A way to remember - Questione di vita o di morte.

di charliespoems
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La fine di un nuovo inizio. ***
Capitolo 2: *** L'inizio della storia, la nostra. ***
Capitolo 3: *** Sorprendere, stupirsi, è cominciare a capire. ***
Capitolo 4: *** Non scordarti di me anche se ti giudico; senza di te non sono capace di nulla. ***
Capitolo 5: *** A volte avresti bisogno di sapere che sei vivo e che hai un'anima. ***
Capitolo 6: *** Squarci di ricordi; squarci di anime. ***
Capitolo 7: *** Di macchie vermiglie e nuovi arrivi. ***
Capitolo 8: *** Blu scuro, è il colore della notte dove si concentrano e si bloccano i nostri occhi, le orecchie, le parole, tutto quanto. ***
Capitolo 9: *** Non c'é alcuna distrazione che può nascondere ciò che è vero. ***
Capitolo 10: *** I pezzi rotti vanno ricomposti. ***
Capitolo 11: *** Ho cercato di immaginarmi senza te, ma non posso. ***
Capitolo 12: *** Attesa e redenzione. ***
Capitolo 13: *** I ricordi non muoiono mai. ***



Capitolo 1
*** La fine di un nuovo inizio. ***


Piccolissima premessa prima di cominciare!
Avviso innanzitutto che in questo primo capitolo ci saranno scene tratte dagli ultimi capitoli del manga (dunque 697,698,699), per tanto il rischio di SPOILER è abbastanza alto. Difatti, sino ad un certo punto, questo capitolo seguirà per filo e per segno la storia originale.
Per seconda cosa, come descritto nella trama tutto questo è più che altro un esperimento, dunque se non vi piace potete tranquillamente scrivermelo in modo tale che io possa migliorare. (Sempre mantenendo il rispetto, ovviamente)
É un'idea arrivata all'improvviso mentre vedevo fanart su Tumblr. Renderla scritta con una base sotto è stato un parto, soprattutto dover rivedere alcune scene del manga che, coloro che stimano questo pairing sapranno, è il dolore. In ogni caso spero che non sia troppo confusionario e banale, e che possa piacere.
Ci vediamo al fondo!
 



Capitolo primo.
La fine di un nuovo inizio.
 

   I pugni arrivavano decisi, veloci, tanto che Naruto non sentiva più le guance. Il labbro era completamente spaccato, grondante di sangue, e il sapore ferroso gli impregnava la gola. Che schifo. Vedere Sasuke gridare in quel modo, ad intervalli, mentre gli storpiava il viso a suon di nocche, faceva più male di qualsiasi altra cosa. Eppure, in una parte remota e masochista del suo cervello, pensava che tutto quello fosse giusto. Solamente, colui che doveva essere preso a calci nel culo era quello che, il culo, lo stava facendo a lui. Cercò di sputacchiare il sangue in eccesso, dando una potente testata all’altro e spostandolo di dosso. Prese fiato, per poi rialzarsi e far seguire una serie di ganci, pugni, calci assestati in faccia e all’addome dell’altro, seguiti da gomitate e spinte rabbiose. Ne dava e ne riceveva, continuamente. Non ne volevano sapere di arrendersi, uno troppo cocciuto e l’altro troppo orgoglioso, convinto di star facendo la cosa migliore per tutti. Sasuke cercò di dare un ennesimo pugno in faccia all’altro, ma questi lo schivò, facendolo cadere con un calcio in pancia. Seguirono altri colpi, sin quando non si fermarono per un secondo, ansanti.

   «Dammi una fottuta tregua, dannazione» sibilò il moro, con il tipico astio negli occhi. Chissà per quale ragione ad entrambi venne in mente il momento in cui si sfidarono per la prima volta, sotto gli occhi vigli del maestro Iruka. A Naruto venne da ridere, ripensando a quanti insulti gratuiti diede al ragazzo che ora gli stava disteso difronte. La sua indifferenza era disarmante, non l’aveva mai tollerata. Non riuscirò mai a tollerarla, probabilmente, si disse. L’altro si rimise in piedi; si guardarono per un secondo. Naruto rimase fermo ad ammirare quegli occhi neri, sospirando internamente. Era tutto così ingiusto. Se solo fosse riuscito a fargli cambiare idea quattro anni prima, in quella stessa Valle della Fine. Strinse i denti: quella era la fine che si meritavano. Lui, che non era riuscito a fermare il suo migliore amico, e Sasuke, che aveva fatto di testa sua senza consultare nessuno. Andando in contro ad un destino troppo crudele per essere intrapreso da un dodicenne. «NARUTO!» «SAS’KE!» e partirono con una nuova serie di colpi, i visi sempre più tumefatti e il dolore dei muscoli che si faceva sempre più forte.

    Si ritrovarono in ginocchio, uno di fronte all’altro, con i respiri che si mischiavano e la stanchezza che pareva avvolgerli come una coperta. Naruto premeva il pugno nella fronte di Sasuke, mentre aveva il suo piantato in pancia. Era così stanco che avrebbe potuto morire così, finendo su di lui, e magari avvertendo un po’ di quel calore che non aveva mai ricevuto da parte sua. Naruto, resisti. Ho quasi recuperato tutto il mio chakra. «Alla buon’ora» sussurrò alla volpe, avvertendo su di sé qualcosa di strano. Osservò la mano di Sasuke, il chakra arancione che scoppiettante si faceva largo nel suo braccio niveo: lo stava assorbendo. «Questo è il potere del Rinnegan. Io sono un Uchiha, e quest’occhio, combinato a quello del mio clan, mi assicura la vittoria» spiegò l’altro. Sasuke posizionò la mano destra nell’incavo del gomito sinistro, pronto ad evocare un Chidori e mettere fine a quell’inutile perdita di tempo. Si convinse di star facendo la cosa giusta quando vide gli occhi blu di Naruto. Nonostante uno fosse cavo a furia dei pugni ricevuti, entrambi esprimevano mille emozioni diverse. Rabbia, delusione, tristezza? Eppure fece finta di non importargli. Non doveva cedere, o per lo meno non in quel momento. Si convinse che in realtà non gli era mai importato.

    «Addio» sussurrò, guardandolo dall’alto al basso. «Mio unico e solo..» lasciò passare qualche secondo, per poi scagliare il fulmine che produceva la sua mano verso il biondo. «Amico!» concluse. O meglio, pensò di aver concluso, poiché proprio nel frangente in cui si abbatté contro l’altro, rivide i suoi occhi, e pensò di non potergli sfuggire più. Ci mise quasi tutta la forza rimasta, in quel Chidori. La sua mente era annebbiata, voleva che morisse, voleva vedere quell’azzurro sparire, dopo tutto quel tempo che gli era rimasto impresso nella mente. Ma non servì a nulla. Non c’era forza che bastasse per reprimere l’indole testarda e dura come il marmo di Naruto Uzumaki. Rispedì indietro quel maledettissimo fulmine, si alzò in piedi e spinse Sasuke, per poi ricadergli davanti. Ansimavano: erano così stanchi. Stanchi di tutto. Era stato davvero troppo. «Ancora e ancora» alzò la voce il moro, respirando sempre più velocemente. «E poi ancora di nuovo» le mani gli tremarono dalla rabbia. «FA’ IL BRAVO E LASCIA CHE TI UCCIDA» gli gridò poi, battendo un pugno nel terreno. «SCORDATELO» rispose immediatamente l’altro. «Non lo farò mai» affievolì il tono, mantenendo lo sguardo fermo e sicuro. Quegli stupidissimi occhi blu.

    Ottima contromossa, ragazzino. Ma preparati, perché si sta preparando ad attaccare di nuovo, e questo sarà il suo ultimo attacco. Inoltre ha intenzione di usare la Kagutsuchi. Ha assorbito buona parte del chakra che prima ti ho prestato, quindi adesso rimangono il tuo chakra rimanente ed il mio. Non appena lo userai io andrò a dormire, quindi mi raccomando, Naruto. Usalo con saggezza. Non preoccuparti Kurama, nonostante il suo Rinnegan sia potente non riesce ancora ad assorbire ed usare i jutsu contemporaneamente. Si preparò, notando il suo compagno di Team venirgli incontro, la fiamma nera che s’ingrossava a vista d’occhio. Erano vicini, ormai. Sarebbe stata davvero la fine? Lui l’aveva promesso: lo avrebbe fermato. «Bene, io vado» racchiuse il chakra nella sua mano destra, dopo di che si avventò sull’amico, compagno, rivale e, probabilmente, amore? Perché insomma, aveva passato la sua giovinezza a cercarlo, a stargli dietro come un pazzo. Lo voleva con sé, voleva sentire i suoi fottuti appellativi, voleva che facesse parte di Konoha, di quello che sarebbe diventato il suo villaggio, casa. Mise tutta la forza possibile, in quel colpo, mentre una lacrima solcava le guance sporche di terra e sangue.

    E Sasuke non fu da meno. Si gettò su di lui con un grido, mentre la sua mente pulsava così forte che pensò gli stesse per esplodere. Rivedeva il suo sorriso che andava da un orecchio all’altro dirgli che un giorno avrebbe fatto qualcosa per il suo odio. Che, un giorno, sarebbe stato lui ad accoglierlo. Ed era lì davvero, di fronte a lui, durante quello scontro che gli univa fino a morire. Perché se Sasuke avesse dovuto per forza morire allora avrebbe voluto che fosse in quel modo, vicino a lui. Perché i sogni, il viaggio che aveva affrontato, il buio che lo aveva avvolto, tutto quello era così lontano in quel momento. Avrebbe voluto fermarsi, dare una testata al cretino e trasportarselo fino al suo appartamento, abbandonarlo nel letto per poi buttarcisi sopra e dormire per giorni. Ma non poteva permettersi pensieri del genere, perché quella era la fine, e i pentimenti erano inutili. Per la prima volta, Sasuke Uchiha si rese conto di quanto fosse stato stupido ed incapace. Perché Naruto aveva visto ogni sfumatura del suo dolore, mentre lui non aveva provato a cedergli un misero sguardo. Nemmeno quando gli implorava con mani tremanti di tornare insieme a lui, a casa. E ci sarebbe tornato, a Konoha, se non fosse stato preso da quell’assurda vendetta. Aveva ucciso suo fratello, per la miseria.

    Per pentirsi, comunque, era ormai tardi. Giusto? Sospirò, quando un boato li avvolse: i loro jutsu si erano scontrati l’uno sull’altro. Era forse questa la sua punizione? Capire il tutto troppo tardi per rimediare? Sospirò ancora, mentre una bolla di luce ed ombra li avvolgeva, causando un frastuono non indifferente. I corpi erano intorpiditi, sul terreno colmo di terra e pietre sparse un po’ ovunque. Ci doveva essere un vero casino, lì intorno, pensò Naruto. Si sentiva intorpidito, non sentiva gli arti e i muscoli gli facevano così male che pensò di scoppiare a piangere ed urlare in presa ad un crisi d’isteria. Non era morto. Non era morto. Questo significava che l’aveva ucciso? Aveva davvero ucciso Sasuke? No, non poteva essere. Sentiva il fiato così corto che realizzò solamente dopo di star morendo davvero, e si rilassò. Rise, seppure i polmoni gli bruciavano. «Ahi» lo sentì lamentarsi, e rise ancora più forte, sentendosi la pancia spaccata in parti. «Sei sveglio, eh» sussurrò l’altro, notando come il suo braccio destro fosse completamente distrutto. Non ne rimaneva nulla, se non parte del bicipite. Non appena Sasuke si accorse che anche il suo braccio era nelle medesime condizioni sobbalzò, pentendosi subito dopo per il dolore acuto all’addome, alle gambe, alla testa. Ovunque. «Sempre a rompere i coglioni, tu. Mi hai intralciato anche stavolta, spero che tu sia cont-» tossì, non riuscendo a terminare la frase. Qualche rivolo di sangue gli uscì dalle labbra.

     «Vorrei proprio sapere perché lo fai» chiese.  «Mi sono lasciato avvolgere dall’oscurità per mia scelta, eppure a te non è mai importato. Mi sei sempre corso dietro, come se capissi davvero» continuò, tossendo di nuovo. «Te l’ho già spiegato, Sasuke. Sei proprio un cretino. Devo sempre stare a ripetermi. E meno male che tu sei un Uchiha! Sì, Uchiha un corno. Sei più coglione di chiunque altro» inveì l’altro, cercando di girarsi di fianco ma fallendo miseramente. Un’altra ondata di dolore lo pervase. Ma stava per morire, quindi ormai non aveva più importanza. «Piantala di blaterare e rispondimi» sussurrò il moro. «Dici tutte queste cose adesso solo perché non puoi muoverti, pft» continuò quell’altro, facendogli prudere le mani. «NARUTO!» «Noioso» borbottò. «Perché sei mio amico» continuò, con il respiro che si dimezzava. «Questo lo hai già detto» sospirò Sasuke, chiudendo gli occhi. «Parlavi sempre di dolore, del fatto che saresti riuscito a superare tutto da solo. Più lo dicevi, più sentivo quello stesso dolore su di me» spiegò, con la voce incrinata. La morte stava arrivando, avvicinandosi lenta e temibile.

    «Sei sempre stato un baka» sputacchiò un altro po’ di sangue, rimpiangendo il suo braccio e come aveva sprecato il suo ultimo Chidori. «Stiamo morendo, anche se sarebbe stato preferibile che morissi solo io» bisbigliò la seconda frase, dicendola quasi più a sé stesso che al biondo. «Quando dici queste cose mi viene una così grande voglia di picchiarti che nemmeno t’immagini» soffiò Naruto con fare rabbioso. A Sasuke venne da ridere. «Ti picchieresti anche in queste condizioni? Sei pessimo» «E sta’ zitto, stupido Uchiha» borbottò ancora. Rimasero in silenzio, aspettando che il destino arrivasse anche a loro. A Naruto faceva davvero incazzare quella situazione. La sua vita, i suoi sogni, le sue ambizioni, erano tutte sfumate. Colpa di Madara, certo, ma non solo. Gli faceva senso ammetterlo ma era talmente preso dallo stronzo che gli giaceva affianco che il resto era diventato come sbiadito. E com’era stato ripagato? Anni di sofferenze buttate via come sabbia al vento. Eppure non lo avrebbe mai lasciato morire da solo. Perché senza Sasuke non c’era Naruto, e in un modo o nell’altro era convinto che per l’altro fosse lo stesso.

      «Saaas’ke» disse con voce sempre più roca. Il respiro veniva a mancare sempre più. Pensava che il suo cuore stesse per esplodere. «Mh» rispose l’altro, spostando il viso per guardarlo negli occhi un’ultima volta. «In un’altra vita, promettimi che mi amerai e basta, va bene?» Naruto sorrise. Quel sorriso aperto, che mostrava i suoi bellissimi e bianchissimi denti. Quello che andava da un orecchio all’altro, che stirava gli occhi e le guance, che lo rendeva così splendente da accecare. Sasuke sospirò: aveva proprio un bel sorriso. Naruto prese a tossire sempre più forte, il sangue traboccava dalla bocca insieme alle lacrime, e la paura nei suoi occhi gli fece venire la pelle d’oca. Pensò di star per piangere a sua volta. «Non volevo finisse, non così» sussurrò il biondo, chiudendo gli occhi e cercando in qualche modo di avvicinarsi a lui. Sasuke fece lo stesso, nonostante sentisse le palpebre farsi sempre più pesanti. Il cuore era così debole, e si sentiva così male. Strisciarono fino ad arrivare ad un palmo dai propri visi. «Te lo p-prometto, Narut-» un singulto, e poi l’ultimo respiro.
 
 
 
    Aprì gli occhi, sentendosi tutto intorpidito. Era come se avesse dormito per anni ed anni. Controllò il suo braccio sinistro, e con sua grande sorpresa lo vide sano. Provò a muovere la mano, stringere le dita, chiuderle a pugno: era il suo braccio. Non sembrava avere delle ferite, ed era vestito in modo… strano. Poco più avanti, una figura gli dava la schiena. Era imponente, molto alta. La pelle poco più scura della sua, vestiti neri, capelli del medesimo colore raccolti in una coda bassa… Sasuke si sentì morire per la seconda volta. Il suo cuore prese a battere ferocemente nel petto. Che poi, i morti potevano sentire il proprio cuore? Itachi si girò a guardarlo con un dolce sorriso in volto. Le guance scavate e quello sguardo amorevole sempre presente. «Ben arrivato, Otouto. Mi piacerebbe poter restare qui con te, ma sfortunatamente devi andare fra poco» gli si sedette di fronte. «N-Ni-san?» sussurrò talmente piano che si chiese se lo avesse sentito. Il sorriso dell’altro gli fece capire che, sì, lo aveva sentito. Eccome se lo aveva sentito.

     «So che sei un po’ scombussolato, Sas’ke. Ma non devi preoccuparti. Io, mamma e anche papà abbiamo fatto il possibile per farti avere una possibilità. Il Sannin delle sette vie ha deciso di essere clemente con te e con tutti noi. Potrai essere perdonato, anche se sarà difficile. Andrai in un posto a te sconosciuto. Ha un nome parecchio strano, è diverso da Konoha. Lì non ci sono coprifronte o Hokage, Raikage, Kazekage. Non ci sono clan, bensì famiglie. Famiglie e basta» guardò la faccia sconcertata del fratello, e per un momento gli venne da ridere. Quell’espressione non era per niente tipica di Sasuke. «Nii-san, io.. Mi dispiace, non sapevo» «Silenzio, Sasuke. Era quello che io volevo. Sarei morto ugualmente, se non ucciso da te, di malattia. Non ha più alcuna portanza. Quando andrai nel nuovo mondo conoscerai già tutte le dinamiche. Probabilmente ricorderai poco di questo villaggio, di quello che hai vissuto qui. Forse ti dimenticherai di me» «NO!» venne interrotto. Sasuke era proprio fuori di sé.

     «Io non voglio dimenticare un accidente, Itachi! Io voglio ricordare tutto. Come faccio altrimenti a capire chi sono, cosa siamo noi ninja, cosa diavolo rappresenta quel villaggio? E Naruto? Come posso andare in un modo di cui non conosco nulla?» «Vivendo, Sasuke. Questa è una seconda opportunità. Vuoi sprecarla? Potresti pentirtene e dopo non ci saranno pentimenti che tengano. Potrai piangere tutti i laghi che vorrai, ma non serviranno più a niente. Andrai in quel mondo per riprenderlo. Tu non vuoi dimenticare, giusto?» chiese, guardando il minore dritto in quegli occhi così simili ai suoi. L’altro spostava lo sguardo ovunque: era così agitato che pensò si mettesse ad urlare fino allo sfinimento. «Sasuke?» lo chiamò, ridestandolo dai suoi futili pensieri. «No, Nii-san. Non voglio dimenticare quello che ti ho fatto. Non voglio dimenticare di Orochimaru e di cosa sono diventato. Non voglio dimenticare Naruto» sussurrò il nome del suo compagno di Team come se potesse ferirlo solamente nominandolo. Sbatté un pugno in aria. «Non voglio dimenticarlo!» ripeté, leggermente più convinto. Itachi si sentì fiero di lui, e non poté far altro che sorridere ancora. «Quando andrai nel nuovo mondo saprai già tutto. Non dimenticherai niente di questo villaggio, né di me o della tua famiglia. Ti è stata donata questa seconda possibilità proprio perché ti sei pentito troppo tardi, stolto di un fratellino» si avvicinò, dandogli il classico buffetto con le dita. Adesso Sasuke ne era sicuro: aveva una terribile voglia di piangere.

«Riuscirò a sopravvivere, lì?» chiese, il nodo in gola sempre più stretto. «Certo, e lo farai per lui»
«Per.. lui
«Sei un Uchiha, giusto? Prenditi quello che ti appartiene, e per cortesia questa volta fallo nel modo giusto. L’altra vita è questa, e aspetta solo te, Sas’ke»






Angolo autrice:
se siete arrivati sino a qui, complimenti! Avete tutta la mia stima.
É un capitolo un po' mazzoso, ma dovevo spiegare il passaggio fra "mondo di Naruto" e "nostro mondo". O almeno spiegare come, il perché, di questo passaggio. Potrebbe sembrare un po' patetico come abbinamento, perché i ninja che conosciamo qui da noi non ci fanno un bel niente, è meglio lasciarli a Konoha, o Suna, o dove preferite. Però, se vorrete continuare questa storia - e me lo auguro davvero! - scoprirete a partire dal prossimo capitolo cosa accade, come il tutto viene affrontato da Naruto, le loro vite che non saranno poi così diverse da quelle che conoscete.
Sono quasi del tutto certa di star parlando a vanvera, bene.
É la mia prima storia in questa fandom, la mia prima long (sebbene non sarà molto lunga), e sono emozionata. Ho letto fan fiction in questo fandom meravigliose, soprattutto su questo pairing, quindi sarà parecchio divertente mettersi in gioco.
(Adesso nessuno si filerà questa storia ed io giocherò con le balle di fieno rotolanti)

Sì, va bene, io direi che è seriamente l'ora di finirla. Perdonate gli eventuali errori: ho riletto, ma scappano sempre! Spero di sentirvi presto e di leggere qualche recensione (positiva o negativa che sia).
Un bacio!
Charlie;

 

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Capitolo 2
*** L'inizio della storia, la nostra. ***


Capitolo secondo.
L’inizio della storia, la nostra.
 
   
    Polvere, fumo, lampi e saette blu che sfavillavano in cielo, la terra sporca di sangue e le sue lacrime che pregavano che tutto quello finisse. Era causa sua, del resto, giusto? O forse no? Sentiva le guance tumefatte, era il suo sangue, ma precisamente di chi? Lo conosceva? O era forse una lei? Vedeva le ombre, quella katana che andava veloce, che fendeva il silenzio, e Naruto si ritrovò ad urlare in preda al panico, con le coperte sfatte e le gocce di sudore ad imperlargli la fronte. Si prese il viso fra le mani: quel sogno lo disturbava ogni notte. Aveva cercato in ogni suo dvd se quella scena appartenesse ad un film già visto, con scarsi risultati. Gli sembrava che fosse sua, che gli appartenesse, ma non aveva la voglia di studiare, figurarsi di interpretare chissà quale eroe in un corso teatrale. E poi, era davvero un eroe del genere? Si alzò dal letto, erano le cinque e mezzo. Sapeva che intanto non si sarebbe addormentato una seconda volta, quindi si vestì ed uscì a fare due passi. Il suo tutore era abituato a non trovarlo mai a casa
la mattina, nonostante fosse uno da svegliare con le cannonate

   Era negli ultimi tempi che quelle immagini apparivano nella sua mente, non lasciandolo dormire. Erano cominciate una volta che era andato al parco, e giocava a calcio con Sakura. Lei ovviamente non riusciva a fare niente, e s’imbronciava inveendo spiriti maligni su di lui che invece se la cavava abbastanza. Sakura era la sua unica amica, primo amore e tutto il resto. Si erano fidanzanti a tredici anni e lasciati a quindici: erano degli stupidi ragazzini, non capivano un accidente delle relazioni e dell’amore. Sakura aveva i capelli lunghissimi, arrivavano sino alla base della schiena. Erano di colore rosa, e Naruto adorava giocarci con le mani, fare trecce storte e code troppo alte. A Sakura tra l’altro i capelli raccolti stavano male per via della fronte alta, ma a lui piaceva ugualmente. Delle volte si comportava in modo strano: lo guardava con uno sguardo pieno di tristezza, gli accarezzava il viso e poi se ne andava, senza dirgli niente. Quel giorno la rincorse per tutto il parco, cercando di capire quale fosse il problema, scansando i piccoli bambini che giocavano a rincorrersi. Cadde, scivolando nel terreno e sbattendo violentemente il gomito destro, mentre la palla blu di un bambino gli rotolava vicino, andando a finire nella sua mano, sempre destra. Oltre al dolore lancinante all’arto, quella posizione con le gambe distese, l’avambraccio sinistro leggermente piegato, quello destro tutto sporto in avanti, gli fece vedere qualcosa. Qualcosa che non seppe definire, ma che ogni notte sognava. Quelle pietre frantumate, quell’odore di polvere misto a sangue, quel sangue.

   Il braccio se l’era rotto, e da quel giorno non riuscì più a muoverlo come prima. Mentre camminava provò a piegarlo, con scarsi risultati. L’incidente era capitato due anni addietro, e Sakura si era sempre sentita in colpa perché era lei che stava cercando di fermare. Pianse tanto in ospedale, probabilmente troppo. Non era morto, era lì, insieme a lei. Ma allora perché tutte quelle lacrime? Perché quell’espressione triste ogni volta che il suo sguardo era perso nel vuoto? Naruto avrebbe voluto saperlo davvero, ma quando veniva preso l’argomento la ragazza scuoteva la testa in un tacito invito a rimanere zitto. E lui sospirava frustrato, perché era una persona importante per lui, e voleva conoscere i suoi problemi. Se fosse stato lui a fare qualcosa di male, perché quel dolore sembrava proprio indirizzato ai suoi occhi blu. L’unica cosa che Sakura sussurrò, un giorno, fu «Sette». Dopo di che si tappò le labbra, con gli occhi sgranati, e riprese a piangere, pensando che lui non la potesse sentire. Naruto proprio non la capiva in quei frangenti. Avrebbe voluto che si aprisse con lui, che spiegasse. Avrebbe voluto capire, ma forse era meglio così. Forse quel terreno frastagliato era solo l’immaginazione, e forse quel sette non era affare che gli apparteneva.

    Prese a calciare un sassolino, mentre vedeva i primi raggi del sole sbucare dalle montagne. Il tempo prometteva stranamente bene, per sua fortuna: non aveva portato l’ombrello con sé, e in Giappone non c’era stagione che valesse perché la pioggia seguita da tuoni e lampi arrivasse quando meglio voleva. Pensò di andare al cimitero a trovare i suoi, ma poi si ricordò che l’orario di apertura era alle sette, e allora sbuffò a voce alta, in preda ad una crisi isterica. Troppi pensieri, troppe parole, troppe immagini. Troppe cose messe insieme, diamine!! Si sedette sul freddo marciapiede, mentre le macchine sfrecciavano dinanzi a lui e le persone cominciavano ad aprire i negozi, in preda a grandi sbadigli. Aveva saputo della morte dei suoi genitori da Iruka: un incidente stradale, gli disse. Se n’erano andati quando lui aveva solo quattro anni. In genere i bambini dovrebbero avere una buona memoria in quella fascia d’età. Sakura ricordava molte cose che successero quando aveva due anni, eppure lui non ricordava molto. Solo i sorrisi delle foto, e per il resto basta. Non aveva in mente i compleanni festeggiati insieme, le uscite con il passeggino, le spinte nell’altalena.

    S’incamminò verso il parco, come suo solito. Sentiva che quel posto gli diceva tante cose da quando era caduto. Quella palla blu ferma nella sua mano era arrivata come se fosse stata attratta dal suo palmo destro. Per quanto questo gli sembrò assurdo, pensava di trovare delle risposte, magari anche il rimedio per il dolore di Sakura. Il vento soffiò, lasciando un po’ di polvere nell’aria, proprio come nel sogno. Si sedette su una panchina, guardandosi intorno. Il sole si annunciava colorando il cielo di rosa, come i petali di ciliegio che gli stavano attorno, e che a breve avrebbero vorticato fino al freddo pavimento.
 

 
 
    «Non potevi scegliere un nome più normale per il locale?» chiese scettico nel notare l’insegna nera con la scritta rossa. Itachi lo guardò sornione, con il tipico sorriso in volto e lo sguardo birichino. Sasuke non poté far altro se non alzare gli occhi al cielo, mentre la scritta –SHARINGAN- si ergeva in tutta la sua imponenza sulla strada.
 
  Sasuke si era svegliato su un letto con delle coperte blu addosso. Faceva caldo, doveva essere estate. Aveva un mal di testa che lo faceva impazzire. Ricordava la metà delle cose da quando si era addormentato in quel postaccio, sotto lo sguardo vigile del fratello maggiore. Provò ad alzarsi, sentiva ancora i muscoli tutti rigidi ed indolenziti, eppure quando aveva visto Itachi sembrava star bene. Notò che era ancora vestito da ninja, con la katana stretta a sé e le gocce di sudore miste a sangue addosso. Andò a fare una doccia, sapendo esattamente dove e cosa fare. Non era la prima volta che vedeva quelle mura, lo sapeva, eppure gli sembrava tutto così strano. Il fatto della profezia, il nuovo aiuto, la nuova vita. Poteva davvero stare con Naruto senza problemi? Slegò le bende che erano state avvolte nel suo braccio sinistro, e sgranò gli occhi quando capì di non poterlo muovere. Che senso aveva lasciargli il braccio se non lo poteva usare?
   Dopo essersi cambiato raggiunse il salotto. Era tutto così diverso, in quel mondo, eppure sembrava conoscere perfettamente ogni cosa: la televisione, il telefono, il divano, il tavolo, la plays-playstation? Già, quello. L’unica cosa strana era l’odore di uovo che proveniva dalla cucina e che in quel momento riempiva l’aria, facendogli venire l’acquolina in bocca. Sentì lo stomaco brontolare, e si chiese chi fosse e cosa diamine stesse facendo nella sua cucina. Si avvicinò cautamente, ancora avvolto dall’accappatoio, per poi sussultare notando la tipica coda bassa che conosceva perfettamente. «Ben svegliato, Sas’ke» lo salutò Itachi, sorridendogli. Sasuke volle piangere lacrime amare, perché non era corretto. Avrebbe dovuto farcela da solo, avrebbe dovuto pagare per tutto quello che aveva fatto, da solo. L’aveva ucciso, aveva dato il colpo di grazia al suo eroe, al suo esempio, al suo fratellone. Si morse forte l’interno guancia, evitando però di far uscire sangue: di quello ne aveva abbastanza. Non si aspettava assolutamente che nella nuova vita lui lo avrebbe accompagnato. Lo guardò con uno sguardo fiero, come a dirgli: ”Non te l’aspettavi, eh?”.
   «Lasciati aiutare almeno stavolta, Sas’ke. Devi rimediare per ogni cosa, giusto? Cominciamo da questa»

 
   Itachi gli aveva spiegato bene o male la sua vita. Non era poi così diversa da quella di Konoha, solamente che non era al villaggio, non era con Naruto, e il tutto funzionava in maniera un po’ diversa. Sembrava che la sua vera vita gli fosse stata strappata e gettata via da qualche parte. Eppure doveva resistere, doveva far rivivere il ricordo per Naruto. Trovarlo e amarlo senza fare storie, perché era quello il suo intento. Doveva scusarsi e fa rivivere il Team sette in quel dannato nuovo mondo, anche se ciò significava vedere Sakura e, bé, parlarle. Sapeva che anche lei era stata impiantata in questa nuova dimensione senza se o ma. Non era nemmeno stata abituata all’idea che si era trovata affianco ad un Naruto solo ma con il tipico sorriso sbarazzino, e aveva capito. Sasuke sapeva che adesso lei l’odiava. L’avevano lasciata indietro, ancora. Non potevano essere alla pari, lo sapevano tutti, in un modo o nell’altro. Lui doveva stare con Naruto e Naruto con lui, non c’era spazio per squinternate dai capelli rosa. In fondo voleva – quasi – bene a Sakura, ma non smise mai di reputarla come una scocciatura, perché anche lei avrebbe dovuto imparare che le lacrime non servivano a niente.

   Sasuke frequentava l’ultimo anno di una scuola musicale, suonava la chitarra, il basso e il pianoforte. Era specializzato in composizione e aveva un sacco di quaderni con tanti suoi pezzi all’interno. Non sembravano scritti da lui. Erano profondi, e la sua vita era racchiusa lì dentro: dalla morte di suoi genitori, in quella vita uccisi in una rapina in banca, agli anni dell’adolescenza. Era marzo: a breve sarebbe diventato maggiorenne. Leggeva quelle poesie, quei testi, come se conoscesse perfettamente il contenuto, pur sapendo che non era stato lui a scriverli, che non c’entrava niente con quella dimensione. Che era lì solo per fortuna, per trovare il Dobe e tornare a casa. O meglio, questo era quello che lui credeva. Non sarebbe stato semplice, con il tipico carattere del biondo, arrivargli davanti ed annunciargli che in realtà era un ninja, un eroe per giunta, che era follemente innamorato di lui – sorrise al pensiero, mettendo da parte la modestia – e che sarebbe diventato Hokage di Konoha, il loro villaggio, dove lui era vissuto da solo fin da quando lo aveva incontrato.

    Continuava a leggere i testi, in quella camera che non conosceva ma che in un modo o nell’altro sapeva di lui. Le pareti blu, le tende e le coperte del medesimo colore, il pavimento bianco e la scrivania perfettamente in ordine, affiancata da una enorme libreria stracolma di romanzi di ogni genere e colore. Non riusciva ancora a comprendere l’utilità di quel mondo, come si sarebbe dovuto comportare, cosa significava vivere. A Konoha si chiedeva quale fosse il significato dell’essere ninja, mentre lì non conosceva nemmeno sé stesso. Eppure si chiamava Sasuke Uchiha, aveva diciannove anni, gli stessi tratti, gli stessi pensieri. Si chiese se non fosse stato meglio resettare tutto e cominciare da capo. Si morse la lingua, pensando che avrebbe quasi sicuramente commesso gli stessi errori. Ringraziò tutti i Kami che suo fratello fosse lì, accanto a lui. Non gli aveva ancora spiegato tutto di quella vita, di quell’opportunità. Il Sannin delle sei vie aveva davvero così tanta fiducia in lui, nel traditore? Faceva parte della profezia, era vero, ma questo non voleva dire avere favoritismi nei suoi confronti. Sospirò, poggiando i quaderni al proprio posto. Era diventato più lagnoso del solito. Tutta colpa del Dobe, si disse.

    Mentre sistemavano le tazze e i piattini nelle credenze, Sasuke girovagava con lo sguardo per il locale. Era carino, né piccolo e né grande. Accogliente, composto per la maggior parte da legno. Il bancone era spazioso e dava ad una parete colma di mensole con sopra liquori e bevande di ogni genere, fresche o meno. Guardandole si chiese se il Sasuke di quella vita avesse mai provato roba del genere. Non aveva mai assaggiato il saké, essendo vietato, nel Villaggio. Le bottiglie avevano strane forme: alcune squadrate, altre rotonde, altre ancora triangolari. Sperò di non farne mai cadere una, evitando figuracce che non si sarebbe più scordato. «Potrai cominciare a bere dall’anno prossimo, Otouto. Non prima» lo canzonò Itachi, notando il suo sguardo assente rivolto ai liquori. Erano davvero tanti, ora che ci faceva caso, e Sasuke era un ragazzo pieno di domande, che dentro sé conosceva questa vita ma era ancora inesperto per poter dare risposte certe. Era normale che si interessasse a certe cose. Sperò solamente che, se mai avesse preso una sbronza, lo avrebbe avvisato per tempo.

   Nel frattempo il più piccolo curiosava nelle divise, legandosi il grembiule nero intorno alla vita e guardandosi allo specchio, chiedendosi se sembrasse ridicolo. «Generalmente alle ragazze piacciono i ragazzi in divisa, indipendentemente da cosa rappresenti» l’informò il maggiore. «E ai rincoglioniti come Naruto?» chiese. Itachi scoppiò a ridere.

    Sasuke si chiese come il biondo fosse venuto a conoscenza di quel mondo. Se stesse bene, se avesse avuto l’opportunità di conoscere i suoi genitori, se fosse riuscito a farsi nuovi amici, se avesse già trovato i suoi nakama. Strinse forte le mani. Si era perso così tanto di Naruto in quegli anni. Mentre lo rincorreva lui pensava costantemente al suo potere, a diventare forte, ad uccidere il suo aniki. Si sentì uno stupido, tanto che si trovò le unghie conficcate nella carne. Un rivolo di sangue colava da entrambe le mani, e si stupì nel sentire un dolore atroce proveniente dal braccio sinistro. Perché funzionava solamente a volte? Il dolore si spanse fino alla spalla, facendolo gemere. «Questo è un problema. A quanto pare funziona quando vuole lui» gli sorrise tristemente il fratello, tastandogli l’arto con estrema delicatezza. Le dita lo solleticavano, sembrava che stesse toccando proprio i punti in cui il dolore si propagava. Strizzò gli occhi. «Forse dovrei portarti in ospedale. Sai, in questa vita sono un dottore» e gli fece il suo tipico sorriso.

