Le cronache di Narnia La storia vista dagli occhi di Vera Volume I

di Stella Dark Star
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'arrivo del cigno e del corvo ***
Capitolo 2: *** L'arte gentile e la prepotenza ***
Capitolo 3: *** L'incubo della realtà ***
Capitolo 4: *** Nuovo mondo nell'armadio ***
Capitolo 5: *** La gelida tentazione ***
Capitolo 6: *** Al cospetto di Aslan ***
Capitolo 7: *** La scelta di restare ***
Capitolo 8: *** Un sacrifico per la salvezza ***
Capitolo 9: *** Lotta per il regno ***
Capitolo 10: *** La civiltà ritrovata ***
Capitolo 11: *** Il sogno coronato ***
Capitolo 12: *** Il ritorno del ghiaccio ***
Capitolo 13: *** Il risveglio del male ***
Capitolo 14: *** La fine al principio ***



Capitolo 1
*** L'arrivo del cigno e del corvo ***


Volume I
 

Capitolo 1
L’arrivo del cigno e del corvo
 
Erano passati quasi quattro anni da quell’afoso giorno estivo in cui salii sul treno, diretta nelle campagne. Ero poco più di una bambina che, assieme a migliaia di altri bambini piangenti e spaventati, doveva essere portata al sicuro, lontano dalla guerra. Ogni singolo treno era pieno zeppo di creature che sarebbero state accolte da famiglie di estranei nelle sconfinate campagne inglesi. Tutto sommato io ero fortunata, poiché sarei rimasta in famiglia, visto che mio nonno materno possedeva una maestosa villa tutta per sé dove io avevo già trascorso la mia infanzia. Non ero nemmeno sola, dato che conoscevo tutti i bambini della contea! Eppure, dopo tre estati e quattro inverni, quando mio nonno mi disse che avremmo accolto dei ragazzi nella villa, io mi illuminai di gioia. Si trattava di ragazzi ebrei precedentemente accolti in una struttura apposita, ma che poi, tramite non so quale circolo di voci, era risultato che alcuni loro parenti erano conoscenti di mio nonno e così, dopo aver contattato la loro madre, in un batter d’occhio tutto fu stabilito per il loro trasferimento. Ammetto che una piccola parte di me era diffidente nei confronti degli ebrei, forse per via dell’influenza negativa assorbita da alcuni romanzi di Némirovski di cui ero appassionata, però la gioia di non sentirmi più sola in quell’immensa villa riuscì a seppellire ogni pregiudizio.
 
Quel pomeriggio mi trovavo nella mia stanza, seduta alla scrivania, per scrivere una lettera ai miei genitori. Come al solito, il pennino sembrava danzare sul foglio bianco ininterrottamente, quando venni distratta dal rumore di passi avvicinarsi e fermarsi sull’uscio della porta.
“Ho buone notizie! I fratelli Pevensie arriveranno domani, nel primo pomeriggio!”
Mi voltai sorridendo: “Oh come sono contenta, nonno! Ma dimmi, quanti sono? Quanti anni hanno?”
Lui fece una risatina: “Sei curiosa! Da quanto ha detto la madre sono in quattro. E hanno… Vediamo…” Si mise una mano tra i folti ricci grigi per pensare: “Il maggiore, Peter, e la sua gemella hanno diciassette anni, il mezzano non ha ancora compiuto i sedici anni, proprio come te, e la più piccola ne ha dodici.”
Io mi feci più curiosa: “Mi hai detto solo un nome! Come si chiamano gli altri? Come si chiama quello che ha la mia età?”
“Non lo ricordo proprio! Non ho più la memoria di una volta!”
“Sento che morirò prima che arrivino!” risposi con tono teatrale, come adoravo fare nelle giuste occasioni.
Si lasciò sfuggire una sonora risata: “Credo invece che appena avrai preso in mano un libro ti dimenticherai di tutto il resto!”
Si voltò e prese a camminare lungo il corridoio, mentre io seguivo i suoi movimenti sorridendo e scuotendo la testa. Aveva davvero ragione!
Dopo qualche ora avevo terminato, imbustato e affrancato la lettera, perciò la portai all’entrata della casa e la posai sul mobile dove c’era la posta da spedire e quella che arrivava ogni giorno. Tornata nella mia stanza sospirai annoiata: “Uffa non so che fare.”
Mi guardai intorno e posai lo sguardo sulla mia libreria personale che copriva un’intera parete: “Vorrà dire che leggerò.”
La lettura aveva il potere di togliermi dalla vita quotidiana e di trasportarmi in altri mondi, in altre storie, dove immaginavo di incontrare un cavaliere, un soldato o un gentiluomo che mi avrebbe fatto battere il cuore. Di certo non mi aspettavo che la vita reale aveva in serbo per me molto di più.
Seduta sul letto, col libro sulle ginocchia, interruppi un attimo la lettura per guardarmi allo specchio. I capelli biondi sottili che m’incorniciavano il viso, gli occhi grandi e azzurri, la pelle d’alabastro liscia e morbida. “Chi sa… Uno dei due fratelli potrebbe fare breccia nel mio cuore!”
 
Mai in vita mia avevo avuto tanta fretta. Prima di decidere quale vestito indossare avevo capovolto l’armadio, la scarpiera era ancora aperta e al suo interno regnava il disordine, io ero davanti la specchiera intenta a litigare col pettine che si era incastrato tra i capelli e sembrava non voler più districarsi.
“Proprio oggi doveva capitarmi? Dannato pettine! Ahi! Tra meno di dieci minuti saranno qui e guarda come sono ridotta!”
Finalmente riuscii ad estrarlo e potei acconciarmi i capelli raccogliendoli ai lati con delle forcine, mentre  in lunghezza  ricadevano una serie di boccoli che avevo fatto coi bigodini.
Sentendo un rumore provenire dal piano di sotto, tesi l’orecchio in direzione della porta chiusa.
Evidentemente i fratelli erano arrivati, perché sentivo numerosi passi salire le scale in direzione delle stanze per gli ospiti e la governante McCready elencare una serie di regole assurde e severe.
Imprecai contro me stessa a bassa voce: “Accidenti!”
Passai velocemente le mani sui capelli per controllare che le forcine fossero ben fissate, poi ravviai la gonna del vestito rosa antico ed infine allacciai i cinturini dei sandali dello stesso colore. Sentii nuovamente dei passi: “Stanno andando in salotto a conoscere il nonno. Devo sbrigarmi.”
Presi la boccetta di profumo e diedi qualche spruzzata sul collo e sui polsi e uscii dalla stanza.
Sapevo che non era decoroso correre lungo le scale, ma era una questione di assoluta importanza, comunque cercai di ricompormi prima di fare il mio ingresso in salotto.
Non dimenticherò mai quel momento. Entrando dalla doppia porta parlai a mio nonno: “Scusa il ritardo!”
“Nulla di grave. Ti presento i nostri ospiti.”
Mi voltai verso di loro con un sorriso naturale esclamando: “Piacere di conoscervi, io sono Vera Berry, la nipote del professor Kirke.”
Se qualcuno di loro disse una parola non saprei dirlo, perché appena terminai la frase incontrai lo sguardo magnetico del ragazzo biondo che stava di fronte a me. Non avevo mai visto occhi così limpidi, così azzurri, e capelli così lisci, così variopinti. Oh che ragazzo affascinante! Anche lui sembrava attratto da me, visto il modo in cui ricambiava il mio sguardo. Fu un colpo di tosse di mio nonno a riportarci alla realtà. Avevamo addosso gli sguardi interrogativi degli altri fratelli.
Il ragazzo biondo si schiarì la voce e iniziò con fare impacciato: “Io sono Peter, felice di conoscerti.” Posò una mano sulla spalla della ragazza castana accanto a lui: “Questa è la mia gemella, Susan.”
Lei fece un leggero e semplice sorriso: “Piacere!”
Chiesi dubbiosa: “Gemella? Non lo avrei mai detto, non vi assomigliate per niente.”
I due si guardarono sorridendo e Susan mi rispose: “Non siamo omozigoti. Mi dispiace.”
Peter continuò le presentazioni: “Quello è nostro fratello Edmund.”
Il ragazzo dai capelli e occhi neri rispose a basso tono, con un cenno di menefreghismo: “Piacere.”
“E nostra sorella più piccola Lucy.”
La bambina, molto simile a Susan, fece un simpatico inchino: “Molto piacere!”
Non potei evitare di rivolgerle un largo sorriso affettuoso.
“Bene, ora che vi siete presentati posso lasciarvi soli a conoscervi meglio.” Il nonno ci passò uno a uno con sorriso bonaccione: “Io torno nel mio studio. Mi raccomando Vera, abbi cura dei nostri ospiti. Sei tu la padrona di casa.”
Io arrossii: “Nonno!”
Lui fece una delle sue risatine enigmatiche e uscì dal salotto richiudendo la porta alle proprie spalle.
Alzai un braccio per indicare i divani disposti a quadrato, dove al centro vi era un tavolino con sopra un rinfresco pomeridiano preparato dalla governante: “Prego, sedetevi!”
Contrariamente a quello che pensavo, Peter si sedette sul divano di fronte al mio. La piccola Lucy si sedette sul posto accanto a me, Edmund sul divano di sinistra, Susan su quello di destra.
Era strano il modo in cui ci eravamo divisi. Quattro divani, otto posti, cinque ragazzi separati.
Dopo aver sbocconcellato delle tartine al formaggio e sorseggiato la Coca-Cola dalle bottigliette, cercai di animare la conversazione dimostrandomi simpatica: “Da quando sono nata ho trascorso qui ogni singola estate. Poi, quando è scoppiata la guerra, mi sono trasferita qui del tutto. Lasciate che ve lo dica, se sono sopravvissuta io alla McCready ce la farete anche voi!”
Tutti e quattro risero divertiti.
“Dove abitavi prima?” Mi chiese Edmund. Forse mi stavo ingannando, ma mi parve di vedere nei suoi inespugnabili occhi neri un barlume di interesse nei miei confronti.
“A Cambridge, la città natale di mio padre. Voi invece siete di Londra, giusto?”
“Sì, assolutamente londinesi fino al midollo!” Rispose fiero.
Fu la volta di Peter: “E i tuoi genitori dove si trovano? Trovo strano che tua madre non sia venuta qui con te, nella sua casa natale.”
Io risposi con un filo di tristezza: “E’ semplice rispondere. Mio padre è un pilota quindi non è mai nello stesso posto, mentre mia madre è partita volontaria come infermiera. Anche a Cambridge era l’assistente di un dottore privato.”
“Capisco… Immagino che non abbiano molte occasioni per scriverti.”
“No, infatti. Io scrivo a loro ogni settimana, spedisco le lettere al Ministero della Guerra e da lì spero che uno dei miei genitori le riceva.”
Lucy posò gentilmente una mano sulla mia: “Sono sicura che le hanno ricevute tutte.”
Le feci un sorriso di ringraziamento.
Edmund mi chiese ancora: “Con una famiglia così facoltosa anche tu avrai delle inclinazioni. Cosa ti piace fare?”
Mi feci timida: “Vedi io…adoro la letteratura. Leggo ogni giorno e, quando avrò l’età giusta, desidero frequentare l’università di Cambridge e laurearmi in lettere. Per questo spero di tornare presto a casa.”
Stavo per chiedere ad Edmund quali fossero i suoi interessi, ma Peter si intromise: “Io invece desidero diventare pilota come mio padre. E combattere contro i tedeschi.”
Lo rimproverai: “Sono convinta che più stiamo lontani dalla guerra e meglio sarà per noi. Non desiderare di essere in pericolo.”
Nessuno ebbe il coraggio di obiettare le mie parole.
 
Mi ci volle l’intero pomeriggio per delineare i caratteri dei ragazzi e la loro simpatia nei miei confronti. Con un pizzico di dispiacere capii che Susan non aveva una buona inclinazione nei miei riguardi, probabilmente in preda alla gelosia per via delle evidenti attenzioni che i suoi fratelli mi dimostravano. Al contrario, Lucy era gentile e affettuosa come una sorellina minore. Peter, anche se era distante da me, non smise un solo istante di guardarmi, accennando di volta in volta sorrisi od occhiate allusive che mi facevano arrossire. Edmund, che era il più serio, riusciva ad attirare la mia attenzione ad ogni movimento che faceva e man mano che passavano i minuti si fece sempre più vicino a me, tanto che cominciai a credere si sarebbe presto seduto sul bracciolo del divano per poi passare sul mio!
Anche durante la cena notai degli atteggiamenti strani. Peter si sedette di fronte a me, Edmund  riuscì a conquistarsi il posto al mio fianco, forse con la collaborazione di Susan che si era portata Lucy accanto a sé dal lato dove c’era Peter.
Ricordo che sorseggiando la zuppa di verdure, in un momento che ero soprapensiero, per errore mi cadde una goccia sul mento ed Edmund si affrettò ad asciugarla col proprio tovagliolo.
Il suo gesto sembrava fatto con distacco, ma io lessi qualcosa di diverso nei suoi occhi. Quegli occhi neri avevano una luce particolare, risaltata dalla vasta illuminazione del lampadario. Vi lessi la convinzione di quello che stava facendo. Oh che sguardo virile!
 
Trascorrendo assieme molto tempo, avevo capito chiaramente che Peter era molto attratto da me ma ancora non capivo i pensieri di Edmund. Faceva di tutto per starsene in disparte, per sembrare indifferente, ma allo stesso tempo avevo l’impressione che stesse giocando con me come al gatto col topo. Credevo di essere il topo. Mi sbagliavo, però me ne resi conto molto tempo dopo. Per il momento, l’unica cosa che sapevo era che nella mia vita erano entrati un corvo dall’aria severa con le penne nere luccicanti e un cigno biondo dai modi gentili, e che non ne sarebbero mai usciti.

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Capitolo 2
*** L'arte gentile e la prepotenza ***


Capitolo 2
L’arte gentile e la prepotenza
 
Io e Peter eravamo soliti uscire in giardino dopo pranzo, camminare nell’ampio spazio che si estendeva a perdita d’occhio, dove spuntavano qua e là vari tipi di alberi. Ormai la primavera era giunta, perciò quando splendeva il sole potevamo uscire senza cappotto e camminare scaldati dai raggi. Nonostante l’esitazione dei primi tempi, Peter aveva preso a passeggiare tenendomi per mano regolarmente.
Quel pomeriggio in particolare ci eravamo accampati sotto un nocciolo, dove avevamo steso una vecchia coperta. Peter stava con la schiena poggiata al tronco e le gambe distese, io accanto a lui cercavo di tenere una posa aggraziata, seduta ma con le gambe leggermente sovrapposte e piegate all’indietro. Ero felice del fatto che Peter non avesse lasciato la mia mano neanche un istante e che perfino in quel momento vi disegnasse dei piccoli cerchi col pollice.
“Peter, credi che i nostri padri si conoscano?” La buttai lì.
Rispose con tono vago: “Non saprei. E’ vero che sono entrambi piloti però non sono nella stessa squadra.”
“E non sappiamo nemmeno dove siano in questo periodo. Perfino la mia mamma non resta mai nello stesso posto.”
“Bé è un’infermiera, è naturale che sia richiesta la sua presenza in più zone, in base alla necessità.” Abbozzò un sorriso, guardandomi negli occhi:  “Vedrai che torneranno presto.”
Sospirai: “E tu che vorresti partire.”
Pensò qualche istante prima di rispondere: “Appena avrò compiuto diciotto anni, se la guerra non sarà ancora finita, partirò di certo.”
“Non mancano molti mesi.”
“Lo so.”
“Ed Edmund cosa ne pensa?”
“Lui non pensa proprio! Non ha mai detto la sua opinione al riguardo.”
“Ti ha mai detto cosa farebbe se fosse abbastanza grande?”
“No. E credo che non si ponga il problema.”
Se nella precedente risposta il suo sarcasmo era evidente, ora in quest’ultima era addirittura lampante.
Gli feci notare: “C’è una punta di amarezza nella tua voce. Dovresti cercare di capirlo.”
Scosse lentamente la testa: “Non ce la farò mai.”
Alzai lo sguardo al cielo in contemplazione delle nuvole bianche, quando mi accorsi che Peter mi stava carezzando una guancia con la punta di un dito.
Arrossii.
Lui disse dolce: “Finché sono qui voglio pensare solo a te. Mio fratello lo conosco da una vita, ho tutto il tempo per trovare un punto d’accordo con lui. Ma tu? Quanto tempo avrò per stare con te?”
Mi morsi le labbra, sapendo che era arrivato il momento di toccare quel tasto importante: “Dipende da te, Peter. Io sono qui e  aspetto solo che tu…”
Non terminai la frase perché lui avvicinò il suo viso al mio, lentamente, facendomi desiderare il contatto. Un suono roco di protesta uscì dalle mie labbra durante l’attesa e finalmente lui si decise ad unire le sue labbra alle mie. Erano labbra calde e umide, piacevoli da baciare. Fu tutto romantico, ma presto sentii il bisogno di andare oltre. Di principio gli portai le braccia al collo per stringerlo più forte a me, poi osai prendergli una mano e poggiarla sul mio seno. L’avessi mai fatto!
Peter si ritirò di scatto: “Scusami, non me la sento di procedere.”
Io ripresi fiato: “Scusami tu, sono troppo sfacciata. E’ che pensavo di piacerti ‘in quel modo’.”
“Sì! Non fraintendere! Mi piaci, in tutti i modi! Solo che non voglio bruciare tutte le tappe in un pomeriggio!”
Cercai una risposta ma non la trovai, quindi lui continuò: “Anzi sarebbe meglio evitare le passeggiate da soli per un po’ di tempo. Vieni, rientriamo.”
Con una frase aveva messo tra noi non un macigno, bensì un’intera montagna. Il mio orgoglio pianse.
Mi aiutò ad alzarmi da terra e riprese la coperta. Mentre la piegava mi voltai verso la villa. L’istinto mi diceva che qualcuno aveva visto tutta la scena, percepivo come una presenza buia, dietro ad un vetro, ma non vidi nessuno.
Quando rientrammo in casa ci unimmo ai tre fratelli nel salotto. In un momento in cui Susan chiamò Peter per chiedergli un’opinione sul libro che stava leggendo, Edmund mi passò accanto e mi bisbigliò all’orecchio: “Stasera, quando saranno andati tutti a dormire, vorrei vederti.”
Io lo guardai spinta da timore e curiosità: “Ti aspetto in camera mia.”
Lui fece un cenno positivo col capo, senza manifestare alcuna emozione,  e si allontanò da me.
 
