Voci dal passato

di LadyFel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mio fratello. ***
Capitolo 2: *** Triste destino ***
Capitolo 3: *** Coast to Coast ***
Capitolo 4: *** In caccia ***
Capitolo 5: *** Da Chicago a Seattle ***
Capitolo 6: *** In viaggio verso il destino ***
Capitolo 7: *** Cambiamenti ***
Capitolo 8: *** Finalmente, Forks ***
Capitolo 9: *** Fratello e sorella ***
Capitolo 10: *** Marius ***
Capitolo 11: *** Scontro ***
Capitolo 12: *** Strano potere ***
Capitolo 13: *** Amore e libertà ***
Capitolo 14: *** Le ragioni del branco ***
Capitolo 15: *** Sei il mio centro ***
Capitolo 16: *** Vengono per me ***
Capitolo 17: *** Embry....salvala! ***
Capitolo 18: *** Ritorno dall'abisso ***
Capitolo 19: *** Problemi in arrivo ***
Capitolo 20: *** Diurna ***
Capitolo 21: *** Vampiro e Lupo ***



Capitolo 1
*** Mio fratello. ***


Voci dal passato - Mio fratello
Voci dal passato

Capitolo 1. Mio fratello

Mio fratello. Edward. Occhi verde mare, capelli color rame. L'unico ricordo che ho di lui. Il suo viso dolce che mi guardà dall'alto, sorridendomi. E io felice, allungo le manine, cercando quel viso dolce e carico d'amore.
Io, un piccolo angioletto, come mi chiamava mia madre. Capelli color dell'oro, occhi verde acqua, bocca sempre sorridente.
Dopo quel primo ricordo felice, la memoria si fa nebulosa. Un unico sprazzo. Mio fratello chinò sulla mia culla, con le lacrime agli occhi. Mi chiama, piangendo. Mi stanno portando via, per chissà dove.
Non lo avrei mai più rivisto.
Il ricordo successivo mi porta in una stanzetta buia. Io piango, ho fame. Un viso sconosciuto mi sorride, mi prende in braccio e mi sfama. E' dolce quel sorriso, ma mai quanto quello di mio fratello. Altri due visi mi guardano entusiasti. Uno molto simile a quello di mio padre, e tuttavia biondo. L'altro dolce e sorridente, più piccolo di quello di mia madre.
La mia nuova famiglia.
I ricordi della mia infanzia sono sprazzi di coscienza, sempre più frequenti man mano che cresco.
All'età di sette anni chiesi ai miei genitori adottivi chi fossero i miei veri genitori. Mi spiegarono che la mia famiglia era stata colpita dalla spagnola, una malattia terribile. E che probabilmente erano tutti morti. Non piansi. Loro due mi avevano adottata otto mesi dopo la nascita della loro primogenita, mia sorella Judith. Quando ero arrivata da loro, il mio nome era Angel. Loro lo cambiarono, seguendo la loro religione, in Miriam.
Mi hanno allevata con tanto amore, permettendomi di non seguire la loro religione. Dentro di me sentivo uno strano vuoto, come se mi mancasse qualcosa. Judith e io siamo sempre state ottime amiche, vere sorelle. Ci confidavamo l'una con l'altra, e facevamo fronte comune contro chi ci dava contro. A scuola io ero più brava di lei, mentre lei era quella corteggiata da tutti i maschietti, fin dalle elementari.
Non che io non avessi spasimanti, tutt'altro. Ma i ragazzi non mi interessavano più di tanto. Judith mi suggerì per lo meno di provarci, che probabilmente quello che mi mancava era l'amore. Tuttavia preferivo starmene da sola, seduta sul tetto di casa nostra, a leggere o a guardare il tramonto.
A sedici anni ero la prima del mio corso, e Judith la più ammirata e desiderata.
Nonostante questo, i suoi voti erano quasi pari ai miei, e questo rendeva molto orgogliosi i nostri genitori.
Mio padre ripeteva spesso che era una benedizione avere due figlie così studiose e così in gamba.
Non l'ho mai preso troppo sul serio, anche se mi faceva piacere sentirglielo dire.
Quell'anno, il nostro diciottesimo compleanno, si preannunciava spettacolare, in tutti i sensi. Mio padre aveva ricevuto una lauta promozione e mia madre aveva ottenuto la cattedra a cui aspirava da parecchi anni.

Ancora non sapevo che quell'anno la mia vita avrebbe perso e riacquistato il suo senso in meno di una settimana, che avrei trovato la mia vera via, il mio vero io.

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Capitolo 2
*** Triste destino ***


Voci dal passato - Triste destino
Voci dal passato

Capitolo 2. Triste destino

"Sveglia ragazze!! E' ora di alzarsi, il vostro primo "ultimo giorno" di scuola vi aspetta! Coraggio fanciulle!" chiamò a gran voce le due figlie Ruth, dalla cucina.
Al piano di sopra, passi di corsa, da destra a sinistra.
"Sono in ritardo, mia cara?" le chiese il marito Jeremia mentre sorbiva il proprio caffè e leggeva il giornale del mattino.
"Quasi...diciamo che se per una volta arrivano in anticipo non farà male.." rispose dolcemente la moglie, mentre rigirava le frittelle.
Un trambusto nel corridio indicò loro che le figlie erano arrivate.
"Buongiorno papà!" esclamarono in coro le due ragazze appena entrate in cucina.
"Buongiorno ragazze, a colazione!" rispose loro il padre, invitandole a sedersi.
"Buongiorno mamà" salutai Ruth, schioccandole un bacio sulla guancia.
"Buongiorno cara...coraggio mangiate che poi vostro padre vi accompagna a scuola"
Un moto di insofferenza ci prese.
"Oh mamma, ma siamo grandi ormai...non sarebbe ora di andare a scuola da sole?" chiese mia sorella, mentre io mi buttavo a pesce sulla frittelle, come al solito ottime.
"Non se ne parla Judith. Anche se siete grandi, non mi va che andate in giro da sole, specialmente in questa stagione...". Quando mia madre diceva qualcosa, quella era l'ultima parola.
Judith si arrese.
Finita colazione, ci mettemmo le giacche, salutammo nostra madre e ci infilammo in macchina, dove nostro padre ci aspettava già.
La scuola non era molto lontana da casa nostra, avremmo potuto andarci da sole. Ma fin da piccole Ruth ce lo proibì.
"Eccoci arrivati, fanciulle. Passo a prendervi alle sei. Buona giornata ragazze!" disse Jeremia lasciandoci sul marciapiede a debita distanza dalla scuola. E' vero che non potevamo andare a scuola da sole, però per lo meno non dovevamo subire l'imbarazzo di scendere dalla macchina proprio davanti all'ingresso.
"A stasera papà, buona giornata!" risposi, salutandolo con la mano quando se ne andò.
Appena la macchina non fu più in vista, Judith si liberò del golfino: sotto aveva una camicetta assai più provocante.
"Jude...e quella da dove arriva?" chiesi sconvolta.
"Ma dai sorellina...me la sono comprata l'altra settimana".
"Mamma l'ha vista?"
"Ovvio che no! Le sarebbe preso un colpo!"
"Lo puoi ben dire..."
"Oh dai Miry, lasciati andare un po'...Ci sono tanti bei ragazzi che ti muoiono dietro...sciogliti sorellina, sei troppo tesa..."
"Oh scusami se io penso prima all'Università che ai ragazzi..." le risposi, lasciandola all'ingresso e dirigendomi direttamente in classe.

"Miry, ti vuoi muovere? Papà sarà già fuori che ci aspetta...spicciati..." ululò Judith, mentre aspettava che io finissi di parlare col professor Frank, quello di biologia. Quando finalmente uscii, vidi arrivarmi incontro Mark, il primo dei miei spasimanti, ossia quello di più vecchia "cotta", che risaliva alle elementari.
"Sorellina buttati...Ti aspetto fuori..." mi sussurrò Jude, togliendomi la pinza dai capelli, che ricaddero sciolti sulle spalle, liberi.
"Ehm...ciao Miriam...." cominciò lui, rosso in viso.
"Ciao Mark..." risposi per cortesia. Non lo avevavo mai potuto soffrire.
"Senti...ehm...domani sera mi chiedevo se eri libera...magari potevamo uscire..."
"Mark lo sai che mia madre non vuole che usciamo la sera..."
"E dai...Vengo a prenderti a casa..."
"Mark...mi dispiace...ma i miei sentimenti per te sono sempre gli stessi...non sei il mio tipo...scusami...ora devo proprio andare..." gli risposi, piantandolo in asso lì su due piedi.
Presi la porta quasi di corsa. E mi bloccai.
Judith non c'era, non era in vista, e nemmeno lo era l'auto dei miei.
"Che siano già andati via, senza aspettarmi, per farmi riaccompagnare da Mark? Se la trovo la distruggo a Jude: prima lo scherzo dei capelli, ora questo..."
Passavano i minuti, e di mia sorella o di mio padre nessuna traccia. Decisi di correre il rischio e mi incamminai verso casa.
Man mano che mi avvicinavo, sentivo nell'aria uno strano odore...dolciastro e nauseabondo. Mi misi a correre.
Quando arrivai a casa mia, rimasi impietrita dall'orrore. Mio padre, mia madre e mia sorella erano tutti e tre lì davanti a me, a terra, mezzi nudi, dissanguati. Morti.

Caddi in ginocchio, e le lacrime uscirono da sole, senza freni. Piansi. Oh, quanto piansi quel giorno. Uno dei vicini chiamò la polizia, e anche l'ospedale.
Ma sapevo che non c'era più niente da fare.
Rimasi accasciata a terra per un tempo infinito, mentre intorno a me si alternavano poliziotti e medici legali.
"Morti. Tutti e tre. Ci sono segni di morsi, sembra che siano stati azzannati dai cani o da qualche altro animale".
"E l'altra figlia?"
"È sotto shock, ma sta bene, fisicamente intendo. Non era in casa al momento dell'accaduto".
Solo allora, un poliziotto decise che era il caso di tirarmi su da terra. Mi fecero sedere sulla lettiga dell'ambulanza, controllando che stessi bene.
Poi un uomo si avvicinò. Sembrava il capo.
"Miriam...puoi dirmi dov'eri questo pomeriggio alle 17.45?"
"Si, ero a scuola e parlavo con un ragazzo. Si chiama Mark Leaders" risposi noncurante, non riuscendo a staccare lo sguardo dai cadaveri dei miei genitori e di mia sorella.
"Tuo padre doveva venirvi a prendere, a te e a tua sorella?"
Annuii.
"Mia sorella mi ha lasciato sola con Mark ed è uscita, dicendo che mi aspettava fuori...Non posso credere che sia successo...non a me...non di nuovo..." risposi scuotendo la testa e scoppiando a piangere.
"Di nuovo?"
"Il mio nome vero è Angel, Angel Masen. I miei genitori e mio fratello Edward sono morti di spagnola, diciotto anni fa. I coniugi Breil mi hanno adottata che avevo pochi mesi" raccontai e ricominciai a piangere.
Il poliziotto si allontanò, tornando verso i suoi sottoposti, due ragazzotti che si stavano occupando di far portar via i corpi.
"Allora, capo?"
"Povera ragazza. Era la sua famiglia adottiva. La sua vera famiglia è morta di spagnola diciotto anni fa" spiegò l'uomo, passandosi una mano sulla fronte, sinceramente dispiaciuto.
"Che triste destino, povera fanciulla..." osservarono i due, altrettando amareggiati.





Note dell'autrice: come noterete, ho cambiato un pochino l'ambiente, per avvicinarlo il più possibile al presente. Anche se i fatti sono rimasti gli stessi.
Ringrazio di cuore le otto persone che hanno inserito la mia storia tra le preferite e tutti coloro che la stanno leggendo.
Grazie a RiceGrain per il commento, leggi questo, vediamo se ti piace.
Grazie anche a Alice Brendon Cullen per il "troppo brava", sono contenta che ti sia piaciuta.

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Capitolo 3
*** Coast to Coast ***


Voci del passato - Coast to coast
Voci dal passato

Capitolo 3. Coast to Coast

I giorni scorrevano lenti, sempre uguali. Nonostante quello che era successo, non avevo smesso di andare a scuola. Non volevo deludere i miei, per quanto deceduti. La casa, prima così piena di vita, sembrava ad un tratto aver perso tutto il calore e tutti i suoi colori.
Quando rientravo, e non li vedevo, mi rinchiudevo in camera. Ma non piangevo. Non aveva senso piangere.
La polizia non era riuscita a capire chi o che cosa avesse ucciso i miei familiari. Al funerale, oltre a tanti parenti che non avevavo nemmeno mai visto, nessuno. Nessun amico, nessun ragazzo della mia età. Solo vecchi bacucchi con lunghi boccoli grigi, e signore con strane acconciature che mi passavano davanti ipocritamente facendo le condoglianze.
Non li vedevo. Non vedevo nessuno. I miei pensieri erano fissi sui volti dei miei genitori e di mia sorella, ricomposti nelle loro bare di legno chiaro.
Mi meravigliai vedendo al funerale il capo della polizia, con i due ragazzotti che sempre lo accompagnavano. Mi vennero vicino, e il loro capo si accosciò, per essere alla mia stessa altezza.
"Miriam..."
"Angel...io mi chiamo Angel...non ho mai abbracciato la fede dei miei genitori..." lo corressi.
"Scusami...Angel...Non siamo riusciti a trovare il o i colpevoli...Magari tu riesci a capirci qualcosa....Perchè tuo padre stringeva così forte questo?" mi chiese, mostrandomi un pezzetto di carta. Sopra, solo due parole. Due parole che mi sconvolsero più di tutto il resto.

"E alive"

"Per te hanno un senso?" mi chiese nuovamente, ma io non risposi. Ero troppo emozionata. Emozionata e infelice.
"Si...ma sono cose private fra me e mio padre...non centrano nulla con l'omicidio..."
"Come fai a sapere che si tratta di omicidio?"
"Senta..."
"Angel, sono giovane abbastanza da essere tuo fratello...il "lei" mi fa sentire vecchio...Nicholas..." mi interruppe.
"Nicholas, quelli non sono morsi di canidi, ne di altri animali...Ho studiato abbastanza da capirlo...è tra gli esseri umani che dovete cercare..."
"In effetti, anche il medico legale era perplesso..."
Scossi la testa come a chiedere un chiarimento della sua ultima affermazione.
"Ci sono segni di altri denti...molari..."
Annuii. La sua risposta confermava la mia ipotesi. Esseri umani. O meglio, esseri bipedi con un linguaggio, una cultura e una qualche forma di socialità, ma non di certo umani. Perchè nessun essere umano farebbe una cosa del genere ad altri esseri umani.
"Se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, anche solo di compagnia, chiamami..." mi sussurrò per non farsi sentire dai due sottoposti, passandomi un bigliettino con il suo numero.
Si alzò e se ne andò, seguito a ruota dai due, che mi salutarono con la mano.
Nell'altra mano stringevo il pezzetto di carta di mio padre.
"E alive....Edward è ancora vivo...fratellino..." e le lacrime scesero spontanee.
Finalmente la cerimonia finì e io potei rientrare in casa, lasciando mia zia Elisabeth a occuparsi degli ospiti. La mia stanza era il mio luogo preferito, specialmente quando stavo male. Rinchiudermi lì dentro mi sembrò la cosa più naturale del mondo. Non so per quanto dormii. Ricordo solo mia zia che viene a dirmi che se ne sono andati tutti e che se ne stava andando anche lei. La salutai, ringraziandola di cuore. Poi risprofondai nell'incoscenza e nel dolore.
Mi svegliai di colpo, sudata marcia, urlando.
"Un incubo...."
Seduta in mezzo al letto, cercai di ricordare cosa stavo sognando. Chissà come, proiettai al di fuori della mia mente i ricordi dell'incubo. Li vedevo davanti ai miei occhi come se ci fossi vicino, quasi potevo toccarli...Rividi cose, persone e luoghi...ma quando i ricordi arrivarono ai corpi straziati dei miei genitori e di Judith esplosi.
Piangevo, abbracciandomi come per confortarmi, ma quel gesto non mi aiutava affatto, mi faceva sentire se possibile ancora peggio. Urlavo come se mi stessero torturando, grida disumane mi uscivano dalla gola, e le lacrime scorrevano a fiumi...
Non di tristezza, ma di rabbia. Rabbia e impotenza....In un momento di crisi più profondo, altre immagini mi tornarono alla mente.

Un viso dolce e carico d'amore. Capelli color rame, spettinati. Sorriso disarmante. Occhi del colore del mare, che esprimevano una felicità infinita.

La visione cambiò.

Lo stesso viso. Non più dolce, non più carico d'amore. Triste e infelice. Le lacrime a imperlargli gli occhi color del mare.

Non ce la facevo più.
".....EDWARD!!!!!!!!" urlai con tutto il fiato che avevo in gola. La visione cessò e io svenni.


***

Forks, ridente cittadina della Penisola Olimpica, non lontano da PortAngeles.
Una casa fuori dal paese, immersa nel verde. Nascosta ma in piena vista.
Una stanza a vetri, oblunga, al primo piano. Una libreria a muro, stipata di libri e cd. Lo stereo che suona un pezzo classico.
Un divano bianco.
Sopra, un ragazzo sui diciassette anni, capelli color rame, occhi ambrati, più simili all'oro colato. Pelle bianchissima. Si agita. Si sveglia di colpo, urlando.


"Angel..." sussurra e una lacrima riga il suo viso perfetto.

