Whispers in the Dark

di Fragolina84
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It begins ***
Capitolo 2: *** Breaking and entering ***
Capitolo 3: *** Outlook ***
Capitolo 4: *** Inevitability ***
Capitolo 5: *** Uprising ***
Capitolo 6: *** Can you stop this thing? ***
Capitolo 7: *** Darkest of intentions ***
Capitolo 8: *** The mission ***
Capitolo 9: *** Sacrifice ***
Capitolo 10: *** Heroes ***
Capitolo 11: *** The last one ***



Capitolo 1
*** It begins ***


Se non hai visto il film "Avengers: Age of Ultron"
e non vuoi rovinarti la sorpresa,
attento a proseguire!
Questo lavoro è nato dopo che ho visto il film,
con l'intenzione di fornire la mia visione dei fatti,
e come si sarebbe svolta la storia con l'aggiunta dei miei personaggi
e delle idee nate nei precedenti racconti che ho pubblicato in questa sezione.
Se ti va di proseguire, buona lettura!

I titoli dei capitoli sono tutti in inglese
e sono alcuni dei titoli dei brani
che compongono la colonna sonora del film a cui questa storia s’ispira.
La splendida musica composta da Brian Tyler
è stata anche la colonna sonora che mi ha tenuta sveglia e concentrata
nelle notti che sono servite per terminare questo lavoro.
Spero che mi abbia anche ispirata, ma questo lo dovrai stabilire tu che stai leggendo!

La vicenda inizia nel momento in cui gli Avengers rientrano
dalla Sokovia dove hanno assaltato il forte del barone Strucker
recuperando lo scettro di Loki.