Passai tutto il tempo ad interrogarmi sul motivo della sua visita. Perché voleva vedermi?
Seduta sul letto con addosso la camicia da notte e la vestaglia di seta bianca, sentii il grande orologio rintoccare le dieci. Passarono pochi secondi quando qualcuno batté dei leggeri colpi alla  mia porta. Andai ad aprire e mi ritrovai davanti Edmund, vestito con la stessa camicia e gli stessi pantaloni neri che indossava a cena. Lo feci entrare, controllando che per i corridoi non ci fosse nessuno. Nel frattempo lui andò al centro della stanza, dandomi di spalle.
Mi avvicinai a lui: “Per quale motivo sei qui?”
Lui si voltò e mi guardò con occhi misteriosi come la notte. Senza dire una parola, mi avvolse in un abbraccio possessivo e mi rapì le labbra con forza. Io risposi a quel bacio violento senza porre resistenza. Quando si staccò per riprendere fiato, si accorse del mio viso impaurito, perciò iniziò a dire: “Vera, io…”
Gli poggiai un dito sulle labbra per non farlo continuare, poi lo lasciai. Presi a camminare a brevi passi fino ad arrivare accanto al letto, sapendo che lui mi stava seguendo con lo sguardo. Tolsi la vestaglia e la gettai nell’angolo, poi sfilai la camicia da notte dalla testa e la gettai nello stesso punto. Sentii Edmund emettere un gemito alla vista del mio corpo nudo. Mi voltai verso di lui permettendogli di guardare anche il resto.
Edmund rimase qualche istante a guardarmi tutta,  si sbottonò la camicia e la gettò alle proprie spalle, poi sfilò i pantaloni e la biancheria mentre camminava. Invece di venire da me, si recò al lato opposto del letto e vi salì ginocchioni. Lo imitai e insieme ci ritrovammo al centro del letto. Gli sguardi incollati carichi di desiderio. Mi afferrò nuovamente, ma stavolta iniziò a baciarmi dai seni e solo in seguito raggiunse le mie labbra. Il suo tocco per me era come un velo, nonostante le sue mani fossero fredde e forti, e quasi da subito sentii il bisogno irrefrenabile di ansimare e chiedere di più. Non facendoselo ripetere due volte, mi stese sul materasso e si sdraiò su di me, così io ne approfittai per stringerlo tra le mie gambe, come per incatenarlo a me.
 
Al mattino, svegliandomi tra le sue braccia, mi resi conto della realtà: ero completamente ed irrimediabilmente sua. Lo ero sempre stata.
Quando anche lui si svegliò, la prima cosa che fece fu sorridermi in modo gentile ma pur sempre enigmatico. Poi mi sfiorò le labbra con un bacio.
Sospirai: “Edmund, dobbiamo trovare il modo di dirlo a Peter.”
Lui sospirò a sua volta: “Lo farò io, anche se non so quando. Non preoccuparti.”
“Non vorrei mai farlo soffrire, ma d’altra parte, deve sapere.”
Invece di rispondere mi stampò dei bacetti lungo la spalla, risalì lentamente la lunghezza del collo e solo quando giunse all’orecchio mi bisbigliò: “Vieni qui, piccola.”
Inutile dire che mi sciolsi tra le sue braccia come il burro!

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Capitolo 3
*** L'incubo della realtà ***


Capitolo 3
L’incubo della realtà
 
Solo in seguito seppi cosa accadde quella mattina. Pare che Peter sognò quello che stava accadendo tra me ed Edmund, come se fosse stato presente nella mia stanza. Fu Susan a svegliarlo quando, passando davanti alla sua stanza, si accorse che il fratello si stava contorcendo nel sonno.
Lui si svegliò di soprassalto e si guardò intorno, sentendosi perso.
Susan tentò di calmarlo, senza però alcun tatto: “Ehi, è mattina, controllati!”
Peter si stropicciò gli occhi con le mani, fino a quando riprese lucidità: “Cosa c’è? Perché sei qua?”
“Io e Lucy non riusciamo a trovare Edmund.”
“Si sarà nascosto da qualche parte, lascialo perdere.”
“Ma… il letto non è sfatto, perché?”
“Come dici?”
Voltò lo sguardo sulla destra e si accorse che in effetti il letto di Edmund era intatto. Un dubbio s’insinuò nella sua mente. L’incubo appena terminato diventò terribilmente reale.
Susan si preoccupò: “Peter, dove può aver passato la notte?”
Peter, con lo sguardo puntato nel vuoto, parlò tra sé: “Non è possibile.”
Io ed Edmund, nella mia stanza, eravamo ancora seminudi. Lui aveva addosso solo i pantaloni, mentre io avevo già la gonna, il reggiseno e stavo cercando di infilarmi una camicetta, ma l’impresa si rivelò impossibile con lui che continuava a tenermi ferme le braccia e a baciarmi il collo. Provai a richiamarlo all’ordine, anche se mi uscivano risatine che smentivano ciò che dicevo: “Dai, lasciami vestire! Dobbiamo andare a colazione! Su!”
Lui, in tutta risposta, affondò ancora di più le labbra, facendomi ridere più forte. Fu in quel preciso istante che la porta si spalancò.
Io mi coprii subito stringendo la camicia sui seni, imbarazzata, Edmund invece, serio e tranquillo, fece qualche passo in avanti. Peter, immobile sulla soglia della porta, con la maniglia stretta in mano, sembrava una statua di sofferenza.
Edmund gli si rivolse un po’ rozzo: “Che ci fai qui?”
Lui posò lo sguardo su di me, facendomi sentire in colpa, tanto che mi vennero le lacrime agli occhi: “Peter, posso spiegarti.”
Edmund incalzò: “Allora?”
Peter scosse la testa e rispose al fratello: “Come hai potuto farmi questo?” Poi alzò la voce: “Come hai potuto farmi questo? Sapevi che l’amavo.”
“Bé se è per questo, anch’io l’amo.” Sul suo volto la sfida.
Le labbra di Peter s’incurvarono per il disgusto: “No, tu non ami nessuno all’infuori di te stesso.”
“E’ qui che ti sbagli, fratello.” Rispose a denti stretti e con sguardo assassino.
“Lo vedremo.” Si lanciò su di lui come una furia, cogliendolo di sorpresa, e riuscì a sferrargli un pugno alla mascella che lo fece cadere a terra. Io gridai: “Peter, no!”
Edmund si tastò la guancia, poi digrignò i denti e si alzò con uno slancio per assalire Peter, il quale sostenne il suo peso senza troppe difficoltà. Vedendo che si picchiavano, urlai di nuovo, ma nessuno dei due era intenzionato a fermarsi. Quando Edmund fu nuovamente atterrato ne approfittai per corrergli incontro in modo da fare da muro divisorio tra i due. Trattenendo Edmund dietro di me, parlai a Peter: “Ti prego non fare così. Non a causa mia.”
Peter strinse i pugni prima di rispondermi: “Tu sei innocente, questa è una cosa tra me e lui. E’ sempre stata una lotta tra me e lui.”
All’improvviso piombarono nella stanza Susan e Lucy. La prima gridò: “Che succede qui?”
Entrambe si guardarono attorno, notando i lividi sui visi di Peter ed Edmund e me con la camicetta aperta. Non fu difficile intuire la situazione.
“Chiedilo a nostro fratello.” Peter uscì dalla stanza seguito dalla piccola Lucy.
Susan mi lanciò un’occhiata di disgusto: “Complimenti Cambridge!” E uscì a sua volta.
Io mi voltai verso Edmund per vedere i lividi che aveva sul viso, ma lui mi scostò rabbioso e corse fino alla rampa delle scale dove gridò a squarciagola: “Peter! Sei solo geloso perché lei ha scelto me e non te!”
Lo guardai mentre riprendeva fiato, stando aggrappata alla porta, poi lui mi raggiunse, mi prese sotto braccio e insieme rientrammo all’interno della stanza.
 
Inutile dire che sia a colazione sia a pranzo, Peter non si fece vedere. Aveva lasciato detto alla governante che lamentava dei dolori allo stomaco, così poté restare chiuso nella propria stanza indisturbato tutto il giorno. Per prudenza, io evitai accuratamente di avvicinarmi o rivolgere la parola a Susan che, tra l’altro, aveva tenuta stretta a sé Lucy per farmi dispetto. Stavo male per quanto era accaduto, al contrario di Edmund, serio sì, ma abbastanza normale, perciò mi decisi  a parlargli nel pomeriggio quando restammo soli in biblioteca.
Eravamo sdraiati sul divano, io sopra a lui mi sostenevo poggiata su di un gomito, lui mi cingeva la vita con le braccia. Nonostante la posizione, non ci eravamo ancora scambiati un bacio.
“Eddy, davvero non ti fa nessun effetto?”
“Cosa?”
“Quello che è accaduto.”
Sbuffò: “No, abbiamo sempre litigato io e lui.”
“Fino ad arrivare alle mani?”
“Qualche volta, ma siamo sempre stati interrotti.”
“Anche se lui dice di no io so di essere colpevole. Anche Susan me lo ha fatto capire.”
“Non badare a Susan. Essendo la sua gemella lo ha sempre difeso. Ora ha dato la colpa a te, come altre volte l’ha data a me o a chiunque si presentasse a tiro.”
“Mi odia dal primo momento. L’ho notato subito.”
Lui mi portò una mano sotto al mento, in modo che lo guardassi dritto negli occhi: “Hai me, non deve importarti niente di loro.”
Sorrisi: “Solo ventiquattro ore fa non ci eravamo mai sfiorati! E per di più stavo iniziando una relazione con tuo fratello!”
“Vera, guarda in faccia alla realtà. Ci ha messo un mese per darti un bacio. Io gli ho lasciato campo libero perché sembrava che tu lo ricambiassi. Quando ho visto ciò che è accaduto in giardino ho capito che non avevo motivo di aspettare ancora.”
Mi resi conto dell’evidenza: “Eri tu alla finestra. Mi sentivo osservata anche se non vedevo nessuno.”
Rispose asciutto: “Sì, ero io”
“Hai aspettato, facendo in modo che fossi io a desiderarti.”
“Sei arrabbiata?”
Sospirai rilassata: “No, non potrei mai. Sono sicura di quello che provo per te. Anche se è troppo presto per dirlo a voce.”
Edmund mi sfiorò le labbra con un bacio, soffermandosi dolcemente, poi sussurrò: “Io ti amo, non ho paura di ammetterlo.”
Lo guardai sorpresa, ma non riuscii a ricambiare la sua confessione.
 
La sera stessa, restammo tutti sbalorditi quando Peter entrò nella sala da pranzo per unirsi a noi.
“Scusate il ritardo, non mi ero accorto dell’ora.”
Mio nonno gli fece un sorriso e, con un gesto, lo invitò ad accomodarsi. Improvvisamente lo spezzatino accompagnato da patate bollite cambiò gusto per me.
Mi voltai verso Edmund ma lui fece spallucce come per dirmi di non dare importanza alla sua presenza. Per quanto mi sforzassi, non potei fare a meno di alzare spesso lo sguardo su Peter per tentare di capire come si sentisse.
Dopo cena, stavo guardando fuori dalla finestra del salotto, assorta, quando una voce mi fece voltare: “Volevi parlarmi?”
Rimasi a bocca aperta qualche istante prima di riuscire a rispondere: “Si, ma…come lo…?”
Peter fece un mezzo sorriso: “Come lo so? Per tutta la cena non hai fatto altro che guardarmi! Poi ho visto che Edmund si è ritirato per fare il bagno e ho pensato che fosse il momento migliore per avvicinarmi a te.”
Impacciata, presi a stropicciarmi le mani. Lui si avvicinò e mi prese le mani tra le sue: “Non devi fare così, non sono arrabbiato con te.”
“Ma io ti ho ferito!”
“Doveva succedere. Non ha senso rivangare il passato.”
“Non vi rivolgete più la parola e io sono l’unica colpevole.”
“Lui mi ha pugnalato alle spalle. Tu hai solo seguito i tuoi sentimenti.”
“Ma io sento che vi amo entrambi!”
Non potevo credere di averlo detto davvero! Se qualcun altro avesse sentito la mia confessione sarei stata perduta per sempre. Edmund non mi avrebbe mai perdonata.
Peter, invece di essere sorpreso, sembrava contento della mia affermazione, infatti mi sorrise: “Ne sono felice. Posso avere una speranza che un giorno ti possa innamorare di me più di quanto ami lui.”
“No, non devi. Non è giusto. Non voglio che mi aspetti.”
“E’ una mia scelta.” Improvvisamente si fece serio: “Però c’è una cosa che dovrei chiederti.”
“Dimmi.”
“Se ieri sera tu avessi fatto l’amore con me invece che con lui, ora saresti mia?”
Sentii le lacrime salire agli occhi: “Non lo so, Peter. Davvero non lo so.”
Lui mi accarezzò una guancia, ponendo fine al colloquio: “Va bene. Ti auguro la buonanotte, mia amata.”
Vedendolo allontanarsi mi sentii così debole che dovetti sedermi su uno dei divani, per timore di cadere a terra. Mi ci vollero dieci minuti per riprendermi. Senza guardarmi attorno mi precipitai nel bagno dove si trovava Edmund.
“Vera, cosa c’è?”
Io mi spogliai velocemente ed entrai nella vasca, sedendomi cavalcioni su di lui.
Il suo sguardo interrogativo era più che giustificato.
Dissi con voce spezzata: “Ti amo, Edmund.” E lo baciai in modo famelico mentre le lacrime presero a rigarmi le guance.

