Fa che resti per sempre

di BlackDream99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Te lo prometto ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - La tua famiglia, la mia famiglia ***
Capitolo 3: *** Capitolo II - Venere ***
Capitolo 4: *** Capitolo III - Paura del buio ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV - All'altro capo del mondo ***
Capitolo 6: *** Capitolo V - Non lasciarmi mai ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI - L'ombra ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII - Anche l'oscurità ama ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII - Una cieca intraprendenza ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX - Il silenzio del vento ***
Capitolo 11: *** Capitolo X - L'amore non si spiega ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI - Da fare invidia alle rose ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII - Pensieri riflessi ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII - Sei tutto, troppo ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV - L'oblio remoto ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV - La via della mente ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI - Io con te ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII - Quegli occhi solo miei ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVIII - Il cuore gemello ***
Capitolo 20: *** Capitolo XIX - Non pensare a domani ***
Capitolo 21: *** Capitolo XX - Dentro la notte ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXI - Mai senza ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXII - Rosso scuro ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIII - Mare e lacrime ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXIV - Bianco e nero ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXV - Il fascino di continuare ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXVI - Dolore ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXVII - Lui ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXVIII - Lei ***



Capitolo 1
*** Prologo - Te lo prometto ***


Prologo - "Te lo prometto"
 
Lettura consigliata con: River Flows in You - Yiruma
La Sala Grande era affollata, forse troppo.
Hermione era seduta al tavolo di Tassorosso e Ron era in piedi, intento a parlare col padre quasi in silenzio, mentre limpide lacrime gli scorrevano sulla guancia. Con una mano si asciugava il volto, con l'altra teneva stretta la destra di Hermione, la quale stava cercando di reprimere ciò che provava, senza successo. Ogni tanto Ron le rivolgeva sguardi affettuosi, perché sapeva che era anche lei ad avere bisogno di conforto, oltre a lui stesso. Mentre Ron parlava, Hermione scrutò la sala Grande senza un motivo apparente, voleva solo essere sicura che non ci fossero altre brutte notizie. Neville sedeva in ginocchio sul tavolo di Grifondoro facendo roteare la spada di Godric tra le mani; Luna consolava Ginny poco più in là; George, Percy e Bill erano sconvolti e parlavano fitto fitto fra di loro; Molly, con la faccia ridente, cercava di nascondere il dolore che provava dentro alla McGranitt e alla Sprite mentre discutevano delle riparazioni del castello e Kingsley, con un braccio fasciato e una gamba sanguinante, girava per la sala esprimendo congratulazioni per tutti mentre conversava scherzosamente con Dean e Seamus.
Dopo una buona mezz'ora Arthur salutò e si diresse verso l'infermeria e Ron si sedette affianco a Hermione, sfinito. Le loro mani non si separavano da quasi un'ora. Ron l'abbracciò, Hermione si lasciò sfuggire un sospiro di piacere e si guardarono. "Hermione ho deciso di venire con te" disse Ron dal nulla con un filo di voce mentre ancora erano abbracciati. Lei si staccò e dal suo sguardo Ron capì di non essere stato chiaro. "A cercare i tuoi genitori. Hermione - riprese a tono più alto perché lei lo guardò male - so quanto fa male. Lo sto provando in questo momento. Sono le persone che ti accompagnano per una vita intera, coloro che ti aiutano, che ti sono vicini, coloro cui puoi raccontare tutto perché sai che ti ascolteranno sempre. E tu, amore - lei si sciolse lentamente a quella parola - non meriti di vivere una vita senza queste persone. So che li andresti a cercare lo stesso, ma io voglio e devo venire con te. Partiremo subito, appena si saranno sistemate decentemente le cose partiremo insieme e li troveremo, Hermione, te lo prometto". Ron non aveva distolto lo sguardo dai suoi occhi per neanche un secondo. Lei gli rivolse un'occhiata d'orgoglio, con espressione a metà fra una risata sincera e innamorata e un pianto. Ron non si spostò. Se passassero secondi, minuti o giorni mentre erano così, uno avanti all'altra, con gli occhi così vicini, non era importante.
Poi Ron ruppe il silenzio con la voce ridotta ad un sussurro: "E' importante per me". E lei, che fino a quel momento non aveva detto una parola si fece accogliere di nuovo fra le calde braccia del suo premuroso uomo. Ron la baciò, per la prima volta fu lui a fare il primo passo, si baciarono ancora e ancora, perché anche se quella di Ron non era una domanda, Hermione capì che la risposta positiva poteva darla solo così. E per la prima volta dopo mesi, forse addirittura anni, un pensiero rimbalzò nella mente di Hermione: "Sono al sicuro".

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Capitolo 2
*** Capitolo I - La tua famiglia, la mia famiglia ***


Lettura consigliata con: What I've done - Linkin Park
Ron ed Hermione erano seduti sul tavolo di legno della cucina della Tana da quasi un'ora. Davanti a loro si stagliava una grossa quantità di foglietti di carta divisi in due grossi blocchi; quelli usati, che costituivano la quantità maggiore, e quelli ancora bianchi che erano ancora ordinati in colonna. Ron fissava il tavolo con lo sguardo nel vuoto, mentre Hermione era, come suo solito, sveglia e con la mente impegnata. 
''Allora, ricominciamo daccapo'' le disse Ron, che da qualche minuto la stava solo osservando mentre era intenta in silenziosi ragionamenti: ''Sappiamo che i tuoi genitori si chiamano Wendell e Monica Wilkins, che hanno quarantasette e quarantaquattro anni, che di professione fanno i dentisti e che sono da qualche parte dispersi all'altro capo del mondo...''. 
Hermione lo guardò quasi divertita ed espresse un breve sorriso: ''Primo, i miei genitori non si chiamano Wendell e Monica e di cognome non fanno Wilkins. Quelli sono solo i nomi che ho deciso io per le loro nuove identità, quindi anche se dovremo cercarli così ti prego di non chiamarli in quel modo''. Poi guardò Ron, che, un po' per la stanchezza e un po' perché era stato quasi offeso dall'affermazione precedente, era diventato accigliato ed esprimeva un broncio depresso. Hermione posò la sua mano su quella di Ron, e lo guardò affettuosa, innamorata: ''Scusa''. Ron si girò e la baciò. 
''Tranquilla. Hai ragione, devo stare più sveglio, perché da quello che abbiamo questa ricerca non è meno complicata di quella degli Horcrux. Ti prego però, evita di attaccarmi subito, perché con la situazione di stress che c'é qui in casa mi sei rimasta solo te'' disse Ron guardandola dritta negli occhi. Hermione rimase a dir poco soddisfatta.
''Tornando al discorso precedente - riprese lei velocemente, perché Ron non si decideva a staccarsi dalle sue labbra - hai quasi detto tutto quello che c'è da sapere''. Ron la guardò attento, con un'occhiata sorpresa: ''Quasi?'' le chiese.
''Si quasi. Non ti ho detto infatti che stamattina, prima che ti svegliassi, sono passata a casa mia in cerca di indizi o qualsiasi altra cosa che potesse facilitarci il compito. E... - si interruppe mentre tirava fuori dalla famosa borsa a perline qualche altro foglio di carta -... ho scovato qualcosa che ci sarà più che utile''.
Hermione spostava gli occhi fra Ron e i nuovi fogli di carta con fare ironicamente supponente. Ron guardò incuriosito. Era un documento scritto a mano sul quale i genitori di Hermione si erano consultati sul volo da prendere per dirigersi in Australia. Evidentemente i genitori di Hermione erano minuziosi e attenti ad ogni dettaglio come la figlia. Sul foglio era presente un lungo elenco di voli diretti da Londra a diverse città australiane e di fianco ad ogni opzione erano segnalati i costi relativi. Gli occhi di Ron caddero sull'ultimo volo della lista, il cui codice era stato completamente cerchiato con una penna rossa.
''Adelaide? Dove diamine si trova Adelaide? Credevo che i tuoi genitori si fossero trasferiti a Sydney o in città comunque grandi. Questa non l'ho mai sentita sinceramente'' esordì lui. 
''Il fatto che tu non la conosca non vuol dire che come città non sia grande. E per certi versi credo che l'aver scoperto il volo che hanno preso non ci aiuterà poi più di tanto. Purtroppo infatti non ho trovato nulla sulla casa che devono aver comprato: quello si che avrebbe facilitato tutto'' rispose lei, mentre per frenesia stappava e rinfilava il tappo nella penna che aveva in mano, guardando nel vuoto.
Ron decise che era il momento di dire qualcosa: ''Hermione non preoccuparti. Li ritroveremo, ne sono sicuro. Dovessimo anche restare in Australia per mesi sono sicuro che quando torneremo qui ci saranno anche loro, lo sento''. Lei gli rivolse un'occhiata leggera, sull'orlo delle lacrime: ''Lo so, lo so... Il fatto è che non possiamo permetterci di perdere troppo tempo, - disse singhiozzando mentre le prime lacrime nascevano dai suoi occhi - ci sono tante, forse troppe cose da fare qui; bisognerà recuperare tutto ciò che è stato danneggiato, riportare alla tranquillità tutto il mondo magico. Sono morte centinaia di persone e troppi amici. Non possiamo non importarcene''. Ron la strinse in un abbraccio senza il solito calore, ma lei riprese subito: ''E poi, quando la maggior parte delle cose sarà tornata in condizioni normali, devo tornare ad Hogwarts. Voglio finire ciò che ho cominciato, so che è importante completare la mia istruzione e anche se in teoria avrei dovuto terminare la scuola quest'anno non credo che ci saranno problemi per farmi rientrare''.
Ron rimase sorpreso. Si staccò dalle sue braccia, la guardò ma non rise. Disse tutto alzando progressivamente il tono della voce, tutto d'un fiato:
''Ah è questo che credi allora? Pensi che sia quello che hai appena detto ad essere importante? Pensi che sia più importante tornare ad Hogwarts per completare un anno di studi di cui non hai assolutamente bisogno che cercare la tua famiglia? La tua famiglia Hermione, la tua famiglia! Sei stata più che coraggiosa a rinunciare per un periodo indefinito a loro e sono orgoglioso di te per questo, io non lo avrei mai fatto, ma adesso che tutto è terminato niente è più importante di questo! Quindi non lasciare che la tua continua devozione verso gli altri abbia sempre la meglio. Adesso bisogna pensare a te. È ora che io inizi a pensare a te. Troverò i tuoi genitori anche se dovessi passare tutta la vita a cercarli. Quindi, ti prego, non farmi più sentire una cosa del genere. Perché come ti ho già detto la famiglia è la cosa più importante che si ha. E sai come mai ti dico questo, e come mai sto ragionando con te su come andare a cercare i tuoi genitori? Perché tu stai diventando parte della mia famiglia. Stai diventando la mia famiglia! Sei diventata la mia famiglia!''
Si alzò. Era sudato, arrabbiato e quasi piangeva anche lui. Guardò la donna che amava, rimasta seduta con lo sguardo perso, immersa in interminabili ragionamenti. 
''Io sono pronto a partire. - riprese con tono più calmo, ma mantenendo la faccia arrabbiata senza staccarle gli occhi di dosso - Quando vorrai che anche io entri a far parte della tua famiglia, chiamami. Sono in camera mia. È tutto pronto. Quando sarai preparata anche tu, cercami; partiremo insieme e io sarò l'uomo più felice del mondo''.
Senza neanche provare a restare un secondo di più, in caso lei volesse dirgli qualcosa, Ron decise di lasciarla da sola con i suoi pensieri, salì le scale, entrò in camera sua e si addormentò nello stesso istante in cui la sua schiena toccò la superficie del letto.

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Capitolo 3
*** Capitolo II - Venere ***


Lettura consigliata con: 21 Guns - Green Day
Ron non si svegliò prima di ora di cena. La rabbia, che lo aveva fatto addormentare, con la fine del sonno era improvvisamente scomparsa, come svanita nel nulla. Guardò fuori dalla finestra della sua stanza e non fu sorpreso di vedere all'orizzonte le ultime luci del sole che si spegnevano oltre le colline. Mentre scendeva le scale diretto di sotto, alle sue orecchie arrivò un rumore indistinto, continuo e fastidioso. Ron dedusse che in casa ci fosse qualcun altro, oltre a lui e Hermione.
Hermione... 
Era curioso di vedere la sua reazione alle parole del pomeriggio. Si disse che probabilmente avrebbe reagito come suo solito, tirando fuori le unghie da brava Grifondoro quale fosse. Intento in ragionamenti si ritrovò, appena entrato in cucina, sommerso dall'abbraccio di Ginny. Non se l'aspettava, rimase sorpreso anche se ricambiò con grandissimo affetto. Era qualche giorno che non la vedeva, perché lei era stata impegnata ad Hogwarts, intenzionata a dare una mano dopo la battaglia. Anche lui ed Hermione avevano aiutato, ma dopo qualche giorno decisero di tornare alla Tana per un po' prima di partire di nuovo. Ron aveva specificato il motivo della partenza a tutti i membri della famiglia e a Harry. Avevano tutti constatato che quella di Ron fosse un'idea eccellente, soprattutto Harry che neanche chiese se poteva venire, sapeva che quella fosse una cosa che dovevano fare loro due e basta, e anche Molly, dopo un primo momento di titubanza, acconsentì abbastanza felice. 
Dopo aver salutato Ginny e Molly, occupata a preparare una cena abbondante, si diresse in salone, dove non fu sorpreso di trovare Harry a stretto colloquio con Kingsley.
''Allora ce l'hai fatta a svegliarti!'' esclamò Harry mentre si alzava dal divano e abbracciava energicamente il suo migliore amico. Ron gli diede qualche amichevole pacca sulla spalla, ma il suo umore cambiò repentinamente quando vide che oltre a Kingsley e Harry nel salotto non c'era nessuno.
''Cosa c'è che non va, amico?'' gli chiese Harry, che aveva ormai imparato a riconoscere gli stati d'animo di Ron in pochissimo tempo.
Ron era stupito. Era convinto di trovare Hermione, magari mentre parlava con Ginny o discuteva con Harry. Le sue labbra si contorsero e, quasi per miracolo, riuscirono a formulare la parola più importante che gli passasse per la testa in quel momento: ''Hermione''. Un ricordo balenò involontariamente nella mente di Harry, un Ron sdraiato sul lettino di una troppo familiare infermeria e un'espressione di meravigliosa felicità di Hermione. Cercò di togliersi dalla testa quel pensiero dicendo, rivolto a Ron: ''Stavo per chiederlo a te. Non dovevate stare insieme oggi?''. 
Il sangue di Ron si gelò. Non rispose subito e, per non si sa quale assurdo motivo, decise che non far preoccupare gli altri era di primaria importanza in quel caso: ''Oh si. Beh... credo che sia fuori, sai mi aveva detto che le sarebbe piaciuto uscire un po'. Ma si è fatto tardi, la cena è quasi pronta. Io... Io vado a chiamarla''.
Deglutì forte e uscì dalla porta che dava sul giardino senza aggiungere altro. Era preoccupato. Era tutta colpa sua. Che bisogno c'era di arrabbiarsi in quel modo? Avrebbe potuto dire la stessa cosa con tono diverso, con tono completamente diverso. Non poteva permettersi di perdere anche lei. Mentre ragionava freneticamente però, le sue gambe si muovevano e lo portarono, senza che se ne accorgesse, fuori dal cortile, verso il cielo che ormai tendeva all'oscurità. Tutte le volte che in seguito ripensò a quella situazione, Ron non capì mai il perché si diresse verso la cima della collina, verso il terreno di proprietà dei Weasley, che veniva utilizzato come campo da Quidditch. Salì la collinetta di corsa, superò il campo e, arrivato alla fine del sentiero, proprio sul punto più alto della collina, si fermò, col cuore che batteva a tremila e il fiatone prorompente.
Hermione era seduta a gambe incrociate sull'erba, dando le spalle al sentiero. L'unico rumore che si sentiva, oltre al fiatone di Ron che col tempo s'affievolì, erano i frequenti singhiozzi di lei. Una luna quasi piena le illuminava la pelle candida, facendola sembrare ancora più bella di quanto già non fosse. Ron restò per circa un minuto in silenzio, ad osservarla mentre l'anima di lei si contorceva su sé stessa. Nonostante stesse chiaramente piangendo, il suo profilo non si mosse, rimase fermo, immobile. Dopo poco, Ron non resistette e, facendo meno rumore possibile, si tolse le scarpe e si sedette alla destra di lei nella stessa posizione. Hermione voltò il viso lacrimante ma silenzioso verso di lui come per identificare chi fosse, ma dentro di sé sapeva benissimo che si trattasse si Ron. Lui non rispose allo sguardo, bensì iniziò a contemplare la volta che pian piano si riempiva di stelle con aria interessata. 
''Guarda - disse Ron, muovendo l'indice l'indice destro in modo circolare per evidenziare un'area del firmamento - quella è Perseo. Mi ricordo che all'esame dei G.U.F.O. di Astronomia mi suggeristi il nome perché proprio non me lo ricordavo''. E mentre ancora guardava il cielo fece scivolare la mano sinistra su quella desta di Hermione. Il pianto di lei cessò all'istante. Poi, guidato da un istinto superiore, riprese: ''E quello - indicò un punto luminoso (Hermione seguì con lo sguardo senza girare la testa) - é Giove. Secondo la Cooman il fatto che Giove e Perseo si trovino insieme nel cielo significa sicuramente la morte accidentale di qualcuno. Probabilmente di Harry''. 
Questa volta Hermione cedette. Sorrise amorosamente, cercando di soffocare la risata. Anche Ron rise, ma senza freni, e presto si trovò ridendo con la pancia sull'erba e la mano stretta a quella di Hermione.
Lei si asciugò le lacrime e si gettò a terra, sdraiata di fianco a Ron, sull'erba zuppa per l'umidità. 
''Ron...'' disse Hermione con voce debole, ma Ron si portò l'indice destro sulla bocca, per invitarla a tacere.
Guardò ancora il cielo e disse lentamente, indicando un altro pianeta: ''E quello è Venere''. Hermione lo guardò con un'espressione in parte annoiata e in parte divertita. Ron la ignorò e continuò ad indicare il pianeta, come se Hermione non avesse capito: ''Venere, Hermione, Venere. La dea dell'amore. E come per magia oggi, in questa splendida serata estiva, noi due, solo noi due, siamo qui a guardarla. Come facevamo a scuola. Lì era in maniera più distaccata, ora invece siamo qui, mano nella mano. E io ho un'immensa voglia di baciarti'' le disse a bassa voce, come se non volesse farsi sentire anche se oltre loro due non c'era nessuno. Il suo viso si sciolse in un sorriso pazzesco. Cercando di sembrare distaccata da ciò che lui le aveva appena detto, lei riprese: ''Ron, la scuola è passata. Prima invece...''. Lui la interruppe di nuovo. E con fare ironicamente supponente aggiunse alle parole di lei: ''Anche prima è passato. Come è passata la scuola. È tutto finito. Guarda che strano però. Noi due invece siamo ancora qua! Noti la differenza?''. 
Dopo queste parole, Hermione si avvicinò in una frazione di secondo a Ron e lo baciò come non lo aveva mai baciato prima. Ron la strinse forte a sé e rispose violentemente al bacio. Non c'era bisogno, si disse, di rimarcare ciò che le aveva detto nel pomeriggio. Aveva capito da sola. Adesso non importava più nulla, c'erano solo loro due, uniti in un'unica persona che si rigirava e rotolava felicemente sull'erba. Anzi, non erano loro due. Il soggetto in quel caso era soltanto uno: l'amore. Ma Hermione, anche in seguito, riuscì a capire solo di sfuggita quello che succedeva realmente. Era andata oltre il bacio con l'uomo che amava. Era felice. Ed era l'unica cosa che contava.

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Capitolo 4
*** Capitolo III - Paura del buio ***


Lettura consigliata con: Down by the River - Milky Chance
La mattina successiva Hermione si svegliò di buon umore, col sorriso stampato in viso. Probabilmente era dalla sera prima che manteneva la stessa espressione contenta. Uscì dalla stanza di Ginny, che da qualche giorno occupava da sola, e scese in cucina. Il sole era già alto nel cielo, la luce filtrata dalle tende illuminava solo parte della casa. 
La Tana sembrava deserta, non c'erano rumori e voci, e tutto ciò poteva soltanto farle piacere. Pensava di dover subire una sgridata peggiore di quella della sera, quando lei e Ron erano tornati troppo tardi, bagnati fradici e con la cena fredda; ma con un sorriso da far invidia al mondo intero. Il resto degli invitati a cena aveva evitato di fare domande, anche perché dalle loro espressioni si capiva che le attenzioni non fossero rivolte alle altre persone presenti. Perfino Harry, che in condizioni normali avrebbe chiesto ciò che era successo, si convinse a stare zitto e ad evitare di approfondire, anche perché dall'occhiata di Ron, che appena tornati aveva subito cercato il suo sguardo, capì al volo che ci sarebbe stato ampio margine per comprendere anche senza spiegazione. Per il resto della serata Ron si sedette vicino a lui, e anche se cercava di non farlo capire, si vedeva ad occhio che la sua mente spaziasse in una fantasia che probabilmente aveva appena assaporato. Harry fu felicissimo di questo. Dopo cena tutti gli ospiti avevano salutato e in casa, per dormire, erano rimasti solo Arthur, Molly, Ron e Hermione. I signori Weasley però, come nell'ultimo periodo, uscivano molto presto alla mattina, diretti al ministero e ad Hogwarts, lasciando campo libero a Ron e Hermione per i loro progetti. 
Hermione si diresse in salotto, dove trovò Ron seduto sul divano con un grosso libro in mano e il famoso orologio della famiglia Weasley di fianco. 
''Cosa stai facendo?'' gli chiese con voce assonnata.
''Sto studiando - e girò la copertina del libro in modo da farle leggere il titolo (Atlante Magico) - e ho scoperto che nonostante l'Australia sia un paese enorme le città e le strade non sono molte, il che é una buona cosa. Se non dovessimo trovare i tuoi genitori ad Adelaide io dico di cercarli prima nelle città più grandi, Sydney e Melport''. Con l'ultima parola però, l'aria di saggezza che aveva fatto trapelare fino ad allora svanì in un istante.
Hermione rise, divertita: ''Melbourne! Non Melport, Melbourne!'' e Ron, sorpreso, cominciò a girare le pagine in cerca dell'incompresa città, mentre un largo sorriso si stampava sul suo viso. 
Hermione si sedette spostando l'orologio, e Ron improvvisamente, come se si fosse ricordato al momento, le disse: ''Ah, Hermione, devi darmi una mano con quello. Sto cercando un incantesimo per far sì che venga aggiunto anche il tuo nome, ma credo che funzioni solo con i membri della famiglia...''. Ed Hermione, che aveva la risposta pronta probabilmente da mesi, aggiunse con tono superiore: ''Allora preparo la colazione e ci sposiamo'' e, con il sorriso ancora sulle labbra, si voltò diretta in cucina. Ron rimase a bocca aperta per parecchi secondi.
La mattinata passò veloce mentre gli ultimi dettagli del viaggio venivano definiti. La tenda di Bill, il vecchio coltello di Sirius e una buona quantità di libri e vestiti invernali erano stati infilati nella borsa a perline già dai giorni precedenti, ma comunque Hermione decise che dare una controllata ulteriore non sarebbe stato dannoso. L'unico aspetto che ancora non era stato affrontato era la data della partenza, anche se entrambi pensavano che non dovesse essere rimandata oltre. Sembrava che sapessero, anche senza parlarne, che avrebbero dovuto lasciare la Tana l'indomani, molto presto, perché in Australia sarebbe stato già giorno inoltrato. 
''Stasera scommetto che mamma farà una cena di buon augurio se glielo dicessimo , ma non voglio che si stanchi troppo. Si sta dando molto da fare ad Hogwarts e non voglio darle altre preoccupazioni'' disse Ron ad Hermione mentre si rilassavano all'ombra di un faggio fuori dal cortile. 
''Infatti sarà una cena normale - rispose tranquilla lei - e alla fine diremo che partiremo domani. Non credo sia difficile'' e rivolse un'occhiata affettuosa a Ron, che la strinse a sé. 
Alla sera, la predizione di Hermione si avverò. Dopo aver mangiato (a cena erano presenti anche Molly, Arthur, Harry, Ginny, George e Percy) infatti Ron comunicò alla tavolata che l'indomani lui e Hermione sarebbero partiti e subito all'indirizzo di Hermione arrivarono tantissimi auguri e parole di buon auspicio da parte di tutti. Lei si sentì molto confortata, e stra-contenta di avere Ron al suo fianco in quell'impresa. Molly si dispiacque di non aver preparato qualcosa di speciale per l'occasione (nonostante le costolette di maiale bastassero per un esercito), ma Ron le consigliò che si sarebbe potuta sbizzarrire quanto volesse per la cena di ritorno, con due persone in più e sicuramente anche più sorrisi. 
Finito di cenare, Harry, Ron e Hermione si sedettero in giardino su delle vecchie sedie di legno, e il discorso non poteva che cadere sui progetti una volta arrivati in Australia.
''Avete un piano preciso?'' chiese subito Harry incuriosito.
Hermione scambiò un'occhiata divertita con Ron e poi rispose serena: ''Si e no. Abbiamo dei punti di partenza, ma credo che a volte dovremo improvvisare, soprattutto se qualcosa non va come crediamo debba andare''. 
Alla parola 'improvvisare' Ron si chiuse in un'espressione cupa. Harry e Hermione si guardarono, in parte stupiti. 
Ron aveva gli occhi rossi quando iniziò a parlare, singhiozzando: ''Era... lo diceva sempre... lui... Fred... improvvisare è il mio piano preferito... lo diceva sempre...''.
Harry, che sedeva alla sua destra, e Hermione, alla sua sinistra, lo abbracciarono e l'abbraccio si saldò, perché il loro legame era stretto, unito, forte. Fu Harry il primo a parlare, mentre Ron smetteva di lacrimare: ''Ragazzi... io posso solo dirvi in bocca al lupo. E speriamo di rivederci presto, già domani sera. Vi prego, ho bisogno di voi. E, mi raccomando, - disse rivolto a Ron, che rise quando gli occhi verdi incontrarono quelli azzurri, e poi indicò Hermione - ascoltala e non lasciarla mai. Avete bisogno l'uno dell'altra''. Ron e Hermione capirono molto tempo dopo che quella iniezione di fiducia era stata fondamentale.
Harry li salutò affettuosamente, così come Ginny e Percy. George, invece, che era visibilmente ancora scosso dalla morte del gemello, si limitò ad un abbraccio per entrambi e a poche emblematiche parole: ''Cercate di trovarli, perché tutti noi ne abbiamo bisogno. Questa famiglia se lo merita. Voi ve lo meritate. In bocca al lupo''. Disse tutto con un sorriso forzato, ma incredibilmente sincero. Per Ron, quello di George era l'augurio più bello. Molly ed Arthur li avrebbero salutati la mattina dopo, prima di lasciare la Tana. ''Ci vediamo presto'' concluse Harry prima di uscire con Ginny, diretto a Hogwarts. Percy e George sarebbero rimasti a dormire, ma stanchi com'erano decisero di non alzarsi per i saluti la mattina seguente. Ron e Hermione andarono a dormire contenti.
Erano felici di partire insieme. Era un meraviglioso viaggio d'amore. Ron pensò a fondo a tutto questo mentre era steso sul letto, con la mente sveglissima e tutto d'un tratto un'idea particolare balenò gli balenò in testa. Si alzò e si diresse verso la camera di Ginny, nella quale dormiva Hermione. Neanche lei stava dormendo, ma sobbalzò quando Ron entrò nella stanza. Effettivamente poteva anche essere qualcun altro, o lei poteva ritrovarsi in condizioni fisiche poco decenti, nonostante l'idea la stuzzicò ironicamente. E poi che cosa voleva Ron a quell'ora della notte? Se voleva ripetere ciò che era successo la sera prima, pensò lei, si sbagliava di grosso, non era né il luogo, né la situazione, né della condizione mentale giusta.
''Ron che ci fai qui?'' disse con voce roca, falsamente assonnata. 
''Ti va se dormiamo insieme?''.
Ron l'aveva buttata lì, senza girarci troppo intorno. 
''Cos... si, ma... perché?'' chiese lei.
''Non c'é un perché. Volevo solo stare con te. Ma se non vuoi, non ti preoccupare, esco''. Questa volta il tono della voce era basso perché quasi sottomesso. 
''Non fare lo scemo dai. Vieni, su''
Ron agitò la bacchetta e spostò il letto in cui dormiva Ginny quando lei e Hermione dividevano la stanza verso l'altro, finché si unirono a formare un letto a due piazze. 
''Sai che dormiremo così quando saremo in Australia sai?'' esordì Ron.
''Lo immaginavo. Ora però dormiamo, Ron, o domani faremo una fatica immane ad alzarci''.
Ron si rigirò nelle coperte, un po' deluso. Ma anche se era stata Hermione a scongiurare qualsiasi altra possibilità quella sera, fu la mano di lei che cercò quella di Ron per prima. Quando Ron la sentì, lasciò passare qualsiasi altro pensiero. Perché se Hermione aveva cercato la sua mano al buio, voleva dire che avrebbe cercato Ron anche quando l'oscurità si impadroniva di cose più grandi del cielo notturno.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV - All'altro capo del mondo ***