SI INIZIA
 
Il sibilo dei repulsori avvertì Victoria che il velivolo su cui viaggiavano gli Avengers era ormai in prossimità e alzò lo sguardo dal suo computer. Vide il futuristico mezzo apparire fuori dalla vetrata e girare attorno alla torre.
Serenity, l’ultima nata tra gli eredi Stark, dormiva nel box, aggrappata ad un pupazzetto di Ironman e con il pollice in bocca. Victoria sorrise e la lasciò lì, raccomandando a Jarvis di tenerla d’occhio, affrettandosi poi per raggiungere la piattaforma d’atterraggio.
Il velivolo atterrò sulla pedana, ripiegando le ali su se stesse. Il portello posteriore si aprì subito e Natasha scese in fretta guidando la barella su cui era steso il suo compagno, Clint. Come di consueto, Victoria aveva seguito in diretta l’attacco al forte in Sokovia in cui gli Avengers avevano recuperato lo scettro di Loki, diabolico fratello di Thor, perciò sapeva che Clint era rimasto ferito nell’operazione.
Nat le lanciò un saluto frettoloso, dirigendosi verso il laboratorio della dottoressa Cho. Le condizioni di Clint la preoccupavano, ma non era in pericolo di vita. Aveva una ferita al fianco destro ma Helen Cho, entrata da poco a far parte del Team, aveva mezzi futuristici per curarlo ed era sicura che entro qualche ora al massimo Clint sarebbe stato di nuovo in piedi.
Thor scese subito dopo, seguito da Bruce che spingeva una grossa cassa d’acciaio. Victoria li salutò entrambi ma non si avvicinò: sapeva che la cassa conteneva lo scettro di Loki e, dato che ne aveva sperimentato il potere sulla propria pelle, non era entusiasta all’idea di averlo di nuovo sotto il proprio tetto.
Una saetta bionda sfrecciò accanto a Victoria e s’infilò nel vano del jet lanciando un urlo di gioia a cui fece eco il saluto di Steve.
«Ciao, scimmietta!»
Captain America, ancora in uniforme a stelle e strisce, scese dall’aereo con la figlia in braccio.
«Credi che riuscirò a salutare mio marito?»
Il commento fece voltare Victoria che sorrise a Beth.
«Ammesso che tu riesca a staccargli di dosso Kayla» commentò. Beth era all’ottavo mese della sua seconda gravidanza e il pancione tendeva la camicia premaman che indossava. «Anzi, ora che mi ci fai pensare, sarà meglio che recuperi mio marito prima che quei due scalmanati dei miei figli si accorgano che è tornato» concluse Victoria, salendo sul jet.
Tony era seduto al posto di comando e fece girare la poltrona quando la sentì arrivare. Percorse il suo corpo con uno sguardo assassino e si umettò le labbra. Lei rise.
«A volte mi chiedo perché mi ostino a restare con te, reprobo che non sei altro» disse la donna, fermandosi a mezzo metro da lui.
«Perché sono più sexy di quando mi hai conosciuto e non faccio ancora cilecca, a differenza del Capitano Rogers» replicò, a voce abbastanza alta perché Steve lo sentisse.
Maria Hill, assistente di Tony da quando lo S.H.I.E.L.D. si era sciolto, salì sui velivolo.
«Capo, ho le informazioni che mi avevi richiesto» disse.
«A dire il vero è lui il capo» replicò Tony, indicando Steve. «Io metto i soldi, il progetto e faccio sembrare tutti più affascinanti».
«Ti sento, sai?» gli gridò Steve di rimando, circondando con il braccio le spalle della moglie e allontanandosi.
Tony si rivolse all’assistente: «Sarò subito da te, Maria. Dammi solo un momento per salutare mia moglie, per favore».
La donna scese e Tony premette un pulsante, facendo richiudere il portello. Poi la prese per mano e l’attirò a sé, facendola sedere sulle sue gambe. La baciò con passione finché Victoria sentì la testa girare.
«Ma come siamo romantici oggi» mormorò la donna, girando un po’ la testa perché lui potesse arrivare a mordicchiarle il lobo.
«Non ti vedo da oltre un mese, Vicky. Sono in crisi d’astinenza».
Lei aggrottò le sopracciglia: «Ma se siete partiti ieri mattina!?»