    Alla fine era risultato che, in quel mondo, si era rotto il braccio a cinque anni, girandolo in modo innaturale. Avevano provveduto a riparare la situazione, ma ogni tanto il braccio prendeva a non reagire agli stimoli, causandogli dolore. Stringendo le dita della mano sinistra, Sasuke si chiese se in un modo o nell’altro anche quella fosse una punizione. Aveva scoperto che i suoi avevano ceduto a lui ed Itachi il loro bar di famiglia, che andava di generazioni dalle prime discendenze di Mikoto. Il padre era un prestigioso avvocato, che aveva lasciato loro preziosi beni. Erano fortunati dal punto di vista economico, ciononostante entrambi avrebbero preferito avere i loro genitori vivi – e magari sapere dove si trovasse Naruto – invece che quella vita in preda alla solitudine. Cercare il biondo non sarebbe stato facile e questo Sasuke lo sapeva bene: non aveva idea di dove cominciare. Si chiese se fisicamente fosse diverso. Magari non facendo tutti gli allenamenti e mangiando continuamente lo schifosissimo ramen istantaneo era diventato una rana grassa e perlopiù rotolante. Scosse la testa, eliminando l’orribile pensiero. «Nii-san, tu sai dov’è?» chiese. «Sì, Sasuke. Ma fidati, arriverà prima lui da te» gli rispose, mentre sistemava delle cartelle nella borsa. Era vestito in giacca e cravatta, stava per riuscire nonostante fossero da poco tornati dall’ospedale. Sasuke ne avrebbe approfittato per girare per casa e controllare com’era nei dettagli. Per il momento gli piaceva: era ben arredata e dava tranquillità. Probabilmente troppa.
 
   «Emh» cominciò poi, mordendosi la lingua perché sì, doveva chiedere e farsi aiutare. «C’è Sakura insieme a lui, in questa vita, vero?» «Sì, Otouto. Non è solo» detto questo gli sorrise, per poi uscire. Sasuke prese un respiro profondo, abbandonandosi nel divano. Sperò che fosse in compagnia di qualcun altro, oltre che di Sakura. Non era mai certo che quella potesse fargli capitolare l’ultimo neurone rimasto in vita. Perché lui ne era sicuro: Naruto restava sempre un cretino, non importava a che vita appartenesse. Sapeva anche che, una volta trovato, lui si sarebbe di nuovo innamorato di lui. Perché era palese che prima lo fosse, cercandolo in lungo e largo. Voleva raccogliere il suo odio, lui. Voleva averlo per sé, a casa. Strinse forte le labbra fra loro, sentendo il rammarico verso sé stesso. Ma a che diamine pensava? Aveva trattato tutti così di merda. Non che non li odiasse, assolutamente. L’Inuzuka era un animale peggio del suo cane, del Ciccione non c’era proprio nulla da dire – era pur sempre un amico del Cretino, Shino pareva uno spirito: a volte c’era, a volte no, e anche se non faceva nulla di particolare gli dava sui nervi. Yamanaka era solo un’idiota, mentre Sakura una piagnona noiosa. E Sai, bé, da quel poco che aveva visto era più inutile dell’Haruno e Ten Ten messe insieme. Sospirò ancora, stringendo le palpebre.

    Gli unici normali erano Shikamaru e Neji, e sperò che almeno loro fossero con Naruto per infondergli un minimo d’intelligenza. Non che il Cretino potesse acquisirne molta. Pur stando in Team con lui restava sempre un Dobe di prima categoria. Ricordava ancora il combattimento contro Zabusa e Haku: la loro simbiosi, il loro essere squadra. Mentre Sakura restava indietro. Di tanto in tanto l’odio per coloro che abitavano al villaggio continuava a salire, se ci pensava attentamente. Facevano parte di Konoha, e avevano ucciso suo fratello insieme a lui. Erano stati molto più meschini di lui. Avevano ucciso il suo clan, e l’unico suo obbiettivo in quel frangente era quello di radere Konoha al suol- «BASTA» urlò, sbattendo un pugno nel divano. Il cuore batteva furiosamente nel suo petto, mentre la sua testa era in continua confusione. Respirò a fondo, cercando di calmarsi il prima possibile. Non era questo il motivo per cui la possibilità gli era stata data. Si era pentito, aveva commesso degli errori e aveva capito di aver sbagliato su tutto. Voleva davvero sprecarla in quel modo? Si rilassò, socchiudendo le palpebre e cercando di riposarsi un poco. Quella nuova vita avrebbe fatto in tempo a distruggerlo prima ancora di avergli permesso di trovare Naruto.

    Si convinse di essere troppo ansioso e angosciato per il fatto di non sapere come rivedere e riconquistare Naruto. Inoltre quel corpo e quella mente delle volte sembravano non suoi: i ragionamenti erano così contorti. Avrebbe dovuto penare tanto per trovarlo e farlo essere suo. Avrebbe preferito averlo lì, in quel momento, mentre con le braccia incrociate dietro la testa gli sorrideva urlandogli di non preoccuparsi, che tutto sarebbe andato per il meglio perché lui – il futuro Hokage – avrebbe sistemato tutto.

    Ma magari, si disse, per poi cadere in un’ennesima dimensione senza sogni. 



 




Angolo autrice: 
eocci qui, con il secondo capitolo di questa storia abbastanza bizzara per non essere della sottoscritta.
Spero che il lasso di tempo di una settimana non sia troppo da dover aspettare. In tal caso cercherò di sbrigarmi con i tempi: la scuola sta per terminare quindi ho tutta la libertà necessaria per poter fiondarmi nella scrittura (a meno che non mi sciolga prima per il troppo caldo).
In ogni caso, prima di tutto vorrei dire qualcosa riguardo i kanji che vengono utilizzati come simbolo per indicare le ellissi. Se quello del capitolo precedente era quello della morte, riferito appunto a ciò che accadeva, quello di questo capitolo indica la vita.
[Per chi non lo sapesse, il termine nakama vuol dire amici, compagni.]
Parlando del capitolo in sé, devo dire di non essere molto soddisfatta (e sono solo al secondo, figuriamoci!). Ci sono molte parti di cui sono abbastanza insicura, soprattutto nel punto di vista di Naruto. Lui non deve conoscere la storia, prima di tutto perché altrimenti sarebbe troppo facile per Sasuke, e poi perché sarebbe troppo doloroso anche per lui. Inoltre questa storia, se il biondo sapesse tutto, non avrebbe fondamento. Qui quello che deve farsi il culo a strisce è proprio il caro Uchiha.
La parte in corsivo ovviamente indica un flashback, dove si racconta il risveglio di Sasuke nel nuovo mondo. (Non potevo lasciarlo senza Itachi, dai)
Spero di non aver deluso le aspettative. Nel prossimo capitolo scopriremo qualcosina in più rispetto al nuovo mondo, al punto di vista di Sakura - che è un po' ooc rispetto al manga, eccetto per il fatto di piangere costantemente - e anche su Naruto.
Aspetto i vostri pareri, e ovviamente accetto le critiche purché non siano presenti insulti infondati. Perdonate gli eventuali errori: scappano sempre!
Un abbraccio forte forte,
Charlie;

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Capitolo 3
*** Sorprendere, stupirsi, è cominciare a capire. ***


Capitolo terzo.
Sorprendere, stupirsi, è cominciare a capire.
   
   «Sorpresa!» capelli argentati, sorriso storto da idiota di prima categoria, denti appuntiti e braccia conserte. Suigetsu Hozuki lo guardava dall’alto al basso, seduto a gambe incrociate da sopra il bancone, davanti ad una Karin fin troppo agitata e da un Jugo impassibile come suo solito. Sasuke rimase per qualche secondo interdetto, cercando con lo sguardo il fratello maggiore. Cosa cazzo ci fanno loro, qui? Si chiese, sconcertato. Serrò le labbra, non se l’aspettava proprio. Sentiva il cuore stringersi ma non seppe il motivo. Non era poi così bravo a controllare le emozioni: vita nuova o meno, sempre lui rimaneva. Lo sguardo era impassibile come suo solito, appunto – non che gli altri si aspettassero qualcosa di diverso – mentre Suigetsu ciondolava avanti e indietro con la schiena, in attesa di qualche parola, o meglio, monosillabo. D’altronde si sapeva: Sasuke era il tipo più espansivo e assurdamente solare che conosceva. Sì, nei suoi sogni più fantasiosi. Sorrise di più, stirando la coda degli occhi, mentre la battutaccia era pronta ad uscire. «Ti blocco prima» disse atono, guardandolo con quegli occhi che sembravano oscurarsi sempre più.

    Non riusciva a comprendere. Non avrebbe dovuto pagare lui i suoi errori? E allora per quale dannatissimo motivo i suoi compagni di Team- No, loro non erano i suoi compagni. O probabilmente sì. Rimase con le labbra socchiuse. Che rapporto aveva con quei tre? Di nuovo la stretta al cuore si fece più intensa. Odiava sentirsi in quel modo, odiava quel posto, odiava non dover indossare la katana, odiava dover interagire in luoghi e modi di fare che non conosceva minimamente. E odiava loro, perché non sarebbero mai dovuti andare in suo soccorso. Doveva riscattarsi, era in quella dimensione perché era stato lui a sbagliare, e nessun’altro. Nemmeno Itachi avrebbe dovuto essere lì, a guardarlo con gli occhi pieni di sentimento, mentre gli sorrideva come sempre aveva fatto. Gli venne in mente la scena della sua morte, mentre con la fronte scivolava sulla lastra di pietra al suo fianco. Pensò che il cuore stesse per scoppiargli, in quel momento. Strinse forte la mano destra – la sinistra aveva deciso di non funzionare – sentendosi troppe paia di occhi puntati addosso. Era vero, probabilmente doveva cambiare la sua vita in quella dimensione prima di tutto facendosi aiutare. D’altronde era lì per rimediare ai suoi errori, ed uno dei primi era stato proprio quello di prendersi delle stupidissime responsabilità da solo. Ma loro, loro che colpe avevano per essere lì, ad aiutare lui?

     «Oh no, sta cominciando a farsi le seghe mentali» esclamò con falsa agitazione, Suigetsu, ridestandolo dai suoi pensieri. Erano davvero ragionamenti privi di senso? Ma perché in quel mondo pensava così tanto, arrovellandosi il cervello? Che razza di mente malata possedevano gli umani, in quel posto? Probabilmente Suigetsu aveva ragione, stava solo pensando troppo. Avrebbe dovuto affidarsi di più alle azioni ed essere meno calcolatore. Un po’ più impulsivo, forse. E chissà per quale assurdo motivo gli venne in mente una zazzera bionda, seguita da un paio di occhi blu che non avrebbe dimenticato tanto facilmente. Naruto. Ci pensava spesso: dove si trovasse, cosa stesse facendo, con chi fosse. Era da circa un mese in quel mondo, più o meno si era abituato alle strade ed ai luoghi, alla tecnologia, ai mezzi di trasporto con nomi indecifrabili – come si chiamava, merò? – e che raggiungevano distanze incredibili. D’altronde era più semplice, perché il sé di quella vita conosceva già tutto. Era la parte di cervello nata a Konoha a dover fare il doppio del lavoro cercando di ambientarsi.

    «Sa-Sas’ke-kun, ci sei mancato tanto! Questo è un postaccio, niente chakra e niente cure mediche. Però ci sei t-tu, e va bene così. Come stai?» chiese un po’ titubante l’Uzumaki, facendo roteare gli occhi verso il cielo al compagno seduto dinanzi a lei. «Non ti è accaduto nulla di preoccupare, non è vero?» contribuì Jugo, osservandolo attentamente per controllare che non avesse segni di violenza visibili. «Oh, ma cosa siete, sua madre? Per carità, con chi devo condividere l’aria» protestò Suigetsu. «Prima avresti detto l’acqua» lo schernì Sasuke, con il tipico ghigno che non metteva in viso da tempo. «Touché! In ogni caso mi manca essere una pozzanghera. Adesso i pugni di Karin fanno un po’ più male» si grattò la nuca, sorridendo sempre di più. La rossa fece finta di non aver sentito, puntando la sua attenzione unicamente sull’Uchiha. «Si può sapere cosa ci fate voi qui?» chiese lui, guardandoli uno per uno. «Ti pariamo il culo, mi sembra ovvio. Sempre che il biondino non arrivi prim-» un pugno da parte del moro lo fece star zitto, per poi scoppiare a ridere.

     Sasuke guardò Itachi, ripetendo la domanda con lo sguardo. «Tutti hanno una propria vita, in questa dimensione. Ce ne sono diverse per la verità, ma il Sannin ha scelto proprio questa. Avrai potuto notare che qui ci sono molte differenze rispetto a Konoha, anche in base al livello di pensiero» puntò un indice su una tempia, ad indicargli il cervello. Poi continuò: «Non conta che tu sia stato un ex-nukenin nella tua precedente vita, in questa potrai contribuire a migliorare anche per quella appena trascorsa. D’altronde sei morto solo un mese fa, giusto?» «Tu sei qui da molto, Itachi-san?» chiese Jugo, incuriosito dall’argomento. «Da quando sono morto. Ho incontrato i miei genitori per poi cercare un modo per far migliorare il futuro di Sasuke. Ho riposto tutta la mia fiducia su Naruto, e posso dire che non mi ha tradito. È un bravo ragazzo e sono contento che Sasuke possa riscattarsi, soprattutto per lui oltre che per sé stesso» prese una pausa, guardando quegli occhi onice così simili ai suoi. «Inoltre tutti, una volta morti, ci rincarniamo per affrontare una nuova vita. Solamente che la nostra memoria viene cancellata. Quello che io ho chiesto è che nessuno dei tuoi amici, io e te perdessimo la memoria, in modo tale da ricordarci tutto. Potremo aiutarti, ma aiuteremo anche noi stessi per eventuali errori commessi. È una grande opportunità quello che il Sannin ci ha donato» precisò. «Non sei al centro del nostro mondo, Sasuke. Scendi dal piedistallo» Suigetsu gli fece la linguaccia, e giurò di aver visto lo spettro di un sorriso in quelle labbra fin troppo bianche.

     «Ma e cosa avresti fatto tu per volerti riscattare, Itachi-san?» «Puoi anche togliere l’onorifico, Jugo. In ogni caso, non sono stato vicino al mio fratellino, ed è giusto che ora rispetti il mio incarico» rispose, osservano l’imbarazzo divorare poco a poco l’espressione ormai fintamente apatica del fratello. «Ma allora perché mamma e papà sono morti anche in questa vita?» chiese lui, stringendo le dita della mano funzionante. «Questo non te lo so dire, Otouto. Sono morti quando in questa vita avevo dodici anni e tu quasi otto. A quanto pare doveva andare così e basta» rispose, lo sguardo nel vuoto. «Sì, vedo delle immagini, ora che ci penso, e sento dolore» commentò Sasuke, sentendo una strana sensazione alla pancia. Era come se bruciasse. Karin singhiozzò: si era commossa, come suo solito. «Non c’è bisogno di piangere, scema. Allora che farai quando saprai che al tuo amato Sas’ke piace prenderlo nel-» «Suigetsu, giuro che adesso ti strozzo»
 
 
    Aveva preso la passione per la pittura ed il disegno da suo padre. Da quello che Iruka gli aveva raccontato era un famoso artista, mentre sua madre scriveva romanzi fantasy per ragazzi. Non ne aveva mai letto uno per paura di suscitare ricordi e troppo dolore da contenere. Ne sentiva così tanto nel suo petto che rivangare i ricordi avrebbe fatto male, e nonostante fosse maturato in quegli anni non si sentiva pronto. In realtà non si sentiva parte di quella vita. Le dita andavano da sole, puntando il pennello sulla tela e sporcandolo di mille colori. Molto spesso chiudeva gli occhi e si lasciava trasportare dalla magia di quelle tempere e dal loro odore. Disegnava paesaggi a lui sconosciuti, distese d’acqua, tramonti. Ma mai quel terreno che ogni notte sognava. Più cercava di memorizzarlo e più appariva sfocato nella sua mente, mentre di notte era tutto così chiaro. Sembrava una presa per il culo.

    Non aveva mai fatto vedere i suoi quadri a nessuno, nemmeno al suo tutore. Erano una cosa personale. Lui dipingeva per sé stesso, non per gli altri. Per trovare una pace interiore che sentiva di non avere. Gli sembrava di essere inciampato in quella vita per sbaglio, e ne risentiva parecchio. In realtà una persona che vedeva i suoi quadri c’era: il suo insegnante, Jiraya, che però morì due anni prima. Ricordava poco dei suoi insegnamenti. L’unica cosa che gli aveva affidato era un libro scritto da lui. Diceva che era importante che lui lo leggesse, eppure si trovava ancora dentro all’ultimo cassetto della sua scrivania, gettato al fondo sotto una marea di scartoffie di ogni genere. Non amava leggere, e non la reputava una cosa poi così indispensabile. Anche se Iruka lo guardava con occhi colmi di rimprovero. Si sentiva come se tutti potessero giudicare. Ma che diamine ne sapevano, loro? Sospirò: non doveva avere quel genere di pensieri. Gli volevano tutti tanto bene, lui, Sakura e Jiraya. Pensò che forse quel giorno avrebbe potuto leggere almeno il prologo – sempre se ne aveva uno – di quella storia che, dava per scontato, fosse stramba e contorta.

    Sobbalzò quando vide una figura dai capelli rosa saettare alle sue spalle, con un sorriso imbarazzato nelle labbra. Cercò di coprire la tela alla bell’e meglio, ma Sakura lo bloccò. «Lo so che odi quando qualcuno ti interrompe, scusami. Ero solo curiosa, sono qui fuori da una quindicina di minuti. Sei più lento del solito oggi, tutto bene?» chiese, abbracciandogli la schiena. «Sei una stalker, Sakura-chan. Mi spii sempre?» chiese, e scosse la testa esasperato quando l’altra annuì. «Mi fai vedere qualche tua opera? Per favore, Naru» chiese, gli occhi verdi colmi di speranza. Naruto sospirò ad alta voce, facendole segno di seguirla. Le fece vedere alcuni suoi quadri. Erano tutti paesaggi meravigliosi, frutto della sua immaginazione, ad eccezione di uno: il parco. Sakura sgranò gli occhi quando vide il corpo di Naruto raffigurato disteso, con una sfera blu – luminosa – tra le mani. Lanciava dei lampi e saette azzurre ovunque. Deglutì. «Questo come ti è venuto?» chiese, indicandolo. «Il giorno che mi sono rotto il braccio è successa una cosa del genere. Solo che ho cambiato la palla blu in questa… cosa. Non so come mi sia uscita, sinceramente. È un po’ come questo» le indicò un altro quadro, e Sakura dovette mordersi la lingua a sangue per evitare di cacciare un urlo esasperato.

    Un ponticello che si affacciava al fiume, circondato da erbetta. Riusciva ancora a sentire la solitudine, vedendo la schiena di Naruto affianco dalla sua. Erano seduti, probabilmente con i piedi immersi nell’acqua, mentre le braccine del biondo erano rivolte verso il cielo. Erano bambini, e anche se di schiena la ragazza riuscì ad immaginare benissimo il volto felice di Naruto, affianco a quello latteo e terribilmente serio di Sasuke. Sasuke. Solamente a pensare il suo nome le lacrime minacciarono di traboccare. «I miei complimenti, sono bellissimi, Naru» gli sorrise, commossa. Lui poteva ricordare. Lui infondo sapeva ogni cosa di Konoha, del suo villaggio, del suo Team. Non avrebbe mai potuto resettarlo in quel modo. Si chiese solo perché anche lei non fosse come lui: sorridente, gentile, empatica. Più pensava al passato, ai loro corpi vicini e ormai privi di vita, e più sapeva di star morendo anche lei. Aveva fatto di tutto per fare in modo che si svegliassero, quando Kakashi l’allontanò di forza e Tsunade l’abbracciò con gli occhi velati dalle lacrime. Sasuke, dove diamine sei?

    «Ti ringrazio! Che dici, ti va se usciamo? Iruka mi ha dato due biglietti per lo zoo, pensavo ti sarebbe piaciuto» e ancora una volta le sorrise, sciogliendole il cuore. «Va benissimo» ricambiò lo sguardo affettuoso, per poi seguirlo. Camminarono parlando del più e del meno. Non sapeva nemmeno che ci fosse, il circo. Era l’ultimo dei suoi pensieri. Avrebbe voluto vedere il ragazzo al suo fianco con il tipico andamento scomposto, mentre trotterellava dietro Kakashi e sfidava Sasuke fino alla morte. E non le sarebbe importato se avesse fatto da spettatrice un’ennesima volta. Voleva solamente abbracciarli stretti e portarli a casa. Konoha le sembrava così distante, in quel momento.
«Ho sentito che ci sono tutti i tipi di animali. Non ho mai visto un panda in vita mia, devono essere giganteschi!» alzò le braccia verso l’alto il biondo, enfatizzando la sua curiosità. Le sorrise dolcemente, e Sakura non poté fare a meno di pensare quanto Sasuke si stesse perdendo. Era stata fortunata a crescere insieme a Naruto, alla sua spontaneità e voglia di vivere. Eppure, in un modo o nell’altro, invidiava il suo compagno traditore. Perché stare lì, con gli occhi blu scintillanti di Naruto ad un soffio dal naso, mentre lui non ricordava nulla di quella vita passata fra il dolore delle perdite e la gioia delle vittorie, era doloroso. Faceva così tanto male che Sakura delle volte pensava di morire. E anche se si sforzava di non piangere, le lacrime scendevano da sole, inumidendole il viso senza che lei nemmeno se ne accorgesse. Si chiese perché fosse da sola. Dov’erano tutti i loro compagni? Perché quel peso doveva portarlo solamente lei? Strinse forte i denti, notando l’insegna dello zoo farsi sempre più vicina.

    Una volta pagati i biglietti e aver sentito ruggire i primi leoni, Naruto l’aveva trascinata di gabbia in gabbia con occhi lucidi di ammirazione. Si erano spostati nella zona acquatica, avevano visto gli ippopotami, erano ritornati dai felini per poi spostarsi alle scimmie. «Contento? Sei fra i tuoi simili» scherzò Sakura, vedendolo emozionato come un bambino. «Quanto sei cattiva, Sakura-chan» mise il broncio, incrociando le braccia al petto e gonfiando le guance, nella tipica espressione da strapazzare di coccole. E infatti la rosa se l’abbracciò stretto, scoppiando a ridere e stampandogli un bacio nella guancia. La riprese per mano, per poi dirigersi verso gli animali separati dal recinto. Era davvero entusiasta di quella piccola gita. Era solo uno zoo, lo aveva visto parecchie volte con Iruka, eppure si sentiva felice. Aveva messo da parte i sogni, i ricordi, la morte. Tutto andava bene in quel momento e lui si sentiva più leggero, mentre stringeva la mano di Sakura. Sperava con tutto il cuore che anche lei stesse bene, in quel momento. «Sakura» la chiamò, fermandosi poco prima di andare a vedere l’attrazione principale: i panda. «Sì?» «Sei felice? Ora, dico, sei felice?» chiese. La rosa perse un numero di battiti indefinito, prima di specchiare i suoi occhi verdi in quel blu così bello che, sì, la faceva star bene. Si morse le labbra. Forse era meglio così: essere l’unica insieme a lui, per lui. «Certo che sono felice»

     Dentro la recinzione si trovavano varie animali, inutile dire che Naruto diede loro un’occhiata meravigliata anche se piuttosto veloce, poiché sfrecciò verso i tre panda che sostavano vicino ad una gabbia. Due erano piccoli, mentre uno era grande, anzi, enorme. Sembravano così teneri che al biondo venne un’insana voglia di scavalcare il recinto e abbracciarli tutti. I cuccioli giocavano tra loro, emettendo strani versi che lo fecero sorridere. Sembravano arrabbiati, ma era visibile quanto stessero giocando. La loro espressione, per quanto lui poteva capirci qualcosa, era rude. Eppure sembravano particolarmente affiatati. «È probabile che più avanti diventino amanti, soprattutto se continueranno a stare qui» Naruto sobbalzò alla voce che da dietro le spalle richiamò la sua attenzione. Un ragazzo in divisa, con un’espressione serena ma professionale in volto ricambiò il suo sguardo. Era in divisa, quindi quelle erano informazioni utili. «Scusami, non volevo spaventarti» disse poi, imbarazzato. «Naru?» Sakura lo chiamò, per poi bloccarsi per qualche attimo sul posto, una volta vista la chioma rosso fuoco dell’altro ragazzo.

    Gaara era particolarmente diverso in quel mondo: i capelli lunghi sino alla base del collo, il tatuaggio della fronte sparito, le occhiaie erano diminuite e il suo viso era così sereno da non sembrare lui. Gli sorrise calorosamente. Non era certa che il rosso sapesse qualcosa della nuova vita, ma non le importò. «Scusa l’interruzione. Continua pure» Gaara l’osservò, sorridendo di circostanza. «Era solamente un’informazione, niente di più. Scusatemi voi. Da questa parte potete trovare anche le volpi, di cui una particolarmente vivace. È l’attrazione per i bambini» sorrise apertamente, in quel momento. Mentre si spostavano, Sakura gli poggiò una mano in una spalla, ricambiando il sorriso. Nel frattempo, quella fredda del ragazzo si era già posata sulla sua. «Ci vediamo» le sussurrò, mentre Naruto le gridava di raggiungerlo.

    Le volpi erano cinque, ognuna per conto proprio: chi beveva, chi si lavava, chi restava all’ombra e sonnecchiava. Una, invece, prendeva a ringhiare contro dei ragazzini che si avvicinavano. Uno provò a mettere una mano, ma un accompagnatore lo esortò immediatamente a smetterla: avrebbe potuto sbranarlo. Spiegò inoltre che non era stata educata a dovere, poiché presa da poco e quindi ancora selvatica. Eppure non doveva essere così complicato addomesticarle, o no? Si chiese Naruto, ascoltando da lontano la conversazione. Dopo un po’ si avvicinò, inginocchiandosi proprio di fronte alla volpe, mentre quello stesso operatore gli pregava di stare indietro. «Voglio solo vederla da vicino» gli disse poi, assicurandogli di non fare niente di sbagliato. La guardò negli occhi continuamente, perdendosi in quel castano misto all’arancione del suo pelo. Era grande, sembrava quasi più importante rispetto alle altre. E continuava a ringhiargli addosso.

     Naruto si sedette a gambe conserte, mentre Sakura da una parte rimaneva a guardare con un sorriso dipinto in volto. Dovette lottare per non emozionarsi, nel vedere quanto il suo amico fosse naturale con l’animale. Tutto si ricollegava così bene. Inoltre vedere Gaara le aveva dato sicurezza. «Ne Sakura-chan, dici che mi odia?» le chiese, mentre altre persone si avvicinavano un po’ impaurite. «No, Naru. Secondo me non ti odia per niente» «Ha un nome?» chiese poi all’operatore. «Kurama» Naruto dovette tenersi al pavimento per non cadere, in preda ad un capogiro. Guardò gli occhi della volpe, mentre la sua vista gli si offuscava. «Tutto bene?» gli chiese l’operatore, mentre delle persone lo guardavano preoccupate. «Aspetti, non lo tocchi» sussurrò Sakura, sperando vivamente di essersi fatta sentire. Naruto si rialzò, mantenendo sempre lo sguardo sulla volpe. «Kurama, eh?» sorrise, poggiando una mano aperta sulle sbarre della gabbia, e rise più forte quando la zampa della volpe si appoggiò alla sua stessa mano.









Angolo autrice:
premetto dicendo che il titolo di questo capitolo è una citazione di 
José Ortega y Gasset.
Venendo al capitolo. So che non è esattamente l'ora adatta per pubblicare, ma pazienza, quando c'è l'sipirazione non si può far niente.
Allooora, diciamo che cominciano a venir fuori i personaggi. Sto cercando di renderli il più ic possibile - nonostante quello di Sakura oramai non lo è per niente - ma in tal caso non fosse vi pregherei di segnalarmelo. So che può dar fastidio. In ogni caso, se devo essere sincera credo che le figure del Team Taka (e soprattutto fdi Suigetsu) siano importantissime per Sasuke. Devono aiutarlo a ragionare, a gestire le sue azioni nel modo migliore e, soprattutto, a sfotterlo (grazie Suigetsu).
Per quanto riguarda Naruto, comincia a vedere sempre più chiaro. O almeno, questo è quello che intende Sakura. In questo capitolo abbiamo la figura di Gaara e di Kurama. É una volpe normalissima, forse un po' più egocentrica e rumorosa, ma non cattiva. É pur sempre Kurama, dopotutto. Credo che queste due figure siano ugualmente importanti per il biondo. Più avanti si vedranno per bene tutti i personaggi e il loro aiuto verso i due strambi protagonisti.
Bene, in pratica non ho detto niente di sensato come al solito.
Ribadisco che se per caso troviate errori devono essermi sfuggiti, scusatemi. Al prossimo capitolo!
Un bacione,

Charlie;

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Capitolo 4
*** Non scordarti di me anche se ti giudico; senza di te non sono capace di nulla. ***


Capitolo quattro.

Non scordarti di me anche se ti giudico; senza di te non sono capace di nulla.
 

    
      «Da quanto tempo sono sulla Terra, padre?» chiese, mentre giocava con le sue dita. Tutti i mondi erano strani, visti da lì sopra. Eppure lui si concentrava solo su quella sfera colorata di blu, verde e marrone scuro. Lo incuriosiva. Si avvicinò cautamente, andando a posizionare l’indice su Tokyo, in modo tale da scrutare le vite dei suoi successori. Si divertiva nel vedere la reincarnazione sua e del suo fratello maggiore in ambiti così diversi dal loro. Essere il figlio di colui che comandava lo spazio ed il tempo non era roba da poco, eppure si sentiva così inutile. Rimaneva semplicemente a guardare come funzionavano le vite degli altri. L’unica cosa divertente era che, se avesse voluto, avrebbe potuto cambiarne il corso a suo piacimento. «Da quasi tre mesi, Ashura» rispose il vecchio, con fare stanco. Quella situazione lo stava facendo diventare matto. Aveva dato l’opportunità all’Uchiha di riscattarsi. Dopotutto era la reincarnazione del suo primogenito, ma quel ragazzo ci stava mettendo decisamente troppo.

     Indra sbuffò, incrociando le braccia al petto. «Padre, non farò da balia a dei mocciosi» mise in chiaro. Il suo tono di voce era sempre piatto, come se non gli interessasse niente della vita eccetto della sua. Ashura si dispiaceva spesso per questo, perché era convinto che suo fratello potesse dare tanto. Nonostante le cose fra loro non fossero mai andate perfettamente, sentiva che magari quella vita avrebbe potuto aiutare anche loro due. Si alzò in piedi dal suo cuscino, sgranchendo le gambe. Notò lo sguardo di suo fratello e la lingua gli si impastò: era sempre un’ansia vedere quegli occhi su di sé. Sembrava lo giudicassero sempre e comunque. «Mi chiedevo se dovessimo intervenire. Non era previsto tutto questo tempo, giusto?» chiese, leggermente titubante. «Questo perché quell’idiota dell’Uchiha è solo un cretino che se la fa addosso, niente di più. Non ci vuole chissà quale indole divina per raggiungere un ragazzo biondissimo e con gli occhi azzurri, in Giappone. O mi sbaglio, padre?» ribatté il maggiore, l’espressione contrita che si faceva largo nel suo volto. Odiava tutti quanti di quel postaccio, non c’era niente da fare.

    Hagoromo li guardò con il velo di un sorriso fra le labbra. Adesso Ashura avrebbe risposto mantenendo i suoi ideali, Indra lo stesso e il solito battibecco si sarebbe presentato con tanto di cappello. Poteva notare già il più piccolo stringere forte i denti. Probabilmente si stava trattenendo. Sospirò, notando quanto i suoi figli non fossero cambiati poi così tanto. E dire che portarli con lui era stato così faticoso: uno così contento di vedere l’altro, e l’altro così ostile nei suoi confronti. Li guardò attentamente: così diversi ma al contempo così simili. Si ricordò della situazione più importante, ovvero quella dei due disgraziati e della loro nuova vita. Avrebbe potuto controllare i pensieri di Naruto, fargli vedere qualcosa di più chiaro, ma non sarebbe stato giusto. In primis perché l’Uchiha doveva darsi da fare, e in seconda cosa perché lui aveva già fatto abbastanza per loro. «Se la situazione peggiorerà andrete entrambi dall’Uchiha. Spero non sarà necessario» rispose. «A me sarebbe piaciuto andare da Naruto, in realtà» tentennò Ashura, guardando il padre. «Piantala di fare il marmocchio e accontentati. Almeno tra i due il traditore è il più sano di mente» si sedette di fianco al padre, Indra, non ammettendo repliche. Tanto che anche Ashura andò a sedersi, rimanendo in silenzio.
 
 
   Affannava fra le coperte che gli avvolgevano buona parte del corpo. Si disse che era impossibile continuare in quel modo, forse ne avrebbe dovuto parlare con qualcuno. Quelli erano ricordi suoi, ne era sicuro. Ma con chi avrebbe potuto parlarne? Chi gli avrebbe creduto fino a quel punto? Lo avrebbero spedito da uno strizzacervelli in una clinica sepolta chissà dove, lontano dalla luce del sole e dalle persone. E lui con la solitudine non andava proprio d’accordo. Urlò sul cuscino, liberandosi almeno in parte di quel gran peso. La terra era sempre la stessa, il sangue il suo e di quell’altro, la figura nera che si scagliava contro di lui. E quella volta persino la palla blu nelle sue mani che scintillava, mentre dall’altra parte saette blu e viola si avvicinavano verso di lui. Continuò a respirare forte, cercando di calmare il battito del suo cuore che andava sempre più veloce, mentre ricordava. Ogni scena gli passava nella mentre sempre meno chiara. Succedeva così ogni qualvolta decidesse di ricordare il sogno, anche se si era appena svegliato.

    Si alzò, cercando un bicchiere d’acqua. Aveva bisogno di sciacquare il viso e di decidere cosa fare. Chi diamine era quella persona che lottava contro di lui? Sentiva una strana adrenalina addosso, quando lo affrontava. Le vene vibravano dentro di lui, il sangue pompava così a fondo che pensava di scoppiare. Si guardò le mani: tremava. Il mal di testa non si decideva a passare e si ritrovò a sospirare frustrato. Passò una mano tra i capelli, guardandosi allo specchio. «Non hai una bella cera, Naruto» Iruka lo fece sobbalzare sul posto, non permettendo al suo cuore di calmarsi ma anzi, di peggiorare notevolmente. «I-Iruka-sensei! Mi hai fatto prendere un colpo!» si lamentò, gli occhi sgranati e le occhiaie che gli solcavano gli zigomi. Il tutore gli sorrise amorevolmente, chiedendogli cosa ci fosse di sbagliato. Il biondo scosse la testa, abbassando lo sguardo sul pavimento. «Se non ne vuoi parlare con me prova a farlo con Sakura, lei potrebbe aiutarti di sicuro, no?» e uscì dal bagno con un leggero sorriso in volto.

     Sakura. Quel nome gli vorticava in testa da un po’, chiedendosi cosa fare. Era di nuovo disteso sul letto con la canottiera che gli scopriva la pancia, e l’intimo. Non era proprio un bello spettacolo, anzi. Eppure, quando sentì un grido disumano «STUPIDO DI UN UZUMAKI, VEDI DI METTERTI QUALCOSA DI DECENTE ADDOSSO E SEGUIMI» capì che il tutore aveva chiamato la rosa per lui. Non seppe come iniziare il discorso, aveva troppe cose per la testa, e si sentiva stanco. Voleva solamente poggiare la testa sul cuscino e dormire per giorni, se poi sarebbe morto in quel modo non era un problema. Continuò a guardare il soffitto. Per quanto gli riguardava non aveva nemmeno la forza di poggiare i piedi a terra ed alzarsi, quindi come poteva raccontare il tutto alla sua migliore amica? Era richiedere troppo. Si era scocciato di quella situazione, avrebbe preferito prendersi la testa e spaccarla a sangue nel muro. Anche perché da quel sogno non ne avrebbe ricavato niente, se non le occhiate stranite di Sakura ed il suo sopracciglio destro alzato. Che situazione del cazzo.