Lettura consigliata con: Fireflies - Owl City
Fu un rumore improvviso a svegliare Ron, poche ore dopo. Aprì lentamente gli occhi, e nella penombra vide che Hermione era già in piedi, vestita e pettinata. 
La faccia di lei era divertita: ''Scusa Ron, mi dimentico sempre che l'anta dell'armadio sbatte quando la si chiude. Mi dispiace di averti svegliato, ma comunque ti avrei chiamato tra qualche minuto'' disse a voce bassa mentre usciva silenziosamente dalla stanza. Faceva un caldo tremendo, una tenera luce entrava dalla finestra alla sinistra di Ron.
Con gli occhi ancora socchiusi, tornò in camera sua, si vestì e scese in cucina, dove trovò Hermione e i suoi genitori ad aspettarlo sul tavolo, la colazione già pronta. 
''Mangia Ron - esordì Molly - sono sicura che laggiù rimpiangerai questa cucina''.
Ron rispose mentre addentava con ferocia un panino al prosciutto: ''Mamma, ho passato praticamente tutto l'anno senza mangiare. Ormai ci ho fatto l'abitudine''. Hermione notò però dal suo sguardo che avrebbe mangiato anche i piatti.
Al secondo canto del gallo, quando avevano finito di sparecchiare (Ron era arrabbiato perché Molly non aveva voluto che usassero la magia), il sole era già sorto da un pezzo e Hermione aveva iniziato a mordersi le unghie per l'agitazione. 
Contro la voglia di sedersi sul divano e di restarci, fu Ron a dire: ''E' ora, andiamo''. Hermione lo guardò e annuì; Molly ed Arthur, che erano rimasti in cucina, accorsero qualche secondo dopo. Abbracciarono prima Ron, poi, ancor con più tenerezza, Hermione, alla quale si stavano affezionando davvero come una di famiglia. ''Ci vediamo presto'' disse Arthur prima che Hermione afferrasse Ron per la mano. L'immagine del salotto della Tana svanì e, dopo un istante, il vortice di buio che li aveva assorbiti li abbandonò. 
La prima sensazione che provò Ron, forse perché era vestito con abiti pesanti su suggerimento di Hermione, fu che non faceva freddo come pensava. Nonostante fosse inverno, la temperatura non era rigida, anzi, si stava bene anche con maglietta e cappotto. Si trovavano in un vicolo che dava su una strada trafficata, e alle loro spalle si sentiva prepotentemente il rumore del mare.
''Dove siamo?'' chiese Ron a Hermione.
''Ad Adelaide'' rispose lei sorridendo.
''Falla finita''.
Hermione continuò a ridacchiare: ''Siamo a North Haven, che è il quartiere all'estremo nord-ovest dell'area metropolitana di Adelaide. Ho pensato che per non fare confusione ci convenga partire da nord per poi scendere''
''E come al solito questa è un'ottima idea'' disse subito Ron. Hermione era visibilmente compiaciuta. 
Come si erano accordati, cercarono un ufficio postale per chiedere informazioni su tutti gli studi dentistici della città.
''Dovremmo pur partire da qualcosa no?'' continuava a ripetere Hermione.
Dopo circa mezz'ora di girovagare, trovarono un ufficio postale. Il luogo era piccolo, sporco e poco illuminato. 
Entrarono speranzosi, ma il fatto che fossero i soli clienti smorzò notevolmente le loro speranze. Al banco c'era una ragazza (che a Hermione ricordò spiacevolmente la cameriera del Caffé di Tottenham Court Road incontrata quasi un anno prima) occupata a limarsi le unghie mentre masticava una gomma americana grossa come una pallina da ping pong. 
Sembrò che non si accorse della loro presenza prima che Ron si schiarì la voce per attirare l'attenzione. 
''Scusi - disse deciso - mi sa dire gli indirizzi degli studi dentistici qui in città?''.
La ragazza lo guardò svogliata: ''Solo zona''. Sembrava che parlare le facesse fatica. 
''Meglio di niente'' commentò Hermione.
La ragazza le consegnò una cartina della città e iniziò a recitare a filastrocca i nomi degli studi dentistici e delle vie in cui si trovavano. Hermione scrisse tutto su una zona bianca della mappa. 
''Beh... grazie'' disse Ron quando smise di parlare. 
Hermione si infilò la cartina in borsa e invitò Ron ad uscire. Avevano appena varcato la soglia dell'ufficio quando la ragazza li richiamò, sempre con lo stesso tono: ''Ehi. La mappa''.
''Si?'' fece Hermione, sorpresa.
''Due dollari''. 
Ron trasformò velocemente la risata in una botta di tosse mentre Hermione si avvicinava al banco per pagare. 
Una volta fuori Ron poté lasciarsi andare.
''Dai smettila'' lo rimproverò Hermione, che apriva la borsetta e consultava con calma la cartina. 
''Allora... - riprese lei - i dentisti fra North Haven, Largs Bay, Peterhead...''.
''Oh, parla comprensibile'' la interruppe Ron.
Hermione ricominciò, stavolta accigliata: ''I dentisti in questa zona sono quattro, ma nessuno studio ha un nome che riporti ai miei genitori... sarà comunque meglio controllare''.
Il primo e il secondo tentativo, però, non partirono affatto bene. In entrambi i casi, sull'insegna dello studio c'erano anche i nomi dei dottori che lo gestivano e, tutte e due le volte, non si trattava dei genitori di Hermione. 
Il terzo e il quarto tentativo, nonostante andarono male comunque, almeno non stroncarono subito le speranze. Ron e Hermione furono costretti ad entrare e a chiedere i nomi dei dottori al banco. Le impiegate però non avevano mai sentito parlare dei signori Wilkins. 
''Ci conviene cercare delle poste serie, questa volta. Andiamo in centro, lì troveremo l'elenco completo dei dentisti di tutta la città'' suggerì Ron. Hermione decise che fosse una buona idea. 
Era quasi buio quando si smaterializzarono in una stradina secondaria del centro città.
''Non ricordavo come materializzarsi senza Mantello fosse pericoloso'' fece Ron. ''Sinceramente - rispose Hermione - non me ne importa più di tanto''. Ron la guardò soddisfatto. Quella frase lo fece ripensare all'enorme cambiamento di Hermione da quando l'aveva conosciuta. Sorrise quando ripensò al troll di montagna, alla trasformazione in gatto per via della Pozione Polisucco e al ceffone su Malfoy, poi gli si contrasse l'anima pensando a McLaggen, a Bellatrix e al Ballo del Ceppo...
Era stato veramente stupido, si disse. Aveva ragione Hermione quando gli aveva fatto notare che per quattro anni non la aveva considerata come una ragazza. Era stato troppo ottuso, di vedute ristrette. Perché non poteva negare di aver provato una forte emozione quando l'aveva rivista dopo che Malfoy le aveva fatto crescere a dismisura i denti davanti. Quel nuovo meraviglioso sorriso ce l'aveva stampato in testa da quasi quattro anni. Mentre ragionava guardò la donna della sua vita, che camminava qualche passo avanti. Tutti quei ricordi gli avevano generato un sorriso involontario. Hermione si girò e lo guardò mentre lui rideva, con lo sguardo nel vuoto. 
''Che c'é?'' gli chiese. 
''Ti amo, Hermione''.
Lei, sorridendo sinceramente, gli corse incontro e lo baciò. Adorava queste uscite romantiche di Ron, apparentemente senza senso e motivo, ma con un significato nascosto, profondo, fantasticamente vero. 
La scena era molto curiosa. Entrambi si stavano baciando col sorriso sulle labbra, entrambi amavano cosa stavano facendo, entrambi ridevano pensando all'altro, ai sentimenti che provavano dentro, anche se non si fossero parlati. Giungevano alle stesse conclusioni passando però per vie diverse e contorte, vie che portavano alla loro conclusione alla felicità, propria e dell'altro. 
Forse quel bacio durò molto, o forse molto poco, ma l'importante era che mentre erano così, stretti l'uno all'altra, gli occhi chiusi e i cuori che battevano come se fosse uno solo, sia Hermione che Ron credevano che quella fosse la felicità. Essere felici voleva dire stare con le persone che si amano, che ti capiscono, che ti aiutano. 
Potevano trovarsi anche da soli, dall'altra parte del mondo, in ricerca di qualcosa difficile da trovare, ma in fondo c'era tutto quello che bastava. Per Ron c'era Hermione. Per Hermione, Ron. Non serviva niente di più. Non servivano amici, genitori, parenti; bastavano loro due. Tutto quello di cui avevano bisogno era lì, a pochi centimetri. Perché poteva succedere qualsiasi cosa, ma ognuno dei due, in quel momento, aveva un'ancora indistruttibile a cui attaccarsi. Per Hermione era Ron. Per Ron, Hermione. Per entrambi, il loro amore.

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Capitolo 6
*** Capitolo V - Non lasciarmi mai ***


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Non si può dire che la prima giornata di ricerche fu fruttuosa. Nonostante Ron e Hermione fossero riusciti a rimediare un elenco completo (o quasi, a causa della poca professionalità del personale postale) degli studi dentistici della città, i sopralluoghi su quest'ultimi non andarono a buon fine. Quando decisero di smettere e di rimandare al giorno dopo, avevano setacciato i dentisti di tutta la parte nord di Adelaide, da nord-ovest a nord-est. 
Avevano posizionato la tenda di Bill su una collina arida che dava sul mare, nella zona nord della città, e, dopo aver mangiato un panino in centro, decisero di tornare, anche perché cominciava a fare freddo con il calare della notte. Mentre Ron mostrava una faccia ancora abbastanza ottimista, Hermione si era chiusa in un silenzio pensieroso, affranto. 
Ron se ne accorse subito, ma fu indeciso sul da farsi. Andare a consolarla sarebbe stata la soluzione a lui più gradita, e forse anche la migliore, ma continuava a ripetersi che forse Hermione aveva bisogno di riflettere un po' da sola, con i suoi pensieri. Alla fine optò per un compromesso. 
Lei era seduta su uno sgabello vicino alla stufa che avevano appellato ad inizio serata, le braccia conserte, le gambe sul bordo della seggiola. Ron si inginocchiò di fianco e fece passare il braccio destro sulla sua spalla, in silenzio. Lei si acciambellò in modo che Ron potesse circondarla completamente con le braccia. 
''Non voglio dare fastidio'' le disse dolcemente.
Hermione parlò talmente piano che Ron dovette avvicinarsi ancora per sentire: ''Tu non disturbi mai''.
Ron la baciò, lei si lasciò andare ad un sorriso di felicità e si fece avvolgere leggermente. 
Non era mai stata tanto felice come in quest'ultimo periodo, si disse Hermione. 
In effetti, dalla fine della guerra. O forse, da quando era finalmente iniziato tutto con Ron. Era stanca di reprimere le emozioni, di limitarsi a battute simboliche, di tenersi tutto dentro. Ora Ron l'amava come lei aveva sempre amato lui, nonostante anche lei se ne fosse accorta obiettivamente tardi. Non poteva nascondere di aver provato una soddisfazione immensa quando, nel mezzo della battaglia di Hogwarts, Ron aveva risposto con tanto entusiasmo al suo bacio. Da allora neanche si erano parlati di questa relazione, era successo e basta, avevano capito che stare insieme era la soluzione. Da qualche giorno però, Hermione, ripensando a questo, non riusciva a non porsi una domanda che la affliggeva, alla quale cercare risposta avrebbe potuto significare una sconfitta emotiva: ''Se non fossi stata io a farmi avanti, cosa sarebbe successo? L'avrebbe fatto Ron, o non sarebbe accaduto nulla?''. Porsi questi interrogativi mentre lui le dimostrava tutto l'affetto del mondo, con baci, abbracci e una sconfinata passione, la fece per un attimo addirittura vergognare. Quando si furono separati, e Hermione era ad un bivio, se cercare la risposta a ciò che la tormentava o andare avanti senza danni, Ron, a sorpresa, l'anticipò.
''Che c'è amore? Devi dirmi qualcosa?''.
Hermione non riuscì a capire subito. Quasi balbettando gli chiese: ''Cosa? Come... come hai fatto?''. Cercò di ridere per farla sembrare una situazione ironica, ma nella sua testa non lo era affatto.
''Andiamo Hermione. Sono sette anni che ti conosco, riesco a capire quando stai pensando a qualcosa'' rispose Ron con tono sicuro. 
A quel punto lei si convinse. Restarono un po' in silenzio senza guardarsi, poi lei lo chiamò: ''Ron... devo... devo chiederti una cosa. È da un po' che ci penso e, ti prego, rispondimi sinceramente, perché mi sta facendo impazzire. Mi crederai una stupida, ma non ce la faccio più''. Hermione parlava con la voce di chi si sta liberando da un fardello opprimente. Ron era visibilmente preoccupato, ma decise di non interromperla. Se aveva cominciato con tanta difficoltà, tanto valeva farla finire.
''Mi chiedevo se... se non fossi stata io a baciarti... ad Hogwarts, no? L'avresti fatto tu al posto mio?''. Hermione aveva parlato quasi ad occhi chiusi, e quando li aprì guardò Ron con gli occhi cadenti. 
Ron era preparato da tempo ad una domanda del genere, ma non aveva mai trovato una risposta.
Esordì con una frase che neanche pensò, gli uscì quasi involontaria: ''Allora, Hermione, ti rispondo come se parlassi a me stesso''.
Lei parve leggermente rincuorata. 
A Ron venne in mente ciò che aveva pensato nel pomeriggio. In fondo si trattava solo di ripeterlo. Almeno in teoria.
''Primo, non ti considero affatto una stupida. Pensare a queste cose è solo segno di avere un'anima meravigliosa''. Lei abbozzò un sorriso che represse subito, era concentrata sul resto. 
''Hermione io ti amo alla follia. Da sempre; ti ho sempre amato, anche se una parte di me non lo accettava. Ho sempre provato una gelosia incredibile nei tuoi confronti, che ha fatto si che avessi discussioni con tante persone senza che loro ne sapessero il motivo. Se sono andato contro Krum, contro McLaggen e a volte addirittura contro Harry è perché nella mia testa si stava scatenando un uragano. Tutto perché la mia gelosia mi aveva portato ad odiare chiunque ti si avvicinasse, nonostante ero io il primo a non aver mai fatto sapere a nessuno ciò che provavo. A nessuno, Hermione, - sottolineò alzando la voce perché lei lo guardò scettica - neanche ad Harry. Lo so, sono stato uno stupido. Io, non tu. Avevo paura. Ecco, esatto, il punto era la paura. Avevo un timore incredibile di essere respinto, inadeguato. Temevo che se mi fossi fatto avanti e tu non mi avessi accettato, non saremmo più stati amici. E non potevo permettermi di stare lontano da te. Non puoi capire quanto fosse difficile. Stare giornate intere senza rivolgerti la parola, senza restare ammaliato da quanto sei bella. Quei periodi del secondo, del terzo e del sesto anno non li ho sopportati. Soprattutto il sesto anno, mi accorgevo di andare incontro al baratro ogni giorno che passavo con Lavanda. Ogni minuto che stavo con lei, era un minuto più lontano da te. E il bello è che c'era una parte di me che provava a convincermi che tutto quello fosse il giusto. Ero in conflitto con me stesso e con te. Cercavo di ottenere la felicità, ma fino a poco fa non mi ero ancora accorto di averla sempre avuta di fianco a me''.
Hermione aveva un'espressione indecifrabile, e Ron fu costretto a riprendere per rispondere letteralmente.
''Quindi si, Hermione. Ti avrei baciata. Ma forse non ad Hogwarts, con le zanne di Basilisco in mano e la battaglia che infuriava. Forse durante le ultime estati passate insieme... Forse quando siamo sfuggiti ai Dissennatori...''.
Poi si fermò, lo sguardo nel vuoto. Aveva trovato la risposta.
''Anzi, no. C'é un punto di questa storia in cui non desideravo altro che abbracciarti, baciarti e portarti via. Un punto cruciale della nostra storia. Sicuramente l'avrei fatto al Ballo del Ceppo. Eravamo abbastanza grandi per sostenere una storia, abbastanza maturi per comprenderci, con un sacco di tempo davanti. È in quell'occasione che il tuo sorriso lasciò un segno indelebile nel mio cuore, un sorriso che mi si presenta davanti ogni volta che sono in difficoltà, un toccasana che aiuta più di mille incantesimi''.
Hermione aveva ascoltato con crescente soddisfazione, gli occhi sull'orlo delle lacrime, lo sguardo fisso su Ron. Si baciarono ancora, e questa volta la mente di Hermione era vuota, non impegnata in lunghi ragionamenti. Ron aveva ragione, almeno in parte. Aveva ragione ad essere timoroso, a pensare troppo. Ma secondo lei, il loro legame era talmente stretto proprio perché si era consolidato col tempo. Era andata come doveva andare; se si fossero messi insieme prima probabilmente non sarebbero arrivati a questo punto. Non glielo disse, ma nel suo cuore lo sapeva. Andava bene così, andava più che bene così. E, sotto sotto, era contenta di aver sentito dire quelle cose da Ron. Lo sentiva, ma la prova la fece stare ancora meglio. 
Quando, dopo circa un'ora, Ron decise di andare a dormire, Hermione lo studiò. Nonostante la sera precedente avesse detto di voler passare le notti insieme, aveva diviso le due metà del letto, e si stava sistemando nella sua. Hermione aspettò, divertendosi, che finisse, prima di dire: ''Stanotte dormiamo insieme''. Gli occhi di Ron si illuminarono, la bocca formò un largo sorriso. 
''Ti adoro'' le disse.
Hermione unì i due letti, si svestì di spalle a Ron, mostrandogli volontariamente in alcuni momenti improvvise immagini toccanti, e poi, messo il pigiama, si stese di fianco a Ron. 
Ron spense le luci e, in quel preciso momento, la mano di Hermione toccò la sua.
''Non lasciarmi mai''.
''Non potrei. Un'altra come te non c'è al mondo''. Hermione si girò verso di lui. Ron la guardava appoggiandosi su un gomito, ridendo. 
Hermione respirò profondamente, lo prese per le braccia e lo portò verso di sé. 
Ron esitò, ma lei non se ne accorse neanche; continuò. E accadde ancora e ancora. Hermione era felice. Ron era felice. Sia lei che lui avevano chiuso gli occhi, senza pensare più.

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Capitolo 7
*** Capitolo VI - L'ombra ***


Lettura consigliata con: Boulevard of Broken Dreams - Green Day
Fu Ron, stranamente, il primo ad alzarsi il giorno dopo. Non fu sorpreso di ritrovarsi sudato e col cuore che batteva a duemila, nonostante arrivasse da fuori una fredda brezza marina. Hermione era profondamente addormentata alla sua destra, un leggero sorriso sulle labbra. Si vestì in silenzio e uscì dalla tenda. Il sole era già alto, ma effettivamente, si disse, la sera prima non erano andati a dormire presto. Il fuso orario, inoltre, ci aveva messo del suo. Dopo qualche minuto seduto sull'erba bagnata dalla rugiada, un improvviso senso di fame si impadronì di lui, ma lo represse controvoglia: Hermione desiderava andare a fare colazione fuori, in città. 
Tornò dentro e, confortato dal calore della stufa, iniziò a rimuginare su quello che era accaduto la sera prima. Non era totalmente sicuro che ripensarci gli avrebbe fatto piacere; una parte di lui voleva mantenere lo stato quasi astratto con cui era nato, ma estasiato dalle forti emozioni che quello gli aveva portato, chiuse gli occhi ed iniziò a viaggiare nei ricordi. 
Tutto era vaporoso, ma anche limpido e chiaro. Ad accompagnare le immagini c'erano anche i sentimenti che aveva provato in quel momento, e Ron fu sorpreso nel riviverli come se fossero allora attuali. Quasi non ci credeva.
Era talmente immerso nei suoi pensieri che quando una mano gli toccò la spalla da dietro, quasi si spaventò. 
''Oh, Hermione, sei tu. Mi hai fatto prendere un colpo'' disse, prima di alzarsi e di abbracciarla. 
''Beh, chi credevi che fosse?'' rispose lei sarcastica.
Ron la guardò quasi a giustificarsi: ''Nessuno, nessuno... avevo la testa altrove, tutto lì...''. 
Dall'occhiata divertita di lei, Ron capì che non era difficile intuire a cosa stesse pensando. 
Dopo che anche Hermione si vestì, i due si smaterializzarono in città, in un vicolo scuro della zona di West Lakes, ad ovest del centro, verso l'Oceano.
''Cerchiamo un posto dove mangiare qualcosa e poi cominciamo subito a cercare'' propose Ron. Hermione annuì. 
A mattinata inoltrata, con gli stomachi relativamente pieni e una bella giornata di sole a dare man forte, Ron e Hermione iniziarono la ricerca ottimisti. Camminando per le strade, entrambi notarono un paio di volte delle persone con un'abbigliamento... stravagante. Indubbiamente maghi. 
''Potremmo chiedere a loro. Magari tra maghi si conoscono'' disse Ron, ma dalla faccia di Hermione capì di aver detto una cosa completamente insensata: ''Ron i miei genitori sono Babbani, quante volte devo dirtelo!''. Ron ci chiese come mai fosse tanto stupido, a volte. 
''Senti una cosa, Hermione. Quando ritroveremo i tuoi, sai già che incantesimo eseguire per rimuovere quello che hai usato?'' chiese per cambiare discorso velocemente. 
Lei rispose senza smettere di guardare la cartina: ''In teoria si, so la formula, ma non ho mai provato ad eseguire l'incantesimo. Anche se non credo che ci saranno problemi, ho già fatto un incantesimo di memoria, che su per giù è simile''. 
Hermione era frenetica, pensava che riuscire a ritrovare due persone in un'area di milioni di abitanti non fosse poi tanto difficile; infatti era visibilmente delusa quando, al decimo studio visitato, ancora non avevano trovato neanche l'ombra dei signori Wilkins. Ron, mantenendo l'aria divertente che lo contraddistingueva, cercava di consolarla dopo ogni tentativo a vuoto, ma spesso Hermione non ne aveva neanche bisogno. 
Quando, in ogni studio, chiedeva al banco delle segretarie il nome dei dottori, e queste non le rispondevano col nome che lei voleva sentire, usciva di corsa senza salutare, pronta a dirigersi verso il successivo dentista. La sua espressione era quella di una che voleva ottenere qualcosa ad ogni costo, che quando non otteneva il risultato che sperava, passava senza troppi convenevoli alle altre possibilità.
Ron era costretto ad andarle dietro, nonostante lei neanche a volte neanche parlasse. Girarono in lungo e in largo la città, e Ron si accorse che stavano sempre più avvicinandosi al centro dal tipo di abitazioni e di gente che vedeva. Le strade larghe lasciarono presto spazio a viottoli ad una corsia, le fabbriche e le industrie a carine villette a schiera. 
Verso le tre di pomeriggio, Ron prese per un braccio una furiosa Hermione mentre uscivano dall'ennesimo studio:
''Ehi, Hermione! Ferma un attimo!''. Lei si girò, sembrava che si fosse quasi scordata di lui.
''Lasciami Ron! Dobbiamo andare al prossimo, è nella seconda a destra su questo viale... lasciami!''. Ron non parlò subito, aspettò che si calmasse prima di parlare: ''Hermione sono le tre passate. Calmati, andiamo a mangiare ora, riprendiamo dopo''.
Lei lo guardò con una faccia strana, che non le apparteneva: ''Ron non ho fame! Non voglio andare a mangiare e fermarmi e adesso vieni, dobbiamo andare''. Aveva il fiatone, era quasi sudata per l'agitazione, si mordeva le unghie da qualche ora ormai. 
''Hermione ma ti senti? Cavolo, sembri me, che quando portavo il medaglione di Serpeverde al collo diventavo un'altra persona. Non ti ho mai visto così, agitata e arrabbiata in questo modo, tu dovresti essere la parte ragionevole, non quella frenetica ed impulsiva. Cosa è successo stamattina, ti hanno messo qualcosa nel caffè? Ti prego dimmi che è uno scherzo, perché non ce la faccio a vederti così!''.
Ron aveva parlato tenendola leggermente per il braccio, con gli occhi fissi sui suoi, la voce bassa quasi un sussurro. Lei parve tornare improvvisamente in sé; le considerazioni sul piano personale dovevano aver fatto centro. La voce tornò quella di sempre, lo sguardo innocuo e il viso leggero.
''Io... scusa'' disse, poi si staccò da Ron e restando ferma dov'era abbassò la testa sulle ginocchia ed iniziò a piangere silenziosamente. 
''Hermione...'' le guance di Ron erano improvvisamente diventate di un rosso acceso.
Si abbassò per abbracciarla, ma lei lo scostò.
''Ron, vattene. Ti prego lasciami in pace, per come sto adesso rischi solo di beccarti un ceffone'' disse fra i singhiozzi.
A Ron vennero in mente parole che non avrebbe mai sognato di dire: ''Sono pronto a correre il rischio. Capire quello che provi penso che valga un naso rotto''. 
Lei rimase in silenzio per almeno un minuto, poi, con il viso ancora bagnato dalle lacrime, si alzò e abbracciò Ron. 
Ron aspettò che smettesse di piangere prima di parlare: ''Cosa è successo, amore?''. 
Lei levò la testa dalla sua spalla e lo guardò mentre ancora erano stretti fra loro. Gli occhi erano rossi e fantasticamente sinceri. Ron non poté non pensare a quanto gli piacesse. 
''Non lo so, Ron, non lo so. Non so niente, non riesco a capire, e per fortuna che ci sei tu o non mi sarei accorta di niente... Non so cosa mi sia preso, non so cosa ho fatto, non ricordo niente. Ti prego - riprese a lacrimare - scusami, scusami, scusami''
Ron capì che era in conflitto interiore, decise di tacere per sentire in caso avesse voluto finire di sfogarsi. Infatti, poco dopo, lei riprese: ''Grazie. Grazie di esserci. Per fortuna sei ancora qui, dopo quello che ti ho detto. Grazie. Non so davvero come ringraziarti. E scusa ancora, veramente non so cosa mi sia preso; sembra che essendo così abituata a riuscire in tutto quando non concludo quello che sto facendo impazzisco, faccio del male a me stessa e a chi mi sta intorno... anche a coloro che amo'' guardò Ron innamorata, come se volesse scusarsi anche con gli occhi.
Ron la strinse, la baciò quasi zittendola. 
Tutti e due, praticamente in contemporanea, fecero un grosso respiro di sollievo.
''Andiamo a mangiare, ne hai bisogno'' disse Ron qualche minuto dopo. Hermione non rispose neanche, si limitò a mantenere stretta la mano sinistra di Ron nella sua. 
''Per fortuna che ci sei'' disse Hermione debolmente mentre camminavano. 
Ron fece dondolare la sua mano dolcemente più e più volte, poi rispose: ''Sono qui apposta, amore. Se siamo partiti in due per questo viaggio è proprio per aiutarci. Tu mi hai aiutato con gli Horcrux, oh si che mi hai aiutato, - aggiunse perché lei non sembrava convinta - e adesso tocca a me ricambiare''.
''Ma io non ho fatto così, non ti ho preso da parte, non mi sono messa ad ascoltare qualunque cosa avessi da dire, ad aiutarti nel liberarti da ogni peso che avevi. Io sono stata distaccata da te quando sei tornato, faceva male ma ho sentito che dovevo fare così... non mi capisco, non riesco ancora a capire il perché''. Per la prima volta, forse si sentì inferiore in tutto rispetto a Ron. Lui l'aveva aspettata, compresa, aiutata. Lei no. Non riusciva a sopportarlo. 
''Hermione io me lo meritavo!'' urlò Ron.
''Me lo meritavo, perché vi avevo abbandonato in una missione impossibile, avevo abbandonato il mio migliore amico, il mio grande amore. Quello meritava abbandono. Tu no! Tu sei la creatura più bella del cielo. Tu sei sempre stata al mio fianco. Tu sei rimasta. E chi resta non merita di stare da solo. Se cerchi un uomo che si arrabbia perché la sua ragazza prova delle emozioni, allora cambiami, non faccio per te. Ma io non ti lascerò Hermione. Neanche quando mi lascerai tu''.
Entrarono in un piccolo pub, Hermione con una voglia matta di costringere Ron a sposarla all'istante, davanti ai boccali di birra che si dirigevano spumosi verso i tavoli di legno.

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Capitolo 8
*** Capitolo VII - Anche l'oscurità ama ***


Lettura consigliata con: The Path to Heaven - Avatar Soundtrack
Hermione dovette constatare che Ron aveva ragione. Un paio di fette di carne dopo, si accorse che aveva davvero fame e la cosa bella era come neanche se ne fosse accorta prima di assaporare il primo boccone. 
Ron era rimasto seduto ad osservarla mentre parlava quasi da sola, discorsi che spaziavano dalla scuola ai vestiti agli elfi domestici. Sembrava che la fame le avesse tolto il blocco che le impediva di parlare, e di conseguenza, per oltre un'ora, non si sentì altro che la sua voce. Ron era contento di vederla col sorriso, perché le parole di poco prima lo avevano davvero fatto spaventare.
Uscirono dal locale mentre il sole si avviava già verso l'orizzonte. 
Ron, che aveva preso la cartina dalla borsa di Hermione, si diresse con lei al seguito verso lo studio più vicino. Tanto per cambiare, i genitori di Hermione non erano i dottori che lo gestivano. 
''Questo era l'ultimo della zona centrale... speriamo che scendendo ci dica meglio'' disse lei. 
Avevano anche provato a chiedere se, per caso, le segretarie conoscessero lo studio dei signori Wilkins, e ad un secco 'Non ce ne importa nulla' da parte loro, seguì un sonoro insulto da parte di Ron. 
''Secondo me dovremmo cercare metodi alternativi, Hermione. Questo è un buon metodo, di gran lunga il più diretto, ma finora non ha portato a grossi risultati'' suggerì Ron a Hermione appena dopo essersi smaterializzati in una stradina del quartiere di Keswick. 
''Inventati qualcosa allora'' rispose lei facendogli l'occhiolino. Ron da allora cercò di farsi venire un'idea, inizialmente senza troppo successo. Girarono per tutto il pomeriggio senza avvenimenti degni di nota; e mentre il numero di dentisti ancora da controllare diminuiva drasticamente ogni ora, l'ansia di Hermione cominciò ad aumentare a vista d'occhio. 
Camminava tenendo gli occhi fissi sulla mappa, una mano intenta a reggerla e l'altra portata alla bocca, con la quale si mordeva le unghie in continuazione. 
Quando, con il cielo ormai buio, mancavano solo tre studi da controllare, Ron chiese: ''Hermione ma può darsi che i tuoi si siano sistemati fuori città, magari in paesi più piccoli?''.
Lei rispose senza smettere di camminare: ''Oh, non credo. Primo perché, come hai detto tu, l'Australia è un paese grande ma con poche città. Per fare buoni affari conviene sistemare le proprie attività nei posti più abitati. E secondo poi perché i miei genitori stessi mi dicevano che difficilmente avrebbero sopportato di vivere in villaggi o in piccoli paesi... Sai a loro piace la... comodità...''. Mentre diceva l'ultima frase le uscì una smorfia involontaria.
Il terzultimo studio non si rivelò il posto giusto. Gli occhi di Hermione iniziarono a tingersi di rosso.
''Fa che sia la volta buona, ti prego...'' pensò Ron alzando gli occhi al cielo, prima di entrare dal penultimo dentista.
Hermione strinse forte la sua mano. Ron non parlò, ma non la lasciò andare. 
''Mi scusi - chiese Hermione ad una delle segretarie, che la guardò in silenzio - per caso qui lavora il dottore o la dottoressa Wilkins?''
''No. Mi dispiace. Non lavorano qui''.
Hermione levò le mani dal banco e, respingendo le lacrime, uscì di corsa lasciando Ron spiazzato.
Lui le corse dietro, ma lei si stava già dirigendo verso l'ultimo studio, le lacrime che colavano dalle guance perfette. 
Hermione girò a destra, e poi, dopo qualche centinaio di metri, a sinistra. 
Ron la raggiunse col fiatone, lei lo prese per il braccio e si fermò improvvisamente.
''Ron vai tu'' disse singhiozzando.
Lui decise che era meglio non controbattere. 
La prese per la mano ed entrò in un palazzo all'angolo fra due strade, al secondo piano del quale si trovava l'ultimo studio. Salirono le scale in silenzio, lei con le mani davanti al volto. Erano entrati in una minuscola stanza praticamente non arredata, un'anticamera prima dello studio vero e proprio. Oltre a loro c'era un ragazzo in camice, che leggeva una rivista seduto su una vecchia sedia di legno. 
''Scusi'' esordì Ron. Hermione lo teneva per mano senza guardare. 
Il ragazzo alzò gli occhi dalla rivista con espressione indecifrabile: ''Si?''.
Ron non voleva arrivare subito al dunque, ma la voglia di farla finita presto ebbe la meglio: ''Lavorano qui i dottori Wilkins?''.
''Non credo proprio''.
Gli occhi di Ron si immobilizzarono, la mano di Hermione strinse la sua ancora più forte. Si girarono in silenzio, senza neanche salutare, scesero le scale ed uscirono all'aria, che ora sembrava molto più fredda.
Hermione guardava avanti a sé, con gli occhi rossissimi, ma non piangeva. Ron era dispiaciuto, privo di ogni forza. Quasi non poteva crederci. Camminarono mano nella mano per oltre un quarto d'ora, finché si ritrovarono con i piedi nella sabbia, a contemplare il nero mare che si univa col cielo in un punto indefinito. 
Hermione si sedette sulla spiaggia, il viso completamente sconvolto, il respiro affannoso. Ron si mise vicino a lei, che subito appoggiò la testa sulla sua spalla e cinse entrambe le braccia sul fianco opposto di Ron. Lui passò il braccio sinistro oltre la spalla destra di Hermione. Lei si calmò, il respiro tornò normale. 
Ron faceva ragionare freneticamente la mente, ma senza logica.
''Quanto ancora deve soffrire? Non è bastato? Non è bastato tutto ciò che ha provato, quello che ha subito e pensato? Quanto dovrò ancora vederla con le lacrime agli occhi e il cuore a pezzi, senza il suo pazzesco sorriso?''. Era arrabbiato, quasi furioso. Voleva partire subito, fare tutto quello che gli passava per la testa, andare a suonare ad ogni campanello della città. Poi una considerazione balenò autonoma nel cervello. Se lui si sentiva così, in che condizioni era Hermione?
La strinse forte e disse lentamente: ''Hermione... non preoccuparti. Non... non è successo niente. Li troveremo, te lo assicuro, te l'ho promesso''. Non riuscì ad aggiungere altro, e non si aspettava assolutamente una risposta dopo pochissimo tempo: ''Lo so, Ron. Li troveremo, ma non ce la faccio più. Sono stanca, devo fermarmi, pensare. È troppo tempo che non ci riesco. Basta. Non ce la faccio più...''. Faceva fatica a mettere due parole in fila, dal tono con cui queste uscivano.
''Hermione, è normale! È un anno che sei sottoposta a sforzi disumani, un anno che non vedi i tuoi genitori, troppo tempo dall'ultima volta che qualcuno abbia pensato a te! Io non riuscirò mai a spiegare a parole quanto sei straordinaria. In tutto. Una mente fuori dal comune, un coraggio fuori dal comune. Una bellezza da far star male. È normale sentirsi a disagio, sentire di non riuscire in nulla, perché la vita, fino ad oggi, ti ha tolto tanto''. Ron aveva parlato con tono di chi la sapeva lunga, Hermione non gli aveva tolto un istante gli occhi di dosso. 
''Però sai cosa penso? Che tutte le cose del mondo provano amore. Perfino per le persone più malvagie, a volte, si prova pietà. La vita è così, toglie, toglie, toglie, ma alla fine ti rende il doppio delle soddisfazioni e dei dolori che ti ha portato via. E per una come te, l'anima più pura dell'universo, questo momento non deve essere lontano. Ne sono sicuro'' riprese Ron, con una voce progressivamente più lenta e dolce.
Non riusciva a spiegare ciò che provava davvero, quelle parole non gli sembravano abbastanza. Hermione lo abbracciò e lo baciò, proprio mentre una fredda folata di vento arrivava dal mare nero. Per lei quelle parole erano importantissime. Era la differenza fra cercare un ago in un pagliaio senza nessun aiuto e farlo sapendo che comunque, alla fine, si riuscirà nell'intento. Al di là di quello che avevano già fatto, Hermione capì che Ron voleva spingerla verso una cosa che avrebbe comunque dovuto fare, un aiuto non necessario, ma fondamentale. E poi, con un po' di ritardo, capì la metafora (che non era uno degli intercalari più comuni di Ron, doveva ammetterlo). Se perfino l'oscurità prova pietà per le stelle, lasciando risplendere la loro bellezza mentre il buio domina, come fa la vita a voler male alle persone buone, con coraggio e volontà? Non faceva troppa differenza al fine della ricerca, ma Hermione era convinta che senza quelle parole, difficilmente avrebbe potuto perfino rialzarsi dal bollente abbraccio di Ron, che mitigava la sabbia gelata sotto di loro.

