Voci dal passato di LadyFel (/viewuser.php?uid=42731)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mio fratello. ***
Capitolo 2: *** Triste destino ***
Capitolo 3: *** Coast to Coast ***
Capitolo 4: *** In caccia ***
Capitolo 5: *** Da Chicago a Seattle ***
Capitolo 6: *** In viaggio verso il destino ***
Capitolo 7: *** Cambiamenti ***
Capitolo 8: *** Finalmente, Forks ***
Capitolo 9: *** Fratello e sorella ***
Capitolo 10: *** Marius ***
Capitolo 11: *** Scontro ***
Capitolo 12: *** Strano potere ***
Capitolo 13: *** Amore e libertà ***
Capitolo 14: *** Le ragioni del branco ***
Capitolo 15: *** Sei il mio centro ***
Capitolo 16: *** Vengono per me ***
Capitolo 17: *** Embry....salvala! ***
Capitolo 18: *** Ritorno dall'abisso ***
Capitolo 19: *** Problemi in arrivo ***
Capitolo 20: *** Diurna ***
Capitolo 21: *** Vampiro e Lupo ***
Capitolo 1 *** Mio fratello. ***
Voci dal passato - Mio fratello
Voci dal passato
Capitolo 1. Mio fratello
Mio
fratello. Edward. Occhi verde mare, capelli color rame. L'unico ricordo
che ho di lui. Il suo viso dolce che mi guardà dall'alto,
sorridendomi. E io felice, allungo le manine, cercando quel viso dolce
e carico d'amore.
Io, un piccolo angioletto, come mi chiamava mia madre. Capelli color dell'oro, occhi verde acqua, bocca sempre sorridente.
Dopo quel primo ricordo felice, la memoria si fa nebulosa. Un unico
sprazzo. Mio fratello chinò sulla mia culla, con le lacrime agli
occhi. Mi chiama, piangendo. Mi stanno portando via, per chissà
dove.
Non lo avrei mai più rivisto.
Il ricordo successivo mi porta in una stanzetta buia. Io piango, ho
fame. Un viso sconosciuto mi sorride, mi prende in braccio e mi sfama.
E' dolce quel sorriso, ma mai quanto quello di mio fratello. Altri due
visi mi guardano entusiasti. Uno molto simile a quello di mio padre, e
tuttavia biondo. L'altro dolce e sorridente, più piccolo di
quello di mia madre.
La mia nuova famiglia.
I ricordi della mia infanzia sono sprazzi di coscienza, sempre più frequenti man mano che cresco.
All'età di sette anni chiesi ai miei genitori adottivi chi
fossero i miei veri genitori. Mi spiegarono che la mia famiglia era
stata colpita dalla spagnola, una malattia terribile. E che
probabilmente erano tutti morti. Non piansi. Loro due mi avevano
adottata otto mesi dopo la nascita della loro primogenita, mia sorella
Judith. Quando ero arrivata da loro, il mio nome era Angel. Loro lo
cambiarono, seguendo la loro religione, in Miriam.
Mi hanno allevata con tanto amore, permettendomi di non seguire la loro
religione. Dentro di me sentivo uno strano vuoto, come se mi mancasse
qualcosa. Judith e io siamo sempre state ottime amiche, vere sorelle.
Ci confidavamo l'una con l'altra, e facevamo fronte comune contro chi
ci dava contro. A scuola io ero più brava di lei, mentre lei era
quella corteggiata da tutti i maschietti, fin dalle elementari.
Non che io non avessi spasimanti, tutt'altro. Ma i ragazzi non mi
interessavano più di tanto. Judith mi suggerì per lo meno
di provarci, che probabilmente quello che mi mancava era l'amore.
Tuttavia preferivo starmene da sola, seduta sul tetto di casa nostra, a
leggere o a guardare il tramonto.
A sedici anni ero la prima del mio corso, e Judith la più ammirata e desiderata.
Nonostante questo, i suoi voti erano quasi pari ai miei, e questo rendeva molto orgogliosi i nostri genitori.
Mio padre ripeteva spesso che era una benedizione avere due figlie così studiose e così in gamba.
Non l'ho mai preso troppo sul serio, anche se mi faceva piacere sentirglielo dire.
Quell'anno, il nostro diciottesimo compleanno, si preannunciava
spettacolare, in tutti i sensi. Mio padre aveva ricevuto una lauta
promozione e mia madre aveva ottenuto la cattedra a cui aspirava da
parecchi anni.
Ancora
non sapevo che quell'anno la mia vita avrebbe perso e riacquistato il
suo senso in meno di una settimana, che avrei trovato la mia vera via,
il mio vero io.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Triste destino ***
Voci dal passato - Triste destino
Voci dal passato
Capitolo 2. Triste destino
"Sveglia
ragazze!! E' ora di alzarsi, il vostro primo "ultimo giorno" di scuola
vi aspetta! Coraggio fanciulle!" chiamò a gran voce le due
figlie Ruth, dalla cucina.
Al piano di sopra, passi di corsa, da destra a sinistra.
"Sono in ritardo, mia cara?" le chiese il marito Jeremia mentre sorbiva
il proprio caffè e leggeva il giornale del mattino.
"Quasi...diciamo che se per una volta arrivano in anticipo non
farà male.." rispose dolcemente la moglie, mentre rigirava le
frittelle.
Un trambusto nel corridio indicò loro che le figlie erano arrivate.
"Buongiorno papà!" esclamarono in coro le due ragazze appena entrate in cucina.
"Buongiorno ragazze, a colazione!" rispose loro il padre, invitandole a sedersi.
"Buongiorno mamà" salutai Ruth, schioccandole un bacio sulla guancia.
"Buongiorno cara...coraggio mangiate che poi vostro padre vi accompagna a scuola"
Un moto di insofferenza ci prese.
"Oh mamma, ma siamo grandi ormai...non sarebbe ora di andare a scuola
da sole?" chiese mia sorella, mentre io mi buttavo a pesce sulla
frittelle, come al solito ottime.
"Non se ne parla Judith. Anche se siete grandi, non mi va che andate in
giro da sole, specialmente in questa stagione...". Quando mia madre
diceva qualcosa, quella era l'ultima parola.
Judith si arrese.
Finita colazione, ci mettemmo le giacche, salutammo nostra madre e
ci infilammo in macchina, dove nostro padre ci aspettava già.
La scuola non era molto lontana da casa nostra, avremmo potuto andarci da sole. Ma fin da piccole Ruth ce lo proibì.
"Eccoci arrivati, fanciulle. Passo a prendervi alle sei. Buona giornata
ragazze!" disse Jeremia lasciandoci sul marciapiede a debita distanza
dalla scuola. E' vero che non potevamo andare a scuola da sole,
però per lo meno non dovevamo subire l'imbarazzo di scendere
dalla macchina proprio davanti all'ingresso.
"A stasera papà, buona giornata!" risposi, salutandolo con la mano quando se ne andò.
Appena la macchina non fu più in vista, Judith si liberò
del golfino: sotto aveva una camicetta assai più provocante.
"Jude...e quella da dove arriva?" chiesi sconvolta.
"Ma dai sorellina...me la sono comprata l'altra settimana".
"Mamma l'ha vista?"
"Ovvio che no! Le sarebbe preso un colpo!"
"Lo puoi ben dire..."
"Oh dai Miry, lasciati andare un po'...Ci sono tanti bei ragazzi che ti
muoiono dietro...sciogliti sorellina, sei troppo tesa..."
"Oh scusami se io penso prima all'Università che ai ragazzi..."
le risposi, lasciandola all'ingresso e dirigendomi direttamente in
classe.
"Miry, ti vuoi muovere? Papà sarà già fuori che ci
aspetta...spicciati..." ululò Judith, mentre aspettava che io
finissi di parlare col professor Frank, quello di biologia. Quando
finalmente uscii, vidi arrivarmi incontro Mark, il primo dei miei
spasimanti, ossia quello di più vecchia "cotta", che risaliva
alle elementari.
"Sorellina buttati...Ti aspetto fuori..." mi sussurrò Jude,
togliendomi la pinza dai capelli, che ricaddero sciolti sulle spalle,
liberi.
"Ehm...ciao Miriam...." cominciò lui, rosso in viso.
"Ciao Mark..." risposi per cortesia. Non lo avevavo mai potuto soffrire.
"Senti...ehm...domani sera mi chiedevo se eri libera...magari potevamo uscire..."
"Mark lo sai che mia madre non vuole che usciamo la sera..."
"E dai...Vengo a prenderti a casa..."
"Mark...mi dispiace...ma i miei sentimenti per te sono sempre gli
stessi...non sei il mio tipo...scusami...ora devo proprio andare..."
gli risposi, piantandolo in asso lì su due piedi.
Presi la porta quasi di corsa. E mi bloccai.
Judith non c'era, non era in vista, e nemmeno lo era l'auto dei miei.
"Che siano già andati
via, senza aspettarmi, per farmi riaccompagnare da Mark? Se la trovo la
distruggo a Jude: prima lo scherzo dei capelli, ora questo..."
Passavano i minuti, e di mia sorella o di mio padre nessuna traccia. Decisi di correre il rischio e mi incamminai verso casa.
Man mano che mi avvicinavo, sentivo nell'aria uno strano odore...dolciastro e nauseabondo. Mi misi a correre.
Quando arrivai a casa mia, rimasi impietrita dall'orrore. Mio padre,
mia madre e mia sorella erano tutti e tre lì davanti a me, a
terra, mezzi nudi, dissanguati. Morti.
Caddi in ginocchio, e le lacrime uscirono da sole, senza freni. Piansi.
Oh, quanto piansi quel giorno. Uno dei vicini chiamò la polizia,
e anche l'ospedale.
Ma sapevo che non c'era più niente da fare.
Rimasi accasciata a terra per un tempo infinito, mentre intorno a me si alternavano poliziotti e medici legali.
"Morti. Tutti e tre. Ci sono segni di morsi, sembra che siano stati azzannati dai cani o da qualche altro animale".
"E l'altra figlia?"
"È sotto shock, ma sta bene, fisicamente intendo. Non era in casa al momento dell'accaduto".
Solo allora, un poliziotto decise che era il caso di tirarmi su da
terra. Mi fecero sedere sulla lettiga dell'ambulanza, controllando che
stessi bene.
Poi un uomo si avvicinò. Sembrava il capo.
"Miriam...puoi dirmi dov'eri questo pomeriggio alle 17.45?"
"Si, ero a scuola e parlavo con un ragazzo. Si chiama Mark Leaders"
risposi noncurante, non riuscendo a staccare lo sguardo dai cadaveri
dei miei genitori e di mia sorella.
"Tuo padre doveva venirvi a prendere, a te e a tua sorella?"
Annuii.
"Mia sorella mi ha lasciato sola con Mark ed è uscita, dicendo
che mi aspettava fuori...Non posso credere che sia successo...non a
me...non di nuovo..." risposi scuotendo la testa e scoppiando a
piangere.
"Di nuovo?"
"Il mio nome vero è Angel, Angel Masen. I miei genitori e mio
fratello Edward sono morti di spagnola, diciotto anni fa. I coniugi
Breil mi hanno adottata che avevo pochi mesi" raccontai e ricominciai a
piangere.
Il poliziotto si allontanò, tornando verso i suoi sottoposti,
due ragazzotti che si stavano occupando di far portar via i corpi.
"Allora, capo?"
"Povera ragazza. Era la sua famiglia adottiva. La sua vera famiglia
è morta di spagnola diciotto anni fa" spiegò l'uomo,
passandosi una mano sulla fronte, sinceramente dispiaciuto.
"Che triste destino, povera fanciulla..." osservarono i due, altrettando amareggiati.
Note dell'autrice: come noterete, ho cambiato un pochino
l'ambiente, per avvicinarlo il più possibile al presente. Anche
se i fatti sono rimasti gli stessi.
Ringrazio di cuore le otto persone che hanno inserito la mia storia tra le preferite e tutti coloro che la stanno leggendo.
Grazie a RiceGrain per il commento, leggi questo, vediamo se ti piace.
Grazie anche a Alice Brendon Cullen per il "troppo brava", sono contenta che ti sia piaciuta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Coast to Coast ***
Voci del passato - Coast to coast
Voci dal passato
Capitolo 3. Coast to Coast
I giorni scorrevano lenti, sempre
uguali. Nonostante quello che era successo, non avevo smesso di andare
a scuola. Non volevo deludere i miei, per quanto deceduti. La casa,
prima così piena di vita, sembrava ad un tratto aver perso tutto
il calore e tutti i suoi colori.
Quando rientravo, e non li vedevo, mi rinchiudevo in camera. Ma non piangevo. Non aveva senso piangere.
La polizia non era riuscita a capire
chi o che cosa avesse ucciso i miei familiari. Al funerale, oltre a
tanti parenti che non avevavo nemmeno mai visto, nessuno. Nessun amico,
nessun ragazzo della mia età. Solo vecchi bacucchi con lunghi
boccoli grigi, e signore con strane acconciature che mi passavano
davanti ipocritamente facendo le condoglianze.
Non li vedevo. Non vedevo nessuno. I
miei pensieri erano fissi sui volti dei miei genitori e di mia sorella,
ricomposti nelle loro bare di legno chiaro.
Mi meravigliai vedendo al funerale il
capo della polizia, con i due ragazzotti che sempre lo accompagnavano.
Mi vennero vicino, e il loro capo si accosciò, per essere alla
mia stessa altezza.
"Miriam..."
"Angel...io mi chiamo Angel...non ho mai abbracciato la fede dei miei genitori..." lo corressi.
"Scusami...Angel...Non siamo riusciti
a trovare il o i colpevoli...Magari tu riesci a capirci
qualcosa....Perchè tuo padre stringeva così forte
questo?" mi chiese, mostrandomi un pezzetto di carta. Sopra, solo due
parole. Due parole che mi sconvolsero più di tutto il resto.
"E alive"
"Per te hanno un senso?" mi chiese nuovamente, ma io non risposi. Ero troppo emozionata. Emozionata e infelice.
"Si...ma sono cose private fra me e mio padre...non centrano nulla con l'omicidio..."
"Come fai a sapere che si tratta di omicidio?"
"Senta..."
"Angel, sono giovane abbastanza da essere tuo fratello...il "lei" mi fa sentire vecchio...Nicholas..." mi interruppe.
"Nicholas, quelli non sono morsi di
canidi, ne di altri animali...Ho studiato abbastanza da
capirlo...è tra gli esseri umani che dovete cercare..."
"In effetti, anche il medico legale era perplesso..."
Scossi la testa come a chiedere un chiarimento della sua ultima affermazione.
"Ci sono segni di altri denti...molari..."
Annuii. La sua risposta confermava la
mia ipotesi. Esseri umani. O meglio, esseri bipedi con un linguaggio,
una cultura e una qualche forma di socialità, ma non di certo
umani. Perchè nessun essere umano farebbe una cosa del genere ad
altri esseri umani.
"Se hai bisogno di qualcosa,
qualsiasi cosa, anche solo di compagnia, chiamami..." mi
sussurrò per non farsi sentire dai due sottoposti, passandomi un
bigliettino con il suo numero.
Si alzò e se ne andò, seguito a ruota dai due, che mi salutarono con la mano.
Nell'altra mano stringevo il pezzetto di carta di mio padre.
"E alive....Edward è ancora vivo...fratellino..." e le lacrime scesero spontanee.
Finalmente la cerimonia finì e
io potei rientrare in casa, lasciando mia zia Elisabeth a occuparsi
degli ospiti. La mia stanza era il mio luogo preferito, specialmente
quando stavo male. Rinchiudermi lì dentro mi sembrò la
cosa più naturale del mondo. Non so per quanto dormii. Ricordo
solo mia zia che viene a dirmi che se ne sono andati tutti e che se ne
stava andando anche lei. La salutai, ringraziandola di cuore. Poi
risprofondai nell'incoscenza e nel dolore.
Mi svegliai di colpo, sudata marcia, urlando.
"Un incubo...."
Seduta in mezzo al letto, cercai di
ricordare cosa stavo sognando. Chissà come, proiettai al di
fuori della mia mente i ricordi dell'incubo. Li vedevo davanti ai miei
occhi come se ci fossi vicino, quasi potevo toccarli...Rividi cose,
persone e luoghi...ma quando i ricordi arrivarono ai corpi straziati
dei miei genitori e di Judith esplosi.
Piangevo, abbracciandomi come per
confortarmi, ma quel gesto non mi aiutava affatto, mi faceva sentire se
possibile ancora peggio. Urlavo come se mi stessero torturando, grida
disumane mi uscivano dalla gola, e le lacrime scorrevano a fiumi...
Non di tristezza, ma di rabbia.
Rabbia e impotenza....In un momento di crisi più profondo, altre
immagini mi tornarono alla mente.
Un viso dolce e carico d'amore. Capelli color rame, spettinati. Sorriso
disarmante. Occhi del colore del mare, che esprimevano una
felicità infinita.
La visione cambiò.
Lo stesso viso. Non più dolce, non più carico d'amore.
Triste e infelice. Le lacrime a imperlargli gli occhi color del mare.
Non ce la facevo più.
".....EDWARD!!!!!!!!" urlai con tutto il fiato che avevo in gola. La visione cessò e io svenni.
***
Forks, ridente cittadina della Penisola Olimpica, non lontano da PortAngeles.
Una casa fuori dal paese, immersa nel verde. Nascosta ma in piena vista.
Una stanza a vetri, oblunga, al primo piano. Una libreria a muro, stipata di libri e cd. Lo stereo che suona un pezzo classico.
Un divano bianco.
Sopra, un ragazzo sui
diciassette anni, capelli color rame, occhi ambrati, più simili
all'oro colato. Pelle bianchissima. Si agita. Si sveglia di colpo,
urlando.
"Angel..." sussurra e una lacrima riga il suo viso perfetto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** In caccia ***
Voci dal passato - In caccia
Voci dal passato
Capitolo 4. In caccia
"Edward..che succede?"
Una voce fuori dalla porta lo riscosse.
"Esme..."
La porta si aprì e una figura minuta ma di una bellezza
anomala entrò, quasi volando, tanto leggera camminava.
"Che è successo?"
"Non lo so...un incubo...eppure sembrava così
vivido...così vero..."
"Posso entrare Ed?" chiese una vocina minuscola. Sua sorella Alice.
Annuì, e quella entrò raggiungendo Esme, madre
sua e di Edward.
"Hai visto qualcosa, Alice?"
"Non distintamente...è molto lontana...ma appartiene al tuo
passato Ed...qualcuno che conoscevi...qualcuno di molto vicino..."
disse la sorella fissando il vuoto, come faceva sempre quando prevedeva
il futuro.
Il ragazzo si tirò a sedere dritto, scostandosi i capelli
dal viso. Pensoso.
"Devo parlare con Carlisle..." disse dopo un po', alzandosi e uscendo
dalla stanza, lasciando così da sole le due.
"Alice...tu l'hai vista in viso?" chiese sua madre.
"No...ho visto solo...lunghi capelli color dell'oro..." rispose la
figlia, volgendo lo sguardo alla porta dove era appena sparito il
fratello.
Nel frattempo, Edward aveva raggiunto la stanza dei suoi ma, non
trovandovi il padre, si diresse verso lo studio.