     All’ennesimo grido da parte dell’amica si alzò, non volendo morire per causa sua. Forse gli avrebbe fatto un favore, ma prima doveva schiarirsi le idee. Decise di parlargliene, mentre si vestiva. Prese qualcosa alla bell’e meglio, tentando di prepararsi un discorso. Guardava in qualsiasi punto della stanza ma non negli occhi della sua amica che lo aspettava nell’uscio della porta. E quando lei chiese quale fosse il problema, lui inciampò sui suoi stessi piedi, andandole addosso. «Lo so che mi vuoi tanto bene, Naru, però piuttosto che saltarmi in braccio mi dovresti dire che ti prende» rise, prendendolo in giro. «Iruka-san mi sembrava un po’ preoccupato» continuò, cercando un’espressione nei suoi occhi che in quel momento guardavano il nulla, persi nel vuoto. Si chiese a cosa stesse pensando così intensamente. «Io non so come parlartene senza sembrare psicopatico o depresso. Perché se ti dicessi che sogno cose appartenute ad una vita che non è questa sembro la prima opzione, mentre se ti dicessi che io non mi sento parte di questa vita sembrerei la seconda» incespicò, non facendo capire molto alla rosa, che infatti lo guardò accigliata. «Non ti senti parte di questa vita?» chiese, poi. I suoi occhi si dilatarono quando capì cosa voleva dire quella frase che apparentemente era senza secondi fini. Eppure per lei ne aveva, e non solo secondi, ma terzi, quarti e via dicendo. Che fosse accaduto qualcosa in sua assenza e lui avesse ricordato qualcosa di più? Gli chiese di raccontarle chiaramente, in modo da poterlo aiutare. «Non ti giudicherò, ascolterò e basta, promesso» lo rassicurò, cercando di essere il più seria possibile.

      Naruto cominciò a parlarle del sogno, prima vagamente e poi scendendo nei dettagli. Come si sentiva, quello che provava verso la persona che si trovava di fronte, quei sentimenti che si sovrapponevano fra paura, dolore, adrenalina e forse amore? Non riusciva a ricordare nemmeno il volto di quella persone, eppure quelle emozioni erano così forti che gli pareva impossibile. E l’odore del sangue che gli colava ovunque lo sentiva come se lo avesse addosso davvero. La situazione lo spaventava tanto, era una cosa nuova, non riusciva a capire il motivo di quei sogni, o visioni, o come le si vogliono chiamare. Lo sguardo di Sakura poi lo fece sentire ancora più fuori posto. Sembrava pietrificata, mentre guardava le sue labbra muoversi e raccontare il tutto. Proprio quando volle chiederle se lo stesse ascoltando, Sakura respirò a pieni polmoni. Dentro sé la ragazza pensava che doveva calmarsi, o l’impegno di quei tre mesi non sarebbe servito a niente. Eppure tremava un po’ ovunque, anche all’interno: i vari organi, ma soprattutto il suo cuore, niente riusciva a star fermo.

     Stavano lottando, si stavano uccidendo, mentre lei non c’era. Proprio quando lei avrebbe potuto evitare il trambusto, non c’era. Si era sentita in colpa ogni giorno della sua vita, a Konoha, anche quando Kakashi tentava di rassicurarla e Tsunade la spronava ad andare avanti. L’avevano lasciata indietro, era vero, ma una parte di lei era sempre e comunque con loro. Quel giorno, in un modo o nell’altro, era morta nel loro campo di battaglia, e quel racconto non poté far altro se non risvegliare tutti quei pensieri tristi che le vorticavano in mente. «Mi dispiace così tanto» sussurrò, senza nemmeno accorgersene. Subito dopo sbarrò gli occhi, tappandosi la bocca con una mano. «Per.. quello che ti sta accadendo, intendo. Certo, mi dispiace» cercò di essere il più convincente possibile, guardandolo negli occhi. Lo vide sorridere tristemente e sospirare. «Io lo so, Sakura. Conosci qualcosa di me che io ancora non ricordo, ma vorrei scoprirlo, davvero» giocava con le sue dita, mentre lo diceva, stringendole l’una con l’altra. Lei lo abbracciò, lasciando scivolare un’ennesima lacrima. Era così debole, ma allo stesso tempo così stanca, che piangere le sembrava l’unica soluzione. Se al posto di Naruto ci fosse stato Sasuke, a quest’ora l’avrebbe spinta via. Ma sorrise fra le lacrime, sentendo le braccia di Naruto circondarle i fianchi. «Che dici, usciamo?» gli chiese poi, asciugandosi gli occhi.
 
 
      Imprecò Jashin quando vide l’ennesima tazzina cadere a terra. Era la quinta solo quel giorno. Di quel passo le avrebbe rotte tutte prima ancora di utilizzarle per i clienti. Aveva le mani di burro quel giorno, non riusciva a combinare proprio niente. Era il terzo mese che lavorava ininterrottamente, chiedendo di tanto in tanto a suo fratello se avesse potuto cercare Naruto. Non poterlo vedere lo stava facendo impazzire. E i ricordi erano dolorosi. La promessa in punto di morte, quella di amarlo e basta, lo faceva sentire male ogni volta che ci pensava. Lui era anche disposto a farlo – ovviamente secondo i suoi criteri – ma quando diamine si decideva ad arrivare, il biondino? Non avrebbe potuto aspettare tutta la vita, anche lui aveva una sanità mentale da difendere. Raccolse i cocci, sotto lo sguardo divertito di Suigetsu che come al solito non faceva niente se non spronare gli altri a lavorare, seduto con le gambe conserte sul bancone. «Lì i clienti ci mangiano, scendi» Jugo lo prese sotto le ascelle, facendolo scendere giù con poca grazia. Infatti l’albino imprecò per il dolore al fondoschiena, inveendo contro il maggiore.

    Ci aveva messo secoli ad imparare come fare un cappuccino, una brioche, il caffè o chissà quale americanata. Ma i suoi genitori dovevano essere così tanto fissati con la cultura occidentale, quando erano in vita? Sospirò, buttando i pezzi della tazza nella spazzatura. Itachi gli aveva raccontato che era una cosa tutta familiare, la loro. Infatti sua madre era specializzata nella cultura occidentale dato che la loro nonna aveva vissuto in America ed Europa per parecchio tempo. Lui non sapeva nemmeno come fossero fatte, invece. E francamente nemmeno gli interessava, lui era lì solamente per vedere Naruto, nient’altro. Il punto era che, una volta visto, cosa avrebbe fatto? Gli sarebbe saltato addosso prendendolo a pugni per averci messo così tanto tempo? No, non sarebbe stato per niente da lui. Quella vita gli stava facendo avere crisi d’identità. Che razza di persona era il Sasuke Uchiha di quella terra? Lui oltre alla sanità mentale aveva anche l’orgoglio, da difendere. E tutte quelle che per Naruto e Suigetsu erano cazzate.

     «Abbiamo aperto da un mesetto però stiamo già facendo un bel lavoro, eh?» sorrise l’albino, risedendosi sul balcone e facendo alzare gli occhi al cielo a tutti quanti. Karin però non prese molto bene la domanda, e gli diede un colpo di manico di scopa sulla nuca. «Abbiamo? Stiamo? Mi viene così tanta voglia di prenderti a calci in culo che nemmeno t’immagini» urlò, tornando a pulire con forza, probabilmente anche troppa. Come se il povero pavimento avesse fatto qualcosa di male. «Stronza, ci sei andata pesante» la rimproverò l’altro, massaggiandosi la parte dolente. «Vai a fare in culo, Suigetsu» ribatté la rossa, in preda ad un attacco nevrotico. Il fatto di dover lavorare così sodo le metteva agitazione. Non era abituata ad interagire con la gente, ad essere gentile, ad offrire le cose. E soprattutto, trovava insopportabile portare il cibo o le bevande alle altre persone. Ma che andassero a prenderle da soli. Era un medico, specializzata nel combattere, il cui chakra importantissimo. Era un’Uzumaki, diamine! Non poteva servire ai tavoli agli stupidissimi civili. Per non parlare di Suigetsu che, nonostante tutta la buona volontà, la faceva impazzire. Gli lanciò uno strofinaccio in testa, prendendogli una mano e portandolo a pulire il bancone su cui per la maggior parte del tempo rimaneva seduto. «Dai, piantala di fare il nullafacente e diamoci una mano» gli soffiò esasperata, nonostante il tono fosse tranquillo.

      Itachi controllava che i conti della cassa fossero apposto. Il cellulare sempre accanto per eventuali chiamate – era pur sempre un medico, e i pazienti potevano aver bisogno di lui – mentre Sasuke tentava di sistemare le tazzine non poco distante. Il maggiore lo guardava, un po’ divertito e un po’ con estrema tenerezza. Stava penando, lo sapeva, nonostante avesse la tipica faccia di bronzo. A suo parere dormiva male la notte e aveva la testa colma di pensieri. Ma era pur sempre Sasuke, il suo fratellino, per cui era una cosa normale il fatto che non dicesse nulla. Gli sarebbe servito, però, parlare con qualcuno. Si era tenuto l’odio e la vendetta per così tanto tempo addosso, non aveva vissuto un’adolescenza, una sua vita, preso dalla voglia di ucciderlo. Alla fine era colpa sua, lo aveva lasciato in vita, aveva cercato di proteggerlo in tutti i modi, ma rovinandogli l’esistenza. E meno male che c’era Naruto. Non si era mai pentito di tutto quello che aveva fatto, poiché il Villaggio andava protetto sempre. Ma così anche lui. Vederlo così cresciuto lo aveva lasciato senza parole. Era diverso da lui, con i capelli leggermente più lunghi del solito e lo sguardo sicuro. Il corpo era tonico e lui sempre più alto. Se solo non fosse capitato a loro.

      «Itachi, ti sei incantato» lo avvertì l’altro, mentre puliva con delicatezza una tazzina in mano. Il più grande si ridestò, sorridendogli per poi terminare i suoi conti. Era un lavoro stancante, connesso a quello del medico, ma vedere le persone stare bene grazie a lui era un’emozione bellissima. Aveva deciso di studiare ed intraprendere quel mestiere appositamente per quello. Lo scopo di quella sua vita era quello di migliorare, facendo del bene agli altri e stando insieme al suo fratellino. Era felice del risultato. Avrebbe voluto solo che, finalmente, Sasuke potesse essere felice. Eppure gli incarichi erano stati chiari: lui non doveva cercare Naruto per nessun motivo. Gli unici che aveva visto erano Sakura, che faceva i tirocini insieme a lui come aspirante dottoressa, e Gaara, che aveva incontrato per strada. Lavorava in uno zoo, da quello che si ricordava. Per il resto era contento che i vecchi compagni di Sasuke stessero con lui. Almeno era circondato da facce che conosceva e che conoscevano lui, per cui avrebbero potuto aiutarlo in qualsiasi momento. Se solo lui si facesse aiutare.

       Vide un’altra tazzina cadere per terra, e Sasuke tremare. «Mi sono rotto il cazzo, Nii-san. Vado a buttarle, prima che mi metta a spaccare qualsiasi cosa» lo disse con il solito tono lugubre, tanto che si mise a sorridere. Decise di aiutarlo, raccogliendo gli ennesimi cocci e gettarli dentro ad una busta che Sasuke gli stava tendendo. Nonostante tutto aveva un’espressione contrita. Era quasi sicuro che ci fosse rimasto male. Gli accarezzò la testa, ma quello si scansò velocemente, dichiarando che non era un cagnolino e di lasciarlo in pace. A quel punto Suigetsu scoppiò a ridere, cominciando a prenderlo in giro. Itachi alzò gli occhi al cielo, rimanendo sempre sorridente. Quei piccoletti lo avrebbero fatto impazzire, erano proprio delle pesti.

      Uscì per raggiungere Sasuke, in modo tale da buttare la busta con i cocci, quando vide suo fratello immobile, la busta per terra con tutte le altre tazze frantumate sparse per l’asfalto. Guardava dritto dall’altra parte della strada, con un’espressione incredula. Dal canto suo, il minore degli Uchiha sentì il cuore stringersi in una morse tremenda. Le gambe erano immobili, tiravano così tanto che volle imprecare dal dolore. Tentava di muoversi ma, no, ogni cosa lo attirava in quel posto che puzzava di pesce morto a causa dei vari cassonetti. Quando era uscito l’aveva vista di sfuggita, ma non pensava fosse lei. Eppure quel colore di capelli lo conosceva bene, e non era così usuale. D’altronde il rosa di Sakura ricordava il suo nome: i petali di ciliegio che da bambino si divertiva a veder sbocciare. Lei aveva gli occhi sgranati, non una lacrima a rigarle le guance. La vide attraversare di corsa, come una furia, e poi dolore.

       Il viso era rivolto verso la parte opposta. Quello schiaffo aveva fatto parecchio male, per uno che a lottare non c’era più abituato. E poi si parlava di Sakura, che in qualche modo la sua forza bruta l’aveva mantenuta. Ora le lacrime le aveva, e quasi brillavano. «Scusi l’irruenza, Itachi-san» si rivolse verso suo fratello, facendo un piccolo inchino, mentre l’altro le sorrideva calorosamente. Probabilmente era più contento di vederla lui che Sasuke stesso. E anzi, si trovava in questo vortice di emozioni che proprio non riusciva a comprendere. Era contento di vederla? Non lo era? Perché? E Naruto? Come mai si trovava proprio lì? Nelle sue iridi la confusione era più che visibile. Avrebbe così tanto voluto sedersi, in quel momento. Eppure non riusciva a muovere un muscolo. Sentiva la testa che per poco gli esplodeva sopra il collo. E poi sì che Naruto avrebbe dovuto attaccarsi al caz- «Tu» lo disse in modo minaccioso, Sakura. Non seppe il motivo ma in quel mondo era leggermente più temibile. Ma sarebbe bastato poco per metterla a tacere anche in quella vita. «Se potessi, se ne avessi la forza, ti prenderei a calci in culo da qui sino all’Hokkaido» poi si voltò di nuovo verso il maggiore, chiedendo nuovamente scusa per l’espressione colorata. Prima che potesse continuare, però, Itachi decise di andarsene.

«Io sto dalla parte del fiorellino, comunque» sussurrò Suigetsu, da dietro la porta finestra che si affacciava alla strada. Vedevano solamente una piccola parte dei due, ma le voci si sentivano dignitosamente bene. «Vuoi stare zitto? Ci sentiranno» sputò velenosa Karin, tappandogli la bocca con una mano.

      «Non-Non so dove sia l’Hokkaido, Sakura» dire il suo nome gli fece provare una strana sensazione a livello dello stomaco. Sembrava volesse vomitare ogni briciola della sua anima, in quell’istante. Si sentiva malissimo ma non capiva il motivo. Perché tutte quelle sensazioni che si mischiavano? Era peggio che ricevere un pugno in pieno stomaco, di quelli che mozzano il respiro in due. «Come biasimarti, te ne sei rimasto rintanato qui» alzò la voce lei, stringendo forte le mani. «Credi che io stia bene, Sasuke? Credi sia facile? Questo è il tuo compito, non il mio. Io sono quella che sta a guardare, giusto? Sono quella inutile, giusto? Ho pensato mi facessi schifo, una volta morto. Non hai aspettato, non mi hai aspettato. Come sempre del resto. Potevo salvarvi, potevo fare in modo che viveste insieme a Konoha, e non in questo posto» gesticolò, indicando tutto quello che la circondava. Stava liberando ogni suo pensiero. Credeva che una volta visto lo avrebbe abbracciato, e avrebbe pianto tanto per tutti i ricordi che entrambi sapevano di avere. Ma no, alla fine la colpa era la sua, e doveva prendersi le conseguenze. Non si era mai sfogata, era arrivato il momento di farlo.

      A quel punto Sasuke capì tutto quel trambusto nella sua mente e nel suo corpo. Senso di colpa. Ecco, cosa. Il senso di colpa per aver annullato tutto così, in un soffio. Da quando il Sannin gli aveva assicurato quell’opportunità, la nuova vita, il nuovo sé, la redenzione e tutto il resto, non aveva mai pensato a quello che in realtà aveva lasciato una volta morto. Aveva ucciso l’eroe di tutto il villaggio, che a sua volta aveva ucciso sé stesso. Aveva fatto in modo che Naruto accogliesse davvero il suo dolore ed il suo odio per poi morire insieme a lui. Sino alla fine. Strinse forte le labbra, non sapendo cosa dire. Gli occhi umidi di Sakura sempre puntati nei suoi. «Sasuke» sussurrò lei, in preda ad un singhiozzo. Non le fece pena, ma nemmeno quella tenerezza che sapeva di affetto. Probabilmente era lui, quello pietoso. Avvertì le braccia di Sakura ed il suo corpicino stringersi al suo in un secondo, come quando gli era arrivato il suo schiaffo. Le sembrava davvero piccola, in quel momento, mentre piangeva nella sua spalla. Poggiò le braccia alla base della sua schiena, sospirando. «Mi sei mancato, anche se ho voglia di darti un pugno in testa, seguito da tanti altri» sorrise poi, fra le lacrime. In compenso lui la strinse un po’ di più. Era il suo modo di scusarsi. In un modo o nell’altro glielo doveva.

      «Naruto.. Naruto sta per arrivare. È andato a prendere non so cosa, era tutto agitato all’idea» sorrise ancora più, radiosa. Naruto. Sentì il cuore perdere un battito, a quel nome. «Lo porterò qui, Sasuke. Ma non oggi. Adesso devo riprendermi e aspettarlo. Non gli dirò niente di te, è bene che lui scopra le cose pian piano. E, Sasuke» si fermò un secondo, prima di dirgli quello che pensava. Si fermò perché, no, non glielo avrebbe più detto. Doveva ancora lasciarlo sulle spine, fare finta di nulla, che il biondo in realtà non sapesse niente della loro vita passata. Glielo doveva. «Vedi di riprendertelo, capito? Altrimenti me lo tengo stretto io» gli fece una piccola linguaccia, per poi avvicinarsi a salutare Itachi con uno dei suoi ennesimi inchini e stampare un bacio nella tempia del più piccolo. «Mi piacerebbe potertelo portare via, sai? Ma lui è cosa tua» rise, prendendolo in giro. L’aveva trovata più bella del solito. Fragile come al solito, con i suoi tipici cambi d’umore, un po’ pazza, ma era comunque Sakura. Forse era anche maturata. Ed è per colpa tua, lo rimproverò la coscienza.

       La vide attraversare la strada di fredda, salutandolo velocemente e poi dirigersi verso una panchina. «Non starai qui ad aspettare? Potresti vederlo» gli consigliò Itachi, mettendogli una mano sulla spalla. Era visibilmente felice per lui. Sasuke prese i cocci per terra e finalmente li gettò nella spazzatura, dopo di che entrò dentro al locale seguito dal maggiore che sospirante accettava tutto quello che l’altro decideva. «Ne hai prese, eh?» lo schernì Suigetsu, ciondolando avanti e indietro dall’ormai suo posto riservato. «Scendi da lì, Suigetsu» Sasuke gli sorrise. Un leggero stiramento di labbra, ma che all’altro fece capire parecchie cose. «Oi, Itachi-san, ma quindi il nano biondo sta arrivando a portarcelo via? Darò una mega festa, quel giorno» continuò a ciondolare avanti e indietro, facendo venire il mal di mare a Jugo che si era già alzato per buttarlo da qualche parte, magari nel cestino insieme a tutte le tazzine rotte. «Allora spero che questa festa avvenga il prima possibile» Itachi compilò alcuni moduli, dopo di che vide suo fratello fargli cenno che tornava a casa. Aveva bisogno di una doccia, immediatamente.









Angolo autrice:
sono in un ritardo mostruoso, lo so. Spero che questo non incida con l'andamento della storia, che comunque credo stia andando bene. E voglio ringraziare tantissimo le 33 persone che hanno messo questa storia tra i preferiti, le 2 che l'hanno messa nella ricordate e le 12 nelle preferite. Non dimentico, ovviamente, coloro che recensiscono. Un grazie infinite a tutti quanti. Per essere solo tre capitoli (con questo quattro), devo dire che sono molto soddisfatta.
Venendo a questo aggiornamento, devo dire che succedono parecchie cose. Oltre al fatto che Naruto stia letteralmente impazzendo, diciamo che ci sono delle novità per quanto riguarda i caratteri.
Sakura sembra cambiata notevolmente, e da adesso lo sarà ancora di più. Diciamo che sto prendendo in considerazione maggiormente i punti di vista di Naruto e Sasuke. Ogni tanto cerco di entrare nella focalizzazione di qualcun altro, ma credo di dover imparare ancora di più.
Spero che l'abbraccio non abbia reso Sasuke troppo OOC (sì, sono fissata. I personaggi devono restare IC), solo che il fatto della nuova vita incide molto con i loro caratteri e via dicendo.
E niente, non so che altro dire. Questo capitolo è stato un vero e proprio parto da scrivere, per questo ho impiegato così tanto.
Non ho riletto l'ultima parte, quindi se dovessero esserci errori perdonatemi.
Scusate ancora per il ritardo. Spero di ricevere qualche vostro commento, anche le critiche sono ben accette.
Un bacio,
Charlie;

P.S. Il titolo della canzone è ispirato dalla canzone "Doubt" dei Twenty one pilots - che consiglio a tutti di ascoltare - da cui la seguente frase:"
Don't forget about me, even when I doubt you, I'm no good without you".

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Capitolo 5
*** A volte avresti bisogno di sapere che sei vivo e che hai un'anima. ***


Capitolo cinque.
A volte avresti bisogno di sapere che sei vivo e che hai un’anima.
 
     
      Sessantaquattro, sessantacinque, sessantasei…
Era tutta la mattina che girava intorno alla stanza, mentre suo padre sonnecchiava e suo fratello se ne restava seduto ad osservare il vuoto. Quella situazione un po’ gli dispiaceva, eppure non poteva fare niente se non sentirsi in colpa. Ogni tanto guardava la tristezza velata dai sorrisi di Naruto e l’essere sempre più scontroso di Sasuke. In un modo o nell’altro, anche senza saperlo, sentivano l’uno la mancanza dell’altro. Pensò fosse ingiusto il fatto che non si potessero incontrare. O almeno, Sasuke avrebbe potuto cercarlo, in modo tale da far terminare l’oblio. Quell’attesa stava durando fin troppo, e nel frattempo che tutti quei pensieri gli si facevano larghi nella mente non poteva far altro se non mordersi la lingua a sangue, seppur non sentendo dolore. Il suo sguardo era perennemente preoccupato, e questo fatto Indra l’aveva notato. Eccome se l’aveva notato. Ashura si comportava in modo strano, dalla chiacchierata con suo padre. Come se lo avessero colto in fallo. Restava sulle sue, stava più zitto, corrugava sempre la fronte e aveva stranamente smesso di parlare. Non proponeva più di andare in quel mondo e vivere la sua vita per aiutare quella dei due pivelli. Era questa la cosa strana: il silenzio. Il suo fratellino aveva sempre qualcosa da dire. Aveva il suo tipico tono dolce e buono, e regalava quantità industriali di sorrisi. A detta sua anche troppi. Sbuffò, alzandosi in piedi.

    «Padre, voglio andare da loro insieme a lui» disse, incrociando le braccia al petto. Per poco il fratello non si affogò con la sua stessa saliva. Hagoromo sembrò capire immediatamente suo figlio, difatti celò un piccolo sorriso dietro la mano destra, mentre annuiva. «Potete andare quando volete, lo sapete. Ormai si sta facendo tardi, non è vero?» chiese con fare stanco. A volte rimanere lì ad aspettare, controllare, verificare che tutto fosse al proprio posto, era stancante. E terribilmente noioso. Non voleva che i suoi figli facessero la sua stessa fine. Dovevano vivere tutto quello che già avevano perso. Dovevano affrontare quella sorte per loro stessi e per le esperienze ed emozioni che sfortunatamente non avevano potuto provare. Erano talmente presi dalla guerra che non si erano accorti di nient’altro. Sorrise debolmente, notando il più piccolo balbettare un qualcosa di indecifrabile. «Oh, emh, e-e come mai? Così presto?» sussurrò, accorgendosi di aver detto una fesseria e schiaffandosi una mano in fronte divenne completamente rosso in viso. «Ashura» il tono del fratello era così duro che pensò di aver addirittura tremato. Quella sensazione era orribile, e avrebbe dovuto parlargliene. «Dobbiamo parlare» Ecco, appunto. Deglutì rumorosamente, annuendo.

       Il posto in cui si trovavano era abbastanza dispersivo, grande, circondato dall’oro e dal bianco. C’era così tanta luce che quasi dava fastidio. Eppure la pace regnava sovrana, donando questo senso di libertà di cui era quasi percepibile il sapore. Sarebbe rimasto a guardare quelle nuvole che vorticavano intorno alle loro teste per l’eternità. Se solo non mi trovassi in questa orribile situazione. Strinse forte le dita fra loro, sospirando. Era proprio nei casini. Indra mosse una mano, come ad invitarlo a parlare, e Ashura sentì il panico circondarlo completamente. Era come se qualcuno gli stesse stringendo lo stomaco dall’interno, così come il collo. Il respiro si faceva sempre più debole, e i polmoni chiedevano sempre più aria, e il cuore doveva pompare più sangue e... No, aveva assolutamente bisogno di sedersi. Mise le gambe conserte. Indra lo vide adagiarsi al pavimento di punto in bianco, leggermente più pallido in viso. Sperò non svenisse. «È colpa mia, tutta-tutta colpa mia» deglutì di nuovo, Ashura, mentre stringeva più forte le dita. «Se ci stanno mettendo tanto, intendo. È solo- È solo che mi sembrava giusto così» continuò. Non stava per piangere, ma la sua voce tentennava.

      «Sono stato io» sussurrò poi. «A fare cosa?» domandò con uno sbuffo il fratello, sdraiandosi e poggiando la testa sulle braccia piegate sotto ad essa, mettendosi comodo. «Sono stato io a dire ad Itachi che sarebbe stato Naruto a trovare suo fratello» si aspettò una qualsiasi reazione negativa, come Indra in piedi e che gli sbraitava contro quanto fosse uno stupido e non ragionasse sulle cose. Capitava, da ragazzini. Lui era così benevolo. Non riusciva proprio a vedere la parte negativa della gente. Invece no, il maggiore chiuse gli occhi, annuendo con un cenno della testa. L’altro ne rimase esterrefatto. «E non dici niente?» chiese, scettico. «E che cazzo dovrei dire, scusa? I miei complimenti fratellino, sei proprio un coglione» enfatizzò la frase colma d’ironia per poi sbadigliare come se niente fosse. Nonostante tutto Ashura sorrise. «Sei sempre il solito, lo avevi già capito» «Sono tuo fratello maggiore, baka. Ti conosco meglio di chiunque altro. E in quella vita voglio andarci per me, non per quei due impiastri. Per me hai fatto bene, comunque. Il traditore sotto sotto lo merita» lo guardò per un attimo, rendendo l’altro molto felice. Nonostante non la pensasse allo stesso modo per quanto riguardava Sasuke, il periodo di redenzione avrebbe potuto giovare per entrambi e per il loro rapporto. Un po’ come stava accadendo a tutti.
«Sasuke in fondo ha un grande cuore» commentò, guardando il cielo. «Se è proporzionale al suo cervello siamo messi abbastanza male» «Guarda che mi pare un tipo abbastanza ingegnoso. Ti sembra il modo di parlare del tuo successore?» chiese Ashura, rimproverandolo. «Sì, ingegnoso quanto un ferro vecchio. Comunque è sempre meglio dell’Uzumaki. Lui sì che è un poveraccio» e rise, sfottendo quello che per il fratello minore era un ragazzo d’oro.
 
思い出
 
       Vedere Sakura gli aveva fatto un certo effetto, nonostante tutto. Pensare a cosa aveva fatto, la paura di star sbagliando di nuovo. Le tazzine rotte erano il nulla, in confronto. Non aveva mangiato né a pranzo e né a colazione. Si sentiva svuotato, ma non per via della ragazza in rosa – figuriamoci. Semplicemente non riusciva a mangiare perché pensava di star commettendo degli errori stupidi e banali, nonostante non stesse facendo proprio niente. Che fosse proprio questo, il nulla, il suo problema? Eppure era stato Itachi a raccomandarlo di non cercare Naruto. Aveva bisogno di pensare, doveva essere ragionevole e trovare delle risposte da solo, per questo motivo non riusciva a mangiare. Che diamine faceva in quella vita per distrarsi? Senza kunai o obiettivi primordiali da ottenere non aveva senso trovare un libero sfogo. Alla fine si stava bene, morte dei genitori a parte. Era solo il Sasuke di Konoha a risentirne. Si chiese se fosse stato giusto il fatto di donargli quella seconda opportunità. Erano passate settimane da quando si era ritrovato in quegli abiti attillati, in un mondo stracolmo di tecnologia di qualsiasi tipo e di persone fottutamente strane. Prese un respiro profondo, mentre s’incamminava per andare al locale. Suo fratello lo aspettava lì.

        «Buoongiorno!» lo salutò Suigetsu, mentre da suo balcone giocava con uno stuzzicadenti trovato chissà dove. Alzò il mento in risposta, seguito da un mugugno privo di senso. Praticamente si buttò sulla sedia davanti a quella di Itachi, mentre il maggiore lo scrutava attentamente. Gli chiese se avesse dormito, e ad un cenno positivo del fratello alzò un sopracciglio. Sasuke non aveva le occhiaie, ma nemmeno una bella cera. L’incontro della sera prima lo aveva spiazzato, gli stava proprio dando alla testa. Lo vide guardarsi intorno con fare disinvolto, come sempre. Sembrava normale, eppure sapeva che sotto sotto qualcosa non andava bene nel suo caro cervellino. Gli sorrise amorevolmente, per poi continuare i suoi conti. Avrebbe finito il suo lavoro per poi pensare anche alle faccende del fratellino. D’altronde in quella vita il suo compito era principalmente quello. «Itachi-san, ma com’è che tu non hai la ragazza?» chiese Suigetsu, mentre addentava il suo nuovo amico stuzzicadenti. Il maggiore s’irrigidì tutto d’un colpo a quelle parole, serrando i gomiti attorno al busto e corrucciando l’espressione, gesti che Sasuke non si fece mancare. «Infatti, Nii-san. Ormai sei grande e vaccinato, perché non hai la ragazza?» a quanto pareva, al più piccolo non importava nulla del suo velo d’imbarazzo. Itachi tossì, cercando la sua naturale compostezza «Credo che dovresti pensare di più alla tua situazione che alla mia, Otouto» spostò un foglio da una parte, facendo finta di niente. Dopo di che vide Sasuke sbattere violentemente la fronte sui palmi delle sue mani posti sul tavolo in un chiaro segno di disperazione.

        «Itachi, io credo di essere tutto rincoglionito» disse poi, guardandolo con occhi stanchi. «Oh, ma guarda, se n’è accorto solo adesso! Ne, Itachi-san, tuo fratello è diventato sano tutto in un botto» s’intromise Suigetsu, con il suo tipico sorriso strafottente. E, nonostante lo sguardo omicida del più piccolo, Itachi sorrise. «Che hai da ridere, mh?» chiese, in tutta risposta. Il maggiore alzò le mani, cercando inutilmente di fare il serio. «È che le mie uscite sono fantastiche» si pavoneggiò, Suigetsu, con un ampio gesto della mano. «Non fanno ridere nemmeno i morti» ringhiò Karin, che come una furia era appena entrata dal retro del locale e stava finendo di legarsi i capelli, mettersi a posto gli occhiali e sistemandosi la divisa addosso. «Buongiorno, comunque» borbottò poi, giusto per essere un minimo cortese. Quella mattina non era iniziata proprio col piede giusto. «Grazie al cielo non fanno ridere la gente subdola come te» ribatté l’albino, stringendo le braccia conserte al petto. «Subdola? E quando avresti imparato questo prodigioso termine, pesce lesso?» «Sicuramente lo avrà sentito alla televisione» rincarnò la dose, Sasuke. «Io vi ammazzo a testate, luridi stronzi»

        Le giornate passavano così, allo Sharingan. I clienti abituali che scambiavano due chiacchiere, i ragazzi stupidi che ci provavano con Karin – e che puntualmente non tornavano più – e le pazze furiose che pendevano dalle labbra di Sasuke, il quale pensava solo al fatto di essere psicopatico/malato mentale/bipolare/essere fin troppo pensante per i suoi gusti. Avrebbe tanto voluto prendere il suo cervello e lanciarlo da qualche parte, o rinchiuderlo dentro una bottiglietta e buttarlo in mezzo al mare, in modo da disperderlo per sempre. Si ritrovò a sospirare per l’ennesima volta in quella mattinata, non sapendo che fare. Non si sentiva nemmeno in lui. Avrebbe dovuto trovare qualcosa che lo scaricasse in modo da farlo ragionare in modo pulito. Si sentiva Naruto, in quel momento. Impulsivo e stupido, non sapendo che cosa diamine fare e affidandosi al destino come fosse l’unica cosa positiva di quel mondo. Anche se, no, Naruto non si sarebbe mai appigliato al destino. Lui se la costruiva, la vita. Si chiese come stesse per la tredicesima volta in quella giornata. Sfregò forti le mani fra i capelli, sembrava una fottuta sedicenne arrapata alla prima cotta, doveva piantarla immediatamente. «Suigetsu, sto per chiederti di darmi una testata. Quando tornerò normale spero però che ti parerai il culo nel migliore dei modi, visto che mi vendicherò» «Guarda che a me non piace prenderlo, a differenza tua» «Corri, Suigetsu. Corri»

       Vide Itachi portare una custodia con sé, e prima di andare in clinica gliela posò nella sedia accanto senza dire niente, guardandolo e basta, per poi poggiare sul tavolo un quaderno blu ricoperto da scritte nere e bianche. Sasuke lo guardò, e anche se in un primo momento non sembrava riconoscerlo, un secondo dopo il tutto tornò nella sua mente. Era un quaderno diverso rispetto a quello dei testi. Lì dentro c’erano tutte le note, arrangiamenti, brani da imparare o che aveva deciso di assemblare a qualcuna delle sue creazioni. Vedendo la custodia nera le mani si mossero da sole ad aprirla. Nonostante non ricordasse, l’immagine, la forma ed il colore della chitarra erano nitidi nella sua mente. Ovviamente era nera, come da programma. Il nero era lucido, faceva da specchio, e la superficie era così liscia che avrebbe voluto accarezzarla per ore. Sentiva un profondo affetto per quello strumento, nonostante non avesse mai avuto occasione di utilizzarlo. O almeno, nella sua vita da ninja. Guardò il maggiore, chiedendogli spiegazioni. «Chiuditi nel primo sgabuzzino a sinistra, è insonorizzato. Odi suonare davanti agli altri. E trovati un cantante, a cantare tu sei un po’ pietoso» gli sorrise, per poi andarsene. Evviva la sincerità.

        Fece come gli era stato consigliato, si chiuse nello sgabuzzino, impugnò la chitarra e cominciò a far scivolare le dita sulle corde, prima pizzicandole per poi andare sugli accordi veri e propri. Ogni tanto guardava quello che doveva essere lo spartito, sorpreso da come riuscisse a leggere così velocemente le note. Aveva fatto parecchi anni di solfeggio, passarono di fronte ai suoi occhi come un flash. Passò ad una parte movimentata, prese a pestare il piede, la mano destra che scorreva sulle corde dando il ritmo corretto, mentre la sinistra schiacciava quelle apposite. Sentì un qualcosa, a livello dello stomaco, che lo fece impazzire. Era un qualcosa che si propagava in tutto il corpo, una forza strana, una sensazione rilassante che gli fece pian piano distendere ogni nervo. Quasi sentì le preoccupazioni scivolargli addosso, mentre suonava quel semplice brano. Chiuse per un momento gli occhi, lasciandosi andare completamente, tanto che le ombre di qualche lacrima si facevano vedere nei suoi occhi. Era così emozionante, stare lì, rinchiuso da quelle mura, a suonare. Lo faceva per sé stesso, per stare bene, per essere quello che era realmente, non importava in che vita.