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Capitolo 4
*** Nuovo mondo nell'armadio ***


Capitolo 4
Nuovo mondo nell’armadio
 
Erano passate due settimane da quel giorno, durante le quali i rapporti tra noi erano diventati più civili. Ricordo che pioveva così forte da sembrare la fine del mondo. Eravamo tutti e cinque in biblioteca, intenti a fare un gioco.
Susan aveva in mano il vocabolario: “Cardiovascolare.”
Peter, buttato sulla poltrona, chiese senza impegno: “Deriva dal latino?”
Edmund intervenne brusco: “Sì! Significa ‘gioco più noioso del mondo’! Come ti è venuto in mente, Vera?”
Io, seduta accanto a lui, risposi a tono: “Mi avete chiesto se conoscevo un gioco da fare in casa e a me è venuto in mente questo! Nella mia scuola a Cambridge organizziamo veri e propri tornei sull’etimologia delle parole!”
Peter mi difese: “Ha ragione lei. Non è colpa sua se noi siamo ignoranti come capre.”
Susan, infastidita, sbatté il vocabolario per chiuderlo.
Per fortuna Lucy si fece avanti: “Peter, giochiamo a nascondino?”
“Lu, non possiamo. Se rompiamo qualcosa la governante ci cucina per cena.”
“Dai! Ti Prego!”
Fece finta di essere irremovibile, ma poi iniziò a contare: “Uno, due, tre…”
Noi scoppiammo a ridere e ci dileguammo dalla stanza per cercare un nascondiglio. Susan si nascose dentro una vecchia cassapanca, mentre io ed Edmund prendemmo possesso delle due tende nel corridoio. Lucy volle nascondersi con noi, ma Edmund la cacciò: “Trovati un altro posto.”
Io mi inginocchiai, parlandole in modo gentile: “Tesoro, prova a nasconderti in una delle stanze sul corridoio di sinistra.”
Lei mi sorrise e corse via.
Peter finì di contare e parlò ad alta voce: “Spero per voi che siate ben nascosti!”
Io stavo immobile, quasi senza respirare, quando sentii la voce si Lucy: “Sono tornata!”
Io ed Edmund uscimmo dal nascondiglio per capire cosa stesse succedendo e arrivò anche Peter.
 
La storia che la piccola Lucy ci raccontò fu inverosimile. Non credevo che quella bambina avesse un’immaginazione così viva. Mi chiesi come mai, avendo insistito per giocare a nascondino, poi avesse rovinato tutto raccontando la fiaba di un mondo all’interno dell’armadio. Comunque mi parve tutto ancora più strano quando quella stessa notte, Edmund tornò in camera mia a mani vuote.
“Eddy dov’è  l’acqua?”
Rispose perso: “Che?”
“L’acqua! Avevi detto che andavi a prendere una brocca d’acqua perché avevi sete!”
“Ah già. No è che… Camminando mi è passata.”
Si tolse la vestaglia e rimase con addosso solo i pantaloni del pigiama a righe azzurre. Quando si rimise a letto accanto a me, io notai che aveva qualcosa di bianco sul mento.
Lo tolsi con un dito: “Cos’è questo?” Lo assaggiai: “Zucchero a velo? La governante ti cucinerà in forno per aver frugato nella dispensa dei dolci.”
Mi prese le mani tra le sue e mi parlò con occhi che brillavano: “Vera, ti piacerebbe diventare regina?”
Alzai un sopracciglio e mi schermii: “Amore mi fai paura.”
“Una volta mi hai detto che ti piace la neve. E’ perfetto perché sarai proprio la regina delle nevi. E io sarò il tuo re.”
“Inizio a sospettare che non fosse zucchero a velo. Ed, di che parli?”
Aprì la bocca per rispondere però si fermò, come rendendosi conto delle assurdità che stava dicendo.
Un gran baccano di voci richiamò la nostra attenzione.
Mi allarmai: “Edmund, proviene dalle stanze degli ospiti. Sono i tuoi fratelli. Andiamo a vedere.”
Entrambi indossammo le vestaglie e andammo nella stanza di Peter, dove, tecnicamente, avrebbe dovuto dormire anche Ed.
Facemmo appena in tempo a varcare la soglia della stanza che Lucy parlò euforica: “Stavolta c’era anche Edmund! Diglielo che Narnia esiste!”
Lo vidi spiazzato a quella affermazione e ancora di più quando Peter gli chiese incredulo: “Hai visto quel luogo? Hai conosciuto un fauno con Lu?”
Io azzardai un sospetto: “Non avrà a che fare con quello strano discorso che mi hai fatto prima, vero?”
Edmund ci guardò uno ad uno per darsi tempo: “No! No, ma che dite? Io l’ho vista giocare e ho finto di condividere le sue fantasie!”
Lucy scoppiò a piangere e corse fuori dalla stanza seguita da Susan. Peter scattò in piedi con un balzo, spinse Edmund contro il letto e mi parlò mentre correva fuori: “Ti chiedo scusa, Vera!”
Mi voltai a guardare lo sguardo schifato di Edmund, poi lo aiutai ad alzarsi.
“Allora? Dimmi la verità.”
“Non ho niente da dire stasera. Andiamocene a dormire.”
Sbuffai spazientita, ma lasciai che mi prendesse per mano e che mi riportasse nella mia stanza.
Ovviamente rimasi accigliata per quella storia, così, la mattina seguente decisi di restare nella mia stanza a leggere. Tra me e Lucy non saprei dire chi fosse più cupa quella mattina!
Avevo approfittato dell’assenza degli altri per parlare con lei, scusandomi per il comportamento di Edmund nei suoi confronti e, tra una gentilezza e l’altra, le avevo prestato un libro di favole di Handersen.
“Andrò subito a leggerlo in giardino, grazie!” Il suo sorriso era un po’ forzato però sapevo che in fondo ne era contenta.
Dalle scale sentii la voce di Edmund: “Ehi Vera, noi giochiamo a baseball, vuoi venire anche tu?”
Mi rivolsi a Lucy: “Tu scendi pure, piccola.” Girai sui tacchi ed entrai nella mia stanza sbattendo la porta così forte che il rumore rimbombò per tutta la casa.
Edmund fece una smorfia come se avesse ricevuto un colpo in faccia: “Mi sa che è ancora arrabbiata con me.”
Susan e Peter lo canzonarono: “Perspicace!”
Non era passata neanche un’ora quando udii un forte rumore vitreo. Quando aprii la porta incrociai i quattro fratelli ed Edmund si affrettò a venire a prendermi: “Per sbaglio abbiamo rotto un vetro. Credo che la governante ci stia inseguendo.”
Peter precisò: “Veramente il vetro lo hai rotto tu.”
Mi trascinarono per il corridoio, cercando un rifugio che andasse bene per tutto il gruppo, fino a quando entrammo nella stanza dove era custodito il vecchio armadio di mio nonno.
“Ragazzi, non vorrete davvero entrare lì dentro?! Non avete ucciso nessuno!”
Edmund mi afferrò per il giro vita: “Tu entri con noi.”
Susan tuonò: “Ho avuto un’idea. Se riprendo la palla nessuno potrà dire che siamo stati noi.”
Peter cercò di fermarla ma lei uscì dalla stanza come un fulmine.
Edmund gli intimò: “Non c’è tempo! Entra! Anche tu Lucy.”
Entrambi si affrettarono e ci ritrovammo stretti tra una serie di cappotti e pellicce soffocanti.
Accadde l’impossibile.

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Capitolo 5
*** La gelida tentazione ***


Capitolo 5
La gelida tentazione
 
Edmund mi teneva ancora tra le sue braccia quando qualcosa di freddo e umido mi sfiorò il viso.
Sembra incredibile, eppure al posto del fondo dell’armadio c’era un ingresso alberato ad un altro mondo. Un mondo che assomigliava ad un bosco innevato e niente più, ma pur sempre un mondo nell’armadio. Il mio entusiasmo si guastò subito quando Peter accusò Edmund di essere un bugiardo e pretese che facesse delle scuse a Lucy. Rimasi a guardare la scena, muta, e allo stesso tempo un po’ infastidita per il modo in cui gli parlarono.
Poi Peter si rivolse a me: “Se prendiamo in prestito dei cappotti tuo nonno si arrabbierà?”
Risi divertita: “Siamo dentro ad un armadio, non credo se ne accorgerà!”
Purtroppo la mia risata non fu condivisa, anzi, dopo aver dato a me e a Lucy dei vecchi cappotti da uomo, porse ad Edmund una vaporosa pelliccia.
Ovviamente lui protestò: “Ma è da donna!”
Peter  lo sfidò: “Appunto.”
Stava per ribattere ancora, ma io lo afferrai per un braccio: “Eddy, lascia stare. Per favore.”
Lui mi accontentò e prese la pelliccia senza fiatare. Aspettò che Peter e Lucy si incamminassero per primi per sussurrarmi all’orecchio: “Meno male che Susan non è qui. Non riuscirei a sopportare anche lei.”
Ammisi: “Nemmeno io.”
 
Quando arrivammo alla dimora del fauno conosciuto da Lucy, trovammo solo un gran disordine e un foglio con su scritto che il presunto fauno era stato catturato e imprigionato per aver frequentato un umano. Sentendo il nome di Jadis, la regina di ghiaccio, mi tornò alla mente il vaneggiamento di Edmund. Non ebbi il coraggio di chiedergli spiegazioni, al momento.
Per tenere calma Lucy, le promettemmo di aiutarla a trovare un modo per liberare il suo amico, così ci mettemmo in cammino sulla vasta distesa innevata.
A poca distanza, ci capitò davanti un castoro. Mi correggo, un castoro parlante, che ci invitò a passare la notte nella sua casa costruita accanto alla diga.
Prima di arrivare, restammo tutti a bocca aperta nel vedere il paesaggio che si presentava all’orizzonte. Io più di tutti mi illuminai: “Che castello stupendo! E’ costruito interamente col ghiaccio!”
Edmund si mise al mio fianco con aria soddisfatta: “Lo è davvero! E potrebbe essere nostro se lo desideriamo. Immagina: dolci e cioccolato caldo a volontà!”
Prendendolo come uno scherzo, risposi sorridendo: “Ma dai!”
 
Attorno ad una tavola imbandita, in compagnia del castoro e di sua moglie, non rimasi meravigliata  quando ci narrarono di una strana leggenda riguardo ad un leone di nome Aslan, al potere malefico della regina Jadis che teneva in schiavitù il popolo e all’esistenza di due figli di Adamo e due figlie di Eva che avrebbero salvato e governato Narnia. Una volta che ci fummo tutti alzati, Edmund mi  avvolse il girovita con un braccio e  mi disse: “Io esco un attimo, mia regina.” E si dileguò.
Pensai semplicemente che fosse uscito per un’esigenza personale, ma quando Peter mi chiese dove fosse andato mi fece allarmare: “Perché hai lasciato che uscisse di nascosto?”
“Ha detto che usciva un attimo. Che ti prende?”
Il castoro disse ciò che non avrebbe mai dovuto dire: “Edmund è mai stato a Narnia prima?”
Io, Peter e Lucy ci guardammo impauriti, poi Peter corse fuori e tutti lo seguimmo, constatando che Edmund stava correndo verso il castello di ghiaccio.
Come impazzita, feci per corrergli dietro, ma Peter mi afferrò per le braccia, trattenendomi.
“Lasciami! Devo andare da lui!”
“No! Se lo segui la regina imprigionerà anche te.”
“Non posso lasciarlo!”
“Ora non puoi fare niente.”
Cedetti alla sua forza e al bisogno imminente di piangere. Lui, molto gentilmente, lasciò la presa ferrea e mi abbracciò per cercare di darmi conforto.
 
Fuori al freddo, nell’oscurità profonda della notte, senza cappotto, seduta sulla neve e con le braccia attorno alle ginocchia, continuavo ad osservare il castello in attesa di vedere un segno di vita o un qualunque segnale che Edmund stesse bene. Ebbi un leggero sussulto sentendo qualcosa di caldo calarmi sulle spalle.
Peter arricciò un angolo della bocca: “Scusami. Ho pensato che avessi freddo.”
Con le mani strinsi i lembi del cappotto sotto la gola e gli accennai un sorriso: “Grazie!”
Si sedette accanto a me: “Qualche movimento?”
Scossi tristemente la testa: “Nessuno.”
“Tu sai perché lo ha fatto?”
“Peter, non devi giudicarlo male. Lui non aveva cattive intenzioni.”
“Lo difendi ancora prima che io lo abbia accusato.”
“Voleva solo essere felice e rendere felice me. Ha agito d’impulso.”
Ci fu silenzio tra noi, poi Peter mi chiese: “Ha importanza restare qui fuori?”
Sorrisi malinconica al panorama: “Mi aspetto di vederlo uscire da quella grande porta da un momento all’altro. Sono così sciocca.”
Sentii il suo sguardo dolce su di me: “No, non lo sei.”
Mi sfiorò una guancia con un bacio, ma io rimasi immobile a fissare il castello. Scoraggiato, si alzò e si diresse verso l’entrata della tana: “Ti aspetto dentro.”
Con mia sorpresa, dopo pochi minuti, la porta del castello si aprì davvero, solo che invece di Edmund ne uscì un branco di lupi grigi dall’aspetto inquietante, molto probabilmente diretti alla casa del castoro. Mi alzai velocemente e corsi dentro: “I lupi! Credo che stiano venendo qui!”
Il castoro puntualizzò: “Quel ragazzo ha fatto la spia.”
Gli gridai contro: “Chissà cosa gli hanno fatto per farlo parlare! Non sai niente, castoro!”
Eravamo intenzionati ad azzuffarci ma sua moglie intervenne: “Fermi voi due! Dobbiamo fuggire!”
Di gran foga ci avventurammo per dei tunnel sotterranei scavati personalmente dai castori, fino a raggiungere uno sbocco a debita distanza dalla diga.
I due si congedarono: “Noi andiamo dagli altri castori a lanciare l’allarme. Voi seguite questo sentiero il più velocemente possibile. L’accampamento di Aslan è a meno di un giorno di distanza da qui.”
Riprendemmo la nostra corsa forsennata per un bel po’ di tragitto, finché non fummo esausti. Sostammo alle radici di un enorme albero, sicuramente antico, ed approfittammo della neve per bere, un bene necessario dopo la lunga corsa.
Stremate, sia io che Lucy ci rannicchiammo accanto a Peter, una da un lato e una dall’altro. Lui ci strinse più forte a sé in modo che ci potessimo scaldare meglio e così, nel dolce tepore emanato dai nostri corpi, mi addormentai serenamente. Sognai di essere stretta tra le braccia di Edmund.
 
