miei pensieri furono interrotti dalla sua voce e ne fui quasi sollevato.
“Et quand viendra l'hiver aux neiges monotones,
Je fermerai partout portières et volets
Pour bâtir dans la nuit mes féeriques palais.”
“É una delle poesie del libro?”
“Esatto”
“E di cosa parla?”
“Anche se fuori nevica si può sempre sognare la primavera, possiamo costruire splendidi palazzi anche in questa stanza se chiudiamo gli occhi e lasciamo fuori la tempesta”
“Non vorrei sognare la primavera adesso, non è bello anche questo?”
“È meraviglioso ma è anche triste”
“Io non lo trovo triste … Mi ricorda quando da piccolo giocavo a palle di neve con i miei amici e costruivamo pupazzi più grandi di noi”
“Non ho più provato quelle sensazioni però … Ormai sono andate, è anche per questo che è triste”
“Non è troppo tardi per provarle ancora”
“Allora facciamolo”
“Che cosa?”
Non riuscivo a capire quali fossero le sue intenzioni.
Mi afferrò il braccio e mi condusse fuori senza nemmeno lasciarmi il tempo di prendere con me la giacca.
Raggiunto il minuscolo giardinetto che separava il portone del palazzo dalla strada, Brian si distese sulla neve. Respirava a fondo come se stesse prendendo fiato dopo una lunga corsa.
“Che c’è? Stai bene?”
“Sì, benissimo, Matt! Avevi ragione!”
“Sicuro?”
“Sì, non ha senso pensare alla primavera quando si può stare qui”
Mi sedetti accanto a lui.
La neve si scioglieva con il mio calore e iniziava ad inzuppare i jeans rendendo sempre più difficile sopportare il freddo.
Restammo in silenzio per diversi minuti e ci lasciammo coprire dai fiocchi che scendevano.
Era proprio vero, nonostante tutto, stavo bene; quello che stavamo facendo non aveva senso, tantomeno era raccomandabile e per questo mi sentivo libero.
Mi distesi anch’io e con le braccia e le gambe disegnai un “angelo” sulla neve, come facevo da bambino.
La strada era deserta ma questo non cambiava le cose, avrebbero potuto giudicarmi e guardarmi storto ma nessuno poteva esser felice come lo ero io in quel momento.
Mi voltai verso Brian; ora si era seduto e non stava più sorridendo.
Era assorto in qualche pensiero che sembrava preoccuparlo molto.
 “Torniamo dentro, sto iniziando a non sentire più i piedi e le mani”
Chissà cosa gli passava per la mente.
Tesi la mano per aiutarlo ad alzarsi e insieme rientrammo nel suo appartamento.
“Dio mio come ci siamo ridotti”
Si passò il dorso della mano sul viso.
“Sono ridicolo, mi si è sciolto il trucco … “
Ero contento di rivederlo sorridere, mi stavo preoccupando quando prima lo avevo visto rattristarsi così improvvisamente.
“In effetti siamo completamente zuppi”
“Rimarrai qui altri giorni?”
“Sì, domani, poi il giorno dopo parto alla mattina”
“Vuoi che ti presti qualcosa da metterti?”
“No no, tranquillo”
“Allora almeno aspetta di essere un po’ più asciutto prima di uscire …”
Si tolse le scarpe e la maglietta e andò in bagno a prendere due asciugamani. Aveva il corpo di un ragazzino, a volte dimenticavo avesse quasi sei anni più di me.
Cercai di asciugarmi i capelli mentre lui si era avvolto nell’asciugamano e se ne stava raggomitolato accanto al termosifone.
“Matt, facciamo così … Questa canzone non è di nessuno dei due, io non la canterò con la mia band e tu non la canterai con la tua. Però un giorno la canteremo insieme … Magari all’Earls Court …”
“Certo, o al Wembley Stadium”
“Sicuro!”
In quel momento scherzavamo senza credere minimamente alle nostre parole; quello che poi sarebbe diventato realtà non era nemmeno nei miei sogni più folli.
Restammo seduti a parlare per diverso tempo ma non potevo rimanere lì fino al mattino.
“Mi dispiace ma devo tornare ora…”
“Non pensavo fosse già così tardi! Allora ti accompagno giù”
Raggiunto il portone mi diede la copia del testo e degli spartiti di quello che avevamo scritto.
“Grazie di tutto, spero di vederti ancora, anche se adesso non abbiamo più nessuna canzone da finire”
“Verrò sicuramente a trovarti altre volte”
“Mi piace quello che siamo riusciti a scrivere insieme, e l’abbiamo fatto senza nessuno scopo se non quello di creare qualcosa di bello, solo per noi …”
“Sono contento anch’io, ho imparato molto, mi è servito confrontarmi con qualcun altro”
“Anch’io ho imparato da te, sei giovane ma sei già più bravo di me”
“Ma figurati!”
La neve cadeva meno fitta ma ormai aveva ricoperto il giardinetto e il viale con uno spesso strato.
Brian mi accompagnò fino al cancello che dava sulla strada;
“Ciao, ci vediamo, grazie di avermi ospitato!”
“È stato un piacere! Ciao Matt!”
Stavo per uscire quando lui mi fermò prendendomi per un polso, mi avvicinò a se e intrecciò le sue dita con le mie.
Prima che facessi a tempo ad elaborare una qualsiasi reazione sentii le sue labbra sfiorare appena l’angolo della mia bocca.
Rimasi immobile per qualche secondo, mentre lui camminava affondando nella neve e scompariva dietro il portone.
Non capivo cosa fosse successo, in fondo non ci eravamo davvero baciati.
Non capivo cosa volevo e cosa dovevo pensare; così cercai di non pensare affatto e iniziai a camminare velocemente lasciandomi distrarre da ogni minimo sussurro del vento.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3149338