Salvami,Amore mio.

di Alice_Leonetta
(/viewuser.php?uid=766978)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo. ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo. ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo. ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo. ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo. ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo. ***
Capitolo 7: *** Settimo capitolo. ***
Capitolo 8: *** Ottavo capitolo. ***
Capitolo 9: *** Nono capitolo. ***
Capitolo 10: *** Decimo capitolo. ***
Capitolo 11: *** Undicesimo capitolo. ***
Capitolo 12: *** Dodicesimo capitolo. ***
Capitolo 13: *** Tredicesimo capitolo. ***
Capitolo 14: *** Quattordicesimo capitolo. ***
Capitolo 15: *** Quindicesimo capitolo. ***
Capitolo 16: *** Sedicesimo capitolo. ***
Capitolo 17: *** Epilogo-Diciassettesimo capitolo. ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo. ***


Eccola qua: Violetta Castillo, diciassette anni, capelli castani con punte tendenti al biondo, fisico perfetto ed una paura indescrivibile. Primo giorno di scuola. Avete presente alle elementari, il primo giorno, quando non conosci nessuno e nessuno conosce te? Quando sei sola, sola con i tuoi pensieri, le tue paura. Sola. E’ così che Violetta si sentiva in quel momento, in quel primo giorno di scuola. Certo, frequentava l’ultimo anno di liceo linguistico, ma la paura c’era sempre. Si trasferì a Buenos Aire, un paio di giorno fa. Sua madre, Maria, era stata ricoverata a Madrid, per un tumore al cervello, purtroppo incurabile. Non c’era nulla che si potesse fare, solo godersi gli ultimi momenti con lei. Dopo la brutta e sconvolgente notizia, la famiglia Castillo, si trasferì a Buenos Aires. O meglio, tornò a Buenos Aires. Avevano già vissuto lì. Quando Violetta aveva dodici anni, dovettero trasferirsi a Madrid per il lavoro di German, e restarono lì, appunto fino ad un paio di giorni prima. A Violetta era mancata da morire la sua città. Le strade, le vie alberate, i parchi pieni di bambini (non che a Madrid non ce ne fossero, anzi era pieno di parchi con bambini che giocavano. Era solo che rivedere i parchi di Buenos Aires, la faceva stare talmente bene che era impossibile paragonarli a quelli di Madrid). Violetta fece un sorriso, scendendo dalla macchina e salutando suo padre, il quale le augurò un imbocca al lupo, per il primo giorno. La ragazza sorrise, davanti all’enorme edificio. Quanto le era mancato quel posto! Aveva passato lì i suoi giorni più belli delle elementari e della prima media. Alle fine del primo anno di medie, dovette appunto andare via. Un dolce sorriso, era stampato sulle sue labbra. Anche a distanza di anni, ricordava benissimo i corridoi, le aule, la palestra, l’aula magna, la sala mensa. Perfino il cortile non era cambiato di un millimetro. La cosa che la faceva star più bene di tutte, quella che le faceva battere forte il cuore, era l’idea che avrebbe rivisto, dopo anni, i suoi amici. I suoi più cari amici. Dio, quanto le mancavano cinque anni lontana da loro, e finalmente poteva rivederli. Si sarebbero ricordati di lei? Si sarebbero ricordati della Violetta con la quale facevano le pazzie più assurde? L’avrebbero riconosciuta? Lo sperava con tutta se stessa. Improvvisamente, un pensiero, forze, anzi, il più importante le attraversò la mente. Leon. Dio, Leon. Quanto le mancava. Il suo migliore amico. Ne avevano combinate insieme, eh. Si ricorderà di lei, dopo cinque anni? Si ricorderà di tutte le avventure passate insieme? Di tutti gli scherzi, le litigate, le prese in giro che si sono fatti? Si ricorderà delle sua migliore amica? Della ragazza del quale era sempre stato innamorato? Il pensiero di Leon, la fece bloccare. Mille domande, all’improvviso, frullavano per la sua testa. E se avesse conosciuto un’altra? E se avesse un’altra migliore amica? E se si fosse dimenticato di lei? Sarebbe riuscita a superarlo? Sarebbe riuscita a passarci sopra, come se niente fosse accaduto? Sarebbe stata in grado di far finta di niente, e dimenticarsi di Leon? Del ragazzo più bello del mondo?, dei suoi occhi verde smeraldo? Dio quanto amava quegli occhi! Tutte le volte, le trasmettevano tranquillità. La facevano star bene. Quel ricordo la fece sorridere ancora di più. Spostò lo sguardo sul suo polso destro, e con un dito dell’altra mano, sfiorò il braccialetto di stoffa blu, con i lacci rossi. Anche Leon indossava un braccialetto come quello. Era la sua promessa che non si sarebbe dimenticato, mai, di lei, nonostante i kilometri di distanza che c’erano a separarli. Violetta, da quando partì, non si tolse mai, quel braccialetto. Era come sentire il suo migliore amico accanto a lei, era come sentirlo vicino. Quando la coccolava, la tranquillizzava e le ripeteva che andava tutto bene. Non vedeva l’ora di rientrare, dopo tanti anni, dentro quell’edificio e riabbracciare i suoi amici. Non vedeva davvero l’ora. Qualche secondo dopo, la campanella suonò, riportandola sulla Terra. Sorrise nuovamente, e si precipitò dentro. Una folata di studenti camminava svelta tra i corridoi. A Violetta non fu difficile trovare il suo armadietto. Inserì la combinazione, la quale richiese in segreteria prima di entrare, ed aprì l’armadietto. Ripose lo zaino, e prese l’occorrente per la prima lezione. La campanella suonò la seconda volta, ed a quel punto si affrettò a trovare l’aula 19: storia. Quando entrò, il professore non era ancora arrivato. Individuò un banco vuoto, nella penultima fila, e ci si diresse alla svelta. Si guardò intorno, cercando di individuare qualcuno dei suoi vecchi amici. Ma non riconobbe nessuno, purtroppo. La campanella suonò una terza, ed ultima volta, ed in quel preciso istante entrò in classe il professore, seguito da qualche studente. Violetta spalancò gli occhi, e sulle sue labbra si stampò un sorriso. Tra gli studenti, che erano appena entrati, riconobbe due sue vecchie conoscenze. Due ragazze: una con i capelli corvini, lunghi fino alle spalle, bassina ma snella e perfetta. Ciglia folte, sorriso mozzafiato e un visino da angelo: Francesca. Violetta non riusciva a credere ai suoi occhi. La sua migliore amica era appena entrata in classe. Era cambiata moltissimo, ovviamente, ma era rimasta sempre la stessa Francesca. Da cosa l’aveva riconosciuta? Dagli occhi: verdi scuri, grandi ed espressivi. L’altra ragazza, anche lei perfetta e vecchia amica di Violetta, aveva dei lunghi capelli biondo platino. Fisico perfetto, trucco del giusto temperamento e due occhi da pietrificarti: Ludmilla. Anche lei era cambiata incredibilmente, ma come poteva non riconoscerla? Con lei non si annoiava mai. Violetta sorrise, ancora di più, gli occhi che brillavano ed il cuore che batteva a mille. Le sue amiche. Non vedeva l’ora di poter parlare con loro. La bionda si separò dalla mora, e si andò a sedere ad un banco, in prima fila. Francesca, invece si diresse verso il fondo dell’aula, precisamente accanto a Violetta. Appena si mise seduta, Violetta si voltò verso la sua amica, stupita nel non averla riconosciuta. Si schiarì la voce, mentre Francesca apriva il libro di testo. “Scusa..” disse Violetta, attirando l’attenzione della mora. Francesca si voltò di scatto rispondendo “Oh, scusa, ciao” disse voltandosi di nuovo verso il professore. In quel momento, solo in quel momento, realizzò l’accaduto. Sgranò gli occhi, le mani tremavano ed il cuore accelerava sempre di più. No, non era possibile. Era matematicamente, fisicamente impossibile. Si voltò lentamente verso la sua compagna di banco. Restò pietrificata quando si trovò di fianco, la sua amica, la sua vecchia amica Violetta, con un sorriso a trentadue denti. Francesca non riusciva a parlare, infatti per più di un minuto, tra loro non volò neanche una mosca. Si sentiva solo la voce del professore, che spiegava. “T-t-t-t-t-t-t-u” riuscì a dire la mora. Violetta sorrise davanti all’espressione dell’amica. “N-n-no. N-non è.. possibile”, continuò la mora, scuotendo la testa e cercando di convincersi veramente, che non era possibile che la sua vecchia amica Violetta fosse lì, dopo anni di assenza. “No. T-tu.. tu non sei.. Non sei.. Non puoi essere.. No, mi rifiuto di crederci”. Violetta serrò le labbra tra loro, sorridendo. “Allora mi dispiace deluderti, ma sono io, Fran” rispose Violetta, scandendo chiaramente e lentamente l’ultima parola. Francesca non riusciva a parlare, troppo era lo stupore, troppa era l’emozione. Com’era possibile che la sua vecchia amica Violetta, ora si trovava di fianco a lei? Ma non si era trasferita a Madrid? Che ci faceva a Buenos Aires? NON LA POTEVA AVVERTIRE!? Francesca aprì la bocca, stupita, poi sorrise mostrando tutti e trentadue i denti. Saltò al collo della sua amica, e la strinse forte, forte a sé. Quanto le era mancata. Violetta rispose all’abbraccio, stringendo anche lei la sua amica. Le erano mancati gli abbracci-rompi-costole di Francesca. Sciolsero l’abbraccio, ed entrambe si sorrisero, come da piccole. “Quando sei tornata? Perché? Perché non mi hai avvertita? Potevamo vederci! Parlare, raccontare le..”. Violetta la bloccò con un gesto della mano. “Fran, Fran, calma. Ti racconterò tutto dopo, promesso” promise la mora, mettendo una mano sul cuore. Entrambe scoppiarono a ridere “Scusi, signorina Francesca. Sarebbe così gentile da presentarci la sua nuova compagna di banco? Lei non ha avuto l’occasione di presentarsi. Vedo che avete molto da parlare” le riprese il professore. La mora si alzò in piedi, con un sorrisino soddisfatto sulle labbra, ed incrociò subito lo sguardo della sua amica bionda, e confusa. “Con molto piacere, professore” rispose la ragazza. Fece segno a Violetta di alzarsi anche lei in piedi, e la mora obbedì. Tutti i presenti fissavano la nuova arrivata.. o meglio, la vecchia arrivata. “Professore, classe, Ludmilla.. E’ con grande onore che vi presento, o meglio, vi ripresento.. Violetta Castillo!”. Ludmilla sgranò gli occhi, iniziò a tremare ed il cuore accelerò ad una velocità incredibile. Stessa reazione di Francesca. No, impossibile. No, no, no, no, no. ASSOLUTAMENTE IMPOSSIBILE. Quando iniziò a scrutare meglio la ragazza di fianco alla sua amica Francesca, un sorriso le si stampò sulle labbra. Era Violetta, la sua vecchia amica Violetta. Gregorio, all’annuncio della sua alunna, sorrise. Violetta Castillo? Quella, Violetta Castillo? Si tolse gli occhiali, poggiandoli sulla cattedra. “Oh, signorina Castillo. Che piacere rivederla! Quanto tempo che è passato! Sono lieto che sia ritornata. Spero che si stia riambientando bene” disse Casal. Violetta sorrise, riconoscendo solo in quel momento, che il professore nell’aula, era il suo vecchio insegnante Gregorio Casal, nonché padre di uno dei suoi amici più cari: Diego. “Grazie, professore. Anch’io sono molto felice di essere tornata a Buenos Aires. E comunque non c’è bisogno che mi riambienti.. Conosco questa scuola come il palmo della mia mano!” esclamò la mora, facendo scoppiare la classe in una fragorosa risata. “Ne sono lieto, cara. Ne sono lieto. Bene, adesso sedetevi ed aprite il libro a pagina trecentonovantaquattro”. Le due si sedettero, e per l’intera lezione rimasero ad ascoltare il professor Casal. Verso la fine dell’ora, Gregorio si avvicinò a Violetta “Il suo amico, aspettava con ansia il suo ritorno. Sono sicuro che sarà più che felice di rivederla” sussurrò, sorridendole, per poi proseguire la lezione. Violetta sorrise alle parole del suo professore. Il suo amico: Leon. Non vedeva l’ora di rivederlo.
 
 
 A casa Castillo regnava un silenzio allucinante. Da quando erano tornati a Buenos Aires, German era sempre rinchiuso nel suo studio, assieme a Roberto, assistente dell’uomo, ed uno dei suoi più cari amici. German si dedicava al lavoro; ovviamente si occupava anche di sua moglie. Più e più volte al giorno, saliva in camera e le parlava dei suoi progetti , di quanto potessero aiutare a migliorare la Terra, naturalmente non per vantarsi. Voleva solo che sua moglie si sentisse meglio, che si sentisse fiera di suo marito. Erano quasi due anni che era sdraiata in un letto, senza poter muovere un muscolo, senza parlare o poter fare qualsiasi altra cosa. Era incapace di far tutto. Non riusciva più neanche a sorridere. Tutto quello, faceva star male sua moglie, e sua figlia. La sua bambina. Violetta ne soffriva più di tutti. Alla sua età, avere una mamma accanto, avere una figura femminile, per potersi confidare con lei, ridere e scherzare era indispensabile. Vedeva sua figlia sempre triste, distrutta e in pena per sua madre. Era passata una settimana da quando gli avevano riferito quella notizia, quella maledettissima notizia. “Mi dispiace, signor Castillo. Sua moglie, soffre di un tumore, purtroppo, incurabile. Vede, il problema sussiste in una parte del cervello, dove noi medici non possiamo intervenire. L’unica cosa che potete fare, è pregare per lei, e non sprecare un secondo senza la sua compagnia. So che ha una figlia, molto giovane, la vedo tutti i giorni accanto a sua madre. Mi dispiace, signore, ma non.. non le resta molto”. Quelle parole rimbombavano nella mente di German, come musica nelle orecchie. Non le rimaneva molto, ed ogni istante in sue compagnia era prezioso. L’uomo sbuffò, facendo cadere la penna sulla scrivania. Si affrettò ad alzarsi dalla sedia, ed uscire fuori dallo studio. Roberto lo guardava stupito e curioso. German si affrettò a salire le scale, e ad entrare nella camera di sua mogli. Vederla lì, in quel letto, senza possibilità di movimento, gli fece contorcere lo stomaco. Il cuore gli faceva male. Si andò a sedere accanto a sua moglie. I pochi raggi del Sole, entravano da sotto le serrande non chiuse. Marie era sdraiata nel nello, gli occhi chiusi e un ago nel braccio, che era collegato ad una flebo. “Ehi,amore.. Come stai? Ti senti meglio?” le domandò l’uomo, prendendo la mano di sue moglie, e stringendola. Sapeva che ovviamente sua moglie non poteva rispondergli, ma tentò ugualmente. “Sai, oggi Violetta, la nostra bambina, ha iniziato la scuola. Ti ricordi dove andava da piccola? Bhè, l’ho segnata lì. Spero tanto che rincontri i suoi vecchi amici. Francesca, Ludmilla, Camilla, Federico, Leon. Eh, Leon. Ti ricordi di Leon, vero amore? Ti ricordi di quando passavano interi pomeriggi a giocare in giardino? Ti ricordi di quanto erano felici? Sono sicuro che quando si rivedranno saranno felici entrambi. Le do’ un giorno, e vedrai che Leon sarà di nuovo in giro per casa, ne sono sicuro”. Per tutto il tempo nel quale German parlò, un sorriso era stampato sulle sue labbra, gli occhi gli luccicavano. Voleva un gran bene, a Leon. Era come un secondo figlio, per lui. Era il figlio del suo migliore amico: Alejando Vargas. Leon era davvero un gran bravo ragazzo, ed era felice se fosse stato accanto alla sua bambina, durante quel periodo difficile. “Sai una cosa, amore? Ho avuto un’idea! Che ne dici di invitare i Vargas a cena, qui da noi? Stasera? Sarebbe un modo per ritrovarci, tutti insieme. Così tu potrai rivedere anche Clara, no? Non sarebbe bello? Poi Violetta potrebbe passare del tempo con Leon. Sono sicuro che riuscirà a farla sorridere, di nuovo. Ora li chiamo, torno dopo amore mio”. German si alzò dal letto, baciando la mano di sua moglie ed uscendo dalla stanza. Sì, i Vargas sarebbero andati a cena da loro, quella sera. Tornò nello studio, dove vi ci trovò Roberto, impegnato in una telefonata alquanto importante. German gli chiese di rimanere da solo, e l’uomo acconsentì. Quando Roberto uscì dalla stanza, aprì l’agenda dei contatti e cercò il numero di Alejandro. Rispose dopo un paio di squilli. “Pronto?”. “Pronto, Alejando?” domandò German.”Sì, sono io. Chi parla?”. “Ma come, non mi riconosci, Alejandro? Sono German!”. “German! Ma che piacere sentirti! Quanto tempo è passato dall’ultima telefonata? Sette mesi?_” chiese Vargas scoppiando poi a ridere. “Lo so, perdonami. Ma sai, tra Maria, Violetta, il lavoro e tutto il resto” spiegò German. “Certo, certo, capisco. Ma dimmi, Maria? Come sta? Si è ripresa, un po’?” domandò l’uomo abbastanza preoccupato per la donna. Conosceva Maria da molti anni, e quando il suo migliore amico gli diede la notizia della malattia della donna, non riuscì a crederci. Sua moglie, Clara, scoppiò in un pianto disperato. Invece Leon, suo figlio, avrebbe tanto voluto essere al fianco di Violetta, della sua Violetta. Ma purtroppo non poteva, lei era lontana migliaia e migliaia di kilometri. Non riusciva ad immaginare quanto fosse difficile quella situazione per la sua bambina. Perché, per Leon, Violetta era una bambina.. la sua piccola bambina. Avevano quasi la stessa età, certo lui era più grande di qualche mese, ma poco importava. “Maria? Ecco.. una settimana fa.. abbiamo saputo.. che.. che.. il.. t-t-tumore.. è.. i-i-in-incurabile”, balbettò l’uomo, scoppiando poi a piangere. Aveva cercato di resistere, di trattenersi.. ma cedette. Dall’altro capo del telefono, si sentì un altro pianto. Anche Alejandro, stava piangendo “ Ma com’è possibile?! Con tutte queste medicine, farmaci.. non è possibile che non ci sia una cura!” gridò l’uomo. “Lo so. Anche io n-non riesco a credere.. che.. che la p-p-p-p-perderemo”. “Mi dispiace molto, German. Questo lo sai. Maria è una delle mie più care amiche, come te. Staremo vicini sia a te, che a Violetta. Stai tranquillo, i Vargas ci saranno, sempre e comunque”. “Grazie, Alejandro. Non immagini quanto mi faccia piacere il tuo appoggio. Significa molto per me, e per Violetta. Grazie”. Rispose sinceramente l’uomo. Per lui, l’appoggio del suo più caro amico, era davvero importante. “Ma ti pare, amico mio. Adesso raccontami, Violetta, come sta la piccolina?” domandò. “Eh, Violetta. L’ha presa più male di tutti. Non mangia più, si chiude in camera per ore, non sorride più. Vedendola in questo stato mi si spezza il cuore. Questo è uno dei motivi per il quale ti ho chiamato. Vorrei che.. Leon, passasse del tempo con Violetta. Ricordi da piccoli, passavano ore a giocare, e lui le faceva spuntare quel sorriso che neanche io e sua madre riuscivamo. Vorrei che parlasse, che si sfogasse, ma soprattutto che ricominciasse a vivere. Vorrei che Leon la aiutasse”. Alejando, intanto stava sorridendo. Le parole del suo amico, gli avevano davvero scaldato il cuore. “Tranquillo, German. Leon c’è stato, c’è e si sarà sempre, per Violetta. Le vuole un mondo di bene, e non permetterà mai che sia triste. Tranquillo, amico mio”. “Grazie mille, davvero. Comunque un altro motivo per i quale ti ho chiamato, è per invitarvi tutti a cena da noi, stasera!” esclamò Castillo, entusiasta. “SIETE A BUENOS AIRES E NON ME LO HAI DETTO?!”. Sembravano esser tornati ai tempi del liceo, quando uno andava in discoteca e non chiamava l’altro. Dalla bocca di German, uscì una risata “Perdonami. Siamo tornati solo un paio di giorni fa. Comunque stasera alle 20.00 qui! Niente obiezioni!”. “D’accordo, ci saremo. A stasera”. “Ciao, Alejandro”. German chiuse la chiamata e sorrise. Sorrise, pensando a Clara, la moglie di Alejandro, migliore amica di Maria. Sorrise pensando ad Alejandro, suo migliore amico. Sorrise pensando a Leon, migliore amico della sua bambina. I Castillo ed i Vargas, erano e saranno sempre migliori amici. Andò in cucina, ed informò Olga che quella sera, a cena, ci sarebbero stati tre ospiti, molto importanti.
 
 
 La campanella della prima ora suonò. Violetta e Francesca non fecero in tempo ad alzarsi dalla sedia, che già la bionda era davanti a loro. “Non. Ci. Posso. Credere!” esclamò Ludmilla, saltando al collo di Violetta, la quale la strinse forte a sé. Quanto le era mancata la sua bionda! Non vedeva l’ora di raccontarle tutto: del viaggio, di quanto fosse spettacolare Madrid, ella sue vecchia scuola, e purtroppo anche di quella maledetta, maledettissima malattia di sua madre. “Non immagini neanche quanto mi sei mancata!” gridò Ludmilla, rompendo quasi un timpano alla mora. “L-L-L-Ludmilla n-non riesco a r-r-espiarare”. “Oh, scusa”, disse sciogliendo l’abbraccio Violetta respirò profondamente, poi sorrise alla sua amica. “Anche tu mi sei mancata da morire. Tutti mi siete mancati!” disse voltandosi anche verso la sua amica mora. “Abbiamo molto, molto, molto, molto, molto, molto, molto, molto, ma molto da raccontarti!” esclamò Francesca, facendo scoppiare a ridere le sue due amiche, e seguendole a ruota. Violetta circondò il collo delle sue amiche, con entrambe le braccia “Ragazze.. siete mitiche! Mi siete mancate troppo! Non vi ricordavo così pazze”. Risero ancora, come i vecchi tempi. “Noi? Noi siamo quelle più tranquille del gruppo! Dovresti vedere Diego, Federico e Camilla. Loro si che sono pazzi!” ribatté la bionda. Violetta si morse il labbro inferiore, ripensando ai suoi amici. Aveva una voglia matta di rivederli, soprattutto uno. Ma si sarebbe ricordato di lei, come Francesca e Ludmilla? Solo al pensiero di Leon, a Violetta tremavano gambe e mani, e il cuore accelerava. Avrebbe rivisto il suo amico, il suo migliore amico. Dopo cinque anni, cinque anni senza di lui. “Dove sono?” chiese Violetta, improvvisamente diventata seria. Voleva, doveva assolutamente rivederli. Era sicura che l’avrebbero aiutata a superare quel brutto, bruttissimo periodo. Stava per perdere una delle persone più importanti della sua vita. Una delle persone con cui aveva riso, pianto e gioito. La persone che riusciva a capirla, quella che l’assecondava sempre, che le dava i giusti consigli, e che non l’avrebbe mai lasciata sola. La sua confidente. La sua mamma. Già, Maria. Come avrebbe fatto senza di lei? Senza le sue carezze, le sue rassicurazioni. Stava per perdere la sua mamma. La persona che le aveva dato la vita, e quella che la stava per perdere a causa di un maledettissimo tumore al cervello! Ludmilla e Francesca sorrisero “Vieni con noi” disse la mora, uscendo dall’aula e seguita dalle sue amiche. Camminarono per il corridoio, ed in quel momento Violetta aveva paura. Ma non paura come perdere sua madre, come non vederla mia più. Non era quel tipo di paura. Quella che sentiva in quel momento, era una paura piacevole. Una paura anche chiamatasi emozione. Sì, era emozionata, ed anche molto. Dopo cinque anni, poteva finalmente rivedere i suoi amici. I suoi più cari amici. Quelli con cui aveva trascorso i momenti più belli della sua vita, quelli con cui aveva fatto pazzie. Improvvisamente, intravide un gruppo di ragazzi, accanto a degli armadietti. Il cuore accelerò, le gambe tremavano sempre di più, gli occhi luccicavano come non mai, sulle labbra era stampato un dolce sorriso, e stringeva il libro al petto, quasi come volesse aggrapparsi ad esso per sopravvivere. Come se da esso potesse trarre ossigeno. Avvicinandosi di più, li riconobbe tutti. Non erano cambiati di una virgola. O meglio, certo che erano cambiati, ma anche loro, come Francesca e Ludmilla, erano rimasti gli stessi. Per prima riconobbe Camilla: i suoi ricci rossi spiccavano tra i ragazzi. Stava chiacchierando tranquillamente con tutti. Era diventata davvero una gran bella ragazza. Le lentiggini, con il tempo, si erano accentuate di poco, ma la facevano sembrare ancora più perfetta. Aveva sempre quel sorriso bellissimo, che fin da piccola, aveva fatto innamorare Brodway. Il ragazzo le circondava la vita con le braccia, posando le sua mani sul ventre della ragazza. Anche lui era diventato davvero bello, certo non quanto la sua ragazza, ma era ovvio che le ragazze erano sempre meglio dei ragazzi. Di fianco a loro c’era Federico. Anche lui bellissimo. Senza ombra di dubbio. Capelli perfetti, con un ciuffo all’insù. Due occhi incantevoli ed anche lui un sorriso togli fiato. L’italiano ci sa fare. Stava scherzando con Diego. Ok, Diego.. Non servivano descrizioni, lui era perfetto di natura. Fin da piccolo era bellissimo, ma adesso che era cresciuto, faceva invidia a tutti i ragazzi.. eccetto uno, ovviamente. Poi c’erano Maxi e Nata.. i due piccioncini che stavano insieme fin dalla prima media. Se li ricordava bene, Violetta. Nata la assaliva sempre su quanto fosse bello, gentile, altruista e perfetto Maxi. Infatti era stata lei a farli mettere insieme. Avevano escogitato un piano. Bhè, ‘piano’ era un modo di dire. In poche parole, Nata scrisse un biglietto a Maxi, dove c’era scritto che lui le piaceva molto e se si voleva mettere con lei, la doveva raggiungere alle altalene, durante la ricreazione. Soliti bigliettini da bambini. Questo bigliettini lo dovette consegnare Violetta, a Maxi. Alla fine si sono messi insieme. La riccia sorrideva al suo fidanzato, come il primo giorno. Erano davvero una bella coppia, stavano molto bene insieme. Infine, c’era Andres, il più scemo, ma anche uno dei più dolci del gruppo. Eh si, Andres. Quante ne ha combinate! Vedendoli tutti lì, a Violetta si stampò un sorriso dolce, più del precedente. Ludmilla andò incontro al suo ragazzo, e l’italiano l’accolse con le braccia aperte, depositandole un bacio a fior di labbra. Francesca invece, si gettò tra le braccia dello spagnolo, ed anche lui aveva riservato un dolce bacio per la ragazza. Quando si accorsero che Francesca e Ludmilla non erano sole, si pietrificarono alla vista della ragazza mora, davanti a loro. Sgranarono tutti gli occhi, tranne uno. “Ragazzi, ma chi è questa ragazza?” chiese Andres, grattandosi la nuca, e squadrando ‘l’intrusa’. Tutti non riuscivano a credere ai loro occhi. Era davvero Violetta? La Violetta delle medie, quella trasferitasi a Madrid? No, impossibile. Francesca e Ludmilla, si lanciarono uno sguardo furbo, ed un sorrisetto dolce era stampato sulle loro labbra. Diego si voltò verso la sua ragazza, con gli occhi spalancati, la bocca aperta ed un’espressione tra lo stupito, il confuso e il ‘non può essere!’. La mora annuì, sorridendo al suo ragazzo. “Sì, ragazzi. E’ proprio Violetta” disse Francesca. Per alcuni secondi nessuno disse nulla poi come se si fossero coordinati, tutti insieme iniziarono a riempirla di domande. La mora non riusciva a rispondere a nessuna, anche perché non le davano tempo. “Ehi, ehi, ehi! Calmi!” esclamò la mora, parandosi le braccia davanti. “Uno alla volta!”. Scoppiarono a ridere, ed uno alla volta la salutarono tutti, abbracciandola e stringendola forte. Era mancata a tutti, come tutti loro erano mancati a lei. Rispose a tutte le loro domande, solo che non disse nulla sulla.. malattia di sua madre. Non voleva rattristarli. Maria, era come una seconda madre per tutti. Li aveva visti crescere,li aveva aiutati in tutto e per tutto. Saperlo così, su due piedi, li avrebbe di sicuro scoraggiati. Quella giornata stava andando alla grande, mancava solo una cosa. O meglio.. una persona. “Ragazzi, scusate. Ma Leon?” chiese improvvisamente Ludmilla. Violetta si fece seria, e tutti la fissarono. Sentendo quel nome, si emozionò di più. Mancava solo lui all’appello del gruppo. Solo lui. Dov’era finito? Perché non era lì con i suoi amici? Perché non era lì con lei, con la sua migliore amica? Aveva bisogno di lui, aveva bisogno delle sue coccole, dei suoi abbracci, delle sue carezze, del suo profumo, delle rassicurazioni e dei suoi ‘andrà tutto bene’. Aveva bisogno di averlo accanto. “Ecco.. Leon.. è con.. è con.. Gery. Stanno sistemando delle cose nell’aula magna” spiegò Federico, spostando lo sguardo da Violetta a Ludmilla, e così per altre tre volte. Non doveva dirlo? L’espressione triste, delusa e affranta della mora, non prometteva nulla di buono. Gery? E adesso ch era, Gery? Cosa voleva dal suo Leon? Che faceva con lui? Stavano insieme? Da quanto? Perché? Perché aveva tradito la loro amicizia? “Chi.. chi è G-Gery?” domandò balbettante Violetta. Tutti si guardarono preoccupati. Verità o non verità? Farla soffrire, o no? Problema. Violetta iniziò a respirare con fatica, stringeva il libro più forte che poteva, preparandosi a ricevere quella bastonata. Lo sapeva, stava accadendo quello di cui aveva sempre avuto paura: Leon l’aveva dimenticata.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
SALVEEEEE! Sono di nuovo io, Alice_Leonetta. Vi sarete stancati delle mie storie. Vi piace questa? E’ troppo lungo come primo capitolo? Che ne pensate? Non ci crederete come mi è venuta l’ispirazione. Allora, l’altra sera stavo andando a dormire, quando all’improvviso.. BUM! Ho iniziato a scrivere sul telefono. Dalle undici fino alle 5.30 di mattina, a scrivere il capitoloooooo!!!!!!!!!!! Vi sembro normale? Io non credo. Bhè, comunque mi piacerebbe che recensireste in molti. Spero che vi sia piaciuto il primo capitolo. Scusate ma non ho resistito.. DOVEVO SCRIVERE CHE GREGORIO DICEVA “Andate a pagina trecentonovantaquattro”. Solo i veri fan di Harry Potter (*---------*) lo capiranno e lo ricorderanno. (FRASE EPICA!). Vorrei ringraziare Ivi, che mi ha permesso di prendere spunto dalla sua storia. Ti prego aggiorna prima!!! Allora, che ne pensate della situazione? Leon e Violetta si rincontreranno a casa di quest’ultima. Come la prenderà Leon quando la rivedrà? E Gery? Che c’entra nella storia? Non vi resta che scoprirlo nel prossimo capitolo. Dedico la storia al gruppo di WhatsApp, che amo e che saluto! Bacioni e alla prossima!
#Alice_Leonetta
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Secondo capitolo. ***


Leon stava finendo di colorare l’ultimo disegno, sul cartellone. Lui e Gery avevano passato quasi tutta la mattinata ad occuparsi dei cartelloni, i quali annunciavano il ballo di Natale. Ormai mancava solo un’ora all’uscita, e non l’avrebbe di certo passata in classe. Avrebbe finto di dover finire ancora un cartellone, con la sua amica, ed il professore ci sarebbe caduto.. come sempre. Era il playboy della scuola. Era alto, robusto, capelli sempre in ordine, occhi da sogno ed un sorriso da mozzarti il fiato. Era invidiato da tutti i ragazzi della scuola, infatti molte volte andavano da lui a chiedere consigli di moda, o qualche dritta per far colpo sulle ragazze. Oltre ad essere perfetto in tutto e per tutto, aveva anche un gran bel stile nel vestire, aveva buon gusto. Praticamente un ragazzo perfetto! Tutte le ragazze gli sbavavano dietro, compresa Gery. Erano ormai tre anni che gli andava dietro, ma lui, fino a quel momento non le aveva neanche lanciato uno sguardo. All’inizio, per lui era indifferente. Non gli faceva né caldo, né freddo. Quando poi la ragazza cominciò ad avvicinarsi, sia a lui che a tutto il gruppo di amici, Leon si accorse che era molto simpatica. Si divertiva molto in sua presenza, ed infatti passavano molto tempo insieme. Erano quasi inseparabili.. quasi. Vi stareste chiedendo se sono fidanzati. Bhè, per vostra gioia,no. Migliori amici? Neanche. Amici, semplice. Solo buoni, ottimi amici. Leon non si era dimenticato di Violetta, anzi.. non passava giorno nel quale non pensasse a lei. Non passava giorno che non ripensasse, che non ricordasse la promessa che le aveva fatto. Non c’era momento che non guardasse, toccasse quel braccialetto si stoffa che aveva al polso. Violetta gli mancava davvero tanto, e si era promesso che avrebbe chiesto ai suoi genitori se durante le vacanze di Natale, potessero volare a Madrid, a trovare i Castillo. Sorrise, pensando che i suoi genitori avrebbero di sicuro accettato, visto che anche loro erano molto legati ai Castillo. Suo padre Alejandro, era il migliore amico del padre di Violetta, German. Mentre sua madre Clara, era la migliore amica di Maria, la mamma di Violetta. Già, Maria. Chissà come stava.. Voleva un gran bene a quella donna. Era come una seconda madre, per lui. Fin da piccolo, quando andava a casa di Violetta a giocare, la donna si era sempre mostrata gentile e premurosa nei suoi confronti. Se si faceva male, o qualsiasi altra cosa gli capitasse, lei era la prima a curarlo. Molte volte aveva visto Violetta gelosa della tanta premura che dimostrava sua madre, per lui. Quando facevano merenda, Maria, dava sempre a Leon la fetta di torta più grande. E i due si divertivano molto a vedere Violetta furiosa. Ovviamente erano sciocchezze da bambini. Adesso che Leon ci stava pensando, un sorriso dolce gli si stampò sulle labbra. La sua Violetta. La sua piccola, dolce bambina. Chissà se era cambiata.. Chissà se lo avrebbe riconosciuto.. Chissà se.. No, impossibile. Non terminò quel pensiero, anche perché lo trovava assolutamente impossibile. Violetta non si era dimenticata di lui. No, assolutamente no. Non poteva dimenticarsi di tutte le avventure passate insieme. Non poteva dimenticarsi delle risate, dei giochi, degli scherzi e dei pomeriggi bellissimi che trascorrevano insieme. Pomeriggi pieni zeppi di risate e divertimento. No, si rifiutava di credere che la sua Violetta si fosse dimenticata di tutto quello. Era assolutamente impossibile. Lui le aveva fatto una promessa. Promessa che aveva mantenuto, ed era sicuro che anche lei avesse mantenuto la sua. Violetta non si era dimenticata del suo migliore amico. “Fatto” esclamò entusiasta Gery, mettendo il cappuccio al pennarello nero. Guardava il suo capolavoro terminato, con un sorriso soddisfatto sulle labbra. Leon alzò lo sguardo sul lavoro della sua amica, e sorrise annuendo “Wow! E’ bellissimo!” esclamò scrutando ogni particolare. Gery era davvero brava nel disegnare, ed infatti non a caso, aveva scelto il liceo artistico. “Sì, è venuto proprio bene” disse la ragazza, portando le mani sui fianchi. Leon tornò al suo lavoro, sorridendo. Anche lui aveva quasi finito, e terminato il tutto sarebbe stato libero di tornare a casa. Non vedeva l’ora di chiedere ai suoi genitori del viaggio. In fondo, non mancava molto alle vacanze di Natale, solo qualche settimana. Qualche settimana ed avrebbe rivisto la sua bambina. Non vedeva l’ora di stringerla fra le sue braccia, stringerla forte. Di coccolarla e lasciarle dei dolci baci su tutto il viso. Non vedeva l’ora di rivedere quel sorriso che tanto amava. Quel sorriso che da ormai cinque anni non vedeva più. Violetta gli mancava terribilmente, e rivederla sarebbe stata una cosa bellissima. Solo il pensiero di vedere la sua bambina cresciuta, di vederla più adulta, più bella di quando l’aveva lasciata, lo fece riempire di gioia. Ma solo al pensiero di tutti i ragazzi che le giravano intorno, come mosconi, solo per.. gli fece gelare il sangue. Quanto voleva essere lì con lei, in quel momento. Quanto voleva abbracciarla e stringerla forte, per ripeterle che sarebbe andato tutto bene. Per ripeterle che sua madre, Maria, sarebbe guarita, e tutto sarebbe tornato come prima, come da piccoli. Ma Leon non sapeva ancora dell’impossibilità di cura, per la malattia della donna. Non sapeva che da lì a qualche tempo, la donna, sarebbe.. Non sapeva che Violetta si trovava a Buenos Aires, nella sua stessa scuola, magari nell’aula di fianco a dove si trovava lui. Ma presto tutto sarebbe cambiato. “Tu come stai messo?” chiese Gery, avvicinandosi al suo amico, e poggiando il braccio sulla sua spalla. Scrutò il lavoro di Leon ed annuì, compiaciuta. “Non male, Vargas. Non male”. Leon si voltò di scatto verso la ragazza, e la fulminò con lo sguardo “Cosa credevi, che non fossi capace di disegnare?” chiese posando il pastello sopra il cartellone, ed alzandosi in piedi, a pochissimi centimetri da Gery. “Qualche dubbio mi era sorto” ammise la ragazza, provocandolo e cercando di nascondere un sorriso, ma le fu impossibile. Leon aprì la bocca, stupitosi delle parole dell’amica “Ah si? Ora ti faccio vedere io! Vediamo se resisti alle dita di piuma!” esclamò, per poi iniziare a farle il solletico. Gery si dimenava dalle dita del ragazzo, e lo supplicava di smettere, chiedendo perdono. “Leon! Basta, per favore! Prometto che non metterò mai più in dubbio le tue doti artistiche! Giuro!”. Leon tolse le sue dita dai fianchi della ragazza, ed entrambi scoppiarono poi a ridere “Oggi ti ho graziato, Miguel. La prossima volta non sfuggirai alle dita di piuma” la minacciò muovendo le dita, come si fa con i bambini per spaventarli. “Oh, che paura che mi fai, Vargas! Sto tremando!” ribatté Gery, per poi aiutarlo a finire il cartellone. “Consiglio: la prossima volta colora prima, e poi ripassi i contorni di nero” propose Gery. Leon si portò una mano alla testa, a mo’ di soldato “Agli ordini, comandante!” esclamò, per poi scoppiare in una fragorosa risata, insieme alla ragazza. Gery si morse il labbro inferiore sorridendo, e dando una pacca sulla spalla al suo amico. Non riusciva a capire cosa c’era in Leon, da attrarla tanto, più di ogni altra cosa. Sarà il suo ciuffo sempre in ordine? Gli occhi che ti incantano al minimo sguardo? O forse i sorriso? Che ti mozza il fiato non appena lo vedi. Di una cosa era certa, Gery: Leon era il ragazzo più bello del mondo, e sarebbe stato suo. Non era una ragazza cattiva, manipolatrice, o che usava la gente solo per i suoi scopi. No, era una ragazza dolce e gentile. Certo, a volte stronza, come tutti, ma d’animo nobile. Se c’era da aiutare, lei era la prima, non si tirava mai indietro, soprattutto se si trattava di aiutare un amico. Si poteva sempre contare su di lei. Una ragazza d’oro, vi starete dicendo.. bhè in pratica sì. Gery era una ragazza d’oro. L’unico suo difetto? Quando voleva una cosa, la otteneva a tutti i costi. Anche se ciò significava risultare l’opposto di quello che lei era davvero. E adesso, la cosa che desiderava più di tutti, indovinate qual’era? Non difficile da immaginare: Leon Vargas. Se si metteva in testa una cosa, niente e nessuno riusciva a fermarla. Ma Gery non sapeva ancora di Violetta. Non sapeva della tanta importanza che lei era per Leon. Non sapeva del loro splendido rapporto. Ma presto tutto sarebbe cambiato.
 
 
 Diego chiuse l’anta del suo armadietto, chiudendolo con cura, a chiave. La ripose nella tasca dei jeans, e quando si voltò, si trovò davanti quello spettacolo della sua ragazza. “Ehi” disse lui, avvicinandola a sé, facendo scorrere le sue mani dietro la schiena di Francesca. Il petto possente della ragazza, si scontrò con il suo, Francesca intanto aveva circondato il collo di Diego, con le sue braccia. Il ragazzo fece combaciare le sue labbra con quelle dell’italiana, e in quel momento diedero vita ad un bacio passionale. Erano davvero una coppia affiatata; forse quella più affiatata di tutto il gruppo. Si amavano tanto, troppo, ed il modo in cui le loro lingue si cercavano e le loro braccia tenevano stretto l’altro, ne era la pura dimostrazione. Tra qualche giorno avrebbero compiuto il loro primo anniversario, e Diego aveva già in mente una sorpresa per la sua ragazza. Voleva sorprenderla e ci sarebbe riuscito. Certo, quando si erano conosciuti era un play-boy, uno di quelli da ‘una notte e via’, un menefreghista. Ma grazie a Francesca, al loro amore, era riuscito a cambiare.. cambiare in meglio. Certo, era ancora in fase di ‘trasformazione’, quindi delle volte era anche stronzo, ma chi non lo è? Ma Diego era anche dolce e molto romantico. Per il loro primo mesiversario le aveva regalato cento rose rosse, con una scatola di cioccolatini. Per il secondo, un peluche a forma di orsacchiotto, con un cuore enorme con so scritto ‘Ti amo’, in italiano, francese, spagnolo, tedesco, portoghese e giapponese. Per il terzo, invece era andato in un negozio dove si fanno quei cuscini con la scritta che vuoi, avete presente? Bhè, insomma su di un cuscino blu (il colore preferito di Francesca), gigante ed a forma di cuore, ci fece scrivere questa frase: ‘Il regalo mio più grande! Ti amo +3’. La canzone di Tiziano Ferro, la loro canzone. Quant’era romantico! “Finalmente abbiamo finito! Non ne potevo più di Milton! Quell’uomo te lo fa proprio odiare il francese!” esclamo Francesca separandosi dal suo ragazzo, e guardandolo negli occhi. Diego annuì, sorridendo. Era ancora più bella, quando era arrabbiata. “Eh già. Ma qualcosa di positivo c’è stato oggi” disse, sapendo che Francesca avrebbe di sicuro capito “Già.. Vilu è tornata” disse in un sussurro, per poi sorridere dolcemente. La loro amica era tornata, dopo cinque anni, e non vedevano l’ora di trascorrere ancora del tempo in sua compagnia. Aveva spiegato che era tornata a Buenos Aires per motivi di lavoro, di suo padre. Ma Francesca l’aveva vista molto turbata, voleva vederci chiaro in quella storia. Poi appena le avevano chiesto di Maria, la mora disse solo che stava bene; ma il sorriso con il quale lo disse non era sincero.. anzi, si vedeva a kilometri che era finto. Francesca avrebbe scoperto di cosa si trattava, sperando che non fosse nulla di grave. Durante la ricreazione, Violetta riuscì a raccontare, agli amici, della Spagna, di quanto fosse meravigliosa ed unica Madrid. Ma ammise anche che non batteva di certo Buenos Aires. Quella città era la più bella del mondo, non perché fosse la loro città natale, ma perché lo era davvero. Buenos Aires era bellissima, incantevole, magnifica ed incredibile. Nessun altra città la batteva. Violetta parlò anche della sua vecchia scuola, della casa e dei vecchi amici di Madrid. Chiese a tutti come stavano, ma mancava sempre una persona. Perfino Francesca non riusciva a capire perché proprio quel giorno, Leon, non si fosse fatto vivo con loro. Non poteva scegliere un altro giorno?! Proprio ora che era tornata la sua Violetta, la sua bambina! Per tutta la giornata, infatti, Violetta non fece altro che pensare a che fine avesse fatto Leon, il suo Leon. I suoi amici non avevano risposto alla domanda posta da lei, su chi fosse quella Gery. Era intervenuto Federico, dicendo che si stava facendo tardi per la lezione successiva, così tutti si dileguarono nelle proprie aule. E durante la ricreazione, Violetta non ebbe il coraggio di riprendere la discussione. Non voleva farsi male, da sola. Anche se prima o poi avrebbe dovuto sapere chi era quella Gery. La ragazza di Leon? O forse la sua migliore amica? Era possibile, però.. che fossero solo amici.. niente di più. Semplici amici, che stavano sistemando delle cose in aula magna. Ma le fu difficile credere all’ultima opzione. Se i suoi amici avevano reagito in quel modo, Leon e Gery non potevano essere solo semplici amici.. c’era qualcosa di più. Naturalmente, come Leon, anche tutto il gruppo sapeva della cotta di Gery, per il ragazzo. Tutto il gruppo, tranne Violetta. “Già, sono molto felice che sia tornata. Mi mancava moltissimo” ammise Diego, sorridendo a Francesca, la quale annuì serrando le labbra “Sì, anche a me”. “Non capisco che fine abbia fatto Leon. Non è da lui passare tutta la giornata in aula magna, specialmente a fare i cartelloni!” esclamò il ragazzo, spalancando gli occhi. “Non so.. avrà avuto altro da fare, oltre ai cartelloni” rispose preoccupata la mora. Diego si accigliò, corrugando la fronte “Tu credi che Leon e Gery..” disse non finendo la frase. Francesca esitò un attimo, pensando bene alle possibili opzioni. Prima: Leon e Gery avevano passato quasi l’intera giornata nell’aula magna, a fare i cartelloni. Possibile. Seconda: Leon e Gery avevano passato quasi l’intera giornata nell’aula magna, facendo qualche cartellone, per poi restargli del tempo libero, e rimanere lì per non seguire le lezioni. Possibile, era da Leon. La terza opzione, era quella che più spaventava e preoccupava la mora. Terza: Leon e Gery non erano nell’aula magna. Impossibile. Francesca si fidava di Leon, si fidava dell’amore che ancora provava per la sua amica Violetta. Fin da piccoli, erano stati innamorati l’uno dell’altra. Leon non poteva di certo mandare tutto a rotoli, solo per una.. ragazza. Certo, Gery era dolce, carina e simpatica; ma non era niente, niente rispetto a Violetta. Rispetto al legame che avevano quei due. Rispetto all’amore che provavano l’uno per l’altra. No, si fidava di Leon. Non avrebbe mai infranto la promessa fattale il giorno in cui Violetta partì. Però Leon non sapeva una cosa: Violetta era a Buenos Aires. Francesca deglutì rumorosamente, e con fatica al solo pensiero che Leon avesse infranto la promessa. “Non so. In cuor mio, spero tanto di no. Non voglio vedere Vilu soffrire, è appena tornata” rispose Francesca. “Sì, ma non ci credo. Leon ama Violetta, e non infrangerebbe mia la promessa che le ha fatto. Quei due si amano, e quando si rincontreranno, se ne accorgeranno una volta per tutte” disse Diego, facendo sorridere la sua ragazza. Baciò ancora quelle labbra, poi improvvisamente sentì una pacca sulla spalla. “Ehi, voi. Non fatemi diventare nonno adesso! Sono ancora troppo giovane!” esclamò Gregorio, fermandosi davanti ai due. Francesca e Diego, scoppiarono a ridere “Tranquillo, papà..” rispose Diego, facendo una pausa “..non sei più tanto giovane!”. Francesca scoppio a ridere di nuovo, e Diego la seguì a ruota. Gregorio invece fece una smorfia a suo figlio, ripetendo le sue stesse parole, per prenderlo in giro. “Muoviti, altrimenti cucini tu!” esclamò l’uomo entrando nella sala professori. Diego buttò indietro la testa, per poi sbuffare “Devo andare. Ti chiamo più tardi” disse lasciandole un bacio a fior di labbra. La mora annuì, per poi separarsi dal suo ragazzo, il quale raggiunse il padre. Francesca sorrise, vedendo arrivare la sua amica Violetta. All’uscita si sarebbero incontrati.
 
 
 La campanella dell’ultima ora suonò, ed una folata di studenti si affrettò ad uscire. Soprattutto gli studenti delle medie e dei primi due anni di liceo, furono quelli più veloci. Gli altri si erano abituati. Francesca e Violetta, furono alcune delle ultime. Dovettero aspettare anche gli altri. Videro Camilla e Brodway seduti su un muretto, che le stavano aspettando. Si diressero verso di loro. “Gli altri non sono ancora usciti?!” chiese Francesca spazientita, guardando l’orologio al polso e sbuffando. “Li vedi qui, per caso?” domandò ironica la rossa. Violetta e Brodway risero, mentre la mora lanciava una linguaccia alla sua amica. “Non capiscono perché ci mettono sempre tanto! Sono incredibili!” gridò esausta Camilla. Cos’era tutta quell’agitazione?. “Ehi calma, rossa! Cosa succede?” chiese Violetta guardando curiosa la sua amica. Camilla sbuffò, incrociando le braccia al petto “Odio Milton! Mi ha interrogata in storia della Francia, gli ho ripetuto perfettamente dieci pagine! E ripeto DIECI, e indovinate quanto mi ha messo?!” esclamò portando le mani in aria, per poi farle cadere sulle gambe “Sette! No, vi rendete conto? Sette! Un misero sette, per dieci pagine! Lo odio!”. Scoppiarono tutti a ridere, mentre la rossa li fissava incredula. Aveva preso un sette a francese, e si lamentava pure? Incredibile! La solita Camilla, la solita secchiona! Non cambierà mai! “Cosa avete da ridere?! Non lo trovo affatto divertente!” esclamò sempre più stupita del comportamento dei suoi amici. Brodway, Violetta e Francesca non la smettevano di ridere, ed a quel punto la rossa si rassegnò.. non c’era nulla da fare. Aveva preso sette a francese e loro se la ridevano. Ma erano normali? “Camilla, ma ti rendi conto di quello che hai appena detto?” chiese l’italiana, tra una risata e l’altra. Le stava facendo male lo stomaco per le troppe risate. “Sì! Io ho preso sette a francese, e voi ridete! Begli amici che siete!” esclamò arrabbiata, incrociando di nuovo le braccia al petto, e accavallando le gambe. A quel punto i tre cercarono di smettere di ridere, tra morsi di labbra e mani sulla bocca. “Mh, meglio” constatò la rossa, sempre con lo sguardo irremovibile. In quel momento li raggiunsero Maxi e Nata, mano nella mano. “Ehi, perché questo silenzio?” chiese la riccia curiosa. Francesca, Violetta e Brodway non resistettero più e scoppiarono di nuovo, mentre la rossa li fulminava con lo sguardo. “Camilla.. ha.. preso.. sette.. a francese.. ed è arrabbiata con.. Milton!” spiegò Francesca tra una risata e l’altra. Ormai avevano tutti e tre le lacrime agli occhi per le troppe risate. Camilla sbuffò ancora, e come se non bastasse si aggiunsero anche i due nuovi arrivati, alle risate. “Camilla, non ti rendi conto dell’accaduto!” disse Maxi, senza smettere di ridere. Ok, forse stavano esagerando. Ma anche Camilla aveva esagerato. Prendere sette a francese, in quinto superiore, poi per di più con Milton, era un privilegio, una soddisfazione incredibile! Ancora non se ne rendeva conto. “La piantate? Ora sono arrabbiata anche con voi, mh!” annunciò la rossa, girandosi dall’altra parte e dando le spalle ai suoi amici. Sembravano ancora dei bambini delle elementari, che si offendevano per delle sciocchezze, ma guai a chi li toccava. Se qualcuno si metteva contro uno di loro, si metteva conto tutti. Avete presente il motto: ‘Uno per tutti, e tutti per uno’?. Per loro valeva davvero. Si conoscevano da una vita, e si volevano un gran bene. Nessuno li avrebbe mai separati. Anche da grandi, quando avrebbero avuto dei figli, si sarebbero continuati a vedere e sentire. E magari i loro figli sarebbero andati a scuola insieme, e sarebbero diventati amici, come loro. “Ehi, che succede?” chiese all’improvviso una voce sbucata dal nulla. Tutti si voltarono nella direzione da cui proveniva la voce, e videro il loro amico Andres. –Niente, Andres. Non capiresti!” rispose Brodway asciugandosi le lacrime per le troppe risate, con il dorso della mano “Dai, ditemelo!” insistette il ragazzo. “Camilla ha preso sette a francese” spiegò Violetta, ancora ridendo. Tutti ricominciarono, senza fermarsi.. eccetto uno. “E cosa c’è da ridere!? POVERINA!” gridò Andres, correndo ad abbracciare la rossa. Camilla non si sorprese più di tanto della reazione del suo amico, c’era da aspettarselo da Andres! “Finalmente! Qualcuno che mi capisce!” disse Camilla, abbracciando il suo amico. Le risate si fecero ancora più forti, e a loro si aggiunsero anche Federico e Ludmilla. Anche loro, saputa la ‘brutta’ notizia del voto di Camilla, scoppiarono a ridere, e la rossa si arrabbiò ancora di più. L’unica persona che la capiva era: Andres. Bhè, oddio, non era proprio il massimo, ma andava bene. Qualcosa uscente dalla porta principale, catturò l’attenzione degli amici. Due persone, che scherzavano e ridevano, e che tenevano sottobraccio due cartelloni a testa. Mancavano solo loro due, all’appello. Violetta iniziò a tremare tutta, il cuore le si fermò e conficcò le unghie nel braccio di Francesca. Fu un attimo, un secondo. Leon si voltò verso i suoi amici, e quando incrociò quegli occhi color nocciola, fece cadere i cartelloni a terra. Entrambi sgranarono gli occhi, e sulle labbra di Violetta si estese un sorriso bellissimo, mentre gli occhi le luccicavano. Leon ne rimase incantato, sicuro che quella scena fosse solo il frutto della sua fantasia. Non era assolutamente, fisicamente possibile. No, no, era ovvio che tutto quello non era reale. Doveva di sicuro essersi addormentato mentre finiva i cartelloni. Non era possibile che la sua bambina, fosse a pochi metri di distanza da lui, quando invece dovevano essere a centinaia e centinaia kilometri di distanza. Violetta, la sua Violetta, la bambina di cinque anni fa, era cresciuta. Non era più quella ragazzina, anche se bellissima, che era partita. In quel momento aveva davanti una ragazza bella, formosa e perfetta. Sempre se il tutto non fosse generato dalla sua fantasia, parliamo chiaro. Ma non poteva essere un sogno, uno dei tanti che faceva la notte. Era la realtà, era tutto vero. Violetta era davanti a lui. Perfetta come nessuna, e bellissima come non mai. Sulle sue labbra si espanse il sorriso più bello che avesse mai fatto. Gli occhi gli luccicavano, ed il cuore accelerò senza preavviso. Erano sotto gli occhi di tutti, ma non importava a nessuno dei due. Dopo tanti anni si erano ritrovati, e non potevano essere più felici. Gery li guardava confusa.. adesso chi era quella ragazza? Perché Leon, il suo Leon, la guardava con occhi da sogno? Cosa stava accadendo? Che si era persa? Violetta fece cadere lo zaino a terra, per poi iniziare a correre verso Leon. Il ragazzo aprì le braccia, pronta a prenderla. Un secondo dopo, Violetta era circondata dalle braccia possenti, di Leon. La ragazza lo stringeva forte a sé, e lo stesso faceva lui, mentre la faceva girare. Quanti anni erano passati, e finalmente si potevano riabbracciare. Non doveva aspettare qualche settimana per riabbracciare la sua bimba.. lei era lì, tra le sue braccia, in quel momento. Entrambi non potevano chiedere cosa più bella. Si erano persi per qualche tempo, ma adesso che si erano ritrovati, niente e nessuno li avrebbe più separati.
 
ANGOLO AUTRICE:
Ehi, amoriiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii! Come va? Io bene, più o meno. Allora.. vi piace questo capitolo? Spero proprio di sì, visto che passo notti in bianco, per scriverli. Non so se avete letto il capitolo di Io&Te, per sempre. Il numero 11. Bhè, comunque dicevo che se non sviluppo un’idea appena mi viene, il giorno dopo non la ricordo più. Ed indovinate quando mi vengono le idee più brillanti? ESATTO.. LA NOTTE! Ma dico io.. sono normale? Bhè all’inizio troviamo Leon e Gery. Lo so che avreste voluto uccidere Gery.. anche io. Come si permette a farsi toccare da Leon! Non puo farle il solletico.. dopo troviamo Fran e Diego. Awww dolshi.. Gregorio mi ha fatto morire dalle risate, mentre lo stavo scrivendo. Ma mai quanto Camilla ed i suoi problemi sul ‘brutto’ voto in francese. Senti, carina. Io faccio il primo superiore, e per prendere sette in francese mi devo fare un c… vabbè. Infine ci sono i Leonetta.. Awwwwwwwwwwwwwwwww *-------* la scena non ha bisogno di descrizioni. Sono perfettissimi. Scusate se l'ultimo blocco è troppo corto, ma ve l'ho detto.. lo scrivo alle quatto di mattina! Ahahahahahahahah. Comunque non sapete quanto vi amo… non riuscite neanche ad immaginarlo. Al primo capitolo ho ricevuto 15 recensioni *---------* Oddio, non potete capire quanto ho pianto quando l’ho letto. Le visite hanno superato i 750. Awww, vi amo. Vi amo. Vi amo. Ed ho visto che siete in moltissimi a seguire la storia, mi sono davvero commossa. Ora devo scappare! Bacioni e alla prossima!
#Alice_Leonetta
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Terzo capitolo. ***


Leon stringeva Violetta a sé, continuando a girare. Le gambe della ragazza erano piegata in aria, e sulle labbra di entrambi c’era stampato un sorriso a trentadue denti. Più felici non potevano essere. Dopo tanto tempo, dopo tanti anni, si erano ritrovati. Non vedevano l’ora di passare del tempo insieme. Si sarebbero raccontati tutto quello che avevano passato. Ogni minimo, insignificante particolare. Erano stati lontani troppo tempo, e il modo in cui le loro braccia tenevano stretto l’altro,lo dimostrava. Erano amici.. migliori amici. Nessuno li avrebbe cambiati. Si conoscevano fin da piccoli, e non si sarebbero mai più separati. Dopo un lunghissimo minuto d’abbraccio, Leon le fece posare di nuovo i piedi a terra, accompagnandola in quel gesto tanto aggraziato e delicato. Violetta teneva le mani sul petto del suo amico, mentre lui aveva le sue posate sui fianchi della ragazza. Gery, che intanto aveva raggiunto il gruppo di amici, li guardava curiosa con le braccia incrociate sotto il seno, ed un sopracciglio alzato. Chi era quella ragazza? Come faceva a conoscere il suo Leon? Non l’aveva mai vista prima di quel momento lì a Buenos Aires. Non aveva mai sentito i suoi amici, e il suo Leon, parlare di lei. Perché l’abbracciava in quel modo? Chi era? Il gruppetto di amici, li guardava con sorrisi a trentadue denti sulle labbra, ed occhi luccicanti. Federico teneva stretta Ludmilla, con il petto contro la schiena della ragazza, le braccia che circondavano la vita e le mani congiunte sul suo ventre. Camilla era sulle gambe di Brodway, si era dimenticata completamente delle risate dei suoi amici, riguardo al suo ‘brutto’ voto in francese. Maxi e Nata, si tenevano per mano, ed ogni tanto si scambiavano qualche dolce bacio. Francesca in quel momento avrebbe tanto voluto che Diego, il suo ragazzo, fosse lì con lei. Ma andava bene.. Il suo sorriso era quello più bello, tra tutti i suoi amici. Era stato generato da Violetta e Leon. Probabilmente era la più felice di tutti, ovviamente non quanto i diretti interessati, ma ci andava vicino. Gli occhi le brillavano, e se non fosse stato per il fatto che si trovava davanti a tutti i suoi amici, sarebbe davvero scoppiata a piangere, per la troppa felicità. Forse nessun altro, esclusi Violetta e Leon, era felice quanto lei. Finalmente quei due si erano ritrovati. Quando Violetta partì, Leon era il più triste di tutti, ovviamente. La sua migliore amica era partita, forse per sempre, forse non sarebbe più tornata. Ma invece, ora era lì, tra le braccia del suo migliore amico, felice. “Ragazzi, ma mi dite chi è quella ragazza? Ci è venuta dietro tutto il giorno!” disse Andres, sempre più confuso. Tutti gli amici si voltarono verso il ragazzo come a dire ‘Ma allora ci sei scemo!’, ma si limitarono a lanciargli un’occhiataccia. “E adesso perché è corsa tra le braccia di Leon? Si conoscono?” chiese. A quel punto, tutti esclusa Gery, la quale non riusciva a capire, scoppiarono a ridere. “Andres, è Violetta!” esclamò Federico, voltandosi nuovamente verso il suo amico. Andres sgranò gli occhi, e spalancò la bocca. Violetta!? Quella Violetta?! Il ragazzo si alzò in piedi, disorientato. Gery fissava Federico, con la bocca leggermente aperta. E chi era adesso Violetta? Non aveva mai sentito quel nome, eppure era sicura che quella ragazza, l’avrebbe allontanata da Leon. Non l’aveva mai vista, ma già le metteva paura, non le avrebbe mai permesso di allontanarla dal suo Leon. Da quanto aveva capito, erano molto legati.. ma questo a lei non importava. Leon era suo. Suo e di nessun altra. “Violetta!” esclamò Andres stupito, sempre più confuso. “Sì, Andres! Violetta!” rispose Camilla, spazientita. Il ragazzo esitò un attimo, poi ricollegò tutto: Violetta era tornata, e in quel momento si trovava tra le braccia di Leon.. ecco perché gli era corsa incontro. Ed ecco perché lui l’aveva accolta a braccia aperte. “VIOLETTA!” gridò, correndo incontro alla sua vecchia amica, attirando sia la sua attenzione, sia quella di Leon. “Violetta!” gridò ancora, separandola dalle braccia di Leon, per stringerla tra le sue. “Andres! Non mi avevi ancora riconosciuta!?” chiese la ragazza, non molto stupita. Conosceva il suo amico.. Andres la lasciò andare, per poi grattarsi la nuca “Ehm, certo, certo! Come potrei non riconoscerti!” rispose fingendo un sorriso. “Ah-ah-ah. Divertente, Andres. Ma lasciamo stare..” disse la ragazza, posando le mani suoi fianchi. Leon scoppiò a ridere, ma prima che Violetta si voltasse nella sua direzione, Andres parlò di nuovo “Comunque, sei diventata bellissima, Vilu”. Violetta si bloccò, e sorrise dolcemente al suo amico, per poi mordersi il labbro inferiore, e saltargli al collo “Oh grazie, Andres!”. Il ragazzo la strinse forte, poi la lasciò andare “Ci vediamo dopo, ragazzi” disse salutandoli e tornando insieme al gruppetto. Leon le prese le mani, e la avvicinò a sé “Per una volta ha ragione, Andres..” disse fissandola con occhi sognati ed un sorriso mozzafiato. Violetta uguale, non riusciva ancora a credere che Leon, il suo Leon, il suo migliore amico, era diventato così.. incredibile. “..sei bellissima”  ripeté le parole del suo amico. Il cuore di Violetta si fermò improvvisamente, mentre le gambe tremavano. Se Leon non l’avesse tenuta per le mani, sarebbe caduta a terra. Arrossì improvvisamente, senza smettere di sorridere. No, certo che non poteva smettere di sorridere. Aveva finalmente ritrovato il suo migliore amico. La ragazza si morse il labbro inferiore, circondando il collo di Leon, la quale la strinse di nuovo, più forte che poteva. Gli era mancato non poterle dire che era bellissima. Quel momento, tutto quello che stava accadendo, tutta la situazione, lo faceva stare bene. Non vedeva l’ora di raccontare ai suoi genitori che i Castillo erano di nuovo a Buenos Aires. Erano tornati, e non sarebbero mai più andati via. No, non glielo avrebbero permesso. “Bentornata, bimba” le sussurrò all’orecchio, lasciandoci poi un dolce bacio. Violetta sciolse l’abbraccio, e lo guardò negli occhi. Rispecchiarsi, dopo tanto tempo, in quel mare verde, la faceva sentire in paradiso. Gli occhi di Leon non avrebbero mai smesso di trasmetterle sicurezza, perché Leon era il posto più sicuro del mondo, e su quello non c’era alcun dubbio. Le sue braccia erano casa sua, e ci si sarebbe rifugiata ogni volta che ne avrebbe avuto bisogno. Ed era sicura che Leon l’avrebbe accolta a braccia aperte, perché sì, le voleva bene. La amava. “Non ti dico che mi sei mancato tanto perché già lo sai” sussurrò Violetta, tornando a fissarlo negli occhi, e sorridendo. Lui fece una smorfia, forse per nascondere un sorriso, guardando altrove per poi tornare alla ragazza. “Mmm, io però te lo dico lo stesso..” iniziò il ragazzo, per poi continuare “..perché tu non ci credi mai!” esclamò iniziando a farle il solletico. Dio quanto gli era mancato poter toccare la pelle di Violetta. Quanto gli era mancato vederla ridere in quel modo. Quel sorriso era qualcosa di indescrivibile per lui, qualcosa che lo mandava al manicomio. Era una droga. Sì, il sorriso della sua Violetta era una droga. Come era riuscito tutti quegli anni a non vedere quel sorriso? A non sentire la sua voce, a non poterla vedere, toccare o abbracciare? Come era riuscito a sopravvivere lontano da quegli occhi, da quelle labbra? Dio quanto amava quelle labbra. Con il passare degli anni erano diventate ancora più belle.. come Violetta. Era davvero diventata una ragazza bellissima, e Leon non poteva non dirglielo. “No, Leon! Ti prego! Per favore! No! Basta!” gridò Violetta, cercando di liberarsi dalla presa del suo amico. Quei momenti con Leon, erano i più belli che aveva. Era tornata a Buenos Aires, aveva rincontrato i suoi amici ed il suo Leon. Cos’altro poteva desiderare? Ah, sì… che si trovasse una cura per la malattia di sua madre. Era ancora troppo giovane per andarsene. Era troppo giovane per lasciarla sola. Aveva bisogno di una madre con cui ridere, scherzare, passare nottate a chiacchierare di ragazzi, uscire a fare shopping e ridere di suo padre quando faceva qualcosa di buffo. Aveva bisogno di una persona con cui confidarsi, a cui raccontare i suoi segreti. Non poteva lasciarla, non poteva abbandonarla. Aveva bisogno di Maria, aveva bisogno di sua madre. Con chi si sarebbe confidata? Con chi avrebbe pianto quando un ragazzo l’avrebbe lasciata? Chi l’avrebbe consolata? Sua madre era tutto, il suo tutto. Non riusciva ancora ad immaginare che l’avrebbe persa di lì a poco tempo. Non riusciva a credere che non l’avrebbe più vista, se non in una foto su una lapide. La cosa che la faceva tirare un po’ su di morale, era che almeno una volta arrivata in paradiso sarebbe stata felice, e non avrebbe più sofferto. Una volta in paradiso, l’avrebbe protetta meglio di chiunque altro. L’avrebbe guidata nelle scelte giuste da fare, quelle più difficili e nelle decisioni da prendere. L’avrebbe aiutata, semplicemente ricordandole che doveva seguire il suo cuore. In quel modo non si sarebbe mai sbagliata. E Violetta l’avrebbe ascoltata, sempre. “Dai, Leon! Per favore, basta! Ci credo, giuro che ci credo!” gridò ancora, non riuscendo a smettere di ridere. Sentire quella risata, per Leon era come essere in paradiso. Ricordava quando, qualche momento prima aveva fatto la stessa cosa alla sua amica Gery. Ma chiariamoci… Violetta non era paragonabile a Gery. La risata di Violetta era qualcosa di… unico, di magico. Non erano paragonabili le due cose. Certo, Gery era molto simpatica, carina e tutto, ma Violetta… bhè lei era la sua migliore amica. Era la persona per cui avrebbe dato tutto, per cui si sarebbe messo in gioco anche a costo della sua stessa vita. Era la persona per cui valeva lottare, e quella per cui avrebbe rischiato di perdere tutto. Era la persona di cui non avrebbe più fatto a meno, perché adesso che l’aveva ritrovata, di sicuro non l’avrebbe lasciata andar via di nuovo. Leon si fermò, posando le mani sui fianchi di Violetta, ed entrambi ancora con un sorriso sulle labbra. “Ma ti sembra il momento!” esclamò stupita la ragazza, cercando di nascondere un sorriso, ma le fu impossibile. Come poteva non sorridere davanti ad uno spettacolo del genere? Andiamo, su! Non le importava che erano sotto gli occhi di tutto il gruppo. Loro sapevano quanto erano stati lontani, quanto era costato ad entrambi… ma soprattutto sapevano quanto si amavano. Tutti lo sapevano, perfino i loro genitori. Tutti. Tranne i diretti interessati. Tutti speravano in un loro passo avanti, ma non arrivava mai. Certo, si erano appena rivisti dopo tanto, tanto tempo… ma ciò non cambiava di molto le cose. Non sapevano il perché, ma i loro amici sapevano che tra quei due, presto sarebbe cambiato tutto. Non sarebbero più stati migliori amici. Sarebbero cambiati. “Certo che mi sembra il momento. Cosa stiamo facendo di male?” chiese innocentemente Leon, attirandola di più a sé. Violetta sussultò, e poggiò le mani sul petto del ragazzo. Si morse il labbro inferiore e scosse la testa, sorridendo. L’avrebbe fatta diventare matta. Passò ancora qualche altro secondo… “Allora? Non volevi dirmi una cosa… prima di iniziare a farmi il solletico, che ti ricordo soffro molto!” esclamò alzando l’indice destro. Leon scoppiò a ridere, e Violetta lo seguì a ruota, cedendo. In quel momento, entrambi si innamorarono della risata dell’altro. Erano davvero bellissimi. “Sì, volevo dirti che mi sei mancata” rispose Leon, preparandosi alla bastonata di Violetta, ormai la conosceva, e sapeva come avrebbe reagito. Infatti, Violetta sgranò gli occhi, e spalancò la bocca guardandolo di sottecchi. “Ti sono mancata?” chiese, inizialmente tranquilla, poi scoppiò “Ti sono mancata?! Solo questo sai dire! Leon Vargas, non me lo sarei mai aspettato da te!” gridò. Gery intanto si gustava la scena, con le braccia incrociate ed un sorriso soddisfatto sulle labbra. Stavano litigando, e lei era felice. Il gruppetto di amici, invece scoppiò a ridere, conoscendo la loro amica. Tutti ridevano, dal primo all’ultimo, perfino Andres. Gery si girò verso i suoi amici, confusa ed accigliata. E adesso perché ridevano?! Cosa c’era da ridere! Lei sorrideva perché stavano litigando, ma loro perché? Di certo non per il suo stesso motivo. Si voltò di nuovo verso i due, sempre più confusa. “D’accordo, d’accordo. Mi sei mancata un po’” la provocò il ragazzo, senza smettere di sorridere. Violetta aprì di più la bocca, e cercando di nascondere un sorriso, si allontanò da Leon, togliendogli le mani da sopra i suoi fianchi. “Addio, Vargas!” esclamò facendo finta di andar via. Leon si morse il labbro inferiore, guardando altrove, ma prontamente la prese per un braccio e facendola voltare, la fece scontare di nuovo contro il suo petto. Su entrambi i visi un dolce sorriso “Solo un po’?” chiese la mora, con la faccia da cucciola. Sapeva che Leon stava scherzando, sapeva che faceva parte del loro gioco. Le era mancato infinitamente giocare con lui, ridere e scherzare in quel modo. Le erano mancate le sue sfughettate per poi essere presa per un braccio, e scontarsi con lui. Il ragazzo scosse la testa, sorridendo. “No, molto. Moltissimo. Anzi, ti dirò di più.. Non riuscivo più a sopportare la tua assenza. Stavo per venire a Madrid a riprenderti” ammise lui. Era vero… se Violetta non fosse tornata, sarebbe andato lui a Madrid (per le vacanze di Natale) a riprendersela. “Ah si? Come no!” rispose la mora circondandogli il collo con le braccia. “Vedi che ho ragione quando dico che non credi a nulla” puntualizzò Vargas. Violetta serrò le labbra tra loro, cercando di non scoppiare a ridere. Leon, vedendo la sua espressione non poté non trattenere una risata “Sei unica!” esclamò, ancora ridendo. “Bhè, modestamente!” rispose schietta Violetta, fingendo di atteggiarsi. Con Leon poteva essere se stessa, sentiva di poter essere se stessa. Con lui non aveva bisogno di nascondersi, o di trattenersi nel dire o fare qualcosa… Leon la accettava così com’era. E sinceramente gli piaceva molto. Il ragazzo si morse il labbro inferiore, scuotendo poi la testa. “Comunque certo che ti credo… e non ne potrei essere più felice” continuò Violetta, sorridendo dolcemente. Anche Leon si sciolse in un sorriso, e la strinse nuovamente, ricominciando a farla girare. “Dai, toniamo dagli altri, li abbiamo fatti aspettare fin troppo” propose Leon, prendendo per mano Violetta, la quale acconsentì annuendo, e insieme si avviarono dai loro amici. “Finalmente! Sto morendo di fame, ragazzi!” esclamò Maxi aprendo le braccia davanti a sé, e partì un’altra risata. “Maxi, potevi anche andare, non ci offendevamo mica!” rispose Leon, prendendolo in giro. Il suo amico gli fece una smorfia “Ah-ah-ah, divertente, Vargas. Lo sai che mi devi accompagnare tu a casa!” esclamò il ballerino facendogli una linguaccia. Sembravano essere tornati alle elementari. Un’altra risata. L’unica che non rideva, era Gery. Si sentiva infastidita dalla presenza di Violetta. Cos’era tornata a fare? Cosa voleva dal suo Leon? Perché si tenevano per mano? Poi arrivò il lampo di genio, sorrise “Sì, Leon. Devi accompagnare anche me” disse dirigendosi verso di lui, e parandosi davanti al ragazzo. Leon la guardava confuso… Gery aveva la sua auto. Improvvisamente, Leon sentì una stretta fortissima sulla sua mano. Si voltò verso Violetta, la quale stava incenerendo Gery con lo sguardo, squadrandola da cima a fondo. Nascose un sorriso, guardando la sua Violetta che spruzzava gelosia da tutti i pori. Le strinse di più la sua mano, come per infonderle coraggio e sicurezza. Lei si voltò verso il suo amico, e sorrise a quel gesto così dolce e premuroso. Leon fissò ancora Gery, poi di nuovo Violetta “Violetta, lei è Gery. Gery Violetta” le presentò lui. A quindi era lei Gery… mh. E cosa voleva dal suo Leon? Doveva accompagnarla a casa? Se lo sarebbe sognato. “Piacere” disse falsamente Violetta, porgendole la mano. Gery esitò un attimo, poi la strinse sorridendole anche lei falsamente, per poi voltarsi ancora verso Leon. “Allora? Andiamo?” chiese euforica la ragazza mordendosi il labbro. Leon portò una mano dietro la nuca, e sul suo viso perfetto apparve un’espressione dispiaciuta “Veramente volevo accompagnare Violetta. Scusami…” disse, per poi spostare lo sguardo verso Maxi “…a te non dispiace, vero Maxi?” chiese. L’espressione di Maxi era tra lo stupito e l’impossibile. “Ho aspettato tutto questo tem… Ahi!” gridò, non appena sentì la gomitata della sua ragazza sulle costole “Certo che non gli dispiace, ci darà un passaggio Francesca. Tranquillo, Leon” disse la riccia, sorridendogli. “Grazie…” ringraziò, per poi voltarsi verso Violetta “…andiamo?”. La mora annuì, ed insieme di avviarono verso la macchina di Leon. Quando tutti furono sicuri che fossero partiti, si attaccarono a Maxi “Ma insomma, Maxi! Dopo tanto che stanno insieme tu li vuoi separare?! Ma come funzioni!” gridò Ludmilla. “Lud, ha perfettamente ragione! Cosa ti passa per la testa!” questa volta a parlare fu la rossa, alzatasi dalle gambe del suo ragazzo. “Ok, scusate, scusate! Non l’ho fatto di proposito!” rispose innocentemente Maxi alzando le mani. “Tu prova a rifarlo a ti lascio” lo minacciò Nata puntandogli il dito contro. Maxi si sciolse in un sorriso, avvicinandosi alla sua ragazza “Prima ti devi far perdonare per la gomitata” disse afferrandola per i fianchi, ed attirandola a sé. La riccia non poté non trattenere un sorriso, ed annuì facendo combaciare le sue labbra con quelle del suo ragazzo. “Awww” dissero tutti in coro, per poi imitarli. In quel momento, Gregorio e Diego uscirono dall’edificio, e Francesca non fece in tempo a voltarsi che già il suo ragazzo l’aveva presa per i fianchi, e aveva fatto combaciare le loro labbra. Gery intanto, ripensava alle parole di Leon… Ora non era più lei la ragazza più importante della sua vita. Sempre che lo fosse stata.
 