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII - Una cieca intraprendenza ***


Lettura consigliata con: I Bet my Life - Imagine Dragons
Ron passò la nottata pensando. Cercava di escogitare un modo alternativo, un'idea geniale che avrebbe risolto magicamente la situazione. 
Hermione era andata a dormire meglio di quanto pensasse prima, e Ron ne era piuttosto contento: le sue parole avevano significato qualcosa. 
La mattina, mentre Ron sfogliava il 'Manuale degli incantesimi' che aveva tirato fuori quasi senza motivo dalla borsa di perline, Hermione si alzò sorridendo. Ron era sorpreso. 
''Allora, ti è venuto qualcosa in mente?'' chiese lei.
''Beh... si'' rispose Ron, che non stava totalmente dicendo una bugia. Aveva pensato qualcosa di originale, da buon figlio di Arthur Weasley. 
Sistemarono alla rinfusa la tenda, e poi si smaterializzarono in città, in un vicolo vicino al molo. 
Hermione mollò la mano di Ron, e rimase ferma sul posto, gli occhi verso Ron, lo sguardo divertito.
Lui non capì.
Restarono in quella strana posizione per qualche secondo, e se qualcuno fosse per caso passato di lì, oltre a guardarli male, avrebbe subito voluto allontanarsi da quelle stravaganti persone.
Hermione, dopo un po', si arrese e disse ridendo: ''Vai. Guidami. Ora tocca a te comandare''. Ron era piuttosto sorpreso, e ci volle un po' prima che afferrasse il significato della frase. 
''A tuo rischio e pericolo'' rispose Ron, che fece l'occhiolino a Hermione e finalmente iniziò a camminare. 
Ron appellò la cartina dalla borsetta di Hermione, e la guidò in lungo e in largo per la città, a mo' di Cicerone.
Hermione, per venti minuti, non riuscì a trattenere le risate che scaturivano autonome nel vedere Ron col mento alzato, la cartina in mano e un'aria da chi la sa lunga. 
Non si accorse di dove fossero diretti fin quando lui si fermò in una grossa strada centrale, stranamente familiare. 
Ron guardò Hermione e levò il braccio sinistro verso un'edificio alla sua destra.
''Poste'' disse con tono superiore. 
Hermione stavolta dava l'idea di essere leggermente offesa.
''Ron non sono qui per farmi prendere in giro, non scherziamo. Se ha intenzione di suggerire qualcosa bene, sennò...'' iniziò lei, ma Ron non stava neanche ascoltando; entrò senza farla finire nell'ufficio postale.
Hermione, arrabbiata, portò le mani sui fianchi e si sedette su una panca sul marciapiede dietro di lei. Sotto sotto era curiosa di scoprire cosa stesse tramando Ron. 
''Cosa diavolo vuole inventarsi, chiedere se in due giorni hanno aperto nuovi dentisti? Se non torna con una scusa decente io lo uccido...'' pensò Hermione, mentre cercava di abituarsi al vento freddo e all'ancora più gelata panchina di ferro. Fu contenta del fatto che Ron non si fece attendere molto. Dopo qualche minuto era di ritorno, sempre con aria sarcasticamente supponente e un grosso libro bianco in mano. 
Cercò Hermione con lo sguardo, e una volta individuata, ignorando la sua espressione inviperita, si sedette di fianco a lei. Posò il grosso libro sulle ginocchia e iniziò a sfogliare rapidamente le pagine, con una velocità alla quale i libri di scuola non avevano mai assistito. 
Hermione era sul punto di alzarsi ed andarsene quando gli occhi le caddero sulla pagina del libro di Ron. Senza pensare né curarsi di lui, gli sfilò il libro da davanti e lesse il titolo: 'Città e distretto di Adelaide; abitanti, numeri utili, emergenze, informazioni'.
Con gli occhi ancora fissi sul libro, poche parole uscirono involontariamente dalle labbra: ''Sei... sei un genio''. Guardò finalmente Ron, col viso illuminato e un restaurato magnifico sorriso.
''A te l'onore'' rispose Ron, che sarebbe rimasto a guardarla ridere per il resto della vita. 
Lei non se lo fece ripetere, cominciò a sfogliare il libro alla velocità di trecento pagine al secondo, finché, in alto a destra, apparve la lettera che cercava. 
Anche Ron aveva abbandonato l'aria altera e si era chinato col cuore a duemila sul libro. 
Lei scorreva l'indice destro sulla pagina che non si bucava probabilmente solo grazie ad una forza sconosciuta, e ogni nome che leggeva le faceva salire l'ansia il doppio di quanto già non fosse:
''Wherman...
Whung...
Widrows...
Wighart...
Wilems...
Wiljack...
...
...
Wil... Wilkinson''.
Seguì un brevissimo silenzio imbarazzato. Ron era disgustato. Hermione, che continuava a far lavorare la mente invece, girò il libro fino ad arrivare alla prima pagina.
''Dicembre 1996'' disse piano.
''È vecchio! Se chiediamo quello più aggiornato li troveremo, sono sicuro!'' aggiunse Ron, che si alzò diretto di nuovo verso la posta davanti a loro. Stavolta Hermione lo seguì decisa.
Vide Ron che aveva saltato la fila, era già davanti al banco dove un ragazzo lo guardava spaventato da dietro il vetro.
''Quando ho chiesto l'elenco delle persone chiedevo quello recente! Cosa ti dice quella testa bacata che ti ritrovi! Ti rendi conto della situazione in cui siamo pezzo di deficente, e tu che mi rifili un elenco vecchio di un anno e mezzo! Capisci cosa potrei farti se volessi, brutto inutile ometto?'' Ron strillava talmente tanto che anche dall'altro lato della strada lo si sentiva scandire le parole. Hermione era imbarazzata, ma anche orgogliosa e non le venne neanche in mente di fermarlo.
Sentì la voce dell'uomo, più che spaventato, e anche a ragione, si disse. Era alto poco più della metà di Ron, e lo sguardo di lui faceva il resto: ''Io... io... mi scusi, signore ('signore', si disse Hermione, era un modo in cui Ron non sarebbe mai stato chiamato normalmente; il pensiero le generò una risatina divertita) il... l'elenco esce ogni... ogni due anni, non è colpa mia...''.
Ron si calmò improvvisamente, riassunse una postura normale e gli occhi tornarono azzurri e tranquilli. Hermione notò che le altre persone non sapevano se essere spaventate o curiose. 
Ron parlò ancora, con tono non eccessivo come il precedente, ma comunque aggressivo: ''Allora sai dirmi l'elenco attuale delle persone che abitano in questa città o non ve lo insegnano ad aiutare la gente qui?''. 
Il ragazzo tolse le braccia da davanti il volto e rispose un po' più tranquillo, ma ancora terrorizzato dalla scenata di prima: ''Signore, non... non siamo in grado. Aggiorniamo ogni due anni, quando esce l'elenco''. 
Ron staccò le mani dal banco, si girò e si diresse verso Hermione, che era rimasta dietro. Rivolto ancora all'uomo, disse: ''Ritieniti fortunato che il responsabile non sia tu. Riprenditi anche questo inutile foglio di carta e ringrazia che non ti chiedo indietro i soldi''. Sfilò con la forza il libro dalle mani di Hermione e lo gettò in terra. ''Arrivederci'' aggiunse mentre già stavano uscendo. 
Hermione scese le scale di corsa, per allontanarsi prima possibile da lì, ma Ron si bloccò a metà della scalinata. 
''Accio'' disse sfoderando la bacchetta verso l'ufficio. Dopo pochi secondi, quattro banconote arrivarono dritte nella sua mano. Hermione non mutò l'espressione metà divertita metà soddisfatta. ''Andiamo'' disse Ron, che prese la mano di Hermione e si smaterializzò.
Erano tornati alla tenda. Hermione non voleva chiedere nulla, voleva lasciare Ron ai suoi pensieri pieni d'ira.
Ron le cinse la vita con un braccio, e la portò dentro, al caldo. 
''Ron, era un'idea geniale; di gran lunga migliore della mia. Sei stato bravissimo, sono orgogliosa di te'' disse Hermione, e lo baciò appassionata.
''Speriamo che il cielo ci aiuti, la prossima volta...'' riprese lei.
Ron rimase in silenzio, e solo i baci che dava a Hermione lo rompevano. 
Poi, tutto d'un tratto, un'altra idea gli balenò in testa. Si staccò dalle labbra di Hermione, che inizialmente lo guardò offesa, ed uscì dalla tenda. Essere il figlio di Arthur, ed aver ereditato le sue strambe idee, almeno sulla carta, poteva essere d'aiuto, quando il cielo diventava una delle ultime possibilità di successo.

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Capitolo 10
*** Capitolo IX - Il silenzio del vento ***


Lettura consigliata con: Burn - Ellie Goulding
Hermione uscì dalla tenda di corsa, arrabbiata. 
''Ron!? Adesso mi spieghi perché te ne sei andato mentre... insomma, non si fa! Ron!!!'' esclamò, ma lui rimase fermo in cima alla collina, dando le spalle a lei e alla tenda. 
''Hermione ho un'idea'' disse con lo sguardo perso verso il cielo.
''Oh... allora va bene...'' rispose Hermione, abbassando il tono ma restando abbastanza contrariata. 
''Tu mi hai dato l'idea, - riprese Ron - il cielo!''. Lei non capiva, continuò a fissarlo mentre ancora le dava le spalle.
''Il cielo, Hermione''.
''Cosa intenderesti fare, chiedere a qualcuno lassù se per caso sappia l'indirizzo dei miei genitori?'' disse Hermione, sarcastica.
Ron finalmente si girò: ''No. È una cosa strana. Una cosa a cui noi non pensiamo, perché siamo maghi. I tuoi genitori sono Babbani però, il che cambia tutto; e credimi, vivere con mio padre qualche idea strana in testa te la fa venire''.
Hermione non mutò il tono sarcastico: ''Oh, infatti i Babbani non cercherebbero mai i dentisti girando tutti gli studi della città, no no. Sicuramente proverebbero ad appellarli. Come ho fatto a non pensarci...''. Ron la guardò stupito. Poi si avvicinò a lei, che non allungò la mano quando lui le porse la sua, ed iniziò a spiegare. Sembrava che l'atteggiamento di Hermione non gli desse fastidio.
''Allora Hermione, stavo riflettendo mentre eravamo dentro. Noi abbiamo cercato un modo per trovare qualcuno andando direttamente nei posti dove credevamo potesse essere, giusto?''.
Hermione annuì, non capiva dove Ron voleva andare a parare, ma lo lasciò continuare.
''È qui che credo ci siamo sbagliati. Adesso, se per te va bene, proverò a trovare i tuoi genitori mirando a far vedere il mio messaggio a più gente possibile, va bene?''.
Hermione aveva quasi afferrato, la sua voce tornò leggera come sempre: ''Spiegami come allora''.
Ron si avvicinò, la abbracciò e poi indicò un lontano oggetto nel cielo.
''L'idea me l'hai data tu, Hermione. Te l'ho detto, il cielo'' disse Ron, guardando Hermione come se volesse che finisse lei la frase. Hermione brancolava ancora nel buio, Ron era esasperante, ma aveva notato la faccia arrabbiata e quindi decise che era meglio parlare chiaro: ''La mia idea - disse continuando ad indicare il cielo - è di usare un aeroplano per mandare un messaggio alla città intera. Faremo sì che voli basso, così tutti vedranno, e che faccia un giro largo in modo che in ogni quartiere della città sia visibile. Così potremo essere contattati o direttamente dai tuoi genitori, o da persone che li conoscono!''. 
''Cioé, fammi capire bene. Tu vorresti legare ad un aeroplano una specie di telone gigante con su scritto una frase tipo: 'cercasi Wendell e Monica Wilkins'?'' disse Hermione, e Ron, guardando la sua faccia, vide le sue speranze ridimensionarsi velocemente.
''È... è geniale!'' esclamò invece lei, e Ron, contentissimo, la strinse fortemente.
Dopo qualche minuto di puro amore, i due si separarono ed Hermione riprese: ''Certo, dovremo curare i dettagli, ma come idea è... è fantastica...''.
''Sempre questo tono sorpreso'' rispose Ron; Hermione sorrise e nella mente di entrambi balenarono ricordi meravigliosi. Si strinsero ancora l'uno all'altra e si baciarono felici, umili, innamorati; la delusione della sera precedente sembrava svanita nel nulla.
Il sole era già in parabola discendente quando rientrarono nella tenda, decisi ad organizzare l'operazione in modo minuzioso. 
''Il problema principale - osservò Hermione dopo parecchio tempo - è che anche se i miei genitori riuscissero a leggere il messaggio non riuscirebbero a trovarci. Quindi scrivi, Ron, 'trovare il modo di farci contattare'. Per ora penseremo a questo, poi al resto; facciamo tutto con calma, per gradi, e non ci sfuggirà nulla''. Ron obbedì e, finito di scrivere, chiuse il tappo della penna e guardò Hermione.
''Qualche idea?'' le chiese, mentre iniziava a mordersi le unghie dall'ansia. 
Qualche secondo di silenzio, poi Hermione prese a parlare, guardando nel vuoto: ''Non mi sembra opportuno segnalare la posizione della tenda, questo credo sia chiaro''. 
Ron annuì, stavolta la testa non gli suggeriva nulla, idea strana o sensata che fosse. 
''Forse... forse ci sono'' disse Hermione qualche minuto di silenzio dopo. 
Si mise dritta sulla sedia e guardò Ron ridendo.
''È strano che questa idea non sia venuta a te, Ron, perché questo sì che è un pensiero che avrebbe fatto tranquillamente tuo padre...  mi stupisco del perché non ci abbia pensato prima; che stupida, sono vent'anni che ce l'ho in casa, ma finora non mi veniva in mente...''. Stavolta era Ron a guardare Hermione mentre non capiva. Hermione, sorridendo, aveva inclinato la testa di lato e, molto lentamente parlò scandendo le sillabe: ''Te-le-fo-no!''.
''Cavolo!'' esclamò Ron, ma subito, come poco prima, sentì le luci della festa spegnersi davanti a lui.
''Hermione - disse con voce molto più bassa - noi non abbiamo un telefono''.
Lei mantenne il sorriso, e Ron capì solo dopo aver finito di aver detto un'altra mezza idiozia.
''Il problema non siamo noi. Siamo maghi Ron, sapremo come rimediare un telefono, no? Il fatto è che dobbiamo fare in modo che i miei genitori lo vedano, perché sono sicura che un telefono in casa ce l'abbiano. Almeno, in casa mia c'era'' rispose Hermione, soddisfatta.
Poi riprese, indicando a Ron il foglio che era rimasto sul tavolo: ''Quindi scrivi 'comprare telefono' sotto il primo punto, e quando avremo finito di organizzare il resto andremo in città a  prenderlo''.
''Perfetto'' disse Ron, e finito di scrivere si gettò sul letto dietro il tavolino.
''Non ce la faccio più'' disse Ron con voce normale, ma quando Hermione lo guardò più attentamente si accorse che aveva la faccia stanca, gli angoli degli occhi bassi, era sudato nonostante non facesse caldo. 
Una scossa di preoccupazione la percosse, si avvicinò a Ron e si sedette di fianco a lui, senza parlare. Aveva chiuso gli occhi, ma il respiro era regolare, profondo, calmo. 
Hermione decise tutto in fretta, sentiva che c'era bisogno di aiuto da parte sua. Con molta cautela appoggiò la testa sul petto di Ron e la schiena lungo la sua, le gambe ancora piegate sul letto fino a toccare il pavimento. Il muoversi del torace la rilassava in un modo che non avrebbe mai immaginato. Fu solo quando chiuse gli occhi anche lei che una mano le toccò prima il viso, poi scese sulle labbra fino alla mano che era poggiata sulle costole. Hermione non sapeva cosa stesse succedendo; un minuto prima erano intenti a ragionare, un minuto dopo sdraiati sul letto, uno sopra l'altra, con gli occhi chiusi e una stanchezza opprimente. 
''Hermione non te ne andare''. Ron aveva parlato dopo poco, ma per entrambi quel tempo era sembrato infinito, immateriale. 
La preoccupazione svanì, l'anima di Hermione si liberò e pensò solo alle parole del suo uomo. Non rispose, ma strinse la sua mano ancora più forte e, tolte le scarpe, si sdraiò di fianco a Ron, sul versante del letto verso l'esterno della tenda. Ron teneva ancora gli occhi chiusi, ma un sorriso leggero gli segnava le labbra. Hermione rimise la testa sul petto di Ron, e chiuse gli occhi. Non sapeva perché. Passò qualche minuto prima che un respiro rumoroso segnalò che Ron si fosse addormentato. La sua mano però restava salda a quella della donna che amava. Hermione, a quel pensiero, rise silenziosamente. Non c'erano parole per descrivere quanto lo amasse. Poi, tutto d'un tratto, tutti i pensieri svanirono. Rimase solo lei. E Ron. E come se non avesse nulla altro da fare, ma l'avesse sempre saputo, respirò profondamente e si addormentò, fra quelle braccia che non l'avrebbero più lasciata.

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Capitolo 11
*** Capitolo X - L'amore non si spiega ***


Lettura consigliata con: Love Me Like You Do - Ellie Goulding
Era già buio da un pezzo quando Hermione aprì gli occhi. Le luci nella tenda sembravano più forti, le tenebre opprimenti. Si sentiva piuttosto riposata, e la cosa non poté che farle bene. Ron era ancora profondamente addormentato, e le loro mani erano ancora favolosamente unite. Hermione si dispiacque un po' quando qualche minuto dopo sfilò la sua mano da quella di Ron, poi si alzò ed uscì dalla tenda, per capire ad occhio che ora fosse. Pioveva, il cielo era coperto e il buio colorava tutto. Le uniche fonte di luce erano i fiochi lumi che arrivavano dalla città, che facevano capire che le persone erano ancora alzate. 
Hermione rientrò nella tenda appena le prime gocce d'acqua le bagnarono il viso. Non avevano mangiato; aveva fame, ma non era un senso costringente come quello del giorno prima. Si sedette sul tavolo perché era ancora assonnata, frequenti sbadigli le interrompevano i pensieri e le idee. Gli occhi capitarono sul tavolo e sul foglio di carta sul quale Ron aveva scritto le poche, prime parole del piano. ''È una grande idea'' pensò. ''E, ancora una volta, è stato lui a suggerirla''. Non riusciva a capire se quel pensiero le era gradito o meno.
Ron era diventato un punto troppo importante della sua vita, ma ancora non riusciva a vedersi messa in secondo piano, con facoltà solo di obbedire, di farsi guidare, di fidarsi. Fino ad allora la sua vita era stato l'esatto opposto: era sempre stata lei a farsi avanti, lei a proporre e ad avanzare ipotesi, e di conseguenza era lei a subire le delusioni più grandi e vistose. Chiunque l'avesse conosciuta si fidava di lei e questo l'aveva portata a fidarsi tanto, e soprattutto solo, di sé stessa. Era raro che non seguisse le sue idee, ancor più difficile che addirittura non proponesse una soluzione. In quegli ultimi giorni, invece, tutto era cambiato, come se un vento del nord avesse cambiato repentinamente ed improvvisamente direzione. Hermione si trovava in quella situazione; seguire la corrente o agire per l'ennesima volta di testa propria, con decisioni giuste o sbagliate che fossero, era il dubbio che la affliggeva. Da una parte lei, il suo ego, la sua forte e carismatica personalità, dall'altra Ron, il suo cuore, l'amore che provava per l'uomo della sua vita. E da qualche giorno a quella parte, la seconda sembrava la via più intrigante. 
Mentre rifletteva, con gli occhi ridotti a due fessure, un improvviso tocco sulla spalla la fece sobbalzare. Non fece in tempo a girare il viso che le labbra di Ron si appoggiarono dolci alle sue. Aveva dimenticato tutto, perché l'amore che si celava dietro quei baci rubati compensava tutti i pensieri, e anche i dubbi. 
''Sei bellissima'' esordì lui, che ogni volta che si svegliava non poteva fare a meno di contemplare ogni tratto di Hermione. Il viso perfetto, stilizzato; l'espressione decisa che si scioglieva come il burro ad ogni emozione. Lei abbozzò un sorriso, chiuse gli occhi e riprese a baciarlo. 
''Lo dici solo perché lo dicono tutti'' lo provocò Hermione. 
''Certo che tutti dicono che sei bellissima. Ma mi dispiace per loro. Tu sei solo mia''.
Calò un'atmosfera calda e improvvisa sulla tenda. Continuarono per tanto, troppo tempo, ed ogni bacio era come se fosse l'ultimo.
''Non immagino più nulla senza te, adesso'' riprese lei, quando finalmente le loro labbra si erano divise, con gli occhi di entrambi ancora ipnotizzati da quelli davanti. 
''Non so come ho fatto finora, ma sto pian piano capendo di non voler smettere più. Ti amo, Ron; probabilmente come nessuna ha mai amato qualcuno in vita sua'' continuò, ma le parole erano inframezzate da frequenti attimi di passione. Lui la guardava come sempre, con occhiate profonde e significative, ma per Hermione, anche se non capì perché, quella volta era speciale. Uno strano senso di insicurezza la assaliva ogni secondo che passava lontana da Ron, dalle sue mani, dai suoi occhi, dalle sue labbra. Lo baciava con foga, mentre i baci di Ron erano attimi, momenti di amore puro, istinti. Hermione chiuse gli occhi e non li riaprì per quelle che le parvero ore, ma fra quelle braccia, si disse, sarebbe potuta restare anche giorni. Ogni bacio era il più bello, ogni bacio poteva essere il primo, passionale, romantico e ingenuo, o l'ultimo, frenetico, impulsivo, quasi arrabbiato. 
Era ancora ad occhi chiusi quando disse: ''Ron ho paura che tu vada via. Non so perché ma la tua mancanza mi renderebbe vuota, come se mi mancasse l'aria. Ti prego non te ne andare. Senza te non sono niente, un guscio vuoto. Ho bisogno d'amore Ron; ho bisogno di te''. Lui fece scivolare le braccia dai suoi fianchi alle cosce, la tirò su e la gettò con la schiena sul letto alle loro spalle. Lui sopraggiunse subito, Hermione non si spostò, ma si fece desiderare. Ron andò prima verso la bocca, ed Hermione ne fu felice. Si baciarono ancora e ancora, poi, dolcemente, Ron si fermò e la guardò restando poggiato sopra di lei con le braccia tese e le gambe carponi. 
''Hermione non so da dove venga questa tua paura, ma ti assicuro che è inutile. Non ti lascerò amore, mai. E lo sai''.
Lei lo guardò, le due teste erano lungo una linea perfettamente perpendicolare al terreno, distanziate di pochi centimetri.
Sorrise, non poteva non farlo pensando al modo in cui lui la stava guardando, e disse, girando la testa e distogliendo lo sguardo a destra e a sinistra: ''Allora... datti da fare''. 
Neanche un secondo dopo che Hermione avesse finito la frase, Ron era ripiombato su di lei, e ricominciò a baciarla. Allungò le gambe sul letto, in modo da far entrare i corpi a contatto, e poggiò le sue mani sulle parti basse dei fianchi di lei. Hermione fece scivolare lentamente le sue sulla schiena di Ron, ma la sua testa era altrove, stava fantasticando su cose che presto non si sarebbero discostate dalla realtà. Quando si separarono per l'ennesima volta, fu Ron il primo a parlare, e poche parole gli bastarono per far sorridere Hermione, e il suo sorriso era la cosa più bella del mondo: ''Ti amo Hermione''. Poi, senza aspettare risposta, chiuse gli occhi ed iniziò a scendere lentamente, sfilandole gli abiti quando erano d'intralcio ai piccoli tocchi o alle sfiorate con le labbra. Procedeva piano, prima il busto sinuoso, poi la pancia perfetta, poi più giù. Hermione si contorceva dal piacere ogni secondo di più e non poteva fare a meno di sorridere. Non guardava, ma capiva. Il sorriso era la cura per tutto. Piaceva a Ron. Piaceva a lei. Poi, quando tutto era all'apice, tirò fuori una risata meravigliosa, di piacere, ma anche dolce. Aveva preso la sua strada, anzi la loro strada. Con lei, stavolta, c'era un lui ad accompagnarla, colui che amava. Era la strada giusta. Ron la stava facendo sentire donna, desiderata, apprezzata, e quindi, si disse felice, andava bene anche lasciarlo andare un po' oltre. Perché oltre piaceva anche a lei.