Il mattino seguente, quando il sole era già sorto, riprendemmo il nostro viaggio. Giunti alla fine di quel bosco, capimmo che ormai eravamo vicini alla meta. Dovevamo solo attraversare la vallata che avevamo di fronte, infiltrarci nel bosco successivo e fare un ultimo tratto di strada per arrivare all’accampamento.
Camminavo silenziosa, immersa nei mie pensieri, quando fui richiamata dalla voce di Peter: “Va tutto bene?”
Cercai di simulare un mezzo sorriso: “Stavo pensando ad Edmund.”
Lui non riuscì a trattenere il sarcasmo: “Mi sarebbe parso strano il contrario.”
E io non riuscii a trattenere le lacrime: “Mi manca così tanto.”
Peter si preoccupò subito: “Ehi, non fare così. Sono sicuro che sta bene.”
“Ho tanta paura. Quella strega potrebbe avergli fatto del male.”
Non ebbe il coraggio di tranquillizzarmi su una cosa di cui non poteva essere sicuro, perciò rimase in silenzio. Per fortuna Lucy salvò la situazione, porgendomi il suo fazzolettino: “Tieni, asciugati le lacrime. Vedrai che lo incontrerai presto.”
Io obbedii e le dissi commossa: “Grazie, Lucy.”
In quel momento udimmo il forte rumore di qualcosa che correva sul ghiaccio. Vedendo la slitta e chi la guidava, gridammo all’unisono: “Jadis!” Con lei c’erano anche i lupi. Non potei fare a meno di notare l’abbigliamento di Jadis: un invidiabile abito di pelliccia bianca, lusso che solo una regina poteva permettersi.
Ancora una volta riprendemmo a correre disperatamente. La nostra unica salvezza fu entrare nel bosco, dove ci nascondemmo in una imboccatura scavata nella roccia.
Tenemmo le orecchie tese ad ogni minimo rumore, finché non dichiarammo pericolo cessato. Avevamo appena messo naso fuori che udimmo un’altra slitta, ma stavolta accompagnata dal suono di tanti campanelli.
Io guardai Peter: “Non è lei ‘stavolta. Pensi che qualcun altro ci voglia trovare?”
Lui scosse il capo, confuso: “Non lo so.”
Al contrario di noi, Lucy sfoggiò un sorriso gioioso ed uscì correndo: “So chi è!”
Le gridammo: “Lucy, torna qui!”
La rincorremmo e ci ritrovammo di fronte ad un uomo alto, robusto e vestito di rosso. Alle sue spalle stava la slitta trainata da renne e contenente un grande sacco.
Lucy prese una rivincita su Peter: “L’avevo detto che esisteva.”
Io chiesi incredula all’uomo: “Lei è davvero chi penso che sia?”
Mi fece un sorriso bonaccione: “Sì, mia cara, sono proprio io! Ma bando ai convenevoli, ho delle importanti consegne per tutti e tre.”
Per prima cosa, regalò a Peter una prodigiosa spada d’oro da cavaliere e uno scudo, poi diede a Lucy un pugnale e una boccetta con un liquido miracoloso. Al mio turno, pensai a quanto mi sarebbe piaciuto avere una spada come quella di Peter. L’uomo parve leggermi nel pensiero, infatti, col sacco in mano, mi disse: “Per te avevo pensato ad arco e frecce. Ma forse tu non desideri diventare un arciere. E allora, ecco qua la gemella della spada di Peter.”
Quando la presi tra le mani rimasi incantata da tanta bellezza: “Oh la ringrazio!”
“E aggiungo anche questo corno, che potrai suonare quando ti troverai in difficoltà.”
Poi si rivolse a tutti: “Vi aspettano ancora molte imprese difficili da affrontare. Mi raccomando di fare buon uso di questi doni.”
Risalì sulla sua slitta e ci salutò: “Buona fortuna ragazzi!”
Lo guardammo allontanarsi, ancora sorpresi di aver incontrato un uomo che credevamo fosse solo una leggenda.
Ma non avemmo il tempo di parlarne, perché i lupi della regina ci raggiunsero nuovamente, costringendoci a correre alla rinfusa. Arrivammo ai piedi di quella che un tempo doveva essere una cascata e l’unico modo per salvarci era trovare il coraggio di attraversare il corso d’acqua ghiacciato.
“Peter, e se il ghiaccio dovesse cedere?”
“Non abbiamo altra scelta, dobbiamo tentare.”
Lucy si guardò attorno: “E’ come se l’inverno stesse finendo. Questa lastra di ghiaccio non sembra molto stabile.”
Peter iniziò a camminare lentamente: “Seguitemi piano.”
Noi lo seguimmo passo dopo passo tenendoci aggrappate al suo cappotto, ma all’improvviso il ghiaccio iniziò a creparsi tutto attorno a noi.
Peter affondò la spada nella lastra, gridando: “Tenetevi forte!”
Ci tenemmo strette a lui saldamente, mentre la lastra correva sul fiume che si era risvegliato, trascinando via alcuni lupi che ci avevano seguito.
Quando vidi un tronco pendere sulla sponda del fiume, ne approfittai per conficcarci la mia spada, così da fermare la corsa della lastra.
Una volta scesi da quella imprevista giostra del terrore, dovemmo renderci conto della realtà: gli alberi stavano fiorendo, la neve si stava sciogliendo, i prati stavano spuntando.
Era davvero primavera!

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Capitolo 6
*** Al cospetto di Aslan ***


Capitolo 6
Al cospetto di Aslan
 
Eravamo tutti un po’ nervosi quando arrivammo all’accampamento. Oltre al fatto che vi erano specie viventi che non avevamo mai visto in vita nostra, tra cui  minotauri e centauri, avevamo tutti gli occhi puntati addosso, come se nemmeno loro avessero mai veduto esseri umani a Narnia.
Quel percorso si rivelò il più lungo della mia vita, sotto gli sguardi dei presenti, che si erano divisi in due perfette sponde per lasciarci libero il passaggio.
Un centauro dal fisico scolpito (almeno per quanto riguardava la parte umana!) e dai lunghi capelli neri si rivolse a noi seriamente: “Venite.”
A quanto pare eravamo attesi!
In fondo alla via si trovava un tendone rosso, visibilmente lussuoso già dall’esterno. Non attendemmo che una manciata di secondi quando dalle tende comparve un leone di notevole stazza e dal magnifico pelo dorato.
Tutti attorno a noi s’inchinarono.
“Benvenuti, figlio di Adamo e figlie di Eva. So quanto il vostro viaggio sia stato difficile e pieno di pericoli, ma ora siete qui e non dovete più temere nulla.”
Io e Lucy eravamo incapaci di parlare, a causa dello stupore provocato da quella bizzarra situazione, perciò fu Peter a rispondere con impaccio: “Ehm, vi ringraziamo, maestà.”
“Vedo che siete solo in tre. Dov’è il quarto?”
Lo stupore scomparve. Feci un passo avanti con occhi tristi: “E’ stato rapito da Jadis. Dobbiamo aiutarlo. Quella strega potrebbe arrivare ad ucciderlo. Lui non…”
Peter mi mise una mano sulla spalla per interrompermi e parlò in tono secco: “Ci ha traditi, Aslan.”
La manifestazione di disappunto della folla mi ferì al cuore, ma ancor di più le parole vuote del leone: “Dovrò risolvere questa faccenda personalmente. Ora andate. Oreius vi mostrerà i vostri alloggi.”
Fece per rientrare nella tenda, allora noi ci girammo dalla parte opposta seguiti da Oreius, il centauro che avevo notato poco prima.
Lasciandomi prendere dalla disperazione, mi precipitai nuovamente verso il tendone e mi gettai in ginocchio sull’erba, piangendo: “Maestà, vi chiedo pietà per lui.”
Aslan si voltò a guardarmi, come fecero tutti gli altri. Oreius tentò di farmi rialzare ma si fermò ad un cenno del leone.
“Vi supplico, non fategli del male. E’ vero, ha commesso un errore, ma non voleva nuocere nessuno. Se pretendete di punire qualcuno allora mi assumo la piena responsabilità di ogni sua azione.”
“Perché fai questo, giovane fanciulla?”
Peter, dietro di me, distolse lo sguardo e strinse il pugno quando io pronunciai a chiara voce: “Io lo amo, maestà.”
Sentii dei nuovi sussurri dalla folla, ma non me ne curai.
Aslan rimase a guardarmi: “Se sarà pentito non gli torcerò un capello, hai la mia parola.”
Un sospiro di sollievo di levò dalle mie labbra. Lucy mi porse la mano per aiutarmi a rialzarmi.
 
Ci vennero assegnati un tendone blu e uno rosso, poco lontano dalla zona di raduno del campo. Davanti a quello blu, una centaura dai lunghi capelli rossi e alta almeno due metri ci attendeva sorridente: “Qui troverete tutto ciò che vi occorre!”
Lanciammo uno sguardo rassicurante a Peter e ci dividemmo.
All’interno vi erano due giacigli posti alle estremità opposte del tendone. Accanto a quello più decorato, c’erano una toletta e una specchiera.
“Io mi chiamo Karen. Per oggi sarò io ad occuparmi di entrambe. Ditemi i vostri nomi, per favore.”
Lucy le regalò un bel sorriso: “Io sono Lucy!”
Io sorrisi, ma in modo più contenuto: “Mi chiamo Vera.”
“Bene! Tu Lucy, indossa uno degli abiti che trovi nella cassapanca di sinistra. Voi, principessa, potete scegliere tra quelli numerosi della vostra cassapanca. Vi mostrerò anche i gioielli. E mi occuperò personalmente di pettinarvi i capelli.”
Entrambe strabuzzammo gli occhi a quel discorso strampalato e a quegli appellativi. Fui io a parlare per prima: “Perdonami. Come mi hai chiamata?”
“Principessa, vostra altezza.”
“Credo che tu stia sbagliando. Io non ho un titolo. Sono solo figlia di un’infermiera e di un pilota.”
“Qui siete la nostra principessa. Non temete, vi sentirete a vostro agio dopo l’incoronazione.”
Non avendo altro da obiettare, guardai la ricca scelta dei miei abiti e ne scelsi uno rosa antico con rifiniture di pizzo e cintura dorata, che ella stessa mi aiutò ad indossare, poi mi lasciai pettinare i lunghi capelli lisci per tutto il tempo che lei ritenne necessario.
Quando fui pronta, Lucy, con addosso un semplice vestitino blu e scarpine di tela, mi raggiunse, ma Karen la fermò: “Tu ora resterai qui con me. Ci sono molte cose che devo insegnarti.” Poi si rivolse a me con un inchino: “Voi, principessa, avete un importante appuntamento con Aslan.”
“Va bene, dove devo andare?”
“Il principe vi scorterà. Siete entrambi attesi.”
Fece appena in tempo a terminare la frase che udimmo la voce di Peter: “E’ permesso?”
Karen sollevò un lembo della tenda e sfoggiò un sorriso: “Benvenuto principe! La principessa è pronta.”
Lo sguardo di lui si posò su di me incantato e anch’io notai che con il suo nuovo abbigliamento era molto attraente: giacca rossa e pantaloni marroni, il tutto ricamato con fili d’oro. Il suo abbigliamento, come il mio e quello di Lucy, era rigorosamente in stile medioevale.
Camminai per raggiungerlo e, una volta fuori, lui mi porse il braccio: “Tanto vale abituarci fin da ora.”
Io lasciai una risatina a quella frase e insieme ci incamminammo.
“Vera, mi hanno detto che sono un principe. E’ impossibile!”
“E io sono una principessa. E’ incredibile!”
“Lucy invece che titolo ha?”
“Temo che sia la mia dama di compagnia. O la mia cameriera. Poverina, la tratterò il meglio possibile.”
“Spero che Edmund non sarà il mio valletto o finirò molto male!”
Un altro sorriso dipinse le mie labbra al suono di quelle parole.
In breve arrivammo in cima alla collina, dove Aslan ci attendeva.
“Vi sono degli argomenti che devo affrontare con voi, perciò vi chiedo di  prestate la massima attenzione.”
Entrambi rispondemmo asciutti e decisi: “Sì.”
“Voi conoscete la leggenda?”
Peter rispose: “Sì, un castoro ci ha narrato la storia.”
“Molto bene. Ora è mio compito informarvi ciò che è scritto sugli antichi libri segreti del reame. Per cominciare, guardate quel castello.”
Allungammo lo sguardo all’orizzonte, dove era costruito un imponente castello in cima ad un dirupo affacciato sul mare.
“Cair Paravel. Quando il male sarà annientato, è lì che voi abiterete e governerete. E’ scritto infatti che il regno sarà guidato dalla spada del re e da quella della principessa.”
Peter intervenne: “Volete dire ‘regina’. Quindi io e Vera convoleremo a nozze e governeremo il regno insieme.”
“No, ragazzo. Ho detto principessa perché parlo della sorella del re.”
“Ma Vera non è mia sorella.”
“Forse nel mondo da cui provenite. Qui a Narnia voi siete fratelli.”
Stavolta intervenni io: “E’ una pazzia! Non ci sono prove!”
Rispose semplicemente: “Guardatevi.”
Io e Peter scrutammo ogni particolare del nostro aspetto mentre Aslan continuava: “Capelli biondi della stessa sfumatura, occhi azzurri della stessa intensità, pelle rosea e delicata. Il regno sarà guidato dalla spada del re e da quella della principessa sua sorella, di due anni più giovane.”
Dentro di me i sentimenti trovarono un equilibrio al suono di quelle parole, però lessi negli occhi di Peter una profonda tristezza. Per un attimo temetti che sarebbe scoppiato a piangere di fronte ad Aslan, per poi abbracciarmi e rubarmi un bacio tutt’altro che fraterno. Fortunatamente il colloquio terminò presto.
Sulla via del ritorno Peter sembrava molto nervoso.
“Peter ascolta, ti abituerai a questa nuova situazione.”
Lui rispose bruscamente rientrando nel proprio tendone: “Alla fine vince sempre Edmund.”

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Capitolo 7
*** La scelta di restare ***


Capitolo 7
La scelta di restare
 
“Te lo giuro, non la smetteva più! Perfino in sogno continuava ad elencarmi i miei doveri!”
Io non potevo fare a meno di ridere mentre Lucy mi raccontava il pomeriggio precedente passato assieme a Karen, anche se il suo visetto era davvero velato di preoccupazione.
“Oh Lucy, non temere! Anche se ora sono una principessa resto sempre la persona che hai conosciuto! Non ho intenzione di diventare schizzinosa e pungente!”
“Mi fido di te, ma ammetto che mi ci vorrà del tempo per diventare una dama di compagnia come si deve.”
“Dubito che ce ne andremo presto… Non è il tempo che mancherà.”
Vedendo che Lucy rimaneva seria, mi avvicinai al bordo del ruscello e con la mano schizzai dell’acqua contro di lei. Finalmente le strappai un sorriso. Corse al ruscello anche lei e ricambiò con una serie di schizzi che fece ridere entrambe. Ci stavamo davvero divertendo, quando all’improvviso fummo assalite. Un lupo.
Lo riconobbi: “E’ il capobranco al servizio di Jadis.”
Ci ringhiò contro per spaventarci e funzionò, infatti scappammo a gambe levate e ci affrettammo ad arrampicarci su uno degli alberi a poca distanza da noi. Giusto il tempo di salire, che il lupo saltò rabbioso nel tentativo di azzannarci.
“Accidenti a me, avrei dovuto portare la mia spada.”
“Dobbiamo chiamare aiuto.”
“Da qua non ci udirà nessuno.”
“Hai il corno?”
Mi illuminai: “Giusto!” Presi il corno che avevo allacciato alla cintura e vi soffiai dentro.
In pochi minuti, Peter accorse in nostro aiuto, combattendo contro il lupo. Fu una lotta violenta, ma alla fine riuscì ad infilzarlo dritto nel ventre approfittando del momento che questo gli era saltato addosso per azzannarlo.
Io e Lucy scendemmo dall’albero, ancora leggermente spaventate e, con mia stessa sorpresa, mi gettai tra le braccia di Peter per cercare conforto. Nonostante la sorpresa iniziale, lui mi strinse dolcemente con il braccio libero: “Va tutto bene ora, amore mio.” Confesso che mi piaceva il modo in cui mi teneva stretta a sé, anche se non diedi troppo peso alle parole che aveva detto.
 
Dopo pranzo, mi trovavo davanti alla specchiera a godermi il piacere della pettinatura tenendo gli occhi chiusi. Sentire la spazzola passare tra i miei capelli come se li stesse massaggiando era una cosa estasiante. Un vero piacere fisico.
“Vera, se mi permetti esco un attimo. Vado a prendere una boccetta di olio di rose e ti faccio un massaggio alle spalle.”
Aprii a mala pena gli occhi per guardare il riflesso di Lucy allo specchio: “Sei un tesoro. Vai pure.”
Una volta uscita, cominciai a slacciare la pettorina del vestito verde smeraldo che indossavo. Un po’ maliziosa, sorrisi allo specchio per le mie rotondità: “Non sarebbe un peccato lasciare i seni un po’ più scoperti!”
Il mio sorriso si spense quando udii delle voci fuori dal tendone. Una voce in particolare mi fece battere il cuore all’impazzata. Era quella di Edmund.
“Aslan mi ha detto che sono il comandante  delle truppe. Dopo la battaglia mi nominerà Primo Cavaliere del regno. Ora se non vi dispiace vorrei ritirarmi, sono molto stanco. Dove posso riposare?”
Di scatto mi alzai dallo sgabello mentre la voce di Peter rispondeva: “Questo è il mio tendone, ma dentro ci sono due giacigli. A rigor di logica uno spetta a te di diritto.”
In tutta fretta sollevai il lembo della tenda e vidi Edmund di spalle. Come percependo la mia presenza si voltò a guardarmi. Mi ero completamente dimenticata di avere ancora la pettorina slacciata! I nostri sguardi si fusero in un’unica dimensione, mentre lui si avvicinava lentamente a me.
Le lacrime mi salirono agli occhi, le labbra leggermente tremanti si dischiusero: “Edmund!”
Di fronte a me, alzò una mano e mi accarezzò una guancia. Quel tocco mi ridiede la vita.
Lo abbracciai con forza sussurrandogli all’orecchio: “Amore mio mi sei mancato tanto.”
Lui, stringendomi allo stesso modo, rispose: “Non ti lascerò mai più, te lo prometto.”
Sciolto l’abbraccio, lo presi per mano e lo portai all’interno nel mio tendone.
Da fuori, Peter sbuffò e disse in tono sarcastico rivolto a Lucy: “Adesso non è più stanco.”
 