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Capitolo 4
*** In caccia ***


Voci dal passato - In caccia
Voci dal passato

Capitolo 4. In caccia

"Edward..che succede?"
Una voce fuori dalla porta lo riscosse.
"Esme..."
La porta si aprì e una figura minuta ma di una bellezza anomala entrò, quasi volando, tanto leggera camminava.
"Che è successo?"
"Non lo so...un incubo...eppure sembrava così vivido...così vero..."
"Posso entrare Ed?" chiese una vocina minuscola. Sua sorella Alice.
Annuì, e quella entrò raggiungendo Esme, madre sua e di Edward.
"Hai visto qualcosa, Alice?"
"Non distintamente...è molto lontana...ma appartiene al tuo passato Ed...qualcuno che conoscevi...qualcuno di molto vicino..." disse la sorella fissando il vuoto, come faceva sempre quando prevedeva il futuro.
Il ragazzo si tirò a sedere dritto, scostandosi i capelli dal viso. Pensoso.
"Devo parlare con Carlisle..." disse dopo un po', alzandosi e uscendo dalla stanza, lasciando così da sole le due.
"Alice...tu l'hai vista in viso?" chiese sua madre.
"No...ho visto solo...lunghi capelli color dell'oro..." rispose la figlia, volgendo lo sguardo alla porta dove era appena sparito il fratello.
Nel frattempo, Edward aveva raggiunto la stanza dei suoi ma, non trovandovi il padre, si diresse verso lo studio.
"Carlisle...ho bisogno di parlarti..."
"Entra Edward...siediti...mi sembri sconvolto..che è successo?"
"Ho...ho avuto un incubo...e mi sono svegliato piangendo..."
"Uhm...strano...Cosa hai sognato, di preciso?"
"Una ragazza...di spalle...è triste...sta piangendo...ma non è quello il problema...subito dopo ho visto..." ma non riuscì a continuare.
"Dopo cosa hai visto?"
"Una culla...e una bambina...tende le manine verso di me...la bambina è diventata la ragazza che avevo visto poco prima...gli stessi capelli...biondi, color dell'oro...è allora che mi sono svegliato...Ho sentito chiaramente la ragazza urlare...gridava il mio nome..." raccontò il ragazzo con occhi vitrei, come se cercasse di rivedere quelle immagini.
"Hai visto il viso di questa ragazza?"
"No...ma quello della bambina sì...per quello piangevo...ho riconosciuto la bambina...è....era mia sorella..."
Carlisle lo guardò, cercando di comprendere cosa gli diceva il figlio.
"Quando ero ancora Edward Masen avevo una sorellina...appena nata...un angioletto...si chiamava Angel...e aveva i miei occhi...i colori del mare....i capelli biondissimi...Quando mio padre si ammalò, vennero e la portarono via. In un certo senso le salvarono la vita..."
"E io trovai te e tua madre...La ragazza del sogno...quanti anni credi che abbia?"
"Ne ha diciotto..." rispose dopo un attimo di esitazione, come se contasse a mente.
"Esattamente gli anni che sono passati dalla tua rinascita..." sussurrò piano Carlisle, soppesando le parole.
"Carlisle, secondo te era solo un sogno? Alice l'ha vista..."
"Penso sia meglio se per adesso non ci pensi...Se dovessi sognarla nuovamente, o se Alice dovesse vederla di nuovo, agiremo".
Edward si alzò e se ne tornò in camera, cercando di non pensarci. Ma più evitava di soffermarsi su quel pensiero, e più quel pensiero lo colpiva come una sferzata.


***
Ogni giorno che passavo senza i miei, era un giorno sempre più buio.
Non avevo chiamato Nicholas. Non sarei rimasta lì ancora per molto tempo, non aveva senso.
Chiunque fosse stato a uccidere i miei genitori e mia sorella, in realtà cercava qualcun'altro.
"Ma perchè? Che cosa ho io che loro vogliono?" mi chiedevo spesso. Ma non c'era risposta.
Un pomeriggio stavo tornando a casa da scuola, in compagnia di alcuni amici. Giunta davanti a casa, notai la porta semiaperta. Mi ricordavo di averla chiusa. Entrai comunque.
"Finalmente ci conosciamo, Miriam Breil...o meglio...Angel Sophie Masen..." mi disse una voce, maschile, fredda e sinuosa.
In salotto, sulla poltrona di mio padre, stava stravaccato un uomo, l'uomo più bello che avessi mai visto. Bello e ributtante allo stesso tempo. Un rivolo di sangue gli colava da un'angolo della bocca. Rimasi lì, impietrita, senza riuscire a dire nulla.
"Ti aspettavo...sapevo che era solo questione di tempo..."
"Chi siete? Che cosa volete da me?" mi forzai a chiedere.
"Gentile da parte tua darmi del lei...lo apprezzo...Io sono Marius...e quello che voglio da te, è che tu porti un messaggio...a tuo fratello Edward..."
"Allora è vivo..." sussurrai, in un misto di felicità e paura.
"Se la sua condizione si può chiamare 'vita'...però sì, tuo fratello calpesta ancora questa terra...e voglio che gli porti un messaggio...molto chiaro..."
Non me ne accorsi neppure. Provai solo dolore...un dolore intenso, irrefrenabile, incontrollabile...Volevo urlare, ma dalla mia bocca non usciva alcun suono. Per mia fortuna, finì quasi subito.
"Questo non ci ucciderà...e non diventerai come me, nè come tuo fratello...per lo meno, non subito. Hai cinque giorni per trovarlo..."
Mi sfiorai il collo...sentivo distintamente sotto i polpastrelli alcuni fori...il sangue quasi non usciva per niente...
"Che cosa dovrei dire a mio fratello, se mai lo trovassi?"
"Gli basterà vederti e saprà qual'è il messaggio, e chi glielo ha mandato...Ora è meglio che vada...Ho ancora sete..."
Ero quasi paralizzata dall'orrore. Quell'essere si nutriva di sangue...sangue umano...
"Aspetta...dov'è...dove lo trovo?"
"Forks. Ho come la sensazione che ci rivedremo bambina..." mi rispose, mentre spariva nel bosco dietro casa mia.
"Forks...." pensai, mentre mi fiondavo in bagno a guardami allo specchio.

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Capitolo 5
*** Da Chicago a Seattle ***


Voci dal passato - Da Chicago a Seattle
Voci dal passato

Capitolo 5. Da Chicago a Seattle

Davanti allo specchio non riuscì a trattenere un moto di disgusto. Due ombre scure, violacee, si andavano a formare intorno agli occhi, e cominciavo a sentire un leggerissimo pizzicorio in fondo alla gola.
"Fantastico..." bofonchiai, mentre mi lavavo la faccia, come se facendolo avessi potuto cancellare quello che avevo visto e che mi era successo.
Quando mi ripresi, andai subito in camera, ad accendere il computer portatile. Volevo sapere dov'era Forks, un posto che non aveva mai sentito.
Andai su internet e cercai tra i preferiti il link giusto. Ci mise un po'. La pagina mi disse tutto quello che volevo sapere.
Lessi ad alta voce, come se con me ci fosse qualcun altro.
"Forks, cittadina dello stato di Washington, conta poco più di tremila abitanti. Si trova nella penisola di Olympia, e deve il suo nome..." continuo a leggere. Tutte notizie importanti, ma quello che cerco veramente è il modo per arrivarci. Perciò cercai una piantina più dettagliata.
"Da Chicago...a Seattle...e poi Olympia. Da qui risalgo lungo la costa e passo per PortAngeles...fino a Forks..." mormorai, leggendo la mappa.
Sarei partita appena pronta. Alzandomi dalla sedia, sentì un lieve capogiro, che passò quasi subito.
Andai in camera mia e feci la valigia, mettendovi anche un maglione più pesante e l'ombrello. In meno di dieci minuti avevo finito, mettendo via anche il pc.
Scesi quasi di corsa le scale, infilandomi le scarpe e mettendo gli scarponcini da montagna nella borsa. La sentivo leggera, anche se probabilmente non lo era. Il campanello mi fece sobbalzare.
"Angel...Angel aprimi!". Era Nicholas. Spaventato.
"Che cosa vuoi?"
"Entrare, in primis. Secondo, voglio sapere che cosa è successo oggi...i tuoi vicini hanno visto qualcuno di sconosciuto entrare, e poi uscirne dopo una decina di minuti. Di te nessuna traccia..."
"Nicholas...io me ne devo andare...non posso restare...ho saputo che mio fratello Edward è ancora vivo e vive sulla West Coast...perciò vado da lui..." gli risposi.
Aprii di scatto la porta e notai che aveva la mano sul laccetto della fondina, non so se per estrarre o per riporre il ferro.
"Angel..."
"Non fermarmi...per me non c'è più niente qui...solo morte e dolore..."
"Ci sono io..." gemette.
Non l'avevo mai considerato. Non mi piaceva: troppo alto per me e soprattutto troppo vecchio...trent'anni erano troppi...
"Nicholas, togliti di lì, lasciami andare..."
"No...non posso..."
"E invece lo farai...o sarò io a farlo per te...". Non so da dove mi spuntò fuori quell'arroganza.
A malincuore dovette spostarsi. Mi avviai a piedi verso il centro, per prendere un treno per l'aeroporto. Solo una volta mi voltai indietro.
"Angel...ti rivedrò mai?" mi chiese con gli occhi lucidi.
"Non lo so...forse..."
Un velo di lacrime ricoprì gli occhi scuri di Nicholas, che mi diceva addio per sempre probabilmente. Senza saperlo.

All'aeroporto, prenotai un posto sul primo volo per Seattle. In aereo non dormii. Non riuscivo a dimenticare gli ultimi avvenimenti. Allo specchietto controllai lo stato del mio collo. Il segno a mezzaluna stava perdendo colore, da viola stava diventando bianco.
"Per lo meno, sarà più facile nasconderlo..." dissi tra me e me.
A Seattle non volli fermarmi e proseguii. Stranamente, non avevo sonno. Anzi. Ero sveglissima, impaziente.
Cercai un bus per Olympia, ma mi dissero che per quella sera non c'erano più corse. Mi arresi e andai in albergo. Il bello di crescere in una famiglia come la mia, erano i soldi. Ce n'erano sempre parecchi in casa, così prima di partire avevo fatto il pieno.
Scelsi un alberghetto carino e poco costoso, ma pulito e accogliente. La signora alla reception mi accompagnò in stanza, chiedendomi se avessi fame. Scossi la testa. In effetti, più che fame avevo sete. La gola riarsa mi asfissiava.
"Mia cara, mi sembri stanca. Una doccia e una buona dormita ti aiuteranno a recuperare. Sei così pallida, sei sicura di star bene?"
"Si signora grazie...sto bene, sono solo stanca per il viaggio...arrivo da Chicago..."
"Viaggio bello lungo...Se per caso ti servisse qualcosa, digita l'interno 1...rispondo io" mi disse facendomi l'occhiolino, chiudendosi la porta dietro le spalle.
In bagno, dopo la doccia passai una buona mezz'ora ad osservarmi. In effetti ero molto pallida, quasi diafana. Mi spaventai a morte...quell'uomo...il colore della pelle era circa lo stesso mio...Oh mio dio, mi stavo trasformando...Le occhiaie, le mani sempre fredde, la pelle pallida, quasi bianca....tutto mi portava a pensarlo.
Mi infilai sotto le coperte con la paura di non svegliarmi.

***

Alice trasalì. Jasper, il marito/fratello, le fu subito accanto, percependo il suo mutamento d'umore.
"Cosa vedi?"
"La ragazza...è partita...e ora è a Seattle...sta venendo qui...lo vedo...arriverà tra qualche giorno...È strano..."
"Che cosa, Alice?" le chiese Edward con una punta di timore.
"Prima la vedevo sfocata, ora man mano si sta definendo. Riesco a vedere il suo viso...è bellissima...e pallida..." poi gli occhi della morettina tornarono normali.
"Che significa, Carlisle?" gli chiese il figlio, ma lui non rispose. Non pensò nemmeno la risposta, poichè così Edward l'avrebbe visto comunque, possedendo la capacità di leggere il pensiero, umano o vampiro che fossero.
"Che facciamo, Carlisle?". Questa volta era stata Esme a porre la domanda. L'interpellato fece spallucce, non sapendo cosa risponderle.
"Alice, non perderla di vista..." raccomandò alla figlia minore.
"Certo..."
Edward si diresse nuovamente in camera sua, sdraiandosi sul divano.
Che voleva dire se Alice la vedeva sempre più definita?

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Capitolo 6
*** In viaggio verso il destino ***


Voci dal passato - In viaggio verso il destino
Voci dal passato

Capitolo 6.  In viaggio verso il destino

Mi svegliai per fortuna, con uno strano sapore in bocca. Sapeva di dolce. Mi toccai il labbro e rabbrividii.
Evidentemente avevo avuto una piccola crisi durante la notte, perchè il labbro superiore era spaccato e un rivolino di sangue mi macchiava il lato della bocca. Mi sentivo meglio della sera prima, in compenso.
"Accidenti...Questo però non me lo aveva detto..." mentre mi pulivo.
Accesi il pc e internet, ripescando la mappa dello stato. Seattle era verso l'interno, mentre Forks si trovava sul Pacifico quasi. Un bel tratto. E non avevo molto tempo. Era già passato un giorno intero da quando ero stata morsa, me ne mancavano solo quattro.
Risistemai i bagagli e uscii, lasciando la stanza com'era. Alla reception la signora mi vide più rosea e tranquilla, e si mise il cuore in pace. Meno male.
Chiamai un taxi e gli dissi di portarmi alla stazione degli autobus. Non ci arrivai.
"Signorina, non pensa che una fanciulla carina come lei dovrebbe andare in giro protetta?" mi chiese malizioso il taxista, un giovane ispanico.
"E perchè mai?" sostenendo lo sguardo che mi lanciava dallo specchietto retrovisore.
"Niente, dico solo che così carina potrebbe succederle qualcosa di spiacevole..."
In quel momento, le chiusure centralizzate si bloccarono, rinchiudendomi lì dentro.
"Cavolo!! Ma tutte a me devono succedere...?" pensai, mentre il taxi entrava in un parcheggio sotterraneo semideserto. Ottimo posto, complimenti per la scelta.
Quando si fermò, il ragazzo si voltò verso di me. Dalla profondità dello sguardo dedussi che mi stava facendo una radiografia. Tremai.
"Oh non ti preoccupare, non voglio farti del male...non troppo per lo meno..."
Passò dietro e io mi accucciai contro la porta, all'esatto opposto del punto dove era lui.
"Non fare la scontrosa bambina...vieni qui...ci conosciamo, facciamo quattro chiacchiere, ci divertiamo..."
Non avevo alcuna intenzione di 'divertirmi' con lui, perciò mi dimenai a più non posso quando mi afferrò i polsi, cercando di tenermi ferma.
Non so come, gli riuscì di mettersi sopra di me. Pensai che fosse finita. Allora successe il miracolo.

Quando mi riscossi, non ero del tutto certa di dove fossi, o di cosa fosse successo. Del ragazzo, restava ben poco. Sventrato e dissanguato. A prima vista ebbi l'impulso di vomitare. Poi una strana consapevolezza si fece largo. Ero stata io. Chissà come. Poi mi guardai allo specchietto e lanciai un urlo, a metà tra il terrore e la sorpresa.
Metà del mio viso era rosso, ricoperto di sangue. Sotto il rosso, il pallido estremo delle ultime ore andava via via diminuendo. Sostituito da un colore bianco marmo, spettacolare.
Gli occhi verde mare però erano rimasti gli stessi, forse di un colore più cangiante: passava dal verde al blu, con tutte le varianti possibili tra i due. Ero meravigliata. Osservando meglio, notai anche una riga rossa nella parte bassa dell'iride.
Per fortuna, in macchina c'erano delle bottiglie d'acqua, così potei lavarmi via il sangue di dosso. Mi sentivo decisamente meglio, più forte. Presi le mie cose, e filai via alla velocità della luce. Appena fuori dal parcheggio tornai a respirare tranquilla.
Mi sembrava di essere cambiata, se possibile in meglio. Gettai via i vestiti che avevo addosso, e mi cambiai con quelli che avevo nella borsa. Ringraziai la mia previdenza, che mi salvava un'altra volta.

Camminai. Camminai. Camminai. Per un tempo infinito. Quando finalmente decisi di fermarmi per la notte, guardai la cartina che mi ero stampata prima di uscire dall'albergo e mi meravigliai. Ero non molto lontano da Olympia. Avevo percorso, a piedi e con la valigia, circa sessanta miglia. Avevo studiato bene la mappa. Scendendo da quella parte, avrei evitato le strade principali dopo, nel tragitto tra Olympia e Forks. Tra le due infatti si stendeva un parco nazionale e una grande foresta. Ottimo posto per nascondersi.
Mi stupii della mia resistenza, ma non ci feci troppo caso. Il secondo giorno volgeva al tramonto, che io osservai seduta su una panchina in uno dei parchi della città. Mi addormentai sul prato, raggomitolata sotto una quercia, coperta dal maglione pesante e dalla giacca.
E per la prima notte, dormii tranquilla.




Note dell'autrice: ringrazio infinitamente le 19 persone che hanno inserito questa ff tra le favorite. Grazie grazie!

@Alice brendon cullen: spero con questo capitolo di averti chiarito un pochito le idee sul perchè Alice riesce a vederla meglio adesso...

Un caloroso grazie anche a chi mi lascia un messaggino tra le recensioni. I vostri commenti sono importantissimi, mi aiutano a capire se c'è qualcosa da cambiare. Continuate così! Baciotti

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Capitolo 7
*** Cambiamenti ***


Voci dal passato - Cambiamenti
Voci dal passato

Capitolo 7. Cambiamenti.