 
 “Mamma, perché non riesci a capire quello che provo per Federico! Lo amo, e né te né le tue lamentele mi faranno cambiare idea!” gridò Ludmilla in faccia a sua madre, la quale sbuffò portandosi le mani sopra i fianchi. “Capisco quello che provi per quel ragazzo e…” la bionda la interruppe “Quel ragazzo, come dici tu, ha un nome! E’ Federico! Ed è il mio ragazzo, che ti piaccia o no!”. “Ludmilla, basta! So che lo ami, so quello che provi per lui! Ci sono passata anche io alla tua età, ma Federico non mi è mai piaciuto, e mai mi piacerà! Fine della discussione” ribatté la donna incrociando le braccia al petto, e dirigendosi in cucina. La ragazza la seguì, scuotendo il dito in segno di negazione “Oh no, mamma. La discussione non è finita. Non finirà finché non rispetterai la nostra relazione!” disse Ludmilla, contraddicendo la madre. Era vero, a Priscilla non era mai piaciuto Federico. Il perché era ancora ignoto alla figlia, ma Ludmilla avrebbe fatto di tutto pur di far cambiare idea a sua madre. Federico era la persona che amava di più al mondo. Era il ragazzo che le aveva rubato il cuore, che l’aveva stregata con la sua così tanta bellezza. Federico era l’esempio dell’italiano perfetto. Per Ludmilla non esisteva altra persona più bella. Tempo prima, era riuscita anche ad ammettere che Federico, era molto più bello di lei… e non le fu facile. Era ormai più di un anno che stavano insieme, e sin dal primo momento, Priscilla, non accettò la loro storia. Anche se tutte le volte che incontrava Federico si dimostrava dolce e premurosa, come una vera mamma. Ma in realtà non lo era affatto. O almeno questa era l’opinione di Ludmilla. Odiava sua madre, la odiava con tutta se stessa. Ad ogni sua decisione, la donna le andava contro. Non era mai d’accordo con sua figlia. Ogni volta che Ludmilla portava delle amiche a casa, certo Priscilla all’inizio non obiettava, doveva dimostrarsi carina e disponibile. Ma quando poi le amiche della figlia se ne andavano, cominciava a sgridarla e la metteva in punizione. Qualche volta le metteva anche le mani addosso. Ludmilla era una ragazza che soffriva molto. I suoi genitori si separarono quando lei aveva solo sette anni. Suo padre si trasferì in Africa, poco dopo la separazione con la moglie. Suo padre le mancava moltissimo. Era l’unico, oltre naturalmente a Federico, che riusciva a capirla, che la faceva sorridere e sentir bene. Ludmilla ricordava ancora tutte le loro risate, i giochi e gli scherzi che si facevano. Voleva un gran bene a suo padre, e le mancava da morire. Di li a poche settimane, lo avrebbe rivisto, dato che Alvaro, suo padre, aveva deciso di trascorrere le vacanze di Natale insieme a sua figlia. Ormai era parecchio tempo che non lo vedeva… dal suo ultimo compleanno, durante il quale l’uomo era volato a Buenos Aires a posta per festeggiare sua figlia. Ogni volta che si ritrovavano erano felici, entrambi. Alvaro non aveva mai conosciuto Federico, durante il compleanno della ragazza, ci furono delle… complicazioni. Per complicazioni si intende che Federico, volle fare un regalo speciale alla sua ragazza, ed arrivò in ritardo alla festa. Purtroppo però Alvaro dovette ripartire quella sera stessa, e quindi non incontrò il ragazzo della figlia. Ma presto l’avrebbe conosciuto, e la bionda era sicura che a suo padre sarebbe piaciuto. Lui la capiva. Federico era qualcosa di inspiegabile, per Ludmilla. Era la sua aria. Non poteva vivere senza di lui, non sarebbe riuscita a vivere senza i suoi baci, le sue carezza, le dolci attenzioni che le dedicava. Senza quelle sue frasi così dolci, i suoi regali ed il suo modo di renderla felice anche solo sfiorandola. Perché sì, Federico la rendeva felice, e Ludmilla non né avrebbe mai più fatto a meno. “Cerca di portarmi rispetto, signorina. Non sai di quello che sono capace, e non ti conviene metterti contro tua madre. Non voglio che vedi più quel ragazzo. Se vi trovo ancora una volta insieme, puoi anche dirgli addio” la minacciò la donna, per poi fulminare la figlia con lo sguardo, ed andarsene in camera. Sul viso di Ludmilla iniziarono a scorrere lacrime, le mani e le gambe tremavano, ed il cuore le faceva male. Dovette aggrapparsi al piano della cucina, per non cadere a terra. Non poteva dire addio a Federico, non poteva lasciarlo. Lui era tutta la sua vita, la ragione del suo sorriso. Per quale motivo sua madre non riusciva a capirlo? Perché non capiva che Federico la rendeva felice, che la faceva star bene? Federico era il suo tutto, e non poteva assolutamente lasciarlo. Aveva bisogno di lui, di tutte quelle sue attenzioni, che solo lui sapeva dedicarle. Ne aveva bisogno, in quel momento e per sempre. Amava Federico, e lui amava lei. La bionda non avrebbe permesso a niente, ma soprattutto a nessuno di dividerli erano fatti l’uno per l’altra, si completavano a vicenda. Doveva parlare con Federico, raccontargli tutta la verità, sperando che sarebbe riuscito a capirla. Federico non avrebbe mai permesso a nessuno di dividerli. Avrebbe lottato, se fosse risultato necessario, per rimanere al fianco della ragazza che amava. Una storia alla ‘Romeo e Giulietta’, ma con un lieto fine. Improvvisamente sentì bussare alla porta, alzò la testa, affrettandosi ad aprire. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano, sistemandosi il più bene possibile. Afferrò la maniglia, e la tirò verso di sé. “Diego” sussurrò la bionda, facendo fuoriuscire l’aria dai polmoni e rilassandosi. Aveva paura che fosse Federico. Per una volta, aveva paura di vedere il suo ragazzo. “Sapevo che stavi male” disse Diego, avanzando nel salotto senza neanche il permesso di Ludmilla. La bionda chiuse la porta, per poi incrociare le braccia al petto e voltarsi verso lo spagnolo. “Ancora non capisce” disse la ragazza, avvicinandosi al suo amico, e affondando la faccia nel petto del ragazzo. Diego la circondò con le sue possenti braccia, per poi stringerla più forte a sé. “Tranquilla, te l’ho detto, e te lo ripeterò finché non ti entrerà in testa…” disse il ragazzo, avvicinandosi all’orecchio della bionda “…andrà tutto bene”. Ludmilla alzò la testa, posando le mani sul petto di Diego, per poi scuotere leggermente la testa. “No, non questa volta. Non vuole capire quanto io lo ami. Quanto sia importante per me, quanto mi faccia star bene. Si rifiuta di accettarlo”. Diego mise due dita sotto il mento della ragazza, per poi alzare la sua testa e far incontrare i loro occhi. “Ti fidi di me?” chiese il ragazzo, senza distogliere lo sguardo da quello di Ludmilla, la quale esitò per qualche secondo, per poi annuire leggermente. “Allora credimi, quando ti dico che andrà tutto bene… anche questa volta” ripeté Diego, facendola sorridere. Era incredibile che con solo un paio di parole di incoraggiamento era riuscito a farla sorridere. Allacciò le braccia attorno al suo collo per poi stringerlo ancora più forte di prima. “Grazie” sussurrò la bionda, ancora con un dolce sorriso stampato sulle labbra “Grazie davvero. Non so cosa farei senza te” disse per poi guardarlo nuovamente negli occhi. “Mi dici come hai fatto a sapere che sto male?” chiese improvvisamente. Diego alzò l’indice destro, facendola sobbalzare “Stavi, male. Ora grazie a me stai alla grande!” esclamò, per poi scoppiare in una fragorosa risata insieme alla sua amica. “D’accordo, stavo male. Ma ora rispondi!” ordinò la bionda, aspettandosi una delle sue risposte alla… Diego. Ma si fece serio, anche se sulle labbra c’era ancora abbozzato un leggero sorriso. “Perché sono il tuo migliore amico, e ti conosco meglio di chiunque altro” rispose, guardandola intensamente negli occhi. La bionda si morse il labbro inferiore, per poi sorridere dolcemente. “No, sul serio… come hai fatto?” chiese nuovamente ridendo e prendendolo in giro. Il ragazzo alzò un sopracciglio, cercando di trattenere un sorriso, ma gli fu impossibile. “Non mi credi, biondina? Ora ti faccio vedere io!” esclamò lasciandola dalla sua presa e cominciando a stuzzicarla nei punti dove soffriva maggiormente il solletico. Per le troppe risate, finirono sul divano, uno sopra l’altra, ridendo a crepapelle con le lacrime agli occhi. “Ci credo! Ci credo!” ammise Ludmilla, tra una risata e l’altra “Giura!” le ordinò Diego, non potendosi non godere lo spettacolo della sua amica, che implorava di lasciarla… non direttamente, malo stava implorando. “Giuro!” gridò infine la ragazza; Diego la lasciò andare, sedendosi accanto a lei, mentre riprendeva fiato. Ludmilla soffiò su una ciocca di capelli, davanti agli occhi e con la mano la passò dietro l’orecchio. “Ti rendi conto di cosa hai fatto ai miei poveri capelli?” esclamò, indicando con la mano, la massa di capelli biondi spettinati. Diego si morse il labbro inferiore per non scoppiarle a ridere in faccia “E non ridere! Che non è affatto divertente!” gli ordinò la bionda, puntandole l’indice contro. A quel punto Diego scoppiò e si portò una mano sullo stomaco. Gli stava facendo male, per le troppe risate. La ragazza sbuffò, dandogli un colpetto sul braccia, ed incrociando le sue al petto. Quando Diego la smise di prenderla in giro, si voltò nella sua direzione “Finito?” chiese lei, mordendosi il labbro inferiore; lo spagnolo annuì facendo un respiro profondo, e calmandosi. “Bene. Ora rispondi alla domanda” ordinò ancora Ludmilla, curiosa della risposta dell’amico. “Ho visto te e Federico andare via in macchina. E mi sono ricordato che oggi era lui a doverti riaccompagnare a casa. Così sono corso qui, sapendo che tua madre si sarebbe arrabbiata vedendoti con lui” spiegò Diego, prendendo le mani della sua amica, la quale annuì seriamente. “Ho bisogno di parlare con lui. Devo raccontargli tutto… vada come vada. Ho paura di perderlo, ma so che non accadrà. Federico mi ama” ammise la bionda sicura di sé. Diego annuì “Sì, non accadrà. Siete fatti l’uno per l’altra. Nessuno riuscirà a dividervi. Il vostro amore è così bello che è indescrivibile. Durerà per sempre” la rassicurò. “Diego, per favore. Non mettere in testa certe cose a Ludmilla. Non le fa bene. Poi sapete entrambi come la penso” disse una voce scendente dalle scale. I due si alzarono immediatamente in piedi, e lo spagnolo circondò la vita della sua amica, con un braccio. La strinse a sé, cercando di rassicurarla e calmarla. Sarebbe andato tutto bene. “Priscilla, per favore, pensaci. Federico e Ludmilla sono perfetti. Sono la coppia più bella che abbia mai visto… La fa sentire bene, la far star bene. Solo Federico ci riesce, neanche io che sono il suo migliore amico riesco a farla sentire così. E’ una dote che possiede solo lui, e non puoi separarli. Ne soffrirebbero molto entrambi. Vuoi questo per Ludmilla?” chiese Diego, con il cuore a mille, tenendo stretta Ludmilla perché sapeva che di lì a poco sarebbe scoppiata, ed era suo dovere tranquillizzarla. La ragazza aveva il cuore che batteva forte e veloce, tremava tutta e doveva ringraziare Diego che la teneva stratta, altrimenti sarebbe caduta a terra. Avrebbe ceduto. “Senti, Diego. Non dare lezioni di vita, a me. Sono qualche anno più grande di te, e pretendo che mi porti rispetto” lo riprese la donna, fulminandolo. “Priscilla, io non voglio assolutamente mancarti di rispetto, ci mancherebbe altro. Ma non sto scherzando. Ludmilla si sente la ragazza più felice del mondo quando è tra le braccia di Federico. Io lo vedo, sempre. Si amano in un modo incredibile. E lei è felice quando sono insieme” insistette lo spagnolo. “Io voglio solo il bene per mia figlia, e Federico non lo è!” esclamò la donna, incrociando le braccia al petto. “Perché no?! Cosa ti ha fatto di male!?” sbottò Ludmilla, ormai con le lacrime che uscivano veloci e che le rigavano il perfetto e delicato viso. “Per favore, Ludmilla. Non fare le lacrime da coccodrillo che tanto non mi incanti. Ho preso la mia decisione. Tu non vedrai più Federico. E non ne voglio più parlare” disse Priscilla, ancora convinta che allontanare Federico da Ludmilla fosse la cosa migliore. “No, mamma. Questa è la tua decisione. Anche io ho preso la mia, ed è quella di restare accanto a Federico. Che ti piaccia o no. Perché se non l’avessi capito: io lo amo. Lo amo con tutta me stessa. E né tu, né nessun altro riuscirete a separarci. Ci amiamo. Ma forse tu non sai cosa significa amare, visto che è per colpa tua che tu e papà avete divorziato. E’ per colpa tua che se ne è andato! Credevi che non lo sapessi!” la attaccò la bionda. Improvvisamente si sentì uno schiocco, e Ludmilla si portò una mano sulla guancia destra. L’aveva colpita. Sua madre le aveva dato uno schiaffo. I capelli davanti al viso, per nascondere le lacrime. Diego la teneva stretta e la abbracciò forte, non appena sentì un respiro profondo da parte della sua amica. Ludmilla era troppo forte. Non riusciva a capacitarsi che una ragazza così debole e fragile, riuscisse a sopportare tutta quella pressione, da parte della madre. Priscilla era davvero una donna cattiva. Ludmilla di certo non aveva ripreso da lei. Lei era dolce, buona, carina, simpatica e tutto… come suo padre. “Non provare mai più a dire una cosa del genere. Non mi mancare mai più di rispetto, sono tua madre, Ludmilla” disse la donna puntandole l’indice destro contro “Sì, ed io sono tua figlia. Ma a quanto pare non ti interessa. Non ti interessa che io sia felice con Federico. Non ti interessa che lui riesca a farmi sentire bene. Non fa niente sai, posso vivere anche senza una madre. Forse è anche meglio. Preferisco perdere te, piuttosto che Federico” ammise Ludmilla. Era vero… le avrebbe fatto meno male non avere una madre, che perdere la sua unica ragione di vita. Federico era tutto, tutto per lei, e non poteva separarsene. Lo amava. “Con queste parole gli hai appena detto addio” annunciò Priscilla per poi salire in camere e sbattere la porta con violenza. Ludmilla scoppiò in un pianto isterico, buttandosi sul divano, accompagnata da Diego. No, non poteva accettare la decisione di sua madre. Sempre che quella fosse una madre. Non poteva dire addio alla sua ragione di vita. Non poteva lasciare Federico. Diego la fece accoccolare sul suo petto, mentre continuava a piangere. Le accarezzava i capelli lasciandole dei piccoli ma dolci baci dappertutto, continuando a ripeterle questa frase: “L’amore che vi unisce è più forte di qualsiasi altra cosa”.
 
 
 A casa Vargas c’era molta tensione. Alejandro e Clara stavano cercando le parole giuste per dire a Leon, che i Castillo erano tornati a Buenos Aires. Che finalmente lui poteva riabbracciare la sua bambina. Che, dopo tanto tempo potevano stare di nuovo tutti insieme, come ai vecchi tempi. Dio quanto gli mancavano i vecchi tempi, quando passavano pomeriggi interi a casa dei Castillo, o viceversa. Alejandro ricordava perfettamente tutte le grigliate a bordo piscina che faceva con il suo amico German, mentre le loro mogli erano a prendere il sole, e Violetta e Leon giocavano in acqua. Ricordava tutti i pranzi e le cene fatte insieme a loro, tutte le risate e le arrabbiature che si prendevano perché i due bambini non volevano mangiare. Delle volte si alleavano per ‘costringerli’ a lasciarli andare a giocare. Si arrabbiavano, ma non potevano mai trattenere una risata davanti alle facce furbette dei due. “Papà! Leon vuole andare a giocare… Posso accompagnarlo?” chiedeva Violetta, indicando il bambino dagli occhi verdi, di fianco a lei. “Non è vero! E’ Violetta che vuole giocare. E io la accompagno, perché non può andare da sola, è pericoloso” ribatteva Leon, prendendo la mano della ragazzina, ed alzandosi da tavola. “Ma, Leon. Siamo a casa… non è pericoloso” diceva Clara, con un sorriso sulle labbra, come il resto degli adulti. “E’ uguale, mamma. Violetta è la mia bambina, e non posso lasciarla da sola”. Tutti i genitori scoppiavano a ridere, ed a quel punto non potevano non lasciarli andare. Iniziavano a correre sul prato, mano nella mano, senza lasciarsi mai. Si buttavano sull’erba, e Leon le baciava la mano, per poi passare alla guancia e finire con un bacio a stampo sulle labbra. “Leon! Ma cosa fai! Non siamo come i grandi!” esclamava Violetta ridendo. “Non mi importa, non posso darti un bacio sulla bocca?” chiedeva il bambino di sette anni, alla sua amica. “Sì, certo che puoi. Solo che devi promettermi una cosa!” diceva la bambina, puntandogli il dito contro “Cosa?” “Devi promettermi che non darai un bacio sulla bocca a nessun’altra. Solo a me”. Leon sorrideva ed annuiva “Sì, ti prometto che darò bacetti solo a te” prometteva, per poi ricominciare a correre insieme. “Secondo te come la prenderà?” chiese all’improvviso Clara, distogliendolo dal suo ricordo. L’uomo batté un paio di volte le palpebre poi si voltò verso sua moglie, sorridendo. La donna si sfregava le mani per la troppa tensione, e sul viso c’era un’espressione tra l’impaurita, la preoccupata e l’ansiosa. “Come vuoi che la prenderà? Bene ovviamente!” esclamò Alejandro sorridendo, e accarezzando le braccia di sua moglie per tranquillizzarla. “E’ tornata la sua bambina, ovvio che sarà felice” continuò l’uomo, con un sorriso dolce stampato sulle labbra. Sperava con tutto il cuore, che suo figlio volesse davvero passare del tempo con Violetta, con la sua bambina. Sperava che non si fosse dimenticato di lei, ma si convinse subito del fatto che fosse impossibile. Da quando i Castillo erano partiti, Leon non si era mai tolto quel braccialetto dal polso, neanche per sbaglio. Era sempre attento, giorno e notte, che fosse lì, nel polso destro, proprio dove Violetta lo aveva legato. Si ricordò anche, di tutte le foto che suo figlio aveva ancora nella sua camera. Sul comodino c’era una foto di Leon e Violetta, di quando avevano all’incirca tre anni, mano nella mano. Era il loro primo giorno d’asilo, ed infatti entrambi indossavano uno zainetto sulle spalle, ed un grembiulino. Un’altra foto era sulla scrivania, in quella erano più grandi, ma non di molto… forse avevano cinque anni. Lì, erano al parco giochi, entrambi sull’altalena che sorridevano. La stanza di Leon, era piena fino all’orlo, di foto sue e di Violetta; sulle pareti, sui mobili… Ovvio che non l’aveva dimenticata. Ma forse, la foto più bella, era quella nel portafoglio del ragazzo. In quella piccola fotografia, c’erano due bambini di sette anni che si davano un piccolo bacio sulla bocca. Ogni volta che Leon la tirava fuori per guardarla, un dolce sorriso gli si stampava sulle labbra, al ricordo della sua bambina. Non avrebbe mai buttato quella foto, non l’avrebbe mai messa da parte. Era il pezzo di carta che aveva più valore, dentro il suo portafoglio. Nessuno l’aveva mai vista, neanche Violetta. Forse solo Alejandro e Clara, ma Leon non ne era totalmente sicuro. “Certo, che stupida che sono. Come può non essere felice” disse la donna sorridendo al marito, per poi lasciargli un bacio a fior di labbra. “Che dici, si saranno incontrati a scuola?” chiese ancora Clara, separandosi dal marito per guardarlo negli occhi verdi. Alejandro alzò le spalle, e contorse la bocca “Non ne ho idea, ma spero di sì. Almeno non lo verrà a sapere da noi”. La donna annuì sorridendo “Hai ragione”. Improvvisamente sentirono la chiave inserirsi nella serratura, e si allontanarono immediatamente come due bambini sorpresi a rubare caramelle. Un secondo dopo videro la figura di Leon entrare in casa, e chiudere la porta. “Leon!” esclamarono in unisono i due, con un sorriso sulle labbra. Leon avanzò nel salotto, posando le chiavi su un mobiletto di fianco al divano, e gettando lo zaino sul parquet di legno che ricopriva il pavimento. Si fermò a pochi passi di distanza dai suoi genitori, con un sorriso a trentadue denti stampato sul viso. “Ho una bellissima notizia da darvi!” esclamò pieno d’entusiasmo, ancora non avendo realizzato bene che la sua bambina era tornata. E non lo avrebbe più lasciato, né lui l’avrebbe permesso. “Anche noi, Leon! Non crederai a cosa stiamo per dirti” rispose Alejandro, non sapendo che si trattava dello stesso argomento del quale suo figlio stava per raccontare. Alejandro e Clara si sedettero sul divano, mentre Leon rimase in piedi, davanti a loro. “No, aspettate. Lasciate parlare prima me. E’ una notizia… bellissima! Forse la più bella che abbiate mai ricevuto” enfatizzò il ragazzo, senza smettere di tremare. Era così contento che i Castillo fossero tornati a Buenos Aires che non gli uscivano le parole dalla bocca. “Tesoro, credo che la nostra notizia sia più importante” insistette Clara, cercando di calmare suo figlio. Non che fosse arrabbiato, ma lo vedeva così euforico che aveva paura che si sentisse male. “No, un attimo mamma. Vi prego, ascoltate prima me” supplicò Leon, sedendosi sul divano di fronte ai suoi genitori. “D’accordo, Leon. Parla, ti ascoltiamo. Qual è questa super notizia?” chiese suo padre cedendo. Il ragazzo fece un respiro profondo, stringendo le ginocchia con tutta la forza che aveva, come per infondersi coraggio. Senza smettere di sorridere, spostava lo sguardo da suo padre a sua madre, e viceversa. “I Castillo sono tornati” disse tranquillo fuori, ma dentro stava scoppiando. Per la troppa gioia voleva mettersi a piangere e correre per tutta casa, come da piccolo. Il cuore gli batteva così veloce, che era convinto che da un momento all’altro avrebbe sfondato la gabbia toracica. Le mani tremavano, gli occhi brillavano e le labbra sorridevano. Intanto nella mente, stava organizzando tutto il pomeriggio da passare con la sua bambina. Per prima cosa sarebbe passato a prenderla a casa, l’avrebbe portata al parco, ed avrebbero iniziato a correre, correre e correre. Senza mai fermarsi, mano nella mano, come da piccoli. L’avrebbe spinta sull’altalena, poi si sarebbero sdraiati sull’erba, e l’avrebbe fatta accoccolare al suo petto, guardando le nuvole. Mentre lei sarebbe stata impegnata a riconoscere le forme in cielo, lui l’avrebbe guardata e guardata. Non si sarebbe mai stancato di rimanere a fissarla. Era diventata una ragazza bellissima, con curve e forme perfette, due grandi occhi color nocciola e delle labbra da farti impazzire. Avrebbe giocato con i suoi capelli, l’avrebbe stretta a sé, ed avrebbe inspirato tutto il suo profumo. L’avrebbe chiamata ‘Bimba’, perché era la sua bambina, perché lei amava quel soprannome, perché amava essere la sua bimba. Sarebbero stati tutto il pomeriggio insieme, l’avrebbe portata a prendere il gelato, con ovviamente i suoi gusti preferiti: panna e cioccolato. Si sarebbe divertito nel vederla sporcarsi tutto il viso con il cioccolato, e l’avrebbe amata sempre di più quando l’avrebbe aiutata a pulirsi con un fazzoletto. L’avrebbe presa in giro quando le avrebbe messo della panna sul naso, ed avrebbe riso quando lei con la lingua, avrebbe provato a toccarsi il naso per riuscire a prenderla. L’avrebbe portata sulla spiaggia, ovviamente non a fare il bagno… l’avrebbe portata lì per guardare il mare. Guardarlo mentre si infrange sugli scogli, mentre si rinsacca per poi infrangersi di nuovo a riva. L’avrebbe tenuta stretta a sé, lasciandole dei piccoli bacetti dappertutto, e mentre lei rideva, lui ne avrebbe approfittato per continuare a guardarla. La sera l’avrebbe portata da qualche parte a guardare le stelle, mai belle quanto lei. “Bhè, che c’è? Non dite niente?” chiese stupito il ragazzo, mentre i suoi genitori si guardavano e sorridevano. “Lo sapevamo, Leon” rispose finalmente l’uomo spostando lo sguardo su so figlio. Sulla faccia di Leon apparve un’espressione confusa. Come facevano già a saperlo? Poi ricollegò tutto. Si alzò di scatto, accigliandosi “SAPEVATE CHE ERANO TORNATI E NON MI AVETE DETTO NIENTE!” gridò furioso contro i sui genitori. Come avevano potuto. Sapevano quanto Violetta fosse importate per lui, sapevano che non vedeva l’ora che tornasse. Sapevano che la amava, che non poteva vivere senza lei, sapevano che quei cinque anni erano stati i più difficili della sua vita, senza la sua bambina. Come avevano potuto tenergli nascosta una cosa del genere! “Come avete potuto! Vi devo ricordare tutto quello che ho passato quando sono partiti! Vi devo ricordare quanto sia importante Violetta!” gridò ancora, con gli occhi di fuoco. Violetta per lui era tutto, tutto. Tutto il possibile ed immaginabile. Clara si alzò lentamente, posando le mani sulle spalle di suo figlio, il quale aveva gli occhi lucidi ed i pugni ben serrati lungo i fianchi. “Tesoro, calmati. Anche noi lo abbiamo saputo solo questa mattina. Verso le dieci German ha chiamato tuo padre, e gli ha spiegato tutto” spiegò la donna, cercando lo sguardo del figlio che incontrò non appena finì di parlare. Tolse le mani da sopra le sue spalle e tutti e due si misero seduti di nuovo, più tranquilli. “Sì, è così, Leon. Ho provato anche a chiamarti, solo che avevi il cellulare staccato” disse l’uomo. “Comunque mi ha spiegato che sono ritornati solo da un paio di giorni. Mi ha aggiornato sulle…” oddio, quelle parole. Quanto facevano male. Sua moglie posò una mano sulla sua, come per dargli coraggio. I loro sguardi si incrociarono “…sulle condizioni di Maria. A quanto pare… il… tumore è… i-i-i-incurabile” balbettò Alejandro, cercando di trattenere le lacrime. Anche Clara stava per scoppiare, ma cercò di mantenersi forte, almeno davanti a suo figlio. Leon si paralizzò, gli occhi cominciarono a pizzicare, e il cuore batteva veloce. Cercò di non piangere, cercò di rimanere forte. Maria. “Quanto le… rimane?” chiese il ragazzo, senza muoversi di un millimetro, troppa era la sconfitta. Maria. L’avrebbero persa. “Questo non si sa. Il medico gli ha detto che ogni istante accanto a lei è prezioso, di non sprecarne neanche uno” rispose l’uomo facendo poi un respiro profondo. L’avrebbero persa. Non era possibile. Dopo tutto quello che avevano passato. Dopo tutto il tempo trascorso insieme. Maria era una persona buona, forse la più buona che avesse mai conosciuto. Non poteva lasciarli così, in quel modo. Perché se ne vanno sempre le persone migliori? Leon annuì leggermente, per poi poggiare la schiena allo schienale del divano. “Comunque…” continuò Alejandro ricominciando a sorridere, insieme a sua moglie. “Stasera tutti a cena da loro!” esclamò, riuscendo a far sorridere anche suo figlio, il quale si riprese. “Non c’è tempo da perdere allora!” disse scattando da divano e prendendo il suo zaino. “Dove vai?” chiese Clara seguendo la figura di suo figlio correre su per le scale “A cercare qualcosa da mettermi!” rispose, per poi chiudere la porta. I due scoppiarono a ridere, e si convinsero sempre di più del fatto che Violetta e Leon si sarebbero messi insieme.
Leon chiuse la porta alle sue spalle, e gettò lo zaino ai piedi del letto. Doveva fare i compiti, ma che gli importava se doveva prepararsi per incontrare la sua bambina? Aprì le ante dell’armadio, e cominciò a frugare fra le camice. Quella rossa no, quella celeste no, quella rossa a quadri nera no… poi alzò lo sguardo ed incrociò quella più importante. Attaccata ad una stampella, c’era una camicia bianca, con delle piccole e sottilissime, quasi invisibili, righe celesti. La prese con cura, allargandola sul letto e sorridendo. Era la camicia che aveva comprato per andare a trovare la sua bambina, quando era ancora convinto che stesse ancora in Spagna. Tornò all’armadio e prese un paio di jeans scuri, abbinandoci le sue Superga bianche. Posò tutto su una sedia davanti alla finestra, e andò di nuovo verso l’armadio. Nell’angolo sinistro in fondo, c’era un grosso scatolone chiuso, lo prese e chiuse l’armadio. Si buttò sul letto, con lo scatolone sulle gambe. Tolse lo scotch, tirando su i lati di cartone. Gli occhi luccicavano, e sulle labbra c’era stampato un dolce sorriso. Infilò la mano, ed estrasse una pila di foto. Secondo voi chi potevano raffigurare? Ovvio, Violetta e Leon, da bambini. Le aveva ordinate tutte, una per una, secondo la data di quando era stata scattata la foto. La prima risaliva a quando avevano pochissimi mesi. Erano loro due, dentro la stessa carrozzina, uno di fianco all’altro che dormivano. Prese la seconda, qualche mese in più. Nella terza avevano appena un anno, entrambi in piedi, uno di fianco all’altra. Sorridevano. Continuò a sfogliarle, ricordando ogni singolo momento passato insieme alla sua bambina. La differenza di età era di tre mesi, ma lui l’avrebbe protetta come se fosse davvero la sua piccola e fragile bambina. Arrivò finalmente alla foto che li raffigurava durante il loro primo giorno delle elementari. Era simile a quella che aveva incorniciata sul comodino, durante il primo giorno d’asilo. Sorrise, al ricordo di quel giorno. “Leon, prometti che non mi lascerai mai sola” diceva Violetta con una faccia spaventata, stringendo la mano del suo amico. “Te lo prometto, bimba” rispondeva Leon, lasciandole poi un dolce bacio sulla guancia. Violetta sorrideva, ed insieme varcarono la soglia della scuola. “Quanto mi sei mancata, bimba” sussurrò Leon, stringendo la foto al petto, con le lacrime che raggiunsero il sorriso stampato sulle labbra. Posò la foto, ed estrasse un fogliettino, lo aprì senza smettere di sorridere. “Leon e Violetta per sempre” lesse lui. Aveva fatto quel disegno in terza elementare, con l’aiuto di Violetta. Lo posò sul letto, e ne prese un altro “Ti voglio tanto bene, Leon” lesse ancora, scrutando per bene il disegno che aveva fatto la sua bambina sempre in terza elementare. Continuò a guardare tutti quei disegni di giorni meravigliosi. Quando riordinò le foto, chiuse lo scatolone con lo scotch e si promise di non riaprilo finché la sua bambina non fosse tornata. Finalmente poteva iniziare un nuovo scatolone.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Ehi, ehi, ehi! Belle gente! Come va? Io tutto apposto. Daiii, manca pochissimo alle vacanze di Natale, oggi per me era il penultimo giorno. L’ultimo sarà lunedì, durante il quale ci sarà il ballo di Natale. Awww, sarà spettacolare. Allora, questo capitolo è più lungo degli altri, ma spero che non sia stato troppo pesate. Vorrei dedicarlo ad una persona speciale, che in questi giorni mi sta facendo morire dalle risate e mi sta tirando un po’ su di morale. Lo vorrei dedicare a Poprock24 anche detta Spongy! Ti voglio bene! Poi, vorrei dedicarlo ad una persona speciale, ma molto, molto speciale. AL NOSTRO YOYI! CHE OGGI COMPIE GLI ANNI! AUGURI IDOLO! +23 TI AMO. Bene, che ne dite di questo capitolo? Ve gusta? All’inizio troviamo il continuo dell’incontro dei nostri Leonetta, awwww quanto sono belli *------* E indovinate quando l’ho scritto? Esatto, durante la notte, alle 3.30 del mattino! Bho, io non sono normale. Non capisco il perché le idee più brillanti mi vengono la notte, ma vabbè. Andres è bellissimo :’D e come avevo detto al gruppo di WhatsApp, avrebbe fatto qualcosa a favore dei Leonetta, infatti oltre a lui, anche Leon ha detto ‘bellissima’ a Violetta *--------* non sapete quanto stavo sclerando. Poi c’è Leon che le fa il solletico, quanto sono bellissimi, e c’è Gery che si ingelosisce perché il ‘SUO’ (OVVIAMENTE NO) Leon sta facendo il solletico a Violetta. Senti ciccia, c’era prima lei di te. Quando tornano dagli altri c’è sempre la battutina di Maxi che non può mancare, ed anche quella di Gery… grrrrrr. Ma un attimo, Gery non ha la sua macchina? Fregata bella! La gelosia di Vilu è qualcosa di spettacolare *------* poi Leon che se ne accorge e le stringe la mano, AWWWWWW. E un’altra volta che interviene Maxi, ma Nata gli da una gomitata e lo fa zittite. Brava, così mi piaci riccia. Quando i Leonetta vanno via, gli altri continuano a parlare, mentre Gery (stranamente) pensa. Nel secondo blocco troviamo Ludmilla e Priscilla, nel quale quest’ultima non accetta la relazione tra Federico e Ludmilla. Arriva Diego *---* dite la verità *punta il dito contro* avevate paura che Ludmilla tradisse Federico con Diego eh! :’D Ahahahahahah, ok,ok mi placo. Sono bellissimi *------* Priscilla è un’odiosa babbuina! Non si deve permettere di fare delle cose del genere a Ludmilla! Per fortuna che c’è Diego a consolarla. E…. *rullo di tamburi*… L’ULTIMO BLOCCO! Che ne pensate? Io sinceramente lo amo. I pensieri di Leon*--------* Lascio a voi le descrizioni. Allora, devo dire di essere abbastanza soddisfatta del capitolo. Penso che sia venuto bene, poi non so, vedete voi. Spero di ricevere molte recensioni, come in quelli precedenti, a proposito.. VI AMO. GRAZIE INFINITE PER LE 10 RECENSIONI AL SECONDO CAPITOLO. Devo scappare…. BACIONI E ALLA PROSSIMA!
#Alice_Leonetta

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Quarto capitolo. ***


Francesca e Diego stavano passeggiando tranquilli per il parco, mano nella mano. Avevano deciso di trascorrere quel pomeriggio insieme, e magari più tardi sarebbero potuti passare a casa di Diego a ‘prendere una cosa’, che casualmente aveva dimenticato. Ovviamente Francesca ci sarebbe stata, come sempre del resto. Amava concedersi a Diego. Lo amava, e sapeva perfettamente che il suo amore era corrisposto. Da quando stavano insieme, non le aveva mai dato alcun motivo per dubitarne. Né lei a lui. “Sai, dopo potremmo andare a casa mia… mio padre è dovuto tornare a scuola, e deve rimanere lì tutto il pomeriggio” sussurrò lo spagnolo all’orecchio dell’italiana, per poi morderle dolcemente il lobo. Francesca sussultò, per poi sorridere maliziosamente al suo ragazzo. Si voltò nella sua direzione, circondandogli il collo con le braccia, mentre Diego aveva poggiato le sue mani appena sotto i fianchi della ragazza. “E che ci andiamo a fare, se non c’è nessuno?” chiese ironica Francesca, aspettandosi un’occhiata seccata ma dolce dallo spagnolo, la quale arrivò in un batter d’occhio. Francesca scoppiò a ridere e Diego la seguì a ruota, scuotendo la testa e mordendosi il labbro inferiore. “Sei proprio unica, Amore!” esclamò il ragazzo. “Oh, Amore mio… lo so. Ma grazie per averlo ricordato!”. Diego spalancò la bocca, cercando di non scoppiare a riderle in faccia, e le lasciò i fianchi per poi indietreggiare di un paio di passi per guardarla meglio negli occhi. Francesca incrociò le braccia sotto al seno, e si morse il labbro inferiore, cercando di nascondere una risata. “Poco modesta la ragazza!” esclamò Diego portandosi le mani sui fianchi. Lei annuì per poi scontrarsi ancora con il petto perfetto di Diego, e far combaciare ancora le loro labbra. Fu un bacio passionale, al quale entrambi si abbandonarono. “La tua ragazza” sussurrò la mora tra un bacio e l’altro “Oh, su questo non ci piove”. Baciare Francesca, per Diego era come stare in paradiso. Lei lo faceva sentire così in pace con se stesso, che gli era impossibile non amarla. La desiderava con tutto il suo cuore, e dal primo momento che l’aveva vista se ne era subito innamorato. La prima cosa che lo catturò? I suoi occhi. Gli occhi di Francesca erano così grandi, così verdi e bellissimi. Bellissimi come lei. Il loro primo incontro fu… strano. Quando ogni tanto ci ripensavano, gli veniva sempre da ridere. Francesca stava correndo verso la casa della sua amica Camilla. Quel pomeriggio dovevano studiare insieme, perché il giorno successivo ci sarebbe stata la verifica di matematica. Era appena iniziata la scuola, e già una verifica! Non era neanche la fine di settembre! Era in ritardo di quaranta minuti. Parlare con suo fratello Luca, che in quel momento si trovava in Italia, le aveva fatto perdere la condizione del tempo. Camilla si sarebbe arrabbiata, ma ovviamente l’avrebbe perdonata. Improvvisamente si scontrò con qualcuno. “Potresti stare più attento! Sono già in ritardo!” esclamò chinandosi a raccogliere i libri. Alzò la testa, e vide davanti a sé il suo amico che rideva. “Oh ciao, Leon!” disse sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Ehi, Fran. Dove corri?” chiese Vargas infilando le mani dentro le tasche dei jeans. “Da Camilla. dobbiamo studiare per il compito di domani” rispose l’italiana. Leon annuì, spostando lo sguardo alla sua destra, sul suo migliore amico. “Oh! Lui è Diego” disse indicando lo spagnolo con un gesto della mano. “Diego, lei è Francesca” presentò lui, guardando prima il suo amico, poi l’italiana. “Piacere” disse Francesca allungando la mano, senza staccarsi da quegli occhi che l’avevano stregata dal primo sguardo. Quando si dice ‘Amore a prima vista’! Diego sorrise maliziosamente, squadrando la ragazza da sopra a sotto. Notò quei capelli corvini interrompersi appena sotto le spalle. Quei due occhi verdi incantevoli. Quelle guance paffute e leggermente arrossate, passando poi a quell’abbozzo di sorriso già perfetto così. Abbassò lo sguardo sul petto della ragazza, già bel accentuato seppur avesse solo undici anni. Pian piano arrivò alle perfette e snelle gambe, coperte solo fino a metà coscia da un vestitino blu, con in vita una cintina rossa. Incrociò ancora lo sguardo di Francesca, incantata anche lei. Lo spagnolo sorrise maliziosamente stringendo la mano della ragazza “Piacere mio, dolcezza. Ti va se più tardi ci facciamo un gelato?”. Francesca ritirò subito la mano, accigliandosi ed aprendo leggermente la bocca, stupita dal comportamento del suo nuovo amico. “Prego ripeti come mi hai chiamata!” ordinò puntandogli l’indice destro contro. “Calmati, dolcezza” disse ancora Diego, sorridendo maliziosamente, ma all’improvviso si sentì uno schiocco e lo spagnolo si portò una mano sulla guancia sinistra, abbastanza dolorante. “La prossima volta che mi chiami ‘dolcezza’, la pizza ti arriva anche sull’altra guancia” lo minacciò Francesca. “Ciao, Leon” disse infine salutando il suo amico, e lanciando un’ultima occhiataccia a Diego, il quale ancora si massaggiava la guancia rossa. “Ciao, Fran” rispose Vargas ormai troppo tardi. Si parò davanti all’amico, non molto stupito del suo comportamento “Certo che anche tu!” esclamò il messicano allargando le braccia “Devi sempre per forza passare da maniaco!”. “Lo sai come sono, amico”. “Si! Ma alcune volte potresti anche trattenerti! Francesca è la migliore amica di Violetta, e io non voglio litigare con lei. Lo sa quanto è importante per me”. “Hai ragione. Scusa. Però devo ammettere che la ragazza è forte. Oltre ad essere bellissima” disse Diego, sorridendo all’immagine del ricordo di Francesca. “Cos’hai intenzione di fare, Casal?” domandò Vargas guardando di sottecchi il suo migliore amico. “Oh, niente. Hai detto che è la migliore amica di Violetta, giusto?”, Leon annuì incrociando le braccia al petto ed accigliandosi. Cosa aveva in mente? “Mh, quindi siete in classe insieme?” domandò ancora. “Sì, Diego. Ma cosa vuoi fare? Non starai pensando mica di…” il messicano si interruppe alla figura del suo amico che sorrideva ed annuiva. “No, Diego. Non fare queste sciocchezze!” “Si invece. Chiederò a mio padre se può spostarmi nella vostra classe” annunciò lo spagnolo. Il suo amico sgranò gli occhi, per poi sorridere e mordersi il labbro inferiore, meravigliandosi dell’ingegnosità e della tanta furbizia del suo amico. “Sei incedibile, Diego!” esclamò Leon scoppiando a ridere, per poi essere seguito dallo spagnolo. “Lo dovresti sapere, Vargas. Quando mi metto in testa qualcosa, nessuno mi ferma. Soprattutto se si tratta di una ragazza” rispose Diego, ripensando a Francesca. Che ragazza incedibile. Sarebbe stata sua.’E pensare che avevano solo undici anni. Le era stato molto dietro, sei anni. Sei anni e non si era arreso. Era proprio vero quando disse che sarebbe stata sua. Ci riuscì. Riuscì a conquistare Francesca. “Dai, dolcezza. Andiamo a casa” disse lui, provocandola. Francesca si separò dal suo ragazzo per guardarlo meglio negli occhi. Improvvisamente si accigliò ed i suoi occhi diventarono di fuoco, mentre Diego si morse il labbro inferiore per non ridere. “Vuoi ancora una pizza?” “Margherita, per favore” rispose ironico lo spagnolo, riuscendo a stento a trattenere le risate. Francesca invece scoppiò, lanciandogli un leggero schiaffo, e sorridendo. “Lo sai che ti amo… vero?” chiese l’italiana. Diego sorrise ed annuì, attirandola a sé, e circondandole la vita con le braccia. La mora, con le sue, gli circondò il collo, per poi poggiare la sua fronte su quella di Diego. “Sì, lo so. E ti amo anch’io…” rispose lui, avvicinando la bocca a quella di Francesca e mordendole il labbro “…ma ti amo ancora di più se andiamo a casa” ripetè. “Oddio, Diego! Basta!” esclamò esausta Francesca, scoppiando poi a ridere. “Dai, ti prego. Perché no?” “Perché non ne ho voglia. Punto e basta” rispose lei. Diego fece la faccia da cucciolo, iniziando a lasciarle baci infuocati su tutta la faccia, evitando di proposito le labbra, cercando di farla impazzire dalla voglia. Le sue mani scorrevano sulla schiena di Francesca, lente ma sensuali, per poi riscendere e sfiorare appena il fondoschiena della ragazza. “D-Diego” sussurrò Francesca inclinando la testa all’indietro, per permettere al suo ragazzo di continuare a dedicarle quelle dolci attenzioni. “P-p-per f-favore” balbettò ancora, mentre Diego scendeva sempre più in basso, arrivando quasi alla scollatura del maglione di lana, che indossava la mora. “Shh, zitta moretta” sussurrò lo spagnolo risalendo e soffiando sulle labbra della sua ragazza. Francesca cercò di nascondere un gemito di piacere, mordendosi le labbra. Se Diego non si fosse fermato, sarebbe scoppiata. Come un dono dal cielo, improvvisamente si sentì uno squillo. Lo spagnolo sbuffò, separandosi dalle labbra della sua ragazza. Afferrò il cellulare dalla tasca dei jeans e lo estrasse “Pronto!” rispose scocciato, sempre tenendo Francesca per la vita, con un braccio attorno ad essa. “Sì, si.. ok ma cal.. d’accordo si però.. Leon!” gridò preoccupato. “Devi stare calmo. Arrivo” disse “Sì, a tra poco. Ciao”. Lo infilò ancora in tasca e si passò una mano sulla faccia. “Che succede?” chiese agitata l’italiana, guardando l’espressione preoccupata del suo ragazzo. “Non so, non ho capito bene. Però sembrava molto preoccupato, dal tono che aveva era esasperato” spiegò Diego accigliandosi. Francesca cominciò a respirare affannosamente, mentre il cuore accelerava sempre di più. “Non sarà mica successo qualcosa a Vilu, vero?” chiese più a sé stessa che al ragazzo, il quale scosse subito la testa “No, sarebbe stato più preoccupato. E poi lo avrei sentito piangere. Ora non stava piangendo, era solo molto, molto agitato”. Francesca serrò le labbra tra loro, interrogandosi su cosa avesse potuto avere il suo amico, da essere così agitato come diceva Diego. “Dai, ti accompagno a casa e vado da lui” disse lo spagnolo, intrecciando la sua mano a quella di Francesca e cominciando a camminare. “Sì. Spero solo non sia nulla di grave” rispose lei, stringendosi a Diego, il quale cercò di infonderle tutto il coraggio che gli era rimasto… ma non era molto.
 
 
 
 “Antonio! Gregorio!” gridò Angie entrando di corsa nell’aula professori della scuola. Spalancò la porta e si ritrovò, seduti al tavolo, i due uomini che la guardavano curiosi. “Angie, cosa succede?” chiese l’anziano dai capelli bianchi e due occhiali tondi sul naso. La donna chiuse rapidamente la porta e si mise seduta accanto al suo collega Gregorio Casal. “Avete presente Andres?” chiese Angie, mostrando un foglio ai due, i quali annuirono ancora più curiosi “E’ riuscito a prendere più della sufficienza nel compito di Inglese!” esclamò. I due scoppiarono a ridere, seguiti da Angie che continuava a scrutare il compito del suo alunno. “Secondo voi ha copiato?” chiese subito dopo alzando un sopracciglio. Antonio, ancora con un sorriso sulle labbra, poggiò una mano su quella di Angie “Mia cara… esiste lo studio. E’ possibile che quel ragazzo abbia cominciato a studiare, ed abbia passato il compito con le sue forze”. Non che Andres non fosse uno studioso; quando ci si metteva prendeva bei voti, ed anche alti! Ma la maggior parte delle volte non studiava, ed andava male sia ai compiti sia alle interrogazioni. “Hai ragione, Antonio” disse la donna sorridendo ed infilando il foglio di carta dentro una cartellina, contenente altri compiti. “Ho interrotto qualcosa?” chiese subito dopo, guardando i suoi colleghi, ma nessuno dei due fece in tempo a rispondere che un’altra voce li precedette. “Sì, Angie. Hai interrotto una riunione. Potevi anche bussare, prima di entrare come una matta nell’aula” disse improvvisamente una voce femminile, proveniente dal fondo dell’aula. Angie conosceva molto bene quella voce… e non le piaceva affatto. Jackie era poggiata al davanzale della finestra, con una tazza di caffè fumante, ed un’espressione scocciata. Anche a lei, non le andava molto a genio la sua collega. Non perché non fosse brava, anzi, Angie era una delle insegnanti più brave di tutta la scuola. Era solo che anche Angie, come lei, era innamorata di Pablo. Sì, un triangolo amoroso tra professori. Assurdo, vero? “Oh, bhè scusatemi allora. Vado via subito” si affrettò a dire la donna, alzandosi, ma l’uomo dai capelli bianchi la bloccò. “Aspetta, Angie. La riunione non è ancora iniziata. E poi, devi esserci anche tu… sei o no una delle insegnanti?” domandò Antonio. Angie sorrise e si mise nuovamente seduta “E poi, non sei stata avvisata che avevo convocato una riunione d’urgenza?” “No, veramente no”. Antonio si voltò verso sua nipote Jackie, che sorseggiava un po’ del suo caffè “Jackie, non ti avevo detto di informare tutti” disse l’uomo. La donna si diede un colpetto leggero sulla fronte “Scusa, zio. Mi sono totalmente dimenticata di avvisare anche Angie” mentì. Certo, si era dimenticata. Però di Pablo no, eh. “Scusami, Angie” disse infine, rivolgendosi alla sua collega, la quale scosse la testa e sorrise “Tranquilla”. “Bene, Pablo, Beto e Milton dovrebbero arrivare a momenti” disse Antonio guardando l’orologio che aveva al polso. “Intanto che li aspettiamo, vorrei fare un paio di domande alla nostra carissima Angie” disse ironico Gregorio, voltandosi lentamente verso la donna, la quale spalancò gli occhi per le successive domande. “Gregorio, così mi spaventi!” esclamò la bionda sorridendo “Oh, mia cara. Ti devo spaventare” rispose l’uomo guardandola di sottecchi e con un sorrisetto furbo. “D’accordo, sentiamo queste domande” si preparò Angie. Casal si schiarì la gola per poi parlare “TU SAPEVI CHE I CASTILLO ERANO TORNATI?!” gridò spaventando la collega ed anche gli altri due che erano nell’aula. Senza dare la possibilità alla donna di rispondere, la porta si aprì, rivelando tre uomini con la bocca aperta. Ci fu un minuto interminabile di silenzio, il primo a parlare fu Pablo “I Ca-ca-stillo sono t-t-ornati?” riuscì a balbettare. “Sì, un paio di giorni fa” rispose schietta la donna, per poi annuire. Pablo, Beto e Milton entrarono nell’aula, lasciando la porta semichiusa. “Perché non ce ne hai parlato, Angie?” chiese tranquillo Antonio, sorpreso come il resto dei professori, dalla notizia data da Gregorio e confermata da Angie. “Volevo che fosse una sorpresa. So quanto per voi, anzi, per tutti noi siano importanti e volevo che vedeste Violetta prima di sapere tutto” spiegò la donna, confondendo ancora di più i colleghi. “Oggi io l’ho vista. Abbiamo passato le prime tre ore a fare lezione. Poi suppongo che sia andata con Beto, giusto?” chiese rivolgendosi al riccioluto che stava inzuppando una ciambella nel latte. “Si Vilfbejn è vnooen nejia mia coaspe a bare le-lezione” rispose l’uomo per poi ingoiare il cibo. “Traduzione, prego” chiese Jackie con un’espressione confusa “Ha detto che Violetta è andata nella sua classe a fare lezione” rispose Pablo, ricevendo una conferma dal collega. “E durante l’ultima ora era nella mia classe a fare Inglese” informò Angie; “Prima hai detto che volevi che noi tutti vedevamo prima Violetta, per poi sapere tutto” disse Pablo con voce spezzata ed un nodo in gola, sapendo già a cosa si riferisse la sua amica. “Tutto cosa, Angie?” riuscì a chiedere infine, trovando chissà quale coraggio; tutti si voltarono verso la donna, la quale aveva abbassato la testa, per non mostrare ai suoi colleghi le lacrime che le rigavano il perfetto viso. “Ecco… è una situazione…” tirò su con il naso “…una situazione complicata. Sapete tutti le condizioni di mia sorella Maria, no?” chiese, riuscendo ad alzare la testa, e vide tutti i suoi colleghi accigliati, ma che annuirono. “Bhè, è più o meno da una se-settimana che… sappiamo che…” Angie si interruppe, portando una mano davanti agli occhi ed iniziando un pianto isterico. Tutti i presenti riuscirono a capire cosa volesse dire la donna, e iniziarono a piangere appresso a lei… perfino Jackie, che tanto odiava Angie, si sentì male per la sorte della sorella. Insomma, sì, Angie era innamorata di Pablo, ma la salute e la famiglia viene prima di ogni cosa. Anche lei, come tutti in quella stanza, conosceva molto bene Maria. Ricordava che quella donna era sempre solare, allegra e spensierata… proprio come la figlia. Anche lei, voleva bene a quella donna, ed era molto triste per la sua futura mancanza. Sarebbe stata vicina a Violetta, come tutti i professori, ed anche ad Angie. Avrebbero messo da parte la rivalità, e l’avrebbe sostenuta, proprio come una vera amica. Pablo si alzò sedendosi accanto alla donna, e la strinse forte a sé. Angie non poté rifiutare quell’abbraccio, e quindi si accoccolò al petto del suo collega. Ci furono minuti di silenzio, di pianto, nessuno sapeva cosa dire. Maria era una cara amica di tutti. Tutti la conoscevano fin da quando era una ragazza giovane e spensierata. Soprattutto Antonio, che era un caro amico di famiglia. Per molti anni, aveva assistito al successo di Maria, l’aveva accompagnata in tutti i suoi tour. Perché sì, lei era una cantante molto famosa. Antonio era un vecchio amico di Angelica, la madre di Angie e Maria, nonché nonna di Violetta. Avendo molta conoscenza nel campo della musica, Maria chiese ad Antonio di essere il suo manager, e tutto andò bene. La sua carriera finì non appena nacque Violetta. Non che fosse arrivata nel momento sbagliato, anzi, sia Maria che German avevano deciso di avere un figlio. La carriera della donna era durata quindici anni, e quei quindici anni le bastarono a far sì che la sua vita fosse stata meravigliosa. Si era chiusa una porta, e si stava aprendo un portone. Stava per nascere sua figlia. “Non sai quanto mi dispiace, cara” disse finalmente Antonio, estraendo un fazzoletto di stoffa da un taschino all’interno della giacca che indossava, per asciugarsi le lacrime “Ne risentiremo tutti della sua… perdita” continuò l’uomo. Angie tornò composta, mentre Gregorio le offrì un fazzoletto per soffiarsi il naso. “Grazie, Antonio. Non voglio pensare a come starà Violetta. Ovviamente male, e credo che ne risentirà più di tutti” rispose la donna “Perdere una madre, a diciassette anni, è davvero la cosa più brutta che ti possa capitare nella vita” intervenne Gregorio. “Povera cara. Le staremo tutti accanto… come a te, a tua madre ed a German” disse Antonio poggiando nuovamente una mano sopra quella della bionda, la quale sorrise voltandosi verso il suo collega Beto, che ormai da minuti non la smetteva di soffiarsi il naso. “Povera Violetta! Non è facile affrontare una malattia del genere, e stare comunque con un sorriso sulle labbra!” esclamò il riccioluto soffiando per l’ennesima volta il naso. “Sì, non c’è da scherzare con un tumore al cervello” finì Pablo, accarezzando il braccio alla donna ancora stretta a sé. Improvvisamente si sentì la porta aprirsi, e sbucò un Andres confuso, con una cartellina verde tra le mani. “Ehm, scusatemi. Beto, aveva dimenticato questa in classe” informò il ragazzo, porgendo l’oggetto a professore, che prontamente si alzò dalla sedia scaraventandola a terra, facendo cadere l’attaccapanni lì vicino ed inciampando sul sé stesso. “Ecco dove l’avevo lasciata! Non riuscivo più a trovarla!” esclamò l’uomo afferrandola e ringraziando il suo alunno che uscì, scrutando i professori con gli occhi rossi e gonfi. Non era sicuro di quello che aveva sentito, ma se Violetta aveva un tumore al cervello, doveva avvertire subito i suoi amici.
 
 
 “No, Diego! Non lo trovo da nessuna parte!” gridò Vargas, alzando per l’ennesima volta il cuscino e buttandolo sul pavimento. Cercò ancora sotto le coperte rigirandole più e più volte, ma niente. Era sparito. Impossibile. “Ok, adesso calmati. Uscirà fuori. Mia madre dice sempre ‘La casa nasconde, ma non ruba’” rispose lo spagnolo, cercando di tirargli su il morale. “Non è il momento. Sto impazzendo” disse Leon passando alla scrivania e scaraventando tutto all’aria ancora. Com’era possibile? Ieri lo aveva visto, proprio sopra al suo comodino, tra la sveglia e la foto di lui e della sua bambina. Dov’era andato a finire? “Leon, calmati cazzo! Ora lo troviamo” ripeté Diego, cercando dentro i cassetti del comò, posto di fianco all’armadio. “No, no, no! Non è possibile!” gridò il messicano sedendosi di peso sul letto e infossando le dita nei suoi capelli. Sbuffò, cercando di trattenere le lacrime, e respirò a fondo. Diego lo affiancò, poggiando una mano sulla spalla del suo migliore amico. “Tranquillo. Allora, adesso riflettiamo…” iniziò il ragazzo dando una pacca sulla spalla. “…dove lo hai visto l’ultima volta?” chiese, facendo subito alzare la testa al suo amico “Lì, proprio tra la sveglia e la foto” rispose Leon, indicando il piccolo spazio vuoto sul comodino. Diego alzò un sopracciglio, strano le cose non spariscono da sole. “Ok, quando lo hai visto?” domandò ancora “Ieri pomeriggio. Ammetto che questa mattina non ci ho fatto caso se era ancora lì” ammise alzandosi in piedi, alzando le mani e parandosi di fronte a Diego. Lo spagnolo sbuffò, massaggiandosi le tempie e cercando di pensare. “Dove può essere? Dove può essere?” sussurrò più a sé stesso che al suo amico. Come era possibile che fosse sparito da un momento all’altro? “Tu sei sicuro di non averlo portato in giro? Magari… che so, a scuola?” domandò Diego storcendo la bocca ed alzandosi. Leon portò le mani ai fianchi, scuotendo subito la testa guardando altrove. “Non so… è venuto qualcuno qui?”, per un paio di secondi Leon rimase a guardare fuori dalla finestra, poi sgranò gli occhi incrociando di nuovo lo sguardo del suo amico, che improvvisamente s’illuminò. “Ecco vedi, lo sapevo io!” esclamò Diego, alzando le braccia al cielo, per poi farle cadere lungo i fianchi. “Non credo però che…” s’interruppe il messicano, strusciando l’indice sinistro sulle labbra, come per pensare. “No, non riesco a pensare che abbia fatto una cosa del genere” continuò Leon scuotendo la testa e storcendo la bocca. “Ma di chi stai parlando?” domandò lo spagnolo confuso “Ieri con chi ho iniziato a fare i cartelloni?” chiese Vargas. Diego spalancò gli occhi e guardò di sottecchi il suo amico. “L’ho sempre detto io che non ci si può fidare di quella ragazza!” esclamò lo spagnolo puntando il dito contro al suo amico. Leon continuava a scuotere la testa, cercando di convincersi del fatto che Gery era una ragazza per bene. Era una delle persone a cui voleva più bene, la conosceva da tre anni, e in lei aveva sempre visto una ragazza dolce, gentile e premurosa. Appena le chiedeva una cosa lei rispondeva subito di sì… forse perché appunto era una ragazza gentile, o forse perché era stracotta di lui. “No, mi rifiuto di credere che sia stata lei. Non è capace di fare una cosa del genere” insistette ancora il ragazzo, passandosi una mano tra il ciuffo spettinato, cercando di riaggiustarlo. “E’ una ragazza per bene. Si è sempre comportata correttamente con tutti” “E chi altro può averlo preso, se non lei! Hai detto che ieri pomeriggio c’era, ma quando te ne sei accorto poco fa era sparito. Strano no?”. Leon serrò le labbra tra loro, pensando all’accaduto del pomeriggio precedente. “In effetti… pensandoci bene ieri, dopo averle mostrato il regalo, l’ho riposato sul comodino e sono sceso a prendere da bere. Quando sono risalito non ho visto se era ancora lì, però quando ho aperto la porta è saltata, era girata verso il comodino” spiegò Leon, grattandosi la nuca. Diego gli puntò nuovamente il dito contro, contraendo la mascella “Chiamala! O andrò a casa sua e la prenderò per i capelli” disse il ragazzo, facendo diventare i suoi occhi di fuoco. Era più arrabbiato lui di Leon. Strano sarebbe dovuto essere il contrario. Gery aveva preso il regalo di Violetta, che Leon le aveva comprato, non quello che lui aveva comprato a Francesca. “Leon sei pro…” si sentì improvvisamente la porta aprirsi, e rivelò una donna bellissima. “Che è successo qui!” esclamò entrando a fatica nella camera del figlio. Si guardò attorno sgranando gli occhi “Che avete combinato?” chiese rivolgendosi a Leon, mentre Diego cercava di trattenere le risate vedendo la faccia del suo amico. “Niente, mamma. Poi metto a posto. Senti, una cosa. Hai presente ieri pomeri…” Leon venne interrotto “Non cambiare discorso! Cos’è successo qui?” chiese ancora. Leon sbuffò massaggiandosi le tempie per calmarsi “Tra quindici minuti usciamo, e se non sei pronto ti lasciamo qui, Leon” annunciò Clara seria. Non era una donna cattiva e severa, anzi… ma il suo comportamento fu esattamente quello di qualsiasi madre che entra nella camera del proprio figlio e trova vestiti, oggetti, lenzuola, e di tutto e di più ovunque. “Mamma, aspetta! Stavo dicendo… hai presente ieri che è venuta Gery a casa?” domandò il ragazzo. Clara annuì, accigliandosi “Quando verso le otto sei salita per avvisarci che era arrivato suo padre, hai mica fatto caso se il regalo per Violetta era ancora sul comodino?”. La donna non rispose subito, prima spostò lo sguardo sul comodino, dove da settimane suo figlio aveva poggiato il regalo per la sua bambina, e si stupì del fatto che quella scatoletta non fosse più lì. Poi guardò nuovamente Leon, e cercò di ricordare… “No, mi sembra che non ci fosse. Ah, si! Ora che ricordo, anche questa mattina, quando sono venuta a rifare il letto non l’ho visto. Ho subito pensato che l’avessi preso tu, poi quando sei tornato mi sono dimenticata di chiedertelo” spiegò la donna. Diego e Leon si lanciarono un’occhiata furtiva, capendosi all’istante. Era stata Gery. “Perché mi chiedi questo?” domandò la donna “Perché lo ha preso Gery” rispose Diego affiancando il suo amico. Clara sgranò gli occhi, ed aprì leggermente la bocca. Come Gery? Ma quella ragazza era d’oro. Era la ragazza più dolce e gentile che avesse mai conosciuto… certo, con una sola eccezione. La ragazza più dolce e gentile, ed anche più bella che esistesse era Violetta. “Come, Gery? Ma no, lei è dolcissima… non farebbe mai una cosa del genere” disse la donna, cercando di far cambiare idea ai due ragazzi. “No, a quanto pare è stata proprio lei. Ieri pomeriggio, quando le ho mostrato il regalo, le ho detto che era per una persona speciale ed importante. Dopo l’ho rimesso dentro la scatoletta, accanto alla foto, e sono sceso a prendere i succhi. Quando ho aperto la porta, è saltata, ed era girata verso il comodino. Poi tu dici che quando sei salita più tardi non c’era, e neanche questa mattina. Sono sicuro di non averlo portato da nessuna parte… Rimane solo lei” annuncia Vargas, scuotendo la testa, in segno di disapprovazione. “In effetti, prima mi ha detto Francesca, che quando all’uscita le hai presentato Vilu, è morta di gelosia. Poi si voleva far riaccompagnare a casa da te, e lei ha la sua auto. E quando voi due siete andati via, aveva un’espressione arrabbiata ma soprattutto gelosa” spiegò Diego. I due si guardarono “Leon, quella ragazza è chiaramente cotta di te…” continuò, sbattendogli la realtà in faccia “…ed è chiaro che farebbe di tutto pur di separarti da Violetta” finì Clara, con un sorrisetto di disapprovazione sulle labbra. Non riusciva a credere che quella ragazza avesse un lato oscuro. Oddio, non che fosse il chissà quale mostro. Ha fatto una cosa che avrebbe fatto qualsiasi ragazza al suo posto, nella sua situazione. Ma lei non riusciva ad accettarlo, non accettava niente e nessuno che si metteva tra Leon e Violetta. Quei due dovevano stare insieme. Erano stati troppo tempo lontani, e sentiva che presto sarebbe cambiato qualcosa tra loro due. Voleva un gran bene a Violetta, come se fosse sua figlia. Sarebbe stata la donna più felice del mondo, se quella ragazza si fosse fidanzata con suo figlio. Leon l’avrebbe aiutata, l’avrebbe aiutata in tutto. Soprattutto in un momento come quello, Violetta aveva bisogno di qualcuno che la confortasse, che la coccolasse, che la facesse sentire al sicuro, che la rassicurasse e che la facesse sentire amata. Non che suo padre non l’amasse, anzi… German amava sua figlia, più di ogni altra cosa al mondo. Solo che Leon l’amava in un modo indescrivibile, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, anche rinunciare alla sua vita. Diego e Leon si lanciarono un’altra occhiata e si infilarono in un secondo i giubbotti poggiati sul letto. “Dove andate, adesso?” chiese Clara esausta, seguendo i due uscire dalla stanza e scendere in fretta le scale. “Torno subito. Non andate via senza di me!” gridò Leon, sbattendo la porta alle spalle. Raggiunsero la macchina di Leon, mise a moto, ed in meno di cinque minuti furono davanti casa di Gery. “Ancora non ci credo” disse il messicano scendendo dall’auto e sbattendo la portiera, seguito dal suo amico. “L’amore porta a compiere pazzie, amico” rispose ironico Diego affiancandolo; Leon sorrise salendo i due gradini ed arrivando davanti alla porta. Fece un respiro profondo e guardò Diego “Dai, Leon! Non le devi mica chiedere di sposarti!” esclamò lo spagnolo suonando il campanello a posto del suo amico, il quale scoppiò a ridere. Qualche secondo dopo la porta si aprì, e rivelò la figura di Gery con una cuffia nelle orecchie, e l’altra penzoloni. Appena vide i due tolse anche l’altra e le ripose nella tasca, per poi sorridere “Leon, Diego. Che sorpresa!” disse osservando l’espressione dei due. Diego era accigliato, molto accigliato, ed aveva incrociato le braccia al petto, mentre Leon era più tranquillo. Sì, gli aveva rubato il regalo per la sua bambina, ma Gery era pur sempre una sua amica, molto importante per lui. “Come mai siete qui?” chiese ancora tutta sorridente, facendo finta di non notare Diego, ancora accigliato “Non fare la finta tonta. Andiamo al sodo: dacci la scatoletta che hai preso ieri a casa di Leon” rispose Diego, ricevendo subito una gomitata dal suo amico. “Quello che vuole dire Diego, è che magari per sbaglio, hai preso la sca…” Leon fu bloccato, da una gomitata questa volta dallo spagnolo, che lo fece tornare alla realtà “Leon!” gridò Diego riprendendolo. “Hai ragione…” disse voltandosi verso il suo amico, per poi incrociare ancora lo sguardo di Gery, alla quale il cuore stava per uscire fuori dal petto “Ridammi la scatoletta, Gery”. La ragazza serrò le labbra, mordendosi poi quello inferiore “Non so davvero di cosa stiate parlando” rispose innocentemente, cercando di mascherare la preoccupazione con un sorriso isterico. “Oh, per favore! Non fare l’innocentina. Non mi sei mai piaciuta e mai mi piacerai. Sappiamo tutti che sei stracotta di Leon, e che faresti di tutto pur di separarlo da Violetta!” esclamò lo spagnolo, parlando al posto dell’amico. “Ma io fino a ieri non sapevo neanche chi fosse Violetta. Come avrei potuto prendere qualcosa che non so neanche per chi è” si difese la mora, alzando le spalle. In fondo era vero, fino a ieri non sapeva chi fosse Violetta, ma… “Sì, è vero. L’hai conosciuta questo pomeriggio, ma ieri ho detto che era per una persona speciale ed importante. Ed è vero, anch’io mi sono accorto che sei innamorata di me, e il ragionamento di Diego non fa una piega. Non dico che tu l’abbia fatto con cattive intenzioni, ma a volte l’amore porta a compiere pazzie” disse Leon. Diego spalancò la bocca “Copione di frasi!” esclamò facendo scoppiar a ridere il suo amico. Sembravano esser tornati all’asilo. “Insomma, se mi ridai la scatoletta ti giuro che non mi arrabbio con te” promise il messicano, portando una mano sul cuore. Gery si morse il labbro inferiore, gli occhi iniziarono a pizzicare ed il cuore accelerava sempre di più. Dopo qualche secondo di silenzio parlò “D’accordo. Aspettate” disse, per poi scomparire in una stanza in fondo al corridoio, molto probabilmente la sua camera, e risbucare subito dopo con una scatoletta piccola, rettangolare e color argento, con un piccolo fiocchetto brillantinoso che la teneva chiusa. “Scusami tanto, Leon. Ti giuro che non volevo. Ma quando mi hai detto che era per una persona importante e speciale, sono scoppiata di gelosia” spiegò la ragazza porgendo la scatoletta al suo amico, il quale la afferrò infilandola nella tasca del Woolrich. “Tranquilla. Ci vediamo domani” salutò il messicano, per poi voltarsi ma si fermò subito non appena sentì la voce di Gery chiamarlo “Aspetta-te! Volete rimanere a cena? Mia madre ha fatto la pizza” invitò la ragazza. A Leon attirava molto l’idea di gustare una buona pizza. Era stato molte volte a casa di Gery, e molte volte sue madre aveva fatto la pizza. Quella donna aveva delle mani d’oro, soprattutto in cucina. Ma aveva un appuntamento con la sua bambina. “Io non posso. Devo uscire con Francesca” annunciò Diego, pensando già alla serata che avrebbe passato con la sua ragazza. “Peccato, sarà per la prossima volta. E tu invece, Leon?” domandò ancora Gery con occhi sognanti ed un dolce sorriso. “Mi dispiace. Ho da fare” spiegò “Ah…” rispose la ragazza, rattristandosi subito “…e dove vai di bello?” “Cena con la sua bambina” rispose Diego, mentre Leon abbassò la testa e sorrise, pensando alla sua Violetta. Dio, non vedeva l’ora di rivederla. Poi si ricordò che ancora doveva cambiarsi. “Ah. Divertiti allora” rispose Gery più triste di prima. Leon ringraziò e si affrettò a raggiungere l’auto, ed a partire. Mise in moto “Che regalo le hai preso?” domandò Diego voltandosi verso il suo amico, il quale gli porse la scatoletta. Lo spagnolo la aprì, per poi guardare Leon “Che cazzo, Leon! Ma che regalo è!” esclamò sbracciandosi “E’ bello! E poi ha un significato” spiegò il messicano. “Ma fammi il piacere! Non le dovevi regalare questo” “Ah no? E cosa sentiamo? Dai, su… sentiamo l’esperto sull’amore”. Diego rise, richiudendo la scatoletta e facendo di nuovo un fiocco “Le dovevi prendere un anello”. Leon si accigliò “Ma non stiamo insieme”. Diego lo guardò come a dire ‘Ma allora sei deficiente!’. “Anche se ti piacerebbe. Comunque, primo: è come se stesse insieme. Secondo: dopo cinque anni un anello ci voleva. Terzo: sei super, iper, ultra, maxi, stracotto di lei. E non negarlo, si vede da chilometri. E quarto: anche lei è innamorata di te”. “Ma piantala! Primo: Non sono super, iper o come dici tu, stracotto di lei. Secondo: lei non è innamorata di te” rispose Vargas, continuando a guidare. Aveva detto quelle cose, ma la prima era una bugia. Ovvio che era stracotto della sua bambina. Lo era da anni, ed era disposto a tutto per lei. Ma della seconda ne era quasi del tutto sicuro. Insomma, ad una ragazza bellissima come Violetta non poteva piacere lui. Cioè, si conoscevano da anni. Glielo avrebbe detto. E poi era appena tornata da Madrid, e lì non poteva non aver trovato nessuno. Impossibile. Non ci credeva. “Amico… lo hai detto tu che sono io l’esperto sull’amore” ribatté Diego alzando le mani. Leon sorrise scuotendo la testa “Lei non mi ama” “Mettiamo per un secondo, che lei ti ami. Tu ti dichiareresti?” domandò lo spagnolo, prendendolo in contropiede e mettendolo all’angolo. “Io non sono innamorato di lei. Basta” finì spengendo il motore, sfilando le chiavi e scendendo dall’auto per poi chiudere lo sportello. Diego lo imitò poggiando le mani sul tettino “Non mentire a te stesso. La ami. Ti ama. E presto cambierà qualcosa, vedrai Leon” disse Diego alzando un sopracciglio e raggiungendo la sua auto. Leon sorrise, per poi salutare il suo amico e rientrare in casa, per prepararsi per la serata con la sua bambina.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Buon pomeriggio bella gente! Allora! Come state? Io bene, a parte che qui a Roma si congela! Prima sono scesa a portare a spasso il cane, e stavo ghiacciando. Sembra si stare in Alaska, fanno 4 gradi! Dio santo! Mi vorrei scusare per l’enorme ritardo. Ma sapete, le feste, i regali, la famiglia… poi ieri pomeriggio ho avuto un grave problema famigliare, e se non fosse stato per quello avrei aggiornato ieri. Ma passiamo al capitolo. Ve gusta? Per la gioia di Spongy (Poprock24) sono riuscita ad aggiornare oggi. Contenta? Ahahahahahah. Mi raccomando voglio una bella e lunga recensione fatta sia da te, sia dalla *rullo di tamburi* SIGNORA VARGAS! Ahahahahahah. Ti voglio bene. Allora… ora facciamo i seri. Vi piace il capitolo? Inizialmente troviamo i Diecesca *--------* Awwww. Dio quanto li amo. Eh eh eh, ma Diego, calma i tuoi ormoni! Ahahahahahah. Il ricordo di quando si sono conosciuti a mio parere è bellissimo. Awwwww, AMORE A PRIMA VISTA. Ma, aspettate… Cos’è successo a Leon? Nel secondo blocco troviamo i professori. Angie all’inizio mi fa morire… è troppo cucciolosa. Vorrei uccidere Jackie, grrrr. Poi nuovamente viene ribadito il tumore di Maria. Ma Andres! Cosa combini! Non è Violetta ad avere un tumore al cervello! Non devi correre a dirlo a tutti! Se Violetta ve lo vorrà dire lo farà, non sei tu a doverlo fare. Lo sa solo Leon *----* Infine troviamo il blocco con Diego e Leon. Leon ha perso una cosa… ma cosa. Spongy, ci avevi quasi preso… non perde il braccialetto, ma il regalo da dare a Vilu *----* Contenta… c’è anche la signora Vargas *la saluta con la manina*. Chi sarà stata a prendere il regalo? Bhè, ovviamente Gery! MA VI RIPETO… GERY. NON. E’. CATTIVA. La ragazza dopo svariati tentativi di negazione, alla fine consegna il regalo a Vargas e confessa i suoi sentimenti per lui. Dopo li invita a cena, ma entrambi rifiutano. Diego perché deve passare una serata “romantica” con Francesca. Mi raccomando ragazzi, Gregorio è troppo giovane per diventare nonno! Ahahahahahahah muoiooo! E Leon perché deve cenare con la sua bambina!!! *-----* qui scleri al massimo. Infine la scena in macchina. Chissà che regalo le avrà preso Leon. Sappiamo per certo che non è un anello :’D …cosa sarà? Poi c’è Diego che sprona Leon a confessare i suoi sentimenti per Violetta, ma Vargas non cede! Cazzo, Leon, e confessa una buona volta che sei innamorato di Violetta! Uff! ok, se vi è piaciuto lasciatemi una recensione. Ah, vi ringrazio per i ‘3000’ messaggi che mi inviate per sapere di più sulla storia. Vi ringrazio anche per tutte le 34 recensioni avute in soli 3 capitoli *------* Dio, vi amo!!!!! Mi vorrei scusare per l’assenza di un momento Leonettoso, ma vi giuro che mi rifarò con il prossimo capitolo ;) Poi vorrei fare una cosa che non c’entra niente con Violetta… ma ci tengo, quindi… Vorrei fare gli auguri ad uno dei miei idoli, non so se lo conoscete. AUGURI IDOLO! +19! ROSS LYNCH *---------* SEI UN GRANDE ORGOGLIO. TI AMO. Bene, devo scappare, ci vediamo… Bacioni e alla prossima!
#Alice_Leonetta