"Carlisle...ho bisogno di parlarti..."
"Entra Edward...siediti...mi sembri sconvolto..che è
successo?"
"Ho...ho avuto un incubo...e mi sono svegliato piangendo..."
"Uhm...strano...Cosa hai sognato, di preciso?"
"Una ragazza...di spalle...è triste...sta piangendo...ma non
è quello il problema...subito dopo ho visto..." ma non
riuscì a continuare.
"Dopo cosa hai visto?"
"Una culla...e una bambina...tende le manine verso di me...la bambina
è diventata la ragazza che avevo visto poco prima...gli
stessi capelli...biondi, color dell'oro...è allora che mi
sono svegliato...Ho sentito chiaramente la ragazza urlare...gridava il
mio nome..." raccontò il ragazzo con occhi vitrei, come se
cercasse di rivedere quelle immagini.
"Hai visto il viso di questa ragazza?"
"No...ma quello della bambina sì...per quello piangevo...ho
riconosciuto la bambina...è....era mia sorella..."
Carlisle lo guardò, cercando di comprendere cosa gli diceva
il figlio.
"Quando ero ancora Edward Masen avevo una sorellina...appena nata...un
angioletto...si chiamava Angel...e aveva i miei occhi...i colori del
mare....i capelli biondissimi...Quando mio padre si ammalò,
vennero e la portarono via. In un certo senso le salvarono la vita..."
"E io trovai te e tua madre...La ragazza del sogno...quanti anni credi
che abbia?"
"Ne ha diciotto..." rispose dopo un attimo di esitazione, come se
contasse a mente.
"Esattamente gli anni che sono passati dalla tua rinascita..."
sussurrò piano Carlisle, soppesando le parole.
"Carlisle, secondo te era solo un sogno? Alice l'ha vista..."
"Penso sia meglio se per adesso non ci pensi...Se dovessi sognarla
nuovamente, o se Alice dovesse vederla di nuovo, agiremo".
Edward si alzò e se ne tornò in camera, cercando
di non pensarci. Ma più evitava di soffermarsi su quel
pensiero, e più quel pensiero lo colpiva come una sferzata.
***
Ogni giorno che passavo senza i miei, era un giorno sempre più buio.
Non avevo chiamato Nicholas. Non sarei rimasta lì ancora per molto tempo, non aveva senso.
Chiunque fosse stato a uccidere i miei genitori e mia sorella, in realtà cercava qualcun'altro.
"Ma perchè? Che cosa ho io che loro vogliono?" mi chiedevo spesso. Ma non c'era risposta.
Un
pomeriggio stavo tornando a casa da scuola, in compagnia di alcuni
amici. Giunta davanti a casa, notai la porta semiaperta. Mi ricordavo
di averla chiusa. Entrai comunque.
"Finalmente ci conosciamo, Miriam Breil...o meglio...Angel Sophie Masen..." mi disse una voce, maschile, fredda e sinuosa.
In
salotto, sulla poltrona di mio padre, stava stravaccato un uomo, l'uomo
più bello che avessi mai visto. Bello e ributtante allo stesso
tempo. Un rivolo di sangue gli colava da un'angolo della bocca. Rimasi
lì, impietrita, senza riuscire a dire nulla.
"Ti aspettavo...sapevo che era solo questione di tempo..."
"Chi siete? Che cosa volete da me?" mi forzai a chiedere.
"Gentile
da parte tua darmi del lei...lo apprezzo...Io sono Marius...e quello
che voglio da te, è che tu porti un messaggio...a tuo fratello
Edward..."
"Allora è vivo..." sussurrai, in un misto di felicità e paura.
"Se
la sua condizione si può chiamare 'vita'...però
sì, tuo fratello calpesta ancora questa terra...e voglio che gli
porti un messaggio...molto chiaro..."
Non
me ne accorsi neppure. Provai solo dolore...un dolore intenso,
irrefrenabile, incontrollabile...Volevo urlare, ma dalla mia bocca non
usciva alcun suono. Per mia fortuna, finì quasi subito.
"Questo
non ci ucciderà...e non diventerai come me, nè come tuo
fratello...per lo meno, non subito. Hai cinque giorni per trovarlo..."
Mi sfiorai il collo...sentivo distintamente sotto i polpastrelli alcuni fori...il sangue quasi non usciva per niente...
"Che cosa dovrei dire a mio fratello, se mai lo trovassi?"
"Gli
basterà vederti e saprà qual'è il messaggio, e chi
glielo ha mandato...Ora è meglio che vada...Ho ancora sete..."
Ero quasi paralizzata dall'orrore. Quell'essere si nutriva di sangue...sangue umano...
"Aspetta...dov'è...dove lo trovo?"
"Forks. Ho come la sensazione che ci rivedremo bambina..." mi rispose, mentre spariva nel bosco dietro casa mia.
"Forks...." pensai, mentre mi fiondavo in bagno a guardami allo specchio.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Da Chicago a Seattle ***
Voci dal passato - Da Chicago a Seattle
Voci dal passato
Capitolo 5. Da Chicago a Seattle
Davanti
allo specchio non riuscì a trattenere un moto di disgusto. Due
ombre scure, violacee, si andavano a formare intorno agli occhi, e
cominciavo a sentire un leggerissimo pizzicorio in fondo alla gola.
"Fantastico..." bofonchiai, mentre mi
lavavo la faccia, come se facendolo avessi potuto cancellare quello che
avevo visto e che mi era successo.
Quando mi ripresi, andai subito in
camera, ad accendere il computer portatile. Volevo sapere dov'era
Forks, un posto che non aveva mai sentito.
Andai su internet e cercai tra i preferiti il link giusto. Ci mise un po'. La pagina mi disse tutto quello che volevo sapere.
Lessi ad alta voce, come se con me ci fosse qualcun altro.
"Forks, cittadina dello stato di
Washington, conta poco più di tremila abitanti. Si trova nella
penisola di Olympia, e deve il suo nome..." continuo a leggere. Tutte
notizie importanti, ma quello che cerco veramente è il modo per
arrivarci. Perciò cercai una piantina più dettagliata.
"Da Chicago...a Seattle...e poi
Olympia. Da qui risalgo lungo la costa e passo per PortAngeles...fino a
Forks..." mormorai, leggendo la mappa.
Sarei partita appena pronta. Alzandomi dalla sedia, sentì un lieve capogiro, che passò quasi subito.
Andai in camera mia e feci la
valigia, mettendovi anche un maglione più pesante e l'ombrello.
In meno di dieci minuti avevo finito, mettendo via anche il pc.
Scesi quasi di corsa le scale,
infilandomi le scarpe e mettendo gli scarponcini da montagna nella
borsa. La sentivo leggera, anche se probabilmente non lo era. Il
campanello mi fece sobbalzare.
"Angel...Angel aprimi!". Era Nicholas. Spaventato.
"Che cosa vuoi?"
"Entrare, in primis. Secondo, voglio
sapere che cosa è successo oggi...i tuoi vicini hanno visto
qualcuno di sconosciuto entrare, e poi uscirne dopo una decina di
minuti. Di te nessuna traccia..."
"Nicholas...io me ne devo
andare...non posso restare...ho saputo che mio fratello Edward è
ancora vivo e vive sulla West Coast...perciò vado da lui..." gli
risposi.
Aprii di scatto la porta e notai che aveva la mano sul laccetto della fondina, non so se per estrarre o per riporre il ferro.
"Angel..."
"Non fermarmi...per me non c'è più niente qui...solo morte e dolore..."
"Ci sono io..." gemette.
Non l'avevo mai considerato. Non mi piaceva: troppo alto per me e soprattutto troppo vecchio...trent'anni erano troppi...
"Nicholas, togliti di lì, lasciami andare..."
"No...non posso..."
"E invece lo farai...o sarò io a farlo per te...". Non so da dove mi spuntò fuori quell'arroganza.
A malincuore dovette spostarsi. Mi
avviai a piedi verso il centro, per prendere un treno per l'aeroporto.
Solo una volta mi voltai indietro.
"Angel...ti rivedrò mai?" mi chiese con gli occhi lucidi.
"Non lo so...forse..."
Un velo di lacrime ricoprì gli occhi scuri di Nicholas, che mi diceva addio per sempre probabilmente. Senza saperlo.
All'aeroporto, prenotai un posto sul
primo volo per Seattle. In aereo non dormii. Non riuscivo a dimenticare
gli ultimi avvenimenti. Allo specchietto controllai lo stato del mio
collo. Il segno a mezzaluna stava perdendo colore, da viola stava
diventando bianco.
"Per lo meno, sarà più facile nasconderlo..." dissi tra me e me.
A Seattle non volli fermarmi e proseguii. Stranamente, non avevo sonno. Anzi. Ero sveglissima, impaziente.
Cercai un bus per Olympia, ma mi
dissero che per quella sera non c'erano più corse. Mi arresi e
andai in albergo. Il bello di crescere in una famiglia come la mia,
erano i soldi. Ce n'erano sempre parecchi in casa, così prima di
partire avevo fatto il pieno.
Scelsi un alberghetto carino e poco
costoso, ma pulito e accogliente. La signora alla reception mi
accompagnò in stanza, chiedendomi se avessi fame. Scossi la
testa. In effetti, più che fame avevo sete. La gola riarsa mi
asfissiava.
"Mia cara, mi sembri stanca. Una
doccia e una buona dormita ti aiuteranno a recuperare. Sei così
pallida, sei sicura di star bene?"
"Si signora grazie...sto bene, sono solo stanca per il viaggio...arrivo da Chicago..."
"Viaggio bello lungo...Se per caso ti
servisse qualcosa, digita l'interno 1...rispondo io" mi disse facendomi
l'occhiolino, chiudendosi la porta dietro le spalle.
In bagno, dopo la doccia passai una
buona mezz'ora ad osservarmi. In effetti ero molto pallida, quasi
diafana. Mi spaventai a morte...quell'uomo...il colore della pelle era
circa lo stesso mio...Oh mio dio, mi stavo trasformando...Le occhiaie,
le mani sempre fredde, la pelle pallida, quasi bianca....tutto mi
portava a pensarlo.
Mi infilai sotto le coperte con la paura di non svegliarmi.
***
Alice trasalì. Jasper, il marito/fratello, le fu subito accanto, percependo il suo mutamento d'umore.
"Cosa vedi?"
"La ragazza...è
partita...e ora è a Seattle...sta venendo qui...lo
vedo...arriverà tra qualche giorno...È strano..."
"Che cosa, Alice?" le chiese Edward con una punta di timore.
"Prima la vedevo sfocata, ora
man mano si sta definendo. Riesco a vedere il suo viso...è
bellissima...e pallida..." poi gli occhi della morettina tornarono
normali.
"Che significa, Carlisle?" gli
chiese il figlio, ma lui non rispose. Non pensò nemmeno la
risposta, poichè così Edward l'avrebbe visto comunque,
possedendo la capacità di leggere il pensiero, umano o vampiro
che fossero.
"Che facciamo, Carlisle?".
Questa volta era stata Esme a porre la domanda. L'interpellato fece
spallucce, non sapendo cosa risponderle.
"Alice, non perderla di vista..." raccomandò alla figlia minore.
"Certo..."
Edward si diresse nuovamente in camera sua, sdraiandosi sul divano.
Che voleva dire se Alice la vedeva sempre più definita?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** In viaggio verso il destino ***
Voci dal passato - In viaggio verso il destino
Voci dal passato
Capitolo 6. In viaggio verso il destino
Mi svegliai per fortuna, con uno strano sapore in bocca. Sapeva di dolce. Mi toccai il labbro e rabbrividii.
Evidentemente avevo avuto una piccola
crisi durante la notte, perchè il labbro superiore era spaccato
e un rivolino di sangue mi macchiava il lato della bocca. Mi sentivo
meglio della sera prima, in compenso.
"Accidenti...Questo però non me lo aveva detto..." mentre mi pulivo.
Accesi il pc e internet, ripescando
la mappa dello stato. Seattle era verso l'interno, mentre Forks si
trovava sul Pacifico quasi. Un bel tratto. E non avevo molto tempo. Era
già passato un giorno intero da quando ero stata morsa, me ne
mancavano solo quattro.
Risistemai i bagagli e uscii,
lasciando la stanza com'era. Alla reception la signora mi vide
più rosea e tranquilla, e si mise il cuore in pace. Meno male.
Chiamai un taxi e gli dissi di portarmi alla stazione degli autobus. Non ci arrivai.
"Signorina, non pensa che una
fanciulla carina come lei dovrebbe andare in giro protetta?" mi chiese
malizioso il taxista, un giovane ispanico.
"E perchè mai?" sostenendo lo sguardo che mi lanciava dallo specchietto retrovisore.
"Niente, dico solo che così carina potrebbe succederle qualcosa di spiacevole..."
In quel momento, le chiusure centralizzate si bloccarono, rinchiudendomi lì dentro.
"Cavolo!! Ma tutte a me devono succedere...?" pensai, mentre il taxi entrava in un parcheggio sotterraneo semideserto. Ottimo posto, complimenti per la scelta.
Quando si fermò, il ragazzo si
voltò verso di me. Dalla profondità dello sguardo dedussi
che mi stava facendo una radiografia. Tremai.
"Oh non ti preoccupare, non voglio farti del male...non troppo per lo meno..."
Passò dietro e io mi accucciai contro la porta, all'esatto opposto del punto dove era lui.
"Non fare la scontrosa bambina...vieni qui...ci conosciamo, facciamo quattro chiacchiere, ci divertiamo..."
Non avevo alcuna intenzione di
'divertirmi' con lui, perciò mi dimenai a più non posso
quando mi afferrò i polsi, cercando di tenermi ferma.
Non so come, gli riuscì di mettersi sopra di me. Pensai che fosse finita. Allora successe il miracolo.
Quando mi riscossi, non ero del tutto
certa di dove fossi, o di cosa fosse successo. Del ragazzo, restava ben
poco. Sventrato e dissanguato. A prima vista ebbi l'impulso di
vomitare. Poi una strana consapevolezza si fece largo. Ero stata io.
Chissà come. Poi mi guardai allo specchietto e lanciai un urlo,
a metà tra il terrore e la sorpresa.
Metà del mio viso era rosso,
ricoperto di sangue. Sotto il rosso, il pallido estremo delle ultime
ore andava via via diminuendo. Sostituito da un colore bianco marmo,
spettacolare.
Gli occhi verde mare però
erano rimasti gli stessi, forse di un colore più cangiante:
passava dal verde al blu, con tutte le varianti possibili tra i due.
Ero meravigliata. Osservando meglio, notai anche una riga rossa nella
parte bassa dell'iride.
Per fortuna, in macchina c'erano
delle bottiglie d'acqua, così potei lavarmi via il sangue di
dosso. Mi sentivo decisamente meglio, più forte. Presi le mie
cose, e filai via alla velocità della luce. Appena fuori dal
parcheggio tornai a respirare tranquilla.
Mi sembrava di essere cambiata, se
possibile in meglio. Gettai via i vestiti che avevo addosso, e mi
cambiai con quelli che avevo nella borsa. Ringraziai la mia previdenza,
che mi salvava un'altra volta.
Camminai. Camminai. Camminai. Per un
tempo infinito. Quando finalmente decisi di fermarmi per la notte,
guardai la cartina che mi ero stampata prima di uscire dall'albergo e
mi meravigliai. Ero non molto lontano da Olympia. Avevo percorso, a
piedi e con la valigia, circa sessanta miglia. Avevo studiato bene la
mappa. Scendendo da quella parte, avrei evitato le strade principali
dopo, nel tragitto tra Olympia e Forks. Tra le due infatti si stendeva
un parco nazionale e una grande foresta. Ottimo posto per nascondersi.
Mi stupii della mia resistenza, ma
non ci feci troppo caso. Il secondo giorno volgeva al tramonto, che io
osservai seduta su una panchina in uno dei parchi della città.
Mi addormentai sul prato, raggomitolata sotto una quercia, coperta dal
maglione pesante e dalla giacca.
E per la prima notte, dormii tranquilla.
Note dell'autrice: ringrazio infinitamente le 19 persone che hanno inserito questa ff tra le favorite. Grazie grazie!
@Alice brendon cullen: spero con questo capitolo di averti chiarito un pochito le idee sul perchè Alice riesce a vederla meglio adesso...
Un caloroso grazie anche a chi mi lascia un messaggino tra le
recensioni. I vostri commenti sono importantissimi, mi aiutano a capire
se c'è qualcosa da cambiare. Continuate così! Baciotti
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Cambiamenti ***
Voci dal passato - Cambiamenti
Voci dal passato
Capitolo 7. Cambiamenti.
Il sole mi svegliò. Cercai di
tirarmi su, stropicciandomi. Avevo dormito come un ghiro, mi sentivo
rinata. Forse lo ero davvero, per un altro motivo. La mia pelle aveva
sempre quel colore bianco marmo, ma riuscivo ancora ad arrossire, cosa
che avevo constatato guardandomi nello specchietto che avevo sempre con
me.
Avevo letto tante cose sui vampiri, da piccola. Leggende. Miti. Racconti di gente comune che li aveva visti.
Non mi ci ritrovavo.
La mia pelle non era così fredda, non avevo i canini sporgenti,
né forza o velocità sovrumane. Solo il colore della pelle
e degli occhi, e forse la sete. Ma neanche poi tanto. In fondo, dopo il
ragazzo del taxi non avevo più avuto lo stimolo. Avevo mangiato
in un bar, cibo normale. Non mi era successo nulla. Respiravo ancora, e
il mio cuore batteva.
Scossi la testa, decisamente confusa.
"Signorina, che ci fa lì in mezzo?" mi sorprese una voce, grave
e non troppo tenera. Un poliziotto a cavallo mi squadrava dall'alto.
"Ho dormito qui...c'è qualche problema?"
"Direi di sì...la temperatura stanotte è arrivata quasi a
0 °C, non se ne è accorta?" mi disse, scendendo
dall'animale, un bellissimo esemplare nero come la notte.
"No..."
"Non ha una casa, qualcuno che la conosca e che la possa ospitare?" riprese, avvicinandosi un po'.
"Secondo lei, se li avessi avuti, avrei dormito qui?" risposi
sarcastica come mai mi era capitato. Questa sicurezza e arroganza
dovevano venirmi dai cambiamenti che stavo subendo.
"Ma non si preoccupi, me ne vado subito. Ho ancora molta strada da
fare" aggiunsi, alzandomi e riprendendomi la roba e facendo qualche
passo per allontanarmi.
Il poliziotto fece l'unica cosa che non avrebbe dovuto fare.
"Signorina, devo portarla in centrale. Stiamo cercando una ragazza
bionda con gli occhi verdi, che ha ucciso un taxista a Seattle. Venga
con me!" mi disse, afferrandomi per un braccio e trattenendomi.
Un basso ringhio mi uscì dalla gola e non so come riuscii a
mantenere un vago controllo di me stessa. Bastò una pressione
leggera sul braccio dell'uomo, per vederlo crollare a terra
urlante, il braccio rotto in almeno cinque o sei punti. Un brivido
di paura mi percorse la schiena.
Lo ignorai, e mi diressi verso l'altro capo del parco. Pochi passi, e
tornai indietro. Perchè dovevo farmi la strada a piedi? A lui
non serviva più il cavallo.