Il sole mi svegliò. Cercai di tirarmi su, stropicciandomi. Avevo dormito come un ghiro, mi sentivo rinata. Forse lo ero davvero, per un altro motivo. La mia pelle aveva sempre quel colore bianco marmo, ma riuscivo ancora ad arrossire, cosa che avevo constatato guardandomi nello specchietto che avevo sempre con me.
Avevo letto tante cose sui vampiri, da piccola. Leggende. Miti. Racconti di gente comune che li aveva visti.
Non mi ci ritrovavo.
La mia pelle non era così fredda, non avevo i canini sporgenti, né forza o velocità sovrumane. Solo il colore della pelle e degli occhi, e forse la sete. Ma neanche poi tanto. In fondo, dopo il ragazzo del taxi non avevo più avuto lo stimolo. Avevo mangiato in un bar, cibo normale. Non mi era successo nulla. Respiravo ancora, e il mio cuore batteva.
Scossi la testa, decisamente confusa.
"Signorina, che ci fa lì in mezzo?" mi sorprese una voce, grave e non troppo tenera. Un poliziotto a cavallo mi squadrava dall'alto.
"Ho dormito qui...c'è qualche problema?"
"Direi di sì...la temperatura stanotte è arrivata quasi a 0 °C, non se ne è accorta?" mi disse, scendendo dall'animale, un bellissimo esemplare nero come la notte.
"No..."
"Non ha una casa, qualcuno che la conosca e che la possa ospitare?" riprese, avvicinandosi un po'.
"Secondo lei, se li avessi avuti, avrei dormito qui?" risposi sarcastica come mai mi era capitato. Questa sicurezza e arroganza dovevano venirmi dai cambiamenti che stavo subendo.
"Ma non si preoccupi, me ne vado subito. Ho ancora molta strada da fare" aggiunsi, alzandomi e riprendendomi la roba e facendo qualche passo per allontanarmi.
Il poliziotto fece l'unica cosa che non avrebbe dovuto fare.
"Signorina, devo portarla in centrale. Stiamo cercando una ragazza bionda con gli occhi verdi, che ha ucciso un taxista a Seattle. Venga con me!" mi disse, afferrandomi per un braccio e trattenendomi.
Un basso ringhio mi uscì dalla gola e non so come riuscii a mantenere un vago controllo di me stessa. Bastò una pressione leggera sul braccio dell'uomo, per vederlo crollare a terra urlante, il braccio rotto in almeno cinque o sei punti. Un brivido di paura mi percorse la schiena.
Lo ignorai, e mi diressi verso l'altro capo del parco. Pochi passi, e tornai indietro. Perchè dovevo farmi la strada a piedi? A lui non serviva più il cavallo.
Mi avvicinai all'animale, che sorprendentemente non mi respinse.
Era pur sempre una preda per me, avrebbe dovuto scappare via come il vento. E invece niente. Anzi, mi strofinò il muso contro il viso, per niente spaventato.
Assicurai la borsa alla sella, e ci montai. Era altissimo, un colosso. Io arrivavo a malapena all'altezza della spalla.
"Accetti di portarmi fino a destinazione? Prometto che non ti farò del male...Come ti chiami?" domandai, per poi ricordarmi che non era in grado di parlare.
Il poliziotto, a terra dolorante, bisbigliò qualcosa così piano che non riuscii a sentirlo.
"Te ne darò uno io...andiamo, abbiamo molta strada da fare, amico..." gli sussurrai, carezzandogli la guancia. Quello si mise al passo, uscendo dal parco. Presi per Shelton, proseguendo dritta verso la Foresta.
Ogni tre o quattro ore mi fermavo, sia per lui sia per me. Non ero abituata a cavalcare, perciò ogni volta che scendevo sentivo i muscoli tirare come non mai.
Mi ero abituata alla sua presenza. Cercai di capire di che razza fosse. Internet mi aiutò parecchio. C'erano tre possibilità: due razze italiane e una orientale.
"Dunque....ci sono tre possibilità. Maremmano, Murgese o Arabo. Allora vediamo...sei un Murgese?"
Nitrì, scuotendo la criniera, cosa che interpretai come un 'no'.
Riprovai.
"Un maremmano?"
Idem come sopra.
"Allora sei un Arabo...interessante...qui dice che gli Arabi si disinguono in tre 'razze': kuhailan, siglavy e muniqi..."
Nitrì nuovamente quando pronuncia l'ultima parola, muniqi. Mi fissava con due occhioni languidi, dello stesso colore del suo mantello. Ricambiai il suo sguardo, e sorrisi.
Proseguimmo per un bel tratto, in silenzio. Non volevo che si stacasse troppo, perciò lo mantenevo al passo, o al piccolo trotto. Sentivo tuttavia che avrebbe potuto fare di più. Mi ripromisi di farlo correre un po' quando saremmo arrivati a destinazione.
Ci fermammo al limitare della Foresta Olimpica, non lontano da un ruscello. Il sole tramontava sul mio terzo giorno. L'indomani dovevo essere a Forks, o tutto sarebbe stavo vano.
Smontai, e liberai l'animale, che si diresse a bere.
Mi accoccolai sotto le fronde di un acero, guardando quella creatura così calma e tranquilla nonostante si trovasse con un predatore. L'animale tornò poco dopo, e si mise a brucare tranquillo, a pochi passi da dove ero seduta io.
Avevo fame...e sete. Dovevo mangiare a tutti i costi, altrimenti lo avrei attaccato, e non ne avevo alcuna intenzione.
"Io mi allotano un po'....ho fame...torno tra poco...". Non so perchè glielo dissi, ma mi venne naturale, come se parlassi con un'altra persona.
Tornò verso di me, e mi diede una leggera spinta col muso, a mo' di saluto.
Mi inoltrai nella foresta, cercando qualcosa da mangiare. E per la prima volta, cacciai sul serio.

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Capitolo 8
*** Finalmente, Forks ***


Voci dal passato - Finalmente Forks
Voci dal passato

Capitolo 8. Finalmente, Forks

Quando tornai indietro, mi sentivo decisamente meglio. Un paio di cervi mi erano bastati a calmare la sete, che sentivo premere sempre più, man mano che passavano i giorni.
Al campo, il mio compagno di avventure mi aspettava in piedi accanto all'acero.
"Ehi...ma non ti viene voglia di sdraiarti?" gli chiesi, mentre mi sedevo.
Scosse la testa.
"No...direi di no...allora...troviamo un bel nome per te, che ne dici? Non posso mica chiamarti sempre "cavallo" o "amico"...Dunque...sei arabo...quindi ci vuole qualcosa di adatto...Che ne dici di Nadir?"
Non gli piaceva, come non gli piaquero gli altri quindici nomi che gli proposi. Alla fine ebbi un moto di stizza e me lo inventai di sana pianta.
"Uff...allora ti chiamerò Al Hattal, sei contento?" sbuffando.
Mi venne vicino e mi passò la lingua sulla guancia. Nitrì e se ne ritornò al suo cantuccio.
"Al Hattal? Così ti piace? O aspe....tu ti chiami già Al Hattal! Ecco così balbettava il tuo ex padrone...Mi piace, ha un bel suono..."
Lo guardai ancora per un po', poi crollai, appoggiata al tronco dell'acero, distrutta.


***

Il giorno dopo, il quarto, cominciò male. Mi svegliai con una sete tremenda, quasi incontrollabile. Mi levai veloce, e scappai nella foresta. Al Hattal mi guardò schizzare via, e tornò a fare quel che stava facendo, dormire.
Poco dopo ritornai, con un coniglio stretto in mano. Integro. La sete l'avevo già soddisfatta, ora era la fame che mi premeva. Accesi il fuoco, dio solo sa come, e arrostii il coniglio, mangiandomelo con gusto.
Andai al ruscello e ci infilai dentro tutta la testa. Mentre guardavo il fondale sabbioso, un muso rosato conparve accanto alla mia faccia. Lanciai un urletto sorpresa e tirai fuori la testa, fradicia.
"Al Hattal, santa pace! Vuoi farmi venire un colpo? Potevo ucciderti!" lo rimproverai.
I suoi grandi occhi languidi mi fissavano, ad un tratto impauriti. Lo notai subito.
"Scusami, ma mi hai spaventato...Lo sai che non ti farei mai del male...non devi temermi...Non tu..." lo rassicurai. Si fidò, permettendomi di avvicinarmi e accarezzarlo. Premetti delicatamente il mio viso sulla sua guancia, ascoltando in silenzio i battiti del suo cuore, che andavano di pari passo con i battiti del mio.
"Che ne dici, andiamo? Ci siamo riposati abbastanza..." gli dissi, mentre recuperavo coperta, sella e finimenti. Se li lasciò mettere tranquillo. Ogni tanto, un brusio soddisfatto si levava. Era contento di ripartire. Caricai i bagagli, e riempii le borracce che avevo comprato a Olympia con l'acqua del ruscello. In previsione, avevo anche recuperato un secchio abbastanza grande perchè il cavallo potesse bere. Montai e mi sistemai bene in sella. Avremmo cavalcato più del previsto, quel giorno.
"Oggi dobbiamo arrivare a Forks, amico mio...lo so che è un po' lontana..ma dobbiamo...Se ti faccio correre un po' ti da fastidio?" gli chiesi.
Scosse la criniera e si lasciò portare sul sentiero. Non era adatto alla corsa, così tornai indietro. Poco prima del nostro bivacco, c'era un cartello. Indicava i sentieri percorribili, e con quali mezzi. Per i cavalli ce n'era solo uno. Sperai che fosse abbastanza largo da permettergli di correre un po'. Quando ci arrivammo, rimasi di stucco. Ogni tanto spuntava un albero, ma erano molto più radi di quelli dell'altro sentiero. Alcuni erano segnati con una striscia bianca.
"Ehi Al Hattal...sembra un sentiero da corsa...che dici ci buttiamo?"

Nitrì.
"Allora, andiamo!!" gli dissi spronandolo. Quello partì in un trotto leggero, e man mano che prendeva confidenza con il terreno, aumentava la velocità. L'aria che mi colpiva il viso non era mai stata così piacevole. Cavalcammo parecchio quella mattina, e Al Hattal sembrava felice. Ogni tanto rallentava, ma per la maggior parte del tempo il suo passo era piuttosto sostenuto. In sella, dall'alto, osservavo il paesaggio che mi scorreva accanto. Verso le due del pomeriggio ci fermammo. Avevamo percorso metà della strada, e stavamo per uscire dal parco. Smontai e mi sedetti su un masso, bevendo un po' d'acqua. Nonostante tutto, riuscivo ancora a bere tranquillamente.
"Al Hattal, vuoi dell'acqua?" gli chiesi, mentre riempivo il secchio. Si avvicinò e cominciò a bere avidamente, dissetandosi. Mangiammo qualcosa, e poi presi la cartina, studiandola. Mi mise la testa sulla spalla, sbirciando la mappa.
"Dunque...siamo qui, circa. Tre o quattro miglia ancora e siamo fuori...Usciamo qui, al Lago Quinault, e poi seguiamo la 101 verso nord...Stasera siamo a Forks, se te la senti..."
Nitrì in modo strano, come se lo avessi offeso.
"Okay, okay...te la senti...daccordo...andiamo allora..." replicai, montando nuovamente in sella.
Quando uscimmo dal parco, erano appena le tre e mezza. Proseguimmo impeterriti verso nord, su strade di campagna, seguendo sempre la 101. Ogni tanto gli chiedevo una tregua, per riposarmi un po'. Sembrava completamente a proprio agio, come se fosse abituato a tutte quelle miglia. Il mio fondoschiena lo era un po' meno però.
La strada si stava accorciando sempre più. Quando, alle cinque e mezza, arrivammo in cima alla collina e vidi di sotto snodarsi la 101 che entrava in città, seppi che ero quasi arrivata. Ci fermammo nuovamente, e io mi sedetti, appoggiata ad un grande leccio. Mi colse il sonno, e chiusi gli occhi.


***
La famiglia Cullen quel pomeriggio era decisa a giocare a baseball. Su Forks si stava abbattendo uno dei soliti temporali. Perciò presero le macchine e salirono al campo, che si trovava appena dentro il parco olimpico.
Erano tutti pronti, chi a battere, come Rosalie, la bionda sorella maggiore di Edward, chi a lanciare, come Alice.
Quest'ultima levò gli occhi al cielo e diede il via alla partita.
Stava per battere Emmett, il marito/fratello di Rosalie, quando Alice si voltò verso la foresta, pensierosa.
"Alice..che succede?" le chiese il padre, interrompendo il gioco.
"Sta arrivando...è quasi a Forks...sta diventando più forte..."
Edward interpretò i pensieri di Alice.
"Carlisle, dobbiamo fare in modo che ci trovi...non possiamo rischiare..."
L'uomo annuì, e richiamò i figli dal gioco.
"Oh dai...stavamo vincendo..uffa!" sbottò allegro Emmett.
Ripresero le macchine e tornarono indietro. Dovevano fare in modo che lei li trovasse, ma come? Andarle incontro era escluso, troppi rischi.
"E se le segnassimo il sentiero? Riconoscerebbe il nostro odore e ci seguirebbe..." propose Alice
"Uhm...mi sembra una buona idea...Si direi che è quasi l'unica soluzione...Dopo il temporale..." rispose Carlisle.
Edward sembrava perso nei propri pensieri. Tra qualche ora avrebbe rivisto sua sorella, la sua amatissima sorella, dopo diciotto anni. Quanto era cambiata? L'avrebbe riconosciuta?
"Ed...Ed...Edward!" lo chiamò Alice, riscuotendolo.
"Eh?"
"Meglio se l'odore è il tuo...ti conosce meglio di tutti noi..."
"Ma sono passati diciotto anni...e una rinascita come vampiro...non so se..."
"Ti ho visto..."
"Ah bo allora..."
"Noi andiamo a casa, tu comincia da qui, fino giù in città e poi raggiungici" gli disse il padre, fermandosi al limitare della foresta dietro casa.
Il giovane scese e partì di gran carriera, inoltrandosi nel bosco che scendeva fino in città. Ogni tanto segnava il sentiero.
"Angel..."


***
Mi svegliai con il suo nome sulle labbra. Un lacrima solitaria mi pungeva l'occhio sinistro. L'asciugai in fretta e mi rialzai.
Al Hattal era lì che mi aspettava, tranquillo come sempre.
"Andiamo...ora la strada si fa più complicata..." rimontando in sella.
Un paio di ore mi separavano da mio fratello, volevo solo che passassero il più in fretta possibile.
"Edward, fratellino, arrivo....Aspettami!"
Svoltato l'angolo, la vidi.
"Forks, finalmente!"






Note dell'autrice: noto con molto piacere che questa storia piace a molti, ne sono felice.

@ RiceGrain: il fatto di aggiornarla così frequentemente è che la sto scrivendo man mano. Perciò quando ho un'idea, la metto per iscritto, ci ricamo intorno il capitolo e la posto subito. E poi più vado avanti più la storia mi piace.
@ Alice brendon cullen: la tua curiosità sarà presto soddisfatta.....il prossimo capitolo ;)
@ 3le____x: a dire il vero non seguò proprio le date citate dalla Meyer, diciamo che ho preso gli eventi in blocco e li ho concentrati in un periodo più ristretto, senza tener conto della date effettive. Diciamo che è una storia quasi senza tempo...

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Capitolo 9
*** Fratello e sorella ***


Voci dal passato - Fratello e sorella
Voci dal passato

Capitolo 9. Fratello e sorella

Discesi la collinetta e arrivai in vista della cittadina.
Una pioggia battente e quasi continua cadeva sulla città, intristendola ancora di più
"Amico mio, che doccia che ci stiamo prendendo...brrr ed è pure fredda...che barba..." commentai scrollandomi di dosso il più possibile l'umidità. Un cammioncino ci passò accanto e l'autista mi fissò per un momento, sconcertato.
Al Hattal nitrì di fastidio.
"Anche a me...sembra che qui nessun abbia mai visto un cavallo...Teniamoci lontani...prendiamo il sentiero che porta nel bosco, che ne dici? Staremo al riparo, e non solo dalla pioggia." Approvò, perciò lo guidai verso la foresta, che si stendeva rigogliosa ai due fianchi della cittadina.
Appena entrati sotto la copertura degli alberi, per il mondo esterno sparimmo.
Scesi e lo guidai per il sentiero, troppo scosceso per farlo a cavallo.
"Questo sentiero non mi piace neanche un po'..."
Mentre parlavo così con il mio compagno di viaggio, un odore misterioso mi colpì come una scudisciata, bloccandomi lì dov'ero.
Respirai, inalando quel profumo, facendolo circolare.
Il cavallo mi squadrava in modo strano, come se non sapesse esattamente quel che stavo facendo.
"Questo odore...mi è familiare...Al Hattal, da questa parte, dobbiamo seguire questa scia..." dissi, risalendo in groppa all'animale.
Pochi passi nella foresta, poi l'odore si fece meno intenso. Lo seguii, uscendo dal riparo degli alberi.
Mi facevo guidare dal naso, così prendemmo un sentiero diverso, più largo, che passava dietro le case.
Nessuno ci notò, sembravamo fantasmi. La scia ci guidò fino ad una strada, sterrata, che si inoltrava nella foresta, per chissà quanto, zigzagando.
"Sulla mappa non c'è...ma non è un problema, Al Hattal. Ora c'è il mio naso...Andiamo, ora si che puoi correre in pace! Forza, amico mio, siamo quasi arrivati!" lo incitai, dandogli con i talloni.
Al Hattal partì al galoppo, ebbro di felicità. Correre era la sua ragione di vita, avevo capito. La corsa più emozionante della mia vita. Mentre correva, sentivo l'odore farsi via via più intenso.
Gridai di gioia.
"Al Hattal! Al Hattal!!" ululai, spingendolo ancora di più. Correva veloce, e il rumore degli zoccoli che schioccavano sulla strada ci faceva da compagnia.
Ad un certo punto, la scia voltò verso sinistra e tirai le redini, in modo che capisse che dovevamo girare, e lui docile voltò, senza perdere velocità, anzi aumentandola.
"Vai amico mio, dopo di che potrai avere tutta l'acqua che vuoi, promesso!"
In lontananza intravidi il profilo di una casa, una casa enorme.
"Al Hattal, so di chiederti uno sforzo notevole..." cominciai, ma lui non mi fece finire. Aumentò ancora la velocità.
Adesso filava via veloce come il vento, a stento riuscivo a vedere il paesaggio attorno a me.
"Wow!!" esclamai, felice.
Raggiunsi la casa in pochissimo tempo. La scia finiva lì. Ero arrivata. Frenai il mio compagno, che si impennò nitrendo, contento per la corsa che gli avevo permesso di fare. Quando si calmò riuscì a scendere. La casa era davvero enorme. Mi chiesi quanti fossero gli inquilini. Ero così felice, che dimenticai il mio status. Presi le redini di Al Hattal e mi avvicinai alla casa, cirscospetta.
Nessun rumore, nessuno in vista. Mi guardai in giro. Nessuno.
"Strano, amico mio, eppure la scia termina qui..." commentai pensierosa.
Mentre ero voltata di schiena, la porta si aprì.

***
Edward sentì l'ospite arrivare. Urlava di gioia. Chissà come mai?
"Aspettiamo ad uscire, prima voglio sapere alcune cose..." disse ai suoi, riuniti in salotto.
"Come vuoi fratellino..." replicò Alice, seduta in braccio a Jasper.
Si mise in ascolto, davanti alla porta. Era più complicato del previsto, ma ci riuscì.
"Fermo Al Hattal, siamo arrivati. Che casa enorme, chissà quanti sono gli inquilini...Vieni amico mio, vediamo un po'...ce l'avranno il campanello? Uhm...strano...non c'è nessuno in giro..."
Aveva sentito abbastanza. Aprì la porta di scatto, uscendo sul portico. La ragazza era girata di spalle. Lunghi capelli biondi, a boccoli, le ricadevano morbidi sulla schiena. Era magra ma le forme erano quelle di una diciottenne. Vestiva un paio di jeans strappati, scarpe da ginnastica e aveva indosso un pastrano sintetico per ripararsi dalla pioggia.
Non sapeva cosa dire. Avrebbe voluto che si voltasse, per essere assolutissimamente certo. E lo fece.