        «Sei proprio preso bene, da quello che vedo. Lo so, prima che tu mi uccida. Odi che qualcuno ti senta. Anche Naruto odia mentre lo guardo dipingere. E, prima che tu me lo chieda sì, dipinge, e crea delle opere meravigliose» Sakura entrò nello stanzino, ma a discapito della prima volta non restò a bocca aperta e non si scandalizzò più di tanto. Era sempre Sakura. Sempre e solo Sakura. Lo avrebbe preso a calci in culo sino all’Hokkaido – di cui ora conosceva l’area geografica – ma era quella piagnona dai begli occhi. Fine. La vide sedersi al suo fianco, mentre guardava curiosa lo strumento. «Lui non c’é» lo avvisò, e Sasuke si sentì leggermente più rilassato. Magari non era sbalordito dal vederla, ma un po’ teso sì. Non sapeva cosa aspettarsi. «In verità non voglio renderti tutto così facile. Mi odierai per questo?» cercò il suo sguardo, incerta. «Non me ne importa un cazzo. Io voglio solo vedere Naruto e lo vedrò, poi penserò alle conseguenze» borbottò, evitando di guardarla. Quel verde gli metteva troppa soggezione. Lo scrutava così in fondo che sembra lo stesse scavando con un cucchiaino. Con Sakura si sentiva sempre esposto, su quel genere di cose. Lei sapeva sempre tutto. Difatti la vide sorridere. «Finalmente ti riconosco, Sas’ke»

       Una volta tornati nella sala principale, alcuni clienti erano comparsi e chiacchieravano animatamente nei propri tavoli. Suigetsu, stranamente, provvedeva ai cappuccini ed ai frappè, notando la mancanza dell’Uchiha. Quasi gli venne da ridere, mentre lo guardava accigliarsi davanti alla macchina del caffè. Imprecò per qualche secondo, si morse le dita di una mano per calmarsi – non voleva romperla, altrimenti sì che sarebbe finita male – per poi capire come farla funzionare. Grazie al cielo arrivò Jugo ad aiutarlo, altrimenti sarebbe stato un vero e proprio casino. «Ti vuoi mettere al lavoro, coglione che non sei altro?» tentò di sussurrare poi, e a Sasuke venne davvero da ridergli in faccia. Scosse la testa, per poi prende un vassoio stracolmo di tazze di tè – sì, quelle maledette tazzine stralucide – e portarle nel tavolo assegnato. Sarebbe stato perfetto, avrebbe appoggiato delicatamente il vassoio, posato le tazze al proprio posto, e tornato al proprio posto. Se solo un fottuto cinquantenne non gli fosse venuto addosso causando un vero e proprio macello sul pavimento. Avrebbe voluto sopprimerlo. Se uno sguardo potesse uccidere, si disse. Vide il liquido espandersi a macchia d’olio sulle mattonelle, e in quel momento non seppe se spaccarsi la testa o spaccarla al cretino che aveva causato il danno.

       «Ehi, moccioso, vedi di stare attento la prossima volta. Che razza di servizio è? La mia giacca è completamente rovinata, non ho tempo da perdere con voi stupidi ragazzini! Dov’è il vostro capo?» Moccioso, mh? Stupidi ragazzini, giusto? Sasuke aveva proprio sentito bene quelle parole; gli suonavano nitidamente nelle orecchie. Prese il vassoio che completamente bagnato giaceva ancora fra le sue mani e lo lasciò cadere per terra, provocando un rumore fastidiosissimo. «Oh cazzo, Sasuke, non cominciare nemmeno» Suigetsu andò immediatamente verso l’amico, per placarlo prima che potesse spellargli anche l’anima. Eppure la mano pallida del suo amico lo fermò. «La prego di uscire immediatamente da questo locale, dato che siamo degli incompetenti non penso che le faccia piacere condividere ancora del tempo con noi, giusto?» chiese, lapidario. «È proprio quello che ho detto io, ragazzino» «Bene, allora prego, si accomodi, prima che perda la pazienza del tutto» continuò. Non era un comportamento saggio, il suo, lo sapeva benissimo. Doveva rimanere razionale, ma d’altronde in quella vita la saggezza non contava per un cazzo, dal modo in cui veniva trattato. «Io posso denunciarvi, lo sai, stupido ragazzo? Sono un uomo di potere, posso farvi chiudere questo locale e sgobbare per strada per l’eternità!» il cliente si avvicinò minaccioso a Sasuke, che lo osservava con aria di sfida.

       «Non ce ne sarà alcun bisogno, scusi questo comportamento, non succederà più. Se vuole prenderò la sua camicia e una volta conosciuto l’indirizzo gliela spedirò pulita» Itachi era inchinato in avanti verso l’uomo, il viso serio e l’aria contratta in una smorfia indecifrabile, ma che a Sasuke fece tremare un poco: lo avrebbe ucciso di botte. Probabilmente avrebbe visto suo fratello arrabbiato per la prima volta e non seppe se esserne felice o meno. Una volta terminato il trambusto, il maggiore chiese scusa per il disguido anche agli altri clienti, che lo guardarono con una tenerezza celata nello sguardo. Infatti Itachi cercava di essere sempre cortese con le persone che consumavano al locale. Scambiava due parole con tutti, cercava di fare il buon capo. Era ben visto dalla gente in qualsiasi posto, occasione, o vita. Era una persona così buona che non poteva passare inosservata. Il più piccolo si sentì un po’ uno schifo, a confronto. Quel divario tra loro c’era sempre stato, eppure lui lo considerava sempre il suo mito. Non importava verso cosa. Era il suo esempio. Che nella vita precedente hai pensato bene di uccidere con quelle stupide mani. La coscienza non aveva intenzione di lasciarlo in pace nemmeno un secondo, nonostante fosse rinsavito dai suoi per niente tipici cambiamenti d’umore.

        Quando vide Itachi chiamare lui e Suigetsu all’interno del locale, bé, si sentì in trappola. L’albino lo guardò come se stesse per essere giustiziato. Aveva una paura matta, perché l’Uchiha senior, come lo chiamava lui, era la persona più calma che avesse mai conosciuto. E si sa, la gente così calma quando si arrabbia davvero diventa un qualcosa di mostruoso, che sperò di non vedere mai in nessuna delle sue vite. «Sasuke» lo chiamò Itachi, il tono che sapeva di rimprovero fin da subito. «Ti sembra questo il modo di trattare un cliente?» chiese. La voce più che di rabbia era carica di delusione, e questo lo fece stare male, ma gli fece venire anche il nervoso. «E invece ti sembra un giusto comportamento il loro, in questo caso? So quanto ci tieni alle persone, ma cazzo, mi ha dato del moccioso e ha detto che facciamo schifo quando è stato lui a venirmi addosso, Nii-san!» rispose, stringendo forte le dita delle mani. A quanto pare la sinistra aveva preso a funzionare correttamente. «Scusami, Itachi-san, ma stavolta credo che Sas’ke abbia ragione» s’intromise Suigetsu, che non voleva lasciare solo l’amico. Ogni tanto un po’ di solidarietà ci voleva. Fosse mai che quel rincoglionito di Sasuke potesse scoppiare a piangere. Eppure il bianco sentì diversi sguardi addosso, e vide Jugo e Karin osservarlo attentamente con sguardo stupido, seguiti da una testa rosa che se la rideva. «E VOI CHE CAZZO CI FATE QUI, ANDATE A LAVORARE, DIAMINE» strillò, facendo sorridere debolmente Itachi, che nonostante tutto non fece trapassare l’accaduto. «Non per questo bisogna comportarsi in quel modo, Sas’ke. Voglio che lo impari, capisci? Dal tuo punto di vista devi solo annuire. Ti dicono che sei un incompetente? Va bene, sappiamo benissimo che non lo sei, quindi non scaldarti per niente. So che anche tu pensi di aver fatto una cosa sbagliata, e odio fare le ramanzine, ma dovevo. Sono il tuo fratello maggiore e devo insegnarti i principi» ammorbidì il tono, scrutandolo con un piccolo sorriso in volto. «Non ho dieci anni, Nii-san»

        Ritornarono nel salone: Karin sgambettava da un tavolo all’altro, Jugo preparava il più velocemente possibile ogni ordine, dato che Suigetsu se ne stava a ciondolare parlando del più e del meno con Sakura. Sembrava tutto normale, nonostante la vicenda appena passata. Probabilmente doveva ringraziare il fratello, così fece, anche se debolmente. «Certo che tu hai proprio bisogno di lui» rispose l’altro, facendolo arrossire impercettibilmente nelle orecchie. In ogni caso fece finta di niente. «Inoltre dobbiamo cambiare le tazzine, a quanto pare con queste non ci vai proprio d’accordo» «No, Itachi-san, è che Sasuke come ninja ha rotto un po’ le palle a tutti, quindi mi sembra giusto che in questa nuova vita continui a rompere qualcosa, anche se si tratta di rompere tazzine - ma non solo, sai com’è, alle palle tu proprio ci sei abituato» Suigetsu passò con un vassoio in mano contenente Coca cole, patatine e tre tè alla pesca. Disse il tutto con un sorriso sghembo sulle labbra, che fece scoppiare a ridere il maggiore. «Io lo uccido» borbottò Sasuke, incrociando le braccia al petto.

       Prese posto al bancone per darsi da fare, in modo tale da non perdere tempo. Itachi andava e veniva tra i tavoli come suo solito, ogni tanto gli aiutava con le ordinazioni o con i caffè e quant’altro. Sakura gli stava davanti, dall’altra parte del bancone, e lo scrutava con uno strano sorriso in volto. Di tanto in tanto guardava l’orologio, per poi spostare nuovamente lo sguardo su di lui. Oppure guardava Itachi, che la guardava di rimando. Gli stavano facendo saltare i nervi, tanto che decise di preparare tutti i caffè necessari per il mondo intero pur di non osservare le loro stupide espressioni. Sembrava lo stessero prendendo per il culo. Quella situazione non gli piaceva per niente. Quando diede a Karin il vassoio da portare con tutti i caffè richiesti, tornò ad osservare gli occhi verdi di Sakura. Gli trasmettevano ilarità, ancora, ma cercò di trattenersi. Non valeva la pena borbottare qualcosa o ancora peggio urlarle addosso di piantarla. Era un Uchiha, prendeva le cose con molta più leggerezza del normale, soprattutto se si trattava di Sakura. Se prima aveva avuto delle crisi d’identità dove il suo cervello gli faceva scherzacci, bé, quel periodo era terminato. Era tornato in sé stesso, non doveva più preoccuparsi di risultare un empatico come Naruto. Però effettivamente aveva bisogno di lui. Scocciava ammetterlo, ma la sua versione da Uchiha funzionava che una bellezza insieme a lui. Cazzata, va bene, gli mancava, voleva sapere dove cazzo era, se respirava bene. Non stava uscendo di testa, forse un po’, ma prima lo avrebbe trovato e prima la sua sanità mentale avrebbe giovato.

       «Ti stai facendo problemi, vero? Mandi sguardi ovunque» gli chiese lei, mentre giocava con la cannuccia da cui beveva una Coca-cola. Era maggiorenne e beveva quella roba. La squadrò lentamente, cercando di nuovo quella forma di ironia che stavolta sembrava non esserci. Guardò anche Itachi, ma era di spalle mentre parlava con una signora anziana. Veniva spesso al locale soprattutto per parlare con lui, che era da sempre un ottimo oratore. «Te ne fai troppi, per i miei gusti. Sono contenta che ci sia Suigetsu con te. In un modo o nell’altro mi ricorda Naruto» continuò lei. «Non so chi sia più stupido fra i due» Sasuke scosse la testa, mentre puliva un bicchiere. «Sono due persone troppo diverse, ma lo spirito alla fine è quello, no?» «Per niente. Suigetsu è proprio imbecille. Nel senso, è così e basta. Però non fa così schifo. È lontanamente accettabile come essere umano. Il Dobe poi è un’altra storia» ripose il bicchiere al suo posto, mentre alzava le spalle. Sakura non poté che pensare ad una mezza confessione, con quelle parole. «Certo che Naruto è proprio sprecato con uno come te» Sakura rise, notando lo sguardo cupo di Sasuke. «Tsk. Sono io quello che dovrà sopportarlo, chissà tra quanto» «Non molto» sussurrò lei. Probabilmente nemmeno la sentì, quando lo vide avvicinarsi per l’ennesima volta alla macchina del caffè.

       Sasuke non sentì niente, pensava e basta. Pensava che sì, era tutto fottutamente complicato, ma ce l’avrebbe fatta. Era il suo obiettivo e l’avrebbe raggiunto. Sono un Uchiha, si ripeteva. Era il migliore, ce l’avrebbe fatta sicuramente; sembrava un mantra. Non era affatto sicuro di riuscirci, anzi. Con quelle stupidissime sensazioni a confonderlo sentiva addirittura di provare paura. A volte avrebbe voluto essere apatico come un tempo e basta. Eppure il Sasuke di quella vita non lo era. Aveva qualcosa a cui donare tutto, ed era la musica. Non più la vendetta, ma degli fottuti strumenti. Ne fu felice, nel profondo. Anche perché quell’opportunità non sarebbe servita a niente, altrimenti. Continuava a rimuginare, ma non sentiva niente. Sasuke pensava, pensava e ancora pensava. Osservava la macchinetta difettosa che ogni tanto gli creava problemi, ma basta. Era di spalle, Sasuke. Eppure non sentì la porta aprirsi, il campanello suonare, gli sguardi dei camerieri dilatarsi. Non sentì e non vide niente di tutto quello che mai si sarebbe aspettato di vedere in quel momento.

«Naru, finalmente sei arrivato!»












Angolo autrice:
eccomi, in ritardo solamente di due giorni questa volta. Diciamo che sto facendo progressi.
Prima di cominciare vorrei ringraziare sinceramente UFFA CHE PAZIENZA poiché mi ha dato l'input per scrivere di Indra ed Ashura. In realtà i due fratelli non dovevano esserci, però ho fatto due conti e dopo la sua idea ne sono seguite molte altre dentro il mio cervellino. E insomma, quella che doveva essere una mini-lonng sarà invece una long vera e propria. Quindi grazie infinite!
Poi vorrei ringraziare tantissimo Lemonguess perché a sua insaputa ho usato la seguente frase da far dire a Suigetsu, poiché a mio parere meravigliosa:«No, Itachi-san, è che Sasuke come ninja ha rotto un po’ le palle a tutti, quindi mi sembra giusto che in questa nuova vita continui a rompere qualcosa, anche se si tratta di rompere tazzine - e non solo, sai com’è, alle palle tu proprio ci sei abituato»
In realtà è leggermente diversa, ma che importa, non potevo non metterla. Non appena l'ho letta sono scoppiata a ridere come una scema, quindi un applauso a lei e a questa splendida frase. Che tra l'altro non potevo far dire a nessuno se non a Suigetsu.
Ovviamente voglio ringraziare tutti coloro che recensiscono. Senza di voi non saprei che fare!
Grazie anche ai 13 che hanno messo la storia nelle preferite e ai 40 che l'hanno messa nelle seguite.
Grazie di cuore!
In teoria i ringraziamenti andrebbero alla fine, ma io sono alternativa (e anche scema). In ogni caso, possiamo dire che questo è un capitolo di passaggio. Accadono varie cose, Sasuke diciamo che torna normale, ovvero un mezzo apatico non più stupido, ma no, non è così. Non posso, io devo sfotterlo, è più forte di me. Mi sono divertita un sacco quando ho scritto di lui che dice ad Itachi di essere un rincoglionito. Vederlo così è fantastico, ma tra qualche capitolo penso che dovrò dire addio a tutto questo perché l'IC preme troppo nel mio insunso cervello. Poi magari il suo personaggio è IC, ma per me sta lentamente raggiungendo l'OOC e questo non deve succedere. Sono noiosissima da questo punto di vista.
Inoltre Ashura fa capire il motivo per cui è Sasuke a non dover far niente. Diciamo che ha cammuffato le direttive di suo padre dicendo cose fasulle ad Itachi, ma questo non sarà più un problema perché, bé, Naruto è al bar. EMH.
Per quanto riguarda la fine..... Non uccidetemi. Un po' di suspense ci vuole sempre, sfortunatamente.
E niente, spero di essere puntualissima perché non voglio lasciarvi sulle spine.
Ho detto tutto e niente, quindi bene, siamo alle solite. Se avete qualche dubbio o incertezza chiedete pure!
Perdonate la demenza di questo capitolo, dal prossimo cominceranno ad esserci le robe serie. Mi auguro.
Scusate eventuali errori, non ho fatto a tempo a rileggere!
Un bacio,
Charlie;

P.s. il kanji stavolta indica la parola "ricordo" perché stiamo per entrare in un'atmosfera coompletamente differente. Il titolo della storia è presa da una canzone dei Twenty one pilots - Tear in my heart.

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Capitolo 6
*** Squarci di ricordi; squarci di anime. ***


Capitolo sesto.
Squarci di ricordi; squarci di anime.
 

     Caffè. Caffè ovunque. Nella sua divisa, sul tavolino apposito, sul pavimento, sulle altre tazzine, su alcuni fazzoletti. Il borbottio della gente era cessato, lo sapeva che stavano guardando lui, lo sapeva eccome. Gettò ogni strumento all’aria, attento a non guardare in faccia a nessuno, mentre sentiva lo sguardo di Itachi premuto sulle sue spalle. Sospirò ad alta voce, mentre stringeva forti le dita di entrambe le mani. Nonostante tutto si sentiva calmo, o meglio, doveva esserlo. In fondo avrebbe tanto voluto uccidere qualcuno, in quel momento. Magari Sakura, che lo aveva bellamente preso per il culo, o Suigetsu, che lo stava guardando arricciando le labbra in un’espressione che non gli piaceva per niente, o Naruto, che al bar non ci faceva proprio un cazzo, in quel momento. Sì, avrebbe tanto voluto ucciderli tutti, ma si ritrovò a sospirare di nuovo quando i clienti cominciarono a parlottare tra loro. Itachi si scusò con tutti. «Oggi è una giornata piena di emozioni, a quanto pare» aveva detto, facendoli sorridere. Oltre alla sfuriata precedente si sarebbe beccato un’altra bella ramanzina, ne era sicuro. E ancora non sapeva se esserne felice o meno. Nell’altra vita avrebbe voluto stare con lui, apprendere ogni cosa da lui. Era la sua ambizione in tutto, voleva essere tale e quale a lui. Però Itachi brillava, sempre. Indipendentemente dal luogo. E lui doveva arrangiarsi.

     Lo sentì avvicinarsi. Jugo nel frattempo aveva provveduto alla macchinetta, cercando un qualcosa per aggiustarla. Sperò di non aver fatto niente di grave, anche perché il caffè era la bevanda più richiesta. «Sono contento che non ti sia rintanato in un qualche sgabuzzino» gli sussurrò, tentando di rimediare al danno. Sentiva Karin lamentarsi continuamente del fatto che nessuno la stesse aiutando, ma cercò di non darle importanza. «Te l’ho detto, Itachi, non ho dieci anni» rispose lui, con tono fermo. Prese un panno, aiutando il fratello ad eliminare tutto quel caffè in eccesso. Avrebbe dovuto lavare anche le maledette tazzine. Poco gli importava, non ne avrebbe rotta nemmeno una, quella volta. Vide Suigetsu parlottare con quelli che dovevano essere Naruto e Sakura, e lo guardò di sbieco. Quando l’amico gli rivolse lo sguardo aveva sempre la solita espressione in volto, e lo incenerì. Quando sentì uno sbuffo divertito, poi, avrebbe davvero voluto avere una katana con sé. Ma fu quando lo vide scoppiare a ridere, che avrebbe davvero voluto strangolargli quella maledetta gola con le sue mani. Rideva di gusto, tenendosi la pancia, mentre Itachi alzava gli occhi al cielo e Jugo lo fissava esasperato. Karin nemmeno a nominarla, dato che il suo colorito era diventato più acceso dei suoi capelli. «Amico» lo chiamò lo stronzo, fra le risa. «È stata la scena più divertente di tutta la mia vita». «Suigetsu» rispose, lanciandogli malamente uno strofinaccio sul naso. «Pulisci e stai zitto»

       Naruto, dal canto suo, pensò che quel ragazzo fosse particolarmente sfortunato.
Non appena era entrato aveva visto il sorriso caldo di Sakura-chan. Il loro appuntamento era in quel bar di cui nemmeno ricordava il nome – non si era soffermato a leggere l’insegna – e di cui Sakura gli aveva parlato molto bene. Solamente che, non appena lo aveva salutato, la macchinetta del caffè era quasi esplosa nelle mani del barista. In un primo momento sarebbe scoppiato a ridere, e quasi lo fece, ma uno sguardo di Sakura bastò per fargli cambiare idea. Un ragazzo dai capelli rossi si avvicinò per chiedere scusa e verificare se l’attrezzo potesse venire aggiustato. Era davvero grosso: alto e ben formato. Sembrava quasi una montagna. A Naruto metteva un po’ soggezione. «Come hai detto che si chiama, questo posto?» chiese poi all’amica, forse un po’ ad alta voce, perché un cameriere dai capelli chiarissimi e dagli occhi di un particolare viola acceso si avvicinò a lui, sorridente. «Sharingan» lo disse come fosse una formula magica, per poi andarsene velocissimo. Sharingan! Sakura lo guardò preoccupato, mentre una fitta alla testa lo colse impreparato.

      Occhi, occhi strani, cremisi, sfumature, ombre, cloni, tutto vorticava così velocemente da non fargli capire nulla. Eppure c’entrava con gli occhi, ne era sicuro. Come suo solitovide cose poco chiare e che non gli fecero capire granché, lasciando spazio alla disperazione. Sbuffò sonoramente. «Ciao ragazzi, sapete già cosa ordinare?» chiese, quel ragazzo dagli occhi viola. Occhi. Sharingan. Che diamine voleva dire quella parola e che cosa c’entravano gli occhi, in tutto quello? «Per me un’altra Coca, grazie» «Lo stesso» rispose flebilmente, senza pensarci, mentre si sfregava gli occhi. «Arrivano» sorrise di nuovo, mostrando una fila di denti appuntiti. Suigetsu si chiese se il suo migliore amico fosse ancora imprigionato nella sua coscienza. Proprio non riusciva ad uscirne. Non si era ancora voltato da quando aveva combinato quel macello. Mentre prendeva le bevande richieste di disse che probabilmente era tornato quello razionale di sempre, altrimenti avrebbe dato di matto, ne era quasi del tutto sicuro. Sasuke era molto diverso da lui. Se a Konoha rimaneva per i fatti suoi a ciondolare su vendette, piani avvincenti e ben costruiti, in quel mondo era solo un poveraccio con troppi pensieri per la testa. Sperò guardandolo che, finalmente, fosse tornato normale. Nonostante le occhiatacce dei giorni precedenti sapeva che era ancora instabile, eppure quella mattina il suo sguardo lo aveva incenerito davvero, e a suo discapito ne fu contento. Probabilmente Naruto significava davvero qualcosa, per lui.

      Dopo aver tentato, in un modo o nell’altro, di mettere in ordine il banco, Sasuke finalmente si voltò verso Sakura, che l’osservò con un sorrisetto di scherno in volto, e che lui ignorò. Voleva guardare Naruto negli occhi, ma nonostante sentisse il suo sguardo addosso decise di non ricambiarlo, non in quel momento. «Scusi» Piano fallito, stolto di un Uchiha. Alzò quindi lo sguardo, incontrando quello chiaro di Naruto. Inutile dire che vederlo così da vicino gli fece quasi venire un colpo al cuore. Il Dobe era lontanamente più decente del solito. I capelli biondi erano più lunghi, arrivavano alla base del collo, mentre i ciuffi sparati in aria alla bell’e meglio erano sempre gli stessi. L’azzurro degli occhi, bè, era identico a come lo ricordava, ma averlo davanti era tutta un’altra cosa. Non pensava di stare andando contro il suo orgoglio, anzi: stava solamente facendo la radiografia al viso del suo ragazzo. «Vedi di non eccitarti e rispondigli, altrimenti sei nella merda davvero» la voce fastidiosa di Suigetsu lo fece ridestare, ma anche divertire – per quanto Sasuke Uchiha potesse divertirsi, ovviamente. Alzò il mento, come ad invitarlo a parlare, mentre Suigetsu serviva le Coca Cole richieste. «Potrei avere un bicchiere d’acqua, per favore?» la sua voce era sempre la stessa: arzilla e con una nota fastidiosa. Sul per favore si era soffermato un attimo a sorridergli, mostrando i denti bianchi. Era il suo sorriso infantile, quello che si erano rivolti al ponte, da bambini; quello che gli aveva rivolto quando aveva promesso di prendere tutto il suo odio con sé, una volta ucciso Danzo. Era convinto che sarebbero morti insieme, loro.

       Il braccio sinistro gli fece male, mentre prendeva il bicchiere e ci versava dentro l’acqua. Non seppe perché questo piccolo smarrimento, ma un braccio non poteva funzionare a seconda delle emozioni di una persona. Il punto era: che emozioni stava provando? Non era in subbuglio, come suo solito. Si sentiva abbastanza calmo, nonostante la minuscola tensione che avvertiva nella pancia. Però averlo lì davanti, diviso dal bancone, in fondo non gli fece quell’effetto devastante che era convinto di avere una volta avuto il suo viso a due palmi dal naso. Probabilmente perché, anche se non lo aveva ancora ben realizzato, era talmente abituato alla sua presenza che averlo con sé era una cosa più che naturale. Alla fine Naruto faceva parte di lui. Quei tre anni di assenza non contavano, perché quegli sguardi e le parole dette nella Valle dell’Addio – dove loro, il loro addio, se l’erano dati come forma di arrivederci – avevano per certo colmato le pozze di malinconia che l’uno aveva provato per l’altro. Il suo posto era lì, insieme a lui, e l’avrebbe capito molto prima di quanto lui stesso pensava.

     Aveva commesso la stupidaggine di passargli il bicchiere con il braccio malfunzionante, e quando sentì una fitta a livello della spalla lo vide inclinarsi. Non avrebbe permesso, però, a quel Dobe di causare un’ennesima macchia nel suo orgoglio. Per colpa sua in quegli ultimi mesi ne aveva formate anche troppe, per i suoi gusti. Vide immediatamente il braccio destro di Naruto avvicinarsi, mentre tendeva la mano per afferrare il bicchiere, ma inaspettatamente anche il suo si bloccò, causandogli una smorfia di dolore. A Sasuke parve di sentire a rallentatore il spaccarsi del vetro sul bancone, e l’insieme dei suoi sbuffi capitolare uno dietro l’altro. Invece no, il bicchiere era al suo posto, di fronte al biondo, mentre Suigetsu sogghignava. «Et voilà! Tutto calcolato» fece l’occhiolino ai due clienti, per poi andare ad aiutare i suoi compagni negli altri tavoli. Sasuke l’osservò allontanarsi, pensando si trattasse di una mera coincidenza. Eppure, se non ci fosse stato, sarebbe accaduto un macello. Si segnò mentalmente, mordendosi la lingua, di ringraziarlo una volta che quell’assurda giornata fosse finita.

         «Scusa, sapresti dirmi dov’è il bagno?» chiese timidamente Naruto, mentre lo guardava di sottecchi, indicando il gomito. E così passiamo dal lei al tu, mh? Sasuke annuì, pensando che probabilmente anche lui aveva avuto un difetto al braccio, in quella vita, e che aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse perché dalla smorfia che prendeva il suo viso non sembrava stare molto bene. «Da quella parte. Ti serve un medico?» chiese, mantenendo sempre il suo tono da saccente. A Naruto cominciava un po’ a dargli sui nervi, ma sentiva qualcos’altro, dentro sé. Nonostante tutto annuì. «Ho un problema al braccio, sono caduto qualche anno fa e-» «Non ho bisogno della storia della tua vita, Dobe. Ti ho chiesto se ti serve un medico» lo interruppe, facendolo diventare rosso dal nervoso. «Sì, diamine! Mi serve un medico!» Sasuke chiamò Itachi e gli spiegò la situazione. «Vai a prendere il kit di primo soccorso, per piacere. Secondo sgabuzzino a sinistra, e se puoi chiama anche Sakura» Sasuke si morse la lingua. Era forse diventato un maggiordomo? Era già tanto servire a dei poveri coglioni quali civili, perlopiù doveva pure andare avanti e indietro a cercare, chiamare, fare. Chiese a Jugo di sostituirlo per qualche attimo, con uno sbuffo. «Sakura, muoviti» la chiamò lapidario, facendole alzare gli occhi al cielo. «Potresti essere un po’ più gentile, sai?» «Non mi avevi detto che aveva un braccio in quelle condizioni» «Non ti ho mai dato il mio aiuto, Sas’ke, o sbaglio?» gli fece la linguaccia, entrando nella stanza dove si trovavano Naruto e suo fratello. Aveva proprio voglia di ucciderla, quella ragazzina.

        «Dove ti fa male?» chiese Itachi. Il tono era molto calmo, lo guardava con gentilezza, e pensò che a primo impatto fosse una persona piacevole. «Il gomito, ogni tanto mi brucia e si blocca. Oppure i primi tempi saltava fuori e usciva parecchio sangue» rispose, cercando di non guardarsi la parte dolente. Odiava vedere il suo osso farsi strada tra la carne, mentre sentiva il sangue che colava giù fino alle mani. Era una sensazione odiosa, e il dolore lo faceva contorcere tutto, causandogli ancora più male. «Mio fratello ha un problema simile al tuo, sai?» «Ho notato. Siete un po’ diversi, voi due» rispose il biondo, un po’ impacciato. «Ma che dici, Naru. Sono praticamente uguali! Lui comunque è Itachi-san, mentre il ragazzo è-» «Sasuke» la interruppe, lasciandola senza fiato. Anche il maggiore si mise a guardarlo, interrompendo il suo controllo. «Era scritto nel cartellino» alzò le spalle poi, facendo riprendere un respiro profondo alla sua migliore amica. Itachi sorrise, stavolta con un velo d’ironia in volto. «Tu sembri calmissimo e pure gentile. Lui mi sembra abbastanza snob, e mi ha pure chiamato Dobe! Ah, quel Teme» sbuffò, incrociando le braccia al petto. Non seppe il motivo ma quel termine gli uscì dalle labbra come se fosse normale. Subito dopo realizzò di avere il fratello affianco, che gli stava passando una pomata su tutto il braccio, e arrossì di botto. «C-Cioè, i-io intendevo dire c-che» «Non preoccuparti» rise Itachi, scuotendo la testa. Era una cosa normale, giusto? Guardò Sakura che, come presa da una forte emozione, aveva poggiato una mano sopra il petto, in direzione del cuore. Era da tanto che non sentiva quello scambio di battute.

       Nel frattempo, il diretto interessato di tutta la questione aveva starnutito una cosa come cinque volte di seguito. Salutava i clienti che uscivano con un cenno cortese, mentre piegava il viso in una smorfia che doveva essere un sorriso a coloro che entravano. Si sforzava sempre di più quando al bar andavano persone mai viste prima. Si sentiva calmo, ancora. Era una sensazione strana, dopo l’agitazione avvenuta nei mesi trascorsi. Non gli mancava essere un pazzo furioso che addirittura chiedeva a Suigetsu di sfracassargli la testa – nonostante fosse accaduto solamente poche ore prima – ma voleva comunque ragionare sia con il Sasuke di Konoha che con quello di Tokyo. «Secondo me ti stanno sfottendo allegramente» gli disse Suigetsu, mentre faceva scaldare dei croissant e preparava tre cappuccini. Sasuke nel frattempo lavava le stoviglie, cercando di mettere tutto al proprio posto. «Non sa nemmeno chi sono» negò, per poi starnutire di nuovo. «È davvero strano sentire Uchiha Sasuke starnutire. Insomma, per te e per il tuo ego è una cosa molto poco virile, vero?» a quelle parole il moro gli diede il solito strofinaccio in testa, ignorandolo, mentre lo sentiva ridere.

       Vide Naruto tornare insieme alla stronza e a suo fratello. D’un tratto Karin si avvicinò, lasciando tra lui e Suigetsu un pezzo di torta. «Non è igienico, Uzumaki. Sto lavando i piatti col detersivo e faccio casino, non lo vedi? Levalo» la riprese. «È lì perché così quando volete potete mangiarlo, testone» «Oh, che cara, la piccola e dolce Karin» la prese in giro Suigetsu, ricevendo uno sguardo fin troppo ardente dalla ragazza in questione. «È impossibile» Naruto lo stava guardando, in quel momento. Spostava lo sguardo da lui alla torta. Si chiese cosa gli passasse per la testa. Inarcò un sopracciglio, invitandolo a parlare, mentre Sakura piazzava una mano davanti alla bocca. «A te fanno schifo i dolci, né, Sas’ke?»

          Per poco Suigetsu sputava tutta l’acqua che stava bevendo. La tenne in bocca, gonfiandosi le guance. Sembrava un bambino, e Karin da lontano lo trovò quasi adorabile. Si avvicino in fretta e furia e, una volta arrivata, gli piegò la testa verso il basso e gli premette le guance, in modo tale che l’acqua gli si spargesse sulla divisa. L’albino la guardò intensamente con un cipiglio infastidito in volto. «Cazzo, ma sei seria? E io adesso devo andare in giro con questa macchia enorme addosso? Ho fatto i salti mortali per cercare di non sputarla» «Uno a zero per me» gli diede una pacca sulla spalla, per poi trotterellare fra i tavoli. «Questa me la paghi, piccola pazzoide»

          Sasuke era rimasto ammutolito, con lo sguardo ancora accigliato e gli occhi rivolti verso Naruto che, giurava, lo stava osservando attentamente. Aveva la testa piegata verso destra, e in faccia quell’espressione da stupido imbecille che lo caratterizzava. Gli faceva prudere le mani. Tenerezza. Sembrava particolarmente confuso, mentre beveva la sua Coca Cola. Intanto Sakura era rimasta senza parole, e guardava i suoi due amici con impazienza. Sasuke nonostante tutto non rispose, ignorando la domanda, e Naruto ne sembrò felice. Aveva proprio voglia di picchiare la rosa, in quel frangente. Lui sapeva. Lui sapeva. Lui sapeva! «Infatti, mi fanno schifo le cose dolci» bisbigliò poi, facendosi sentire, mentre puliva con fin troppa energia i bicchieri usati per posarli sul bancone. Dal canto suo, Naruto non aveva la più pallida idea del perché avesse detto quella frase. Lui quel ragazzo nemmeno lo conosceva. Però era interessante, e gli ricordava vagamente qualcuno. Da seduto, mentre lo vedeva pulire gli utensili, poteva osservarlo bene. Aveva sempre quell’aria seria e sofisticata che lo faceva andare in bestia. Ma non lo conosceva, quindi perché tanto nervoso per niente? Era un rompicapo. Se solo avesse alzato bene la testa verso di lui.

        «Per caso ci siamo già visti da qualche parte?» a quel punto per poco non gli cadde una tazza all’interno del lavabo. Non avrebbe fatto alcun casino, ma non si aspettava in ogni caso una domanda del genere. «Si fa audace, il ragazzino» gli sussurrò Suigetsu dietro l’orecchio, facendogli alzare gli occhi al cielo. «No, non penso» e lo guardò. Era proprio quello che Naruto voleva, effettivamente. Che lo guardasse, anche solo un secondo. Si stampò nella mente la faccia di bronzo che si ritrovava. Aveva lineamenti delicati. Con i capelli lunghi lo avrebbe certamente scambiato per una donna, vedendolo solamente in viso. I capelli prendevano una piega strana, verso l’alto, e gli occhi erano nero piombo. Sapeva che quegli occhi potevano gelare ad un solo sguardo, lo sentiva addosso. Gli occhi. Quegli occhi. Lo Sharingan, su quegli occhi neri, che diventano poi scarlatti. Sgranò i suoi, di occhi, e sentì le gambe talmente molli che ringraziò il cielo per essere seduto. La testa però non gli fece male, stranamente. Sentiva solo una grande agitazione a livello del cuore che batteva all’impazzata.