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Quinto capitolo. ***


Violetta stava finendo di indossare i suoi nuovi vestiti per la serata con la famiglia Vargas. O meglio, per la serata con il suo Leon. Appena era tornata a casa, suo padre l’aveva informata che i Vargas sarebbero andati a cena da loro, quella sera. Una sensazione inspiegabile si fece largo nel suo stomaco, ed un sorriso a trentadue denti si estese sulle sue labbra. Abbracciò di slancio suo padre e lo informò che lei aveva incontrato Leon, all’uscita da scuola, ed era stato proprio il ragazzo a riportarla a casa. German ne fu molto felice, sia perché il primo giorno di scuola di sua figlia era stato bellissimo, sia perché aveva rincontrato il suo Leon. Tutti sapevano che quei due si amavano, tranne Violetta e Leon. Sin da piccoli si amavano. Certo, non come gli adulti, ma si volevano un gran bene. Quando li vedeva scambiarsi teneri bacetti si scioglieva sempre. Fuori sembrava un uomo di roccia, ma si addolciva sempre davanti a delle scene del genere. Molte volte si era ritrovato a piangere, mentre con Maria e Violetta guardava un film romantico. E molte volte sia sua figlia che sua moglie erano scoppiate a ridere per la dolcezza dell’uomo. Quei momenti gli mancavano da morire, e purtroppo da quando sua moglie si era ammalata, Violetta non aveva più la forza di fare niente. Ma German era sicuro, che qualcosa sarebbe cambiato con Leon accanto alla sua piccolina. Per quello erano tornati a Buenos Aires, per quel motivo aveva spostato di nuovo tutta la famiglia in Argentina. Non solo per far star Angie ed Angelica, accanto a Maria e alla loro nipotina. Ma anche per far star meglio Violetta, per farla stare meglio e che tornasse a vivere. Sapeva che c’era solo una cosa, esisteva solo una persona a far sì che ciò accadesse. Leon. Ovvio. Quella sera avrebbe chiesto a Leon di prendesi cura della sua piccolina, di proteggerla da tutti e da tutto. Gli avrebbe chiesto di restarle accanto, di coccolarla, di farla sentire protetta durante la malattia di Maria, durante tutto quel brutto periodo per tutti. Ovviamente Leon avrebbe risposto di sì, non avrebbe mai lasciato la sua bambina indifesa, sola, e impaurita in quel periodo. Per lui, Violetta era tutto, era la sua bambina… la amava, anche se ancora non lo sapeva. Violetta indossò i pantaloni neri, ed una camicia a quadri rosa, con una cintina argento e nera che cadeva sui fianchi. Infilò i suoi stivali neri, con qualche brillantino, e si avviò verso il bagno. Passando davanti alla camera dei suoi genitori, si avvicinò alla porta avendo sentito qualcuno parlare. “Sai, Amore… Alejandro ha detto che stasera verranno a cena. Saranno qui tra poco. Non immagini quanto sia stata felice Vilu, spruzzava felicità da tutti i pori”. German stava raccontando tutto a sua moglie, Violetta sorrise a quelle parole. “Mi ha anche detto che oggi a scuola ha incontrato Leon, e che è stato lui a riportarla a casa. Avrei voluto vederlo, ma stanno per arrivare, quindi… Quando parla di lui, le brillano gli occhi, è come se avesse una luce diversa dentro essi, e un sorriso dolce che mi ha fatto commuovere. Ti ricordi quando erano piccoli? Ce ne hanno fatte passare di belle, eh! E ti ricordi del loro famoso braccialetto? Sai, ancora non se lo è tolto!” esclamò ancora l’uomo, con gli occhi lucidi ed un sorriso stampato sulle labbra. Violetta, nel corridoio, alzò il braccio destro e sorrise guardando il braccialetto di stoffa blu. Lo sfiorò con l’indice dell’altra mano e lo strinse forte al petto, immaginandoci Leon, al quel posto. Immaginando che la stesse stringendo forte, forte al petto, come quel pomeriggio. Che la stesse riempiendo di baci dappertutto, e che la stesse aggredendo con quel suo sorriso mozzafiato e quei due smeraldi da ucciderti ad un solo sguardo. “Quando arrivano saliamo subito a salutarti. Non ti preoccupare, Amore mio. Ci vediamo dopo. Ti amo” disse infine l’uomo alzandosi dal letto e lasciando un bacio sulla fronte di sua moglie. Violetta si affrettò a continuare a camminare, ma appena suo padre uscì dalla stanza, la vide davanti alla porta del bagno. “Vilu” disse attirando la sua attenzione. La ragazza si voltò verso suo padre e sorrise “Già sei pronta?” chiese l’uomo incrociando le braccia al petto e sorridendo nel vedere sua figlia perfettamente vestita per la serata. Violetta annuì sorridendo “Già. Ma sei sicuro di avergli detto alle 20? Non è che ti sei sbagliato ed hai detto alle 19.30?” chiese preoccupata la ragazza guardando l’orologio al polso sinistro. German scoppiò a ridere, camminando verso sua figlia e posando le sue mani sopra le spalle di Violetta. “Tranquilla, tesoro. Ho detto loro alle 20. Hai ancora tutto il tempo per preparati. Infondo, devi essere perfetta… per Leon. Cioè, volevo dire… per la serata!” esclamò German per poi scoppiare a ridere. “Papà! La vuoi piantare! Non stiamo insieme!” ribatté la mora togliendo le mani di suo padre da sopra le sue spalle. L’uomo le alzò, facendo spallucce “Non ho mai detto nulla di simile” si difese. Violetta incrociò le braccia al petto e lo guardò di sottecchi “Il senso era quello però” disse puntandogli l’indice contro. Entrambi scoppiarono a ridere, poi Violetta si morse il labbro inferiore, buttando all’indietro la testa e voltandosi. “Vado a finire di prepararmi!” esclamò entrando nel bagno e chiudendo la porta. Si avviò al lavabo, poggiando le mani sopra esso e guardandosi allo specchio. Tutti pensavano che tra lei e Leon c’era qualcosa, che entrambi si piacessero. Scosse la testa, non riuscendo a convincersi del fatto che Leon l’amasse. Come faceva ad amarla? Era impossibile. Lei non era… bella. Non era bella come le sue amiche. Lei non aveva i capelli biondi, come Ludmilla. Non aveva due occhi da sogno, come Francesca. Non aveva lentiggini perfette, come Camilla. Non aveva un sorriso bellissimo, come Nata. Lei non aveva niente, niente di tutto ciò. Era Violetta, solo Violetta… e si odiava. Come era riuscito, Leon, in tutti quegli anni a non dimenticarla? Come era riuscito a non dimenticarsi di un essere inutile e brutto come lei? Perché sì, lei era brutta. Fece un respiro profondo, aprendo l’acqua ghiacciata, pur quasi essendo in inverno, e se la gettò sulla faccia. La asciugò per bene, per poi lavarsi i denti, e legarsi i capelli in una coda disordinata. Prese il suo beauty-case da un mobiletto accanto alla doccia, e lo aprì, estraendo la chiara cipria ed il mascara. Non amava truccarsi più di tanto, le bastavano quelle cose. Una passata di cipria, per coprire quelle occhiaie che non la facevano dormire la notte, e un po’ di mascara sulle ciglia, sopra e sotto. Chiuse tutto, riponendo l’astuccio sul mobiletto e cercò di sorridere, pensando al fatto che la giornata con il suo Leon non era ancora finita. Sciolse la coda, pettinando per bene i capelli mori, con le punte tendenti al biondo. Prese la piastra sempre dal mobiletto accanto alla doccia, e l’attaccò alla presa. Nel mentre che si scaldava, ripensò, per l’ennesima volta, a come si sarebbe potuta svolgere la serata. Quando i Vargas sarebbero arrivati, ovviamente ci sarebbero stati tutti i saluti, e i ‘Come sei diventata grande!’. Non che non volesse bene ad Alejandro e Clara, anzi, tutto da loro diventava sopportabile. Voleva un gran bene a quelle persone. Dopo saluti e varie cose, si sarebbero seduti a tavola; ovviamente lei accanto a Leon, suo padre a capotavola e i genitori di Leon di fronte a loro due. Avrebbero riso e scherzato per tutto il tempo, e lei e Leon si sarebbero tenuti per mano sotto il tavolo, di nascosto. Ovviamente i loro genitori li avrebbero scoperti e si sarebbero sentiti molto in imbarazzo. Dopo la cena, avrebbero gustato uno dei più famosi capolavori di Olga: la torta al cioccolato. Dio, quante ne divoravano, lei e Leon, da piccoli! Lei si sarebbe di sicuro sporcata, e tutti avrebbero riso, ma anche lei poi sarebbe scoppiata. Come avrebbe potuto resistere davanti alla scena di Leon, del suo Leon che rideva? Non era possibile. Finito il dolce, avrebbero continuato a chiacchierare e sarebbero andati a trovare sua madre, Maria. Era da tanto che non entrava più nella camera di sua madre, si rifiutava di vederla in quelle condizioni. Sapeva che da sola non ci sarebbe mai riuscita, ma forse insieme a Leon, sarebbe stato diverso. L’unico periodo nel quale era stata accanto a sua madre, e non l’aveva lasciata da sola neanche un secondo, era quando in Spagna, dovevano comunicare a lei ed a suo padre, l’esito delle analisi. Tumore incurabile. Quando suo padre le spiegò tutto, Violetta scoppiò in un pianto isterico per giorni. Una settimana era passata da quella notizia, ed erano un paio di giorni che erano tornati a Buenos Aires. Ecco, forse proprio quei due giorni, la ragazza, smise di piangere. Forse era Buenos Aires, a trasmetterle tranquillità. Era una settimana che non vedeva sua madre, una settimana che non le stava accanto. Non che non le mancasse, ma non riusciva proprio a vederla in quello stato. Paralizzata, occhi chiusi e con una flebo al polso. No, si rifiutava di vederla. Batté due volte le palpebre, spostando lo sguardo sulla piastra ed afferrandola. Divise i capelli in ciocche, e cominciò a passarla. In trenta minuti era pronta. Staccò la spina e lasciò l’oggetto raffreddare sul pavimento. Si guardò allo specchio, e cercò di sorridere, pensando alla serata tanto attesa. Afferrò la maniglia della porta e la tirò verso di sé, uscendo e tornando in camera. Afferrò il suo cellulare ed aprì WhatsApp. 483 messaggi dal gruppo dei suoi amici. Rise. Quanto le erano mancati i suoi pazzi amici. Aprì il gruppo, ma non li lesse tutti. Poi tornò sui contatti e trovò un altro messaggio. “Non sai quanto mi sei mancata, Bimba. Non vedo l’ora di abbracciarti di nuovo”. Sorrise dolcemente leggendo il nome del mittente. Ovvio che non aveva dubbi su chi fosse, ma quel nome la faceva sempre sentir bene. Chiuse la conversazione, bloccando il telefono e lasciandolo sul letto, mentre apriva il diario e cominciava a scrivere.
I Vargas stanno per arrivare. Leon, sta per arrivare. Non vedo l’ora di rivederlo. Dio, quanto mi è mancato. Mi ha appena scritto su WhatsApp che vuole riabbracciarmi. Oggi l’ho anche incontrato a scuola, ed ho conosciuto ‘Gery’. O almeno mi sembra che si chiami così. Gli ha chiesto un passaggio, ma lui le ha detto che doveva riaccompagnare me. Doveva portare anche Maxi, ma ha lui ha detto, o meglio Nata ha detto che li avrebbe riportati Francesca. Il mio primo giorno è stato bellissimo. A parte quando ho saputo che Leon era in aula magna con questa Gery. Devo sapere chi è. Però non credo che stanno insieme, altrimenti che so… l’avrebbe baciata? Non so perché dico così, tanto a me Leon non piace. Siamo solo migliori amici. Basta. Niente di più. Tutti sono convinti che presto cambierà qualcosa… ma se fossi al loro posto non ci spererei troppo. Leon non mi ama.
Violetta chiuse il diario, lasciandolo sul letto e sognando ad occhi aperti. Improvvisamente sentì il campanello suonare. Il cuore accelerò e le mani iniziarono a tremare. Una sensazione piacevole allo stomaco la investì, e si affrettò ad alzarsi dal letto. Si diede un’ultima controllata allo specchio di fianco alla piccola cabina armadio, ed aprì la porta. Sentì un vociferare al pano di sotto, tutti stupori. Fece un respiro profondo prima di chiudere piano la porta della sua camera e di scendere lentamente le scale. Un gradino alla volta, lentamente. Quando arrivò alla fine della scalinata, saltellando raggiunse suo padre. Due espressioni sorprese si stamparono sulla faccia di Alejandro e Clara, mentre Leon aveva semplicemente la bocca aperta e squadrava da cima a fondo la sua Bimba. La bambina era cresciuta. Ora era una donna. Una bellissima donna. Forme perfette ed al punto giusto. “VIOLETTA!” gridò Clara, aprendo le braccia per stringere forte quella ragazza ormai diventata una donna. Non riusciva a credere che fosse diventata così… bella. Niente di paragonabile a Gery. Violetta era… bellissima. Non c’erano parole per descriverla, non esistevano. “Ciao!” esclamò la mora stringendo forte quella donna che le era mancata da morire. Dopo fu il turno di Alejandro “Dio, quanto sei cresciuta!” disse l’uomo abbracciandola. Appunto, solita frase. Ma non le dispiaceva affatto. Alejandro sciolse l’abbraccio, prendendo le mani della ragazza. “Sei bellissima” continuò l’uomo, ricevendo un’approvazione dalla moglie. “Tutta suo padre!” esclamò d’un tratto German attirando l’attenzione di tutti, e ricevendo una linguaccia dalla figlia. “Che c’è? E’ a verità!” continuò alzando le mani. Partì un’altra risata, poi il padrone di casa si strofinò le mani. “Io mi andrei a sedere. Olga ha preparato una cena da leccarsi i baffi!” informò. Anche Alejandro e Clara si strofinarono le mani e seguirono German al tavolo. Anche Violetta cercò di andare ma qualcosa, o meglio qualcuno la prese per un braccio e la fece scontrare con il suo petto. “E a me non mi abbracci?” chiese dolcemente Leon, sorridendo alla sua bambina, la quale rispose al sorriso. “Volevo vedere se proprio non ne potevi fare a meno” rispose la mora, picchiettando con l’indice sul petto del ragazzo. “No, non ne riesco a fare a meno. Ne dubitavi?”. Violetta scosse la testa continuando a sorridere, per poi stringersi al petto del ragazzo il quale la circondò con le sue possenti braccia. Da quanto tempo non passavano momenti del genere? German, Alejandro e Clara li stavano spiando, come i bambini spiano i loro genitori. Violetta sciolse l’abbraccio, restando a guardare quei due smeraldi nei quali si era incantata. “Leon!” gridò improvvisamente una voce proveniente dalla cucina. Entrambi si voltarono e trovarono Olga con una faccia stupita e le braccia aperte. I due scoppiarono a ridere, poi il ragazzo lasciò la mora e strinse la donna, che a momenti piangeva dalla gioia. “Olga… Olga… così lo soffochi” disse Violetta cercando di togliere Leon dalla stretta della domestica, la quale appena se ne accorse lo lasciò andare. “Oh, scusami Leon. E’ che sei diventato così grande!” esclamò la donna gesticolando “Ed anche molto bello! Scommetto che Violetta sarà gelosa di tutte le ragazze che ti girano intorno!” disse facendo diventare tutta rossa la ragazza, la quale incrociò le braccia al petto e si morse il labbro inferiore. “Ma… Olga! Smettila!” esclamò sorridendo, facendo scoppiar a ridere i due “Oh, dai amore, è la verità! Ti piace da quando eravate così piccolini” continuò facendo segno con la mano. Violetta aprì di più la bocca “Olga! Ma cosa dici! Più tardi faremo i conti!” la minacciò puntandole l’indice contro. La domestica alzò le mani, e senza dire nient’altro girò i tacchi e se ne tornò in cucina. La mora si morse il labbro inferiore scuotendo la testa e voltandosi nuovamente verso Leon, il quale alzò un sopracciglio. “Che c’è?” chiese Violetta alzando le spalle, Leon sorrise e scosse la testa “Niente, niente”. “Andiamo, allora!”. “Sì, sto morendo di fame”. “Che novità!” esclamò infine Violetta avviandosi verso il tavolo e sedendosi di fronte a Clara, mentre Leon si accomodò al suo fianco e di fronte ad Alejandro. “Allora… come stai Leon?” chiese German soffermando lo sguardo sul ragazzo di fianco a sua figlia. “Oh, benissimo. Penso che oggi sia stato uno dei miei giorni più belli” ammise spostando poi lo sguardo sulla sua bambina, alla quale si accentuò un leggero rossore sulle guance. Violetta portò le mani sotto il tavolo, cercando quella di Leon, e quando la incontrò, senza dare nell’occhio, entrambi le intrecciarono. “Ne sono felice. E con la scuola? Non sei stato bocciato, vero?”, Leon rise e scosse la testa “No, per fortuna no. Diciamo che me la cavo abbastanza”. “E tu, Vilu? Come è essere tornata a Buenos Aires?” domandò Clara curiosa della risposta della ragazza “Bellissimo. Non solo perché è la mia città, ma anche perché ho rivisto tutti i miei amici. Francesca all’inizio non mi aveva neanche riconosciuta. E Gregorio, come anche Beto sono stati molto felici di rivedermi” rispose sorridente la mora. Sentì una pressione sulla mano che la incitò a continuare “Oh, e poi ovviamente c’è Leon!” esclamò, facendo scoppiare tutti a ridere. Gli adulti si scambiarono un’occhiata d’intesa, poi intervenne Alejandro “E com’è la Spagna?” domandò l’uomo. “Meravigliosa!” esclamarono all’unisono German e Violetta “Oh, ci credo, ci credo. Siete riusciti a vederla tutta?” continuò “No, purtroppo non tutta. Ma diciamo che quello che abbiamo visto ci è bastato” rispose German, ricevendo l’approvazione di sua figlia. “E scommetto che avrai avuto mille ragazzi che ti correvano dietro!” esclamò Clara, prima di essere fulminata dallo sguardo del figlio “In realtà…” cominciò Violetta, per poi sentire un’altra stretta alla mano “…non molti. Ma non mi piaceva nessuno” ammise infine. “Dai, non ci credo che non ti piaceva nessun spagnolo!” continuò la donna “Bhè, ovvio che no! Non ha mai smesso di pensare a Leon!” intervenne German, facendo diventare rossa la figlia e facendo ridere Alejandro e Clara, mentre Leon si limitò a sorridere. “PAPA’!” gridò Violetta lanciandogli un calcio sotto il tavolo “Ahi! Che c’è, è la verità!” disse ancora l’uomo “No invece! La volete piantare tutti!” disse infine spazientita. “D’accordo. Scusa tesoro” rispose German accarezzando la mano di sua figlia. “E tu Leon? Sei stato con molte ragazze?” chiese curioso German. Fu Leon questa volta a ricevere una stretta alla mano, da Violetta. Sorrise, ripensando alla gelosia della sua amica quel pomeriggio quando aveva conosciuto Gery. “Qualcuna” rispose semplicemente, sentendo quasi la mano sgretolarsi, e cercando di non sorridere davanti alla faccia arrabbiata e gelosa di Violetta. “Ah! E sono durate molto? Le storie intendo” continuò l’uomo vedendo la gelosia della figlia. Leon fece spallucce, cercando di ricordare “Nha. Non più di qualche mese” rispose prontamente, ricevendo una pacca sulla spalla. “Ahi! Stasera sei violenta!” esclamò Leon massaggiandosi la parte colpita dalla ragazza. Scoppiarono tutti a ridere tranne la diretta interessata, la quale stava fulminando Leon con lo sguardo. “Dai, Vilu, non fare così. In fondo anche lui non ha mai smesso di pensare a te!” lo sputtanò Clara, facendo scoppiare tutti a ridere. “Mamma!” gridò in preda all’ansia il giovane Vargas, che intanto si era tinto di un lieve rossore sulle guance. “Oh, andiamo tesoro! Non è forse la verità? Ho io la camera tutta tappezzata di foto vostre?”. “Ma che c’entra ora questo?”. “C’entra eccome, caro il mio signorino. Forse non lo sai, ma parli nel sonno” informò Clara, ancora con un sorriso sulle labbra. Alejandro annuì, bevendo un po’ del vino versatogli dal suo amico German “Questo è vero, e sei anche sonnambulo! Non poche volte ti abbiamo trovato alle quattro del mattino a giocare con la play-station”. Partì un'altra risata, poi per fortuna arrivò Olga con i suoi fumanti spaghetti allo scoglio, e tutti iniziarono a mangiare. “E… Maria? Come sta?” riuscì a chiedere la signora Vargas, mandando giù una forchettata di pasta. Violetta si bloccò di colpo, facendo cadere la forchetta sul piatto creando un gran rumore. Leon si accorse della tensione della ragazza, e nuovamente gli strine la mano sotto il tavolo, infondendole sicurezza e tranquillità. Proprio come quel pomeriggio fuori scuola. Ma in quel momento era diverso… ora si stava parlando di sua madre, non di una semplice ochetta che si era presa una cotta per il suo Leon. Si stava parlando di sua madre, e della malattia che da due anni persisteva sempre più violentemente nel suo cervello. Che pian piano la stava uccidendo. “Maria… ecco, al solito” rispose German cercando di trattenere le lacrime. Doveva essere forte, doveva essere forte per sua figlia, per sua moglie e per i suoi migliori amici. Gli costava un enorme sforzo non piangere, e solo Dio sapeva quanto stava soffrendo in quel momento. Ma non era il solo. Violetta forse, anzi di sicuro era quella che ne soffriva di più. German lo vedeva, e sperava davvero con tutto se stesso che Leon le sarebbe stato accanto durante quel periodo. Aveva davvero bisogno di quel ragazzo. Era l’unico in grado di riuscire a farla sentir bene, a farla sentir in pace con se stessa e per un attimo, riusciva anche a farle dimenticare del tumore di Maria. Era davvero un ragazzo d’oro, e gli sarebbe stato per sempre grato se l’avesse aiutata. Se avesse davvero aiutato la sua piccolina. “Dopo, possiamo… ecco…” cercò di dire Alejandro, ma fu tutto impossibile. “Oh, certamente, certamente” rispose German per poi voltarsi verso sua figlia, la quale aveva smesso di mangiare ed in quel momento se ne stava con la testa bassa. “Vieni anche tu, Vilu?” domandò l’uomo attirando l’attenzione della ragazza. Inizialmente non sapeva che fare, non voleva vedere ancora sua madre in quelle condizioni, ma non poteva neanche lasciare suo padre solo in quel momento. Sarebbe andata anche lei? Sarebbe corsa contro ad un male per il suo povero cuore? Leggermente annuì, battendo più volte le palpebre e facendo un respiro profondo. Leon le strinse più forte la mano, quasi stritolandogliela. Avrebbe tanto voluto abbracciarla, avrebbe tanto voluto stringerla e coccolarla tra le sue braccia. Sussurrarle che andava tutto bene, e che tutto sarebbe passato. Avrebbero affrontato tutto insieme, come da piccoli, come all’asilo. Mano nella mano. Il resto della cena passò velocemente, e tutti si ripresero maggiormente quando Olga portò la tanto attesissima e famosa torta al cioccolato. “Mamma mia, da quant’è che non mangio una torna al cioccolato!” esclamò Leon agguantando con i denti un bel pezzo della sua fetta, per poi far scoppiare tutti a ridere. “Ma cosa vai blaterando! Se ne ho preparata una la settimana scorsa!” intervenne Clara con la faccia stupita dall’affermazione del figlio. Lei era una ottima cuoca, e molte volte ai suoi due uomini, gliel’aveva dato a mostrare. “Mamma, ti devo ricordare che per me le torte sono sacre, soprattutto quella al cioccolato? E che ne avrei bisogno almeno di una ogni due giorni?” domandò Leon pulendosi la bocca con il tovagliolo. Violetta spalancò la bocca davanti alla figura del suo migliore amico che in un batter di ciglia già si era divorato una delle fette più grandi. “Ma sei un animale! Certo eh, che se ti allontani dal cibo per un secondo diventi pazzo!” esultò la mora, non arrivata neanche a metà della sua fetta. “Ovvio! Io e il cibo ci siamo spostai” ribatté prontamente il ragazzo, sorseggiando un po’ della coca-cola nel suo bicchiere. “Io non parlerei a posto tuo, Vilu! Devo ricordarti che in un solo giorno ti sei mangiata quasi due torte?” intervenne German, facendo scoppiare tutti a ridere “Shhh. Zitto!” lo riprese portandosi un dito davanti alla bocca, e partì un’altra risata. “Prendi in giro, prendi in giro. Poi vediamo chi ride per ultimo”. “Senti eh, io almeno mangio anche cose sane. Tu solo schifezze!” rispose Violetta incrociando le braccia al petto, e riuscendo a far capire a Leon cosa intendesse. “Ma sei sto sempre a mangiare frutta e verdura!” disse, per poi sentire delle fragorose risate da parte di Clara e Alejandro. “Questa era bella, Leon!” affermò Alejandro asciugandosi le lacrime “Oggi non hai neanche minimamente sfiorato i broccoletti che avevo fatto per pranzo” disse Clara incrociando le braccia al petto. “Eh, chissà il motivo qual è!” s’intromise Violetta facendo la faccia curiosa ma facendo accigliare i due. “Perchè? Sai qualcosa che non sappiamo? Sputa fuori!” le ordinò Clara puntandole il dito contro. Violetta si voltò, con un sorriso soddisfatto sulla labbra, verso il suo amico, il quale la stava implorando di tenere la bocca chiusa. “Oh, no. Non so niente. Dicevo così per dire” mentì, dando subito un calcio alla sua sinistra e colpendo perfettamente lo stinco del suo amico, che soffocò un grido di dolore con una risata. German guardava tutti e quattro con fare… strano. “Voi siete tutti pazzi!” esclamò ridendo, e facendosi seguire da tutti i presenti. “Andiamo, German! Non ricordi com’eravamo noi, alla loro età?” chiese il signor Vargas allargando le braccia. A German si stampò un dolce sorriso sulle labbra “Oh, lo ricordo, eccome! Ne abbiamo combinate di cose, eh!” esclamò, per poi far annuire il suo amico. “Del tipo?” chiese curiosa Violetta intrecciando ancora una volta la sua mano a quella del ragazzo accanto a lei. “Ad esempio una sera, lo ricordo come se fosse ieri! Eravamo usciti con dei nostri amici, avevamo su per giù vent’anni, e siamo andati in un bar, uno di quelli tranquilli” iniziò Vargas guardando i due giovani ragazzi, ma ogni tanto voltandosi verso il suo vecchio amico. “Insomma, eravamo più o meno una decina di amici, e avevamo fatto una gara di shortini, e non ricordo con l’esattezza quanti ce ne siamo bevuti… ma erano tanti!”. “Ah si! La ricordo quella sera! E’ quando abbiamo fatto a botte con Alvaro Ferro, vero?”. Alejandro annuì sorridente “Alvaro Ferro? Ma non è il padre di Ludmilla?” esclamò Leon sgranando gli occhi, e mettendosi più composto. “Sì, è lui. Comunque, ubriachi com’eravamo abbiamo alzato di molto il livello di parolacce? Bhè, fatto sta che ci siamo ritrovati in una rissa a tre” finì Vargas. “Certo che ce la spassavamo, eh!” disse German annuendo, e ricevendo un’approvazione dal suo amico “E di gran lunga, amico! Di gran lunga!”. Ci fu un momento di silenzio, poi per qualche secondo tutti si fecero seri, pronti ad affrontare la dura realtà. “Andiamo?” chiese German alzandosi da tavola, per poi essere seguito da tutti i presenti. Il primo a salire le scale fu German, seguito da Clara ed Alejandro, ed infine i due ragazzi. Leon circondò la vita di Violetta con un braccio e l’attirò a sé. Di far suo, la ragazza si strinse al suo amico cercando di farsi coraggio. “Tranquilla. Ci sono io con te. Andrà tutto bene” le sussurrò all’orecchio per poi fare l’ultimo gradino e raggiungere la porta della camera. German l’aprì lentamente, facendo capocciella per vedere se tutto fosse normale. Entrato, fece accomodare gli altri sul letto, mentre Violetta e Leon restarono in piedi, di fianco a Maria. “Ehi, Amore. Guarda chi c’è. Ti ricordi di Clara, Alejandro e Leon? Sono venuti a trovarci, come ti avevo detto” sussurrò German prendendo la mano di sua moglie. “Ehi, Maria. Che bello rivederti! Ci sei mancata moltissimo, a tutti quanti” disse Clara sorridendo ed accarezzandole leggermente il braccio. Maria non si mosse neanche di un millimetro. Gli occhi chiusi e la flebo attaccata al polso, mentre nell’altro braccio quell’apparecchio per controllare i battiti del cuore. Violetta cercò di trattenere le lacrime, fino a quel momento, ma d’un tratto scoppiò, affondando il viso nel petto di Leon, il quale la circondò con le sue braccia e la strinse forte. Quanto avrebbe voluto fare di più. Quanto avrebbe voluto che non soffrisse, che smettesse di piangere. Purtroppo però, tutto quello non era possibile. Ma l’avrebbe aiutata, oh sì. Le sarebbe stato accanto, confortandola e rassicurandola. Le avrebbe continuato a dire che sarebbe andato tutto bene, che tutto sarebbe passato, e le avrebbe continuato a ricordare che lei era ormai una ragazza forte, capace di affrontare tutto e tutti. Una ragazza che non crolla, che sa reggere qualsiasi cosa. “Io non ce la faccio” disse Violetta sciogliendosi dall’abbraccio del suo amico e correndo fuori dalla stanza, lungo le scale, fino al giardino sul retro, dove si trovava la piscina. Leon guardò tutti i presenti “Va’ da lei” disse Alejandro facendo cenno con il capo. Il giovane Vargas esitò qualche secondo, poi corse fuori e la raggiunse su una panchina in giardino. Faceva davvero freddo, ma a nessuno dei due importava. Lentamente le si avvicinò, per poi sedersi di fronte a lei, sul prato, a gambe incrociate. “Tutto bene?” chiese dopo qualche momento di silenzio. Violetta esitò per un po’, poi alzò la testa, la quale aveva affondato nelle ginocchia, ed incrociò gli occhi del suo amico, del suo migliore amico. Sotto la luce delle stelle, e dei piccoli lampioni presenti nel retro giardino di casa sua, gli occhi di Leon erano ancora più belli. Riflettevano una luce diversa, più bella, ma anche più triste. “Sì” mentì la ragazza per poi asciugarsi le lacrime con la manica della camicetta che indossava. Leon sorrise amaramente, cercando il suo sguardo. “Lo sai che non sei proprio brava a mentire?” disse facendola sorridere, ed automaticamente sorrise anche lui. Piange lei, piange lui. Sorride lei, sorride lui. “Leon, sto male” ammise finalmente la ragazza, gli occhi gonfi, rossi e pieni zeppi di tristezza e malinconia. Lo guardava come a chiedere ‘Salvami, Amore mio’. “Sto male” piagnucolò ancora per poi buttarsi sul suo amico, e stendersi sopra il suo corpo. Leon la strinse forte, infossando il suo viso nei capelli sciolti della ragazza. Ne respirò a pieno il profumo e… Cioccolato. Dio. Cercò di tranquillizzarla, accarezzandole la schiena e lasciandole dei baci su tutta la testa. Dopo qualche minuto di pianto isterico, si calmò sdraiandosi al fianco di Leon, con il viso sul suo petto, mentre lui la teneva stretta per la vita. “Ti senti meglio?” chiese nuovamente, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli. La mora annuì, abbozzando un sorriso “Grazie a te” sussurrò posando il mento sullo sterno del ragazzo e guardandolo negli occhi. Nocciola e verde. Verde e nocciola. Leon sorrise accarezzandole la testa “Vedrai, andrà tutto bene. Ci sono io con te, e non permetterò a niente e nessuno di farti del male. Sei una parte di me, e non sai quanto mi sei mancata questi anni” sussurrò. Violetta sorrise dolcemente, con gli occhi lucidi e il cuore che batteva a mille. Entrambi si misero seduti, e Leon tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca anteriore dei jeans. Se ne accese una, e Violetta rimase a guardare la nuvola grigia scomparire. “Ora fumi anche!” esclamò aprendo la bocca, mentre Leon si voltò di scatto e la incenerì con lo sguardo. “No, dico. Urlarlo un po’ più forte, che i miei non ti hanno sentito!”. Violetta scoppiò a ridere, per poi dargli una pacca sulla spalla e mordersi il labbro inferiore. Improvvisamente però, si fece seria. “Da quando?” domandò al ragazzo, intento a boccheggiare nell’aria. Fece spallucce, ricordando con precisione quando quell’ ‘avventura proibita’ aveva messo piede in lui. “Ormai sono quasi tre anni” rispose spegnendo il mozzicone di sigaretta su prato, e gettarlo al di là dell’alta staccionata di legno. La ragazza rimase a guardarlo in tutta la sua bellezza, con occhi spenti e malinconici. “Perché?” chiese semplicemente alzando le spalle, senza il minimo segno d’emozione. Il ragazzo esitò un po’, non voleva raccontare di nuovo quella storia. Non che non si fidasse di Violetta, era la sua migliore amica, più di una migliore amica, e non l’avrebbe detto a nessuno. Non aveva dubbi… era solo che faceva male. Faceva molto, molto male. Raccontare tutto, era come rivivere un’altra volta quelle emozioni, quei sensi di colpa e tutte le cattiverie fatte. Raccontare tutto, significava inoltrarsi ancora in quel passato che aveva deciso di metter da parte. Quel passato che non avrebbe avuto futuro, e che desiderava dimenticare, con tutto se stesso. Desiderava scordarsi di tutti quei giorni, settimane, mesi e anni atroci. Anni pieni di sofferenze, dolore, sofferenze, dolore e sofferenze. Mai un attimo di felicità, mai un momento in cui poteva gridare: ‘Sono felice!’. “Ti sei persa molte cose, Bimba” disse finalmente abbassando la testa sul prato sul quale era seduto. Cercò di darsi forza, la stessa forza che aveva dato alla sua Bimba poco prima. Ma non era affatto la stessa cosa. Lei stava soffrendo per la malattia di sua madre, per la malattia che presto purtroppo si sarebbe presa quella donna, che secondo lui, non meritava affatto una fine così. Non meritava tutto quello. Maria era una donna altruista, generosa e buona. Non meritava niente di tutto quello che le stava accadendo. Ecco, Violetta stava soffrendo per questo, ma lui… lui era stata la causa di una sfortuna altrui. “Cose brutte” continuò, restando a guardare davanti a sé, con lo sguardo perso nel vuoto. Probabilmente stava ricordando tutto quello che avrebbe voluto dimenticare. “Che non devi sapere” disse infine, voltandosi verso Violetta, la quale era rimasta impassibile davanti a tutta quella situazione. Continuava ad interrogarsi su quali fossero state le cause di quella ricaduta di Leon. Perché aveva cominciato a fumare? Per fuggire da qualcosa? Da qualcuno? Per superare un qualcosa che, da come diceva lui, era brutta? Voleva saperlo. Voleva aiutarlo. Doveva salvarlo. “Voglio sapere” sussurrò con gli occhi lucidi, portando le ginocchia al petto, cercando di scaldarsi il più possibile. Stava ghiacciando, ma non le importava. In quel momento voleva solo sapere, per filo e per segno, tutto quello che si era persa in cinque anni. “No” disse categorico Leon scuotendo la testa “Leon… voglio sapere” insistette la mora, cercando di far cedere il ragazzo. “Per favore. Ho bisogno di sapere, per salvarti” continuò. Leon fece un sorriso amaro, passandosi una mano tra i capelli, cercando di aggiustare il perfetto ciuffo. “Fidati. Non vuoi conoscere la parte peggiore di me”. “Voglio”. Il ragazzo fece un respiro profondo, tornando a fissare un punto indefinito, davanti a sé. “E’ iniziato tutto quando avevo quindici anni. Era appena iniziato il secondo superiore, e stava per venire il mio compleanno. Volevo festeggiare in discoteca, con tutti i compagni di classe. Ti ricordi il Vampires Black?” chiese. Violetta annuì sorridendo “Ovvio! Avevamo solo undici anni e già volevamo andare in discoteca!” esultò. Leon annuì sorridendo e serrando le labbra. “Ecco, proprio lì. Avevo invitato tutti, nessuno escluso! E’ stata una serata bellissima, all’insegna del divertimento. Credo di non essermi mai divertito come quella sera, è stata davvero memorabile”. Sorride, al ricordo della sera al Vampires Black, poi torna serio, abbassando la testa sui suoi piedi. “Quella sera… non so come, ma dei tipi di 5E, sono venuti a sapere della festa. Diciamo che io e Andres ci discutevamo spesso all’inizio, poi però siamo entrati nella loro banda. Uscivamo sempre con loro, trascurando i nostri veri amici. Ma loro diciamo che ci passavano sopra. Erano sempre comprensivi, con noi. Ogni tanto li trattavamo male, gli lanciavamo insulti a più non posso, ma loro non reagivano. Forse perché sapevano che prima o poi sarei tornato ad essere uno di loro, sarei tornato ad essere loro amico. Insomma… sono arrivati in discoteca, dicendo ai buttafuori che io li conoscevo, e che eravamo amici. La discoteca era tutta per noi, poi quando sono arrivati loro è scoppiato il putiferio. Abbiamo fatto uscire le ragazze, mentre i miei amici sono rimasti con me. Dicevo loro di andarsene, che avremmo sistemato tutto semplicemente parlando. Ma Josh, il ‘capobanda’, mi chiese perché non avessi invitato il mio ‘migliore amico’. Ovvero lui. Ma questo lo pensava, solo ed esclusivamente lui. Il mio migliore amico, era ed è Andres. Non lo sostituirei per nulla al mondo. Diciamo che si sono arrabbiati per non averli invitati alla festa. Che cazzoni. Diciotto anni e sembrava che ne avevano due. E’ scoppiata una rissa, e quelli che ci hanno rimesso erano i miei amici. Federico soprattutto, era quello che ci aveva difeso di più. Mi sono sentito subito in colpa, ed il giorno dopo ho cercato di rimediare, tornando a chiedere scusa ai ragazzi. Ma loro non ne volevano più sapere di noi, anzi di me. Avevano sopportato fin troppo, e me lo meritavo. Andres si separò da me, dal gruppo di Josh. Tornò con i suoi veri amici. Io continuai insieme a loro. A scuola ci andavo raramente, e quelle poche volte che mi presentavo facevo sempre scoppiare una rissa, o ero impreparato. Ma non mi importava… ormai la mia vita era a capo sotto”. Leon continuava a guardare dritto davanti a sé, con gli occhi gonfi di lacrime, e i sensi di colpa che tornavano a farsi sentire. Raccontare del passato faceva male, faceva molto male. Violetta iniziò a tremare, un po’ per il freddo che la stava ghiacciando fin dentro le ossa, un po’ per tutta quella situazione che aveva vissuto Leon. Doveva salvarlo, doveva assolutamente salvarlo. Si promise che gli avrebbe fatto dimenticare il suo passato. Non sapeva ancora come, ma ci sarebbe riuscita. “Passavo pomeriggi interi con Josh e con la sua banda. Tra discoteche, Night club, spinelli, canne e giri di droghe, certe volte non tornavo neanche a casa. I miei genitori erano sempre più preoccupati, volevano addirittura portarmi da uno di quei strizzacervelli. Ovviamente mi rifiutai, ma continuai la mia vita come al solito. La sera andavo a ballare, e mi facevo una tipa. Tre ore ed era tutto finito. Cercavo conforto nell’alcool e nel sesso. Ma l’unica cosa di cui avevo bisogno, era avere qualcuno accanto. Avere qualcuno per cui lottare, qualcuno con cui ridere e scherzare. Fare battutine ed offendermi, per poi ricominciare a ridere insieme. Qualcuno con cui andare a ballare la sera, ma senza fare sciocchezze. Ballare e magari bere qualcosa. Avevo bisogno di qualcuno da proteggere, una figura al mio fianco che ormai era andata via”. Si voltò verso Violetta, la quale aveva in volto pieno di lacrime. Non riusciva a credere alle parole pronunciate da Leon. Aveva passato tutto quello? Aveva davvero sofferto così tanto? Aveva passato un’adolescenza così difficile? Perché non ne era mai venuta a conoscenza? Perché nessuno gliene aveva mai parlato? Era sicura al cento per cento, che suo padre sapeva tutto. Ma perché non ne ha parlato con lei? Avrebbe potuto far qualcosa! Avrebbe potuto aiutare Leon, anche da lontano. Avrebbe potuto chiamarlo, sarebbero potuti stare al telefono per ore ed ore, senza che lui soffrisse così tanto. Era colpa sua. Si sentì tremendamente in colpa, e ciò non fece altro che farla piangere di più. “A scuola, per fortuna non fui bocciato. Non so che miracolo sia stato, ma fui promosso con solo due debiti. L’estate passò in fretta, sempre alla solita maniera, e quella cosa mi mancava sempre di più. Non riuscivo a trovarla. Avevo bisogno di una faccia amica, una persona con cui potermi confidare e sfogare. Poi mi ricordai che l’anno prima, una ragazza si era avvicinata al nostro gruppo. A scuola la cercai, e fortunatamente mi ricordai il suo nome. Gery” fece un sorriso, fissando il vuoto. A Violetta si gelò il sangue, ed improvvisamente si irrigidì. Gery. “Fu l’unica che mi perdonò per tutto l’accaduto, perché sì, c’era anche lei quella sera in discoteca. Mi sfogai con lei, raccontandole tutto e pian piano mi ripresi. All’inizio del terzo anno, cercai di riavvicinarmi ai miei amici, ma niente. Non riuscivano a perdonarmi, ed avevano ragione. Gery cercò di farli ragionare. Nel mentre, una sera, ero appena uscito da un Night club, e mi ero fatto una tipa. Improvvisamente, ancora non so perché, Josh comincia ad urlarmi contro. Ora che ci ripenso, forse era ubriaco. Si mise ad urlare fuori da locale, ma toccò un tasto dolente, che non doveva toccare”. Fece una pausa, accendendosi un’altra sigaretta e facendo fuoriuscire il fumo. “Te” disse solamente. Con calma finì il mozzicone, e come il precedente lo gettò al di là della staccionata. Si voltò verso Violetta, impassibile dall’inizio della storia, e in quel momento più confusa. Sorrise amaramente, scuotendo la testa e distogliendo lo sguardo. “Molte volte volevo scriverti. Volevo sentire come stavi, se ti eri ambientata. Insomma, mi mancavi. Non immagini quante volte ho scritto e cancellato i messaggi. Non sai quante volte mi sono impaurito. Avevo paura che ti fossi dimenticata di me. Che ti fossi dimenticata di tutto il nostro divertimento e… ne soffrivo molto. Josh era sempre presente, all’inizio. Mi incoraggiava a scriverti, a mandarti quei fottutissimi messaggi. Ma non premevo mai il tasto ‘invio’. Avevo paura. Alla fine si era scocciato anche lui, di sentirmi e di incoraggiarmi. Perché tanto sapeva che non ti avrei mai scritto, o chiamato. Quella sera, mi urlò… bhè, cose brutte, su di te. Ad un certo punto non ci ho visto più: mi sono voltato ed ho cominciato a picchiarlo. Stavo picchiando un ragazzo ubriaco che non era cosciente di quello che diceva. Stavo picchiando un ragazzo che, per un periodo, si era rivelato un buon amico, anche se una cattiva compagnia. Quando tornai lucido, e vidi il sangue sulle mie mani, scappai in preda al panico. Lo lasciai lì, sanguinante e senza conoscenza. Era svenuto. A quel punto i sensi di colpa, presero il sopravvento. Morivo dentro ogni giorno. Ricominciai ad andare a scuola, ad impegnarmi nello studio. Andavo sempre meno in discoteca, ma ogni tanto mi concedevo qualche ‘ragazza facile’. Sono riuscito a far a meno degli spinelli e della droga. Ma il fumo è rimasto. E’ l’unico vizio che non sono riuscito a togliere. Con il passare del tempo, ricominciai a parlare con Andres. Lui era ed è il mio migliore amico. Mi aveva perdonato già da un pezzo, solo che io ero troppo stupido per accorgermene. Pian piano ho riacquistato il rapporto con tutti i compagni, e per fortuna sono stato perdonato. Ora raramente vado in discoteca. E se ci vado, vado con Andres, Maxi, Brodway, Federico e Diego. Non vado mai da solo, e non faccio più nessuna sciocchezza. A parte, delle volte che facciamo a gare a chi beve più shortini. Sono quello che vince sempre!” esclama entusiasta, con un sorriso dolce sulle labbra. “Josh se l’è cavata. E’ tornato alla vita di sempre, ed anche lui mi ha perdonato. Ogni tanto ci vediamo, e ci incontriamo per bere qualcosa insieme. Anche lui ha smesso con i suoi giri di droghe, fuma solo, come me. Siamo diventati buoni amici, ed ora lavora in un’officina al centro. Anche lui ama i motori! Due anni insieme, e non ne avevamo mai parlato. Ci siamo accorti che condividevamo la stessa passione quando, per caso, una sera eravamo in un bar, e stavano trasmettendo una gara di moto. E da lì, ne parliamo quasi sempre”. Si volta nuovamente verso Violetta, che anche lei, ha un sorriso sulle labbra. “Ora, se non vuoi più che ti stia accanto, che tu sia la mia Bimba… lo capirò. Se non vorrai più aver a che fare con me, va bene” finì. Violetta scosse velocemente la testa “No. Assolutamente no. Non capisco perché tu dica questo. Josh è salvo, e sta bene. Non devi averlo sulla coscienza” disse guardandolo intensamente negli occhi. I suoi occhi. “Non devi parlare così. Hai commesso molti errori, ma hai rimediato, ed è questo quello che conta. Ed io non potrei essere più orgogliosa di così. Sei una persona nobile, Leon. Non meriti di soffrire ancora. Ti prometto che non lo permetterò, mai più”. Lui sorrise, attirandola a sé, ed abbracciandola e tenendola stretta forte. “E’ strano. Sarei io a doverti confortare e rassicurare. Non il contrario” sussurrò, per poi lasciarle un dolce bacio sulla guancia. “Non c’entra niente. Io ci sono per te, come tu ci sei per me” rispose la mora sorridendo. “Non ti lascerò mai più andar via”. “Non me ne andrò mai più”. Entrambi si sorrisero, per poi abbracciarsi nuovamente “Mi sei mancata, Bimba”. Sciolsero l’abbraccio ed improvvisamente Leon si ricordò di una cosa, molto importante. A fine serata Diego avrebbe voluto sapere se le sarebbe piaciuto. “Ah! A questo proposito!” esclamò il giovane Vargas, alzandosi di poco per poi prendere una piccola scatolina color argento rettangolare dalla tasca posteriore. “Chiudi gli occhi” ordinò. Violetta fece ciò che le fu ordinato e quando Leon le disse di riaprirli, si ritrovò quella scatoletta davanti. “Per me?” chiese sorpresa, spostando lo sguardo dalla scatolina agli occhi verdi davanti a lei. “No! Per te, ma come ti salta in mente? E’ per il tuo vicino! Sai ultimamente abbiamo legato molto, e ti volevo chiedere un parere! Certo che è per te!” rispose ironico Leon, ricevendo una linguaccia da parte della sua amica, la quale prese il piccolo regalo e lo aprì. “Prima che tu dica qualcosa, voglio parlare io. Ha un significato, e ben profondo” spiegò il ragazzo, prendendo il piccolo braccialetto d’argento tempestato di piccoli diamantini tutt’intorno, per poi agganciarlo al polso sinistro, dopo aver tolto l’orologio. “Quale?” chiese sorridente la mora, seguendo il suo amico in ogni minimo movimento. E non appena incrociò di nuovo quei due smeraldi non poté no sciogliersi, anche con tutto quel freddo che faceva. “E’ una promessa. Ti prometto che non tornerò ad essere quello di una volta. Quello che andava in giro a spacciare ed a farsi una ogni sera. Ti prometto che non tornerò mai più il Leon di una volta. Sarò solo io, come in questo momento”. Violetta non poté non sorridere e saltare al collo del suo amico. “E’ bellissimo. Grazie”. Entrambi si stesero sotto il cielo stellato, purché fossero in Dicembre. Cielo stellato in Dicembre. Strano, ma vero.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Ehi, bella gente! Come state? Io alla grande! Più o meno. Allora… innanzitutto vorrei fare un in bocca al lupo a tutto il cast della nostra amata serie, che oggi ha iniziato il ‘ViolettaLive’. In bocca al lupo, idoli! Poi vorrei fare un augurio speciale ad una rossa che amiamo tanto. Tantissimi auguri Cande! Sei il nostro orgoglio, e tienitelo stretto Ruggero, che è… ehm, si.. stavamo parlando del capitolo. Allora, questo è abbastanza lungo, come capitolo, spero non sia stato troppo pesante. Non posso trattenermi molto, ma spero non vi sia dispiaciuto che lo abbia dedicato ai Leonetta. Ultimamente mi vengono da fare capitoli Leonetta, anche con l’altra mia storia. Vi informo che molto probabilmente ci sará un sequel, per questa storia. Ma non vi prometto nulla. Io devo scappare, quindi se vi è piaciuto lasciatemi una recensione. Spongy, la voglio molto lunga eh! Ci conto! E DEVI AGGIORNARE LA TUA STORIA, MH! Bacioni e alla prossima!
#Alice_Leonetta

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sesto capitolo. ***


“La smetti di mangiare! Fai schifo!” gridò Violetta lanciando un tovagliolo accartocciato sulla faccia del suo amico. Leon si era divorato mezza torta da solo, era proprio un animale! Tutti i presenti scoppiarono a ridere, poi il ragazzo lanciò una linguaccia alla sua amica, per poi ricevere un’occhiataccia da Violetta. In tutta risposta, Leon prese un altro pezzo di torta e lo mangiò avvicinandosi alla mora, che lo guardava furtiva come a dire ‘Ce la vedremo più tardi, io e te’. Quel io e te, nella sua testa, risuonava come la melodia più bella del mondo. Un’armonia che le faceva venire i brividi solo al sentirne le prime note. “Leon, basta sul serio. Ti senti male, se continui a mangiare!” esclamò Clara togliendogli la torta da sotto il naso. Il ragazzo sbuffò, bevendo della Coca-cola nel suo bicchiere. “Ti sei riambientata bene a scuola, Vilu?” chiese Alejandro poggiando un braccio sulla spalliera del bianco divano in pelle, ed accavallando le gambe. “Oh, si! Tutti i professori sono stati molto contenti di rivedermi. Ed ovviamente anche i miei amici. Mi sono mancati così tanto”. L’uomo sorrise, spostando lo sguardo su suo figlio, come per avvisarlo che lo stava per colpire in contropiede. Doveva porgergliela quella domanda, doveva proprio. “E voi, vi siete rincontrati subito?”. Il volto di Leon diventò pallido, peggio di un fantasma. Suo padre lo stava per far vergognare da morire. Non perché non aveva incontrato subito Violetta, quella mattina, ma perché era con una persona che, sapeva benissimo anche se era da poco che si erano conosciute, alla sua bambina non piaceva, non andava a genio. Il cuore si fermò per qualche secondo, poi ripartì sempre più forte. Violetta si voltò verso il suo amico, il quale la guardò con un sorrisetto forzato e preoccupato, quasi isterico. “Veramente no. All’uscita…” rispose la ragazza, rivolgendosi ad Alejandro. “…non so con chi sia stato per tutte le cinque ore” mentì. Oh sì che lo sapeva, lo sapeva benissimo. Voleva solo sentirlo dire da lui, così da ammettere la cazzata più grande che avesse mai fatto. Tutti i presenti si voltarono verso il giovane Vargas, che era quasi sull’orlo di una crisi di panico. “E-ecco, dovevo finire i c-cartelloni…” spiegò passandosi una mano sul ciuffo, poi dietro al collo. Era nervoso, e Violetta lo notò subito. Solo che non ne capiva il motivo. Sì, certo, quella… Gery (?) non le andava molto a genio, e sapeva perfettamente che le piaceva Leon. Lo aveva capito dai suoi occhi, dal modo in cui la guardava. Era lo stesso modo nel quale lei guardava lui, lo stesso modo che Leon la guardava, solo che lei non se ne era mai accorta, né tantomeno lui. Insomma, Gery non le piaceva affatto, ma forse in futuro sarebbero potute essere amiche. Forse… avrebbero condiviso qualcosa. Magari avevano già qualcosa in comune, solo che ancora non lo sapevano. A parte il fatto che tutte due erano innamorate dello stesso ragazzo, ovviamente. Clara si accigliò, sentendo le spiegazioni del figlio. Era a fare i cartelloni, quindi non era con i suoi amici, quindi era con Gery, quindi non era con Violetta. “Aspetta, hai saltato tutte e cinque le ore solo per fare i cartelloni?” domandò Violetta mettendosi più composta sul divano, e voltandosi con tutto il corpo verso il suo amico. Leon annuì, grattandosi la nuca. Era nei guai? Mai e poi mai avrebbe voluto far soffrire la sua bambina, e più tardi avrebbe fatto i conti con suo padre per aver tirato fuori l’argomento. Non avrebbe mai voluto veder Violetta soffrire, non avrebbe mai voluto vederla piangere, né tantomeno per una persona come Gery. Lui non amava quella ragazza, lui amava la sua bambina. La sua piccola, fragile, ingenua e bellissima bambina. “E con chi eri?” chiese ancora la mora incrociando le braccia ed alzando un sopracciglio. Da parte di tutti i genitori uscì un “Uhhh”. Violetta li zittì tutti, e tutti alzarono le mani come a chiedere scusa. Poi puntò il dito contro Leon “E tu, rispondi” gli ordinò. Ci fu qualche secondo di silenzio. Leon riusciva ad avvertire solo il suo cuore battere a ritmo impazzito, e la sua testa stava scoppiando. Non riusciva a decidere se dirle la verità, o mentire. Se le avrebbe detto la verità, l’avrebbe ferita. Se le avrebbe mentito, lo sarebbe venuta a sapere, e l’avrebbe ferita. In ogni caso Violetta avrebbe sofferto comunque, e si odiava per il male che stava per provocarle. Si odiava nel profondo del suo cuore. Perché non era rimasto in classe, quel giorno! Avrebbe risparmiato tutta quella sofferenza. Deglutì, spostando lo sguardo fuori dalla grande vetrata che dava sul giardino. Poi abbassò la testa, iniziando a torturarsi le mani “Ti ricordi… Gery?” chiese pronto a ricevere una bastonata “Sì” rispose schietta e fredda Violetta. “Ecco… ero con lei” disse infine Vargas incrociando lo sguardo di Violetta. Ma in quel momento i suoi occhi non erano più color nocciola. Erano rossi, rossi fuoco. Stava per piangere. Rossi lacrime. Verde e rosso. Rosso e verde. Non era un bel miscuglio, come nocciola e verde. Quel miscuglio, era… spento. Non sapeva di niente. Mentre invece nocciola e verde, era la fine del mondo. Una combinazione di colori perfetta. Nessuno fiatò per un po’, nessuno sapeva che dire. Troppa era la tensione, e poi qualunque cosa avessero detto sarebbe stata sbagliata. Poi German spostò lo sguardo sul polso sinistro di sua figlia, notò che al posto dell’orologio che indossava qualche ora prima, ora c’era uno splendido bracciale tempestato di diamanti. “Che bello! Te lo ha regalato Leon?” chiese attirando l’attenzione su di sé, ed indicando il bracciale che aveva al polso Violetta. Tutti spostarono lo sguardo su quell’oggetto tanto affascinante. Clara sorrise, al ricordo del giorno di qualche settimana prima, quando accompagnò suo figlio a comprarlo. “Non so, mamma. Non mi convince nessuno. Secondo te un anello è ideale? Non sarà un po’ troppo?” disse Leon incrociando le braccia al petto e guardando insoddisfatto sua madre, concentrata a scrutare da cima a fondo una vetrina che esponeva molti bellissimi anelli. Sorrise al commento di suo figlio. Un anello. Ovvio che era ideale, era un regalo per Violetta, non per una chissachì! Si voltò verso suo figlio, ancora sorridente “Tesoro, Amore mio, luce dei miei occhi, vita mia…” disse poggiando le mani sulle sue spalle “…è un regalo per Violetta. Non vuoi comprarle qualcosa di speciale?”. “Certo!” esclamò schietto Vargas spalancando gli occhi “E’ solo che un anello mi sembra un esagerazione. Insomma, non stiamo insieme” continuò. Sua madre tirò un sospiro di esasperazione, volendo tanto che quello che aveva detto suo figlio non fosse vero. Lui e Violetta dovevano stare insieme. In un modo o nell’altro. “Anche se ti piacerebbe…” sussurrò la signora Vargas sorridendo maliziosamente e togliendo le mani dalle spalle di suo figlio. “Cosa?”. “Oh, nulla caro. Nulla”. Leon annuì, voltandosi e trovandosi una perfezione a pochi metri. Mise a fuoco l’immagine, e notò un bracciale d’argento tempestato di diamanti, proprio dall’altra parte del negozio. A grandi falcate raggiunse la vetrina, e lo scrutò nei minimi particolari, attento a non rovinare la vetrina che lo conteneva. Sorrise, dopo un buon minuto che lo stava osservando, chiamò sua madre, che stava parlando da sola. “Cosa c’è? Dobbiamo vedere l’anel… oh. Wow!” esclamò la donna trovandosi davanti quel bellissimo bracciale. Si lanciò un’occhiata d’intesa con suo figlio, e si sorrisero, prima di chiamare il commesso e comprare il bracciale. Avrebbe conquistato Violetta. “Sì” rispose Violetta cercando di mascherare un sorriso, era arrabbiata con Leon, e non sapeva se lo avrebbe perdonato. Perché non le aveva detto di Gery? Perché non le aveva detto che era con lei? Violetta già lo sapeva, ma avrebbe tanto voluto che a dirglielo fosse stato il suo amico, il suo migliore amico, del quale si fidava. “E’ molto bello” disse sinceramente German, sorridendo al ragazzo, il quale rispose al sorriso. “Ci sono state molte complicazioni, per questo braccialetto!” esclamò ridendo Clara, per poi tapparsi subito la bocca pentendosene subito. Ormai era troppo tardi. Leon la fulminò con lo sguardo, avrebbe dovuto chiarire anche con lei più tardi. I suoi genitori lo stavano facendo litigare con Violetta, con la sua bambina, con la persona che amava da sempre. Violetta si accigliò, guardando prima Clara poi Leon, con le labbra serrate tra loro, e gli occhi chiusi. “In che senso?” chiese a mezza voce la ragazza, scrutando il viso di Leon. Era strano, come se nascondesse qualcosa. Ci fu un periodo di lungo silenzio, non si sentiva niente, neanche Olga che lavava i piatti i cucina o che faceva qualcos’altro. Violetta e German stavano morendo dalla curiosità di sentire la risposta di Leon. Violetta, in particolare, aveva paura. Perché c’erano state complicazioni per il braccialetto? Cosa le nascondeva Leon? “Leon…” disse quasi in preda ad una crisi di nervi. Perché non le rispondeva! “Ecco… questo pomeriggio non trovavo la scatoletta. Allora ho chiamato Diego per aiutarmi a cercarlo, però non lo abbiamo trovato. Alla fine abbiamo ripercorso tutto ieri pomeriggi ed abbiamo scoperto che non era in camera…” spiegò Leon, tralasciando la parte finale. “E dov’era?” chiese German poggiando le braccia sulle ginocchia e il mento sui palmi delle mani, come i bambini quando sono presi da una storia. Leon spostò lo sguardo su Violetta, avevano entrambi gli occhi lucidi. Non voleva farle ancora male, non se lo meritava. Dopo tutto quello che stava passando, non le poteva ancora fare del male. Ma non voleva neanche mentirle, era la sua Bimba, e non voleva che ci fossero delle bugie tra di loro. “Lascia stare” disse Violetta lanciandogli un’occhiataccia e guardandolo in cagnesco, prima di alzarsi di scatto ed uscire di nuovo nel giardino sul retro. Era il suo posto speciale, un posto dove si rifugiava quando aveva paura. Un posto che le era appartenuto fin da piccola, quando restava sola e Leon non c’era. Quando era lei contro il mondo. In quel momento non era arrabbiata con Leon, non ce l’aveva con lui. Aveva paura, aveva solo paura. Paura di perderlo, paura che Gery potesse allontanarlo da lei. Paura che non sarebbero mai più stati quelli di una volta, quei due bambini che giocavano in quel giardino. Aveva paura di non essere più la persona importante della vita di Leon, aveva paura che non le avrebbe mai più dato quei bacetti sulle labbra, come quando erano piccoli. Quei bacetti che tanto amava, di cui ne aveva un assoluto bisogno. Si sedette sul prato bagnato dall’ umidità, a gambe incrociate e le braccia avvolte attorno al ventre come per proteggersi da un brutto colpo. Delle lacrime iniziarono a rigarle il viso, e il vento fresco di metà Dicembre gelava ogni riga, le scompigliava i capelli, ma a lei questo non importava. Improvvisamente sentì la grande porta-finestra aprirsi, e senza voltarsi riconobbe quei passi. Si facevano sempre più vicini, fino ad interrompersi del tutto affianco a lei. Leon si mise nella sua stessa posizione, restando in silenzio e guardandola. Non diceva niente, la guardava e basta. Violetta aveva una pelle bellissima, chiarissima, e alla luce della luna risultava ancora più perfetta. Era liscia come la seta, e forse anche di più, e chiara come il niente. Anche se il niente può essere di tutti i colori, dipende sempre dalle persone. Per Leon il niente era bianco, come la pelle di Violetta. Un leggero rossore, quasi roseo, era accentuato sulle guance della ragazza. Le labbra erano carnose e rosee, perfette. “Scusa, Bimba” sussurrò senza staccarle gli occhi di dosso. Violetta si voltò lentamente, immergendosi in quel mare verde che aveva davanti. Fece spallucce “Di che? Non è mica colpa tua” rispose tornando a guardare il niente nero davanti a lei. Per lei il niente era nero, un nero che più nero non si può. Un nero che non si poteva superare, il nero più scuro del mondo. Per Violetta il niente equivaleva al nero, perché se è niente non lo puoi vedere, ed è come il nero. Quando hai davanti qualcosa di nero non riesci a vedere nulla. “Invece sì. E’ colpa mia, è stata tutta colpa mia. Se hai avuto questa reazione, significa che non sono riuscito a dimostrarti quanto ancora ci tengo a te, quanto sei ancora importante. Per me non è cambiato nulla, in questi cinque anni, sei stata, sei e rimarrai sempre una delle persone più importanti nella mia vita. Non ti nascondo che anche Gery è stata importante, ed è tutt’ora importante per me. Te l’ho detto, è stato grazie a lei se ora gli altri mi riaccettano. E’ importante sì, ma mai quanto te. Nessuno può essere importante quanto te. Non so come spiegartelo bene, ma vedi, sei come la forza di gravità per me. E’ come se fossi così forte da attrarre me, e altre persone accanto a te. Non so se mi sono spiegato, ma ti voglio bene, Vilu. Più di qualunque altra cosa e chiunque altro al mondo. So che è una di quelle frasi di sempre, una di quelle fatte, ma credimi che lo sento sul serio. Non so come ho fatto tutto questo tempo, tutti questi anni lontano da te. Ma credimi se ti dico che ne sono valsi la pena. L’attesa ha ricompensa tutto, ed è stato meglio che tu non mi sia stata accanto per tutto questo tempo. Forse però non sarebbe accaduto niente se non fossi partita, ma non ti sto dando la colpa per questo, Bimba, credimi. La colpa non è di nessuno, è successo e basta. Non voglio perderti per una stupidaggine, soprattutto per una cosa sciocca che non significa niente. Sei tu la più importante, e questo non è cambiato e mai cambierà”. Violetta sentiva dentro di sé una sensazione piacevole, proprio sulla bocca dello stomaco. Sentiva una sensazione che la faceva star bene. Era innamorata. Si voltò ancora verso Leon, asciugandosi le lacrime e sorridendo leggermente. Gli si buttò addosso, allacciando le braccia al collo del ragazzo e lasciandogli piccoli ma intensi baci su tutta la faccia, evitando di proposito le labbra. Leon la circondò con le sue braccia, per poi mettersi in piedi e prendere i suoi fianchi. “Dimmi una cosa, per caso le piaci?” domandò Violetta poggiando le mani sul petto del ragazzo ed abbassando la testa. “Perché questa domanda?” chiese Leon sorridendo. La mora arrossì e il ragazzo poggiò due dita sotto il suo mento e le alzò la testa. “Così, solo per sapere”. Leon rise, per poi lasciarle un dolce bacio sulla guancia “Sì” rispose semplicemente il ragazzo, ricevendo subito un’occhiataccia dalla sua amica. Violetta aprì la bocca per parlare, ma Leon le mise un dito sulle labbra zittendola prima.
Violetta aprì la porta della sua stanza, seguita da Leon. Era da tanto che non trascorrevano del tempo insieme, e non vedeva l’ora di raccontargli tutto. La mora si sedette sul letto, mentre il ragazzo chiuse la porta, dietro di sè, per poi raggiungere la sua amica, sul letto. Si sdraiò accanto a lei, circondandola con le sue braccia e facendola accoccolare sul suo petto. Leon giocava con i capelli di Violetta, mentre lei guardava il braccialetto di stoffa che aveva al polso lui. Lo sfiorò con un dito, e sorrise. Poi guardò lo stesso, identico, bracciale che aveva anche lei. Non l’aveva affatto dimenticata. Sorrise, al ricordo del giorno che glielo regalò. Quanto tempo era trascorso, eppure.. ora erano lì. Insieme. Niente e nessuno li avrebbe più separati. Era una promessa.
 
 
 Andres raggiunse di corsa i suoi amici davanti agli armadietti, il loro punto di ritrovo. Con il fiatone, poggiò la mano sulla spalla di Federico e respirò a fondo. Tutti lo guardavano strano, poi Diego si decise a chiedere: “Che succede, amico?”. Il ragazzo fece altri due respiri profondi, per poi alzare la testa ed incrociare tutti gli sguardi dei suoi amici confusi. “Ieri pomeriggio, dopo le lezioni…” disse respirando a fondo “Cos’è successo?” chiese Camilla accigliandosi “…nell’aula professori” continuò. “Andres! Dicci cos’è successo ieri pomeriggio, dopo le lezioni nell’aula professori!” ordinò Federico ormai esasperato. “Ok. Vi dico che sarà un brutto colpo. Io ho pianto tutto ieri, fino a questa mattina” spiegò il ragazzo ancora appunto con gli occhi gonfi e lucidi. Tutti iniziarono a preoccuparsi di più. Cos’era successo di così grave? “Parla, Andres” disse Brodway. “Violetta… ecco, in realtà volevo che fosse lei a dirlo a tutti”. Francesca di impaurì ancora di più, più di tutti. La sua migliore amica. “COS’E’ SUCCESSO A VIOLETTA!” gridò, cercando si sfuggire dalla presa di Diego per andare a strangolare Andres. “Ecco… ho sentito che ha un problema”. “Che genere di problema!” esclamò Ludmilla con gli occhi fuori dalle orbite ed il cuore a mille. Federico cercò di tranquillizzarla, accarezzandole la schiena. “E’ malata”. Francesca a momenti svenì per la paura. “Di cosa?” domandò con voce spezzata Nata, che per tutto il tempo era stata zitta e stretta a Maxi. “Non ho capito bene, ma penso che si tratti di… un tumore al cervello”. Il cuore di tutti si fermò, e scoppiarono tutti in un pianto isterico. Francesca si accasciò a terra, continuando a gridare: “NO! NO! NO!”. Diego cercava in tutti i modi di tranquillizzarla, ma anche lui stava piangendo, e non riusciva a calmarsi. Camilla iniziò a dare pugni agli armadietti, piangendo come non aveva mai fatto, mentre Brodway e Maxi stavano cercando di rianimare Nata che era svenuta tra le braccia del riccioluto. Ludmilla si strinse a Federico, affossando il viso nel petto dell’italiano, e piangendo come un’isterica in preda a convulsioni celebrali. Federico l’aveva circondata con le sue braccia, e la teneva stretta a sé, piangendo anche lui. Violetta, la loro amica Violetta stava per morire. Da quanto diceva Andres, era malata di tumore al cervello, e il tumore al cervello difficilmente è curabile, quindi al 90% l’avrebbero persa. Nessuno riusciva a crederci. Violetta aveva solo diciassette anni, era una ragazza brava e gentile con tutti. Era ingiusto tutto quello, non meritava quello che le stava accadendo, non lo meritava affatto. “NO! NO! NON E’ VERO! NON E’ POSSIBILE!” gridò Francesca stringendosi a Diego, che l’accolse tra le sue braccia cercando di infonderle coraggio. L’avevano appena ritrovata, era ingiusto perderla per una malattia che non meritava! La vita era ingiusta! “NON E’ VERO!”. “Ehi, che succede ragazzi!” esclamò preoccupata Gery arrivata di corsa vedendo i suoi amici in quello stato. Nessuno le rispondeva, nessuno faceva caso a lei. “Andres, che succede!” chiese ancora, vedendo il suo amico asciugarsi le lacrime con il dorso della mano. “Pare che Violetta abbia un tumore al cervello” spiegò il ragazzo ricominciando a piangere “CHE!” gridò Gery spostando lo sguardo sui suoi amici. Violetta? La Violetta che ieri era andata via con Leon? Ma era una ragazza così giovane, come faceva ad aver un tumore al cervello? Era ingiusto. Scrutò i suoi amici, erano proprio disperati. Nata si era ripresa, ma come gli altri era scoppiata a piangere tra le braccia di Maxi, mentre Brodway cercava di consolare Camilla. “Ragazzi, vedrete che Andres avrà di sicuro capito male” cercò di rassicurarli lei con voce tremante. Le dispiaceva molto per Violetta, anche se non la conosceva. E vedere i suoi amici in quello stato, le spezzava il cuore. Voleva un gran bene a tutti, e si era molto affezionata. “Vedrete che è sicuramente così” continuò. “Ciao, ragaz… Che succede!” gridò Violetta lasciando la mano di Leon e correndo incontro alla sua migliore amica che si stava disperando. Abbracciò forte Francesca, accarezzandole la nuca “Perché non ce lo hai detto, Vilu! Perché!” gridò l’italiana scuotendola per le spalle. La mora si accigliò, cercando di capire la sua amica guardandosi intorno. Perché tutti stavano piangendo? “Ma di cosa parli, Fran?”. “Non fare la finta tonta, Violetta. Sappiamo tutto del tumore al cervello!” esclamò Camilla cercando di calmarsi. Violetta capì al volo e lanciò uno sguardo a Leon, che si era fatto serio come lei. Scostò le mani di Francesca dalle sue spalle, e le prese. “Chi ve lo ha detto?” riuscì a chiedere a testa bassa, come se si dovesse scusare di qualcosa. “Andres”. Tutti si voltarono verso il ragazzo “L’ho sentito ieri nell’aula professori. Ne stavano parlando, ma non sono riuscito a sentire bene”. Leon affiancò Violetta, circondandole la vita. “Perché non ce ne hai parlato, Vilu?” chiese una Ludmilla ancora piangente. “Non volevo… ecco, non volevo farvi preoccupare ulteriormente. So che le volete molto bene, ma non serve che vi preoccupiate così” rispose la mora. Tutti si accigliarono “Come ‘le’? Magari ‘ti’ vogliamo bene” disse Camilla. “Mi? Cami, non sono mica io quella che ha un tumore al cervello”. “Come no!” esclamarono tutti in coro, sempre più confusi “E allora chi è?” domandò Maxi. Violetta guardò Leon, il quale annuì leggermente incitandola a dire tutto. La ragazza abbassò la testa, lasciando le mani della sua amica. Fece un respiro profondo, e Leon la strinse di più a sé “Mia madre”. Restarono tutti a bocca aperta, per poi ricominciare a piangere. Maria. Era Maria che era malata di tumore, non Violetta. Era Maria che presto purtroppo li avrebbe lasciati. Era Maria che… no. No. No. No. Maria non poteva morire, no, non poteva lasciarli. Era stata come una seconda madre per tutti, li aveva aiutati in tutto. Sempre. No, non poteva abbandonarli, e Violetta? Come avrebbe fatto senza sua madre? Come sarebbe riuscita ad andare avanti senza una figura femminile di riferimento? Sarebbe stato tutto più difficile, tutto più duro senza sua madre. Una madre è come un’amica, una confidente, una persona a cui puoi raccontare tutto senza che ti giudichi o che ti dia consigli sbagliati, di proposito. Violetta si strinse di più a Leon, cercando di trattenere le lacrime, ma non appena il ragazzo le lasciò un bacio sulla guancia scoppiò. Tutti, uno per uno, la abbracciarono ricordandole che ci sarebbero stati sempre, in ogni momento. Non l’avrebbero mai lasciata sola.
 
 
 Ludmilla chiuse l’anta del suo armadietto, richiudendolo con la chiave per poi infilarla nella tasca dei jeans. Si avviò verso le macchinette, ma improvvisamente qualcuno la prese per i fianchi facendola voltare ed aggredendola subito con le labbra. Accadde tutto in un secondo, Federico la strinse a sé, sorridendo sulle labbra della bionda, per poi staccarsi ed ammirare la perfezione che aveva davanti. “Mi sei mancata” sussurrò l’italiano sorridendo. “Ma ci siamo visti cinque minuti fa in classe!” esclamò Ludmilla per poi scoppiare a ridere insieme al suo ragazzo. “Lo so, ma ogni secondo passato lontano da te è un inferno”. “Oh, Amore. Quanto ti amo” sussurrò la ragazza per poi allacciare le braccia intorno al collo di Federico e ricominciando a baciarlo con amore e passione. In effetti, anche a lei le era mancato, anche se era passato solo qualche minuto. Erano una coppia bellissima, e si amavano come nessun’altro. Nessuno li avrebbe separati, neanche sua madre, nonostante tutte quelle sue dicerie. Federico era l’amore della sua vita, e lo amava in un modo indescrivibile, ed era sicura di essere corrisposta. Infatti, anche per l’ italiano Ludmilla era la ragazza più bella che avesse mai visto. Il suo amore per lei era una cosa da pazzi, ma non gli importava essere pazzo se accanto a sé aveva la persona più importante della sua vita. “Anch’io ti amo, Amore mio”. Si presero per mano, per poi raggiungere le macchinette. Federico inserì quaranta centesimi, premendo poi il tasto con so scritto ‘Cioccolato’. “Ovvio, che potevi scegliere!” esclamò la bionda mordendosi il labbro inferiore e scuotendo la testa. “Senti, biondina. Ora solo perché a te non piace il cioccolato non significa che io non debba prenderlo”. “Senti, saputellino. A me piace il cioccolato, non lo mangio perché altrimenti i pantaloni non mi vanno più!”. L’italiano si girò di scatto verso la sua ragazza, fulminandola con gli occhi “Seriamente? Quindi il motivo per il quale non magi è perché hai paura di ingrassare?” chiese serio. Ludmilla annuì, per poi abbassare la testa “Ho sempre avuto questa paura, fin da piccola” spiegò. Federico la prese per la vita, attirandola a sé e facendo scontrare i loro petti. “Amore, non devi avere queste paure. Non succede niente se mangi qualcosa in più del solito, e se bevi un bicchiere di cioccolato caldo. Non devi vivre con questa fobia per il resto della tua vita”. La bionda sorrise, poggiando le mani sulle spalle del ragazzo “Sì, ma se ingrasso non ti piacerò più”. Federico rise, per poi lasciarle un dolce bacio sulle labbra. “Tu sei perfetta. Mi sono innamorato di te perché sei bella dentro. Ed anche fuori, ovvio! Però a me non interessa se prendi qualche chilo in più, anzi mi farebbe anche piacere. Sei troppo magra, e questo non ti fa bene” disse, per poi lasciarle la vita e prendere il cioccolato fumante dalla macchinetta. Sciolse lo zucchero, poi ne bevve un sorso e porse il bicchierino alla sua ragazza. “Che? No” rispose schietta allontanandolo con le mani “Invece si. Prendi” ordinò l’italiano porgendoglielo ancora “Fede, ti ho detto di no. Non voglio berlo”. “Per favore. Fallo per me” chiese facendo la faccia supplichevole. Sbuffò, per poi prende il bicchierino e berne un po’. Lo riporse a lui che scosse la testa e fece segno di ‘no’ con l’indice “Tutto”. Ludmilla lo fulminò con lo sguardo, bevendo tutto il contenuto nel bicchiere, gettandolo poi nel secchio lì vicino. “Brava” disse il ragazzo sorridendo. La bionda gli lanciò una linguaccia, sedendosi su una panchina. Federico la imitò, mettendole un braccio attorno al collo. D’un tratto Ludmilla si ricordò che avrebbe dovuto parlare con lui. Gli avrebbe dovuto spiegare tutta quella situazione che a sua madre non piaceva. Gli avrebbe dovuto dire che lui non le era mai piaciuto, e che vorrebbe separarli. Ma come faceva a dirglielo? Come faceva a ferire la persona che amava? Che farebbe di tutto pur di vederla felice. Però non poteva affrontare quel problema da sola. Non sarebbe riuscita ad affrontare la situazione senza nessuno accanto, sola contro sua madre. Certo, c’era Diego, ma cosa avrebbe potuto fare lui? La poteva confortare, come aveva fatto appunto il giorno prima, ma poi? Cosa sarebbe cambiato? Sarebbe riuscito a far cambiare idea a sua madre, riguardo Federico? Sarebbe riuscito a spronarla dalla sua convinzione che quel ragazzo non era giusto per lei? No, solo Federico ci sarebbe potuto riuscire. La bionda si fece seria, fece un respiro profondo. “Cos’hai?” domandò l’italiano accigliandosi e facendosi serio anche lui. Ludmilla abbassò la testa, iniziando a torturarsi le mani “Devo dirti una cosa”. “Dimmi”. “Ecco… hai presente mia madre?”. Federico annuì ripensando alla donna che era sempre tanto gentile e disponibile con lui. “Non vuole che… che… sti-stiamo insieme” balbettò, per poi far cadere la prima lacrima. “Dice che tu no-non sei il ragazzo giusto per me. E vuole che ci lasciamo”. Federico rimase senza parole. Priscilla, la madre della sua ragazza, voleva che loro due si separassero? Che si lasciassero? Che tutto il loro amore scomparisse in un ‘puf!’? No, assolutamente no. Non avrebbe lasciato Ludmilla, non l’avrebbe lasciata sola. Stavano insieme da più di un anno, e l’amava come il primo giorno. Non si sarebbero separati, per nulla al mondo. “E tutte quelle volte che…”. “Mentiva. Stava mentendo, per far vedere che era una perfetta madre. Ma non lo è, non lo è affatto. La odio, con tutta me stessa! La odio, la odio, la odio!” gridò la bionda, affondando la faccia nel petto dell’italiano, che cercò di coccolarla e tranquillizzarla. Le lasciò un dolce bacio sulla fronte, per poi prendere il suo viso tra le mani e sorriderle. Ludmilla si sciolse, come un ghiacciolo sotto il sole cocente di Agosto, e ricambiò il sorriso. “Stai tranquilla. Non ti lascerò mai, dovesse anche finire il mondo. Ti amo, e questo non cambierà” sussurrò Federico, dando poi vita ad un bacio passionale insieme alle labbra della bionda. Quando si staccarono, il ragazzo poggiò la fronte su quella della sua fidanzata, e con i pollici le accarezzò le guance asciugandole le lacrime. “Ti amo, anch’io” rispose Ludmilla sorridendo dolcemente. “Nessuno ci separerà, promesso”. “Ma come faremo, con mia madre? Se sa che stiamo ancora insieme mi manderà da mio padre” spiegò. “Allora lasciamoci”. “CHE!” gridò Ludmilla separandosi dal ragazzo e scrutandolo attentamente. Federico scoppiò a ridere scuotendo la testa “Vuoi che ci lasciamo?” esclamò la bionda sempre più stupita. “No, no. Assolutamente no. Sto solo dicendo che potremmo far finta di esserci lasciati” spiegò. “Ahh. Mi hai fatto prendere un colpo!” disse la ragazza dandogli un colpo sul braccio. L’italiano rise ancora attirandola a sé, e guardandola intensamente negli occhi. “Non potrei mai separarmi da te”. La bionda gli sorrise, lasciandogli un bacio a stampo sulla bocca “Neanche io. Non riesco ad immaginare la mia vita senza te”. “Voglio stare per sempre con te”. “Per sempre”. Entrambi annuirono sorridendo, dando poi vita ad un altro bacio pieno d’amore. Nessuno li avrebbe separati, sarebbero stati insieme per tutto il resto della loro vita. Avevano solo diciassette anni, ma già stavano programmando la loro vita.
 