***

Dalla casa uscì un ragazzo, alto, non troppo muscoloso ma ben proporzionato. Capelli ramati, scompigliati. Occhi. Gli occhi mi colpirono. Erano castano dorati, come se ci navigassero dentro pagliuzze d'oro vero. Ma fu il viso che mi lasciò lì imbambolata a guardarlo, incapace di dire una parola. Mai avevo visto un ragazzo più bello. Non a quell'età almeno. La pelle di marmo mi confermò che era della stessa "famiglia" di Marius.
Lasciai la presa sulle briglie di Al Hattal, che indietreggiò appena. Mi avvicinai, tanto da potergli parlare senza urlare.
Avevo persino paura di pronunciare il nome, un nome che non avevo mai detto, almeno non a lui.
Presi il coraggio a due mani e mi buttai.
"E...Edward..." lo chiamai. Si sciolse, mi corse incontro e mi abbracciò. Sentì lo schiocchiolio delle ossa, ma non mi feci male. La trasformazione era quasi completa.
"Angel...Angel...Angel, mia cara sorella!" sussurrò, stringendomi ancora di più.
Ricambiai l'abbraccio, cercando di non fargli male. E piansi. Di gioia. Dalla casa uscirono altre persone, sei in tutto. Sembravano felici. Tre erano biondissimi come me, gli altri avevano i capelli di un marrone accesso, molto carico. Gli occhi erano dello stesso colore di quelli di Edward, il che mi stupì.
"Non speravo più...pensavo...pensavo..."
"Che fossi morto?" finì di dire lui.
Annuii.
"Carlisle mi ha salvato, su richiesta di mamma. Mi ha trasformato in quello che sono oggi..."
"Chi è Carlisle?"
"Quello con i capelli biondo ossigenati..."
"E gli altri?"
"Sono la mia nuova famiglia. Mia madre e i miei fratelli e sorelle".
Ci rimasi male. Lui aveva una nuova famiglia...e io piombavo lì dal nulla.
"Non ci pensare nemmeno, ad andartene! Loro sono fratelli acquisiti, ma tu sei la mia vera sorella, la mia sorellina...non ti lascerò mai più Angel, è una promessa!" mi sorprese nuovamente, chissà come faceva.
"Benvenuta cara. Io sono Esme. Avrai fatto un lungo viaggio..perchè non entri? Qui sei a casa..." mi disse la donna che capii essere la madre di Edward.
Feci per muovermi, ma poi ripensai ad Al Hattal, che mi aspettava.
"E lui?" indicandolo.
"Sei venuta a cavallo?" mi chiese stupito il fratello maggiore di Ed, Emmett.
"Da Olympia sì..."
"E non ha paura di te?" mi chiese Jasper, l'altro fratello.
"No, e non capisco come. Per lui sono un predatore, un nemico..."
"Ti sei già trasformata?" si intromise Carlisle curioso.
"Be...non saprei...cinque giorni fa è successo...ma è stata una cosa graduale...e comunque, respiro ancora, e ho fame. La mia pelle non è così fredda come la vostra..."
Edward intanto non mi mollava un secondo, come se temesse di perdermi ancora.
"Per il tuo cavallo, ci pensi tu Alice?"
La ragazza, piccola di statura e con una massa di capelli corti bruni, prese in consegna Al Hattal che, come con me, sembrava non avere assolutamente paura.
Entrammo in casa. Dentro era ancora più grande. Luminosissima e ariosa, piena di finestre.
Ci sistemammo sul divano in salotto. Edward, io, Carlisle, Esme seduti. Emmett, Rosalie e Jasper per terra davanti a noi.
"Devi raccontarci tutto..." chiese Emmett sorridendo.
"Non pensi che prima Angel voglia darsi una sistemata?" intervenne Jasper, intuendo il mio stato d'animo.
"L'accompagno di sopra, così può farsi una doccia..." disse Esme con un sorriso dolcissimo dipinto sulle labbra. Mi prese per mano e mi accompagnò di sopra.
Carlisle la fermò solo per un momento, aveva qualcosa da chiedermi.
"Angel...chi è stato a trasformarti, lo sai?"
"Si...e mi ha detto che Edward avrebbe capito subito, guardando il morso, chi era e qual'era il suo messaggio..." risposi, togliendomi il pastrano.
Il morso divenne evidente, e lessi un segno di preoccupazione e sconcerto negli occhi di mio fratello. Poi Esme mi riportò alla realtà e mi accompagnò di sopra.
Sul divano, Edward fissava il vuoto.
"Marius...dannato bastardo! Non doveva farlo, non a mia sorella..." sibilò, mentre suo padre gli posava una mano sulla spalla, comprendendo il suo risentimento.

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Capitolo 10
*** Marius ***


Voci dal passato - Marius
Voci del passato

Capitolo 10. Marius

Quando uscii dalla doccia, mi sentivo meglio. Almeno la polvere e il fango me li ero tolti di dosso. Esme mi diede uno dei vestiti di Alice, che mi stava a pennello.
"Ti sta divinamente cara!"
In effetti, guardandomi allo specchio non potei fare a meno di darle ragione. Tornammo di sotto, chiacchierando del più e del meno.
Ritrovammo l'intera famiglia in salotto: parlavano a voce bassa, sibilando.
"Eh Ehm..." tossichiò Esme per attirare l'attenzione.
Si voltarono tutti contemporaneamente. Ed si alzò e venne verso di me, riempiendosi gli occhi della mia figura.
"Sei bellissima Angel..." mi sussurrò all'orecchio, abbracciandomi.
"Angel, posso chiederti di narrarci quello che è successo?" mi chiese Carlisle con voce calma e, in un qualche modo, dolce.
Annuii, e mi accomodai sul divano accanto a Edward e a Rosalie. In religioso silenzio attendevano che parlassi.
"Be...è iniziato quando sono morti i miei genitori e mia sorella, cioè un mese fa circa. Li ha uccisi lui, ma in realtà cercava me...Per fortuna, mio padre ebbe il tempo di passarmi un'importantissima informazione. Che tu eri ancora vivo, chissà dove..." dissi, indicando Ed, che mi sorrise.
"A due settimane dalla morte dei miei, è venuto a trovarmi e mi ha morso, dicendomi che avevo cinque giorni per trovarti...Non so perchè...A Chicago non avevo più ragioni per restare, così presi quelle poche cose che potevano servirmi, e partii per Seattle, in aereo". Non avevo il coraggio di dire a mio fratello del tassista, ma non ce ne fu bisogno.
"Che animale!!" commentò sibilando e tremando di rabbia.
"Che è successo?" chiese Rosalie, curiosa.
"Ecco...un taxista ha cercato di violentarmi...ricordo che era sopra di me, poi ho un vuoto mentale. Quando mi riprendo lui è morto, sventrato e dissanguato. E sono stata io..."
Lo sguardo della bionda si perse per un momento. Emmett le mise un braccio sulle spalle, come a confortarla.
"Da Seattle ho proseguito a piedi fino a Olympia..."
"Ma...ma sono più di sessanta miglia!" esclamò il gigante sbarrando gli occhi.
"Lo so..non so neanche io come ho fatto...Ad Olympia ho incontrato Al Hattal...ed eccomi qua..." conclusi il sunto molto breve del mio viaggio durato cinque giorni.
Uno strano brusio riempì per un momento l'aria. Arrossii fino alla punta dei capelli, e tutti sorrisero, trattenendo una grassa risata. Avevo fame.
"Hai fame, Angel?" mi chiese Ed, ridendo.
Gli tirai un cazotto sulla spalla, e sentii lo scricchiolio tipico delle ossa rotte. Avevo rotto la spalla a mio fratello! Mi allontanai di scatto, notando l'espressione tirata di Ed.
Carlisle si levò ad aiutare il figlio e poi mi si rivolse.
"Sei diventata quasi completamente vampira...sei quasi una neonata...abbiamo una, forse due ore...Emmett, Jasper aiutatemi. Prendete vostro fratello e portatelo di sopra. Angel tu vieni con me, abbiamo una stanza più sicura, dove affronterai la trasformazione totale senza fare del male ad alcuno....se te la senti.."
"Ed...mi dispiace..." gli dissi piangendo, cosa che oramai mi riusciva difficile.
"Non ti preoccupare, tra poco starò benissimo...Tu piuttosto..." si preoccupò, mentre i fratelli lo portavano di sopra.
Alice e Rosalie erano rimaste impietrite, mai avevano visto una cosa del genere. Ero qualcosa di assolutamente anomalo, anche per loro.
"Carlisle..."
"Si?"
"Richiudimi. Sento che presto sarà ora, e ho già fatto troppi danni..." lo supplicai, con le ultime lacrime a rigarmi il viso di perla.
Annuì, e mi guidò alla stanza sicura, l'aprì e mi chiuse dentro, lasciandomi tuttavia con un sorriso.
La solitudine in quei momenti era la mia punizione per quello che avevo fatto ad Edward...
Mi sedetti un momento, ma poi fui costretta a sdraiarmi, perchè gli spasmi della trasformazione erano terribili.
Non emisi un solo gemito, ma chiusi gli occhi. Non volevo vedere. Il viso dolce di Edward era una presenza fissa , ma ora la distesa della mia mente, simile ad un campo di grano, era percorsa dal vento della trasformazione, che scardinava tutti i miei sensi, privandomi di qualunque appiglio per la ragione.
Ero sul ciglio di un burrone, sul punto di cadervi dentro.
La voce di Edward che mi chiamava mi spronò ad affrontare il salto nel buio, senza sapere cosa sarebbe successo dopo. Mi buttai.
Solo allora urlai, con tutta la voce che avevo, di dolore.

Passò quello che mi sembrò un tempo infinito, ma in realtà era solo un'ora.
Il dolore arrivava ad ondate adesso, e viavia si faceva più flebile.
Quando riaprii gli occhi, seppi.
Mi alzai e guardai. E vidi. Per la prima volta con gli occhi di un vero vampiro. Tutto mi sembrò definito, confinato all'interno di una forma precisa.
Lo specchio mi rivelò quello che ero diventata. Un angelo biondo, con occhi verde mare, occhi cangianti. Per quello ero la stessa di prima. Ma fu la sensazione successiva che mi fece rendere conto dell'avvenuta trasformazione. Avevo sete, e la gola riarsa.
Uscii dalla stanza, e raggiunsi il salotto.
Erano tutti lì. Carlisle, Esme, Rosalie, Emmett, Alice, Jasper, Edward.
E poi c'ero io, neonata vampira. Angel.
"Mia cara, sei diventata ancora più bella di prima..." mi sussurrò Esme con un gran sorriso.
Edward fece un passo avanti e mi guardò a lungo, scrutando nella mia mente; poi levò il braccio, con la mano aperta. Io feci lo stesso. Quando le nostre mani si sfiorarono, seppi di aver ritrovato me stessa, il mio vero io. E sorrisi, un sorriso caldo e dolce come non facevo più da un bel po'.
"Sarai affamata, andiamo a caccia?" mi propose Ed, invitandomi.
"Si..andiamo..." gli risposi, prendendo la mano che mi offriva.
"Torniamo più tardi..."
"Ed, state alla larga dalla riserva. Angel ancora non è in grado di controllarsi del tutto, nonostante quello che ci ha raccontato... non vogliamo che tornino qui..."
Mio fratello annuì, guidandomi verso la foresta a est.

"Ed..." -gli chiedi dopo il pasto, un paio di cervi per me e un puma per lui- "tu conosci Marius?"
Si oscurò.
"Si...è un vampiro molto, molto antico. Ha il doppio degli anni di Carlisle...e vuole vendicarsi di me...non chiedermi perchè, non lo so nemmeno io. Ma ha già portato molti guai alla famiglia..."
Tacqui, pensierosa.
"Quanti anni ha Carlisle?"
"362..."
"Perciò Marius ne ha 724..." sospirai, guardando il tramonto sparire dietro le montagne.
"Marius...che cosa vuoi?"

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Capitolo 11
*** Scontro ***


Voci dal passato - Scontro
Voci dal passato

Capitolo 11. Scontro

Rientrammo poco dopo a casa. Passai una serata davvero piacevole: Emmett volle sfidarmi a braccio di ferro, e perse. Io ridevo, per la prima volta mi sentivo davvero a casa.
"Ahahahah...Emmett che pretendevi? È una neonata, è normale..." gli disse Jasper, battendo una pacca sulle spalle del bruno, che mi guardava di sottecchi, fintamente arrabbiato.

I giorni non potevano essere più spensierati: a caccia con la famiglia, a fare le corse su al campo, a giocare a baseball col temporale...Non mi ero mai divertita tanto in vita mia.
Un pomeriggio ero a caccia con Jazz e Rosalie, lungo il corso del fiume Quillayute. Avevo seguito una coppia di cervi lungo il corso e ormai avevo distanziato sia Jasper sia Rose. Continuavo a sentire l'odore dei due, ma non li vedevo più.
Agguantai il primo ad un guado, l'altro scappo oltre il fiume. Lo seguii senza farmi troppi problemi. Avrei dovuto farmeli.
Dopo un po' un odore terribile mi prese alla gola. Mi fermai immediatamente e mi accucciai, nascosta dietro un albero. Poco dopo, scoprii l'origine di quell'odore disgustoso. Dalla boscaglia sbucarono tre lupi. Enormi. Mai avevo visto tre animali così grandi. Ma quello che successe dopo fu anche peggio.
Quando tornai a guardare, i lupi erano scomparsi. Avevano fatto spazio a tre ragazzi, tutti forniti di una folta capigliatura nera. La loro pelle era abbronzata, e avevano tutti un paio di occhi nerissimi. Scrutavano in giro, e poi parlarono.
"Sei sicuro di averla sentita da questa parte la scia, Jack?"
"Sono sicuro, Sam. Un odore sconosciuto. I Cullen li conosciamo tutti, e questo non è uno dei loro. Però ho sentito anche l'odore dei Cullen insieme a questa scia, quindi questo "intruso" deve avere contatti con loro."
"Allora troviamolo e rimandiamolo indietro. E se fa resistenza, glielo rimanderemo a pezzettini" rispose risoluto quello chiamato Sam, ritrasformandosi. E così pure gli altri.
Una scarica di adrenalina e paura mi assalì. Scappare. Brutta idea: erano in tre e io da sola. Farsi vedere. Pessima idea: mi ricordai dei pezzettini.
Non sapevo che fare, muoversi avrebbe significato farsi scoprire.
"Oh chissenè se vogliono farmi a pezzettini, prima devono riuscirci."
Mi mossi, e i tre lupi si misero sul chi vive.
Lentamente, uscii dal nascondiglio, pronta ad affrontarli.
Non si mossero, come imbambolati. Quello più grosso fece un mezzo passo avanti, annusando l'aria.
Restammo a fissarci per chissà quanto tempo, studiandoci a vicenda.

"Sam...ma chi è?"
"Non ne ho idea Embry...ma sicuramente è una di loro..."
"Dobbiamo rimandarla indietro, è entrata nel nostro territorio!"
"Hai ragione Jacob. Coraggio all'attacco!"

Scattarono senza preavviso. Reagii d'istinto, l'albero fu la mia prima salvezza. Un ringhio basso mi gorgogliava in gola. Passai all'attacco, contro quello più piccolo, che giudicai il più accessibile. Un colpo gli ruppe il braccio, facendolo ululare di dolore.
Il "pianto" mi riportò alla normalità. I due lupi più grandi circondavano il terzo, a terra uggiolante, come a difenderlo. Gli andai contro con decisione. I due ringhiarono, ma li mandai lontano con due calci ben assestati. Qualche secondo che mi permise di prendere in braccio il terzo.
"Se la smetti di agitarti, ti aiuto!" gli urlai, dopo che mi aveva graffiato il viso.
Si calmò, brontolando. Partì a tutta forza, seguita a poca distanza dagli altri due lupi, sospettosi.
Rintracciai la scia di Jasper e di Rosalie, erano diretti a casa, poco davanti a me. Li superai di corsa.
"Angel!! Che diavolo vuoi fare?" mi urlò dietro Rose, ma la ignorai.
Quando misi piede nella radura davanti casa, i due lupi che mi seguivano si erano già ritrasformati.
"Lascialo!" mi intimò quello più grosso, Sam.
Lo ignorai ancora, procedendo decisa. A distanza che giudicai adatta, lo lasciai a terra, correndo dentro. Non lo chiamai nemmeno, perchè Carlisle stava scedendo le scale.
"Angel, che è successo?"
Gli accennai al prato antistante, dove i due ragazzi stavano cercando di aiutare il loro compagno.
"Dove?"
"Il braccio. Mi hanno attaccato, mi sono difesa"
"Eri nel nostro territorio!"
Sbottai.
"Se fossi stata nel mio territorio, credi davvero che vi avrei portati fin qui, per lui?" indicando il ferito, che si reggeva appena al compagno.
"Hai fatto bene, lo sistemiamo subito. Edward! Alice!"
I due uscirono immediatamente, pronti ad aiutare il padre.
"Noi li dentro non ci veniamo!" ringhiò Sam, che proteggeva i due compagni.
"Non posso aiutarlo qui fuori" cercò di spiegargli Carlisle, calmo.
"Embry è forte, non ne porterà conseguenze!" replicò l'altro, Jacob.
"No, non ce la farà, a meno che Carlisle non gli sistemi il braccio. Sono sicura di averlo colpito abbastanza forte. Il suo omero è in briciole, se non lo ricostruiamo, non correrà più..." dissi, sguardo assente.
Sam mi fissava perplesso e diffidente. Jacob faceva altrettanto con Edward e Alice.
Embry invece guardava per terra, le gocce di sudore a imperlargli il viso tirato.
"Sam...lasciali fare. Non mi sento più il braccio, non voglio restare così..." lo implorò il giovane.
L'altro si lasciò convincere. Andai verso Embry, lo presi in braccio e lo portai di corsa di sopra, nella stanza che Carlisle usava in caso di incidente.
Lo sistemai sul piano, facendo attenzione a non fargli male, ancora.
"Grazie..."
Rimasi a dir poco sconcertata.
Lo guardai per un momento, poi annuii. Carlisle arrivò dopo poco, con tutti i ferri.
"Angel devo chiederti di uscire..."
"Ma certo...Embry?"
"S..si?"
"Mi dispiace" e mi spinsi fuori dalla stanza.
Di sotto, Sam e Jacob non perdevano mai di vista Edward, Alice e gli altri, riuniti tutti al piano di sotto.
Passai senza farmi vedere, e uscii all'aria aperta.
"Cuore mio, che mi succede? Mi sento strana, molto, ma molto, strana...."




Note dell'autrice: quello che scrivo non segue perfettamente il susseguirsi di vicende scritto dalla Meyer...
Grazie delle recensioni, e un grazie speciale alle 28 persone che hanno messo "Voci dal passato" tra le preferite, lo apprezzo molto.

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Capitolo 12
*** Strano potere ***


Voci dal passato - Correre liberi
Voci dal passato

Capitolo 12. Strano potere
Ero preparata a tutto, ma non a quello.
Non così, non con lui.