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Capitolo 12
*** Capitolo XI - Da fare invidia alle rose ***


Lettura consigliata con: Across the Stars - Star Wars: Attack Of The Clones Soundtrack
A Ron ed Hermione non venne neanche in mente di rimettersi a dormire, quando finalmente le loro menti tornarono a pensare. Nonostante fosse notte fonda, ripresero a vagare per la tenda e fare progetti per il piano 'con le ali', come amava definirlo Ron. I loro sguardi erano ancora ammaliati, i loro corpi veementi. Poi, tutto d'un tratto, Ron disse con voce dal tono quasi scontato: ''Andiamo in città, Hermione''. Stava ridendo, e scrollava le spalle come a dire 'perché no?'. Anche lei sorrise: ''Ma che dici, Ron, sono le tre del mattino, cosa vorresti andare a fare? Si gela e non so ora, ma prima pioveva anche''. 
''Lo so, ma mi sarebbe piaciuto... abbiamo visto questo posto senza guardare bene, e mentre setacciavamo ogni angolo in cerca dei dentisti non ci siamo mai fermati e girati intorno. E poi pensa che bello, avremmo le strade solo per noi, completamente vuote! Gireremo mano nella mano come padroni del regno!'' rispose Ron entusiasta, ma con voce calma.
''Ron fa freddo'' aggiunse lei, saccente.
''Ci stringeremo ancora di più''.
Hermione si sciolse lentamente e alzò gli occhi al cielo, supplicando ironicamente. Aveva capito che sarebbe stata una cosa divertente, unica nel suo genere. E poi c'era Ron.
Sospirò e, molto lentamente, guardò Ron dicendo: ''E va bene''. Ron emise un sorriso sgargiante, e corse da Hermione per abbracciarla calorosamente. 
''Però appena aprono i negozi compriamo il telefono va bene?'' aggiunse lei mentre Ron la stringeva forte da dietro con gli occhi chiusi e il respiro profondo. Lui annuì con un leggero movimento della testa poggiata sulla spalla di Hermione. Lei si alzò, e Ron, leggermente contrariato al fatto di essere stato spostato da una posizione rassicurante, la seguì a ruota. Quando erano alla porta lei appellò i cappotti per entrambi dal vicino appendiabiti, e si smaterializzò tenendo stretta la mano di Ron. 
Erano davanti al molo principale della città, un punto luminoso nella buia immensità dell'Oceano Indiano. Aveva smesso di piovere, ma le strade deserte erano ancora bagnate. Ron strinse la mano di Hermione e cominciò a camminare velocemente verso il centro abitato, sospinto dal freddo vento che spirava dal mare. Si trovavano in un atmosfera fiabesca: i marciapiedi di ciottoli ordinati, le strade strette contornate da basse villette a schiera con giardini fioriti, i lampioni che emanavano una flebile luce gialla, la luce della luna che filtrava decisa nel cielo nuvoloso, una brezza leggera che si insinuava fra le case.  Le mani di Ron ed Hermione dondolavano felicemente, un'altalena di amore, un legame più stretto ogni secondo che passava. 
''Hermione questa è magia'' fece notare Ron, estasiato. ''Guarda in che meraviglia siamo! È tutto nostro, tutto quanto per noi!''.
Poi si staccò dalla presa di lei e si sporse in un giardino per cogliere una rosa che sporgeva sulla strada, la strinse fra i denti ed iniziò assolutamente senza motivo a ballare da solo, con gli occhi chiusi e la rosa rossa in bocca. Hermione sorrise innamorata. Ron aveva iniziato a danzare con un lampione, ora con un secchione della spazzatura, ora con la rosa stessa che aveva scelto come partner di ballo. 
Una leggera pioggia iniziò a cadere, e Hermione colse quello come un segno. Corse da Ron, che era ancora ad occhi chiusi, gli tolse la rosa dalle mani e se la mise in bocca. Poi, in una frazione di secondo, allungò le braccia e iniziò a portare Ron, che seguiva aggraziato. Per tutti e due, in quel meraviglioso momento, sotto la pioggia, lontani da casa, suonava una melodia dolce, un lento che non finiva mai. Continuarono a ballare mentre la pioggia li impregnava di acqua ghiacciata, giravano fantasticamente da far invidia a chiunque. Erano diventati i padroni incontrastati della strada deserta, e parve che le luci aumentassero per permettere ai fiori dei giardini di vedere meglio, mentre si sporgevano dai rovi. Hermione prese a ridere in maniera sincera, Ron sorrise senza staccarle gli occhi di dosso o sbagliare un passo. Ormai erano completamente bagnati, ma non importava. La loro danza continuava imperterrita, neanche un uragano avrebbe potuto fermarla. Non si sapeva come mai avessero iniziato e ancor di meno quando avrebbero finito. Ron ed Hermione continuarono, non stavano neanche pensando al tempo e allo spazio in quel momento, i loro ragionamenti erano focalizzati sulla persona davanti ai propri occhi, in un raggio di pochissimi centimetri. Non c'era un rumore oltre a loro, non passava nessuna automobile, nessun cane abbaiava. Sembrava che la natura non volesse interrompere quel momento che era magico anche per due maghi. Continuarono a volteggiare fra di loro in modo perfetto, ed entrambi non erano neanche minimamente intenzionati a spezzare quell'incantesimo e a subire gli insulti per aver mollato per primo. Era sia una sfida personale che una dimostrazione di forza, carisma e amore verso l'altro. Ron sembrava ballare in punta di piedi, come se non toccasse a terra, Hermione invece era dai movimenti repentini e fanatici, ma non per questo meno fluidi. Le loro facce dopo un po' erano diventate serie, i sorrisi mutarono in espressioni decise e concentrate. I loro occhi, però, non riuscivano a fare a meno degli altri. Forse passarono minuti, ore ma entrambi non avevano la testa impegnata nella concezione del tempo. Era tutto incentrato in quel perfetto gioco di passi che non doveva spezzarsi per nessun motivo, come un enorme cubo di Rubrick che andava completandosi da solo. Hermione non si accorse neanche che la rosa che aveva fra i denti aveva iniziato a darle fastidio, perché effettivamente non era di disturbo, e poi era tutto iniziato con quel fiore, e per nulla al mondo avrebbe cambiato quella situazione. Quella non era una danza statica, che seguiva le regole e i fondamenti; loro ballando avanzavano sulla strada improvvisando, ad ogni passo, una corsa senza neanche vedere dove andassero. Tempo dopo, ripensandoci, Hermione giunse ad una conclusione che le era balenata in mente da sola. Quello era il loro Ballo del Ceppo. Con quella danza avevano eliminato tutti i dubbi che avevano sulla loro storia, Ron da una parte, Hermione dall'altra. Stavano recuperando il tempo perduto, quei periodi in cui erano stati lontani, quei periodi in cui tutti e due erano rimasti lontani dalla loro più grande fonte di amore. Era come se Ron l'avesse invitata al ballo, ma senza Hogwarts, senza troppe facce indiscrete e pettegole, senza altre persone. Perché il loro amore non seguiva le vie tradizionali. Come, d'altronde, l'incredibile danza che avevano intrapreso insieme. Era una metafora della loro vita, dopotutto. Ron aveva predisposto le cose, Hermione aveva fatto la prima mossa, entrambi si erano ritrovati lì insieme, abbracciati sotto la pioggia con un sorriso da far invidia al mondo. Era come rivivere la loro complicata storia in un ballo dal sapore magico; ma magico non perché erano stati due maghi a dar vita a quella magia. Quell'arcaico incantesimo era un'unione dei cuori e delle anime che ad ogni passo si saldavano sempre di più, perché già erano uniti da un pezzo. Ron non voleva lasciare Hermione. Neanche in quel ballo improvviso voleva liberarsi dalle sue braccia. Era il loro Ballo del Ceppo. E gli anni che erano passati da quell'evento al quale entrambi avrebbero voluto partecipare insieme erano la forza per continuare adesso. Nella danza e nella vita. Una sola persona follemente innamorata di sé stessa. 

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Capitolo 13
*** Capitolo XII - Pensieri riflessi ***


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''Dai Ron, sbrigati, sono quasi le otto'' disse Hermione bussando alla porta del bagno della tenda. 
''Arrivo, il fatto è che ho dimenticato di prendere i calzini'' ripose lui ridacchiando. Hermione si girò annoiata verso il baule marrone vicino al letto: ''Accio'' disse e un paio di calzini rossi arrivarono nella sua mano pochi istanti dopo. Aprì la poco la porta e appoggiò i calzini nel piccolo spazio che le era visibile. 
''Hermione...'' disse Ron mentre lei stava tornando verso il salotto. 
''Cosa c'è ancora?''
''I calzini''
''Ma sei scemo? Te li ho appena appoggiati di fianco alla porta!'' strillò lei.
''Lo so, ma non sono di lana'' aggiunse lui in tono dolce, come se non avesse badato alla voce di Hermione. Lei alzò gli occhi al cielo, raccolse i calzini di cotone che Ron le aveva passato dalla porta e appellò dei calzini di lana dal baule.
''Va bene adesso?'' disse Hermione sarcastica. 
''Si, grazie. Ma che c'é, sei agitata per cosa?'' 
''Te l'ho detto Ron, sono le otto! I negozi sono già aperti e non voglio perdere tempo!'' rispose ancora scontrosa. 
''Hermione non è colpa mia se eravamo completamente zuppi. E poi stai tranquilla, non ci saranno problemi. È tutto sotto controllo''. Ron aveva parlato piano, con voce superiore, per tranquillizzarla anche con le parole.
''Potevo anche asciugare i vestiti con la magia'' aggiunse minuziosa Hermione qualche secondo dopo.
''Si, ma volevo farmi una doccia. Che dici, dopo ore sotto l'acqua ne avevo il diritto?''. Hermione decise che smettere di discutere fosse la decisione migliore. Ron uscì dal bagno poco dopo. Appellò i cappotti per entrambi e fece cenno ad Hermione di seguirlo fuori dalla tenda.
Lei lo raggiunse accigliata, e Ron nel vederla così, oltre alla mano le strinse anche la vita con il braccio. Lei ne fu, sotto sotto, più che felice. 
Si smaterializzarono in una stradina secondaria ancora addormentata vicino ad un negozio di elettronica che avevano adocchiato nei giorni precedenti. Nuvole grigie infestavano il cielo, ma la pioggia era cessata. Per strada c'erano poche persone, e molte delle quali andavano di fretta per raggiungere gli uffici in caso ricominciare a piovere. Hermione guidò Ron per qualche centinaio di metri lungo la via che passava davanti alla stradina in cui si erano smaterializzati, e poi si fermò davanti ad un grande e già illuminato negozio di elettronica.
''Fai parlare me'' disse Hermione sorridendo mentre apriva la porta del locale. Ron pensò subito a suo padre quando gli occhi iniziarono a scrutare meravigliati ogni angolo del negozio: cavi, elettrodomestici, pile, ventilatori ed arnesi di ogni genere gli avrebbero fatto apparire sul volto un'espressione di magnificenza. Anche Ron, in fondo, era curioso. Il mondo dei Babbani lo affascinava da poco tempo, ma ogni cosa nuova che vedeva gli apriva la mente. Era affascinante fantasticare sulle idee dei Babbani, da come le avessero avute a come quelle idee venissero realizzate. Hermione, che al contrario di lui era vissuta da sempre fra i Babbani, si diresse senza farsi troppi scrupoli verso il banco di telefonia. Ron, che non immaginava neanche quanto potesse costare un telefono cellulare, guardò incuriosito la scena in secondo piano. 
''Mi scusi - domandò Hermione - vorrei comprare un telefono. Se mi fa vedere tutti i modelli, ci consultiamo - ed indicò Ron alle sue spalle - e decidiamo''. 
Il commesso tirò fuori un libretto con tutti i modelli di cellulari in vendita. Hermione lo aveva appoggiato sul bancone e lo scrutava agitata, e Ron le si avvicinò con cautela, gli occhi puntati sulla carta. 
''Hai visto qualcosa?'' chiese ad Hermione, anche se dalla sua faccia si capiva che era ancora insoddisfatta.
Effettivamente i modelli erano quasi tutti molto costosi, e per il motivo per cui servivano non valeva la pena spendere quasi tutti i soldi che erano rimasti.
''Hermione senti un attimo...'' sussurrò Ron, e lei si girò verso di lui dando le spalle al banco.
''Secondo me non vale la pena di buttare tutti questi soldi'' proseguì, e lei lo guardò quasi convinta. Poi, senza preavviso e sorprendendo Ron, Hermione girò la testa bassa verso l'uomo e mormorò senza guardarlo: ''Imperio''. Gli occhi dell'uomo si allargarono, lo sguardo si perse nel vuoto.
''Oh si - disse a bassissima voce come se stesse ripetendo un discorso imparato a memoria - certo, questo è l'ultimo modello. Tenete, non vi preoccupate, è tutto offerto dalla nostra compagnia! Ricordate solo di farci pubblicità. Grazie e arrivederci!''. Poi tirò fuori dalla bacheca di vetro alle sue spalle la scatola di una nuova edizione di un cellulare e lo consegnò ad Hermione, che la prese soddisfatta. Lei fece un segno a Ron, e lui la seguì con la bocca che era rimasta aperta da qualche secondo ormai. Questa volta lui passò attraverso il negozio senza guardare ai lati, e quando stavano per aprire la porta del negozio, sentì una voce lontana ripetere: ''Grazie e arrivederci''. 
Tornarono nel freddo della città in fretta, e sembrava che Hermione non aspettasse altro che un commento di Ron a quello che aveva fatto, per controbattere a sua volta. Sfoderava da minuti un sorriso che cercava di trattenere quando finalmente Ron parlò: ''Hermione...''.
''Si?'' rispose subito lei.
''Hai usato una Maledizione Senza Perdono!''
''E allora?'' disse sarcastica, con lo sguardo ovvio. 
''L'avevi mai fatto?'' riprese Ron che era ancora visibilmente sconvolto. 
''No''. Hermione aveva l'aria saccente, che a Ron ricordava la riunione alla Testa di Porco di oltre due anni prima quando era stato deciso di fondare l'ES.  
''E com'è stato?'' continuò Ron, con voce storpiata per nascondere la curiosità.
''Direi bello. Sai, essere il padrone assoluto di una persona, e comandare le sue azioni e i suoi pensieri, un senso di eccitazione nel sangue te lo mette'' rispose lei girando la testa per guardarlo. 
A Ron apparve un'idea in mente che tradusse quasi in contemporanea in parole: ''Come sei cambiata, Hermione...''. Lei gli sorrise radiosa, e lo abbracciò nel bel mezzo del marciapiede che cominciava a riempirsi di gente. 
''Beh, per stare con te una parte di me doveva cambiare per forza'' gli disse. 
''Non è vero. Io amerò sempre anche la Hermione Granger scontrosa, emotiva ed irritante so-tutto-io, con i denti davanti grandi ed un'intelligenza sconcertante''. Lei parve sorpresa, ma non smise di stringerlo forte a sé. 
''Bei tempi'' disse sognante, anche se non lo pensava davvero; seguendo la parte di lei che voleva proseguire il discorso. 
''Sei sicura che fossero bei tempi? Per noi due intendo'' riprese Ron. 
Lei ragionò qualche istante, poi, onestamente, disse: ''No''.
Poi alzò il tono della voce gradualmente, e cominciò a gettare fuori dall'anima altre paure e confessioni che teneva dentro da ormai troppo tempo: ''E anche in questo caso la colpa è la mia... Invece di passare gli anni più belli della nostra vita insieme a te e ad Harry, scherzando, ridendo e infrangendo le regole come è giusto che sia, io ho nascosto tutte le mie emozioni dentro di me, sfogandole nello studio in tutti i modi: andare in biblioteca era diventato praticamente di routine, fare tutti i compiti assegnati finché non ne avrei avuti più normale! Quella non sono io, te li giuro. E mentre facevo questo ho buttato del tempo prezioso per stare con te, con Harry, con tutti quelli che amo''. Seguì un silenzio breve ma denso di pensieri. 
''E tu credi davvero che sfogarsi sui libri sia una cosa completamente sbagliata? disse Ron all'improvviso. Lei alzò gli occhi per guardarlo, e si meravigliò di quanto le avesse tenuto vicino il volto mentre lei non lo guardava. 
Era rimasta un po' spiazzata dalla domanda, e infatti la risposta non arrivò subito: ''Beh... cioè, si. Potevo parlare con voi invece di parlare ai libri, Ron. È una cosa che mi dava fastidio ogni giorno di più, ma avevo intrapreso una strada e, non so perché, l'ho continuata senza che lo volessi. Ecco perché a scuola non avevo tanti amici, e se non fosse stato per te ed Harry sarebbe stato anche peggio''.
Ron stava pensando in contemporanea alle sue parole, e gli venne in mente una cosa a cui non era mai arrivato prima: ''Hermione - disse molto piano - sai perché ad Hogwarts, secondo me, hai legato più con me ed Harry che con le ragazze del nostro anno?''.
Lei lo guardò stupita. Neanche rispose, perché sapeva che Ron le aveva fatto la domanda solo per introdurre meglio il discorso vero e proprio, cosa che allora gli capitava spesso: ''Perché sei molto più avanti di tutti! Dai, non immaginerei mai che ti unissi ad una conversazione sulle scarpe! Non è da te, quelle non sono stupidaggini per una mente brillante come la tua! E anche con me e Harry, tu parlavi molto più di cose importanti, come l'ES, la Pozione Polisucco e le prove del Tremaghi rispetto a 'stupidaggini' (e prima di proseguire un brivido di freddo lo assalì) come il Quidditch! Quindi per te è giustamente normale andare a cercare la curiosità nei libri che nelle conversazioni fra amiche idiote o malati di Quidditch''.
Lei capì già dopo le prime parole che Ron avesse ragione. Era vero, tutto vero. A cosa serviva passare le giornate con i suoi due migliori amici ma parlando di Quidditch? Ron aveva ragione ed Hermione, pensando a quelle parole, rise senza freni come aveva fatto la notte precedente, libera da ogni fardello mentale, da ogni ragionamento oscuro su di sé. Perché Hermione Granger era una persona sola. La stessa persona che passava le serate in biblioteca, che produceva berretti per gli elfi domestici e che si arrabbiava per il voto dei G.U.F.O. di Difesa contro le Arti Oscure era anche la Hermione Granger che organizzava gruppi segreti di combattimento, che teneva testa alla tortura di Bellatrix Lestrange, che era partita con l'uomo che amava per un viaggio dall'altra parte del mondo, che eseguiva la Maledizione Imperius su un povero commesso australiano, che aveva Ron al suo fianco. Lei è stata sempre la stessa. Sono gli altri intorno a lei ad aver cambiato per il meglio la sua vita. E il primo ce lo aveva davanti agli occhi; lui che l'aveva accolta sotto la sua influenza positiva. Mentre le loro labbra si toccarono sorridendo, Hermione pensò, per la prima volta, a quanto fosse cambiato Ron rispetto a lei. Tanto, si rispose. Ma si era avvicinato a lei. E senza quel cambiamento Hermione non avrebbe potuto intraprendere quel viaggio, esprimere tutti i dubbi che aveva. Non poteva fare nulla. Senza Ron, non poteva andare avanti.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIII - Sei tutto, troppo ***


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''Fammi vedere che c'é dentro'' disse Ron mentre era seduto con Hermione al tavolo di un grazioso caffè del centro città, indicando la scatola bianca del cellulare appena comprato che sbucava in parte dalla borsa di perline. Lei gli passò la scatola, e addentò con inusuale ferocia un pasticcino alla crema davanti a sé. Ron aprì la scatola con qualche difficoltà (che, per sua fortuna, Hermione parve non notare) e, senza neanche fare caso alla montagna di foglietti di carta, prese in mano il telefono e cominciò a ruotarlo come in cerca di qualcosa di strano. 
Hermione sorrise in silenzio quando alzò gli occhi per guardarlo. D'altronde lei era cresciuta fra i Babbani ed era più che abituata alle loro abitudini, mentre per Ron anche l'apertura della scatola di un semplice cellulare era una cosa fuori dall'ordinario. Dopo aver toccato per più volte tutti i tasti, ed aver provato molte combinazioni possibili fra questi, Ron riuscì ad accendere il telefono e il suo sguardo si illuminò di luce propria. 
''Forte!'' esclamò, ed Hermione rise divertita. 
Gli occhi di Ron erano ancora fissi sullo schermo, e si stavano assottigliando lentamente.
''Hermione c'é qualcosa che non va...''.
Lei si alzò sulla sedia e sporse la testa verso la destra di Ron, così da poter vedere meglio: ''Ah, è vero. Però forse...'' disse dopo aver dato una veloce occhiata al telefono, e poi cominciò a rovistare fra i fogli che avevano ormai coperto metà del tavolo. Ron la guardò incuriosito, si vedeva da lontano che non avesse capito nulla. 
''Trovata! Ero quasi sicura che ci fosse!'' disse entusiasta ad un certo punto, tenendo stretta in mano una bustina di plastica trasparente. Poi tolse il telefono dalle mani di Ron, che non oppose alcuna resistenza, e mormorò alcune parole per aprire la parte di dietro del cellulare. Quasi in contemporanea scartò la plastica ed inserì una scheda grigia nello spazio dentro al telefono. 
''Adesso - disse soddisfatta dopo aver riacceso il cellulare - è tutto a posto!''
Ron era rimasto con la stessa espressione da parecchi secondi. 
''Sono degno di una spiegazione?'' esordì lui, con lo sguardo ancora metà meravigliato, metà sconvolto. Hermione scoppiò a ridere, e contemplò ancora per qualche istante la buffa faccia di Ron prima di rispondere: ''Un telefono - disse Hermione indicando il cellulare (con un atteggiamento che a Ron ricordò spiacevolmente quello della Umbridge alla prima lezione di Hagrid) - per funzionare ha bisogno di una scheda telefonica - e fece scivolare la mano sulla bustina di plastica vuota -. Se non c'è la scheda il telefono non chiama. Per quello non funzionava prima, doveva essere inserita questa scheda. E non è neanche sempre detto che la 'sim' si trovi insieme al cellulare quando lo si compra; anzi, siamo stati fortunati. Probabilmente la scheda era nella scatola del telefono per una particolare promozione, oppure perché era un modello davvero molto nuovo''.
Ron aveva ascoltato con crescente attenzione, come se i suoi dubbi venissero distrutti man mano che Hermione andava avanti a parlare. Poi, completamente all'improvviso, abbassò lo sguardo e disse: ''Che stupidata...''.
Hermione rise ancora, e stavolta la risata contagiò anche Ron, che anche senza capirne il perché si sentiva un po' idiota. Mentre era ancora impegnata a ridere sincera, aggiunse: ''Si, è... è vero. Anche secondo me è una cosa inutile, un modo ulteriore per togliere soldi alla gente''.
''Non sono poi tanto pazzo, dopotutto...'' riprese Ron, che aveva smesso di ridere, guardando Hermione fissa negli occhi, con aria improvvisamente seria. Lei rimase un attimo sorpresa, e smise di sorridere di conseguenza. 
''Che vuol dire?'' disse lentamente, sulla difensiva. 
Ron strinse le palpebre, come a voler guardare meglio davanti a sé. Hermione era quasi spaventata; mai Ron aveva cambiato umore così in fretta. ''Forse sta scherzando, mi sta prendendo in giro'' pensò, volendo rassicurarsi. 
''È che non sono abituato a sentirmi dare ragione così spesso come in questi giorni, e in questo caso''.
Hermione non capì, continuava a fissare Ron curiosa, con i gomiti affiancati al cappuccino che le era rimasto, ormai ghiacciato. Decise di non intervenire, aveva l'impressione che Ron non avesse finito.
''Vivere all'ombra di tutti per diciotto anni non è facile, te lo assicuro'' riprese infatti poco dopo. Hermione aveva capito dove si stesse dirigendo. L'unica cosa che non quadrava era il contesto: perché lì, perché tirare fuori il discorso dal nulla?
''Ron non è stata colpa tua. Mai. Sono state le circostanze a portare a quello, e già negli ultimi anni questa situazione è cambiata molto'' provò a consolarlo Hermione, anche se sentiva che quella non fosse tutta la verità. 
Infatti Ron la stupì con la frase successiva: ''Tu menti''. Aveva parlato piano, ma con tono scontato, quasi aggressivo. Hermione si trovò spiazzata: per nulla al mondo avrebbe tollerato quelle parole quando lei stessa sapeva di aver ragione; ma in quel caso...
''Tu menti e lo sai'' continuò lui. Piccole gocce d'acqua e di pensieri cominciarono a solcarle gli occhi. Non voleva muoversi, o cambiare il modo in cui guardava Ron. Rimase immobile, con espressione indecifrabile. 
Ron riprese, sempre con quel tono calmo e odioso: ''Vivere da sesto fratello, da migliore amico di due maghi così intelligenti, così portati e potenti, senza avere particolari capacità è difficile. Troppo difficile. Non lo sopporto più''. Stavolta Hermione si adirò davvero. Per la prima volta in una delle loro discussioni fu lei ad alzare la voce per prima: ''Allora secondo te perché io sono qui? Dimmelo! Adesso, dimmelo in faccia! Perché sono qui ad ascoltarti, con una grande voglia, 'te lo assicuro' (lo schernì), di alzarmi e lasciarti da solo, stupido bambino dai capelli rossi?''. Ora era Ron ad aver assunto l'espressione da pulcino bagnato. I suoi occhi si erano ritirati, come le spalle e le gambe sotto il tavolo, sotto le parole di Hermione. Lei si era allungata con il busto sul tavolo: lo guardava dall'alto; una madre che rimproverava un bambino viziato. 
''P... perché...'' mormorò Ron, esitante, ma Hermione non lo lasciò finire dicendo, ormai con le lacrime che scorrevano veloci sul viso candido: ''Perché ti amo Ron! Forse ancora non lo hai capito, ma io ti amo! I tuoi genitori ti amano! I tuoi fratelli ti amano; Harry ti ama; il mondo ti ama! Non lasciare che i casi della vita abbiano la meglio sulla tua personalità, tu sei quello che sei, non quello che hanno fatto gli altri. È lo stesso discorso che mi hai fatto a casa tua, prima di partire, prima di quella notte meravigliosa sotto le stelle! Tu, che mi avevi detto di pensare a me stessa; tu, che avevi maledettamente ragione in quel caso, ora cadi nella stessa trappola! Pensa a quello che sei Ron, ti prego! Sono finiti i tempi in cui sei secondo a tutti! Pensa! Negli ultimi anni eri sempre al centro di tutto, come me, come Harry, a volte più di entrambi. Hai distrutto gli Horcrux, mi hai salvata dall'Ufficio Misteri, sei entrato nella Camera dei Segreti senza parlare serpentese... Non basta tutto questo? Non basta che io abbia scelto te? Sei davvero superficiale, sembra che non ragioni! Pensi solo a quello che ti fa star male, trascurando le cose belle, che sono tante nella tua vita! E non capisco come mai torniamo a litigare sempre sulle stesse cose, sono stufa, Ron. Quindi cresci, e guardati intorno. Io sono qui. Insieme a te. Non hai nulla di cui preoccuparti ora. Te lo prometto''.
Man mano che andava avanti, il tono della voce si affievoliva, le lacrime smettevano di scendere. Guardava Ron supplichevole, ma anche in modo superiore, come se volesse fargli capire di essere sopra di lui, ed effettivamente lo era. Lui non aveva mosso un dito da quando lei aveva iniziato a parlare, ma la ascoltava attentamente, sperando che finisse prima possibile. Hermione rimase ferma a fissarlo. Era un silenzio molto strano, particolare. 
All'improvviso, dopo quelli che parvero minuti, Ron si alzò e, mentre Hermione pensava che stesse girando il tavolo verso di lei, si diresse verso la cassa, per pagare. Hermione rimase ancor più sconvolta, ma non arrabbiata. Ron tornò qualche secondo dopo, e disse, sorprendendo ancora Hermione: ''Andiamo'' ed uscì dal caffé, tendendole la mano. Lei si alzò senza prendere la sua, e lo seguì. 
Faceva freddo, si erano abituati al calore del locale. Ron, che ora sfoderava un leggero sorriso, allungò il braccio lungo le spalle di Hermione, che lo scostò subito.
''Ron basta! Forse non hai sentito cosa ho detto, ma non me ne stupirei! Sei solo un ragazzino viziato che non capisce nulla del mondo!'' disse di nuovo gridando, girandosi dall'altra parte. 
''Hermione ma cosa dovrei dirti?! Hai ragione! Sono solo un ragazzino viziato dai capelli rossi!'' disse Ron comprensivo.
''Un ragazzino che, per sua fortuna, ha una persona al suo fianco che tutti gli invidiano. Hermione sei tutto, troppo, per me. Sei la persona migliore del mondo. Sei la mia ragazza, la mia migliore amica, e con le parole di prima, per un attimo, quasi mia madre. Che dovrei dirti?''.
''Beh, credo che un grazie sarebbe potuto andare bene...'' rispose lei acida, ma un po' ammorbidita. Ron la guardò con il suo sguardo vispo, naturale, quello che faceva impazzire Hermione. E la baciò follemente. Quel bacio valeva come un milione di grazie. Quel bacio era strano come il loro rapporto. Ma come quel bacio, la loro storia era piena, zeppa, completamente traboccante di meravigliosa passione.

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Capitolo 15
*** Capitolo XIV - L'oblio remoto ***


''L'idea è stata tua, quindi ora suggerisci qualcosa'' disse Hermione compiaciuta, guardando Ron. Erano seduti intorno al tavolo di legno nella tenda, con il telefono davanti a Ron e qualche foglio bianco al centro. Avevano girato un po' in centro e dopo pranzo erano tornati alla tenda per discutere del messaggio da far passare con l'aereo. La discussione della mattina era completamente superata, quasi come se non fosse mai avvenuta.
''Lo so Hermione, ma se non mi viene niente di interessante in mente non è colpa mia'' rispose Ron tranquillo. 
Lei sbuffò sonoramente, e si rituffò sul foglio con la sua amata piuma d'oca in mano. 
''Cerchiamo di fare più ipotesi possibili, poi sceglieremo la migliore. E nella peggiore delle ipotesi chiederemo aiuto all'agenzia'' riprese lei, poi guardò divertita gli occhi quasi preoccupati di Ron: ''Su su un ipotesi, Weasley''. 
Ron ridacchiò prima di rispondere in tono ironicamente formale: ''Allora, professoressa, tenendo conto del fatto che questo debba essere un messaggio corto, o quantomeno non lungo, dovremo porre particolare attenzione alla scelta delle parole prima di selezionare un messaggio vero e proprio...''. Aveva sottolineato volutamente ogni parola inusuale, ed Hermione rise senza freni quando finì. 
''Per favore Ron - poi dovette interrompersi per ridere ancora - stiamo parlando seriamente'' disse Hermione, che voleva far tornare la conversazione su livelli pratici, senza successo. Aveva parlato col sorriso sulle labbra, e Ron, come spesso gli capitava, era rimasto catturato. Quando Hermione si accorse che non la stava ascoltando, inizialmente si arrabbiò, ma poi notò che la stava guardando con sguardo perso, e si calmò. Poi parlò, seppur sorridendo, in tono serio, guardando Ron negli occhi, dolcemente: ''Ron, dai. Prima organizziamo meglio sarà per tutti''.
Ron si svegliò improvvisamente dalle sue fantasie, poi notò che gli occhi di Hermione fissavano i suoi e disse, prima calmo e in seguito esclamando: ''Scusa, amore. Hai ragione, adesso facciamo tutto!''. 
Sfilò con forza il foglio dalle braccia di Hermione e cominciò a scrivere tutte le frasi che gli venivano in mente; come se le avesse sempre avute dentro e fosse stato incapace di tirarle fuori.
Hermione si alzò dalla sedia e andò verso Ron, per vedere meglio, e appoggiò il braccio destro sulla sua spalla sinistra. I primi messaggi non le piacevano, ma una forza interiore le consigliò di non interromperlo, di lasciarlo continuare a sfogare le sue idee. 
Ron continuò a scrivere per quasi un minuto di fila, senza staccare un attimo gli occhi dalla carta. Hermione era visibilmente contenta, quasi commossa. 
Dopo qualche tentativo, Ron riuscì a stuzzicare le idee di Hermione, e finalmente al termine di uno sforzo mentale enorme, nonostante neanche se ne fosse davvero accorto, girò la testa e smise di scrivere. 
Poi, senza curarsi di Hermione, in caso avesse voluto dire qualcosa, disse, come a giustificare quello che aveva scritto: ''Allora, la cosa che sicuramente dovrà essere presente nel messaggio è il numero di telefono. Subito dopo, il nome dei tuoi genitori. Il nome che hai dato - aggiunse immediatamente perché Hermione lo aveva fulminato con un'occhiata irata - ai tuoi genitori, scusa. Però... non sono ancora completamente convinto...''. Hermione aveva ascoltato attenta, ed era della stessa opinione di Ron. Sia sugli elementi che dovevano comporre il messaggio, sia sul fatto che probabilmente non fossero ancora arrivati al risultato finale. 
''Hai ragione. Dobbiamo solo trovare una soluzione che ci soddisfi, non c'é problema'' disse tranquilla lei, che non era assolutamente preoccupata. Il messaggio era l'ultimo dei pensieri in un piano con tante cose che sarebbero potute andare storte. 
Ron restò zitto per qualche secondo, annuendo in silenzio. Poi parlò calmo: ''Insomma? Che dici? Quale preferisci?''. 
Hermione lanciò uno sguardo veloce al foglio, per poi confermare ciò che stava pensando: ''Siamo sulla strada giusta, ma non c'è nessun messaggio che mi accontenti''. Ron annuì di nuovo. Restarono in silenzio per un po', poi Ron propose: ''Senti, perché non andiamo all'agenzia e sentiamo che consigli possono darci?''. 
''Sinceramente, secondo me sarebbe una perdita di tempo'' rispose lei.
''Però non è detto che questo sia una tappa inutile. Essendo lì potremmo anche fare tutto insieme: decidere il messaggio e organizzare sul farlo passare'' aggiunse Ron. A quello, Hermione non aveva pensato. 
''Cavolo! È vero! Non... non c'ero arrivata'' disse ridacchiando.
''Tranquilla. Questo è un Weasley diverso da quello di Hogwarts, indubbiamente...'' disse Ron riprendendo il tono formale precedente. Hermione sorrise sincera. 
''Comunque sono ancora le due. Prima di un paio d'ore i negozi non aprono, quindi rilassiamoci un attimo e quando si fanno le quattro usciamo'' consigliò Ron.
''Va bene'' rispose Hermione, che si gettò di peso sul letto. Era stanca, sfinita, priva di forza; ma almeno aveva Ron. Lui invece rimase seduto sulla sedia di legno ed appellò il Manuale degli Incantesimi dal comodino che affiancava il suo lato del letto. Aveva preso l'abitudine, apparentemente senza motivo, di sfogliare il Manuale in cerca di qualsiasi cosa che avesse potuto incuriosirlo. All'inizio era rimasto sorpreso da questo suo costume; leggere libri di scuola come passatempo era tipico di Hermione, ma il fatto che, probabilmente, a scuola non sarebbe più tornato lo aiutava in quel senso. Sfogliando sempre di più il libro capì sempre meglio che scoprire tutti i punti dell'arte magica era qualcosa di pressoché impossibile: c'erano incantesimi che necessitavano di oltre due mesi di apprendimento, fatture da provare solo con l'alba o il crepuscolo, magie antiche che necessitavano di complicate traduzioni dalle rune. Il Professor Vitious non era mai arrivato a far comprendere ai propri studenti incantesimi così avanzati, ma forse, pensò dopo, perché li avrebbe lasciati per l'anno dei M.A.G.O.. 
Era stranamente avido di sapere, curioso ad ogni nuova pagina. Se Harry fosse stato lì non avrebbe esitato a prenderlo in giro, al contrario di Hermione, che aveva già manifestato orgoglio nel vederlo sul Manuale: ''Stare con me ti è servito a qualcosa, dopotutto...'' ripeteva sempre, spesso facendo l'occhiolino. 
Dopo qualche minuto, Ron si accorse di stare scomodo sulla sedia, e raggiunse Hermione, intenta a leggere qualcosa di inusualmente leggero, sul letto. Lui non aveva sonno, aveva solo bisogno di stare sdraiato, riposato, per un po'. Continuò a sfogliare il libro (che doveva ammettere era tremendamente lungo) fin quando gli occhi stanchi gli caddero sul titolo di un paragrafo, verso la fine del Manuale. Il suo cervello si svegliò all'improvviso, la mente si riattivò. Lesse di fretta ma attento, una crescente agitazione lo assaliva ogni parola.
Era possibile? No... non poteva essere. La risposta poteva essere lì, tutto quello che avevano fatto fino ad allora poteva essere stato completamente inutile. Ma era una possibilità remota. 
''No - si disse spaventato - non è possibile. Non può essere''. Girò d'istinto la testa verso Hermione, che aveva chiuso il libro e si era addormentata.
''Possibile che... lei? Perfino lei?''.