Mi avvicinai all'animale, che sorprendentemente non mi respinse.
Era pur sempre una preda per me, avrebbe dovuto scappare via come il
vento. E invece niente. Anzi, mi strofinò il muso contro il
viso, per niente spaventato.
Assicurai la borsa alla sella, e ci montai. Era altissimo, un colosso. Io arrivavo a malapena all'altezza della spalla.
"Accetti di portarmi fino a destinazione? Prometto che non ti
farò del male...Come ti chiami?" domandai, per poi ricordarmi
che non era in grado di parlare.
Il poliziotto, a terra dolorante, bisbigliò qualcosa così piano che non riuscii a sentirlo.
"Te ne darò uno io...andiamo, abbiamo molta strada da fare,
amico..." gli sussurrai, carezzandogli la guancia. Quello si mise al
passo, uscendo dal parco. Presi per Shelton, proseguendo dritta verso
la Foresta.
Ogni tre o quattro ore mi fermavo, sia per lui sia per me. Non ero
abituata a cavalcare, perciò ogni volta che scendevo sentivo i
muscoli tirare come non mai.
Mi ero abituata alla sua presenza. Cercai di capire di che razza
fosse. Internet mi aiutò parecchio. C'erano tre
possibilità: due razze italiane e una orientale.
"Dunque....ci sono tre possibilità. Maremmano, Murgese o Arabo. Allora vediamo...sei un Murgese?"
Nitrì, scuotendo la criniera, cosa che interpretai come un 'no'.
Riprovai.
"Un maremmano?"
Idem come sopra.
"Allora sei un Arabo...interessante...qui dice che gli Arabi si disinguono in tre 'razze': kuhailan, siglavy e muniqi..."
Nitrì nuovamente quando pronuncia l'ultima parola, muniqi. Mi
fissava con due occhioni languidi, dello stesso colore del suo
mantello. Ricambiai il suo sguardo, e sorrisi.
Proseguimmo per un bel tratto, in silenzio. Non volevo che si stacasse
troppo, perciò lo mantenevo al passo, o al piccolo trotto.
Sentivo tuttavia che avrebbe potuto fare di più. Mi ripromisi di
farlo correre un po' quando saremmo arrivati a destinazione.
Ci fermammo al limitare della Foresta Olimpica, non lontano da un
ruscello. Il sole tramontava sul mio terzo giorno. L'indomani dovevo
essere a Forks, o tutto sarebbe stavo vano.
Smontai, e liberai l'animale, che si diresse a bere.
Mi accoccolai sotto le fronde di un acero, guardando quella creatura
così calma e tranquilla nonostante si trovasse con un predatore.
L'animale tornò poco dopo, e si mise a brucare tranquillo, a
pochi passi da dove ero seduta io.
Avevo fame...e sete. Dovevo mangiare a tutti i costi, altrimenti lo avrei attaccato, e non ne avevo alcuna intenzione.
"Io mi allotano un po'....ho fame...torno tra poco...". Non so
perchè glielo dissi, ma mi venne naturale, come se parlassi con
un'altra persona.
Tornò verso di me, e mi diede una leggera spinta col muso, a mo' di saluto.
Mi inoltrai nella foresta, cercando qualcosa da mangiare. E per la prima volta, cacciai sul serio.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Finalmente, Forks ***
Voci dal passato - Finalmente Forks
Voci dal passato
Capitolo 8. Finalmente, Forks
Quando
tornai indietro, mi sentivo decisamente meglio. Un paio di cervi mi
erano bastati a calmare la sete, che sentivo premere sempre più,
man mano che passavano i giorni.
Al campo, il mio compagno di avventure mi aspettava in piedi accanto all'acero.
"Ehi...ma non ti viene voglia di sdraiarti?" gli chiesi, mentre mi sedevo.
Scosse la testa.
"No...direi di no...allora...troviamo un bel nome per te, che ne dici?
Non posso mica chiamarti sempre "cavallo" o "amico"...Dunque...sei
arabo...quindi ci vuole qualcosa di adatto...Che ne dici di Nadir?"
Non gli piaceva, come non gli piaquero gli altri quindici nomi che gli
proposi. Alla fine ebbi un moto di stizza e me lo inventai di sana
pianta.
"Uff...allora ti chiamerò Al Hattal, sei contento?" sbuffando.
Mi venne vicino e mi passò la lingua sulla guancia. Nitrì e se ne ritornò al suo cantuccio.
"Al Hattal? Così ti piace? O aspe....tu ti chiami già Al
Hattal! Ecco così balbettava il tuo ex padrone...Mi piace, ha un
bel suono..."
Lo guardai ancora per un po', poi crollai, appoggiata al tronco dell'acero, distrutta.
***
Il giorno dopo, il quarto, cominciò male. Mi svegliai con
una sete tremenda, quasi incontrollabile. Mi levai veloce, e scappai
nella foresta. Al Hattal mi guardò schizzare via, e tornò
a fare quel che stava facendo, dormire.
Poco dopo ritornai, con un coniglio stretto in mano. Integro. La sete
l'avevo già soddisfatta, ora era la fame che mi premeva. Accesi
il fuoco, dio solo sa come, e arrostii il coniglio, mangiandomelo con
gusto.
Andai al ruscello e ci infilai dentro tutta la testa. Mentre guardavo
il fondale sabbioso, un muso rosato conparve accanto alla mia faccia.
Lanciai un urletto sorpresa e tirai fuori la testa, fradicia.
"Al Hattal, santa pace! Vuoi farmi venire un colpo? Potevo ucciderti!" lo rimproverai.
I suoi grandi occhi languidi mi fissavano, ad un tratto impauriti. Lo notai subito.
"Scusami, ma mi hai spaventato...Lo sai che non ti farei mai del
male...non devi temermi...Non tu..." lo rassicurai. Si fidò,
permettendomi di avvicinarmi e accarezzarlo. Premetti delicatamente il
mio viso sulla sua guancia, ascoltando in silenzio i battiti del suo
cuore, che andavano di pari passo con i battiti del mio.
"Che ne dici, andiamo? Ci siamo riposati abbastanza..." gli dissi,
mentre recuperavo coperta, sella e finimenti. Se li lasciò
mettere tranquillo. Ogni tanto, un brusio soddisfatto si levava. Era
contento di ripartire. Caricai i bagagli, e riempii le borracce che
avevo comprato a Olympia con l'acqua del ruscello. In previsione, avevo
anche recuperato un secchio abbastanza grande perchè il cavallo
potesse bere. Montai e mi sistemai bene in sella. Avremmo cavalcato
più del previsto, quel giorno.
"Oggi dobbiamo arrivare a Forks, amico mio...lo so che è un po'
lontana..ma dobbiamo...Se ti faccio correre un po' ti da fastidio?" gli
chiesi.
Scosse la criniera e si lasciò portare sul sentiero. Non era
adatto alla corsa, così tornai indietro. Poco prima del nostro
bivacco, c'era un cartello. Indicava i sentieri percorribili, e con
quali mezzi. Per i cavalli ce n'era solo uno. Sperai che fosse
abbastanza largo da permettergli di correre un po'. Quando ci
arrivammo, rimasi di stucco. Ogni tanto spuntava un albero, ma erano
molto più radi di quelli dell'altro sentiero. Alcuni erano
segnati con una striscia bianca.
"Ehi Al Hattal...sembra un sentiero da corsa...che dici ci buttiamo?"
Nitrì.
"Allora, andiamo!!" gli dissi spronandolo. Quello partì in un
trotto leggero, e man mano che prendeva confidenza con il terreno,
aumentava la velocità. L'aria che mi colpiva il viso non era mai
stata così piacevole. Cavalcammo parecchio quella mattina, e Al
Hattal sembrava felice. Ogni tanto rallentava, ma per la maggior parte
del tempo il suo passo era piuttosto sostenuto. In sella, dall'alto,
osservavo il paesaggio che mi scorreva accanto. Verso le due del
pomeriggio ci fermammo. Avevamo percorso metà della strada, e
stavamo per uscire dal parco. Smontai e mi sedetti su un masso, bevendo
un po' d'acqua. Nonostante tutto, riuscivo ancora a bere
tranquillamente.
"Al Hattal, vuoi dell'acqua?" gli chiesi, mentre riempivo il secchio.
Si avvicinò e cominciò a bere avidamente, dissetandosi.
Mangiammo qualcosa, e poi presi la cartina, studiandola. Mi mise la
testa sulla spalla, sbirciando la mappa.
"Dunque...siamo qui, circa. Tre o quattro miglia ancora e siamo
fuori...Usciamo qui, al Lago Quinault, e poi seguiamo la 101 verso
nord...Stasera siamo a Forks, se te la senti..."
Nitrì in modo strano, come se lo avessi offeso.
"Okay, okay...te la senti...daccordo...andiamo allora..." replicai, montando nuovamente in sella.
Quando uscimmo dal parco, erano appena le tre e mezza. Proseguimmo
impeterriti verso nord, su strade di campagna, seguendo sempre la 101.
Ogni tanto gli chiedevo una tregua, per riposarmi un po'. Sembrava
completamente a proprio agio, come se fosse abituato a tutte quelle
miglia. Il mio fondoschiena lo era un po' meno però.
La strada si stava accorciando sempre più. Quando, alle cinque e
mezza, arrivammo in cima alla collina e vidi di sotto snodarsi la 101
che entrava in città, seppi che ero quasi arrivata. Ci fermammo
nuovamente, e io mi sedetti, appoggiata ad un grande leccio. Mi colse
il sonno, e chiusi gli occhi.
***
La famiglia Cullen quel
pomeriggio era decisa a giocare a baseball. Su Forks si stava
abbattendo uno dei soliti temporali. Perciò presero le macchine
e salirono al campo, che si trovava appena dentro il parco olimpico.
Erano tutti pronti, chi a battere, come Rosalie, la bionda sorella maggiore di Edward, chi a lanciare, come Alice.
Quest'ultima levò gli occhi al cielo e diede il via alla partita.
Stava per battere Emmett, il marito/fratello di Rosalie, quando Alice si voltò verso la foresta, pensierosa.
"Alice..che succede?" le chiese il padre, interrompendo il gioco.
"Sta arrivando...è quasi a Forks...sta diventando più forte..."
Edward interpretò i pensieri di Alice.
"Carlisle, dobbiamo fare in modo che ci trovi...non possiamo rischiare..."
L'uomo annuì, e richiamò i figli dal gioco.
"Oh dai...stavamo vincendo..uffa!" sbottò allegro Emmett.
Ripresero le macchine e
tornarono indietro. Dovevano fare in modo che lei li trovasse, ma come?
Andarle incontro era escluso, troppi rischi.
"E se le segnassimo il sentiero? Riconoscerebbe il nostro odore e ci seguirebbe..." propose Alice
"Uhm...mi sembra una buona idea...Si direi che è quasi l'unica soluzione...Dopo il temporale..." rispose Carlisle.
Edward sembrava perso nei
propri pensieri. Tra qualche ora avrebbe rivisto sua sorella, la sua
amatissima sorella, dopo diciotto anni. Quanto era cambiata? L'avrebbe
riconosciuta?
"Ed...Ed...Edward!" lo chiamò Alice, riscuotendolo.
"Eh?"
"Meglio se l'odore è il tuo...ti conosce meglio di tutti noi..."
"Ma sono passati diciotto anni...e una rinascita come vampiro...non so se..."
"Ti ho visto..."
"Ah bo allora..."
"Noi andiamo a casa, tu
comincia da qui, fino giù in città e poi raggiungici" gli
disse il padre, fermandosi al limitare della foresta dietro casa.
Il giovane scese e
partì di gran carriera, inoltrandosi nel bosco che scendeva fino
in città. Ogni tanto segnava il sentiero.
"Angel..."
***
Mi svegliai con il suo nome sulle labbra. Un lacrima solitaria mi pungeva l'occhio sinistro. L'asciugai in fretta e mi rialzai.
Al Hattal era lì che mi aspettava, tranquillo come sempre.
"Andiamo...ora la strada si fa più complicata..." rimontando in sella.
Un paio di ore mi separavano da mio fratello, volevo solo che passassero il più in fretta possibile.
"Edward, fratellino, arrivo....Aspettami!"
Svoltato l'angolo, la vidi.
"Forks, finalmente!"
Note dell'autrice: noto con molto piacere che questa storia piace a molti, ne sono felice.
@ RiceGrain: il fatto di
aggiornarla così frequentemente è che la sto scrivendo
man mano. Perciò quando ho un'idea, la metto per iscritto, ci
ricamo intorno il capitolo e la posto subito. E poi più vado
avanti più la storia mi piace.
@ Alice brendon cullen: la tua curiosità sarà presto soddisfatta.....il prossimo capitolo ;)
@ 3le____x: a dire il vero non
seguò proprio le date citate dalla Meyer, diciamo che ho preso
gli eventi in blocco e li ho concentrati in un periodo più
ristretto, senza tener conto della date effettive. Diciamo che è
una storia quasi senza tempo...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Fratello e sorella ***
Voci dal passato - Fratello e sorella
Voci dal passato
Capitolo 9. Fratello e sorella
Discesi la collinetta e arrivai in vista della cittadina.
Una pioggia battente e quasi continua cadeva sulla città, intristendola ancora di più
"Amico mio, che doccia che ci stiamo
prendendo...brrr ed è pure fredda...che barba..." commentai
scrollandomi di dosso il più possibile l'umidità. Un
cammioncino ci passò accanto e l'autista mi fissò per un
momento, sconcertato.
Al Hattal nitrì di fastidio.
"Anche a me...sembra che qui nessun
abbia mai visto un cavallo...Teniamoci lontani...prendiamo il sentiero
che porta nel bosco, che ne dici? Staremo al riparo, e non solo dalla
pioggia." Approvò, perciò lo guidai verso la foresta, che
si stendeva rigogliosa ai due fianchi della cittadina.
Appena entrati sotto la copertura degli alberi, per il mondo esterno sparimmo.
Scesi e lo guidai per il sentiero, troppo scosceso per farlo a cavallo.
"Questo sentiero non mi piace neanche un po'..."
Mentre parlavo così con il mio
compagno di viaggio, un odore misterioso mi colpì come una
scudisciata, bloccandomi lì dov'ero.
Respirai, inalando quel profumo, facendolo circolare.
Il cavallo mi squadrava in modo strano, come se non sapesse esattamente quel che stavo facendo.
"Questo odore...mi è
familiare...Al Hattal, da questa parte, dobbiamo seguire questa
scia..." dissi, risalendo in groppa all'animale.
Pochi passi nella foresta, poi l'odore si fece meno intenso. Lo seguii, uscendo dal riparo degli alberi.
Mi facevo guidare dal naso, così prendemmo un sentiero diverso, più largo, che passava dietro le case.
Nessuno ci notò, sembravamo
fantasmi. La scia ci guidò fino ad una strada, sterrata, che si
inoltrava nella foresta, per chissà quanto, zigzagando.
"Sulla mappa non c'è...ma non
è un problema, Al Hattal. Ora c'è il mio naso...Andiamo,
ora si che puoi correre in pace! Forza, amico mio, siamo quasi
arrivati!" lo incitai, dandogli con i talloni.
Al Hattal partì al galoppo,
ebbro di felicità. Correre era la sua ragione di vita, avevo
capito. La corsa più emozionante della mia vita. Mentre correva,
sentivo l'odore farsi via via più intenso.
Gridai di gioia.
"Al Hattal! Al Hattal!!" ululai,
spingendolo ancora di più. Correva veloce, e il rumore degli
zoccoli che schioccavano sulla strada ci faceva da compagnia.
Ad un certo punto, la scia
voltò verso sinistra e tirai le redini, in modo che capisse che
dovevamo girare, e lui docile voltò, senza perdere
velocità, anzi aumentandola.
"Vai amico mio, dopo di che potrai avere tutta l'acqua che vuoi, promesso!"
In lontananza intravidi il profilo di una casa, una casa enorme.
"Al Hattal, so di chiederti uno
sforzo notevole..." cominciai, ma lui non mi fece finire.
Aumentò ancora la velocità.
Adesso filava via veloce come il vento, a stento riuscivo a vedere il paesaggio attorno a me.
"Wow!!" esclamai, felice.
Raggiunsi la casa in pochissimo
tempo. La scia finiva lì. Ero arrivata. Frenai il mio compagno,
che si impennò nitrendo, contento per la corsa che gli avevo
permesso di fare. Quando si calmò riuscì a scendere. La
casa era davvero enorme. Mi chiesi quanti fossero gli inquilini. Ero
così felice, che dimenticai il mio status. Presi le redini di Al
Hattal e mi avvicinai alla casa, cirscospetta.
Nessun rumore, nessuno in vista. Mi guardai in giro. Nessuno.
"Strano, amico mio, eppure la scia termina qui..." commentai pensierosa.
Mentre ero voltata di schiena, la porta si aprì.
Edward sentì l'ospite arrivare. Urlava di gioia. Chissà come mai?
"Aspettiamo ad uscire, prima voglio sapere alcune cose..." disse ai suoi, riuniti in salotto.
"Come vuoi fratellino..." replicò Alice, seduta in braccio a Jasper.
Si mise in ascolto, davanti alla porta. Era più complicato del previsto, ma ci riuscì.
"Fermo Al
Hattal, siamo arrivati. Che casa enorme, chissà quanti sono gli
inquilini...Vieni amico mio, vediamo un po'...ce l'avranno il
campanello? Uhm...strano...non c'è nessuno in giro..."
Aveva
sentito abbastanza. Aprì la porta di scatto, uscendo sul
portico. La ragazza era girata di spalle. Lunghi capelli biondi, a
boccoli, le ricadevano morbidi sulla schiena. Era magra ma le forme
erano quelle di una diciottenne. Vestiva un paio di jeans strappati,
scarpe da ginnastica e aveva indosso un pastrano sintetico per
ripararsi dalla pioggia.
Non sapeva cosa dire. Avrebbe voluto che si voltasse, per essere assolutissimamente certo. E lo fece.
***
Dalla casa uscì
un ragazzo, alto, non troppo muscoloso ma ben proporzionato. Capelli
ramati, scompigliati. Occhi. Gli occhi mi colpirono. Erano castano
dorati, come se ci navigassero dentro pagliuzze d'oro vero. Ma fu il
viso che mi lasciò lì imbambolata a guardarlo, incapace
di dire una parola. Mai avevo visto un ragazzo più bello. Non a
quell'età almeno. La pelle di marmo mi confermò che era
della stessa "famiglia" di Marius.
Lasciai la presa sulle briglie di Al
Hattal, che indietreggiò appena. Mi avvicinai, tanto da potergli
parlare senza urlare.
Avevo persino paura di pronunciare il nome, un nome che non avevo mai detto, almeno non a lui.
Presi il coraggio a due mani e mi buttai.
"E...Edward..." lo chiamai. Si
sciolse, mi corse incontro e mi abbracciò. Sentì lo
schiocchiolio delle ossa, ma non mi feci male. La trasformazione era
quasi completa.
"Angel...Angel...Angel, mia cara sorella!" sussurrò, stringendomi ancora di più.