 
 La campanella dell’ultima ora suonò, tutti gli alunni uscivano a folate dal grande edificio. Dopo cinque ore di lezione non vedevano l’ora di tornare a casa e dimenticarsi per qualche ora della scuola. Era venerdì, e il week-end avrebbero dormito fino a tardi. La settimana che veniva avrebbero finito la scuola, sarebbero iniziate le vacanze di Natale. Natale: una gioia per molti. Regali, festa, famiglia, calore… ideale. Violetta e Leon uscirono mano nella mano, scesero le scale e si accomodarono sul piccolo muretto che circondava l’edificio. Si erano messi d’accordo con gli altri, che si sarebbero accordati per la festa del giorno successivo. Sarebbe stato il compleanno di Camilla, e la festa si sarebbe svolta in una discoteca: il Vampires Black. Era la discoteca più famosa di Buenos Aires, e la rossa aveva deciso di festeggiare proprio lì. “Sai già cosa ti metterai domani sera?” chiese Violetta voltandosi verso Leon “Un’idea ce l’avrei, ma non ne sono sicuro. Tu?”. “Sì! E’ un vestito che avevo comprato quest’estate a Madrid! E’ bellissimo!” rispose molto entusiasta la ragazza. Leon fu contagiato dalla risata della sua amica, poi però si accigliò, ripercorrendo con la mente le parole di Violetta, un paio in particolare lo colpirono: vestito, estate. Vestito. Estate. Estate. Vestito. No. “No, frena, frena, frena” disse parando una mano tra loro. “Un vestito che hai comprato quest’estate a Madrid?” ripetè il ragazzo. Violetta annuì curiosa della domanda dell’amico. “Se è un vestito, significa che è corto. Quanto?” chiese guardandola di sottecchi facendola scoppiare a ridere. In quel momento Leon si innamorò di quella risata, tanto soave e bellissima. Delicata e piacevole. “Tu non ti preoccupare di questo. Ci sarà mio padre a farmi il terzo grado”. “Come non mi devo preoccupare! E se qualcuno… prova ad ‘alzare la gonna’? Capisci cosa intendo?”. Violetta annuì sorridendo  “Sì, ho capito. Ma non ti devi preoccupare di questo perché so due cose!” esclamò mordendosi il labbro inferiore. Il ragazzo sorrise, sedendosi meglio sul muretto “E sentiamo, quali sarebbero queste due cose?”. “Allora, per primo so che se qualcuno ‘proverà ad alzare la gonna’, come dici tu, lo diciamo, ucciderai?” spiegò, facendolo scoppiare a ridere. “Ok, questo è giusto. E la seconda?”. “Per secondo so che non mi lascerai mai da sola, e quindi non correrò quel pericolo”. Sul viso di Leon si stampò un’espressione come a dire ‘Brava, vedo che hai capito tutto’. Annui sorridendo “Esatto, perché tu sei solo mia. Solo ed esclusivamente mia. Il che significa che non puoi, ma soprattutto non devi, mai separarti da me. So come sono queste feste e so cosa succede se bevi un po’ troppo, quindi prometti che non cercherai di allontanarti da me” ordinò Leon puntandole l’indice contro. “Promesso. E comunque, non mi sarei mai allontanata da te”. Si sorrisero, poi lui la fece accoccolare sul suo petto, ed in quel preciso momento arrivarono Francesca e Diego mano nella mano, Brodway, Maxi e Nata. “Ehi, piccioncini! Aspettate da tanto?” chiese Francesca entusiasta di aver dato loro quel soprannome “Fran!” esclamò Violetta esausta. Lei e Leon non stavano insieme, ed entrambi non riuscivano a capire perché i loro amici continuassero a pensare il contrario. Erano solo migliori amici, punto. “Scusa, scusa” rispose la mora alzando le mani. “Gli altri?” domandò Vargas. “Ludmilla e Federico stanno arrivando, mentre Camilla non so” rispose Maxi facendo spallucce. “A me ha detto che doveva aspettare sua cugina, ha detto che verrà anche lei alla festa e vuole che la rendiamo partecipe perché da lunedì farà parte della nostra classe” spiegò Nata. “Sì è vero. Io l’ho conosciuta, ed è davvero gentile… e bella!” esclamò Brodway dando una gomitata a Leon. Entrambi risero, Violetta lanciò un’occhiataccia a Leon, il quale rispose stringendole di più la mano. “Brod, guarda che lo dico a Camilla, eh!” lo minacciò Violetta puntandogli il dito contro. “Ma lo sapete che scherzo. Io amo solo Camilla!”. “Certo, certo. Solo lei” intervenne Diego sorridendo maliziosamente “E tutte quelle spogliarelliste che ti giravano intorno l’altro sabato?” esclamò Leon, questa volta dando lui una gomitata al brasiliano. Brodway alzò le mani in segno di difesa “Ehi! Erano loro che giravano intorno a me, non il contrario!”. Tutti scoppiarono a ridere “Poi non solo a me, vero Leon, Diego, Maxi?”. Violetta, Francesca e Nata a loro volta spalancarono la bocca e diedero una pacca ai ragazzi di fianco a loro “BRODWAY!” gridarono in coro i ragazzi “Ma bravi, ve la spassate e non ci dite nulla!” esclamò Nata incrociando le braccia al petto con gli occhi di fuoco. “Potevate almeno avvertirci!” disse Francesca fulminando Diego, il quale stava ridendo sotto i baffi, cercando di trattenersi. “Tu non puoi prendertela con me perché sei tornata ieri!” si difese Leon ridendo, rivolgendosi a Violetta. “Giusto sì” rispose la mora annuendo tranquilla, “Ma non dovevi andarci a prescindere!” gridò improvvisamente contro Leon, il quale scoppiò a ridere. “Dai, Bimba. Era solo una serata come tante. Non è successo niente” spiegò il ragazzo cercando di giustificare il malfatto. “Io non direi, ti ricordi quella bionda che ha cominciato a ba…”. “MAXI! Non mi sembra il caso!” lo liquidò Leon con gli occhi di fuoco. Il riccioluto alzò le mani, tornando a Nata “No, Maxi. Continua invece… sono molto curiosa” disse Violetta incrociando le braccia al petto “No, non è successo niente, Vilu”. La mora alzò un sopracciglio, cercando di convincersi davvero di quello che dicevano i suoi amici, poi si voltò verso Leon, il quale fece la faccia da angelo innocente e fece ridere la ragazza. “Per questa volta passa” disse sorridendo e puntandogli il dito contro “Oh, grazie, Bimba. Che onore!”. “Prendi anche in giro?”. “No, no. Scherzavo” rispose difendendosi. “Mh, meglio così”. Tutti scoppiarono di nuovo a ridere, poi si sentirono dei passi andare verso di loro. Federico e Ludmilla li stavano raggiungendo mano nella mano. Di fianco a loro c’erano Andres e Gery che chiacchieravano, e non facevano caso agli amici che li stavano guardando. “Camilla non è ancora arrivata?” esclamò Ludmilla stupita. La rossa le aveva detto che sarebbe stata una delle prime ad uscire e ad aspettarli sul muretto. “A me ha appena inviato un messaggio. Dice che tra due minuti sarà qui” intervenne Gery fissando lo schermo del cellulare. “Ho fame!” esclamò Federico lamentandosi come un bambino “Che novità!” gridarono tutti in coro, facendo spaventare il ragazzo. “Ehi! Io non mangio tanto!” si difese. “Oh, certo Amore. Ed io sono Lady Gaga”. Partì una fragorosa risata mentre il ragazzo si morse il labbro inferiore scuotendo la testa. “Fede, sei riuscito anche a superare Leon quando avete fatto a gara a chi mangiava più panini del Mc!” ricordò Gery. “Ah, sì me lo ricordo quel giorno, è stato memorabile! E’ stata la prima volta che Leon Vargas è stato battuto!” rispose l’italiano “Oh ma stai tranquillo che mi rifarò la prossima volta” lo minacciò Vargas guardandolo di sottecchi. “No, grazie. Non voglio vomitare per una settimana, mi è bastata e avanzata quella volta”. “Faccio io a gara con te, amico!” intervenne Andres proponendosi ed alzando la mano “Ben accetto, amico!” rispose Leon stringendogli la mano. “Oh per favore, Andres! Non arriveresti neanche a tre! Leon è il migliore” disse Gery incrociando le braccia al petto, e ricevendo un “Uhh” da parte degli altri amici. Violetta, che fino a quel momento era rimasta zitta per non scatenare la Terza Guerra Mondiale, strinse sempre più forte la mano di Leon, incenerendo Gery con lo sguardo. Il ragazzo si voltò verso di lei, sorridendo per la sua gelosia, così le circondò la vita lasciandole la mano, ed attirandola di più a sé. “Ah, Leon ti ricordi che hai promesso che oggi pomeriggio mi portavi al cinema?” chiese Gery. Violetta stava per scoppiare a gridarle in faccia che non si doveva azzardare ad avvicinarsi a Leon, che non gli poteva  stare a meno di venti metri di distanza, che Leon era suo, e che se lo poteva anche dimenticare! Poi arrivò il colpo di genio “Oh, Leon, mi sono appena ricordata che ieri papà mi ha chiesto se questo pomeriggio volevi venir a studiare da me”. Leon si accigliò, alzando un angolo della bocca, beffando della gelosia della ragazza. “Ma oggi è venerdì, e domani non abbiamo scuola. Che senso ha studiare? Potete farlo direttamente domani pomeriggio” disse ancora la mora. “In realtà, domani pomeriggio mi deve aiutare a prepararmi, giusto Leon?” chiese la ragazza voltandosi verso il suo amico, il quale si stava gustando tutta la scenata di gelosia. “Sì, è vero. E’ meglio che studiamo oggi, domani c’è la festa. Non ti dispiace se rimandiamo l’uscita al cinema, vero? Magari la prossima volta potremmo organizzare con tutti, che ne dite?”. “Sì!” gridarono gli altri in coro. “Aspettate, quindi viene anche lei alla festa di Camilla?” domandò Gery indicando Violetta, sempre più vicina a Leon. “Sì, perché ci sono problemi?” domandò Francesca incrociando le braccia al petto. Voleva bene a Gery, era una delle sue più grandi amiche, ma se odiava Violetta, odiava anche lei. “Oh, no, certo che no. E’ che è arrivata solo ieri, e non credevo che Camilla l’avesse invitata”. “Invece sì. E’ una delle mie migliori amiche, e ci tengo che sia presente” rispose d’un tratto una voce cristallina scendente dalle scale. Tutti si voltarono in quella direzione e videro la loro amica rossa, affiancata da una bellissima ragazza. Lunghi capelli neri, che arrivano fin sotto le spalle, due occhi di ghiaccio, capaci di trafiggerti con mille lame ghiacciate fin dentro le ossa. Due labbra abbastanza carnose e ricoperte da un lieve strato di lucidalabbra ed un fisico da modella. Gambe snelle e perfette. Doveva essere la cugina di Camilla. La rossa raggiunse il suo ragazzo, lasciandole un lieve bacio sulle labbra. “Certo, certo. Chiedevo solo” rispose Gery alzando le mani in segno di difesa. Sperava di conquistare Leon, alla festa, ma se resterà tutto il tempo con Violetta, le sarà un po’ difficile. Gli occhi di tutti erano puntati sulla ragazza nuova. Era davvero bellissima, si vedeva che era imparentata con Camilla, si somigliavano molto. Certo, non avevano né capelli né occhi uguali, ma i loro visi erano abbastanza in sintonia. “Ragazzi, lei è mia cugina Isabel Garcia. E’ la figlia di mia zia Flama”. “Ciao!” esclamarono tutti in coro, qualcuno alzando la mano, qualcun altro facendo cenno con il capo. “Ehm, ciao. Come ha detto Cami mi chiamo Isabel, ma chiamatemi Bel, è una specie di diminutivo” disse la ragazza nuova. “D’accordo…” iniziò la rossa strofinandosi le mani “…la festa inizia alle otto precise, non voglio ritardatari… chiaro Lud?”. “Ehi, non è colpa mia se ci metto molto a prepararmi!” si difese la bionda alzando le mani. Partì una fragorosa risata “Ecco, visto che lo sai comincia a prepararti tre-quattro ore prima d’acc…”. “No, aspetta, dovrei iniziare a prepararmi alle undici di mattina!” esclamò stupita. Camilla si morse il labbro inferiore alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa “Sei impossibile, biondina! Stavo dicendo, non voglio ritardatari. Aspetteremo che arrivino tutti fuori, e alle otto e un quarto entriamo. Chi c’è c’è, chi non c’è s’attacca!”. Un’altra risata, Camilla era la più forte! “Ci dobbiamo organizzare con le macchine. Leon?”. Il ragazzo alzò la testa, che aveva poggiato sulla spalla di Violetta “Io ho quattro posti in macchina. Posso portare Vilu, Fran, Diego e Andres” rispose Vargas. “Perfetto, Fede?”. “Io ne ho tre, Ludmilla, Maxi e Nata”. I ragazzi annuirono “Ok, e Brodway porta me, Bel e Gery” finì la rossa. “Perfetto” rispose il brasiliano. “D’accordo… allora ci sentiamo se avete qualche problema, d’accordo?”. Tutti annuirono, per poi correre alle auto. “Brod, mi puoi dare un passaggio? Oggi non ho la macchina” chiese Gery. “Certo, sali”. La ragazza salì sul posto dietro, mentre Camilla e Brodway stavano davanti. Il ragazzo mise in moto, per poi partire “Certo, che Violetta e Leon sono molti legati, eh!” esclamò la messicana. “Oh sì, dovevi vederli da piccoli! Non si separavano un attimo!”. “Da quanto si conoscono?”. “Da quando sono nati, praticamente. I loro genitori sono molto amici. In realtà ci conosciamo tutti da quando eravamo piccoli, solo che loro sono cresciuti insieme. Mi ricordo ancora il primo giorno d’asilo. Non si separavano un secondo, stavano sempre appiccicati!” rispose Brodway ridendo. “Sì, è vero. Siamo subito diventati tutti amici. Ci vogliamo molto bene” affermò la rossa. “Come mai se ne è andata?”. “Ha dovuto trasferirsi a Madrid quando aveva dodici anni per il lavoro del padre. Da quanto mi ha raccontato a ricreazione, due anni fa hanno scoperto che Maria aveva un tumore al cervello, ed una settimana fa gli hanno comunicato che era un tumore incurabile” rispose Camilla abbassando la testa triste. Volevano tutti un gran bene, a Maria, e pensare che presto l’avrebbero persa la faceva star male. “Le volete tutti un gran bene, vero?”. “Oh, sì. E’ stata come una seconda madre per tutti, e perderla sarà davvero dura”. “Mi dispiace” disse Gery sinceramente. Non conosceva quella donna, ma da come ne parlavano i suoi amici, era davvero importante. Sarebbe stata accanto a Violetta, in quel periodo. “Siamo arrivati” annunciò Brodway fermandosi davanti casa della messicana. La ragazza scese “Grazie, a domani ragazzi”. “A domani”. La macchina ripartì, e Gery entrò in casa, ripensando alle parole dei due ragazzi. Violetta era davvero importante per loro.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Buonsalve testoline! Allora, vi è piaciuto il capitolo? Che ne pensate? A me non convince molto, e sinceramente non mi piace. Sì ok, è carino (FORSE) ma non mi fa impazzire. Voi che dite? In questo capitolo ho voluto aggiungere 4 blocchi perché i due centrali non sono molto lunghi. All’inizio troviamo il continuo della serata Castillo-Vargas, e scopriamo la gelosia di Vilu. Quando scappa in giardino e Leon le dice tutte quelle cose… Awww, forse quella è l’unica parte che mi convince. Nel secondo blocco troviamo la notizia di Andres. Secondo lui Violetta ha un tumore al cervello. Ma che bravo Andres, ti sei reso conto che hai detto a tutti una cosa falsa! *partono gli applausi*. Per fortuna arriva Violetta a fare chiarimento, e scoprono tutti che in realtà è Maria quella malata, e non lei. Terzo blocco:Fedemilla *----* sono o non sono dolshissimi? Awww, poi Fede che si preoccupa per la sua piccolina, awwww. Quanto lo amo. Vorrei avere io un ragazzo così premuroso. Ludmilla gli racconta tutto di sua madre, e del fatto che non vuole che stiano insieme allora il ragazzo propone un piano. Molto ingegnoso chico, molto ingegnoso. Astuzia italiana! Ahahahah. Quarto ed ultimo blocco: tutti i ragazzi. Qui accadono molte cose, una delle quali mi ha fatto morire: la scoperta della serata in discoteca del sabato. Ahahahahaha, sono o no astuta! L’ho detto io che gli italiani sono furbi! Questa mattina ho mangiato pane e volpe! Ahahahahah. La gelosia di Vilu è qualcosa di spettacolare *-----* poi Leon che la asseconda… awww. Qui si scopre chi è la cugina di Camilla. Da come viene descritta deve essere molto bella. (Per il grupo di WhatsApp: Vedete! E’ questa la ragazza di cui vi chiedevo consiglio!). Poi c’è Camilla che ‘detta le sue regole’ per la futura festa. Ed infine Gery in macchina con Brodway e Camilla. Allora, che accadrà alla festa? Lo saprete nel prossimo capitolo. Per qualsiasi chiarimento contattatemi in chat. Bacioni e alla prossima!
#Alice_Leonetta

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Settimo capitolo. ***


 “Diego, vuoi stare tranquillo. Te l’ho promesso, fidati di me” disse per l’ennesima volta Francesca, sbuffando subito dopo ed incrociando le braccia al petto. “Piccola, io mi fido di te… è di Ludmilla che non mi fido! Lo sai, per farti risultare più bella, e ripeto che lo sei straordinariamente, ti farebbe indossare solo le mutande!” esclamò Diego alzando un sopracciglio e facendo scoppiar a ridere la sua ragazza. Ovvio che si fidava della sua ragazza, ma quelle due insieme potevano combinare i casini più devastanti! “Amore” disse la mora avvicinandosi al suo ragazzo dando vita ad un dolce bacio passionale. “Ci vediamo più tardi” salutò Francesca aprendo la portiera dell’auto e richiudendola, prendendo il grande bustone sul sedile dietro. Il finestrino si abbassò, rivelando il sorriso bellissimo dello spagnolo “Ti amo”. “Anche io”. L’auto partì, Francesca si voltò trovandosi davanti alla porta di Villa Torres. Suonò il campanello e in un attimo Susanna si ritrovò di fronte l’italiana. “Ciao, Francesca!” esclamò la donna con un sorriso smagliante sulle labbra “Entra”. La mora varcò la soglia della casa, ritrovandosi nell’immenso salotto. Davanti a sé aveva la scalinata che portava al piano superiore, dove erano collocate tutte le camere da letto più due bagni. A sinistra aveva la cucina, molto grande anche quella. Alla sua destra c’era un enorme camino, alto almeno un metro e mezzo, nel quale ardeva il fuoco. Al centro del salotto c’erano due divani in pelle nera, tra i quali era collocato un piccolo e basso tavolino di vetro, sopra al quale erano disposte alcune foto della famiglia, in diversi periodi. “Le ragazze sono già di sopra. Penso che ti stiano aspettando” informò Susanna sorridendo. Quella donna aveva davvero un bel sorriso, Camilla lo aveva preso tutto da lei. Certo, anche Julio era un uomo bellissimo con uno splendido sorriso, ma quello di Susanna non si batteva. Aveva due occhi verdi, chiari e grandi, molto espressivi. I suoi capelli erano castani, lisci e lunghi. Era davvero una bellissima donna. “Oh, certo. Vado subito, a dopo”. “A dopo, Francesca”. Francesca si affrettò a raggiungere le scale, ed a far attenzione a non cadere. Con la grande busta che aveva non riusciva a vedere nulla. Arrivò al piano superiore, e si trovò in un grande corridoio. Molte volte era stata a casa di Camilla, e ormai la conosceva a memoria. La prima porta a destra era la camera dei suoi genitori, e quella di fianco il loro bagno. Mentre la prima porta a sinistra era il suo bagno personale, e quella di fianco la sua camera. In fondo c’era una porta semiaperta, quella era la stanza degli ospiti. Spalancò la porta della stanza della rossa, e quello che si ritrovò davanti era una Camilla in intimo, seduta su una sedia davanti allo specchio. Ludmilla le stava facendo il makeup, Violetta le sistemava in capelli. Sciolti dietro, e raccolti in alto. Nata invece stava sistemando i vestiti di tutte sul letto. “Ehi, Fran!” esclamò Ludmilla sorridendole “Francesca! Aiutami tu! Ludmilla mi vuole far indossare un abito che non arriva neanche a metà coscia!” gridò la rossa, facendo scoppiare tutte a ridere. L’italiana chiuse la porta dietro di sé, scuotendo la testa e sorridendo. Poggiò la busta sul pavimento e tirò fori il suo vestito, stendendolo sul letto accanto agli altri. “Wow!” esclamarono tutte vedendolo “Fran, ma è bellissimo!” disse Nata scrutandolo con occhi da sogno. Francesca prese anche i suoi tacchi e li poggiò ai piedi del letto “Diego non è geloso?” domandò Violetta sorridendo, continuando ad inserire forcine nei capelli di Camilla, mentre lei si lamentava con un: “Ahi!”. L’italiana fece spallucce “Sì, già mi ha fatto il terzo grado. Ma lui non si fida di Ludmilla, così gli dirò che mi ha ‘costretto’ ad indossarlo” spiegò, facendo il segno delle virgolette. Le ragazze scoppiarono a ridere, mentre la bionda le fece una faccia stupita, lanciandole poi una linguaccia. “E certo! La colpa tutta a me! Non basta Camilla, ora anche tu!”. Partì un’altra risata. “Li vuoi i brillantini sopra l’ombretto?” domandò in seguito Ludmilla agitando la scatoletta dei brillantini davanti alla faccia della rossa “NO!” gridò lei. Ludmilla fece spallucce riposandola sul mobiletto, e prendendo la lacca “Chiudi gli occhi e trattieni il fiato” disse “Perché! Cos’hai intenzione di fare!”. “Niente, è solo per farti durare il trucco. In questo modo resterà così”. Camilla si accigliò “Tu fallo e basta”. La rossa fece un respiro profondo serrando le palpebre, mentre la sua amica le spruzzava la lacca su tutto il viso. “Fatto, puoi tornare a respirare”. Dalla bocca di Camilla uscì un sospiro disumano, così forte che tutte scoppiarono di nuovo a ridere. “Anche io ho finito” informò Violetta ammirando la sua opera. I capelli rossi e ricci della ragazza scendevano su tutta la schiena, mentre altri erano raccolti più in alto, tenuti fermi da un fermacapelli tempestato di diamanti blu. “Wow, Vilu. Sei bravissima con i capelli!” la lusingò l’italiana, guardando i capelli della sua amica. “Sistemi anche me, eh” le disse puntandole l’indice contro. La ragazza annuì ridendo. “Io inizio a vestirmi” disse Camilla alzandosi dalla sedia e lasciando il posto a Francesca la quale si accomodò volentieri. “Sentite, io quello non lo indosso!” esclamò la rossa puntando il dito contro il vestito “Oh, sì invece! E’ il mio regalo di compleanno per te, e ti obbligo ad indossarlo” disse Ludmilla sistemando dell’ombretto chiaro sul dorso della mano. “Difendetemi voi, se Brodway s’ingelosisce” supplicò Camilla prendendo il suo vestito ed aprendo la zip dietro “Oh, non ti preoccupare Cami. Maxi non sarà da meno!” scherzò la riccia togliendosi i pantaloni ed inseguito la felpa grigia. “Lud, preparati, credo che Diego ti vorrà vedere morta” informò l’italiana chiudendo gli occhi per farsi mettere il leggero strato di ombretto bianco. “Ci penserà Federico ad uccidermi non appena mi vedrà con quel vestito!”. “E tu, Vilu? Leon lo sa che indosserai quel vestito?” domandò Camilla infilandosi le calze. “Sì, gliel’ho detto ieri. Mi ha anche chiesto quant’è corto!” esclamò la mora piastrando un’altra ciocca dei capelli dell’italiana. “Uhh, è geloso il ragazzo” intervenne Ludmilla sorridendo “Lud!” la riprese Violetta fulminandola con lo sguardo. “Che c’è? Se è geloso significa che ci tiene a te. Dovresti essere solo che felice”. “Oh, ma io sono felice che lui sia geloso. E so che ci tiene a me”. “Sì, ma non nel modo in cui pensi tu!” esclamò Francesca “Vero!” intervenne Nata allacciandosi il reggiseno blu senza spalline. “Piantatela, non stiamo insieme” ripeté Violetta. “Anche se vi piacerebbe…” sussurrò Camilla. “Cami!”. “Camilla ha ragione, Vilu. Tu e Leon vi amate. Si vede a chilometri che siete innamorati pazzi l’uno dell’altra. Poi vi conoscete da quando siete nati, e non c’è ragione di non mettersi insieme!” intervenne Francesca. “Ah sì? E come fai ad essere così sicura che a me piaccia? O viceversa?”. L’italiana fece un sorriso compiaciuto “Oh, prima di tutto dal modo in cui vi guardate. Vi si illuminano gli occhi ogni volta che siete insieme, che vi tenete per mano, che vi guardate o semplicemente parlandone, come ora! Ti brillano gli occhi, e non puoi negarlo. Lo ami fin da quando eravate piccoli, e lo stesso lui, non puoi negarlo”. Ci fu un breve periodo di solo silenzio. Violetta sapeva che quello che aveva detto la sua amica era vero, era la pura verità. Lo amava, amava Leon, ma era stata sempre tanto codarda da confessarglielo. Lo amava fin da quando erano bambini, ogni volta che giocavano insieme si innamorava sempre di più. Amore. Sulle labbra di tutte era stampato un dolce sorriso, perché tutte sapevano che quello che aveva detto Francesca era vero. Quei due si amavano, e quella sera sarebbe cambiato qualcosa. Magari non sarebbe successo nulla di che, ma avrebbero fatto un passo avanti. “Finito. Vatti a vestire, che già siamo in ritardo!” esclamò Ludmilla facendo alzare la mora “Forza, Nata!”. Francesca si alzò, si guardò allo specchio. Le sue amiche erano state molto brave. Ludmilla l’aveva truccata in un modo a dir poco pazzesco. Un leggero strato d’ombretto bianco era sulle palpebre, con una riga molto sottile di matita nera sempre sopra le palpebre. Un po’ di matita bianca dentro l’occhio ed un po’ di mascara. Mentre le guance erano leggermente più rosee. I capelli erano bellissimi, tutti lisci, tranne qualche boccolo davanti, raccolto ai lati con delle forcine. Si affrettò ad indossare il suo vestito: era senza spalline, a fascia. Dal seno in poi si scuriva leggermente, dal bianco passava al pesca. Aveva dei ghirigori dal seno alla vita, dove c’era una cintina color pesca. Sulla gonna pesca, che arrivava a metà coscia, invece era piena di balze. “Cami, mi aiuti con la zip?”. “Sì, vieni”. Francesca si voltò verso la sua amica, rimanendo a bocca aperta “Wow, sei fantastica, Cami!” esclamò l’italiana squadrandola dalla testa ai piedi. Il vestito di Camilla era completamente nero,senza spalline, che arrivava a metà coscia. Aveva una piccola spaccatura tra i due seni, e fino alla vita era stretto. La gonna era tutta in pizzo, che si allargava leggermente. Ai piedi portava dei tacchi d’argento. “Aww, grazie, Fran. Anche tu sei bellissima”. Le due amiche si strinsero in un abbraccio, si volevano un gran bene. “Ehi, voi due, invece di fare le sdolcinate, mi tirate su la zip!” esclamò Violetta cercando di chiudere il vestito invano. Francesca e Camilla scoppiarono a ridere, per poi aiutare la loro amica. “Vilu, stasera Leon cadrà ai tuoi piedi!” disse la rossa guardando il vestito della sua amica. Anche il vestito di Violetta era senza spalline, ed aveva una piccola spaccatura all’inizio del seno. La parte sopra era totalmente nera, poi sotto il seno c’era una striscia di diamanti, da dove iniziava la gonna color vaniglia, che arrivava a metà coscia. Il vestito di Violetta, era leggermente più pomposo degli altri. “Ancora!” esclamò la mora infilandosi i tacchi d’argento. Camilla alzò le mani chiedendo scusa, per poi voltarsi verso Nata che si stava infilando il vestito. Il suo era blu, ma non un blu scuro, un celeste. Senza spalline, con una leggera spaccatura tra i seni, i quali erano tempestati di diamanti blu, e sotto i quali c’era una fascia di raso da dove poi partiva la gonna piena di balze. “Lud, ancora ti devi vestire!” esclamò Francesca aprendo le braccia “Sai com’è, a fare la truccatrice di tutte ci vuole tempo”. Scoppiò una risata coinvolgente “Comunque ho finito, devo solo vestirmi”. La bionda si alzò e prese l’unico vestito rimasto sul letto: bianco, che arrivava appena più su di metà coscia, senza spalline con una spaccatura tra i seni. Ed aveva una cinta sulla vita, con una rosa di lato. “Vilu, tirami su la zip”. “Ok, tutte pronte?” chiese Camilla strofinandosi le mani “Ma tua cugina?” domandò Violetta ricordandosi solo in quel momento. Camilla aprì la bocca, facendo comparire un espressione stupita “E’ vero. Bel…” disse guardando le sue amiche “…la chiamo”. Prese il suo cellulare e cliccò sul nome di sua cugina, dopo tre squilli rispose “Pronto?”. “Ehi, Bel. Ma non vieni più alla festa? Noi stiamo andando”. “Sì, sì vengo. Sto arrivando, mi sta accompagnando papà. Due minuti e sono davanti casa tua”. “Ok, intanto noi usciamo. Ricordati che dopo è Brodway a riportarti a casa. Quindi dì a tuo padre di non preoccuparsi”. “Si, mi ricordo. A tra poco”. “Ciao”. La rossa chiuse la chiamata, per poi infilare il cellulare dentro la borsetta “Ha detto che tra due minuti sarà qui. Cominciamo a scendere, mancano dieci minuti alle otto, i ragazzi saranno già tutti lì”. “Certo! E tu pensi che siano più veloci di noi a prepararsi? Per favore!” esclamò Ludmilla prendendo la borsa ed avviandosi verso le scale. “Questo è vero! Una sera, io e Diego dovevamo andare a cena, e doveva passare a prendermi alle otto. Indovinate a che ora è arrivato? Un quarto alle nove! ‘Piccola, i miei capelli devono essere perfetti’!” esclamò Francesca sedendosi su uno dei divani in pelle. Partì una fragorosa risata “Ragazze, siete bellissime!” esclamò Susanna scrutandole una ad una “Grazie” risposero in unisono. “I ragazzi resteranno ammagliati!”. Si sentì il campanello suonare “E’ Bel. Noi andiamo, ci vediamo più tardi” disse Camilla infilandosi la giacca, come le altre. “Certo, divertitevi!”. Le ragazze uscirono, e ad aspettarle fuori c’era la cugina di Camilla. “Tanti auguri, Cami” disse la nera abbracciando sua cugina “Grazie, Bel. Ma adesso andiamo o resteremo fuori!” esclamò la rossa prendendola per un braccio trascinandola dentro la limousine. “Certo che potevamo prendere due macchine, invece di affittare una limousine” disse Francesca chiudendo lo sportello. Camilla fece spallucce “Non importa, non ero mai salita su una limousine! E poi, ehi, è il mio compleanno, voglio divertirmi!” esclamò facendo scoppiare tutte a ridere. “Vero, quindi… Auguri!” gridò la mora. “AUGURI!”.
 
 
 Leon guardò per l’ennesima volta l’orologio al polso sinistro, erano le otto e dieci, e delle ragazze non c’era l’ombra. “E menomale che dovevamo essere noi quelli puntuali!” esclamò Federico sfregando le mani per riscaldarle. Diciamo che quello che indossava non era proprio adatto all’inverno. “Lo sapete come sono le ragazze: trucco, capelli, vestiti, scarpe… Non sono mai puntuali” rispose Diego. “E con questo che vuoi dire, io sono stata puntualissima!” intervenne una Gery tremante. “Hai ragione, tu fai eccezione. Sei un maschiaccio!” esclamò lo spagnolo,facendo scoppiare tutti a ridere. “Ehi!” esclamò la messicana poggiando le mani sui fianchi. “Ok, forse stasera passa. Dai, con quel vestito non penso sia un maschiaccio” la difese Leon indicandola con un braccio. I ragazzi la squadrarono da cima a fondo, e in effetti con quel vestitino Gery non sembrava un maschiaccio, anzi, era davvero bellissima. Il vestito era rosso, arrivava a metà coscia, e la gonna era pomposa. Aveva una spaccatura tra i seni, dai quali partivano diamanti rossi, che arrivavano fino alla vita. “Bhè, in effetti stasera… sei carina” disse Federico annuendo. “Oh ma grazie! Ha parlato l’esperto della moda!” rispose ironica la ragazza ridendo “Ehi, ricordati che gli italiani sono tutti esperti di moda” le ricordò Federico alzando l’indice sinistro. Partì un’altra risata, Gery si morse il labbro inferiore sorridendo e scuotendo la testa. “Uffa, ma dove sono?” chiese Maxi battendo il piede a terra come un bambino “Sto diventando un ghiacciolo, qui fuori!”. “Un ghiacciolo? E a che gusto?” domandò Andres illuminatosi. Quando si parla di cibo, è il primo a metter bocca. “Andres! E’ un modo di dire!” disse Brodway allargando le braccia “Volevo dire che ho freddo. Adesso è più chiaro?”. Il ragazzo annuì, grattandosi la nuca. “Ehi, Leon…” disse Diego dando una gomitata al suo amico, il quale si voltò nella sua direzione “Che dici, stasera riuscirai a baciare Violetta?”. “Oddio, Diego!” esclamò passandosi una mano tra i capelli. Tutti i presenti scoppiarono a ridere, ovviamente tranne Gery. Era innamorata di Leon, e non voleva che il suo amico baciasse Violetta. Non li voleva insieme, non li avrebbe sopportati tutti i giorni a baciarsi ed a dirsi dolcezze. Certo, già erano sdolcinati, ma se si fossero messi insieme sarebbero diventati una catastrofe. E inoltre, non li vedeva bene insieme. Era gelosa, sì gelosa di Violetta. Non voleva che stesse così appiccicata a Leon, al suo Leon. Lui lo sapeva che lei lo amava, ma non faceva niente per evitare l’argomento Violetta, mai. Mai. Mai. Mai. “E dai, Leon! Lo sappiamo che sei innamorato di lei!” esclamò Federico dandogli una gomitata. “La finite?”. “Di fare cosa? Di dire la verità? Leon, anche lei è innamorata di te, e prima te ne renderai contro, prima sarà meglio per entrambi”. “E’ vero. Ti devo ricordare l’altro ieri quando vi siete rincontrati?” chiese Brodway. No, non serviva che glielo ricordassero, lo ricordava perfettamente. Quando quel giorno la vide lì, piccola, perfetta e bellissima non riusciva a credere che era lei. Non poteva crederci, era così bella che era impossibile, doveva per forza trattarsi di un miraggio, o a quel punto di un sogno. Uno dei tanti che faceva la notte. Ma no, in realtà era vero. Era tutto vero. La sua bambina era davanti a lui, bellissima come sempre, ma era cresciuta. Ora era una donna, e non l’avrebbe lasciata nelle mani di uno qualunque. Sarebbe stata sua, perché era Violetta. Perché era sua, perché era la sua bambina, e non l’avrebbe mai più lasciata. “Ragazzi, basta. Sul serio, non ne posso più” disse incrociando le braccia al petto “D’accordo, ma pensaci bene, perché potrebbe arrivare il primo che passa e portarsela via. Violetta è bellissima, Leon, e io non me la farei sfuggire al tuo posto” insistette Federico.”D’accordo, grazie per il consiglio”. “Ti pare. A che servono gli amici altrimenti!” scoppiò un’altra risata, e tutti si abbracciarono, tranne Gery. Quella conversazione l’aveva rattristita, e l’aveva fatta riflettere. In realtà, Violetta e Leon sarebbero stati davvero bene insieme. Sapeva che Leon non l’avrebbe mai guardata, se non come un’amica, e quindi l’unica soluzione era spingerlo verso Violetta. O magari ce ne era un’altra… solo che era troppo rischiosa. D’un tratto si sentì il rumore di una macchina, ed una limousine bianca sbucò da dietro un angolo. Tutti in un attimo capirono che erano arrivate le loro ragazze, e sui visi si stamparono dei sorrisi. La macchina si fermò davanti a loro, e la portiera si aprì rivelando sei ragazze coperte da lunghi cappotti neri. “Ehi, ragazze! Chi vi ha mandate, James Bond?” esclamò Federico facendo ridere i suoi amici “Ah ah, molto divertente. Vedrete come rideremo noi tra poco!” rispose Ludmilla circondando il collo del suo ragazzo, ancora con un sorriso sulle labbra, e baciandolo. “Ti prego, dimmi che non è stata lei a vestirti” supplicò Diego afferrando la sua ragazza per la vita. Francesca alzò le mani “Allora non parlo!”. Diego sbiancò, facendosi subito serio, e l’italiana rise, facendo poi combaciare le loro labbra. “Amore, sei bellissima” sussurrò Brodway all’orecchio della rossa “Ma se il vestito non si vede!”. “E’ uguale, tu sei bellissima a prescindere”. “Aww, ma quanto ti amo, io?”. “Tanto da promettermi che non ti si vede tutto”. Camilla sorrise scuotendo la testa “Ti dico solo che è un regalo di Ludmilla!”. Il brasiliano si voltò di scatto verso la bionda, incenerendola con lo sguardo “Ecco, ora avrai sulla coscienza due coppie, contenta?” esclamò Federico ridendo “Oh, non ti preoccupare, non avrò sulla coscienza nessuno. Sono perfette!”. L’italiano scosse il dito, insieme alla testa e si avvicinò all’orecchio della sua ragazza “Sbagliato. Sei tu la più perfetta”. Si guardarono negli occhi, per poi dar vita ad un bacio passionale. “Senti, Bimba. Il giubbotto arriva a metà coscia… e del vestito non c’è nemmeno l’ombra. Mi devo preoccupare?” domandò Leon fingendo di essere pensieroso, facendo ridere Violetta “Vedremo” rispose entrando nel locale prima di Leon, furono gli ultimi. Improvvisamente una puzza di alcool la investì, le luci stroboscopiche correvano da una parte all’altra della grande sala, e la musica rimbombava nelle casse. Centinaia di persone erano concentrate a ballare. Violetta si tolse la giacca, porgendola ad un ragazzo addetto, e quando si voltò verso Leon lo vide con gli occhi fuori dalle orbite che la stava squadrando da testa a piedi, la bocca semiaperta. Violetta era bellissima in quel vestito (era bellissima a prescindere, ma quella sera si era davvero superata), e lui non poteva non dirglielo. “Bimba… sei bellissima” disse il ragazzo prendendola per la vita ed avvicinandola a sé facendo scontrare i loro petti. La circondò con le sue braccia possenti, mentre Violetta attorcigliò le sue attorno al collo del ragazzo. “Bhè, anche tu non sei niente male”. Leon indossava un paio di jeans scuri, ed una camicia bianca, con le maniche arrotolate fino ai gomiti, e sbottonata di tre bottoni, il che significava che si riusciva a vedere un bel po’ del suo petto. “Oh ma grazie, signorina. Le posso offrire da bere?”. “Molto volentieri” rispose lei sorridendo. Si presero per mano, avviandosi verso il bar. “Cosa vi servo?”. “Due mojito, grazie” rispose lui tirando fuori una banconota da dieci, un attimo dopo il barista posò sul bancone due bicchieri pieni di mojito. Si misero seduti su degli sgabelli, mentre Leon continuava a squadrare Violetta. “Bimba, devo ammettere che sto facendo pensieri davvero poco casti, su di te”. La mora si voltò di scatto accigliandosi e posando il bicchiere sul bancone “In positivo o in negativo?”. “Oh, positivo. Positivo, eccome!”. “Bene, andiamo a ballare” ordinò la ragazza prendendo Leon per un braccio tirandolo verso di sé. “Che? Adesso?”. “Sì, adesso, perché non vuoi ballare?”. “No certo, certo…” rispose lui guardando la pista. Era un po’ troppo affollata, soprattutto di ragazzi, e non voleva che la sua bambina potesse cadere facilmente in uno dei loro giochini. Sapeva cosa sarebbe accaduto, e avrebbe tanto voluto evitarlo. “E’ solo che… ora non ne ho voglia. E poi, c’è troppa gente”. Violetta le lasciò il braccio, incrociando le sue al petto ed alzando gli occhi al cielo, per poi mordersi il labbro inferiore. “Dai, allora che siamo venuti a fare. Anche gli altri stanno ballando, ci uniamo a loro”. Leon guardò verso i suoi amici, ed in effetti avevano scelto un bel posto dove ballare, era quello meno affollato. La mora si avvicinò al ragazzo sorridendogli ed allacciando le braccia al suo collo “Ma se non vuoi, non andiamo. In fondo, ci sono tutti quei ragazzi… potresti lanciargli un destro in faccia se solo… provassero ad ‘alzare la gonna’”. Leon scoppiò a ridere, prendendola per la vita e lasciandole un dolce bacio sulla guancia. “Dai, andiamo” disse il ragazzo prendendole la mano e conducendola al centro della pista. Solo loro due, e nessun altro. Era pieno di gente intorno, ma non vedevano nessuno. Era il loro mondo.
 
 
 La festa stava procedendo alla grande. Tutti avevano dato i loro regali a Camilla, e la rossa ne era stata molto felice. Erano le undici passate, quasi mezzanotte, e la discoteca si stava riempiendo sempre di più. Non si riusciva quasi a ballare, tanto che dovevano stare tutti l’uno attaccato a l’altro. I ragazzi erano su dei divanetti, stavano chiacchierando. “Comunque, grazie ancora, ragazzi” ringraziò Camilla sorridente, rivolgendo lo sguardo a tutti i suoi amici. “Ti pare, Cami. Siamo stati tutti felici di partecipare alla tua festa…” rispose Francesca poggiando una mano su quella della rossa. “…anche se non siamo riusciti a ballare molto!” esclamò Ludmilla facendo partire una risata collettiva. “Giusto, ma ci siamo divertiti” disse Violetta, ricevendo un’approvazione da tutti gli altri. “Ehi, la festa non è mica finita! Ora arriva il più bello!” esclamò Camilla entusiasta. Tutti si accigliarono, non riuscendo a capire cosa intendesse la loro amica. Cos’aveva intenzione di fare? “E cioè?” domandò Maxi mettendosi più comodo sul divanetto. Camilla sorrise maliziosamente, tirando fuori, da sotto il tavolino, una bottiglia di plastica e sdraiandola sul tavolo. Tutti capirono all’istante, e scoppiarono a ridere. “No, per favore dai!” esclamò Federico. “Che c’è di male?” domandò Camilla facendo spallucce “C’è che è un gioco da prima elementare!” intervenne Nata agitando così tanto il braccio che a momenti colpì Maxi in piena faccia. “Dai per favore! Solo quale giro!” supplicò la rossa stringendo le mani, come se stesse pregando, e facendo il labbruccio. “Cami, non siamo bambini” rispose Bel dandole una pacca sulla spalla “Tu zitta, che hai fatto anche tardi!” esclamò Camilla fulminandola con lo sguardo e puntandole il dito contro “No invece, sono stata puntualissima!”. Entrambe scoppiarono a ridere per poi abbracciarsi di slancio. Erano proprio unite quelle due, si volevano un gran bene. Avevano perfino la stessa età, e per due cugine era il massimo. Potevano fare tutto insieme, potevano uscire fino a tardi senza che i loro genitori lo sapessero perché sapevano che erano insieme. Potevano raccontarsi segreti, perché entrambe non lo avrebbero mai detto a nessuno. Erano come due migliori amiche, anzi forse lo erano davvero. Poi, ora che Bel sarebbe entrata a far parte della loro classe, avrebbe rafforzato l’amicizia con tutti. Sarebbero stati tutti migliori amici. “Va bene, io ci sto” rispose Brodway circondando il collo della sua ragazza. “No, per favore! Non scendere a patti con il nemico!” supplicò Diego poggiandogli una mano sulla spalla. “Diego, per favore. E’ solo per divertirci” rispose Francesca. Lo spagnolo si voltò di scatto verso la sua ragazza, e la fulminò con lo sguardo; poi le poggiò le mani sopra le spalle e iniziò a scuoterla. “Ha preso anche te! Ridatemi la mia ragazza!” gridò, bloccato dalla presa di Francesca che gli lacerò quasi una mano. “Noi giochiamo!” disse Violetta alzando una mano, e parlando anche per il ragazzo di fianco a lei. Ludmilla sbuffò, passandosi una mano sulla faccia “E va bene, anche noi” si rassegnò infine “Eh? Aspetta, perché parli al plurale?” domandò impaurito l’italiano “Perché giochi anche tu. Non mi lascerai affrontare questa tortura da sola”. “Ma…”. “Niente ma” ordinò la bionda puntandogli l’indice contro e guardandolo di sottecchi. Federico le prese il dito, abbassandolo e guardandola con gli occhi ridotte a due fessure “Non mi sfidare, biondina” la minacciò cercando di spaventarla e di trattenere un sorriso, che a Ludmilla fu impossibile “Oh, non ti sfido, carino. Ti obbligo”. “Vedremo”. Si stamparono un bacio sulle labbra, per poi prendersi le mani e tornare ai loro amici, che li stavano guardando con facce strane. C’era chi aveva un sopracciglio alzato, chi la bocca contorta e chi, come Andres, li guardava con due occhi a cuoricino. “Anch’io ci sto” partecipò Gery “Oh, anche Diego gioca” parlò Francesca, a posto dello spagnolo. “Cosa? E chi lo ha detto?”. “Io”. “Tu?”. “Sì, io. Problemi signorino?”. “No, nessuno”. “Mh, bravo. Allora gioca”. Diego sbuffò alzando gli occhi al cielo, e mordendosi il labbro inferiore per poi circondare con un braccio la spalla dell’italiana. “E va bene. Anch’io” disse Isabel alzando la mano, seguita da un abbraccio di sua cugina che quasi la soffocò. “Noi dobbiamo per forza?” chiese Nata innocente “Sì, altrimenti ve la vedrete con me!” rispose la rossa minacciandoli “D’accordo, ma sappiate che questo gioco è la causa di molte rotture!” spiegò Maxi. “Sì, rotture di palle!” esclamò Diego, ricevendo subito un’occhiataccia dalla rossa, ed una pizza sul braccio dalla sua fidanzata “Ma che ho detto!”. “Non devi parlare, è diversa la cosa!” rispose l’italiana “E sentiamo, come faccio a giocare?”. “Quando è il tuo turno puoi parlare”. Lo spagnolo la guardo di sottecchi, cercando di mascherare un sorriso, e mimando con le labbra un ‘Faremo i conti più tardi’. “Scusate ma… a che gioco dobbiamo giocare?” chiese Andres grattandosi una nuca, e ricevendo da parte dei suoi amici uno sguardo come a dire ‘Sei deficiente, allora!’. “Al gioco della bottiglia, Andres!” rispose Ludmilla indicando con un braccio la bottiglia di plastica stesa sul tavolino. “Ah! Sì, sì, sì, sì! Mi piace questo gioco! Ragazzi, vi ricordate quando siamo andati al Blue Night ed abbiamo giocato con quelle raga…”. “ANDRES!” gridarono tutti i ragazzi, incenerendo il loro amico con lo sguardo. “Non mi sembra il caso, adesso. Forza giochiamo” intervenne Diego sfregandosi le mani. Francesca aprì la bocca, con un’espressione stupita sulla faccia “Ah! Ora vuoi giocare!”. “Andres… prego continua. Stavi dicendo?” chiese Violetta ricevendo un’approvazione da tutte le ragazze. “Eh no. Non stava dicendo niente. Si è sbagliato con un’altra serata” mentì Leon, cercando di essere il più convincente possibile. “Sì, infatti. Concordo con Leon” s’intromise Maxi dando una pacca sulla spalla al suo amico. “Senti, riccio. O ti calmi, o ti lascio” lo minacciò Nata puntandogli il dito contro “Andres, continua” ordinò Ludmilla accavallando le gambe ed allontanandosi leggermente dal suo ragazzo, il quale cercò di riattrarla a sé, ma invano. “Ehm… ecco…”. Diego cercò di fargli segnò di non dire nulla, provando a non farsi vedere dagli altri “No, nulla!” esclamò Andres mentendo. “Diego, ti abbiamo visto. E’ inutile provare a salvavi, abbiamo capito. Siete andati al Blue Night ed avete giocato al gioco della bottiglia con delle ragazze!” esclamò Camilla incrociando le braccia al petto e togliendo il braccio di Brodway da sopra le sue spalle. “Ma no, non è vero” cercò di dire il brasiliano. “Invece sì. Siete proprio affidabili eh! Non ci si può fidare neanche una sera!” intervenne Francesca rivolgendosi al suo ragazzo. Violetta si voltò verso Leon, con un’espressione triste “E’ vero, Leon?”. Il ragazzo esitò qualche secondo, poi si morse il labbro inferiore “No, non è vero. Non è successo niente quella sera”. Violetta alzò il polso sinistro, circondato dal bracciale tempestato di diamanti che le aveva regalato lui. Leon, guardandolo abbassò la testa sulle sue Superga bianche. Ci fu un periodo di silenzio, tra loro, nessuno sapeva cosa dire. “Appunto” disse infine Violetta alzandosi seguita dalle sue amiche, le quali la seguirono nei bagni. I ragazzi sbuffarono, rimasti soli con Gery. “Grazie tante, Andres!” esclamò ironico Leon passandosi una mano tra il ciuffo. Andres si mise seduto accanto al suo amico, e gli diede una pacca sulla spalla, con un sorriso sulle labbra “Di niente, amico!”. Gli altri lo incenerirono con lo sguardo, per poi lanciargli contro dei cuscini “L’ho detto io” disse Maxi tristemente. Le ragazze erano arrabbiate.
 
 
 “Non ci posso credere! Quegli…”. “Stronzi!” esclamò Ludmilla bevendo del mojito dal suo bicchiere. “Pensavo che ci tenessero a noi, invece!” esclamò Nata incrociando le braccia al petto. “Sono tutti uguali, ragazze. Non c’è da meravigliarsi” intervenne Violetta. Ancora non riusciva a credere che Leon avesse fatto una cosa del genere. Giocare al gioco della bottiglia con delle perfette estranee, e chissà cos’avevano fatto. Certo, lei non era ancora tornata a Buenos Aires, ma ciò non giustificava il suo comportamento. “Doveva essere un compleanno indimenticabile, eh! Ci sono riusciti!” gridò Camilla arrabbiata come una belva. Il suo compleanno era stato rovinato, ma per fortuna ora sapeva che razza di verme schifoso era Brodway. Non lo aveva mai pensato in quella maniera, eppure… Le persone non le conosci mai, come dovresti. “Mi meraviglio di Maxi! Lui non è uno che fa queste cose”. “Già, neanche Federico”. “Ok basta. Ci siamo depresse abbastanza. La vita senza di loro è meglio… che ne dite di andare a ballare?” chiese Violetta scattando dallo sgabello del bar. “Sì, forse è meglio riprenderci un po’” rispose Francesca affiancando la sua amica. “Io vengo, ho voglia di ballare” intervenne Bel, ricevendo l’appoggio di sua cugina. “D’accordo, andiamo Lud?”. La bionda finì la sua bevanda e si alzò seguendo le amiche al centro della pista da ballo. In quel momento partì un pezzo rock, uno di quelli tosti. La musica si fece largo dentro di loro, e tutte iniziarono a scatenarsi come non mai. I ragazzi, sempre seduti sui divanetti, le stavano guardando con dei sorrisi sulle labbra. “Certo che stasera si sono superate” disse Diego squadrando per l’ennesima volta la sua ragazza, che stava ballando insieme alla sua migliore amica. Quando erano distratte, erano la fine del mondo. “Già, sono bellissime” approvò Leon senza perdere di vista la sua bambina. Era sola, e indifesa, doveva tenerla d’occhio. Chiunque le si fosse avvicinato sarebbe stato vittima del suo gancio destro. Nessuno si doveva azzardare neanche a pensare di ‘alzare la gonna’. “Nata è bellissima”. “Sì, ma Ludmilla è la più bella”. “Ragazzi, siete fuori strada. Ma avete visto Camilla?”. “Calmi tutti… Francesca dove la mettiamo?”. “Bhè, se è per questo anche la cugina di Cami non è niente male” intervenne Andres. Tutti si voltarono verso di lui, per poi scoppiare a ridere. Non che Isabel non fosse una bella ragazza, anzi era bellissima! Era solo che non pensavano che lui potesse interessarsi ad una ragazza, soprattutto ad una come lei. Di solito, ad Andres, interessavano le ragazze… un po’ maschiaccio. Ecco, come Gery. Ma nessuno sapeva il perché, ma Gery non gli interessava. Diceva che non era il suo tipo. I ragazzi tornarono a guardare le loro fidanzate, continuando a gareggiare su chi fosse la più bella. Leon non parlava, stava zitto ammirando la bellezza di Violetta sotto le luci stroboscopiche della discoteca. Stava ballando, ed era bellissima. Si muoveva come nessun’altra, ed era la ragazza più affascinante che avesse mai visto. A lui non serviva ‘gareggiare’ con i suoi amici, per far notare la bellezza della sua bambina, lui già lo sapeva che lo era. Tutti lo sapevano che Violetta era la più bella, e quello a Leon bastava. Non serviva che continuasse a ripeterlo, anche se alle ragazze fa sempre piacere quando dici loro che sono bellissime. Perché loro si credono brutte, non si credono all’altezza dei loro ragazzi. Pensano che sono grasse, che le loro gambe siano zamponi di elefanti, che le loro pance siano piene di rotoli e che pesino come delle mucche. Ma la verità è che sono perfette. Tutte sono perfette a modo loro. Tutte hanno dei difetti, ma la vita senza difetti cos’è? Non si può essere perfetti, perché la perfezione è sempre sopravvalutata. Chi è perfetto, non può migliorare… è questa la cosa brutta. “Barista! Un’altra tequila!” gridò Vargas scolando l’ultimo goccio del precedente bicchiere. “Leon, basta! Ne hai già bevute quattro! Sei ubriaco fracico!” esclamò Diego togliendogli da sotto il naso il bicchiere che era appena arrivato. “Diego, non fare il cazzaro. Dammi quel bicchiere” ordinò tranquillo Leon porgendogli la mano. “No, Leon. Diego ha ragione. Ti sei anche scolato un’intera bottiglia da solo!” intervenne Federico appoggiando lo spagnolo. “Ma che cazzo dite! Ne avete bevuta anche voi!”. “Sì, ma da un’altra bottiglia. Basta, amico” continuò l’italiano poggiando una mano sulla spalla del tuo amico. “Ok, solo l’ultima. Promesso”. “NO!” gridarono tutti i ragazzi in coro. Vargas sbuffò, sprofondando nel divano ed incrociando le braccia al petto. Spostò ancora lo sguardo sulle ragazze, e notò che Violetta non c’era più. Iniziò a cercarla dappertutto, ma non riusciva a vederla. Il suo cuore iniziò ad accelerare, e quando si alzò dal divano, la vide in piedi davanti al bancone del bar, che parlava con un ragazzo. Stava sorridendo. Aveva quel sorriso. Un sorriso che solo lui sapeva fargli spuntare. Si avviò verso i due, e non appena arrivato lanciò un’occhiataccia al ragazzo. “Amore, torniamo dagli altri. Ci stanno aspettando” disse circondando la vita di Violetta e attirandola a sé. Intanto Violetta si accigliò, percependo solo dopo la gelosia di Leon. “Amore? Mi avevi detto di non essere fidanzata” disse il ragazzo accigliato. “Ehm…”. “Invece sì. E’ la mia ragazza. Ora scusaci ma dobbiamo andare”. Violetta non fece neanche in tempo a parlare che Leon l’aveva già spinta lontana da quel ragazzo, e non appena fu sicuro che stessero a più di cinquanta metri di distanza la lasciò andare. “Ma si può sapere che ti è preso!” gridò la ragazza allargando le braccia “Niente, pensavo che ti stesse…”. “Pensavi cosa, Leon! Ora non posso neanche parlare con un ragazzo che diventi subito geloso!”. “Scusa se volevo proteggerti!”. “Proteggermi da cosa! Da un ragazzo! Oh, se non te ne fossi accorto, ho diciotto anni, so badare a me stessa, grazie!”. Leon non rispose, lo aveva lasciato senza parole. Aveva gli occhi spenti e tristi. Infilò le mani nelle tasche dei jeans, abbassando la testa. Violetta chiuse gli occhi, facendo un respiro profondo cercando di calmarsi. Non c’era motivo di litigare, non in quel momento, non con lui. “Scusa, scusa. Non volevo, sono stata una sciocca. E’ che… non so. Ero ancora arrabbiata per prima…” spiegò Violetta. A quel punto Leon alzò la testa, incrociando gli occhi color nocciola della ragazza. Nocciola e verde. Verde e nocciola. Paradiso. “…ma dimmi la verità, per favore” chiese la mora con un’espressione supplichevole, avvicinandosi di più al suo amico. “Quella sera è successo qualcosa… tra te e un’altra ragazza?”. Leon chiuse gli occhi, abbozzando un sorriso e prendendole i fianchi, avvicinandola a sé. Erano a pochi centimetri di distanza, i loro nasi quasi si toccavano. “Lo sapevo che non avresti retto un altro minuto senza chiedermelo. Amo quando sei gelosa” sussurrò sorridendo. Violetta ricambiò il sorriso, circondandogli il collo con le braccia e sprofondando in quelle di Leon, il quale la strinse a sé con tutta la forza che aveva. “No, non è successo niente. Te lo giuro” rispose poggiando la sua fronte su quella della ragazza, che sorrise a quelle parole “Lo sapevo che non mi avresti mai tradita”.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Ehi, bella gente! Non so come ho fatto ad aggiornare così presto. In questi giorni sto scrivendo come una pazza! Ricoveratemiiiii! Allora, lo so… il capitolo fa schifo. Non so da dove mi sia uscito così brutto, ma prometto che mi rifarò con i prossimi. Allora, che ne pensate della festa di Camilla? E dei vestiti? Vi piacciono? Io li amo, soprattutto quello di Francesca e Ludmilla, sono favolosi! Purtroppo non sono riuscita ad inserirli perché non so come fare. Se qualcuno sa come farlo lo scongiuro di dirmelo. Comunque per chiunque li voglia vedere credo di riuscire a mandarveli in chat, quindi contattatemi e ve li mando. Scusate se non mi trattengo molto, ma ho tanto da fare. Ah, quasi dimenticavo. Per quanto riguarda l’altra storia (Io&Te,per sempre) non so quando la aggiornerò, quindi vi chiedo solo di non tartassarmi di messaggi. Non che non mi facciano piacere, è solo che sono piena di impegni, e quando trovo il tempo di scrivere, la maggior parte lo dedico a questa storia, perché come già vi ho detto ho in mente un sequel. E (PRENDETEMI PER PAZZA) ho già il primo capitolo pronto. Nel sequel ci saranno molte sorprese, spero vi piaccia come questa storia. Ringrazio tutti quelli che la recensiscono e che la mettono tra le preferite/seguite/ricordate. Devo scappare! Bacioni e alla prossima!
#Alice_Leonetta

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Ottavo capitolo. ***


“La volete finire! Dobbiamo litigare un’altra volta!” gridò improvvisamente Ludmilla riprendendo i ragazzi, ormai quasi del tutto ubriachi. “Ehi, biondina… non fare la fiscale! Abbiamo bevuto solo un po’” ribatté Diego allargando le braccia. “Un po’! Solo un po’! Certo, otto bottiglie in sei  a voi sembra poco!” esclamò Francesca. Ok, forse avevano un po’ esagerato, ma ora che avevano fatto pace con le ragazze, loro non li avrebbero fatti più bere. “Va bene, basta” si rassegnò Federico posando una bottiglia quasi vuota sul tavolino tra di loro. “Grazie che dici basta, te la sei finita!”. “Amore, manca ancora un po’… guarda” disse l’italiano indicando con il dito il contenuto, dentro la bottiglia, che mancava. “Ragazzi, stop! Basta bere, basta gridare” intervenne Camilla facendo segno con le mani, come una vigilessa che dirige il traffico. “Camilla ha ragione… prima non avevamo interrotto qualcosa?” domandò Violetta portandosi l’indice alla bocca. La rossa le lanciò un’occhiata d’intesa, così chiuse una delle bottiglie sul tavolino, e la rovesciò sulla pancia. “No, no, no! Finiremo per litigare un’altra volta!” intervenne Francesca. “Dai, Amore… è solo per divertirci un po’” rispose Diego guardandola furbetto. Aveva usato le stesse parole che lei gli aveva detto per convincerlo a giocare. L’ italiana gli lanciò un’occhiataccia, per poi mollarli una pizza sul braccio. “Dai su, prima eravamo tutti d’accordo!” ricordò Violetta sistemandosi sul divanetto con le gambe sopra quelle di Leon, mentre lui la teneva stretta a sé circondandola con un braccio. “E va bene! Inizio io!” esclamò Ludmilla alzando la mano e facendo far il primo giro alla bottiglia. “Andres!”. “Bacio sulla guancia, a stampo sulle labbra o limonata?”. “Limonata!” rispose ubriaco il ragazzo. Tutti se lo guardarono stupiti, e scoppiarono a ridere. La bionda fece girare un’altra volta la bottiglia. Tutte le ragazze erano in ansia, non volevano limonare con Andres! Era un loro amico, questo sì, ma limonare se lo poteva anche scordare, anche se era ubriaco. La bottiglia rallentava sempre di più, si stava quasi per fermare. Tutte le ragazze fecero un respiro profondo, tranne una, che sbarro gli occhi e scuoteva la testa. “NO, NO, NO! ASSOLUTAMENTE NO!” gridò Gery opponendosi al gioco. “Dai, è solo un gioco” ricordò Brodway dando una piccola pacca sulla spalla alla sua amica. “No! Per niente al mondo limonerò con Andres! Non mi interessa se è ubriaco!”. “Andiamo, baby… so che hai sempre voluto che limonassimo” disse Andres sorridendo maliziosamente ed ammiccando alla ragazza. Tutti i presenti scoppiarono in una fragorosa risata, vedendo l’espressione della messicana all’affermazione di Andres. “Quando è ubriaco è troppo forte!” esclamò Diego quasi senza fiato. “E’ il massimo!” intervenne Maxi asciugandosi le lacrime. “Andiamo, Gery… è ubriaco, non si ricorderà di niente” ricordò Leon indicando il suo amico con il braccio. “Ma che c’entra! Fa schifo a me!”. “Fai finta che è Leon, no!” intervenne Federico facendo scoppiare tutti a ridere. Violetta si bloccò improvvisamente, facendosi subito seria. Si irrigidì, smettendo di ridere. Leon si voltò verso la sua parte, e la vide rigida come un pezzo di legno. Sorrise percependo la gelosia della sua migliore amica, così cercò di rassicurarla. I loro occhi si incatenarono, non appena il messicano poggiò una mano sul ginocchio di Violetta che pian piano saliva sempre più. Anche Leon era parecchio ubriaco, e non sapeva se sarebbe riuscito a controllarsi. La voglia di avere Violetta lo faceva impazzire, anche se non erano fidanzati. Voleva diventare il suo ragazzo, e avrebbero passato giornate intere a fare l’amore. Perché sapeva che, di fare l’amore con Violetta, non ne avrebbe mai avuto abbastanza. La desiderava con tutto il suo cuore. Con la mano arrivò all’inizio del vestito, e non appena Violetta si rese conto di quello che stava accadendo, sorrise ancora di più. La mano di Leon ormai aveva quasi raggiunto l’intimo di Violetta, ma la ragazza lo bloccò in tempo, prendendo la mano del suo amico legandola con la sua. Il messicano la guardò come a dire ‘Ma dai, perché mi hai fermato!’, in tutta risposta la ragazza alzò un sopracciglio per poi ricevere un dolce sorriso da parte di Leon. Avrebbe tanto voluto non fermare Leon. Avrebbe voluto che continuasse, il problema era che non stavano insieme. Lei non sarebbe mai stata la sua ragazza, e non avrebbero mai potuto fare l’amore. Sapeva che Leon la vedeva solo come un’amica, la sua migliore amica, e questo non sarebbe mai cambiato. Quella sera era ubriaco, e non sapeva cosa stava facendo, per quello lo aveva fermato. Non voleva che si pentisse di qualcosa. Nel frattempo, i ragazzi erano andati avanti con le loro discussioni, ed erano riusciti a convincere Gery a limonare con Andres. In quel momento si staccarono, ed entrambi si pulirono la bocca. Sulla faccia della messicana spuntò un’espressione di disgusto, per far scoppiare tutti a ridere. “Ben fatto! Ben fatto!” esclamò Brodway dando il cinque al suo amico. “Ti è piaciuto, eh bellezza”. Gery s’impaurì così, si spostò vicino a Leon, e da parte di tutti partì un’altra risata. “Ok, tocca a me” disse Diego girando la bottiglia. “Nata…” tutti si volterono verso la spagnola “…lo stesso di Andres, solo che aggiungo che se uscirà uno di noi maschi dovrete andare in bagno e… capito insomma”. “CHE!” gridarono in unisono Maxi e Nata. “Che schifo! No! Scelgo il bacio sulla guancia!”. “Uffa, tu scegli sempre quello, Natalia! Con te non c’è gusto di giocare” la rimproverò la bionda. “Ehi, calmina. Io scelgo sempre quello per non finire nei guai. Hai visto Andres, no? Presumo che lunedì quando sarà sobrio Gery gli rifilerà un ceffone in faccia, giusto?”. “Giusto!”. “Sì ma potrebbe anche capitare, che so… Maxi?”. “Lud, è il mio turno, e scelgo quello che voglio, d’accordo?”. “Lo dicevo io che saremmo andati a litigare ancora” intervenne l’italiana alzando le mani. “NON STIAMO LITIGANDO! STIAMO DISCUTENDO!” gridarono in coro le due dirette interessate. “D’accordo, scusate” rispose Francesca impaurita. “Basta, Diego gira che vediamo a chi devo dare il bacio sulla guancia!” esclamò la riccia. Lo spagnolo girò la bottiglia… “Maxi…”. “AH!” disse Ludmilla puntandole il dito contro “Te lo avevo detto!”. Nata la fulminò con lo sguardo, per poi avvicinarsi al suo ragazzo e lasciargli un dolce bacio sulla guancia. Maxi però barò, si voltò dall’altra parte facendo combaciare le sue labbra con quelle della spagnola. “Ehi, così non vale!” intervenne Bel. “Non è colpa mia” si difese Nata alzando le mani. “Giro io” disse Camilla, facendo partire poi un altro giro. “Bel… bacio a stampo, guancia, o limonata?”. “Aggiungi quello che ho detto io!” esclamò Diego alzando la mano. Camilla sbuffo “D’accordo e quello che ha detto Diego”. “Bacio a stampo”. La bottiglia ruotò un’altra volta. Tutti gli sguardi si spostarono dalla bottiglia a Leon. Violetta stava per scoppiare, non avrebbe retto un bacio, anche se a stampo. Il messicano si voltò nuovamente verso la sua amica, e la vide triste. Non era arrabbiata, o gelosa, era triste. Triste che quel bacio non glielo potesse dare lei. Tutti i presenti si sentirono in colpa, come se avessero deciso loro a chi sarebbe toccato. Camilla era quella più in pena, perché era stata lei a proporre il gioco, e se Violetta e Leon avrebbero litigato a causa di quello stupido ed insignificante gioco, non se lo sarebbe mai perdonato. Violetta tolse le sue gambe da sopra quelle di Leon, per poter permettere a Bel di scontare la sua penitenza. Francesca guardava la sua amica, e non poteva far altro che essere in pena per lei. Isabel si alzò da vicino a sua cugina, e si avvicinò al messicano. In un secondo accaddero tre cose: Bel fece combaciare le sue labbra con quelle di Leon, Gery distolse lo sguardo e Violetta morì. Teneva gli occhi chiusi, ma sentì comunque il suo cuore sbriciolarsi in mille pezzi. Quando li riaprì, vide la ragazza sedersi di nuovo accanto a sua cugina. Incrociò lo sguardo di Leon, che cercò di rassicurarla con un semplice sorriso. Ma quella volta non fu necessario un semplice sorriso, non bastava per tranquillizzarla e farla sentire amata. “Ehm… continuiamo?” domandò Andres, ricevuta anche lui la tensione da parte del gruppo. “No scusate, a me è passata la voglia. Continuate voi” disse Violetta alzandosi dal divanetto con gli occhi di tutti puntati addosso. “Cos’hai, Vilu?” domandò Ludmilla, fingendo di non essersi accorta della tristezza della sua amica. “Non mi sento molto bene, ma tranquilli, voi continuate. Io prendo una boccata d’aria”. “Sicura?” domandò la bionda. La ragazza annuì cercando di nascondere il suo stato d’animo con un sorriso falso. “D’accordo”. Violetta lanciò un’ultima occhiata a Leon che era rimasto a guardarla impietrito, come se tutto quello fosse colpa sua. La mora si voltò, dando le spalle ai suoi amici e si diresse fuori dal locale. Lontana dalla gente, dall’alcool, dai suoi amici, da Leon, dal dolore.
 
 
 15 Dicembre. Lunedì mattina. Sbadigli a destra, occhi assonnati a sinistra… il lunedì mattina è devastante per tutti. Ma quella era l’ultima settimana di scuola prima delle vacanze di Natale, che tutti aspettavano con ansia. Per Violetta in particolare sarebbe stata una settimana speciale. Quel venerdì sarebbe stato il compleanno di Leon, del suo Leon. Aveva in mente una grande sorpresa per lui, e sapeva che gli sarebbe piaciuta. La festa di Camilla era finita alla grande, ma lei non se l’era potuta godere visto che per tutto il resto del tempo era rimasta fuori dal locale. Non voleva assistere ad altre scene come quella in cui era morta dentro. Non aveva visto che si baciavano, ma solo saperlo le frantumava il cuore. Amava Leon, e pensarlo tra le braccia di un’altra la faceva deprimere più di quanto già non fosse. In quel momento stavano aspettando che la campanella suonasse, e che le cinque ore di tortura iniziassero. Però, a dire la verità quel giorno non avevano materie molto pesanti. Prime due ore: Italiano, con Angie. Terza ora: Educazione fisica, con Jackie. Quarta ora: Francese, con Milton. Ultima ora: Musica (Canto e Strumento), con Pablo. Le ore che più amavano erano quelle di italiano, e quelle di musica. Il Professor Galindo insegnava davvero bene, e te la faceva amare sul serio la musica. Aveva anche detto che alla fine della settimana, prima delle vacanze, avrebbe messo in scena uno show. Voleva che tutti i suoi alunni partecipassero, e che magari si sarebbero creati dei gruppi, o dei duetti. “Avete studiato per la verifica di francese?” chiese Camilla attirando l’attenzione di tutti. “Verifica! Quale verifica?” chiese Maxi guardandosi intorno spaesato. “Quella di oggi, Maxi. Lo ha detto giovedì. Io ho studiato bene, molto bene. Non voglio prendere un altro brutto voto come l’altra volta!” esclamò la rossa, facendo partire una risata fragorosa da parte di tutti. “Camilla, di nuovo con questa storia!” chiese Violetta tornando seria. “Ehi, non so te, ma io ci tengo a diplomarmi. Non voglio essere bocciata in francese”. “Ma un sette non è un brutto voto!” intervenne Diego, cercando di far capire alla rossa che lei era fortunata a prendere quel voto. Lui sì e no riusciva a raggiungere la media del sei. “Sì, ma ha rovinato la mia media” ribatté Camilla incrociando le braccia al petto ed alzando il mento, come conferire superiorità. “Ma smettila! E’ arrivata la secchiona adesso!” intervenne Brodway sfottendo la sua ragazza. “Ehi! Ora anche tu sei contro di me?”. “No, Amore. Sto solo dicendo che un sette non ti rovina la media”. “A te no. Ma a me che prendo sempre tutti nove sì”. Brodway si morse il labbro inferiore scuotendo la testa e dandosi un colpo sulla fronte. “La solita Camilla!” esclamò tutto il gruppo, facendo spaventare la rossa. “Placatevi”. Partì un’altra risata, ma propro in quel momento a Violetta squillò il cellulare. Si alzò da sopra le gambe di Leon, e scese dal muretto sul quale erano seduti tutti. Allontanandosi di poco rispose “Pronto?”. “Vilu, sono papà”. “Ciao, cos’è successo?”. “Ecco… non so bene come dirtelo. Sarà meglio che torni a casa”. “Papà, non farmi preoccupare… è successo qualcosa alla mamma?” esclamò sempre più preoccupata. Il cuore iniziò a batterle fortissimo, le gambe tremavano e stava per scoppiare a piangere. Dall’altro capo del telefono non arrivò nessuna risposta, si sentivano solo dei pianti isterici di Olga. A quel punto scoppiò, capendo che non c’era più speranza. “PAPA’!” gridò in prenda al panico. Si accasciò a terra, continuando a piangere. Se ne era andata, sua madre se ne era andata. Non sarebbe più stata con loro, non l’avrebbe mai più vista. “Vilu, c-calmati” balbettò German, con voce spezzata dal pianto. “COME POSSO CALMARMI! COME PUOI DIRMI DI STARE CALMA!”. “Tesoro… alla mamma non è successo niente. Stai tranquilla…”. Violetta fece un respiro profondo, cercando di calmarsi e di riprendere il controllo di se stessa. Ma non riusciva a capire… cos’era successo allora? “Mi dici cos’è successo!”. “E-ecco, Angie, tua zia… ha avuto un incidente”. Violetta si paralizzò, non riuscendo a muovere neanche un muscolo. Non riusciva a collegare le parole appena pronunciate da suo padre. Angie. Incidente. Come poteva essere? Come poteva aver avuto un incidente! Non era giusto! La vita era ingiusta, cattiva! Aveva appena rincontrato sua zia! E adesso rischiava di perderla per uno stupido incidente! Perché! Perché proprio a lei! Cosa aveva fatto di male per meritare di soffrire! Prima sua madre, ora Angie. Non poteva essere… Leon, ancora seduto sul muretto continuava a fissarla accigliato. Non si muoveva, era come paralizzata. Non piangeva neanche, era immobile, come una statua. “Vilu… Tesoro, mi senti? Ci sei? Vilu. Violetta!” gridava dall’altro capo del telefono un German preoccupato. Leon che vedeva che non si muoveva, decise di andare da lei. La prese per le spalle, guardandola negli occhi, ma non li batteva. Non batteva le palpebre, era rimasta pietrificata. La scosse, ma nulla. Così decise di prenderle il cellulare “Pronto?”. “Chi è?”. “German? Sono Leon? Cos’è successo? Violetta è rimasta paralizzata. Non si muove più. E’ successo qualcosa a Maria, per caso?”. “No, no. A Maria non è successo niente… è che… Angie ha avuto un incidente”. “COSA!”. “Sì, poco fa. Mi hanno chiamato dall’ospedale. Ora sto andando lì con Roberto. Mi fai il favore di badare a mia figlia. Ho paura che faccia qualche sciocchezza, prima Maria, ora anche Angie. Da quanto mi hanno detto sembra che non sia nulla si grave ma ha riportato qualche frattura. Per favore, Leon… stai vicino a Violetta. Non la perder d’occhio neanche un minuto. Non dire nulla agli altri, se puoi avvisa Antonio e Pablo”. “Certo, German. Ovvio che non la perderò di vista, e non ti preoccupare li avviso io Antonio e Pablo. Facci sapere al più presto”. “D’accordo. Grazie, Leon. A più tardi”. “A più tardi”. Leon chiuse la chiamata, e si infilò il cellulare di Violetta in tasca. Se mai German avesse chiamato avrebbe risposto lui. Prese Violetta per i fianchi attirandola a sé, ed abbracciandola. A quel punto la ragazza scoppiò a piangere stringendosi forte al suo amico. Leon cercò di tranquillizzarla stringendola con tutta la forza che aveva, e lasciandole piccoli baci sul viso. “Ehi, calmati…” sussurrò prendendole il viso tra le mani, con i pollici le asciugò le lacrime accarezzandole le guance. “I dottori hanno detto che non è nulla di grave, ha solo qualche frattura qua e là”. “Non può essere, Leon. Non ci credo, non ci voglio credere. Prima la mamma, ora anche Angie. Non voglio che mi lasci anche lei. Ho bisogno di mia zia. E’ l’unica persona che mi è rimasta, che era legata alla mamma, oltre alla nonna. Ma Angie… è Angie, non voglio che se ne vada”. “E non accadrà. Non succederà nulla che te la farà perdere. Si riprenderà, e tornerete quelle di sempre. Promesso…”. Violetta scosse la testa, abbassando lo sguardo. “Perché devo perdere sempre le persone che amo?”. “Non la perderai. Te lo posso assicurare. Non succederà niente. Tuo padre ora sta andando in ospedale con Roberto. Al telefono i medici gli hanno detto che non è nulla di cui preoccuparsi. Ma può avere qualche osso rotto. Ma stai tranquilla, andrà tutto bene” le sussurrò guardandola negli occhi. Violetta si gettò ancora tra le braccia di Leon, il posto più sicuro del mondo. “Non mi lasciare sola” supplicò lei stringendo gli occhi, lasciandosi coccolare da quelle braccia. “Non ti lascerò mai sola. Mai. Sei la mia Bimba, e lo sarai sempre. Questo non cambierà. Ti starò sempre vicino, accada quel che accada”. I loro occhi si incrociarono ancora, un sorriso più bello dell’altro. La campanella suonò, e tutti si affrettarono ad entrare. “Andiamo, tuo padre ha detto che dobbiamo avvisare Antonio e Pablo” informò Leon, prendendo la mano della sua amica per intrecciarla alla sua. “Agli altri lo diciamo?” domandò Violetta asciugandosi le lacrime. “No, aspettiamo di sapere qualcosa di certo. Non spaventiamoli se non sappiamo di cosa si tratta”. La ragazza annuì, quando arrivarono davanti ai loro amici, la notarono diversa. “Vilu, hai pianto?” domandò Francesca guardando i suoi occhi rossi e gonfi. “No, cioè sì, ma tranquilla. Non è successo niente”. “Non ci credo, non piangi per ‘niente’. Cos’è successo?”. “Davvero, Fran… tranquilla”. “Poi mi racconti, eh”. “Ora andiamo, altrimenti Angie si arrabbierà” intervenne Federico prendendo il suo zaino da terra e dirigendosi mano nella mano con Ludmilla, verso l’entrata. Leon e Violetta si lanciarono uno sguardo d’intesa, e il messicano la strinse a sé circondandole la vita con un braccio. “Stai tranquilla. Andrà tutto bene” le sussurrò all’orecchio, lasciandovici poi un dolce bacio “Grazie. Grazie per essere sempre presente. Per sostenermi in tutto, per restarmi vicino e tranquillizzarmi. Non so proprio come farei senza te… ti voglio bene, Leon”. “Ti voglio bene anche io, Bimba. E non ringraziarmi, io lo faccio con il cuore. Mi fa piacere, e ne sono felice. Vedere il tuo sorriso è la cosa più bella del mondo, ma ultimamente non lo vedo tanto spesso. Ricordo quando da piccoli era sempre lì sulle tue labbra. Ero il bambino più felice del mondo, perché ero io la causa del tuo sorriso. Vederlo tutti i giorni è qualcosa di davvero inspiegabile, eppure… è così bello”. Il cuore di Violetta non poteva battere più forte, stava per uscire dalla gabbia toracica e finire sul pavimento della scuola. Le parole di Leon… l’avevano fatta sorridere. Dopo tanto tempo di sofferenza, per sua madre, per quella malattia, dopo tutto quel tempo era riuscito a farla sorridere. Ma non un sorriso di quelli falsi, di quelli comuni che aveva sfoggiato quella mattina, alla festa di Camilla, oppure ovunque andasse… no, quel sorriso era vero. Forse il più bello che avesse mai fatto.
 
 
 La lezione di educazione fisica, con Jackie, era appena finita. Tutti erano sfiniti. Quella donna pretendeva davvero il massimo del massimo. Trenta minuti di corsa, poi una serie di addominali e flessioni. Salti con la corda e pesi, e gli ultimi dieci minuti una piccola ma breve partita di pallavolo. Era appena suonata l’ora della ricreazione, Violetta e Leon, appena entrati erano subito andati a parlare con Antonio e Pablo. I due si erano subito precipitati all’ospedale, ma prima avevano avvisato i professori. Durante le prime due ore, a sostituire Angie ci fu Gregorio, che tra matematica, scienze e geografia, massacrò gli studenti. Finalmente la ricreazione era scattata, e per venti minuti si sarebbero tutti riposati. “Dio santo! Non ne posso più!” esclamò Ludmilla lasciandosi cadere su una panchina di fianco alle macchinette. “E pensare che ora abbiamo il compito di francese!” ricordò la rossa inserendo quaranta centesimi nella macchinetta e selezionando il tasto con so scritto ‘Caffè’. “Ti prego non ricordarmelo” supplicò Nata passandosi una mano sulla faccia. “Speriamo che non sia tanto difficile come quello dell’ultima volta” intervenne Francesca prendendo una patatina dal sacchetto che teneva tra le gambe, per poi mangiarla. “Già speriamo. Quello è stato davvero il più difficile dall’inizio dell’anno” rispose Camilla estraendo il bicchierino con il caffè fumante, dalla macchinetta. “Concordo, ma a me non è andato tanto male” puntualizzò Ludmilla. “Io ho preso otto e mezzo” informò la rossa accavallando le gambe. “Ovviamente! A me invece non è andato molto bene, ma non posso lamentarmi… sei più” disse Francesca. “Beata te! Io un cinque scarso” parlò Nata sbuffando e incrociando le braccia al petto. “Devo assolutamente rifarmi con quello di oggi, altrimenti rischio l’anno se mi mette un’insufficienza alla prima pagella”. “Vedrai che andrà tutto bene. Per fortuna dopo il compito abbiamo musica” ricordò Ludmilla poggiandole una mano sulla spalla. “Giusto! Almeno ci riprendiamo un po’! Diego ed io abbiamo già in mente una melodia per una canzone da presentare allo show” intervenne Francesca. “Io in realtà avrei pensato che potremmo creare un gruppo noi ragazze” propose Camilla “Sì, bello. Mi piace” rispose la bionda. “Sì, buona idea. Ma vorrei cantare anche con Diego”. “Certo, non credo ci saranno problemi se lo dici a Pablo. Anche perché, anch’io voglio cantare con Federico”. “Vilu! Vilu!” esclamò d’un tratto Francesca passando una mano davanti al viso della sua amica. La ricreazione era iniziata da più di cinque minuti, e Violetta non aveva proferito parola. In realtà non aveva parlato per tutto il giorno, tranne quando veniva chiamata dal professore. Era rimasta zitta e muta al suo banco, con le braccia conserte, le gambe accavallate e lo sguardo perso nel vuoto. Quella mattina le era sembrata normale, quando poi si era allontanata era tornata… strana, diversa. Aveva di sicuro ricevuto una notizia non bella. “Violetta!” esclamò ancora l’italiana scuotendo la sua amica per le spalle, che a quel punto si riprese guardando Francesca, passandosi poi una mano sulla faccia. “Sì, scusate. Non mi sento molto bene” mentì la mora. “Vilu, cos’hai? Non hai parlato praticamente per tutto il giorno, e sei strana. E’ successo qualcosa di grave?” chiese Francesca. “E’ successo qualcosa a tua madre?” domandò Camilla preoccupata. “No, no. Alla mamma non è successo niente. Sto bene, è solo che stanotte non ho dormito molto, e i sintomi cominciando a sentirsi” mentì ancora. “Violetta, abbiamo diciotto anni, non ci inganni più con queste stupidaggini. Dicci cosa ti succede” intervenne Ludmilla incrociando le braccia al petto. “Ma no, sul serio ragazze. Sono un po’ di notti che non dormo… non so, sarà il fuso orario al quale non mi sono ancora abituata. O per mamma, papà… non so. Forse per tutto… mi sto riambientando, ed è come ritornare in prima elementare. E’ tutto cambiato, voi tutti siete cambiati. E forse, devo solo accettare tutto questo”. “Stai parlando di Leon?” domandò Nata curiosa. “Anche. Ma non è questo il punto. Sto solo dicendo che vedendo quello che è successo l’altra sera, è cambiato”. “Il bacio intendi?” chiese Camilla sentendosi ancora in colpa. Violetta annuì abbassando lo sguardo sulle ginocchia tremanti. Già il bacio. “Ma, Vilu. Non era un vero e proprio bacio. Era un gioco, per nessuno dei due ha avuto significato” constatò la rossa, cercando di spronarla. “Come lo sai questo? Ne hai la certezza?”. Camilla non parlò, rimase muta. No, non ne aveva la certezza. Ma sapeva che sua cugina non aveva provato nulla per Leon, durante quel piccolo bacio. “Posso assicurarti che per Bel non ha avuto nessun significato”. “E per Leon?” chiese più a se stessa che alle sue amiche. Stava per ammettere, anche se indirettamente, che amava Leon. “Questo non posso saperlo, Vilu. Ma sono quasi del tutto convinta, che è lo stesso anche per lui. Come ti abbiamo ripetuto per almeno… tremila volte? Lui ama te, ti ama. Da sempre, e solo tu non riesci a vederlo. Non so perché, ma è così. Tu pensi di no, pensi che non è così, ma fidati che lui ti ama. Penserai che ti diciamo tutto questo solo per non sentirti più, per farti felice e mentirti. Ma ti assicuro che non è così. Siamo le tue amiche, da sempre, e ti vogliamo un’infinità di bene. Non ci sarebbe motivo di dirti una cosa per un’altra, per poi vederti soffrire. Nessuna di noi ti direbbe mai una cosa del genere, se non ne fossimo sicure al mille per mille. Nessuna ti mentirebbe mai su queste cose, solo per ferirti o farti soffrire. Ti vogliamo bene, e vogliamo solo il meglio per te”. “Grazie, Cami. Grazie a tutte, ragazze. Non sapete quanto mi sia d’aiuto la vostra presenza. Soprattutto in questo momento”. “Ti pare, Vilu. Come ha detto Camilla: ti vogliamo bene, e vogliamo solo il meglio per te” ripeté la bionda sorridendole. “Ehi, ragazze!” esclamò una voce cristallina, fredda come il ghiaccio, capace di trafiggerti mille lame nel cuore con un solo sguardo. “Ciao, Bel!” risposero tutte in unisono sorridendole. “Non sapete che vi state perdendo! Federico e Leon stanno facendo a gara di chi mangia più pacchetti di patatine al ketchup!” informò la nera. “Davvero!” chiese Ludmilla alzandosi di scatto. “Sì, sono in classe”. Tutte le ragazze si affrettarono a raggiungere la loro classe. Quando entrarono videro i loro amici raggruppati in cerchio attorno ad un banco. Violetta e Ludmilla si fecero spazio, e quando li videro scoppiarono a ridere, attirando l’attenzione di tutti. Leon e Federico erano ricoperti di briciole di patatine al ketchup fino al naso, erano una forza della natura! “Finito! Sono il più forte!” gridò Leon battendo il pungo sul banco per poi alzarsi di scatto dalla sedia. “E no, però! Non vale, io sono stato distratto!” ribatté l’italiano puntandogli l’indice contro. “Da cosa?”. Federico indicò le due ragazza in mezzo alla ‘folla’ dei loro amici. Leon scoppiò a ridere alzando le mani al cielo “Amico, non è colpa mia se ti distrai facilmente. Io quando mangio non penso a nient’altro!” si difese il messicano. Federico si pulì la bocca con una salviettina “D’accordo, Vargas. Questa te la lascio vincere… ma voglio presto la rivincita!”. “Ci puoi contare!” esclamò Leon stringendo la mano del suo amico. Partì un applauso collettivo, poi Violetta si lanciò al collo del suo amico stringendolo forte. Leon le circondò la vita con le braccia, facendola girare, come il primo giorno che si rincontrarono. “Sei il più forte” sussurrò Violetta all’orecchio del suo amico. “E tu la più bella”.
 