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Capitolo 16
*** Capitolo XV - La via della mente ***


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Non era una condizione normale, doveva dirselo. Camminava come se fosse su dei binari, il nulla sotto di lei, una sfumatura grigiastra sullo sfondo vaporoso. C'era uno scopo, un fine in tutto quello; una situazione casuale che doveva essere risolta, e la risposta si sarebbe trovata presto, lo sapeva. Andava avanti quasi senza accorgersene, il caos restava piatto intorno a lei. Non c'erano voci o altre persone, solo un lontano ma fastidioso rumore indistinto, un alone di vero a tutta quell'irrealtà. Gli occhi le puntavano avanti, verso un punto di fuga incompreso, il punto più lontano dell'infinito presente; poi guardò giù, verso i suoi piedi, ma scoprì che non c'era nulla. Il fatto non la sconvolse, al contrario la fece divertire, curiosa. E all'improvviso capì qual era l'unica fonte di luce distinta in quel posto di gas ombroso: lei. Ma lei non era una persona, non era solida, non aveva corpo, eppure c'era. E, come prima, la cosa non la turbò. Era libera, respirava grandi boccate di aria inspiegabilmente pulita e pura e continuava imperterrita nella sua camminata lenta. Non aveva bisogno di parlare, quindi non scoprì se avesse o meno la bocca o la voce. Lo spazio intorno a lei continuava ad evolversi rimanendo sempre uguale, la stessa consistenza e stessi colori, ma forme diverse. Solo il punto remoto davanti a lei restava bianco e fermo, ma emanava una luce cupa, poco limpida. Non tirava vento, era tutto di una odiosa calma piatta, ma faceva freddo, ed era un senso opprimente, anche se probabilmente non aveva modo di captarlo. Cominciò a girare lo sguardo, perché non si poteva parlare di occhi, a destra e a sinistra, incuriosita dalle grottesche forme che prendevano i brandelli di caos nell'ambiente. Lenti vortici di materia nera che danzavano armoniosi, turbolenti mulinelli tempestosi e calme onde scure cambiavano ogni secondo il paesaggio, che però manteneva una solidità inaspettata essendo fatto praticamente di composti immateriali. Non c'era strada, ma procedeva diritta, costante, schematica. Poi, dopo molto tempo, o forse poco, prese a salire improvvisamente, con la luce bianca che continuava a starle davanti anche dopo aver cominciato la salita. Il tutto si strinse, come se i confini si stessero avvicinando e le ombre e le forme cambiarono i movimenti. Ora cambiavano repentinamente, e non conferivano più un'idea di disordine calmo, ma di confusione, sregolatezza, anarchia. Un senso di paura superò quello di sicurezza in pochi secondi. I vortici di materia prendevano forme oscure, familiari e sembravano un predatore pronto ad attaccare; perfino il rumore di sottofondo si fece più forte, entrava nella testa creando smarrimento. Era una trappola? Poteva temere qualcosa anche senza avere corpo? Contrasse la mente, respingendo quel pensiero, e continuò ad andare avanti. La situazione però la agitava, ora si guardava costantemente preoccupata ai lati e alle spalle, impaurita. Non pensò ad iniziare a correre, anche perché non sapeva se avesse potuto. E poi, come sospettava, fu un attimo. Un grosso pezzo di caos violaceo si alzò dal basso e, mentre prendeva la forma di una creatura demoniaca, la attaccò da davanti, tutto in pochissimi momenti. Era già rassegnata all'impatto quando un'altra onda di materia si staccò alla sua destra e prima che la precedente ombra agisse, circondò  lei per proteggerla. Il demone si girò subito, spaventato, e scappò via per rimescolarsi al muro indefinito di movimenti. La bolla che l'aveva protetta aveva un colore leggermente diverso dal resto: era una sfera dalla dimensioni di una pallina da tennis di colore bianco-rossastro, che si era divisa in infiniti pezzi più piccoli a creare una barriera per scacciare l'ombra nera. Lei voleva ringraziarla, esporre la sua gratitudine in qualche modo, ma la sfera, dopo averle girato parecchie volte intorno, curiosa, si era allontanata, rimanendo comunque ad una distanza calcolabile. La sfera anticipava il suo cammino, ma sembrava che non volesse avere altri contatti stretti con lei. Le forme di caos, dopo l'attacco sventato, avevano preso forme molto contorte, ancora meno decifrabili, ed il rumore di sottofondo assomigliava sempre di più ad un brusio fitto ed indistinto. Continuava a camminare in salita e si avvicinava a velocità maggiore ogni secondo che passava alla sua meta, la cupa luce bianca sullo sfondo, anche se poi ricordò che nessuno le aveva mai detto che era quella la fine della corsa. Però doveva andare così. Tutto quello sarebbe svanito appena avrebbe toccato la luce. Lo sapeva, perché la strada che aveva intrapreso portava dritta lì. Intanto la chiara sfera rossastra continuava ad illuminarle la strada, ed era l'unico punto acceso dell'ambiente intorno a lei, poiché il punto grigiastro sullo sfondo non era limpido né pienamente luminoso. All'improvviso la strada tornò in piano, ma divenne improvvisamente scoscesa, come se fosse stata sterrata. I binari invisibili sui quali lei correva ora erano caratterizzati da continue scosse e buche, nonostante si continuasse a non vedere nulla che potesse ospitarle. La sfera continuava a volteggiare fluidamente davanti a lei, precedendola. Il fondo perlaceo si avvicinava sempre più velocemente e un senso di crescente eccitazione la invase prorompente. Il rumore di sottofondo mutò all'improvviso in silenzio totale. Era una situazione più che strana. Le domande sul come poteva trovarsi lì, sul cosa ci facesse, su quello che stava per succedere erano scalate in secondo piano, adesso serviva solo andare avanti passo dopo passo, sulla strada che in contemporanea all'avvento del silenzio era tornata liscia e scorrevole. L'ambiente intorno stava diventando sfocato, poco definito, mentre la palla di luce aumentava gradualmente la propria luminosità. Poi questa si fermò. Lei proseguì senza accorgersene, fin quando quasi sbatté contro la sfera immobile. Si accorse che fosse successo qualcosa quando si avvicinò di più alla sfera, e un opprimente senso di calore la attraversò. Lei si arrestò a pochi centimetri dalla sfera e per qualche secondo entrambe si studiarono. La sfera cominciò a muoversi lenta, poi, improvvisamente, scattò in avanti e cominciò ad girarle velocemente intorno, finché un vortice scarlatto la avvolse completamente. Aveva caldo, il respiro si fece affannoso. Poi mosse gli occhi. Le mani le scendevano sul corpo, i folti capelli bruni sulle spalle, fredde lacrime sul volto inespressivo ma felice. Però c'era qualcosa di strano. Non era vestita, il suo corpo non aveva la consistenza di una persona, le parole non uscivano dalla bocca fina. Stava ragionando quando la sfera rallentò e tornò nella posizione precedente. Per un attimo un brivido freddo la percosse; temeva che sarebbe tornata allo stato precedente, invece si meravigliò del fatto che quello non accadde. Aveva quasi tutto. Si sentiva incompleta, insicura, priva di forze. Appena guardò la sfera, però, tutto divenne a posto, il primo pensiero tornò sul pallido bagliore in fondo. Riprese a camminare lentamente, gli occhi fissi sulla sfera di luce, che volteggiava danzando davanti a lei. Era incuriosita dai suoi movimenti leggiadri, e da quello che la sua presenza aveva comportato. Ma perché aveva deciso di aiutarla? Continuò a camminare riflettendo e la sfera si fermò di nuovo poco dopo, e stavolta anche lei si bloccò istintivamente. La sfera riprese a studiarla, ora da ferma però. Scattò di nuovo in avanti e le entrò nel petto. Hermione provò una istantanea sensazione di piacere profondo, una fitta al cuore, la mente le si chiuse soddisfatta come gli occhi, il respiro si calmò; un ultimo pensiero al bagliore opaco, a sé stessa, alla sfera di luce, e poi tutto divenne nero.

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Capitolo 17
*** Capitolo XVI - Io con te ***


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Hermione si svegliò agitata, aveva il respiro affannoso, tremava. I suoi occhi erano passati in pochi istanti dall'essere tranquilli al guardarsi intorno vigili e attenti, quasi spaventati. Era un solo un sogno. Ma anche se non si trattasse propriamente di un incubo, le immagini che aveva visto le avevano generato uno strano senso di paura dell'ignoto. Non ricordava bene tutti i particolari, e neanche voleva scavare nella memoria per farlo, ma la forma della sfera di luce le era rimasta stranamente impressa nella testa. 
Ron si accorse che Hermione era sveglia qualche minuto dopo, quando uscì dal bagno cercando di fare meno rumore possibile. Il Manuale degli Incantesimi era prepotentemente aperto da ore sul suo comodino, ma il primo pensiero non fu per quello.
''Ah sei sveglia'' disse all'inizio tenero. Poi notò che Hermione era ancora intenta in lunghi ragionamenti, e non lo stava ascoltando, e vide una strana ombra nel suo sguardo di solito limpido e sereno.
''Ti... ti senti bene? Che succede?'' riprese improvvisamente preoccupato.
Lei si girò verso di lui di scatto, e si accorse che era molto che non cambiava postura. Dire bugie o evitare la verità in quel caso era completamente inutile.
''Ciao Ron - disse lentamente, cercando di far trasparire naturalezza nelle parole - si, tutto... a posto. Era solo un sogno''. Ron parve leggermente rassicurato. 
''Che hai sognato?'' chiese lui, mentre gli occhi di Hermione si gettavano ancora nel vuoto. Il viso di lei aveva preso la magnifica espressione pensierosa che lo caratterizzava. La bocca perfetta si mosse impercettibilmente: ''Io... non... non lo so, Ron. Era un sogno strano, astratto. E non voglio pensarci più. Non voglio avere preoccupazioni, bastano e avanzano quelle che già ho. Ora prepariamoci ed usciamo, non mi va di perdere altro tempo''. Poi si alzò di scatto, e Ron pensò involontariamente a quello che invece lo opprimeva straziante: ''Glielo dico o no?''. L'oscura scoperta avrebbe potuto essere nulla se il piano fosse andato a buon fine, ma in caso contrario avrebbe consentito di guadagnare un sacco di tempo.
''E poi, non è comunque detto che sia andata così...'' si disse Ron per convincersi, che era propenso a non dire niente, soprattutto dopo le parole di lei e la sua fermezza nel far proseguire il piano.  Poteva essere un dato casuale come la svolta di tutto.
''Non ci devo pensare. Se non funziona posso provare a chiederglielo, ma ora no'' concluse. 
Hermione nel frattempo era uscita dal bagno cambiata e aveva fatto cenno a Ron si seguirla verso l'uscita. Dopo aver appellato i cappotti per tutti e due, Hermione prese la mano di lui e si Smaterializzò nella buia e familiare stradina secondaria del centro, ancora umida per la pioggia. 
''Chiediamo in giro se c'è una tipografia. Sicuramente avranno contatti'' consigliò lei e Ron, non essendo pratico del mondo Babbano, acconsentì. 
Ron, nonostante fosse giunto ad una decisione, continuava a pensare agli sviluppi che quella situazione potesse generare. Hermione si accorse del suo viso pensieroso appena uscirono dal vicolo. Si fermò e Ron con lei.
''Ehi, tutto a posto?''.
Ron fu preso da uno strano senso stringente all'altezza dello stomaco. Deciso a restare sui suoi passi, aprì la bocca per parlare, ma non uscì alcun suono. Si accorse di dover essere molto buffo in quel caso, ma un bacio improvviso di Hermione gli tolse dalla mente tutti i pensieri. Quando si separano, entrambi col sorriso sulle labbra, lei disse: ''Su, Ron, andiamo''. Ron annuì senza staccarle gli occhi di dosso. Ogni volta che erano così vicini e felici avrebbe voluto restare in quel modo per tutto il resto della vita. Quanto la amava in queste uscite passionali, pensò; troppo. Se avesse potuto scegliere, avrebbe deciso di vivere l'ultimo momento di coscienza a contatto con gli occhi di Hermione. 
Riuscirono senza troppe difficoltà a trovare una tipografia, dove trovarono il numero di telefono e l'indirizzo di una agenzia di pubblicità che metteva a disposizione degli aeroplani per il passaggio dei messaggi. Usciti dal piccolo negozio, si coprirono le teste coi cappucci: aveva ricominciato a piovere. 
''Odio la pioggia'' disse Ron, imbronciato. Hermione rise divertita mentre lo osservava indossarsi il giubbotto al contrario e, quando se ne fu accorto, cominciò a ridere di gusto anche lui. In testa gli balenò un altro pensiero: ''Ma perché, vogliamo parlare del sorriso?''. 
Hermione evocò un ombrello grande abbastanza da coprire tutti e due, poi prese per mano Ron e si Smaterializzò vicino all'agenzia di pubblicità. Quest'ultima si trovava in un grosso grigio capannone vicino al porto, sicuramente una zona industriale a giudicare dalla presenza di moltissimi altri capannoni tutti uguali.
''Come hai intenzione di fare per pagare?'' chiese Ron.
''Diciamo che concederò loro una possibilità. Sennò...'' lei non finì la frase ma arrossì e sorrise. 
''Allora faccio parlare te'' aggiunse lui scherzoso.
Hermione rispose dopo aver terminato di ridere: ''Va bene'' e aprì il grosso portone di metallo del capannone.
Questo aveva un soffitto altissimo, e assomigliava più ad una fabbrica che ad una sede amministrativa. Il minuscolo ufficio era ricavato in uno dei quattro angoli, ed era davvero minuscolo oltre ad essere pieno di cartoni e scartoffie. Intorno, qualche sedia sparsa doveva costituire la sala d'attesa. Ron e Hermione si sedettero vicini, in attesa. Prima di loro erano arrivate altre tre persone, e due di queste erano in fila insieme, mentre nell'ufficio il funzionario stava ricevendo qualcun altro. 
''Guarda Ron, sembra un hangar!'' sussurrò Hermione entusiasta. Lui la guardò strano. 
''Cos...''.
Ma poi capì cosa voleva dire. Sul muro opposto del capannone erano fermi in colonna tre o quattro piccoli aeroplani, e nel resto dello spazio si potevano trovare motori in disuso, ali piegate e telai ammaccati.
Ron girò velocemente lo sguardo meravigliato: ''Mio padre sarebbe svenuto dall'emozione!''.
Hermione rise sincera. Poi Ron, con l'atteggiamento di chi deve compiere un'azione importante, petto in fuori e occhi all'orizzonte, si alzò e si diresse furtivo verso uno degli aeroplani in fase di riparazione e sparì poco dopo dietro un blocco di travi di metallo.
Hermione aveva forse capito cosa volesse fare, ma pensò ironica: ''No, non lo farà, non credo che voglia farsi insultare per il resto della vita...''. Intanto il primo cliente era uscito dall'ufficio, ed entrarono i due signori in giacca e cravatta. 
''Fa che sia tornato quando toccherà a noi, o lo uccido''. 
Intanto, per far passare il tempo, tirò fuori la borsetta di perline che ormai era diventata una fidata compagna e cominciò a cercare nelle sue profondità qualcosa di strano, insolito, o che aveva dimenticato di aver inserito.
Il coltello di Sirius, il Deluminatore, diversi libri e medicine, fino ad arrivare quasi a toccare il fondo. C'era qualche moneta e alcuni bottoni, ma la sua attenzione fu catturata da due oggetti di dimensioni leggermente più grandi, che all'inizio non capì cosa potessero essere, ma un attimo dopo ricordò, e una fitta al cuore la invase. Tirò fuori i due piccoli oggetti con le lacrime che cercavano prepotentemente di uscire per solcarle il viso. Quando stava per tirarli fuori, chiuse gli occhi per non vedere e fece scivolare un oggetto per mano. Stava respirando profondamente quando un tocco sulla spalla interruppe quel particolare rituale.
Lei aprì improvvisamente gli occhi, pronta a ringhiare verso chicchessia, ma la vista di Ron la calmò all'istante. 
''Stai pregando?'' chiese lui sorridendo.
Lei lo guardò annoiata, pensò a quanto poteva essere superficiale a volte, ma poi rifletté sul quanto potesse sembrare idiota in quella posizione.
''No... è... è un'altra cosa''. Le balenò una strana idea in testa, e decise di seguirla dicendo: ''Ron apri le mie mani e guarda che c'è dentro''. Lei richiuse gli occhi in attesa, mentre Ron le afferrava e apriva la mano destra. Hermione si aspettava una reazione, invece Ron mollò la presa dicendo: ''Aspetta un attimo senza aprire gli occhi''. 
Uscì dal capannone e appellò dalla tenda, senza fregarsi di nulla, una cosa che aveva trovato la mattina stessa.
Tornò dentro dopo circa un minuto, e riprese la mano di Hermione: ''Non aprire gli occhi eh. Ora apri la mano destra''. Lei obbedì, e sentì prima scivolare via l'oggetto che teneva, poi toccò col palmo un qualcosa di diverso, più grande e circolare. Fece per parlare, ma Ron le richiuse le dita, zittendola.
''Vai, ora apri'' disse Ron, che si era seduto con la sedia davanti a lei, ed Hermione aprì prima gli occhi e poi le mani.
Nella sinistra, come l'aveva lasciata, c'era la spilla da Prefetto di Ron, un po' impolverata ma ancora perfetta; mentre nella destra si trovava un oggetto schiacciato e tondeggiante, girato dalla parte dell'attaccatura. Lei lo voltò curiosa, ma aveva già capito. Un senso di commozione la avvolse, un sorriso di meraviglia le scaturì dal viso. Nella mano aveva una vecchia spilla del C.R.E.P.A., un po' ammaccata e scolorita, e stupendi ricordi le affiorarono in testa. Quasi in lacrime, guardò Ron davanti a lei che ancora sorrideva. 
''L'ho trovata nei calzini che mi hai dato stamattina. Sai, quelli di cotone che ti ho detto di cambiare. Era lì dentro, chissà da quanto, poi. E non puoi riuscire a comprendere quante cose mi sono tornate in mente'' disse lui sognante. Lei non riuscì a parlare, Ron la sorprendeva ogni giorno di più e le parole non bastavano a spiegare ciò che provava. Ormai calde lacrime le avevano riempito gli occhi. 
Poi Ron riprese indicando la spilla da Prefetto di Hermione nella sua mano: ''E queste le ho messe io prima di partire nella borsa. Non sapevo perché e neanche se le avessi mai trovate, ma erano due piccole cose stupide che ci univano''.
Lei rispose, con la voce spezzata dai singhiozzi: ''Allora da qui a sempre io terrò la tua e tu la mia''.
Ron annuì lentamente, senza smettere di guardarla. Poi lui le gettò le braccia al collo e la baciò. Lei aveva nelle mani due spille, Ron una sola. Ma lui aveva quella di Hermione, e lei quella di Ron. Quelle spille non sarebbero mai state abbandonate, come le persone a cui appartenevano.

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Capitolo 18
*** Capitolo XVII - Quegli occhi solo miei ***


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Quando uscirono dal piccolo ufficio, Ron ed Hermione furono felici di allontanarsi dalle facce sconvolte delle altre persone in fila, che avevano colto la strana situazione precedente in modo strano, ma tutto sommato aderente al tipo di avvenimento. Erano stati oggetto di sguardi torvi da quando avevano iniziato a sussurrare sottovoce, e ancor di più quando le loro labbra si erano toccate.
''Strani i ragazzi al giorno d'oggi''.
''Sono stranieri, che ne sai tu di cosa è di costume in Gran Bretagna...''.
Il colloquio con il dirigente era stato abbastanza rapido e risolutivo, anche perché quest'ultimo era piuttosto propenso, si capì subito, più a dare una mano  ad una bella ragazza che a Ron. Continuava a parlare soltanto con Hermione, lanciandole occhiate non da poco, e lei rispondeva con entusiasmo e simpatia, quasi non accorgendosi del broncio di Ron che andava via via aumentando. 
''Ti va un caffè?'' chiese lei solare, quando erano appena usciti dal portone di metallo. 
Lui non rispose subito; non voleva far partire una discussione, ma la determinazione ebbe la meglio: ''Potresti chiedere al signor Micheals, o come si chiama''.
Il sorriso di Hermione rimase stampato sul viso, purché un po' più incerto; probabilmente, si disse Ron, non era stata attenta durante il colloquio.
''Ma che dici?'' rispose lei.
''Spero che te ne sia accorta, o è grave''.
Lei alzò il sopracciglio, sorpresa. 
''Che cosa stai dicendo Ron, sei scemo?'' replicò decisa ma affettuosa.
Il leone nel petto di Ron suggerì che era giunto il momento di ruggire.
''Come ti guardava, diavolo, l'hai visto? Non ti ha staccato gli occhi di dosso per tutto il tempo, e tu che continuavi a dargli corda! Perché credi che ci abbia fatto scavalcare tutta quella gente sulla lista? Perché continuava a parlare solo con te? Diavolo, pensavo te ne fossi accorta, anche perché ti garantisco che era difficile non farlo'' urlò Ron, che in pochi secondi era diventato completamente rosso, le vene risaltavano, il cuore batteva forte. 
Hermione si fece involontariamente piccola piccola. 
Era successo davvero?
Era stata davvero talmente ottusa da non accorgersene?
Perché si era lasciata trascinare, curandosi solo di sé stessa?
Cercò di non far trasparire ciò che pensava, ma ci riuscì male. 
''Scusami, Ron, ma non credo che ci sia bisogno di creare una tragedia'' rispose autoritaria, ma con la voce ridotta ad un sussurro. 
Lui distolse lo sguardo. Era sudato, arrabbiato, livido. Sapeva di avere ragione, ma l'ultima affermazione di Hermione lo aveva fatto riflettere: era la stessa situazione di qualche giorno prima, alla Tana, quando lui si era arrabbiato per le sue parole, così noncuranti di sé stessa? 
''Non voglio che ogni volta che andiamo in giro chiunque ti metta gli occhi addosso'' disse piano.
Lei sorrise e posò la mano sulla spalla di Ron, che si era allontanato di qualche metro, dandole la schiena. 
''Non capita spesso''.
''Non è vero. Ti ricordi l'anno scorso, quando siamo fuggiti dal matrimonio di Bill, quelli che ti fischiavano dall'altra parte della strada?'' aggiunse Ron, che ora quasi piangeva.
Lei esitò un attimo, poi rispose: ''Si, e allora?''.
''Non lo sopporto''. 
Lui cominciò a camminare, non sapeva verso dove, ma i passi scaricavano a terra parte dei sentimenti che provava.
Hermione lo seguì a qualche metro di distanza, poi Ron si fermò all'inizio di un grigio molo del porto. 
Lei lo raggiunse e lo prese per mano, verso una diga di scogli che affiancava il cemento. Ron si fece trasportare, ma non la guardava. Si vergognava.
Si sedettero entrambi con la faccia verso il mare, l'orizzonte, l'ignoto. Lei non guardava lui, lui non guardava lei, ma Hermione stava a testa alta, Ron piangeva silenziosamente sulle ginocchia. 
Poi, dopo quella che parve un'eternità, Ron disse fra i singhiozzi: ''Perché sei qui? Sicuramente quel deficiente di prima non piange come un ragazzino viziato. Vai da lui, no?''. 
Hermione rimase offesa, ma non si mosse e mantenne un tono di voce normale: ''Sei geloso, Ron?''.
Lui si morse il labbro a sangue, gli occhi che bruciavano. Sembrava che l'arcano rito dello scambio delle spille non fosse mai successo. L'orgoglio o il cuore? O forse erano facce diverse della stessa medaglia?
''Diavolo, si!'' urlò. 
Lei represse una risata che cercava prepotentemente di uscire. 
Poi prese un piccolo pezzo di legno davanti a lui e cominciò a spezzarlo in più pezzi possibile: ''E andrei in giro a pestare chiunque posa i suoi dannati occhi sulla mia ragazza'' e concluse la frase in modo decisamente poco ortodosso. 
Una strana voglia di ridere invase Hermione, che non sapeva spiegarsi il perché. Era perché qualcuno stava finalmente iniziando a curarsi di lei? Forse sì. Afferrò di nuovo la mano di Ron, ormai bollente. 
''E non sopporto quando tu fai come se non esistessi'' riprese freddo. 
Un leggero bacio sulla guancia gli fece abbassare di una ventina di gradi la temperatura. 
''Scusami''.
Poi fu un attimo. Quella parola, quella voce, quella persona, quel posto, bastavano. Si voltò e si gettò in lacrime fra le braccia di Hermione, che lo strinse forte, e posò il viso sulla spalla di lei. Hermione aveva capito, quello che aveva bisogno di sostegno e amore ora era lui, ma chiuse comunque gli occhi. Si sentiva a casa. Dopo un po', Ron alzò la testa, ed Hermione lo guardò: era rosso e bagnato, ma il battito era calmo e regolare. Lei sorrise nel vederlo, e quando anche gli occhi di Ron incrociarono i suoi, Hermione prese ad asciugargli il viso con il bordo della felpa. Ron sorrise, e pensò che sorridere era decisamente un'ottima cura a tutti i mali che lo affliggevano. 
Le loro mani erano ancora legate al corpo dell'altro, gli occhi fissi a quelli davanti. 
Hermione decise che ora poteva farsi sfuggire una risata: era da quando Ron aveva confessato della sua gelosia che aveva bisogno di ridere. 
Ron la osservò stupito, i residui di vergogna ancora nel sangue: ''Cosa ridi?'' chiese piano, ma quasi in tono di scusa. 
Lei lo guardò senza rispondere, ridendo ancora più forte, e Ron dopo qualche secondo le andò dietro: vederla ridere era meraviglioso. 
Quando si fu calmata, e ci volle un po', Hermione rispose: ''Sono contenta''.
Ron alzò le sopracciglia: ''Ma sei matta? Fino ad un minuto fa ti urlavo contro e ora sei contenta?''.
''Sono felice che tu sia geloso di me''.
Ron arrossì violentemente, le pupille si dilatarono, il cuore riprese a correre. Hermione era tornata improvvisamente seria e aveva distolto lo sguardo, voleva farsi desiderare, infatti rimase sorpresa nel notare Ron restare fermo, senza dire nulla. 
Continuò a non guardarlo, ma a giocare con i sassolini e gli oggetti perduti sugli scogli. Dopo qualche minuto, anche un po' arrabbiata dalla noncuranza di lui, provò a parlare; forse Ron non aveva capito che quello era un complimento. 
''Senti, Ron, no...'' poi nulla uscì più dalle sue labbra, la voce non emetteva più alcun suono: Ron era tornato ad idolatrare la sua bocca ancor più velocemente rispetto a quanto aveva fatto in precedenza. Lei non se l'aspettava, ma le parve di cadere in un sonno profondo; non pensò più a cosa stava dicendo, chiuse gli occhi soddisfatta, lasciò andare il cuore. 
Ron aveva scelto di perdere il controllo. Aveva assalito il viso di Hermione con ferocia, istinto ma anche delicatezza. Lei non era pronta al ritmo che lui sosteneva, non lasciava passare un attimo senza baciarla, dovunque, cercando di far liberare anche lei dal fardello opprimente delle parole. Una coppia di leoni affamati dell'altro. C'era quasi violenza in quei baci, in quei gesti, in quelle menti, ma soprattutto una devastante passione, che rompe come un uragano tutto ciò che c'era stato prima. E quelle azioni di dimostrazione d'amore servivano più di mille parole a dire all'altro, da parte di entrambi per motivi diversi: ''Scusa, ma resta''.