Ricambiai l'abbraccio, cercando di
non fargli male. E piansi. Di gioia. Dalla casa uscirono altre persone,
sei in tutto. Sembravano felici. Tre erano biondissimi come me, gli
altri avevano i capelli di un marrone accesso, molto carico. Gli occhi
erano dello stesso colore di quelli di Edward, il che mi stupì.
"Non speravo più...pensavo...pensavo..."
"Che fossi morto?" finì di dire lui.
Annuii.
"Carlisle mi ha salvato, su richiesta di mamma. Mi ha trasformato in quello che sono oggi..."
"Chi è Carlisle?"
"Quello con i capelli biondo ossigenati..."
"E gli altri?"
"Sono la mia nuova famiglia. Mia madre e i miei fratelli e sorelle".
Ci rimasi male. Lui aveva una nuova famiglia...e io piombavo lì dal nulla.
"Non ci pensare nemmeno, ad
andartene! Loro sono fratelli acquisiti, ma tu sei la mia vera sorella,
la mia sorellina...non ti lascerò mai più Angel, è
una promessa!" mi sorprese nuovamente, chissà come faceva.
"Benvenuta cara. Io sono Esme. Avrai fatto un lungo viaggio..perchè non entri?
Qui sei a casa..." mi disse la donna che capii essere la madre di
Edward.
Feci per muovermi, ma poi ripensai ad Al Hattal, che mi aspettava.
"E lui?" indicandolo.
"Sei venuta a cavallo?" mi chiese stupito il fratello maggiore di Ed, Emmett.
"Da Olympia sì..."
"E non ha paura di te?" mi chiese Jasper, l'altro fratello.
"No, e non capisco come. Per lui sono un predatore, un nemico..."
"Ti sei già trasformata?" si intromise Carlisle curioso.
"Be...non saprei...cinque giorni fa
è successo...ma è stata una cosa graduale...e comunque,
respiro ancora, e ho fame. La mia pelle non è così fredda
come la vostra..."
Edward intanto non mi mollava un secondo, come se temesse di perdermi ancora.
"Per il tuo cavallo, ci pensi tu Alice?"
La ragazza, piccola di statura e con
una massa di capelli corti bruni, prese in consegna Al Hattal che, come
con me, sembrava non avere assolutamente paura.
Entrammo in casa. Dentro era ancora più grande. Luminosissima e ariosa, piena di finestre.
Ci sistemammo sul divano in salotto. Edward, io, Carlisle, Esme seduti. Emmett, Rosalie e Jasper per terra davanti a noi.
"Devi raccontarci tutto..." chiese Emmett sorridendo.
"Non pensi che prima Angel voglia darsi una sistemata?" intervenne Jasper, intuendo il mio stato d'animo.
"L'accompagno di sopra, così
può farsi una doccia..." disse Esme con un sorriso dolcissimo
dipinto sulle labbra. Mi prese per mano e mi accompagnò di sopra.
Carlisle la fermò solo per un momento, aveva qualcosa da chiedermi.
"Angel...chi è stato a trasformarti, lo sai?"
"Si...e mi ha detto che Edward
avrebbe capito subito, guardando il morso, chi era e qual'era il suo
messaggio..." risposi, togliendomi il pastrano.
Il morso divenne evidente, e lessi un
segno di preoccupazione e sconcerto negli occhi di mio fratello. Poi
Esme mi riportò alla realtà e mi accompagnò di
sopra.
Sul divano, Edward fissava il vuoto.
"Marius...dannato bastardo! Non
doveva farlo, non a mia sorella..." sibilò, mentre suo padre gli
posava una mano sulla spalla, comprendendo il suo risentimento.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Marius ***
Voci dal passato - Marius
Voci del passato
Capitolo 10. Marius
Quando uscii dalla doccia, mi sentivo
meglio. Almeno la polvere e il fango me li ero tolti di dosso. Esme mi
diede uno dei vestiti di Alice, che mi stava a pennello.
"Ti sta divinamente cara!"
In effetti, guardandomi allo specchio non potei fare a meno di darle
ragione. Tornammo di sotto, chiacchierando del più e del meno.
Ritrovammo l'intera famiglia in salotto: parlavano a voce bassa, sibilando.
"Eh Ehm..." tossichiò Esme per attirare l'attenzione.
Si voltarono tutti contemporaneamente. Ed si alzò e venne verso di me, riempiendosi gli occhi della mia figura.
"Sei bellissima Angel..." mi sussurrò all'orecchio, abbracciandomi.
"Angel, posso chiederti di narrarci quello che è successo?" mi
chiese Carlisle con voce calma e, in un qualche modo, dolce.
Annuii, e mi accomodai sul divano accanto a Edward e a Rosalie. In religioso silenzio attendevano che parlassi.
"Be...è iniziato quando sono morti i miei genitori e mia
sorella, cioè un mese fa circa. Li ha uccisi lui, ma in
realtà cercava me...Per fortuna, mio padre ebbe il tempo di
passarmi un'importantissima informazione. Che tu eri ancora vivo,
chissà dove..." dissi, indicando Ed, che mi sorrise.
"A due settimane dalla morte dei miei, è venuto a trovarmi e mi
ha morso, dicendomi che avevo cinque giorni per trovarti...Non so
perchè...A Chicago non avevo più ragioni per restare,
così presi quelle poche cose che potevano servirmi, e partii per
Seattle, in aereo". Non avevo il coraggio di dire a mio fratello del
tassista, ma non ce ne fu bisogno.
"Che animale!!" commentò sibilando e tremando di rabbia.
"Che è successo?" chiese Rosalie, curiosa.
"Ecco...un taxista ha cercato di violentarmi...ricordo che era sopra di
me, poi ho un vuoto mentale. Quando mi riprendo lui è morto,
sventrato e dissanguato. E sono stata io..."
Lo sguardo della bionda si perse per un momento. Emmett le mise un braccio sulle spalle, come a confortarla.
"Da Seattle ho proseguito a piedi fino a Olympia..."
"Ma...ma sono più di sessanta miglia!" esclamò il gigante sbarrando gli occhi.
"Lo so..non so neanche io come ho fatto...Ad Olympia ho incontrato Al
Hattal...ed eccomi qua..." conclusi il sunto molto breve del mio
viaggio durato cinque giorni.
Uno strano brusio riempì per un momento l'aria. Arrossii fino
alla punta dei capelli, e tutti sorrisero, trattenendo una grassa
risata. Avevo fame.
"Hai fame, Angel?" mi chiese Ed, ridendo.
Gli tirai un cazotto sulla spalla, e sentii lo scricchiolio tipico
delle ossa rotte. Avevo rotto la spalla a mio fratello! Mi allontanai
di scatto, notando l'espressione tirata di Ed.
Carlisle si levò ad aiutare il figlio e poi mi si rivolse.
"Sei diventata quasi completamente vampira...sei quasi una
neonata...abbiamo una, forse due ore...Emmett, Jasper aiutatemi.
Prendete vostro fratello e portatelo di sopra. Angel tu vieni con me,
abbiamo una stanza più sicura, dove affronterai la
trasformazione totale senza fare del male ad alcuno....se te la senti.."
"Ed...mi dispiace..." gli dissi piangendo, cosa che oramai mi riusciva difficile.
"Non ti preoccupare, tra poco starò benissimo...Tu piuttosto..."
si preoccupò, mentre i fratelli lo portavano di sopra.
Alice e Rosalie erano rimaste impietrite, mai avevano visto una cosa
del genere. Ero qualcosa di assolutamente anomalo, anche per loro.
"Carlisle..."
"Si?"
"Richiudimi. Sento che presto sarà ora, e ho già fatto
troppi danni..." lo supplicai, con le ultime lacrime a rigarmi il viso
di perla.
Annuì, e mi guidò alla stanza sicura, l'aprì e mi chiuse dentro, lasciandomi tuttavia con un sorriso.
La solitudine in quei momenti era la mia punizione per quello che avevo fatto ad Edward...
Mi sedetti un momento, ma poi fui costretta a sdraiarmi, perchè gli spasmi della trasformazione erano terribili.
Non emisi un solo gemito, ma chiusi gli occhi. Non volevo vedere. Il
viso dolce di Edward era una presenza fissa , ma ora la distesa
della mia mente, simile ad un campo di grano, era percorsa dal vento
della trasformazione, che scardinava tutti i miei sensi, privandomi di
qualunque appiglio per la ragione.
Ero sul ciglio di un burrone, sul punto di cadervi dentro.
La voce di Edward che mi chiamava mi spronò ad affrontare il
salto nel buio, senza sapere cosa sarebbe successo dopo. Mi buttai.
Solo allora urlai, con tutta la voce che avevo, di dolore.
Passò quello che mi sembrò un tempo infinito, ma in realtà era solo un'ora.
Il dolore arrivava ad ondate adesso, e viavia si faceva più flebile.
Quando riaprii gli occhi, seppi.
Mi alzai e guardai. E vidi. Per la prima volta con gli occhi di un vero
vampiro. Tutto mi sembrò definito, confinato all'interno di una
forma precisa.
Lo specchio mi rivelò quello che ero diventata. Un angelo
biondo, con occhi verde mare, occhi cangianti. Per quello ero la stessa
di prima. Ma fu la sensazione successiva che mi fece rendere conto
dell'avvenuta trasformazione. Avevo sete, e la gola riarsa.
Uscii dalla stanza, e raggiunsi il salotto.
Erano tutti lì. Carlisle, Esme, Rosalie, Emmett, Alice, Jasper, Edward.
E poi c'ero io, neonata vampira. Angel.
"Mia cara, sei diventata ancora più bella di prima..." mi sussurrò Esme con un gran sorriso.
Edward fece un passo avanti e mi guardò a lungo, scrutando nella
mia mente; poi levò il braccio, con la mano aperta. Io feci lo
stesso. Quando le nostre mani si sfiorarono, seppi di aver ritrovato me
stessa, il mio vero io. E sorrisi, un sorriso caldo e dolce come non
facevo più da un bel po'.
"Sarai affamata, andiamo a caccia?" mi propose Ed, invitandomi.
"Si..andiamo..." gli risposi, prendendo la mano che mi offriva.
"Torniamo più tardi..."
"Ed, state alla larga dalla riserva. Angel ancora non è in grado
di controllarsi del tutto, nonostante quello che ci ha raccontato...
non vogliamo che tornino qui..."
Mio fratello annuì, guidandomi verso la foresta a est.
"Ed..." -gli chiedi dopo il pasto, un paio di cervi per me e un puma per lui- "tu conosci Marius?"
Si oscurò.
"Si...è un vampiro molto, molto antico. Ha il doppio degli anni
di Carlisle...e vuole vendicarsi di me...non chiedermi perchè,
non lo so nemmeno io. Ma ha già portato molti guai alla
famiglia..."
Tacqui, pensierosa.
"Quanti anni ha Carlisle?"
"362..."
"Perciò Marius ne ha 724..." sospirai, guardando il tramonto sparire dietro le montagne.
"Marius...che cosa vuoi?"
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Scontro ***
Voci dal passato - Scontro
Voci dal passato
Capitolo 11. Scontro
Rientrammo
poco dopo a casa. Passai una serata davvero piacevole: Emmett volle
sfidarmi a braccio di ferro, e perse. Io ridevo, per la prima volta mi
sentivo davvero a casa.
"Ahahahah...Emmett che pretendevi?
È una neonata, è normale..." gli disse Jasper, battendo
una pacca sulle spalle del bruno, che mi guardava di sottecchi,
fintamente arrabbiato.
I giorni non potevano essere
più spensierati: a caccia con la famiglia, a fare le corse su al
campo, a giocare a baseball col temporale...Non mi ero mai divertita
tanto in vita mia.
Un pomeriggio ero a caccia con Jazz e
Rosalie, lungo il corso del fiume Quillayute. Avevo seguito una coppia
di cervi lungo il corso e ormai avevo distanziato sia Jasper sia Rose.
Continuavo a sentire l'odore dei due, ma non li vedevo più.
Agguantai il primo ad un guado, l'altro scappo oltre il fiume. Lo seguii senza farmi troppi problemi. Avrei dovuto farmeli.
Dopo un po' un odore terribile mi
prese alla gola. Mi fermai immediatamente e mi accucciai, nascosta
dietro un albero. Poco dopo, scoprii l'origine di quell'odore
disgustoso. Dalla boscaglia sbucarono tre lupi. Enormi. Mai avevo visto
tre animali così grandi. Ma quello che successe dopo fu anche
peggio.
Quando tornai a guardare, i lupi
erano scomparsi. Avevano fatto spazio a tre ragazzi, tutti forniti di
una folta capigliatura nera. La loro pelle era abbronzata, e avevano
tutti un paio di occhi nerissimi. Scrutavano in giro, e poi parlarono.
"Sei sicuro di averla sentita da questa parte la scia, Jack?"
"Sono sicuro, Sam. Un odore
sconosciuto. I Cullen li conosciamo tutti, e questo non è uno
dei loro. Però ho sentito anche l'odore dei Cullen insieme a
questa scia, quindi questo "intruso" deve avere contatti con loro."
"Allora troviamolo e rimandiamolo
indietro. E se fa resistenza, glielo rimanderemo a pezzettini" rispose
risoluto quello chiamato Sam, ritrasformandosi. E così pure gli
altri.
Una scarica di adrenalina e paura mi
assalì. Scappare. Brutta idea: erano in tre e io da sola. Farsi
vedere. Pessima idea: mi ricordai dei pezzettini.
Non sapevo che fare, muoversi avrebbe significato farsi scoprire.
"Oh chissenè se vogliono farmi a pezzettini, prima devono riuscirci."
Mi mossi, e i tre lupi si misero sul chi vive.
Lentamente, uscii dal nascondiglio, pronta ad affrontarli.
Non si mossero, come imbambolati. Quello più grosso fece un mezzo passo avanti, annusando l'aria.
Restammo a fissarci per chissà quanto tempo, studiandoci a vicenda.
"Sam...ma chi è?"
"Non ne ho idea Embry...ma sicuramente è una di loro..."
"Dobbiamo rimandarla indietro, è entrata nel nostro territorio!"
"Hai ragione Jacob. Coraggio all'attacco!"
Scattarono senza preavviso.
Reagii d'istinto, l'albero fu la mia prima salvezza. Un ringhio basso
mi gorgogliava in gola. Passai all'attacco, contro quello più
piccolo, che giudicai il più accessibile. Un colpo gli ruppe il
braccio, facendolo ululare di dolore.
Il "pianto" mi riportò alla
normalità. I due lupi più grandi circondavano il terzo, a
terra uggiolante, come a difenderlo. Gli andai contro con decisione. I
due ringhiarono, ma li mandai lontano con due calci ben assestati.
Qualche secondo che mi permise di prendere in braccio il terzo.
"Se la smetti di agitarti, ti aiuto!" gli urlai, dopo che mi aveva graffiato il viso.
Si calmò, brontolando. Partì a tutta forza, seguita a poca distanza dagli altri due lupi, sospettosi.
Rintracciai la scia di Jasper e di Rosalie, erano diretti a casa, poco davanti a me. Li superai di corsa.
"Angel!! Che diavolo vuoi fare?" mi urlò dietro Rose, ma la ignorai.
Quando misi piede nella radura davanti casa, i due lupi che mi seguivano si erano già ritrasformati.
"Lascialo!" mi intimò quello più grosso, Sam.
Lo ignorai ancora, procedendo decisa.
A distanza che giudicai adatta, lo lasciai a terra, correndo dentro.
Non lo chiamai nemmeno, perchè Carlisle stava scedendo le scale.
"Angel, che è successo?"
Gli accennai al prato antistante, dove i due ragazzi stavano cercando di aiutare il loro compagno.
"Dove?"
"Il braccio. Mi hanno attaccato, mi sono difesa"
"Eri nel nostro territorio!"
Sbottai.
"Se fossi stata nel mio territorio,
credi davvero che vi avrei portati fin qui, per lui?" indicando il
ferito, che si reggeva appena al compagno.
"Hai fatto bene, lo sistemiamo subito. Edward! Alice!"
I due uscirono immediatamente, pronti ad aiutare il padre.
"Noi li dentro non ci veniamo!" ringhiò Sam, che proteggeva i due compagni.
"Non posso aiutarlo qui fuori" cercò di spiegargli Carlisle, calmo.
"Embry è forte, non ne porterà conseguenze!" replicò l'altro, Jacob.
"No, non ce la farà, a meno
che Carlisle non gli sistemi il braccio. Sono sicura di averlo colpito
abbastanza forte. Il suo omero è in briciole, se non lo
ricostruiamo, non correrà più..." dissi, sguardo assente.
Sam mi fissava perplesso e diffidente. Jacob faceva altrettanto con Edward e Alice.
Embry invece guardava per terra, le gocce di sudore a imperlargli il viso tirato.
"Sam...lasciali fare. Non mi sento più il braccio, non voglio restare così..." lo implorò il giovane.
L'altro si lasciò convincere.
Andai verso Embry, lo presi in braccio e lo portai di corsa di sopra,
nella stanza che Carlisle usava in caso di incidente.
Lo sistemai sul piano, facendo attenzione a non fargli male, ancora.
"Grazie..."
Rimasi a dir poco sconcertata.
Lo guardai per un momento, poi annuii. Carlisle arrivò dopo poco, con tutti i ferri.
"Angel devo chiederti di uscire..."
"Ma certo...Embry?"
"S..si?"
"Mi dispiace" e mi spinsi fuori dalla stanza.
Di sotto, Sam e Jacob non perdevano mai di vista Edward, Alice e gli altri, riuniti tutti al piano di sotto.
Passai senza farmi vedere, e uscii all'aria aperta.
"Cuore mio, che mi succede? Mi sento strana, molto, ma molto, strana...."
Note dell'autrice: quello che scrivo non segue perfettamente il susseguirsi di vicende scritto dalla Meyer...
Grazie delle recensioni, e un grazie speciale alle 28 persone che hanno
messo "Voci dal passato" tra le preferite, lo apprezzo molto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Strano potere ***
Voci dal passato - Correre liberi
Voci dal passato
Capitolo 12. Strano potere
Ero preparata a tutto, ma non a quello.
Non così, non con lui.
Meno di mezz'ora dopo, Carlisle scendeva le scale, soddisfatto.
Sam e Jacob si riscossero subito.
"Come sta Embry?"
"Bene. Il braccio si sistemerà, ma ci vorrà tempo. Angel
l'ha colpito davvero forte, l'osso era fratturato in più di una
dozzina di punti, ho dovuto aprire.."
"Aprire?" lo interruppe Jacob, ringhiando.
"Per rimmetere i pezzi al loro posto..."
Si calmò.
"Possiamo vederlo?" chiese l'altro.
"No, è sedato, domani mattina quando si sveglia sarà
abbastanza in sè da rispondere. Ed, vai da tua sorella, mi
sembrava sconvolta."
Il ragazzo uscì, cercando intorno tracce della sorella.
"Angel, dove sei?"
"Qui..." risposi.
Mi raggiunse sul tetto della casa e si sedette acconto a me, in silenzio.
Non c'era bisogno che parlassi, perciò gli lasciavo tranquillamente leggere i miei pensieri.
"Sono sicuro che non l'hai fatto intenzionalmente, ti sei difesa...Ma
d'ora in poi, sai dove non devi andare.." disse, sorridendo ai miei
pensieri.