        «Sakura» chiamò l’amica, mentre continuava a fissare Sasuke. Lo ignorava, ma a lui non importava. Lo guardava sistemare il bancone, pulire, servire ai tavoli, rispondere con una cortesia che a lui non aveva riservato. Eppure non gli diede fastidio, perché era una cosa normale. Lui lo conosceva, sapeva com’era fatto, ma perché? Perché sapeva che odiava i dolci, e che non era un tizio così espansivo, soprattutto se con lui? Perché sentiva quell’odore di sangue e quello sfregare di scintille così nitide, in quel momento? «Sakura» ansimò, mentre l’amica lo guardava preoccupata. Continuava a respirare affannosamente, mentre vedeva e sentiva maree di cose, sensazioni. Non riusciva a capire niente, era tutto così contorto e confuso che avrebbe solamente voluto urlare. Poi si fermò, imbronciandosi di botto. «Mi sento come se fossi una fottuta pentola a pressione» l’amica gli diede uno scappellotto nella nuca, urlandogli addosso che l’aveva fatta spaventare a morte. Finì la sua Coca Cola e la sua acqua di getto, dopo di che pagò l’albino e decise che doveva tornare subito a casa e dipingere.

          «A-Aspetta, ma» Sakura tentò di fermarlo, voleva che almeno si guardassero, un’altra volta. «Ti stai dimenticando la giacca, Naruto» la voce di Sasuke lo ridestò, facendogli notare la giacca al proprio posto. Lo aveva chiamato per nome. Lo sapeva. Ne era sicuro. Si avvicinò a grandi falcate, tuttavia cercando di non farsi notare dal resto della gente, prendendolo per il colletto e facendolo abbassare in modo da guardarlo dritto negli occhi. «Io e te ci conosciamo. Dimmi balle e ti prendo a pugni» Sasuke sgranò impercettibilmente gli occhi, per poi sbuffare quella che doveva essere una risata.  «Allora le mie condoglianze, non ne uscirai vivo. Nemmeno questa volta» calcò molto sulle ultime parole, per poi voltarsi e continuare a sistemare il bancone. Naruto sorrise, prese la giacca ed uscì in fretta e furia. Doveva dipingere, doveva vedere tutto quello che la sua mente non riusciva a mostrargli.

              Vivrò eccome, Teme. Vivremo senz’altro.














Angolo autrice della cogliona:
sono puntuale, evviva.
La mia contentezza finisce qui, perché a mio parere questo capitolo è lo schifo assoluto. Dovevo fare in modo che il primo incontro sarebbe stato perfetto, ma il fatto è che loro due non si conoscono proprio, devono solo cercare di rievocare i ricordi di quel pezzente di Naruto. Quindi diciamo che il lavoro meraviglioso che mi ero messa in testa è stato brutalmente stuprato da me medesima. Ergo, se questo capitolo non avrà nemmeno una recensione/non se lo filerà nessuno/farà schifo ai cani, avrete tutta la mia approvazione.
Ho deciso di postarlo ugualmente perché avendolo pronto e non riuscendo a cambiare proprio nulla - nonostante io abbia l'ispirazione - non mi sembrava giusto farvi attendere.
Questo capitolo è prinicipalmente povero, pieno di incongruenze e terribilmente piccolo. Posso solamente dire che ormai questi due deficienti si sono incontrati e che la storia ha il suo pieno svolgimento a partire da adesso. Dunque mi impegnerò al massimo per fare in modo che obbrobi del genere non capitino mai più. Promesso!
Non saprei nemmeno come commentarlo. Al massimo più avanti lo rivisionerò, in modo tale da renderlo decente.
Davvero, mi dispiace parecchio, anche perché ci tenevo molto a rendere il loro incontro entusiasmante.
Principalmente ho messo in evidenza il punto di vista di Sasuke, per poi passare a Naruto e anche a qualcosa di Suigetsu che dev'essere onnipresente per tenere a bada quel povero smidollato che è il suo migliore amico. Inoltre il moro in questione sembra essere tornato il cinico di sempre con un puf! Ma non è così, c'é un motivo per cui proprio con Naruto torna il bastardo cinico che lo caratterizza.
E niente, il biondo è sempre più rincoglionito e stupido. Il fatto delle braccia volevo si notasse perché credo sia un qualcosa che li leghi ancora di più.
Bene, spero di pubblicare il seguito al più presto. E magari mi eserciterò su come schivare pomodori, patate e ortaggi vari in caso di altre schifezze simili.
Perdonate eventuali errori.
Un bacio!
Charlie;

 

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Capitolo 7
*** Di macchie vermiglie e nuovi arrivi. ***


Capitolo settimo.
Di macchie vermiglie e nuovi arrivi.
 
     
        Cospargeva di colore la tela, pennellata dopo pennellata. Cercava i dettagli dentro la sua testa, a volte chiudeva gli occhi e lasciava che il polso scivolasse velocemente, impastando i colori, delineando l’immagine che in quel momento non riusciva a ricordare. Si soffermava sul rosso, poi sul nero. A volte sul bianco, giallo, blu. Era un vero casino, visto da fuori. Sembrava solo un’enorme macchia che si spargeva su tutta la tela un tempo bianca. Si ritrovò ansimante senza nemmeno sapere come, perché. Aveva fretta di capire, di sapere quello che tutto ciò che lo circondava gli nascondeva. Si soffermò a guardare la tela, mentre un paio d’occhi fatti a casaccio, rigorosamente scarlatti, lo fissavano. Avevano dei strani punti vicino alla pupilla, e un cerchio che la racchiudeva. Ne aveva fatto un altro, però, che aveva come un fiore che circondava l’iride. Che diamine voleva dire? Il resto della tela era tutto una sfumatura ed unione strana fra terra, sangue e quelli che dovevano essere raggi del sole. Era tutto così scomposto; la testa gli fece male e si sedette per terra, prendendo ancora boccate d’aria. Si passò una mano nei capelli. Cosa significava quel ragazzo, per lui? Lo conosceva? Era collegato alla figura che tentava di... ucciderlo? E allora perché sentiva quelle emozioni così forti mentre ci lottava contro? Si morse la lingua a sangue, tentando di trovare un filo – magari logico – che ricollegasse la faccenda.

       Non poteva far altro se non passarsi le mani nella faccia madida di sudore. Sospirò rumorosamente, alzandosi di scatto e dando un calcio ben assestato alla tela, in presa al nervoso, che si riversò a terra con un tonfo secco. Anche i colori caddero, formando pozzanghere vermiglie e nere nel pavimento. Il rosso e il nero che si univano. Non ci capiva proprio niente. Non era mai stato un cervellone, la scuola l’aveva abbandonata perché aveva preferito dedicarsi all’arte e sfondare in quel campo – fatto che gli riscuoteva un certo successo – quindi come pretendeva di venirne a capo così, dal nulla? Ebbe tanta voglia di sbattersi la testa al muro, spaccarsela a metà e darla in pasto ad un branco di lupi feroci. «Hai fatto un bel casino, mh?» Iruka lo fece sedere su una sedia affianco, vedendolo stranamente pallido, dopo di che cercò di rimediare al pasticcio sul pavimento. «Lascia stare, faccio io dopo» borbottò l’altro, ormai imbronciato. «Come mai quell’espressione da bambino? Non riesci a dipingere?» chiese, facendolo imbronciare se possibile ancora di più, tanto che mise le braccia conserte e si voltò dall’altra parte, in segno di diniego. A quel punto fu Iruka a sospirare, con un sorriso derisorio in volto.

      «Buongiorno, Naruto-kuun» Sakura gli prese le guance e gliele strizzò, allungandole e facendogli assumere facce buffe. Cercava di liberarsi, lui, ma inutilmente, poiché la stretta della ragazza era troppo forte. Non si era nemmeno accorto di quando era entrata: aveva sentito le sue guance fargli un male cane e subito dopo gli occhi verdi della sua amica guardarlo con un lieve sorriso nelle labbra. Scosse velocemente la testa, in modo che le sue guance si staccassero dalle mani dell’amica, per poi inclinare la testa verso il basso. Si sentiva un po’ depresso, in verità. Non aveva molta voglia di scherzare. «Allora, sei riuscito a dipingere qualcosa? È una settimana che ci provi, voglio vedere i risultati» era particolarmente allegra, quel giorno, non seppe il motivo. Ed era anche vestita molto bene, con una gonna che cadeva morbida sopra le ginocchia e una canottiera a fasciarle il busto. Era proprio carina. «Stai molto bene, Sakura-chan» la vide arrossire. «Però no, non ho combinato nulla se non occhi fatti male e casini sul pavimento» indicò con il mento Iruka, che ancora tentava di sistemare il pavimento.

        «Oh, salve, Iruka-san» la ragazza fece un piccolo inchino a mo’ di saluto. «Posso aiutarla?» «Sì, basta che lo porti fuori e lo fai smettere di avere quella faccia da cadavere in decomposizione» sorrise ad entrambi, soprattutto a Naruto, che si imbronciò nuovamente. Gli altri due risero: non sarebbe cambiato mai.
       Sakura accettò di portare fuori il biondo, ma prima volle vedere i quadri. Erano proprio gli occhi di Sasuke, anche se un po’ confusi il taglio e l’espressione erano i suoi, e il battito le mancò per un secondo. Nonostante tutto Naruto stava lavorando molto per far tornare i ricordi. Era convinta che, una volta incontrato il moro, avrebbe recuperato tutta la memoria, ma era chiedere troppo. Il punto era farli incontrare sempre più spesso. La prima volta aveva dato una mano parlando a Naruto del locale, ma per la seconda avrebbe dovuto pensarci da solo. Anche perché doveva pensare a sé stessa, oltre che ai suoi amici. E poi la prendeva come una piccola vendetta per Sasuke. D’altronde ancora non conosceva tutto di Naruto. Per esempio, non sapeva che era nella buona fase di ricordare. Il biondo sapeva del loro scontro, del fatto che provasse forti sentimenti per lui, ma non l’aveva ancora detto a Sasuke, e questo la fece sentire importante. Per una volta era lui a stare indietro. Inoltre, avrebbe dovuto acquistare per bene la fiducia di Naruto, in modo tale da non farlo soffrire di nuovo. Ma in ogni caso lei non lo avrebbe mai permesso, non ancora una volta. A causa di quella stupida promessa ai cancelli di Konoha l’aveva quasi fatto ammazzare.

         Lo prese per mano, regalandogli uno splendido sorriso, dopo di che si diressero all’esterno. «Lo Sharingan è una cosa che riguarda gli occhi, giusto? Non capisco se siano i puntini, i fiori, il colore rosso e nero mischiato insieme. So solo che gli occhi sono importanti per questo Sharingan. Solo che anche il locale si chiama in quel modo, quindi non capisco» aveva deciso di confidarle ogni cosa, Naruto. Aveva deciso che era meglio farsi aiutare, cercare di capire insieme a qualcun altro. Inoltre Sakura sapeva, lui ne era certo. Aveva sempre quel sorriso in volto, quando guardava Sasuke. Come se lo conoscesse. Ed era quasi sicuro di conoscerlo a sua volta. Doveva solo ricordarsi come, dove, perché. E capire anche se era lui a lottare oppure no. In una parte remota del cervello, però, sperava che non fosse lui. Sembrava così doloroso doverlo combattere: il suo cuore faceva male, così come ogni parte del corpo. Solamente pensarci gli causava dolore. «Potrebbe essere. Tu cosa vedi dentro di te, Naru? Devi pur sentire qualcosa. Come ti è venuta in mente questa cosa degli occhi?» chiese, con un tono così tenue che sembrava rivolto ad un bambino incapace di capire come svolgere un’addizione.

      Camminarono senza meta, per le strade dei vari quartieri di Tokyo, riflettendo sempre su cosa lui sentisse o provasse. La cosa strana era che proprio non lo sapeva. Vedeva gesti, sentiva parole, e squarci di quelli che sembravano sogni – o peggio, ricordi – si facevano largo nella sua mente, stringendosi l’uno con l’altro e facendogli venire un mal di testa degno delle peggio influenze.  «Non so, tutto mi appare di scatto» rispose, pensieroso. Quella situazione si sarebbe dovuta risolvere, e il prima possibile. «Devo parlarci, vero? Con il tizio del bar, Sasuke, intendo. Anche se non mi sembrava molto intenzionato» sbuffò nuovamente, per poi notare il sorriso divertito di Sakura. «Oh no, non era per niente intenzionato» sussurrò ironica, per poi scoppiare a ridere.
 
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        Cominciava a fare caldo, giugno non tardava a concludersi, lasciando afa un po’ ovunque. Le pelli sudavano, le docce aumentavano e la voglia di vivere – e soprattutto di lavorare – scarseggiava a vista d’occhio. La mattina, poi, alzarsi dal letto diventata praticamente impossibile, dal punto di vista di Naruto. Mentre Sasuke, con il suo tipico volto sdegnato, tentava di trascinarsi fuori di casa per fare il suo dovere sotto gli occhi vigili del fratello maggiore. Era una vita infernale, e su questo c’era ben poco da dire. Entrambi non se la spassavano: uno che doveva cercare di mandare avanti le sue idee artistiche e magari scoprire cosa gli passava per la mente; l’altro che aspettava, e aspettava, e aspettava ininterrottamente un nuovo incontro con il biondo. Era passata una settimana, da quel giorno, e gli sbuffi erano sempre di più. Sarebbe dovuto andare al mare, abbronzarsi e magari rilassarsi, ma ogni qualvolta Karin e Jugo gli si avvicinavano per trascinarlo con sé, schioccava la lingua, li guardava con un sopracciglio arcato, e sbuffava infastidito di lasciarlo perdere. Lui il mare proprio non lo sopportava. Non sapeva se era in quella vita, che lo odiava particolarmente, ma proprio non riusciva ad andarci.

         L’estate era da bandire per il semplice fatto di far sentire la gente disidratata. Ognuno cercava di riposarsi, si lamentava costantemente, pensava a poltrire, doveva stare per forza sotto la doccia per almeno due volte al giorno. Per non parlare del senso di appiccicaticcio nella pelle, della testa bollente dopo aver preso un po’ di sole, delle spalle dolenti e rigorosamente bruciate. Sbuffò per la centesima volta, mentre appoggiato al bancone rifletteva su quanto quella stagione gli facesse schifo. Che giornata di merda. «Vedo che sei di buon’umore anche oggi, Sas’ke» lo infastidì Suigetsu, sedendogli di fronte. «Tu proprio non ce la fai a sederti come un essere umano normale, vero?» s’intromise Jugo, cominciando a spazientirsi. Persino lui, la persona più calma che conosceva – dopo quel nullafacente del Nara – era nervoso. Il caldo faceva andare di matto tutti quanti. Era strano che, trovandosi in quella situazione e con il cervello per le sue, non avesse ancora sbraitato in faccia a tutti e fosse uscito dal locale come un isterico. «Jugo ha ragione, scendi» borbottò, articolando il gesto con la mano.

       Suigetsu tracannava litri e litri di acqua. Nonostante tutto era rimasto molto fedele alla bevanda, da quello che poteva notare. Se prima lo faceva per vivere, adesso lo faceva per resistere a quell’afa che da qualche giorno li circondava. Dannata città. Sembrava una mattinata tranquilla, quella. L’unica cosa decente del caldo era che a) venivano parecchi clienti a causa del sole o b) non venivano perché faceva così caldo che non si riusciva ad uscire. In ogni caso loro guadagnavano soldi o riposo, il che andava bene. «Sto rimpiangendo i bei tempi, quando potevo trasformarmi in una graziosa pozzanghera fottutamente fresca» si adagiò al bancone, sdraiandosi completamente. «Sei una cosa impossibile» lo rimproverò di nuovo Jugo, scuotendo la testa, ormai arreso. «Lo credo bene. Guardatevi: sembrate un branco di idioti. Oh, scherzavo, lo siete» Di tutto potevano aspettarsi, i nostri poveri malcapitati, ma non questo. A vederli dalla porta, effettivamente, non erano un bello spettacolo: Sasuke poggiato mollemente su un piccolo spazio libero del bancone, occupato da un disteso Suigetsu. A seguire Jugo che non faceva altro se non asciugarsi la fronte, seduto alla bell’e meglio su una sedia davanti al minuscolo ventilatore, e Karin che andava da una parte all’altra cercando di farsi vento. A seguire, tutte le imprecazioni da parte dei quattro.

          «Non essere così, suvvia» «No ma, dico, li hai visti? Dove diamine è tuo fratello, quando serve, mh?» Madara Uchiha, vestito di abiti eleganti, dal viso imbronciato e dal sarcasmo sempre pronto fra le labbra, li guardava con stizza. Sembrava stato costretto sotto tortura, e non era difficile capire da chi: Hashirama Senju li osservava tutti con un velo di tenerezza negli occhi. Sembravano diversi, dall’ultima volta, per quanto potesse ricordarsi. Cresciuti, alti, quasi imponenti. Ah, la gioventù. Gli faceva ricordare tante cose. Sorrise calorosamente, e a Sasuke venne sempre quella fastidiosa morsa allo stomaco. Quel sorriso maledetto. Si chiese per la millesima volta perché dovesse essere così caldo. «Ciao, ragazzi. Come ve la state passando? Avreste bisogno di un altro ventilatore. Dobbiamo avvisare tuo fratello, Sasuke» «Mh» rispose, facendogli un cenno con la testa indicandogli una porta su un corridoio ad angolo. All’esterno la struttura sembrava molto più piccola, invece aveva parecchi spazi. Nonostante tutto era un bel locale, pensò Hashirama, mentre cercava Itachi.

         «E avete avuto il coraggio di chiamare questo schifo di posto Sharingan?» chiese Madara, non particolarmente d’accordo con il compagno. «Ma che cazzo ci sei venuto a fare tu, qui?» chiese di rimando Sasuke, rispondendo a tono. Lo vide sorridergli, e quel gesto lo fece innervosire maggiormente. Quel maledetto. «A pararti il culo, moccioso. Mi sembra ovvio. Alla fine tutto questo casino lo avete fatto tu e quell’altro cretino dell’Uzumaki» «Ehi zio Uchiha, cominci a starmi simpatico, anche se Naruto non è così male, sai?» Suigetsu gli sorrise di scherno, facendo sbuffare il più anziano. Zio Uchiha?!? Anche Sasuke diede un’occhiata maledetta a Suigetsu, sperando crepasse lì difronte a lui. Se solo avesse avuto lo Sharingan. «Perché mai dovresti pararmi il culo? Nessuno ha chiesto il tuo aiuto» «Taci. Non l’avrei mai fatto di mia spontanea volontà, razza di idiota. È tutta opera di Hashirama e dei suoi cazzo di sentimenti» «Dovrebbe essere più beneducato» lo interruppe Jugo, subendosi uno sguardo di fuoco. Il rosso alzò le spalle: in quel mondo non avrebbe potuto fargli nemmeno un graffio.

          «Sono molto contento di essere qui, in ogni caso. E sono contento che ci siate anche voi. Hai tutto il diritto di passare la tua vita con Sasuke, adesso. Andrò a trovare presto Naruto. A dire la verità pensavo di trovarlo qui» disse Hashirama, mentre parlottava con un Itachi sorridente. «Naruto non sa nemmeno chi sei» sputò acido Sasuke, senza nemmeno guardarlo in volto. «Lo so benissimo» gli rispose l’altro, facendolo rimanere sorpreso. Aggrottò le sopracciglia, cercando di capire la situazione. Ma a quanto pareva non doveva sapere nulla, poiché l’Hokage gli sorrise e basta, guardandolo con la tipica luce colma di tenerezza nelle iridi. «Sei cresciuto molto, Sas’ke» «Tu invece hai sempre la stessa faccia da-» si zittì appena in tempo dopo aver ricevuto un’occhiataccia dal fratello, per poi addossarsi nuovamente sul bancone.

            «Saaaalve, quanto tempo!» a quel tono di voce Sasuke pensò davvero di scavarsi la fossa utilizzando quelle fottute tazzine, sistemarcisi dentro un po’ goffamente, e poi lasciarsi morire fino alla fine di quella vita. Sempre se si poteva chiamare in quel modo. Aveva vari dubbi a riguardo. Non poteva essere possibile. Non si girò nemmeno a guardare: non ne ebbe il tempo. Una furia bionda, seguita da quel pazzo sclerotico, si era lanciata addosso a suo fratello. «Itaaachiii» Deidara restava appollaiato con la guancia schiacciata contro quella di suo fratello, mentre gli stringeva le spalle in quello che doveva essere un abbraccio. «Per Jashin, che caldo in questo postaccio. Essere un comune mortale è una bella fatica, vero, Sas’ke?» gli chiese, sorridendogli. E da quando Hidan si comportava in quel modo così… normale? E soprattutto, da quando lo chiamava con quel tono così pacato e scherzoso? Che poi Hidan nemmeno sorrideva. Il suo sembrava più un ghigno storto, che un sorriso. Sempre pronto a sacrificare tutti a quel minchione di Jashin. Sbuffò, passandosi le mani in testa, cercando di far cessare le gocce di sudore che imperlavano la sua fronte.

          «Si può sapere cosa ci fate voi qui?» chiese Itachi affettuosamente, dopo essere scoppiato a ridere vedendo tutto l’entusiasmo di Deidara. Era strano che fossero insieme, quei due. «Non so, ci hanno detto di venire qui, che potevamo esservi di aiuto» alzò le spalle l’albino, sorridendo ancora. Sasuke proprio non riusciva a crederci. Suigetsu se la sghignazzava, mentre Karin e Jugo parevano due amebe. «Né, né, Itachi-san, sai che vado nella stessa facoltà di Aoyama? Lei ovviamente è molto più brava di me, e come sai sta per laurearsi, ma mi aiuta tanto e dice che sto diventando sempre più bravo. A volte con Sasori vado a fare spettacoli pirotecnici per i bambini, mentre lui usa qualche marionetta. Senza il chakra e tutto il resto è un vero casino, però ci arrangiamo. Voi invece avete questo bar, giusto? Bella idea chiamarlo Sharingan, chi l’ha avuta? Scommetto il caro, piccolo e orgoglioso Uchiha. Indra ci ha raccontato anche di te e Naruto. Sai che è cugino di Nagato? Dovrebbe tornare a Tokyo fra qualche settimana, ci siamo tenuti in contatto in questi anni. O meglio, il Deidara giapponese. Con Nagato non ho mai avuto un gran bel rapporto, nell’Akatsuki, ma chi se ne fotte. Ah, ma che sciocco, lo sapevate di sicuro: è il fratello di Karin!»

           Deidara parlava anche troppo, per i gusti di Sasuke, ma l’ultima parte gli interessava. Naruto e Nagato erano cugini? E Nagato era fratello di Karin? Quindi la stronza con i capelli rossi oltre ad essere la cugina di Naruto, non gli aveva detto niente? La vide arrossire, diventando quasi del suo stesso colore di capelli. Prese a torturarsi le mani, mentre si mordeva il labbro inferiore. Si aspettava chissà quale reazione. «Come mai non ce l’hai detto, Uzumaki?» chiese poi Suigetsu, inclinando la testa da un lato con fare bambinesco. «Zitto tu! Non pensavo fosse importante! E-E poi non mi avete chiesto n-niente! Nemmeno tu, Sas’ke. Non sapevo, io... no, non sapevo» incespicò un poco, con il solito falso tono saccente. Cercava di fare la dura per niente, proprio come quando erano il Team Taka e andava dietro a Sasuke, notava che non se la filava e gli rispondeva malamente. Suigetsu alzò gli occhi al cielo, sbadigliando sonoramente. Osservò Madara, era seduto da una parte e sembrava non star ascoltando nessuno. Gli fece pena: dovevano averlo portato in quella vita con la forza per davvero. Sorrise un po’: se lo meritava, dopo tutto il macello che aveva combinato.

        «Comunque siamo venuti solamente per salutare. Spero che un giorno tutti quanti noi dell’Akatsuki ci riuniremo. Magari qui, a bere qualcosa. Sarà divertente, né, Hidan?» Deidara gli diede una gomitata, come a voler attirare la sua attenzione, tanto che quello annuì visibilmente, scuotendo la testa. «Un giorno trascinerò anche Sasori. Adesso che viviamo insieme è tutto più semplice. E non è più una marionetta, quindi è ancora più bello» fece l’occhiolino, il biondo, facendo sorridere il maggiore degli Uchiha. «Ci rivedremo di sicuro, adesso immagino che la pausa sia finita e dobbiate aprire il locale. Ciao Itacchan, ci vediamo presto» agitò una mano, poi, sorridendo. Anche Hidan li salutò, facendo cessare il chiasso che si erano portati appresso. Sasuke sospirò ad alta voce, una mano a tenergli la testa che cominciava a farsi pesante.

         «Itachi-san, chi è Aoyama?» chiese Karin, con ancora un lieve strato di imbarazzo. Quella volta, però, fu Itachi a sgranare impercettibilmente gli occhi, e a guardarsi intorno. «Una ragazza, l’aiuto con il tirocinio che andrà a fare una volta terminata la laurea. Inizierà come mia assistente, dopo di che si vedrà» sorrise come al solito, ma Sasuke sapeva che Karin aveva fatto centro. Andò a mettere la divisa, si legò quello che doveva essere il grembiule nero in vita e svogliatamente si avvicinò al bancone. A guardare Suigetsu fare quel lavoro era semplicissimo. Sorrisi gentili, chiacchiere veloci, rapido con le ordinazioni. Sembrava fatto apposta per quel mestiere. Lui, invece, sentiva di appartenere a qualcosa di più importante. «Il ragazzo non frequenta la scuola, Itachi?» chiese Madara, poi, come se gli avesse letto nella mente. Ricordava qualcosa dell’istituto, se ci pensava un attimo, eppure da quando il Sasuke di Konoha si era unito a quello del Giappone – e nonostante la cosa suonasse malissimo – non si era mai recato al liceo, o università, o qualunque cosa fosse.
 
           «Si è ritirato l’anno scorso, diceva di non volerci più avere niente a che fare e non sono riuscito a convincerlo a tornare indietro. Però adesso puoi fare quello che vuoi, Sasuke» si rivolse a lui, e poté notare un briciolo di speranza in quegli occhi. «Potrei andare a fare visita alla scuola, o alle altre presenti» rispose. «Non ti starai mettendo in testa di andare nella stessa di Naruto?» chiese Suigetsu, il tipico sorriso sghembo a riempirgli quella faccia che avrebbe volentieri preso a pugni. Non lo degnò di uno sguardo, si limitò a sbuffare ed alzare un sopracciglio. Itachi andò ad aprire la transenna, e si preparò mentalmente al lavoro che lo aspettava, al caldo che avrebbe dovuto sopportare, allo sguardo ardente di Madara e al sorriso del cazzo di Hashirama. Che giornata di merda.



















Angolo autrice:
chi è quella in ritardo? *alza la mano* *tutti la giudicano*
Ovviamente io, per l'appunto. Mi dispiace, sono ben tre giorni in ritardo, non era mia intenzione. E dire che il capitolo precedente l'avevo postato un giorno in anticipo! Ebbene, non si può essere sempre perfetti, sfortunatamente.
Parlando del capitolo, questo è solo di passaggio. Un po' povero, ma spero che possa far sempre piacere.
Già dal prossimo vedremo qualcosa di più su i due protagonisti, e spero possa piacervi.
Qui vediamo Madara e Hashirama, Deidara e Hidan. Ovviamente i personaggi ci saranno un po' tutti, chi sottoforma di comparsa - come Kurama o Gaara, anche se il rosso lo rivedremo - chi come il team Taka che rimarrà sempre presente.
Spero che l'inserimento di alcuni personaggi non dispiaccia.
Non temete per Indra e Ashura, arriverranno presto!
Inoltre entra in gioco Aoyama, compagna di Deidara e futura tirocinante di Itachi. (Non cantate vittoria troppo presto!)
Spero davvero che questa storia possa procedere e che non stanchi. In tal caso potete tranquillamente farmelo sapere, mi comporterò di conseguenza e cercherò di migliorare costantemente.
Sto cercando di impegnarmi sul serio, e vorrei che almeno questa storia possa concludersi nel migliore dei modi.

Grazie mille a tutti coloro che ci sono stati fin'ora, a chi segue, mette nei preferiti, nelle ricordate e a chi recensisce. Grazie mille anche ai lettori silenziosi.
Un bacio, e spero a presto!
Perdonate eventuali errori: scappano sempre.
Charlie;

P.S. Il kanji utilizzato per l'ellissi significa "ricerca".

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Capitolo 8
*** Blu scuro, è il colore della notte dove si concentrano e si bloccano i nostri occhi, le orecchie, le parole, tutto quanto. ***


Capitolo ottavo.
Blu scuro, è il colore della notte dove si concentrano e si bloccano i nostri occhi, le orecchie, le parole, tutto quanto.
 

      «Naruto!»
Annaspava, cercando più aria possibile. Era passata una settimana ed un giorno dall’incontro con Sasuke; mesi e mesi, forse anni, dai sogni strani che vagavano nella sua mente come assopiti per troppo tempo. Eppure, dopo tutto quel tempo, aveva sognato qualcos’altro. Aveva visto un posto diverso dal campo di battaglia, dal sangue, dal cuore che batteva all’impazzata nel petto. Quando si svegliava si toccava stretto il petto, sentendo i battiti forti e veloci, con la paura che potesse uscirgli fuori. Eppure non capiva cosa provava. Le sensazioni erano così tante e così addossate l’una sull’altra da fargli girare la testa. Non sopportava più quella situazione, gli faceva venire i nervi a fior di belle. Quel giorno aveva sognato addirittura lui, il tizio del bar. E che sogno. Ringhiò, sotto lo sguardo preoccupato di Sakura. «Ti ho chiamato cento volte, questa mattina. Iruka è uscito e nemmeno te ne sei accorto» lo rimproverò, con i pugni poggiati sui fianchi. «I ladri non arrivano alle..» cercò il telefono per controllare l’orario. «Sono le undici e mezza, Uzumaki Namikaze Naruto. Dovresti vergognarti! Iruka-san mi ha lasciato un biglietto da darti, parlava di un qualcosa d’importante per la tua carriera» lo informò, una volta interrotto. Lo vide sbuffare sonoramente, come un bambino.

          Naruto non era cambiato poi così tanto, in quegli anni. Nemmeno da una vita all’altra. Era cresciuto molto, quello sicuramente. Le spalle si erano fatte più larghe, i muscoli leggermente più spessi e poi i capelli si erano allungati. Cominciava a somigliare ad un vero uomo, nei suoi diciannove anni suonati, ma di cervello era ancora un dodicenne senza speranza. Sakura lo guardava con un’espressione che rappresentava il misto esatto fra la disperazione e la rassegnazione. Andava da una parte all’altra, con lo spazzolino in bocca e i capelli sparati in aria, mentre tentava di indossare un paio di pantaloni. Si scusava per il ritardo, mugugnando: si era completamente dimenticato del loro appuntamento. Uscivano spesso, in quei giorni. Soprattutto perché Naruto aveva bisogno di compagnia e di sfogarsi, e questo Sakura lo sapeva bene. Aveva dei confronti materni, oltre che da semplice amica, nei suoi confronti. E non solo perché erano stati insieme. In realtà non sapeva se essere innamorata di Naruto, ma se lo era di sicuro non nel senso in cui amava Sasuke a Konoha. Quella era un’ossessione, eppure ricordava di aver amato profondamente l’Uchiha. Con ogni suo pregio e difetto. Ricordava ancora il suo «Grazie, Sakura» sussurrato, per poi addormentarla ed abbandonarla. Strinse le dita delle mani, in preda all’emozione. In fondo sentiva che Sasuke non aveva mai meritato nulla, da parte la sua: la sua pazienza o la sua ammirazione. Sasuke era una persona fredda e complessa, difficile da capire. E vedere come il suo migliore amico riuscisse a comprenderlo con una estrema facilità sfiorava l’assurdo. Erano così tanto diversi che sembrava impossibile.

           «Pronto! Dov’è il foglietto? Chissà chi cavolo è» si chiese, Naruto, grattandosi una guancia mentre leggeva il numero scritto su carta. La calligrafia era molto elegante, pensò si trattasse di una persona importante. Però, a pensarci, anche Sakura aveva una bellissima calligrafia, eppure non era famosa. Inclinò la testa, immerso in stupidi pensieri, e la rosa giurò di vedergli il fumo uscire dalle orecchie. Gli tirò uno scappellotto, facendogli male. «Signor Ots-Otsuts-Otsutsuki! Certo che è parecchio strano, no?» «Magari è un intenditore e vuole occuparsi dei tuoi quadri. Potresti fare qualche mostra, piuttosto che venderli singolarmente. Chissà, magari diventerai famoso e poi ti dimenticherai di me» lo prese in giro Sakura, facendo finta di asciugarsi una lacrima, per poi scoppiare a ridere. «Se mai diventerò famoso prometto che farò un tuo ritratto e sarà quello che venderò più caro» «E io che pensavo volessi regalarmelo!» risero ancora, ed in quel momento Naruto pensò di star bene, mentre vedeva gli occhi velati dalle lacrime di Sakura e sentiva la sua risata cristallina.

            «Cosa dovrei dirgli?» chiese, cominciando a diventare nervoso. «Perché ti ha chiamato, per esempio? Ti presenti e poi il resto verrà da sé» lo incoraggiò, mentre uscivano di casa. Il biondo sbuffò, mentre digitava il numero sul telefono. Il tuu-tuu degli squilli lo stava facendo diventare ancora più ansioso. «Pronto?» «A-Emh-Mh» si schiarì la voce «Salve, sono Uzumaki Naruto. Ho saput-» «Salve, signor Uzumaki. O posso semplicemente chiamarla Naruto? Mi piacerebbe incontrarmi con lei per parlare di qualche suo quadro. Magari potremmo inizialmente parlarne in via generale e poi potrei visitare il suo studio per dare un’occhiata di persona alle sue opere» Naruto rimase per qualche istante perplesso, ma un pizzicotto sul braccio da parte di Sakura lo fece ridestare. La vide annuire visibilmente con la testa. «Oh-emh, va bene, dov-» «Al parco ti andrebbe ben-ahi» lo interruppe di nuovo, lasciandolo di nuovo privo di parole. Giurò di aver sentito un mugolio di dolore e subito dopo un «Cretino» sussurrato in tono arrabbiato dall’altra parte del telefono. Gli aveva persino dato del tu. «Al parco? Emh, va bene» rispose, un po’ titubante. Che razza di posto era il parco? Era un incontro di lavoro, mica una passeggiata.

         Salutò incerto una volta aver stabilito l’orario, mentre Sakura sembrava anche più accigliata di lui. «Secondo me è pazzo o mi sta semplicemente prendendo per il culo» esclamò poi, deciso di non presentarsi. «Aspetta, Naru. Sbaglio o tutti i pittori sono pazzi?» rise ancora, mettendo in quelle parole svariati significati. Difatti il biondo s’imbronciò, tornando a pensare al sogno e arrossendo alla follia. Doveva toglierselo dalla testa, sia il sogno in sé che quel teme da quattro soldi. Guardò l’orario: avrebbe dovuto pranzare insieme a quel matto dell’Otsutsuki, per cui i due avrebbero continuato a camminare per un po’, per poi tornare a casa. «Resto con te per assicurarmi che tu non vada all’appuntamento con una tuta, idiota come sei»
 
ばか
 
         Correva, era in ritardo come al solito. L’appuntamento era alle due e mezza e lui, da intelligentone, aveva fatto attendere colui che lo avrebbe volentieri fatto diventare un artista con la A maiuscola per ben venti minuti. Aveva persino dovuto chiamarlo per chiedergli in quale parco si era cacciato – ovviamente con termini più consoni, nonostante avrebbe voluto urlargli di cotte e di crude – perché, diamine, non c’era un solo parco in tutta Tokyo. Continuava a camminare velocemente, facendo perdere la decenza che i suoi capelli avevano assunto, ma poco gli importava. Sakura aveva tentato velocemente di sistemarlo, lasciargli la roba nel letto e poi andarsene velocemente a casa. Sua madre non lo vedeva esattamente come un angelo: era un po’ esagitato, e Sakura era perennemente a casa sua. Saltava un sacco di pasti che avrebbe potuto fare in famiglia, per stare con lui. In quel momento pensò di volerle molto bene, mentre la camicia gli usciva dai pantaloni un tempo stirati. C’era fin troppo vento, per essere fine giugno.