Meno di mezz'ora dopo, Carlisle scendeva le scale, soddisfatto.
Sam e Jacob si riscossero subito.
"Come sta Embry?"
"Bene. Il braccio si sistemerà, ma ci vorrà tempo. Angel l'ha colpito davvero forte, l'osso era fratturato in più di una dozzina di punti, ho dovuto aprire.."
"Aprire?" lo interruppe Jacob, ringhiando.
"Per rimmetere i pezzi al loro posto..."
Si calmò.
"Possiamo vederlo?" chiese l'altro.
"No, è sedato, domani mattina quando si sveglia sarà abbastanza in sè da rispondere. Ed, vai da tua sorella, mi sembrava sconvolta."
Il ragazzo uscì, cercando intorno tracce della sorella.
"Angel, dove sei?"
"Qui..." risposi.
Mi raggiunse sul tetto della casa e si sedette acconto a me, in silenzio.
Non c'era bisogno che parlassi, perciò gli lasciavo tranquillamente leggere i miei pensieri.
"Sono sicuro che non l'hai fatto intenzionalmente, ti sei difesa...Ma d'ora in poi, sai dove non devi andare.." disse, sorridendo ai miei pensieri.
"Angel, devi reagire. Se ogni volta che succede una cosa del genere ti chiudi in te stessa, non ti passerà mai. Non ti abiuterai mai a questi poteri..."
"Ma io non voglio abituarmici!" sbottai, nervosa.
"Lo so che non sei diventata così volontariamente, che ti ha costretto. Gliela faremo pagare. Ma ora non puoi tornare indietro. Sei una di noi...mi dispiace, ma è così..." rispose, duro.
"Piuttosto, hai notato qualche cosa di particolare? Una qualche abilità speciale, qualcosa che va oltre le tue normali forze?" mi chiese.
In realtà non ci avevo nemmeno fatto caso. Mi concentrai, cercando di ricordare gli eventi degli ultimi giorni.
"Non mi viene in mente niente Ed...magari col tempo...si vedrà" risposi un po' incerta.
Scendemmo e rientrammo. Chiacchierammo tutta la sera al piano di sotto, attaccati allo schermo piatto. Sam e Jacob erano fuori, sotto il portico. Per loro stare in casa insieme a noi era peggio di un incubo.
Ogni tanto lanciavo uno sguardo di sottecchi alla scala, chissà cosa speravo.
Jasper salì di sopra, riportando giù una scatola, piuttosto grossa.
"Angel sai giocare?" mi chiese, mostrandomi una scacchiera, bianca a trasparente.
"Che meraviglia! Di cosa è fatta?"
"Marmo bianco e diamante" rispose facendomi l'occhiolino, con un sorriso che si allargava piano.
"Diciamo che so come si gioca, da qui a saper giocare ne passa..."
"Ti va una partita? Emmett ogni volta che giochiamo spacca qualcosa. Lo batto sempre..." sorrire anche quando il fratello gli assestò una pacca troppo forte sulla schiena.
"Sì, perchè no? Vediamo che sai fare!" risposi sorridendo, e gli altri si voltarono verso di noi, sistemati per terra.
"Bianchi o trasparenti?"
"Trasparenti" risposi d'istinto.
"Allora muovo io per primo, pronta?"
"Quando vuoi.."
La partita cominciò. Muovevo piano, studiando ogni possibile soluzione. Più di una volta fui sul punto di perdere il re, ma mi liberai subito.
"Sgusci via meglio di un'anguilla, è incredibile!" commentò ad un certo punto Emmett, dopo che ero riuscita a scappare dallo scacco matto per l'ennesima volta.
"Ma come cavolo fai? E meno male che non sapevi giocare!" borbottò Jazz.
Ad un certo punto, la mia mente si aprì. Fu come un cielo nuvoloso squarciato da un raggio di sole. Riuscivo a leggere nel pensiero, ma non solo. Potevo prevedere le mosse dell'avversario ancora prima che le pensasse, come se fossi io a pensarle. Stavo facendo esattamente quello che voleva fare lui. Due opzioni, io sceglievo quella che lui aveva scartato. Era una strana sensazione, come se fossi io la sua mente.
"Angel...che stai pensando?" mi riscosse ad un certo punto Edward.
Mi ero bloccata con il cavallo in mano. Lo misi giù.
"Scacco matto Jazz!"
Il biondo, incredulo, guardò la scacchiera. In effetti, qualunque mossa facesse era bloccato. Si arrese.
"Incredibile..."
Tornai a concentrarmi su Ed.
"Perchè me lo chiedi?"
Si concentrò su di me, ma desistette.
"Niente, non ci riesco.."
Tutti si zittirono di colpo, fissandoci.
"Non riesco a leggerti nel pensiero Angel...ma solo con te, gli altri sono un libro aperto...È strano, non mi è mai capitato prima..."
Mi concentrai sulla mente di Jasper.
"Prova adesso Ed.."
"Niente..."
"Non da me, da lui!" indicandogli Jazz, che stupito mi fissava.
"Ora ti sento...che strano..."
"Mi senti solo perchè sto dentro la sua mente..."
"Come??!!" chiesero all'unisono Jasper, Emmett e Edward, sgranando gli occhi.
"Sono dentro la sua mente...con la mia. Non solo vedo quello che pensa....ma riesco a prevedere le sue mosse prima ancora che possa pensarle, come se le pensassi io..."
"Puoi farlo solo con Jasper?"
"Non credo...Inoltre, Ed, mi puoi sentire solo se sono nella mente di qualcun'altro. Altrimenti, interviene una specie di blocco, ma solo con te...Prima Jasper mi ha calmata..."
"Il potere di Jasper è più fisico che mentale, Angel. Per averne prova bisognerebbe vedere come reagisci ad un altro potere mentale...Bisognerebbe chiamare Kate..." mi chiarì Carlisle.
Stavo passando in rassegna tutti i presenti, i loro pensieri egualmente tra lo stupito, il confuso e lo stupefatto.
All'improvviso, un altro pensiero mi sovvenne.
Qualcosa di diverso, di particolare.
Mi mossi verso l'uscita, e la forza del pensiero diminuì d'intensità. Tornai indietro e mi voltai verso la scala. Dolore. Il braccio iniziò a farmi male. Capii al volo e corsi di sopra, seguita da Carlisle, che cercava di fermarmi.
Davanti la porta chiusa dove c'era Embry mi raggiunse e mi fermò, spingendomi via.
"Dove vai?"
"Sta male!"
"Riesci a sentire anche lui?"
"Certo, come tutti gli altri!!"
Entrò, trovando Embry raggomitolato, il braccio sanguinante.
"Accidenti, si sono aperti i punti...Angel, esci!"
Embry si voltò, quel tanto che bastava a vedermi. Nei suoi occhi, tristezza e dolore, uniti a qualcos'altro, qualcosa di diverso e di nuovo.

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Capitolo 13
*** Amore e libertà ***


Voci dal passato - Amore e libertà
Voci dal passato

Capitolo 13. Amore e libertà

Embry si riprese in fretta. Adesso riusciva a muovere il braccio di qualche centimetro. Nonostante la capacità rigenerativa elevata, Carlisle continuava a curarlo, soprattutto quando rompeva i punti.
La notte dormiva tranquillo, e il giorno lo passava sul portico, seduto a gambe incrociate, fissando la foresta con occhi languidi.
"Lo so che ti mancano i tuoi amici..." gli disse un giorno Edward.
"Non sono solo amici, sono i miei fratelli, proprio come te e quella biondina..."
"No, è diverso. Angel è la mia sorella vera, sorella di sangue, prima di diventare vampiro, quando ero ancora umano."
Annuì, tornano a scrutare gli alberi. Ogni tanto qualche ululato si levava dal folto, ed Embry stava sul chi vive. Non potendo trasformarsi, non sapeva come comunicare con gli altri. Jacob veniva tutti i giorni a trovarlo, chiedendo a Carlisle quando avrebbe potuto riportarlo alla riserva, a casa. Ogni volta Carlisle gli diceva la stessa cosa: non è in grado di trasformarsi e di viaggiare.
Sam si faceva vedere di rado, occupato com'era a pattugliare i confini. Come se volessimo sfondare di nuovo.
Andavamo a caccia molto più lontano, all'interno del Parco Olimpico. Orsi, puma, cervi, le nostre prede.
Nonostante la dieta "vegetariana", come la definiva Edward, il colore dei miei occhi non cambiava: era sempre verdazzurro, cangiante. Brillava delle tonalità della foresta e del mare. Non che il castano dorato degli occhi degli altri non mi piacesse, anzi. Ma quel colore, mi teneva legata alla mia vita passata, alla mia famiglia natia.
Ormai Carlisle e Esme mi avevano ufficialmente adottato, perciò ero diventata Angel Sophie Masen Cullen. Quelli erano i miei fratelli e le mie sorelle, e quelli erano i miei genitori, la mia nuova famiglia. La terza.
Tenevo in stanza una foto di Jeremia, Ruth e Judith. Non li avrei mai potuti dimenticare, loro mi avevano in un certo senso salvato, ridandomi la vita.
Marius me l'aveva tolta, e ridata una nuova. Oscura e bellissima.
Essere una vampira cominciava a piacermi: la caccia, i sensi sviluppati, le partite di baseball sotto la pioggia. Ero felice.

Lo stesso non si poteva dire di Embry. Lo vedevo che soffriva, e non riuscivo a perdonarmi per averlo costretto a quell'immobilità che lo dissanguava.
Un giorno non ne potei più di vederlo così, e presi l'iniziativa.
"Embry..." lo chiamai, un pomeriggio, uscendo sul portico. Per l'occasione, avevo messo un vestito corto, che mi lasciava scoperte buona parte delle gambe. Ero carina, carina per qualunque essere: umano, vampiro e persino licantropo.
Carlisle mi aveva spiegato la vera natura di Sam, Jacob e Embry, e me ne aveva snocciolato le caratteristiche principali, prima fra tutte il calore elevato.
Si voltò e lessi nei suoi occhi esattamente quello che mi aspettavo: era colpito.
"Posso?"
"Sei la prima che me lo chiede..." mi rispose, con voce appena appena roca.
Mi sedetti a mezzo metro da lui, e fissai anche io la foresta.
Non me la sentii di usare il mio senso ulteriore, preferivo la conversazione.
"Ti mancano?"
"Moltissimo..."
"Mi dispiace, è colpa mia..."
Fece spallucce, senza voltarsi.
"Vuoi farti una corsa?"
"Non posso trasformarmi, come faccio?"
"Nessuno ha detto che devi correre con le tue gambe..."
Si voltò a fissarmi, non riuscendo a capire.
Lo guardai per un po': era carino, aveva un bel viso. Gli occhi attenti e profondi come pozzi.
"Se vuoi, posso portari io..."
"Sono troppo pesante per te..."
"Hai dimenticato che sono ancora una neonata? La mia forza è tre o quattro volte quella di Emmett, che è il più forte tra gli altri..."
Mi guardò negli occhi per un momento, poi il suo sguardo cadde più in basso e arrossì violentemente.
Ciò nonostante, non gli riuscì di voltarsi.
"Allora, ti va?" gli sorrisi.
Crollò, il mio sorriso gli aveva mandato in frantumi la difesa psichica.
"Mi piacerebbe...la foresta è la mia seconda casa..."
"Bene! Aspetta, ti aiuto" gli dissi, alzandomi per tirarlo su.
Una folata di vento ci colse, sollevando leggermente il vestito e scompigliandomi i capelli. Il sole si riflesse nei miei occhi, e io mi riflessi negli occhi di Embry, che mi guardava abbagliato.
Lo aiutai a tirarsi su. Inciampò. Lo trattenni dal cadermi addosso, ma non potei impedirgli di reggersi abbracciandomi. Vicinissimi, potevo sentire il battito accelerato del suo cuore.
"Scusami..." mi mormorò tirandosi indietro.
"Va tutto bene. Ora, passa il braccio sano davanti...ecco, bravissimo. Tranquillo, io non devo respirare..." -quando si scostò dalla mia gola- "okay...ora non ti muovere..."
Lo presi a cavalluccio, reggendolo senza difficoltà, nonostante pesasse abbastanza.
"Pronto?"
"S...sì..." stentato.
"Se hai paura, chiudi gli occhi..."
"Non ho paura io!" mi rimbeccò poco convinto e io risi. Una risata cristallina.
Cominciai a camminare, per darmi il tempo di valutare la mia forma attuale rispetto al percorso da fare, non potevo passare in certi posti. Da sola sì, ma con Embry sulle spalle era impossibile. Perciò dovetti valutare ogni singolo movimento. Col nuovo senso mi veniva facilissimo.
"Andiamo!" scattando in avanti, su per la collina. Il vento che ci scompigliava i capelli, ci colpiva la faccia in maniera piacevole. Rifeci lo stesso percorso della prima volta, badando a non farlo sbattere da qualche parte.
"Come va?" gli chiesi poco dopo, senza rallentare.
"È...è troppo bello!!! WoWoWoW!!!" ululò e per la prima volta da quanto lo avevo visto, sfoderò un sorriso disarmante, che mandò in frantumi la mia, di difesa.
"Allora accelero!"
Raggiungemmo il confine e lo sorpassai senza problemi.
Gli ululati aumentarono, e Embry, felice come una pasqua, cominciò ad agitarsi, tremando.
"Embry, controllati! Se scoppi adesso, perderai l'uso del braccio. E allora sì che piangerai!" gli intimai.
Il tremore cessò.
"Scusami, ma quando sento i miei fratelli mi viene naturale.."
"Lo immagino, ma tu rischi il braccio e io la schiena..."
"Ah giusto...non ci avevo posto mente..."
"Be la prossima volta fallo..."
"Vuoi dire che ci sarà una prossima volta?" mi chiese stupefatto.
"Non ti sto riportando a casa, non sei ancora guarito... Non dovrei nemmeno fare questo...ma vederti così triste mi fa star male..." gli confessai.
Non rispose, come se stesse riflettendo.
Ormai sentivo chiaramente quattro quadrupedi correrci dietro. Non attaccarono, precedendoci.
Quando arrivai alla fine del sentiero, eravamo oramai in pieno territorio Quileute. Mi fermai nel bosco, facendo scendere Embry.
"Di là...i tuoi amici ti aspettano, vai..."
" E tu?" mi chiese, voltandosi verso di me.
"Io ti aspetterò qui. Dì loro che non voglio in alcun modo fare del male. Ma se ti aspetto oltreconfine, non riuscirai ad arrivare. E non puoi trasformarti, ricordatelo. Non vorrai dover passare l'estate con dei vampiri?"
"Ho imparato a conoscervi, non siete poi così male...specialmente tu..." disse, arrossendo violentemente.
Sorrisi.
"Ora vai...e attento a te...ci vediamo più tardi..." mi voltai, pronta a mettermi al riparo in cima all'albero più vicino.
Mi trattenne per un braccio. La sua pelle bollente mi diede un brivido incredibile.
Mi tirò verso di lui, abbracciandomi con un braccio solo alla vita.
Per un momento, sembrò che il tempo si fosse fermato.
Non osai voltarmi, per paura che quel momento svanisse sotto i miei occhi.
Il calore mi piaceva, molto più del freddo intenso che emavano io.
Nessuno dei due parlò. Poi successe.
Mi voltò, e chissà come, mi sollevò, portandomi alla stessa sua altezza.
Ci perdemmo l'uno negli occhi dell'altro.
Inclinò appena la testa e dolcemente mandò le sue labbra a sfiorare le mie.
Tremavo, e non di freddo.
"A dopo..." rimettendomi a terra.
Si voltò e si inoltrò su per il sentiero.
Poco dopo, udii urla di gioia e grandi risate.
Abbarbicata sull'albero, passai il resto del tempo a riflettere, toccandomi le labbra nel punto dove le sue si erano fermate.
" A Ed verrà un colpo quando lo saprà. Ma chissene importa. È stato...meraviglioso...Embry..."

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Capitolo 14
*** Le ragioni del branco ***


Voci dal passato - Le ragioni del branco
Voci dal passato

Capitolo 14. Le ragioni del branco

Passai su quell'albero metà della giornata.
Intorno a metà pomeriggio, Embry si ripresentò. Sembrava davvero contento di quello che avevo fatto per lui. Saltai giù senza pensarci due volte, atterrando con grazia, nonostante i venti metri di volo.
"Grazie Angel...era davvero importante per me..."
"Embry, che succede? Mi sembri strano..."
Per un po' cercò di non dirlo, ma poi scoppiò.
"Mi hanno proibito di...di..."
"Di vederti con me?" finii.
"Sì...ma non voglio ascoltarli. Dicono che prima o poi mi farai del male, ma io so che non lo faresti. Me lo sento..."
"Non potrei farti del male...te ne ho già fatto anche troppo...Andiamo? Prima che Edward scatenì una crisi internazionale!" sorrisi, riprendendolo sulla schiena e ripartendo verso casa.
Ridacchiò, stringendosi a me ancora di più e posando delicatamente il mento sulla mia spalla, sotto i capelli biondi.
In poco più di mezz'ora eravamo di nuovo a casa. Lo feci scendere prima di uscire allo scoperto e uscimmo dalla foresta, l'uno accanto all'altro.
Edward mi aspettava sulla porta, furibondo. Embry si fermò quasi subito, spaventato. Io proseguii.
"DOVE SEI STATA???!!" mi urlò contro mio fratello, senza che io facessi una piega.
"Quanto a te, domani ti rispediamo alla riserva, a calci se necessario!!" disse all'indirizzo di Embry, che ancora non si era mosso.
"Sei forse impazzita? Alice ti ha perso di vista, ero spaventato a morte...potevi..avresti potuto..."
"Sentimi bene, perchè non mi ripeterò: non sono scampata alla spagnola, a diciotto anni da umana, ad un vampiro pazzoide, ad un taxista che voleva farmi la festa e a più di duemila miglia di viaggio da Chicago a Forks per sentirmi la tua predica. Non sei mio padre, sei mio fratello. Ho diciotto anni, sono grande, e decido io della mia vita. Se voglio vedermi con Embry tu non puoi impedirmelo, è chiaro?" gli sibilai contro, esprimendo tutta la mia contrarietà con uno schiocco di mandibola e un ringhio basso.
Tornai indietro a predere Embry e, mano nella mano, entrammo in casa.
Edward era rimasto completamente spiazzato dalla mia reazione.
"Un momento...non ho finito...." ma io lo ignorai, accompagnando Embry di sopra, nella stanza dove dormiva da quasi due settimane.
"Ignora Edward..." gli sussurrai, quando lo salutai, abbracciandolo.
"Va bene...imparerò a non farci caso..." rispose, rispondendo al mio abbraccio. Entrò e si chiuse dentro.
Tornai di sotto, pronta ad affrontare le critiche.
Erano tutti riuniti di sotto, in salotto.
"Angel...dovremmo parlarti" mi chiamò dolcemente Carlisle, invitandomi a sedermi sul divano. Gli altri erano tutti in piedi, braccia conserte, e mi fissavano.
"Quello che vorremmo sapere è.."
"Come è possibile che una vampira si innamori di un licantropo? Sono i nostri nemici naturali!!" rovesciò la prima bordata Rosalie.
"Come? E come te lo spiego...è come chiedere al sole perchè splende...lo fa e basta...e con Embry è lo stesso..."
"Uhm...sembra una specie di imprinting, non so se da parte tua o da parte sua..." commentò Carlisle, pensieroso.
"Imprinting? Embry con mia sorella? Ma non è possibile!!" sbottò Edward.
"Dovremmo chiederlo a lui...ma domani. Ora dorme. Hai fatto una cosa davvero coraggiosa oggi, Angel. Portarlo fino a casa, per farlo riunire al suo branco almeno qualche ora. Sono sicuro che lo ha apprezzato moltissimo, così come gli altri lupi..."
Ed rimase stupito, non se lo aspettava.
"Sei andata fino alla riserva, solo per riportarlo dai suoi compagni?"
Esplosi.
"Sì!! Che male c'è? Mi faceva star male vederlo così triste, senza la sua famiglia! So come ci si sente, ci sono passata. Due volte..." gli urlai contro, correndo di sopra a chiudermi in camera.
"Ma...ma che ho detto?"
"Edward, caro, sei stato troppo duro con lei. Dopotutto, è grande abbastanza per farsi una vita sua. Inoltre, non avrebbe corso alcun rischio, ti pare?" gli disse Esme, con la sua solita voce dolce e tranquilla.
"Io sono daccordo con Esme, Edward. Embry è diverso da Sam, e ancora di più da Jacob. Loro due sono molto impulsivi. Embry è la calma fatta lupo. Lasciala stare, fratello. Se è quello che vuole, chi sei tu per ostacolarla?" aggiunse Jasper.
"Ma Alice..."
"Ed, non importa. Se sviluppa il suo potere, Angel potrebbe essere in grado di comunicare con noi come fanno i lupi tra di loro, sarebbe estremamente utile, non credi?"
"Uhm..forse hai ragione...Daccordo, mi avete convinto..." si arrese.