"Angel, devi reagire. Se ogni volta che succede una cosa del genere ti
chiudi in te stessa, non ti passerà mai. Non ti abiuterai mai a
questi poteri..."
"Ma io non voglio abituarmici!" sbottai, nervosa.
"Lo so che non sei diventata così volontariamente, che ti ha
costretto. Gliela faremo pagare. Ma ora non puoi tornare indietro. Sei
una di noi...mi dispiace, ma è così..." rispose, duro.
"Piuttosto, hai notato qualche cosa di particolare? Una qualche
abilità speciale, qualcosa che va oltre le tue normali forze?"
mi chiese.
In realtà non ci avevo nemmeno fatto caso. Mi concentrai, cercando di ricordare gli eventi degli ultimi giorni.
"Non mi viene in mente niente Ed...magari col tempo...si vedrà" risposi un po' incerta.
Scendemmo e rientrammo. Chiacchierammo tutta la sera al piano di sotto,
attaccati allo schermo piatto. Sam e Jacob erano fuori, sotto il
portico. Per loro stare in casa insieme a noi era peggio di un incubo.
Ogni tanto lanciavo uno sguardo di sottecchi alla scala, chissà cosa speravo.
Jasper salì di sopra, riportando giù una scatola, piuttosto grossa.
"Angel sai giocare?" mi chiese, mostrandomi una scacchiera, bianca a trasparente.
"Che meraviglia! Di cosa è fatta?"
"Marmo bianco e diamante" rispose facendomi l'occhiolino, con un sorriso che si allargava piano.
"Diciamo che so come si gioca, da qui a saper giocare ne passa..."
"Ti va una partita? Emmett ogni volta che giochiamo spacca qualcosa. Lo
batto sempre..." sorrire anche quando il fratello gli assestò
una pacca troppo forte sulla schiena.
"Sì, perchè no? Vediamo che sai fare!" risposi
sorridendo, e gli altri si voltarono verso di noi, sistemati per terra.
"Bianchi o trasparenti?"
"Trasparenti" risposi d'istinto.
"Allora muovo io per primo, pronta?"
"Quando vuoi.."
La partita cominciò. Muovevo piano, studiando ogni possibile
soluzione. Più di una volta fui sul punto di perdere il re, ma
mi liberai subito.
"Sgusci via meglio di un'anguilla, è incredibile!"
commentò ad un certo punto Emmett, dopo che ero riuscita a
scappare dallo scacco matto per l'ennesima volta.
"Ma come cavolo fai? E meno male che non sapevi giocare!" borbottò Jazz.
Ad un certo punto, la mia mente si aprì. Fu come un cielo
nuvoloso squarciato da un raggio di sole. Riuscivo a leggere nel
pensiero, ma non solo. Potevo prevedere le mosse dell'avversario ancora
prima che le pensasse, come se fossi io a pensarle. Stavo facendo
esattamente quello che voleva fare lui. Due opzioni, io sceglievo
quella che lui aveva scartato. Era una strana sensazione, come se fossi
io la sua mente.
"Angel...che stai pensando?" mi riscosse ad un certo punto Edward.
Mi ero bloccata con il cavallo in mano. Lo misi giù.
"Scacco matto Jazz!"
Il biondo, incredulo, guardò la scacchiera. In effetti, qualunque mossa facesse era bloccato. Si arrese.
"Incredibile..."
Tornai a concentrarmi su Ed.
"Perchè me lo chiedi?"
Si concentrò su di me, ma desistette.
"Niente, non ci riesco.."
Tutti si zittirono di colpo, fissandoci.
"Non riesco a leggerti nel pensiero Angel...ma solo con te, gli altri
sono un libro aperto...È strano, non mi è mai capitato
prima..."
Mi concentrai sulla mente di Jasper.
"Prova adesso Ed.."
"Niente..."
"Non da me, da lui!" indicandogli Jazz, che stupito mi fissava.
"Ora ti sento...che strano..."
"Mi senti solo perchè sto dentro la sua mente..."
"Come??!!" chiesero all'unisono Jasper, Emmett e Edward, sgranando gli occhi.
"Sono dentro la sua mente...con la mia. Non solo vedo quello che
pensa....ma riesco a prevedere le sue mosse prima ancora che possa
pensarle, come se le pensassi io..."
"Puoi farlo solo con Jasper?"
"Non credo...Inoltre, Ed, mi puoi sentire solo se sono nella mente di
qualcun'altro. Altrimenti, interviene una specie di blocco, ma solo con
te...Prima Jasper mi ha calmata..."
"Il potere di Jasper è più fisico che mentale, Angel. Per
averne prova bisognerebbe vedere come reagisci ad un altro potere
mentale...Bisognerebbe chiamare Kate..." mi chiarì Carlisle.
Stavo passando in rassegna tutti i presenti, i loro pensieri egualmente tra lo stupito, il confuso e lo stupefatto.
All'improvviso, un altro pensiero mi sovvenne.
Qualcosa di diverso, di particolare.
Mi mossi verso l'uscita, e la forza del pensiero diminuì
d'intensità. Tornai indietro e mi voltai verso la scala. Dolore.
Il braccio iniziò a farmi male. Capii al volo e corsi di sopra,
seguita da Carlisle, che cercava di fermarmi.
Davanti la porta chiusa dove c'era Embry mi raggiunse e mi fermò, spingendomi via.
"Dove vai?"
"Sta male!"
"Riesci a sentire anche lui?"
"Certo, come tutti gli altri!!"
Entrò, trovando Embry raggomitolato, il braccio sanguinante.
"Accidenti, si sono aperti i punti...Angel, esci!"
Embry si voltò, quel tanto che bastava a vedermi. Nei suoi
occhi, tristezza e dolore, uniti a qualcos'altro, qualcosa di diverso e
di nuovo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Amore e libertà ***
Voci dal passato - Amore e libertà
Voci dal passato
Capitolo 13. Amore e libertà
Embry si riprese in fretta. Adesso riusciva a muovere il braccio di
qualche centimetro. Nonostante la capacità rigenerativa elevata,
Carlisle continuava a curarlo, soprattutto quando rompeva i punti.
La notte dormiva tranquillo, e il giorno lo passava sul portico, seduto
a gambe incrociate, fissando la foresta con occhi languidi.
"Lo so che ti mancano i tuoi amici..." gli disse un giorno Edward.
"Non sono solo amici, sono i miei fratelli, proprio come te e quella biondina..."
"No, è diverso. Angel è la mia sorella vera, sorella di
sangue, prima di diventare vampiro, quando ero ancora umano."
Annuì, tornano a scrutare gli alberi. Ogni tanto qualche ululato
si levava dal folto, ed Embry stava sul chi vive. Non potendo
trasformarsi, non sapeva come comunicare con gli altri. Jacob veniva
tutti i giorni a trovarlo, chiedendo a Carlisle quando avrebbe potuto
riportarlo alla riserva, a casa. Ogni volta Carlisle gli diceva la
stessa cosa: non è in grado di trasformarsi e di viaggiare.
Sam si faceva vedere di rado, occupato com'era a pattugliare i confini. Come se volessimo sfondare di nuovo.
Andavamo a caccia molto più lontano, all'interno del Parco Olimpico. Orsi, puma, cervi, le nostre prede.
Nonostante la dieta "vegetariana", come la definiva Edward, il colore
dei miei occhi non cambiava: era sempre verdazzurro, cangiante.
Brillava delle tonalità della foresta e del mare. Non che il
castano dorato degli occhi degli altri non mi piacesse, anzi. Ma quel
colore, mi teneva legata alla mia vita passata, alla mia famiglia natia.
Ormai Carlisle e Esme mi avevano ufficialmente adottato, perciò
ero diventata Angel Sophie Masen Cullen. Quelli erano i miei fratelli e
le mie sorelle, e quelli erano i miei genitori, la mia nuova famiglia.
La terza.
Tenevo in stanza una foto di Jeremia, Ruth e Judith. Non li avrei mai
potuti dimenticare, loro mi avevano in un certo senso salvato,
ridandomi la vita.
Marius me l'aveva tolta, e ridata una nuova. Oscura e bellissima.
Essere una vampira cominciava a piacermi: la caccia, i sensi sviluppati, le partite di baseball sotto la pioggia. Ero felice.
Lo stesso non si poteva dire di Embry. Lo vedevo che soffriva, e non
riuscivo a perdonarmi per averlo costretto a quell'immobilità
che lo dissanguava.
Un giorno non ne potei più di vederlo così, e presi l'iniziativa.
"Embry..." lo chiamai, un pomeriggio, uscendo sul portico. Per
l'occasione, avevo messo un vestito corto, che mi lasciava scoperte
buona parte delle gambe. Ero carina, carina per qualunque essere:
umano, vampiro e persino licantropo.
Carlisle mi aveva spiegato la vera natura di Sam, Jacob e Embry, e me
ne aveva snocciolato le caratteristiche principali, prima fra tutte il
calore elevato.
Si voltò e lessi nei suoi occhi esattamente quello che mi aspettavo: era colpito.
"Posso?"
"Sei la prima che me lo chiede..." mi rispose, con voce appena appena roca.
Mi sedetti a mezzo metro da lui, e fissai anche io la foresta.
Non me la sentii di usare il mio senso ulteriore, preferivo la conversazione.
"Ti mancano?"
"Moltissimo..."
"Mi dispiace, è colpa mia..."
Fece spallucce, senza voltarsi.
"Vuoi farti una corsa?"
"Non posso trasformarmi, come faccio?"
"Nessuno ha detto che devi correre con le tue gambe..."
Si voltò a fissarmi, non riuscendo a capire.
Lo guardai per un po': era carino, aveva un bel viso. Gli occhi attenti e profondi come pozzi.
"Se vuoi, posso portari io..."
"Sono troppo pesante per te..."
"Hai dimenticato che sono ancora una neonata? La mia forza è tre
o quattro volte quella di Emmett, che è il più forte tra
gli altri..."
Mi guardò negli occhi per un momento, poi il suo sguardo cadde più in basso e arrossì violentemente.
Ciò nonostante, non gli riuscì di voltarsi.
"Allora, ti va?" gli sorrisi.
Crollò, il mio sorriso gli aveva mandato in frantumi la difesa psichica.
"Mi piacerebbe...la foresta è la mia seconda casa..."
"Bene! Aspetta, ti aiuto" gli dissi, alzandomi per tirarlo su.
Una folata di vento ci colse, sollevando leggermente il vestito e
scompigliandomi i capelli. Il sole si riflesse nei miei occhi, e io mi
riflessi negli occhi di Embry, che mi guardava abbagliato.
Lo aiutai a tirarsi su. Inciampò. Lo trattenni dal cadermi
addosso, ma non potei impedirgli di reggersi abbracciandomi.
Vicinissimi, potevo sentire il battito accelerato del suo cuore.
"Scusami..." mi mormorò tirandosi indietro.
"Va tutto bene. Ora, passa il braccio sano davanti...ecco, bravissimo.
Tranquillo, io non devo respirare..." -quando si scostò dalla
mia gola- "okay...ora non ti muovere..."
Lo presi a cavalluccio, reggendolo senza difficoltà, nonostante pesasse abbastanza.
"Pronto?"
"S...sì..." stentato.
"Se hai paura, chiudi gli occhi..."
"Non ho paura io!" mi rimbeccò poco convinto e io risi. Una risata cristallina.
Cominciai a camminare, per darmi il tempo di valutare la mia forma
attuale rispetto al percorso da fare, non potevo passare in certi
posti. Da sola sì, ma con Embry sulle spalle era impossibile.
Perciò dovetti valutare ogni singolo movimento. Col nuovo senso
mi veniva facilissimo.
"Andiamo!" scattando in avanti, su per la collina. Il vento che ci
scompigliava i capelli, ci colpiva la faccia in maniera piacevole.
Rifeci lo stesso percorso della prima volta, badando a non farlo
sbattere da qualche parte.
"Come va?" gli chiesi poco dopo, senza rallentare.
"È...è troppo bello!!! WoWoWoW!!!" ululò e per la
prima volta da quanto lo avevo visto, sfoderò un sorriso
disarmante, che mandò in frantumi la mia, di difesa.
"Allora accelero!"
Raggiungemmo il confine e lo sorpassai senza problemi.
Gli ululati aumentarono, e Embry, felice come una pasqua, cominciò ad agitarsi, tremando.
"Embry, controllati! Se scoppi adesso, perderai l'uso del braccio. E allora sì che piangerai!" gli intimai.
Il tremore cessò.
"Scusami, ma quando sento i miei fratelli mi viene naturale.."
"Lo immagino, ma tu rischi il braccio e io la schiena..."
"Ah giusto...non ci avevo posto mente..."
"Be la prossima volta fallo..."
"Vuoi dire che ci sarà una prossima volta?" mi chiese stupefatto.
"Non ti sto riportando a casa, non sei ancora guarito... Non dovrei
nemmeno fare questo...ma vederti così triste mi fa star male..."
gli confessai.
Non rispose, come se stesse riflettendo.
Ormai sentivo chiaramente quattro quadrupedi correrci dietro. Non attaccarono, precedendoci.
Quando arrivai alla fine del sentiero, eravamo oramai in pieno territorio Quileute. Mi fermai nel bosco, facendo scendere Embry.
"Di là...i tuoi amici ti aspettano, vai..."
" E tu?" mi chiese, voltandosi verso di me.
"Io ti aspetterò qui. Dì loro che non voglio in alcun
modo fare del male. Ma se ti aspetto oltreconfine, non riuscirai ad
arrivare. E non puoi trasformarti, ricordatelo. Non vorrai dover
passare l'estate con dei vampiri?"
"Ho imparato a conoscervi, non siete poi così male...specialmente tu..." disse, arrossendo violentemente.
Sorrisi.
"Ora vai...e attento a te...ci vediamo più tardi..." mi voltai,
pronta a mettermi al riparo in cima all'albero più vicino.
Mi trattenne per un braccio. La sua pelle bollente mi diede un brivido incredibile.
Mi tirò verso di lui, abbracciandomi con un braccio solo alla vita.
Per un momento, sembrò che il tempo si fosse fermato.
Non osai voltarmi, per paura che quel momento svanisse sotto i miei occhi.
Il calore mi piaceva, molto più del freddo intenso che emavano io.
Nessuno dei due parlò. Poi successe.
Mi voltò, e chissà come, mi sollevò, portandomi alla stessa sua altezza.
Ci perdemmo l'uno negli occhi dell'altro.
Inclinò appena la testa e dolcemente mandò le sue labbra a sfiorare le mie.
Tremavo, e non di freddo.
"A dopo..." rimettendomi a terra.
Si voltò e si inoltrò su per il sentiero.
Poco dopo, udii urla di gioia e grandi risate.
Abbarbicata sull'albero, passai il resto del tempo a riflettere, toccandomi le labbra nel punto dove le sue si erano fermate.
" A Ed verrà un colpo quando lo saprà. Ma chissene importa. È stato...meraviglioso...Embry..."
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Le ragioni del branco ***
Voci dal passato - Le ragioni del branco
Voci dal passato
Capitolo 14. Le ragioni del branco
Passai su quell'albero metà della giornata.
Intorno a metà pomeriggio, Embry si ripresentò. Sembrava
davvero contento di quello che avevo fatto per lui. Saltai giù
senza pensarci due volte, atterrando con grazia, nonostante i venti
metri di volo.
"Grazie Angel...era davvero importante per me..."
"Embry, che succede? Mi sembri strano..."
Per un po' cercò di non dirlo, ma poi scoppiò.
"Mi hanno proibito di...di..."
"Di vederti con me?" finii.
"Sì...ma non voglio ascoltarli. Dicono che prima o poi mi farai del male, ma io so che non lo faresti. Me lo sento..."
"Non potrei farti del male...te ne ho già fatto anche
troppo...Andiamo? Prima che Edward scatenì una crisi
internazionale!" sorrisi, riprendendolo sulla schiena e ripartendo
verso casa.
Ridacchiò, stringendosi a me ancora di più e posando
delicatamente il mento sulla mia spalla, sotto i capelli biondi.
In poco più di mezz'ora eravamo di nuovo a casa. Lo feci
scendere prima di uscire allo scoperto e uscimmo dalla foresta, l'uno
accanto all'altro.
Edward mi aspettava sulla porta, furibondo. Embry si fermò quasi subito, spaventato. Io proseguii.
"DOVE SEI STATA???!!" mi urlò contro mio fratello, senza che io facessi una piega.
"Quanto a te, domani ti rispediamo alla riserva, a calci se
necessario!!" disse all'indirizzo di Embry, che ancora non si era mosso.
"Sei forse impazzita? Alice ti ha perso di vista, ero spaventato a morte...potevi..avresti potuto..."
"Sentimi bene, perchè non mi ripeterò: non sono scampata
alla spagnola, a diciotto anni da umana, ad un vampiro pazzoide, ad un
taxista che voleva farmi la festa e a più di duemila miglia di
viaggio da Chicago a Forks per sentirmi la tua predica. Non sei mio
padre, sei mio fratello. Ho diciotto anni, sono grande, e decido io
della mia vita. Se voglio vedermi con Embry tu non puoi impedirmelo,
è chiaro?" gli sibilai contro, esprimendo tutta la mia
contrarietà con uno schiocco di mandibola e un ringhio basso.
Tornai indietro a predere Embry e, mano nella mano, entrammo in casa.
Edward era rimasto completamente spiazzato dalla mia reazione.
"Un momento...non ho finito...." ma io lo ignorai, accompagnando Embry
di sopra, nella stanza dove dormiva da quasi due settimane.
"Ignora Edward..." gli sussurrai, quando lo salutai, abbracciandolo.
"Va bene...imparerò a non farci caso..." rispose, rispondendo al mio abbraccio. Entrò e si chiuse dentro.
Tornai di sotto, pronta ad affrontare le critiche.
Erano tutti riuniti di sotto, in salotto.
"Angel...dovremmo parlarti" mi chiamò dolcemente Carlisle,
invitandomi a sedermi sul divano. Gli altri erano tutti in piedi,
braccia conserte, e mi fissavano.
"Quello che vorremmo sapere è.."
"Come è possibile che una vampira si innamori di un licantropo?
Sono i nostri nemici naturali!!" rovesciò la prima bordata
Rosalie.
"Come? E come te lo spiego...è come chiedere al sole
perchè splende...lo fa e basta...e con Embry è lo
stesso..."
"Uhm...sembra una specie di imprinting, non so se da parte tua o da parte sua..." commentò Carlisle, pensieroso.
"Imprinting? Embry con mia sorella? Ma non è possibile!!" sbottò Edward.
"Dovremmo chiederlo a lui...ma domani. Ora dorme. Hai fatto una cosa
davvero coraggiosa oggi, Angel. Portarlo fino a casa, per farlo riunire
al suo branco almeno qualche ora. Sono sicuro che lo ha apprezzato
moltissimo, così come gli altri lupi..."
Ed rimase stupito, non se lo aspettava.
"Sei andata fino alla riserva, solo per riportarlo dai suoi compagni?"
Esplosi.
"Sì!! Che male c'è? Mi faceva star male vederlo
così triste, senza la sua famiglia! So come ci si sente, ci sono
passata. Due volte..." gli urlai contro, correndo di sopra a chiudermi
in camera.
"Ma...ma che ho detto?"