         Si era vestito alla bell’e meglio. Ad ogni vetrina controllava di essersi messo la camicia bianca sotto la giacca nera, che i pantaloni fossero nel verso dritto, che le scarpe fossero ben allacciate e che la sua faccia non sembrasse da idiota patentato. Non era sicuramente il massimo della perspicacia, quello era ovvio, ma doveva almeno cercare di dare una buona impressione. Era anche vero che un libro non si legge dalla copertina, però con le persone non funzionava proprio alla stessa maniera. Cercò di aumentare il passo, controllando di tanto in tanto l’indirizzo del parco, che tra l’altro non conosceva. Era quello principale e non ci era mai stato, essendo a degli isolati di distanza. Mannaggia a lui che ancora non si era preso la patente. Troppa fatica, in ogni caso. 30 ore di teoria e 27 di pratica, e ripetere l’esame ogni tre anni non erano nelle sue ambizioni. Assolutamente. Controllò ancora una volta l’orologio, cercando di fissarsi un discorso in testa. Nemmeno si accorse di star parlando a voce alta. «Emh, buongiorno, vengo da un quartiere al centro di Tokyo» si schiarì la voce, illuminandosi gli occhi e cercando di sembrare una persona seria ed autoritaria. Per i suoi standard, si intende.  «Dipingere mi fa stare bene, riesco ad immedesimarmi completamente in ciò che riproduco e adoro mischiare i colori forse anche più del ramen istantaneo. E anche quello mi piace parecchio!» una parte remota del suo cervello chiese quanto al signor Otsutsuki potesse interessare, ma lui decise di ignorarla. «Per finire, posso dire di essere un-»

         «Usuratonkachi» sentì, prima di sbattere addosso a qualcuno. Si ritrovò il viso di quel dannatissimo – sì, lo era. Doveva per forza essere un’opera del demonio – barista ad un palmo dal naso. Si allontanò di qualche passo, inveendogli contro. «Perché cavolo non guardi dove vai?» «Fino a prova contraria sei tu ad essermi venuto addosso» Quella frase sfiorava il ridicolo, nella testa di Naruto. Pensò di essere diventato viola e, colto il fraintendimento, lo vide ghignare. Probabilmente divenne ancora più viola. «Bè, mi dispiace tanto, Sasuke» sputò veleno, per poi addolcire il tono sul suo nome. Lo vide guardarlo con un’espressione strana – per quanto quel tizio potesse averne una – e si sentì ancora arrossire. Quel sogno lo stava uccidendo lentamente. Eppure erano dei bambini, non gli sarebbe dovuto importare. Cercò di mandare via il mal di testa e la domanda insistente che giaceva nella sua mente. Quasi poteva vederla, a braccia conserte mentre pestava il piede destro per terra, in attesa di una risposta: si conoscevano, da bambini?

          «Hai la giacca al contrario» lo informò. L’altro lo guardò in cagnesco. «Non è possibile, ho controllato un sacco di volte» ringhiò, per poi vedere la mano pallida dell’altro afferrargli il tessuto dietro il collo, spostarlo un poco per fargli notare l’etichetta. Sentì il cuore balzargli in gola al contatto. E poi era davvero al contrario. Non poteva crederci. Lo vide allontanarsi, per poi realizzare di essere davanti allo Sharingan. Ecco il motivo per cui era lì. «Che nervi» si disse, per poi mettere a posto la giacca e correre verso il parco. Il signor Otsutsuki lo avrebbe ucciso, in quel momento ne era molto più che sicuro.
 
        
          «Orario di chiusura; sai leggere, Sakura?» «Fa molto piacere anche a me vederti, Sasuke!» lo prese in giro, sorridendo gentilmente. «So che è orario di chiusura, infatti non devo ordinare niente e, soprattutto, non sono qui per te» gli fece la linguaccia. Stava per chiederlo cosa ci facesse al locale, ma poi decise che non gli importava niente. «Ti dirò una cosa che non sai ma che non ti farà piacere, Sasuke. D’altronde non hai più Sharingan o Amaterasu da scagliare, giusto? Sei indifeso, adesso. Comunque, sappi che lui sa molto più di quanto credi» portò tutta l’attenzione verso di lei, chiedendole di continuare con lo sguardo. Cosa significava che lui sapeva? Ricordava qualcosa e stava facendo finta di niente? O forse sapeva ogni cosa e tutti lo stavano bellamente prendendo per il culo? La vide fare spallucce, sedersi davanti al bancone e accavallare le gambe. Era vestita stranamente bene. La guardò con un sopracciglio arcuato, non nascondendo la stizza che provava nel vederla lì, mentre puliva i vari bicchieri. «Arrivo subito! Muoviti, Itachi-san» sentì la voce di Karin urlare, per poi vedere Sakura sorridere. Rimase interdetto, mentre vedeva Suigetsu salutare calorosamente la rosa.

         «Il biondo ha già un piano d’attacco per fottere il caro, piccolo e dolce Uchiha?» le chiese, stendendosi sul bancone come suo solito. «Non rompere i coglioni, lo sto pulendo» gli diede un colpo di strofinaccio in testa, facendogli alzare gli occhi al cielo. A vederli così, Sakura pensava che tutti avrebbero potuto scambiare Suigetsu per un ipotetico Naruto. Si punzecchiavano, si picchiavano, se ne dicevano di tutti i colori. Eppure capiva perfettamente Sasuke. Perché nonostante lui potesse volere a Suigetsu molto bene – aveva dubbi a riguardo, ma era impossibile che non gliene volesse nemmeno un po’ – Naruto era tutt’altra cosa. Non era mai riuscita a capire la loro opprimente amicizia, specialmente dal punto di vista del biondo. Si era sentita terribilmente in colpa, il giorno della promessa ai cancelli di Konoha. Eppure lui non si era fermato semplicemente a quelle parole. Aveva cercato Sasuke perché era principalmente lui, a volerlo. Un Hokage non può essere un buon Hokage se non salva un amico dall’oscurità. Guardava il viso di Sasuke, in quel momento, e non poteva far altro se non pensare che, sì, aveva ragione, e lui era riuscito a salvarlo a tutti gli effetti. Nonostante avesse ancora il tipico cipiglio imbronciato e seccato per via del resto del mondo, Sasuke sembrava diverso e più in pace con sé stesso, probabilmente grazie alla presenza di Itachi.

         «Possiamo andare» Karin le mise le mani sulle spalle, sorridendo ai due che si stavano guardando: uno ghignante, l’altro con gli occhi sfumati di rosso. Entrambe erano davvero graziose. I capelli dell’Uzumaki per una volta non erano sistemati alla bell’e meglio, ma ogni punta formava un boccolo che ricadeva con delicatezza sul seno e sulla schiena. Gli occhiali erano ben puntati sul naso e gli occhi truccati da una pesante matita nera. Sasuke pensò che risultasse una donna – sopprimendo un finalmente – e la stessa cosa valeva per Sakura. «Hai capito di non avere il cazzo, Uzumaki?» la sfotté Suigetsu, probabilmente dopo aver avuto i suoi stessi pensieri, squadrandola dalla testa ai piedi. «Ti ringrazio per la radiografia, stupido pesce fritto» ringhiò di rimando, per poi dargli uno schiaffetto nella guancia. L’altro continuò a ghignare, facendo finta di niente. Stava davvero bene. «Oh, anche tu sei adorabile, Haruno» le fece l’occhiolino, e giurò di vederla arrossire un poco. «Maniaco!» urlò Karin, mentre, presa l’altra ragazza sottobraccio, usciva dal locale mostrando un elegante dito medio smaltato di nero a Suigetsu.

           Dopo poco videro Itachi uscire frettoloso dal locale, salutandoli velocemente e con la valigetta dal lavoro in mano. Entrambi pensarono fossero faccende di lavoro, ma dopo poco lo video poggiare la borsa e raggiungere le due ragazze che lo aspettavano all’esterno. Si guardarono un secondo, Suigetsu con il colorito leggermente più pallido, Sasuke con una sfumatura incredula negli occhi. «N-non mi dirai che-» «Zitto. Stai zitto. Non voglio saperne niente» si guardò attorno con fare esasperato, dopo di che terminò di pulire il bancone con tutta l’energia necessaria e non. Itachi stava davvero uscendo con Sakura e Karin? Da solo? Con loro due? Vide Suigetsu uscire dalla porta, voltarsi verso di loro che ormai dandogli le spalle avevano cominciato a camminare, e poi mettersi le mani sulla testa in un gesto di vera e propria disperazione mista al più esaustivo dei «Non ci posso credere!». Si sentiva una pettegola, un po’ cretino e anche uno schifo. Suo fratello usciva con due ragazze, sue coetanee. E per giunta erano Sakura e Karin! Pensò che fosse troppo anche per lui, mentre terminava di disporre i bicchieri nelle apposite mensole. «Rimpiango Jugo e il suo fottuto giorno libero. Sas’ke, mi dispiace, ma questa sarà guerra e non so quanto tuo fratello potrà uscirne vivo» «Se intendi con pestaggi forse ti porterò dei fiori sulla tomba. Non sembra, ma è pur sempre un Uchiha» rispose, disfacendosi della divisa e poggiandola su una sedia a caso. Vide l’altro alzare gli occhi al cielo.

           Sotto svariate richieste, Sasuke si era trovato di punto in bianco nella terrazza del locale, sdraiato su uno sdraio, affianco a Suigetsu che farneticava un qualcosa sulle stelle. Osservando bene il cielo se ne potevano vedere davvero tante. Un sacco di punti che, a luce spenta, creavano tanti disegni sulla coltre blu scura. Sotto un certo aspetto era rilassante, restare lì a guardare quei colori fondersi, la luna piena che dava luce, i rumori della gente in sottofondo che camminava per le strade o il silenzio piacevole della piena notte, quando tutti dormivano e lui restava a guardare il soffitto di casa sua. Avrebbe voluto avere un soffitto del genere, in futuro. L’avrebbe voluto tanto. Suigetsu sembrava spento, mentre osservava la distesa ormai nera. Aveva perso la cognizione del tempo, doveva essere passata almeno un’ora. Eppure si stava il bene, il silenzio non era assordante ma piacevole. Si sarebbe volentieri addormentato lì, in preda al venticello, pur sapendo che in realtà non avrebbe dormito affatto. In realtà non riusciva a chiudere occhio, perché rivedeva sempre tutto. Il sangue, il suo odore, i suoi occhi che gli pregavano di amarlo ancora. E rivedeva tutto ciò che aveva fatto a Konoha, le azioni, il dolore di averle commesse. E alla consapevolezza che infondo non se ne pentiva. Non in generale, almeno.

         «Ti stai facendo seghe mentali» sghignazzò Suigetsu, che lo guardava con un occhio aperto e l’altro chiuso. «Anche tu» rispose, lapidario. Aveva interrotto il filo dei suoi pensieri. «Mh. Pensavo che un giorno ci porterò Karin al posto tuo, qui sopra. Di sicuro farebbe più compagnia di te» Sasuke lo ignorò. «Ti posso dire una cosa sincera?» «No» «Bene. Ecco, questo dimostra quello che volevo dirti. Sai cosa, Sas’ke? Hai la sfera emotiva di un mestolo da cucina, ecco» terminò mettendo le braccia conserte. Il moro scosse la testa in senso di diniego: quel ragazzo era proprio irrecuperabile. «Magari sei più bello di un mestolo, ma davvero, fai paura» continuò, gesticolando. «Ah, un’altra cosa. Gli Uzumaki sono proprio la merda, vero?» si avvicinò a lui, cercando di guardarlo negli occhi con un’espressione demoralizzata e triste. Lo guardò per qualche secondo, per poi scuotere nuovamente la testa e nascondere un largo sorriso con una mano. «Tu sei marcio, Suigetsu»




















Angolo autrice:
buona sera. O meglio, buonanotte. La pazza è tornata, e ad un orario un po' improbabile, aggiungerei.
Mi ero auto-promessa di scrivere qualcosa per il compleanno di Sasuke, ma non ci sono riuscita, quindi eccomi qui ben due giorni dopo a pubblicare il capitolo di questa storia.
Devo dire che questo maledetto caldo mi ha fatto perdere lo smalto e la fluidità che avevo nello scrivere: l'estate è sempre una brutta bestia, per me. Inoltre abito in Sardegna - e non vado al mare - per cui devo dire di essere in condizioni fantastiche. Già.
In ogni caso mi dispiace abbastanza poiché potrei dare qualcosina di più in questi capitoli che sto trattenendo. Spero che la mia vena artistica ritorni normale il prima possibile. In realtà spero che anche questo stesso capitolo non sia di livello inferiore rispetto agli altri due precedentemente pubblicati. Sono più fiduciosa, vediamola così.
In realtà questo sarebbe la metà di un capitolo, che ho volutamente diviso perché altrimenti sarebbe stato un romanzo a parte e troppo pesante da leggere in una botta sola. Mi dispiace per gli avvenimenti apparentemente sconnessi, ma vedrò di pubblicare il prima possibile in modo tale da non lasciarvi sulle spine.
Si accettano scommesse sul fatto di Sakura, Karin ed Itachi insieme. Non so come mi sia venuta in mente una merdata del genere, ma darò la colpa al caldo come al solito. Credo di avere il cervello surriscaldato.
Si accettano scommesse anche su come andrà il colloquio fra Naruto e il certo signor Otsutsuki. Chiederei anche chi secondo voi è fra i due, ma ormai si sarà capito.
L'incontro fra i due è improvvisato. Da poco ho visto un video fantastico - sempre colpa di Tumblr - della scena appartenente alla prima serie di Naruto, dove lui stesso si presenta all'anziano da proteggere (per intederci, si parla dei primi volumi/episodi: loro contro Haku e Zabusa), e comincia nominando il ramen e tutto il resto, e che poi "La gente mi chiama.." E il caro buon vecchio Sasuke a sparare il suo fantastico "Usuratonkachi".
Credo non abbiate capito niente, e mi sto dilungando davvero tantissimo. Colpa dell'orario.
In realtà la colpa di tutto questo è mia. In ogni caso spero di mettermi in forma il prima possibile e recuperare tutto ciò che è stato perso.
Grazie mille a tutti coloro che seguono, mettono tra i preferiti, nelle ricordate; coloro che recensiscono e leggono solamente.
Risponderò alle recensioni il prima possibile, promesso.
Perdonate eventuali errori, come sempre.
Un bacione, 
Charlie;

P.S. Il primo kanji starebbe per "Baka" (ho cercato quello di Usuratonkachi in lungo e largo, ma niente); il secondo kanji sta per "Notte".

 

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Capitolo 9
*** Non c'é alcuna distrazione che può nascondere ciò che è vero. ***


Capitolo nove:
Non c’è alcuna distrazione che può nascondere ciò che è vero.
 

     Svoltarono l’angolo velocemente, Karin fece in tempo a girarsi solamente per vedere Suigetsu reggersi la fronte con le mani, per poi esplodere in una tutto fuorché femminile risata. Si dovette tenere la pancia, che non tardò a farle male. «No ma dico, avete visto la sua faccia?» riuscì a pronunciare fra le risate, mentre gli altri due la guardavano con un misto fra l’esasperazione ed il divertito. Sakura trovò stesse davvero bene, vestita in quel modo. Poi si chiese cosa diamine avessero pensato gli altri due vedendoli uscire così eleganti, insieme. Pensò alle reazioni di Sasuke. Avrebbe potuto giacere a terra morente, ma non era il suo caso. Sarebbe stato troppo non-da-lui. Immaginò il suo viso colmo dallo sdegno, e le venne da sorridere. Non sarebbe mai cambiato, nonostante tutto. E dire che avrebbe dovuto ringraziarli, tutti loro. «Itachi-san, comunque secondo me ti preoccupi troppo per Sas’ke-kun» disse a voce alta, mentre Karin cercava di ricomporsi. «Ormai se la sa cavare, e poi lui sa tutto. Deve solo trovare il modo di spiegare a Naruto quello che prova. Non capisco perché non lo abbia mai cercato» continuò, giocando con le pieghe che la gonna prendevano in balia del lieve venticello.

      «Sasuke è comunque uno stolto, proprio come Naruto. Ha bisogno del mio aiuto, soprattutto adesso che ci sono e posso fornirglielo» le sorrise. Era incredibile quanto quel ragazzo – ormai uomo – fosse cresciuto in fretta. Era come se di vite ne avesse vissute cento, anziché a mala pena due. Sapeva sempre cosa fare, cosa dire. Era brillante nei ragionamenti, sempre pronto a dare dei suggerimenti. Riusciva ad essere capace in qualsiasi cosa, e Sakura lo invidiava per questo. Anche perché aveva un buon senso dell’umorismo. Sospirò. «Però questo non toglie il fatto che dovresti pensare un po’ a te stesso, no?» gli chiese, ricambiando il sorriso. «Esatto, Itachi-san! Devi cercare di fare anche una tua vita, oltre che stare sempre dietro a Sasuke. E poi» la rossa si avvicinò a Sakura, circondandola con un braccio «Ci siamo noi a tenere d’occhio quei due» dopo di che entrambe scoppiarono a ridere. «Sappi che ho visto il rossore nelle guance una volta nominata una certa Aoyama da Deidara-senpai!» continuò, scuotendo la testa su e giù ripetutamente, come a darsi ragione da sola. L’altro girò il capo, sospirando rumorosamente. «Siamo quasi arrivati» «È inutile che cerchi di cambiare discorso, io e Sakura non siamo mica sceme, razza di un Uchiha! Siete tutti uguali, voi» A quel battibecco la rosa rise ancora e di gusto, notando che il sangue degli Uzumaki si riconosceva sempre e comunque.

       Arrivarono al bivio indicato da Itachi, dopo di che si fermarono ad aspettare. Rimasero in silenzio, ascoltando i rumori dei passi della gente, la città illuminata con in sottofondo il chiacchiericcio fastidioso dei passanti. I colori dei negozi, delle insegne pubblicitarie e delle varie luci degli hotel rendeva l’aria ricca di sfumature. Nonostante ci fosse silenzio fra loro, Sakura poteva dire di non trovarlo affatto fastidioso, anzi. Osservava di qua e di là quel luogo così diverso da casa sua, e non poteva far altro se non meravigliarsene. Sì, aveva vissuto da sempre in quei luoghi, sapeva distinguere i negozi di scarpe da quelli di tecnologia, conosceva molte cose di quel mondo, avendoci vissuto da sempre. Eppure la Sakura di Konoha, proprio lei, quella che sentiva di essere, trovava il tutto terribilmente nuovo e anche affascinante. Si perse nei suoi pensieri, dopo di che controllò l’orologio. «É in ritardo, come al solito. É passata mezz’ora» sbuffò: neanche lui era cambiato. «Eccomi ragazzi, scusate il ritardo» gli occhi chiusi e il sorriso mesto li attese, facendoli bloccare dalla sorpresa. Era arrivato all’improvviso, nemmeno fosse stato un vero ninja.
«È proprio strano vederla senza maschera, Kakashi-sensei»
 
     
      «Uzumaki Naruto?» Rimase di sasso, impalato sul terreno come un cretino, Naruto, una volta trovatosi davanti a quello che doveva essere il signor Otsutsuki. Si era immaginato un cinquantenne cicciottello, con gli occhiali sulla punta del naso, la camicia troppo stretta e che gli stringeva la pancia, e un sorrisino speranzoso. Quello che si era trovato davanti, invece, era tutto l’opposto. E, soprattutto, gli faceva paura. Il tono di voce era freddo ma pacato, era lo sguardo a fargli paura. Gli occhi appuntiti lo guardavano con freddezza, quasi con seccatura. Cercò di non sbuffare, annuendo a scatti con il mento. Era stato lui a chiamarlo, quindi non poteva essere arrabbiato con lui. E poi, perché mai avrebbe dovuto esserlo? Si tranquillizzò, sfoggiando uno dei suoi sorrisi migliori. «Immagino che non ti aspettavi un incontro qui, Uzumaki. In realtà non sono stata io ad averti chiamato, ma mio fratello. Lui è più piccolo ed impreparato, ma spero che questo non sia un problema» Sì, si disse Naruto, sembrava proprio costretto ad utilizzare quel tono pacato. Come se avesse voluto ucciderlo da un momento all’altro, ma non potesse per via di un qualcosa più potente di lui.

       Si strinse le braccia al petto. Si stava facendo troppi viaggi, e lui non se ne faceva mai. Bisognava andare dritto al sodo. «Mi dispiace per il ritardo, ho avuto qualche problemino» si grattò la nuca con fare impacciato, dopo di che sentì una mano sulla spalla destra. «Non preoccuparti, Naruto. Ashura Otsutsuki» si presentò, porgendogli la mano. «Sono il ragazzo che ha parlato con te al telefono» A guardarli bene, si vedeva proprio il legame di parentela. A detta del biondo, quei due erano praticamente identici. Se il tizio inquietante – che d’ora in avanti avrebbe chiamato così perché – non avesse avuto i capelli più lunghi potrebbero esserglisi presentati come gemelli che lui ci sarebbe cascato in pieno. Nonostante tutto aveva un po’ d’ansia addosso, e non poteva nasconderlo. Generalmente era Iruka ad occuparsi di quelle cose, ma se aveva insistito tanto per andare lui stesso un motivo ci doveva pur essere. O almeno, questo era quello che sperava.

       «Veniamo al dunque. Indra Otsutsuki, insegno arte moderna all’università di Tokyo. È conosciuta principalmente per la letteratura e la legge, ma anche coloro che fanno parte del corso d’arte possono avere un futuro. Tu non frequenti più la scuola, vero?» Naruto fece cenno di diniego, abbassando la testa, aspettandosi una rimproverata. Quello che ricevette fu invece un sospiro sconsolato. «Dovresti, invece, piuttosto che ciondolare dalla mattina alla sera e non cavarne niente. Non puoi mica vivere di olio su tela!» «Bè, se diventassi famoso grazie a delle mostre effettivamente potrei» sussurrò Naruto, rialzando il capo. «Esistono persone molto più talentuose di te e che si ammazzano di lavoro ogni giorno per raggiungere il proprio obbiettivo. Non era questo il tuo nindo, Naruto? Mi sorprendi, e deludi» si aspettava una strigliata, ma non di certo da quello che sembrava il buono. Invece Ashura, con le ciglia aggrottate e le dita strette a pugno, lo guardava attentamente.

      «Il mio cosa?» chiese, non capendo. Vide il ragazzo mordersi le labbra, per poi guardare il fratello. Nindo? «Un credo, Uzumaki, un credo. In ogni caso, all’università ci sarà la tua benedetta mostra. Faremo un’esposizione con i fiocchi, a patto che tu prenda lezioni private. Abbiamo trovato il docente. Inoltre dovrai documentarti, e magari leggere qualche libro, in modo tale da avere nuove idee da utilizzare per qualche nuovo quadro. La mostra si terrà fra due mesi, ti faremo sapere per telefono. È tutto, moccioso» detto questo, Indra sparì portando via con sé il fratello che, in un modo o nell’altro, cercò di agitargli una mano in segno di saluto. Per l’ennesima volta in quella giornata Naruto rimase lì, a guardare il vuoto, praticamente immobilizzato. Non ci aveva capito niente. Avrebbe solamente voluto urlare. Lo prendevano in giro, forse? Non aveva mangiato, era corso di fretta e furia, non aveva mangiato, era curioso di sapere cosa avrebbe dovuto dipingere, quali circostanze ci sarebbero state, quanto avrebbe ricevuto di paga; non aveva mangiato! E invece aveva ricevuto una predica sul suo rendimento scolastico per la maggior parte del tempo, per poi sapere che avrebbe dovuto fare chissà quali – e soprattutto quante – opere per quella maledettissima mostra. E in più doveva avere un maledettissimo insegnante privato. Come se ne avesse avuto bisogno, lui! Ce l’aveva sempre fatta, in qualsiasi circostanza. Il suo credo era quello di andare avanti e- «Una promessa è una promessa, e io non la rimangio mai! Questo è il mio nindo»

       Si sedette, sul terreno, in preda ad un attacco di mal di testa. Non vedeva niente se non pallini offuscati. Cercò di scuotersi, riprendersi ed alzarsi, eppure il dolore non cessava. Il suo nindo, il suo credo. Quasi si vide, da bambino, con il pugno in aria e il sorriso largo in viso, mentre proclamava a tutti in cosa credesse davvero. E poi i capelli sparati in aria, la fronte coperta dal suo simbolo, dalla sua città, da Konoha. Konoha, Konoha, Konoha. Provò a non gridare, mordendosi la lingua. Il dolore era così forte che sentiva la testa pulsare. E poi l’odore del sangue, il clan Uchiha, lo Sharingan attivo negli occhi di Sasuke – quel Sasuke! – e l’odio, così tanto odio, la morte da condividere, quel dolore sordo, Kurama, la volpe a nove code. Naruto svenne, in balia di tutti quei pensieri, sogni – o ricordi? – e del mal di testa che non la smetteva di causargli dolore.

      Si svegliò tutto sudato. Non era riuscito a sognare niente – probabilmente per la spossatezza – e non seppe dire se fosse un bene o no. Si accovacciò nel letto, scostando le coperte in preda ad una vampata di calore estremo. L’estate gli stava corrodendo anche le viscere. Nonostante fosse un amante del sole, del caldo e del mare, non riusciva proprio a concepire il sudore, in quel momento. Eppure si sentiva tutto appiccicaticcio. Respirò a pieni polmoni, cercando di calmare il cuore impazzito. Si passò una mano sulla fronte, cercando di calmarsi e di rimettere in ordine le idee. Tra due mesi ci sarebbe stata la mostra. Avrebbe preso lezioni da un insegnante privato. I signori Otsutsuki l’avrebbero aggiornato a riguardo. Il suo nindo era quello di andare avanti sempre e comunque, ma non solo. Una parte di lui contava di non tradire mai la parola data. Le promesse non andavano mai rimangiate. Si chiese se non stesse impazzendo. Magari aveva una crisi di doppia personalità. Eppure lo sguardo di Sakura, quel dannato Sasuke. Sasuke. Sasuke Uchiha. Non sapeva il suo cognome, in fondo, ma perché invece lo ricordava? Non gliel’aveva mai detto. Com’era possibile? Gli venne da piangere.

        «Ti sei svegliato» Iruka gli poggiò un bicchiere d’acqua nel tavolino accanto al letto, per poi sedersi al suo fianco. Lo guardava preoccupato, si notava. Eppure anche lui sembrava sapesse qualcosa. Perché era l’unico a non conoscere niente? Chi diamine era lui, in realtà? Avrebbe voluto prendersi la testa a morsi, se solo avesse potuto. Sentiva una strana apprensione addosso, ma non seppe per cosa. Voleva davvero scoprire il motivo di tutte quelle visioni, di quegli odori che sentiva così nitidamente come se li avesse sentiti davvero. Non riusciva a credere di essere completamente pazzo, anche perché non aveva mai avuto dei problemi da bambino. Si grattò la nuca, mettendo il broncio. «Naruto, ascoltami» il tutore lo chiamò, sedendosi accanto a lui con dei libri in mano. Sapeva già cosa e di chi fossero. «Non so quanto questo possa aiutarti, ma non potresti solamente provare a cercare qui le tue risposte?» Gli porse i due libri tabù, quello scritto da sua madre e da Jiraya. Li prese fra le mani, stringendoseli un po’ al petto. Nonostante non ricordasse molto di sua madre, sembrava che quelle pagine un po’ ingiallite lo stessero chiamando. Osservò attentamente le copertine, sentendo una sensazione strana al petto, per poi aprire il romanzo scritto dal suo vecchio maestro. Sperò di non affezionarsi al nuovo proprio com’era stato con Jiraya. Dopo tutte le lezioni, i rimproveri e le risa, Naruto si era trovato particolarmente bene con quel pervertito di un uomo, come amava definirlo lui.

       La leggenda dei Ninja coraggiosi, questo era il titolo. Sulla copertina appariva il profilo del viso di Jiraya, e nella prima pagina una foto, sempre sua, con Minato e Kushina giovani e sorridenti. Probabilmente di Naruto non c’era nemmeno l’idea, al tempo. Gli venne da sorridere, pensando a quanto dovessero essere spensierati i suoi genitori all’epoca, insieme a Jiraya. Aveva insistito tanto per essere il suo maestro, urlandogli addosso di essere un marmocchio ma aiutandolo in qualsiasi momento del bisogno. Gli vennero le lacrime agli occhi, pensando al cimitero, al fatto che anche lui alla fine se n’era andato. Strinse le pagine fra le dita, mentre le sfogliava. Non dava molto peso a quello che leggeva, si soffermava a qualche passo. Prima di proseguire, Iruka gli consigliò di leggere l’introduzione, e così lui fece.
   
   Il rombo violento di un’esplosione lo colse alle spalle.

   Il tempo di cercare un rifugio d’emergenza, e una raffica di falciate si scagliò contro un tronco dell’albero dietro cui si era nascosto.
   “É ora di arrenderti non credi?” risuonò bassa la voce del nemico. “Comincio a essere stufo di giocare a nascondino”
    Ansimante, il ninja andò a frugare con una mano l’interno della sacca legata in vita.
    UN KUNAI E UNA BOMBA FUMOGENA. In un lampo estrasse la bomba e la lanciò dietro di sé. Boom!              Un’esplosione e il nemico fu avvolto in un calore di fumo.
    Stringendo in mano un kunai, finalmente poté uscire allo scoperto e scagliare la sua arma contro quell’ombra che si stagliava nel banco di fumo.
    Cling! Cling!
    Il suono metallico di lame che s’incrociano riecheggiò per la foresta.
    CLING! CLING!
    “WAAANG!”
     Quasi senza sapere come, il ninja si ritrovò piegato sulle ginocchia.
     Quando i fumi bianchi provocati dalla bomba iniziarono a dissiparsi, dinanzi ai suoi occhi si profilò la lama del nemico.
     “Rassegnati” gli disse.
      Facendo leva con il braccio sul ginocchio, si rimise a stento in piedi, e con un mormoro appena percettibile chiese “Posso dirti una cosa?”
     “Non intendo ascoltarti” così dicendo, lo shinobi avversario mirò dritto al suo petto, trafiggendolo. “E adesso muori”
     La violenza del colpo fu tale che il corpo del ninja rimase letteralmente inchiodato al tronco alle sue spalle.
     L’istante successivo, il suo corpo inerme si dissolse in una nuvola di fumo e riapparve intatto alle spalle dell’avversario. “Rassegnati al fatto... che io mi rassegni”
    Un colpo sul collo sferrato con il taglio della mano mise a terra il nemico.
    “Uuh...” Lo shinobi avversario abbozzò un ghigno.
    “Anche se mi uccidi, ci saranno altri sicari ad assalire il tuo villaggio”
    Senza rispondere a quella provocazione il ninja tenne lo sguardo fisso a terra su di lui.
    “Eh eh eh... Finché vivremo nel maledetto mondo dei ninja non ci sarà pace per noi”
    “Allora scioglierò questa maledizione” rispose lui impastando il poco chakra rimastogli in corpo, con le sue gambe tremolanti. “Se la pace è possibile, sarò io a portarla fra i ninja! Non mi arrenderò mai”
   I due si scambiarono uno sguardo intenso.
   Le foglie degli alberi cadevano intorno, leggere.
   “Chi sei tu?”
   Voltando lo sguardo oltre le fronde degli alberi, verso il cielo terso, rispose “Mi chiamo...”

Sentì la testa spaccarsi a metà. Si mise le mani nelle orecchie, come a voler tappare quel rumore sordo che gli stava corrodendo il cervello. La vista gli si offuscò ancora, lasciando spazio a due grandi occhi viola, le iridi concentriche e prive di pupilla, che lo guardavano con sguardo stanco, quasi affranto. Nagato. Si mise ad urlare, lanciando in aria il libro e cercando di prendere più aria possibile, cercando di respirare, di vivere. Ma soprattutto, di ricordare. Com’era possibile, tutto quello? Com’era possibile? Per quale ragione? Singhiozzò, Naruto, in preda ad una crisi di panico, mentre Iruka cercava di calmarlo. Si stava sfogando tutto in una volta, mentre stringeva compulsivamente i cuscini. In che diamine di posto era finito, un tempo? Perché ricordava vagamente la vita dei suoi genitori? E perché tutti quegli spezzoni di vita passata gli attraversavano la mente interrompendo i suoi pensieri? Era evidente che tutti intendevano fargli capire qualcosa, fargli ricordare ogni cosa, ma perché non raccontargli tutto direttamente? Perché farlo soffrire così?

      Si strinse le ginocchia al petto in un abbraccio. Pensò che esternamente sarebbe sembrato un psicopatico, ma probabilmente già lo era. «Leggi, Naruto. Ce la farai» gli sussurrò Iruka, con voce speranzosa. «Ho così tanta voglia di mandarvi a fanhgnculo» sussurrò il biondo, sbottando, un po’ incerto sull’ultima parola. Si aspettò una strigliata per via del linguaggio, ma si sorprese nel sentire il suo tutore ridere. «Non cambierai mai» gli passò le mani fra i capelli, e giurò di avergli visto gli occhi lucidi poco prima di voltarsi. Sentì il suo stomaco brontolare: si era fatta l’ora di cena. Dopo poco gli arrivò un messaggio da parte di Sakura.

“Domani passo da te, devi raccontarmi tutto. Sarei passata stasera ma ho un impegno. Un bacione!”

Nonostante tutto Naruto era molto contento per la sua amica. Sembrava aver fatto nuove conoscenze, magari si era addirittura trovata un ragazzo. Si sentì un po’ geloso, aveva sempre creduto di essere innamorato di lei. Eppure sentiva questa sensazione strana al centro del petto, che gli scaldava lo stomaco, quasi fosse sollievo. O forse apprensione. O paura. Ma di cosa? Che le facessero male? Sbuffò verso sé stesso: non esisteva ragazza che si sapesse difendere meglio di lei. E allora, cosa? Lei è innamorata di lui, Naruto. Quel pensiero lo fece tremare. Che cosa cazzo stava pensando? Scosse velocemente la testa, come un cagnolino impregnato d’acqua. E probabilmente la scena sarebbe stata molto tenera, se solo non avesse avuto quei pensieri in testa. Ma che poi, lui chi? Strinse le mani fra le ciocche bionde, quasi tirandole. «IRUKA-SENSEEEEEI, HO BISOGNO DI UNO PSICOLOGO, STO DIVENTANDO PAZZOOOO»














Angolo autrice:
chi è quella in ritardo-ritardissimo? *Alza la mano*
Come da programma, del resto. Mi dispiace, sono quasi una settimana di ritardo - quindi vi ho fatto aspettare quasi quattordici giorni! - ma spero non ricapiti più. Tra caldo, il carissimo periodo del mese e la festa del paese non sono riuscita ad avere un minuto per pubblicare.
Infatti credo che anche questo capitolo non sia così soddisfacente e me ne dispiaccio tanto. Spero di risollevarmi presto.
Comunque sia, in questo nono capitolo-barra-continuo del precedente, vediamo principalmente il lavoro di squadra del Team Sakura-Itachi-Karin. La squadra più stramba che possa esistere, a meno che voi non siate me. (E questo è tutto dire)
Quindi niente, diciamo che Suigetsu - per una volta! - è stato sfottuto alla grande dalla cara Karin; Aoyama si fa un mistero sempre più fitto dato che Itachi non ne parla nemmeno sotto tortura; Sakura è piuttosto matura e affascinata da quello che la circonda. Volevo soffermarmi un attimo su questo perché comunque vivere una vita conoscendo quella appena vissuta dev'essere destabilizzante ma allo stesso affascinante.
Poi, potevo non riunire il Team 7? Certo che no! Quindi mi sembra giusto che il vecchio buon Kakashi faccia parte di questa storia.
Parlando di Naruto, è un poveraccio. Davvero. Quando ho scritto questa scena mi sono immedesimata abbastanza in lui e dev'essere terribile. (Sono un po' sadica, lo so, ma prima o poi anche questo qui dovrà pur ricordare, no?!)
In ogni caso gli squarci di ricordi si vedono sempre meglio, e so già come impostare il prossimo capitolo (che spero arrivi puntuale!).
Volevo precisare che in questo nono capitolo, ciò che succede a Naruto avviene prima rispetto all'uscita del nuovo trio-salviamo-il-culo-a-Sasuke. Difatti, l'incontro fra gli Otsutsuki e il biondo avviene all'ora di pranzo, mentre i nostri tre eroi escono la sera, a bar chiuso.
Il decimo capitolo credo che sarà più interessante. E non di passaggio. Insomma, avrete già capito cosa accadrà.
Bene, direi che ho vaneggiato come al solito, quindi posso anche andarmene.
Buon pranzo a tutti!
Un bacio,
Charlie;

[Perdonate gli eventuali errori]

P.S. Sarò l'unica, ma io i fratelli Otsutsuki li trovo uguali sul serio! Per distinguerli ho impiegato secoli.