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Capitolo 19
*** Capitolo XVIII - Il cuore gemello ***


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''Ma si può sapere che cosa sei andato a fare prima?''.
Ron la guardò stupito: ''Prima quando, scusami?''.
Hermione alzò gli occhi al cielo e scosse la testa: ''Quando sei sparito dietro gli aerei''. 
Il viso di Ron si illuminò, le pupille si dilatarono a vista d'occhio. Si fermò, tirò su dai pantaloni la parte finale del giubbotto di pelliccia e infilò la mano nella stretta tasca destra. 
''Guarda'' disse. Hermione si avvicinò per vedere meglio.
A quanto pareva, Ron aveva passato parecchi minuti a svaligiare e a staccare il più alto numero possibile di piccole parti di metallo dagli aeroplani: la piccola freccia rossa che indica la pressione interna, lo specchietto che mostra l'altitudine, un adesivo che spiega come allacciare i giubbotti di salvataggio, vari bulloni, la parte finale di un'elica rotta e un libretto che conteneva vari dati sull'uso e il mantenimento in volo dell'aereo.
''Non potevo non portare un regalo a mio padre dall'altra parte del mondo!'' disse entusiasta. 
Hermione sorrise un po' per la sua espressione, un po' perché era contenta di vedere tutta la felicità che emanava. 
Ron ripose a fatica tutto nella tasca, poi si rivolse ancora ad Hermione con aria più seria ma comunque divertita: ''Ed ora non ci resta che aspettare''. Lei lo guardò e annuì lentamente, ma senza calore. Lui si accorse della stranezza dello sguardo di lei dopo pochissimi istanti, poiché ormai era abituato a capirla già da un'occhiata: ''Ehi... che succede?'' chiese a bassa voce, mentre Hermione si voltava a guardare il vuoto. 
Lei non rispose e non si mosse. Ron era sorpreso, la afferrò per la spalla più vicina a lui e la costrinse a girarsi. Stava quasi piangendo. 
''Hermione tutto a posto? Che succede? Perché questi cambi d'umore così di colpo?'' domandò lui, agitato e sconvolto da quel cambiamento di stato tanto improvviso. 
Lei continuò a guardare in basso e leggere e soffocate parole uscirono dalle labbra candide: ''È che... e se neanche questo funzionasse? Cosa faremo? È una situazione inquietante, Ron; ad un passo dal successo o dalla fine. Non riesco a far passare pensieri orribili dalla testa, non riesco a pensare positivo''.
Stava parlando a forza, come se non volesse in realtà dire quello che la voce cercava di esprimere. Piangeva in silenzio, gli occhi le si erano gonfiati e arrossati in pochissimo tempo. Ron si sentì in parte responsabile per aver introdotto il discorso, ma mai avrebbe immaginato una reazione del genere: non era facile trovare motivazioni che andassero contro il pensiero di Hermione con così poco preavviso. Effettivamente, pensò lui, quello che aveva detto Hermione era vero. Se non fossero arrivati alla soluzione neanche in quel modo, davvero non avrebbero saputo più dove andare a parare. E poi c'era sempre quella remota possibilità che poteva diventare una variabile interessante quanto pericolosa. 
''Lo so, è difficile, ma bisogna continuare a sperare'' disse autoritario, facendo trasparire una sicurezza che non gli apparteneva e che soprattutto non provava. Finalmente lei si girò, e lanciò un sorriso lacrimevole a Ron, che sorrise di conseguenza. 
''Devo prendere in mano questa situazione. E lei'' pensò Ron, in un moto ardente d'autostima. Si alzò in piedi, afferrò con forza la mano di Hermione e poi le avvolse la vita con il braccio. Lei si lasciò trasportare, era pazza di Ron quando prendeva quelle iniziative improvvise. 
Una fredda brezza si stava alzando dal mare, il buio e le stelle scacciavano velocemente all'orizzonte quello che restava del giorno. Ron chiuse i cappotti di entrambi e, tenendo stretta la mano di Hermione, si Smaterializzò. 
Pochi istanti dopo si trovavano ai margini di una piazzetta pedonale ornata da aiuole, un posto in cui non erano mai stati, a quanto ricordò Hermione. Una vaporosa idea di chiedere a Ron il perché si trovavano lì le passò per la testa, ma era troppo stanca per poterla tradurre in parole. Nella città il vento non soffiava, c'era solo una grande sensazione di gelo alimentata dalle fioche e fredde luci dei lampioni. Senza parlare né lasciare la mano di Hermione, Ron prese a camminare verso destra, in una via di ciottoli che era contornata da varie luci ed illuminazioni sui lati. Hermione era curiosa, le sembrava strano che in una semplice notte d'inverno ci fosse tutta quella vita in quella particolare stradina secondaria di Adelaide. 
Mentre camminavano, e maestosi negozi di vestiti e ristoranti scorrevano veloci di fianco a loro, la mente di Hermione si scrollò gradualmente di dosso tutte le preoccupazioni che la affliggevano, e finalmente riuscì a pronunciare qualcosa, seppur una corta frase strozzata: ''Ron, dove stiamo andando?''. 
Lui si girò verso di lei, sorrise e proseguì senza dire nulla. Hermione lo prese come un gesto dolce, era sicura che Ron sapesse esattamente cosa stesse facendo. Camminarono per una decina di minuti poi, tutto d'un tratto, Ron si bloccò: alla sua destra un portone di ferro ornato d'oro dava direttamente sul marciapiede, delimitando, aiutato da un basso muro di marmo, un enorme giardino alberato nel quale si distinguevano qua e là fioche luci indistinte.
I due si fermarono esattamente al centro del cancello, che improvvisamente si aprì. Ron aveva la testa alta, una in parte buffa aria di sicurezza traspariva a metri di distanza, mentre Hermione era sempre più affascinata ogni secondo che passava, con gli occhi sgranati e visibilmente emozionati. Camminavano in un piccolo vialetto di ciottoli e sassolini bianchi che zigzagava fra l'erba tagliata bassa. Il giardino era talmente grande che erano stati allestiti veri e propri fuochi controllati che riscaldavano l'aria invernale, ed ad ogni tondo tavolino per due persone era presente una debole luce di candela fra i piatti. Nonostante fossero di grosse dimensioni, i bracieri erano posizionati in modo da far restare la maggior parte dello spazio nella penombra, ma comunque non faceva affatto freddo. Hermione era a bocca aperta, si girò verso Ron e scoprì che già la stava guardando, con un leggero sorriso commosso sulle labbra. Il sentiero prese a salire morbido, gli alberi crescevano di altezza ed importanza, ed alla fine del sentiero si vide finalmente una magnifica costruzione, quella che doveva essere la sala ristorante al chiuso, un elegante edificio bianco su due piani, completamente illuminato da tenui luci giallastre. Prima che potessero giungervi, però, Ron si arrestò di colpo: ''Cavolo...'' disse lentamente, e tenendo la mano di Hermione corse via dal sentiero e si nascose dietro un grosso albero frondoso. 
''Ron che stai...?'' disse lei, ma Ron quasi non l'ascoltò; aveva tirato fuori la bacchetta dalla tasca. Hermione non fece in tempo a pensare a nulla, che un improvviso calore addosso la invase: abbassò gli occhi, e notò che indossava un elegante abito lungo basato sul l'associazione bianco-nero. Guardò Ron sorpresa, ma ancor di più fu stupita dal vederlo con uno smoking che aveva appena fatto apparire. Tutto ciò che Hermione provava era impossibile da tradurre in parole. Ron era diventato tutto rosso, voleva sembrare uno con la situazione in mano ma non poteva trattenersi dalla voglia di ridere.
''Ecco, adesso possiamo andare'' disse orgoglioso, ed Hermione lo baciò radiante. 
Tornarono sul viale, e prima che potessero arrivare alla villa un cameriere su rivolse loro e li fece accomodare, su richiesta di Hermione, all'aperto, sotto un grosso pino marittimo. Dopo qualche minuto si riavvicinò per chiedere l'ordine, e con un naturale e disinvolto movimento di bacchetta, Ron mormorò: ''Imperio''. Hermione rise, ma il cameriere non poté sentirla, era già tornato velocemente verso le cucine. Ron guardava Hermione come se aspettasse un rimprovero da accogliere a testa alta. Lei cercò per qualche secondo le parole, ma le uscì un sincero e divertito: ''Tu sei scemo''. Lui scoppiò a ridere, e lei di conseguenza. Era una serata meravigliosa, che neanche sembrava una fredda notte d'inverno per il calore che c'era in quel giardino. Nonostante i fuochi e le candele che si ergevano fra le bottiglie di Champagne, quei due credevano che un po' del calore arrivasse da dentro, da un posto un po' sotto la spalla che si scalda così solo quando anche un suo gemello prova le stesse emozioni. 

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Capitolo 20
*** Capitolo XIX - Non pensare a domani ***


Lettura consigliata con: I'm Yours - Jason Mraz
''Grazie mille, Ron. Non ho parole...'' sussurrò dolcemente Hermione mentre si stavano alzando dal tavolo, dopo una cena sontuosa e soprattutto non pagata.
Ron le sorrise affettuoso: ''È solo perché te lo meriti. Tranquilla, che prima di fare una cosa del genere cerco di capire se quel qualcuno per cui agisco merita ciò che provo''. Hermione era semplicemente meravigliata. 
''Ron, io... non so come...''.
''Ringraziarmi? Non devi, non ho fatto nulla. Come dicevo, ringrazia te stessa, perché soltanto le mie di parole non saranno mai abbastanza''.
Ogni frase era un forte abbraccio in più. Hermione doveva reprimere le lacrime con più forza ogni sillaba che veniva pronunciata. 
''Se continui così io svengo'' disse scherzosa, ma sincera, quasi adorante.
Lui rise, un po' per l'affermazione, un po' perché era felice di essere riuscito a farla divertire, sorridere, dimenticare. 
Percorsero al contrario il viale illuminato che si andava via via svuotando, fin quando, tornati alla piazza pedonale dalla quale erano partiti, Hermione, nel notare che Ron procedeva a passo spedito verso un'altra strada che si allontanava dal posto, disse lentamente, per non turbare la magia che si era creata nell'ambiente: ''Ron, torniamo alla tenda, per piacere. Sono stanca, fa freddo e si sta alzando il vento anche in città''. Ron sgranò gli occhi, non se l'aspettava, ma annuì tranquillo e seguì Hermione verso un angolo della piazzetta deserta. Un'ultimo sguardo all'infinito dei suoi occhi nocciola e venne scaraventato con lei fuori dal mondo. 
Un attimo dopo si trovavano di nuovo al caldo affettuoso della tenda. Hermione si tolse il cappotto e si lasciò cadere sul letto con tutte le scarpe e la borsa, mentre Ron rimase in piedi a sistemare alcuni abiti che aveva lasciato disordinatamente in giro. Lanciò un'occhiata dolce ad Hermione, che respirava profondamente con gli occhi chiusi, e un brivido di freddo lo assalì quando gli occhi caddero sul Manuale degli Incantesimi aperto sul comodino alla destra di lei. 
''Non ci pensare'' si disse, distogliendo lo sguardo. Ma più provava a pensare ad altro, più il nero mostro misterioso si faceva nitido nella sua testa. 
''È una possibilità remota. Non è detto che sia così'' continuava a ripetersi e nella sua testa i suoi ragionamenti prendevano la forma di un'antitesi fra la situazione attuale di speranza e l'ignoto. E in tutto quello c'entrava Hermione, era sempre lei ad essere al centro.
''Perché non dirglielo?''.
Era una domanda a cui non sapeva rispondere, ma doveva essere così. Non doveva aggiungere altre preoccupazioni a quello stato delle cose.
''Lo saprà se tutto questo non sarà servito a nulla'' gli consigliava la parte ottimista dell'animo, quella che cercava di guardare avanti.
''È sbagliato non dirle niente. Deve sapere, deve essere informata. Lei vorrebbe essere informata, perché potrebbe essere fondamentale'' diceva invece una voce più profonda, con tono più austero. La prospettiva di una Hermione arrabbiata era però notevolmente migliore rispetto a vederla fragile e preoccupata, pensò Ron. 
''Basta, smettila di tormentarti e va là ad abbracciarla'' si disse orgoglioso.
Si tolse il cappotto e le scarpe e si lasciò cadere lentamente al fianco della sua meraviglia preferita. Hermione cercò la mano di lui con la sua, mantenendo chiusi gli occhi. Si girò verso Ron, poggiandosi sul lato sinistro del corpo e gli poggiò l'altra mano sul petto, sorprendendolo. La magia di quell'istante si interruppe subito dopo, quando lei aprì gli occhi: ''Ron, che hai? Sei agitato'' sussurrò. Un brivido di freddo gli trapassò il corpo. Non ricevendo risposta, Hermione disse: ''Sei sicuro di stare bene? Stai tremando''. Gli occhi azzurro vivo incontrarono quelli nocciola in un moto di paura.
''No... non è niente, sta tranquilla, è tutto ok'' rispose lui, pensando di essere stato abbastanza convincente. Lei gli lanciò un'occhiata sconvolta: ''Ti odio quando fai così. Lo sento che c'è qualcosa che non va, e non ti capisco, ti senti orgoglioso tenendo le emozioni per te?''. Il tono di Hermione non ammetteva repliche. Ron si sentiva come un ragazzino stupido al centro di una discussione fra capi di stato, in parte per ciò che gli aveva detto Hermione, in parte per le paure che si erano di nuovo improvvisamente infiammate dentro di lui. Era come essere abitati da Voldemort, un qualcosa di arcano, oscuro, del quale si aveva addirittura paura di parlare. Ma in questo caso era la mente di Ron ad aver creato il mostro, e quindi le conseguenze della sua esistenza. 
''Sono preoccupato'' rispose in modo affrettato. Aveva guadagnato qualche altro secondo per pensare. 
''Anche io lo sono. Moltissimo''.
Le parole di Hermione aprivano una strada che Ron imboccò all'istante.
''Mi pare che avessimo deciso di non parlarne'' disse svogliato. Hermione continuò a guardarlo impassibile, senza aggiungere altro. Lui ora era imbarazzato, non sapeva se aspettare o parlare per primo. 
Dopo qualche secondo Hermione esordì severa: ''Non ci sono decisioni che non possono essere cambiate, ricordatelo''. 
Un nuovo silenzio freddo.
''Non voglio sviluppare un rapporto chiuso con te, non mi sentirei a mio agio. Io non mi pongo neanche il problema, ma voglio far capire anche a te che questo è l'ultimo posto dove chiudersi in se stessi, credimi'' riprese Hermione, come una mamma che rimprovera suo figlio. Milioni di idee diverse affollavano la testa di Ron, e non sapeva come organizzarle, come metterle in fila. Era tutto incredibilmente complesso, difficile. Un esame a cui si era presentato senza aver studiato.
''Ho paura, Hermione''.
''Lo so benissimo. Sarebbe da matti non provarne un po' in questa situazione''. 
''È che tutto dipende da questo! Se non funzionasse, se qualcosa andasse storto, siamo da zero, qualsiasi cosa che abbiamo fatto sarebbe inutile''.
Hermione strinse la mano sudata di Ron, e qualcosa si calmò all'interno del suo cuore: ''È vero, è così, non serve a niente negarlo. Ma non ci pensiamo, l'hai detto tu. Se non andasse bene pazienza, ma io so di poter contare su qualcuno che mi è vicino e che mi aiuterà sempre. E comunque non mi sembra il caso di esasperare i fatti. È così, punto e basta''. Ron la guardò commosso. Hermione era diventata il suo appiglio, qualcosa a cui aggrapparsi nelle difficoltà. Non riusciva a parlare, ma il cuore voleva esplodere di gioia. Aveva ragione lei, come aveva avuto ragione lui prima ancora. Ma mentre lei non sapeva, lui sì. Lo sguardo perso nel vuoto indispettì di nuovo Hermione, che parve davvero arrabbiata, infuriata: ''Non ti basta? Cosa devo dirti di più?''.
Ron fece per parlare, ma i pensieri sovrastarono le parole: ''Io... non...''. Stava guardando a terra quando la mano di lei sotto il mento lo costrinse a fissarla negli occhi duri. Lei scosse la testa, fredde lacrime cominciarono a salire agli occhi dal petto. 
''Sei un dannato stupido. Continua a fare come vuoi, tanto sei bravo così, no? Complimenti. Sono state parole e minuti inutili questi. Ma avrei dovuto capirlo prima''.
Livida di rabbia si alzò di botto, appellò il cappotto ed uscì violentemente dalla porta, lasciando Ron da solo con le sue paure, senza la possibilità di spiegarsi, senza un saluto, senza di lei.

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Capitolo 21
*** Capitolo XX - Dentro la notte ***


Lettura consigliata con: If I Lose Myself - One Republic

Ron pensò parecchi istanti a cosa avesse dovuto fare in una situazione del genere. Non aveva la forza mentale di seguire Hermione, e ancor meno la voglia. Fu infatti una spinta dal cuore che lo portò ad alzarsi da quell'odiato letto e ad uscire dalla tenda a testa alta. Era arrabbiato con sé stesso, ma non per questo Hermione doveva subirne le conseguenze. Guardò a destra, verso l'oceano nero e la città muta, ma sulla parte in discesa della collina Hermione non c'era. 
''L'ho già vissuta questa scena'' pensò Ron sarcastico, ma particolarmente preoccupato. In effetti era una situazione molto familiare, e quello non era un dato del quale andare fieri. Alle spalle della città e della tenda si estendeva una piccolo bosco, non enorme ma molto fitto. 
''Speriamo che non si sia persa lì dentro'' pensò sarcastico. Non aveva sentito il tipico rumore che segue una materializzazione, quindi era certo che Hermione non fosse andata in città. A dirla tutta, disse fra sé, lo sapeva lo stesso; lei stava solo aspettando una sua reazione, ne era certo. 
Un sentiero sterrato battuto dai cacciatori si addentrava sinuoso fra gli alberi e i tronchi spogli e Ron lo prese senza pensarci due volte, non sapendo dove andare gli parve la soluzione migliore. Girava frettolosamente la testa a destra e a sinistra, ma di Hermione nessuna traccia, e neanche nessun rumore, cosa che lo preoccupò parecchio. 
''Sto perdendo tempo''.
Iniziò a correre sul sentiero che cominciava a trasformarsi in una fanghiglia sempre più densa. Alberi a fusto basso e arbusti avevano ormai lasciato spazio ad una vegetazione impenetrabile. Gli occhi di Ron si riempivano ad ogni passo di qualche lacrima in più, e queste divenivano gelide sia per il clima che per ciò che significavano. 
Mentre l'idea di andarsene da quel tetro antro buio cominciava a prendere forma solida, gli occhi azzurri furono attirati da una luce bianca chiara ma sfocata, tra gli alberi. Dopo qualche secondo, inoltre, la luce si mosse repentinamente, zigzagando fra i tronchi. Ron lasciò il sentiero non curandosi di nulla: quella era luce che non poteva appartenere a niente che fosse stato costruito da un umano. La luce continuava a scivolare elegante nella foresta, come se pattinasse. Ron corse all'impazzata per cercare di raggiungerla, e questa un secondo prima si avvicinava ed uno dopo tornava irraggiungibile. Cadde un paio di volte inciampando in alcune radici, saltò un ruscello placido e valicò dei grossi massi, ma non la perse mai d'occhio. Si avvicinò abbastanza da capire che quella che vedeva era solo una  coda, la scia di un qualcosa che ancora non era riuscito a comprendere. Mentre rifletteva, all'improvviso, un dolore lancinante al polpaccio e si accasciò a terra: doveva proseguire, ma non poteva. 
''Aspetta!'' urlò, e con sua immensa sorpresa la scia luminosa terminò la sua corsa e al suo posto, dall'alto delle chiome fitte, apparve uno strano animale; l'essere che emanava quella luce pura. 
''Ma... ma io ti conosco!'' esclamò Ron meravigliato, dimenticando il dolore. Respirava a fatica, ma il fatto che il Patronus avesse obbedito alla sua richiesta lo aveva rincuorato.
''Io ti conosco!'' ripeté ad alta voce, come se averlo fatto una volta sola non fosse bastato. 
''Anch'io ti conosco se vuoi saperlo''.
Silenzio.
Ron rimase a bocca aperta per qualche secondo. Era sicuro di averlo immaginato. 
''Che... che cosa?'' domandò, prendendosi per scemo da solo.
La lontra alzò i piccoli occhi al cielo, poi disse, con lo stesso tono sgarbato e noncurante: ''Se riuscissi a chiudere la bocca ed a concentrarti su di me forse capiresti. Forse, eh''. 
Ron batté gli occhi fortemente, sperando di ritrovarsi da solo quando li avesse riaperti. Invece la lontra rimase lì, ferma a mezz'aria intenta a guardarlo come se egli fosse stato un essere inferiore. Il senso di stupore che aleggiava nella notte sparì quasi subito, andò subito al sodo: ''Dov'è Hermione?'' chiese impaziente. Il Patronus fece come se non l'avesse sentito. Ron si alzò e le si avvicinò cercando di apparire arrabbiato, ma la situazione prendeva sempre più del comico man mano che andava avanti. 
''Ti ho chiesto - disse sottolineando meglio le parole - dov'è Hermione''.
La lontra lo degnò finalmente di uno sguardo serio. Aspettò qualche secondo prima di rispondere: ''E perché dovrei saperlo, scusa?''.
Più pensava a quello che stava succedendo, più non riusciva a spiegarselo. La lontra aveva dei veri e propri atteggiamenti umani, o meglio femminili, come lo scostare la testa di lato mentre le si parlava e l'alzare gli occhi al cielo in maniera sarcastica. 
Si concentrò poi sulla conversazione: era stanco di essere preso in giro da un Patronus: ''Sei il suo Patronus, quindi lei deve essere qui vicino, o comunque non lontano. Se mi facessi il piacere di dirmi dove si trova ne sarei felice, visto che è buio, siamo in un desolato e dimenticato bosco del sud dell'Australia, fa freddo e sono preoccupato per lei''. La lontra prese per un attimo l'espressione di chi è stato colto sul fatto, poi si alzò in aria di qualche centimetro, studiando attentamente Ron. 
''Se non vuole parlare con te un motivo credo ci sia'' disse con un sorriso ironico.
Ron si indispettì: ''È probabile, ma non sono comunque affari tuoi. Dimmi dov'è, se lo sai, o vattene, mi hai fatto perdere già troppo tempo''. 
La lontra mantenne l'atteggiamento sprezzante e disse: ''Come sei acido, figlio mio''.
''Senti chi parla''.
Per la prima volta il Patronus rise, anche se fu evidente lo sforzo di mantenere l'espressione impassibile. Ron attese in silenzio, prima o poi era sicuro che la lontra avrebbe ceduto. Si scrutarono torvi, ma il Patronus aveva mantenuto, suo malgrado, l'espressione divertita appena successiva ad un sorriso.
''E va bene!'' esclamò finalmente dopo parecchi secondi, e si lasciò andare ad una risata meravigliosamente familiare. Ron azzardò un'ipotesi che ricacciò subito nella testa, si doveva concentrare solo su quella assurda situazione. 
La lontra continuò a ridere sfrenata e l'istinto di Ron per un momento gli suggerì di andarle dietro, ma sarebbe stato parecchio ridicolo, e non era dell'umore giusto.
''Insomma?'' chiese piano, come per non disturbarla. Nel silenzio sentì uno strano rumore indistinto e continuo che proveniva dalla sua destra, nel buio opprimente.
La lontra si fermò qualche istante dopo la domanda di Ron, e rispose con tono stranamente calmo e profondo: ''Dai, non fare lo stupido...''.
Lui alzò il sopracciglio senza rispondere e il Patronus aggiunse: ''Credo che tu abbia capito...''. 
Ron decise di restare sulla difensiva ora che il clima si era un po' disteso, anche perché non è che poi avesse afferrato appieno: ''Cosa avrei dovuto capire, scusa? È una situazione irreale, probabilmente sto solo sognando e quando mi sveglierò troverò Hermione ancora di fianco a me, magari con la mano stretta alla mia''. Voleva in parte verificare la sua teoria, per quanto particolare fosse. Stavolta era il Patronus ad esser stato colto di sorpresa, si capiva che non si aspettasse un'affermazione del genere dal leggero tremolio che aveva assunto la sua coda. 
''Secondo te? Che succede? Cosa sono io?'' domandò con voce divertita.
Ron sorrise e si affrettò a rispondere, gli era tornato in mente che stava passando troppo tempo: ''Sicuramente sei un Patronus, e sei il Patronus di Hermione'' cominciò, e la lontra fece come per applaudirlo. Poi proseguì: ''Ma non so come tu faccia a parlare o a muoverti per conto tuo, quindi ti prego dimmi dov'è lei o se non lo sai aiutami a trovarla, penso che l'abbia persa anche tu in questo caso''. 
Con sorpresa di Ron la lontra scoppiò a ridere. Volteggiava elegantemente nel vuoto contorcendosi dal divertimento.
''Cosa c'è da ridere!?'' urlò lui, odiava il fatto di non riuscire a capire. 
La lontra continuò a ridere per un altro minuto prima di rispondere a Ron, mentre quasi piangeva dalle risate: ''E quindi secondo te io penso da sola?''.
Ron rimase esterrefatto, non riusciva a capire cosa volessero dire quelle parole.
''Io... non lo fai?'' balbettò. 
La lontra scosse la testa lentamente. Poi disse rapida sorridendo: ''Devi arrivarci, Ron, trovami''. Era la voce di Hermione. Ma non fece in tempo a comprendere il senso della frase che improvvisamente il Patronus svanì con un ultimo sorriso. Svanì la luce e il rumore e Ron restò da solo nella fredda oscurità della notte, mentre il lontano rumore prendeva una forma sempre più distinta.

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Capitolo 22
*** Capitolo XXI - Mai senza ***


Lettura consigliata con: Oceans - Petit Biscuit

Un lampo chiaro nel buio, come un fulmine nel cielo notturno. Ron si girò. Tutto svanito. Un altro, alla sua destra; uno alla sua sinistra, uno dietro, uno ancora a sinistra, sempre accompagnati da un rumore stridulo. Era circondato, lo sapeva, era questione di attimi. Nonostante la luce accecante non riusciva a distinguere nulla diverso dall'oscurità impastata di pece. Un altro lampo davanti a lui e fu costretto a pararsi gli occhi. 
''Lumos!'' esclamò in preda all'ansia. 
Era da solo, il rumore improvvisamente scomparso. Solo un fruscio leggero dietro ad una indefinita collina coperta di foglie morte e sassi cupi. Si mosse lentamente cercando di capire come tornare al sentiero, con il polpaccio che gli doleva in modo incredibile e la mente ancora occupata nella transizione fra la assurda conversazione precedente e la situazione attuale. Aveva percorso qualche metro quando di fronte a lui apparve un'altra luce di scatto. Era rossa, e rimase fossilizzata nel buio per più tempo rispetto alle altre, nonostante svanì comunque dopo meno di un secondo. 
Tenendo la bacchetta e la mente ben pronte a qualsiasi eventualità proseguì cauto verso dove era appena apparso il bagliore, tutti i sensi pronti a percepire anche il minimo movimento intorno a lui.
Non riusciva a capacitarsi di come si fosse trovato lì e del perché, le parole del Patronus sembravano appartenere ad una vita precedente e nemmeno il pensiero di Hermione era il più importante in quel momento. Camminava lentamente, muovendo in continuazione la testa verso ciò che non vedeva e non conosceva.
La luce rossa riapparve dietro di lui, ma il fatto non lo stupì neanche troppo; credeva che chiunque fosse stesse giocando con il cibo prima di mangiarlo. Il bagliore scarlatto aveva fiocamente illuminato la collina dietro di lui dalla quale era arrivato un leggero rumore, come di foglie calpestate, l'unico suono che apparteneva alla sfera dei sensi reali in tutto quello che stava accadendo. Tenendo ferma la bacchetta nella mano si sporse verso la collina, di cui non riusciva a vedere il termine. Parecchie file di grossi massi disordinati si alternavano agli alberi spogli e spettrali. E poi accadde quello che sperava: la luce rossa si ripeté, e per la prima volta Ron riuscì a capire, seppur a grandi linee, il punto quasi preciso dal quale questa provenisse. Prese a correre spinto dalla paura verso il bagliore ormai scomparso, districandosi con enorme fatica fra i tronchi e la pietra nera. Era sudato, spaventato e sfinito quando giunse al punto che aveva individuato: un albero cavo e un masso sdraiato sul terreno in orizzontale alle sue spalle. Cautamente fece il giro del tronco, che gli conferiva uno strano senso di inquietudine, e nulla. Nessuna traccia di persone, animali o magia. Salì di pochi metri fino al grande masso, gelido al tatto. Era davvero grosso, ci sarebbero voluti parecchi secondi per seguirne la circonferenza. Iniziò dal lato che sporgeva verso la discesa, appoggiando la mano destra al masso e tenendo la bacchetta con la sinistra. Dopo pochi attimi, il rumore riprese, ma stavolta era chiaro che si trattasse di foglie morte calpestate. C'era qualcuno a pochi metri da lui, ne era sicuro. Prese a correre, e corse anche quell'altro nella direzione opposta alla sua. Si rincorsero per quello che parve un minuto, poi il rumore dell'altro si interruppe all'improvviso, facendo fermare anche Ron. Non capiva cosa stesse succedendo, anche perché non era una condizione normale. Riprese a girare intorno al masso in modo più lento, facendo attenzione a percepire qualsiasi cosa. Era tornato dalla parte del lato che dava sulla radura dalla quale era partito quando inciampò in quella che al tocco gli parve una radice, perse l'equilibrio e cadde, iniziando a rotolare sulla schiena lungo la collina ricoperta di foglie. Una strana voglia di ridere lo assalì appena riuscì a fermarsi, mettersi dritto e capire quello che era accaduto, ma all'improvviso si ritrovò sdraiato sulla schiena, spinto da una forza invisibile che però gli parve parecchio concreta che lo aveva spinto dal petto, come un peso appoggiato tutto d'un tratto sulle costole. E poi... la luce.
''Rivelo''.
Aveva parlato una voce fine e delicata, ed un attimo dopo Hermione era apparsa sdraiata su Ron, col sorriso sul volto e i gomiti poggiati sul petto di lui nel punto in cui era stato spinto. Ron non trovava la forza di dire niente, troppe sensazioni diverse erano affiorate tutte insieme dal suo cuore. Aprì la bocca senza dire nulla, pensava che stesse sognando, era incredibile che lei si trovasse davvero lì, vicina e stretta a lui, ridente e felice, lei che non era sparita, lei che lo aveva lasciato furiosa all'interno della tenda durante quella che sembrava una vita passata. I loro occhi si incrociarono per la prima volta, rimasero in attesa per lunghi attimi immobili ed impassibili, poi Hermione iniziò dal nulla a ridere in quella maniera che Ron amava, quella che lo lasciava senza parole ogni volta, non che in quel caso ce ne fosse comunque bisogno. Lei girò le braccia sul collo di Ron ed iniziarono a rotolare velocemente sul tappeto di foglie morte che aveva ripreso un po' di colore. Si fermarono tutto d'un tratto, stavolta era lui che però si trovava sopra. Gli sguardi si   toccarono ancora, inebriati l'uno dell'altro. Poi Ron lasciò cadere la bacchetta a terra e poggiò una mano sul fianco di Hermione e l'altra sul suo viso perfetto. Non poteva credere che fosse davvero lì. Stava pensando a quale delle mille domande che aveva intenzione di porle fosse la più importante quando il cuore lo spinse a fare l'unico gesto che in quella situazione si poteva definire sensato. Chiuse gli occhi e la baciò. E quel bacio fece sì che sfogasse tutti i pensieri, le preoccupazioni e le idee che lo tormentavano, perché aveva ritrovato la cosa più importante della sua vita, la parte mancante di se stesso. Quando molto tempo dopo entrambi riaprirono gli occhi, una forte antitesi invase l'atmosfera intorno a loro. Hermione era sorridente, felice, orgogliosa, Ron al contrario era sudato e sconvolto, ma sembrava che la presenza di Hermione l'avesse calmato, come un'anima errante che ritrova finalmente la sua gemella. Si misero seduti uno di fianco all'altra, sempre senza parlare ma continuando ad idolatrare gli occhi dell'altro. Hermione cercò la mano di Ron fra le foglie brune e la strinse forte, e Ron fece altrettanto. Si avvicinò alla sua meraviglia preferita e riprese a baciarla delicatamente, come il primo bacio ad Hogwarts e come amava lui, facendola sentire felice per far sì che anche lui fosse a posto. Si separarono dopo altri intensi minuti di passione e si strinsero in un forte abbraccio ingenuo, uno di quei magnifici legami che riappacificano senza ulteriori spiegazioni. 
''Scusami'' sussurrò Hermione comunque in tono scherzoso mentre teneva appoggiata la testa sulla spalla del suo uomo. Ron rispose quasi arrabbiato, con voce rude, ed Hermione si sciolse lentamente nella fredda oscurità della notte: ''Non pensare che io possa sopportare questo con tutte. Non è fattibile. Ma con te è diverso. Sei la donna della mia vita, e dovunque scapperai per ritrovarti sarò disposto a fare i più assurdi sacrifici, perché sono pazzo. Mi hai stregato, Hermione, e non sai quanto io possa essere felice di questo''.