"Edward, caro, sei stato troppo duro con lei. Dopotutto, è
grande abbastanza per farsi una vita sua. Inoltre, non avrebbe corso
alcun rischio, ti pare?" gli disse Esme, con la sua solita voce dolce e
tranquilla.
"Io sono daccordo con Esme, Edward. Embry è diverso da Sam, e
ancora di più da Jacob. Loro due sono molto impulsivi. Embry
è la calma fatta lupo. Lasciala stare, fratello. Se è
quello che vuole, chi sei tu per ostacolarla?" aggiunse Jasper.
"Ma Alice..."
"Ed, non importa. Se sviluppa il suo potere, Angel potrebbe essere in
grado di comunicare con noi come fanno i lupi tra di loro, sarebbe
estremamente utile, non credi?"
"Uhm..forse hai ragione...Daccordo, mi avete convinto..." si arrese.
Me ne stavo seduta sull'albero, appena fuori la finestra della stanza
di Embry. Sentivo il cuore del ragazzo battere tranquillamente, piano.
Dormiva.
"Ed stavolta ha proprio esagerato! Non lo perdonerò tanto presto, questo è sicuro!" commentai tra me e me.
Un rumore mi distrasse. Embry si era svegliato e mi guardava dal davanzale.
"Dovresti dormire..." gli dissi, sporgendomi verso la finestra.
"Attenta...se cadi..."
"Tranquillo...mi reggo...." sorrisi.
"Non ho sonno...sono troppo
elettrizzato...oggi...prima...quell'abbraccio..." cominciò
arrossendo. Mi piaceva da impazziare quando le sue guancie, di solito
abbronzate, si imporporavano.
I suoi occhi neri non mi perdevano un secondo.
"Posso entrare?" gli chiesi, timidamente.
Mi tese la mano sana, e mi aiutò a saltare dentro la stanza. Si
sdraiò sul letto, e io mi accoccolai vicino a lui. Prese
coraggio, e cominciò ad accarezzarmi la schiena, spostandomi
ogni volta di qualche millimetro più vicina a lui. Sentivo il
calore, e mi piaceva. Mi arrischiai, e gli sfiorai il petto d'acciaio
con le dira ghiacciate. Rabbrividì, e mi ritrassi. Mi prese la
mano, e la pose tutta intera sul proprio petto. Capii che non erano
brividi di freddo.
Il nostro abbraccio divenne più stretto.
"Embry...voglio provare una cosa, ma non fare movimenti bruschi..."
Non si mosse.
Avvicinai la bocca al suo petto, e lì schioccai un piccolo
bacio. Risalii con lo sguardo la linea del collo, e ci lasciai un altro
bacio. Posai la testa sulla sua spalla sana, e guardai il soffitto,
persa nella luce del tramonto che filtrava appena dalla finestra,
trasformando la mia pelle in migliaia di diamanti. Il soffitto si
riempì di piccoli arcobaleni, e Embry li guardava entusiasta.
"Resti con me?" mi chiese, sussurrandolo dolcemente al mio orecchio.
"Si...se vuoi..."
"Certo che voglio Angel...cos'altro potrei volere di più? Ho
appena capito cosa ti rende così speciale per me: è
l'imprinting...."
"Hai avuto l'imprinting con una vampira? È normale?"
"No...ma che importa? È successo, e quando succede, la ragazza
che è l'oggetto del nostro imprinting diventa il nostro centro
di gravità. Senza di lei, non siamo più noi. E tu sei
quel centro di gravità...sei tutta la mia esistenza..."
Gli sorrisi, e mi lasciai abbracciare e coccolare.
"Embry...non ti lascerò. Dovranno uccidermi per separarci..."
"Angel...sei tutta la mia vita ora...Se tu muori, anche io muoio...Ma
finchè siamo insieme, nessuno può farci del male...Non ti
lascerò mai, nemmeno per il branco...Preferirei vivere da
reietto tutta la vita con te, che avere un branco senza di te..."
Un bacio dolcissimo e intenso suggellò quella dichiarazione d'amore, racchiusa nell'ultimo raggio di sole.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Sei il mio centro ***
Voci dal passato - Sei il mio centro
Voci dal passato
Capitolo 15. Sei il mio centro
Quella notte fu la più bella
della mia vita. Stretti in un caldo abbraccio, passammo le ore a
parlare. Di qualunque cosa ci venisse in mente: famiglia, amici, il
bello e il brutto della nostra condizione.
Ma soprattutto, parlammo d'amore. Del nostro amore.
Non riuscivo a pensare di potere vivere senza di lui, non mi sembrava
possibile. Per lui era lo stesso, forse peggio. Mi spiegò bene
la questione dell'imprinting tra i lupi, che trovai estremamente
interessante.
"In pratica, basta uno sguardo."
"Sì, uno sguardo è sufficiente...Con te c'è voluto
di più, probabilmente perchè sei un vampiro...Ma sono
bastati comunque pochi gesti: uno sguardo, una parola..."
Mi strinse ancora di più, dandomi piccolissimi bacetti sulla fronte.
Sorrisi e i suoi occhi si illuminarono.
"Questo...è stato questo...un sorriso...e bam! ecco l'imprinting..." mi sorrise.
Mi sciolsi, e avvicinai la bocca alla sua. Fu un bacio prima dolce,
quasi timido. Poi scoccò la scintilla, e la passione si fece
largo, prima appena accennata, poi sempre più pressante.
Lui aveva solo la camicia, mezza aperta, e i pantaloncini. Io il microvestito di Alice.
Sotto, niente.
Il bacio divenne più serio, quasi incalzante, e le mani di Embry
mi scivolavano addosso, d'un tratto decise. Ci tirammo su a sedere,
persi ognuno negli occhi dell'altro. Passai la mano fredda sulla linea
delle asole, slacciandole. La camicia finì sul pavimento,
scartata.
Mi carezzò la guancia, e di nuovo le sue labbra cercarono le
mie, bramose. Ormai dischiuse, lasciavano libero accesso alla passione.
Sorrise, felice. Io ero più felice di lui. Innamorata persa.
Ad un certo punto, una spallina del vestito scese lungo il braccio. Si
fermò, con un sorriso ad increspare le labbra, e mi
guardò per un tempo infinito. Feci per tirarmi su la spallina
fellona, ma mi bloccò.
Con una delicatezza che mai avrei immaginato, fece scivolare anche
l'altra. Ora sì che ero imbarazzata, sul serio. Ma il suo
sorriso disarmante mi calmò, tranquillizzandomi e scacciando la
tensione.
Distendendosi nuovamente, mi fece salire sopra di lui. Petto contro petto. Freddo contro caldo.
Le mani tra i miei capelli, mi baciò di nuovo, insinuandosi.
Accolsi la sua brama e ricambiai con altrettanta bramosia. Lo volevo
anche io.
L'aria si fece più calda, la passione cresceva di pari passo con
la nostra voglia. Sentivo chiaramente il suo desiderio crescere, farsi
più forte.
Un istante, giusto per respirare, gli bastò. Rimase nudo come
me. La vergogna e l'imbarazzo avevano lasciato spazio alla voglia.
Voglia di donarsi l'uno all'altra, voglia di scoprirsi, di comprendersi.
"Non ti constringo...sarebbe inutile..." mi sussurrò ad un certo punto.
"Allora non farlo..."
"Sei mia..."
"Per sempre..."
La passione esplose e ci travolse come una mareggiata, come un uragano.
Proprio lì, proprio in quel momento, in quell'istante, mi sentii
davvero completa. Raggiungemmo il paradiso insieme, mani nelle mani.
Sfiniti, sdraiati l'uno accanto all'altra, assaporammo quella nuova dimensione, finalmente completi.
Non parlammo per parecchio tempo, non ce ne fu bisogno. Le emozioni e
il battito accelerato del suo cuore bastavano a dire tutto quello che
c'era da sapere.
"Angel...mio angelo...oggi mi hai reso davvero il ragazzo più felice di questo mondo..."
Sorrisi felice, e mi accoccolai nel suo abbraccio.
"Non pensavo che nella vita si potessero provare sensazioni così...sono felice, come mai prima...Embry..."
Restammo a guardare il buio, poi parlò di nuovo.
"Angel..." mi chiamò, facendomi voltare verso di lui, la mano tra i capelli biondi.
"Sì Embry?"
"...Ti amo..."
Rimasi completamente spiazzata.
"Oh mamma...l'ha detto..."
Lo guardai, e poi risposi, nell'unico modo possibile.
"Embry...Ti amo anche io...talmente tanto che mi fa male..."
"Ti difenderò contro tutto e contro tutti, te lo giuro. Non ci potrà mai essere un'altra..."
"Sei il primo...e sarai l'unico...Preferisco morire che passare l'eternità senza di te..."
Il primo raggio di sole sbucò da dietro gli alberi, illuminando la stanza e la mia pelle.
"Sei il mio centro Angel...Tu sei il Sole e io la Terra, tu il nucleo e
io l'elettrone...Siamo come il più e il meno, il nord e il sud:
non esistiamo l'uno senza l'altra."
Una dichiarazione così meravigliosa non l'avevo mai ricevuta.
"Oh Embry, se potessi piangere capiresti quanto sono commossa per
quello che hai detto...non cambiare mai...non lasciarmi mai..."
"Mai, Angel! Dove altro potrei andare?"
Sorrisi, e finalmente ci addormentammo. Nonostante quello che ero, a
volte dormire mi piaceva da morire. E quella era una di queste volte.
Note dell'autrice: grazie moltissime a quelli che hanno messo questa
storia tra le preferite, siete sempre più numerosi. Grazie
davvero.
Questo capitolo è stato davvero difficile da scrivere, mi mancava l'ispirazione.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Vengono per me ***
Voci dal passato - Vengono per me
Voci dal passato
Capitolo 16. Vengono per me
La settimana passò velocissima.
Lo rifacemmo tante volte, ognuna migliore di quella precedente. L'amore
cresceva in noi sempre di più, sempre più forte, al punto
che Edward dovette abituarsi a vedermi sempre e solo con Embry.
A caccia insieme, a letto insieme. Dove c'era uno c'era sempre
l'altro. Non ci lasciavamo mai: mano nella mano, facevamo lunghissime
passeggiate per i boschi, o passavamo le giornate sdraiati sui rami
degli alberi, a guardare il cielo.
Farmi accettare dal suo branco fu molto più dura. Il giorno che mi portò a conoscerli, non lo scorderò mai.
***
"Amore..."
Una voce dolcissima mi richiamava dall'oblio.
"Embry..."
"Buongiorno Angel, riposato bene?"
"Accanto a te, sempre!"
Si tirò su e mi baciò la pancia all'altezza dell'ombelico.
Gli piaceva svegliarmi così, la mattina: un bacio sull'ombelico.
Io ridevo, i capelli lunghi di Embry mi facevano il solletico.
Ci vestimmo e scendemmo di sotto.
"Buongiorno Embry! Fame?" chiese Esme, mostrandogli la tavola apparecchiata.
"Buona come sempre, Esme...Grazie" rispose tenero.
In poco tempo, si era conquistato l'amore di tutta la famiglia.
Così diverso dal resto del branco, calmo e tranquillo, aveva
conquistato persino la freddezza di Rosalie.
"Ciao Esme!"
"Ciao Angel. Edward, Carlisle, Jasper e Emmett sono a caccia su al nord, torneranno domani...Che avete in programma oggi?"
"Angel...io...io vorrei portarti a conoscere la mia famiglia..." disse Embry, candido come un giglio.
Silenzio di tomba.
"Non ti preoccupare, ti proteggerò io...." si affrettò ad aggiungere.
"Angel, se tu vuoi andare vai.." mi disse Esme con la sua solita dolcezza.
Esitai. Era rischioso, lo sapevo. Mi convinsi.
"Andiamo...sono curiosa di conoscerli..." risposi.
"Stai tranquilla amore, tu sì splendida come solo tu sai essere e li conquisterai, persino quello scorbutico di Sam".
Partimmo nel primo pomeriggio.
Embry riusciva di nuovo a trasformarsi in lupo, così potevamo viaggiare più veloce.
Io avevo lavorato moltissimo sul mio potere, e ora riuscivo a
comunicare con lui anche quando era lupo, mi bastava accedere alla
parte istintiva del mio subconscio.
Avevo anche messo appunto un sistema per comunicare con Alice, così poteva seguirmi anche quando ero con i lupi.
Quella cosa aveva fatto crollare anche le ultime resistenze di Edward,
e ora era decisamente più tranquillo di lasciarmi andare in giro
da sola con Embry.
"Andiamo?" mi chiese
"Chi arriva ultimo è un lupo spelacchiato!" risposi, prendendolo in giro e partendo a tutta birra.
"E ma così non vale! Guarda che ti prendo!!!" ribattè, correndomi dietro a tutta velocità.
Questa era la felicità, la vera felicità. Correre
liberi per la foresta, senza costrizioni, senza impegni, senza regole.
Il paradiso in terra.
Giungemmo al confine di lì ad un'ora. Ci fermammo e Embry si mise in ascolto.
Feci lo stesso e con sorpresa mi scoprii a recepire tutti i pensieri
non solo di Embry, ma anche del branco. Nascosi la mia presenza
mentale, ascoltando solamente.
"Embry, fratello, siamo felici che sei tornato! Finalmente le sanguisughe ti hanno lasciato andare!" -Jacob-
"Jacob, non sono solo..." -Embry-
"Te la sei portata dietro, la succhiasangue?" -Sam-
Embry ringhiò molto forte, di disappunto.
"Embry, fratello, lo sai che è così...Non puoi negarlo, quella è la sua condizione" -Sam-
"Sam, non farmi arrabbiare: anche se sono un bastardo, non per questo
devi denigrarmi così, me e le mie scelte. Sono MIE, non tue.
MIE!!" -Embry, furibondo-
"Non ti arrabbiare così..." -Jacob-
"Embry, io non ho mai creduto che tu fossi un bastardo, non l'ho mai
pensato...E sai che non posso mentire..." -Sam, cercando di calmarlo.-
"Falla venire...sono curioso di conoscerla..." -Jared-
"Ciao Jared!" -Embry-
"Ciao fratello, ben tornato! Ci sei mancato!" -Paul-
La discussione mentale finì e Embry si voltò verso
di me, facendomi leggere quello che si erano detti. Annuii, e
attraversammo il confine. Giunti al limitare della foresta, si
ritrasformò.
Mi venne vicino, abbracciandomi.
"Mi dispiace per quello che hanno detto di te..." sciogliendosi dall'abbraccio, capo chino.
"Non è colpa tua. Allora, come sto?" gli chiesi, facendo un piccola piroetta.
"Sei abbagliante Angel...bellissima..." baciandomi.
Mano nella mano, uscimmo dalla foresta. Davanti ad una casa di legno
abbastanza grande attendevano, in piedi, nove ragazzi. Di diverse
altezze, erano accumunati dalla carnagione abbronzata e da occhi e
capelli neri.
Embry mi lasciò un momento, avanzando da solo.
Il più piccolo, un ragazzino magro che poteva avere tredici o quattordici anni, gli corse incontro, abbracciandolo.
"Embry!!"
"Ciao Seth, ti vedo cresciuto! Vuoi mica superarmi?" scompigliandogli i capelli corti.
Sam si fece avanti a sua volta, abbracciando il compagno. Via via, gli
altri sette ragazzi fecero lo stesso. Poi Embry si volse verso di me:
era abbagliato, lo vedevo.
"Sam, Jacob, Quil, Jared, Paul, Seth, Leah, Emily, Kim...lei è
Angel, la mia Angel" presentandomi ai suoi fratelli e sorelle.
Emily mi venne incontro, e mi abbracciò, lasciandomi di stucco.
Risposi all'abbraccio, sfiorandola appena. Era umana, non era
resistente come Embry.
"Sono davvero felice che Embry abbia trovato qualcuno...mi preoccupavo
per lui, ma vedo che non ne ho più motivo. Vieni dentro..."
"Emily...sai che cos'è?" le chiese tossicchiando Jacob.
"Si Jacob. Angel è l'imprinting di tuo fratello..." predendomi sottobraccio e portandomi dentro la casa.
Fuori, Embry si prendeva le critiche dei suoi fratelli.
"E' una di loro, come è possibile? Come è possibile che
uno di noi abbia l'imprinting con una di loro, un nemico?" chiese Paul,
esagitato.
"Paul, come faccio a spiegartelo...Lei è come il Sole, come
l'ossigeno...Non posso vivere senza....Sam, tu sai di cosa parlo..."
"Si lo so Embry...e ti capisco...ma non approvo, sappilo. Non ti
imporrò di rifiutarla, so bene che non puoi...Solo, stai
attento...Comunque.." cominciò poi si interruppe.
"Comunque?" incalzò Embry, sfidandolo.
"E' bellissima, un vero angelo..." concluse, permettendo a Embry di respirare nuovamente.
"Sarà la benvenuta tra noi fratello!" lo abbracciò Jacob, ridendo.
***
Quella giornata era iniziata bene. Ero uscita a caccia con Alice e
Rosalie. Si erano quasi abituate alla presenza di Embry, che ormai
faceva la spola tra la riserva e casa nostra. Di notte dormiva in
camera mia, di giorno stava con i suoi fratelli.
Stavamo rientrando dalla caccia, quando Alice trasalì e si voltò verso la foresta.
"Alice, che succede?" chiese Rosalie, preoccupata. Ci fermammo.
"Arrivano...sono tre...ci hanno sentite cacciare...uno...uno è Marius..."
"Alice ma come? Che vengono a fare qui?"
"Vengono per me..." sussurrai, correndo via verso casa.
Marius stava arrivando, per me. Avrei protetto la mia famiglia fino alla fine...Questa volta sarebbe andata diversamente.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Embry....salvala! ***
Embry...Salvala!
Voci dal passato
Capitolo 17. Embry....Salvala!
Corsi, non so per quanto. Quando arrivai, Edward mi venne incontro, uno sguardo strano negli occhi.
"Angel..."
"Alice..."
"Si lo so...ti proteggeremo..."
Mi lasciai abbracciare e poco dopo arrivarono anche Alice e Rosalie.
"Quanto tempo abbiamo?" chiese Carlisle, appena uscito seguito da Esme e dagli altri.
"Qualche minuto..." rispose Alice, mettendosi già sulla difensiva.
"Possiamo scappare?" chiese sottovoce Edward.
"No! Te lo scordi!! Io non scappo, non scappo più...e...e..Embry!" gli risposi ringhiando, per poi accasciarmi a terra.
"Che centra lui adesso?" mi chiese Emmett, scrocchiandosi le dita.
"Doveva venire qui, oggi...Lo ammazzeranno!! Devo trovarlo, portarlo al sicuro..."
"Angel, se non ti muovi di qui è difficile che lo trovino..."
cercò di rassicurarmi Esme, ben comprendendo la mia angoscia.
Ormai li sentivo distintamente. Mi concentrai, e raggiunsi la loro
mente. Forzai la serratura entrando nei loro pensieri: non so se ne
accorsero, ma non fecero nulla per fermarmi.
"Eccoli..." sussurrò Alice, raggiunta da Jasper.
Dalla foresta uscirono tre figure incappucciate, alte e slanciate.