 
 La campanella dell’ultima ora era appena suonata, e tutti gli studenti si stavano affrettando ad uscire dalla scuola. Finalmente quel lunedì era finito, ed era l’ultimo lunedì di scuola di quell’anno. “Va bene, Vilu. Allora ci sentiamo più tardi. Inviami il testo della canzone, così lo imparo a memoria” disse Francesca. “Creo un gruppo di noi ragazze, su WhatsApp. In questo modo lo imparano tutte e alla prossima lezione possiamo presentarla a Pablo”. “Sì, d’accordo” concordò Camilla ricevendo l’appoggio di tutte le altre. “Noi andiamo, a domani”. “A domani ragazze”. Francesca, Camilla, Ludmilla,Nata e Isabel uscirono dalla classe, ormai erano rimasti in pochi, giusto i ragazzi che stavano discutendo su qualcosa di completamente estraneo a Violetta. “Io dico che dovremmo metterle alle cinque, almeno abbiamo il tempo di fare i compiti” propose Federico. “Concordo, non mi va di fare i compiti la sera. Anche perché sono stanco, e non ho le forze” l’appoggiò Brodway. “D’accordo, allora vada per le cinque” confermò Maxi. “Ci vediamo domani, ragazzi” salutarono Maxi, Federico, Brodway e Andres. “Ciao!” esclamarono in unisono Diego e Leon. I ragazzi uscirono dall’aula e Violetta si avvicinò ai suoi amici. “Andiamo?” chiese al messicano, incrociando i suoi occhi. Leon le sorrise annuendo “Certo. Un minuto che finisco di parlare con Diego”. “Certo, intanto vado a posare i libri nell’armadietto”. Violetta uscì dall’aula, avviandosi verso il suo armadietto, e lasciando i ragazzi parlare. “E’ come ti ho detto, fidati” disse Diego poggiando una mano sulla spalla del suo amico. “Non so, non ne sono del tutto convinto”. “Amico, ti ricordi l’altra sera, al compleanno di Camilla quando l’hai vista parlare con quel ragazzo al bar?”. Leon annuì accigliandosi, non capendo dove volesse andare a parare il suo amico. “Ecco, cos’hai provato?”. “Gelosia, ovvio”. “E per quale motivo?”. “Perché tengo a lei”. “E perché tieni a lei?”. “Perché è la mia migliore amica, ci conosciamo da quando eravamo piccoli e non sopporto vedere gallinacci che le girano intorno perché so come sono i ragazzi”. Diego fece il verso di quando viene premuto un pulsante sbagliato, come quando tocchi i bordi dell’Allegro Chirurgo. “Risposta sbagliata! Sei geloso perché la ami, Leon! La ami, e non te ne rendi conto!” esclamò lo spagnolo cercando di fargli vedere la realtà. “Diego, la vuoi finire con questa storia?” chiese esausto Leon portando le mani sui fianchi. “No, non la finirò finchè non ti renderai conto che la ami, e che lei ama te!”. Il messicano sbuffò passandosi una mano sulla faccia “Come fai ad esserne sicuro?”. “Oh caro mio, primo: dal modo in cui vi guardate. Qualcosa dentro agli occhi luccica, e so che ad entrambi batte forte il cuore, o forse vuoi negarlo?”. Da Leon non arrivò nessuna risposta “Va avanti”. Lo spagnolo fece una piccola risata vittoriosa per poi proseguire “Secondo: ti preoccupi sempre per lei. Come sta, come non sta, dov’è,con chi è…”. “Mi preoccupo perché, ripeto: ci tengo a lei, è la mia migliore amica ed è normale che sia protettivo nei suoi confronti”. Diego portò le mani al cielo, per poi riabbassarle di scatto “Niente eh, non lo vuoi ammettere”. “Ascoltami, Diego. Se qualcuno si avvicina a Francesca, e ci prova con lei, o in qualche modo la importuna… tu non vai lì e spacchi la faccia a quello?”. Diego alzò un angolo della bocca, insieme alla sopracciglia. Poggiò una mano sulla spalla del suo amico ricordandogli che: “Leon, Francesca è la mia fidanzata”. Il messicano si morse il labbro inferiore restando a guardare il suo amico. Aveva per caso detto indirettamente, che considerava Violetta come la sua fidanzata? No, certo che no. “Intendevo dire che io proteggo Violetta come tu fai con Francesca”. “E io ti ricordo sempre che Francesca è la mia ragazza, Leon”. “Oddio, ma con te non si può parlare!”. “Ma perché non ammetti semplicemente che sei innamorato di lei?”. “Perché non è la verità, e poi neanche lei mi ama”. Diego sbuffò lanciando un’occhiataccia al suo amico come a dire ‘Sei cretino. Ora ho la conferma che sei cretino’. “Tu pensi che non ti ama?”. “Esatto”. “Allora perché l’altra sera è uscita fuori dopo il ‘bacio’ di Bel?”. “Ma che c’entra! Allora primo: quello non era un vero bacio. E secondo: è uscita perché si sentiva male”. Arrivò un’altra occhiataccia da parte di Diego “Ed ecco a voi Leon Vargas, il ragazzo più deficiente del mondo!” esclamò per poi applaudire “Molto divertente, ma soprattutto molto infantile”. “No sul serio credi che sia uscita perché si sentiva male? E tu ti reputi il suo migliore amico? Ma per favore! Anche Andres se ne è accorto che è uscita per il bacio, Leon!”. “No, io credo che sia stato perché si sentiva male” insistette Leon. Diego cacciò via l’aria dai polmoni restandolo a guardare. “Io ci ho provato… ora sta a te, amico” disse dandogli una pacca sulla spalla per poi raccogliere il suo zaino ed uscire dall’aula. Leon rimase solo, ma d’un tratto una figura femminile entrò nell’aula. “Che ci fai ancora qui?” domando il messicano accigliandosi. “Avevo dimenticato un quaderno, ma… non ho potuto far a meno di ascoltare la conversazione tra te e Diego” ammise Gery sistemandosi meglio lo zaino in spalla. “Mi dispiace” rispose Leon unendo le labbra tra loro. La messicana gli si avvicinò di più, restando a pochi centimetri di distanza da lui. “Leon, io ti amo”. Il cuore di Leon si bloccò improvvisamente, il cervello andò in convulsione. Non riusciva a capire più niente… “E’ bello che tu lo dica, ma io non provo gli stessi sent…” non riuscì a finire la frase, che le labbra di Gery gli si avventarono contro. Lui rimase immobile, impassibile, come Violetta quella mattina. Le labbra della messicana si muovevano leggiadre sopra le sue. Era da tre anni che desiderava baciare Leon Vargas, e finalmente quel momento era arrivato. Non le importava se lui non provava lo stesso. Quando la messicana si allontanò si stampò un sorriso dolce e vittorioso sul suo viso, mentre l’espressione di Leon si tramutò da confusa a preoccupato. Non appena vide Violetta sull’uscio della porta, con le lacrime agli occhi, il cuore gli si frantumò in mille pezzi. La ragazza corse via, lasciandolo in ansia. Leon spostò Gery da davanti a sé, e la rincorse cercando di spiegarle tutto. “Violetta!” gridò provando a bloccarla. “Violetta!”, ma lei non si fermava.  Era ormai uscita dalla scuola, e in quel momento entrambi si trovavano nel cortile. “Vattene, Leon” ordinò la mora asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. “Aspetta, lasciami spiegare almeno”. “Non c’è niente da spiegare. Non mi devi dare spiegazioni, non sono la tua ragazza”. Entrambi si bloccarono di colpo. Quelle parole avevano fatto male a tutti e due “Bimba io…”.  Violetta si voltò di scatto, fissandolo negli occhi “Non mi chiamare più in quel modo, non ti voglio più vedere. Potevi anche dirmelo che ti piaceva Gery, non sono una spiona”. “Per favore, Violetta non fare la bambina!”. “Sarei io la bambina? Tu che mi nascondi le cose? Come la mettiamo? Non mi arrabbiavo se mi dicevi che eri innamorato di lei!” gridò la mora indicando con il braccio la messicana abbastanza distante da loro, sull’uscio della porta di entrata. “Porca troia, Violetta! Io amo te!”. Entrambi non riuscivano a credere alle loro orecchie. Finalmente glielo aveva confessato, finalmente si era sfogato. Le aveva rivelato i suoi sentimenti che da anni le teneva nascosti. “C-cosa?” balbettò la mora, ancora incredula. “Hai capito bene, ti amo” ripeté Leon guardandola pieno d’amore. Violetta fece cadere lo zaino a terra, sulle sue labbra comparve un sorriso che andava da orecchio ad orecchio. Il suo cuore batteva all’impazzata, ed era felice. Per la prima volta, dopo tanto tempo era felice. Corse tra le braccia di Leon, che l’accolse felice. La strinse a sé, facendola girare, come durante la ricreazione. Ma quel momento era ben diverso, si era dichiarato. E Violetta aveva dimostrato la sua felicità. Le fece poggiare i piedi a terra, avventandosi poi sulle sue labbra. Dio, era da anni che le desiderava. Certo, da piccoli le lasciava qualche bacetto a stampo, ma erano niente a confronto di quel momento. Fu un attimo. Leon le afferrò il viso tra le mani e lo condusse al suo con rapidità, con violenza, ma allo stesso tempo con una dolcezza che non gli era mai appartenuta. Si mosse sicuro sulle labbra della ragazza, che fin dal primo momento aveva risposto con trasporto a quel bacio. Leon fece scivolare una mano lungo il fianco di Violetta, la quale sussultò a quel tocco. La mora fece scendere entrambe le mani sul petto del ragazzo, e approfondì il bacio, tirando fuori un’ intraprendenza che neanche lei sapeva di possedere. Si desideravano da troppo tempo, e il modo in cui le loro lingue si cercavano, e le loro braccia tenevano stretto l’altro, ne era la pura dimostrazione. Leon si separò per qualche istante, gli occhi ancora chiusi e un sorriso soddisfatto e sereno sul volto. Voleva parlare, dire qualcosa, confessarle ancora tutti quei sentimenti che da anni erano nascosti dentro di lui… ma le labbra di Violetta ebbero ancora la meglio. Vi ci si fiondò abbandonandosi completamente. Violetta accolse ancora le sue labbra e ne assaporò ancora tutta la perfezione. Erano morbide, carnose, ma soprattutto erano finalmente sue. Leon si lasciò scappare un altro sorriso e dopo averle lasciato un piccolo morso sul labbro inferiore, trovò la forza di separarsi, poggiando poi la fronte su quella della ragazza. Lei gli sorrise di rimando, illuminandosi in volto, e Leon ebbe l’impressione di essere disteso in paradiso. Tanta era la pace che sentiva in quel momento. Eppure, nonostante quel bacio fosse stato il più bello di tutta la sua vita, sentiva di volere di più, di desiderare ancora quelle labbra di cui non ne avrebbe mai avuto abbastanza. “Ti amo anch’io, Leon” sussurrò Violetta sulle sue labbra, per poi assaporarle un’ultima volta. “Adesso sarà davvero per sempre” promise Leon sorridendo. “Per sempre è tanto tempo”. “Sì, e io non vedo l’ora di passarlo tutto con te”. Si sorrisero ancora, prendendosi poi per mano ed avviarsi vero l’auto. Forse i lunedì non erano tutti devastanti.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
MERITO UN APPLAUSO! HO SCRITTO QUESTO CAPITOLO IN UN GIORNO! Infatti fa schifo, ahahahah, scherzo… devo dire di esserne abbastanza soddisfatta. Finalmente il capitolo tanto atteso da tutti. A proposito, ho provato a vedere in quanti seguono la storia, e devo dire di esserne rimasta sorpresa. Siete moltissimi, vi amo! Grazie per tutto il vostro appoggio, e per tutte le vostre recensioni. Scusatemi, non vi ho neanche salutati. Ehi! Come va gente? Tutto bene? Vorrei iniziare con spiegare qualcosa, anzi ripeterla per la 243456778291648 volta: GERY. NON. E’. CATTIVA! Fidatevi, più avanti lo capirete, ed anche nel sequel sarà abbastanza importante. Bien, Spongy che ne pensa la Signora Vargas? Le è piaciuto? Voglio leggere tutte le sue e le tue sclerate nella luuuuuuuuuuuuungaaaaaaaaaaaaaa recensione eh! Ci conto. E’ vero che ti avevo promesso che Gery e Leon non si mettevano insieme, ma ehi *alza le mani* non ho detto che non si baciavano! Ahahaahah, adesso muoio visto che mi sparerai, vero? Allora, non posso prolungarmi oltre. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se sì lasciate una recensione! Bacioni e alla prossima!
#Alice_Leonetta

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Nono capitolo. ***


Ludmilla chiuse la porta di casa, sfilando le chiavi dalla serratura e posandole sul mobiletto accanto all’attaccapanni. Finalmente era riuscita a confessare a Federico che persona era davvero sua madre. Lui aveva promesso che non l’avrebbe mai lasciata sola ad affrontare quella donna. Sempre se si poteva chiamare in quel modo. Federico l’avrebbe aiutata, ed insieme sarebbero stati felici. Sentendo dei passi al piano superiore, si affrettò ad infilare il cellulare dentro la tasca dei jeans, sapendo che sua madre l’avrebbe –quasi sicuramente- picchiata vedendola messaggiare con Federico. “Ciao, Tesoro!” esclamò Priscilla scendendo le scale a mo’ di modella (Professione che in passato la portò in alto. In seguito si dedicò al canto, il quale la fece diventare ancora più famosa). “Ciao” rispose la bionda in un modo così flebile, delicato ma allo stesso tempo tanto amareggiato e triste. Si sfilò il giaccone e lo appese all’attaccapanni, per poi dirigersi in cucina a testa bassa e braccia incrociate al petto. Priscilla la seguì, con un sorrisetto vittorioso stampato appena sulle labbra. Dall’espressione affranta di sua figlia, capì che Ludmilla aveva lasciato Federico, e che finalmente poteva spedirla da suo padre, in Africa. Entrò in cucina e la vide versarsi un po’ di latte dentro un bicchiere. “Com’è andata a scuola?”. La ragazza alzò le spalle sorseggiando un po’ del contenuto dentro al bicchiere. “Normale”. “Ho saputo di Angie… mi dispiace”. Ludmilla rimase a guardare sua madre, alzando un sopracciglio con un’espressione confusa ma allo stesso tempo stupita. Sua madre che si dispiaceva per una persona? Per di più per la sua insegnate, Angie? Era sicura di aver sentito male, ma fece comunque finta di niente. “Sì, è successo questa mattina. Ce ne ha parlato Pablo durante l’ultima ora. Vilu è distrutta”. “Immagino…”. “Già… per fortuna c’era Leon ad aiutarla. Sarebbe crollata se non ci fosse stato lui”. Ludmilla sciacquò il bicchiere e lo ripose nella dispensa, nel preciso posto da dove l’aveva preso. Si voltò di nuovo verso sua madre, con le braccia al petto “Sono molto amici, vero?” chiese la donna sedendosi su uno degli sgabelli accanto al tavolo. La ragazza annuì, mordendosi il labbro inferiore e spostando lo sguardo in alto, per poi incatenarlo ancora in quello di sua madre. “Migliori amici. Due migliori amici che si amano, ma non se ne rendono conto”. “Fateglielo capire voi” propose Priscilla poggiando i gomiti sul ripiano davanti a sé. “Come se non ci provassimo tutti i giorni. Sono due teste calde, non so come facciano a non accorgersi dell’amore che prova l’uno per l’altra!” esclamò furiosa più con se stessa che con i suoi amici. Ma Ludmilla non sapeva della chiacchierata di Leon e Diego, non sapeva che Gery aveva baciato Leon e che Violetta aveva assistito a tutto piangendo. Non sapeva che Leon si era dichiarato, e che si erano baciati… non sapeva che era finalmente arrivato quel momento che tutti aspettavano da anni ed anni. Violetta e Leon, insieme, fidanzati. “Se vuoi ci posso parlare io, con loro” propose la donna. Ludmilla alzò entrambe le sopracciglia, ancora più stupita di prima, dischiudendo leggermente la bocca. Cosa aveva sentito? Sua madre che si proponeva a far ragionare Violetta e Leon? Era un sogno, tutto quello era un sogno. Di sicuro si era addormentata durante il compito di francese. “Non fare quella faccia! Sono molto brava a far ragionare le persone”. “Mamma, ti prego. Non cercare di metterti in mezzo”. “Ma sei hai detto tu che voi cercate in tutti i modi di farglielo capire! Anche voi siete coinvolti!”. “Noi siamo i loro amici. Non credo che staranno ad ascoltare una come te! Ed adesso toglimi una curiosità… come facevi a sapere di Angie?” domandò la bionda incrociando le braccia al petto ed alzando un sopracciglio. Priscilla fu colta di sorpresa, così si tranquillizzò sistemandosi i capelli con una mano. “Durante la ricreazione sono venuta a scuola… dovevo firmare dei moduli”. La ragazza si bloccò. Era andata a scuola, quella mattina? Durante la ricreazione? Dio. Quindi… “E ti ho vista con Federico”. Ludmilla abbassò la testa, fissando lo sguardo sui suoi stivaletti di pelle. Per qualche minuto, i più lunghi della sua vita, ci fu un silenzio interminabile. Si sentiva solo il ticchettio dell’orologio sulla parete. Sua madre l’aveva vista con il suo ragazzo. Perché doveva essere tutto così complicato? Perché sua madre non poteva semplicemente accettare che lei e Federico si amavano? “Non mi avevi detto che lo avevi lasciato?” chiese la donna incrociando le braccia al petto ed alzandosi dallo sgabello, ma rimanendo ferma. C’era solo il tavolo rettangolare di legno, a dividerla da sua figlia. Da parte di Ludmilla non arrivò nessuna risposta, sempre e solo il ticchettio dei secondi. Tic tac. Tic tac. Tic tac. “Ludmilla… ti ho fatto una domanda. Non mi avevi detto di averlo lasciato?” ripeté Priscilla irritandosi sempre di più. La ragazza bionda alzò la testa, e sfocatamente incrociò gli occhi paralizzanti si sua madre. Le lacrime scendevano veloci e fluide, senza nessun intoppo. Il viso di Ludmilla era così perfetto, aveva una pelle così liscia, che non aveva nessuna imperfezione. “Lo amo”. La sua voce era spezzata dalle lacrime, ma era sempre così delicata da farti venire i brividi. “Ti ho già detto che non me ne frega niente?” domandò Priscilla ironica. I singhiozzi della ragazza rimbombavano nella stanza, coprivano perfino il ticchettio dell’orologio. “Perché non vuoi accettarlo?”. La donna fece spallucce “Perché non mi piace”. “E non pensi alla mia felicità?”. “Certo che ci penso, e sono sempre più convinta del fatto che lui non ti renda felice”. “NON E’ VERO!” gridò improvvisamente Ludmilla battendo il pugno sul tavolo, facendo rovesciare la bottiglia di latte. “Non alzare la voce con me” ordinò tranquilla la donna, prendendo una pezza bagnata per pulire. “Non riesci a capire che Federico è l’unica persona che riesce a farmi sentire bene, a farmi sentire felice!”. “Ti ho detto che non devi alzare la voce con me, Ludmilla”. “Tu non mi ascolti… e neanche io” finì guardando sua madre negli occhi, cercando di uscire dalla stanza ma Priscilla la strinse per un braccio e la scaraventò addosso al frigorifero. Dalla bocca della ragazza uscì un verso di dolore, si accasciò a terra con la faccia infossata nelle ginocchia e le braccia che circondavano le gambe. Quando sarebbe finito tutto quell’inferno? Quanto avrebbe dovuto sopportare ancora? Ma soprattutto… sarebbe riuscita a sopportare ancora? Non ne poteva più. Ogni giorno, ogni santo giorno sua madre la picchiava. Perché aveva scelto di rimanere con lei, e non con suo padre! Perché aveva deciso di restare con quella donna tanto cattiva da poter essere il diavolo in persona? Voleva suo padre, aveva bisogno di suo padre. Voleva stringersi tra le braccia di uno degli uomini più importanti della sua vita, e lasciarsi coccolare. Voleva essere cullata tra le braccia si suo padre, ed addormentarcisi come faceva quand’era piccola. Aveva bisogno di lui. Non vedeva l’ora di rivederlo. L’avrebbe salvata… avrebbe salvato lei e Federico, la loro bellissima storia d’amore. Priscilla finì di pulire il latte che era stato scaraventato a terra, gettando poi la pezza sporca dentro la lavatrice. Si sciacquò le mani e si accucciò a terra, facendo alzare la testa a sua figlia. “Non rivolgerti mai più a me, in quel modo. Mi hai capita?”. Gli occhi di Ludmilla erano rossi, gonfi e tristi… aveva paura. Tremava come una foglia. Quando sua madre aveva cominciato ad essere così cattiva? “Sì, sei tu che non capisci me”. La donna alzò leggermente un angolo della bocca, battendo poi le mani davanti al viso della ragazza. “Ma brava, ora che hai detto la tua battuta vuoi un premio? Lascia Federico, altrimenti finirà male” la minacciò puntandole il dito contro per poi alzarsi e dileguarsi in soggiorno. Si sentì il rumore della televisione accendersi, ed un secondo dopo un vociferare incomprensibile. Ludmilla scoppiò a piangere, stringendosi le braccia attorno alla vita come per proteggersi da una botta violenta. Sua madre l’aveva appena minacciata… mai era arrivata a quel punto. Aveva paura. Aveva una tremenda paura. Cosa intendeva con ‘altrimenti finirà male’? Non vorrà mica far qualcosa si azzardato… sarebbe troppo anche per lei. Aveva paura. Aveva bisogno di suo padre, aveva bisogno di Diego, aveva bisogno di Federico. Quando sarebbe arrivato suo padre? Aveva promesso che sarebbe arrivato la settimana prima di Natale, l’ultima di scuola. Ormai mancavano pochi giorni. Pochi giorni e suo padre l’avrebbe salvata. Ma poi? Una volta che sarebbe andato via di nuovo, sua madre non avrebbe permesso la relazione tra sua figlia e Federico. Dopo che suo padre se ne sarebbe riandato, sarebbe tornato tutto com’era in quel momento. Sì, per qualche giorno sarebbe cambiato qualcosa, ma dopo? Niente aveva più senso. Suo padre non avrebbe portato la normalità, non avrebbe fatto ragionare sua madre, se non per qualche giorno. Dopo sarebbe tornata quella di sempre. Aveva paura. Voleva Federico, aveva bisogno di lui. Voleva sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene, e che un giorno avrebbero riso di tutto quello che le stava accadendo. Aveva bisogno dei suoi abbracci, dei suoi baci, del suo modo di chiamarla ‘Amore’. Aveva bisogno del suo amore, del suo sorriso, dei suoi occhi, delle sue labbra. Lui le aveva promesso che non l’avrebbe mai lasciata sola, ma ora non ne era più tanto sicura. Se sua madre era arrivata a minacciarla in quel modo, doveva solo fare una cosa. Non poteva esporlo a dei rischi, non voleva che gli fosse fatto del male. Era la cosa più preziosa che possedeva, e voleva proteggerlo. Per tutto quel tempo era stato Federico, a proteggere lei… ora era il suo turno. Lo amava, e l’unico modo per tenerlo lontano da rischi, era farsi odiare.
 
 
 Francesca si gettò letteralmente sul suo letto, cadendo con il viso infossato nel cuscino di piume d’oca, ricoperto da una fodera in pizzo blu. “Fran, smettila! E’ inutile che ti lamenti, francese lo dobbiamo studiare lo stesso!” esclamò Camilla gettando il suo zaino sulla moquette di legno nella stanza di Francesca. “Per forza?” domandò la mora ancora con la faccia sul cuscino. “Sì, per forza, Fran! Voglio recuperare il brutto voto!” informò prendendola per le braccia e facendola mettere seduta sul letto. Francesca la fulminò con lo sguardo, con gli occhi ridotte a due fessure. “Se continui con questa storia, ti caccio di casa” la minacciò l’italiana per poi scoppiare a ridere insieme alla sua amica. “D’accordo, d’accordo. Con cosa iniziamo? Pratica o storia della Francia?”. Francesca sbadigliò, facendo con le dita il segno di due. “Va bene… allora gli esercizi li facciamo dopo. Su, che pagine sono da studiare?”. L’italiana sbuffò alzandosi dal letto, raggiungendo il suo zaino e prendendo il diario. “Da pagina ottantasette a novantacinque” rispose gettando il diario, di nuovo nello zaino. La rossa aprì il libro di testo a pagina ottantasette ed iniziò a leggere. Francesca era sdraiata sul letto e guardava il soffitto. Non riusciva a concentrarsi, le parole di Camilla le entravano da un orecchio e uscivano dall’altro. Di come la Francia era nata non le importava un bel niente, in quel momento aveva in mente solo una cosa: come stava la sua migliore amica. Durante l’ultima ora di lezione, Pablo aveva rivelato a tutti il perché dell’assenza di Angie. Non riusciva ancora a credere che avesse avuto un incidente. In cuor suo sperava solo che non fosse niente di grave. Il professore aveva detto che si trattava solo di qualche frattura, ma sarebbe passato del tempo prima che Angie sarebbe tornata a scuola. Anche perché quella era l’ultima settimana. Non osava immaginare come si sentiva Violetta. Doveva essere distrutta. Ora sapeva il motivo per il quale era rimasta muta per tutto il giorno, per il quale non aveva proferito parola. Sperava solo che in quel momento, lì con lei, ci fosse Leon. Lui era l’unico che sapeva farle spuntare un sorriso anche nei momenti più difficili. Se quel momento era devastante, Francesca non riusciva ad immaginare come sarebbe stata quando Maria… Aveva paura per cosa potesse accadere alla sua amica, aveva paura che non sarebbero riusciti a salvarla… neanche Leon. Aveva paura che non ci sarebbe riuscito neanche lui. Non voleva perdere la sua migliore amica, doveva fare qualcosa. “Dai, non è difficile. Tu hai capito?” domandò Camilla una volta finito di leggere, voltandosi verso l’italiana. La ragazza aveva lo sguardo perso nel vuoto, fissava il soffitto. “Fran, hai capito?” chiese nuovamente, non ricevendo ancora nessuna risposta dalla sua amica. “Ehi! Fran!” esclamò infine scuotendola un po’ e riuscendo a farsi notare. “Scusa… ero distratta”. “Sì, me ne sono accorta. Tutto bene?”. La mora si mise seduta a gambe incrociate, annuendo leggermente e passandosi una mano tra i capelli per sistemarli. Camilla rimase a guardarla, non capendo cosa la stava tormentando. “Cos’hai?”. “E’ che sto pensando a Violetta. Dev’essere distrutta”. La rossa annuì leggermente mordendosi il labbro inferiore e spostando lo sguardo dal pavimento alla sua amica. “Già… però da come ha detto Pablo non sembra grave”. “Non so, Cami. Sembrava molto preoccupato, non credo che si tratti solo di qualche frattura”. Camilla scosse la appena la testa, non ne aveva la più pallida idea ma sperava con tutta se stessa che fosse come Pablo aveva detto loro. “Non so, speriamo che sia davvero niente di grave”. “Ne dubito”. Per qualche secondo interminabile rimasero a guardarsi, senza dire nulla. Avevano avuto entrambe la stessa idea. In un secondo scattarono dal letto, Camilla lasciò il libro aperto sulla scrivania. Entrambe si infilarono le scarpe, e corsero in salotto indossando i giubbotti. “Dove andate?” chiese il padre dell’italiana sorseggiando un po’ del caffè fumante che aveva in una tazza. “All’ospedale” rispose Camilla tirando su la zip della giacca. Valerio sgranò gli occhi, e scattò dal divano “Chi si è fatto male!”. “Nessuno di noi, papà. C’è Angie, ha avuto un incidente questa mattina. Vogliamo star vicine a Violetta e German”. L’uomo buttò fuori l’aria dai polmoni, e si portò una mano sul cuore. “D’accordo, portategli i miei saluti”. “Certo, a più tardi, papà” salutò Francesca chiudendo la porta di casa ed infilandosi le chiavi in tasca. Prese quelle della sua macchina, ed insieme a Camilla salì. Mise in moto e partirono. “Speriamo davvero che vada tutto bene” disse la rossa accendendo il riscaldamento al massimo. “Dall’espressione di Pablo non ci spererei molto. Non hai visto quant’era agitato? Durante la lezione era sempre distratto, eravamo noi che dovevamo riprendere lui”. “Già, ma è comprensibile. Angie è una sua amica da sempre, e sentire che ha avuto un incidente non è una delle notizie migliori”. “Ok, questo ci può stare… ma non so. Ho un brutto presentimento. Spero solo di sbagliarmi”. Camilla guardò la sua amica, sperando anche lei che Francesca si stesse sbagliano, che l’espressione di Pablo era dovuta a quello che aveva detto lei. “Vilu sarà lì?”. “Sì, quasi alla fine della lezione mi ha detto che non appena sarebbe suonata la campanella si sarebbe fatta accompagnare da Leon, in ospedale”. “E ovviamente anche lui è rimasto con lei” ironizzò Camilla. “Ovvio!”. “Certo che sono proprio dei cretini!” esclamò Camilla alterandosi. Francesca si accigliò, voltandosi verso la sua amica “Cosa intendi?”. “Hai presente oggi a ricreazione, quando Leon e Federico si stavano sfidando?”. La mora annuì restando con lo sguardo fisso sulla strada. “Quando Leon ha vinto, Violetta gli si è buttata al collo e lui l’ha fatta girare, come l’altro giorno!”. Ora Francesca era ancora più confusa di prima, cos’intendeva Camilla? “Cami, non ti seguo”. “Dico solo che in quel momento un bacio ci stava tutto!” esclamò la rossa agitando le braccia. L’italiana scoppiò a ridere, facendosi seguire dalla sua amica. “Sei la peggio!”. Scoppiarono entrambe a ridere, per poi arrivare in ospedale in meno di dieci minuti. Non appena Francesca spense il motore, Camilla si fiondò fuori dalla macchina seguita da Francesca. Entrarono correndo nell’atrio dell’ospedale, e leggendo il cartello dei settori e dei piani, si precipitarono al terzo piano. L’ascensore sembrava così lento, eppure arrivarono in un batter d’occhio. Appena le porte si aprirono, si trovarono davanti ad un lungo corridoio. Tra gli infermieri che camminavano svelti, ed i pazienti con sedie a rotelle e bastone, Francesca riuscì ad intravedere Violetta e Leon seduti su una delle tante file di sedie. “Andiamo… per di qua” disse l’italiana alla sua amica, dandole un colpetto sul braccio. Ricominciarono a correre, e non appena furono a qualche metro di distanza dai loro amici, la rossa li chiamo: “Violetta! Leon!”. I due automaticamente si voltarono nella direzione da cui proveniva la voce, e videro le loro due amiche corrergli incontro. Scattarono dalla sedia, e se le ritrovarono davanti. “Fran, Cami… che ci fate qui? Non vi sentite bene?”. Le due stavano ancora riprendendo fiato, così risposero dopo qualche secondo. “Noi stiamo bene… volevamo solo starvi vicine”. Violetta sorrise, abbracciando di slancio le sue amiche. “Ragazze, non ce ne è bisogno, davvero. Grazie per esservi preoccupate, ma stando qui non risolverete nulla” rispose Violetta. “No, Vilu. Non ce la facciamo a rimanere a casa facendo finta che non sia successo niente. Vogliamo restare qui” insistette Camilla. “Ma qui non farete nulla, tanto vale che andiate a studiare per domani” intervenne Leon circondando la vita di Violetta ed attirandola a sé. “Basta. Restiamo qui… niente più obbiezioni” concluse Francesca sedendosi su una sedia, seguita dall’approvazione della rossa, la quale la imitò. Violetta e Leon si guardarono e sorrisero, per poi sedersi di nuovo anche loro. “D’accordo. Grazie, ragazze”. “Ti pare, Vilu. Anche noi vogliamo bene ad Angie, ed è molto importante essere qui” disse Camilla prendendo la mano della sua amica. “Sì infatti. Piuttosto… si sa qualcosa? Cos’ha di preciso?” domandò Francesca seria. Leon e Violetta si guardarono ancora, questa volta con un’espressione triste e preoccupato. Leon capì al volo, doveva parlare lui. “Di preciso non si sa ancora nulla, però pare che non sia qualcosa da sottovalutare”. Camilla e Francesca si paralizzarono, e guardandosi capirono entrambe che Francesca purtroppo ci aveva azzeccato con il suo brutto presentimento. “E si sa… di cosa si tratta?”. “German e Roberto stanno parlando adesso con i dottori”. Le ragazze spostarono lo sguardo su Violetta, che in quel momento era accoccolata al petto di Leon, e cercava di trattenere le lacrime. Ma si vedeva che aveva già pianto, e molto anche. Aveva due occhioni gonfi e rossi. “Mi dispiace moltissimo, Vilu. Dico sul serio” disse Camilla accarezzandole una spalla. “Anche a me. Proprio ora che sei tornata…”. “Già. E’ andato tutto male”. Violetta cercò di abbozzare un sorriso, ma scoppiò a piangere, infossando il viso nel petto di Leon, e bagnando la sua maglietta. Lui la circondò anche con l’altro braccio, e la strinse più forte che poteva. Non sopportava vederla in quel modo, vedere le sue lacrime era l’ultima cosa che avrebbe mai voluto. Anzi, neanche l’ultima. Non le avrebbe mai volute vedere, forse solo quando le faceva il solletico e lei scoppiava a ridere. Solo in quell’occasione… quelle però non erano lacrime di felicità, erano lacrime di dolore. Non gli importava se sarebbe dovuto restare lì con lei per tutta la notte, per giorni interi… a lui importava solo rimanerle accanto. Nessuno osava parlare, troppa era la tensione. Erano tutti tristi. Francesca aveva la testa poggiata sulla spalla della sua amica rossa, la quale si stava torturando le mani per il troppo nervosismo. Quando sarebbe arrivato German con gli esiti degli esami? Non poteva più sopportare quell’attesa, ma non sarebbe neanche potuta tornarsene a casa, per due motivi: uno, perché aveva promesso a Violetta che sarebbe rimasta lì con lei, doveva assolutamente sapere cos’aveva Angie. Il secondo motivo era che a casa non riusciva a concentrarsi, allora tanto valeva restare lì… a casa non sarebbe riuscita a studiare, sarebbe stato tutto inutile. Violetta era accoccolata con il viso sul petto di Leon, il quale la teneva stretta a sé. Finalmente aveva smesso di piangere, ma era sempre più agitata ogni secondo che suo padre era dentro lo studio con i dottori. Ormai erano passati più di quaranta minuti, da quando era entrato, e lei era sempre più ansiosa e agitata. “Perché non cerchi di riposare un po’…” propose Leon sussurrandole all’orecchio, e giocherellando con una ciocca dei suoi capelli. La ragazza scosse immediatamente la testa, sempre attenta a non alzare lo sguardo ed incrociare i suoi occhi, che di sicuro l’avrebbero convinta. “Sei stanchissima, Bimba. Ti sveglio io quando tuo padre e Roberto escono”. “Non voglio dormire, sono sobria”. Dalla bocca del ragazzo uscì una debole, ma dolce risata, per poi stamparsi sulle sue labbra un sorrisetto. “Vuoi prendere in giro i ciechi?” chiese il ragazzo riuscendo a farle abbozzare un lieve sorriso. “Dormi, ci sono io con te”. La ragazza riuscì ad alzare la testa, ed incontrare gli occhi verdi dei quali era sempre stata innamorata. Le trasmisero tranquillità, sicurezza, protezione. Come facevano ad avere un effetto così? “Promettimi che quando papà esce mi svegli”. Leon le sorrise dolcemente, per poi lasciarle un bacio sulla fronte. “Te lo prometto. Ma ora dormi, Amore mio” sussurrò accarezzandole la guancia e facendola accoccolare meglio sul suo petto. Violetta chiuse gli occhi, e nel giro di qualche minuto si addormentò tra le braccia di Morfeo… anzi, di Leon.
Il tempo passava, German e Roberto erano ancora a parlare con i dottori. Erano lì dentro da più di un’ora… e Leon cominciava a preoccuparsi seriamente. “Si è addormentata?” chiese Camilla al suo amico, guardando Violetta con un leggero sorriso sulle labbra. Leon sorrise guardando la sua ragazza dormire tranquillamente “Sì”. “E’ distrutta, poverina” disse Francesca guardandola con compassione. “Già… non riesco ancora a capacitarmi che sia così forte. Vorrei anch’io avere tutta quella forza che ha lei. Prima Maria, ed ora anche Angie”. Leon annuì leggermente, accarezzandole appena la testa, cercando di non svegliarla. Quando dormiva era ancora più bella. Ma lei era bellissima a prescindere, lo era sempre. “Sì… è stato un brutto colpo, quando ha saputo di Maria” rispose il ragazzo rivolgendosi alle sue amiche, le quali si accigliarono. “E tu come fai a saperlo? Siete rimasti in contatto?” domandò la rossa. Il messicano scosse la testa “No. Me lo ha detto mio padre, quando German ci ha chiamati per dirci della malattia di Maria”. “Cioè, fammi capire. Tu sapevi di Maria, e non ci hai detto nulla!” esclamò l’italiana puntandogli l’indice contro. “Shhhh!” sussurrarono Camilla e Leon. “Sì, lo sapevo. Ormai sono due anni, che si trova in quello stato”. “Perché non ce ne hai parlato, Leon?” chiese Camilla. “German preferiva che voi rimaneste all’oscuro di tutto. Così ho mantenuto il segreto”. Ci fu un periodo di silenzio, nel quale si sentivano solo le scarpe di spugna delle infermiere che passavano nei corridoi. “Perché non l’hai più sentita?” domandò Francesca indicando, con un gesto della testa, la loro amica. Leon alzò le spalle, spostando lo sguardo sulla ragazza addormentata sul suo petto. “Sinceramente non avevo il coraggio. L’ultima volta che ci siamo sentiti, era forse prima che cominciasse la seconda media. Era lo stesso anno di quando partì. Dopo di che… il coraggio mi mancò”. “Perché?” sussurrò lievemente Francesca, con voce spezzata. “Pensavo che con l’inizio della scuola sarebbe stata meglio senza di me, sarebbe stata più felice. Pensavo che avrebbe trovato qualcun altro con cui ridere, scherzare e a cui confidare tutto…”. “Pensavi che avrebbe trovato un altro migliore amico” sussurrò ancora Francesca, sempre con quella voce spezzata, e tanto flebile da farti venire la pelle d’oca. “Esatto. Pensavo che mi avrebbe dimenticato, e che non sarebbe mai più tornata. Ma per fortuna mi sbagliavo”. “Com’è stato, rivederla?” domandò Camilla. Sul viso di Leon si stampò un’espressione tra la bellezza e la magnificenza. “Oh, non ci sono parole”. “Tu la ami, Leon” enfatizzò Francesca, sbattendogli in faccia la realtà. Ma questo lui già lo aveva ammesso… a Violetta, all’uscita della scuola. Il ragazzo sorrise annuendo leggermente “Già”. Camilla e Francesca si bloccarono, e sulle loro labbra comparse un sorriso che andava da orecchio ad orecchio, un sorriso a trentadue denti. Erano riuscite a far ammettere a Leon, che era innamorato di Violetta! Meritavano un premio. Stavano per gridare, ma Leon fece segno loro di rimanere in silenzio. Avrebbero voluto svegliare Violetta, e far ripetere tutto a Leon… ma loro non sapevano. “Finalmente lo hai ammesso!” sussurrò Camilla alzando le braccia al cielo, seguita dalla sua amica italiana che faceva finta di battere le mani. “Ok, ora bisogna fare il prossimo passo” disse Francesca puntandogli ancora l’indice contro. “E sarebbe?” domandò il ragazzo. “Come… Leon!”. “Devi dichiararti!”. Leon rise, scuotendo poi la testa. Le sue amiche erano il massimo! “Quando si sveglia, le dici tutto. Anzi, se vuoi posso svegliarla io…” propose Camilla allungando le braccia verso Violetta, ma sia Leon che Francesca la bloccarono. “Eh no, Cami. D’accordo che deve dichiararsi… ma lasciala dormire!”. “Ok, ok. Avete ragione. Però appena si sveglia, le racconti tutto!”. “Sì, esatto. Perché voi siete fatti l’uno per l’altra…”. “Siete cielo e terra…”. “Ghiaccio e fuoco…”. “Sole e pioggia…”. “Bianco e nero”. “Giorno e notte”. “Pane ed acqua…”. “Sì, cotoletta e abbacchio! Ma che dici Fran!” esclamò Camilla facendo scoppiare a ridere Leon. “Scusa, è che ho fame” ammise la mora. Camilla e Leon risero “Comunque… a parte la fame di Fran… hai capito? Siete diversi, ma perfetti l’uno per l’altra. Ti devi dichiarare”. “Tranquilla, già fatto” rispose Leon tranquillo, come se fosse tutto normale. Le due ragazze si paralizzarono, ed a quel punto non potettero più resistere, così iniziarono a gridare. Leon cercò di tapparsi un orecchio con una mano, mentre l’altra circondava la vita di Violetta. “Zitte!”. Da qualche porta, delle persone si affacciarono per capire cosa stava accadendo, da cosa era provocato quel rumore. “Scusate…” si scusò Francesca in imbarazzo, alzando la mano. “Ma dai! Siete pazze!” esclamò il ragazzo. “Per fortuna non si è svegliata”. “Leon!” gridò Camilla “Ripeti quello che hai detto”. “Che devi stare tranquilla, perché le ho già detto tutto”. “Quando? Dove?” lo attaccò Francesca con occhi sognanti ed un dolce sorriso sulle labbra. “Oggi, all’uscita da scuola”. “E lei?” domandò la rossa. “Niente, ha sorriso e ci siamo baciati” confessò il messicano, alzando l’indice destro sapendo che le sue amiche stavano per gridare ancora. “Non riprovateci, o vi caccio a calci”. “Com’è successo?” chiese Camilla curiosa ed eccitata. “Dopo che voi e i ragazzi siete andati via sono rimasto a parlare con Diego. Lei era andata a posare i libri nell’armadietto. Gery ha sentito tutta la conversazione tra me e lui, e quando è andato via, Gery ha confessato che mi ama. Non ho fatto in tempo a rispondere che per me non era lo stesso, che già mi stava baciando. Viol…” la mora lo interruppe “Cosa cazzo ha fatto!”. “Mi ha baciato. Ma ovviamente io non ho risposto. L’ho allontanata subito, e quando ho visto Violetta in lacrime, sulla porta, mi sono reso conto di quello che mi aveva appena detto Diego: mi ama, ed io amo lei”. Francesca sorrise come una pazza… quant’era fiera del suo ragazzo! “Poi?” continuò Francesca. “E’ corsa fuori in cortile, l’ho raggiunta ed abbiamo iniziato a litigare, poi quando mi ha ‘accusato’ di amare Gery sono scoppiato e le ho gridato che la amo”. Le espressioni di Camilla e Francesca erano un miscuglio tra felicità e stupore. Non parlarono per alcuni secondi, ancora sotto shock dalla storia del loro amico. Era accaduto tutto così in fretta che sembrava un miracolo, o a questo punto… una magia. “Leon…” sussurrò Francesca “…devi starle accanto”. “Certo. Non la lascerò sola, soprattutto in questo periodo. Non l’avrei mai lasciata sola, anche se non ci fossimo messi insieme”. Le ragazze sorrisero, per poi voltarsi verso destra, nella direzione da cui provenivano dei passi. “Maxi, Diego!” esclamò Camilla alzandosi di scatto dalla sedia, seguita dalla sua amica. “Che fate qui?” domandò Francesca più al suo ragazzo, che ad entrambi. “Non riuscivamo a restare a casa. Abbiamo provato a studiare per distrarci, ma niente. Volevamo stare accanto a Vilu, dov’è?” domandò Maxi. Le ragazze si spostarono da davanti, e rivelarono una Violetta ancora addormentata sul petto di Leon, il quale fece cenno loro di rimanere in silenzio. “E’ quasi un’ora che dorme. E’ distrutta”. “Immagino” rispose Diego guardandola con compassione. “E di Angie, si sa qualcosa?”. Tutti scossero la testa “German è dentro con i dottori, da molto tempo. Dev’essere qualcosa di grave”. Francesca e Camilla si sedettero nuovamente, l’italiana si appoggiò alla spalla del suo ragazzo, mentre la rossa a quella dell’amico. “Ragazzi, tornate a casa” disse Leon invitandoli ad andarsene. “Assolutamente no, Leon!” insistette Francesca. “Ormai German starà per uscire, e vogliamo avere delle risposte” continuò Camilla. “E poi, nessuno riesce a concentrarsi”. Leon cacciò l’aria dai polmoni spostando poi lo sguardo davanti a sé. Improvvisamente sentì qualcosa vibrare, dentro la sua tasca. Infilò la mano, ed estrasse il cellulare di Violetta. Lo aveva tenuto per tutto il giorno, se ne era completamente dimenticato. Sbloccò lo schermo, ed aprì la schermata di WhatsApp. Il contatto che le aveva mandato il messaggio era salvato come ‘Amore’. Amore? Il ragazzo si accigliò ed aprì la chat. ‘Ehi, Vilu! Come stai? E’ da tanto che non ti fai sentire! Mi manchi molto, sai…’. Alla fine c’era una serie di cuori rossi. E adesso chi era questo ‘Amore’?
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Genteee! Come va? Spero bene! MI VOLEVO SCUSARE PER IL TERRIBILE RITARDO. Lo so che mi starete odiando, ma per un po’ non avevo ispirazione, non potete immaginare quanto mi sentivo male. Per fortuna ora sono tornata a scrivere, e sto benissimo! Allora, cosa pensate di questo capitolo? Soddisfa tutta l’attesa? Inizialmente troviamo Ludmilla e Priscilla che discutono… come le avete trovate? Mmmm. Cos’avrà voluto intere Ludmilla con ‘l’unico modo per tenerlo lontano da rischi, era farsi odiare’? Qualcosa di brutto? Poi c’è un luuuuuuuuuuunghissimo blocco dove appaiono soprattutto Camilla, Francesca, Leon e Violetta, e qui accade un po’ di tutto. Il blocco finisce con un messaggio da un mittente sconosciuto. Chi sarà questo ‘Amore’? Leon pare molto geloso, non trovate? Ahahahah, ora dovete aspettare il prossimo capitolo. Quanto sono cattiva! Devo scappare. Bacioni e alla prossima!
#Alice_Leonetta

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Decimo capitolo. ***


Violetta lentamente aprì gli occhi, battendo un paio di volte le palpebre. Non ricordava dove si trovasse, ma non appena sentì le braccia di Leon che la circondavano, e vide le pareti bianche davanti a sé, ricordò tutto. “Ehi” sussurrò dolcemente Leon, sorridendole sempre con dolcezza. Violetta rispose al sorriso sedendosi composta sulla sedia e guardandosi intorno. “Finalmente ti sei svegliata!” esclamò Camilla sorridendole. “Voi che ci fate qui?” chiese ai suoi amici presenti. Tutti i suoi amici presenti. Nel frattempo erano arrivati anche Federico, Ludmilla, Brodway, Andres e Nata. Tutti per lo stesso motivo: non riuscivano a studiare stando a casa. Non riuscivano a concentrarsi. Far finta che non fosse successo niente, che Angie non fosse in ospedale, per loro era un concetto sconosciuto. Le volevano un gran bene. Non era solo la loro insegnate, era anche una loro amica, una confidente, una persona con cui parlare che ti avrebbe ascoltato senza giudizi affrettati. Volevano restare accanto a Violetta e German; non era giusto che affrontassero tutto quello da soli. Non bastava la malattia di Maria a farli soffrire, ora ci si metteva anche un incidente. Come facevano ad essere così forti? Tutti se lo chiedevano. Dove trovavano tutta quella forza? “Volevamo sapere come stava Angie” rispose Ludmilla, come portavoce del gruppo. “I ragazzi ci hanno detto che non si sa ancora nulla” parlò Brodway. “Dov’è mio padre?” domandò Violetta guardandosi intorno per cercare di vederlo lì vicino, ma non appena si scontrò con lo sguardo dolce del suo ragazzo si tranquillizzò. Ancora una volta, sempre all’oscuro di tutto, Leon riuscì a tranquillizzarla. Come faceva? Quel ragazzo aveva un dono incredibile. “E’ andato a prendere un caffè. Sarà di ritorno tra qualche minuto” le rispose il messicano. “Mi avevi promesso che mi avresti svegliata, non appena fosse uscito!”. “Tranquilla, è uscito giusto cinque minuti fa. Non ci ha voluto dire niente, prima voleva andare a prendere qualcosa” spiegò Leon. “Quindi non sapete nulla?” domandò la ragazza rivolgendosi ai suoi amici, guardandoli uno per uno mentre scuotevano la testa. “Vilu, per qualunque cosa, io ci sono” disse Ludmilla avanzando verso la sua amica ed accucciarsi di fronte a lei, per poi prenderle la mano e stringerla fra le sue. “Grazie, Lud. Non sai quanto mi faccia piacere la tua presenza. Grazie a tutti, ragazzi. Davvero… per me è molto importante che siate qui”. “Smettila di ringraziarci… lo facciamo volentieri” enfatizzò Diego. “Bhè, proprio volentieri no, perché siamo in ospedale… ma siamo felici di poterti restare accanto” puntualizzò Maxi. “Già… ma adesso abbiamo qualcosa da chiederti” informò Ludmilla alzatasi nuovamente. Si strofinava le mani, ed un sorrisino furbetto era stampato sulle sue labbra. “Devi dirci nulla?” domandò la bionda incrociando le braccia al petto sempre con quel bellissimo sorriso. Violetta si accigliò, non riuscendo a capire su cosa volesse andare a parare la sua amica. “Non… non capisco, Lud”. “Ah, davvero?”. Violettà annuì, così Ludmilla e Francesca si guardarono, pronte ad urlare insieme a Camilla e Nata. Improvvisamente si sentirono degli acuti-rompitimpani. I ragazzi si tapparono le orecchie. “Ehi!” gridò Violetta facendole smettere “Parlate invece di urlare!”. Partì una risata collettiva, poi la mora non riuscendo ancora a capire quale fosse il centro del discordo, si voltò verso Leon con un sorriso compiaciuto sulle labbra. Alzò le sopracciglia, sapendo che lui l’avrebbe capita. Si avvicinò all’orecchio della ragazza, ed esitando un po’ alla fine parlò “Non sono riuscito a resistere” sussurrò. Violetta lo fulminò con lo sguardo per poi voltarsi verso i suoi amici, tutti con un sorriso che andava da orecchio ad orecchio. “Ok, ma ora vi prego… non tirate giù il mondo!” esclamò la ragazza facendo partire un’altra risata. “Certo che potevi anche dircelo, eh” intervenne Camilla incrociando le braccia al petto. “Già! Prima avresti potuto avvertirci, almeno ci saremmo preparate, invece di ricevere un colpo così! Sai che mi è venuto quasi un infarto?”. “Il lato positivo è che eri già in ospedale!” esclamò Federico ricevendo una linguaccia dalla sua amica. La Castillo si voltò verso il suo ragazzo, riducendo gli occhi a due fessure “Faremo i conti più tardi, io e te”. Leon alzò le mani per difendersi “Ehi, io l’avevo detto solo a loro due, poi sono arrivati Diego e Maxi e che te lo dico a fare! Poi è stato tutto un passaparola”. “Cosa vorresti dire… che siamo delle chiacchierone!”. “Sì!” rispose il messicano, facendo ridere i suoi amici. In un secondo, dalla felicità si passò alla preoccupazione. German arrivò a testa bassa con due buste di plastica bianca attaccate ad una mano, e un caffè fumante nell’altra. “Tenete ragazzi… vi ho portato qualcosa da mangiare” disse German posando le buste sulla lunga fila di sedie. “Oh, Vilu! Ti sei svegliata. Mi hanno detto che hai dormito molto”. “Sì, ora sto meglio. Ma cos’hanno detto i medici?” chiese ansiosa la ragazza. German scolò il bicchierino di caffè e lo gettò in un secchio lì vicino. Si sedette accanto a Leon, e tutti si voltarono nella sua direzione. Nessuno osava parlare… aspettavano che l’uomo iniziasse a spiegare cos’aveva Angie. German abbassò lo sguardo e congiunse le mani, sembrava molto preoccupato. “A quanto pare ha entrambe le gambe rotte, ed anche qualche costola della parte destra. Ha riportato anche qualche frattura alla colonna vertebrale, niente di grave però. E’ stato un brutto colpo, ed i medici hanno detto che ci vorrà un po’ di tempo prima che… che torni a camminare.”. “Sii più chiaro, papà. Potrebbe non camminare più?” chiese Violetta con il cuore che batteva a mille. German trovò la forza di alzare lo sguardo ed incrociare quello di sua figlia. Lo vide spento, triste… non voleva che soffrisse così tanto. Era la sua piccola, la sua piccola e fragile Vilu. Non doveva soffrire. Guardò anche tutti gli altri… Leon, Francesca, Camilla, Maxi, Diego, Federico, Ludmilla, Andres, Brodway, Nata… erano tutti preoccupati quando lei, quanto lui. Quei ragazzi erano parte dell’infanzia di sua figlia, e voleva bene a tutti. Dal primo all’ultimo… nessuno escluso. “Papà!” esclamò Violetta ormai sull’orlo per scoppiare a piangere. La sua voce tramava, era spezzata dalla tensione… “Sì… sì potrebbe restare paralizzata per sempre”. “Oddio!” gridò Violetta portandosi le mani alla faccia e scoppiando in un pianto isterico per poi alzare le ginocchia al petto e raggomitolarsi in se stessa. Non era vero, tutto quello era un’illusione. Stava ancora dormendo, e quello era il peggiore dei suoi incubi. Suo padre non aveva sul serio detto tutto quello, era solo un incubo… solo un incubo. Solo un incubo. Era solo un incubo. Solo un incubo. Incubo. Incubo. Incubo. Angie non poteva rimanere paralizzata, non poteva rimanere su una sedia a rotelle per il resto della sua vita. Era così giovane! Aveva tutta una vita davanti, aveva solo trent’anni! Che fine avrebbero fatto le loro passeggiate? Che fine avrebbero fatto tutte le coreografie che si divertivano ad inventare quando erano sole a casa? Ricordava quando sua zia l’andava a trovare quando vivevano a Madrid. Ogni volta restava una settimana, o due… trascorrevano tutti i giorni insieme. Angie, sua madre, e lei. Qualche volta anche sua nonna, Angelica, le faceva una sorpresa e di punto in bianco se la ritrovavano davanti la porta di casa con due/tre valigie. Sua zia non poteva non camminare più, doveva correre, doveva ballare con lei. Dovevano fare lunghe, lunghissime passeggiate in spiaggia, al parco, in città, ovunque avevano voglia. Angie doveva tornare a camminare, non c’era altra soluzione. Non sarebbe stato lo stesso se sarebbe rimasta sulla sedia a rotelle. Non era giusto, lei era una così brava persona. Doveva ancora sposarsi… doveva arrivare all’altare con le sue gambe, non su una stupida sedia a rotelle. Doveva godersi la vita, e in quel modo non ci sarebbe riuscita. Nessuno parlava, non sapevano cosa dire. Ogni tanto, soprattutto da parte delle ragazze, usciva qualche lacrima. Violetta era scoppiata nel suo pianto isterico, mentre Leon l’aveva accolta ancora tra le sue braccia. German non sapeva cosa fare. Abbracciare sua figlia? Cercare in tutti i modi di convincere i dottori a lasciarlo vedere Angie? Portare Violetta a casa? Chiamare Angelica? Chiamare Olga per informarla? Chiamare Alejandro e Clara? Troppe erano le domande che gli frullavano nella mente. “Vilu… Vilu, ascoltami” sussurrò Leon all’orecchio della ragazza. “Ti va di andare a casa? Ti porto io”. “No” riuscì a rispondere tra un singhiozzo e l’altro. Con una mano si circondava la vita, mentre con l’altra teneva stretta la maglietta di Leon. Si doveva aggrappare a qualcosa, la sua unica speranza. Le era rimasto solo lui, oltre a suo padre e sua nonna. “Ti sentirai meglio, credimi”. Violetta non rispose, continuava a piangere, ma almeno un po’ si era calmata. “Mh, che ne dici?”. “No. No, voglio restare qui” disse calmandosi ancora e sedendosi più composta sulla sedia. Rimase accoccolata a Leon, e mentre lui le accarezzava la testa, spostandogli qualche ciocca dietro i capelli, German si avvicinò a lei e si accucciò come aveva fatto in precedenza Ludmilla. Anche lui aveva gli occhi lucidi, stava per scoppiare di nuovo. Aveva pianto. Non appena i dottori gli spiegarono tutto, anche lui scoppiò a piangere. Ecco perché era rimasto lì dentro per così tanto tempo. “Tesoro… torna a casa. E’ tardi, e sei stanca”. “Non sono stanca, voglio rimanere qui”. “Ma Vilu, qui non riuscirai a fare nulla… a casa almeno potrai sdraiarti e riposare” intervenne Leon. “No. Se andrò a casa questa sera non riuscirò a dormire, e sarà tutto inutile”. “Resto io, con te questa notte”. Violetta incrociò gli occhi del ragazzo messicano a cui era accoccolata. “Davvero?”. “Se vuoi che resti, sì”. “Certo”. “Va bene”. “Allora l’accompagni tu?” chiese German tornando in piedi “Sì. L’accompagno, poi passo a casa per prendere delle cose e torno”. Violetta e Leon si alzarono “Grazie, Leon. Sul serio”. “Non dillo neanche per scherzo” l’uomo sorrise, per poi guardare sua figlia stretta al ragazzo che sempre aveva amato. Ma lui ancora non sapeva… “German, se sai qualcosa avvertici subito eh” disse Francesca mettendosi la sua borsetta a tracolla ed avvicinandosi al suo ragazzo. “Sì infatti, non farci stare in pensiero” intervenne Ludmilla tirando su la zip del suo giubbotto. D’accordo ragazzi, grazie per essere venuti”. “Di niente” risposero tutti in coro. German lasciò un dolce bacio sulla fronte di sua figlia, per poi vederla uscire insieme ai suoi amici. Tutti si salutarono, ed ognuno rassicurò la loro amica dicendole che tutti ci sarebbero stati per qualsiasi cosa. Lei ringraziò e si salutarono, partendo per direzioni diverse. Violetta salì in macchina, insieme a Leon. Il ragazzo accese il motore, e lentamente uscì dal parcheggio dell’ospedale. Era diventato buio già da un pezzo, erano le sette passate. La ragazza portò le ginocchia al petto, e poggiò il mento sopra esse. “Andrà tutto bene” disse Leon cercando di rassicurarla. “Ormai non ne sono più sicura” ammise restando con lo sguardo perso nel vuoto davanti a sé. Non credeva più a quelle frasi… non sarebbe mai andato tutto bene. Sua madre sarebbe morta, ed Angie sarebbe rimasta paralizzata per sempre. Quella era la realtà, e lei non poteva fare nulla per cambiarla. “Non dire così. Angie si rimetterà, e tornerà a camminare”. “Non lo so”. “Vedrai che sarà così”. Violetta non rispose, continuava a fissare la strada, il vuoto. Le luci dei lampioni, delle macchine che lampeggiavano le davano fastidio agli occhi, ma non le importava. Per quanto aveva pianto, i suoi occhi erano rossi e gonfi, e bruciavano. Le bruciavano da morire, ma non le importava. Ormai non le importava più di niente, la vita non aveva più senso. Certo, sua zia non sarebbe morta, ma sarebbe rimasta paralizzata per il resto della vita. Com’avrebbe fatto? Angie non si meritava tutto quello, era una delle persone più dolci e buone che conosceva. Perché le cose brutte dovevano capitare sempre alle persone più buone? Sua madre, sua zia… non era giusto. La sua famiglia pian piano stava scomparendo… come avrebbe fatto senza di loro? Sua madre le sarebbe mancata in un modo inspiegabile. Da due anni non riusciva a parlare con lei, da due anni che non sentiva la sua voce… e non l’avrebbe mai più sentita. Nessuno dei due parlò per il resto del tempo, arrivarono a Villa Castillo in un batter d’occhio. Leon fermò l’auto con il motore ancora acceso “Torno presto”. “Promesso?”. “Promesso”. Violetta si morse il labbro inferiore guardando nel profondo degli occhi il suo ragazzo, poi sorrise leggermente. Leon si avvicino e le prese delicatamente il viso tra le mani, per poi posare le sue labbra sopra quelle della ragazza ed assaporarle dolcemente. Violetta rispose subito al bacio, godendosi quel momento che aspettava da tutto il pomeriggio. Leon sorrise appena sulle labbra della Castillo, poi si separò aprendo gli occhi “Ti amo”. Violetta sentì una scia di brividi correrle lungo la spina dorsale, per poi espandersi per tutto il corpo. Lo stomaco si chiuse, e sulle labbra si stampò un piccolo sorriso. Era riuscito a farla sorridere. Quel ragazzo aveva un potere nascosto. “Ti amo anch’io” sussurrò per poi lasciargli ancora un bacio a stampo ed aprendo la portiera della macchina. “A tra poco”. “Non farò tardi”. La ragazza chiuse lo sportello vedendo la macchina scomparire. Entrò in casa e subito Olga la riempì di domande, ma lei rispose solamente che non c’era da preoccuparsi e che a cena ci sarebbe stato anche Leon.
 
 
 “Dio… sono così in ansia”. “Tesoro, calmati. Vedrai che Angie sta bene. Leon mi ha detto che Pablo è andato in ospedale e dice che si tratta solo di qualche frattura”. “Certo che anche lui poteva chiamarci, però!” esclamò Clara spazientita. “Ma lo sai com’è quand’è con Violetta”. “Ok, ok, ci può stare. Ma almeno uno squillo poteva farcelo!”. Alejandro stava per rispondere, ma sentendo la chiave infilarsi nella serratura si tranquillizzò e si sedette sul divano accanto a sua moglie. Un secondo dopo entrò Leon, che chiuse la porta dietro di sé. Clara si alzò si scatto dal divano, mentre il figlio camminava a grandi passi verso di lei. “Secondo te quello che hai fatto è giusto, Leon? Ti avevo detto di chiamarci se sapevi qualcosa!” esclamò la donna bloccandosi a pochi metri da suo figlio con le braccia incrociate al petto. “Lo so, mamma, scusa. E’ che Vilu si era addormentata, e si è risvegliata poco dopo che German aveva finito di parlare con i medici”. “Cos’hanno detto?” chiese Alejandro affiancando sua moglie. Leon abbassò la testa e infilò le mani nelle tasche “Ha entrambe le gambe rotte ed anche qualche costola della parte destra… riporta anche qualche frattura alla… colonna vertebrale”. Le espressioni di entrambi erano un misto tra la paura, la preoccupazione e l’incredulità. La donna si portò le mani alla bocca, i suoi occhi erano lucidi. “Ci vorrà parecchio tempo prima che torni a camminare…” ammise Leon. “Oppure?”. Il ragazzo esitò per qualche istante poi incrociò gli sguardi preoccupati dei suoi genitori “Oppure potrebbe restare paralizzata per sempre”. Dagli occhi di Clara uscì qualche lacrima, ma le asciugò subito cercando di essere forte per suo marito, per suo figlio. La sorella della sua migliore amica sarebbe potuta restare paralizzata per il resto della sua vita. Il dolore si fece varco dentro di lei, e puntò dritto al cuore. Voleva molto bene ad Angie, era come una sorella minore. Pensare che sarebbe potuta rimanere paralizzata per il resto della vita la faceva stare tanto male… Angie era così giovane, aveva ancora tutta la vita davanti. Come l’avrebbe presa Angelica? Quella donna stava già per perdere la figlia più grande a causa di un maledettissimo tumore. Sì, Maria stava per morire. L’avrebbero persa, per sempre. Non l’avrebbero più vista se non in una foto su una lapide. German non se ne sarebbe reso conto, certo era sua moglie ma il dolore sarebbe stato così tanto che avrebbe fatto finta che non fosse accaduto nulla. Non perché era un uomo cattivo, era perché soffriva. Violetta forse era quella che avrebbe sofferto di più. Di lì a poco tempo –molto probabilmente- avrebbe perso sua madre. Per una ragazza, specialmente della sua età, perdere una madre sarebbe stato devastante. Sperava con tutto il suo cuore che Leon le sarebbe stato accanto. “Cosa stai dicendo, Leon…” disse Alejandro “…non può essere vero. No che non può. Angie… Angie non può restare paralizzata”. “Non è sicuro, papà. I dottori hanno detto solo che è una delle possibilità. Se riuscirà a fare la riabilitazione una volta che sarà guarita, potrà tornare a camminare. Ma purtroppo c’è anche la possibilità che quando proverà a fare un passo non riesca a muovere le gambe”. “German ora è in ospedale?” domandò Clara ancora con le lacrime agli occhi. Non era riuscita a resistere. Le lacrime, il dolore erano riusciti ad avere la meglio. “Sì. Sì, è rimasto in ospedale con Roberto”. “E Vilu?”. “L’ho accompagnata a casa… mi ha chiesto di rimanere a dormire con lei. Per voi ci sono problemi?”. Che domande! Ovvio che non c’erano problemi! Avevano sempre sognato un momento come quello, e poi doveva stare vicino alla sua bambina. Quel periodo sarebbe stato davvero difficile per Violetta, e Leon la doveva aiutare. “Certo, Leon. Non ci sono problemi. Non andiamo in ospedale da German. Gli teniamo compagnia”. “Come sta Vilu?”. Leon scosse la testa “Come vuoi che stia? Male. Molto male. E’ distrutta… quando ha saputo che Angie potrebbe rimanere paralizzata, non immagini cos’ha fatto”. “Poverina. Stalle accanto, non lasciarla mai sola, soprattutto ora che si trova in questa situazione” raccomandò Alejandro iniziando ad andare in cucina. “Allora resti a cena lì? Non vuoi che ti prepari qualcosa?” domandò Clara. “No, tranquilla mamma. Vilu ha già avvisato Olga… mangio da lei” rispose il ragazzo, per poi cercare di rassicurare sua madre con un sorriso. La donna rispose al bellissimo sorriso del figlio, prendendolo poi per le spalle e dirgli: “Quando vi deciderete a mettervi insieme?”. Leon scoppiò a ridere, dando una pacca sulla spalla a sua madre e correre in camera a prendere l’occorrente per la notte. Aprì la porta della sua stanza ed avvicinandosi all’armadio, aprendolo poi. Afferrò lo zaino blu, che usava sempre per le gite scolastiche. Controllò che non fosse rimasto nulla dentro, per poi infilarci un pantalone della tuta ed una maglia che usava come pigiama. Prese, da dentro un cassetto del comodino, il caricabatterie per il cellulare e correre in bagno. Afferrò lo spazzolino e tornò in camera. Guardò l’ora sulla sveglia sul comodino: le otto e dieci. Doveva sbrigarsi… Controllò di aver presto tutto, per poi chiudere la cerniera dello zaino e scendere in salotto. “Sei pronto, Leon?”. “Sì”. “Io preparo qualcosa da mangiare, e porto qualcosa anche a German”. “D’accordo, se sapete qualcosa chiamatemi subito”. “Certo, Tesoro!”. Alejandro e Clara salutarono il loro figlio, per poi augurargli una buona notte con la sua migliore amica… Ma loro ancora non sapevano.
 
 
 In ospedale, German era seduto in una delle lunghe file di sedie. Aveva i gomiti sulle ginocchia e le mani congiunte. Roberto era andato a prendere qualcosa da mangiare per entrambi. Anche per lui ricevere la notizia di Angie, lo aveva sconvolto. Lei era la sorella della moglie di German, era la sorella della donna che entro poco tempo avrebbero perso. Si era affezionato in una maniera incredibile, ad Angie… e sapere che sarebbe potuta rimanere paralizzata per il resto della vita, lo faceva sentire in colpa. Sì, in colpa, Roberto si sentiva in parte in colpa. Quella mattina si doveva incontrare con lei per restituirle delle carte che aveva lasciato a casa Castillo. German non se la sentiva di lasciare sua moglie, quindi aveva chiesto a Roberto di occuparsene lui. Prima di andare a scuola, Angie sarebbe dovuta passare a casa di Roberto per prendere quelle dannatissime carte. Se solo fosse andato lui a casa di Angie… se solo avrebbero potuto incontrarsi un altro giorno… tutto quello non sarebbe successo. Avrebbe risparmiato tutto quel dolore alla famiglia Castillo. Avrebbe risparmiato dell’altro dolore a German, ed anche alla piccola Violetta. Aveva visto quella ragazza crescere, ed ora che si trovava con la madre malata di cancro, e la zia che sarebbe potuta restare paralizzata, vederla in quello stato lo uccideva dentro. Era colpa sua se Angie si trovava in quell’ospedale. Era colpa di Roberto, e lui non se lo sarebbe mai perdonato se… Angie era parte di quella famiglia, e doveva rimaner tale. Doveva tornare a camminare, a correre, a ballare e cantare con sua nipote. Voleva un gran bene a quella donna, e le sarebbe rimasto accanto. Sarebbe rimasto accanto a tutti loro… I Castillo, per lui, erano come una seconda famiglia. Anzi, come una prima famiglia. Lui non aveva né moglie, né figli, né genitori, né cugini, né nessun altro parente. Era rimasto solo. Loro erano le uniche persone che gli erano rimasti. Anche se con Olga si era creato un legame che neanche lui si aspettava… stava iniziando ad innamorarsi. Il bip della macchietta per le bevande lo risvegliò dai suoi pensieri. Tolse il braccio al quale era poggiato dalla macchinetta, ed estrasse il bicchierino con il caffè fumante. Lo mandò giù in pochi secondi, per poi buttare il contenitore di plastica dentro un secchio. Mise altri quaranta centesimi per prendere uno al suo amico German, ed aspettò che il caffè uscisse. Nel frattempo prese qualche boccetta d’acqua dalla macchinetta per il cibo. Prese tutto, e tornò dal suo amico… sempre nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato. “Ehi, German” disse Roberto porgendogli il caffè, il quale l’uomo afferrò immediatamente. “Grazie”. “Ti ho portato anche dell’acqua. Alla macchinetta c’erano solo patatine e cioccolate… so che non ti piacciono. Se vuoi scendo giù al bar e prendo qualche panino” propose l’uomo. German sorrise, per poi bere un altro sorso del caffè fumante. “No, grazie, Roberto. Se vuoi tu torna a casa… non hai motivo di rimanere qui”. “Oh no, German. Assolutamente no. Resto qui con te, e poi tutto questo è colpa mia”. “Basta prenderti la colpa! Non è colpa di nessuno, sarebbe potuto succedere in qualsiasi momento”. “Grazie per cercare di sollevarmi un po’, ma mi sento responsabile”. German scosse la testa, gettando il bicchierino vuoto in un secchio. “Davvero, vai a riposare”. “No, German”. Castillo sorrise, dando una pacca sulla spalla del suo amico “Sei proprio testardo. Grazie”. “Ti pare, amico”. Si sorriso, per poi strapazzarsi entrambi sulla sedia. Passarono i minuti, le ore, ma i dottori non li avvertivano di niente. German sperava con tutto il suo cuore, che la sorella di sua moglie, si sarebbe ripresa. Conosceva Angie, e sapeva che avrebbe lottato con tutte le sue forze. Avrebbe cercato di tornare a camminare; ma se non ci sarebbe riuscita… sarebbe caduta in depressione. Però German sapeva che Angie sarebbe tornata a camminare, sapeva che quella donna avrebbe lottato con le unghie e con i denti. L’aveva conosciuta quando aveva solo quindici anni, e non l’aveva mai vista rinunciare a qualcosa, non l’aveva mai vista arrendersi per qualcosa. Angie era una donna in gamba, forte e decisa. Non si sarebbe mai arresa. German e Roberto sentirono dei passi veloci, sembravano delle persone che correvano. Si voltarono alla loro destra e videro un uomo ed una donna, appunto correre. “German!” esclamò Alejandro a pochi metri di distanza dal suo migliore amico. “Che fate qui?” domandò l’uomo incuriosito. I due stavano riprendendo fiato, ed a quel punto German si alzò dalla sedia seguito dal suo amico, Roberto. “Volevamo farti compagnia” rispose Alejandro poggiando una mano sulla spalla dell’uomo. German sorrise abbracciando il suo migliore amico. Si strinsero forte l’uno all’altro, ed in quel momento, dopo tanto tempo, dopo tanti anni, sentirono l’amicizia che sempre li aveva uniti. Sentirono l’amicizia di quando erano ragazzi, che dimostravano quando uscivano insieme. Sentirono l’amicizia che davvero avevano avuto per tanto tempo. Gli anni che erano passati, non erano riusciti a dividerli. Erano sempre rimasti quegli adolescenti che facevano cazzate su cazzate, ma per poi riderne insieme. “Grazie” sussurrò German “Non dirlo neanche per scherzo. Lo sai che sei il mio migliore amico”. Sciolsero l’abbraccio sorridendosi “Ho portato qualcosa da mangiare” informò Clara alzando uno zaino verde che conteneva del cibo. “Grazie, ma non ho fame. Mi si è chiuso lo stomaco” rispose gentilmente Castillo, mettendosi seduto dov’era prima. “Roberto?” domandò la donna porgendogli lo zaino “Oh, grazie mille. Ma in questo momento non ho fame”. “D’accordo”. Vargas si sedette accanto al suo amico, e sua moglie accanto a lui. “Come stai, German?” domandò Alejandro poggiando una mano sulla spalla dell’amico. “Distrutto. Completamente distrutto”. In quel momento Roberto si rese conto del perché non fosse lui il migliore amico di German. Lui non si preoccupava di come stava, di come stava Violetta o Maria. Lui non chiedeva come stavano… ma solo perché lo sapeva. Lo vedeva. Vedeva l’espressione di German quando saliva da sua moglie, e quando usciva dalla sua stanza: occhi gonfi e rossi. Chiedergli come stava, era come trafiggerlo nel cuore. Sapeva che German odiava quella domanda, e sapeva che odiava ancora di più rispondere. Ma non si lamentava, perché sapeva che se Alejandro era il migliore amico di German, significava che aveva qualcosa in più di lui… ma non era geloso. “Leon ci ha detto che i dottori hanno dato due possibili opzioni” disse Clara. “Leon vi ha informati?” domandò German “Sì, è venuto a casa a prendere delle cose poi è tornato di corsa da Vilu” spiegò Alejandro. “Ah. Comunque sì, è vero. Potrebbe tornare a camminare, come potrebbe restare… p-p-aral…”. “D’accordo, German. Tranquillo. Vedrai che andrà tutto bene, e tutto si sistemerà prima di quanto pensiamo”. “Già, speriamo”. Tutti si guardarono, si volevano un gran bene. Erano come una grande famiglia. “Leon vi ha detto nulla di Violetta?” chiese German “Sì, ha detto che stava malissimo, e che sarebbe rimasto con lei durante la notte” spiegò Clara. “Non posso vederla così. Mi si spezza il cuore”. “Sì, anche a me, poverina. Non immagino il dolore che starà provando” continuò Alejandro. “Grazie. Ringraziate Leon. Lui può starle accanto, a me non permette di farlo. Insomma, sono suo padre, ma con me non si confida come con lui”. “Certo, è normale”. “Non smetterò mai di ringraziarlo. Fa tutto per Violetta… è davvero un buon amico”. “Io direi, un buon fidanzato” intervenne Roberto facendo voltare i presenti nella sua direzione. “Come scusa?” chiese German accigliandosi. “Dai, German! Non dirmi che non ti sei accorto di niente!” esclamò l’uomo. “Di cosa mi sarei dovuto accorgere?”. “Bhè, di come si comportano. Si vede che non sono più migliori amici… ma che hanno fatto un passo che aspettavamo da anni”. German, Alejandro e Clara si guardarono “In effetti… quando prima stavamo parlando e gli ho chiesto quando si sarebbero decisi a mettersi insieme, non mi ha risposto con le solite battute tipo ‘Mamma! Piantala!’ o cose del genere. E’ scoppiato a ridere ed è salito in camera” spiegò la Signora Vargas. “Tu dici che…”. “Non so… MA SPERO DI SI’!” gridò la donna. Tutti i presenti sorrisero, sperando davvero che il ragionamento di Roberto fosse vero.
 