Se c’è una cosa di cui sono certa, è che niente al mondo è meglio di restare abbracciati dopo aver fatto l’amore. Soprattutto dopo una tragica separazione.
Avendo la sua testa poggiata nell’incavo tra la spalla e il collo ne approfittai per accarezzargli i capelli, abbastanza lunghi da poterli intrecciare tre volte attorno al dito.
“Ed, dimmi la verità, ti ha fatto del male?”
“Diciamo che non mi ha trattato coi guanti di velluto. Comunque non mi ha picchiato o torturato, non preoccuparti. Sono felice di essere riuscito a scappare.”
“Ho avuto tanta paura, devo confessartelo.”
“Lo so, Aslan me lo ha detto.”
“Cosa?”
“Quello che hai fatto per me. Mi stavo commuovendo  immaginando di vederti supplicare in ginocchio per salvarmi.”
“Ho temuto che ti avrebbe punito. Ero pronta ad affrontare le conseguenze della mia decisione.”
Sentii che il suo corpo irrigidirsi: “Non avrei sopportato che avessi pagato tu al mio posto.”
Con una mano gli carezzai la schiena: “Non è stato necessario. Ora sei qui. Siamo insieme.”
Le mie parole e le mie carezze lo fecero rilassare e non passò molto che il suo respiro si fece profondo. Il mio amore si era addormentato tra le mie braccia.
 
Verso sera, eravamo tutti e quattro a tavola per cenare. Edmund era più riposato rispetto al suo arrivo, io più serena. Peter invece rimase serio a lungo, finché non scoppiò sbattendo la forchetta nel piatto: “Ho preso una decisione.”
Noi lo guardammo sorpresi, ma fu Edmund a parlare: “Di cosa parli?”
“Dopodomani scenderò io in battaglia con le truppe. Voi vi rifugerete nel castello.”
Edmund sbatté i pugni sul tavolo: “No, combatterò anch’io.”
“Tu ti prenderai cura di Vera e di Lucy. Se dovessimo perdere la battaglia, sarai tu a difendere la popolazione da quella strega.”
“Non mi sento onorato. Voglio combattere al tuo fianco.”
Intervenni contro Peter: “Ti ricordo che ho ricevuto in dono una spada uguale alla tua. E’ mio dovere prendere parte alla battaglia.”
Lucy continuò: “Anch’io darò il mio contributo. Per quanto misero, posso aiutare i feriti direttamente sul campo.”
Peter ci fissò sbalordito: “Siete impazzite? Le donne… No, le ragazze… No, le…  Insomma, le ‘femmine’ di ogni specie resteranno nel palazzo al sicuro. Non voglio sentire obiezioni. Sono il re.”
Lo schernii: “Non fino all’incoronazione.”
Sembrava sul punto di fare una scenata, rosso com’era, e invece ci sorprese mettendosi a ridere: “Per essere una principessa e una cameriera siete toste! Non vi fermerò mai, vero?”
Io e Lucy rispondemmo sorridendo: “No, signore!”
Edmund alzò un sopracciglio: “Bé se possono lottare loro non ci sono ostacoli nemmeno per me, giusto? Non ho intenzione di starmene con le mani in mano. Sono il comandante.”
Peter sollevò le mani: “Mi arrendo. Siete troppo testardi. Pongo solo una condizione: sarete voi a dire ad Oreius che dovrà allenare due ragazze. Non ne sarà affatto contento e io non voglio affrontarlo in un diverbio.”
Noi tre scoppiammo a ridere al solo pensiero.

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Capitolo 8
*** Un sacrifico per la salvezza ***


Capitolo 8
Un sacrificio per la salvezza
 
Come previsto, Oreius allenò di buon grado Peter ed Edmund, ma si rivelò estremamente severo con me e Lucy.
A poca distanza da loro, mentre mi allenavo, atterrai su di un ginocchio per ripararmi da un poderoso fendente.
“Principessa così vi faranno a fette. Se non sapete difendervi come farete ad attaccare?”
Sbottai: “Facile per te! Sei a cavallo!”
Il suo sguardo mi fulminò, intimidendomi: “Cioè, intendo dire che sei un centauro, per questo è come se fossi… Va bene, riprendiamo l’allenamento.”
Lucy, che si allenò nel tiro al bersaglio col suo pugnale, si rivelò un tipetto tutto pepe e con una buona mira.
All’improvviso Karen arrivò galoppando verso di noi, con volto preoccupato: “Vostre altezze. Una notizia terribile. La regina del ghiaccio è qui.”
Peter aggrottò la fronte: “Jadis? E cosa vuole?”
“Sicuramente è venuta per il comandante Edmund.”
Edmund tremò visibilmente, ma lo stesso riuscì a parlare con tono convinto: “L’affronterò personalmente.”
Io e Peter lo trattenemmo per le braccia: “No!”
Gli portai una mano sotto al mento per richiamare la sua attenzione su di me: “Lei non aspetta altro che vedere il terrore nei tuoi occhi. Se ora vai là sarà soddisfatta del potere che ha ancora su di te.”
“Non ha alcun potere su di me. Ti sbagli.”
“Non mentire a te stesso, Ed.” 
Lui si guardò intorno smarrito, fino a quando incontrò lo sguardo di Peter che sembrava confermare le mie parole.
Sospirò rassegnato: “Ok, resterò qui.”
Peter gli diede una pacca sulla spalla: “Vera ti terrà compagnia. Andremo io e Lucy all’incontro. Appena sapremo qualcosa verremo ad avvisarti.”
 
Rimasti soli nella lunga distesa erbosa, presi una mano di Edmund tra le mie: “Aslan non permetterà che ti accada qualcosa.”
Lui non rispose, ma nei suoi occhi vidi un profondo terrore.
Pur essendo a distanza dal luogo di riunione, disgraziatamente, un soffio di vento stranamente gelido portò a noi una frase pronunciata da Jadis. Edmund ebbe un sussulto: “Vuole uccidermi! Non ho speranze! Nessuno mi salverà!”
Mi affrettai ad abbracciarlo: “Non dirlo neanche per scherzo. Aspettiamo che Peter ritorni. Sono certa che non è tutto perduto.”
Rispose al mio abbraccio seppur con mani tremanti.
L’attesa ci sembrò interminabile. Stretta tra le sue braccia, sotto al sole, mi sentivo accaldata, in contrasto con il corpo di Edmund che era freddo come una pietra.
Un boato di voci ci fece voltare verso l’accampamento e notammo che Peter stava correndo verso di noi col sorriso sulle labbra: “Ragazzi è tutto a posto!”
Edmund era ancora pallido: “Cos’hanno detto?”
“Non lo so, si sono ritirati per conferire in privato, però Aslan quando è uscito dal tendone ha detto che sei salvo. Ha sistemato tutto.”
Sentendo la notizia, le sue guance riassunsero colorito e dalle sue labbra si creò un cenno di sorriso.
 
Io ed Edmund avevamo passato la serata a passeggiare nel bosco, mano nella mano, senza nessuna preoccupazione, pur sapendo che il giorno seguente ci sarebbe stata la battaglia.
In una piccola radura avevamo anche intravisto Oreius e Karen scambiarsi tenerezze. Se non li avessi visti coi miei occhi non avrei mai detto che lui fosse innamorato!
Io ed Eddy ci eravamo scambiati alcuni baci durante la passeggiata, ma ogni volta eravamo stati costretti a ricomporci sentendo la presenza di uno dei numerosi soldati di guardia all’accampamento e alle zone circostanti. Edmund si guardò attorno spazientito: “Possibile che non ci sia un posto dove stare da soli?”
Feci una piccola smorfia disillusa: “Temo di no. Ogni angolo è sorvegliato.”
“Io però ho voglia di…” S’interruppe per non essere volgare.
“Ci sarebbe il mio tendone, però anche Lucy si trova lì.”
“Magari sta dormendo, potremmo tentare.”
Tornammo al mio tendone dove, col massimo silenzio, mi accertai della situazione. La tenda divisoria era ben chiusa e da dietro si sentiva un leggero respiro. Sottovoce provai a dire: “Lucy, sei sveglia?” Con mia gioia, non ottenni risposta.
Feci segno ad Edmund di entrare, entrambi ci togliemmo le calzature e ci sdraiammo sul mio giaciglio.
Edmund si slacciò i pantaloni, mentre io sollevai il più possibile le gonne perché non mi fossero d’intralcio durante il rapporto.
Ed mi parlò con un filo di voce: “Cerchiamo di coprire ogni respiro. Se Lucy ci scopre è la fine.”
Accennai un sì col capo e poggiai il viso contro la sua spalla.
Già dal momento in cui entrò in me dovetti fare appello a tutte le mie forze per tenere la bocca chiusa, tanto forte era il piacere, e anche lui ebbe difficoltà a trattenersi. Il rapporto diventò pian piano sempre più intenso, tanto da farmi temere che avremmo distrutto il giaciglio! Era una dura prova sentire il piacere così invadente e non poterlo manifestare. Raggiungendo l’apice, Edmund fu costretto ad affondare il viso sul cuscino per coprire il suono che uscì dalle sue labbra.
Fu un immenso sollievo poterci rilassare dopo quella scomoda e pericolosa bravata amorosa!
Ero appena entrata in uno stato di dormiveglia quando Edmund si rialzò sbuffando: “Devo tornare al mio tendone.”
Lo baciai intensamente sulle labbra un’ultima volta e poi mi rassegnai a guardarlo uscire.
 
La stanchezza per gli allenamenti della giornata e la paura provata, fecero in modo che il sonno mi cullasse entro breve. Non mi accorsi nemmeno che Lucy era uscita.
Fu uno strano spostamento d’aria a svegliarmi, poco prima dell’alba. Stropicciai gli occhi e vidi che si trattava di una ninfa degli alberi in fiore: “Principessa, dovete svegliarvi. Mi manda la dama Lucy. Aslan è morto. Si è sacrificato. Ed ora sarete voi e vostro fratello a comandare le truppe.”
Mi catapultai fuori, dove incontrai Peter ed Edmund: “Ho appena saputo.”
Peter disse: “Non abbiamo scelta, il comando passa a noi.”
Edmund aveva lo sguardo brillante: “Indossiamo le armature! Abbiamo una guerra da vincere!”
Loro indossarono degli abiti rossi e dorati, i colori di Aslan, e delle protezioni che coprivano testa, busto, braccia e gambe. Quella di Peter presentava l’incisione della bandiera di Narnia sul petto. Io, in quanto donna, indossai un abito rosso con la gonna folta e lunga, la parte dell’armatura per proteggere il busto e dei bracciali che ricoprivano dal polso al gomito. Le spade dorate che avevamo io e Peter pendevano orgogliosamente dal fianco, mentre quella argentata di Edmund era già nella sua mano, pronta a sferrare colpi mortali al primo nemico che avesse incontrato.

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Capitolo 9
*** Lotta per il regno ***


Capitolo 9
Lotta per il regno
 
Le nostre truppe erano schierate orgogliosamente in attesa dell’esercito nemico. Peter guidava la cavalleria e una truppa della fanteria dal basso, mentre io ed Edmund eravamo in cima al pendio con gli arcieri e la seconda truppa della fanteria.
Sentivo il vento caldo sul viso, i capelli e la gonna ondeggiare alle mie spalle, vedevo il luccichio prodotto dalla spada e dall’armatura e, solo per un attimo, mi specchiai negli occhi di Edmund. I nostri sguardi complici parlavano da sé, non c’era bisogno di aggiungere parole.
L’esercito nemico arrivò, scomposto, rumoroso, infestato di creature così rivoltanti che solo la malvagità poteva aver dato loro la vita. Al loro seguito la carrozza trainata da orsi bianchi polari di Jadis. Notai il suo nuovo abito di pelliccia dorata a pelo lungo: “L’unica cosa che mi piace di quella donna sono i suoi abiti! Una vasta collezione di pellicceria per ogni occasione!”
Edmund rispose con una punta di sarcasmo: “Peccato che le abbia sottratte ad animali morti a causa sua.”
La regina non attese, fece partire il primo plotone con le asce. In risposta, Peter mandò i nostri grifoni con dei pesanti massi. La prima manche era nostra!
Poi Peter ordinò la carica delle sue truppe e partì in testa al gruppo con la spada alta sulla testa. Edmund, come stabilito, fece partire la prima raffica di frecce verso l’esercito nemico.
Ricevuto il segnale da uno dei nostri soldati a cui avevo affidato il mio corno, scendemmo lungo le rocce in attesa che Peter ci mandasse i nemici in trappola. Nonostante l’abilità dimostrata da tutti, mi accorsi che eravamo in difficoltà, perciò mi lanciai nella mischia per aiutare i miei uomini.
Impegnata com’ero nel combattimento, non vidi Peter cadere da cavallo e la regina partire alla carica contro di lui, però fui quasi investita dalla corsa coraggiosa di Oreius per arrivare ad ucciderla. Ebbi un brutto presentimento quando vidi Jadis sorridere, infatti in pochi secondi trapassò il fianco di Oreius. Gridai: “No! Dannata strega!”
Stavo per correrle incontro quando sentii delle braccia trattenermi da dietro.
Peter gridò: “Ferma! Ti farai uccidere!”
Edmund corse da noi e Peter gli ordinò: “Prendila e portala via di qui. Battete in ritirata, stiamo perdendo.”
Inizialmente Edmund obbedì, poi però si voltò indietro ad osservare la battaglia.
“Jadis è sempre più vicina.”
Scattò via prima che potessi fermarlo: “Edmund, no! Torna qui!”
Con passo spedito andò da lei e sferrò un colpo che spezzò il suo bastone magico in mille frantumi. Quella prima vittoria la fece irritare così tanto che, senza esitare, lo colpì in pieno stomaco con la punta della propria spada. Tra me e Peter non so chi gridò più forte il nome di Edmund, però so che entrambi ci precipitammo furiosi su Jadis, assetati di vendetta.
La sua abilità era senza limiti, per riuscire a tenere testa ai nostri colpi scagliati contemporaneamente. Non rimasi lì a lungo, appena le lacrime iniziarono ad offuscarmi la vista, schivai la spada di lei e volai dove Edmund era caduto.
Mi gettai a terra accanto a lui: “Edmund! Edmund, sono qui!”
La ferita sanguinava a fiotti e lui boccheggiava per il dolore. Mi strappai un pezzo di stoffa della gonna e ne feci un fagotto che poi gli misi sotto al capo per dargli un po’ di sollievo, poi strappai un altro pezzo e lo usai per tamponare la ferita. Con la mano poggiata sulla sua fronte, sentivo il gelo della morte impossessarsi di lui poco alla volta.
Inutile dire che tutto ciò che mi stava capitando intorno non aveva più importanza per me. Nemmeno quando sentii il possente ruggito di Aslan, tornato miracolosamente in vita, pur sapendo che grazie a lui Jadis sarebbe morta, smossi lo sguardo. Nemmeno sapendo che con sé aveva portato dei rinforzi che ci fecero vincere la battaglia. Nemmeno quando Lucy e Peter corsero da noi.
Le mie guance erano rosse e bagnate di lacrime, gli occhi erano gonfi, la voce camuffata dal pianto, mentre recitavo preghiere per il mio amato: “Ti prego, devi guarire. Non puoi lasciarmi così.”
Dalla ferita era uscito così tanto sangue che la pezza era fradicia e la mia mano ricoperta di quel rosso mortale. Lui faticava a respirare, delle gocce gli erano colate lungo il mento quando aveva rigurgitato un po’ di sangue, gli occhi spenti puntati verso il vuoto.
Continuai: “Amore mio, resta con me.”
Una mano sulla mia spalla mi spaventò, facendomi voltare la testa di scatto.
Peter chiese inutilmente: “C’è speranza?”
Delle nuove lacrime sgorgarono dai miei occhi; non ebbi il coraggio di rispondere.
Nel momento in cui Edmund smise di respirare sentii il cuore spezzarsi. Con le mani lo scossi alle spalle gridando: “Edmund! Edmund apri gli occhi!”
Vedendo che stavo impazzendo, Peter mi prese di peso tra le sue braccia e lasciò che sfogassi il mio pianto isterico col viso affondato sul suo petto.
Lucy, completamene calma, aveva la boccetta  di liquido miracoloso in mano. Timidamente disse: “Io vorrei fare un tentativo.”
Cercai di fermare le lacrime per guardare l’operazione, in cui la piccola versò una goccia fra le labbra di Edmund. Rimasi in attesa, aggrappata ad una misera speranza. Stavo per ricominciare a piangere quando all’improvviso Edmund mosse le labbra. Aprì gli occhi come se si fosse risvegliato da un lungo sonno. Passò lo sguardo sui nostri volti, poi si fermò sul mio e mi sorrise: “Non ho nessuna intenzione di lasciarti, amore mio.”
Si mise seduto per accogliermi tra le sue braccia, mentre io avevo ricominciato a piangere, ma stavolta per la gioia.
 