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Capitolo 10
*** I pezzi rotti vanno ricomposti. ***


Sono in un ritardo assurdo, lo so.
Per chi non dovesse ricordare bene (riepilogo molto, molto breve):
Nello scorso capitolo Naruto racconta a Sakura la sua vicenda con i signor Otsutsuki, il suo incontro con Sasuke e le sue impressioni. Poi, leggendo la trama del libro di Jiraiya, si accorge e capisce molte più cose.

Capitolo decimo:
I pezzi rotti vanno ricomposti.
 
     Sentì le guance bruciare per colpa di quello che doveva essere uno schiaffo affettuoso, se solo i palmi della sua migliore amica non fossero appiccicate al suo viso con una forza tale da svegliarlo nel bel mezzo del suo sonno. Probabilmente uno dei risvegli peggiori. Dire che la incenerì con lo sguardo risulterebbe una sciocchezza. In compenso Sakura gli sorrise allegramente, facendolo alzare. Notò lo sguardo azzurro spostarsi dal suo viso. Naruto si coprì con le coperte come un bambino, cominciando a mugolare e lamentarsi dell’orario e del suo amato sonno perduto. «Credi siano le otto? Sono le undici, testone. È ora di portare il tuo didietro fuori di qui» lo canzonò lei, riuscendo a strapparlo dalle coperte e scompigliandogli i capelli. Naruto sbuffò rumorosamente, pensando all’ennesimo sogno e al mal di testa. Pensava davvero di aver bisogno di aiuto. Qualcuno che potesse ascoltarlo senza conoscerlo, che riuscisse a liberargli la mente da tutte quelle immagini scollegate. Voleva trovare un filo logico a tutto quello, eppure più sognava – o meglio, sembrava di ricordare – più pensava di essere un imbecille senza speranza con qualche accenno di schizofrenia. D’altronde le voci le sentiva. “Lei è innamorata di lui, Naruto.” Sbuffò ancora, levandosi completamente da dosso le coperte, per poi alzarsi stizzito e andare a lavarsi sotto lo sguardo preoccupato dell’amica.

      «Allora, mi vuoi raccontare cos’è successo ieri?» gli chiese, una volta trovato pronto. Naruto incespicò un poco, cominciando a parlargli del colloquio con i due signori Otsutsuki, anche se più che persone normali sembravano due idioti. Eccetto quello, a detta sua, brutto e cattivo. Non aveva niente di sbagliato – forse, si diceva – ma il suo sguardo lo metteva in soggezione. Sentiva come se gli trapassasse il corpo, l’anima, i pensieri. Come una grande radiografia. Ce lo vedeva, con i raggi X incorporati negli occhi. Rimase a bocca aperta, immaginandosi il tutto, mentre Sakura l’osservava con un sopracciglio inarcato. «E quindi? Cosa ti hanno proposto?» «Devo dipingere dei quadri, per il momento ho carta bianca. Mi faranno sapere loro sul nuovo professore» si grattò il naso con fare impacciato. Si sentiva strano a sapere di dover condividere totalmente la sua arte con qualcuno. Alla fine lui dipingeva per sé stesso, per trovare quel qualcosa che mancava nella sua vita, e avere una persona accanto sarebbe strano diverso.

      «Ho anche incontrato quel Sasuke, ieri. E mi ha dato dell’Usuratonkachi» mise le braccia conserte, pestando un piede a terra. Sakura a quelle parole s’illuminò. Quel demonio di ragazzo non aveva accennato ad un incontro con il biondo. Stronzo. Glielo avrebbe rinfacciato, non dopo essersi fatta dire da Karin la sua reazione all’uscita del nuovo trio d’oro, ovviamente. Sasuke sapeva essere il bello-dannato-e-sempre-impassibile, certamente, lo faceva sempre. Ma non quando si trattava di Itachi. Anche a Konoha perdeva le staffe a causa sua. Le venne da sorridere. Usuratonkachi, era così che lo chiamava tutte le volte. Guardò il viso di Naruto con un’espressione colma di malinconia. Le mancava, Konoha. Le mancava la sua vita al villaggio, il suo chakra, tutte le regole che doveva ribadire quando proprio lui non le ricordava – o meglio sapeva, dato che non le aveva mai studiate in vita sua. Le mancava il Team 7, soprattutto. Era difficile dover superare tutto. Si chiese come ci riuscisse Sasuke. E così candidamente, poi. Ma lui era fatto in quel modo. Lui sapeva sempre tutto, in questo non era cambiato.

         «Tu lo conosci, vero? Sasuke, intendo» lo sentì chiedere, stringendo appena le labbra. Sorrise apertamente, per poi scuotere la testa in un sì. «Lo conosci anche tu» rispose poi, senza pensare. Era giusto così. Avrebbe dovuto ricordare, prima o poi. Ignorò lo sguardo sorpreso del suo amico, per poi sorprendersi lei stessa quando lo vide abbassare la testa ed annuire a sua volta. «Già, lo so» portò il gomito sulla gamba, per poi appoggiare la testa nella sua mano, incurvandosi. Gongolò un poco, per poi tornare a sbuffare. In quei casi sembrava proprio un bambino: era incapace di fare altro. «L’ho sognato» sussurrò, guardando verso il basso. «Era un... contesto un po’ particolare» lo vide alzare la testa verso di lei, le gote rosse seguite dalle orecchie. Era già arrivato a quel tipo di sogni?! Anche Sakura sentì le guance scaldarsi. Va bene, era ovvio che quei due sarebbero stati insieme per davvero, ma parlare già di quello le sembrava prematuro. O forse no? Si conoscevano da sempre, quei due. Che Naruto avesse ricordato tutto? O stava fraintendendo? «Quale contesto, Naru?»

        Ora non sapeva proprio cosa fare. La guardava, guardava lei e i suoi occhi verdi che lo scrutavano con un lieve accenno di curiosità e proprio non riusciva a dire niente. Sentiva la lingua impastata fra i denti. Provò a respirare, ma niente. Sembrava andato. «Ehm, ecco» sussurrò, cercando di guardarsi attorno. Pregò tutti i Kami che Iruka potesse interromperli in quel momento, ma nessun rumore, nessun bussare alla porta, nessun vaso rotto. Niente di niente. La casa sembrava muta, morta. Riprese un po’ di fiato. Lo avrebbe detto tutto insieme, senza pensarci, così sarebbe finita prima. «Hosognatounbacioconluiascuola» strinse le labbra fino a farle sbiancare, sotto lo sguardo della sua migliore amica che da curioso passava a… divertito? Infatti la vide scoppiare a ridere, portandosi addirittura le mani allo stomaco. «Scusa, davvero!» riuscì a dire, dopo essersi asciugata le lacrime. «Hai sognato di baciarlo, a scuola? Che scuola?» «Era strano, mi sembrava di non conoscerla ma in fondo sì, la conoscevo. Era la mia scuola, no? E poi boh, non so, ero su un banco e lui era davanti a me, seduto, e sembrava rimpicciolito» si grattò la testa. «Però la pettinatura terribile c’era sempre!» gesticolò con le mani, formando un grande semicerchio per evidenziare la sua “disperazione”.

         «E qualcuno ti ha dato uno spintone, così siete finiti uno addosso all’altro» continuò Sakura, con gli occhi persi nel vuoto. Si ridestò subito dopo, arrossendo. «Ho indovinato?» Naruto rimase esterrefatto. Si bloccò di nuovo per qualche secondo, osservando le iridi sempre più verdi dell’amica. Dopo di che annuì, era successo proprio quello. Eppure non gli sembrava una cosa prevedibile, anzi. Pensava che avrebbe riso fino alla settimana dopo. Nel senso, chi è il cretino che sogna di baciare sbadatamente, su un banco di scuola per giunta, il cameriere di un bar? Continuò ad accarezzarsi i capelli sulla base del collo, in un moto di agitazione. Non sapeva proprio come prenderla. Era una situazione bizzarra, probabilmente troppo. «Sono stata brava, mh?» «Sakura» la interruppe, guardandola attentamente. C’era una vena terribilmente seria, a detta dell’amica, in quegli occhi azzurri. «Sakura, io… ti ho mai…» deglutì. «Ti ho mai amato, ?» La ragazza dai capelli rosa rimase interdetta, non sapendo cosa dire. Sorrise semplicemente, scompigliandogli i capelli ancora una volta. «Dicevi di avere una cotta per me» sussurrò, guardandosi le mani. «Siamo sempre stati insieme comunque, no?» «E tu? Tu provavi qualcosa per me?» la vide irrigidirsi a quella domanda. Dopo di che scosse la testa in senso di diniego. «Non c’è proprio un motivo, ma...» e Naruto capì.
       «C’è, il motivo»
       «Mh» annuì.
       «Forse»

«Provavo davvero qualcosa per te?» chiese, con fare indifferente. Si toccava le mani, era abbastanza imbarazzante come situazione, ma sapeva di dover fare quelle domande. Erano uscite dalla sua bocca spontaneamente. Era stato come se un fulmine gli fosse piombato addosso. «Mh, non credo, sai?» rispose lei, ancora incerta sul “” che lui intendeva. «Anche tu come tutti eri affascinato da, bé…» ma Naruto le fece segno con la mano di tacere. Si alzò con uno sguardo colmo di decisione, per poi dirigersi verso la porta e «Aspetta, devi uscire proprio adesso?» per poi aprire la porta di scatto e trovare dei capelli argentati, un viso scoperto ed un sorriso caloroso e al contempo inquietante. «Buongiorno, Naruto!»
 
 
     Aveva capito come impugnare la tazzina per non farla cadere mentre ci passava il panno sopra. Era riuscito a pulirne dieci senza romperne nemmeno una, ed era un traguardo. Ci stava attento, certo, ma quelle cose sembravano avere vita propria, delle volte. Vedeva Suigetsu osservare Karin e Itachi in modo torvo, specialmente quando parlottavano fra loro. Gli faceva quasi pena. Anzi, senza il quasi. Non avrebbe mai creduto che un cretino del genere potesse davvero innamorarsi di qualcuno. Scosse la testa, alla fine proprio tutti potevano prendersi delle sbandate. Tu compreso. Si morse la lingua, per poi continuare a strofinare con il sapone le stoviglie. In fondo non gli importava dove fossero andati Sakura, Itachi e Karin. L’unica cosa strana era la ragazza in rosa, e soprattutto la collaborazione con la talpa occhialuta. Se separatamente erano una palla al piede, insieme dovevano essere qualcosa di catastrofico. Si segnò di non averci niente a che fare. Guardò il suo Nii-san, era convinto che gli dicesse cosa stessero combinando, ma aveva tenuto il silenzio. Era impossibile che fosse un appuntamento, anche perché Itachi aveva la ragazza e soprattutto non sarebbe mai uscito con persone così. Dunque, in tutta quella storia doveva c’entrare Naruto. E se c’entrava Naruto, allora la cosa gli interessava.

     «Merda, ho bruciato i croissant» sibilò Suigetsu. «JUGO!» urlò subito dopo, facendolo sussultare. E anche incazzare. Parecchio. «CHE DIAMINE HA QUESTO AFFARE DI SBAGLIATO?» strillò ancora. Sembrava star mettendo tutta la sua frustrazione sul macchinario ma, no, a Sasuke non avrebbe fatto pena e no, non gliel’avrebbe fatta passare facilmente. Fatto sta che gli si avvicinò dandogli uno scappellotto, sotto le ovvie proteste dell’albino. «Che cazzo vuoi, tu?» «La vuoi piantare di gridare come una ragazzina isterica?» lo freddò con lo sguardo, e Suigetsu giurò di aver visto delle sfumature rosse in quegli occhi. Dopo di che lo vide alzare gli occhi al cielo. «Piantala di lagnarti, chiaro? Non è quello che pensi. Fai pena» detto questo tornò alle sue tazzine, lasciandolo sempre più frustrato e pieno di dubbi vorticanti per la testa.

      Però per Suigetsu non era finita lì, difatti prese il primo mestolo che trovò e si avvicinò nuovamente a Sasuke, ignorando i due clienti che entravano e sussurravano un impacciato «Buongiorno». Per prima cosa gli restituì lo scappellotto, nonostante seppe che dopo l’avrebbe ucciso a calci, ma non era importante. Al limite sarebbe scappato in Tanzania, dove quel cretino apatico – a detta sua – non l’avrebbe mai trovato. «Sarei io quello patetico, umh?» sussurrò con fare incazzoso, cercando sempre di mantenere il controllo della voce. Karin si avvicinò di soppiatto, prendendo le ordinazioni dei nuovi clienti ma tendendo l’orecchio con un sorriso furbo in volto. Sapeva già cosa stava per accadere. «Volete accomodarvi ai tavoli o preferite stare al bancone, signori?» pregò che se ne andassero, poiché prevedeva lanci di bicchieri, posate e anche piatti spaccati l’uno in testa all’altro. Le venne da ridere: i suoi ragazzi.

       L’unica cosa che fece Sasuke fu di alzare, per l’ennesima volta, gli occhi al cielo. Le provocazioni di Suigetsu non gli facevano né caldo né freddo, voleva solamente essere lasciato in pace. «Mio caro Uchiha da strapazzo, quello che fa pena e che sembra una ragazzina col ciclo perenne sei tu. Il fatto del ciclo credo te l’avessero già detto, perché non è difficile da notare. Comunque sia, fammi finire o giuro che prendo una pentola e te la sbatto sul naso» fermò l’occhiata di fuoco con una mano. «Quel disgraziato dell’Uzumaki starà diventando sempre più cretino a furia di aspettarti, e tu fai la dolce principessa che aspetta quando potresti cercarlo tranquillamente. Invece no, sei tu che ti fai inseguire, ma a quanto pare ti riesce magnificamente» finì con un ampio gesto delle braccia, lasciando Sasuke un po’ stordito e senza parole. Da quando Suigetsu tirava fuori i coglioni per fare un discorso del genere? Quello non era il cammello del suo Team. Doveva per forza esserci una spiegazione. «Sai cosa, Suigetsu?» si sentì Karin, che si fermò di poco accanto a loro. L’albino si preparò a qualche strigliata per via del cattivo comportamento con il caro, dolce, piccolo Sasuke. «Se non fosse che ci sono clienti e tutto il resto probabilmente adesso ti bacerei»
Adesso Sasuke era proprio privo di voce.
 
       «Quindi fino ad adesso questi sono stati i tuoi quadri, giusto?» quegli occhi neri l’osservavano in un modo strano. In un modo o nell’altro gli metteva una leggera inquietudine addosso. Annuì, deglutendo. Aveva un portamento strano, quell’uomo. Sorrideva sempre chiudendo gli occhi, e proprio in quel momento si era infilato una strana maschera addosso, per poi cominciare a colorare qualcosa su una tela bianca. Lo guardava bene, e più osservava quel volto coperto, più qualcosa dentro lui scattava. Decise di sopprimere il ricordo sul nascere. Aveva capito che c’era qualcosa sotto di cui non ricordava, ma l’emicrania l’avrebbe ucciso prima ancora di sapere. Muoveva la mano con destrezza, sapeva esattamente quello che stava facendo, ma rimase davanti alla tela, non riuscendo a vedere cosa fosse effettivamente il disegno. Aveva abbozzato qualcosa con il verde, il giallo, il blu ed il marrone. Una volta terminato si avvicinò, e notò varie sfumature di colore. Gli alberi, le foglie definite, il prato che si estendeva a piena vista, e poi tre pali di legno posizionati al centro uno accanto all’altro. Vide Sakura stringere forte le mani l’una con l’altra.

      «Era un posto in cui insegnavo prima, era abbastanza divertente» disse, continuando a sorridergli. «Il campo d’addestramento» sussurrò lui, scaturendo lo stupore della migliore amica. Naruto si sedette, frustrato. Sembrava che ogni emozione avesse deciso di abbandonare il suo corpo. Lo sguardo era fisso nel vuoto, così come la sua mente. Non aveva idea di cosa pensare. Perché? Perché non poteva ricordare come tutti gli altri? «Naruto, credo che prima dovremmo presentarci come si deve, prego» Quelle parole furono un’illuminazione. Sentiva le tempie pulsare, ma sapeva le risposte. «Io» si ritrovò gli occhi colmi di lacrime senza un vero motivo. «Io sono Naruto Uzumaki, amo il ramen istantaneo, soprattutto quello di Ichiraku che mi viene offerto spesso da Iruka-sensei, e» deglutì, tremando. Sakura si sedette accanto a lui con le lacrime agli occhi e gli prese le mani stringendole forti fra le sue. «L’unica cosa che odio sono i minuti da aspettare prima che cuocia» sorrise, ironico. «E il mio sogno è quello di superare qualcuno, per poter essere accettato. E questo qualcuno io so chi sia, ma non lo capisco a pieno» si massaggiò la testa, confuso ancora più di prima. Tutti sapevano tranne lui, era quella la verità.

        «Vorrei solo sapere cosa c’entra il barista» sbuffò. «Ascoltami bene, Naruto. Questa storia è meglio che te la spieghi io» «Sensei, no. Dev’essere lui a ricordare» Sakura lo bloccò, alzandosi in piedi. Era compito di Sasuke e di Naruto, di nessun’altro. «E sentiamo, come pensi di fare?» chiese poi, guardando il ragazzo biondo. Quello si scompigliò i capelli, si alzò di scatto e uscì di fretta. Si erano fatte le nove, e sperò con tutto il cuore di trovarlo. Doveva sapere cosa ci faceva lui in tutta quella storia. Era la sua vita, lui non ne faceva parte. E allora perché? Nonostante sentisse Sakura chiamarlo, Naruto accellerò il passo, deciso di andare a chiarire quella situazione una volta per tutte. Si sentiva un cretino con chissà quale problema psicologico. Tutto quello non era possibile. Si sentiva preso per il culo, anche. Si stavano prendendo gioco di lui, ne era quasi sicuro. Quell’Uchiha, poi, con quell’aria da strafottente e il suo Usuratonkachi del cazzo. Lo avrebbe volentieri preso a testate da lì all’Europa.

          Entrò nel bar di fretta e furia, notando il ragazzo sorridente che aveva servito lui e Sakura la prima volta. «Oh, ma guarda un po’ chi si vede» dopotutto aveva una parvenza simpatica. Non sembrava una cattiva persona, e pensava che avesse parecchio senso dell’umorismo. A differenza di Sasuke, che probabilmente aveva la simpatia di un cetriolo cotto. E i cetrioli cotti gli facevano davvero schifo. Si avvicinò al suo obiettivo, guardandolo fisso negli occhi. Non appena lo vide alzare un sopracciglio le mani gli diedero fastidio, come se lo invitassero a prenderlo a pugni. «Quando cazzo puoi prenderti una pausa?» chiese, con fare nervoso ma mantenendo sempre il tono fermo. «E a te cosa importa?» «Senti, Uchiha, non è questo il momento. Devo parlarti» lo vide alzare gli occhi al cielo e pregò le sue gambe di star ferme e non saltare sul bancone per poi andare a massacrarlo. «Non puoi andare da ogni sconosciuto che ti capita sotto tiro e dirgli di parlare con te, Usuratonkachi» Oh sì, voleva proprio ucciderlo. «Uno sconosciuto non chiama Usuratonkachi un altro sconosciuto. Ho detto che devo parlarti» ripeté, stringendo forti le dita. La mano destra doleva. «E ti pare che ora ci stiamo mandando i segnali di fumo?» chiese, scettico. A quel punto Naruto si sporse completamente sul bancone, lo afferrò nuovamente per il colletto – come la prima volta – e lo fece abbassare su di lui. Contava di essere più alto, ma probabilmente si sbagliava. Nonostante il bancone fregasse era convinto di essere almeno dei centimetri più basso, anche se ovviamente non troppi.

       «Quando. Cazzo. Hai. La. Pausa» scandì bene le parole, sussurrando. L’altro si liberò dalla presa con uno strattone, per poi indicargli l’uscita e andare fuori. Naruto sbuffò ad alta voce, scompigliandosi ancora i capelli. Sarebbe uscito di testa presto. 












Angolo autrice:
sono in un ritardo allucinante, vi chiedo scusa, davvero.
Contavo di poter pubblicare molto prima ma fra caldo, impegni vari, Ferragosto e tutto il resto mi sono trovata abbastanza incasinata e non ho avuto il tempo di scrivere niente.
Inoltre il capitolo è sottotono, ha delle incertezze e ci sono delle inconcordanze. Spero dal prossimo di poter rendere le cose più chiare, anche perché forse sto accellerando un po' troppo.
Non doveva essere una lunghissima storia, infondo. Credo si aggirerà intorno ai sedici/diciassette capitoli al massimo. Quindi diciamo che stiamo per entrare nella fase di conclusione.
Ripeto, probabilmente il fatto che Naruto stia ricordando così di botto è troppo accellerato, ma ci sono i motivi, e contando che a settembre comincerò la terza liceo dovrò buttarmi sullo studio in una maniera maniacale e probabilmente il tempo per scrivere sarà ancora meno, quindi cercherò di terminarla in modo dignitoso ma ahimé il prima possibile.
Spero che dal prossimo capitolo i toni si rialzeranno. Le calate ogni tanto, sfortunatamente, ci sono.
In questo scritto comunque vediamo Naruto ricordare fiumi di cose, Kakashi intraprendente che vuole cercare di far ricordare ogni cosa al caro sfigatello, ma niente, perché lui da bravo ragazzo qual é decide di andare a chiedere proprio al suo graaande amore, che lo sta aspettando.
Inoltre anche Suigetsu sta avendo i controcazzi e non so, penso sia giusto così.
Sono di frettissima, perdonate eventuali errori.
Scusate ancora il ritardo e se il capitolo è sottotono.
Un bacione,
Charlie;

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Capitolo 11
*** Ho cercato di immaginarmi senza te, ma non posso. ***


Capitolo undici:
Ho cercato di immaginarmi senza te, ma non posso.
 
     
        Nonostante facesse tanto caldo, il cielo era ricoperto di nuvole. L’umidità era alta, e la pelle risultava appiccicosa, cosa che lui proprio non sopportava. Sotto quel velo di pura riluttanza c’era uno spesso strato di nervi tutti intrecciati fra loro. Era impossibile stare completamente calmo anche per lui, Sasuke Uchiha. Aveva ancora la ramanzina di Suigetsu in gola, e trovarsi Naruto di fronte non era di certo una sua aspettativa. Inizialmente pensò di rimanere impassibile come un deficiente, ma poi si ricordò che con lui tutto era diverso, qualsiasi vita fosse. Perché Sasuke sarebbe sempre stato Sasuke, insieme a lui, e Naruto lo stesso. Guardava il suo viso contratto, le sopracciglia arcuate verso l’interno, gli occhi ristretti e le labbra strette in una morsa. Probabilmente era agitato, non sapeva cosa dire. Eppure vedendolo lì, impacciato, non poté fare a meno che sentire quell’affare fastidioso allo stomaco. Era arrivato da lui, di nuovo. Era stato lui ad arrivare, di nuovo. «Allora, cosa vuoi

They say we are what we are
But we don't have to be.
I'm bad behavior but I do it in the best way.
 
       Non aveva idea di dove cominciare, era andato tutto di fretta, l’aveva preso per il colletto e aveva fatto l’incazzoso come doveva. Il punto, ora, era continuare per quella via. Aveva così tanta confusione in testa che non riusciva più a distinguere il falso dal vero. E poi quel maestro che voleva spiegargli ogni cosa? Si era presentato in quel modo a casa sua e aveva stravolto la sua mente così, con uno schiocco di dita. Prese un forte respiro, cercando di calmare il battito cardiaco. Si sentiva un perfetto deficiente, e aveva bisogno delle sue risposte. «Voglio sapere chi sei» strinse forte i pugni, sempre più convinto. Lui doveva sapere. La sua testa pulsò, un po’ perché era consapevole di conoscerlo, un po’ perché sentiva che il loro rapporto era strano. Lo guardava, cercava di studiare quei lineamenti delicati che dovevano essere nuovi, ma che non lo erano affatto. Sembrava conoscere ogni angolo di quel corpo, lo immaginava, eppure non riusciva a spiegarsi il motivo. Cioè, lo sapeva, loro due si conoscevano, ma perché non ricordava niente?

     Lo guardò, sembrava sempre più confuso. Non poté non uscirgli un sorrisino quasi compiaciuto. Eppure lo vide illuminarsi. «Voglio che fai una presentazione, come, bé, col Sensei» a quel punto Sasuke sentì di avere un’espressione orribile in volto. Lui sapeva? Ricordava? E allora perché gli stava chiedendo tutto quello? «Cosa sai?» «Non si risponde ad una domanda con un’altra, Uchiha» Naruto incrociò le braccia, deciso sul da farsi. «Una presentazione, mh?» rilassò il viso, sospirando, e capendo il punto. Gli faceva uno strano effetto ripetere quelle parole, in quella vita nulle. Itachi era lì, con sé. Non lo aveva abbandonato, era cresciuto con lui, lo aveva protetto. Strinse forte i pugni. «Mi chiamo Sasuke Uchiha. Odio un sacco di cose e non me ne piace nessuna in particolare. Non voglio parlare dei miei sogni, ma» deglutì. «Ho un’ambizione» si guardò intorno. Sperò davvero che un fulmine colpisse Naruto in quel momento, che qualsiasi cosa lo facesse sparire pur di non continuare con quella sciocchezza. Eppure ne andava dei suoi ricordi, del suo riscatto, della sua vita. Non poteva e non doveva comportarsi in quel modo.

I am the sand in the bottom half of the hourglass.
   
    Sentiva la testa scoppiare fra le mani. Si accucciò in sé stesso, cercando di controllare il dolore. Non era possibile come situazione, doveva piantarla assolutamente. Ne sarebbe uscito pazzo davvero. Era così nervoso, e così frustrato, e voleva sapere. Non ne poteva più. Gli venne quasi da piangere, si rialzò di scatto e prese a dare calci a destra e a manca. Qual era la fottuta ambizione? Lui infondo lo sapeva, ne era sicuro. Guardava Sasuke e sentiva di conoscerlo quasi meglio di sé stesso. Ma allora per quale ragione quell’angoscia non gli dava pace? «Naruto» Sentì il tono di voce fermo chiamarlo, e il suo nome in quel momento gli sembrò quasi più bello del normale. Pensò al bacio a scuola, e si ritrovò paonazzo e spaventosamente rosso. «Cosa sai?» sentì chiedere di nuovo. Quella faccenda sul tempo, quella vita e non vita, proprio non riusciva a capirla. Il nindo, lo Sharingan, il campo d’addestramento, l’essere shinobi, il coprifronte. Tutto vorticava nella sua testa. Lui era in mezzo alla clessidra fra il suo tempo e quello precedente, e non sapeva proprio da che parte stare; come uscirne.

     «Sasuke, io non ce la faccio più, mi vuoi dire chi cazzo sei per me?» chiese, sedendosi alla bell’e meglio sul pavimento. Incrociò le gambe e guardò l’altro con tutta la disperazione mista alla confusione possibile. «Io ricordo vari pezzi di quella che doveva essere la mia vita passata. Ricordo del campo d’addestramento, dei tuoi occhi rossi, dello Sharingan, dei cosi strani in fronte, del bacio-» si fermò subito dopo, bloccato. Sgranò gli occhi all’inverosimile, notando una qualche reazione da parte dell’altro. Che non lo ricordasse? Oh, certo che lo ricordava, ma insomma, doveva imbarazzarlo almeno un po’, no? Era umano anche lui, sotto la facciata da cetriolo anonimo. «Il bacio?» Invece era lì, che sorrideva sghembo, le braccia strette al petto e la testa inclinata verso sinistra. Non poteva crederci. Restava inflessibile anche in quei casi. Gli faceva davvero saltare i nervi. «Quale bacio?» «Piantala, Teme» Sasuke si sedette al suo fianco, rivolgendogli uno sguardo che dava sul divertito. Come scordarlo. Era l’unica prova della promessa. E dire che a quel tempo lo detestava. Scosse la testa.

I try to picture me without you but I can’t.

    «Io non riesco a capire. Non capisco davvero. In ogni squarcio di ricordo vedo varie cose, tutte distinte l’una dall’altra. Cerco davvero di vedere il più possibile, ma poi c’è il buio, e la testa pulsa» si grattò la nuca, in un moto di agitazione. «Ogni volta che cerco di immaginarmi senza te, tu appari. Ci sei sempre. In un modo o nell’altro fai parte dei miei ricordi. So che hai significato qualcosa di importante, ma vorrei che mi aiutassi a capire» lo guardò, sprofondando lo sguardo nel suo. Quegli occhi erano così blu da far paura. A Sasuke era mancato quello contatto. Le iridi azzurre sempre in cerca delle sue, in attesa. E le sue erano lì, arrivavano, prima o poi. Ci sarebbero sempre state, indipendentemente dalla vita a cui facevano parte. Era lo stupido gioco del destino, quel legame indissolubile, quel circolo vizioso che era il loro amore. E nessuno dei due poteva fare qualcosa per impedire il contrario. Succedeva e basta. Era in loro: negli occhi, nelle occhiate fugaci, nelle labbra, nei loro sapori, nel loro sangue. Gli opposti che s’incontrano e poi si uniscono per fondersi finalmente insieme, quasi come fosse un piacevole peccato.
 
‘Cause we could be immortals, immortals
Just no for long, for long.
And live with me forever now,
You pull the blackout curtains down
Just no for long, for long.
 
    «Tu conosci le risposte, Usuratonkachi» si alzò, pulendosi il dietro dei pantaloni e guardandolo dall’alto al basso. I suoi lineamenti erano proprio cambiati, sembrava… grande. Gli venne da sorridere sinceramente, a vederlo così disperato. Era sempre stato un impulsivo che sragionava su qualsiasi cosa. Due pensieri in croce lo rendevano un vero poveraccio. «Vedi che se pensi troppo ti si fonde la piccola parte di cervello rimasta» lo prese in giro, dando un’occhiata al locale per vedere se gli altri avessero bisogno di una mano. La sua era una pausa, non una giornata libera. Dal canto suo, Naruto non era riuscito a cavarne piede. Si sentiva ancora più confuso di prima. Sasuke lo avrebbe aiutato sì o no? E come diavolo si permetteva di sfotterlo in un momento come quello? Non era chiaro quanto avesse bisogno di aiuto? Gli faceva venire così tanta voglia di picchiarlo. «Sì, diciamo che è quello lo spirito giusto. Hai il tipico sguardo combattivo» sembrava serio, eppure il tono cadeva sempre sull’ilare. Non riusciva proprio a capirlo, quel dannato cetriolo.

     Si alzò di scatto, in vena di chiedere spiegazioni, ma il dolore alla testa gli fece venire un capogiro che lo fece balzare sopra il petto dell’altro. Inutile dire che divenne viola. «Sei proprio un Usuratonkachi. Non mi dirai che ti sei spaventato, gattino indifeso?» le labbra erano schiuse ad un palmo dalle sue, e sentì il sangue affluire in ogni parte del suo corpo – ma proprio tutte. Si staccò di scatto, nonostante non stesse benissimo e rischiando di farsi venire un altro capogiro. «Me l’hai già detta una roba simile» «Mh, anche tu a me» ficcò le mani nelle tasche, continuando a guardarlo con quel tipico cipiglio superiore che lo mandava in bestia. «Ho sempre la voglia di prendere il tuo bel faccino e spaccarlo di botte. Ci picchiavamo spesso?» chiese, sinceramente curioso. «Ci siamo uccisi così, Naruto» rispose atono. L’altro tremò un poco, sembrava aver ricollegato dei pezzi importanti.

      E, sì, Naruto aveva capito eccome. Il sogno perenne, la sensazione strana allo stomaco perché contro di lui non voleva lottare in quel modo, quegli occhi rossi colmi d’ira e la voglia di uccidere. La promessa di morire insieme, di farlo di nuovo. Sembrò sul punto di avere un attacco di panico. Era avvenuto tutto così velocemente che non riusciva più a distinguere il vero dalla fantasia, di nuovo. «Hai ricordato qualcosa?» Sasuke sembrò scattare a sua volta, dopo quello sguardo perso nel vuoto. Pensò davvero che gli stesse arrivando un attacco di panico; l’angoscia e la sensazione terribile allo stomaco aumentarono. Non ce la faceva più nemmeno lui, in fondo. L’unica cosa che fece Naruto fu appoggiare la testa nell’incavo del suo collo, avvicinandosi a lui sempre più. Il moro deglutì, e sarebbe dovuto stare fermo immobile con quell’altro cretino spalmato addosso? Richiamò a sé tutto il suo controllo. «Non mi sento più il cervello» ridacchiò il biondo, strofinandogli il naso come quella che doveva essere una carezza. «Quello è andato da parecchio tempo, Dobe»

      «Ho collegato dei tasselli, ma ho bisogno di tempo per… realizzare il tutto. Devo ancora capire quanto rappresenti per me, non posso inventarmelo. Mi ricordo dell’ultima volta che abbiamo lottato, è stato orribile. Mi ricordo anche di una promessa, ma vagamente, è tutto un po’ incasinato» la voce risultò ovattata dalla maglietta di Sasuke. Sembrava essersi stancato tutto insieme, non doveva essere semplice avere spezzoni di ricordi. Il moro si sentì colpevole per l’ennesima volta, nel profondo. Si morse la lingua. In un modo o nell’altro era sempre Naruto a soffrire, a cercarlo, a fare di tutto pur di tenerlo con sé. Non era giusto nei suoi confronti. «D’ora in poi ci sentiremo più spesso. Quando avrai un dubbio fammelo sapere, io non giro attorno alle questioni. Se mi chiederai qualcosa della tua vita passata ti risponderò. Non sono come Sakura, ti avverto» si sistemò i capelli dopo una piccola folata di vento. Finalmente si poteva respirare, nonostante si sentisse ancora tutto appiccicoso. «Anch’io ho bisogno che tu riprenda a ricordare» sbuffò poi, ma giusto perché si sentiva un po’ in colpa. Cancellò la sensazione appagante che prese il posto di quella terrificante nel suo stomaco una volta che il Dobe gli sorrise teneramente, chiudendo gli occhi e allargando le labbra come solo lui sapeva fare.

       «Okay, allora ci si vede, Sas’ke» sorrise ancora, mentre tendeva un pugno verso di lui. «Cosa sei, un bambino di cinque anni? E non storpiare il mio nome» lo rimproverò, tuttavia battendo il pugno sul suo.

 
      Prese a pulire le tazzine al posto dell’Uchiha junior, consapevole del fatto che lui non le avrebbe più toccate. Era ancora frustrato per il fatto di Karin e l’Uchiha senior, ma quella racchia pazza gli aveva promesso un bacio e lo avrebbe avuto. Non era proprio una promessa, ma insomma, un qualcosa di simile. Inoltre, il fatto che Sasuke se ne sbattesse completamente di Naruto lo mandava ancora più in bestia. Naruto aveva sempre fatto di tutto per lui, da quel che Itachi gli aveva raccontato. Era stato a portarlo nella via giusta, a fargli proseguire il suo cammino, a proteggerlo al posto di un fratello. Naruto era la guardia di Sasuke, Sasuke l’esempio di Naruto. Entrambi si rispettavano a vicenda, e quel coglione patentato scappava. Assetato di vendetta, poi. Si schiaffeggiò la fronte con una mano, pensando a quanto il povero biondino avesse penato. Non avrebbe mai fatto una cosa del genere, e per nessuno. Non era nemmeno corso indietro a suo fratello, non ci pensava nemmeno. Aveva abbandonato lui e la sua famiglia per usare quella stupidissima spada. Non l’aveva aspettato, non era rimasto con lui. Si chiese dove fosse in quella vita. Se fosse vivo, da qualche parte in quel mondo un po’ bizzarro.