«Dio, come si dilata il tempo quando siamo distanti» sogghignò.
Victoria lo colpì al petto con un pugno scherzoso e cercò di sottrarsi alla sua stretta senza però riuscire a rompere il cerchio delle sue braccia e finendo per abbandonarsi di nuovo alla sua bocca, almeno finché Jarvis annunciò che Elizabeth e Zachary attendevano di salutarlo.
La donna si alzò in piedi e si rassettò il vestito mentre Jarvis apriva il portello e i ragazzi si precipitavano dentro. Elizabeth aveva dodici anni ed era anche più bella della madre con i corti capelli rossi che le incorniciavano il viso e i meravigliosi occhi verdi.
«Ciao, papà!» esclamò.
Cinse la vita di suo padre e si appoggiò a lui, ma all’uomo non sfuggì un particolare e le fece sollevare il viso.
«Cos’è questa novità?» domandò in tono burbero, facendole girare lentamente il capo da una parte all’altra. Gli occhi erano evidenziati da un velo leggerissimo di ombretto verde e le labbra scintillavano di gloss.
«Volevo solo farmi bella per il tuo ritorno» replicò la ragazzina, sorridendogli. Elizabeth, la primogenita di Tony e Victoria, aveva imparato da tempo ogni manovra possibile per ammaliare suo padre. Non che fosse necessario impegnarsi molto, in verità: Tony aveva perso la testa per lei nel momento stesso in cui l’ostetrica gliel’aveva messa fra le braccia. Era una lotta impari, Tony non era in grado di dirle no e, anche quella volta, il sorriso della figlia sgretolò qualsiasi obiezione lui avesse intenzione di sollevare.
Borbottò qualcosa di incomprensibile mentre Victoria nascondeva un sorriso. Era donna e madre e capiva benissimo sua figlia. Elizabeth stava maturando in fretta e, anche se era ancora poco più di una bambina, desiderava sentirsi più grande. Era presa in un’età di cambiamenti che stavano formando il suo corpo e il suo carattere.
«E io, papà?»
La vocetta acuta di Zachary interruppe il borbottio di Tony che si chinò e lo prese in braccio. Aveva cinque anni ormai e Victoria era sicura che avrebbe seguito le orme del padre già dalla prima elementare. Aveva dimostrato da subito di apprendere in maniera veloce e attiva, impressionando per le sue doti.
«Ho un disegno nuovo da mostrarti, papy» cinguettò.
«Meno male che ci sei tu a difendere l’onore degli Stark» mugugnò Tony, promettendo che sarebbe andato a vedere la nuova opera del figlio non appena avesse parlato con Maria. La cosa fu accolta da un mormorio di disapprovazione da parte di Zachary che venne subito stoppato da Victoria. Prese il bambino dalle braccia del marito e accennò a scendere dal jet.
«Mi sembrava di avere un’altra figlia quando sono partito per Sokovia» mormorò Tony mentre sopra le loro teste la Iron Legion rientrava e si sottoponeva ai consueti controlli. La Legion era l’ultima trovata di Tony. Dopo le reiterate minacce provenienti da ogni parte del globo e non solo, Tony aveva deciso di creare un esercito di armature comandate dal fido Jarvis, in grado di opporsi alle minacce e ad aiutare la popolazione in caso di bisogno.
«Serenity sta riposando abbracciata ad Ironman» spiegò Victoria.
«Almeno lei dimostra un po’ di buonsenso» brontolò Tony, allontanandosi verso il laboratorio.
Victoria affidò Zachary a sua sorella e tornò nel suo studio. Era un po’ in ritardo sulla tabella di marcia dell’ultimo libro e si mise al lavoro. Ma non riusciva a concentrarsi, distratta da un’inquietudine sottile e da un fastidioso mal di testa.
Serenity le diede la scusa per sottrarsi al suo lavoro quando si svegliò. Victoria spense il computer e la prese in braccio. Di lavorare non se ne parlava, sicché si dedicò per un po’ ai bambini più piccoli finché li affidò a Zoey per andarsi a preparare per la cena.