Per il giorno dell’incoronazione e delle nomine, avevamo indossato degli abiti fantastici!
Lucy un vestitino verde oliva e fra i capelli una coroncina di edera. Edmund un completo di velluto nero con ricami argentati e un mantello argenteo sulle spalle. Io un vestito fucsia  ricamato in oro e un mantello dorato. Peter un lussuoso abito d’oro ricamato in rosso e un mantello platinato.
La sala del trono era gremita di gente, Aslan era davanti a noi. Ai suoi fianchi stavano Oreius e Karen. Entrambi tenevano in mano dei cuscini su cui vi erano riposte le corone dorate, di cui una un po’ più piccola e aggraziata da fantasie a rose, e delle pergamene.
“Vieni avanti Vera.”                                               
Camminai leggiadra fino a lui.
“Inginocchiati.” Obbedii, felice.
“Con questa corona io ti nomino Principessa Reale.”
Prese la corona, decorata con fantasie a rose, con le zanne e me la posò delicatamente sul capo.
Mentre mi rialzavo fui accolta da un’ondata di applausi.
Mi voltai e dissi: “Lucy, vieni avanti.”
Venne da me timidamente. Dal cuscino di Karen presi la pergamena che prima era accanto alla mia corona: “Con questo riconoscimento io ti nomino Dama e Guaritrice di Corte.”
Mi regalò un luminoso sorriso, stringendo la pergamena tra le mani. Entrambe tornammo ai nostri posti: io sul mio trono, lei  in piedi accanto a me.
Aslan disse ancora: “Vieni avanti Peter.”
Peter fece un sospiro per darsi coraggio e raggiunse il leone.
“Inginocchiati.” Lui per poco non perse l’equilibrio per la tensione.
“Con questa corona io ti nomino Re. D’ora in avanti sarai conosciuto come Peter il Magnifico.”
Prese la corona dal cuscino di Oreius e la poggiò sulla testa di Peter.
In tutta la sala si levarono grida di gioia, tanto che Peter riacquistò sicurezza in sé.
Si voltò per terminare: “Vieni a me, Edmund.”
Con passo sicuro arrivò in brevi falcate.
“Inginocchiati.” Edmund obbedì, ma tenendo lo sguardo sollevato su di lui.
Peter sfoderò la spada e passò la lama di piatto sulle spalle e sulla testa di Edmund: “Per il valore che hai dimostrato in battaglia, io ti nomino Comandante delle guardie e delle truppe reali e Primo Cavaliere del Regno.”
Mentre Edmund si rialzava, Peter prese la pergamena dal cuscino di Oreius e poi gliela porse. Lui la prese con orgoglio e ritornò al proprio posto con passo militare.
Peter si avvicinò a me e mi offrì la mano, che io accettai. Mi guardò negli occhi felice, poi si rivolse al pubblico con voce altisonante: “Che abbiano inizio i festeggiamenti!”
 
Era stato organizzato un banchetto con buffè, cioè delle enormi tavolate ricolme di cibo e bevande di ogni tipo.
Io e Peter danzammo per ore, incitati dai nostri sudditi che dimostravano di amarci e rispettarci fedelmente. Anche se non avrei dovuto, ogni tanto invece di riempire il calice di succo di frutta, assaggiavo i vini, con la conseguenza che ad un certo punto dovetti sedermi per placare i giramenti di testa.
Fu durante il tramonto che decisi di uscire sul terrazzo per godermi il panorama del sole rosso scendere sul mare e un po’ di tranquillità lontano dal forte rumore di risate e musica che c’era all’interno.
Il rumore di passi alle mie spalle mi fece voltare e incontrai lo sguardo passionale di Edmund. Sembrava un cacciatore di fronte alla preda: “Sei bellissima. Mi fai venire voglia di  assaggiarti.”
Se fossimo stati in luogo appartato e isolato mi sarei trasformata in una pantera, invece, trovandoci sul terrazzo, abbassai lo sguardo intimidita e intrecciai le mani in grembo.
Edmund si avvicinò del tutto e mi afferrò il giro vita con un braccio. Appoggiai le mani al suo petto, guardandolo negli occhi, ma proprio nel momento in cui le nostre labbra fecero per sfiorarsi, la voce di Peter ci fece sobbalzare: “Ecco dov’eravate!”
Mi coprii le guance arrossate con le mani, un po’ per l’imbarazzo e un po’ per lo spavento.
Edmund chiese galantemente: “Ora che ci hai trovati, saresti così gentile da lasciarci soli?”
Peter incrociò le braccia al petto e lo sfidò: “Lasciarti solo con mia sorella? Cavaliere, non essere invadente.”
Gli salì subito il sangue alla testa: “Cosa? Lei non è affatto… Se è uno scherzo non è affatto divertente, Peter.”
Peter lo tenne sulle spine ancora qualche secondo, poi scoppiò a ridere: “Tranquillo era uno scherzo! Insomma, non del tutto. Ricordati che Vera qui è mia sorella. E tu dovresti chiamarmi con il mio titolo. Inoltre, non so se vi concederò la libertà di amoreggiare in un luogo dove potrebbero vedervi.”
Edmund allungò un braccio in direzione della porta vetrata: “Sparisci, fammi il favore.”
Peter rientrò continuando a ridere come un matto.
Mi avvicinai di nuovo ad Edmund e gli allacciai le braccia attorno al collo: “Ha ragione lui, in verità. Sono una principessa. Non dovrei concederti certe libertà.”
Lui rispose con tono orgoglioso: “Invece io credo che conquisterò la fortezza già da stanotte. Ti amo, mia principessa.”
Unimmo le nostre labbra consapevoli che le nostre vite erano cambiate, ma che nessuno ci avrebbe mai impedito di stare insieme.

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Capitolo 10
*** La civiltà ritrovata ***


Capitolo 10
La civiltà ritrovata
 
Era trascorso solo qualche mese da quando io e Peter avevamo iniziato a governare su Narnia.
Il castello era diventato la nostra casa, ci eravamo ambientati, avevamo imparato a convivere nella nostra nuova condizione sociale, ci impegnavamo ad essere eccellenti nelle nostre mansioni. Peter si occupava delle questioni politiche. Io, con l’aiuto di Karen, mi occupavo di tutto ciò che riguardava il castello, come le faccende domestiche o le cucine o l’arredamento, e anche dei dettami della moda. Lucy stava studiando tutto sulla medicina e aveva un ampio laboratorio dove lavorava con unguenti ed erbe che poi usava per curare la gente. Edmund, con l’aiuto di Oreius, addestrava le truppe e si occupava della sorveglianza del castello e di tutti i territori sotto il dominio reale. Ormai i ricordi del nostro mondo di provenienza si erano affievoliti del tutto e presto sarebbero entrati nel dimenticatoio.
Quel giorno, io e Peter eravamo a tavola, quasi a termine del pranzo, intenti a mangiare dell’uva che avevamo nel piatto. Lui seduto a capotavola, io alla sua destra, ci godevamo la fortuna della tavola imbandita solo per noi. Di solito consumavamo i pasti assieme a Lucy e ad Edmund, ma in quell’occasione lei era andata in visita ad una famiglia di fauni malati e lui aveva preso una scorta all’alba per ispezionare un territorio dove c’erano stati degli strani avvistamenti.
“Peter, credi che ci sia davvero qualcosa tra quelle montagne?”
Bevve il vino dalla sua coppa e rispose con noncuranza: “Ce lo dirà Edmund quando tornerà.”
Una piccola ruga si creò al centro della mia fronte: “Non ci saranno dei seguaci di Jadis, spero.”
Prese la mia mano da sopra il grappolo e la strinse affettuosamente: “E’ impossibile. Molti sono morti in battaglia, altri hanno giurato fedeltà a me. I pochi rimasti sono rinchiusi nelle nostre prigioni e sotto stretta sorveglianza.”
Cercai la sicurezza nei suoi occhi, in effetti non avevo motivo di preoccuparmi. Neanche a dirlo, Edmund entrò nella sala, con portamento eretto e mano all’elsa della spada, giusto in tempo per vedere le nostre mani unite. Mi affrettai a ricompormi.
Si schiarì la voce e ci osservò con sguardo severo: “Spero di non disturbare.”
Peter puntualizzò: “Era preoccupata, Ed, non facevamo niente di male.”
“Ne parleremo dopo. Ora, se volete seguirmi, c’è una cosa che dovreste vedere.”
Lo seguimmo fino alla collina, dove si trovavano almeno un centinaio di persone umane. Uomini, donne e bambini, miseramente vestiti, radunati dai nostri soldati e assistiti da delle volontarie per avere cibo e acqua.
Rimasi a bocca aperta: “Sono umani come noi! Credevo che a Narnia non ce ne fossero!”
Edmund spiegò con calma: “Da decenni hanno vissuto nascosti nelle montagne. Sono gli unici umani sopravvissuti allo sterminio ordinato da Jadis.”
Peter fece un cenno con la testa: “Ordina agli uomini di montare tutti i tendoni disponibili. Se ci sono dei capi tra loro, mandali al castello. Devo parlargli.”
Girò sui tacchi e tornò indietro, così io ebbi l’occasione di parlare con Edmund: “Amore, non hai motivo di essere arrabbiato.”
Non mi guardò nemmeno: “Non ho detto di esserlo. Se non hai motivo di sentirti in colpa, perché parli così?”
Mi alterai: “Io non mi sento in colpa. Sei tu che sei geloso. Lo sai che ti amo e che Peter è diventato un fratello per me.”
Si voltò per guardarmi: “Vera, non ha senso questa conversazione. Torna al castello.”
 
Mentre Peter era a colloquio con un certo  Edgard Miraz che si era autonominato capo di quella piccola civiltà di sopravvissuti, io camminavo avanti e indietro per la mia stanza.
Sospirai: “Il sole è tramontato, perché Ed non arriva? Sapevo che era arrabbiato.”
Alle mie spalle la porta si aprì e si richiuse subito. Mi voltai per guardare, poi accennai un sorriso mentre correvo da lui: “Eddy!”
Lui rimase immobile e impassibile: “Ho fatto tardi per occuparmi dell’allestimento delle tende.”
“Stanno tutti bene?”
“Sembra di sì. Comunque staranno meglio qua che in quelle caverne dove vivevano. A proposito, Miraz è ancora a colloquio con Peter e i ministri?”
“Credo di sì. Spero non ci siano problemi.” Stanca di quel discorso, mi gettai su di lui per abbracciarlo: “Non è di questo che voglio parlare. Non sopporto di vederti così freddo con me.”
“Guarda che io non sono affatto freddo, sciocca!”
“Invece sì. Me lo hai appena dimostrato.”
Rimase in silenzio qualche momento: “E va bene, ammetto che ti ho mentito. Non sono stato con gli uomini fino adesso.”
Lo guardai dritto negli occhi: “Volevi evitarmi?”
Fece un leggero sorriso: “E poi non lamentarti se dico che sei una sciocca!”
Mise in mostra la mano che aveva tenuto nascosta dietro la schiena per tutta la conversazione. Vidi un mazzo di fiori bellissimi, di una specie che non avevo mai visto, una sorta di fiore tropicale dai petali larghi di tinta viola.
Manifestai la mia gioia: “Eddy, sono bellissimi! Ma dove li hai trovati?”
“Ce ne sono una miriade nella zona che abbiamo perlustrato stamattina. Questo è solo un piccolo mazzo, ma ho ordinato al giardiniere di piantarne in gran quantità nei giardini del castello.”
“E’ per questo che hai fatto tardi! Oh amore, e io che pensavo tutt’altro!”
M’incollai alle sue labbra, felice di sapere che tra noi era tutto a posto.
 
Il giorno seguente, fu indetta una riunione speciale riguardante i nuovi arrivati. Stando seduta al fianco di Peter, nella sala del trono, ascoltai con attenzione tutto ciò che venne detto, fino alla finale sentenza del re.
Peter parlò con voce chiara: “E’ deciso. Da domani inizieranno i lavori per la costruzione di una città in cui umani e narniani vivranno insieme. La chiamerò Telmar. Tale città verrà costruita ad un miglio esatto da qui, sempre affacciata sulla costa. Durante la costruzione verranno fatte delle elezioni in modo tale che anche gli umani abbiano dei ministri che li rappresentino nel consiglio di stato!”
Tutti applaudirono soddisfatti per il risultato.
Come promesso, furono eletti sei ministri umani che furono aggiunti ai sei narniani. Io nominai personalmente alcune ragazze come dame di corte per animare la vita al castello. Per quanto riguarda gli uomini, Edmund trovò degli ottimi combattenti che inserì nell’esercito reale. Nonostante questa prima distinzione, tutti s’impegnarono giorno e notte per velocizzare la costruzione della città.
 
Ricordo che un giorno andai nella zona riservata ai soldati per cercare Edmund. Chi si allenava, chi rideva e scherzava, chi giocava ai dadi, chi riposava all’ombra, la cosa importante era che andassero d’accordo tra loro. Mi recai nella zona appartata dove si trovavano la mensa, l’artiglieria, il dormitorio e l’ufficio del comandante. Per un attimo pensai che non vi fosse nessuno dato che la porta dell’ufficio era aperta e dall’interno non arrivava nemmeno un rumore. Mi affacciai alla soglia e vidi Edmund e un altro soldato, muti e attenti di fronte alla scacchiera.
Scherzai: “La sicurezza del regno è in buone mani!”
Entrambi si voltarono a guardarmi. Il soldato si alzò per educazione, Edmund mi fece segno di avvicinarmi e poi si alzò anche lui.
“Vera, ti presento Arthur Glozelle. L’ho nominato capitano, di recente.”
Arthur fece un inchino: “Incantato, maestà. La vostra presenza mi onora.”
Sorrisi: “Siete davvero gentile. Mettetevi a vostro agio. Siete così giovane.”
“Ogni vostro desiderio è una gioia per me, principessa. Io ho appena compiuto vent’anni.”
“Siete uno dei tanti che deve sopportare le sfuriate di Ed! Avete la mia comprensione!”
Edmund si vendicò scherzando: “E io compatisco le tue dame! Chissà che mal di testa!”
Gli diedi un colpetto sul braccio: “Non è vero! Cattivo!”
Mi accorsi dell’aria incantata di Arthur mentre mi guardava, come se mi adorasse, ma non volli andare a fondo della questione. Edmund aveva trovato un amico e ne ero felice.

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Capitolo 11
*** Il sogno coronato ***


Capitolo 11
Il sogno coronato
 
Ci vollero quattro anni per terminare la costruzione di Telmar ed assegnare un’abitazione  a tutti coloro che ne necessitavano. Furono anni intensi, in cui anche noi quattro eravamo cresciuti.
Lucy era diventata una bella ragazza, richiestissima dai malati anche per i dolori spirituali oltre che fisici. Edmund  era diventato più alto e aveva lasciato crescere i capelli che quasi gli sfioravano le spalle. Peter, ancora più alto, si era irrobustito e aveva lanciato la moda della barba corta. Riguardo a me, posso dire che non ero cambiata molto, a parte i capelli lunghi fino alle natiche e il seno più prosperoso!
Come dicevo, a causa della grande costruzione, dovetti attendere quattro anni prima di coronare il mio sogno d’amore. Io ed Edmund convolammo a nozze quando entrambi avevamo compiuto i vent’anni.
 