 
 “Scherzi, vero? Non se ne parla assolutamente!” gridò Violetta ancora una volta. La decisione di Leon le sembrava così fuori senso, che non lo riconosceva più. “Dimmi come ti salta in mente una cosa del genere!”. “Amore, ascolta…”. “No che non ti ascolto! Sei fuori di testa!”. Era diventata tutta rossa in viso, a causa della rabbia. La decisione del ragazzo era così assurda che non aveva ancora la mente lucida. “Non è mica un dramma eh…” ironizzò Leon sorridendole. “Non capisco quale sia il problema, Leon” disse più tranquillamente la ragazza, essendosi calmata… un po’. “Il problema è che c’è Olga… e se tuo padre torna? Che gli raccontiamo?”. “Allora… uno: è da anni che i nostri genitori aspettano che ci mettiamo insieme, non so se te ne sei resto conto. Secondo: se torna papà gli diciamo, che so… LA VERITA’!” gridò per l’ennesima volta allargando le braccia. Leon rise ancora, cercando in tutti i modi di mascherare la sua risata, ma gli fu praticamente impossibile. Era troppo divertente vederla così arrabbiata, ma era stato fin troppo cattivo. Non voleva farla alterare ulteriormente. “Leon… per favore. Non puoi dormire sul divano” puntualizzò la ragazza indicando con un gesto della mano, il divano in pelle di fianco a loro. Il messicano si morse il labbro, per poi avanzare verso la sua ragazza, e prendendola per la vita l’attirò a sé. I loro occhi si incrociarono ancora. Verde e nocciola. Nocciola e verde. “D’accordo. Dormo con te” sussurrò Leon sulle labbra di Violetta, per poi aggredirle con le sue. Si muoveva con passione sulle due perfezioni carnose della ragazza, e ne assaporò ogni angolo. Le lasciò un piccolo ma dolce morso sul labbro inferiore, per poi trovare la forza di separarsi e poggiare la fonte su quella di Violetta. La ragazza sorrise, e circondò il collo di Leon con le sue braccia. “Grazie, mio Principe”. Entrambi risero, prendendosi poi per mano e salendo le scale per raggiungere la camera di Violetta. Aprirono la porta, e la richiusero alle loro spalle. Leon afferrò lo zaino ai piedi del letto e lo aprì afferrando il completo da notte. Violetta fece lo stesso, prendendo il suo pigiama blu da sotto il cuscino, ed iniziando a sfilarsi la maglietta. Non appena alzò lo sguardo, vide Leon con gli occhi spalancati e la bocca aperta. “Che c’è?” chiese la ragazza afferrando la maglia del pigiama ed infilandola. “N-niente” rispose Leon battendo un paio di volte gli occhi e chiudendo la bocca. “Certo, come se non mi avessi mai visto nuda!”. “Ehi, Bimba… ti ricordo che ti vedevo nuda quando avevamo undici anni” puntualizzò Leon alzando l’indice destro e poggiandosi alla scrivania con le braccia incrociate al petto. “Oh… giusto” rispose Violetta arricciando il naso e sorridendogli, per poi togliersi anche i jeans ed infilarsi i pantaloni blu. “Ecco… ora non soffri più” disse poggiando i panni sulla sedia vicino alla finestra e sedendosi sul letto. “E chi ha detto che devo soffrire per forza?” chiese Leon sorridendole maliziosamente ed avvicinandosi lento a lei. Non appena fu in ginocchio sul letto, l’afferrò ancora per i fianchi e la fece stendere sotto di lui. Si avventò sulle labbra di Violetta, dando vita ad un nuovo e passionale bacio, al quale la ragazza rispose dal primo momento. Violetta aveva le mani poggiate sulle spalle di Leon, i loro petti erano a stretto contatto. Il seno di Violetta era schiacciato contro il petto di Leon. Le gambe della ragazza erano leggermente aperte, così permettendo a Leon si starle sopra. Quel bacio passionale che si stavano scambiando, riscaldava l’atmosfera, facendo contemporaneamente salire il loro calore corporeo. Violetta sentì l’erezione di Leon contro la sua intimità, anche pur se il ragazzo indossava ancora i jeans, e non si era disfatto degli indumenti. Mille e più brividi percorsero la schiena di Violetta non appena Leon, lentamente fece scorrere la sua mano destra sotto la maglietta della ragazza. Le accarezzò il ventre, mentre le lasciava dolci ed infuocati baci sul mento, sul collo, fino ad arrivare alla scollatura. Il respiro di Violetta si era fatto più affannoso, meno regolare. La ragazza sorrideva con gli occhi chiusi mentre lui le dedicava quelle dolci attenzioni. Percepiva le sue mani scorrere sul suo corpo, spostarsi sulla schiena per poi tornare ai suoi fianchi, per poi ancora raggiungere il suo viso e stringerlo con dolcezza. Violetta trovò il coraggio di parlare, ma avrebbe tanto voluto evitarlo “L-Leon” balbettò aprendo gli occhi ed incrociando quelli del suo ragazzo. Il messicano le sorrise, per poi baciarla ancora, ancora e ancora. Non ne avrebbe mai avuto abbastanza. Le labbra di Violetta erano qualcosa di inspiegabile, per lui. Lo facevano impazzire, e quel pomeriggio, si promise che non le avrebbe mai più lasciate. Ne aveva un assoluto bisogno. “Tranquilla, Bimba. So che non è il momento” sussurrò Leon sorridendole, ancora gli occhi chiusi e la voglia che cresceva sempre più. Le diede un ultimo bacio a fior di labbra, e le lasciò ancora un piccolo morsetto sul labbro inferiore per poi ritrarre la sua mano, e stendersi al suo fianco. Violetta si voltò nella sua direzione, e gli sorrise. Gli prese il viso tra le mani, e poggiò la sua fronte a quella del ragazzo. “Grazie” sussurrò. “Grazie per riuscire a capirmi, sempre. Grazie per restarmi accanto. Grazie per sopportare una come me”. “Bimba, io non ti sopporto. Sopportare qualcuno significa restare in silenzio subendo le sue lamentele. Io non ti sopporto… io ti amo”. Le guance della ragazza si tinsero di un leggero rossore, che Leon trovava adorabile ma irresistibile allo stesso tempo. La sua ragazza era così bella. “Ti amo anch’io”. Leon le sorrise, lasciandole poi un bacio sulla fronte ed alzarsi prendendo il suo ‘pigiama’. Si diresse in bagno “Cosa fai?” domandò la ragazza accigliandosi “Io non ti faccio soffrire. Non sono cattivo come te” ribatté il messicano sorridendole in modo provocante ed ammiccandole, per poi chiudere la porta e cambiarsi. Violetta si morse il labbro inferiore sorridendo e scuotendo la testa. Si mise seduta a gambe incrociate prendendo il suo diario da dentro il cassetto del comodino, ed iniziando a scrivere.
Leon è così dolce. Oggi all’uscita da scuola ci siamo baciati. E’ stato così romantico… ci siamo messi insieme. Lo amo così tanto! Però, è successa anche una cosa brutta. Questa mattina Angie ha avuto un incidente. Appena l’ho saputo sono rimasta paralizzata. Per fortuna Leon se ne è accorto ed è corso da me, ha parlato lui con papà al telefono. Dopo siamo andati di corsa in ospedale, e siamo rimasti lì fino alle sette passate, mi sembra. Ero ancora mezza addormentata. Sono venuti tutti i miei amici… che dolci che sono! Comunque… ci hanno detto che ci sono due possibilità: Angie può tornare a camminare (E’ QUELLA CHE SPERO CON TUTTA ME STESSA!). Oppure potrebbe restare… paralizzata, per sempre. Non voglio credere che potrebbe passare il resto della sua vita su una sedia a rotelle… non lo voglio credere. Comunque Leon stasera rimane a dormire da me… lo amo troppo.
Chiuse il diario e sorrise, riponendolo nel cassetto insieme alla penna. Quando alzò lo sguardo, vide il ragazzo dagli occhi verdi poggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate al petto, ed un sorriso dolce. “Questo vizio di scrivere tutto non è andato via, eh” ironizzò avanzando verso il letto, e stendersi sotto le coperte insieme a lei. La strinse a sé, facendole posare il viso sul suo petto. Le circondò la vita con le possenti braccia, ed anche Violetta fece lo stesso. “La gente cambia… io no”. Dalla bocca del ragazzo uscì un leggero risolino “Già, sei e sarai sempre la dolce Bimba di cui mi sono innamorato”. Violetta alzò la testa, perdendosi nuovamente in quegli smeraldi verdi “Hai detto la cosa più dolce che esista”. “L’ho detto perché è quello che penso. Sono sempre stato innamorato di te”. “Sì, anch’io”. “E perché non me lo hai mai detto?” domandò Leon guardandola “Pensavo che tu non provassi lo stesso per me”. “Lo stesso valeva per me”. Si sorrisero, baciandosi ancora una volta. “A proposito… ho ancora il tuo cellulare” ricordò Leon prendendo il telefono di Violetta dalla tasca dei jeans sulla sedia “Ah, già. Me ne ero completamente dimenticata” rispose prendendolo. Aprì la schermata di WhatsApp, ma non fece in tempo a vedere i messaggi che già Leon gliel’aveva tolto dalle mani. “Questo pomeriggio ti è arrivato un messaggio da un certo ‘Amore’…” disse facendo il geloso “…chi è?” chiese cercando di non sorridere e riducendo gli occhi a due fessure. Violetta scoppiò a ridere, sedendosi a gambe incrociate e portandosi la mano alla bocca. “Cosa c’è da ridere!” esclamò infuriato Leon “Sei geloso” disse la ragazza puntandogli il dito contro. “No, no. Che dici… è che voglio solo sapere chi è questo” sdrammatizzò. “Certo, certo”. “Ehi! Non sono geloso!”. “Ah, quindi non ti da’ fastidio se lo chiamo?” domandò Violetta afferrando il cellulare e leggendo il messaggio. Leon la incenerì con lo sguardo, buttandosi su di lei e bloccandole le braccia sopra la testa. “Tu non chiami nessuno” la minacciò sorridendole “Hai detto di non essere geloso”. “Che c’entra. Ora sei con me, ti devi mettere a chiamare gente?”. “Perché non ammetti semplicemente di essere geloso?” domandò Violetta sorridendo furbamente. Leon sorrise distogliendo lo sguardo, ed incrociando le braccia al petto “Non lo sono”. “D’accordo. Allora lo chiamo”. Il messicano alzò le mani in segno di ‘no problem’, ma dentro di lui stava morendo dalla gelosia. “Perfetto!” esclamò cliccando sull’icona con so scritto ‘Chiama’. Uno. Due. Tre. Quattro squilli… “Alex!” esclamò Violetta entusiasta “Vilu! Da quanto tempo! Come stai?”. “Diciamo che ci sono stati momenti migliori”. “Oggi pomeriggio ti ho inviato un messaggio, ma non mi hai risposto…”. “Sì, è che ero in ospedale, e non l’ho visto” mentì la ragazza fulminando Leon con lo sguardo, il quale sorrise vittoriosamente “Ah, come mai sei andata in ospedale? E’ successo qualcosa?”. “No, niente di grave, poi ti racconto. Comunque anche tu mi manchi molto… sai” sputò fuori Violetta facendo scoppiare Leon di gelosia “Oh che…” Alex fu bloccato “Ciao, scusa ora deve attaccare. Poi vi risentite, eh!” esclamò Leon avendo preso il cellulare di Violetta ed aver chiuso la chiamata. “Ehi! E’ un mio amico di Madrid!”. “Ah sì? E come mai lo hai salvato come ‘Amore’!” esclamò Leon spruzzando gelosia da tutti i pori. “E’ stato lui a salvarsi sul telefono così”. “Certo, e tu non gli hai detto niente, vero!”. La ragazza cercò di non ridere davanti alla scena del suo fidanzato completamente geloso, così sorrise e si rilassò, mettendosi a cavalcioni su di lui. Gli prese il viso tra le mani e sorrise ancora “Ascoltami, io amo te. Ho sempre amato te, e questo non cambierà. Ti è chiaro?”. Leon sbuffò guardandola di sottecchi e infine cedendo con un sorriso. “D’accordo. Ma cambia subito quel nome”. Lei scoppiò a ridere, avventandosi nuovamente sulle sue labbra e dando vita ancora ad un bacio passionale. Leon le prese i fianchi, e la strinse forte. Violetta sentì qualcosa di caldo, ma piacevole, proprio in mezzo alle gambe e sorrise sulle labbra del ragazzo. “Certo che mi vuoi far proprio soffrire, eh” soffiò Leon incrociando poi lo sguardo della sua ragazza, la quale annuì e stendendosi al suo fianco spense la luce della lampada. “E menomale che non eri geloso”. Leon rise, pizzicandole leggermente un fianco e facendola sussultare “Ahi!”. Scoppiarono a ridere, per poi addormentarsi l’uno tra le braccia dell’altra.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Buon pomeriggio/sera a tuttiiii! Mi scuso per questo pessimo angolo autrice, ma devo correre, sono di fretta. Allora, vi è piaciuto? Cos’è che non vi è piaciuto? Cosa pensate dei Leonetta? Per me sono fantastici, dolcissimi e pucciosi (?) LI AMO. In questo capitolo ho voluto aggiungere 4 blocchi perché nel precedente ce ne erano solo 2. Dedico questo capitolo al gruppo di WhatsApp, specialmente ad una ragazza PAZZA (e non scherzo) che ama questa storia… ti voglio bene Lola! (PopRock24) Comunque… io devo davvero scappare, lasciatemi una recensione se vi è piaciuto. Bacioni e alla prossima!
#Alice_Leonetta

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Undicesimo capitolo. ***


Violetta si svegliò di soprassalto, la fronte grondante di sudore e la tremarella in tutto il corpo, mentre il cuore correva ad un ritmo senza freni. Ma non appena avvertì le possenti braccia del suo ragazzo che la circondavano, e la tenevano stretta a sé, si tranquillizzò e si stese di nuovo accanto a lui. Il respiro si regolarizzò, ed anche il battito del cuore diventò di nuovo regolare. Quell’incubo l’aveva perseguitata anche quella notte… Da ormai più di due settimane, l’incubo di sua madre che se ne andava continuava a torturarla tutte le notti. C’erano sere che lo sognava anche più volte. Neanche tra le braccia di Leon, ormai sicura che fosse il posto più sicuro del mondo, era riuscita a dormire tranquilla. Sapeva che presto l’avrebbero persa, ma in ogni caso non voleva vederla, non riusciva a vederla in quello stato, là bloccata nel letto come una bambola di porcellana. A contribuire, c’erano anche tutti quei tubi che le uscivano dal braccio, e le macchine a cui era attaccata. Non riusciva più a sopportare quel periodo, stava diventando pazza ed isterica. Sospiro leggermente, accoccolandosi nuovamente –il più piano possibile- sul petto di Leon. Chiuse gli occhi, sentendosi protetta ed amata, un lieve sorriso stampato sulle sue labbra. Era così felice tra le braccia del suo migliore amico, del suo ragazzo. Che bello poterlo dire… ‘il suo ragazzo’. Quand’era piccola aveva sognato molte volte di poter dire: “Leon, il mio ragazzo”. Finalmente quel sogno era diventato realtà. Ecco… ci sono persone che sognano di diventare cantanti, attori, ballerini, registi, scrittori e chi più ne ha più ne metta. Ma lei sognava semplicemente di poter essere la fidanzata di Leon Vargas, per anni lo aveva sognato, ed era finalmente diventato reale. Leon per lei era tutto, era ossigeno, acqua… era il suo essenziale per vivere. Non poteva vivere senza di lui. Ancora s’interrogava sul come era riuscita –cinque anni- a restare separata da lui, a stargli lontana senza mai sentirlo, senza quel sorriso, quegli occhi, quelle labbra. Com’era riuscita a vivere senza le carezze di Leon, gli abbracci, i baci, quel suo modo così dolce di dirle “Ti amo”? Aveva sempre saputo di essere innamorata di lui, solo che non l’aveva mai ammesso a se stessa. Sin da piccola l’aveva stregata, già da piccolo Leon era un cavaliere, un Principe Azzurro. Ben educato e gentilissimo con chiunque. Come Violetta, anche lui ne era sempre stato innamorato, ma non l’aveva mai ammesso finché Diego non gli sbatté in faccia la realtà. Finché il pomeriggio precedente Gery non lo baciò, e lui riuscì finalmente a confessare a Violetta di amarla. Non appena lo aveva detto, si sentì più leggero, libero da un peso che voleva togliersi da anni… ma che fino a quel momento si era portato dietro. Improvvisamente Violetta sentì le braccia di Leon che la stringevano più forte, e automaticamente alzò la testa per vedere se si fosse svegliato. Invece incrociò il bellissimo sorriso del ragazzo, ancora con gli occhi chiusi ma che qualche secondo dopo si aprirono e rivelarono quei due smeraldi che aveva a posto degli occhi. Sulle labbra di Violetta un leggero sorriso si fece largo, poggiò la testa sull’incavo del collo del ragazzo. Respirò a fondo il suo buonissimo profumo: Vaniglia. Poteva esistere profumo più buono? Leon si voltò per guardare la sua ragazza, e non appena la vide sorridente e con gli occhi chiusi, le si mise sopra a cavalcioni. “Ehi!” esclamò la ragazza aprendo gli occhi di scatto. “Ma buongiorno anche a te!”. Violetta si mise seduta, ma Leon non si mosse, per di più si avvicinò a lei e cominciò a muovere le sue labbra su quelle della ragazza. Violetta rispose subito al bacio, sorridendo e circondando il collo di Leon con le braccia. Lo attirò di più a sé, facendolo stendere su se stessa e poi sul letto. Questa volta era lei a cavalcioni su di lui, i lunghi capelli mori-biondi che scendevano da un lato. Violetta prese il viso del ragazzo fra le sue mani, e iniziò a baciarlo con più passione. Era davvero cattiva. “Bimba…” la rimproverò Leon, sentendo il suo ‘soldato’ che iniziava ad agitarsi. Violetta sorrise, e gli lanciò uno sguardo seducente e pieno di passione “Buongiorno” sussurrò Violetta. “Buongiorno, Bimba”. Violetta tornò seduta a gambe incrociate e solo in quel momento la sveglia suonò. Erano le sette in punto, e dovevano andare a scuola. “Non voglio andare a scuola” piagnucolò la ragazza “Non possiamo andare in ospedale”. “Invece sì. Non ce la faccio più, dev…”. “Vilu, calmati. Tuo padre non ha chiamato, significa che non si sono novità”. Violetta sbuffò “Dai… vado a farmi una doccia, intanto vestiti e scendi a fare colazione”. Leon si alzò dal letto e si diresse in bagno, quando improvvisamente sentì parlare la sua ragazza “Anch’io voglio farmi una doccia… con te”. Il ragazzo alzò un angolo della bocca, e la guardò con gli occhi ridotti a due fessure. “Io penso che non sia il caso…”. “Io invece credo di sì” ribatté la ragazza scendendo dal letto ed avanzando verso Leon. Gli prese nuovamente il viso tra le mani, e lo condusse al suo con tanta grazia, facendo combaciare le loro labbra. Leon non si lasciò incantare ancora, così si allontanò, ma non prima di averle lasciato un ultimo bacio a fior di labbra. “Non eri tu quella che ieri sera mi ha fermato?”. Violetta si morse il labbro inferiore, arrossendo leggermente “Ho cambiato idea”. “Io no… e credo davvero che sarebbe meglio aspettare. Non è il momento, adesso”. La ragazza annuì leggermente, ed in cuor suo doveva ammettere che non aveva tutti i torti. Stavano insieme solo da un giorno, anche se si amavano da sempre. “Sì, forse hai ragione” ammise con fare triste, che Leon catturò con mezza occhiata. “Ehi…” sussurrò lasciando la maniglia della porta, prendendola per i fianchi e attirandola a sé. “Non fraintendere, questo non significa che non voglio. Tu sei tutto quello di cui ho bisogno, ti voglio con tutto me stesso, Bimba”. Violetta non aveva alcun dubbio su quello, era solo che non resisteva più. “Ti giuro che mi sto trattenendo il più possibile nel non saltarti letteralmente addosso… ti è chiaro? Questa cosa non deve passarti neanche per l’anticamera del cervello. Tu sei tutto per me, e ti voglio in una maniera indescrivibile”. Violetta alzò la testa, e incrociò gli occhi di Leon, che la convinsero ancora di più di tutto quello. “Mh?”. “Sì. Chiaro” sussurrò sorridendo, ed il ragazzo ricambiò baciandola un’ultima volta prima di entrare in bagno e farsi una doccia. Violetta si vestì il più in fretta possibile, e scese in cucina per mangiare qualcosa prima di andare a scuola. Leon era stato molto chiaro, lo voleva quanto lei solo che aveva ragione… quel momento non era opportuno, dovevano aspettare. “Buongiorno, piccolina” salutò Olga cercando di sorridere il più possibile. Anche lei, come il resto della famiglia, stava soffrendo per tutta quella situazione: Maria era in coma, Angie aveva avuto un incidente. Doveva succedere qualcos’altro di brutto? “Ciao, Olga” rispose Violetta sedendosi su uno sgabello e versandosi un po’ del succo di pesca dentro un bicchiere. “Qualche novità? Papà ha chiamato?” domandò la ragazza mordendo una fetta di ciambellone nel piatto di fronte a lei. La domestica scosse la testa, mentre continuava a preparare qualcosa da mangiare da portare al signor German. “No. L’ultima volta che l’ho sentito, è stata ieri sera quando mi ha avvisato di quello che anche voi sapete. A proposito… Leon?” chiese Olga voltandosi accigliata verso Violetta. “Si sta facendo una doccia”. “Ah” rispose facendo una pausa, per poi continuare “Siete molto innamorati, si vede… quando vi deciderete a mettervi insieme?”. Violetta sorrise leggermente sorseggiando un altro po’ di succo nel suo bicchiere. “Insomma… vi conoscete praticamente da quando siete nati, vi fidate l’uno dell’altra e siete innamorati cotti… Quale altra ragione vuoi per convincerti?”. “Amore, io sono pronto e t… Oh, buongiorno, Olga” disse Leon portandosi una mano dietro la nuca e facendo comparire un’espressione sul viso, che diceva ‘Ops’. Violetta si morse il labbro inferiore, cercando di non ridere davanti alla faccia di Olga. La sua espressione era tipo ‘Ho sentito bene?’. Sembrava che stesse quasi per svenire, o peggio… collassare! “Olga… calma” intervenne la ragazza alzandosi e prendendola per le braccia, facendola sedere su uno degli sgabelli. “Ora tranquillizzati, poi parliamo” continuò facendole vento con uno strofinaccio. “N-n-n-n-o. C-c-c-osa-a-a si-i-i-gni-i-i-f-f-f-f-i-i-c-ca?” balbettò la domestica battendo più volte le palpebre per essere sicura di non sognare. Leon cercò di nascondere una risata unendo le labbra e portandosi una mano davanti alla bocca. “Calma, respira, respira”. “NO! Co-o-sa! Voi state insieme!” gridò alzandosi di scatto e puntando un dito contro i due ragazzi. Violetta si spaventò, portando le mani indietro e guardando la domestica con gli occhi sgranati “COME! DA QUANDO? PERCHE’ NON AVETE DETTO NIENTE A NESSUNO? PERCHE’ LO AVETE TENUTO NASCOSTO?” gridò furiosa, ma anche tanto, tanto felice della bellissima notizia. Tutti aspettavano da anni che quel momento arrivasse, che Leon e Violetta si mettessero insieme… e finalmente era accaduto! Tremava tutta, e il sangue le era arrivato al cervello “Olga, noi…”. “OLGA NIENTE!”. “Ascoltami… è successo da poco” spiegò Violetta tranquillamente “Quando?”. “Ieri pomeriggio”. “Ah bene! E non potevate dirmelo ieri sera?” esclamò ancora. “Volevamo dirlo a tutti quando le acque si sarebbero calmate. Ora non è davvero il momento” rispose la ragazza guardando Leon, facendosi capire. Non intendeva solo di dir a tutti che –finalmente- stavano insieme, intendeva anche quello per cui prima era diventata triste. Il ragazzo le circondò la vita con un braccio, e la attirò a sé annuendo serio “Già, ora non è il momento” ripeté più alla sua ragazza che ad Olga. La domestica fece tre lunghi respiri profondi per calmarsi, per poi aprire gli occhi di scatto e far comparire sulle labbra un sorriso che andava da orecchio ad orecchio. “E’ MERAVIGLIOSO, RAGAZZI!”. Li abbracciò tutti e due, lasciando dei baci sulle guance di entrambi “Sono felicissima!” esclamò congiungendo le mani e guardandoli con occhi da sogno “Grazie, Olga” rispose Violetta sorridendo alla donna, e poi al suo ragazzo il quale ricambiò il sorriso. Quel momento sarebbe stato da immortalare, ma non a casa ci pensò Olga. In un secondo si senti il ‘Clic’ della macchina fotografica che teneva sempre sotto al bancone per immortalare tutti suoi capolavori (torte soprattutto!), ed i ragazzi si voltarono verso di lei con facce confuse. “Scusate, ma siete così belli che è impossibile non farvi una foto”. Violetta e Leon risero “Oh, è tardissimo! Vado a prendere le cose e andiamo” annunciò la ragazza correndo di sopra e prendendo lo zaino per la scuola, ed il suo cellulare. Si era dimenticata di chiamare Alex. Durante la ricreazione lo avrebbe fatto tanto Leon non era geloso, giusto? Lo aveva detto lui stesso la sera precedente. “…ma tranquillo, ti puoi fidare”. “D’accordo grazie, Olga” disse Leon sorridendo e scolando il bicchiere di succo. “Di cosa stavate parlando?” domandò Violetta entrando in cucina con un’espressione curiosa e le sopracciglia basse “Gli stavo raccontando di quando tu e…”. “Niente… di quando tu e tuo padre a Madrid uscivate a passeggio” intervenne Leon alzandosi di scatto ed indossando il giubbotto. “Ma io e papà non uscivamo quasi mai” disse lentamente la ragazza accigliata, guardando prima il suo fidanzato poi la domestica che si mordeva il labbro inferiore e continuava a cucinare. “Eh, appunto! Mi stava raccontando di quelle poche volte che uscivate… Andiamo?”. Violetta annuì ancora incerta sul discorso, ma lasciò comunque un dolce bacio sulla guancia di Olga, per poi uscire di casa insieme a Leon e avviarsi verso la scuola.
 
 
 A sostituire Angie, durante la prima e la seconda ora, c’era stata la Professoressa Jackie, che con le sue due ore di educazione fisica, aveva messo al tappeto tutti i ragazzi. La terza ora era occupata da Gregorio, che con le sue espressione con le doppie potenze li aveva letteralmente fatti addormentare. C’era Andres che stava anche russando, tanto che il Professore lo chiamò più volte ma lui non si svegliò neanche per sbaglio. “Mi dici di cosa stavate parlando con Olga?” sussurrò Violetta al suo ragazzo, cercando di non attirare l’attenzione di Gregorio. “Te l’ho già detto”. “Ma non è la verità”. “Invece sì, fidati” concluse Vargas incrociando le braccia al petto e continuando a seguire il Professore che scriveva alla lavagna un’espressione. Verso la fine dell’ora Violetta ci riprovò “Sei sicuro di non volermelo dire?”. “Vilu, te l’ho già detto… non mi credi?” chiese Leon alzando un sopracciglio. “Non lo so. Sei strano da quando hai parlato con lei…”. In effetti Leon era un po’… irritato. Quello che gli aveva detto Olga non gli era piaciuto affatto, e pensare che quell’Alex –o come si chiamava- girava intorno alla sua bambina, proprio non lo sopportava. Olga gli aveva detto che, quando erano a Madrid, molte volte Violetta e Alex uscivano insieme, cenavano a casa di Violetta, andavano al cinema, studiavano insieme… insomma, facevano tutto insieme. E quello a Leon non stava affatto bene, Violetta era sua e di nessun altro. E anche se ormai erano a milioni di chilometri di distanza, non riusciva a sopportare che la sera precedente l’avesse chiamato. “Non è vero, sono lo stesso di sempre” rispose il ragazzo, cercando di sembrare il più naturale possibile. “Sarà… a me sembri diverso, comunque”. “…e pagina 278 numeri 3-4-5-6-7-8-9-10-11…” da parte di tutta la classe arrivò un verso di disapprovazione. Erano troppi esercizi! “Gregorio, per favore… già abbiamo molti compiti” disse Ludmilla congiungendo le mani. “Vi dovete esercitare per il compito di giovedì”. “Ma papà… dacci tregua! Siamo la classe migliore della scuola!” esclamò Diego aprendo le braccia davanti a sé “Zitto, figlio. Continua a scrivere, dov’ero rimasto? Ah, si! 12-13-14-15-16… e 17”. “Perché non anche 18 e 19? Sembrano facili!” scherzò Maxi facendo spallucce “Giusto, anche 18 e 19!” aggiunse Gregorio. “MAXI!” gridò tutta la classe contro il riccioluto. “A questo punto anche 20-21-22 no?” disse Federico. “Perché no!”. “Non uccidetemi” pregò l’italiano coprendosi con le braccia da tutti gli oggetti che gli lanciavano contro, i suoi compagni. “Così impari!” esclamò Nata facendogli una linguaccia. “Potevi stare zitto!” intervenne Francesca lanciandogli un foglio appallottolato. “Ehi! Perché non ve la prendete anche con Maxi!”. “Io ne ho detti solo due” si difese Ponte alzando le mani “E’ uguale!”. La campanella della ricreazione suonò, portando più caos di quando non se ne fosse già creato. “RIPASSATE!” gridò Gregorio prendendo le sue cose ed uscendo dall’aula, convinto che tutti gli studenti lo avessero ascoltato. Tutti si raggrupparono attorno al banco di Francesca e Camilla. “Non provate mai più a fare una cosa del genere, eh” li minacciò la rossa puntandogli un dito contro. Federico e Maxi alzarono le mani per difendersi “Per colpa vostra abbiamo cinque esercizi in più” li accusò Francesca. “E neanche a dire che siano esercizi facili! Ora ce li fate voi” intervenne Bel gettando il suo quaderno verde sul banco delle ragazze. “Certo… sogna, sogna” le rispose Federico agitando una mano. Isabel lo guardò con gli occhi ridotti a due fessure, cercando di trattenere un sorriso. “D’accordo, scusate abbiamo sbagliato…” disse Maxi. Violetta si allontanò dal gruppo, ma nessuno se ne accorse, neanche Leon. Uscì dall’aula con le braccia incrociate al petto e la testa bassa. Era triste, delusa. Perché Leon le aveva mentito? Perché non le aveva detto di cosa stava parlando con Olga? Era qualcosa di brutto? Qualcosa a cui non avrebbe mai potuto rimediare? Non ne capiva il motivo. Arrivò alla macchinetta ed inserì quaranta centesimi e selezionò ‘Cioccolato caldo’. Si appoggiò con la spalla al muro, ed aspettò che la bevanda fosse pronta. Si ricordò improvvisamente di dover chiamare il suo amico Alex. Non ne aveva molta voglia, ma doveva farlo. La sera precedente, quando sentì la sua voce attraverso il telefono, un sorriso le si stampò sulla faccia. Le mancava moltissimo. Lui era un amico davvero molto importante per lei, forse il suo unico vero amico… a Madrid, intendiamoci. A Buenos Aires era piena di veri amici che le volevano un sacco di bene, che l’amavano. Ma a Madrid la cosa era diversa. Sì, aveva molti amici con cui passava il tempo, rideva, scherzava, con cui usciva e faceva i compiti. Aveva molte amiche che le volevano bene, e a cui voleva bene. Molte volte si erano ritrovate a casa di una di loro a dormire, e molte di quelle volte avevano passato notti in bianco a parlare di ragazzi, trucchi, vestiti, scarpe e quanto più. Non appena toccavano l’argomento dei ragazzi, Violetta cercava in tutti i modi di cambiar discorso. A lei l’unico ragazzo che era sempre interessato, era –ovviamente- il suo migliore amico, Leon. Ma con le sue amiche di Madrid non ne aveva mai parlato. Loro non sapevano nulla del ragazzo dagli occhi verdi che aveva fatto innamorare Violetta Castillo. Loro non sapevano che lei ne era sempre stata innamorata, anzi… che tutti e due erano sempre stati innamorati l’uno dell’altro. Violetta non aveva mai voluto parlare di Leon, forse perché non l’avrebbero capita, forse perché non lo conoscevano, forse perché non voleva parlare di lui con le sue amiche. Non voleva parlare di Leon, che sarebbe stato sulla bocca di tutte in un batter d’occhio. O forse non voleva parlare di lui, per il semplice fatto che non sapeva se l’avrebbe mai rivisto. Violetta non sapeva se sarebbe tornata a Buenos Aires, non lo sapeva finché quel lunedì mattina, di una settimana prima, suo padre non glielo aveva comunicato. Il giorno dopo erano già su un aereo che li avrebbe riportati a Buenos Aires, la città che lei tanto amava. La città dov’era cresciuta, e dove si trovavano tutti i suoi veri amici. Alex era un amico molto speciale, per Violetta. Non appena arrivò a Madrid, ed iniziò il suo secondo anno di scuola media, Alex le fu subito accanto. La depressione, la tristezza di Violetta, lui la notò subito. Fu il primo con cui fece amicizia, fu il suo primo amico a Madrid. Passavano molto tempo insieme, e Violetta iniziò a migliorare. Con il passare degli anni diventarono inseparabili, quasi migliori amici… quasi. Per Alex, Violetta era la sua migliore amica, la persona con cui potersi confidare, con cui poter ridere, scherzare, piangere e fare qualsiasi altra cosa. Ma per Violetta non era lo stesso. Sì, Alex era un buon amico, un amico molto importante che la faceva sorridere e divertire, un amico che l’aveva salvata dalla tristezza. Ma nessuno poteva prendere il posto di Leon. Nessuno avrebbe potuto rimpiazzare Leon, nel cuore di Violetta. Anche se non si fossero mai più rivisti, anche se ognuno sarebbe andato per la propria strada, Leon sarebbe stato il suo migliore amico per il resto della sua vita. Alex era un po’ come Gery per Leon. Lei l’aveva salvato dalla droga, e l’aveva fatto riavvicinare ai suoi amici. Alex aveva salvato Violetta dalla tristezza. Nessuno dei due considerava l’altro un ‘migliore amico’, perché sia Leon che Violetta ne avevano uno… erano loro stessi. Si erano mancati in una maniera indescrivibile, e per due migliori amici, rivedersi dopo tanto tempo, è la cosa più bella del mondo. Il bip della macchietta la risvegliò dai suoi pensieri. Prese il bicchierino con dentro il cioccolato, e cominciò a camminare per i corridoi. Prese il suo cellulare dalla tasca e cercò il numero di Alex. Non appena lo trovò, per prima cosa cambiò il nome con cui era salvato. Era decisamente opportuno che Leon non lo vedesse più quell’ ‘Amore’ sul numero di Alex. Lo salvò con il suo nome, e cliccò sull’icona con il telefono verde. Uno. Due. Tre. Quattro squilli. “Pronto?”. “Ciao, Alex” disse Violetta sorseggiando un po’ del cioccolato. “Vilu! Come mai mi hai richiamato?”. “Mi volevo scusare per ieri sera, sai Leon era un po’…”. “Geloso?”. “Già” rispose la ragazza ridendo. Alex era l’unica persona che sapeva di Leon. L’unica persona con cui Violetta aveva avuto il coraggio di parlare di lui, di tutte le loro avventure, di tutti gli scherzi che si facevano. Gli aveva raccontato del suo modo dolce di chiamarla ‘Bimba’, dei baci a stampo che le lasciava sulle labbra, del solletico del quale era vittima… tutti i loro momenti più belli. “Tranquilla. Piuttosto, come va? E’ da molto che non ci sentiamo”. “Oh, bhè… la situazione non è cambiata più di tanto. Solo che mia zia… ecco… tu non la conosci, ti avevo parlato di lei, ricordi?”. “Di Angie, intendi?”. “Sì, esatto”. “Cos’è successo?” chiese Alex curioso ma anche con un filo di preoccupazione “Ecco… ha avuto un incidente. I dottori dicono che ha entrambe le gambe rotte, qualche costola e riporta anche qualche frattura sulla colonna vertebrale…”. “Oddio… non sai quanto mi dispiace, Vilu. Vorrei essere lì con te”. “Grazie, Alex. Mi fa davvero bisogno il tuo appoggio. Mi manchi così tanto”. “Anche tu mi manchi molto” ammise il ragazzo sorridendo. “Ma raccontami di Leon… cos’è successo quando vi siete rivisti?”. Violetta sorrise bevendo l’ultimo sorso del cioccolato e gettandolo in un secchio. Il pensiero del giovedì scorso le fece contorcere lo stomaco. Fu uno dei migliori momenti della sua vita “Oh, è stato fantastico. Avrei tanto voluto che ci fossi anche tu ad assistere. Leon è magnifico, e… lo amo tanto”. “Vi siete messi insieme?” esclamò il ragazzo con gioia ma anche un po’ triste. Anche lui amava Violetta, era la sua migliore amica, e ne era innamorato ormai da anni. “Sì” sussurrò con un filo di voce la ragazza, sedendosi su una panchina all’ingresso della scuola. C’era un gran via vai di studenti… “Che bello! Sono felicissimo per voi! Era davvero ora!”. “Grazie” rispose Violetta arrossendo leggermente. “E Maria? Ci sono novità?” domandò Alex tristemente. Anche lui voleva molto bene a quella donna, anche se per solo pochi anni era stato con lei. Maria gli aveva davvero dato una ragione per sorridere, non che prima fosse triste, ma con le sue risate e le sue battute era davvero felice. Violetta abbassò la testa accavallando le gambe. Cercò di trattenere le lacrime, ma era davvero difficile. Il naso gli pizzicava e respirava con fatica “No. Niente novità”. “D’accordo”. “Ma adesso parlami di te… come va?”. “Io tutto bene. Oggi ho preso un cinque in storia, nove in francese e…”. “Aspetta, cosa! Nove!”. Dall’altro capo del telefono, si avvertì una fragorosa risata. “Vilu, ti sei dimenticata che io sono francese?”. “Giusto. Ma lo sai come sono…”. “Sì. La mia Fata Smemorina” rispose il ragazzo dolcemente, facendola arrossire ancora. “Scusa, ma lì che ore sono?” chiese Violetta guardando l’orologio appeso in segreteria “Le quindici e tre minuti, perché?”. “Allora stai mangiando! Scusami!”. “Tranquilla, ho finito giusto qualche minuto prima che tu mi chiamassi”. “Ah, per fortuna!”. Da parte di entrambi partì una risata, mentre alla destra di Violetta un ragazzo dagli occhi verdi si fermò poco distante da lei. Leon si poggiò con la spalla al muro, a qualche metro lontano dalla sua ragazza, e con le braccia incrociate al petto restò a fissarla. “Senti… scusa se torno su questo argomento ma… come l’ha presa Leon la notizia di tua madre?” chiese Alex, facendo diventare seria Violetta. “Oh, lui lo ha sempre saputo. Suo padre e mio padre sono migliori amici, non ricordi?”. “Veramente non me ne avevi mai parlato”. “Ma sì! Io ricordo di sì”. “Bho. Comunque, spero che ti stia accanto, altrimenti…”. Violetta rise debolmente abbassando la testa “Sì, non ti preoccupare. Lui è fantastico, mi ama in una maniera indescrivibile, ed anche io. Ma questo da sempre…”. “Sì, questo me lo ricordo!” esclamò il ragazzo ridendo nuovamente. “Già… Non so come ho fatto a rimanergli lontana tutto questo tempo. Non appena l’ho rivisto mi sono subito resa conto che mi era mancato più di quanto immaginassi”. “Ci credo. Dovete essere molto innamorati”. “Sì, moltissimo. E’ davvero meraviglioso, è gentile, premuroso, dolce, romantico, protettivo, simpatico…”. “Geloso!” la interruppe il ragazzo, ed insieme scoppiarono ancora a ridere. “Quello ovvio!”. Leon, a pochi passi dalla sua ragazza, si morse il labbro inferiore e scosse la testa sorridendo. Era proprio unica, la sua bambina! Si avvicinò lentamente, per poi sedersi accanto a lei. Violetta si voltò nella sua direzione, e non appena vide il dolce sorriso sulle labbra del ragazzo, capì al volo che Leon aveva ascoltato la conversazione. “Vilu… Vilu ci sei?”. “Sì, sì. Ora devo andare, scusa. Sta per suonare la campanella e non ho ancora mangiato nulla”. “Tu che non mangi niente! Com’è possibile?”. “Non lo so… ma c’è chi mi batte” rispose la ragazza guardando Leon e sorridendo. “Mmm, non mi è difficile immaginare chi. D’accordo… ci sentiamo, Vilu. Devo raccontarti di una sorpresa che non tarderà ad arrivare!”. “Ora sono curiosa!”. “Dovrai aspettare. Ci sentiamo”. “D’accordo. Ti chiamo al più presto. Ciao”. Violetta chiuse la chiamata ed inserì il cellulare nella tasca dei jeans. “Alex?” domandò Leon, stranamente sorridente. “Già… dovevo chiarire delle cose. Piuttosto, ti sei messo ad origliare!” esclamò la ragazza alzando un sopracciglio. “Sì. Ci sono problemi?”. “Sì!”. Il ragazzo annuì, avanzando sulla panchina ed attirando Violetta a sé “Allora devo farmi perdonare”. Violetta annuì a sua volta, un sorriso stampato sulle labbra di entrambi per poi scomparire al tocco delle labbra dell’altro. Entrambi si mossero sicuri durante il bacio, e quando si allontanarono sempre quel sorriso. “Di cosa stavate parlando?” chiese il ragazzo circondandole le spalle con un braccio “Nulla di speciale. Mi stava raccontando quello che mi sono persa in questi giorni, mi ha chiesto di mamma, di te”. “E cosa ne sa lui di me?”. “Ovvio… gli ho raccontato tutto io!” rispose Violetta facendo scoppiare a ridere Leon. “Sei unica, Bimba!”. “Mi dici di cosa parlavi con Olga, questa mattina?” domandò lei esausta poggiando la testa sul collo del ragazzo. “Di Alex” ammise finalmente. “Perché mi hai mentito?” chiese tranquilla. “Perché pensavo che ti saresti arrabbiata. Ma ascoltando la conversazione con lui, mi sono reso conto che mi ami davvero”. “Perché avevi dubbi?” domandò scattando seduta per bene. “No, certo che no. Però ora ne ho la assoluta certezza” rispose annuendo e lasciandole un bacio a stampo prima di alzarsi schietto. “Andiamo? Stiamo organizzando una sorpresa per Diego e Francesca, oggi è il loro primo anniversario” informò Leon. Violetta aprì la bocca sorpresa e si alzò prendendo la mano del suo ragazzo “Perché non mi hai detto nulla! Non lo sapevo! Devo subito fargli gli auguri”. “No. No. No. Altrimenti capiscono che te ne abbiamo parlato, e sai com’è Fran… sospetta sempre di qualcosa”. “Bhè, allora inventa una scusa per parlane davanti a loro. Devo fargli auguri”. Leon rise, circondandole la vita con un braccio e scuotendo la testa. “Sempre la solita…”. Arrivarono in classe, e tutti erano raggruppati accanto ad un termosifone. Si moriva di freddo! “Finalmente! Ma dove ti eri cacciata?” domandò Ludmilla vedendo arrivare Violetta e Leon “Già. Abbiamo dovuto mandare Leon in missione speciale!” esclamò Camilla indicando con un braccio il ragazzo dagli occhi verdi. Da parte di tutto il gruppo partì una risata, ed in quel momento Violetta avvertì una presenza che prima non c’era. Si guardò intorno, e non appena vide Gery di fianco Maxi si strinse di più a Leon. “Scusate, ero andata a telefonare ad un amico di Madrid” spiegò la mora. “Ah ah!” esclamò Diego puntandole un dito contro “Attento eh, Leon. Ti vuole già rimpiazzare” continuò, dando poi una gomitata sulle costole al suo amico “Ahi!” esclamò il messicano dando una pacca dietro alla nuca, allo spagnolo. “Eh, l’ho detto io che le amicizie bisogna sceglierle con cautela” intervenne Gery con lo sguardo basso sulle sue dita. Un silenzio di tomba arrivò da parte di tutto il gruppo, e non appena si sentì osservata alzò la testa. “Scusa, in che senso?” chiese irritata Violetta, guardando la sua ‘amica’. “Oh, era solo una battuta” si difese la messicana. “Sotto ogni battuta c’è un giudizio fondato” continuò la mora incrociando le braccia al petto. Leon cercava di nascondere un sorriso. Violetta era troppo bella quando era gelosa ed arrabbiata. Aveva imparato a rispondere. “Su questa no” rispose Gery imitando Violetta con le braccia “Ne sei sicura?” ribatté Violetta. “Certo. Non avrei motivo di nascondere qualcosa, soprattutto contro te”. “Ehi, piano…” intervenne Leon portando una mano in avanti “Basta, adesso”. “Perché ti intrometti, Leon? Hai paura che la tua fidanzatina non riesca a difendersi da sola?”. “Io mi so difendere, non c’è bisogno che lo faccia lui per me” rispose schietta Violetta allontanandosi di un passo da Leon, ed avanzando verso Gery. “Non mi pare…” ribatté Gery muovendosi in avanti, ed arrivando a pochi passi da Violetta. Entrambe si fulminarono con lo sguardo, si odiavano proprio! “Ehm, ok stop” s’intromise Federico separando le due. “Cambiando argomento… Vilu sai che oggi Fran e Diego fanno un anno!” esclamò felice Ludmilla saltellando sul posto e battendo le mani. Violetta –che fece finta di non saper nulla- spalancò la bocca, e saltò al collo dei due. “AUGURI!”. “Grazie” risposero Francesca e Diego in unisono. La ragazza si separò da loro, e tornò al fianco del suo ragazzo. “Dove festeggerete?”. “Veramente non lo sappiamo ancora” rispose l’italiana guardando il suo ragazzo che rispose al bellissimo sorriso. La campanella che segnava la fine della ricreazione, li fece sbuffare tutti. “Oggi usciamo alle due? Vero?” chiese Nata passandosi le mani tra i capelli “Purtroppo sì” le rispose Brodway. “Io esco all’una” intervenne Gery facendoli morire d’invidia. “Bhè, devo tornare in classe. Ciao, ragazzi…”. “Ciao!” esclamarono tutti. Gery si avvicinò a Leon “…ciao, Leon” lo salutò, lasciandogli poi un bacio sulla guancia e dileguarsi nella sua classe. Violetta si bloccò, gli istinti omicidi verso Gery che salivano. “Vilu… calma” disse Francesca parandosi davanti a lei con due mani tra loro. “Sono calmissima…” rispose voltandosi lentamente verso il suo ragazzo “Lasciami, Leon”. Il ragazzo, con gli occhi spalancati e spaventato per la reazione che avrebbe potuto avere la sua ragazza, scosse la testa velocemente. “Non mi fido”. “Ti ho detto che sono calmissima. Lasciami”. Leon lanciò uno sguardo a Francesca, la quale non sapeva cosa fare, poi annuì convinta che Violetta non avrebbe davvero fatto nulla. Il messicano lasciò la vita della sua ragazza, ma tenne le mani davanti per agguantarla per qualsiasi cosa che sia successa. Violetta si voltò di scatto verso Leon, puntandogli un dito contro “Se lo rifà un’altra volta, giuro che non ne esce viva”. Leon e Francesca scoppiarono a ridere. Il ragazzo prese il viso di Violetta tra le mani, lasciandogli un dolce bacio a fior di labbra, e sussurrandogli all’orecchio: “Sei ancora più bella quando sei gelosa”. La ragazza arrossì, per poi andarsi a sedere al suo posto e ridere non appena Beto fece il suo ingresso nell’aula, e fece cadere una sedia.
 
 
 “Vilu, ora mi fate arrabbiare! Ditemi dove mi state portando!” esclamò esausta Francesca, che da più di mezz’ora aveva le mani della sua amica Violetta davanti agli occhi, e camminava guidata dalle sue amiche. “Calma, calma. Siamo quasi arrivate” rispose Violetta sorridendo. “Continui a ripeterlo da venti minuti! Se non mi dite dove mi state portando, giuro che inizio ad urlare”. Camilla, Violetta, Ludmilla, Nata ed Isabel sbuffarono tutte insieme per la poca impazienza della loro amica. “Piantala” disse Camilla continuando a seguire il gruppo. La sorpresa che avevano preparato per Diego e Francesca era qualcosa di meraviglioso. Non se lo sarebbero mai aspettato. Neanche Diego sapeva cosa stava succedendo, ed anche lui –come la sua ragazza- era stato sottoposto a quella specie di ‘passeggiata buia’, o almeno così l’avevano chiamata i suoi amici. “Ragazzi… mi sto seriamente irritando” commentò Diego con una benda sugli occhi, e le braccia piene di mani dei suoi amici. “E dai! Non manca molto” rispose Federico sorridendo “E io dovrei crederci?”. “Zitto e cammina, Casal!” lo zittì Leon continuando a guidarlo nel luogo dove si sarebbero incontrati con le ragazze. “Sentite, se non volete esser presi a parolacce, ditemi immediatamente dove stiamo andando. E preciso: mi sto sforzando di non essere volgare”. Da parte dei ragazzi partì una fragorosa risata, mentre Maxi diede una pacca sul collo a Diego, e lo spagnolo ricambiò lanciandogli un calcio sugli stichi. “Ahi! Certo, che anche se non puoi vedere centri bene!”. “Avevi dubbi?”. Continuarono a camminare per un’altra manciata di minuti, e sia Francesca che Diego, continuarono a lamentarsi per tutto il tempo. Era proprio necessaria quella sorpresa? “Siamo arrivate?” domandò l’italiana con fare stanco. “No”. “Quanto manca?”. “Poco, Fran!” rispose Nata anche lei esausta. “Adesso siamo arrivate?”. “No”. “E adesso?”. “No”. “Ora?”. “SI!” gridarono tutte in coro, bloccandosi di colpo “Davvero?” esclamò Francesca con un sorriso che andava da orecchio ad orecchio, e con un entusiasmo che –forse- non aveva mai avuto. “No” risposero le ragazze riprendendo a camminare. “Bhè, lo sapete che siete proprio degli…” Diego s’interruppe non appena sentì delle voci femminili in lontananza. Erano tutti arrivati sul posto. “Chi sono?” chiese lo spagnolo accigliandosi sotto la benda. Nessuno dei suoi amici gli rispose, anzi gli lasciarono le braccia. Lo stesso fecero le ragazze con Francesca. Rimase solo Violetta per tenerle gli occhi chiusi. Perché non avevano pensato ad una benda! “Ragazzi…”. “Ragazze…”. “Francesca!” esclamò Diego allungando le braccia per cercare la sua ragazza “Diego!”. Lo stesso fece Francesca e non appena le loro mani si toccarono, si sentirono completi. “Cosa succede?” domandò Francesca intrecciando la sua mano a quella dello spagnolo “Non ne ho la più pallida idea”. Violetta e Leon si guardarono capendosi al volo, così Leon andò dietro Diego e prese a sciogliere il nodo della benda. “Uno, due, tre…” mimò con le labbra la ragazza, e le mani di Violetta si tolsero dagli occhi di Francesca così come la benda di Diego. Entrambi per un momento rimasero accecati dalla luce, ma qualche secondo dopo tutto gli fu più chiaro. Si guardarono per un istante, per poi voltarsi e vedere tutti i loro amici allineati uno di fianco all’altro. “Ok, il significato di tutto questo?” domandò il ragazzo sempre più confuso. “Secondo te cos’hanno in mente?” sussurrò Francesca all’orecchio del suo fidanzato, il quale la fulminò con lo sguardo “Amore, io ne so quanto te”. “Oggi è il vostro primo anniversario… giusto?” domandò Leon, come portavoce del gruppo. “Ssssì” risposero entrambi guardandoli spaventati “E con ciò?”. Leon, che era rimasto con le braccia dietro la schiena per tutto il tempo, in quel momento portò in avanti il braccio destro, con la mano che stringeva una busta sottile e bianca. “Ho paura” ammise lo spagnolo mentre lentamente allungava il braccio per afferrare l’oggetto che il suo migliore amico gli porgeva. “Ma via!” esclamò Leon sorridendo mostrando i suoi denti perfetti. Diego afferrò la busta, ed insieme a Francesca la aprirono e tirarono fuori due biglietti color oro. Entrambi spalancarono la bocca, e guardandosi sorrisero sorpresi. “Ragazzi, voi siete pazzi!” esclamò Francesca correndo ad abbracciare la sua migliore amica, che l’accolse a braccia aperte. “Non dovevate” disse Diego abbracciando a sua volta Leon, per poi passare agli altri, e ringraziandoli tutti. “Non dovete ringraziarci, è un regalo per il vostro anniversario” disse Camilla abbracciando Francesca, e poi Diego. “Già, almeno dopo Natale vi farete un bel viaggio in Italia!” concordò Ludmilla abbracciando il suo migliore amico. “Quattro giorni impegnativi, eh amico” disse Maxi dando una leggera gomitata alle costole a Diego, ed ammiccandogli. “Non fare il cretino!” s’intromise Francesca dandogli una pacca sulla spalla. “Grazie ancora, ragazzi” continuò l’italiana “Sì, ma una domanda: invece si mettere in scena tutta questa recita… perché non darcelo direttamente a scuola?”. Federico e Leon scoppiarono a ridere, facendo confondere il resto del gruppo. Eh, perché non a scuola? “E che divertimento ci sarebbe stato!” rispose l’italiano ricevendo un’approvazione dal suo amico. “Secondo te potevamo perderci una scena come te che imprechi di dirti dove andiamo!” concordò Leon. “Ehi! Scusate il ritardo, ma ho avuto delle complicazioni!” disse Gery arrivando di corsa con il fiatone “Tranquilla”. “Grazie per il regalo, Gery” ringraziò Francesca abbracciandola a sua volta “Sì, grazie” ripeté Diego imitando la sua ragazza. “Di niente, mi ha fatto molto piacere” rispose la messicana raggiungendo il gruppo. “Allora? Cosa farete ora? Dove andrete?” domandò Nata. “Non ne ho idea!” esclamò Diego grattandosi la nuca e guardando la sua ragazza che improvvisamente ebbe un colpo di genio. Schioccò le mani e sgranò gli occhi “Perché non festeggiamo insieme!”. “Sì!” l’assecondò Diego “Perché no”. “Molto volentieri” rispose Brodway stringendo la sua ragazza a sé. “Sì, ma dove andiamo?” domandò Camilla. “Mc?” propose Ludmilla. Da parte di tutto il gruppo arrivò un grido di approvazione, e mentre Diego e Francesca ringraziarono tutti per l’ennesima volta, si avviarono alle macchine. Arrivarono al Mc in pochi minuti, e non appena tutti presero da mangiare, si sedettero ad uno di quei grandi tavoli a cerchio. “Io…”. “No, Leon!” lo interruppe Violetta spalancando gli occhi. “Ma non sai neanche cosa volevo dire!”. “Invece sì!”. Il messicano alzò un sopracciglio e si avvicinò alla sua ragazza restando a pochi centimetri dalle sue labbra, con un sorriso furbo e gli occhi ridotti a due fessure. “Sorprendimi”. Violetta lo imitò, ed allontanandosi di poco, incrociò le braccia sotto al seno “Volevi chiedere chi ti sfidava”. Leon la guardò con un’espressione come a voler dire ‘Da dov’è uscita?’. La ragazza alzò le mani storcendo la bocca “Io so sempre tutto, Vargas… ricordarlo” lo minacciò puntandogli un dito contro ed avvicinandosi, questa volta lasciandogli un bacio a stampo. Sulle labbra di entrambi un dolce sorriso. “Bhè… allora?” domandò Leon aprendo le braccia “Io” si propose Diego alzando una mano. “Uhh, che coraggio”. “Ne ho da vendere, vedrai…”. Entrambi presero il loro Big Mc e se lo portarono davanti alla faccia. “Vuoi che ti lasci vincere?” chiese il messicano. “Non serve”. “Dì le tue ultime preghiere”. “Non ne ho bisogno” ribatté Diego furbamente. “No, ragazzi… vi sentirete male” intervenne Violetta “Ma che dici! Lo fanno sempre” la contraddisse Gery. Violetta alzò le sopracciglia, ed incrociò nuovamente le braccia al petto, un espressione come a dire ‘Ehm, ma cosa vuoi?’. “Non si sentiranno male, soprattutto Leon. E’ il migliore”. Violetta stava per prenderle i capelli, e strapparglieli uno per uno. Se si azzardava a dire un’altra volta una cosa del genere, giurò a se stessa che le sue mani non avrebbero avuto più controllo. Leon amava vedere la faccia della sua ragazza quand’era gelosa, era bellissima! Ma Violetta era bellissima a prescindere, solo che quando era gelosa emanava una luce diversa. Ma gelosia = amore. “Ok… Tre, due, uno… VIA!” gridò Federico battendo la mano sul tavolo. Diego e Leon si portarono il panino alla bocca, e in meno di un minuto entrambi ne avevano già divorato metà. Quaranta secondi dopo, il vincitore uscì fuori. E chi poteva essere? “E VARGAS VINCE ANCORA!” gridò l’italiano alzando il braccio del suo amico. Leon, ancora con la bocca piena di maionese e insalata, sorrise e guardò furbamente il suo migliore amico. Mandò giù tutto, e bevve l’intera lattina di coca-cola che si era comprato. “Ed io che ti volevo anche far vincere!”. “Ci sarà una prossima volta, puoi scommetterci!”. “Non ne dubito” rispose il ragazzo stringendo la mano di Diego. Violetta guardava sorridente ma anche un po’ incredula, il suo fidanzato. Non aveva mai dubitato che Leon fosse il migliore nel mangiare, si divorava di tutto, ma non ingrassava di un grammo. Doveva assolutamente rivelargli il suo segreto… forse era la palestra. Eh già, Leon andava in palestra. “Come appunto dicevo” intervenne Gery battendo le mani. “Piantala” disse questa volta Leon, scocciato anche lui del suo atteggiamento solo per provocare Violetta. Gery si fece immediatamente seria, e mordendosi il labbro restò zitta per… due minuti. “Sei proprio un maiale” disse Violetta facendo ridere il messicano. “Lo dovresti sapere”. “Oh, ma lo so”. Entrambi si sorrisero, poi Violetta si sentì improvvisamente squillare il cellulare. “Rispondo”. Si alzò dal tavolo “Pronto”. “Vilu…”. “Papà. Tutto bene?” domandò la ragazza sentendo la voce di suo padre un po’ stanca. “Sì, tutto bene. Tu?”. “Anche io. Siamo tutti venuti a mangiare al Mc. Perché mi hai chiamata?”. “Ti volevo sentire”. “Ti conosco. Ci sono novità?”. German esitò per un momento “Sì, ma…”. “Arrivo subito”. Violetta non gli lasciò finire la frase, che già aveva risposto e chiuso la chiamata. Chiamò Leon, e insieme si allontanarono dal gruppo per parlare. “Ci sono novità, in ospedale” disse Violetta mordendosi le unghie “Ok, andiamo subito. Non lo diciamo agli altri, lasciamoli festeggiare”. “D’accordo”. Tornarono dai loro amici, e prendendo le loro cose spiegarono che Leon si era ricordato solo in quel momento che avrebbe dovuto aiutare suo padre a montare una libreria. “Allora ci sentiamo più tardi…” disse Ludmilla “Certo. A più tardi”. Si salutarono, così Violetta e Leon salirono in macchina ed andarono in ospedale… sperando che non fosse nulla di grave.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Buona ssssssssssssssera! *saluta con la manina* Come state? Io bene, a parte che sono stanchissima! Ma non vi annoio con la mia vita. Allora… devo dire che non sono soddisfatta di questo capitolo. Ne ho fatti di migliori, e devo dire che l’ho pubblicato solo perché Lola (PopRock24) ci teneva tanto. E soprattutto se non aggiornavo oggi, la Signora Vargas si arrabbiava tanto… vero? Ahahahah. Comunque, come stavo dicendo non mi piace molto, però vabbè… E’ un po’ più lungo dei capitoli recenti, spero che non sia stato molto pesate. Come trovate i Leonetta? Dolcissimi, vero? Awww. Io li amo, come anche voi suppongo. Cosa pensate di Alex? L’amico francese di Violetta, che vive a Madrid… A me sta molto simpatico. Ma vogliamo parlare di quando Leon si mette ad origliare? *------------* Non volevo farli litigare, così ecco qui. L’ultimo blocco è quello che mi piace meno, anche se ci sono molte scene divertenti. Troviamo i ragazzi a fare una sorpresa a Diego e Francesca per il loro primo anniversario. UN VIAGGIO IN ITALIA! WOW *-------------* Ahahahahah. Poi si va al MC! E tutti feliciiiii yeeeeee! Qui troviamo Leon e Diego alle prese con una delle solite gare di cibo. Ma ovviamente il vincitore è... *rullo di tamburi* LEOOOOOOOOOOOOOOOON! Ma ehiii! Una chiamata da German… Delle novità! Buone o cattive? Chi lo sa? (Io, ma vabbè.. ahahahah). Allora, ringrazio tutti quelli che seguono la storia. Ho visto che siete in moltissimi a seguirla… mi riempie di orgoglio, GRAZIE MILLE. Devo andare. Bacioni e alla prossima!
#Alice_Leonetta

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Dodicesimo capitolo. ***


Priscilla sbatté con violenza la porta di casa, facendo tremare tutti i vetri. Mai come quel giorno, era stata umiliata tanto. Era appena tornata da una sua esibizione in suoi dei locali in cui lavorava come cantante, e alla fine dell’esibizione tutta la gente le aveva lanciato degli oggetti perché in precedenza, Priscilla aveva insultato gravemente una delle cantanti che –come lei- lavorava lì. Lanciò le chiavi sul mobiletto, e la borsa sul divano per poi sfilarsi il giaccone ed appenderlo all’attaccapanni. Ludmilla, in camera sua, sentendo tutto quel trambusto decise di non scendere al piano inferiore per controllare. Sapeva che era sua madre, nessun altro abitava in quella casa. Sembrava essere molto arrabbiata, come sempre d’altronde, ma in quel momento preferiva restare dove si trovava. La sua camera era uno dei posti più sicuri che conoscesse. Sua madre era la persona più cattiva del mondo, non vedeva l’ora che suo padre sarebbe arrivato. Per qualche giorno avrebbe riportato la pace, in quella casa. “LUDMILLA!”. La bionda spaventatasi per il grido della madre, si portò una mano al petto e respirò profondamente, chiudendo gli occhi. Scese lentamente dal letto, con il cuore che correva ad una velocità troppo forte per resistere ancora. Aveva paura. Cosa le avrebbe fatto adesso, sua madre? Indossò le pantofole rosa ed aprì la porta della sua stanza, richiudendola poi dietro di sé. “LUDMILLA!” gridò ancora la donna vedendola scendere dalle scale, molto lentamente. “Ciao… mamma”. “Ciao un bel niente! Dove sei stata oggi?” domandò sempre più arrabbiata, le braccia incrociate sotto al petto. La donna aveva due occhi di fuoco, era irriconoscibile. “Ero con i miei amici. Abbiamo festeggiato il primo anniversario di Francesca e Diego” spiegò la ragazza. Priscilla alzò un sopracciglio “E i tuoi amici sono più importanti di tua madre?”. Non sapeva cosa rispondere. Voleva dirle di si, urlarle in faccia che i suoi amici erano più importanti di lei. Loro la facevano sentire amata, rispettata e protetta. Non come lei, che la picchiava tutti i giorni e la riempiva di parolacce. Non come lei, che non accettava la sua relazione con Federico, con il ragazzo che più amava. I suoi amici erano tutto per lei, le persone più importanti. Loro le sarebbero rimasti sempre affianco, nel bene e nel male. Questo Ludmilla lo sapeva, e non ne dubitava mai. Sapeva che poteva contare su tutti loro, nessuno escluso… perfino su Andres! Era un tontolone, ma se gli chiedevi qualcosa era il primo a rimboccarsi le maniche. “Ti avevo chiesto di venire con me al locale. Ma tu eri occupata con i tuoi ‘amici’” disse Priscilla facendo il segno delle virgolette, con le dita. “Scusami, me ne ero dimenticata”. “Oh bhè, certo! Me ne ero accorta che te ne eri dimenticata!” urlò nuovamente. “Non dovrà mai più accadere… Mi hai sentita?”. La bionda abbassò la testa sulle sue pantofole, senza rispondere alla madre. “Ti ho fatto una domanda! Mi hai sentita?”. “Sì” sussurrò flebile Ludmilla alzando la testa ed il mento. “Bene”. Priscilla si diresse in cucina, ma prima di entrare, si voltò e disse: “Mi ha chiamata tuo padre. Domani pomeriggio arriverà a Buenos Aires”. Il volto di Ludmilla si illuminò, gli occhi iniziarono a brillare e sulle labbra si stampò un sorriso che andava da orecchio ad orecchio. “Cosa?” chiese sempre più entusiasta “Papà arriva domani…” sussurrò tra sé e sé. “Sì. Vedo che sei molto contenta, fossi in te non lo sarei”. “E perché?” domandò ancora più raggiante “Papà arriva domani, e finalmente potrà farti capire quello di cui io non ci sono mai riuscita”. “E sarebbe?”. La ragazza scosse la testa mordendosi il labbro interno, e correndo su per le scale. “Lascia perdere…” rispose voltandosi ed illuminandosi un’altra volta. Le parole che disse in quel secondo successivo, furono quelle che scatenarono la fine di una bellissima storia d’amore. “Devo correre a dirlo a Federico!” esclamò entusiasta, per poi accorgersi solo dopo di quello che aveva appena detto. Si portò una mano alla bocca, e guardò con un’espressione preoccupata ma soprattutto spaventata, sua madre. Priscilla fu investita da un senso di rabbia profonda, al solo sentir pronunciare quel nome. Gli occhi iniziarono a bruciare, e le gambe cominciarono a correre verso la scalinata e poi sulle scale. “TU NON RACCONTERAI NIENTE A NESSUNO!”. Ludmilla cercò di scappare, ma sua madre era più veloce ed agile. L’afferrò per una gamba, e la strattonò verso di lei. Non essendo riuscita a prendere sua figlia, Priscilla la lasciò rotolare giù per le scale, fino a fermarsi con la faccia sull’ultimo scalino. Improvvisamente, un’emozione mai provata –almeno per sua figlia- si fece largo dentro di lei. Si portò una mano alla bocca, e guardò la ragazza stesa a terra, con due occhi lucidi pieni di compassione. Sensi di colpa. Un’emozione mai provata prima di quel momento. Rimase lì ferma, senza far niente vedendo sua figlia stesa a terra. Qualche minuto dopo, Ludmilla riprese conoscenza e pian piano cercò di alzarsi con lividi su tutto il corpo. “Ahi” disse ricadendo a terra. Priscilla in quel momento, fu assalita ancora di più da quell’emozione strana per lei. Corse verso sua figlia, e piano la fece rialzare. “Come stai? Ti sei fatta tanto male? Vuoi che andiamo all’ospedale?” domandò preoccupata la donna. La ragazza la guardò strana ma arrabbiata, adesso si preoccupava per lei? Dopo averla scaraventata giù per le scale, si preoccupava per lei? Incredibile. “Non mi toccare!” gridò togliendo le mani dalla stretta di sua madre. “Ma io…”. “Cosa! Dopo avermi buttato a terra, vuoi anche portarmi in ospedale?”. Scosse la testa, piena di disgusto “Sei patetica”. “Ludmilla, voglio solo aiutarti. Mi dispiace”. “Non voglio il tuo aiuto. So cavarmela benissimo anche da sola. Dopotutto, è quello che ho fatto in questi anni” ribatté salendo le scale lentamente ed aggrappandosi alla ringhiera in legno. “Lascia almeno che ti porti in ospedale”. “Ti ho detto di no”. La bionda sbatté la porta della sua camera, e gettandosi sul letto scoppiò a piangere, il viso infossato nel morbido cuscino. I suoi singhiozzi risuonavano per tutta la stanza, per tutta la casa. Priscilla, al piano di sotto, si era seduta sul divano e stava riflettendo sul quanto accaduto. Aveva appena fatto cadere sua figlia dalle scale, era possibile che le avesse procurato gravi danni. Voleva portarla in ospedale, almeno per un controllo. Si sentiva tremendamente in colpa, non aveva mai fatto una cosa del genere. Certo, la picchiava spesso ma mai l’aveva scaraventata giù per le scale. Qualche ora dopo, Ludmilla si era calmata ma i lividi le facevano davvero male. Ne aveva molti sulle gambe e sulle braccia, un paio sulla pancia. Non scese di sotto neanche per la cena, nonostante le continue chiamate da parte della madre. Non la voleva più vedere. Era una donna malvagia, cattiva. Una donna crudele. Scese dal letto, e si accucciò ai piedi di esso. Infilò un braccio sotto il materasso e tirò fuori una scatola pesante. Si mise a gambe incrociate sul suo letto, il sorriso sulle labbra e le lacrime che le rigavano in perfetto viso. Prese dal comodino la chiave che avrebbe aperto il lucchetto che sigillava la scatola. Uno scricchiolio, e il coperchio fu buttato all’indietro. La ragazza si portò una mano alla bocca, piangendo sempre di più. Afferrò una foto quasi rovinata agli angoli… ritraeva due amici che si tenevano per mano. Avevano su per giù quattordici anni… frequentavano entrambi il primo superiore. A destra c’era un ragazzo alto, snello e sempre con quel ciuffo all’insù, un sorriso bellissimo e due occhi da incanto. Teneva per mano una ragazza bionda, che sorrideva davvero. Un sorriso sincero, che gli riusciva solo quand’era in compagnia di quel ragazzo. Lasciò cadere una lacrima sulla foto, proprio dove le mani dei due amici si intrecciavano. La posò sul letto e prese un bracciale di conchiglie marine. Le scappò una risata prendendo l’oggetto tanto lentamente, come se avesse paura di danneggiarlo. Sorrise ancora infilandolo al polso e ricordando con piacere la magnifica giornata di mare trascorsa con i suoi amici, qualche anno prima. Afferrò un’altra foto: lì erano presenti tutti i suoi amici, persino Violetta. Era stata scattata l’ultimo giorno della prima media, prima che la sua amica partisse. Improvvisamente sentì il suo cellulare squillare sul comodino, lo prese… Federico. Decise di non rispose, lui si sarebbe accorto subito che c’era qualcosa che non andava, la conosceva troppo bene. Lo lasciò squillare sul letto, mentre prendeva un’altra fotografia dalla scatola. Un’altra foto sua e di Federico. Quella era stata scattata qualche mese prima, durante il compleanno del ragazzo. Lei era seduta sulle sue gambe, mentre lui le aveva preso il viso fra le mani e avevano dato vita ad un bacio. Una gigante torta rettangolare con so scritto ‘Auguri Campione!’ con una glassa rossa, era posta davanti a loro sul tavolino. Ludmilla ricordava alla perfezione quel giorno… e come dimenticarselo! Fu quando i ragazzi si ubriacarono così tanto che dovettero tutti dormire tutti a casa di Federico. Certo, alla bionda non dispiacque affatto, e neanche alle sue amiche. Solo sfortuna per Gery che non poté dormire attaccata al petto di Leon. Il cellulare, che aveva smesso di suonare, iniziò nuovamente… Diego. Afferrò il cellulare e trascinò l’icona verde. “Pronto”. “Ah bene, a lui rispondi… a me no”. Federico. Cazzo. Ludmilla sospirò e si passò una mano sulla faccia. Non voleva litigare con lui, non ne aveva la forza. Eppure… forse era la cosa migliore. “Fede…” cercò di dire, ma le parole le si mozzarono in gola. Stava per scoppiare a piangere di nuovo. “Ascolami…” continuò cercando di resistere. L’italiano notò subito un cambio di voce da parte della ragazza, iniziò a preoccuparsi. “Amore… cos’hai?” domandò. La bionda fece un respiro profondo cercando di tranquillizzarsi “Nulla, nulla. Allergia…” mentì tirando su con il naso. “A DICEMBRE!”. Alla ragazza scappò un’altra piccola risata “Succede”. “Dimmi cos’hai”. “Davvero, niente. Ho solo discusso un po’ con mia madre. Sai com’è fatta…”. “Sì! E so come sei fatta tu…” rispose “…non è stata solo una piccola discussione. O sbaglio?”. “Sbagli”. Federico fece un respiro profondo, non capiva perché la sua ragazza gli stesse mentendo. Lui sapeva che non si trattava solo di una discussione. Da come Ludmilla gli aveva raccontato, Priscilla era una donna cattiva. Una persona che finge di essere il contrario di quel che è, è il doppio di quello che realmente. “Ne parliamo domani. Passo a prenderti con la macchina”. “No!”. “Senti, non mi interessa se tua madre non mi accetta… io ti amo, e non permetterò a nessuno di ostacolare la nostra relazione”. “Tu non sai com’è lei”. “Non mi interessa”. La bionda si passò una mano sulla faccia “A domani”. “Ti amo”. “Ti amo anch’io, Fede”. Sorrise e riattaccò la chiamata gettando il telefono sul letto. Ripose le foto nella scatola insieme al braccialetto di conchiglie e chiuse il tutto, rimettendola al suo posto sotto al letto. Si infilò il suo pigiama e si addormentò fra le braccia di Morfeo.
La luce del mattino presto filtrava tra le tendine mezze chiuse della camera di Ludmilla. I raggi del sole le sbattevano sul piumone rosa invernale e sul perfetto visino. Lentamente aprì gli occhi e ci si passò il dorso delle mani sopra. La luce le dava fastidio e mettendosi un braccio davanti alla faccia, di mise seduta. Immediatamente un pensiero, un orribile pensiero si fece largo nella sua mente. Avrebbe dovuto affrontare quella tremenda situazione. Nessuno avrebbe sofferto più di lei. Sarebbe stato difficile, molto difficile. Alzandosi dal letto, infilò le pantofole, e con il dorso della mano si asciugò le lacrime che scorrevano sul suo viso, e si diresse in bagno prendendo i vestiti sulla sedia accanto alla porta, che aveva preparato la sera precedente. Aprì la porta del bagno e se la chiuse alle spalle, poggiando i vestiti sul mobiletto bianco. Guardandosi allo specchio notò che in faccia non aveva lividi. Si sfilò il pigiama e rimase sorpresa di averne pochi sul corpo. Si diede una sciacquata velocemente e si vestì e truccò. In pochi minuti era pronta. Tornò in camera sua e sistemò il letto, prese lo zaino e il cellulare scendendo poi al piano inferiore. Notò che aveva dei messaggi su WhatsApp. Il primo, anzi… i 768, dal gruppo della classe, e l’altro da Federico:
Amore mio, scusa se mi sono arrabbiato con te, ma lo sai come sono fatto. Voglio solo il meglio per noi, lo sai che ti amo più della mia vita, quindi non c’è bisogno che te lo ripeta. Sei una delle persone più importanti per me, non voglio perderti per nessuna ragione al mondo. Neanche se tua madre non accetta la nostra relazione. Ti prometto che farò di tutto per proteggerti, per proteggere il nostro amore. Niente e nessuno ci dividerà, questa è una promessa. E so di avertelo ripetuto milioni e milioni di volte, ma è la verità. E’ tutto vero. Ho finito le parole per dirti che ci tendo a te, che ti amo, ti amo, ti amo. Se non ti fosse chiaro te lo ripeterò altre centinaia, migliaia, milioni di volte… non mi stancherò mai. Spero di averti convinta… Ti amo, Amore mio. A domani.
P.S. Passo alle 7.45
Il viso della ragazza era un lago ormai, già leggendo la prima riga era scoppiata. Federico era la persona più importante, più preziosa che aveva. Neppure lei voleva allontanarsi, lasciarlo… anche lei lo amava più della sua stessa vita. Ma –purtroppo- doveva metter fine a quella faccenda. Federico doveva stare al sicuro, non avrebbe mai permesso a sua madre di fargli qualcosa di male. Avrebbe dovuto lasciarlo… quella mattina. Si avviò in cucina e vi ci trovò Priscilla intenta a bere del caffè. “Buongiorno” salutò la donna. I sensi di colpa le erano passanti, ed era di nuovo senza sentimenti. Ludmilla fece finta di non sentire né vedere sua madre. Per lei Priscilla non era più la sua mamma, era una donna estranea, sconosciuta. Dopo quello che era accaduto la sera precedente, non osava più guardarla in faccia. “Per caso sei sorda? O fai finta di non sentirmi?”. Niente. Neanche una parola. La ragazza si versò del latte dentro un bicchiere e lo bevve di corsa, guardando l’ora sul cellulare: 7.37. Qualche altro minuto e sarebbe iniziata, anzi… finita una storia. Odiava l’idea di dover lasciare Federico, soprattutto dopo quel meraviglioso, bellissimo messaggio che le aveva inviato. Ma non voleva esporlo a rischi. Sua madre era davvero pericolosa, ed avrebbe fatto di tutto pur di separarli. “Bhè in ogni caso ti volevo ricordare che ti converrebbe lasciare Federico oggi” iniziò la donna. “Scommetto che neanche a tuo padre farebbe piacere vedervi insieme. Io e lui siamo molto simili, e la pensiamo allo stesso modo”. Ludmilla si passò un tovagliolo sulla bocca e lo gettò nel secchio della spazzatura. Guardò il cellulare: 7.41. Quattro minuti. Di solito Federico era sempre puntuale. Il cuore accelerava ad ogni secondo che passava, stava per scoppiare a piangere. Le parole di Priscilla, l’idea di quello che sarebbe accaduto nel giro di pochi minuti… non ce la faceva a resistere, era una ragazza debole. O almeno questo era quello che pensava lei. In realtà era una tosta, forte ma anche molto, molto sensibile. “Sai… dovresti allontanarti definitivamente. Almeno darai una bella notizia a tuo padre. Non mi sembra che l’anno scorso sia stato molto felice di sapere che stai insieme ad un italiano… Poi Federico!”, fece il gesto con la mano come a dire ‘Neanche a dire che sia bello o ricco’. 7.44. Un minuto, un minuto, un minuto. La bionda tornò in salotto seguita da sua madre, prese il giubbotto dall’attaccapanni e si mise lo zaino su una spalla. “Tuo padre arriva verso le 17. Sia meglio che ti faccia trovare a casa… o preferisci startene con i tuoi amici?” domandò ironica la donna. Ludmilla afferrò la maniglia della porta, ed in quel preciso istante Federico suonò il campanello. “Fede…” sussurrò preoccupata la ragazza “Ciao, Amore!” esclamò entusiasta l’italiano, un sorriso che andava da orecchio ad orecchio. A Ludmilla stavano diventando gli occhi lucidi. Se già a cominciava a piangere cos’avrebbe fatto dopo? “Buongiorno, Priscilla!” salutò Federico sempre sorridente. “Ciao, Federico. Tutto bene?” domandò falsamente Priscilla… come se le importasse davvero di come stava quel ragazzo che sua figlia amava da impazzire. “Sì, tutto bene. Andiamo, Amore? Si sta facendo tardi”. Ludmilla, che nel frattempo aveva abbassato la testa sulle sue scarpe, la alzò con gli occhi lucidi ed annuì abbozzando un sorriso “Certo”. “A più tardi, Tesoro! E ricordati quel che ti ho detto. Ciao, Federico!”. “Ciao, Priscilla”. La bionda chiuse la porta alle sue spalle, mentre l’italiano le prese la mano e poggiò due dita sotto il mento facendola voltare verso di lui. Il bellissimo sorriso del ragazzo la fece innamorare ancora, un’altra volta. Accadeva sempre, ogni volta che vedeva il sorriso di Federico si innamorava di nuovo. Ludmilla sorrise a sua volta, e si fiondò sulle labbra del suo fidanzato. Come avrebbe fatto senza più quei baci? Intrecciò le braccia attorno al collo del ragazzo e il bacio si approfondì. “Amore… dobbiamo andare. Lo sai com’è Gregorio. Soprattutto alla prima ora”. La bionda scoppiò a ridere, per poi lasciare ancora un ultimo bacio sulle labbra del ragazzo. Insieme si avviarono in macchina, ed arrivarono nel parcheggio della scuola cinque minuti prima che la campanella suonasse. Ludmilla scese dall’auto, seguita da Federico. Durante tutto il tragitto non era riuscita a parlargli “Devo chiedere una cosa a Diego, sai per caso dove si sono andati a nascondere quei due?” domandò l’italiano riferendosi al suo amico spagnolo e alla sua ragazza italiana. La bionda scosse la testa e unì le labbra. “Li vado a cercare”. “Aspetta…” lo fermò Ludmilla, finalmente trovando il coraggio. “…d-devo pa-arlarti”. L’italiano si avvicinò lentamente alla sua ragazza accigliandosi “Tutto bene?”. La bionda fece un respiro profondo battendo più volte le palpebre, cercando di non piangere. Ma a che sarebbe servito se entro pochi secondi sarebbe stata un lago? Scosse la testa per poi abbassarla “Il fatto è che…” iniziò singhiozzando “…n-n-n-non t-t-i amo… non t-i amo p-p-iù-ù” mentì. Si morse così forte il labbro inferiore che il sangue non tardò ad uscire. Federico rimase basito, immobile, una statua. “Ma ieri sera…”. “Stavo me-n-ntendo”. L’italiano non ci cedette, non ci volle credere. Era impossibile che non lo amava più… lei, la ragazza che gli aveva stregato il cuore. Era decisamente impossibile. “M-mi dispiace, Fede…”. “Non è vero” ribatté il ragazzo. “Cosa?” chiese la bionda alzando di scatto la testa. Federico aveva le braccia incrociate al petto e la mascella contratta, uno sguardo che più che arrabbiato… era deluso. “Non è vero. Non ci credo”. “E’ la… la verità, Fede”. “Allora dimmelo guardandomi negli occhi” ribatté prendendole dolcemente il viso tra le mani e facendo incrociare i loro occhi. Il respiro di Ludmilla era irregolare, le gambe tremavano e non sapeva se sarebbe riuscita a dirglielo guardandolo negli occhi. “Avanti… dimmi che non mi ami più” la incoraggiò l’italiano accarezzandole con il pollice la guancia destra. La ragazza non parlò, rimase a guardare lo spettacolo che aveva davanti. Federico era davvero un ragazzo bellissimo… Alzò un angolo della bocca soddisfatto per poi scuotere leggermente la testa. “Lo sapevo…” sussurrò sulle labbra della ragazza “Lo sapevo” ripetè chiudendo gli occhi e fiondandosi sulle labbra della sua fidanzata. Erano così morbide, così dolci. La baciò dolcemente cercando di farla sentire protetta e al sicuro. La strinse forte fra le sue braccia, sussurrandole poi all’orecchio che ci sarebbe sempre stato, che non l’avrebbe mai lasciata sola. “Non posso” disse Ludmilla prendendo le mani di Federico. “Mi dispiace ma…” le lacrime ricominciarono a scendere, fiumi e fiumi. “…non voglio che mia madre ti faccia del male. Sei la persona più importante per me e voglio tenerti al sicuro” singhiozzò, questa volta fu lei a prendergli il viso fra le mani. Anche Federico stava per scoppiare a piangere, odiava vederla in quello stato. “Non mi interessa”. “A me si…”. La bionda poggiò la sua fronte su quella del ragazzo “Mi dispiace moltissimo. Ma lo sai che ti amo, e lo faccio perché conosco mia madre… e so che sarebbe capace di tutto”. “No, per favore”. Ormai anche il viso del ragazzo era un lago. Avvolse le sue braccia attorno al busto di Ludmilla e la strinse con tutta la forza che aveva. Non voleva lasciarla andare, non poteva vivere senza di lei. “Ti amo, Federico” sussurrò infine liberandosi dall’abbraccio del ragazzo e prendendo il suo zaino da terra. Corse dentro l’edificio scolastico, mentre Federico rimase accasciato a terra accanto alla sua macchina. L’aveva persa. L’aveva persa per sempre.
 