Aprii gli occhi, pronta a difendere la mia famiglia a costo della vita, se quella mia poteva definirsi veramente "vita".
Quello più alto mi squadrò da sotto il capuccio, e poi lo fece scivolare via. Era Marius.
"Angel...finalmente ti ho trovato, figlia mia..."
Ringhiai: quel termine mi faceva inorridire.
"Edward" -rivolgendosi a mio fratello- " è bello vederti...finalmente..."
"Non ti conosco."
Sollevò un sopracciglio.
"Si...ma sicuramente ti ricorderai di Darlene, di Lorentz e di
Megan...almeno me lo auguro..." gli rispose con un sommesso ringhio.
"Cosa centrano con te? Erano umani."
"Erano miei!!!" ringhiò più forte, stizzito.
"Se vuoi vendetta, uccidimi...Se ci riesci..." lo sfidò Edward.
Carlisle non si era intromesso: conosceva troppo bene l'indole del figlio minore.
Cercavo di restare concentrata sugli altri due incappucciati, che non si erano ancora presentati.
"Più tardi, forse. Ma ora...voglio riavere quello che è mio. Angel, tu sei mia, vieni via con me!"
"Mai! Edward è mio fratello di sangue, e loro sono la mia
famiglia, non li abbandonerò mai, non per te!" risposi
avvicinandomi di più a Rosalie e Emmett.
"Non capisci...Dopo che avremo finito non avrai più un fratello, nè una famiglia..." sogghignò.
Allora esplosi, e tutta la rabbia repressa prese il sopravvento.
Marius cadde in ginocchio, come colpito da una scudisciata in pieno volto.
La ferita somigliava ad una bruciatura, ma invece di essere rossa era nera.
"Come...cosa diavolo mi hai fatto, bastarda!! Mi hai sfigurato!!" toccandosi il viso perfetto, appena sfigurato.
Mi feci avanti, ad occhi bassi, semi chiusi, passando davanti a tutta la mia famiglia.
"Tu...prova solo a pensare di fare loro del male, e ti giuro sul mio sangue che morirai prima di notte!"
"Questo lo vedremo. Darryl! Niko! Catturatela! La voglio viva!!"
urlò, lanciandomi addosso i due scagnozzi, due neonati. I due si
liberarono dei vestiti, mostrando una muscolatura ben sviluppata e
occhi di brace.
Non mi spaventai. Dovevo distruggerli, ne avevo il potere. Per la mia famiglia, e per Embry.
La concentrazione aumentò, mentre loro si avvicinavano, studiandomi.
Scattai all'improvviso, colpendo il primo, con il taglio della mano,
appena sotto il mento, facendolo finire con la schiena contro l'abete
più vicino.
Il suo compagno finì allo stesso modo. Ovviamente non era finita qui. Erano neonati, sarebbe stata molto dura.
D'altronde lo ero anche io, una neonata, però avevano ben poca
speranza contro di me. Avevo coltivato e rafforzato il mio potere, la
mia forza, non ero allo sbaraglio come loro, pura forza bruta e zero
intelligenza.
Si rialzarono quasi subito. Optai per un attacco mentale.
Insinuarsi nella loro mente fu facile come bere un bicchier d'acqua. Io
immobile e loro in terra, che si contorcevano negli spasmi dell'agonia.
Finì presto.
"Straordinario..." commentò Carlisle stupito.
"E ora, a noi due Marius!" preparandomi ad assalirlo.
Fui distratta. Un pensiero esterno, una voce che mi chiamava, mi rimbalzava in testa.
"Angel...amore mio...Ti salverò!"
Sussultai, e Marius ne approfittò, attacandomi. Quando me
ne accorsi era troppo tardi, mi era già addosso. Io, spalle a
terra, sentivo il suo fiato putrescente impermearmi gli abiti. Mi
guardava, e vedevo crescere in lui un sentimento diverso: la libidine.
Ero completamente deconcentrata, ogni tentativo di ribellione da parte mia era accompagnato da uno schiaffo.
"Non devi ribellarti! Tu sei MIA!!!!" Ormai non ragionava più, totalmente preso.
Rosalie e Alice cercarono di aiutarmi, ma Marius le minacciò.
Con la bocca sulla mia gola, pronto a sgozzarmi.
"Non vi avvicinate, o giuro che la uccido!!"
Rinunciarono: troppo alto era il rischio.
"La tua famiglia è bloccata e tu sei nelle mie mani. Come pensi
di scappare adesso?" sogghignando e già pregustando
chissà cosa. Chiusi gli occhi, preparata al peggio.
Un istante dopo si ritrovò di nuovo nella polvere, scaraventato via da un pugno poderoso.
Quando aprii gli occhi, ero tra le braccia di Emmett, che guardava con occhi sbarrati la scena di fronte a lui.
Mi voltai e gemetti di dolore.
Embry e Marius, avvinghiati in un unico mortale abbraccio, si battevano, ringhiando e ululando.
Pezzi di pelle e di pelo volavano via, strappati a morsi e a unghiate.
"Embry...." provai a reagire, ma mi mancava la forza. Scesi dalle
braccia di mio fratello e mi avvicinai piano alla scena. Non lo avessi
mai fatto.
Embry si distrasse un istante, e fu colpito duramente. A terra, il
sangue che sgorgava copioso da una ferita al petto, ringhiava e gemeva.
"Ahahah...patetico..." rise Marius, pronto a finirlo.
"Marius!!! Non toccarlo!! Non toccherai mai più qualcuno dei miei cari!! Mai più!!" gli urlai contro.
"E chi me lo impedirà?"
"Io!!" gettandomi addosso a lui, rifilandogli un pugno in pieno viso,
così forte da spaccarli gli zigomi e il setto nasale.
"Strega!!" mi urlò rabbioso, tirando fuori da sotto il mantello due lame lunghe quasi quanto le mie braccia.
"E ma così non vale!" replicò Emmett.
Marius non se lo fece ripetere. Scattò verso sinistra, piantanto
uno dei coltelli nel fianco del gigante, che cadde a terra senza un
sibilo.
Non ci vidi più. Scattai verso Marius, una furia cieca e
incontrollabile. La rabbia guidava il mio animo e mi accorsi troppo
tardi dei piani di Marius.
Saltò indietro, buttandosi contro Embry che, non più lupo, non aveva la forza di resistergli.
Successe tutto in pochi secondi.
Ricordo solo che guardavo gli occhi neri di Embry, mentre i miei si
appannavano. Venti centimentri di lama uscivano dal mio petto,
all'altezza del cuore. Con le ultime forze, mi voltai e staccai la
testa a Marius.
Poi fu il buio, probabilmente per sempre.
***
La battaglia era finita. Marius era morto e ora i suoi resti
bruciavano, insieme a quelli dei due neonati, sul falò preparato
da Jasper e Alice.
Rosalie, seduta per terra, reggeva la testa di Emmett. La ferita era
grave, ma non mortale. Ci voleva ben altro per uccidere quell'orso di
Emmett.
La scena più triste si svolgeva poco più in là.
Embry reggeva tra le braccia Angel, leggera come un fuscello.
Il suo viso bianco marmo era oscurato e gli occhi verde mare appannati.
Il Quileute piangeva lacrime di dolore e rabbia.
Accanto a lui, Edward, occhi sbarrati, guardava sua sorella morta, e non riusciva a dire nulla.
Carlisle si avvicinò con cautela, affranto.
"Embry, portiamola dentro..."
Meccanicamente, il ragazzo si alzò e portò Angel in casa come un marito porta oltre la soglia la neosposa.
Si sedette sul divano, stringendola ancora di più.
"Ha sacrificato la vita per la sua famiglia...Non doveva finire
così...Angel..." bisbigliò il fratello, inginocchiato
accanto alla testa della ragazza.
"Non sono riuscito a salvarla...non sono riuscito a salvarla..." ripeteva Embry tra i singhiozzi.
"Embry...non è colpa tua...lei ha fatto quello che riteneva
giusto. Ha amato così tanto la sua famiglia, tutta la sua
famiglia, da morire per proteggerla..." cercò di consolarlo
Esme, vincendo la repulsione per i Lupi e abbracciando il ragazzo.
"Forse c'è un modo per salvarla..." disse Alice sottovoce, mentre rientrava con Jasper e Rosalie, che tenevano Emmett.
"Che vuoi dire, Alice?"
"L'ho vista...dopo questa battaglia lei ci sarebbe stata di nuovo...ho
visto come possiamo fare...ma serve il tuo aiuto Embry..." rispose la
piccola bruna.
"Dicci tutto" intervenne Carlisle
"Sappiamo che mischiare le due razze è impossibile...che il rischio è elevatissimo..."
"Continua Alice..."
"Il vostro legame è fortissimo, più forte di qualcunque
altro legame io abbia mai visto, nel presente o nel futuro...il tuo
sangue può ridarle la vita...io l'ho visto..."
Embry si riscosse e gli occhi gli si illuminarono.
"Qualunque cosa perchè torni indietro..."
"Il tuo sangue deve entrare nel suo circolo..."
"NO!!!!" saltò su Edward, rabbioso.
"Ed è l'unico modo...." replicò Alice
"Lo farò, che tu lo voglia o no. Io l'amo, più della mia
vita...darei anche l'ultima goccia di sangue perchè viva..." gli
rispose Embry, ringhiando
"Edward...ti prego ascolta Alice..." disse Emmett piano, ancora intontito.
"Edward, figliolo, se Alice l'ha vista...sai che possiamo fidarci di tua sorella..." insistette Carlisle.
"Ed...rivoglio mia sorella quanto te...per favore..." lo pregò Rosalie, stranamente gentile.
"Figlio mio...fa parte della famiglia. Se c'è anche una sola possibilità di salvarla..." concluse Esme.
Si arrese.
"Embry..."
"Edward?"
"Embry...salvala! Ti prego riportami mia sorella!!"
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Ritorno dall'abisso ***
Voci dal passato - Ritorno dall'abisso
Voci dal passato
Capitolo 18. Ritorno dall'abisso
Non so per quanto
tempo rimasi come morta, prigioniera di una specie di incubo. Un limbo,
simile ad un abisso cosmico. Niente suoni, niente rumori, niente di
niente. Solo buio.
***
"Alice...cosa devo fare?" chiese Embry, impaziente.
"Il tuo sangue deve mischiarsi con il suo..." rispose Alice, mentre
aiutava Emmett a mettersi seduto. La ferita, curata da Carlisle, stava
guarendo in maniera prodigiosamente veloce.
"Ma non possiamo inniettarglielo...rischieremmo solo di rompere gli
aghi..." commentò Edward, seduto accanto a suo fratello.
"Basta che lo ingerisca...non serve altro...lo deve
assorbire...inniettarlo sarebbe più facile e più veloce,
ma con la pelle dura che si ritrova è impossibile..."
"Quando posso farlo?" si intromise Embry, sempre più impaziente.
"Anche adesso. Portiamola nella stanza di sotto. Carlisle..."
L'interpellato si alzò guidando il terzetto formato da Edward,
Alice e Embry con in braccio Angel al piano di sotto. Aprì la
porta corazzata e i due figli scivolarono all'interno, seguiti dal
lupo. Le lacrime rigavano ancora il suo viso abbronzato, ma non
piangeva più. La succhiasangue, la sorella di Angel, Alice, gli
aveva ridato la speranza, seppur minima, di riavere la sua metà.
Adagiò dolcemente il corpo dell'amata sul tavolo, scostandosi appena.
"Allora, appena il sangue di Embry sarà entrato in circolo,
comincerà a tremare, come se volesse trasformarsi in licantropo.
Su questo ci conto. Poi probabilmente si sveglierà e lo
attaccherà. Dobbiamo fermarla, se lo tocca è morto."
"Mi riconoscerà, ne sono sicuro..."
"No Embry...non sarà ancora Angel, ma qualcosa di diverso...l'ho visto...Serve anche il sangue di Edward..."
"Perchè?"
"Nonostante la trasformazione, il vostro corredo cromosomico di nascita
è lo stesso...anche il sangue è lo stesso...la devi
mordere Ed, esattamente dove l'ha morsa Marius. Sostituendo il suo
veleno con il tuo, tornerà indietro..."
"Facciamolo!" dissero in coro i due ragazzi, risoluti.
"Daccordo....procediamo! Embry..."
Il ragazzo si fece avanti. C'era un unico modo per far bere il proprio sangue a Angel.
"Edward...ho bisogno del tuo aiuto..."
Il rosso lo guardò senza capire.
"Passa la bocca sul mio polso...basterà..."
Ed era sconvolto e anche disgustato. Mordere un lupo, che schifo!
"Non devi morderlo, solo tagliare. Pensi di riuscirci?"
Scosse la testa.
"Allora lo farò io" rispose Alice, facendosi avanti. Vincendo la
naturale repulsione, alzò il braccio di Embry appena sopra la
bocca di Angel, e tagliò. Un tagliò netto, preciso,
pulito. Il sangue rosso scuro cominciò a scorrere lentamente,
goccia a goccia, cadendo sulle labbra della bionda, disgiunte.
"Alice, credo possa bastare. Sta diventando pallido, lascialo!"
suggerì calmo Carlisle alla figlia, notando il pallore del
giovane lupo.
La ragazza si riscosse subito, lasciando il braccio di Embry, che
caracollò indietro, sedendosi contro il muro. La ferita si
cicatrizzò quasi subito.
"E ora?"
"E ora aspettiamo..." rispose il folletto di casa, sedendosi poco distante da Embry.
***
Mentre camminavo
nelle tenebre, vidi una grande luce. Cominciai a correre verso la luce,
sperando fosse l'uscita. All'improvviso fui come trascinata via
dall'acqua. Salvo che il colore non era trasparente, ma rosso, rosso
scuro. Sangue.
Il mio? Quello di qualcun'altro?
Fui sommersa e bevvi. Mi saturai di quel sapore dolce. Poi finalmente tornai dall'abisso. E avevo sete.
***
Aprii gli occhi, famelica. Provai ad alzarmi, ma quattro possenti mani
mi trattenevano. Ringhiai, ne volevo ancora. Quel sangue dolce e color
rubino mi dava alla testa.
Cominciai a dimenarmi, per liberarmi da quella presa d'acciaio.
Era tutto inutile. Adesso erano addirittura sei le mani che mi
reggevano. Diafane, pallide, e fredde come il ghiaccio, non mi
permettevano di muovere un solo muscolo. Mi voltai rabbiosa cercando di
mordere per liberarmi. Erano troppo forti per me. Mi arresi.
Un ultimo sussulto mi rispedì nell'abisso, ma stavolta ero
coscente di me stessa. Percepivo quattro presenze, di cui una calda.
"Edward, ora tocca a te..."
Dolore. Sentii solo dolore, un dolore inimmaginabile. Volevo urlare, ma
non ci riuscivo, come se fossi diventata muta all'improvviso.
Poi cessò anche quello. Ora ero completamente assuefatta, come
se mi fossi appena fatta di cocaina. Completamente calma, chiusi gli
occhi, in pace.
***
Una voce che avevo temuto di non sentire mai più mi richiamò nuovamente alla vita.
"Amore..."
Sbattendo pianissimo le palpebre, misi a fuoco il proprietario della voce.
"E..Embry..." sussurrai.
"Si...si...si Angel amore mio sono io...Finalmente sei
tornata..." rispose dolcemente, le lacrime che gli rigavano le
guance abbronzate.
"Ero prigioniera di un incubo...quanto ho sognato di rivedere il tuo
amato viso...oh Embry...che paura..." risposi stringedogli la mano.
"Ehm..probabilmente me l'hai rotta...chiederò a Carlisle di sistemarmela..."
"Oh...mi dispiace...scusami..." portandomi la mano alla bocca, consapevole e spaventata.
"Ehi...non ti preoccupare...L'importante è che siamo di nuovo
insieme. E questa volta non ci separeremo mai più...a tal
proposito volevo chiederti una cosa..."
"Mi aiuti? Vorrei alzarmi..."
"Alice dice che sei ancora debole...". Rinunciai
"Dimmi Embry...cosa vuoi chiedermi?"
Si tirò su, per poi inginocchiarsi. Il suo metro e ottanta, in ginocchio, superava l'altezza del letto.
"Angel...mio unico e solo amore...mia vita...vuoi fare di me l'uomo più felice di questo mondo?"
Non capii.
"Angel Sophie Masen Cullen, vuoi sposarmi?" chiese tutto d'un fiato,
mostrandomi un piccolo cerchietto dorato, semplicissimo ma molto
significativo.
Ero senza parole, non sapevo cosa rispondergli. O meglio, conoscevo la
risposta, ma ero talmente sconvolta che non ero sicura di riuscire a
dirgliela.
Per una volta, cuore e mente si fusero, dandomi la spinta necessaria.
"Si...mille volte si!!" esclamai in un sussurro, abbracciandolo delicatamente.
Si sdraiò nel letto accanto a me, e ci lasciammo andare a coccole e carezze, felici.
"Bentornata dall'abisso, Angel!" disse lui, baciandomi con tutta la passione che aveva in corpo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Problemi in arrivo ***
Voci dal passato - Problemi
Voci dal passato
Capitolo 19. Problemi in arrivo
La notte del mio ritorno alla vita, non
me la scorderò mai più. Embry mi portò sulla
schiena fino su al lago. Lo avevamo scoperto io e lui, un pomeriggio di
qualche mese prima, mentre eravamo a caccia. Un piccolo lago, il cui
colore variava a seconda del momento della giornata: la mattina azzurro
cielo, il pomeriggio verde trasparente, al tramonto si incendiava,
diventando rosso.
Embry sapeva che quello era il mio momento preferito. Mancava qualche
minuto al tramonto, e già le cime degli alberi arrossivano.
"Eccoci..." mentre mi
faceva scendere, per tornare uomo. Mi tolsi le scarpe, e camminai a
piedi nudi, beandomi di quella sensazione di libertà.
"Ora chiudi gli occhi...è una sorpresa..." Accettai quel gioco.
Mi guidò fino ad un certo punto.
"Posso aprirli?" chiesi.
"Un momento...Okay, adesso puoi aprirli..."
Aprii gli occhi, e la meraviglia mi sconvolse.
Una tovaglia stesa sul prato, bicchieri e champagne. Embry mi mise in
testa una coroncina di fiori di campo, i miei preferiti. A chiudere
quella sinfonia di meraviglie, il tramonto che incendiava il lago.
"Embry....è meraviglioso..." riuscii solo a dire.
"So che non lo bevi quello... e infatti ho preso anche questa" tirando
fuori da un cestino una bottiglia verde di liquido scuro. Aveva pensato
proprio a tutto.
"Cosa festeggiamo?" gli chiesi, sedendomi. Arrossì e, mentre
cercavo di capire perchè, notai che lo spacco del mio vestito
mostrava ben più del necessario.
Sorrisi, con una punta di malizia.
"Festeggiamo il tuo ritorno, e il nostro sì...Ecco..." servendomi dalla bottiglia verde.
Si servì di champagne e si sedette di fronte a me. Da quando ero
tornata non mi lasciava un momento sola, per paura di perdermi di
nuovo. E ora il suo sguardo posava su di me, senza mollarmi un secondo.
Finito lo champagne si sdraiò posando la testa nel mio grembo, lasciandomi giochicchiare con i suoi capelli.