Quella mattina d’estate ero assolutamente radiosa dentro ad un abito di seta bianca che mi lasciava scoperte le spalle e le braccia, la gonna con strascico di tre metri, i capelli acconciati in una lunga treccia e con una coroncina di roselline in boccio sul capo, dove era attaccato il lungo velo che ricadeva sopra tutta la lunghezza della gonna. Ovviamente il bouquet era composto dai fiori viola scoperti da Edmund che io avevo ribattezzato ‘viole delle montagne’.
La chiesa del castello, dove solitamente i devoti si rifugiavano per onorare Aslan,  era addobbata di fiocchi bianchi e fiori perfino sul soffitto. I numerosi ospiti sembravano incantati dal mio passaggio. All’altare, Edmund mi aspettava con un sorriso orgoglioso, vestito con la divisa da cerimonia estiva composta da una tunica di seta nera sopra camicia e pantaloni di seta bianca. La spada dal manico argenteo brillava al suo fianco.
Per celebrare le nozze, avevamo scelto il Dottor Cornelius, l’anziano saggio della città, un uomo buono e sapiente dalla lunga barba grigia, che era ammirato per la sua conoscenza riguardo qualunque argomento.
Sui banchi dietro di noi vi erano i testimoni, Arthur per Edmund e Karen per me, che inoltre era in avanzata gravidanza dopo essersi felicemente sposata con Oreius.
Probabilmente, se ci fossimo sposati anni prima, avremmo chiesto a Peter e Lucy di farci da testimoni, ma, devo ricordarlo, col passare del tempo erano cambiate molte cose e noi avevamo trovato dei cari amici.
Fu un’emozione meravigliosa vedere il mio amore infilarmi la fede argentata al dito. L’aveva disegnata personalmente e aveva incaricato l’orefice del regno di crearla.
Cornelius pronunciò le parole: “Io vi dichiaro marito e moglie!”
Lasciai che Edmund mi prendesse tra le braccia e unimmo le nostre labbra felicemente, accompagnati da un’ondata di applausi.
Durante il banchetto ci furono consegnati i numerosi doni di nozze, tra cui il più importante e significativo per lui fu una scacchiera con pezzi dorati da parte di Peter.
“Ti sarà ancora più gradito giocare contro il tuo amico e avversario Glozelle.”
Edmund alzò un calice verso Arthur,  che ricambiò allo stesso modo, e ringraziò Peter: “E’ molto importante per me sapere che approvi questa forte amicizia.”
Gli  fece l’occhiolino, sorridendo: “Non siamo mica fratelli!”
Per me invece, il regalo più importante, e allo stesso imbarazzante, fu quello da parte di Lucy: un sacchetto ricamato che conteneva delle foglie essiccate.
“Servono per gli infusi contro la nausea.”
Risi: “Perché dovrei avere la nausea?”
Rispose maliziosa: “Ora che siete sposati potrebbe arrivare un principino!”
Sia io che Edmund ci ritrovammo con le gote in fiamme, per il divertimento degli ospiti che avevano sentito la conversazione ed erano scoppiati in sonore risate.
 
Mi è doveroso specificare che, anche se eravamo sposati e dormivamo quasi sempre nella mia stanza, Edmund aveva deciso di tenere anche la sua stanza personale nel dormitorio dei soldati, collegato al suo ufficio privato. Era mio marito e per questo aveva assunto il titolo di Principe, però era pur sempre un fiero comandante  a stretto contatto coi suoi uomini.
Mi sento ancora oggi responsabile per ciò che accadde dopo. Forse a causa della pressione che gli davo o forse perché il mio ruolo di principessa mi aveva montato la testa, solo pochi mesi dopo il matrimonio Edmund iniziò a cambiare comportamento nei miei confronti.
Con la scusa di voler ispezionare tutti i territori sotto il nostro dominio e controllare che nessun seguace di Jadis fosse sopravvissuto, cominciò ad assentarsi da Cair Paravel sempre più spesso. Inizialmente si trattava di pochi giorni di viaggio e poi man mano diventarono sempre più lunghi, fino a tenerlo lontano per settimane. Io soffrivo molto per la sua assenza e l’unica consolazione era ricevere un messaggio da parte sua. Mi era stato detto in segreto che era stata un’idea di Arthur quella di convincere Edmund a mandarmi un messaggio ogni volta che sostava in un luogo, per assicurarmi che stesse bene. Anche se avrebbe dovuto essere Edmund il primo a pensarci, l’importante era ricevere la pergamena con la sua calligrafia.
I primi segni della catastrofe si manifestarono durante il suo penultimo viaggio, verso le terre del sud. Lui e il suo gruppo di soldati scelti avevano appena montato le tende nei pressi di una vasta prateria, giusto in tempo per avere un riparo dal maltempo che stava arrivando.
Edmund stava analizzando delle mappe per accertarsi del percorso che avrebbero fatto il giorno seguente e si sentiva piuttosto nervoso senza un preciso motivo.
Arthur gli si avvicinò: “Il messaggero è quasi pronto, principe comandante.”
Lui rispose brusco: “Arthur, vedete che sono impegnato.”
“Ma, comandante, sarebbe meglio che il messaggero partisse subito, coperto dalla notte. Inoltre sapete che la principessa aspetta con ansia vostre notizie.”
Lasciò cadere la mappa sul tavolo e lo guardò: “Se scrivo quella dannata pergamena la smettete di assillarmi?”
Arthur rimase sull’attenti: “Certo, comandante.”
“Bene! Tornate tra dieci minuti.”
Quando lui tornò la pergamena era effettivamente scritta, perciò andò a cercare il messaggero. Lo trovò chino a controllare uno zoccolo del cavallo.
“Ehi, che succede?”
L’uomo, con l’armatura addosso, alzò lo sguardo su di lui: “Dovrò ritardare la partenza di un’ora. Sembra che il mio destriero abbia un ferro saldato male.”
“Va bene.  Quando avrai risolto vieni alla mia tenda.”
Non avendo ricevuto altri ordini, Arthur si era sdraiato sul proprio giaciglio e, anche se non avrebbe dovuto, osò leggere la pergamena scritta da Edmund. La delusione si posò sul suo sguardo come un velo nero.
“Con parole così fredde la farà soffrire e basta. Povera Vera.”
Gli capitò di posare lo sguardo sul calamaio sopra al tavolo: “Non permetterò che accada.”
Come promesso, il messaggero si presentò per ricevere la pergamena. Arthur gliela porse, poi ne prese una seconda: “Ah, anche questa è da consegnare alla principessa. E’ sempre da parte del principe comandante.”
L’uomo fece un cenno affermativo col capo e ripose le pergamene all’interno della sacca che portava a tracolla. Partì nella notte accompagnato dalle prime gocce di pioggia.
Quale gioia fu per me quando mi trovai in mano quegli scritti! Leggendo la prima pergamena provai una strana sensazione di vuoto dentro di me, ma poi con la seconda fu tutt’altra cosa.
Lessi: “Mia principessa, sto scrivendo questa lettera di mio pugno durante il viaggio, sotto dettato di vostro marito. Firmato Arthur Glozelle.”
Era una poesia d’amore profonda e calda che mi fece dimenticare il messaggio freddo letto in precedenza. Con le lacrime agli occhi mi portai il foglio al cuore: “Eddy, come sei romantico!”
 
Il giorno del suo ritorno, trascorse gran parte del tempo a dormire nella sua stanza personale per riprendere le forze e poi andò a colloquio privato con Peter per un rapporto dettagliato sul viaggio.
Passeggiando tra i corridoi del castello, lo incrociai: “Eddy, aspetta!”
Lo raggiunsi sorridente, anche se notai la sua serietà.
“Non siamo stati assieme neanche un momento. Stanotte resti con me?”
“Vera, sono stanco morto. Un’altra volta magari. Devo tornare nel mio ufficio, scusami.”
Mi lasciò lì da sola, a chiedermi cosa avessi fatto di sbagliato per meritare un trattamento così.
Il giorno dopo non fu migliore.
Ero riuscita ad ottenere le sue attenzioni solo dopo pranzo, quando andammo fuori in giardino a stenderci al sole.
Tenendo la testa appoggiata al suo petto presi a fantasticare: “Ci pensi? Tra dieci giorni è il nostro primo anniversario di matrimonio. Il primo giorno di Luglio. E’ già trascorso un anno da quando abbiamo coronato il nostro sogno.”
Lui, con le braccia sotto la testa a mo’ di cuscino, rispose con poco interesse: “Di già? Passa in fretta il tempo. Specialmente per me che sono sempre in viaggio.”
“Pensavo che potremmo fare qualcosa di speciale, solo io e te. E’ da tanto che non trascorriamo una serata romantica. Cenetta al lume di candela e poi il seguito fra le lenzuola.”
“Vera, ceniamo sempre al lume di candela.”
“Ma non da soli!”
Prendendo l’iniziativa, gli slacciai i pantaloni e mi misi cavalcioni su lui.
Tentò di fermarmi: “Ma che fai? Potrebbe vederci qualcuno!”
Risposi con voce eccitata: “Ho voglia di te.”
Nonostante la resistenza iniziale, quando i movimenti del mio basso ventre si fecero più decisi su di lui, si lasciò andare al piacere. Come impazzita, slacciai in fretta i lacci della pettorina e misi in mostra i miei seni morbidi e sodi. Lui, tenendo le mani strette sui miei fianchi mi guidò nella danza dell’amore fino a raggiungere l’estasi.
Mi sdraiai su di lui per riprendere fiato e solo dopo alcuni minuti decisi di sussurrargli all’orecchio: “Ho anche voglia di avere un bambino da te.”
Edmund rispose distaccato: “Ne parleremo più avanti.”
 
La mattina dopo, venne a svegliarmi all’alba.
Mi ci volle qualche istante per capire: “Ed, cosa c’è?”
Prima che lui rispondesse mi accorsi che indossava la divisa da viaggio: “Che significa?”
“Sto partendo.”
“Ancora? Sei appena tornato!”
“Lo so, ma ho delle faccende da sbrigare. Tornerò fra tre o quattro settimane.”
“Tre o quattro settimane? E il nostro anniversario?”
“Festeggeremo al mio ritorno. Devo andare.”
Mi stampò un bacio sulla fronte e uscì dalla mia stanza con passo diretto, lasciandomi perplessa.

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Capitolo 12
*** Il ritorno del ghiaccio ***


Capitolo 12
Il ritorno del ghiaccio
 
Col cuore spezzato, passai le successive notti a piangere nel silenzio della mia bella stanza vuota. Continuavo a chiedermi perché, senza trovare una risposta. L’unica cosa che avrebbe potuto giustificare la sua freddezza era la gelosia nei confronti di Peter, ma ero certa di non aver fatto niente di male per dargli motivo di arrabbiarsi.
Una mattina presto, dopo l’ennesima notte insonne, decisi di ritrovare il buonumore con frasi improbabili d’incoraggiamento.
“Su, vedrai che è tutto a posto! Sarà pentito e per farsi perdonare ti manderà un’appassionata lettera d’amore!” Le mie parole, pronunciate allo specchio, sembravano convincenti ma il mio sorriso forzato non era della stessa opinione.
“Ho un’idea! Chiederò a Peter di accompagnarmi a una cavalcata nel bosco!”
Feci scorrere la lunga treccia bionda nella mia mano, per poi gettarla alle spalle, quindi mi avviai.
Giunta davanti alla stanza di Peter, stavo per bussare, quando mi accorsi che la porta era socchiusa e dall’interno provenivano dei rumori. Sbirciai furtivamente attraverso la fessura e constatai che Peter si stava allenando con la spada. Dato che era senza camicia, potei godere della vista dei suoi pettorali scultorei e dei suoi bicipiti possenti. I capelli arruffati e la fronte perlata di sudore mi indicarono che si stava allenando già da un po’. Mi lasciai trasportare dalla fantasia guardando quel corpo virile, tanto che quando riuscii ad allontanarmi dalla porta avevo il fiato corto e i seni inturgiditi. Sentendomi persa, poggiai le spalle al muro per darmi il tempo di riprendermi dalle emozioni che provavo.
Andare lì fu il mio primo errore.
 
Ero seduta alla mia toletta, Karen aveva appena terminato di spazzolarmi i capelli. Mi alzai e  lei mi aiutò ad infilare la vestaglia verde smeraldo sopra alla camicia da notte.
Bussarono alla porta. “Avanti.”
Il soldato entrò e si mise in ginocchio tenendo la pergamena alzata in mano: “Da parte del  principe comandante.”
Scambiai un sorriso con Karen e aprii la pergamena con speranza.
Con la mente, lessi le poche righe che conteneva: Sono arrivato ora sulla costa del sud. Se ci sono traditori li scoverò. Quando avrai ricevuto questo messaggio sarà il giorno del nostro anniversario perciò ti mando gli auguri. Edmund.
Vedendo il pallore sul mio viso e i miei occhi tristi, Karen si allarmò: “Altezza, ci sono forse brutte notizie?”
Scossi la testa senza dire una parola, guardando il caminetto vuoto.
Dopo qualche minuto di silenzio ordinai: “Karen vai pure a dormire. Me la cavo da sola.”
“Come volete, principessa.” Fece un inchino e uscì dalla stanza.
L’uomo, che era ancora in ginocchio, mi ricordò la sua presenza: “Altezza, attendo una risposta da portare al comandante.”
Le lacrime agli occhi mi offuscarono la vista, ma invece di mettermi a piangere sospirai, portai la pergamena sopra la fiamma della candela che si trovava sopra il bordo del caminetto e quando prese fuoco la lasciai scivolare dentro.
“Non ho una risposta. Potete ripartire.”
L’uomo scattò in piedi, preoccupato: “Ma…se non porto una risposta il comandante andrà su tutte le furie.”
Lo guardai con sguardo tagliente: “Allora dite al comandante che vada sul punto più profondo del mare e si butti in acqua con una pietra al collo.”
Il soldato aprì la bocca per ribattere, ma ci ripensò e fece semplicemente un inchino. Quando uscì anche lui dalla stanza, non riuscendo a resistere oltre, lasciai che delle lacrime mi inondassero il viso per la disperazione. Perduto ogni tipo di controllo, mi recai con passo spedito alla camera di Peter.
Entrai dalla porta, richiudendola rumorosamente alle mie spalle, e lo trovai che si stava coricando con addosso solo la biancheria.
Mi guardò preoccupato: “Vera, è successo qualcosa?”
Tentai di rispondere, ma lo sforzo rischiò di farmi scoppiare in un pianto a dirotto, perciò feci un mugugno senza significato.
Velocemente, mi tolsi di dosso la vestaglia e la camicia da notte, sotto lo sguardo fermo di Peter. Senza chiedermi spiegazioni, mi prese tra le sue braccia e iniziò a baciarmi dappertutto. Con foga mi gettò sul letto, si tolse la biancheria e si stese su di me, fra le mie gambe.
Mentre facevamo l’amore, le lacrime continuarono a bagnarmi il viso, ma Peter non si fermò né tentò di farmi domande, rispettando il mio silenzio. Man mano che l’apice del piacere si avvicinava, sentivo che il veleno dentro di me si stava dissolvendo, per lasciare posto ad un senso di completezza. Lo sguardo intenso di Peter disse più di mille parole, più di una dichiarazione d’amore, più di qualsiasi giuramento di fedeltà. A nessuno dei due passò per la mente che il nostro atto era un incesto in piena regola. Secondo la leggenda di Narnia io e lui eravamo fratello e sorella.
Durante la notte ripetemmo l’atto per quattro volte, scoprendo i nostri corpi ogni volta, dando vita a cose che avevamo tenuto nascoste dentro di noi per tanto tempo. Mancava poco all’alba quando ci fermammo, completamente sudati, sul letto sfatto, con le lenzuola che ricadevano su un lato.
Peter disse rilassato: “Avrei dovuto farlo molto tempo fa. E’ bellissimo.”
“Fare cosa?”
“L’amore!”
Alzai il viso sul suo, completamente perplessa: “Non l’avevi mai fatto?”
“No.”
“Cioè, eri vergine?”
Gli sfuggi una risata: “Non capisco cosa ci sia di sorprendente!”
“Sei un Re! E’ pazzesco che tu non abbia mai avuto rapporti!”
Rise ancora: “Non ha nulla a che vedere col mio titolo! Solo non ho trovato una donna che mi piaccia!”
“Siamo qui da cinque anni!”
Mi guardò con occhi seducenti, rispondendo: “Non ho mai smesso di amarti. Ho aspettato che fossi tu a venire da me.”
Quelle parole mi bloccarono. Erano come un vento proveniente da una terra lontana, avevano un sapore di vissuto. Cercai di fare mente locale: “Quello che mi hai detto quando… So che mi avevi già detto una cosa così, anche se non ricordo il luogo e il momento.”
Ci pensò anche lui: “Hai ragione, ricordo di avertelo detto. Comunque, è valsa la pena aspettare.”
 