 
 “Non vorrai mica credere a quello che ti dice lei, vero?” esclamò Leon sbalordito guardando la sua ragazza ed indicando sua madre. Violetta alzò le spalle e storse la bocca “Non è tanto difficile crederci”. “Ma dai!” sbuffò il messicano facendo uscire gli occhi fuori dalle orbite. “Mi dispiace caro, ma è la verità” disse Clara poggiando una mano sulla spalla del figlio “Taci”. La donna alzò un sopracciglio e lo guardò male “Prova a ripeterlo”. Leon la guardò con gli occhi ridotte a due fessure ed avvicinandosi a lei rispose: “Taci”. L’angolo destro della bocca di Clara si alzò leggermente. Aveva in mente qualcosa. “L’hai voluto tu”. “Cosa intendi…” prima che il ragazzo potesse finire la frase, la madre aveva già iniziato a parlare con Violetta. “Vilu lo sai che una volta si è mangiato da solo un intero vassoio di pastarelle!” disse la donna. “MAMMA!”. “Oh, e un’altra volta che erano venuti i ragazzi a casa, avevo preparato una torta per merenda… secondo te gli altri l’hanno assaggiata?”. Violetta scoppiò a ridere portandosi una mano alla bocca e guardando il suo ragazzo, che in quel momento la stava fulminando con gli occhi. “Un giorno, ad un matrimonio ha fatto piazza pulita di tutti i pasticcini alla panna e al cioccolato!”. “MAMMA!”. Clara alzò le mani come a dire ‘Te la sei cercata, ragazzo mio’. “Dai, Leon. Stiamo scherzando” disse Violetta poggiando una mano sulla spalla del ragazzo “Ma su di me dovete scherzare?” esclamò facendo scoppiare a ridere le due. Alla fine non poté più resistere neanche lui, così si lasciò andare in un sorriso e circondò il collo di Violetta con un braccio, avvicinandola a sé. “Siete incredibili!”. “Ma dove saranno finiti quei tre!” esclamò Clara sbuffando e guardando l’orologio che aveva al polso. Era più di mezz’ora che Alejandro, German e Roberto erano usciti nel cortile dell’ospedale… “Dai, mamma. Stanno parlando”. “Dici, eh… Ho un brutto presentimento”. “Basta”. Leon si voltò verso la sua ragazza, ormai stanca morta. Si trovavano in quell’ospedale dal giorno precedente, quando German aveva chiamato sua figlia. Non si erano mossi di li neanche un minuti, nessuno era tornato a casa. Quando arrivarono German gli diede subito la fantastica notizia che Angie sarebbe potuta tornare a camminare. Avrebbe potuto di nuovo correre e ballare con sua nipote, con le persone che più amava. Violetta ovviamente ne fu felicissima, saltò al collo del padre e lo abbracciò forte, forte. In seguito le permisero di vedere sua zia, era sveglia, poterono parlare qualche minuto, ma non di più perché la donna doveva riposare. I dottori dissero che le avrebbero dovuto fare altre analisi, altri esami per la colonna vertebrale. Ma l’importante era che Angie sarebbe potuta tornare a camminare! Nonostante tutti i continui inviti a tornare a casa da parte di German, Roberto e Leon, Violetta non si volle muovere da lì. Doveva assolutamente aspettare l’esito degli esami. “Ehi…” sussurrò Leon all’orecchio della sua ragazza accoccolata al suo petto. Le spostò una ciocca di capelli da davanti al viso, e se la rigirò tra le dita. Amava giocare con i capelli di Violetta, erano così morbidi, così profumati… La ragazza alzò leggermente la testa, ed incrociò i bellissimi occhi del suo ragazzo. Nocciola e verde. Verde e nocciola. Un leggero sorriso si stampò sulle sue labbra, ed avvicinando di più il viso a quello di Leon, cercò di baciarlo ma si ricordò appena in tempo che lì con loro c’era anche Clara. Non era il momento giusto per dirlo a tutti. Avrebbero aspettato che Angie sarebbe stata meglio. “Scusa”. “Non ti devi scusare, Bimba. Ma adesso credo che non sia il momento”. “Sì lo so… è che a volte me ne dimentico” sussurrò la ragazza tornando a guardare dritta davanti a sé. Gli occhi le si chiudevano quasi da sola. Non aveva dormito per tutta la notte, forse una mezz’oretta quando anche Leon si era addormentato. Ma non di più. “Riposati un po’”. “Non ho sonno”. “La smetti di cercare di prendermi in giro…” disse il ragazzo abbozzando un sorriso e giocherellando con una ciocca dei capelli della mora. “Non ti sto prendendo in giro. Se avevo sonno ti chiedevo di…” non riuscì a terminare la frase che uno sbadiglio fece sorridere ancora Leon. “Certo, certo. Sei proprio cocciuta”. “Lo dovresti sapere”. “Oh! Ma lo so!”. Da lontano si udirono delle voci roche e dei passi pesanti. “Oh! Finalmente!” esclamò Clara alzandosi di scatto dalla sedia ed allargando le braccia davanti a sé. “E’ successo qualcosa?” domandò German preoccupato superando la donna e parandosi davanti ai due ragazzi. Leon e Violetta scossero la testa, come se tutto fosse normale. L’uomo si portò una mano al petto e fece fuoriuscire l’aria dai polmoni “Menomale. Novità?”. Scossero ancora la testa, mentre Clara stava riempiendo di domande suo marito. “Violetta… vuoi che ti porti a casa?” domandò per l’ennesima volta Roberto, e ricevendo per l’ennesima volta una risposta negativa da parte della ragazza. “Roberto ha ragione. Torna a casa, Tesoro. Ti chiamo se ci sono novità” la incoraggiò German incrociando le braccia al petto. “No. E non voglio più ripetervelo. Voglio rimanere qui. Voglio sentire con le mie orecchie gli esiti degli esami”. “Ma…” cercò di dire, però Violetta lo zittì alzando una mano “D’accordo. Agli ordini”. “Bravo”. “Mi accompagni almeno a prendere qualcosa da mangiare? Sono le dieci e non ho ancora fatto colazione”. Violetta si mise seduta composta di scatto e alzò le sopracciglia, sbalordita dall’affermazione di Leon. “Stai scherzando, vero? Ti prego, dimmi che stai scherzando. Ti sei appena mangiato due cornetti!”. Partì una risata da parte di tutti, e Leon si sentì leggermente in imbarazzo “Dettagli, dettagli. Andiamo!” disse prendendo la mano della sua ragazza e trascinandola lungo il corridoio e svoltando poi a destra. Arrivarono alle macchinette e Violetta ci si poggiò con una spalla “Fai davvero schifo” disse guardandolo inserire cinquanta centesimi e selezionando il numero 15 che corrispondeva a ‘Kinder Bueno’. Leon si voltò di scatto e la fulminò con lo sguardo, rimanendo a guardarla con gli occhi ridotti a due fessure “Almeno io mangio e consumo andando in palestra”. “Dettagli, dettagli” ribatté la mora alzando un sopracciglio e sorridendo furbamente. “Mi prendi un caffè?”. “Perché invece non dormi un po’?”. “Basta! Non voglio dormire, non ho sonno”. “E allora perché vuoi il caffè?” domandò furbo il ragazzo, mentre intanto selezionava 39 alla macchinetta delle bevande, e il liquido iniziò ad uscire. “Non posso semplicemente volere un caffè?”. “Sì, certo! Ma non in questo caso”. “Non ne voglio più discutere” finì Violetta avvicinandosi a lui e circondandogli il collo con le braccia. Leon la prese per i fianchi e l’attirò a sé. Quando il seno di Violetta si scontrò con il suo petto, sorrise beffardo e le morse il labbro inferiore per poi dar vita ad un dolce e passionale bacio. Le labbra di Violetta si mossero sicure su quelle del messicano, e per lui era lo stesso. Stavano insieme solo da poco, ma si desideravano in una maniera incredibile. “E’ come vi dico, fidat…” la voce di Clara risuonò nel lungo corridoio, ma si interruppe non appena vide Leon e Violetta separarsi. German e Alejandro –dietro di lei- avevano la stessa sua espressione: stupiti (OVVIAMENTE!). Non se lo aspettavano, anche se Roberto in fondo aveva già capito tutto. “Ehm… vi possiamo spiegare” disse Leon grattandosi la nuca. “Oh Dio Santissimo” disse la donna prima di svenire tra le braccia dei due uomini. Violetta e Leon corsero verso di loro e le fecero vento con le mani. Pochi minuti dopo Clara si riprese, ma non riuscì a non urlare dalla gioia. Suo marito dovette tapparle la bocca per farla stare zitta, mentre German le accarezzava il braccio per tranquillizzarla. Lei –forse- era quella che aspettava quel momento più di tutti. Sognava quel momento dalla nascita di suo figlio, ed era finalmente arrivato. Quando si tranquillizzò, tutti iniziarono a tartassarli di domande. Erano tutti strafelici della notizia, o meglio… della scoperta. “Quando?” domandò ancora elettrizzata la donna, un sorriso che andava da orecchio ad orecchio. Leon e Violetta si guardarono e sorrisero “Lunedì” risposero in unisono “L’altro ieri” precisò Vargas stringendo più forte la mano della sua ragazza. “E quando pensavate di dircelo!” gridò su giri Clara. “Volevamo aspettare che…”. “Cosa! Cosa! Cosa volevate aspettare! Non c’era niente da aspettare!”. “Tesoro, calmati” cercò di tranquillizzarla Alejandro prendendole le mani. La signora Vargas fece un respiro profondo e sembrava essersi tranquillizzata. “Ok. Sono calma. Continuate”. “Volevamo aspettare che Angie stesse meglio” spiegò Violetta. “Ok… va bene. Siamo molto contenti per voi” disse German alzandosi dalla sedia e stringendo forte sua figlia, lasciandole poi un bacio sulla fronte. Diede poi una pacca sulla spalla a Leon e gli sorrise. “Torniamo da Roberto, si starà chiedendo che fine abbiamo fatto” propose Alejandro alzandosi seguito dalla moglie. Clara prese Violetta sottobraccio e la trascinò alla fine del gruppo, separandola da Leon. La ragazza guardò confusa la donna, che invece la stava fissando con un gran sorriso. “Non sai quanto ho aspettato questo giorno, Vilu! Sono davvero molto felice per voi due. A Leon serve una ragazza dolce, bellissima che lo sa tenere a freno”. “Grazie, Clara. Sono felice… che tu sia felice!” esclamò scoppiando a ridere insieme alla donna. “Vi meritate di stare insieme. Dopo tutto quello che avete passato, la distanza, la gelosia… siete fatti l’uno per l’altra”. “Grazie. Ma ora andiamo che mi sembra che siano arrivati i medici”. Si affrettarono a raggiungere gli altri, ed infatti stavano parlando con un paio di dottori abbastanza maturi. “…e niente. Ora dobbiamo solo aspettare. Si rimetterà presto. Gli esami dicono che è solo una leggerissima frattura, nulla di grave, ma ci vorrà qualche settimana per far sì che guarisca del tutto”. Violetta affiancò suo padre e prese la mano di Leon stringendola forte. “E per le gambe?” domandò la ragazza “Guariranno anche quelle. Per un paio di giorni la terremo qui in osservazione, poi può tornarsene a casa. Ovviamente dovrà restare a letto avendo entrambe le gambe ingessate. Non sarà lungo il periodo nel quale non potrà camminare, ma dovrà comunque fare la riabilitazione alla fine”. “Certo, ovviamente” disse German annuendo serio. “Questo è tutto. Potete vederla, ma solo cinque minuti”. “Vado io!” esclamò schietta Violetta alzando la mano non intrecciata a quella di Leon. “Vilu… io credo sia più opportuno che vada tuo padre” disse Leon dolcemente “Cosa? No. Perché?”. “Tesoro, dobbiamo parlare un po’. Più tardi ti racconterò tutto, e domani torneremo insieme”. “Ma papà…”. “Violetta, ti prego. Torna a casa, ti raggiungerò anch’io tra poco”. La ragazza sbuffò ed annuì leggermente “D’accordo” poi rivolgendosi a Leon chiese: “Mi accompagni tu?”. “Certo!”. German salutò tutti e ringraziò Alejandro e Clara per essere andati a fargli compagnia. Raccomandò a Roberto di smetterla di sentirsi in colpa perché non era colpa sua, ed infine salutò sua figlia e Leon.
 
 
 Violetta e Leon stavano camminando mano nella mano per il parco più grande di Buenos Aires. Quel pomeriggio era particolarmente soleggiato, e non era affatto freddo purché era il 17 dicembre. “Ma… ieri di cosa stavi parlando con Alessandro?”. Violetta lo guardò confusa “Alessandro?”. “Sì, durante la ricreazione” spiegò Leon. Violetta scoppiò a ridere mentre il suo ragazzo non capiva il perché di quella risata. “Alex vuoi dire!” esclamò sorridendo. “Eh vabbè! E’ lo stesso! Hai capito su…”. “Niente, te l’ho detto. Abbiamo parlato di lui, di me, di mia madre… Lui era l’unico a sapere di lei… oltre a te ovviamente” spiegò la ragazza. “E siete molto amici?” domandò curioso Leon. Anzi, più che curioso sembrava geloso. “Sì, moltissimo”. Il messicano si bloccò di scatto accigliandosi “Cos’hai?”. “Che significa ‘moltissimo’?”. La ragazza sorrise vedendo la gelosia di Leon e scosse la testa “Moltissimo. Che significa moltissimo per te?”. “Significa che siete così amici che uno è innamorato dell’altra… o viceversa”. Violetta annuì serrando le labbra e guardando il prato del parco. “Esattamente”. L’espressione di Leon era un misto di emozioni: paura, sorpresa, confusione, curiosità e soprattutto molta, molta gelosia. Violetta, nel vedendola, rise e scosse di nuovo la testa. “Che significa?”. “Significa che lui è innamorato di me”. Leon non resisteva più, se presto non avesse preso a pugni qualcosa o qualcuno (a quel punto avrebbe preferito Alex), sarebbe scoppiato. “Da quanto?” domandò più geloso che mai contraendo la mascella. Violetta si stava divertendo un modo a vedere la faccia gelosa del suo fidanzato, e la divertiva sempre di più. “Oh… da sempre”. Il ragazzo alzò le sopracciglia e con la punta della lingua si toccò il labbro superiore cercando di rimanere calmo. “E perché lo vengo a sapere solo adesso?”. Violetta scoppiò a ridere portandosi una mano davanti alla bocca, ma si bloccò subito vedendo l’espressione del ragazzo. “Scusa, scusa”. “E uscivate spesso?”. La mora finse di pensarci su un po’, poi rispose: “Abbastanza spesso”. “Quanto?” domandò schietto e furente di gelosia Leon “Non tutti i giorni ma quasi. Di solito quando uscivamo ci trovavamo o a casa mia o a casa sua”. Leon rise per il nervosismo e si passò una mano sulla faccia. “Scusa, scusa, scusa, scusa” disse velocemente Violetta congiungendo le mani come se pregasse e parandosi davanti a lui. “Ma non puoi pretendere che ti dica che non mi vedevo con il mio migl… cioè… con Alex quando ero a Madrid. Era il mio unico amico”. “C’ero io!” gridò Leon allargando le braccia davanti a sé. “Lo sai che non avevo il coraggio di parlarti” ribatté tranquilla la ragazza “E se avessi trovato un’altra migliore amica? E se ti fossi dimenticato di me? E se ti fossi innamorato di un’altra ragazza?”. Leon si tranquillizzò e riconobbe che Violetta aveva ragione. Alex era il suo unico amico a Madrid. Lì era piena di amici che l’amavano alla follia, che le volevano un gran bene. “Ok, hai ragione. Scusami”. La mora scosse la testa avvicinandosi al suo fidanzato e prendendogli il viso tra le mani. “Non ti devi scusare. E’ normale essere gelosi… Sono io che non dovevo dirti nulla”. “No, è colpa mia che ti ho riempita di domande”. Violetta sorrise e poggiò la sua fronte su quella di Leon per poi far combaciare le loro labbra. “Dai… raccontami la storia. Ti prometto che non sono geloso” disse prendendole nuovamente la mano e sedendosi su una panchina insieme a lei. “Promesso?”. “Sì”. “Quando arrivai mi sentivo come se avessi dovuto ricominciare tutto da capo, un nuovo capitolo della mia vita. E in effetti era così. Nuova casa, nuova scuola, nuovi amici… nuova vita. Appena iniziò il secondo anno delle medie mi sentii isolata da tutto e da tutti. Gli altri ragazzi avevano già fatto amicizia con tutta la classe, ognuno aveva il proprio gruppo di amici. Si conoscevano già, ero io l’intrusa lì. Il primo giorno fu un disastro, ancora lo ricordo. Appena entrai in classe la professoressa di matematica mi fece presentare, e ricordo che ero così imbarazzata che ero diventata un peperone. Per qualche settimana i compagni di classe mi presero in giro per la mia timidezza. Ma non riuscivano a capire che essere timida è la cosa più brutta del mondo. Fa schifo. Fa schifo sentirsi sempre sbagliata, restare in silenzio anche quando vorresti sputare fuori fiumi di parole, tirarti giù le maniche della felpa coprendosi le mani, uscire sempre con i capelli sciolti per potermi nascondere dietro essi, preferire ascoltare, guardare, leggere”. Si bloccò perché sentì di essere sul punto di scoppiare a piangere. Sfogarsi con qualcuno –dopo anni- la faceva sentire bene, stare bene. “Non c’è nulla di male nel preferire ascoltare, guardare e leggere. E poi tu non sei sbagliata… sei la ragazza più forte che io conosca. Prendi come esempio quello che stai passando. Tua madre è malata, tua zia è bloccata in ospedale a causa di un incidente… e dopo tutto questo male continui a sorridere. Sorridi, sorridi e sorridi. Riesci perfino a contagiare le persone che hai intorno, con la tua risata. Non dire di essere sbagliata, perché non lo sei. Non sei neanche perfetta, ma lo sai che la perfezione non mi è mai piaciuta e mai mi piacerà. Ma tu non sei sbagliata”. Leon le prese il viso tra le mani e con i pollici le asciugò le lacrime che scorrevano sul suo viso, mentre le accarezzava le guance. Un leggero sorriso era stampato sulle labbra di entrambi. “Forse non sarò sbagliata… ma sono timida. E la timidezza è la più brutta malattia che possa esistere. Sei ansiosa per qualsiasi cosa, qualsiasi situazione, per qualsiasi persona che ti passa accanto. E’ bruttissimo lasciarsi prendere dall’ansia anche nelle cose più banali”. Il ragazzo scosse la testa per poi baciarla dolcemente e stringerla forte a sé. “La tua timidezza è generata dalla paura. La paura di restare sola… ma non sarai mai sola. E questo lo sai. Avrai sempre noi… me. Lo sai che puoi contare sempre e in ogni caso, su di me. Ci sarò sempre”. Violetta annuì e sorrise ancora dolcemente. “Grazie” sussurrò lasciando un ultimo bacio a fior di labbra, sulla bocca di Leon. Il ragazzo le riprese la mano, e lei scattò dalla panchina sorridendo “Cosa c’è?” domandò il messicano confuso ma con un sorriso sulla faccia. “Ho voglia di un gelato!” esclamò entusiasta Violetta. Leon sgranò gli occhi “A dicembre!”. “Sì! Li faranno i gelati da qualche parte, a dicembre o no?”. Leon si alzò dalla panchina e scosse la testa. “Sei unica!”. “Oh bhè… questo lo sapeva già, ma grazie per averlo ricordato”. Il ragazzo le pizzicò leggermente il fianco e lei lanciò un urlo. “Ahi!”. “Cioccolato e fragola?” le chiese alzando un sopracciglio, Violetta alzò un dito “E tanta, tanta, tanta panna!”. Scoppiarono a ridere e si avventurarono alla ricerca di una gelateria, il 17 dicembre.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Buonsalve a todossss! Ok, so che mi vorreste picchiare per questo tremendo ritardo, ma giuro che ho le mie motivazioni: non ho avuto né tempo né voglia di scrivere. Non uccidetemi! *si protegge con le mani* ma mi sono fatta perdonare con questo super capitolo! Vero? Verooo? Ditemi di si *prega* Allora… inizialmente troviamo un luuuuuuuunghissimo blocco che parla di Ludmilla. Succedono svariate cose, ma finisce con la rottura dei Fedemilla *pianto disperato* non sapete quanto mi è costato scrivere quella parte. Ma ehi… entro poco arriverà il padre di Ludmilla e… *faccia con gli occhi a cuori* ne vedremo delle belle! Secondo blocco: qui… ahahahah, sto ancora ridendo per lo svenimento della Signora Vargas (Lola non mi uccidere!)… è il top! Finalmente hanno scoperto che quei due stanno insieme… vi ci sta bene! Avreste potuto dirglielo prima! Infine l’ultimo blocco… AWWWWWWWWWW. E qui i Leonetta sono… awwwwwwwwwwwwww. Leon geloso di Alex…. Awwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwwww. Quanto è dolceeeeeee! Bene, devo assolutamente scappare. Vi prometto che per il prossimo capitolo non dovrete aspettare molto… vi dico solo che è il numero 13, e (in AMERICA) il 13 porta sfortuna… non vi dico più nulla. Bacioni e alla prossima!
#Alice_Leonetta
P.s. Lola voglio una luunga recensione. Ho scritto la maggior parte di questo capitolo in due ore solo per te! Ora vado a scrivere la tua!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Tredicesimo capitolo. ***


Appena Leon fece il suo ingresso nel vialetto di casa sua, notò che qualcosa non andava. Una macchina molto famigliare era parcheggiata di fianco a quella di sua madre. Cosa ci faceva Gery a casa sua? Parcheggiò e scese dall’auto. Prese il mazzo di chiavi che aveva in tasca e aprì la porta di casa, chiudendola subito dopo. Si sfilò il giubbotto e lo appese all’appendiabiti, posando poi il mazzo di chiavi sul mobiletto lì accanto. Sentì un vociferare e delle risate femminili provenire dalla cucina, e si affrettò a raggiungerla. “Cosa ci fa tu qui?” domandò arrabbiato Leon non appena vide la sua amica Gery seduta su una sedia accanto al tavolo da pranzo, che rideva e scherzava con sua madre. “Finalmente sei tornato, Tesoro! Vi siete divertiti?” esclamò Clara aprendo il forno e sistemando meglio le patate sbucciate e tagliuzzate nella teglia. “Ti ho fatto una domanda. Cosa sei venuta a fare a casa mia?”. Gery si alzò lentamente senza mai distogliere lo sguardo dagli occhi del ragazzo “Volevo parlare con te. E’ possibile?”. “No” rispose schietto il messicano scuotendo leggermente la testa e incrociando le braccia al petto. “Non voglio parlare con te. Vattene”. “Leon!” esclamò Clara sgranando gli occhi e lanciando un’occhiataccia a suo figlio. “E’ importante” continuò la ragazza. “Ah si? Bhè anche la mia ragione di non volerti ascoltare è importante. Ti rendi conto di cos’hai fatto ieri?”. “Sì, ed è proprio di questo che ti volevo parlare...” rispose Gery annuendo “…Leon, mi dispiace moltissimo. Non volevo fare quel che ho fatto. Non ho pensato, ho agito impulsivamente. Ero accecata dalla gelosia”. Clara si pulì le mani su uno strofinaccio e disse: “Vado a vedere se tuo padre ha voglia di mangiare un po’ di carne”, e dopodiché uscì dalla stanza lasciando i due da soli. “Davvero… mi dispiace molto”. “Ascolta, Gery. Mi dispiace ma io non provo lo stesso per te. Lo sai che sono sempre stato innamorato di Violetta, e so che questo non cambierà mai. Mi dispiace”. La ragazza annuì abbassando la testa, gli occhi lucidi “Anche a me. E mi vorrei scusare anche con Violetta”. Leon annuì guardando le lacrime della ragazza “D’accordo. Grazie per esserti scusata, è molto importante per me”. “Un’ultima cosa. Voglio che tu sappia che sei molto importante per me, Leon. E vorrei davvero che rimanessimo amici”. Il messicano sorrise ed annuì “Certo. Mi farebbe piacere. Anche tu sei importante… è grazie a te se non sono più com’ero prima”. Gery scosse la testa e poggiò le mani sulle spalle del ragazzo “No. E’ grazie a te. Sei tu che sei cambiato, io non ho fatto nulla”. “Invece mi hai aiutato molto, e credo che non finirò mai di ringraziarti”. La ragazza esitò un momento, restò incantata dagli smeraldi verdi che erano davanti a lei “Forse un modo c’è. Ma vorrei tanto che non ti arrabbiassi” disse. Fu un attimo, si alzò in punta di piedi e fece combaciare le sue labbra con quelle di Leon. Durò solo un secondo, ma per Gery era davvero il paradiso. Amava Leon da tre anni ormai, e aveva aspettato quel momento per tutto quel tempo. Si staccò e corse via da lui, salendo nella sua macchina a tornandosene a casa. Leon rimase impassibile, era diventato una statua di marmo. Non riusciva a muoversi. Clara entrò di corsa nella stanza con un’espressione preoccupata in viso “Cos’è successo?” domandò guardando suo figlio immobile. Leon batté le palpebre e si sedette dove era prima seduta la sua amica; si passò una mano sulla faccia per poi fermarla tra i capelli. “Mi ha baciato” rispose semplicemente restando a guardare un punto indefinito davanti a sé. Clara per poco non svenne un’altra volta. Si dovette tenere al ripiano della cucina, e lentamente si mise a sedere anche lei. “Com’è possibile?”. “Semplice, mamma! Tu stessa hai detto che è sempre stata innamorata di me!” esclamò il messicano alzandosi di scatto e spaventando sua madre. Aveva gli occhi lucidi, e presto sarebbe scoppiato a piangere. Si stava interrogando su quando lo sarebbe venuto a sapere Violetta. Avrebbe sofferto tantissimo, e questo non lo poteva sopportare. Sapeva che Gery era innamorata di lui, ma non pensava che lo avrebbe baciato, di nuovo. Si passò entrambe la mani tra i capelli spettinandosi il ciuffo, quando sentì il cellulare squillare dentro la tasca. Lo afferrò e rispose senza neanche guardare chi fosse “Pronto!” esclamò arrabbiato. “Uhh. Qualcuno è arrabbiato” si sentì dall’altro capo de telefono “Scusa. Cose mie… Dimmi”. “Sicuro? Vuoi parlarne?”. “No, davvero. Cosa volevi dirmi?”. “Se ti andava di venire a cena da me”. “No, Diego. Scusa. Perché non vieni tu?” domandò Leon guardando sua madre e ricevendo un approvazione. Clara mimò anche il gesto di dormire e il ragazzo capì al volo “E mia madre chiede se vuoi rimanere anche a dormire”. “Leon…”. “Se non ti va non fa niente”. “No, va bene. Ci vediamo tra poco”. “Ok, a tra poco”. Il messicano richiuse la chiamata e si rinfilò il cellulare nella tasca “Ha accettato”. “Dormite in mansarda?”. Leon annuì per poi sedersi nuovamente e bere un po’ d’acqua “D’accordo, vado a preparare i letti”. Clara uscì nuovamente dalla cucina, mentre suo figlio ancora che rifletteva sul bacio. Come lo avrebbe detto a Violetta? Come avrebbe reagito lei? Si sarebbe arrabbiata? Forse no, ma avrebbe sofferto molto. Violetta era la persona più importante della sua vita, ma questo già lo sapete… lo avremo ripetuto milioni di volte. Ma è la verità… Leon ancora non sapeva come avesse fatto a rimanere, tutti quegli anni, senza di lei. Sentì nuovamente il cellulare squillare, lo prese dalla tasca asciugandosi le lacrime e schiarendosi la voce. “Pronto?”. Neanche questa volta guardò il nome sul display “Leon…”. “Oh…Vilu!” esclamò sistemandosi composto sulla sedia, e finendo di asciugare le ultime lacrime. “Tutto bene?” domandò la ragazza sentendo la voce spezzata del suo fidanzato. “Sì, sì. Tutto bene. Come mai questa domanda?”. “Ti ho sentito… strano”. “No, sarà una tua impressione. Come mai mi hai chiamato?”. Dall’altro capo del telefono si sentì un respiro profondo, e poi qualche tentativo di trattenere le lacrime. “Amore…” disse Leon preoccupandosi “…cosa succede?”. “Nulla, nulla. E’ so-olo… è solo che…” non riuscì a terminare la frase, scoppiò a piangere ed a Leon si fermò il cuore. “Bimba, cosa succede?” esclamò alzandosi di scatto dalla sedia e tenendosi al ripiano della cucina. Violetta tirò su con il naso “Cosa succede?”. “E-e-cco… la mamma st-a-a molto ma-a-ale, e il dottore ha-a-a detto che m-m-o-o-lto probabilmente n-n-non supererà… non supererà la n-not-t-t-e” e scoppiò di nuovo a piangere. Leon si bloccò di colpo, sedendosi nuovamente, con lo sguardo assente e la bocca semiaperta, Violetta che piangeva disperata dall’altra parte del telefono. Maria? Maria stava per morire? Non avrebbe superato la notte? Com’era possibile? Non poteva finire, doveva per forza esserci una soluzione. Ma non c’era… tutti lo speravano, ma non c’era. Non era possibile. Maria sarebbe morta… nel giro di qualche ora. La mattina successiva non sarebbe più stata con loro, sarebbe già morta. Batté qualche volta le palpebre, per riprendersi ed essere forte, per sé stesso, per i suoi genitori… per la sua Bimba. Doveva restare accanto a Violetta, non doveva assolutamente lasciarla sola. Sarebbe caduta in depressione, e se fosse successo non se lo sarebbe mai perdonato. Doveva restarle vicino, abbracciarla, confortarla, baciarla… stringerla forte tra le sue braccia la sera aspettando che si addormentasse e che per qualche ora smettesse di piangere. Perché lo sapeva, sapeva che avrebbe passato giorni e giorni a piangere, settimane… se non mesi. E lui l’avrebbe sempre aiutata… non gli passava neanche per l’anticamera del cervello, di lasciarla sola. Sempre, sempre, sempre con lei. Cercò di trattenere le lacrime, si sarebbe sfogato con Diego più tardi… “Vuoi che venga lì?” chiese il ragazzo. “No. No. Sto bene… devo solo evitare di restare sola”. “Appunto! Vengo da te”. “No, Leon… davvero. Mi ha chiamato Francesca e mi ha detto che deve venire Diego. Non vi voglio rovinare la serata. Sul serio”. Leon sorrise leggermente “Lo sai che ti amo?”. Anche dall’altra parte del telefono si sentì una piccola e leggera risata angelica “Sì, lo so. Anche io, troppo. Devo andare adesso, Olga dice che la cena è pronta”. “D’accordo, Amore mio. Se hai bisogno di me non esitare a chiamarmi, a qualsiasi ora. Anche nel cuore della notte… non ci sono problemi”. “Certo. Grazie, Leon. Ti amo”. “Anche io, Bimba. A domani”. Chiuse la chiamata e infilò il cellulare in tasca. Poggiò entrambi i gomiti sul ripiano della cucina e infossò il viso nei palmi delle mani, scoppiando a piangere. Maria. Maria. Maria. Maria. No. Per favore… lei no. Non Maria. Era la persona più dolce e buona del mondo… non lei. Clara sentì dei singhiozzi e corse in cucina da suo figlio, trovandolo a piangere. “Leon! Cos’è successo!” gridò precipitandosi ad abbracciarlo. Il ragazzo strinse sua madre forte a sé, come se tramite quell’abbraccio potesse trarre l’ossigeno necessario per respirare. “Ti voglio bene, mamma” sussurrò al suo orecchio. La donna trovò strano quella confessione da parte del figlio, ma sorrise e rispose “Anche io, Tesoro. Anche io”. Sciolsero l’abbraccio e si guardarono negli occhi “Cos’è successo?” domandò nuovamente “Mi ha chiamato Vilu…”. Il cuore di Clara accelerò automaticamente, doveva per forza essere successo qualcosa. “Molto probabilmente Maria non supererà la notte”. Clara si portò una mano alla bocca e fece cadere lo straccio che aveva in mano. Si sedette e continuò a fissare suo figlio, entrambi con gli occhi lucidi e la tanta voglia di piangere. Non voleva crederci. Maria non poteva morire, era la sua migliore amica da una vita… aveva bisogno di lei. Ricordava con piacere, ma anche con molta malinconia le lunghe chiacchierate che si facevano quando erano giovani, le passeggiate in riva al mare, le serate in discoteca, le notti passate insieme a parlare… le mancava troppo. Aveva bisogno della sua migliore amica. Ma purtroppo non poteva più riaverla, un maledetto tumore gliela stava portando via… non l’avrebbe più rivista. “Vuoi far venire Vilu a dormire qui?”. Leon scosse la testa abbassandola e guardando il parquet di legno della cucina “Ha detto che vuole rimanere a casa. Le ho detto anche che sarei potuto io andare da lei, ma ha preferito di no”. “Povera piccola, non riesco neanche ad immaginare come possa sentirsi”. “Già…”. “Va’ da lei. Penso io a Diego, sono sicura che capirà”. Il ragazzo scosse nuovamente la testa “No. Preferisco rispettare quello che vuole. Se preferisce stare sola, va bene. Vorrei anche io precipitarmi lì da lei, abbracciarla e coccolarla, stringerla forte, ma se preferisce di no… ok”. Clara sorrise e si alzò abbracciando nuovamente suo figlio, per poi andare a aprire la porta a Diego, che aveva appena suonato il campanello.
 
 
 “Allora… raccontami tutto. Come va con Federico?” domandò entusiasta Alvaro, sedendosi sul divano assieme a sua figlia. Il sorriso sulle labbra di Ludmilla scomparve, spostò lo sguardo sul pavimento mentre accavallava le gambe. “Ho detto qualcosa di male?” chiese l’uomo notando l’espressione di sua figlia. “No, no. E’ solo che…” stava per scoppiare a piangere “…io e… Federico ci siamo lasciati”. “CHE!”. Sulla faccia di Alvaro comparve un’espressione come a dire ‘Ora mi racconti tutto, e ti muovi anche’. “Cosa diavolo stai dicendo, Ludmilla!” esclamò ancora perplesso Alvaro. La bionda annuì, gli occhi lucidi e tristi. L’uomo le prese le mani, e le strinse forte tra le sue “Cos’è successo? Ti va di raccontarmelo?”. “Sì”. Ludmilla prese un bel respiro profondo, per poi iniziare a raccontare “Mamma, o meglio… tua moglie, per me non è più mia madre. Non ha mai, mai accettato la mia relazione con Federico. Diceva che era brutto, spregevole, che non era giusto per me. Mi costringeva, anzi, mi minacciava… se non lo lasciavo diceva che sarebbero accadute cose brutte. Inizialmente ho provato a mentirle, dicendole che lo avevo lasciato, ma non era vero. Quando qualche giorno fa, Fede mi ha accompagnata a casa, ha scoperto che le avevo detto una bugia, e si è arrabbiata come una bestia. Poi ieri…” si asciugò le lacrime, scoppiando poi in un pianto isterico gettandosi tra le braccia di suo padre “…ieri quando mi ha detto che saresti arrivato tu, ero così felice che sono corsa per le scale urlando ‘Devo subito dirlo a Federico!’. Penso che il suo sguardo non sia mai stato così minaccioso, aveva due occhi di fuoco. Mi ha rincorsa su per le scale, prendendomi per una gamba e facendomi rotolare fino a terra. Allora ho pensato che la cosa migliore sia di doverlo lasciare davvero, non volevo che gli facesse del male… in questo modo è al sicuro. Federico è la cosa più bella che mi sia capitata, anzi dovrei dire era. Lo amo, ma la miglior cosa è restare separati, non voglio esporlo a rischi”. Le lacrime ormai scendevano come fiumi, e il cuore le faceva male. Alvaro le prese il viso fra le mani e con i pollici le asciugò le lacrime “Tesoro, ascoltami. Ora tu chiami Federico e lo inviti a cena”. Ludmilla chiuse gli occhi e scosse velocemente la testa. “No. Tua moglie non vuole neanche sentir pronunciare quel nome, pensa se lo vedesse”. “Non mi interessa nulla di tua madre”. “TUA MOGLIE” . “Chiamalo”. Alvaro tolse le mani dal viso di sua figlia incoraggiandola con lo sguardo. “No. E’ una delle persone più preziose e importanti della mia vita… non voglio fargli del male”. “E non gliene farai, te lo prometto. Parlerò io con tua madre, cioè… mia moglie… e proverò a convincerla”. “Non ci riuscirai”. “Intanto tu chiamalo”. Ludmilla fece un respiro profondo tirando fuori dalla tasca il cellulare, componendo il numero di Federico e premendo poi l’icona verde. Uno. Due. Tre. Quattro squilli, e il suo cuore che accelerava sempre di più, le gambe che tremavano “Pronto?”. La voce di Federico rimbombò nelle orecchie e nel cuore di Ludmilla. La bionda restò per qualche secondo in silenzio, poi parlò. “Federico…” sussurrò con il cuore a mille e la voce che tremava “…ti disturbo?”. “Tu non mi disturbi mai”. “Ascolta, ti andrebbe di venire a cena… qui, da me? E’ arrivato mio padre, e… v-vorrebbe c-c-onoscerti”. Dall’altro capo del telefono si avvertì una piccola risata, “Certo. Mi farebbe molto piacere”. “D’accordo, a tra poco”. “Certo”. La bionda chiuse la chiamata e rinfilò il cellulare nella tasca, spostando lo sguardo su suo padre, gli occhi lucidi. “Non voglio che gli accada nulla di male” disse quasi piangendo, di nuovo. Alvaro sorrise ed aprì le braccia davanti a sé per accogliere sue figlia, la quale ci si gettò senza pensarci due volte. La strinse forte e le accarezzò il capo, per poi baciarle la fronte “Sta tranquilla, Tesoro… ti prometto che non gli accadrà nulla”. Ludmilla gli sorrise per poi sedersi sul divano, e vedere sua madre scendere dalle scale. “Che succede qui?” chiese Priscilla tranquilla. “Federico verrà a cena” rispose Alvaro anticipando la figlia che, colta alla sprovvista, sgranò gli occhi e si voltò di scatto verso il padre. Gli occhi di Priscilla si stavano infuocando, e la bocca si aprì per gridare: “CHE!”. Ludmilla si spaventò così tanto che fece un salto sul divano, abbassò la testa come per scusarsi di qualcosa. In realtà era sua madre a doversi scusare sia con lei, sia con Federico. Era impossibile separarli. “Qualche problema?” domandò l’uomo confuso, incrociando le braccia al petto. “QUEL RAGAZZO DEVE RESTARE FUORI DA QUESTA CASA!”. “E per quale ragione? Non posso conoscere il ragazzo di mia figlia?”. A quelle parole Ludmilla ebbe un brivido che le percorse tutta la schiena, mentre un piccolo e leggero sorriso si fece strada sulle sue labbra. “Ex ragazzo. Presumo che ti abbia già raccontato tutto” ribatté Priscilla anche lei con le braccia incrociate ed un sorriso trionfante. Ecco… il piccolo e leggero sorriso sulle labbra di Ludmilla… era scomparso. “Oh, sì. Sì, certo che mi ha raccontato… mi ha detto che non hai mai accettato la loro relazione, che fai finta di essere la ‘brava mammina’ ma che invece sei un diavolo. Mi ha raccontato che l’hai minacciata, e che l’hai buttata giù dalle scale”. “Quante frottole”. L’espressione di Ludmilla si trasformò da triste ad arrabbiata nera. Cos’aveva detto? Quelle erano tutte frottole? Si alzò di scatto dal divano, lo sguardo di fuoco. “Cosa? Cos’hai detto? Tutte frottole? Tutte frottole! E QUESTI LIVIDI! COME LI SPIEGHI!”. Alzò la manica della maglietta a maniche lunghe: attorno all’avambraccio un paio di lividi belli accentuati e accanto al gomito uno più piccolo. “E questi?”. Alzò anche l’altra manica, altri quatto lividi le cospargevano il braccio. “Vuoi che continui? Ne sono piena”. “Io non ti ho fatto assolutamente nulla, Ludmilla. Sei tu che sei caduta dalle scale?”. “Raccontala come vuoi, vedremo a chi darà ragione il giudice” intervenne Alvaro circondando la vita di sua figlia ed attirandola a sé. “Vedremo” disse infine passandogli accanto ed andando in cucina per preparare la cena. La ragazza si voltò verso suo padre, cercando speraza… e la trovò. Non appena incontrò il sorriso dell’uomo si rilassò. Ma come faceva a farla sentire così tranquilla? Qualche minuto dopo il campanello di casa Ferro suonò, Ludmilla ed Alvaro si guardarono, lui sorrideva, lei era preoccupata. Si alzò dal divano raggiungendo a grandi falcate la porta, e non appena la aprì la porta il sorriso di Federico la rallegrò immediatamente. Sorrise debolmente, per poi lasciarsi stringere fra le sue braccia e lasciarlo entrare. La bionda chiuse la porta, mentre il ragazzo raggiunse il divano per presentarsi all’uomo. “Finalmente ho il piacere di conoscerti, Federico!” esclamò entusiasta Alvaro. “Oh, il piacere è tutto mio. Dopo tanto tempo era ora di conoscerla”. “No, no, no. Dammi del ‘tu’”. L’italiano rise ed annuì, mentre Ludmilla si sedé ancora sul divano. I due la imitarono ed in quel momento Priscilla tornò in salotto con uno strofinaccio con il quale si puliva le mani “Ciao, Federico!” salutò la donna “Buonasera, Priscilla. Grazie per l’invito”. “Veramente è stata un’idea di mio marito, hanno escogitato tutto alle mie spalle” disse seguendo poi con una piccola risata, mentre Ludmilla ed Alvaro di guardarono. “Bhè, grazie comunque” ripeté il ragazzo battendo le mani “Di nulla. Andate a lavarvi le mani che è pronto”. Federico e Ludmilla corsero al piano di sopra senza spicciare parola, solo qualche sguardo provocante. Prima di scendere per la cena, Federico la prese per un braccio e la trascinò in camera sua. “Aspetta… che fai? Sei impazzito!”. Chiuse la porta e ci si parò davanti “Non posso continuare così”. “Federico… lo sai come stanno le cose” rispose la bionda seria, gli occhi lucidi “E allora per quale motivo mi avresti invitato a cena?” domandò accigliato “Lo ha voluto mio padre”. “Ah, quindi se non te lo avesse detto lui non mi avresti voluto?”. Qualche secondo di silenzio, solo due cuori che battevano veloci… l’uno per l’altro. “No, non credo” mentì. Federico buttò fuori l’aria dai polmoni e le si avvicinò di più, restando a pochi passi di distanza. “Non ci credo”. “Pensala come vuoi”. “E’ tua madre che non mi vuole… non tu”. Ci fu una breve pausa, nel quale accaddero tre cose: Ludmilla guardò in alto per evitare di piangere, Federico la prese per la vita attirandola a sé… e poi la baciò. Fu un bacio al quale Ludmilla rispose subito, circondando il collo di Federico con le sue braccia, e tirandogli leggermente i capelli, mentre lui faceva scorrere le sue mani dai fianchi, al viso, al seno e poi di nuovo ai fianchi della bionda. Si staccarono solo un attimo per riprendere fiato, poi entrambi si fiondarono nuovamente sulle labbra dell’altro come se tramite esse potessero trarre ossigeno. “Dimmi che non mi ami più. Dimmelo e scomparirò per sempre dalla tua vita”. “Lo sai che non posso farlo”. “E allora perché non mi vuoi accanto a te”. “Te l’ho detto. Mia madre può essere molto pericolosa…” rispose allontanandosi di poco e tirando su le maniche della maglietta e vide l’espressione stupita del ragazzo “…e non voglio che ti faccia del male”. “Te li ha-a fatti lei?” domandò più preoccupato che stupito. La bionda annuì abbassando le maniche. L’espressione sul viso di Federico era tra l’arrabbiato e il preoccupato. “Ascolta…” disse riprendendola per i fianchi, facendo scontrare i loro petti “…te l’ho detto e te lo ripeto. Non mi interessa”. “Ma…”. “No, niente ma. Niente e nessuno mi allontanerà da te”. “Sei la persona più importante della mia vita, non posso pensare che ti sia fatto del male”. Federico sorrise dolcemente e prese il viso della bionda fra le sue mani “E nessuno me ne farà. Promesso”. La ragazza ricambiò il sorriso, lasciando poi un ultimo bacio a fior di labbra, sulla bocca del suo ragazzo.
 
 
 “E ricordatevi di fare i vocalizzi. Per il rientro dalle vacanze vorrei che componeste dei brani a coppie, scegliete voi con chi… va bene? E’ tutto. Buone vacanze, e buon Natale!”. “Buon Natale, Pablo” rispose la classe. Giovedì 18 Dicembre. Durante la terza ora Pablo aveva sostituito Gregorio, che era andato a trovare Angie in ospedale. Violetta e Leon si alzarono dal loro banco, per poi raggiungere i loro amici fuori nel corridoio. “Ancora non ti ho chiesto com’è andata la serata con Diego”. “Oh, alla grande! Ci siamo divertiti molto” rispose Leon riposando i libri dentro lo zaino “Anche se avrei preferito essere con te” si bloccò guardandola negli occhi tristi “Come stai?”. “Bene. Questa mattina la mamma stava meglio, la frequenza dei battiti del polso è tornata normale e il dottore dice addirittura che potrebbe risvegliarsi…” rispose lei con il viso pieno di lacrime, facendo un risolino. Leon alzò la testa di scatto e sgranò gli occhi “…anche se io non ci credo. I medici di Madrid sono molto più bravi di questi, e non penso che possa esserci un miglioramento”. Il ragazzo le prese le mani e le strinse forte nelle sue “Perché no? Tutto è possibile”. Violetta scosse la testa e la abbassò “Me lo sento, sta per accadere” rispose scoppiando poi in lacrime. Il ragazzo la circondò con le sue braccia possenti baciandole il capo. Non le disse nulla, non sapeva cosa dire. Anche lui se lo sentiva… Maria stava per morire. Lo sapeva, stava per lasciarli per sempre. “Tranquilla, ti starò vicino”. “Lo so”. Lui le prese il viso fra le mani e le sorrise baciandola. Erano così morbide le labbra di Violetta, così soffici che sarebbe potuto restarci attaccato per sempre. Ogni suo bacio, era come aprire per la prima volta le porte del paradiso. “Andiamo” disse Leon sorridendole ancora e prendendola per mano, raggiungendo i loro amici accanto alle macchinette. “E cosa vorresti insinuare? Che non so comporre una canzone?” esclamò Francesca fulminando con lo sguardo il suo ragazzo “No, Amore… dico solo che potremmo dividerci i compiti. Io scrivo il testo, e tu la base”. “E questo perché? Perché non sono capace a scrivere un testo, vero!”. “Allora io faccio la base e tu il testo?”. “Oh, bene! A quanto pare non so neanche comporre una base!”. Tutto il gruppo scoppiò a ridere, compresi Leon e Violetta che erano appena arrivati e che avevano sentito solo una parte del discorso, o meglio, della litigata di Francesca e Diego. “Fran, non ti sta criticando, sta solo dividendo i compiti” spiegò Camilla ancora che rideva “Ti ci metti anche tu!”. La rossa alzò le mani ancora con un sorriso sulle labbra. “Lasciamo stare” disse Diego, essendo stato contagiato dalle risa degli amici. L’italiana si voltò di scatto verso il suo ragazzo e lo polverizzò con lo sguardo “NON LASCIAMO STARE PER NIENTE!”. Partì un’altra risata, e così continuò per qualche manciata di minuti. “Vilu… come sta tua madre?” chiese improvvisamente Francesca facendo diventar serio tutto il gruppo, che si voltò verso Violetta. “Sai… Diego mi ha detto che…” si interruppe ricevendo una gomitata dallo spagnolo, che ha sua volta aveva ricevuto un’occhiataccia da Leon. “Oh, certo. Bhè… è stabile. Questa mattina stava meglio, e il dottore dice che potrebbe migliorare… ma io non ci credo”. “Però potrebbe esserci questa possibilità” intervenne schietta Ludmilla preoccupata come gli altri. Violetta alzò le spalle “Non so”. “Qualunque cosa accada sappi che io ci sono, Vilu…” disse Camilla poggiandole una mano sulla spalla “…tutti noi ci siamo” si corresse guardando il gruppo. La ragazza sorrise, gli occhi lucidi. A tutti sarebbe mancata Maria, ma se c’era anche una piccola possibilità che si risvegliasse, bhè… avrebbero sperato fino alla fine. “Grazie, ragazzi”. “Lo sai che le vogliamo molto bene” disse Federico sorridendo “Già. E’ stata una seconda madre per tutti noi” aggiunse Brodway. “Sì, me lo ricordo bene” rispose la Castillo con le lacrime che le rigavano il viso. “Vi ricordate tutti quei pomeriggi in piscina?” esclamò Francesca anche lei con gli occhi lucidi, sorridendo al gruppo “Come dimenticarli, Fran!”. “Le torte che ci preparava!” disse Andres “Mamma mia! Quelle erano il top!”, Federico era sempre il solito. “Ma vi ricordate quando abbiamo fatto quel piccolo concerto a casa di Vilu? Mi ricordo perfettamente che Maria, alla fine ci aveva premiato tutti con delle piccole medagliette” ricordò Ludmilla. “Io quella ce l’ho ancora!” rispose Camilla alzando la mano. Tutti avevano le lacrime agli occhi, chi per la gioia nel ricordare quei tempi, chi per la gioia e il dolore per stare per perdere Maria, e chi, come Violetta, per la felicità nell’avere amici come quelli che aveva.
La campanella dell’ultima ora suonò, i ragazzi erano più stanchi del solito. A sostituire Angie all’ultima ora c’era Beto… DUE ORE DI LATINO! E chi le sopportava! Fortunatamente il giorno dopo sarebbe stato l’ultimo prima delle vacanze di Natale… e sarebbe stato anche il compleanno di Leon. Violetta aveva chiesto alle ragazze se nel pomeriggio la potessero accompagnare in centro per prendergli un bel regalo, e loro ovviamente avevano accettato. Ludmilla non si sarebbe mai fatta scappare un’occasione per fare shopping, e poi sarebbe stato un momento perfetto per passare un pomeriggio tra amiche. Avevano invitato anche Bel… e Gery. Isabel aveva accettato molto volentieri, ma Gery aveva altro da fare. “Allora alle 4.30 passi da me, eh Fran” disse Violetta puntandole un dito contro per ricordarglielo, prima di salire in macchina “Sì, Vilu! Me lo ricordo! Vengo alle 4.30 e poi passiamo a prendere le altre!”. “D’accordo, a più tardi”. Si salutarono, ed ognuno partì. Leon –come sempre- accompagnò Violetta, era il momento ideale per raccontarle del bacio di Gery. Doveva farlo, sentiva un peso sullo stomaco. E poi se lo avrebbe scoperto da sola sarebbe stata ancora più delusa. “Certo che due ore di latino ti stracciano!” esclamò lei, facendolo scoppiare a ridere. “Già”. “Lo sai che ti sei dimenticato lo spazzolino, l’altra sera?”. “Ecco perché non lo trovavo più!”. “E non ti sei fatto nessuna domanda che lo avresti potuto lasciare da me?” domandò Violetta stupita, alzando le sopracciglia. Leon fece finta di pensarci un po’, poi storse la bocca e rispose di no. La ragazza scosse la testa e sorrise guardando la strada davanti a loro. “Io ho già qualche idea per la canzone di Pablo, se ti va sabato pomeriggio possiamo iniziare a fare il compito”. “E chi te l’ha detto che voglio farlo con te?” chiese sorridente spostando lo sguardo dalla sua ragazza alla strada. Violetta alzò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto, accavallando le gambe “E con chi scusa? Con ‘Gery’?” chiese facendo il segno delle virgolette. Leon scoppiò in una fragorosa risata contagiando anche la sua ragazza “Bhè, in realtà non canta mica male”. La mora lo fulminò con lo sguardo “Scherzo, scherzo”. “Bravo, Bimbo”. “Ehi! Solo io ti posso chiamare Bimba!”. Violetta alzò le mani in segno di scuse “Senti… ti devo dire una cosa”. La ragazza notò lo sguardo e il tono serio di Leon e si preoccupò “Qualche problema?”. “No, però lasciami finire” fece un respiro profondo e ricominciò “Quando sono tornato a casa, ieri pomeriggio, ho trovato Gery. Le ho chiesto cosa voleva e mi ha detto che voleva scusarsi sia con me che con te”. Si interruppe voltandosi verso la ragazza, un’espressione neutra “L’ho ringraziata, e poi abbiamo iniziato a parlare di varie cose… e alla fine…”. “…ti ha baciato” lo bloccò lei, finendo la frase al suo posto. Nel frattempo erano arrivati a casa Castillo e Leon aveva spento il motore “Come lo sai?”. “Me lo ha detto oggi quando tu e Federico eravate andati in aula magna”. “So che sei arrabbiata”. “Invece no”. Il messicano si accigliò “Per quale motivo?”. “Non l’hai baciata tu, non ne hai colpa. O sbaglio?”. Leon sorrise, quanto la amava? Come faceva a fidarsi così di lui? Certo, non c’era mica da dubitare, però… Le si avvicino prendendole il viso tra le mani, e dolcemente la baciò lasciandole un piccolo morsetto sul labbro inferiore. Violetta rispose al sorriso ed aprì la portiera dell’auto, seguita dal messicano. “Ma la prossima volta vorrei che fosti tu a dirmelo”. “Ma non ci sarà una prossima volta”. “Giusto”. Violetta infilò la mano dentro la tasca dei jeans ed estrasse la chiave di casa, la inserì nella serratura ed aprì la porta. Non appena guardò dritto davanti a sé, il mondo le crollò addosso, il sorriso scomparve, le gambe iniziarono a tremare e il cuore ad accelerare. German, Roberto, Alejandro, Olga e Clara erano seduti sui due divani bianchi in pelle, tutti con le lacrime che scorrevano sul viso. Non c’era molto da chiedere, era tutto chiaro. Era accaduto, quella mattina… proprio come aveva detto Violetta. Maria era morta.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
Buonsalve! Lo so, lo so. Vi avevo promesso che il capitolo sarebbe arrivato presto, ma anche io ho avuto i miei imprevisti… ed ora sono davvero di corsa, quindi non potrò riassumere il capitolo. Vi dico solo una cosa: ve lo avevo detto che il 13 porta male. Non ve la prendete, ma l’ho dovuto far accadere. So che il capitolo riceverà molte recensioni negative, a causa di questa perdita… ma le accetterò. Ora scappo! Recensite, mi raccomando. Bacioni e alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Quattordicesimo capitolo. ***


Inutile dire che il pomeriggio di quel 18 Dicembre, a casa Castillo, regnò il silenzio. Olga era tornata in cucina a dare una sistemata, Roberto faceva compagnia a German, nel suo studio, mentre Clara ed Alejandro erano tornati a casa. Leon e Violetta erano saliti in camera di quest’ultima, la quale si alternava tra il piangere a dirotto e il riprendersi ma essendo assente con la mente. Nessuno dei due parlava, non avevano né il coraggio, né la voglia, né la forza. Erano rimasti sdraiati sul letto per tutto il pomeriggio. Lui la teneva stretta a sé, circondandola con le sue braccia. Quel momento era decisivo, se l’avrebbe lasciata sola anche solo per qualche ora, sarebbe crollata, non ce l’avrebbe fatta a sopportare un peso ed una responsabilità così grande. Era troppo per lei. Violetta era tanto, troppo fragile per rimanere sola in quel momento. Aveva bisogno di tutto l’appoggio dei suoi amici, ma soprattutto di Leon. Se l’avrebbe lasciata sola, sarebbe caduta in depressione. Maria era morta, e nessuno poteva più farci nulla. Li aveva lasciati, per sempre. Violetta non aveva più una madre. German non aveva più una moglie. Clara non aveva più una migliore amica. Nessuno l’aveva più. Era andata via, e non sarebbe mai più tornata. L’unico pensiero che Violetta riusciva a fare, era che in quel momento, sua madre stava bene, non soffriva più. Aveva bisogno di Leon, e sapeva che lui ci sarebbe sempre stato… in quel momento era lì, con lei, la teneva stretta… non poteva chiedere un sostegno migliore. “Come ti senti?” domandò Leon, che anche lui –di nascosto- aveva pianto. Non voleva farsi vedere debole dalla sua Bimba, doveva essere forte per lei. Anche a lui, dispiaceva un sacco, Maria era una delle persone più buone e gentili che potessero mai esistere. Aveva gli occhi gonfi e rossi, ma mai come quelli di Violetta. “Normale” rispose lei con voce flebile, con voce spezzata. Aveva smesso di piangere da un po’, Leon aveva anche provato a convincerla ad addormentarsi per qualche ora, ma ovviamente lei aveva rifiutato. Se avesse dormito, era sicura che le sarebbe apparsa sua madre, molto probabilmente in uno dei suoi soliti incubi. Forse investita da una macchina, o caduta da una scogliera, o ancora, uccisa. Le avrebbe fatto male, ancora più male di quanto non stesse già provando. “Sei sicura di non voler dormire un po’? Ti farebbe bene”. Violetta scosse leggermente la testa, poggiata sul petto di Leon. “Ho paura”. “Dovrai farlo, prima o poi”. “Posso dormire da te, stanotte?” domandò improvvisamente la ragazza alzando leggermente la testa ed incrociando gli smeraldi di Leon. “Certo”. “Grazie” rispose sorridendogli leggermente “Lo sai che per te ci sono, e ci sarò sempre”. “Sì, lo so”. “Ti posso fare una domanda?”. “Sì”. “Ti immagini mai come sarà la nostra vita, quando saremo grandi?”. Violetta alzò gli occhi per incontrare nuovamente quelli del ragazzo, poi si sistemò meglio fra le sue braccia e infine si mise seduta per guardarlo meglio. “Certo, ogni volta che guardo i tuoi occhi. Sai, è la cosa che mi piace di più. So che un giorno andremo a vivere insieme e non mi importa se la casa sarà piccola, il nostro amore è già grande. La mattina ti guarderò dormire, finché non ti sveglierai. Poi andremo a preparare colazione insieme e i nostri baci sapranno di caffè, croissant, e amore. In settimana avremo i nostri impegni, tra il lavoro e l’università ma il weekend lo dedicheremo a noi. Magari passeremo un weekend fuori città per staccare, oppure andremo all’Ikea e prenderemo qualcosa da aggiungere a casa nostra. Tornati a casa tu metterai insieme i pezzi, come sai sempre sistemare le cose e io ti aiuterò nel mio piccolo. In casa nostra ci sarà tanta musica, tanti libri e luce. Cucineremo insieme e tu ruberai del cibo dal mio piatto, o finirai la mia parte dato che non ti sazi mai!” dice facendo poi una piccola risata. Guardava il sorrido di Leon, e intanto pensava che non poteva esistere niente di più bello. “Passeremo le domeniche pomeriggio ad organizzare i nostri viaggi, ma dopo poco finiremo abbracciati sul divano, perché comunque il posto più bello di tutti rimangono le tue braccia. Comprerò i dolci solo perché so che ti piacciono e tu mi lascerai scegliere cosa guardare alla televisione perché a me piace scegliere. E anche se alla fine non guarderemo il programma scelto da me, io non ti ringrazierò mai abbastanza di avere scelto me tra tutte le altre” disse infine rimanendolo a guardare negli occhi. Nocciola e verde. Verde e nocciola. “Lo sai che non ho mai sentito una dichiarazione d’amore così bella?”. “Ma questa non era una dichiarazione d’amore… era la risposta alla tua domanda”. Leon la strinse nuovamente fra le sue braccia, e infine l diede un lungo bacio passionale. “Ti amo” sussurrò sulle sue labbra morbide e carnose “Anch’io”. “Dobbiamo scendere a dirlo a tuo padre”. “D’accordo”. Insieme si alzarono lentamente dal letto, lui la teneva sempre stretta a sé, e quando passarono davanti alla porta della stanza di Maria, a Violetta si contorse lo stomaco. Affondò il viso nel petto di Leon, ma riuscì lo stesso a scendere le scale. Una volta giunti davanti allo studio di German, la ragazza bussò e si sentì un flebile: “Avanti”. Si trovarono davanti i due occhioni di German: rossi e gonfi; mentre Roberto davanti a lui, si soffiava il naso in un fazzoletto di stoffa. “Papà… questa notte posso andare a dormire da Leon? Non me la sento di rimanere qui” chiese Violetta tranquilla, con un’espressione assente, e altrettanto era German… assente. Tutti assenti, espressioni tristi e vuote. “Va bene, Tesoro. Ricordati di prendere tutto”. “Certo, grazie, papà”. “Leon, posso parlarti due minuti? Vilu tu intanto sali a preparare le cose”. L’uomo lanciò un’occhiata d’intesa a Roberto, il quale capì al volo, alzandosi dalla sedia ed uscendo dallo studio, per lasciarli soli. “Siediti”. “C’è qualche problema?” domandò il ragazzo facendo ciò che gli era stato detto, ed incrociando le braccia al petto. “Bhè, non più di quello che stiamo vivendo” rispose facendo una breve pausa “Ti volevo solo chiedere di prenderti cura di mia figlia. E’ la cosa più preziosa ed importante che possiedo, la mia ancora di salvezza. Non voglio vederla depressa, ti chiedo di farla sorridere… sempre”. Leon serrò le labbra fra loro, per poi distogliere lo sguardo e ancora portarlo negli occhi del migliore amico di suo padre. “German… questo l’ho fatto e lo continuerò a fare sempre. Anche per me, Violetta è la persona più importante e speciale della mia vita. Neanche io voglio vederla in questo stato, mi si spezza il cuore tutte le volte che piange fra le mie braccia. In ogni momento cerco di confortarla, di farla sorridere o almeno di proteggerla. Forse ti sembrerà strano quello che ti sto per dire, ma… credo proprio che sia l’amore della mia vita”, fece una piccola risatina spostando lo sguardo e guardando nel vuoto “So che niente può essere certo e definitivo alla nostra età, ma non so… è una mia sensazione”. Sulle labbra di German era stampato un piccolo sorriso, gli occhi brillavano. “So che il vostro è un amore vero, lo è sempre stato. Ti ringrazio, Leon. Grazie davvero”. “Non devi ringraziarmi, io lo faccio perché la amo”. “Lo so”. Intanto Violetta al piano di sopra stava finendo di sistemare il pigiama nello zaino blu. Si voltò verso la scrivania e scorse il suo diario sotto qualche libro e quaderno. Era da un po’ che non ci scriveva, così lo afferrò e si gettò sul letto con la penna in mano.
Mamma è morta. E’ andata via per sempre. Ci ha lasciati… tutti. Il dottore ieri ha detto che non avrebbe superato la notte, invece è accaduto questa mattina, mentre ero a scuola. Al rientro a casa ho trovato papà, Olga, Roberto, Clara e Alejandro che stavano piangendo sul divano. Non mi è stato difficile capire cos’era successo. Leon è rimasto con me, ora sto andando a casa sua, passo la notte con lui. Ne ho bisogno più che mai. Oggi mi ha chiesto se ogni tanto mi immagino la nostra vita insieme, e gli ho risposto con delle frasi che non so neanche io dove le ho trovate: So che un giorno andremo a vivere insieme e non mi importa se la casa sarà piccola, il nostro amore è già grande. La mattina ti guarderò dormire, finché non ti sveglierai. Poi andremo a preparare colazione insieme e i nostri baci sapranno di caffè, croissant, e amore. In settimana avremo i nostri impegni, tra il lavoro e l’università ma il weekend lo dedicheremo a noi. Magari passeremo un weekend fuori città per staccare, oppure andremo all’Ikea e prenderemo qualcosa da aggiungere a casa nostra. Tornati a casa tu metterai insieme i pezzi, come sai sempre sistemare le cose e io ti aiuterò nel mio piccolo. In casa nostra ci sarà tanta musica, tanti libri e luce. Cucineremo insieme e tu ruberai del cibo dal mio piatto, o finirai la mia parte dato che non ti sazi mai! Passeremo le domeniche pomeriggio ad organizzare i nostri viaggi, ma dopo poco finiremo abbracciati sul divano, perché comunque il posto più bello di tutti rimangono le tue braccia. Comprerò i dolci solo perché so che ti piacciono e tu mi lascerai scegliere cosa guardare alla televisione perché a me piace scegliere. E anche se alla fine non guarderemo il programma scelto da me, io non ti ringrazierò mai abbastanza di avere scelto me tra tutte le altre. Non so, forse sembrerà stupida e sciocca la cosa che sto per dire, ma credo proprio che Leon sia l’amore della mia vita. So che niente può essere certo e definitivo alla nostra età… ma non so, me lo sento. Ora devo andare, è tardi e dobbiamo ancora andare a casa sua.
Richiuse il diario, le lacrime che le rigavano il viso, e lo infilò nello zaino, per poi chiudere la cerniera e scendere al piano di sotto. Improvvisamente la porta dello studio di German si aprì, e ne sbucò una Violetta con uno zaino blu sulle spalle “Io sono pronta” informò, sempre inespressiva. German si alzò dalla sedia, e Leon lo imitò. Si parò davanti a sua figlia e l’abbracciò più forte che poteva. “Sta’ attenta, e soprattutto non allontanarti mai da Leon”. Violetta si accigliò sciogliendo l’abbraccio “Papà, non sto mica andando in guerra”. Da parte di tutta partì una piccola risata, German lasciò un bacio sulla fronte di sua figlia, per poi abbracciare anche Leon. Si sentì il campanello suonare “Vado io” disse l’uomo facendosi strada fra i due “Devono essere i ragazzi… li ho informati io” disse il messicano guardando la sua fidanzata, la quale annuì tristemente. German aprì la porta, e da un’espressione triste si trasformò in stupita e felice. “Vilu, credo sia per te!” esclamò restando a fissare il ragazzo alto e robusto in piedi fuori dalla porta. Violetta lentamente camminò verso la porta “Sì, sono i ragazzi, ve… Oh, Santo cielo!” gridò portandosi le mani davanti alla bocca per coprire il sorriso che andava da orecchio ad orecchio, come se in quel momento dovesse nascondere di essere felice. Intanto Leon, rimasto sulla soglia dello studio, non capiva cosa c’era da sorprendersi così tanto… erano solo i loro amici. Quando Violetta si gettò al collo di Alex, lui la strinse forte. “Non ci posso credere!” esclamò una volta sciolto l’abbraccio. Leon, sempre più confuso, raggiunse i due sulla porta e quando vide la causa di tanto stupore, non ne fu molto sorpreso… anche se avrebbe dovuto. “Cosa ci fai qui?” domandò German con un sorriso a trentadue denti, guardando i due ragazzi che scioglievano l’abbraccio. “Mi sono trasferito a Buenos Aires!” esclamò il francese “Proprio oggi!”. “Entra, Alex… così parliamo meglio” lo invito l’uomo. Il ragazzo francese, insieme a Violetta, Leon e German, si accomodò sul divano in pelle bianca. La ragazza si voltò a sinistra, ed incrociò lo sguardo di fuoco del suo fidanzato, poi si rese conto di non averlo ancora presentato. “Oh, Alex! Lui è Leon” disse rivolgendosi al suo amico, e presentando il suo ragazzo. “Finalmente ti conosco! Violetta mi ha parlato molto di te” rispose Alex porgendo la mano al messicano “Mi spiace non poter dire lo stesso di te” ribatté Leon stringendola con forza. In quel momento, Violetta si rese conto di aver commesso un enorme sbaglio… forse doveva parlare un po’ di più di Alex. Ma Leon lo sapeva, sapeva che il suo unico amore era sempre stato e sempre sarà solo lui; nessun altro riuscirebbe ad occupare quel posto nel suo cuore… e Violetta sapeva che anche per lui era lo stesso. “Allora… raccontaci. Quando? Perché? Dove? Come? Perché non ci hai informati?” domandò German entusiasta del nuovo arrivato. Voleva un gran bene a quel ragazzo, era stato lui l’unico amico di Violetta, quando erano appena arrivati in Spagna, e doveva ringraziarlo. Alex era stato un po’ come una salvezza per sua figlia, ed era felice ch quei due fossero amici. Ma German sapeva che Alex non sarebbe mai potuto essere come Leon. Leon era… era… Leon. Nessuno sarebbe riuscito a dividere Violetta e Leon. Erano destinati a stare insieme, ancora prima di nascere. “Papà! Fallo respirare”. “Tranquilla, Vilu. Ehm… bhè sono arrivato questa mattina. Mi sono trasferito qui per il lavoro di mia madre. E’ stata spostata in questa città, e adesso lavora all’ospedale San José, in centro” spiegò Alex guardando i presenti. “Ma è dove è ricoverata Angie!” esclamò Violetta guardando suo padre e ricevendo un’approvazione. “Davvero? Allora vi posso aiutare per qualsiasi cosa. Contate pure su di me, non ci sono problemi, davvero”. “Grazie, Alex. Dove abiti?”. “Non molto lontano da qui… la via si chiama Mauricio Ponce, e il numero è il 34”. “No, infatti è a cinque minuti a piedi”. Improvvisamente Violetta fu assalita da un dubbio “Ma… come hai fatto a sapere dove abito, io?”. Al francese scappò una piccola risata, poi prese il cellulare e lo mostrò alla sua amica. “Non ti ricordi? Quando sei arrivata hai fatto una foto alla casa, e si vedeva anche l’indirizzo”. Partì una risata fragorosa da parte di tutti… eccetto uno. A Leon non andava proprio giù quel ragazzo. Poteva sopportarlo a chilometri di distanza da Violetta, ma ora che vivevano a due passi l’uno dall’altra… non lo poteva accettare. Violetta era la sua bambina, e guai a chi l’avrebbe toccata. Soprattutto se era innamorato di lei! “Bimba, si è fatto un po’ tardi. Non credi sia ora di andare?” chiese il messicano alzandosi dal divano e porgendole la mano “Sì, hai ragione. Meglio andare” rispose, poi si voltò verso il suo amico e gli rivolse un sorriso “Ci vediamo domani?”. “Oh, certamente! Da domani sarò in classe con voi!” esclamò sorridente. Ecco. Il cuore di Leon si bloccò, mentre nelle vene gli scorreva veleno su veleno. Ora anche in classe! No, no, no. “Che bello! Allora ci sentiamo domani mattina! Ti passiamo a prendere noi, così andiamo insieme. Va bene, Amore?” domandò la ragazza rivolgendosi al suo fidanzato, il quale accennò un finto sorriso “Certo! Non vedo l’ora”. “A domani, allora”. “Certo, a domani”. E insieme uscirono, chi felice, chi triste, e chi in preda alla gelosia.
 
 
 Si erano riuniti tutti a casa di Maxi, in quel momento si trovavano nel grande seminterrato. Leon aveva chiamato Diego, e l’aveva informato dell’accaduto, così lo spagnolo corse subito dai suoi amici e si misero d’accordo per vedersi. Nessuno sarebbe riuscito ad affrontare quel periodo da solo, sarebbero stati l’uno accanto all’altro… ma soprattutto a Violetta. Non riuscivano neanche ad immaginare come fosse perdere una madre, una figura di riferimento. Sapevano che ci sarebbe stato Leon, ma anche lui sarebbe crollato prima o poi. “Non voglio immaginare come si sente Vilu, in questo momento” disse Ludmilla accoccolandosi tra le braccia del suo ragazzo. Erano seduti tutti in cerchio; chi su delle sedie, chi su delle giganti poltrone morbide, e chi su dei divanetti. “Leon mi ha detto che andavano a dormire da lui” informò Diego, guardando i suoi amici con gli occhi lucidi. C’era chi piangeva, chi singhiozzava e chi cercava di resistere. Maria era importante per tutti loro, ed ora che l’avevano persa, non sarebbe più stato lo stesso. “Riuscite a credere che Gery ha avuto la faccia tosta di insulare Violetta, davanti a me?” disse Francesca nervosa. All’uscita dalla scuola, si era allontanata con Gery per chiederle degli spartiti per il lavoro di Pablo, mentre lei già stava insultando Violetta. “Cosa ti ha detto?” domandò Camilla tranquilla, asciugandosi le lacrime, per poi poggiare la testa sulla spalla di Brodway. “Che pensa solo a sé stessa, che è arrogante, presuntuosa e che approfitta di Maria solo per stare con Leon”. “Lo sai che Gery è sempre stata innamorata di Leon, Amore” rispose Diego guardandola negli occhi. “HO CAPITO! MA FINO A DIRE CHE SI APPROFITTA DI MARIA, SOLO PER STARE CON LUI, MI SEMBRA TROPPO!”. “Ha ragione, Fran. Certo, è gelosa, ma ha oltrepassato il limite” intervenne Maxi, che stava giocando con i capelli di Nata. “Non lo trovo giusto. Mi è sempre stata simpatica, ma dopo questo…” disse Ludmilla. “Diego, perché non provi a risentire Leon?”. “Sì, hai ragione, Fede”. Lo spagnolo afferrò il cellulare dalla tasca, e compose il numero del suo migliore amico, dopo quattro squilli rispose. “Leon… tutto bene?” domandò, per poi mettere il vivavoce. “Sì, siamo arrivati da poco. Vilu sta sistemando le sue cose”. “Come sta?”. “Oh, bhè… domanda di riserva?”. Diego guardò Federico, e capendosi subito lo spagnolo rispose “Vuoi che veniamo da te?”. “No, grazie, Diego. Non si respira un’aria molto serena. C’è tanta tensione, molte lacrime, e da qualche minuto anche molta, molta gelosia”. I ragazzi si accigliarono, guardandosi uno ad uno. “Cosa intendi?”. “Ti ricordi Alex? L’amico di Violetta? Quello di Madrid?”. Diego fece un verso d’approvazione, curioso di ascoltare la risposta dell’amico “Bhè, da domani sarà in classe con noi”. “CHE!” gridarono tutti in coro. “Per caso hai messo il vivavoce?” domandò ironico “Comunque, sì. E’ arrivato questa mattina, ed è passato a ‘salutare’ Vilu”. Il ragazzo dall’altro capo del telefono cercò di soffocare una risata, era la prima volta che sorrideva dalla brutta notizia. “Ti immagino”. “Fammi il piacere, eh!”. “Va bene, dai. Se hai bisogno chiamami…” poi alzò lo sguardo su tutto il gruppo “…chiamaci”. Leon dall’altra parte sorrise “Certo. Grazie, ragazzi. A domani”. “Ciao, Leon! Salutaci Vilu”. “Va bene, ciao”. Lo spagnolo chiuse la chiamata e bloccò il telefono, infilandolo nuovamente nella tasca dei pantaloni. Nessuno parlò per almeno cinque minuti, solo sguardi… e pianti. Intanto ricordavano con piacere, ma anche con molto dolore, le avventure passate con Maria. “Ricordate quando un’estate siamo andati al mare, tutti insieme, e Maria ha organizzato un mini-concerto sulla spiaggia?” domandò Ludmilla sorridendo, con gli occhi lucidi. Sulla bocca di tutti si stampò un sorriso, mentre gli occhi erano immersi nel vuoto, ricordando scene di quel giorno. “E’ stato davvero uno dei giorni più belli della nostra infanzia!” esclamò Brodway, ricevendo un’approvazione da parte del gruppo. “Ricordate invece quando ci ha accompagnato al concerto di Abraham Mateo! Un sogno che si avvera!” disse Francesca. “Sì, era venuta anche mia madre e quella di Camilla” ricordò Maxi. “Me lo ricordo benissimo. E’ stato anche quando Fede si stava per strozzare con i pop-corn” scherzò Ludmilla, ricevendo un’occhiataccia dal suo fidanzato. “Che poi, solo tu ti puoi portare i pop-corn ad un concerto!” esclamò Nata, facendo ridere tutti. Ecco la prima, vera risata. “Ancora oggi, se li porta, eh. Non ha mica smesso” rispose la bionda. “Scusatemi, ma se io ho fame come faccio?”. “Esistono i panini, amico!” rispose schietto Andres, che fino a quel momento non aveva aperto bocca… e per la prima volta nella sua vita, era stato appoggiato da tutto il gruppo. “Andres caro, è la prima volta che dici qualcosa di giusto e sensato” intervenne Camilla poggiandogli una mano sulla spalla. “Come fai a cantare, se mangi i pop-corn?” chiese Bel, rimasta in silenzio anche lei. “E’ proprio per questo, che si stava strozzando a quel concerto. Aveva infilato i pop-corn in bocca, poi era partita la sua canzone preferita ed aveva iniziato a cantare come un matto… qualche secondo dopo era rimasto senza respiro”. “Può capitare” si difese l’italiano alzando le mani. “Io credo di no, Amore” lo prese in giro Ludmilla, lasciandogli poi un bacio sulle labbra. Erano innamorati come il primo giorno. “Ragazzi… a me manca moltissimo” intervenne improvvisamente Francesca asciugandosi una lacrime con il dorso della mano. Diego l’abbraccio forte, circondandola con le sue braccia. L’italiana cercò di resistere, di non scoppiare a piangere davanti ai suoi amici… ma non ci riuscì; tutti l’avrebbero capita; i migliori amici esistono per questo. Camilla la seguì, portando le ginocchia al petto ed infossandoci il viso, ormai rigato dalle lacrime. Poi toccò a Nata, che fu seguita da Ludmilla… e così via, per far piangere perfino Isabel, che non la conosceva come loro. Mancava a tutti… e non sarebbe più stata la stessa cosa, senza di lei.
 
 “No, grazie, Clara. Non ho più fame” disse Violetta cercando di sorridere alla donna, che le aveva offerto un altro po’ di purè. “Vilu, non hai mangiato praticamente nulla” intervenne Alejandro poggiando una mano sulla spalla della ragazza. “Lo so… ma, ho lo stomaco chiuso”. “Anche noi, tesoro, ma devi mangiare qualcosa”. Clara guardò suo figlio, che scosse leggermente la testa, così portò via la pentola con dentro il cibo. Leon prese la mano della sua ragazza, e la strinse forte nella sua, come per infonderle coraggio, come per farsi sentire vicino. Violetta gli sorrise, gli occhi lucidi e la testa che le scoppiava. Sua madre era morta, e nessuno poteva più fare niente… né lei, né suo padre, né Leon, né i dottori… nessuno. Ormai se ne era andata, e lo doveva accettare. “Vuoi andare a dormire?”. La ragazza annuì, per poi alzarsi e dare la buonanotte a Clara e Alejandro, e ringraziarli per l’ennesima volta. I ragazzi salirono in camera, e si sdraiarono sul letto; Leon la circondò con le sue braccia e la fece accoccolare al suo petto. Voleva tranquillizzarla e farla dormire, aveva bisogno di dormire. “Ho bisogno di te” sussurrò Violetta, bagnando la camicia di Leon. Il ragazzo rise leggermente, poggiò due dita sotto al mento della mora e i loro occhi si incontrarono. Verde e nocciola. Nocciola e verde. “Ma lo sai che io ci sono”. “Sì” rispose facendo una pausa “Ma intendevo un’altra cosa” rispose, sempre senza mostrare emozioni. Il messicano si accigliò, non capiva. “Quale?” domandò confuso. Violetta si sentì in imbarazzo, sorrise leggermente serrando le labbra fra loro. Poi poggiò una mano sulla guancia di Leon e cominciò a baciarlo… sempre più appassionatamente. Gli morse il labbro inferiore, mentre le loro lingue danzavano. Divaricò di poco le gambe e lo fece passare sopra di lei, mentre Leon si teneva in equilibrio con le braccia. Ora gli era chiaro cosa intendeva. Si staccò dalle labbra morbide, soffici e bellissime della sua fidanzata, con molto disapprovo “No, aspetta… non possiamo”. “Leon, per favore” sussurrò supplicando Violetta, riprendendo a baciarlo… ma lui era ancora contrario. “Bimba, ti prego. Non… non è il momento”. La ragazza si morse il labbro “Leon… per favore, in questo momento –più che mai- ho bisogno di te, ho bisogno di sentirti vicino… e questo è l’unico modo” rispose accarezzando la sua guancia “Ti prego” sussurrò ancora, riprendendo a baciarlo. “Ma non abbiamo i…”. “Non fa niente” disse Violetta non lasciando che finisse la frase. Si staccarono per un momento, e ancora una volta nocciola e verde. “Sei sicura?”. La ragazza fece un respiro profondo per poi annuire. “D’accordo”. Leon infilò una mano sotto alla felpa della mora, e lentamente fece scivolare anche l’altra afferrandone i lembi. Gliela sfilò con grazia, per poi lanciarla dietro le proprie spalle. Fissò per un secondo, la sua ragazza stesa sul suo letto… seminuda. Neanche il più bel panorama del mondo poteva battere Violetta in quel momento. Intanto i minuti passavano, e mentre i loro corpi si intrecciavano, e le loro lingue danzavano… Violetta era la ragazza più felice del mondo. Stava facendo l’amore con il ragazzo che amava, e in quel momento si sentiva più bene che mai… anche se sua madre era morta. Leon aveva il potere di farla stare bene, ed era sicura che non sarebbe mai cambiato.
 