      «Puoi servire quei due tavoli, se non ti dispiace? Hai fatto un macello con l’affare, come lo chiami tu» Jugo gli sbuffò nelle orecchie, cosa che lo fece ancora più irritare. Non era mica colpa sua se quel coso non fungeva correttamente. S’imbronciò un poco, per poi prendere i vassoi e servire la famiglia fin troppo allargata e la coppietta al tavolo accanto. Aveva fatto indigestione di amore in quelle ore, ma doveva sempre risultare alla mano. Quel lavoro nonostante tutto non gli dava fastidio, anzi. Mettersi a confronto con la gente lo divertiva, soprattutto per tutti coloro che lo prendevano come psicologo. E poi fare due battute con le signore era sempre divertente. Era probabilmente il migliore della banda. Jugo c’era ma era come se non ci fosse. Karin era abbastanza afferrata come cameriera, ma fin troppo scorbutica e frettolosa. Sasuke, bé, non era un qualcosa da mettere in discussione.

      Parlando del diavolo, vide proprio lui ed il biondino tornare dentro. E quel caro biondo ragazzo si fermò a prendere qualcosa. Che cosa aveva Sasuke nel cervello, petrolio? Sbuffò mentalmente, segnandosi di farsi dire tutto dopo, proprio come una vecchia pettegola. «Ciao, emh, vorrei una birra» «Arriva» gli fece l’occhiolino, sperò di non essere preso per chissà quale depravato. Era dichiaratamente etero, lui. Si avviò al frigo per prendere l’ordinazione, quando notò quanto l’Uchiha – per una volta – fu più veloce di lui. Difatti il bicchiere sostava difronte a Naruto che, tranquillo, prese a sorseggiarne il contenuto. «Finalmente si lavora!» sbraitò, mettendo le mani sui fianchi. Sì, sembrava proprio una mamma pettegola. Gli mancava solo il grembiule bianco ricamato.
     «Oh, vai al diavolo, Suigetsu»
     «Non credo, bello mio. Non è finita qui!»










Angolo autrice:
udite, udite! Signori e signore, con mio immenso piacere vi annuncio che la quipresente Charlie non è in ritardo, bensì in anticipo di un giorno! Ventiquattr'ore, miei cari.
Bene, a prescindere dagli annunci cretini iniziali, direi eccoci qua.
Ce l'hanno fatta. Non è un sogno, ce l'hanno fatta. A questo punto direi che fatto il matrimonio, tanti auguri ai figli maschi.
No ok, adesso la smetto, giuro.

É un capitolo un po' diverso, stile "song-fic" nella prima parte. Ho usato la canzone Immortals dei Fall Out Boy, che vi consiglio di ascoltare perché è meravigliosa. (In realtà tutte le loro canzoni lo sono)
Spero sia stata una scelta azzeccata.
Comunque, hanno parlato e chiarito la situazione. Nonostante Sasuke sia proprio Sasuke, ho voluto renderlo più umano del solito. Non so se sfiori l'OOC o ci entri completamente, aspetterò un vostro giudizio a riguardo.
Solo, mi sembrava più che dovuto renderlo in questo modo. Alla fine Naruto è il ragazzo che ama, che vuole farsi, e in un modo o nell'altro dovrà riuscirci. Dai Sas'ke, siamo con te!
Oggi sono piuttosto fuori di testa, sarà che ho davvero mangiato troppo e il caldo mi sta ammazzando brutalmente.
In ogni caso i due pargoli stanno cercando di crearsi una via d'uscita. Ci riusciranno? Forse. Sarà facile? Assolutamente no. Ma d'altronde rendere la vita facile ai personaggi non è nel mio stile, mi dispiace.
E quindi sì, ho deciso di dilungarmi un pochino anche per affrontare le vite degli altri. I personaggi principali sono ovviamente Naruto e Sasuke, ma mi sembra giusto rendervi partecipi anche delle vite di Sui, Karin, e compagnia bella.
Difatti in questo modesto - è davvero piccolo, spero possiate perdonarmi - capitolo, s'intravede un piccolissimo squarcio di vita di Suigetsu.
Bene, fatemi smettere di scrivere.
Io ora vi lascio. Ringrazio tutti di cuore per esserci: chi segue, chi mette nei preferiti e nelle seguite, chi legge solamente e specialmente chi recensisce.
Tanto amore per tuutti voi.
Perdonate eventuali errori, al solito.
Un bacione,
Charlie;

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Capitolo 12
*** Attesa e redenzione. ***


Capitolo dodici:
Attesa e redenzione.
 
      Il suo risveglio fu strano. Sentiva il capo pulsare, in preda ad un fortissimo mal di testa. Aveva passato gran parte della notte a girarsi convulsivamente nel letto, in cerca di un briciolo di sonno. Morfeo aveva deciso di rifiutarlo per tutto il tempo, probabilmente non gradendo la sua compagnia. Strinse i denti, notando quanto la luce solare fosse fastidiosa al mattino. Si sarebbe lamentato con qualcuno del suo pessimo umore, pensò, scusandosi di già mentalmente con il malcapitato. Alzò il busto, sfregandosi gli occhi in modo tale da abituarli alla luce, mentre sbadigliava sonoramente. Sentì sulla pelle una sensazione strana, mentre un brivido gli passò la schiena. Più o meno conosceva quella forma di agitazione, ma era impossibile che fosse reale. L’aveva solo nei sogni mentre combatteva Sasuke – e a quel pensiero divenne sempre più scettico, ancora incredulo nelle nuove scoperte – eppure quella notte non aveva sognato un bel niente. Sbuffò, gli occhi ancora chiusi. Avrebbe preferito sognare altre mille volte quella maledetta battaglia piuttosto che patire l’insonnia. Una volta sollevate le palpebre, però, capì il sentimento che oscuro era celato dentro sé. Sentì la pelle accapponarsi e cacciò un urlo disperato, cadendo quasi dal letto.

        Ad attenderlo sveglio erano un paio d’occhi tutt’altro che assonnati o tranquilli, di un nero piombo che faceva maledettamente paura, soprattutto se circondati da quello sguardo truce. Era troppo presto per essere morto – probabilmente per chissà quale volta – eppure quello sguardo che lo scrutava in modo critico lo faceva sentire all’inferno. Anzi, deglutì, Satana a suo parere sarebbe sembrato un cucciolo, in confronto. Pensò anche che quell’uomo avesse qualcosa contro di lui, poiché se avesse potuto polverizzarlo con un solo sguardo, bè, ci sarebbe riuscito eccome. Il signor Otsutsuki l’osservava perentorio, mentre batteva l’indice su una coscia con fare nervoso. «Buongiorno, signor Uzumaki. La stiamo aspettando da circa due ore e mezzo, è mezzogiorno. Ma, sa, siamo persone buone, l’abbiamo aspettata» Naruto giurò di non aver mai sentito una minaccia così ben esplicita in parole che dovrebbero essere sembrate di pura gentilezza o quasi affetto. Nemmeno Sakura era così terrificante, quando gli urlava contro di essere un emerito cretino e sparpagliava pugni un po’ ovunque invocando il suo «Shannaaroo!».

        Oltre ad Indra che composto su una sedia davanti a lui sostava, Ashura camminava avanti e indietro nella stanza, guardandolo di sottecchi per non mettergli soggezione. Idea assolutamente violata dal fratello, che aveva pensato bene di farlo sentire una merda da subito. Ma si sapeva, Indra odiava aspettare e quel ragazzaccio lo stava facendo attendere fin troppo. «Buongiorno Naruto. Siamo venuti qui senza un avviso, ti siamo effettivamente piombati in casa, ci dispiace per questo-» «Oh, certo, sto proprio per piangere» sbuffò l’altro, incrociando le braccia al petto, mettendo Ashura in difficoltà e facendo sentire Naruto ancora più inutile, tanto che incassò la testa nel collo, come a volersi nascondere. Ashura tossicchiò. «Emh, sì, dicevo, ti abbiamo portato qualche idea per i dipinti. Pensavamo avessi bisogno di qualche spunto. Abbiamo preso qualcosa dal libro che scrisse tua madre, la cara Kushina. Era una gran donna, sai?» Naruto sussultò. No, non lo sapeva. Non conosceva nulla di sua madre, non ne ricordava l’odore od il dolce sorriso se non grazie alle foto. Avevano vissuto per anni insieme, l’aveva cresciuto e dato tutto il suo amore, ma non riusciva a ricordarselo. I compleanni, le prime parole, i primi passi, il grembo materno che avrebbe dovuto cullarlo nel momento del bisogno. Non c’era niente di tutto questo nella sua mente.

         «E insomma, ci chiedevamo se avessi mai letto qualche sua opera, in modo tale da renderti il lavoro facile» il più piccolo degli Otsutsuki incespicò un poco, notando lo sguardo assente del biondo che, ancora semisdraiato nel letto, aveva gli occhi persi nel vuoto in un cipiglio stanco e malinconico. «Non mi sono mai interessato, in verità, ma potrei iniziare» borbottò in risposta. «Inoltre, Naruto, sia noi due che il tuo sensei Kakashi abbiamo deciso che è meglio per te se continui la scuola. Potresti dare più anni in uno in modo tale da avere il prima possibile una certificazione che non sia un semplice diploma. In questo modo aumenterebbero di gran lunga le tue possibilità, che già al momento non sono poche» proseguì Indra alzandosi in piedi. Il ragazzo strinse forte le mani tra loro, provando un senso di fastidio alla mano destra e alla bocca dello stomaco. «Se non volessi prendere in considerazione l’idea?» bisbigliò. «Te ne pentiresti in futuro, quando sarà troppo tardi» concluse il maggiore, con tono perentorio di chi non ammetteva repliche.

        «Per quanto riguarda la mostra non preoccuparti, andrà bene. L’unica cosa che ci serve è un’orchestra. Stiamo cercando vari musicisti, non per forza dei professionisti ma anche dei giovani ragazzi come te che vorrebbero farsi notare» concluse Ashura. «Tu ne conosci qualcuno?» chiese. «Vi farò sapere» sospirò Naruto, passandosi una mano fra i capelli sempre più frustrato. Se prima il mal di testa era fortissimo, adesso la sentiva spaccata in più parti. Gli sembrò quasi di vedere il suo cervello misto a sangue colare dalle orecchie copiosamente. Avrebbe tanto voluto rompersi il cranio da qualche parte in modo tale da non provare più alcuna sofferenza. Si chiese per quale motivo dovesse capitare tutto a lui. Nuove vite, persone che lo uccidevano solamente con lo sguardo, baristi a forma di cetriolo cotto con la pettinatura più bizzarra del mondo e amiche dai capelli rosa che entravano di soppiatto e chiamandolo a gran voce.

         Sakura si fermò un secondo, per poi scusarsi più volte di fila con i signori Otsutsuki. Dopo il terzo inchino e le guance completamente rosse, Ashura le sorrise cordialmente sussurrandole di stare tranquilla, mentre Indra uscì dalla stanza e dall’abitazione stessa senza nemmeno un cenno di saluto. Non che Naruto si aspettasse chissà quale riverenza. Salutò un po’ impacciato Ashura, per poi buttarsi di nuovo nel letto e coprirsi il viso con il cuscino. Voleva sparire. «Che figura» Sakura si sedette vicino a lui, togliendogli il cuscino dalla faccia. «Mi devi raccontare cos’è successo con Sasuke. Suigetsu mi ha detto che c’era di divertirsi» sorrise, vedendolo arrossire. «Abbiamo solo parlato» sussurrò, cominciando a raccontare.
 

 
           «Non credere di scamparla, Uchiha del cazzo» Pensava di averla scampata. Quella mattina era entrato dalla porta del retro già vestito, in modo tale da non dover fare casino con gli armadietti dello sgabuzzino dove venivano stirati e tenuti pronti i vari grembiuli della divisa. Aveva aspettato lì dentro l’orario di apertura, in preda ad una noia imparagonabile ad altre, in modo tale da poter stare da solo. Aveva tenuto le orecchie ben aperte per essere pronto una volta che lui sarebbe arrivato. Perché se la sera prima aveva continuato il suo lavoro per poi darsela a gambe evitando interrogatori vari, quella mattina proprio non c’era riuscito. Non appena aveva messo piede fuori dalla porta per arrivare al salone e cominciare ad apparecchiare, Suigetsu l’aveva preso per il colletto e l’aveva trascinato al bancone, sotto lo sguardo intenerito di Karin. Jugo, intanto, faceva il suo lavoro come sempre. E sotto un certo verso Sasuke non poteva fare altro se non invidiarlo. Suigetsu delle volte sapeva essere la più pettegola delle galline. Perché sì, si meritava quel nome, a detta sua.

        Si girò per liberarsi e magari mandare al diavolo quell’idiota, ma tutto quello che ricevette fu una mestolata nel naso che gli fece male e non poco. «Questo è per ieri, razza di imbecille» Una pazza isterica, pettegola e anche manesca. Si ritrovò a chiedersi, con il naso che pulsava maledettamente, se Suigetsu avesse davvero i coglioni. Era davvero l’essere più stupido al mondo. Eppure riusciva a sopportarlo. In un certo senso aveva bisogno di quella poca intelligenza nella sua vita. Lui, che era così pieno di pensieri intelligenti, doveva per forza avere come pecca un amico cretino quanto il mestolo che gli era arrivato in piena faccia. «Per ieri perché non mi hai detto niente, e soprattutto perché hai continuato a fare lo sbruffone con il tuo ragazzo nonostante io ti avessi fatto un cazziatone bello e buono» sputò veleno, l’albino, con gli occhi che s’imporporavano di un sottile strato di rabbia. E da lì Sasuke pensò che fosse anche parecchio frustrato. Karin non lo aveva ancora nemmeno sfiorato dopo la pazzesca promessa. Fece un risolino ironico.

             «Vedrai che prima o poi te la darà» detto questo si incamminò verso Jugo, per aiutarlo. Peccato che uno sbuffo pericoloso lo fece tornare indietro. E di sua spontanea volontà, addirittura. Suigetsu si stava incazzando, e anche parecchio. Non che avesse paura di lui, assolutamente. Ma sapeva essere davvero convincente, una volta persa la ragione-causa-nervosismo. Quindi avrebbe ricevuto un altro signor discorso, rimanendo senza parole. Sbuffò rumorosamente, avvicinandosi. «Che vuoi» suonò più come un comando che come una domanda. «Solamente che mi racconti cos’è successo» «Come se non lo sapessi già» borbottò, alzando gli occhi al cielo. D’un tratto si aprì la porta, rivelando la figura di Madara Uchiha in tutto il suo essere perennemente incazzato con il mondo. «È arrivato lo zietto» gli diede una gomitata Suigetsu, facendogli scappare un sorriso sghembo. Cosa diamine ci faceva lui al locale? «Senti, tu. Non ho intenzione di perdere tempo quindi mi starai a sentire. Ho parlato con tuo fratello e per quanto gli abbia detto di iscriverti e basta mi ha chiesto di venire da te e farti presente che tu, a partire da domani pomeriggio, frequenterai un corso serale di musica. Ci sarebbe un’iscrizione per una scuola, ma a quanto pare la rigetti come fosse me in persona» sbuffò alla battuta priva di gusto. «Sta di fatto che avrai un insegnante che conosci abbastanza bene» Sasuke assottigliò le palpebre. «Non lui» bisbigliò.

         «E invece sì, Sasuke. Lui» continuò Madara, senza badarci troppo. «Parteciperai per il tuo bene e per quello di tuo fratello. Intesi?» Sasuke era confuso. Si guardò intorno, cercando di nascondere il fastidio al braccio sinistro e il pulsare alla testa. Perché gli faceva così tanto male? Il dolore partiva dal gomito fino alla mano, lo sentiva quasi bruciare. Non voleva veder quella feccia, l’aveva portato sulla via distorta, perversa. L’aveva reso ciò per cui in quel momento, in quella vita, doveva rimediare. Strinse forte i denti. «Non ci penserò due volte a strozzarlo con queste mani, Uchiha» sibilò, aumentando la stretta. Non riusciva a capire nemmeno cosa potesse c’entrare Itachi in tutto quello. Era la sua vita, erano le sue colpe. Sopportare il fatto che lui fosse presente e sempre pronto ad aiutarlo era già tanto come redenzione. Era stato lui ad ucciderlo. Certo, sotto il suo volere, ma era stato comunque per mano sua. Aveva tolto la vita a suo fratello. Sbatté forti le mani sul bancone, in un moto di cieca rabbia. Tentò di calmarsi subito dopo. Pensare a quella perdita lo faceva sragionare.

           «Calmati, coglione. Distruggere il locale non ti porterà a nulla» gli bisbigliò Suigetsu, una volta che anche lui era riuscito a riacquistare tutto il suo autocontrollo. «Sasuke, vorrei anche che tu prendessi la patente. Con il corso non dovresti contare sempre sulle spalle di Itachi» continuò Madara. Il ragazzo si morse la lingua a sangue. Sembrava quasi che volesse allontanarlo dal fratello il più possibile. Ma perché? Che fosse stato proprio Itachi a volerlo? No, ne avrebbe sicuramente parlato prima con lui. Probabilmente era per via della sua nuova ragazza, ma forse gliel’avrebbe presentata. Si corresse subito dopo. Non l’avrebbe mai fatto, com’era giusto. Nei suoi panni anche lui si sarebbe comportato allo stesso modo. Sospirò di nuovo. Una patente. In Giappone non era per niente cosa facile potersi prendere una patente. Poggiò i gomiti sul bancone, pensandoci, mentre sentiva Suigetsu cercare di trattenere in malo modo una risata, tanto che poi scoppiò a ridere tutto in una volta. Lo incenerì con lo sguardo, pronto ad una schifosissima battuta. «Vuo-vuole davvero fargli prendere la patente?» chiese, fra una risata e l’altra. «No ma dico, l’ha visto?» gli prese le guance fra le dita, dandogli un’espressione buffissima e da immortalare, tanto che Karin da lontano fece immediatamente una fotografia. «Lui anche alla guida di un triciclo diventerebbe un pericolo pubblico. Lo guardi bene. Un piccolo Sasuke Uchiha con i capelli a culo d’anatra che minaccia gli altri bambini perché hanno invaso il suo spazio, che va dai diciannove ai venti metri di distanza dal suo corpo» per poi mollargli il viso e scoppiare a ridere nuovamente.

          «Vuoi morire» sibilò, guardandolo minacciosamente. Tanto che l’altro, una mano spiaccicata fra le labbra per non ridere troppo sguaiatamente, se ne andò verso i tavoli. Sasuke non seppe mai che Karin, di soppiatto, aveva inviato la sua foto a Sakura, la quale aveva apprezzato particolarmente. «Sui» si avvicinò al ragazzo, passandogli una tovaglia in modo tale da farsi aiutare ad apparecchiare. «Ti va di accompagnarmi da mio fratello, oggi?» chiese. Era agitata, non lo aveva mai conosciuto davvero, se non solo per sentito nominare. E nemmeno in quella vita ricordava molto di lui, se non spezzoni di vita. Non sapeva nemmeno se ricordava il mondo dei ninja o solamente quello di Tokyo. Aveva bisogno di qualcuno che le facesse compagnia. «Mh, d’accordo» fece finta di niente lui, mentre una particolare contrazione dello stomaco lo fece sentire particolarmente felice.

   «Ci penserò» sbottò Sasuke, quasi a mandarlo via. Aveva troppe cose a cui pensare, quella notte non era riuscito a chiedere occhio e si sentiva incredibilmente stanco. Gli mancava la sua vita da ninja, e non poco. Ma per stare in balia dell’odio, era meglio avere riprendersi ciò che era suo.
     Naruto.






Angolo autrice:
la scuola è iniziata, con mio immenso dispiacere.
Sfortunatamente non ho più tempo per scrivere velocemente, per cui credo che aggiornerò per lo più il sabato e soprattutto quando potrò. Mi dispiace, cercherò in ogni caso di non rendere inconclusa questa storia perché è un progetto a cui sono molto affezionata e che voglio assolutamente portare a termine.
Capitolo più o meno di passaggio, dove i due cari devono cominciare a pensare alla propria carriera. E poi bè, la dichiarazione di Sasuke ci stava. Tanto ormai più ooc di così si muore.
Mi dispiace scrivere così poco ma sto davvero poco bene, quindi è il caso che vada.
Risponderò alle recensioni il prima possibile, promesso.
Un bacione, grazie mille a tutti coloro che supportano e soprattutto sopportano sia me che la storia.
Charlie;

P.s. Scusate eventuali errori.

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Capitolo 13
*** I ricordi non muoiono mai. ***


Com'è che si diceva? Ah, sì: chi non muore si rivede.
Ebbene, dopo questi luunghissimi mesi di pausa, rieccomi qui, a scrivere di questi due.
Questa storia era un progetto troppo importante per essere messo da parte, stipato dentro una cartella di un computer. Per me era doveroso terminarla, e spero di riuscirci.
Ordunque, facciamo un po' il punto della situazione per coloro che, giustamente, attendevano il seguito di questa storia:
Naruto e Sasuke sono stati praticamente obbligati (il primo da Indra e Ashura, il secondo da Hashirama e Madara) ad avere un insegnante privato. Naruto avrà l'occasione di portare i suoi quadri ad una prestigiosa mostra dell'università di Tokyo. Naruto sta cercando di ricordare sempre di più, e lo farà soprattutto grazie all'arrivo di qualcuno in particolare.
Bando alle ciance, ecco a voi il tredicesimo capitolo:





 
Capitolo tredici.
I ricordi non muoiono mai.
 
         «Io non capisco a cosa mi possa servire la matematica se il mio lavoro è dipingere, disegnare, creare! La mia competenza sono le cose astratte, la fantasia, non dei numeri. Kakashi-sensei, non possiamo lasciare questa parte della lezione?» piagnucolò Naruto, incapace di continuare avanti con l’equazione. Non le sopportava, specie i sistemi. Se pensava che il suo insegnante voleva anche accennargli la trigonometria, s’immaginava di spararsi in testa. Avrebbe preferito di gran lunga girare nudo per Tokyo con meno quaranta gradi, che continuare con quella logica e addizioni e numeri che si spostano da una parte all’altra. Di matematica non ci capiva niente e non c’era nulla da fare. «Mi hai fatto lo stesso discorso per letteratura, Naruto. Stiamo passando da materia a materia e ti stai rifiutando di studiare continuamente. Non farmi usare le maniere forti, per favore» sbuffò il professore, alzandosi dalla sedia e guardandolo minaccioso.

        Il biondo batté la testa sul tavolo, dimenandosi poi come un bambino piccolo. Si rifiutava categoricamente di studiare: lui voleva solamente dipingere. «La mostra sarà tra una settimana, io ho un sacco di idee e quadri inconclusi. Tutto questo schifo porta via il mio tempo pre-zio-so!» rialzò il capo, guardandolo fisso negli occhi. D’un tratto un colpo alla nuca lo fece gemere dal dolore lancinante. Sakura Haruno, in tutta la sua compostezza e al contempo ferocia, si era seduta al suo fianco e con parole gentili lo invitava a studiare. «Razza di imbecille, lo capisci che è solo per il tuo bene? Come pensi di poter affrontare il mondo, in caso diventassi famoso, se poi non sai nemmeno risolvere una stupida equazione come questa? Vent’anni suonati e ancora non sai risolvere un’equazione simile?» sbuffò, prendendo in mano la sua penna e cercando di risolvere il problema matematico.

        Naruto si stava innervosendo. Non solo aveva quei due fratelli-pazzi-suonati alle calcagna che gli ricordavano ogni maledetto giorno la data della mostra, la testa che si spaccava a metà dal dolore per i ricordi improvvisi e il desiderio di vedere quella faccia di bronzo dell’Uchiha per avere sempre più risposte, no, in più doveva anche fare quei dannatissimi compiti. Sentiva i capelli andare in fiamme. Non ne poteva più. Riguardò la serie di più e di meno sul foglio, sospirando e pregando che qualunque cosa avrebbe potuto cambiare quella situazione. E probabilmente la sua buona stella lo aveva ascoltato, poiché immediatamente dopo il telefono di Kakashi suonò, facendolo sobbalzare per un istante. «Pronto?» sbuffò l’insegnante, evidentemente contrariato da quell’intromissione. «Oh, non pensavo fossi tornato in città. Com’è andato il viaggio?» chiese, il volto più rilassato. Spostò uno sguardo da Sakura a Naruto, che lo guardò accigliato. «Allo zoo, mh? Bene, arriviamo» chiuse la chiamata, per poi guardare l’ex salvatore della Foglia attentamente. «Per oggi te la scampi. Andiamo, è il momento di far tornare in vita qualche tuo ricordo»
 
 
          Stava disponendo i tavoli, le tovaglie e i tovaglioli in modo tale che, una volta aperto il locale, tutto potesse essere pronto. Decideva quali colori usare, come sistemare le posate e i bicchieri, se aggiungere il vasetto di fiori al centro del tavolo o sistemarlo leggermente a sinistra. S’immaginò sua madre intenta in quelle faccende e sorrise senza nemmeno accorgersene. Era inaspettatamente perfetta per quel lavoro. Se l’immaginava con quel gentile sorriso sulle labbra, seguito dal tono pacato. Sentì, chiudendo gli occhi, il delicato «Benvenuti» seguito da un inchino: i capelli che si spostavano verso il basso, i denti bianchi e gli occhi stirati in un’espressione cortese e felice. In quella vita era certo avesse amato il suo lavoro, magari accompagnata da uno sbuffo qua e là di suo marito. Pensando a loro gli venne una morsa al cuore. Cercò di usare sia i ricordi del Sasuke di Konoha e sia di quello della sua attuale vita. Faceva male rivivere le carezze, i «Forza Sasu-chan, cammina verso la mamma! Bravissimo, così!», la sua risata, le sua braccia che lo accarezzavano in una maniera che solamente lei poteva avere. Si ritrovò con le lacrime agli occhi e i denti stretti. Faceva male, ma rivivere il ricordo di sua madre era forse una delle poche cose belle che la vita – indipendentemente da quale fosse – gli aveva donato.

          Sentì un bussare alla porta d’ingresso, seguito da un tossicchiare incerto. Fece in modo di non farsi vedere con una smorfia infelice nel volto, per cui si ricompose, voltandosi verso l’ospite. Era strano, il cartello fuori diceva che il bar era chiuso. «E-Emh, scusami, sto cercando Itachi-kun. Oh, tu devi essere il suo fratellino, Sasuke, giusto? Quanto vi somigliate!» si portò le mani alla bocca, nascondendo quello che doveva essere un bellissimo sorriso. Sembrava emozionata di vederlo lì e, probabilmente a causa delle emozioni appena provate e accantonate in un angolo del suo cervello, si sentì in soggezione. «Itachi arriverà tra poco» le rispose, probabilmente un po’ troppo sgarbato, poiché la vide sgranare gli occhi. «Però se vuoi puoi accomodarti. Desideri qualcosa?» rimediò, cercando di cancellare per quanto possibile l’espressione menefreghista dalla faccia. Gli riusciva molto bene, essere apatico, e gli serviva parecchio, in quanto in quel momento aveva la testa scombussolata. Aveva capito immediatamente chi fosse quella donna e incontrarla senza preavviso lo aveva in qualche modo scioccato.

        «Oh no grazie, anzi scusami se ti ho disturbato, penso che lo aspetterò fuori» sorrise evidentemente dispiaciuta, per poi aprire la porta e chiudersela alle spalle. Era praticamente scappata via. La vide sedersi nel gradino davanti alla porta dello Sharingan, per poi darsi del cretino da solo. Era la ragazza di suo fratello e l’aveva trattata come uno zerbino usato. Non voleva fare conversazione, anzi, fu grato alla ragazza di essere uscita senza dire quasi una parola, ma sapeva quanto avrebbe dato dispiacere ad Itachi. E lui doveva riscattarsi, giusto? Prese un respiro profondo, per poi mordersi la lingua. Lui non rincorreva nessuno, però. Ed era difficile avere una parte di cervello contro l’altra, ma quando aprì la porta e la vide sobbalzare per lo spavento quasi ghignò, resettando la porzione di mente che gli comandava di chiuderla fuori e lasciarla perdere. «Aoyama, giusto? Entra dai» «Oh-ma-ma figurati! Non volevo disturbarti, veramente» si scusò ancora lei, facendo un piccolo inchino. Dopo averla costretta ad entrare si prese due secondi per guardarla meglio e, a vederla, constatò che era proprio quel tipo di ragazza che, a Konoha, poteva essere una tipica Uchiha. Ad eccezione degli occhi.

        Aoyama aveva i capelli nero carbone tagliati sino alle spalle, era piccola e con le forme al proprio posto, le fossette nelle guance e gli occhi più azzurri che avesse mai visto. Quasi si diede un colpo da solo quando pensò agli occhi di qualcun altro, definendoli come migliori. Seduta sul gradino sembrava ancora più piccola e pensò che, probabilmente, Itachi era perfetto per una come lei. Non sapeva se fosse una sua stagista o una ragazza che seguiva come insegnante, ma la immaginò presa a braccetto con Itachi, seduti sul bancone del locale, mentre facevano battute e scherzavano con gli altri camerieri del Team Taka. Sembrava il classico quadro perfetto.

       Dopo una buona mezz’ora, Itachi Uchiha entrò con il fiatone dalla porta d’ingresso, rimanendo evidentemente sorpreso nel vedere la sua ragazza aiutare suo fratello con la disposizione dei tavoli. «Secondo me il centrotavola va benissimo al centro. Poi per il bancone potresti mettere questi due vasetti ai lati» si girò per indicare il bancone, vedendo così Itachi osservarli sorridente. Arrossì, sorridendogli a sua volta. «Ciao, Itachi-kun» «Ciao» sussurrò. Sasuke si sarebbe sotterrato: il tutto stava diventando troppo melenso per i suoi gusti. «L’ho torturata, adesso che sei arrivato a salvarla potete andare. Fate schifo» sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Era stato scortese come suo solito, ma a discapito di questo sentì Aoyama ridere di gusto. Quella volta non si coprì la bocca e vide che, nonostante la dentatura imperfetta, il suo sorriso era caloroso e spontaneo. «Sasuke, lei è-» «Aoyama Hiraki, la tua ragazza che lavora insieme a te perché sta per prendersi la laurea e tu l’aiuti con lo studio. Lo so, ne abbiamo parlato mentre non c’eri, adesso levatevi dalle palle: devo aprire il negozio» gli fece segno con la mano di andarsene. Rimase di sasso quando sentì le labbra della ragazza poggiarsi sulla sua guancia. «Grazie per la compagnia, Sas’ke-kun. Posso chiamarti così?» dopo di che uscirono, sempre con quel sorriso felice sulle labbra.

        Non fece in tempo a sospirare frustrato che, quando girò il cartellino con scritto “Aperto”, Suigetsu entrò di soppiatto dalla porta del retro e, avvicinandosi quatto quatto, urlò: «SASUKE!». Quello saltò sul posto, sbattendo la fronte contro la vetrata della porta a causa di uno spasmo della mano poggiata sul pomello. Dopo aver preso un respiro bello forte, si girò verso il cretino con uno sguardo talmente inceneritore che Suigetsu era sicuro: gli erano tornati i poteri. «Ma tu così ci sei proprio nato, allora!» gli inveì contro, prendendolo per il colletto. Suigetsu non poté fare a meno di notare la fronte arrossata, per cui scoppiò in una fragorosa risata, indicandolo e prendendolo in giro in modo sempre più evidente. A Sasuke prudevano le mani. «E ringrazia che non ti ha visto nessuno! Non vedo l’ora di avere la confidenza con Naruto per raccontargli tutte le tue più graziose figure» si liberò dalla sua stretta, il cretino, per poi andare a cambiarsi. «Tu starai ben lontano dal Dobe, emerito idiota. È scemo abbastanza di suo, non ha bisogno anche della tua eccessiva intelligenza da pesce morto»

 
      «Come mai stiamo andando allo zoo? Non ci siamo stati da poco?» chiese Naruto, impiastricciandosi un occhio come un bambino. «Non fare domande, non ne hai bisogno. Appena vedrai speriamo che il tuo cervello capisca da solo» gli rispose Kakashi, continuando a camminare con noncuranza difronte a lui. Guardò Sakura in cerca di un aiuto, ma lei evitò in tutti i modi il suo sguardo. Era un qualcosa che solamente lui avrebbe potuto ricordare. Il suo unico compito era quello di accompagnarlo, di non farlo sentire solo in quello squarcio di vita che non gli apparteneva. L’ex ninja di Konoha ancora non sapeva riunire tutti i tasselli, ma vedendo chi lo aspettava probabilmente ci sarebbe riuscito nel minor tempo possibile. O almeno, questo era quello che tutti speravano. «Ci aspettano davanti alla gabbia di Kurama. Hanno portato via tutte le altre volpi apposta» li informò il sensei, cercando i diretti interessati. Dopo un po’ questi si fecero vedere.

        Naruto riconobbe il ragazzo con i capelli rossi che gli aveva permesso di avvicinarsi a Kurama, mentre l’animale si leccava una zampa noncurante di ciò che gli accadesse intorno. Non appena si avvicinò, però, gli sembrò quasi che avesse cominciato a scodinzolare. Fece un cenno con la testa al ragazzo, per poi vedere avvicinarsi a lui due ragazze un altro ragazzo. La prima aveva i capelli lunghi lasciati mossi sulle spalle, un sorriso tenero e l’aria imbarazzata. La seconda, i capelli lunghi e biondi raccolti in due codini, teneva per mano il ragazzo con la nera coda alta che adesso lo guardava con aspettativa. Non appena li vide bene in faccia, notò che il rosso aveva uno strano tatuaggio sulla fronte che – era sicuro – l’altra volta era praticamente inesistente. Continuò ad osservarli anche lui, Kurama compreso. Bentornato, ragazzo. Sentì il vuoto sotto ai piedi, l’aria mancare e la testa farsi sempre più pensate. Tutto girava così in fretta che non fece nemmeno in tempo ad accorgersene: era già svenuto, immerso dalla sabbia, dal vento, da quella che un tempo avrebbe ricordato come Suna, il villaggio della sabbia. 







Angolo autrice:
Charlie è tornata! É tornata con un capitolo un po' misero (si poteva fare di più, lo ammetto) ma, per lo meno, è tornata.
La terza liceo mi sta trascinando in un abisso senza fine e io non vedo l'ora di terminarla. Dopodomani, il 17, sarà pure il mio compleanno e quindi ho detto: sì! Facciamo un regalo a quelle poche ma carissime persone che seguono la mia storia (e che spero continueranno a seguirla!).
Questo tredicesimo capitolo parla, finalmente, di Aoyama. Aoyama è un personaggio che mi piace particolarmente, perché aiuterà molto Sasuke a fare chiarezza nel suo cuore e nella sua testa (non diventerà un panda da coccolare, lo annuncio di già. Sasuke è comunque una checca bastarda), e poi sinceramente ce la vedo molto bene nella famigliola Uchiha. Spero sia lo stesso per voi.
Per quanto riguarda Naruto, bè, descrive perfettamente la mia situazione in matematica. Domani ho persino il compito e voglio sopprimermi. Ma questa è un'altra storia.
Abbiamo nuovi personaggi! Personaggi che, fra parentesi, non potevo non inserire. Sarà divertente vederli collaborare tutti insieme per far tornare a Naruto questa dannata memoria.
Perdonate eventuali errori, come al solito.
E niente, credo vada bene così.
Spero di non avervi delusa e che qualcuno di voi possa ancora seguire la mia storia.
Un bacione graaandissimo!
Charlie;

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