Nei giorni seguenti, mentre io e Peter vivevamo gli inizi della nostra storia, il messaggero giunse a destinazione.
Entrò nella tenda dove Edmund stava scrivendo i dettagli delle prime ispezioni.
Posò la penna nel calamaio e si rivolse al soldato: “Ebbene? Dov’è la risposta?”
Lui balbettò qualcosa, ma alla fine dovette confessare il mio messaggio vocale.
Edmund, esterrefatto, tuonò: “Che cosa?”
Uscì furioso dalla tenda, gridando come un ossesso: “Preparatevi a partire! Torniamo a Cair Paravel!”
Arthur, che si trovava lì vicino, tentò di fermarlo: “Signore, non abbiamo ancora terminato! Ci vorrà un’altra settimana prima di…”
Edmund lo afferrò per il bavero della camicia e lo pietrificò con lo sguardo: “Ho detto che partiamo.”
Sotto al sole caldo di mezzogiorno, i soldati smantellarono l’accampamento in velocità.

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Capitolo 13
*** Il risveglio del male ***


Capitolo 13
Il risveglio del male
 
Mi svegliai tra le braccia di Peter, dopo un’altra notte d’amore.
“Buongiorno, mia dea.” Tentò di baciarmi, ma io scostai il viso per impedirglielo.
Si preoccupò all’istante: “Non stai bene?”
Sospirai pensierosa: “No, è che ho un brutto presentimento. Mi sento strana.”
Lui intuì senza chiedere: “Non aver paura, Edmund tornerà almeno tra due settimane.”
“Non è solo questo. Ho paura di aver sbagliato tutto. Sto bene con te, ma dentro di me sento che c’è qualcosa che non va.”
Con la mano mi sollevò leggermente il mento in modo che lo guardassi dritto negli occhi: “Qualunque cosa accada io ti proteggerò.”
Mi misi seduta sul letto, coprendomi i seni col lenzuolo: “Mi sento così in colpa, Peter. L’ho tradito. Non ho più orgoglio.”
Lui si alzò a sua volta e mi cinse le spalle con le sue braccia: “Non dire così. Sono certo che se lo merita. Anche se non mi hai detto cosa è accaduto.”
 
Trascorsi la giornata a passeggiare per il giardino e di tanto in tanto mi sentivo rabbrividire al pensiero di Edmund. Ero colpevole e avrei implorato il suo perdono se avesse scoperto il mio tradimento.
Mi fermai di fronte ad uno dei tanti cespugli di viole di montagna e giurai a me stessa: “Stasera parlerò con Peter e porrò fine a questa storia. Io amo Edmund.”
Rimasi silenziosa per tutta la durata della cena, perciò quando fummo soli nella sua stanza, non mi sorpresi nel sentirlo chiedere: “Vera, mi spieghi cosa c’è che non va?”
Lo guardai negli occhi: “Ho preso una decisione.”
Capendo la situazione, si affrettò a posarmi un dito sulle labbra: “Dopo.”
Mi abbracciò e mi rubò le labbra con un bacio. Io cercai di fermarlo ma il suo ardore mi catturò fino in fondo all’anima. Che io sia maledetta!
Edmund entrò come un falco nella mia stanza, ma trovò solo Karen che stava riordinando gli accessori della toletta. S’inchinò: “Principe, bentornato.”
Lui chiese serio: “Dov’è mia moglie?”
Karen impallidì e non rispose.
“Voglio sapere dov’è mia moglie.”
“Principe, è necessario che voi manteniate la calma.”
Gridò: “Dov’è?”
Il respiro di lei tremò: “La principessa non…non dorme nella sua stanza da qualche tempo.”
“Perché? Non te lo chiederò più, dimmi dove si trova.”
La povera Karen dovette fare un enorme sforzo per dire la verità.
Nello stesso momento, ansimavo pregando Peter di darmi il piacere più assoluto. Si muoveva così forte che sembrava un cavallo al galoppo. Al momento cruciale gridai di piacere e insieme ricademmo esausti sul letto.
Peter si trovava ancora tra le mie gambe quando la porta si spalancò con un tonfo.
Urlai: “Edmund!”
Peter si rialzò per ricomporsi, mentre Edmund ci guardava come pietrificato.
Rimessosi la biancheria, Peter scese dal letto stando allerta: “Ed, parliamone con calma.”
Fece appena in tempo a finire la frase che Edmund si gettò su di lui e lo afferrò per la gola: “Stavolta ti ammazzo.”
Afferrai il lenzuolo per coprirmi e gli corsi incontro: “Edmund, ti prego fermati. E’ colpa mia.”
Non so per quale motivo si fermò. Lasciò il collo di Peter, lasciandolo boccheggiante per la mancanza di ossigeno e si diresse all’uscita. Prima di andarsene si voltò a guardarmi: “Per quanto mi riguarda, tra noi è finita.”
Mi portai una mano al cuore, come se si fosse davvero spezzato dentro di me, mentre lui se ne andava in rapide falcate.
Ripresa la respirazione normale, Peter si avvicinò a me e mi mise una mano sulla spalla. Mi spostai di scatto, come impaurita.
“Gli passerà, non aver paura.”
Deglutii per allentare il nodo che avevo in gola: “Non toccarmi, per favore. Voglio stare sola.”
Lui non disse niente, si limitò a lasciarmi andare.
Nella mia camera, mi lasciai cadere sul letto, priva di forze e col cuore che batteva all’impazzata. Abbracciai il cuscino e sussurrai al nulla: “Ti prego Eddy, vieni da me. Ti amo.”
La mia attesa fu vana perché Edmund non venne affatto.
Dopo lo scontro era andato dritto alle stalle a prendere un cavallo riposato ed era scappato nella notte.
 
La mattina seguente, la colazione fu servita regolarmente, come nulla fosse accaduto. Io e Peter sedevamo a tavola senza mangiare, immobili come fantocci e con espressione smorta.
Arthur entrò nella sala e s’inchinò: “Credo che le vostre maestà saranno interessate a ciò che devo dire.”
Peter gli fece un cenno col capo: “Parlate pure.”
“Si tratta del principe comandante. Ieri sera se né andato dal castello.”
Strinsi i pugni sul tavolo per non scoppiare a piangere.
“Ma c’è dell’altro. Non sapendo le sue intenzioni l’ho fatto seguire da uno dei soldati per un certo tratto. Pare che sia diretto al castello di ghiaccio.”
Io e Peter ci guardammo col terrore negli occhi.
“Peter, cosa può aver in mente di fare? Oh no, è tutta colpa mia.”
“Non lo so, ma sarà meglio trovarlo prima che accada l’irreparabile.” Poi si rivolse ad Arthur: “Glozelle, preparate una scorta, partiamo subito per il castello di ghiaccio.”
 
Edmund nel frattempo aveva già preso il controllo del castello. Quando vi era entrato aveva cominciato a frugare dappertutto, in cerca di qualcosa, fino a quando era giunto in una stanza dove era stato allestito un piccolo sacrario per la regina Jadis. Su un piedistallo era stato ricostruito, frammento per frammento, il suo scettro del male che un tempo le aveva dato un diabolico potere.
“Allora avevo ragione io! C’è davvero un seguace sopravvissuto e in libertà!”
Sentì un vento gelido soffiare su di lui e una misteriosa forza attirarlo verso quello scettro. Passo dopo passo, con la mano tesa e le dita tremanti, arrivò a toccarlo. Nel momento in cui lo prese in mano il castello parve rivivere. L’armadio che vi era sulla parete si aprì, mostrando al suo interno un vaporoso mantello di pelliccia bianca e una corona argentata.
Edmund, vestito da sovrano, si recò alla sala del trono, dove si sedette sicuro di sé. Alzò lo scettro: “Venite a me, fedeli servitori.”
Dal nulla si materializzò il branco dei lupi che un tempo avevano servito Jadis fino alla morte.
Il capo branco ringhiò malefico: “Ai vostri ordini, mio sovrano.”
La prima cosa che Edmund fece coi nuovi poteri, fu ricoprire di neve il perimetro che circondava il castello nel raggio di un miglio. Ed eravamo in piena estate!
 
I nostri cavalli s’impennarono quando giungemmo al confine. Davanti a noi era pieno inverno e gli alberi ancora rigogliosi che erano stati improvvisamente colpiti dal freddo erano completamente congelati.
Ci scambiammo un’occhiata e Peter disse: “Era quello che temevo.”
Arthur ordinò ai soldati: “Avanti, proseguiamo.”
Cavalcammo fino all’ingresso del castello, dove  poi scendemmo da cavallo. Peter ordinò: “Io e Vera entriamo, voi aspettateci qui.”
Sguainò la spada e mi fece segno di camminare dietro di lui.
L’enorme porta davanti a noi si aprì di colpo, all’interno  vi era un tetro silenzio. Facendo molta attenzione entrammo, attraversammo il lungo corridoio e ci fermammo all’entrata della sala del trono. Una voce ci fece raggelare il sangue nelle vene: “Entrate, visitatori.”
Facendo capolino, vidi Edmund seduto sul trono e nel suo nuovo abbigliamento. Mi feci avanti affranta: “Amore mio, cos’hai fatto?”
Peter, accanto a me, abbassò la spada: “Edmund, torna in te. E’ una pazzia.”
Lui rispose disgustato: “Non ti permetto di darmi ordini.”
“Se torni indietro con noi prometto che non ci saranno conseguenze.”
“Dopo quello che mi hai fatto credi davvero che ti ascolterò? Hai voluto vendicarti perché un tempo io ho avuto il coraggio di fare ciò che tu non volevi nemmeno pensare.”
“Di cosa stai parlando?”
Sbatté la punta dello scettro a terra, gridando: “Di mia moglie!”
Io intervenni: “No, non è andata così. Non è stata una vendetta. Si è trattato di un momento di debolezza. Devi credermi.”
Sbarrò gli occhi su di me: “Lo difendi ancora. Lo hai sempre difeso.”
“Sto solo dicendo la verità. Abbiamo sbagliato, è vero, ma siamo pronti a porre rimedio.”
“No. Voi non farete niente. Ora sarò io a decidere.”
Fece roteare lo scettro in aria creando una spirale e, prima che potessimo fare qualunque cosa, ci scatenò contro una tempesta di neve. Io caddi a terra lanciando un grido.
Fuori, sentendo il mio grido, Arthur e i soldati corsero in nostro aiuto, ma quando arrivarono all’ingresso della sala del trono, la porta si chiuse con un tonfo davanti ai loro nasi.
Udii dei forti colpi alla porta e riconobbi la voce di Arthur: “Principe, aprite la porta.”
A fatica, Peter riuscì a venire da me e mi aiutò ad alzarmi, commentato dal tono sarcastico di Edmund: “Riesci sempre a fare l’eroe! Quanto ti odio!”
Tentai di camminare verso Edmund, ma la forza del vento mi fece cadere in ginocchio: “Edmund, ferma questa atrocità. Sono pentita di quello che ho fatto. Ti giuro che m’impegnerò per riconquistare la tua fiducia. Farò qualunque cosa.”
“Perché dovrei crederti? Non farò la figura del buffone mentre voi vi amate di nascosto.”
“Io non lo amo nel modo che pensi tu. Ho scelto te perché sono innamorata di te, non di lui.”
Il suo grido si fece ancor più forte: “Bugiarda!”
La tempesta di neve poco a poco si era trasformata in una tempesta di ghiaccio che colpiva incessantemente il mio corpo dolorante. Ad un tratto, un masso di ghiaccio grande quanto una noce di cocco mi colpì violentemente ad una spalla, facendomi ricadere all’indietro.
Peter gridò: “Vera!”
Solo allora Edmund riacquistò il controllo di sé. Emise un grido straziante che riecheggiò per l’intera sala, per poi lanciarsi in una corsa disperata. Il movimento improvviso gli fece cadere di mano lo scettro che cadde rovinosamente a terra, frantumandosi ancora una volta in mille pezzi. Jadis aveva perso un’altra guerra.
Mentre Edmund correva da me, la tempesta cessò d’incanto. Si gettò accanto a me e mi prese tra le braccia: “Amore, apri gli occhi. Guardami.”
La porta della sala si riaprì e i soldati irruppero all’interno, ma subito si bloccarono di fronte a quella scena.
Delle lacrime bagnarono il viso di Edmund: “Ti prego, perdonami. Non sarò mai più geloso. Sono l’unico responsabile di tutto questo.”
Peter, lì accanto, gli mise una mano sulla spalla per infondergli coraggio.
Sforzandomi, riuscii a riaprire gli occhi e lasciai che Edmund mi abbracciasse stretto, come non faceva da tempo. Con un filo di voce dissi: “Sei tu l’amore della mia vita!”

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Capitolo 14
*** La fine al principio ***


Capitolo 14
La fine al principio
 
Dopo quella tragica avventura ritornammo a Cair Paravel per un nuovo inizio. Per evitare qualunque problema, evitammo accuratamente di dire la verità ai nostri sudditi, e anzi modificammo la storia dicendo che Edmund aveva scoperto un complotto contro la corona ed era partito in missione coi suoi uomini più fidati. Per quanto ne avessimo parlato tra noi, non riuscimmo a capire chi fosse il seguace che aveva reso possibile il ritorno dei poteri del ghiaccio, ma ormai non aveva più importanza. I lupi erano scomparsi, l’estate era tornata, lo scettro era irrecuperabile.
L’amore tra me ed Edmund divenne ancora più forte e lui non ebbe più attacchi di gelosia nei confronti di nessuno, nemmeno quando gli parlai di quella poesia che poi scoprimmo trattavasi di un’opera del suo migliore amico Arthur. Entrambi avevamo capito che provava dei sentimenti per me, ma visto che non ne parlò mai, non osammo sollevare l’argomento.
 
Passarono così altri quattro anni, durante i quali si verificò un lieto evento di cui però non parlerò ora. Per festeggiare il nostro quinto anniversario di matrimonio, proponemmo a Peter e a Lucy di organizzare una caccia al cervo solo tra di noi. Così quel giorno, tra una corsa e l’altra, ci spingemmo in un luogo che non visitavamo da anni. Da qualche tempo Lucy faceva strani sogni riguardo ad un armadio, ma nessuno di noi le aveva mai dato troppa importanza. All’interno del bosco, Edmund si lasciò sfuggire la preda, sotto lo sguardo canzonatorio di Peter: “Stai perdendo colpi, comandante! Eppure la vecchiaia sembra ancora lontana!”
Lui arricciò le labbra in un modo per niente gradevole: “Che spiritoso! Vedo che neanche tu sei stato in grado di prenderlo.”
“Quanto sei permaloso! Stavo scherzando!”
Io e Lucy li raggiungemmo coi cavalli al passo: “Eccoli qui a litigare! Non fanno altro dalla mattina alla sera! Peggio dei bambini!”
“Li conosci, Vera! Non cambieranno mai!”
Ridemmo tra noi mentre loro ci fulminavano con lo sguardo.
Ad un tratto Lucy si guardò attorno con fare misterioso: “Io ho già visto questo posto.”
Scese da cavallo e si mise a correre. Noi la richiamammo: “Lu, dove vai?”
La inseguimmo di corsa fino al punto dove si era fermata: “Non ricordate? L’armadio!”
Peter sbuffò: “Ancora con quel sogno? Sembri pazza.”
“No! Seguitemi!”
Iniziò ad intrufolarsi tra i rami e noi, ovviamente, la seguimmo per controllare che non si cacciasse nei guai. I rami si fecero sempre più fitti man mano che camminavamo, fino a quando ci ritrovammo circondati da dei capi di vestiario. In un batter d’occhio, fummo sbalzati fuori di una porta e ci ritrovammo sul pavimento di una stanza.
In un lampo tornarono tutti i ricordi, che sostituirono gran parte di quelli di Narnia.
Mentre ci guardavamo sorpresi, la porta della stanza si aprì. Mio nonno entrò con una palla da baseball in mano e Susan era a testa china dietro di lui. Ci guardò triste: “Non ho fatto in tempo a recuperare la palla. Ho dovuto confessare che abbiamo rotto noi il vetro.”
Mio nonno, tutt’altro che in collera, sorrise rivolto a noi: “E così eravate dentro l’armadio! Che stavate facendo?”
Peter parlò per tutti: “Non ci crederebbe mai, professore.”
Ci rialzammo tutti e quattro da terra, quando Edmund tuonò seriamente preoccupato: “Oh no! Sono di nuovo un sedicenne!”
Scoppiammo in una fragorosa risata, sotto lo sguardo interrogativo di Susan e quello divertito di mio nonno. Anche senza spiegazioni, lui sapeva perfettamente l’avventura che avevamo vissuto, esattamente come noi sapevamo che anche lui aveva una storia da raccontare. Il fatto che non ce l’avrebbe mai raccontata non aveva importanza.


La storia continua...

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