Me ne stavo seduta sull'albero, appena fuori la finestra della stanza di Embry. Sentivo il cuore del ragazzo battere tranquillamente, piano. Dormiva.
"Ed stavolta ha proprio esagerato! Non lo perdonerò tanto presto, questo è sicuro!" commentai tra me e me.
Un rumore mi distrasse. Embry si era svegliato e mi guardava dal davanzale.
"Dovresti dormire..." gli dissi, sporgendomi verso la finestra.
"Attenta...se cadi..."
"Tranquillo...mi reggo...." sorrisi.
"Non ho sonno...sono troppo elettrizzato...oggi...prima...quell'abbraccio..." cominciò arrossendo. Mi piaceva da impazziare quando le sue guancie, di solito abbronzate, si imporporavano.
I suoi occhi neri non mi perdevano un secondo.
"Posso entrare?" gli chiesi, timidamente.
Mi tese la mano sana, e mi aiutò a saltare dentro la stanza. Si sdraiò sul letto, e io mi accoccolai vicino a lui. Prese coraggio, e cominciò ad accarezzarmi la schiena, spostandomi ogni volta di qualche millimetro più vicina a lui. Sentivo il calore, e mi piaceva. Mi arrischiai, e gli sfiorai il petto d'acciaio con le dira ghiacciate. Rabbrividì, e mi ritrassi. Mi prese la mano, e la pose tutta intera sul proprio petto. Capii che non erano brividi di freddo.
Il nostro abbraccio divenne più stretto.
"Embry...voglio provare una cosa, ma non fare movimenti bruschi..."
Non si mosse.
Avvicinai la bocca al suo petto, e lì schioccai un piccolo bacio. Risalii con lo sguardo la linea del collo, e ci lasciai un altro bacio. Posai la testa sulla sua spalla sana, e guardai il soffitto, persa nella luce del tramonto che filtrava appena dalla finestra, trasformando la mia pelle in migliaia di diamanti. Il soffitto si riempì di piccoli arcobaleni, e Embry li guardava entusiasta.
"Resti con me?" mi chiese, sussurrandolo dolcemente al mio orecchio.
"Si...se vuoi..."
"Certo che voglio Angel...cos'altro potrei volere di più? Ho appena capito cosa ti rende così speciale per me: è l'imprinting...."
"Hai avuto l'imprinting con una vampira? È normale?"
"No...ma che importa? È successo, e quando succede, la ragazza che è l'oggetto del nostro imprinting diventa il nostro centro di gravità. Senza di lei, non siamo più noi. E tu sei quel centro di gravità...sei tutta la mia esistenza..."
Gli sorrisi, e mi lasciai abbracciare e coccolare.
"Embry...non ti lascerò. Dovranno uccidermi per separarci..."
"Angel...sei tutta la mia vita ora...Se tu muori, anche io muoio...Ma finchè siamo insieme, nessuno può farci del male...Non ti lascerò mai, nemmeno per il branco...Preferirei vivere da reietto tutta la vita con te, che avere un branco senza di te..."
Un bacio dolcissimo e intenso suggellò quella dichiarazione d'amore, racchiusa nell'ultimo raggio di sole.

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Capitolo 15
*** Sei il mio centro ***


Voci dal passato - Sei il mio centro
Voci dal passato

Capitolo 15. Sei il mio centro

Quella notte fu la più bella della mia vita. Stretti in un caldo abbraccio, passammo le ore a parlare. Di qualunque cosa ci venisse in mente: famiglia, amici, il bello e il brutto della nostra condizione.
Ma soprattutto, parlammo d'amore. Del nostro amore.
Non riuscivo a pensare di potere vivere senza di lui, non mi sembrava possibile. Per lui era lo stesso, forse peggio. Mi spiegò bene la questione dell'imprinting tra i lupi, che trovai estremamente interessante.
"In pratica, basta uno sguardo."
"Sì, uno sguardo è sufficiente...Con te c'è voluto di più, probabilmente perchè sei un vampiro...Ma sono bastati comunque pochi gesti: uno sguardo, una parola..."
Mi strinse ancora di più, dandomi piccolissimi bacetti sulla fronte.
Sorrisi e i suoi occhi si illuminarono.
"Questo...è stato questo...un sorriso...e bam! ecco l'imprinting..." mi sorrise.
Mi sciolsi, e avvicinai la bocca alla sua. Fu un bacio prima dolce, quasi timido. Poi scoccò la scintilla, e la passione si fece largo, prima appena accennata, poi sempre più pressante.
Lui aveva solo la camicia, mezza aperta, e i pantaloncini. Io il microvestito di Alice.
Sotto, niente.
Il bacio divenne più serio, quasi incalzante, e le mani di Embry mi scivolavano addosso, d'un tratto decise. Ci tirammo su a sedere, persi ognuno negli occhi dell'altro. Passai la mano fredda sulla linea delle asole, slacciandole. La camicia finì sul pavimento, scartata.
Mi carezzò la guancia, e di nuovo le sue labbra cercarono le mie, bramose. Ormai dischiuse, lasciavano libero accesso alla passione.
Sorrise, felice. Io ero più felice di lui. Innamorata persa.
Ad un certo punto, una spallina del vestito scese lungo il braccio. Si fermò, con un sorriso ad increspare le labbra, e mi guardò per un tempo infinito. Feci per tirarmi su la spallina fellona, ma mi bloccò.
Con una delicatezza che mai avrei immaginato, fece scivolare anche l'altra. Ora sì che ero imbarazzata, sul serio. Ma il suo sorriso disarmante mi calmò, tranquillizzandomi e scacciando la tensione.
Distendendosi nuovamente, mi fece salire sopra di lui. Petto contro petto. Freddo contro caldo.
Le mani tra i miei capelli, mi baciò di nuovo, insinuandosi. Accolsi la sua brama e ricambiai con altrettanta bramosia. Lo volevo anche io.
L'aria si fece più calda, la passione cresceva di pari passo con la nostra voglia. Sentivo chiaramente il suo desiderio crescere, farsi più forte.
Un istante, giusto per respirare, gli bastò. Rimase nudo come me. La vergogna e l'imbarazzo avevano lasciato spazio alla voglia.
Voglia di donarsi l'uno all'altra, voglia di scoprirsi, di comprendersi.
"Non ti constringo...sarebbe inutile..." mi sussurrò ad un certo punto.
"Allora non farlo..."
"Sei mia..."
"Per sempre..."
La passione esplose e ci travolse come una mareggiata, come un uragano.

Proprio lì, proprio in quel momento, in quell'istante, mi sentii davvero completa. Raggiungemmo il paradiso insieme, mani nelle mani.
Sfiniti, sdraiati l'uno accanto all'altra, assaporammo quella nuova dimensione, finalmente completi.

Non parlammo per parecchio tempo, non ce ne fu bisogno. Le emozioni e il battito accelerato del suo cuore bastavano a dire tutto quello che c'era da sapere.
"Angel...mio angelo...oggi mi hai reso davvero il ragazzo più felice di questo mondo..."
Sorrisi felice, e mi accoccolai nel suo abbraccio.
"Non pensavo che nella vita si potessero provare sensazioni così...sono felice, come mai prima...Embry..."
Restammo a guardare il buio, poi parlò di nuovo.
"Angel..." mi chiamò, facendomi voltare verso di lui, la mano tra i capelli biondi.
"Sì Embry?"
"...Ti amo..."
Rimasi completamente spiazzata.
"Oh mamma...l'ha detto..."
Lo guardai, e poi risposi, nell'unico modo possibile.
"Embry...Ti amo anche io...talmente tanto che mi fa male..."
"Ti difenderò contro tutto e contro tutti, te lo giuro. Non ci potrà mai essere un'altra..."
"Sei il primo...e sarai l'unico...Preferisco morire che passare l'eternità senza di te..."
Il primo raggio di sole sbucò da dietro gli alberi, illuminando la stanza e la mia pelle.
"Sei il mio centro Angel...Tu sei il Sole e io la Terra, tu il nucleo e io l'elettrone...Siamo come il più e il meno, il nord e il sud: non esistiamo l'uno senza l'altra."
Una dichiarazione così meravigliosa non l'avevo mai ricevuta.
"Oh Embry, se potessi piangere capiresti quanto sono commossa per quello che hai detto...non cambiare mai...non lasciarmi mai..."
"Mai, Angel! Dove altro potrei andare?"
Sorrisi, e finalmente ci addormentammo. Nonostante quello che ero, a volte dormire mi piaceva da morire. E quella era una di queste volte.





Note dell'autrice: grazie moltissime a quelli che hanno messo questa storia tra le preferite, siete sempre più numerosi. Grazie davvero.
Questo capitolo è stato davvero difficile da scrivere, mi mancava l'ispirazione.

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Capitolo 16
*** Vengono per me ***


Voci dal passato - Vengono per me
Voci dal passato

Capitolo 16. Vengono per me

La settimana passò velocissima. Lo rifacemmo tante volte, ognuna migliore di quella precedente. L'amore cresceva in noi sempre di più, sempre più forte, al punto che Edward dovette abituarsi a vedermi sempre e solo con Embry.
A caccia insieme, a letto insieme. Dove c'era uno c'era sempre l'altro. Non ci lasciavamo mai: mano nella mano, facevamo lunghissime passeggiate per i boschi, o passavamo le giornate sdraiati sui rami degli alberi, a guardare il cielo.
Farmi accettare dal suo branco fu molto più dura. Il giorno che mi portò a conoscerli, non lo scorderò mai.

***

"Amore..."
Una voce dolcissima mi richiamava dall'oblio.
"Embry..."
"Buongiorno Angel, riposato bene?"
"Accanto a te, sempre!"
Si tirò su e mi baciò la pancia all'altezza dell'ombelico.
Gli piaceva svegliarmi così, la mattina: un bacio sull'ombelico. Io ridevo, i capelli lunghi di Embry mi facevano il solletico.
Ci vestimmo e scendemmo di sotto.
"Buongiorno Embry! Fame?" chiese Esme, mostrandogli la tavola apparecchiata.
"Buona come sempre, Esme...Grazie" rispose tenero.
In poco tempo, si era conquistato l'amore di tutta la famiglia. Così diverso dal resto del branco, calmo e tranquillo, aveva conquistato persino la freddezza di Rosalie.
"Ciao Esme!"
"Ciao Angel. Edward, Carlisle, Jasper e Emmett sono a caccia su al nord, torneranno domani...Che avete in programma oggi?"
"Angel...io...io vorrei portarti a conoscere la mia famiglia..." disse Embry, candido come un giglio.
Silenzio di tomba.
"Non ti preoccupare, ti proteggerò io...." si affrettò ad aggiungere.
"Angel, se tu vuoi andare vai.." mi disse Esme con la sua solita dolcezza.
Esitai. Era rischioso, lo sapevo. Mi convinsi.
"Andiamo...sono curiosa di conoscerli..." risposi.
"Stai tranquilla amore, tu sì splendida come solo tu sai essere e li conquisterai, persino quello scorbutico di Sam".
Partimmo nel primo pomeriggio.
Embry riusciva di nuovo a trasformarsi in lupo, così potevamo viaggiare più veloce.
Io avevo lavorato moltissimo sul mio potere, e ora riuscivo a comunicare con lui anche quando era lupo, mi bastava accedere alla parte istintiva del mio subconscio.
Avevo anche messo appunto un sistema per comunicare con Alice, così poteva seguirmi anche quando ero con i lupi.
Quella cosa aveva fatto crollare anche le ultime resistenze di Edward, e ora era decisamente più tranquillo di lasciarmi andare in giro da sola con Embry.

"Andiamo?" mi chiese
"Chi arriva ultimo è un lupo spelacchiato!" risposi, prendendolo in giro e partendo a tutta birra.
"E ma così non vale! Guarda che ti prendo!!!" ribattè, correndomi dietro a tutta velocità.

Questa era la felicità, la vera felicità. Correre liberi per la foresta, senza costrizioni, senza impegni, senza regole. Il paradiso in terra.
Giungemmo al confine di lì ad un'ora. Ci fermammo e Embry si mise in ascolto.
Feci lo stesso e con sorpresa mi scoprii a recepire tutti i pensieri non solo di Embry, ma anche del branco. Nascosi la mia presenza mentale, ascoltando solamente.

"Embry, fratello, siamo felici che sei tornato! Finalmente le sanguisughe ti hanno lasciato andare!" -Jacob-
"Jacob, non sono solo..." -Embry-
"Te la sei portata dietro, la succhiasangue?" -Sam-

Embry ringhiò molto forte, di disappunto.

"Embry, fratello, lo sai che è così...Non puoi negarlo, quella è la sua condizione" -Sam-
"Sam, non farmi arrabbiare: anche se sono un bastardo, non per questo devi denigrarmi così, me e le mie scelte. Sono MIE, non tue. MIE!!" -Embry, furibondo-
"Non ti arrabbiare così..." -Jacob-
"Embry, io non ho mai creduto che tu fossi un bastardo, non l'ho mai pensato...E sai che non posso mentire..." -Sam, cercando di calmarlo.-
"Falla venire...sono curioso di conoscerla..." -Jared-
"Ciao Jared!" -Embry-
"Ciao fratello, ben tornato! Ci sei mancato!" -Paul-

La discussione mentale finì e Embry si voltò verso di me, facendomi leggere quello che si erano detti. Annuii, e attraversammo il confine. Giunti al limitare della foresta, si ritrasformò.
Mi venne vicino, abbracciandomi.
"Mi dispiace per quello che hanno detto di te..." sciogliendosi dall'abbraccio, capo chino.
"Non è colpa tua. Allora, come sto?" gli chiesi, facendo un piccola piroetta.
"Sei abbagliante Angel...bellissima..." baciandomi.
Mano nella mano, uscimmo dalla foresta. Davanti ad una casa di legno abbastanza grande attendevano, in piedi, nove ragazzi. Di diverse altezze, erano accumunati dalla carnagione abbronzata e da occhi e capelli neri.
Embry mi lasciò un momento, avanzando da solo.
Il più piccolo, un ragazzino magro che poteva avere tredici o quattordici anni, gli corse incontro, abbracciandolo.
"Embry!!"
"Ciao Seth, ti vedo cresciuto! Vuoi mica superarmi?" scompigliandogli i capelli corti.
Sam si fece avanti a sua volta, abbracciando il compagno. Via via, gli altri sette ragazzi fecero lo stesso. Poi Embry si volse verso di me: era abbagliato, lo vedevo.
"Sam, Jacob, Quil, Jared, Paul, Seth, Leah, Emily, Kim...lei è Angel, la mia Angel" presentandomi ai suoi fratelli e sorelle.
Emily mi venne incontro, e mi abbracciò, lasciandomi di stucco. Risposi all'abbraccio, sfiorandola appena. Era umana, non era resistente come Embry.
"Sono davvero felice che Embry abbia trovato qualcuno...mi preoccupavo per lui, ma vedo che non ne ho più motivo. Vieni dentro..."
"Emily...sai che cos'è?" le chiese tossicchiando Jacob.
"Si Jacob. Angel è l'imprinting di tuo fratello..." predendomi sottobraccio e portandomi dentro la casa.
Fuori, Embry si prendeva le critiche dei suoi fratelli.
"E' una di loro, come è possibile? Come è possibile che uno di noi abbia l'imprinting con una di loro, un nemico?" chiese Paul, esagitato.
"Paul, come faccio a spiegartelo...Lei è come il Sole, come l'ossigeno...Non posso vivere senza....Sam, tu sai di cosa parlo..."
"Si lo so Embry...e ti capisco...ma non approvo, sappilo. Non ti imporrò di rifiutarla, so bene che non puoi...Solo, stai attento...Comunque.." cominciò poi si interruppe.
"Comunque?" incalzò Embry, sfidandolo.
"E' bellissima, un vero angelo..." concluse, permettendo a Embry di respirare nuovamente.
"Sarà la benvenuta tra noi fratello!" lo abbracciò Jacob, ridendo.

***

Quella giornata era iniziata bene. Ero uscita a caccia con Alice e Rosalie. Si erano quasi abituate alla presenza di Embry, che ormai faceva la spola tra la riserva e casa nostra. Di notte dormiva in camera mia, di giorno stava con i suoi fratelli.
Stavamo rientrando dalla caccia, quando Alice trasalì e si voltò verso la foresta.
"Alice, che succede?" chiese Rosalie, preoccupata. Ci fermammo.
"Arrivano...sono tre...ci hanno sentite cacciare...uno...uno è Marius..."
"Alice ma come? Che vengono a fare qui?"
"Vengono per me..." sussurrai, correndo via verso casa.
Marius stava arrivando, per me. Avrei protetto la mia famiglia fino alla fine...Questa volta sarebbe andata diversamente.

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Capitolo 17
*** Embry....salvala! ***


Embry...Salvala!
Voci dal passato

Capitolo 17. Embry....Salvala!