Quando Tony la raggiunse, si accorse subito che qualcosa non andava. La conosceva bene, ma Victoria cercò di sviare il discorso chiedendogli ragguagli su Clint che si era ripreso ed era già in piedi.
«Hai intenzione di dirmi cosa ti passa per la testa o vuoi che parliamo di nostra figlia con gli occhi e le labbra dipinti?»
A Victoria sfuggì un sorriso.
«Tua figlia sta crescendo, Stark. Sarà per sempre la tua bambina, ma sta diventando grande, che tu lo voglia o meno». Victoria cercò di imboccare la via di fuga che lui le aveva fornito, ma Tony non era tipo da mollare la presa così presto.
«Va bene, sorvoliamo pure su tua figlia che si trucca e parliamo di quello che ti sta frullando nel cervello».
«È solo un po’ di mal di testa» replicò lei un po’ troppo velocemente mentre, seduta davanti allo specchio, si allacciava la collana e infilava gli orecchini.
«Mi accorgo quando menti, dolcezza».
Victoria alzò gli occhi e incrociò quelli del marito nello specchio.
«Quanto hai intenzione di tenere in casa quello strumento infernale?» domandò a bruciapelo.
Tony capì subito che si riferiva allo scettro di Loki. Era un oggetto potentissimo e Victoria ne aveva sperimentato in prima persona la terribile forza. Loki l’aveva anche trafitta con quello stesso scettro e sarebbe morta se Thor non avesse aperto per lei il Bifröst, catapultandola su Asgard e affidandola alle magiche guaritrici di quel mondo alieno.
«Tre giorni. Poi lo consegneremo».
«Tu e Bruce avete intenzione di farci sopra degli esperimenti?»
Tony non rispose e sostenne il suo sguardo. Victoria capì da sola la risposta e balzò in piedi, girandosi a fronteggiarlo.
«Non ti è bastato quello che ci ha fatto?» domandò. «È diabolico come il personaggio a cui è stato affidato».
L’uomo fece un passo verso di lei: «Ciò che stiamo facendo è assolutamente sicuro, Victoria. Stavolta lo comprendiamo meglio e sappiamo come prevenire la sua influenza».
La donna scosse la testa.
«Non si può imbrigliare quella forza, Tony. È troppo per noi umani» disse, ma lui non l’ascoltava.
«È energia, è conoscenza. Allo stato puro. È un pozzo inesauribile di nozioni che vogliamo esplorare. Ne abbiamo il dovere, Vicky. Per noi e per le future generazioni».
Victoria tentennava. Comprendeva il messaggio, ma era spaventata da ciò che poteva accadere.
«Devi liberartene, Tony» provò di nuovo la donna. «Non lasciarti ghermire da un delirio di onnipotenza. Quell’artefatto condiziona le persone e le manipola».
«Non è l’unico, a quanto pare» commentò lui sottovoce.
Quando Victoria gli chiese spiegazioni, le raccontò della visione che gli era stata indotta mentre si trovava in Sokovia.
«C’erano due “potenziati” in quella roccaforte Hydra: Pietro e Wanda Maximoff. Jarvis, ti spiace?»
L’intelligenza artificiale al comando della Avengers Tower proiettò le immagini sullo specchio dietro Victoria. Mostravano un ragazzo biondo con un’ombra di barba a oscurare la mascella e il fisico muscoloso e una ragazza dal viso sottile, con lunghi capelli castani e grandi occhi che sembravano vedere cose che agli umani erano precluse.
«Sappiamo poco di loro, tranne che sono gemelli. Lui è veloce come un fulmine e ha preso di sorpresa anche Occhio di Falco. Lei è ancora più letale, secondo me. È in grado di generare immagini e allucinazioni, rimodellando la realtà come le pare. E forse non sono gli unici poteri che ha». Tony schioccò le dita e le immagini sparirono. «Se, come pensiamo, quei ragazzi sono stati esposti al potere dello scettro, dobbiamo cercare di carpire più informazioni possibile, in modo da comprendere come poterli fermare».
Controvoglia, Victoria capitolò di fronte alle argomentazioni di Tony.
«Va bene, ma quel coso deve sparire da casa nostra al più presto».
Tony sorrise e la baciò sulle labbra.
«Parola di scout!» esclamò.