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Capitolo 23
*** Capitolo XXII - Rosso scuro ***


Lettura consigliata con: Iris - Goo Goo Dolls

''Ed insomma hai fatto tutto tu? Tutto da sola? Era tutto uno scherzo idiota?'' disse Ron, che non riusciva a capacitarsi di ciò che gli aveva appena detto Hermione, che poi era quello che stava ripetendo ormai parecchie volte come per verificare di aver capito bene. Hermione rideva spensierata, annuendo quando riusciva a trovare la forza di resistere. 
''Sei una brutta stupida, mi hai fatto pensare che qualcuno stesse per attaccarmi. Ma cosa ridi, è una cosa serissima invece! Prova a rifarlo e giuro che la prossima volta ti lascio'' esclamò Ron tentando di nascondere un po' di scena che aveva voluto creare intorno alla frase. Hermione lo guardò di traverso, mentre ancora sorrideva: ''Non oseresti''. In un primo momento Ron pensò di sfidarla, di vedere a che punto sarebbero arrivati, ma la felicità di avere Hermione di nuovo di fianco a sé ebbe il sopravvento: ''Purtroppo, lo so'' disse lievemente, ed iniziò a ridere anche lui. 
Mentre ripercorrevano il sentiero buio che portava alla tenda (Hermione aveva curato in un istante il polpaccio di Ron) egli scoprì di aver fatto davvero tanta strada, ci volle quasi un quarto d'ora solo per ritrovare il sentiero vero e proprio battuto dai cacciatori. Ripensare alla strada fece sì che Ron ricordasse una domanda che prima aveva chiesto fortemente di essere espressa. Hermione camminava davanti, e lui dovette allungare il passo ed avvicinarsi a lei prima di chiederle: ''Ah, Hermione un'altra cosa importante. Prima no...? Quello era il tuo Patronus?''. Lei si fermò, e nonostante la luce della bacchetta illuminasse molto poco l'ambiente circostante, si notò come sgranò gli occhi quasi annoiata: ''Stai veramente facendomi una domanda del genere?''. Ron ripensò velocemente alla conversazione con la lontra e cercò di salvarsi dall'ingenuità in modo più naturale possibile: ''No... non era una domanda, eh. Lo so che quello era il tuo Patronus...'' disse incerto, mentre lei continuava a guardarlo come proprio la lontra aveva fatto, senza dire nulla. ''La domanda era - riprese cercando di dare un tono autorevole alla voce - come faceva a parlare, a muoversi e a comportarsi come un essere umano?''.
Hermione era improvvisamente diventata pensierosa, come se stesse decidendo attraverso quale strada avrebbe guidato Ron alla risposta. Optò per generalizzare, almeno all'inizio: ''Ricordi cosa ti ha detto?''. 
''Tralasciando il fatto che mi trattasse come un essere inferiore?'' rispose lui, quasi offeso. Lei sorrise leggermente, poi lo lasciò proseguire. 
''Ha detto che non pensa da sola, ma era come se sapesse quello che fosse successo prima - arrossì violentemente - fra... fra di noi. E poi sembrava che considerasse stupido tutto quello che le chiedevo, ma io davvero non sapevo, e non so, cosa pensare...''.
Hermione riprese a sorridere, e la cosa, forse per la prima volta in vita sua, lo turbò. In un lampo di anarchia, si avvicinò minaccioso ad Hermione, le strinse il polso e disse, con voce calma ma tale da incutere paura: ''Hermione spiegami quello che è successo o giuro che ricorderai questo giorno. Sono stufo di essere all'oscuro di tutto, sono e sembro uno stupido, lo so, ma sono stanco. Smettila di trattarmi come un idiota e parla''. Lei lo guardò spaventata, cercò istintivamente di liberare il polso dalla presa di Ron, ma questa resistette, ferma, immobile. Lei capì che il momento degli scherzi era terminato, non aveva mai visto Ron in quello stato e mai più avrebbe voluto vederlo così. 
Si girò verso il sentiero e sussurrò: ''Camminiamo, torniamo alla tenda''. Lui la seguì, facendo scendere le dita dal polso alla mano di Hermione, che inaspettatamente le strinse. Erano in vista della collina quando Hermione disse, guardando davanti a sé ma mantenendo salda alla sua la mano di Ron: ''Ron, ero io. Sono stata io, io parlavo dietro al Patronus, io decidevo cosa volessi che dicesse. Ti ricordi quando ho detto ad Harry che ero riuscita a far parlare i Patroni? Ecco, ora sono arrivata addirittura a comandarli. Io ero il Patronus. Io parlavo e io decidevo come muovermi, io a farti seguire la mia scia nel bosco, fino al punto in cui mi ero nascosta, fra quell'albero cavo e quel grosso sasso. Ero sconvolta, mi avevi fatto infuriare, ma sapevo che saresti venuto a cercarmi, me lo sentivo e sono orgogliosa di te per averlo fatto davvero, e quindi, appena mi sono calmata un attimo, ho deciso. Ho mandato la lontra verso il sentiero, ho fatto in modo che la seguissi e che venissi da me, poi... ho solo fatto in modo che ci mettessi un po' per trovarmi''. Si fermò e coraggiosamente sorrise a Ron, che guardava nel vuoto, le ultime tracce di violenza ormai sparite. 
''Ma... ma perché quando sono venuto lassù non ti ho visto?'' disse lui, mentre la mente continuava a ragionare su quello che gli era stato appena riferito. 
''Non mi hai visto ma mi hai sentito...'' rispose lei.
Ron ricordò il rumore come di foglie calpestate in un attimo: ''Ma come...''.
Lei lo anticipò: ''Incantesimo di Disillusione. Ben riuscito direi, perché mi sei letteralmente caduto sopra. Per quello sei scivolato dalla collinetta, hai inciampato su di me mentre ero sdraiata per nascondermi''.
Ron restò paralizzato per un paio di secondi, poi riprese a camminare verso la tenda tirando Hermione dietro di sé. Scuoteva la testa in modo buffo, sembrava che non riuscisse a credere a delle cose del genere, e poi, mentre stavano finalmente entrando nella tenda di Bill, urlò: ''Tu mi staresti dicendo che all'una e mezza di notte hai creato tutta questa messinscena; Patronus che parla, renderti invisibile, quella sorta di nascondino fra ciechi e luci di terrore a destra e a manca, per ridere del fatto che fossi spaventato? Per... divertimento?!''.
Lei scoppiò a ridere, poi rispose lentamente mentre i loro occhi si preparavano alla guerra: ''Beh, si''. Silenzio.
E poi accadde un qualcosa di assurdo. Ron le si avvicinò lentamente, e la baciò.
''Adesso però siamo pari'' aggiunse lui, quando  dopo intensi e romantici secondi le loro labbra si furono separate. Hermione lo guardò stupita, ora era lei a non aver capito: ''Ron, in che se...'', ma le sue parole furono soffocate da un altro bollente bacio. Le avvolse la vita con le braccia e la trascinò dentro, al caldo, mentre ancora avevano gli occhi chiusi e persi. E come se non fosse successo nulla prima di allora, come se si stessero innamorando in quella situazione per la prima volta, si gettarono sul letto, svestiti, lasciandosi andare a ciò che le parole non avrebbero mai potuto dire. La magia di quel momento andava oltre gli avvenimenti, gli assurdi fatti di quella notte non avrebbero mai potuto scalfire un legame che andava oltre gli stati d'animo, oltre quello che si fa e che si pensa. Entrambi sapevano di aver sbagliato, ma l'amore era talmente importante che neanche le scuse sarebbero servite, ci si giustificava notando le reazioni dell'altro. La gelosia, la paura, il terrore di aver perso una parte di sé, erano necessari a comprendere quanto si è importanti per la persona che si ama. Ron aveva sofferto, tremato e rischiato per avere di nuovo Hermione al suo fianco, lei si era battuta contro di lui, la sua fin troppo orgogliosa e moralista personalità. Avevano litigato, si erano odiati, ma erano pronti a correre i pericoli più grandi per tornare dall'altro, per non perdere una parte fondamentale della propria vita, per restaurare quel meraviglioso legame che avrebbe consentito di sentirsi felici, col sorriso. E mentre un sincero e passionale amore rosso scuro avvampava in quel remoto angolo del mondo, e quei corpi si univano con le anime in un arcano ma elegante rituale, un rapido pensiero si faceva strada nelle menti dei due, in particolare in quella della ragazza innamorata dal viso perfetto. ''Dovunque io vada, qualsiasi cosa accada o faccia, lui c'è. Io lo so che c'è. Sempre''.

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Capitolo 24
*** Capitolo XXIII - Mare e lacrime ***


Lettura consigliata con: The Woods - Olivver The Kid

Gli occhi nocciola presero vita molto prima della testa, ancora impegnata nel raccogliere le vaghe immagini ed emozioni delle ore precedenti, come un sogno dal quale non si sarebbe mai voluta separare. Ma la fredda e dura realtà prevalse, e subito l'importanza cruciale di quel giorno assalì Hermione, un peso sullo stomaco che lei sperava si sarebbe dissolto prima possibile. Ron era ancora profondamente addormentato, rannicchiato sotto le coperte nella tenera penombra della tenda, con un braccio che pendeva dal letto. A mente fredda, Hermione non riusciva a spiegarsi il motivo per cui aveva combinato tutta quella messinscena la notte precedente. Solo poche ore prima le era parso così chiaro e nitido, adesso invece si presentava avvolto da ombre opache, che attaccavano la propria persona e le proprie azioni ed emozioni. Uscì dalla tenda, e si fece baciare dal sole già alto nel cielo. Guardò il mare oltre la città; era calmo e azzurro, e una leggera brezza si levava dalle sue spalle, scompigliandole vestiti e capelli. Si portò le mani sul viso e lo coprì, e chiuse gli occhi lentamente come se ciò potesse alleviare il dolore. Era dolore quello che provava. Era amareggiata dall'aver generato paura, terrore e odio. Ma lui era rimasto. Come si era aspettata, lui era ancora lì, ed insieme avevano passato una notte indimenticabile, spiegandosi con gli occhi invece che con futili parole. Liberò il viso pallido dalla morsa opprimente dei pensieri e riprese a contemplare il paesaggio. Era come se la natura avesse voluto augurar loro buona fortuna, aveva praticamente creato un giorno d'estate in contrapposizione al freddo e al buio invernale. Tutto il loro futuro, e tutto quello che avevano fatto da quando erano arrivati ad Adelaide stava per essere decretato fondamentale od inutile da un semplice squillo del telefono. Una prospettiva terribile, crudele e irrispettosa. Restò sulla collinetta di fronte al vento per quella che parve un'ora, o forse più, cercando di trattenere quelle odiate lacrime che premevano per uscire. Non voleva sembrare debole, era decisa a rinnegare molti aspetti della propria personalità, quelli che Ron invece le aveva ripetuto di preferire. Una smorfia di odio e rassegnazione la assalì quando Ron si affiancò a lei, e chiuse gli occhi, il mento alto rivolto al vento, al mare, all'orizzonte. Respirò profondamente, i capelli rossi e troppo lunghi che prendevano una nota di selvaggio. Dopo un minuto circa, si volse verso Hermione, un leggero sorriso stampato sulle labbra e gli occhi stretti per difendersi dal sole. Si frappose fra lei e l'astro, e disse: ''Hai ancora gli occhi rossi''. Hermione rise freneticamente, cercando senza troppo successo di sdrammatizzare la situazione, senza dire nulla. Si limitò ad incrociare lo sguardo affettuoso di Ron, che sembrava avrebbe potuto restare ad ammirarla per giorni interi. 
''Io amo le ragazze che piangono, lo sai?'' riprese lui, tenero. L'espressione di Hermione si indurì; non sapeva per quale motivo voleva apparire rigida, concentrata, fredda, ma era sicura di non riuscire a sopportare la parte di sé più fragile ed ingenua. Ron interruppe ancora i suoi pensieri: ''Sono le più belle. Quelle emotive, quelle che tengono davvero a ciò che fanno. Non vergognarti delle lacrime. Ti rendono meravigliosa''. Come se un nodo d'acciaio si fosse appena sciolto nel suo cuore, Hermione, inconsapevolmente e a malincuore, sorrise. E si sentì molto meglio. Finalmente le lacrime poterono uscire fuori dalla prigione di pensieri che le avvolgeva, ed insieme ad esse un sorriso dolce e innamorato. Ron la abbracciò, ed Hermione lo strinse forte a sé. Le era di un conforto incredibile, e i problemi sugli avvenimenti della sera precedente passarono improvvisamente in secondo piano. Nonostante le parole di Ron avrebbero potuto farla sentire addirittura peggio, nel ripensare a quello che gli aveva fatto, quelle sillabe avevano invece dato prova del fatto che lui non l'avrebbe comunque mai abbandonata; l'aveva accompagnata in capo al mondo a cercare i suoi genitori, l'aveva rassicurata infinite volte, l'aveva portata a cena in un posto stupendo, aveva danzato con lei sotto la pioggia congelata, e tutto esclusivamente per amore, per renderla felice. Si promise che mai più l'avrebbe trattato in un modo del genere, mai più. Si separarono lentamente, Ron la baciò, e mentre si avviava verso la tenda le disse: ''Guarda che mi piaci anche quando ridi eh...''. Hermione scoppiò a ridere in primo luogo per l'affermazione, ed in seguito per ciò che questa significava. Dopo qualche istante, seguì dentro il suo uomo, che si stava vestendo, e mentre si apprestava a scegliere cosa indossare, disse scherzosamente: ''Direi che oggi il pranzo potrei offrirtelo io...''. Lui non rispose, si limitò a sorriderle e a lanciarle un'occhiata divertita. 
Circa una ventina di minuti dopo, erano entrambi pronti per andare in città. Ron portava addirittura una maglietta a maniche corte (''Se ti ammali ti curi da solo, sappilo'', lo aveva rimproverato Hermione) e lei un vestito leggero sotto il giubbotto. Si Smaterializzarono sul lungomare, e decisero di approfittare della giornata calda godendosi una passeggiata. L'oceano che sembrava così nero e tenebroso nei giorni precedenti adesso si colorava di un meraviglioso turchese, la sabbia splendeva dorata sotto il sole e qualche temerario surfista stava preparandosi per gettarsi fra le onde spumose al largo. Ron ed Hermione si fermarono dopo una mezz'ora di camminata e si sedettero su una morbida duna di sabbia che univa la strada alla spiaggia. Era talmente bello stare così tranquilli ad onorare il calore, che nessuno dei due si rese conto del fatto che fosse praticamente un anno e mezzo che non staccavano la spina da tutto il resto, prima dall'orrenda e impossibile missione che avevano dovuto compiere e poi da quella ricerca che era divenuta un'ossessione, al contrario di quanto avessero potuto pensare. Hermione cinse la vita di Ron col braccio sinistro, e lui si lasciò cadere dolcemente su di lei.
''L'altra sera eravamo poco più in là, dopo quella rientranza, ti ricordi?'' disse lei indicando una parte di arenile alla sua sinistra. Ron se lo ricordava eccome, e ancora di più ricordava l'abbraccio che li aveva legati per quelle che parvero ore. E pensando al cambiamento di stato d'animo da allora, un sorriso nervoso lo attaccò. Hermione se ne accorse, e aggiunse divertita: ''Ed ora che hai da ridere?''. 
''È cambiata parecchio la situazione da quella sera, non trovi?'' rispose lui di fretta. 
''Beh, non è che abbiamo risolto molto, sinceramente''.
Ron si accorse che aveva tremendamente ragione, ma come se avesse sempre saputo cosa risponderle, disse: ''Lo so, ma guarda che differenza c'è fra la conversazione di oggi e quella di tre giorni fa...''.
Hermione alzò gli occhi, per pensarci su. 
''Effettivamente - ammise - è vero. Anche se ho pianto anche in quel caso...''.
Ron non rispose neanche, sorrise e la strinse forte: ''Sfido chiunque a non disperarsi in quella situazione. Voglio dire, è da matti no!?''.
Anche Hermione scoppiò a ridere. Poi aggiunse, libera di parlare con qualcuno come mai in vita sua: ''E ci si era messo anche il freddo, il vento, il buio, la sabbia gelata. Come se non fosse bastato''. Ron annuì, ed aggiunse: ''Ma c'ero io''. Hermione rise, ed iniziò a prenderlo in giro: ''L'hai fatto solo per profitto, pensi che non l'abbia capito?''.
''Ah si? E allora la prossima volta ti lascio al freddo e al gelo da sola...''.
Continuarono a scherzare e a ridere, fin quando un abbraccio li fermò. Lo stesso abbraccio bollente di tre sere prima. E così, uniti l'uno all'altra, la morsa di quell'oggetto nella borsa di perline sembrava svanire nel nulla, nonostante di lì a poche ore un suo suono avrebbe deciso che tipo di lacrime Hermione avrebbe dovuto versare.

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Capitolo 25
*** Capitolo XXIV - Bianco e nero ***


Lettura consigliata con: Billie Eilish - Ocean Eyes

''Niente?''.
''Niente...''.
Era la quinta o la sesta volta in poche ore che si ripeteva la scena, con Hermione che sentiva dare alla propria domanda sempre la stessa risposta, la seconda solo quella mattina, nonostante non fossero neanche le otto. Il messaggio aveva sorvolato Adelaide durante tutto il pomeriggio precedente, un telo bianco di speranza che squarciava il cielo limpido seguendo traiettorie fluide e tondeggianti. Ron ed Hermione erano tornati alla tenda dopo pranzo, appena ebbero visto il loro aeroplano volare sulla città, pronti a scattare a qualsiasi accenno di vita da parte del telefono, cautamente appoggiato sul tavolino di legno al centro del salotto e ben lontano dagli sguardi dei due. Era una maledizione, l'oggetto che avrebbe portato alla salvezza o alla disperazione rinchiuso nelle dimensioni di una mano. Era simbolo di crudeltà, aveva ammesso Hermione a denti stretti, mentre continuava a rigirarsi freneticamente nel letto, alla ricerca di un sonno che sapeva benissimo non sarebbe mai giunto. Ron era seduto su una sedia di fianco al tavolo, ma si rifiutava di guardare il cellulare anche di sfuggita. Perfino il Manuale degli Incantesimi aperto sul comodino non gli infondeva più la stessa adrenalina di qualche ora prima; voleva solo chiudere gli occhi e restare in attesa del miglior segnale possibile. I minuti passavano velocemente, ma né l'uno né l'altra erano desiderosi di trovare un passatempo, anche un qualcosa di stupido e senza un fine specifico. Un paio di volte nella testa di Ron balenò l'idea di chiederle di uscire per prendersi un caffè, ma il buonsenso la respinse subito nelle profondità dell'anima. Avrebbe solo ricevuto insulti, ne era certo. 
I minuti scorrevano con lentezza inesorabile, presto anche le ore. Hermione aveva smesso di domandare riguardo qualche novità, anzi per un momento Ron pensò che si fosse addormentata sul serio e le si appoggiò sul letto di fianco. Le tolse una ciocca di capelli dal viso e la accarezzò quasi sfiorandola, ma venne bruscamente riportato alla realtà dalle appena successive parole di lei: ''Sono sveglia, scemo''. Ron si alzò di botto, ma stranamente sorrise. Era contento di essere divertito dalla situazione; di solito, si disse, dopo un'uscita del genere le avrebbe tenuto il muso per parecchio tempo.
Verso ora di pranzo, col sole alto e luminoso nel cielo, Ron si vestì lentamente e si preparò per andare a comprare qualcosa da mangiare. Hermione lo sostituì subito alla sedia, in attesa di un segno. 
''Che prendo?'' chiese lui cercando di essere gentile.
''Fa' come ti pare, basta che sia qualcosa di caldo''.
''Acidina, stamattina...'' pensò lui mentre usciva dalla tenda. ''E come non esserlo'' si disse ironicamente qualche istante dopo. 
Ron si ripresentò una mezz'ora scarsa dopo con due porzioni abbondanti di carne alla griglia.
Hermione divorò la sua con tale ferocia che era difficile dire che questa appartenesse alla stessa persona che solo poche sere prima cenava in abito lungo in un ristorante stellato, e poco dopo entrambi si ritrovarono nelle stesse posizioni in cui avevano passato la mattinata. 
Essendo stufo di fissare il vuoto, Ron propose, sapendo di rischiare: ''Hermione, per caso da casa hai portato qualche passatempo? Qualche gioco, un mazzo di carte stregate magari''. 
Lei non rispose, si alzò dal letto scura in volto e si sedette di fronte a Ron. Agitò rapida la bacchetta nella mano sinistra e una splendida scacchiera magica apparve sul tavolo. Ron era a bocca aperta.
''Ah, e io prendo i bianchi'' disse lei ridendo, e scatenando un grido di lotta dal suo lato del campo. Ron sorrise nervosamente, mentre il Re del suo schieramento si lamentava vistosamente per la mancanza d'incoraggiamenti alla truppa. 
Dopo i primi minuti di assestamento, la partita coinvolse in pieno i due avversari, e, con le azioni di guerra, minuti e ore andavano via sempre più leggeri, rendendo il silenzio del telefono non più motivo di preoccupazione. Fuori, il cielo prendeva pieghe arancio, e la brezza marina ricominciava a soffiare sostenuta. L'iniziale condizione di vantaggio di Ron fu riequilibrata grazie al sacrificio di un audace arciere e di una torre un po' pigra di Hermione. Sei contro cinque per lei. Re, due cavalli, una torre e due pedoni contro re, regina due arcieri e un pedone. Ron mordeva ansiosamente l'estremità dei lacci della felpa, Hermione era comodamente seduta sulla sedia, come un'imperatrice sul trono, col mento alto e l'aria austera. 
''Sta a te'' ricordò Hermione.
Ron era visibilmente agitato ed indeciso. 
''Insomma che dobbiamo fare?!'' urlò il re bianco dall'altra parte della scacchiera. 
''Intanto stai calmo...'' rispose di rimando lui. 
''Non ti azzardare a rispondere così ai miei soldati'' lo rimproverò Hermione seria.
Era diventata una guerra di nervi, più che di tattica. Ron mosse l'arciere di destra in modo da tagliare in la scacchiera quasi a metà.
''Ti scopri così scemo'' disse Hermione quasi sorridendo.
''La fortuna aiuta gli audaci''.
Il gioco riprese teso e concentrato come in precedenza. Quattro contro sei. Quattro contro cinque. Tre contro cinque. Re, torre, cavallo e due pedoni per lei; re, regina e arciere per lui. 
''Affondiamo il coltello nel burro!'' motivò Hermione, pronta a sferrare il colpo di grazia. Fece avanzare la sua torre vicino al cavallo che già si trovava in zona d'attacco. 
''Sono rimasti solo i pedoni a difendere il re...'' osservò Ron.
Dopo qualche istante, chiamò a sé la sua regina, e le sussurrò sottovoce la strategia. Quest'ultima acconsentì. 
''Bei tempi, quelli in cui i pezzi non stavano neanche a sentire come ti chiamavi...'' ricordò un po' nostalgico. 
La regina si spostò, come concordato, a protezione del re, a prevenire le mosse del cavallo, mentre il suo arciere era ancora da solo, pronto ad attaccare. Hermione mosse la torre orizzontalmente. Era quello che Ron aspettava. Spostò l'arciere precisamente di fronte al re nemico. Hermione fu colta di sorpresa; concentrata ad offendere non aveva prestato attenzioni al proprio re.
''Poco male però, l'arciere non mi preoccupa più di tanto in quella posizione'' si disse. Mosse il cavallo in modo da fare scacco al re. Ron lo mosse dietro la regina in attesa. Hermione mosse di nuovo il cavallo, e Ron spostò ancora la regina, sempre a protezione. Hermione si avvicinò con la torre, Ron fidò nuovamente nella difesa della regina.
''Ci siamo quasi, ci siamo quasi...'' continuava a ripetersi. La mossa che poteva risultare decisiva era dietro l'angolo. Se solo Hermione avesse fatto la cosa più ovvia...
Il turno di Hermione durò moltissimo. Immersa in ragionamenti che si agganciavano l'un l'altro come in una grossa ragnatela, dopo oltre cinque minuti, ordinò al cavallo di posizionarsi davanti alla regina, due caselle avanti al re. Avrebbe costretto Ron a sacrificare la regina, che sarebbe stata mangiata subito dalla torre, se avesse voluto privarla del suo pezzo più pericoloso. E con una calma olimpica, appena qualche secondo dopo, Ron spostò l'arciere dal lato opposto della scacchiera verso la torre, che a colpi di dardi infuocati venne buttata giù. Hermione dovette subito ritirare il cavallo, ma il danno era fatto. In pochi turni Ron spostò regina e arciere verso il re nemico e, spingendolo all'angolo, vinse presto la partita. 
I tre pezzi neri rimasti esplosero in un grido di gioia insieme a Ron, che esultò a gran voce alzandosi dalla sedia. Hermione scuoteva la testa incredula. Non si capacitava di come avesse potuto commettere quell'errore. 
''Hai ragionato troppo'' le disse Ron ancora sorridente.
''Bisogna usare il cervello fino ad un certo punto, ma poi bisogna percepire, usare l'istinto. Come nella vita. Lasciarsi trasportare da qualcosa di irreale e immateriale, ma anche affascinante, che ti cattura''. Hermione sorrise un po' malinconica. Sapeva benissimo di non esserne troppo capace. Quando si alzò dalla sedia, Ron la abbracciò.
''L'istinto mi ha portato a te, ricordatelo'' le sussurrò. E proprio mentre le loro labbra si univano dolcemente, dalle profondità della tenda immersa nella penombra, il telefono, improvvisamente, squillò.