Corsi, non so per quanto. Quando arrivai, Edward mi venne incontro, uno sguardo strano negli occhi.
"Angel..."
"Alice..."
"Si lo so...ti proteggeremo..."
Mi lasciai abbracciare e poco dopo arrivarono anche Alice e Rosalie.
"Quanto tempo abbiamo?" chiese Carlisle, appena uscito seguito da Esme e dagli altri.
"Qualche minuto..." rispose Alice, mettendosi già sulla difensiva.
"Possiamo scappare?" chiese sottovoce Edward.
"No! Te lo scordi!! Io non scappo, non scappo più...e...e..Embry!" gli risposi ringhiando, per poi accasciarmi a terra.
"Che centra lui adesso?" mi chiese Emmett, scrocchiandosi le dita.
"Doveva venire qui, oggi...Lo ammazzeranno!! Devo trovarlo, portarlo al sicuro..."
"Angel, se non ti muovi di qui è difficile che lo trovino..." cercò di rassicurarmi Esme, ben comprendendo la mia angoscia.
Ormai li sentivo distintamente. Mi concentrai, e raggiunsi la loro mente. Forzai la serratura entrando nei loro pensieri: non so se ne accorsero, ma non fecero nulla per fermarmi.
"Eccoli..." sussurrò Alice, raggiunta da Jasper.
Dalla foresta uscirono tre figure incappucciate, alte e slanciate.
Aprii gli occhi, pronta a difendere la mia famiglia a costo della vita, se quella mia poteva definirsi veramente "vita".
Quello più alto mi squadrò da sotto il capuccio, e poi lo fece scivolare via. Era Marius.
"Angel...finalmente ti ho trovato, figlia mia..."
Ringhiai: quel termine mi faceva inorridire.
"Edward" -rivolgendosi a mio fratello- " è bello vederti...finalmente..."
"Non ti conosco."
Sollevò un sopracciglio.
"Si...ma sicuramente ti ricorderai di Darlene, di Lorentz e di Megan...almeno me lo auguro..." gli rispose con un sommesso ringhio.
"Cosa centrano con te? Erano umani."
"Erano miei!!!" ringhiò più forte, stizzito.
"Se vuoi vendetta, uccidimi...Se ci riesci..." lo sfidò Edward.
Carlisle non si era intromesso: conosceva troppo bene l'indole del figlio minore.
Cercavo di restare concentrata sugli altri due incappucciati, che non si erano ancora presentati.
"Più tardi, forse. Ma ora...voglio riavere quello che è mio. Angel, tu sei mia, vieni via con me!"
"Mai! Edward è mio fratello di sangue, e loro sono la mia famiglia, non li abbandonerò mai, non per te!" risposi avvicinandomi di più a Rosalie e Emmett.
"Non capisci...Dopo che avremo finito non avrai più un fratello, nè una famiglia..." sogghignò.
Allora esplosi, e tutta la rabbia repressa prese il sopravvento.
Marius cadde in ginocchio, come colpito da una scudisciata in pieno volto.
La ferita somigliava ad una bruciatura, ma invece di essere rossa era nera.
"Come...cosa diavolo mi hai fatto, bastarda!! Mi hai sfigurato!!" toccandosi il viso perfetto, appena sfigurato.
Mi feci avanti, ad occhi bassi, semi chiusi, passando davanti a tutta la mia famiglia.
"Tu...prova solo a pensare di fare loro del male, e ti giuro sul mio sangue che morirai prima di notte!"
"Questo lo vedremo. Darryl! Niko! Catturatela! La voglio viva!!" urlò, lanciandomi addosso i due scagnozzi, due neonati. I due si liberarono dei vestiti, mostrando una muscolatura ben sviluppata e occhi di brace.
Non mi spaventai. Dovevo distruggerli, ne avevo il potere. Per la mia famiglia, e per Embry.
La concentrazione aumentò, mentre loro si avvicinavano, studiandomi.
Scattai all'improvviso, colpendo il primo, con il taglio della mano, appena sotto il mento, facendolo finire con la schiena contro l'abete più vicino.
Il suo compagno finì allo stesso modo. Ovviamente non era finita qui. Erano neonati, sarebbe stata molto dura.
D'altronde lo ero anche io, una neonata, però avevano ben poca speranza contro di me. Avevo coltivato e rafforzato il mio potere, la mia forza, non ero allo sbaraglio come loro, pura forza bruta e zero intelligenza.
Si rialzarono quasi subito. Optai per un attacco mentale.
Insinuarsi nella loro mente fu facile come bere un bicchier d'acqua. Io immobile e loro in terra, che si contorcevano negli spasmi dell'agonia.
Finì presto.
"Straordinario..." commentò Carlisle stupito.
"E ora, a noi due Marius!" preparandomi ad assalirlo.
Fui distratta. Un pensiero esterno, una voce che mi chiamava, mi rimbalzava in testa.

"Angel...amore mio...Ti salverò!"

Sussultai, e Marius ne approfittò, attacandomi. Quando me ne accorsi era troppo tardi, mi era già addosso. Io, spalle a terra, sentivo il suo fiato putrescente impermearmi gli abiti. Mi guardava, e vedevo crescere in lui un sentimento diverso: la libidine.
Ero completamente deconcentrata, ogni tentativo di ribellione da parte mia era accompagnato da uno schiaffo.
"Non devi ribellarti! Tu sei MIA!!!!" Ormai non ragionava più, totalmente preso.
Rosalie e Alice cercarono di aiutarmi, ma Marius le minacciò.
Con la bocca sulla mia gola, pronto a sgozzarmi.
"Non vi avvicinate, o giuro che la uccido!!"
Rinunciarono: troppo alto era il rischio.
"La tua famiglia è bloccata e tu sei nelle mie mani. Come pensi di scappare adesso?" sogghignando e già pregustando chissà cosa. Chiusi gli occhi, preparata al peggio.
Un istante dopo si ritrovò di nuovo nella polvere, scaraventato via da un pugno poderoso.
Quando aprii gli occhi, ero tra le braccia di Emmett, che guardava con occhi sbarrati la scena di fronte a lui.
Mi voltai e gemetti di dolore.
Embry e Marius, avvinghiati in un unico mortale abbraccio, si battevano, ringhiando e ululando.
Pezzi di pelle e di pelo volavano via, strappati a morsi e a unghiate.
"Embry...." provai a reagire, ma mi mancava la forza. Scesi dalle braccia di mio fratello e mi avvicinai piano alla scena. Non lo avessi mai fatto.
Embry si distrasse un istante, e fu colpito duramente. A terra, il sangue che sgorgava copioso da una ferita al petto, ringhiava e gemeva.
"Ahahah...patetico..." rise Marius, pronto a finirlo.
"Marius!!! Non toccarlo!! Non toccherai mai più qualcuno dei miei cari!! Mai più!!" gli urlai contro.
"E chi me lo impedirà?"
"Io!!" gettandomi addosso a lui, rifilandogli un pugno in pieno viso, così forte da spaccarli gli zigomi e il setto nasale.
"Strega!!" mi urlò rabbioso, tirando fuori da sotto il mantello due lame lunghe quasi quanto le mie braccia.
"E ma così non vale!" replicò Emmett.
Marius non se lo fece ripetere. Scattò verso sinistra, piantanto uno dei coltelli nel fianco del gigante, che cadde a terra senza un sibilo.
Non ci vidi più. Scattai verso Marius, una furia cieca e incontrollabile. La rabbia guidava il mio animo e mi accorsi troppo tardi dei piani di Marius.
Saltò indietro, buttandosi contro Embry che, non più lupo, non aveva la forza di resistergli.
Successe tutto in pochi secondi.
Ricordo solo che guardavo gli occhi neri di Embry, mentre i miei si appannavano. Venti centimentri di lama uscivano dal mio petto, all'altezza del cuore. Con le ultime forze, mi voltai e staccai la testa a Marius.
Poi fu il buio, probabilmente per sempre.

***

La battaglia era finita. Marius era morto e ora i suoi resti bruciavano, insieme a quelli dei due neonati, sul falò preparato da Jasper e Alice.
Rosalie, seduta per terra, reggeva la testa di Emmett. La ferita era grave, ma non mortale. Ci voleva ben altro per uccidere quell'orso di Emmett.
La scena più triste si svolgeva poco più in là. Embry reggeva tra le braccia Angel, leggera come un fuscello.
Il suo viso bianco marmo era oscurato e gli occhi verde mare appannati.
Il Quileute piangeva lacrime di dolore e rabbia.
Accanto a lui, Edward, occhi sbarrati, guardava sua sorella morta, e non riusciva a dire nulla.
Carlisle si avvicinò con cautela, affranto.
"Embry, portiamola dentro..."
Meccanicamente, il ragazzo si alzò e portò Angel in casa come un marito porta oltre la soglia la neosposa.
Si sedette sul divano, stringendola ancora di più.
"Ha sacrificato la vita per la sua famiglia...Non doveva finire così...Angel..." bisbigliò il fratello, inginocchiato accanto alla testa della ragazza.
"Non sono riuscito a salvarla...non sono riuscito a salvarla..." ripeteva Embry tra i singhiozzi.
"Embry...non è colpa tua...lei ha fatto quello che riteneva giusto. Ha amato così tanto la sua famiglia, tutta la sua famiglia, da morire per proteggerla..." cercò di consolarlo Esme, vincendo la repulsione per i Lupi e abbracciando il ragazzo.
"Forse c'è un modo per salvarla..." disse Alice sottovoce, mentre rientrava con Jasper e Rosalie, che tenevano Emmett.
"Che vuoi dire, Alice?"
"L'ho vista...dopo questa battaglia lei ci sarebbe stata di nuovo...ho visto come possiamo fare...ma serve il tuo aiuto Embry..." rispose la piccola bruna.
"Dicci tutto" intervenne Carlisle
"Sappiamo che mischiare le due razze è impossibile...che il rischio è elevatissimo..."
"Continua Alice..."
"Il vostro legame è fortissimo, più forte di qualcunque altro legame io abbia mai visto, nel presente o nel futuro...il tuo sangue può ridarle la vita...io l'ho visto..."
Embry si riscosse e gli occhi gli si illuminarono.
"Qualunque cosa perchè torni indietro..."
"Il tuo sangue deve entrare nel suo circolo..."
"NO!!!!" saltò su Edward, rabbioso.
"Ed è l'unico modo...." replicò Alice
"Lo farò, che tu lo voglia o no. Io l'amo, più della mia vita...darei anche l'ultima goccia di sangue perchè viva..." gli rispose Embry, ringhiando
"Edward...ti prego ascolta Alice..." disse Emmett piano, ancora intontito.
"Edward, figliolo, se Alice l'ha vista...sai che possiamo fidarci di tua sorella..." insistette Carlisle.
"Ed...rivoglio mia sorella quanto te...per favore..." lo pregò Rosalie, stranamente gentile.
"Figlio mio...fa parte della famiglia. Se c'è anche una sola possibilità di salvarla..." concluse Esme.

Si arrese.

"Embry..."
"Edward?"
"Embry...salvala! Ti prego riportami mia sorella!!"

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Capitolo 18
*** Ritorno dall'abisso ***


Voci dal passato - Ritorno dall'abisso
Voci dal passato

Capitolo 18. Ritorno dall'abisso


Non so per quanto tempo rimasi come morta, prigioniera di una specie di incubo. Un limbo, simile ad un abisso cosmico. Niente suoni, niente rumori, niente di niente. Solo buio.

***

"Alice...cosa devo fare?" chiese Embry, impaziente.
"Il tuo sangue deve mischiarsi con il suo..." rispose Alice, mentre aiutava Emmett a mettersi seduto. La ferita, curata da Carlisle, stava guarendo in maniera prodigiosamente veloce.
"Ma non possiamo inniettarglielo...rischieremmo solo di rompere gli aghi..." commentò Edward, seduto accanto a suo fratello.
"Basta che lo ingerisca...non serve altro...lo deve assorbire...inniettarlo sarebbe più facile e più veloce, ma con la pelle dura che si ritrova è impossibile..."
"Quando posso farlo?" si intromise Embry, sempre più impaziente.
"Anche adesso. Portiamola nella stanza di sotto. Carlisle..."
L'interpellato si alzò guidando il terzetto formato da Edward, Alice e Embry con in braccio Angel al piano di sotto. Aprì la porta corazzata e i due figli scivolarono all'interno, seguiti dal lupo. Le lacrime rigavano ancora il suo viso abbronzato, ma non piangeva più. La succhiasangue, la sorella di Angel, Alice, gli aveva ridato la speranza, seppur minima, di riavere la sua metà.
Adagiò dolcemente il corpo dell'amata sul tavolo, scostandosi appena.
"Allora, appena il sangue di Embry sarà entrato in circolo, comincerà a tremare, come se volesse trasformarsi in licantropo. Su questo ci conto. Poi probabilmente si sveglierà e lo attaccherà. Dobbiamo fermarla, se lo tocca è morto."
"Mi riconoscerà, ne sono sicuro..."
"No Embry...non sarà ancora Angel, ma qualcosa di diverso...l'ho visto...Serve anche il sangue di Edward..."
"Perchè?"
"Nonostante la trasformazione, il vostro corredo cromosomico di nascita è lo stesso...anche il sangue è lo stesso...la devi mordere Ed, esattamente dove l'ha morsa Marius. Sostituendo il suo veleno con il tuo, tornerà indietro..."
"Facciamolo!" dissero in coro i due ragazzi, risoluti.
"Daccordo....procediamo! Embry..."
Il ragazzo si fece avanti. C'era un unico modo per far bere il proprio sangue a Angel.
"Edward...ho bisogno del tuo aiuto..."
Il rosso lo guardò senza capire.
"Passa la bocca sul mio polso...basterà..."
Ed era sconvolto e anche disgustato. Mordere un lupo, che schifo!
"Non devi morderlo, solo tagliare. Pensi di riuscirci?"
Scosse la testa.
"Allora lo farò io" rispose Alice, facendosi avanti. Vincendo la naturale repulsione, alzò il braccio di Embry appena sopra la bocca di Angel, e tagliò. Un tagliò netto, preciso, pulito. Il sangue rosso scuro cominciò a scorrere lentamente, goccia a goccia, cadendo sulle labbra della bionda, disgiunte.
"Alice, credo possa bastare. Sta diventando pallido, lascialo!" suggerì calmo Carlisle alla figlia, notando il pallore del giovane lupo.
La ragazza si riscosse subito, lasciando il braccio di Embry, che caracollò indietro, sedendosi contro il muro. La ferita si cicatrizzò quasi subito.
"E ora?"
"E ora aspettiamo..." rispose il folletto di casa, sedendosi poco distante da Embry.

***

Mentre camminavo nelle tenebre, vidi una grande luce. Cominciai a correre verso la luce, sperando fosse l'uscita. All'improvviso fui come trascinata via dall'acqua. Salvo che il colore non era trasparente, ma rosso, rosso scuro. Sangue.
Il mio? Quello di qualcun'altro?
Fui sommersa e bevvi. Mi saturai di quel sapore dolce. Poi finalmente tornai dall'abisso. E avevo sete.

***

Aprii gli occhi, famelica. Provai ad alzarmi, ma quattro possenti mani mi trattenevano. Ringhiai, ne volevo ancora. Quel sangue dolce e color rubino mi dava alla testa.
Cominciai a dimenarmi, per liberarmi da quella presa d'acciaio.
Era tutto inutile. Adesso erano addirittura sei le mani che mi reggevano. Diafane, pallide, e fredde come il ghiaccio, non mi permettevano di muovere un solo muscolo. Mi voltai rabbiosa cercando di mordere per liberarmi. Erano troppo forti per me. Mi arresi.
Un ultimo sussulto mi rispedì nell'abisso, ma stavolta ero coscente di me stessa. Percepivo quattro presenze, di cui una calda.
"Edward, ora tocca a te..."
Dolore. Sentii solo dolore, un dolore inimmaginabile. Volevo urlare, ma non ci riuscivo, come se fossi diventata muta all'improvviso.
Poi cessò anche quello. Ora ero completamente assuefatta, come se mi fossi appena fatta di cocaina. Completamente calma, chiusi gli occhi, in pace.

***

Una voce che avevo temuto di non sentire mai più mi richiamò nuovamente alla vita.
"Amore..."
Sbattendo pianissimo le palpebre, misi a fuoco il proprietario della voce.
"E..Embry..." sussurrai.
"Si...si...si Angel amore mio sono io...Finalmente sei tornata..." rispose dolcemente, le lacrime che gli rigavano le guance abbronzate.
"Ero prigioniera di un incubo...quanto ho sognato di rivedere il tuo amato viso...oh Embry...che paura..." risposi stringedogli la mano.
"Ehm..probabilmente me l'hai rotta...chiederò a Carlisle di sistemarmela..."
"Oh...mi dispiace...scusami..." portandomi la mano alla bocca, consapevole e spaventata.
"Ehi...non ti preoccupare...L'importante è che siamo di nuovo insieme. E questa volta non ci separeremo mai più...a tal proposito volevo chiederti una cosa..."
"Mi aiuti? Vorrei alzarmi..."
"Alice dice che sei ancora debole...". Rinunciai
"Dimmi Embry...cosa vuoi chiedermi?"
Si tirò su, per poi inginocchiarsi. Il suo metro e ottanta, in ginocchio, superava l'altezza del letto.
"Angel...mio unico e solo amore...mia vita...vuoi fare di me l'uomo più felice di questo mondo?"
Non capii.
"Angel Sophie Masen Cullen, vuoi sposarmi?" chiese tutto d'un fiato, mostrandomi un piccolo cerchietto dorato, semplicissimo ma molto significativo.
Ero senza parole, non sapevo cosa rispondergli. O meglio, conoscevo la risposta, ma ero talmente sconvolta che non ero sicura di riuscire a dirgliela.
Per una volta, cuore e mente si fusero, dandomi la spinta necessaria.
"Si...mille volte si!!" esclamai in un sussurro, abbracciandolo delicatamente.
Si sdraiò nel letto accanto a me, e ci lasciammo andare a coccole e carezze, felici.
"Bentornata dall'abisso, Angel!" disse lui, baciandomi con tutta la passione che aveva in corpo.

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Capitolo 19
*** Problemi in arrivo ***


Voci dal passato - Problemi
Voci dal passato

Capitolo 19. Problemi in arrivo

La notte del mio ritorno alla vita, non me la scorderò mai più. Embry mi portò sulla schiena fino su al lago. Lo avevamo scoperto io e lui, un pomeriggio di qualche mese prima, mentre eravamo a caccia. Un piccolo lago, il cui colore variava a seconda del momento della giornata: la mattina azzurro cielo, il pomeriggio verde trasparente, al tramonto si incendiava, diventando rosso.
Embry sapeva che quello era il mio momento preferito. Mancava qualche minuto al tramonto, e già le cime degli alberi arrossivano.
"Eccoci..." mentre mi faceva scendere, per tornare uomo. Mi tolsi le scarpe, e camminai a piedi nudi, beandomi di quella sensazione di libertà.
"Ora chiudi gli occhi...è una sorpresa..." Accettai quel gioco.
Mi guidò fino ad un certo punto.
"Posso aprirli?" chiesi.
"Un momento...Okay, adesso puoi aprirli..."
Aprii gli occhi, e la meraviglia mi sconvolse.
Una tovaglia stesa sul prato, bicchieri e champagne. Embry mi mise in testa una coroncina di fiori di campo, i miei preferiti. A chiudere quella sinfonia di meraviglie, il tramonto che incendiava il lago.
"Embry....è meraviglioso..." riuscii solo a dire.
"So che non lo bevi quello... e infatti ho preso anche questa" tirando fuori da un cestino una bottiglia verde di liquido scuro. Aveva pensato proprio a tutto.
"Cosa festeggiamo?" gli chiesi, sedendomi. Arrossì e, mentre cercavo di capire perchè, notai che lo spacco del mio vestito mostrava ben più del necessario.
Sorrisi, con una punta di malizia.
"Festeggiamo il tuo ritorno, e il nostro sì...Ecco..." servendomi dalla bottiglia verde.
Si servì di champagne e si sedette di fronte a me. Da quando ero tornata non mi lasciava un momento sola, per paura di perdermi di nuovo. E ora il suo sguardo posava su di me, senza mollarmi un secondo.
Finito lo champagne si sdraiò posando la testa nel mio grembo, lasciandomi giochicchiare con i suoi capelli.
Guardammo il sole via via scomparire dietro le montagne, e la notte calare lesta dal suo trono di nuvole piatte e sottili.
Embry si levò per accendere il fuoco, poi tornò a sdraiarsi sulla coperta, accanto a me, che ne frattempo mi ero sdraiata.
Mi piaceva guardare le stelle, lo facevo anche da umana. Perciò eravamo lì, sdraiati accanto ad un bel fuoco scoppiettante, a guardare il cielo.
"Vorrei che questa notte durasse per sempre, che il tempo si fermasse e che domani mattina, al sorgere del sole, non dovessimo andar via..." disse sussurrando, perso nel rimirare la volta sopra di noi.
"Nel mentre però possiamo fare quello che vogliamo...siamo solo tu ed io...", facendolo voltare verso di me.
Le nostre labbra si sfiorarono, e percepii la sua passione e il suo desiderio.
I baci diventarono più profondi, frenetici, vogliosi. Le carezze si fecero di fuoco, il desiderio incalzante.
"Voglio che tu sia mia stanotte...non riesco ad aspettare il matrimonio...non ci riesco..." sussurrò al mio orecchio, mentre le sue mani calde correvano sulla mia schiena.
"Sono tua Embry...lo sono sempre stata..." ricambiando le sue carezze e i suoi baci bollenti.
Ci spogliammo a vicenda, e facemmo l'amore per tutta la notte, mai sazi. Lo desideravo da morire fin dalla prima volta che avevo posato il mio sguardo sul suo viso.
Per lui non ero solo una fidanzata, o un'amate: ero la vita stessa. Mi amò con dolcezza e passione, come se fosse la prima volta...
La mattina arrivò, ma non ce ne preoccupammo più di tanto. Adesso che eravamo di nuovo insieme, niente e nessuno avrebbe potuto separarci nuovamente.
Tornammo indietro correndo, spensierati e liberi. Ahimè, non avevo fatto i conti con la mia strana natura...