Guardammo il sole via via scomparire dietro le montagne, e la notte calare lesta dal suo trono di nuvole piatte e sottili.
Embry si levò per accendere il fuoco, poi tornò a
sdraiarsi sulla coperta, accanto a me, che ne frattempo mi ero sdraiata.
Mi piaceva guardare le stelle, lo facevo anche da umana. Perciò
eravamo lì, sdraiati accanto ad un bel fuoco scoppiettante, a
guardare il cielo.
"Vorrei che questa notte durasse per sempre, che il tempo si fermasse e
che domani mattina, al sorgere del sole, non dovessimo andar via..."
disse sussurrando, perso nel rimirare la volta sopra di noi.
"Nel mentre però possiamo fare quello che vogliamo...siamo solo tu ed io...", facendolo voltare verso di me.
Le nostre labbra si sfiorarono, e percepii la sua passione e il suo desiderio.
I baci diventarono più profondi, frenetici, vogliosi. Le carezze si fecero di fuoco, il desiderio incalzante.
"Voglio che tu sia mia stanotte...non riesco ad aspettare il
matrimonio...non ci riesco..." sussurrò al mio orecchio, mentre
le sue mani calde correvano sulla mia schiena.
"Sono tua Embry...lo sono sempre stata..." ricambiando le sue carezze e i suoi baci bollenti.
Ci spogliammo a vicenda, e facemmo l'amore per tutta la notte, mai
sazi. Lo desideravo da morire fin dalla prima volta che avevo posato il
mio sguardo sul suo viso.
Per lui non ero solo una fidanzata, o un'amate: ero la vita stessa. Mi
amò con dolcezza e passione, come se fosse la prima volta...
La mattina arrivò, ma non ce ne preoccupammo più di
tanto. Adesso che eravamo di nuovo insieme, niente e nessuno avrebbe
potuto separarci nuovamente.
Tornammo indietro correndo, spensierati e liberi. Ahimè, non avevo fatto i conti con la mia strana natura...
***
Un paio di settimane dopo...
"Incinta???????!!!!!!?????? Ma non è possibile!!!" commentò Edward spalancando gli occhi sorpreso.
"Ed, io sono sorpresa quanto te...non posso essere incinta...non sono
umana...ma che mi sta succedendo?" chiesi, più a me stessa,
mentre il resto della famiglia mi fissava sbalordito e incredulo, primo
fra tutti Embry.
"Ahi ahi..problemi in arrivo..." disse tra sè Jasper, incontrando l'assenso di Alice.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Diurna ***
Voci dal passato - Vampiro e Lupo
Voci dal passato
Capitolo 20. Diurna
Ero completamente sconvolta. Incinta,
com'era possibile? Essendo una vampira non potevo diventarlo,
tecnicamente non ero "viva"...
Passavo le mie giornate chiusa in stanza. Mi era perfino passata la sete.
Ogni giorno Embry si arrampicava sull'albero che dava sulla mia stanza,
ma io lo mandavo sempre via. Primo, perchè non volevo vederlo.
Secondo, perchè era stato bandito dalla proprietà da
Edward, furioso come non mai.
Carlisle e Jasper si era messi d'impegno, studiando antichi testi per
cercare di capire che cos'ero e com'era possibile che fossi incinta. Il
fatto che il nascituro fosse di un licantropo non era importante. Era
il fatto in sè a non sussistere.
Esme e Alice cercavano di farmi mangiare qualcosa, ma non ci riuscivo
proprio. Rosalie invece si teneva a debita distanza, non riuscivo a
capire perchè lo facesse.
Edward non mi parlava dal giorno che avevo scoperto di essere incinta. Mi mancava tanto, ma non lo davo a vedere.
I giorni più brutti della mia vita, da quando ero diventata una creatura immortale.
Un giorno sentii esclamazioni eccitate provenire da fuori la mia
stanza, così mi feci forza e uscii. Avevo addosso un vestitino
leggero e la mia copertina preferita. Stranamente, il freddo non mi
piaceva.
Carlisle e Jasper ridevano, mentre Esme e Alice li tartassavano di domande.
"Allora, che avete scoperto?"
"Siamo arrivati alla soluzione del problema, se solo ci avessi pensato prima..."
"Non teneteci sulle spine..."
Carlisle fece per rispondere, poi mi vide e mi venne incontro, abbracciandomi.
"Sono felice di vederti finalmente fuori da quella stanza...Era ora!" slacciandosi con un sorriso.
"Scendiamo, vuoi?" mi chiese Esme, prendendomi a braccetto
Annuii. Scendemmo in sala, dove trovai ad aspettarmi Emmett e Edward.
Quando mi vide, non riuscì proprio a trattersi e mi corse
incontro, abbracciandomi stretto stretto.
"Perdonami Angel, mi dispiace avrei dovuto essere meno irruento. Scusami, davvero!"
"Non ti preoccupare fratellone, ti capisco...Tu puoi perdonarmi?" chiesi sottovoce.
"Non hai nulla da farti perdonare...È la tua vita, non devo
interferire...Chiama Embry, fallo venire qui. Ho da parlargli. Stai
tranquilla, non gli farò niente, promesso!"
Felice, presi il telefono e composi il numero di Embry. Rispose al primo squillo.
"Angel!!"
"Ciao Embry...senti, potresti venire qui, Edward deve parlarti..."
"Dieci minuti e sono da te, amor mio!" mise giù.
Dieci minuti esatti dopo
"Embry!!" correndogli incontro e abbracciandolo, mentre lui mi
sollevava da terra come un fuscello e mi stampava un bacio sul collo.
"Angel, mia vita....come ti senti?"
"Meglio...vieni, Ed deve parlarti..." gli risposi, prendendolo per mano
e accompagnandolo dentro, dove lo attendeva l'intera famiglia.
"Ciao Embry...siediti, abbiamo cose da discutere..." lo salutò Carlisle, invitandolo ad accomodarsi.
Embry si sedette sul bordo della poltrona, pronto tuttavia a scappare.
"Abbiamo scoperto com'è possibile che Angel sia incinta...Tutto
parte da Marius, da quello che era in realtà...perchè
questa è l'unica spiegazione possibile..."
"In che senso, Carlisle?" chiesi, stupita.
"Marius aveva il doppio dei miei anni, che son già tanti. Era
uno dei più anziani ancora in circolazione, se escludiamo Aro e
gli altri. Marius in realtà era un diurno...una razza
meticcia...un incrocio...perciò i suoi anni, erano realmente
724..."
Notando che la famiglia non capiva, Jasper intervenne a spiegare.
"Quelli come Marius hanno il potere di far diventare chi mordono
esattamente come loro, un diurno. È un dono rarissimo, anche
perchè sono rari i diurni al giorno d'oggi. Perciò
l'unica spiegazione possibile per la particolarità della
condizione di Angel è che sia ella stessa una diurna. E i diurni
possono procreare a loro piacimento. Sono più caldi di noi,
soffrono il freddo...non temono la luce del sole, la loro pelle
risplende un po' meno della nostra, hanno la nostra stessa forza e a
volte anche di più...e non solo da neonati. I loro occhi non
cambiano colore, e possono nutrirsi indistintamente di sangue o cibo
umano. E i loro anni sono quelli effettivi, solo che invecchiano molto
lentamente, perciò praticamente sono come noi...immortali e
praticamente indistruttibili. In realtà possono essere uccisi,
basta anche solo una lama nel punto giusto e muoiono..."
Finalmente la famiglia capì e si strinsero tutti attorno a
Angel, che teneva per mano Embry e si guardava il ventre, appena appena
gonfio.
"Un figlio...dovrei ringraziarti Marius..."
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Vampiro e Lupo ***
Voci dal passato - Vampiro e Lupo
Voci dal passato
Capitolo 21. Vampiro e Lupo
Le ore divennero giorni, i giorni settimane, le settimane mesi.
Il ventre di Angel si gonfiava a vista d'occhio, tanto che ormai per
lei camminare era quasi impossibile. Passava quasi tutto il suo tempo
sdraiata nel letto in camera sua, a canticchiare canzoni o a parlare
con Embry dei progetti per il futuro, tra cui il loro matrimonio.
Verso la fine del settimo mese, riuscirono finalmente a fare un esame
sommario per sapere se fosse maschio o femmina. E qui la prima
sorpresa. Era due gemelli, sani e forti. Il sesso fu però
impossibile stabilirlo.
Embry non la lasciava mai, nè di giorno, nè di notte.
Una mattina si arrischiarono a venire a trovarla anche Sam e Jake. La
loro presenza la confortava, era quasi una seconda famiglia.
Man mano che il pancione cresceva, sentiva le sue forze scemare pian
piano, come se i due piccoli che portava in grembo le succhiassero via
la vita, la forza.
"Non ce la faccio più! Carlisle, quei due mostri la stanno uccidendo, di nuovo!!"
"Edward, sai bene che non ci permette più di avvicinarci, da
quando ha letto nella tua mente quello che pensavi veramente. Sei stato
troppo impulsivo, adesso non ci permetterà di aiutarla!" gli
rispose il padre, con un mezzo moto di stizza.
Edward abbassò la testa: era vero, non era riuscito a controllarsi e lei ora lo odiava.
Piano di sopra
"Embry...ho fame..." gli disse sussurando, appena sveglia. Aveva
dormito poco quella notte, per via dei movimenti dei piccoli, che ormai
si facevano sentire costantemente, con calci e spinte. Per fortuna che
il suo fisico sopportava perfettamente questi colpi, o le sue ossa
sarebbero già ridotte in briciole.
"Scendo a prenderti qualcosa da mettere sotto i denti, amore. Tienimi
il posto, mi raccomando!" rispose il ragazzo, scendendo dal letto e
incamminandosi al piano di sotto, in cucina.
Dormivano insieme da quando gli era stato concesso di tornare, ed erano
passati quasi otto mesi. Ormai doveva mancare poco al momento fatidico.
Stava per diventare padre per la prima volta, ed era così felice
che riusciva ad esprimersi solo nei suoi pensieri, cosa che certo non
impediva a Angel di saperlo lo stesso. Facevano lunghissime
chiacchierate mute, parlando di tutto e anche di più.
Appena Embry se ne fu andato, Angel decise di alzarsi: non ne poteva
più di quella posizione supina, l'impossibilità di
muoversi era un cruccio della maternità che a lei proprio non
andava giù.
Una fitta la colpì all'improvviso. Mise una mano sul ventre,
cercando il punto in cui sentiva più alto il volume del battito
cardiaco dei piccoli. Chiuse gli occhi e liberò la mente.
"Mamma...mammina...fa caldo, voglio uscire..."
"Chi sei?"
"Sono tuo figlio...fammi uscire...ho caldo..."
"Mamma...sto stretto qui dentro...fammi uscire...mammina....fammi uscire..."
"E tu chi sei?"
"Sono tuo figlio...l'altro..."
Riaprì gli occhi, piangendo. I suoi piccoli la chiamavano, volevano uscire..."E così sarà, piccoli miei! Andiamo, qui non è il posto adatto..."
Aprì la finestra, e si arrampicò fuori,
sull'albero. Scivolò giù il più piano possibile,
evitando di farsi male con la corteccia. A terra, prese la via della
foresta, per salire al lago.
Correva a fatica, e ogni passo era accompagnato da una piccola fitta al
basso ventre, segno che i piccoli non volevano aspettare oltre.
Per fortuna arrivò al lago in pochi minuti, e si cercò un
posto tranquillo dove partorire. Embry le aveva raccontato molto sul
comportamento dei lupi, e questo rientrava in pieno nel comportamento
della femmina che si appresta a dare alla luce i suoi piccoli:
allontanarsi dal branco e cercarsi un posto tranquillo, riparato e
difficilmente accessibile per mettere al mondo la prole.
Tra due massi si era formata una conca naturale, che Angel si
premurò di riempire di foglie, erba e rami di pino. Era un luogo
caldo e pulito, non certo accogliente come casa, ma sicuramente adatto
ad un lupo.
"Un momento, ma io non sono un lupo! Eppure sento che questo è il modo giusto di agire..."
si riscoprì a pensare la ragazza, mentre chiudeva l'entrata con
un piccolo masso, abbastanza grande da non far passare intrusi e
abbastanza piccolo da far passare l'aria. Inoltre la presenza di un
così pericoloso predatore aveva già da tempo scoraggiato
gli animali del bosco ad avvicinarsi al lago, se non per pochi minuti
al giorno.
I minuti passavano senza che ci fossero cambiamenti. Poi Angel
cominciò a sentire violente fitte al ventre e capì che
era arrivato il momento. Il parto fu lungo e sofferto, ma alla fine ce
la fece.
Tagliò con i denti il cordone ombelicale dei due figli e si
sdraiò, spossata, con i due corpicini sul petto. I due piccoli,
dopo il primo pianto, si zittirono, scrutando il viso della madre con
due paia di occhietti neri.
Il respiro di Angel, prima affannoso, ora si era fatto calmo e
regolare, segno che il più era fatto. Ora doveva dar da mangiare
ai figli, ripulirsi, e tornare indietro. Embry, Edward e il resto delle
due famiglie sicuramente la stavano cercando in lungo e in largo,
spaventati a morte della sua improvvisa scomparsa.
Un movimento strano la sorprese, così spostò lo sguardo
verso il basso. I due piccoli si erano attaccati al suo seno, e
succhiavano avidamente, non seppe bene che cosa.
"Ehi, ragazzi...piano..." sussurrò con un mezzo sorriso stampato in volto.
Quando i piccoli ebbero finito, si lasciarono scivolare giù,
accoccolandosi sul tappeto di foglie, nudi e sazi. Si addormentarono
subito, testa contro testa.
Così Angel riuscì a capire tutta una serie di cose.
Guardandosi il seno, notò un segno rosso a mezza luna appena
sopra il capezzolo destro. Quindi uno dei due figli era sicuramente un
vampiro, probabilmente un diurno come lei e come Marius.
L'altro seno invece era sano, segno che sicuramente l'altro non lo era.
Si sdraiò nuovamente, appoggiandosi col gomito a terra a
guardare i due figli dormire. Uno dei due era piccolo e pallido, mentre
l'altro era più grosso, con la pelle più scura del
fratello, e un ciuffo di capelli corvini che gli spuntavano sulla
testolina.
"Un vampiro e un lupo...a Embry verrà un colpo...Ora che hanno
mangiato, posso andare a lavarmi...mi serve proprio un bagno...e anche
freddo va bene..."
Lasciò ai piccoli un bacino sulla testa e rimosse il masso dall'ingresso, per poi rimetterlo quando fu uscita.
Si diresse al lago, si spogliò del vestito che aveva indosso,
ormai larghissimo, e si buttò in acqua. Non era così
fredda come credeva, anzi era leggermente tiepida, perfetta. Si
lavò con cura, e poi si fece una nuotata, notando con estremo
piacere che le forze le stavano tornando. Ma doveva mangiare e
soprattutto bere. La fame era gestibile, ma la sete la divorava.
Perciò uscì dall'acqua per asciugarsi.
Manteneva un contatto strettissimo con le menti dei due figli nella
grotta, e monitorava i dintorni alla ricerca di possibili pericoli. I
bambini dormivano ancora, meno male.
Decise di non allontanarsi troppo, anche per non perdere il contatto: avrebbe mangiato quello che trovava.
Appena entrata nel folt, con indosso lo stesso vestito di prima,
fiutò la presenza di alcuni scoiattoli e di qualche lepre. Li
catturò tutti, calmando la sete e riempiendosi la pancia.
Riportò alla grotta un paio di conigli, uno vivo e tremante,
l'altro già morto. Sarebbero serviti come pasto appena i figli
si fossero svegliati, cosa che avvenne appena lei smosse la peitra che
chiudeva la grotta. I bambini, sentendola, cominciarono a piangere,
reclamando cibo e compagnia.
Angel entrò, richiudendo l'apertura. Prese in braccio il
più grosso, liberando al contempo il coniglio vivo, che si
accucciò tremante a pochi passi da lei.
"Ora vediamo se tuo fratello è un vero vampiro. Anche se
piccolo, dovrebbe già essere in grado di nutrirsi da solo. E se
non ce la fà, lo aiutiamo..." si rivolse al piccolo che aveva in
braccio, mentre questo osservava famelico il coniglio morto che Angel
teneva nell'altra mano.
Il piccolo vampiro, stentando a tirarsi su, gattonò fino al
coniglio e con un colpo lo stese, spezzandogli il collo. Poi vi si
gettò sopra avidamente, dissanguandolo in pochi minuti. Si
vedeva che stava decisamente meglio, perchè la sua pelle prese
la sfumatura color marmo uguale a quella di sua madre.
Finito di nutrirsi, gattonò fino all'entrata della grotta da sua
madre, che lo guardava con sguardo complice ed entusiasta. Angel fece
il cambiò, lasciando scendere il più grosso e raccolse il
più piccolo, pulendogli la boccuccia con il bordo del vestito,
pettinandogli i pochi capelli biondicci.
Erano nati da poche ore, e già erano cresciuti. Angel stessa si
stupì profondamente di questa rapidità, e si ripromise di
chiederne spiegazioni a Carlisle appena tornata a casa.
Intanto che rifletteva su questo, il più grosso dei due figli si
era già spazzolato il coniglio morto, e ora puntava a quello del
fratello. Ma questo, sgusciando via dalla presa materna, lo aveva
raggiunto e ora gli ringhiava contro, impedendogli di fregarsi il
coniglio.
Angel se ne accorse appena in tempo, prima che tra i due la questione
sfociasse in una rissa. Si accucciò e ringhiò ad
entrambi, sommessamente. I piccoli si ritrassero spaventati, mugolando.
"Ragazzi, non mi sembra il caso di litigare, vi pare?"
Dopo un primo momento di confusione i due bambini si buttarono tra le
braccia della madre, che li accolse con un sorriso e un bacio sulla
guancia.
"Sarà il caso di darvi dei nomi....Fatemi pensare....uhm.....che
ne dite di Ryan" - indicando quello alla sua destra, il vampiro - "e
Quil?" disse rivolta all'altro sulla sinistra.
Sui visini spuntò un sorriso felice, e Angel si commosse,
abbranciandoli di più, sempre attentissima a non far loro del
male.
"È ora di dormire...finite di mangiare e poi a nanna, subito!"
li rimbeccò dolcemente, lasciandoli scendere e sdraiandosi su un
fianco, mentre li guardava far sparire anche il secondo coniglio.
Finito che ebbero, si accoccolarono accanto a Angel che li coprì
con un po' di frasche e con una copertina improvvisata con la parte
bassa del vestito.
"Buonanotte mamma...dormi bene..."
"Notte mamma, buon riposo..."
"Notte piccoli tesori miei...."
Lo scambio di saluti mentali terminò con Quil e Ryan che
dormivano già, al caldo sotto la coperta, con il corpo della
madre a mascherarli dal freddo.
"Buona notte angioletti...Domani si torna a casa...da vostro padre..."
In quello stesso momento, dall'altra parte del bosco, un ragazzo dai
capelli corvini scrutava le fronde, cercando un qualsiasi segno
dell'amata, scomparsa quel pomeriggio. Lo faceva con poca voglia in
realtà, poichè sapeva bene il motivo della sua
lontananza. E ne era infinitamente felice.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=317927
|