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Capitolo 26
*** Capitolo XXV - Il fascino di continuare ***


Lettura consigliata con: Requiem For A Hero - Diego Guarnieri

Hermione sentiva la voce di Ron provenire dal salotto. Non ce l'aveva fatta a restare lì, a due passi dalla soluzione, senza ascoltare nulla, cercando solo di capire il più possibile dalle parole, dai gesti e dai toni di Ron. Era corsa fuori, dove il cielo era una scala di blu che tendeva all'ombra della notte, ma comunque riusciva a capire che Ron stava parlando con chiunque fosse stato ad aver chiamato. Era sicura di aver sentito un 'sì', un paio di 'certamente' impauriti, ma poi le lacrime avevano avuto la meglio.
Era stufa di tenere dentro tutte le preoccupazioni e i pensieri, voleva piangere, sfogarsi, strapparsi i vestiti. Sembrava che la conversazione di Ron al telefono durasse per ore. Non voleva sentire niente. Neanche una parola. Camminò nervosamente avanti a indietro, e qualche minuto dopo si sedette sull'erba umida rivolta verso il mare. Se ne era quasi stancata, non essendo abituata a vederlo spesso, ora non lo sopportava più. Sempre lì a guardare, le dava l'idea di un giudice, uno pronto a dare l'ultima parola. Non poteva negare che però era di un fascino particolare. Soprattutto la sera, calmo e selvaggio, una tavola d'ossidiana addormentata.
Girandosi intorno, considerò il fatto che quegli sperduti declivi erbosi ad un passo dal mare fossero un posto con un po' di magia.
''Potremmo tornarci. Insomma, quando sarà tutto finito da un pezzo'' si disse, ma poi la realtà delle cose le fece riconsiderare un po' i piani. 
''Non ce la faremmo. Almeno io, non ce la farei''. E altre lacrime cercarono prepotentemente di uscire all'aria. 
Scossa la testa come per cacciarle dentro, allungò le gambe sull'erba e si appoggiò alle braccia distese dietro la schiena, dando le spalle alla tenda, cercando di divertirsi nel vedere il volare stanco degli insetti in mille traiettorie diverse. Tutto insieme la colse una grande stanchezza, nonostante non avesse fatto nulla tutto il giorno. Diede la colpa allo stress; era il principale indiziato per qualsiasi cosa da qualche tempo a quella parte, e chiuse gli occhi proprio mentre una folata di vento di una delicata forza le incontrò il viso. Le era sempre piaciuto il freddo, e amava il contatto col vento, la faceva sentire parte della natura. Per qualche minuto di fila si dimenticò di Ron e della telefonata. Non se ne rese conto, ma avrebbe presto percepito la differenza. I suoi pensieri non erano più cupi e pesanti, ma vaporosi come nuvole, andavano e venivano contribuendo alla serenità dell'anima e del corpo.
Quando Ron uscì dalla tenda e la vide lì seduta sull'erba ebbe un momento di esitazione. Non voleva disturbare la perfezione che si era costruita in quel remoto angolo di mondo. I raggi cupi del sole al tramonto che le battevano sul viso pallido, una leggera brezza marina che soffiava verso di lei e la meravigliosa vista del mare con le nubi nere all'orizzonte. Era dubbioso anche sull'avvicinarsi o meno a lei. L'avrebbe sicuramente sentito, ma era sicuro che volesse essere informata della telefonata; quindi, cercando di fare meno rumore possibile, scese la collinetta fino a raggiungerla.
Hermione aprì gli occhi appena i passi di Ron la riportarono alla realtà. Nel vederlo sereno, un improvviso senso di euforia la assalì. Per la prima volta, le si era presentata davanti la prospettiva di una notizia positiva e nonostante non osò chiedere nulla, si alzò di fretta in piedi, col cuore che batteva impazzito. Aveva paura di chiedere. Ron aprì la bocca in modo buffo in cerca delle parole giuste: ''Ehm... era... era l'agenzia''.
Hermione annuì rapida.
''Hanno detto che se volessimo far ripassare il messaggio dovremmo aspettare un paio di giorni, hanno tutto occupato'' proseguì lui, abbassando progressivamente il tono della voce. Dopo qualche secondo di silenzio, capì che Hermione voleva sapere di più.
''Gliel'ho chiesto. Giuro'' aggiunse calmo.
''Non hanno ricevuto nessuna telefonata o richiamo. Ma non è detto, potrebbe ancora arrivare qualcosa, basta che...'' ma non riuscì a finire di parlare che Hermione si rimise violentemente seduta girandogli le spalle, con un gesto e una parola di stizza: ''Fanculo''.
Ron dovette far uso di tutte le forze morali che aveva per reprimere la risata. Cercando di restare serio, la chiamò: ''Hermione!''.
''Lo sapevo. Lo sapevo. Sarebbe stato troppo bello'' .
''Hai ragione... Però è strano. Possibile che nessuno li conosca? Neanche di vista?'' disse lui. 
La riflessione di Ron spinse Hermione a ragionare seriamente per la prima volta sull'argomento. 
''Torniamo dentro, comincia a fare freddo'' suggerì Ron. Lei annuì e lo seguì, mentre la voglia di pensare a ciò che stavano facendo cresceva man mano che andava avanti con le ipotesi. E comunque la mettesse, da ogni punto di vista vedesse la situazione, c'era qualcosa che non tornava, un tassello mancante che evidentemente sfuggiva. 
Una volta nella tenda, Ron era intento a chiederle cosa le andasse per cena, ma la vide talmente concentrata che si sedette di fronte a lei sul tavolino, pronto ad aiutarla. Rivedeva nei suoi occhi la scintilla della Hermione di Hogwarts, attenta ad ogni particolare dei vari casi che avevano affrontato a scuola.
Dopo un po', lei scosse la testa frettolosamente, e disse: ''No, no, no, c'è qualcosa che non quadra, Ron, c'è qualcosa che non quadra''.
Ron era sorpreso. Da tanto non la vedeva così. ''Ossia?'' chiese timido. 
''Allora, ragioniamo'' cominciò lei, guardando il vuoto. Ron aspettò che proseguisse.
''È... è semplicemente troppo strano. Quasi inverosimile'' riprese Hermione, scuotendo lentamente la testa.
''Cosa è strano Hermione?''.
Lei si scosse e riprese a parlare rapidamente guardandolo fisso negli occhi: ''È strano che entrambi i modi tramite i quali volevamo arrivare ai miei genitori sono falliti miseramente. E sono giunta ad una conclusione''.
Ron ancora una volta aspettò che riprendesse il discorso.
''O i miei genitori non sono mai venuti ad Adelaide, oppure c'è qualcosa che ci sfugge a monte''. Ne era fermamente convinta, e Ron non seppe controbattere.  Sentiva che avesse ragione. Hermione appellò la sua borsetta di perline e cominciò a setacciarne il fondo meticolosamente, senza dire una parola. Dopo qualche secondo tirò fuori un foglietto di carta piegato più volte su sé stesso. Era il foglio sul quale i genitori di Hermione avevano scritto i vari voli diretti in Australia, e come ben ricordavano entrambi, quello per Adelaide era cerchiato tre volte in rosso, a differenza degli altri.
''Ne ero certa, ma volevo ricontrollare'' spiegò lei. Si appoggiò lievemente sullo schienale della sedia, alzò gli occhi e portò una mano al mento.
''Quindi i miei genitori sono venuti qui... Ma sono arrivati un anno fa e nessuno pare conoscerli. È troppo strano. Il mio incantesimo inoltre avrebbe dovuto dar loro un'indicazione ben precisa...''.
''...Aprire uno studio dentistico'' proseguì Ron, ricevendo un segno di assenso da Hermione.
''Esatto, per far sì che vivessero la stessa vita che conducevano in Gran Bretagna'' finì lei.
''Però nessuno li conosce'' disse Ron, finalmente con la testa immersa in mille ragionamenti.
Qualche attimo di silenzio, poi Ron esordì: ''Potrebbero essersi trasferiti in qualche paese più piccolo, magari parecchio lontano dalla città''.
Hermione rispose storcendo la bocca: ''Potrebbe essere così, e non è che non ci abbia pensato. Ma come ti dicevo qualche giorno fa, i miei sono persone che amano la confusione, la vita in una grande città. Non hanno mai voluto abitare in realtà più piccole, e non credo abbiano cambiato idea. E poi, non per vantarmi, ma i miei genitori sono bravi dentisti. E, almeno in Gran Bretagna, erano conosciuti da gente che viveva al di fuori di Londra. Quindi mi sorprende il fatto che nessuno li conosca, anche se lavorino non proprio in centro''.
Altri lunghi attimi di silenzio. E ciò che Ron disse per romperlo non fece che aumentare i dubbi: ''E oltretutto, credo che se anche i tuoi genitori avessero aperto uno studio a Sydney, o a Melbourne, comunque in uno dei tanti studi dentistici in cui abbiamo cercato qui avrebbero potuto dircelo. Tanto bastava sapere il cognome dei dottori che lo gestiscono...''. Hermione non rispose, ma nel pensare per la prima volta a quello che aveva detto Ron, giunse alla conclusione che potesse avere ragione. 
L'oscurità si era impadronita da molto del firmamento quando Hermione si congedò dalla discussione: ''Dunque il problema è a monte'' affermò, e si lasciò cadere sul letto.
Dall'altra parte della tenda, Ron, con un lampo di dirompente forza d'animo, si disse che era arrivata l'ora di tirare in ballo ciò che si teneva dentro da troppo, a costo di farla infuriare, forse perfino di perderla. 
E mentre Ron chiudeva gli occhi per evitare di pensarci su troppo, il Manuale degli Incantesimi, poggiato inerme sul comodino, cominciava a dare al cielo nero australiano una piega quanto mai sinistra.

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Capitolo 27
*** Capitolo XXVI - Dolore ***


Lettura consigliata con: Winter Is Coming - Game Of Thrones Soundtrack

La mattina seguente, Ron fu svegliato dal rumore violento ed irrispettoso di un tuono non troppo lontano nel cielo. Imprecò in silenzio, dato che Hermione dormiva ancora profondamente al suo fianco, e maledì il temporale che gli aveva sottratto qualche minuto, o forse qualche ora, di desiderato sonno. Dopo essersi rigirato parecchie volte nel letto, decise di alzarsi e di dare un'occhiata fuori. Si infilò il cappotto e sporse pian piano la testa fuori dalla tenda. Sembrava che il sole e le giornate limpide dei due giorni precedenti appartenessero ad un'altra realtà: nuvole grigie e pesanti coprivano tutto il cielo, il vento soffiava forte ed incontrastato verso l'entroterra ed il mare infuriava demoniaco. In fretta e furia, Ron rientrò dentro, dove almeno faceva caldo. Si sedette in poltrona, e dovette ammettere di essere esattamente nella situazione in cui non avrebbe voluto mai trovarsi in quel frangente. Era da solo, e aveva tempo per pensare. La cosa lo preoccupava. Sapeva benissimo come la sua personalità soffrisse maggiormente le riflessioni rispetto alle scelte prese d'istinto. Aveva deciso di confessare tutto ad Hermione, e non avrebbe permesso un cambio d'opinione. Doveva prendere di petto la situazione e dirle tutto d'un fiato quello che lo assillava, senza rimandare, il suo coraggio doveva spingerlo a sbattere contro una porta che non sapeva se fosse stata murata o meno. Valeva però la pena correre il rischio. Per lei, per il loro viaggio e la loro storia. Si alzò ad occhi chiusi, cercando di sgombrare la testa e di svagarsi, ma inevitabilmente la prospettiva di ciò che stava per succedere non svanì. 
''Ma sono sicuro che sia davvero così?''. Il pensiero se n'era andato come era venuto, una saetta, un baleno di parole. Si volse quasi involontariamente verso il Manuale degli Incantesimi. Non voleva, ma doveva controllare. Passò attorno al letto evitando di fare rumore, e prese il libro fra le mani. Non sapeva perché gli desse fastidio anche solo guardarlo. Lo poggiò sul tavolino di legno in mezzo al salotto, ed iniziò a sfogliarlo lentamente, anche se sapeva benissimo dove fosse la parte che gli interessava. Il cuore aveva cominciato a battere impazzito, le dita tremavano e gli occhi erano pronti a chiudersi. Era come se stesse aspettando un colpo di scena che lo avrebbe sconvolto, nonostante fosse praticamente certo di ciò che stava per leggere. 
Eccolo, il capitolo. Il numero ventinove, 'La manipolazione della memoria'. Dovette sfogliare qualche pagina per ritrovare in paragrafo giusto. Lo lesse senza respirare. Era come lo ricordava. 
''Potrebbe essere così''.
Lo assalì un'euforia distaccata. Poteva essere la chiave di tutto come un buco nell'acqua. Bisognava solo trovare il modo di spiegare perché non l'avesse detto subito. ''Improvviserò'' si disse, e un pensiero andò subito a Fred, che lo diceva spesso. Sorrise in silenzio, ripensando ai bei momenti passati col fratello. La sua morte non era uno dei pensieri più ricorrenti al momento, ma non si poteva calcolare quanto già gli mancasse. Era convinto che comunque fosse sempre con lui, che vivesse in tutto ciò che lo circondava che lo facesse ridere. Soprappensiero com'era, neanche si accorse di Hermione, che, alzatasi dal letto, lo aveva dolcemente abbracciato da dietro, e l'aveva baciato.
''Buongiorno'' disse lei, con la voce ancora assorbita dal sonno, e fece per staccarsi dall'abbraccio.
Ron le prese deciso la mano appena gliela tolse dal petto.
''Hermione devo dirti una cosa importante'' esordì calmo. Le teneva ancora la mano, con lei che quasi gli dava le spalle; non aveva ancora ben realizzato la situazione.
Senza dire nulla, gli si avvicinò sorpresa, e si sedette dall'altra parte del tavolo. Non era quasi mai successo che qualcosa per Ron fosse tanto importante da essere rivelata appena sveglio, così all'improvviso poi. Inoltre, la sua espressione la preoccupò. Era tutto rosso in viso, quasi sudava, e lei non riusciva a scorgere l'ombra di un sorriso sul suo volto. Anche Hermione cercò di restare più calma possibile: ''Che c'è di tanto importante?''.
Ron mosse la testa verso il Manuale. Optò velocemente per la verità, almeno in parte.
''Per far passare qualche minuto, stamattina lo stavo sfogliando, e mi sono imbattuto per caso in un paragrafo che mi ha fatto riflettere''. Hermione era davvero sconvolta, era certa che Ron si vergognasse di dire di aver letto qualcosa su un libro, e di scuola in particolare. 
''Cos'hai trovato?'' chiese lei, ormai incuriosita dalla vicenda. 
''Leggi'' rispose lui, e pose l'indice sul paragrafo. 
Per circa un minuto Hermione si chiuse in una lettura silenziosa. Quando ebbe finito, si rivolse di nuovo a Ron: ''Quindi?''. Non vedeva a cosa servisse aver letto quelle righe.
Stavolta fu Ron a ritrovarsi sorpreso: ''Non... Tu non hai usato quell'incantesimo? Per... Cambiare la memoria dei tuoi genitori?''.
Hermione non dovette pensarci più di un secondo: ''Si, è questo... Ma cosa c'en...''. Non riuscì a terminare la frase che un rapido collegamento le si palesò nitido nella mente. 
''O cavolo...''.
Era rimasta immobile, a guardare nel vuoto. Non riusciva più ad aprire la bocca, a muovere un muscolo o a sbattere gli occhi. 
''Possibile che...'' disse a Ron indicando il libro. Ron annuì leggermente. ''Potrebbe'' aggiunse lui. Hermione si alzò in piedi di botto, e camminando disordinatamente nella tenda cominciò a ragionare a bassa voce: ''Ma sì... Certo... Così si spiega...''. Pochi secondi dopo tornò da Ron e gli saltò letteralmente addosso, e lo coprì di baci. Era a dir poco euforica. ''Ron sei un genio, io veramente non ho parole! Se fosse davvero così vorrà dire che qualcuno lassù è con noi, incappare in quel paragrafo su oltre mille pagine era pressoché impossibile, poi oltretutto sei stato tu! Sei un genio, sei un genio!''.
Ma nel continuare ad abbracciarlo si accorse che non veniva ricambiata con lo stesso affetto che dava. Ron non riusciva a sembrare troppo entusiasta, d'altronde quelli erano ragionamenti che lui aveva già affrontato, e capì poco dopo che si stava tradendo con i suoi stessi atteggiamenti. Riuscì a dire solo: ''Si si, che fortuna...'' che non fece che peggiorare la situazione. Hermione lo guardò con la testa da un lato, come fanno i neonati. ''Ron... Cos'hai?'' chiese lievemente.
Ron divenne se possibile ancora più rosso, e balbettò velocemente qualche parola: ''Niente, Hermione... È... È tutto ok...''. Ma lei non lo stava ascoltando. Si era alzata in piedi e si allontanava a piccolissimi passi da lui mentre lo guardava sprezzante, quasi con odio. ''Tu lo sapevi. Lo sapevi. E non me l'hai detto. Non me l'hai detto...''.
Aveva parlato piano e deciso, ma era sull'orlo delle lacrime. ''Chissà da quanto lo sai. E non me l'hai detto. Cosa hai pensato, di tenere la sorpresa alla fine, pensavi che la vacanza durasse troppo poco? Ecco perché sei un ragazzino, Ron, uno stupido bimbo viziato che ha paura di affrontare la realtà... È lo stesso discorso che ti facevo qualche giorno fa, ma continui a non capire... Continui a chiuderti in te stesso come uno stupido... Ma non capisci che io sono qui per aiutarti?! Quando si sta insieme è così che dovrebbe funzionare, non bisogna comportarsi da egoisti ottusi, come continui a fare da diciotto anni a questa parte!''. Ormai piangeva a dirotto, ed era come se le sue stesse parole la ferissero ancor di più. ''Io non posso permettermi di stare con una persona così. Non posso. Io... io ti odio. E lo dico per il tuo bene, Ron, ti odio. E questa è l'ultima volta che te lo dico, mi sono stancata di tutto, ed anche di te e dei tuoi atteggiamenti assurdi. Ti odio, e non voglio essere trattata da idiota, come un burattino. Basta! Io ti ho sempre dato e detto tutto, e tu continui ad evitarmi quando si tratta di cose importanti... Non me lo spiego, è una cosa assurda...''. Era in preda al panico, e fredde, gelide lacrime continuavano ad uscire prepotenti. Si accasciò su sé stessa restando sola con le sue preoccupazioni e le sue lacrime, a soffrire in un silenzio di sfiducia. Ron non osò alzarsi ed avvicinarsi. Hermione aveva avuto esattamente la reazione che egli immaginava potesse essere la peggiore. Dopo qualche minuto in cui l'unica fonte di rumore erano i violenti tuoni che infestavano il cielo, Hermione si alzò: ''Vattene'' disse piano, non più piangendo, ma con tono deciso che non ammetteva repliche. 
''No, io resto''.
''Vattene! Vai via!''.
''No!''.
''Allora me ne vado io''.
Ron fu come colpito al cuore. ''Non puoi, Hermione, ti prego''. Quasi supplicava. 
Lei lo guardò come si guarda un assassino.
''Non dirmi cosa posso e non posso fare. Non sai badare a te, figurati se riesci a farlo anche a me''. Era ancora livida, stremata, ma tutto quello che diceva aveva una nota di prepotente autorità. E senza prendere nulla, diede un ultimo sguardo a Ron, fece uscire un'altra lacrima e si volse verso la porta. Prima che Ron potesse dire o fare qualsiasi cosa era già uscita, convinta che il freddo, la pioggia e i fulmini fossero una piaga meno difficile da sopportare che passare un altro secondo con lui.

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Capitolo 28
*** Capitolo XXVII - Lui ***



Lettura consigliata con: Avicii - Hey Brother (Piano Version)

Presto Hermione non distinse più le lacrime dalle gocce d'acqua. Neanche le venne in mente di pronunciare un incantesimo per proteggersi dalla pioggia; si sentiva distrutta, e incapace di reagire. Era dilaniata da ciò che aveva fatto, ma era sicura che dovesse andare così. Valeva la pena di rovinare il rapporto costruito con Ron per aspirare a quella che lei stessa riteneva la perfezione? Forse sì. Però in quei pochi secondi era arrivata ad odiare sé stessa; uno strano senso di colpa la aveva assalita appena ebbe distolto gli occhi da lui, ed era come se il rimorso la colpisse tramite le gocce di pioggia, incessante, ripetitivo, giudicatore. Ed ogni goccia un pensiero, uno positivo ed uno negativo, e una lacrima dopo l'altra, si trovò seduta sull'erba fradicia, gli occhi rossi, le mani sul viso, le ginocchia racchiuse, i capelli bagnati che le cadevano pesantemente davanti. Piangeva a dirotto. Sentiva la mancanza di Ron come se gli fosse mancata l'aria. Eppure né le gambe né la testa le ordinarono di tornare dentro, al caldo e all'asciutto. Da Ron. Aveva agito come la sua personalità comandava, lo aveva avvertito più volte di non nasconderle nulla. La fiducia e la totale capacità di affidarsi all'altro erano i cardini del concetto di amore, per Hermione, e Ron lo sapeva. Glielo aveva detto. Però aveva voluto continuare a fare di testa sua, convinto di saper governare anche le emozioni di Hermione e di saper gestire una situazione più grande non solo di lui, ma di entrambi. Era uno stupido ragazzino viziato, montato dall'aver raggiunto troppo in fretta tutto ciò che aveva desiderato; ma stavolta aveva esagerato. Nonostante fosse sicura che avesse agito per aiutarla, e non per peggiorare la situazione, sentiva come se la scoperta che rappresentava probabilmente la svolta alla loro ricerca forsennata avesse leso qualcosa di più grande ed importante. Solo qualche minuto prima avrebbe pagato a peso d'oro anche un minimo dettaglio che avesse potuto costituire un passo avanti. Ora invece detestava tutto quello che avevano portato avanti, tutti i loro piani, le loro congetture, i loro ragionamenti. Per la prima volta nella sua vita, si accorse di aver considerato Ron più importante della sua famiglia. Un brivido di freddo la assalì. Era stata insensibile ed egoista o era soltanto una dimostrazione di quanto lui fosse importante per lei? In quella situazione non riuscì a raggiungere il nocciolo della questione, troppe lacrime, troppi pensieri. L'unica cosa che le restava nitida nella mente era che fosse più preoccupata del suo rapporto con Ron che di trovare i suoi genitori. E non riusciva a spiegarselo, non era stata educata così, i principi che le avevano insegnato non avrebbero mai permesso di ragionare in quel modo. Quasi non si riconosceva più. Scosse la testa come per svegliarsi da un incubo, ma come spesso succedeva, la testa la riportò a scervellarsi su Ron. Era stato lui ad aver sconvolto tutti gli equilibri della sua vita, lui era responsabile di questo cambiamento del quale non si era mai resa conto. 
Ma perché?
Uno scatto di calma la spinse a ragionare. Avrebbe guardato la situazione sotto tutti i punti di vista, e poi sarebbe giunta alla conclusione, senza aprire mille discorsi per poi far sì che una lacrima o un singhiozzo potessero lasciarli interrotti. 
La pioggia per la prima volta parve non esistere. Chiuse gli occhi, respirò profondamente e cominciò.
Partì dal primo dato di fatto: considerava Ron più importante dei suoi genitori. Non sapeva per quale assurdo motivo, ma era così. 
Era il primo e l'unico... Ma cosa aveva di diverso da tutti gli altri? 
Aspettò molto poco per arrivare alla risposta. Il primo sorriso in quella nera tempesta. Era l'unico che si fosse preso cura di lei. L'aveva fatto a modo suo, ovviamente, con i suoi difetti e i suoi limiti. Ma l'aveva fatto; era sempre stato lì ad aspettarla, pronto a comprenderla, ad aiutarla, a farla sfogare, a prendere le redini della situazione. Il suo cuore era sempre stato tutto per lei. Silenzio.
Poi il rumore di un tuono nel cielo corrispose al primo segnale di rimorso. Si accorse all'improvviso di essere dispiaciuta per lui. Era incoerente, si disse; dopo essersene andata in quella maniera ed averlo lasciato così, da solo, senza di lei, credeva che le sue convinzioni del momento sarebbero rimaste tali. Ma si sbagliava, le immagini di tutto ciò che Ron aveva fatto per lei e per il loro rapporto si ergevano chiare e bianche in quella notte e in quella mente scure. Ancora una volta pensò di essere egoista. Se la sua storia con Ron non fosse come lei la immaginava, non andava bene. Era una visione estremamente chiusa, non capiva come una persona intelligente come lei potesse pensare delle cose del genere. Continuò imperterrita a piangere per sé stessa, cercando di capire come facesse Ron a sopportarla. Era diventata capricciosa, insolente e, cosa che odiava di più, egoista. 
Come poteva pensare di vivere in un mondo perfetto, quando neanche con la magia si può aspirare alla perfezione? Voleva farsi del male, punirsi per quello che aveva pensato e detto. Ma non ne aveva le forze, la pioggia continuava a cadere con violenza, distruggendo lei e le sue emozioni senza rispetto. Nel continuo mescolarsi di lacrime e acqua pensò ancora a Ron, al suo Ron, e alla sua posizione. 
Come si sentiva in quello stesso istante? Era corso a cercarla, per provare a riportarla da lui come era già successo o si era abbandonato a ciò che Hermione gli aveva detto? Dentro sentiva un desiderio di correre da lui, abbracciarlo e renderlo di nuovo proprio, ma qualcosa la bloccò. Che figura ci avrebbe fatto? Non poteva permettersi di palesare dei cambi tanto repentini d'umore, non l'aveva mai fatto, era un'altra cosa che non le apparteneva. 
''Ma io voglio Ron...''.
Era impossibile negarlo. Il suo cuore la portava da lui, una sorta di filo invisibile che li legava indissolubilmente. Chiuse ancora gli occhi, scosse la testa e si morse le labbra e il cuore. Avrebbe messo da parte l'orgoglio, era sicura che Ron valesse molto di più. Era qualcosa di diverso dalla ragione che le parlava, ma doveva essere così. Basta ascoltare la testa, ragionare fino a perdere di vista la bellezza dei momenti persi. Avrebbe agito d'istinto, ascoltato il cuore, colui che ultimamente rappresentava il suo migliore amico. Il suo cuore puntava Ron, e non avrebbe più permesso alla propria testa di farli allontanare. Si alzò con decisione, bagnata fradicia di lacrime e acqua, e accompagnata dai fulmini tornò verso la tenda. Da Ron. Da lui, che si era strappato un pezzo di cuore per donarlo a lei, per imprimerlo come un tatuaggio nella vita della parte migliore di sé. 

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Capitolo 29
*** Capitolo XXVIII - Lei ***


Lettura consigliata con: Ludovico Einaudi - Fly

''Ti odio''. 
Quelle parole erano state probabilmente peggio di una pugnalata, e per quanto cercasse di sperare che quella situazione fosse frutto della sua immaginazione, un incubo che sarebbe presto terminato; Ron non riusciva a non pensare alla terribile realtà che quelle sillabe trasmettevano. 
Se n'era andata. Per l'ennesima volta. E ancora una volta era tutta colpa sua. Rispetto a quando era già accaduto un qualcosa del genere, però, si ritrovò ad osservare il tutto da un punto di vista leggermente più distante e distaccato. Era forse il fatto che avesse preventivato che Hermione avrebbe potuto reagire così se avesse compreso che le era stata nascosta la verità, o forse che egli stesso non si sentiva più in grado di correre da lei per provare a rimediare. Era finita, la testa continuava a ripetergli di smettere di pensare o di agire. Aveva freddo, profondi brividi gli solcavano la schiena e il cuore, e sentiva come se tutto il corpo si fosse d'un tratto atrofizzato, mentre pensava a quanto potesse far freddo fuori dalla tenda, dove da qualche parte la sua Hermione lo stava certamente maledicendo. 
Era dispiaciuta di quello che era successo e di ciò che aveva fatto? Ron non seppe e non volle rispondersi, semplicemente per evitare di pensare il peggio. Lo aveva lasciato, aveva detto di preferire la solitudine. Ron scosse la testa, si mise le mani sugli occhi chiusi, ma non pianse; il cervello gli ordinò di evitare di cadere oltremodo nel ridicolo, anche se era incapace di muoversi. E abbandonato ai suoi pensieri, lasciò che i fantasmi di qualche mese prima tornassero prepotentemente a dire la loro. Aveva sempre saputo di non essere adatto a lei, ma nelle ultime settimane si era convinto che ad Hermione non importasse, che lo amasse quanto lui avesse sempre amato lei. Invece ancora una volta veniva rimarcata la differenza fra di loro, Ron era piccolo, un nulla in confronto ad Hermione, ne era certo. Una persona come lei non poteva sopportare colui che era sempre stato quello in secondo piano, la riserva, colui che non era mai stato protagonista. 
''Sono durato fin troppo'' pensò, e le parole vennero accompagnate da una strana quanto inopportuna voglia di ridere. Scosse ancora la testa, e nella sua inattività si ritrovò a giocare con i battiti del cuore, noiosamente lenti e pigri. 
Tum...
Tum...
Tum...
Cercava di far coincidere il respiro con il terzo battito della serie, un passatempo idiota e crudele. Ogni battito era un momento in più senza di lei, con ogni respiro gli parve di inspirare veleno; ma era per qualche strana ragione concentrato e assorto nel suo stupido impiego. Una futile distrazione dalla realtà. Non si sarebbe accorto del passare delle ore, della fame e della sete. Dopo qualche minuto riuscì ad inserire nel gioco anche la pioggia, con il ticchettio dell'acqua che accompagnava l'orchestra. 
Quasi sorrideva.
Poi, dopo lunghi periodi di calma e serenità, un tuono.
Aprì di fretta gli occhi e si alzò in piedi, come se fosse spaventato. Gli era sembrato un segno. Guardò la sedia di legno sotto di lui, percepì il battito e il cadere della pioggia, e, come se si fosse svegliato da un coma, si mosse lentamente all'indietro girando rapido e inorridito la testa, cominciando a dare peso alle proprie azioni come se non le ricordasse.
Ma cosa diavolo stava facendo? 
Perché non le era corso dietro?
Perché non aveva lasciato tutto per andare a riconquistare ciò che di più caro aveva?
Si vergognava di sé stesso, ma come diavolo era possibile che avesse passato tutto quel tempo fermo, immobile, passivo? 
Non si riconosceva. 
Aveva fatto di tutto nell'ultimo periodo per tirare fuori la parte più matura, sicura e intraprendente di sé ed ora stava permettendo che tutto andasse perso?
Camminava rapido e frenetico in tondo, sempre più sconvolto dai propri atteggiamenti. Era assodato che Hermione fosse più avanti di lui, ma era allo stesso modo certo che quella distanza fosse molto diminuita...
Era stato lui ad aiutare lei, lui a riunirli, lui a stupirla. La maturità che tanto amava di Hermione lo aveva invaso lentamente e lo aveva portato ad un incredibile incremento della propria autostima e del coraggio. Andando avanti con i ragionamenti, gli balenò un timido concetto nella mente: ''E se ora sono io quello più avanti?''.
Qualche anno prima era sicuro che mai avrebbe perfino pensato una cosa del genere, ora si scervellava a pensare che potesse costituire la realtà. Sorrise ancora, stavolta di gioia. 
Ma la testa lo riportò al presente. 
La realtà si manifesta con le azioni. Lo aveva sempre pensato, ma era da parecchio che non andava a scavare nel profondo della propria memoria in cerca di questo assioma. Rifletté ancora, e ancora una volta si osservò come se dovesse studiarsi. 
La realtà diceva che era ancora nella tenda, perso in ragionamenti senza fine e senza scopo, mentre Hermione si trovava da qualche parte fuori, sotto la pioggia e i fulmini, lontano da lui, una meravigliosa alchimia di cuori ormai spezzata. 
Cuori...
E il suo?
Cosa diceva?
Abbassò velocemente lo sguardo sul petto, come  se potesse vederlo davvero. 
Non lo aveva mai interpellato negli ultimi minuti. 
Ma perché?
Ancora una volta si stupì di sé stesso. 
Aveva completamente ignorato il suo miglior consigliere, che lo aveva sempre ben guidato, specialmente quando negli ultimi tempi si trattava di Hermione.
In pochi secondi giunse ad un'altra verità, che però gli parve più che ovvia.
Il suo cuore puntava Hermione. 
Lo aveva sempre saputo.
Quindi per quale insulso motivo continuava a cadere sempre nello stesso tranello, perché non si lasciava trasportare dalle emozioni?
La sua personalità soffriva le decisioni riflettute, e si era dunque ripromesso di seguire l'istinto che era sicuro l'avrebbe spesso indirizzato nella giusta direzione. 
Basta rimuginare sul passato e sul da farsi, basta perdersi in verbose e vane complessità.
Avrebbe seguito il cuore, l'anima, o qualsiasi cosa che egli stesso avesse potuto definire 'emotivo'. 
Era deciso, avrebbe cercato Hermione. 
Non poteva stare senza di lei, avrebbe sacrificato l'orgoglio per riprendersela. Era a posto solo con lei al suo fianco.
Appellò il cappotto, si infilò le scarpe e mise il cappuccio noncurante dell'inferno che lo aspettava all'esterno. La sua unica preoccupazione era raggiungere il suo scopo, era come se la sua maturità passasse attraverso i propri obiettivi. 
Avrebbe potuto correre per chilometri, cercare per ore senza mangiare e bere. Ma anche in capo al mondo sarebbe riuscito a trovarla, a riunirsi alla sua metà migliore. 
Uscì dalla tenda, e lo accolsero pioggia, lampi e saette. Ne fu felice, un po' si sentiva rappresentato dall'ambiente che lo circondava, una nube violenta pronta ad esplodere.
Ma appena fece il primo passo verso l'esterno e guardò per la prima volta davanti a sé, fu sorpreso e non poco di notare esattamente di fronte una figura indefinita, che correva verso di lui in quella che non poteva che essere una penombra non solo fisica, ma in parte anche immaginata dalla propria testa. 

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