***
Un paio di settimane dopo...

"Incinta???????!!!!!!?????? Ma non è possibile!!!" commentò Edward spalancando gli occhi sorpreso.
"Ed, io sono sorpresa quanto te...non posso essere incinta...non sono umana...ma che mi sta succedendo?" chiesi, più a me stessa, mentre il resto della famiglia mi fissava sbalordito e incredulo, primo fra tutti Embry.
"Ahi ahi..problemi in arrivo..." disse tra sè Jasper, incontrando l'assenso di Alice.

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Capitolo 20
*** Diurna ***


Voci dal passato - Vampiro e Lupo
Voci dal passato

Capitolo 20. Diurna

Ero completamente sconvolta. Incinta, com'era possibile? Essendo una vampira non potevo diventarlo, tecnicamente non ero "viva"...
Passavo le mie giornate chiusa in stanza. Mi era perfino passata la sete.
Ogni giorno Embry si arrampicava sull'albero che dava sulla mia stanza, ma io lo mandavo sempre via. Primo, perchè non volevo vederlo. Secondo, perchè era stato bandito dalla proprietà da Edward, furioso come non mai.
Carlisle e Jasper si era messi d'impegno, studiando antichi testi per cercare di capire che cos'ero e com'era possibile che fossi incinta. Il fatto che il nascituro fosse di un licantropo non era importante. Era il fatto in sè a non sussistere.
Esme e Alice cercavano di farmi mangiare qualcosa, ma non ci riuscivo proprio. Rosalie invece si teneva a debita distanza, non riuscivo a capire perchè lo facesse.
Edward non mi parlava dal giorno che avevo scoperto di essere incinta. Mi mancava tanto, ma non lo davo a vedere.
I giorni più brutti della mia vita, da quando ero diventata una creatura immortale.
Un giorno sentii esclamazioni eccitate provenire da fuori la mia stanza, così mi feci forza e uscii. Avevo addosso un vestitino leggero e la mia copertina preferita. Stranamente, il freddo non mi piaceva.
Carlisle e Jasper ridevano, mentre Esme e Alice li tartassavano di domande.
"Allora, che avete scoperto?"
"Siamo arrivati alla soluzione del problema, se solo ci avessi pensato prima..."
"Non teneteci sulle spine..."
Carlisle fece per rispondere, poi mi vide e mi venne incontro, abbracciandomi.
"Sono felice di vederti finalmente fuori da quella stanza...Era ora!" slacciandosi con un sorriso.
"Scendiamo, vuoi?" mi chiese Esme, prendendomi a braccetto
Annuii. Scendemmo in sala, dove trovai ad aspettarmi Emmett e Edward. Quando mi vide, non riuscì proprio a trattersi e mi corse incontro, abbracciandomi stretto stretto.
"Perdonami Angel, mi dispiace avrei dovuto essere meno irruento. Scusami, davvero!"
"Non ti preoccupare fratellone, ti capisco...Tu puoi perdonarmi?" chiesi sottovoce.
"Non hai nulla da farti perdonare...È la tua vita, non devo interferire...Chiama Embry, fallo venire qui. Ho da parlargli. Stai tranquilla, non gli farò niente, promesso!"
Felice, presi il telefono e composi il numero di Embry. Rispose al primo squillo.
"Angel!!"
"Ciao Embry...senti, potresti venire qui, Edward deve parlarti..."
"Dieci minuti e sono da te, amor mio!" mise giù.

Dieci minuti esatti dopo

"Embry!!" correndogli incontro e abbracciandolo, mentre lui mi sollevava da terra come un fuscello e mi stampava un bacio sul collo.
"Angel, mia vita....come ti senti?"
"Meglio...vieni, Ed deve parlarti..." gli risposi, prendendolo per mano e accompagnandolo dentro, dove lo attendeva l'intera famiglia.
"Ciao Embry...siediti, abbiamo cose da discutere..." lo salutò Carlisle, invitandolo ad accomodarsi.
Embry si sedette sul bordo della poltrona, pronto tuttavia a scappare.
"Abbiamo scoperto com'è possibile che Angel sia incinta...Tutto parte da Marius, da quello che era in realtà...perchè questa è l'unica spiegazione possibile..."
"In che senso, Carlisle?" chiesi, stupita.
"Marius aveva il doppio dei miei anni, che son già tanti. Era uno dei più anziani ancora in circolazione, se escludiamo Aro e gli altri. Marius in realtà era un diurno...una razza meticcia...un incrocio...perciò i suoi anni, erano realmente 724..."
Notando che la famiglia non capiva, Jasper intervenne a spiegare.
"Quelli come Marius hanno il potere di far diventare chi mordono esattamente come loro, un diurno. È un dono rarissimo, anche perchè sono rari i diurni al giorno d'oggi. Perciò l'unica spiegazione possibile per la particolarità della condizione di Angel è che sia ella stessa una diurna. E i diurni possono procreare a loro piacimento. Sono più caldi di noi, soffrono il freddo...non temono la luce del sole, la loro pelle risplende un po' meno della nostra, hanno la nostra stessa forza e a volte anche di più...e non solo da neonati. I loro occhi non cambiano colore, e possono nutrirsi indistintamente di sangue o cibo umano. E i loro anni sono quelli effettivi, solo che invecchiano molto lentamente, perciò praticamente sono come noi...immortali e praticamente indistruttibili. In realtà possono essere uccisi, basta anche solo una lama nel punto giusto e muoiono..."
Finalmente la famiglia capì e si strinsero tutti attorno a Angel, che teneva per mano Embry e si guardava il ventre, appena appena gonfio.
"Un figlio...dovrei ringraziarti Marius..."

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Capitolo 21
*** Vampiro e Lupo ***


Voci dal passato - Vampiro e Lupo
Voci dal passato

Capitolo 21. Vampiro e Lupo

Le ore divennero giorni, i giorni settimane, le settimane mesi.
Il ventre di Angel si gonfiava a vista d'occhio, tanto che ormai per lei camminare era quasi impossibile. Passava quasi tutto il suo tempo sdraiata nel letto in camera sua, a canticchiare canzoni o a parlare con Embry dei progetti per il futuro, tra cui il loro matrimonio.
Verso la fine del settimo mese, riuscirono finalmente a fare un esame sommario per sapere se fosse maschio o femmina. E qui la prima sorpresa. Era due gemelli, sani e forti. Il sesso fu però impossibile stabilirlo.
Embry non la lasciava mai, nè di giorno, nè di notte.
Una mattina si arrischiarono a venire a trovarla anche Sam e Jake. La loro presenza la confortava, era quasi una seconda famiglia.
Man mano che il pancione cresceva, sentiva le sue forze scemare pian piano, come se i due piccoli che portava in grembo le succhiassero via la vita, la forza.
"Non ce la faccio più! Carlisle, quei due mostri la stanno uccidendo, di nuovo!!"
"Edward, sai bene che non ci permette più di avvicinarci, da quando ha letto nella tua mente quello che pensavi veramente. Sei stato troppo impulsivo, adesso non ci permetterà di aiutarla!" gli rispose il padre, con un mezzo moto di stizza.
Edward abbassò la testa: era vero, non era riuscito a controllarsi e lei ora lo odiava.

Piano di sopra

"Embry...ho fame..." gli disse sussurando, appena sveglia. Aveva dormito poco quella notte, per via dei movimenti dei piccoli, che ormai si facevano sentire costantemente, con calci e spinte. Per fortuna che il suo fisico sopportava perfettamente questi colpi, o le sue ossa sarebbero già ridotte in briciole.
"Scendo a prenderti qualcosa da mettere sotto i denti, amore. Tienimi il posto, mi raccomando!" rispose il ragazzo, scendendo dal letto e incamminandosi al piano di sotto, in cucina.
Dormivano insieme da quando gli era stato concesso di tornare, ed erano passati quasi otto mesi. Ormai doveva mancare poco al momento fatidico. Stava per diventare padre per la prima volta, ed era così felice che riusciva ad esprimersi solo nei suoi pensieri, cosa che certo non impediva a Angel di saperlo lo stesso. Facevano lunghissime chiacchierate mute, parlando di tutto e anche di più.
Appena Embry se ne fu andato, Angel decise di alzarsi: non ne poteva più di quella posizione supina, l'impossibilità di muoversi era un cruccio della maternità che a lei proprio non andava giù.
Una fitta la colpì all'improvviso. Mise una mano sul ventre, cercando il punto in cui sentiva più alto il volume del battito cardiaco dei piccoli. Chiuse gli occhi e liberò la mente.

"Mamma...mammina...fa caldo, voglio uscire..."
"Chi sei?"
"Sono tuo figlio...fammi uscire...ho caldo..."

"Mamma...sto stretto qui dentro...fammi uscire...mammina....fammi uscire..."

"E tu chi sei?"
"Sono tuo figlio...l'altro..."

Riaprì gli occhi, piangendo. I suoi piccoli la chiamavano, volevano uscire..."E così sarà, piccoli miei! Andiamo, qui non è il posto adatto..."
Aprì la finestra, e si arrampicò fuori, sull'albero. Scivolò giù il più piano possibile, evitando di farsi male con la corteccia. A terra, prese la via della foresta, per salire al lago.
Correva a fatica, e ogni passo era accompagnato da una piccola fitta al basso ventre, segno che i piccoli non volevano aspettare oltre.
Per fortuna arrivò al lago in pochi minuti, e si cercò un posto tranquillo dove partorire. Embry le aveva raccontato molto sul comportamento dei lupi, e questo rientrava in pieno nel comportamento della femmina che si appresta a dare alla luce i suoi piccoli: allontanarsi dal branco e cercarsi un posto tranquillo, riparato e difficilmente accessibile per mettere al mondo la prole.
Tra due massi si era formata una conca naturale, che Angel si premurò di riempire di foglie, erba e rami di pino. Era un luogo caldo e pulito, non certo accogliente come casa, ma sicuramente adatto ad un lupo.
"Un momento, ma io non sono un lupo! Eppure sento che questo è il modo giusto di agire..." si riscoprì a pensare la ragazza, mentre chiudeva l'entrata con un piccolo masso, abbastanza grande da non far passare intrusi e abbastanza piccolo da far passare l'aria. Inoltre la presenza di un così pericoloso predatore aveva già da tempo scoraggiato gli animali del bosco ad avvicinarsi al lago, se non per pochi minuti al giorno.
I minuti passavano senza che ci fossero cambiamenti. Poi Angel cominciò a sentire violente fitte al ventre e capì che era arrivato il momento. Il parto fu lungo e sofferto, ma alla fine ce la fece.
Tagliò con i denti il cordone ombelicale dei due figli e si sdraiò, spossata, con i due corpicini sul petto. I due piccoli, dopo il primo pianto, si zittirono, scrutando il viso della madre con due paia di occhietti neri.
Il respiro di Angel, prima affannoso, ora si era fatto calmo e regolare, segno che il più era fatto. Ora doveva dar da mangiare ai figli, ripulirsi, e tornare indietro. Embry, Edward e il resto delle due famiglie sicuramente la stavano cercando in lungo e in largo, spaventati a morte della sua improvvisa scomparsa.
Un movimento strano la sorprese, così spostò lo sguardo verso il basso. I due piccoli si erano attaccati al suo seno, e succhiavano avidamente, non seppe bene che cosa.
"Ehi, ragazzi...piano..." sussurrò con un mezzo sorriso stampato in volto.
Quando i piccoli ebbero finito, si lasciarono scivolare giù, accoccolandosi sul tappeto di foglie, nudi e sazi. Si addormentarono subito, testa contro testa.
Così Angel riuscì a capire tutta una serie di cose. Guardandosi il seno, notò un segno rosso a mezza luna appena sopra il capezzolo destro. Quindi uno dei due figli era sicuramente un vampiro, probabilmente un diurno come lei e come Marius.
L'altro seno invece era sano, segno che sicuramente l'altro non lo era. Si sdraiò nuovamente, appoggiandosi col gomito a terra a guardare i due figli dormire. Uno dei due era piccolo e pallido, mentre l'altro era più grosso, con la pelle più scura del fratello, e un ciuffo di capelli corvini che gli spuntavano sulla testolina.
"Un vampiro e un lupo...a Embry verrà un colpo...Ora che hanno mangiato, posso andare a lavarmi...mi serve proprio un bagno...e anche freddo va bene..."
Lasciò ai piccoli un bacino sulla testa e rimosse il masso dall'ingresso, per poi rimetterlo quando fu uscita.
Si diresse al lago, si spogliò del vestito che aveva indosso, ormai larghissimo, e si buttò in acqua. Non era così fredda come credeva, anzi era leggermente tiepida, perfetta. Si lavò con cura, e poi si fece una nuotata, notando con estremo piacere che le forze le stavano tornando. Ma doveva mangiare e soprattutto bere. La fame era gestibile, ma la sete la divorava. Perciò uscì dall'acqua per asciugarsi.
Manteneva un contatto strettissimo con le menti dei due figli nella grotta, e monitorava i dintorni alla ricerca di possibili pericoli. I bambini dormivano ancora, meno male.
Decise di non allontanarsi troppo, anche per non perdere il contatto: avrebbe mangiato quello che trovava.
Appena entrata nel folt, con indosso lo stesso vestito di prima, fiutò la presenza di alcuni scoiattoli e di qualche lepre. Li catturò tutti, calmando la sete e riempiendosi la pancia. Riportò alla grotta un paio di conigli, uno vivo e tremante, l'altro già morto. Sarebbero serviti come pasto appena i figli si fossero svegliati, cosa che avvenne appena lei smosse la peitra che chiudeva la grotta. I bambini, sentendola, cominciarono a piangere, reclamando cibo e compagnia.
Angel entrò, richiudendo l'apertura. Prese in braccio il più grosso, liberando al contempo il coniglio vivo, che si accucciò tremante a pochi passi da lei.
"Ora vediamo se tuo fratello è un vero vampiro. Anche se piccolo, dovrebbe già essere in grado di nutrirsi da solo. E se non ce la fà, lo aiutiamo..." si rivolse al piccolo che aveva in braccio, mentre questo osservava famelico il coniglio morto che Angel teneva nell'altra mano.
Il piccolo vampiro, stentando a tirarsi su, gattonò fino al coniglio e con un colpo lo stese, spezzandogli il collo. Poi vi si gettò sopra avidamente, dissanguandolo in pochi minuti. Si vedeva che stava decisamente meglio, perchè la sua pelle prese la sfumatura color marmo uguale a quella di sua madre.
Finito di nutrirsi, gattonò fino all'entrata della grotta da sua madre, che lo guardava con sguardo complice ed entusiasta. Angel fece il cambiò, lasciando scendere il più grosso e raccolse il più piccolo, pulendogli la boccuccia con il bordo del vestito, pettinandogli i pochi capelli biondicci.
Erano nati da poche ore, e già erano cresciuti. Angel stessa si stupì profondamente di questa rapidità, e si ripromise di chiederne spiegazioni a Carlisle appena tornata a casa.
Intanto che rifletteva su questo, il più grosso dei due figli si era già spazzolato il coniglio morto, e ora puntava a quello del fratello. Ma questo, sgusciando via dalla presa materna, lo aveva raggiunto e ora gli ringhiava contro, impedendogli di fregarsi il coniglio.
Angel se ne accorse appena in tempo, prima che tra i due la questione sfociasse in una rissa. Si accucciò e ringhiò ad entrambi, sommessamente. I piccoli si ritrassero spaventati, mugolando.
"Ragazzi, non mi sembra il caso di litigare, vi pare?"
Dopo un primo momento di confusione i due bambini si buttarono tra le braccia della madre, che li accolse con un sorriso e un bacio sulla guancia.
"Sarà il caso di darvi dei nomi....Fatemi pensare....uhm.....che ne dite di Ryan" - indicando quello alla sua destra, il vampiro - "e Quil?" disse rivolta all'altro sulla sinistra.
Sui visini spuntò un sorriso felice, e Angel si commosse, abbranciandoli di più, sempre attentissima a non far loro del male.
"È ora di dormire...finite di mangiare e poi a nanna, subito!" li rimbeccò dolcemente, lasciandoli scendere e sdraiandosi su un fianco, mentre li guardava far sparire anche il secondo coniglio. Finito che ebbero, si accoccolarono accanto a Angel che li coprì con un po' di frasche e con una copertina improvvisata con la parte bassa del vestito.

"Buonanotte mamma...dormi bene..."
"Notte mamma, buon riposo..."
"Notte piccoli tesori miei...."

Lo scambio di saluti mentali terminò con Quil e Ryan che dormivano già, al caldo sotto la coperta, con il corpo della madre a mascherarli dal freddo.
"Buona notte angioletti...Domani si torna a casa...da vostro padre..."
In quello stesso momento, dall'altra parte del bosco, un ragazzo dai capelli corvini scrutava le fronde, cercando un qualsiasi segno dell'amata, scomparsa quel pomeriggio. Lo faceva con poca voglia in realtà, poichè sapeva bene il motivo della sua lontananza. E ne era infinitamente felice.

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