ANGOLO AUTRICE:
MA CIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIAO! Prego… uccidetemi. So che sono stata molto assente, ma non ho davvero avuto tempo per scrivere. Allora questo capitolo è un po’ più corto degli altri… ma mi sono fatta perdonare con l’ultimo blocco?!?!?!?!?!!?? *faccia perversa* Che ne dite? Ne è valsa la pena aspettare? Bene, lasciate una recensione e per tutti i chiarimenti scrivetemi in privato. Bacioni e alla prossima!
#Alice_Leonetta
P.s. Ah! LOLA AGGIORNA!
P.s.s. Giuro che sto scrivendo il capitolo successivo di Io&Te,… scusate se non l’ho aggiornato ma come vi ho detto non ho avuto tempo! CONTENTE LULU’! AHAHAH BACIIIII

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Quindicesimo capitolo. ***


Erano ormai passati alcuni mesi da quel 18 Dicembre. La famiglia Castillo si era quasi ripresa dalla perdita di Maria, e Angie era tornata a camminare perfettamente. Quel giorno, a scuola, si respirava un’aria di festa. Entro pochi giorni ci sarebbe stato il ballo per il rientro di Angie. Tutti gli alunni della scuola avevano proposto ad Antonio di festeggiarla in quel modo, e lui aveva –ovviamente- accettato. L’intero istituto era super felice che Angie fosse tornata. Nessuno stava più nella pelle per la festa. “Ok, ragazzi…” iniziò Maxi sedendosi sul divanetto nel suo seminterrato. Di solito si riunivano lì per fare le prove della band (avevano deciso di formare tre band: una composta dai ragazzi, una dalle ragazze e un’altra tutti insieme). “…dobbiamo decidere cosa suonare alla festa”. “Giusto. Io propongo di scrivere tutte le canzoni e di selezionarle” intervenne Francesca alzando la mano. “Non c’è bisogno, Fran” disse Federico “Io propongo di iniziare con ‘Es mi pasion’, così presentiamo entrambe le band. Poi due canzoni i ragazzi, due le ragazze, ed infine di nuovo tutti insieme”. “A me sembra fantastico!” esclamò Violetta battendo le mani come una bambina. Era una delle persone più felici al mondo, in quel momento. Era insieme ai suoi amici, insieme al ragazzo che più amava, stavano organizzando la festa per il rientro di sua zia a scuola, e per di più avrebbe anche fatto la cosa per la quale andava matta: cantare e ballare. Mancava solo una cosa: una madre. Tutti sembravano approvare l’idea, così iniziarono a sistemare gli strumenti. Decisero che per primi avrebbero suonato i ragazzi. “Un attimo, mancano Alex e Gery” fece notare Diego. “Bhè, lo sai come sono quei due… staranno facendo qualcosa di…” Leon non terminò la frase, ma diede una leggera gomitata al suo amico e gli fece l’occhiolino, sorridendo. L’intero gruppo scoppiò a ridere, ed in men che non si dica il seminterrato si riempì di risate. “Ragazzi! Non siate cattivi!” intervenne Ludmilla, accavallando le gambe. “Non siamo cattivi, biondina. Diciamo solo le cose come stanno” rispose Leon alzando le mani, e ricevendo un’occhiataccia da Violetta. “Provo a chiamare Gery” disse Nata alzandosi dalla sedia e dirigendosi al piano di sopra con il cellulare tra le mani. A quanto pareva, Alex e Gery si erano innamorati al primo incontro… quando si dice ‘amore a prima vista’. In quel modo, Alex dimenticò Violetta, e Gery dimenticò Leon. E nessuno dei due era più geloso dell’altro. Tutto era sistemato, tutto era perfetto… troppo perfetto. Ma Francesca aveva uno strano presentimento, aveva paura che sarebbe accaduto qualcosa di brutto, di molto brutto… entro poco tempo. Nata tornò dagli altri, annunciando che i loro amici sarebbero arrivati entro pochi minuti, così decisero che ad iniziare sarebbero state le ragazze, visto che Gery non faceva parte della band… lei frequentava il Liceo Artistico. “Quale canzoni facciamo? Io direi di iniziare con ‘Alcancemos la estrellas’ e finire con ‘Encender nuestra luz’” propose Ludmilla, ricevendo l’approvazione del resto del gruppo. “D’accordo… uno, due… tre!”. E la musica partì, le chitarre, la batteria, le tastiere, e la voce. L’intero seminterrato rimbombava di una delle più belle canzoni che avessero mai scritto, ed i ragazzi erano affascinati dalle loro fidanzate.
Las luces, los flashes, la musica serà la clave…
Sia Pablo che Antonio, gli avevano chiesto se potevano suonare durante questa festa per Angie, ed ovviamente loro avevano detto di sì. Amavano sia cantare, sia ballare e suonare. Si promisero che una volta finita la scuola, sarebbero rimasti tutti uniti, ed avrebbero continuato a suonare insieme. Bel annunciò a tutti che sarebbe rimasta a vivere a Buenos Aires, e Camilla non ne poté essere più felice.
Oye mi corazon como se acelera cuando el publico espera,
no, nada me va a parar.  Que sube el telòn, que empience la funciòn.
Nel frattempo Alex e Gery arrivano, e si accomodarono di fianco ai loro amici. Le ragazze avevano terminato la canzone, così ricevettero un grande applauso ed addirittura dei fischi di bravura. Decisero che si sarebbero alternati a suonare. Così le ragazze si accomodarono sui divanetti e i ragazzi, compreso Alex, afferrarono gli strumenti per iniziare a suonare. “Io propongo di cantare prima ‘Mi princesa’ e poi ‘Màs que una amistad’” propose Federico accordando la chitarra e rivolgendosi al gruppo di amici “Perché a posto di ‘Mi princesa’ non facciamo ‘Ven con nosotros’?” domandò Brodway. “Noooooo” risposero tutti in coro, come dei bambini che si lamentano. Le ragazze scoppiarono a ridere, ed i loro fidanzati le seguirono a ruota. “Va bene, dai… iniziamo” disse Leon facendo segno ad Andres di dare il via. Il ragazzo batté tre volte le bacchette della batteria ed insieme iniziarono a suonare.
 
 
 Violetta e Leon stavano camminando ormai da venti minuti, e a Violetta cominciavano seriamente a dolere i piedi. Leon non voleva rivelarle dove erano diretti, quindi era costretta a seguirlo. “Senti non ne posso più!” disse per l’ennesima volta, lasciandosi trascinare per un braccio. In quel momento stavano percorrendo una via alberata. C’erano palazzi e negozi –di tutti i generi: alimentari, calzolaio, sartoria, panificio, pizzeria…-. “Siamo arrivati”. “E’ quello che continui a ripetere da quindici minuti, Leon!”. “No, ora siamo davvero arrivati”. Violetta sbuffò ancora, notando la fine della strada. Era un vicolo cieco, non c’erano altre uscite. “Ma dove…” non riuscì a finire la frase, che proprio in fondo alla strada intravide un negozio, più precisamente un autofficina. Un paio di minuti dopo ci si fermarono davanti. Leon si voltò verso di lei e le rivolse un dolce sorriso. “Vieni. Voglio farti conoscere una persona molto importante, per me”. Entrarono lentamente nel posto, notando un uomo con dei baffi bianchi ed arricciati, dietro una scrivania, che –molto probabilmente- appuntava l’incasso del giorno. Quando li vide avvicinarsi, alzò la testa e mostrò un bel sorriso. “Leon!” esclamò l’uomo, uscendo da dietro la scrivania ed andando a salutare ed abbracciare il ragazzo. “E’ da un po’ che non ti fai vedere. Tutto bene?”. “Tutto ok, Fernando. Ho avuto qualche impegno, ma non mi dimentico mai di passare” rispose il messicano, sfoderando il suo sorriso migliore. Chi poteva essere quell’uomo? Un amico di famiglia? Il padre di qualche suo conoscente? O solo un meccanico molto simpatico che conosceva Leon? La sua età si aggirava sulla cinquantina d’anni. Di sicuro non poteva essere un compagno di classe! “Oh, lei è Violetta. Violetta, Fernando” presentò Leon. Entrambi porsero la mano destra e la strinsero l’una nell’altra. “Ah! Quindi sei tu Violetta! Finalmente ho il piacere di conoscerti. Sai, ho sentito tanto parlare di te” informò l’uomo lanciando un’occhiata a Leon, il quale arrossì leggermente e guardò poi la sua ragazza, che stava sorridendo. “Dov’è?” chiese Leon guardandosi intorno, ovviamente alla ricerca di qualcuno. “E’ di là, vado a chiamartelo” annunciò Fernando dando una pacca sulla spalla al ragazzo, e passando in una porta, che conduceva in un’altra stanza. Violetta si voltò verso il suo fidanzato, confusa. “Non capisco. Chi è quell’uomo?”. “E’ il proprietario di questa officina. Il capo di uno dei miei più grandi amici. Ti ricordi? Te ne ho parlato…”. La ragazza aprì la bocca per dire qualcosa, ma proprio in quel momento, Fernando fece ritorno. Dietro le sue spalle un ragazzo alto, i capelli color oro e due occhi azzurri. Si stava pulendo le mani sporche di grasso, in una pezza bianca oramai sporca anche quella. Il ragazzo sembrava sorpreso tanto quanto lo era stato Fernando, nel vedere Leon. Sgranò gli occhi ed un sorriso che andava da orecchio ad orecchio si fece largo sul suo viso. Gettò la pezza a terra e si affrettò ad abbracciare Leon. “Non ci posso credere!” esultò poco dopo, sciogliendo l’abbraccio. “Pensavo ti fossi dimenticato!” disse ancora. “Mai”. “Ce l’hai fatta a passare! Quant’è che non ci vediamo? 5 mesi?”. “Forse” rispose Leon, sempre con quel sorriso che incanterebbe chiunque. “Violetta…” disse poi rivolgendosi alla sua ragazza, “…lui è Josh. Josh, Violetta… la mia ragazza”. In quel momento, Violetta ricordò tutto. Ricordò della prima serata trascorsa con Leon dopo il suo ritorno a Buenos Aires. Ricordò che l’aveva inseguita dopo che erano saliti a trovare sua madre, Maria. E ricordò che Leon le aveva parlato di quello che gli era successo, durante la sua assenza: “E’ iniziato tutto quando avevo quindici anni. Era appena iniziato il secondo superiore, e stava per venire il mio compleanno. Volevo festeggiare in discoteca, con tutti i compagni di classe. Ti ricordi il Vampires Black?” chiese. Violetta annuì sorridendo “Ovvio! Avevamo solo undici anni e già volevamo andare in discoteca!” esultò. Leon annuì sorridendo e serrando le labbra. “Ecco, proprio lì. Avevo invitato tutti, nessuno escluso! E’ stata una serata bellissima, all’insegna del divertimento. Credo di non essermi mai divertito come quella sera, è stata davvero memorabile”. Sorride, al ricordo della sera al Vampires Black, poi torna serio, abbassando la testa sui suoi piedi. “Quella sera… non so come, ma dei tipi di 5E, sono venuti a sapere della festa. Diciamo che io e Andres ci discutevamo spesso all’inizio, poi però siamo entrati nella loro banda. Uscivamo sempre con loro, trascurando i nostri veri amici. Ma loro diciamo che ci passavano sopra. Erano sempre comprensivi, con noi. Ogni tanto li trattavamo male, gli lanciavamo insulti a più non posso, ma loro non reagivano. Forse perché sapevano che prima o poi sarei tornato ad essere uno di loro, sarei tornato ad essere loro amico. Insomma… sono arrivati in discoteca, dicendo ai buttafuori che io li conoscevo, e che eravamo amici. La discoteca era tutta per noi, poi quando sono arrivati loro è scoppiato il putiferio. Abbiamo fatto uscire le ragazze, mentre i miei amici sono rimasti con me. Dicevo loro di andarsene, che avremmo sistemato tutto semplicemente parlando. Ma Josh, il ‘capobanda’, mi chiese perché non avessi invitato il mio ‘migliore amico’. Ovvero lui. Ma questo lo pensava, solo ed esclusivamente lui. Il mio migliore amico, era ed è Andres. Non lo sostituirei per nulla al mondo. Diciamo che si sono arrabbiati per non averli invitati alla festa. Che cazzoni. Diciotto anni e sembrava che ne avevano due. E’ scoppiata una rissa, e quelli che ci hanno rimesso erano i miei amici. Federico soprattutto, era quello che ci aveva difeso di più. Mi sono sentito subito in colpa, ed il giorno dopo ho cercato di rimediare, tornando a chiedere scusa ai ragazzi. Ma loro non ne volevano più sapere di noi, anzi di me. Avevano sopportato fin troppo, e me lo meritavo. Andres si separò da me, dal gruppo di Josh. Tornò con i suoi veri amici. Io continuai insieme a loro. A scuola ci andavo raramente, e quelle poche volte che mi presentavo facevo sempre scoppiare una rissa, o ero impreparato. Ma non mi importava… ormai la mia vita era a capo sotto”. Leon continuava a guardare dritto davanti a sé, con gli occhi gonfi di lacrime, e i sensi di colpa che tornavano a farsi sentire. Raccontare del passato faceva male, faceva molto male. Violetta iniziò a tremare, un po’ per il freddo che la stava ghiacciando fin dentro le ossa, un po’ per tutta quella situazione che aveva vissuto Leon. Doveva salvarlo, doveva assolutamente salvarlo. Si promise che gli avrebbe fatto dimenticare il suo passato. Non sapeva ancora come, ma ci sarebbe riuscita. “Passavo pomeriggi interi con Josh e con la sua banda. Tra discoteche, Night club, spinelli, canne e giri di droghe, certe volte non tornavo neanche a casa. I miei genitori erano sempre più preoccupati, volevano addirittura portarmi da uno di quei strizzacervelli. Ovviamente mi rifiutai, ma continuai la mia vita come al solito. La sera andavo a ballare, e mi facevo una tipa. Tre ore ed era tutto finito. Cercavo conforto nell’alcool e nel sesso. Ma l’unica cosa di cui avevo bisogno, era avere qualcuno accanto. Avere qualcuno per cui lottare, qualcuno con cui ridere e scherzare. Fare battutine ed offendermi, per poi ricominciare a ridere insieme. Qualcuno con cui andare a ballare la sera, ma senza fare sciocchezze. Ballare e magari bere qualcosa. Avevo bisogno di qualcuno da proteggere, una figura al mio fianco che ormai era andata via”. Si voltò verso Violetta, la quale aveva in volto pieno di lacrime. Non riusciva a credere alle parole pronunciate da Leon. Aveva passato tutto quello? Aveva davvero sofferto così tanto? Aveva passato un’adolescenza così difficile? Perché non ne era mai venuta a conoscenza? Perché nessuno gliene aveva mai parlato? Era sicura al cento per cento, che suo padre sapeva tutto. Ma perché non ne ha parlato con lei? Avrebbe potuto far qualcosa! Avrebbe potuto aiutare Leon, anche da lontano. Avrebbe potuto chiamarlo, sarebbero potuti stare al telefono per ore ed ore, senza che lui soffrisse così tanto. Era colpa sua. Si sentì tremendamente in colpa, e ciò non fece altro che farla piangere di più. “A scuola, per fortuna non fui bocciato. Non so che miracolo sia stato, ma fui promosso con solo due debiti. L’estate passò in fretta, sempre alla solita maniera, e quella cosa mi mancava sempre di più. Non riuscivo a trovarla. Avevo bisogno di una faccia amica, una persona con cui potermi confidare e sfogare. Poi mi ricordai che l’anno prima, una ragazza si era avvicinata al nostro gruppo. A scuola la cercai, e fortunatamente mi ricordai il suo nome. Gery” fece un sorriso, fissando il vuoto. A Violetta si gelò il sangue, ed improvvisamente si irrigidì. Gery. “Fu l’unica che mi perdonò per tutto l’accaduto, perché sì, c’era anche lei quella sera in discoteca. Mi sfogai con lei, raccontandole tutto e pian piano mi ripresi. All’inizio del terzo anno, cercai di riavvicinarmi ai miei amici, ma niente. Non riuscivano a perdonarmi, ed avevano ragione. Gery cercò di farli ragionare. Nel mentre, una sera, ero appena uscito da un Night club, e mi ero fatto una tipa. Improvvisamente, ancora non so perché, Josh comincia ad urlarmi contro. Ora che ci ripenso, forse era ubriaco. Si mise ad urlare fuori da locale, ma toccò un tasto dolente, che non doveva toccare”. Fece una pausa, accendendosi un’altra sigaretta e facendo fuoriuscire il fumo. “Te” disse solamente. Con calma finì il mozzicone, e come il precedente lo gettò al di là della staccionata. Si voltò verso Violetta, impassibile dall’inizio della storia, e in quel momento più confusa. Sorrise amaramente, scuotendo la testa e distogliendo lo sguardo. “Molte volte volevo scriverti. Volevo sentire come stavi, se ti eri ambientata. Insomma, mi mancavi. Non immagini quante volte ho scritto e cancellato i messaggi. Non sai quante volte mi sono impaurito. Avevo paura che ti fossi dimenticata di me. Che ti fossi dimenticata di tutto il nostro divertimento e… ne soffrivo molto. Josh era sempre presente, all’inizio. Mi incoraggiava a scriverti, a mandarti quei fottutissimi messaggi. Ma non premevo mai il tasto ‘invio’. Avevo paura. Alla fine si era scocciato anche lui, di sentirmi e di incoraggiarmi. Perché tanto sapeva che non ti avrei mai scritto, o chiamato. Quella sera, mi urlò… bhè, cose brutte, su di te. Ad un certo punto non ci ho visto più: mi sono voltato ed ho cominciato a picchiarlo. Stavo picchiando un ragazzo ubriaco che non era cosciente di quello che diceva. Stavo picchiando un ragazzo che, per un periodo, si era rivelato un buon amico, anche se una cattiva compagnia. Quando tornai lucido, e vidi il sangue sulle mie mani, scappai in preda al panico. Lo lasciai lì, sanguinante e senza conoscenza. Era svenuto. A quel punto i sensi di colpa, presero il sopravvento. Morivo dentro ogni giorno. Ricominciai ad andare a scuola, ad impegnarmi nello studio. Andavo sempre meno in discoteca, ma ogni tanto mi concedevo qualche ‘ragazza facile’. Sono riuscito a far a meno degli spinelli e della droga. Ma il fumo è rimasto. E’ l’unico vizio che non sono riuscito a togliere. Con il passare del tempo, ricominciai a parlare con Andres. Lui era ed è il mio migliore amico. Mi aveva perdonato già da un pezzo, solo che io ero troppo stupido per accorgermene. Pian piano ho riacquistato il rapporto con tutti i compagni, e per fortuna sono stato perdonato. Ora raramente vado in discoteca. E se ci vado, vado con Andres, Maxi, Brodway, Federico e Diego. Non vado mai da solo, e non faccio più nessuna sciocchezza. A parte, delle volte che facciamo a gare a chi beve più shortini. Sono quello che vince sempre!” esclama entusiasta, con un sorriso dolce sulle labbra. “Josh se l’è cavata. E’ tornato alla vita di sempre, ed anche lui mi ha perdonato. Ogni tanto ci vediamo, e ci incontriamo per bere qualcosa insieme. Anche lui ha smesso con i suoi giri di droghe, fuma solo, come me. Siamo diventati buoni amici, ed ora lavora in un’officina al centro. Anche lui ama i motori! Due anni insieme, e non ne avevamo mai parlato. Ci siamo accorti che condividevamo la stessa passione quando, per caso, una sera eravamo in un bar, e stavano trasmettendo una gara di moto. E da lì, ne parliamo quasi sempre”. Josh aprì la bocca, ancora più stupito di quando aveva visto il suo amico. Non sapeva che dire, era rimasto senza parole. Allungò la mano per stringere quella delicata e fragile della ragazza accanto al suo amico. Squadrò Violetta dalla testa ai piedi, e la trovò semplicemente bellissima. “Credo che sia un’allucinazione. Devo essermi addormentato sotto la macchina del Signor De La Fuente, mentre aggiustavo il motore”. Tutti i presenti scoppiarono in una fragorosa risata, mentre Josh non credeva ancora ai suoi occhi. “No, amico… è vero”. “Bhè, allora sono onorato di conoscerti, Violetta. Credo che Leon… scusa, volevo dire, credo che il tuo ragazzo ti abbia raccontato il perché del mio stupore”. Violetta rise leggermente, e sia Josh sia Leon, trovarono quella risata così dolce, delicata e sensuale. “Sì. Mi ha raccontato già tutto. Ed anche io sono felice di conoscerti. Sono contenta che dopo quello che avete passato siate così amici”.
 
 
 “Credo sia ingiusto! Lasciar decorare la palestra tutta a noi!” esclamò Francesca attaccando un disegno disegnato, colorato e ritagliato da lei, sul vetro della palestra. “Fran, non siamo pochi, mancano solo Violetta e Leon” le urlò Ludmilla dall’altra parte della sala, salendo su una scala –retta da Federico- per appendere un festone. “Sì, ma con loro due avremmo fatto prima!” rispose l’italiana. La bionda stava quasi per cadere, ma Federico fu più veloce e la tenne per le gambe. “Amore… certo che potevi salire tu, eh!”. “Lo sai che soffro di vertigini!”. “Oh, certo! Soffri di vertigini quando ti pare! Mi sembra che quando siamo andati a Barcellona, e siamo saliti sulla ‘Sagrada Familia’ non soffrivi di veritigini!”. L’italiano alzò le mani “Punti di vista”. Intanto, Diego, Maxi, Andres e Brodway stavano cercando di disporre i tavoli in modo da riuscire a ballare. “Sentite, se li mettiamo tutti di fila, uno attaccato all’altro, chi vorrà prendere da bere, dovrà andare alla fine della sala, mentre il cibo sarà all’inizio!” esclamò esausto Maxi sistemandosi il berretto. “Per me invece è più appropriato” intervenne Brodway poggiando le mani sui fianchi. Almeno si farà un po’ di movimento. “No, no, no” disse Diego agitando le mani, come per impedire a qualcuno di superarlo come se fosse in macchina. “Li dobbiamo disporre a ferro di cavallo, in questo modo, sia bevande che cibo, saranno insieme”. “Io sto con Diego!” esclamò Andres alzando la mano per poi dare una pacca dietro alla nuca all’amico spagnolo. “Ok, mi arrendo” annuì infine Maxi alzando le mani “Disponiamoli a ferro di cavallo… sono troppo stanco per discutere”. I ragazzi sistemarono i tavoli per i buffet come avevano concordato, mentre le ragazze, con l’aiuto di Federico ed Alex addobbarono la sala. A fine ‘lavoro’ si riunirono per brindare insieme. “Sapete che fine hanno fatto Violetta e Leon?” domandò Alex sorseggiando un po’ di coca-cola. “Leon mi ha detto che voleva far conoscere Violetta a Josh” rispose Diego. “Josh? Non è il ragazzo con il quale aveva litigato?” chiese Nata. “Sì”. “Ma da tempo hanno risolto tutto, ed ora sono molto amici” spiegò Andres. “Cos’è successo?” domandarono in coro Bel e Alex.Il gruppo si voltò verso i due che non sapevano nulla. Ovvio che non potevano sapere, non c’erano. Cominciarono a raccontare tutto, tralasciando qualche dettaglio ma approfondendo alcuni. “Non ci posso credere” disse alla fine della storia Alex. “Devono essere sempre stati innamorati l’uno dell’altra”. “Infatti è così” disse Ludmilla. “Solo che se ne sono resi conto tardi” intervenne Francesca. “Bhè… meglio tardi che mai”, Diego le circondò le spalle con il braccio, lanciandole un’occhiata provocatoria e l’italiana capì che non si stava riferendo solo alla relazione tra Violetta e Leon, ma anche alla loro. “E’ vero… ma credo che ad influenzare la loro reazione sia stato il trasferimento dei Castillo” disse Camilla bevendo della Fanta. “Cosa intendi?” domandò Federico giocando con delle ciocche bionde della sua ragazza. “Credo che se non fossero partiti, a causa del lavoro di German… bhè, ora avrebbero festeggiato più di un anniversario”. “Sì, la penso come te” l’assecondò Nata. “E’ vero, ma è anche vero che Violetta non poteva certo decidere se rimanere a Buenos Aires, e di sicuro non da sola” parlò Federico. “E chi l’ha detto che sarebbe rimasta da sola. C’erano Angie e sua nonna. E poi sapeva benissimo che poteva restare a casa mia o di Fran, o di Ludmilla o Nata”. “Io però penso, per quello che ho capito… che sia stato meglio che sia partita” intervenne Isabel. “Perché dici questo?” domandò Ludmilla confusa. “Bhè… non credo che a quell’età si sia coscienti di quel che si fa. Anche se Violetta fosse rimasta a Buenos Aires, anche se si fosse fidanzata con Leon subito… non credo che a quest’ora sarebbero stati ancora insieme”. “No, non li conosci. Si amano praticamente da quando sono nati” rispose Camilla. “Non so… io la penso così”. “Può anche essere come dice Bel” disse Maxi indicandola alzando una mano. “Sì, può essere; ma credo che quei due siano destinati a stare insieme” continuò Camilla. “E’ vero. Non credo che si lasceranno mai” intervenne Francesca sorridendo “Sono davvero felice per loro, se lo meritano; dopo tutto quello che hanno passato, se lo meritano”. “Sono d’accordo con te, Fran” concordò Nata sorridendole. Alex era rimasto a guardarli, senza spicciare parola. Era vero che ormai erano amici da più di tre mesi, ma si sentiva comunque un estraneo. Si conoscevano tutti da quando erano piccoli, ed era come se non esistesse (secondo lui). “Bhè… abbiamo fatto proprio un bel lavoro!” disse Ludmilla sorridendo e guardandosi intorno. “Siamo troppo grandi!” esclamò Diego alzando il bicchiere di plastica contenente della coca-cola. “Cin-cin a noi!” esultò Camilla alzandosi. “CIN-CIN A NOI!” gridarono tutti imitandola. E si ritrovarono a chiacchierare fino a tardi nella palestra della scuola, dove il giorno dopo si sarebbe svolta la festa in onore di Angie.
 
ANGOLO AUTRICE:
Scusaaaaaaaaaaaaaaaatemiiiiiiii! Lo so, sono in tremendo ritardo. Ma siccome il mio computer è spastico, malato, stupido e non mi viene nient’altro… ho dovuto riscrivere il capitolo perché mi si era cancellato. Mi ha fatto così anche con il capitolo di Io&Te… quindi, LULU’…. MI RIVOLGO A TE… AGGIORNERO’ NON APPENA RIUSCIRO’ A RISCRIVERLO!! Ahahahahahah I Love You! Cooomunque. Fatemi sapere cosa ne pensate. Vi piace Josh *faccia pervertita di WhatsApp*, nella mia testa è swaajsbidbefvfewkbfuewribneiwb*---* Capito no? Eh! Deeeeeevo andare. Fatemi sapere se vi piace, se non vi piace, se avete trovato degli errori di grammatica e/o battitura e SOPRATTUTTOOOOOOOO siete andati a leggere la mia OS????!??!?!?!?!!?! NO, VEROOO?!?!?! BHE’, COOORRETEEEEEEE! SI CHIAMA ‘E fra 60 anni…’. Devo ammettere che ho ricevuto parecchi messaggi positvi… quindi… FILATE! Scappo! Bacioni e alla prossima!
#Alice_Leonetta
P.S. VADO AL CONCERTO DI LODOOOOOOOOOOO!! CALCOLATE CHE STO SCLERANDO DALLE 13.47 DI QUESTO POMERIGGIOOOO!
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Sedicesimo capitolo. ***


Francesca e Violetta, stavano finendo di sistemare l’occorrente per la festa di Angie. Gli addobbi erano perfetti, i tavoli non occupavano troppo spazio, ed il palco era pronto per far scatenare tutti.  “Non mi sono mai piaciute le feste, ma questa è per Angie, quindi credo che mi divertirò”. “Certo che ti divertirai, Vilu! Dopotutto, è stata una tua idea, ed Antonio e Pablo ne erano super contenti” le rispose la sua migliore amica. “Hai ragione, Fran. In fondo, è una festa, devo divertirmi”. Entrambe sorrisero e sistemarono l’ultimo microfono, per poi scendere dal palco ed ammirare il lavoro che avevano fatto, insieme ai loro amici. “Diego ci ha detto che ieri tu e Leon siete andati a trovare Josh”. Violetta sorrise, chiudendo le porte della palestra, ed avviandosi verso il suo armadietto. “Già, ci ha presentati, e poi siamo andati a cena tutti insieme”.  “Sono molto amici” disse l’italiana appoggiandosi ad un armadietto, aspettando la sua amica che prendeva l’occorrente per la lezione di Angie. “Sì, l’ho notato. Ma è un bene, dopo tutto quello che gli è successo…”. Francesca sorrise ed annuì, poi insieme si avviarono alla loro classe. La campanella della fine della ricreazione non era ancora suonata, rientrando in classe trovarono Gery e Leon a discutere. Pareva che nessuno se ne fosse accorto, forse perché si trovavano in un angolo della stanza, e con tutto il rumore nessuno riusciva a sentili. Violetta lanciò uno sguardo preoccupato ed accigliato alla sua amica, che lo ricambiò nello stesso momento. La mora gettò i libri sul banco raggiungendo di corsa il suo ragazzo e Gery. “A me non sembra, Leon!” gridò la messicana. I due si voltarono all’arrivo delle ragazze. “Ehi, che succede?” domandò Violetta affiancando il suo ragazzo. Gery lanciò un’occhiata di fuoco prima a Leon, poi a Violetta ed infine a Francesca. “Ecco. Appunto” disse solo la ragazza, per poi andare via, uscendo dall’aula di corsa. Violetta si pose davanti a Leon, con le braccia strette al petto. “Di cosa stavate discutendo?”. Il messicano scosse la testa e sorrise, porgendo le braccia alla sua ragazza, ma lei non si mosse di un centimetro, così lui si avvicinò e la strinse a sé. Accanto a Violetta, Francesca incrociò gli occhi verdi del ragazzo, e vide in loro una certa preoccupazione. Il suo istinto non la ingannava. Il brutto presentimento che aveva avuto il giorno prima, era fondato; e la lite di Leon e Gery era solo l’inizio. “Buongiorno, ragazzi!”. Beto entrò in classe con un sorriso a trentadue denti, inciampando nella gamba di un banco e facendo volare tutti i fogli che aveva in mano. L’intera classe scoppiò a ridere, compresa Violetta che in quel momento era davvero delusa da Leon. “Sto bene! Sto bene!” gridò l’insegnante tirandosi in piedi, con gli occhiali sulla bocca ed i capelli in disordine. “Sicuro, Beto? Le diamo una mano?” domandò Maxi porgendo le mani al professore ma ridendo ancora. “No, no, Maxi. Sto bene. Allora…” ricominciò cercando di sedersi sulla sedia, ma mancandola. Un’altra risata partì dalla classe, ma per fortuna il professore si rimise subito seduto. “…aprite il libro di latino” continuò. Intanto tutti si erano seduti, ancora con un sorriso sulla faccia. “Scusi, Beto…” disse Nata alzando la mano “Sì, cara?”. “Dov’è Angie? Questa sarebbe l’ora di italiano”. “Oh, Angie mi ha chiesto di sostituirla, oggi, in quest’ora. Ha detto che…” ma togliendo il tappo ad una penna, voltò in alto fino a cadergli sulla testa. Inutile dire che partì un’altra fragorosa risata. “…ha detto che aveva da fare una cosa molto urgente” finì Beto. “Bene, oggi parleremo della quinta declinazione”. La lezione iniziò, e Francesca sussurrò una cosa all’orecchio di Violetta: “Mi ha detto una mia amica di 5°A che anche Pablo oggi è assente”.
 
 
 La campanella della fine delle lezioni suonò, e tutti si affettarono ad uscire dal’enorme edificio per godersi il week-end. Violetta, Francesca, Camilla, Nata, Ludmilla, Bel, Leon, Diego, Brodway, Maxi, Federico e Andres si diressero verso la palestra, dovevano ancora provare per la serata per la festa dedicata ad Angie. Violetta non voleva parlare con Leon, molte volte durante le due ore di lezione con Beto, lui aveva cercato di parlarle, ma lei si era limitata ad annuire o scuotere la testa. Perché Leon le avrebbe dovuto mentire sulla sua discussione con Gery? Perché non le aveva detto la verità? Entrarono in palestra, ed una volta che tutti furono dentro, Federico si affettò a chiudere le porte. “Che ne dite se iniziamo a provare ‘Es mi pasion’?” domandò Diego salendo sul palco ed indossando la chitarra. “Per me va bene. Poi però dobbiamo provare più volte ‘Crecimo Juntos’, perché l’altro giorno a casa di Maxi non lo abbiamo provata!” intervenne Brodway imitando Diego. “D’accordo. Iniziamo” disse Ludmilla una volta che tutti si furono posizionati. Iniziarono a suonare, e qualche secondo dopo la voce di Leon rimbombò nella sala. Provarono tutte le canzoni, ed alla fine, vista l’ora decisero di tornare a casa per prepararsi. “Diego, a che ora passi a prendere Ludmilla?” domandò Francesca prendendo il suo zaino dal pavimento e mettendolo in spalla. “Verso le 20.30, va bene biondina?” domandò lo spagnolo alla sua migliore amica. La ragazza annuì e sorrise, in quel momento Federico le circondò la vita. “Non ci sono problemi, passo io a prenderla”. Francesca, Diego e Ludmilla lo guardarono con un’espressione come a dire ‘Hai per caso un cervello di gallina?’. “Fede, ti sei dimenticato di Priscilla?” chiese l’italiana. Il ragazzo aprì la bocca, e solo in quell’istante si ricordò che la madre della sua ragazza lo detestava. Ok, no, detestare non era il verbo adatto… lo voleva vedere proprio morto. “D’accordo allora. Verso le 20.30 passo da te, e tu fatti trovare pronta fuori casa dieci minuti dopo” disse Diego prima parlando alla sua amica bionda e poi alla sua fidanzata. Entrambe annuirono ed insieme uscirono dalla sala, salutando i loro amici che ancora stavano parlando. Intanto Violetta e Leon stavano cercando di parlare, accanto al palco. “Va bene se passo alle 21? Sai, devo fare una cosa…”. Violetta annuì, raccogliendo il suo zaino. “Cosa?” domandò completamente inespressiva ed incrociando le braccia sotto al seno. Leon portò una mano dietro alla nuca, e distogliendo lo sguardo rispose: “Oh, nulla d’importante. Mamma mi ha chiesto di aiutarla a spostare delle cose in soffitta” mentì. Violetta annuì leggermente ed unì le labbra, sempre più spazientita. Perché Leon le stava mentendo? Notando la sua espressione, Leon le alzò la testa per far incrociare i loro occhi. Verde e nocciola. Nocciola e verde. “Cos’hai, Bimba?”. “Nulla” rispose schietta la ragazza. “Non è vero”. “Sì ch’è vero!” esclamò, aprendo le braccia davanti a sé, guardandolo con gli occhi lucidi. “Ehi…” disse il messicano dolcemente, vedendola in quello stato. Cercò di stringerla a sé, ma lei lo spinse via, cercando di andare. Lui la prese per un braccio, trattenendola. “Ehi, ehi… calma, cos’hai?” le chiese ancora una volta. Ormai con il viso rigato dalle lacrime, Violetta affondò la faccia nel petto del ragazzo, il quale la circondò con le sue possenti braccia. La lasciò sfogare, accarezzandole la nuca e la schiena. Una volta calmata, le prese il viso fra le mani, asciugando le lacrime con il pollice e allo stesso tempo accarezzandole le guance. “Me lo dici cos’hai?” chiese nuovamente il messicano, molto dolcemente. Violetta scosse la testa allontanandosi da lui ed asciugandosi le ultime lacrime con il dorso della mano. “Non ce la faccio più, Leon”. “Perché?”. “PERCHE’?” domandò incredula. “Non ti sei reso conto che mia madre è morta appena quattro mesi fa, che Angie si è ripresa da poco… CHE TU MI MENTI DI CONTINUO!” gridò. Intanto la sala si era svuotata, ed erano rimasti solo loro due. “Non ti mento, Violetta!” esclamò Leon, sentendosi un po’ in colpa, perché sapeva che quello che diceva lei era la pura verità. Le stava mentendo, ma solo perché non voleva farla soffrire. “Ah, no, certo! Allora dimmi di cosa stavate discutendo tu e Gery durante la ricreazione!”. Il messicano esitò un po’, cercando una buona giustificazione, così, non trovandola rimase in silenzio. Sul volto di Violetta apparse un sorriso gelido, secco… deluso. “Appunto, come pensavo” disse infine, prima di voltargli le spalle ed uscire dalla palestra. Qualche secondo dopo aver attraversato la porta, sentì dei passi di qualcuno che correva, dietro di sé. “Violetta! Violetta, aspetta!” gridò Leon bloccandosi, vedendo la ragazza ferma davanti a sé. Si voltò, ed incrociando di nuovo il suo sguardo, portò le braccia al petto. “Cosa vuoi, ancora?”. “Voglio che mi perdoni…” disse semplicemente il ragazzo. “Io non ti perdono, Leon. Non hai nulla da farti perdonare… non mi devi assolutamente delle spiegazioni”. Leon si accigliò “Allora perché ti sei arrabbiata?”. “Perché non capivo il perché mi stessi mentendo, ma non fa niente, se non vuoi dirmelo sono cose tue. Io non faccio parte delle tue cose… o almeno non più” rispose, cercando di voltarsi, ma proprio in quel momento Leon le afferrò nuovamente il polso e la fece voltare. “Cosa stai dicendo, Violetta?” domandò preoccupato, il cuore che batteva a mille. “Sto dicendo che non voglio una persona che mi mente. Voglio fidarmi della persona che amo”. “Stai dicendo che non mi ami più?”. “No che non lo sto dicendo. Certo che ti amo, Leon”. Il ragazzo sbuffò, non riuscendo ad intuire quello che stava dicendo Violetta. “Allora non ti capisco”. “La nostra storia è finita. Non voglio una persona che mi mente. Ed anche se ti amo –e questo non cambierà mai- non posso accettare che tu mi dica bugie”. Leon non sapeva che dire così la prese per i fianchi l’attirò a sé e fece combaciare le loro labbra “No, no” sussurrò un attimo prima. Si mosse sicuro sulle labbra carnose, morbide e dolci della ragazza. La sentì subito rispondere al bacio, intrecciando le braccia attorno al collo del messicano. Leon cercò la lingua della ragazza, ed un attimo dopo insieme iniziarono una danza dolce e sensuale. La strinse ancora più forte, come se non volesse lasciarla più. Sentì le lacrime della ragazza rigarle il viso, e non poté far a meno di abbracciarla forte, come se non esistesse cosa più bella di lei al mondo… ma forse era così. Come se non ci fosse altro, e mai ci potesse essere. L’aveva baciata con un tale slancio che aveva temuto che uno dei due, o forse entrambi, potessero andare in frantumi. L’aveva stretta come se potesse iniettarla in se stesso, come se potessero fondersi in un’unica persona. Poco dopo si distaccarono, ed insieme si guardarono negli occhi, entrambi con essi lucidi. “Scusami” sussurrò Leon con un’espressione di sofferenza sul volto. “Ti prego, scusami”. Le lasciò ancora un bacio sulle labbra, prendendo il suo viso fra le mani. Violetta unì le labbra e allontanandosi da lui, guardò in basso. “Bimba, per favore…” disse ancora prendendole le mani. “Ok, è vero. Ti ho mentito, ma ti giuro che l’ho fatto solo ed esclusivamente per te”. All’ascoltare quelle parole, Violetta alzò la testa automaticamente. “In che senso?” bonficchiò. Leon sospirò abbassando la testa per poi rialzarla “Durante la ricreazione, io e Gery, cioè… lei, era arrabbiata perché dice che da quando sei tornata tu non le do più importanza, che passo tutto il tempo con te. Io le ho detto che è normale, visto che stiamo insieme, ma lei pensa che non le voglio più bene, che non sia importante per me. Ma non è così, le voglio un bene infinito, e non smetterò mai di ringraziarla per quello che ha fatto per me, ma le ho detto che è normale che passo molto più tempo con te”. Violetta si passò una mano sulla faccia, rendendosi conto dell’enorme sbaglio che aveva commesso. Leon la stava solo proteggendo… “E poi non devo aiutare la mamma a spostare dei mobili in soffitta, volevo solo chiamarla e spiegarle tutto”. La ragazza annuì, mordendosi il labbro inferiore. Era stata davvero una sciocca, una grande sciocca. Come aveva potuto dubitare di Leon! Era ovvio che non voleva ferirla, dopotutto, si amavano come nessun’altro, bastava guardarli. “Scusa…” disse infine il messicano. Violetta scosse la testa, gli occhi ancora lucidi. “No. Sono io a doverti chiedere scusa. Sono stata davvero una grande…” non trovava le parole per descriversi, era stata troppo avventata, troppi pregiudizi. “…scusami, Leon. Davvero, non dovevo. Ti prego, scu…” non riuscì a finire la frase che le labbra del ragazzo la bloccarono. Questa volta fu un bacio molto più dolce, appassionato. Entrambi sorrisero sulle labbra dell’altro. “Sei proprio una Bimba…”. Violetta sorrise, gli occhi chiusi, le braccia attorno al collo del suo fidanzato, e la fronte che combaciava con quella di Leon. “La tua Bimba…”. Leon rise “Oh, su questo non c’è dubbio!”.
 
 
 A casa Torres, Camilla stava finendo di indossare il vestito per la festa. Brodway sarebbe stato davvero molto contrario.  Era a fascia, con una spaccatura leggera tra i seni e fino alla vita era completamente ricoperto di diamanti. Dalla vita partiva una gonna appena pomposa, color celeste, che finiva a metà coscia. “Mi dai una mano a tirare su la lampo?” chiese la rossa a sua cugina, che stava finendo di indossare le scarpe. “Certo!”. Isabel si alzò dal letto e chiuse la zip del vestito della cugina, la quale si affettò ad infilarsi i tacchi. “Accudenti quant’è tardi! Broda sarà qui a momenti e dobbiamo ancora finire di truccarci” disse nervosa Camilla sedendosi davanti allo specchio ed aprendo di corsa la borsa con i trucchi. “Tranquilla, Cami… non morirà nessuno se aspetta cinque minuti fuori” rise Bel accomodandosi accanto alla ragazza. La rossa iniziò a sistemarsi i capelli. Non sapeva davvero come metterli. Se li legava in una coda sarebbe stato troppo scontato. Se li lasciava sciolti, poi per ballare sarebbe stato un disastro. Alla fine decise di raccoglierne qualcuno con delle forcine e fissarli in alto, mentre gli altri le sarebbero caduti sulle spalle. In quel modo sarebbe rimasta fresca e sarebbe riuscita a ballare e cantare. Optò per applicare un leggero filo di ombretto azzurrino –quasi bianco- sulle palpebre, del mascara, un po’ di blush color carne e del lucidalabbra. Il vestito di Bel invece era completamente rosa fluo. Anche il suo, come quello della cugina, era a fascia, con una spaccatura tra i seni. Era stretto fino alla vita, dove c’era una cintina color argento piena di brillantini. Da lì in poi, si apriva una gonna con delle balze, che arrivava appena sopra il ginocchio. Lei optò per una treccia di lato, ed un leggero ombretto rosa, con eyeliner, mascara e matita rossa.
Francesca aveva appena finito di asciugarsi i capelli. Dopo la fatica del giorno precedente e del pomeriggio, aveva proprio bisogno di una bella doccia. Pettinò con cura i capelli e decise di fare qualche treccina qua e là, per poi raccoglierle e fissarle in alto con delle forcine. Viso che il suo vestito era blu notte, non volle applicare l’ombretto, ma solo l’eyeliner blu scuro ed una matita sotto agli occhi, sempre blu. Un po’ di mascara e del lucidalabbra rosso. Si avviò verso il letto ed afferrò il suo abito. Era molto semplice, ma le stava divinamente. Aveva una cintina di cuoio color argento attorno al collo, ed un’altra sempre uguale, appena sotto il seno. Da lì partiva una gonna leggera, che arrivava a metà coscia. Indossò i tacchi argento, e dandosi un’ultima controllata allo specchio, afferrò la borsa
ed uscì dalla stanza.

Violetta era in un ritardo assurdo! Erano le 20.30 ed era ancora in accappatoio. Prese il vestito dal letto e lo indossò in meno di cinque secondi. Il suo era –come dice il suo nome- color violetta. Era a fascia, con una spaccatura tra il seno e sulla vita aveva una fascia larga nera sulla quale era attaccato un fiore sempre viola. Da lì partiva una gonna viola leggermente pomposa. Corse di nuovo in bagno, si affrettò a lisciarsi i capelli e ad applicare uno strato di ombretto lilla sulle palpebre, dell’eyeliner nero, mascara e lucidalabbra. Tornò in camera ad indossare le scarpe, ed un paio di minuti dopo, Leon suonò al campanello.
 
 
 La festa era iniziata ormai da un’oretta e tutti si stavano divertendo come non mai. Angie era stata felicissima della sorpresa, per poco non piangeva. Aveva ringraziato tutti, dal primo all’ultimo. Violetta le aveva chiesto cos’aveva d’importante da fare quella mattina, da essere assente da scuola, e lei semplicemente aveva risposto che aveva una visita ed aveva chiesto a Pablo di accompagnarla. “Bene! Bene! Bene! Vedo che vi state divertendo! Ne sono molto lieto!”. Antonio era salito sul palco, aveva chiesto a Maxi –che in quel momento era il dj- di abbassare un po’ la musica per fare un annuncio. “Chiedo agli organizzatori della festa di salire sul palco, prego!”. I ragazzi salirono sul palco, sicuri che in seguito avrebbero dovuto cantare, così iniziarono a scaldare la voce. “Violetta, Francesca, Leon, Diego, Ludmilla, Federico, Nata, Maxi, Andres, Isabel, Camilla e Brodway!”. Partì un applauso fragoroso e qualche fischio d’incoraggiamento. “Prego, ragazzi. A voi il palco!” disse Antonio prima di rimettere il microfono sull’asta e scendere –aiutato da Pablo e Beto- dal palco. I ragazzi fecero segno ad Alex di salire sul palco, visto che anche lui faceva parte della band. “Buonasera, a tutti!” dissero in coro, una volta che tutti furono pronti. Andres batté tre volte le bacchette della batteria ed iniziarono.
Esta es una historia sin final,
Empenzò como un cuento y no acabarà.
Habla de pasiòn, de mi profesiòn,
Es donde voy y quien soy.
Es màs fuerte que yo, si una
Nota suena en mi interior,
Me vuelvo el cantante y la canciòn,
Me vuelvo luna y también sol.
Yo solo quiero cantar
Tocar tu alma con mi voz.
Yo solo quiero bailar,
Dar alas al corazòn,
Alas al corazòn.
Porque la musica es vocaciòn,
Es mi pasiòn.
No es obsesiòn,
Es lo que soy.
La musica es mi verdad,
Y no voy a enganar.
La canzone finì poco dopo, ed una volta che fu partito l’applauso da parte di tutti, le ragazze scesero dal palco, lasciando la scena ai loro fidanzati.
Me miras, me sonries,
luego ni ‘hola’ me dices.
No entiendo si es un juego,
Ahora si voy tras de ti.
Blanco ahora, luego es negro.
Soy malo, despues bueno.
Si sogues enloquezco,
Pues no entiendo.
Frio o calor, me quieres o no?
Yo se que en verdad te gusto yo.
Por que no aceptar, te sientes igual,
Que no seas timida.
Solo quiero...
Tomas tu mano, estar a tu lado,
Darte un beso, ser tu Romeo.
Rompamos el hielo, yo solo quiero
Que tu seas... MI PRINCESA!
Ed anche questa volta, dopo che la canzone finì, un’applauso partì da parte di tutti, soprattutto dalle ragazze che li amavano, e non intendo le loro fidanzate... I ragazzi scesero dal palco, ed una volta che anche la band femminile fu pronta, la canzone iniziò.
Ese sentimento, sensacion
Llena de emociòn.
Siento la alegria que me provoca
Esta canciòn. Oye mi corazòn,
Como se acelera cuando el publico espera...
No! Nada me va a parar!
Que sube el telòn, chicas comienza la funciòn!
Las luces, lo flashes, la musica sera la clave.
Aplausos, en un momento. Nuestra voz
Va a tocar el cielo!
Va ah ah ah empenzar la fiesta.
Ah ah alcancemos las estrellas.
Va ah ah ah empenzar la fiesta.
Ah ah alcancemos las estrellas.
Ed è inutile dire che anche qui, l’applauso fu fortissimo. “Continueremo con le canzoni tra poco! Buon continuo di serata!” informò Antonio risalendo sul palco. Le ragazze scesero e ad accoglierle c’erano i baci dei loro fidanzati.
 
ANGOLO AUTRICE:
Ma ciiiiiiiiiiiiiiao! Bene bene bene. Ecco un nuovo capitolo! Siete felici che ho aggiornato prima? *tutti scuotono la testa* va bene, allora cancello la storia *tutti annuiscono battendo le mani*. Ahahah ok basta, in questi giorni sono troppo su di giri. Questa volta non posso fermarmi a riepilogare (?) il capitolo, sapete… devo finire di scrivere l’ultimo. Eh già… siamo alla fine. Il prossimo capitolo sarà l’ultimo. Maaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa… come vi avevo già anticipato… CI SARA’ IL SEQUEL!! WOOOOOO! Ok stop. Il titolo del sequel ve lo dirò al prossimo capitolo, intanto spero che questo vi sia piaciuto. Vi ho fatto strippare (sono romana, si sente? Ahahahahahahah) con la scena Leonetta, eh! Ahahahah. Scappo! Bacioni e alla prossima!
#Alice_Leonetta
P.s. Lola… non appena riavrai il computer voglio una recensione lunga 234 km. Ahahahah. I love you.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Epilogo-Diciassettesimo capitolo. ***


La festa stava proseguendo alla grande. Tutti si divertivano come pazzi. Dopo le performance delle band, tutti erano eccitati ed emozionati di vederli risalire sul palco. Tutti si divertivano, ma a Violetta era rimasto un dubbio, e voleva chiarirlo. “ANGIE! ANGIE!”. Cercò di farsi notare dalla zia per raggiungerla, e la donna –vedendola-, con grande difficoltà, la raggiunse. “Vilu! Come va? Ti stai divertendo?”. “Tantissimo!” gridò. Il volume della musica era così alto che dovettero gridare per parlare, altrimenti sono riuscivano a sentirsi anche se erano a pochi centimetri di distanza. “E tu?”. “E’ la festa migliore in assoluto! Grazie ancora, Tesoro! Grazie a tutti voi! Mi sento onorata ed amata da tutti!”. Violetta sorrise e le prese le mani. “Infatti è così! Tu sei la professoressa migliore del mondo, e tutti ti vorranno sempre bene!”. Angie si morse le labbra. Tutte quelle attenzioni la stavano mettendo in imbarazzo, ma non le importava… era felice, ed era questo quello che contava. Si abbracciarono, e come se non volessero mai lasciarsi andare, si strinsero forte l’una all’altra. “Era questo che volevi dirmi?” domandò la donna una volta sciolto l’abbraccio. Violetta scosse la testa, diventando improvvisamente seria. “Che cosa succede allora?”. “Volevo chiederti dove sei andata questa mattina con Pablo!”. “CHE!”. “HO DETTO: VOLEVO CHIEDERTI DOVE SEI ANDATA QUESTA MATTINA CON PABLO!”. “Te l’ho detto! Siamo andati a fare una visita!”. “Che genere di visita?”. Ora la musica si era abbassata, Antonio doveva essere salito sul palco per annunciare la band dei ragazzi. “Nulla di grave. Giusto una visita di controllo”. Violetta alzò un sopracciglio, non le credeva affatto. Se doveva essere una visita di controllo, non portava anche Pablo. La donna, notando l’espressione della nipote disse: “Davvero, Vilu. Era una semplice visita”. “Non ti credo”. Angie cacciò fuori l’aria dai polmoni e si passò una mano sulla faccia. Pensò che era davvero arrivato il momento di dire la verità, almeno a sua nipote. Guardandola le ricordava tanto sua sorella; gli occhi, i modi di fare, il carattere… aveva anche lo stesso sorriso. “Ok. Va bene… Tesoro… ecco, devi sapere che io…”, si guardò intorno per essere certa che nessuno le stesse ascoltando, ma a quanto pareva l’attenzione di tutti era concentrata su Antonio che parlava sul palco. “…devi sapere che io… e Pa-ablo… stiamo insieme”. Il mondo le crollò addosso. Aveva sentito bene? Era per caso un’allucinazione? Non poteva essere. Non batté ciglio per qualche secondo, le mani e le gambe che tremavano e il cuore che batteva veloce. Ok, stava bene. Non c’era nulla di male. Angie e Pablo stavano insieme, e allora? Erano una bella coppia, e poi avrebbe dovuto immaginarlo, passavano molto tempo insieme. Ma qual’era il problema? Pablo era una brava persona, e poi lo adorava, andavano molto d’accordo. Ma dopotutto, la sua reazione era pur sempre normale. E’ come avremmo reagito tutti se avessimo scoperto che nostra zia era fidanzata con il nostro insegnate di musica. Ma a lei non creava nessun problema, Pablo le piaceva ed era molto contenta per loro due. “Vilu, Vlilu stai bene?”. Violetta batté un paio di volte le palpebre, per poi annuire leggermente. “Ok, va bene” accennò un sorriso “Sono molto felice per voi due, ve lo meritate”. La donna le sorrise, per poi abbracciarla nuovamente. “Ma… quello che non ho ancora capito che genere di visita siete andati a fare questa mattina”. Sul volto di Angie fece capolino un leggero sorriso per poi scomparire del tutto. Abbassò la testa sui suoi piedi, le luci stroboscopiche che riflettevano sul pavimento. “Ecco… io volevo dirlo sia a te che a tuo padre da circa un mesetto, ma vedi… non ho mai trovato né il coraggio né le parole” iniziò. Il respiro di Violetta diventò affannoso. Cosa significavano quelle parole? Sua zia stava di nuovo male? Sarebbe riuscita a sopportare questa notizia? O sarebbe crollata? L’espressione sul viso di Angie non prometteva nulla di buono, non prometteva affatto nulla buono. “Angie… cosa c’è?”. “Bhè… ero incinta”. Improvvisamente il cuore di Violetta sembrò voler smettere di battere, si paralizzò, gli occhi fuori dalle orbite e sbiancò tutto d’un tratto. Cosa? Angie era incinta? No, non era possibile… come aveva fatto ad non accorgersi di niente durante gli ultimi mesi. “Violetta… stai bene?”. La ragazza non riusciva ancora a credere a quello che le era stato detto. Com’era possibile… Angie incinta. Ciò significava… che avrebbe avuto un cugino. E se Angie non le avesse più voluto bene? E se, con l’arrivo del bambino si sarebbe dimenticata di lei? Poi ricordò le parole di sua zia e disse: “Hai detto… ero?”. Angie annuì tristemente. “Questa mattina avevo una… una semplice ecografia e…” non riusciva a parlare, il dolore le aveva invaso il corpo. Solo in quel momento Violetta capì. “…e quando, quando siamo arrivati, il medico si è accorto che… ho pe-e-erso il ba-a-ambi-i-no”. Cercò di trattenere le lacrime, ma fu inutile. “Oh, Angie…”. Violetta le si lanciò al collo e la strinse forte. “Mi dispiace così tanto, Angie”. La donna si asciugò le lacrime con il dorso della mano, accennando un sorriso. “Tranquilla, Tesoro. Ora vai, sta per cantare Leon”. In quel momento Violetta si sentì tremendamente in colpa, non doveva parlarne, non doveva chiederglielo. Era tutta colpa sua. Entrambe risero, poi la ragazza lasciò un dolce bacio sulla guancia della zia, per poi correre verso le sue amiche. “Oh, eccoti, Vilu! Dov’eri finita?” chiese Bel. “Ero a parlare con Angie”. Le sue amiche la guardarono confuse. “Vi spiego più tardi”. “D’accordo”. “Che mi sono persa?”. “Nulla di che… solo Antonio che continua a ringraziarci per la festa, va avanti da oltre dieci minuti!”. “…ed infine, vorrei dare il bevenuto –di nuovo- alla boy-band della scuola! Un grande applauso, grazie!”. Mentre l’uomo anziano dai capelli bianchi scese dal palco, i sette ragazzi salirono sul palco. Leon, Diego e Federico si sistemarono le chitarre, Andres si accomodò dietro la batteria, e Alex, Maxi e Brodway alle tastiere.
Oh Yeah.
Tu mirar, tu caminar. (Tu caminar).
Todo en ti me hace volar. (Yeah).
Eres muy timida lo se (Yo lo se)
Y me enloquece.
Yeah, tu voz es terciopelo
Cuando me hablas, viajo y toco el cielo.
Pienso en ti por darte un beso,
Dime si tù te sientes asì.
Dime que al verme tu tambien temblas,
Por ti loco estoy bella.
Dime que hacer para que me quieras,
Debo confesar que solo pienso en ti.
Solo pienso en ti.
Solo pienso en ti.
Debo confesar que solo pienso en ti.
“Hanno cambiato canzone all’ultimo momento” fece notare Ludmilla. “Già”.
Debo confesar…
Solo pienso en ti.
Solo pienso en ti, ti, ti.
Tu sonrisa es capaz de illuminar el dia mas gris.
No se lo que hay en ti, pero sin igual, como tu no hay màs.
Yeah, tu voz es terciopelo
Cuando me hablas, viajo y toco el cielo.
Pienso en ti por darte un beso,
Dime si tù te sientes asì.
Dime que al verme tu tambien temblas,
Por ti loco estoy bella.
Dime que hacer para que me quieras,
Debo confesar que solo pienso en ti.
Solo pienso en ti.
Solo pienso en ti.
Debo confesar que solo pienso en ti.
(Solo pien...) solo...
(Debo confesar)
(Debo con...)
Solo pienso en ti.
Solo pienso en ti.
Que al verme tu tambien temblas,
Por ti loco estoy bella.
Dime que hacer para que me quieras,
Debo confesar que solo pienso en ti.
Solo pienso en ti.
Solo pienso en ti.
Solo pienso en ti.
Debo confesar que solo pienso en ti!
La canzone finì con i ragazzi che tenevano in alto le chitarre. Ci furono urla, grida ed applausi da concerto. Antonio salì nuovamente sul palco, battendo le mani. “Che canzone! Ammetto che ne sono rimasto affascinato. Bene… ascolteremo la band femminile tra poco, buon proseguimento”. Non appena i ragazzi scesero dal palco, molte ragazze li guadarono con occhi a cuoricino. “Allora? Vi è piaciuta?” chiese Federico avvolgendo il braccio destro alla vita della sua ragazza. “Perché avete cambiato canzone all’ultimo?”. “Perché questa non l’aveva mai ascoltata nessuno, e poi perché ci piaceva di più” spiegò Leon sorridendo alla sua ragazza e alle amiche. “Bhè, siete stati bravissimi!” esclamò Violetta avvolgendo le braccia attorno al collo del messicano per poi far combaciare le loro labbra. Da parte delle altre coppie si sentì un “Uhhh”, ma poi anche loro li imitarono. “Che ne dite se usciamo un po’?”. Nessuno aveva nulla in contrario, così, passando dalla porta principale, uscirono nel giardino accomodandosi su delle panchine. Leon prese la vita della sua ragazza e la fece sedere sulle sue gambe. “Certo che siamo stati proprio bravi ad organizzare tutto, eh!” esclamò. I suoi amici lo guardarono come per dire ‘spero tu stia scherzando’. “Siamo?” chiese incredulo Diego alzando un sopracciglio e guardando il suo amico. “Hai dimenticato che tu e la signorina ieri non c’eravate, ed abbiamo fatto tutto noi?” continuò indicando tutti gli altri. “Questioni importanti”. “Oh, certo, certo. Rigiratela come vuoi, eh”. Il gruppo rise, per poi cadere in un silenzio tombale, come se tutti stessero pensando alla stessa cosa… forse era così; si sentiva solo la musica rompi-timpani che proveniva da dentro l’edificio. Ma quella che trovò il coraggio di parlare fu Camilla. “Ragazzi…” tutti si voltarono verso di lei, come se avessero già capito, come se l’avessero scelta per dare voce ai loro pensieri. “…voi credete che rimarremo amici una volta finita la scuola?”. “Certo, Camilla! Che domande!” esclamò Maxi. “Stai dicendo che non vuoi più essere nostra amica?” la guardò torva Nata. La rossa rise per poi scuotere la testa. “No, certo che no. Intendevo solo dire che… se ci separassimo? Io non voglio perdervi, a nessuno”. “Camilla, questo non succederà mai” la rassicurò Violetta. “E poi c’è il gruppo!” ricordò Andres. “Esatto! Dobbiamo continuare a scrivere canzoni, a provare e chissà… magari un giorno qualcuno si accorgerà di noi”esultò Francesca. Camilla sorrise ai suoi amici “Vi voglio bene”. “Anche noi, Cami”. Improvvisamente, gli occhi di tutti cominciarono ad essere umidi, quando Maxi batté le mani davanti a sé e tutti si girarono verso di lui. “Che c’è Maxi? Hai acchiappato una mosca?”. Ludmilla fece ridere tutti il gruppo, mentre Maxi le lanciava una linguaccia. “Ah ah ah, non fare la spiritosa, biondina! Niente mosche, ma in compenso…”. “HAI AVUTO UN’IDEA!”. Il ragazzo guardò i suoi amici torvo “Sono così prevedibile?”. E mentre tutti annuirono, continuò “Ad ogni modo… stavo dicendo che ho avuto un’idea”. “Sentiamo…” disse Federico sbracandosi sulla panchina, per poco non facendo cadere la sua ragazza che gli lanciò un’occhiataccia. “E SE CON LE CANZONI CHE ABBIAMO COMPOSTO, GIRASSIMO DEI VIDEO CHE POI CARICHEREMO SU YOUTUBE!? PRIMA O POI QUALCUNO CI NOTERA’ PURE, NO?”. Per un attimo nessuno sapeva cosa dire, si guardarono in faccia l’un l’altro. In effetti non era una cattiva idea, non era affatto una cattiva idea. “Sì, per me è perfetto! Sarà anche molto divertente!” si emozionò Francesca battendo le mani come una ragazzina. “Sì, ragazzi… e poi una volta finita la scuola, avremo qualcosa da fare, invece di dormire tutto il giorno” esultò Nata. “Ehi! Parla per te! Io AMO dormire tutto il giorno” rispose il messicano. “Ragazzi parlo sul serio! Molti gruppi e cantanti internazionali sono diventati famosi in questo modo”. “Io non faccio parte del gruppo, ma l’idea che ha avuto Maxi è molto buona. Avrete modo di farvi conoscere” disse Gery. “Per me non ci sono problemi. Come ha detto Fran, anche se sarà, ci divertiremo molto”. “Sarò io a montare e girare i video, poi creerò una canale su Youtube e li caricherò” propose Maxi. In pochi minuti decisero il loro futuro. “Perfetto! Visto che siamo tutti d’accordo, domani iniziamo a provare ‘Hoy somos mas’, per poi girarlo”. E visto che nessuno aveva nulla in contrario, si accordarono così. “Devo dirvi una cosa…” annunciò improvvisamente Violetta, diventando seria. “Che succede, Vilu?”. “Angie… me lo ha detto poco fa, non ne sapevo nulla neanche io… ecco, lei e… Pablo stanno insieme”. “CHE!”. La ragazza unì le labbra ed annuì guardando il terreno. “Già, è stata la mia stessa reazione”. “Ne sei sicura?” domandò Bel. “Sì, me lo ha detto poco prima che i ragazzi cantassero”. “Ma… da quanto?”. Violetta alzò le spalle “Non saprei, ma dev’essere da qualche tempo perché… che rimanga tra noi eh, a quanto pare, questa mattina sono stati assenti da scuola per andare a fare un’ecografia”. Tutti impallidirono, le bocche leggermente aperte. “A-a-angie è i-incinta?” balbettò incredula Camilla. Violetta scosse la testa “No. Ha quanto pare, ha perso il bambino. Lo hanno scoperto stamattina”. “Oh, Vilu… mi dispiace moltissimo” disse Ludmilla abbracciandola. “Sì, anche a me”. “Perché non te lo ha detto prima?” chiese Diego, ancora molto sconvolto. “Non riusciva a trovare né il coraggio, né le parole. O almeno è quello che mi ha detto prima lei”. Nessuno parlò per un minuto buono, Leon teneva stretta Violetta a sé, ed ogni tanto le lasciava qualche bacio a fior di labbra. “RAGAZZE!” gridò improvvisamente Bel guardando l’orologio. “Tra un minuto tocca a noi! Dobbiamo andare! ORA!”. Le ragazze scattarono in piedi, ed iniziarono a correre dentro l’edificio, con dietro i loro fidanzati. Arrivarono in palestra con il fiatone quando Antonio gli si parò davanti. “Oh, eccovi, signorine. Siete pronte? Ora tocca a voi?”. Senza proferire parola, anche perché non ci riuscivano, annuirono e seguirono l’uomo sul palco. “Buonasera, ancora! E’ arrivato il momento di ascoltare le bellissime voci delle nostre ragazze! Accogliamole con un clamoroso applauso, grazie!”. Le ragazze salirono sul palco, con applausi e grida.
Chicas, amigas de verdad.
Haciedo realidad los suenos y las fantasias.
Con decision y sin dudar, con los pies sobre la tierra.
Hasta el cielo vuelo, oh oh.
Tocando el sol, volando voy
No hay nada que me detenga.
Seré lo que quiero, oh oh oh.
Que importa que piensan de mi,
Yo voy dejando mi huellas.
Hasta el cielo vuelo, oh oh.
Todo està en el corazòn, somos las chicas guerreras.
Conquistando! Luchando voy por lo que quiero.
 No me detiene un ‘No puedo’!
Chicas, amigas de verdad.
Haciendo realidas los suenos y las fantasias.
Chicas, amigas de verdad.
Tenemos el poder, podemos encender nuestra luz.
El destino està afuera, y no puedo esperar.
...
Mi vida es lo que yo soy, una aventura que emipenza.
Hasta el cielo vuelo, oh oh.
El mundo entero por andar, tengo las alas abiertas.
Si es lo que quiero, oh oh.
No busco una explicacion, se que no tengo fronteras.
Hasta el cielo vuelo, oh oh.
Porque nos mueve el corazòn, somos las chicas guerreras.
Avanzando! Luchando voy por lo que quiero.
No me detiene un ‘No puedo’!
Chicas, amigas de verdad.
Haciendo realidas los suenos y las fantasias.
Chicas, amigas de verdad.
Tenemos el poder, podemos encender nuestra luz.
El destino està afuera, el destino està afuera, el destino està afuera...
...
...
Luchando voy por lo que quiero.
No me detiene un ‘No puedo’!
Chicas, amigas de verdad.
Haciendo realidas los suenos y las fantasias.
Chicas, amigas de verdad.
Tenemos el poder, podemos encender nuestra luz.
El destino està afuera, el destino està afuera,
El destino està afuera, y no puedo esperar.
“WOW!” gridò Antonio salendo sul palco. Ci furono urla, grida ed applausi come quelli per i ragazzi. “Che canzoni, ragazzi… che canzoni! Non saprei davvero dire quale sia il gruppo migliore, ma dopotutto… questa non è una competizione. Torneremo con l’ultima canzone tra poco”. Non appena Violetta scese dal palco, si fiondò tra le braccia di Leon, quasi con le lacrime agli occhi. “Ehi, cos’hai?” le sussurrò il messicano alzandole la testa. “Nulla, è solo che questa canzone mi ha fatto ripensare agli anni che ero lontana da voi… da te”. Leon le sorrise dolcemente, per poi abbracciarla. “Vieni qui”. La strinse a sé così forte, che non gli importava se le stava facendo male. Non voleva lasciarla più, la amava così tanto… “Ho un’idea…”. “Quale?”. “Ti va se chiediamo ad Antonio se possiamo cantare la nostra canzone?”. “Io e te?”. “No, io e l’asino che è qui fuori!”. Violetta gli tirò un pugno sul braccio. “Scemo!”. “Dai… ti va, allora?”. “Certo!”. “Andiamo”. Si presero per mano, ed insieme iniziarono a cercare Antonio. Si sentivano così fortunati ed innamorati in quel momento, che anche se l’uomo gli avrebbe risposto di no, sarebbero stati felici e comprensivi. “ANTONIO! ANTONIO!”. L’uomo anziano dai capelli bianchi si guardò intorno, non riuscendo a capire da quale parte giungessero le voci che lo stavano chiamando. “Oh, siete voi! Siete stati meravigliosi! Sono davvero contento di tutti e due”. “Grazie mille, Antonio. Ma, ecco… noi volevamo chiederle se… bhè, vede… noi abbiamo una canzone, cioè io e Violetta ne abbiamo scritta una nostra, e ecco,ci chiedevamo se… bhè…”. Leon Vargas che non riusciva a chiedere se lui e la sua fidanzata potessero cantare una canzone che avevano scritto loro? Giorno da appuntare sul calendario. “…ci chiedevamo se poteva lasciarcela cantare” lo interruppe Violetta vedendolo in difficoltà. “Oh, bhè… non saperi, dovrei prima parlarne con gli altri insegnati. Se mi date due minuti…”. “Certo, certo!”. Antonio sgattaiolò via, verso il corpo docenti che stava chiacchierando beatamente accanto ai tavoli. In quel momento, Leon prese le mani della sua ragazza, poggiò la fronte su quella di Violetta e gli sorrise. “Perché mi guardi così?” domandò la mora. “Perché sono innamorato di te, e ti amo tanto”. Gli zigomi di Violetta si fecero appena più coloriti, per poi rispondere: “Ti amo tanto, anch’io”. Fecero combaciare le loro labbra, e prima che Antonio tornasse, si strinsero forte l’uno all’altra. “Allora? Che hanno detto?”. L’uomo sorrise ad entrambi, indicando con le braccia il palco “Andate a cantare”. “Grazie mille!”. “Che traccia dobbiamo mettere?”. “CINQUE!” gridarono in coro Violetta e Leon, correndo verso il palco. Quando Antonio salì sul palco per annunciarli, i loro amici li guardarono con grande curiosità. “Bene! A quanto pare le canzoni non sono finite… prima di quella finale, abbiamo una coppia volontaria… Vi chiedo di salutare nuovamente, con un grande e caloroso applauso, VIOLETTA E LEON!”. Non appena la traccia partì, urla, gridi ed applausi cessarono.
No me digas lo que piensas, creo que lo sé.
Solo mirame un instante, y lo adivinarè.
Que difìcil fue querernos y dejarnos de querer,
Y al final de este camino encontrarnos otra vez.
En tus ojos no hay secretos, yo lo puedo ver.
Siempre tienes la palabra que me hace sentir bien.
Que difìcil fue querernos y volvernos a querer.
Si el amor es verdadero, TODO PUEDE SUCEDER!
Quedate junto a mi, paso a paso en el camino
Voy a hacerte feliz. Y que el miedo este prohibido.
Abràzame y veràs que eres lo que necesito,
Y no encuentro la manera de decir
Que le das luz a mi vida... desde que te vi.
...
Ahora tomame la mano, no quiero esperar.
Siente el viento en nuestras alas... vamos a volar.
Y que bien se sienta amarte, cuando a mi lado estas.
Y que hermoso es mirarte, y abrazarte una vez màs.
Quedate junto a mi, paso a paso en el camino
Voy a hacerte feliz. Y que el miedo este prohibido.
Abràzame y veràs que eres lo que necesito,
Y no encuentro la manera de decir
Que le das luz a mi vida...
Quedate junto a mi, paso a paso en el camino
Voy a hacerte feliz. Y que el miedo este prohibido.
Abràzame y veràs que eres lo que necesito,
Y no encuentro la manera de decir
Que le das luz a mi vida...
Porque tù eres mi energìa...
Tù le das luz a mi vida... desde que te vi.
Desde que te vi.
Desde que te vi.
Scoppiò un applauso fortissimo, anche perché alla fine ci fu un bacio passionale. Non appena i due scesero dal palco, i loro amici iniziarono a prenderli a pizze. “MA BRAVI! VI TENEVATE NASCOSTA QUESTA CANZONE!” gridò Diego dando un pugno sul braccio al suo amico. “L’abbiamo scritta da poco!” si giustificarono i due ragazzi ridendo. “Siete stai bravissimi!” esultò Camilla. “Eravate davvero… Oh! Non ci sono parole” disse in seguito Francesca, facendo diventare gli occhi a cuoricino. “Ragazzi… siete pronti per la canzone finale?”. Tutti annuirono per poi guardarsi in faccia emozionati. “Gery… ti andrebbe di venir a cantare con noi?” chiese Violetta porgendole la mano. “Cosa? No, no. Io mi vergogno, non so cantare, sono stonata e poi non faccio parte della band”. “Oh, piantala! Ti ho sentita cantare e non sei affatto stonata!” esclamò Ludmilla. “Ma io…”. “Niente ma… andiamo!”. “Ed eccoci arrivati, ragazzi. Spero che vi siate divertiti ed emozionati con le canzoni dei nostri ragazzi. Spero che questa sia stata una festa piacevole per tutti voi. So che l’anno non è finito, ma vorrei comunque ringraziare gli insegnanti… Angie, Pablo, Beto, Gregorio e Jackie, e spero che anch’io, un po’, vi sia rimasto nel cuore. Vorrei ringraziare per l’ennesima e giuro ultima volta, i nostri ragazzi che hanno organizzato questa meravigliosa festa in onore della cara professoressa Angie, che è appena tornata ad insegnare dopo un lungo periodo di guarigione. Bene… ora basta con le chiacchiere. Per questa sera vi sarete stancati di me, lascio il palco ai nostri giovani artisti! Buona fortuna ragazzi!”. Il pubblico li accolse con grande affetto, e non appena partì la base, gli occhi di tutti quelli sul palco cominciarono ad essere lucidi.
Crecimos juntos habìa todo por hacer, (Cresciamo insieme c’è tanto da fare),
Y caminamos, habìa tanto que aprender. (e camminiamo, c’è tanto da apprendere).
Crecimos juntos y sin querer hallé tus manos, (Cresciamo insieme e senza volere prenderò le tue mani),
Fuimos creciendo con cada nota de aquél piano. (siamo cresciuti con ogni nota di quel piano).
Y ahora qué? A dònde iràn los que conocimos? (E adesso? Dove andranno quelli che conosciamo?)
Los que llegamos al final... (quelli con cui siamo arrivati alla fine...)
Voy por nuevos caminos con lo que hemos vivido, (Andrò per nuove strade con quello che abbiamo vissuto),
Magìa y creatividad. (magia e creatività).
Verdad en los corazones, cielos de mil colores... eso quiero recordar. (Verità nei cuori, cieli di mille colori... questo voglio ricordare).
Siempre a mi lado està tu mano. (Sempre al mio lato c’è la tua mano).

Crecimos juntos con un sueno en cada mirada (Cresciamo insieme con un sogno in ogni sguardo)
Cada mirada. (ogni sguardo).
Y caminamos con la pasiòn que nos guiaba (E camminiamo con la passione che ci ha guidati)
Tanta pasiòn. (Tanta passione).
Crecimos juntos y asì pudimos refejarnos (Cresciamo insieme e così possiamo rispecchiarci gli uni negli altri)
Oh oh oh.
Fuimos cambiando, pero siempre nos levantamos (Siamo cambiati, però sempre ci siamo rialzati)
Oh ohhhhh.
Y ahora qué? A dònde iràn los que conocimos? (E adesso? Dove andranno quelli che conosciamo?)
Los que no estan, los que seguimos, (quelli che non ci sono, quelli che abbiamo seguito),
Y los que un dìa volveran... (e quelli che un giorno torneranno...)
Y ahora sé, siempre estaras aquì a mi lado (E adesso so, sarei sempre qui al mio fianco)
Veo la luz que tù me das. (vedo la luce che tu mi dai).
Vou por novos caminhos (Andrò per nuove strade)
With all the things that we’ve been through. (con quello che abbiamo vissuto).
Magia e creatività… la creatività!
Vérité dans le coeur, ciel du mille couleurs… eso quiero recordar. (Verità nei cuori, cieli di mille colori… questo voglio ricordare).
Siempre a mi lado està tu mano, que me ayuda a continuar (Sempre al mio lato c’è la tua mano, che mi aiuta a continuare)
Y juntos ya llegamos al final… ( e insieme siamo arrivati alla fine…)
Al final… (alla fine…).
Like in a song (Come in una canzone)
Qui recommence encore un fois (che ricomincia ancora una volta)
Para dar esperanca a um coracao. (per dare speranza ad un cuore).
No hay final (Non c’è finale)
Se tu sei con me.
Niente da temere.
I won’t be afraid (Non avrò paura)
Nada temeré (Niente da temere).
Voy por nuevos caminos con lo que hemos vivido, (Andrò per nuove strade con quello che abbiamo vissuto),
Magìa y creatividad. (magia e creatività).
La creatividad! (La creatività!)
Verdad en los corazones, cielos de mil colores... eso quiero recordar. (Verità nei cuori, cieli di mille colori... questo voglio ricordare).
Siempre a mi lado està tu mano, que me ayuda a continuar (Sempre al mio lato c’è la tua mano, che mi aiuta a continuare)
Y juntos ya llegamos al final… ( e insieme siamo arrivati alla fine…).
E mentre partivano urla, grida, applausi e fischi, il gruppo s’inchino e sorrise al pubblico. Ma alla fine erano sempre loro, i bambini che giocavano a nascondino nel parco.
 
ANGOLO AUTRICE:
*si alza il sipario e si vede che si soffia il naso*. SALVE! Scusate ma sono un oceano. Non posso credere che questo sia l’ultimo capitolo della storia. Ed è anche la prima che porto a termine, chi lo avrebbe mai detto! Prima di dire altre cose voglio ringraziarvi. Grazie a tutti quella che l’hanno letta, che hanno recensito e che mi hanno inviato tremila messaggi per saperne di più. GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE, E GRAZIE! Sono davvero felice che questa storia abbia coinvolto tantissimi lettori e sono molto orgogliosa. Allora… che pensate di quest’ultimo capitolo? (Wow, che strano effetto. Non avrei mai pensato di dirlo). Vi ha soddisfatti? Dovete sapere che qualche sera fa, forse quella dopo di quando ho pubblicato il penultimo capitolo, avevo quasi finito di scrivere questo e visto che il mio computer è mongospastico me lo ha cancellato. Non potete immaginare quanto ho rosicato in quel momento e quanta rabbia avevo. Ad ogni modo… ho voluto scrivere tutte le canzoni per intero perché mi sembrava giusto e perché volevo ricordarle tutte. Vi piace questa scelta? Poi ho voluto aggiungere anche la traduzione a ‘Crecimos Juntos’ perché è una canzone meravigliosa ed anche se la traduzione non è perfetta mi sembrava giusto scrivere il significato. Bhè, non so più che dire. Vi ringrazio ancora una volta per aver letto quest’ultimo capitolo (sempre più strano). Mi sembra ieri quando ho pubblicato il primo, vi ricordate? Siete curiosi di leggere il sequel? Accadranno molti colpi di scena *faccia malvagia e si strofina le mani*, spero che tutti i lettori di questa storia lo leggeranno altrimenti verrò a cercarvi a casa, promesso. Ahahahah, battuta… ok, no. Vorrei inoltre ringraziare il gruppo di WhatsApp che mi ha aiutata ed appoggiata molto durante questo percorso (?) (SEMBRA CHE HO VINTO L’OSCAR!!). E in particolare la mia Lolaaa! Che te ne pare di questo capitolo? Ora devo andare. Ah! Devo dirvi come si chiamerà il sequel… siete curiosi? Mmm, e se non ve lo dicessi? Scherzo! Allora il sequel di ‘Salvami, Amore mio’ si chiamerà… *rullo di tamburi, si abbassano le luci, tutti con il cuore a mille* ‘Perdonami, Amore mio’!!!!!!!! WOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO! Lo so, titolo demente ma non è colpa mia, lo ha scelto Lola… AHAHAHAHAHAHAHHAHA SCHEEEEERZO! AMO QUESTO TITOLO! Bhè, la pubblicherò al più presto perché ho già 3 capitoli pronti, quindi… è arrivato il momento… Bacioni e alla prossima! *scoppia in lacrime mentre saluta*.
#Alice_Leonetta

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2935110