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Capitolo 2
*** Breaking and entering ***


Il capitolo si svolge durante la festa
organizzata dagli Avengers
per festeggiare la vittoria in Sokovia
e comprende l'esilarante scena
della sfida a Thor e Mjolnir.
Buona lettura!


 
 
VIOLAZIONE DI DOMICILIO

Tony era tornato da tre giorni, ma Victoria non l’aveva visto molto in quel tempo. Era stato impegnato con Bruce nel laboratorio in cui lei si rifiutava di entrare finché lo scettro di Loki, del quale aveva un sacro timore, fosse rimasto lì.
Sicché lo scrutò con attenzione quando lo vide fare il proprio ingresso nel salone, in completo scuro e camicia nera, abbigliamento che approvò e che lo rendeva tremendamente sexy. Se solo quel dannato mal di testa l’avesse lasciata in pace: era dal giorno in cui gli Avengers erano tornati che non le dava tregua.
Tony la raggiunse accanto al bar e le baciò la guancia, approfittando per rubarle il bicchiere e bere un sorso del suo cocktail, che gli strappò una smorfia.
«È analcolico!» sbottò, come se fosse un crimine gravissimo.
«Ho preso un analgesico per il mal di testa, volevo evitare che entrassero in conflitto. E comunque nessuno ti ha obbligato a bere dal mio bicchiere» replicò soavemente lei.
Tony si appoggiò al bancone e girò lo sguardo per la sala, soffocando un sussulto quando vide Elizabeth che ballava sospesa sui piedi di Thor.
«Brutto pezzo di somaro biondo, sta cercando di rubarmi la figlia».
Fece per muoversi, ma Victoria lo bloccò e fortunatamente intervenne Rhodey per distrarlo. I due si persero in chiacchiere e la donna sospirò di sollievo e salutò Clint.
«Come stai?»
«Tutto a posto. Ho anche un fianco sintetico adesso» disse, battendosi la mano sul punto che le futuristiche attrezzature della dottoressa Cho avevano rigenerato in fretta.
Natasha li raggiunse in quel momento, abbracciando Clint da dietro.
«Scusatemi, ma Alexander non voleva addormentarsi stasera. Gli ho dovuto leggere due volte la stessa fiaba».
Alexander Barton, figlio della coppia, aveva tre anni e mezzo ed era adorabile con quei suoi riccioli castani che lo facevano assomigliare ad un cherubino. Victoria gli aveva fatto da babysitter mentre i suoi genitori erano in missione.
La convivenza tra gli Avengers e le rispettive compagne aveva del miracoloso. Che fossero alla Hall a Malibu o alla Tower di New York, tutto filava sempre liscio. Non c’erano mai stati problemi nonostante alle cinque coppie si fosse presto aggiunto un piccolo squadrone di figli. Alla festa di quella sera mancavano soltanto Violet e Jane con il piccolo Adam, entrambe rimaste a Malibu a causa di impegni di lavoro.
Violet era la sorella di Victoria e aveva perso la testa per il timido professor Banner e per il suo esplosivo alter ego, Hulk. I due facevano coppia fissa ormai da tre anni e Victoria sperava sempre che, nonostante le difficoltà di quel rapporto che proprio lei all’inizio aveva ostacolato, i due convolassero alle nozze. Violet aveva un effetto calmante su Hulk e aveva aiutato Banner a trovare equilibrio.
Jane Foster, brillante astrofisica che ora lavorava per le Stark Industries, aveva sposato Thor in una suggestiva cerimonia su Asgard solo due mesi prima con il piccolo Adam, il frutto della loro unione nato tre anni prima, che barcollava con il vestito della festa.
Erano una compagnia variopinta ed eterogenea ma era piacevole vivere insieme.
La festa proseguì senza intoppi. Victoria spedì a letto Elizabeth quando ritenne che l’ora si stesse facendo troppo tarda. La ragazzina obbedì dopo aver protestato con garbo che ormai aveva dodici anni e che non aveva bisogno di andare a letto presto come i suoi fratelli. Le lamentele non valsero a nulla e Zoey la accompagnò al piano di sotto, nell’appartamento degli Stark dove già i suoi fratelli erano a letto da un po’.
Victoria l’avrebbe seguita volentieri: il suo mal di testa non accennava a placarsi. Anzi, era perfino peggiorato, martellandole le tempie senza pietà, probabilmente a causa della musica e del brusio degli ospiti.
Questi iniziarono finalmente a sfollare, finché soltanto gli Avengers rimasero nel salone. Si accomodarono chi sui divani, chi sul pavimento, bevendo l’ultima birra o l’ultimo scotch della giornata. L’atmosfera era rilassata: l’ultima missione aveva centrato l’obiettivo e non c’era motivo di preoccupazione immediato.
La discussione, forse stimolata dalla quantità di alcol che alcuni di loro avevano in corpo, verteva sul martello di Thor. Era un’arma formidabile in grado di sbaragliare qualsiasi nemico. Solo Thor era in grado di impugnarlo in quanto Mjolnir poteva essere brandito solo da chi ne era degno.
Gli Avengers contestavano l’affermazione, ritenendola una smargiassata. Così, il semidio di Asgard li sfidò: se volevano, erano liberi di provare a sollevarlo.
Clin fu il primo, ma il martello non si mosse. Tony fu il secondo: secondo la leggenda, chi fosse riuscito a sollevare Mjolnir, avrebbe avuto il diritto di governare su Asgard e Tony, sicuro di sé, promise che sarebbe stato un sovrano giusto.
Ovviamente non accadde nulla e il martello rimase saldamente appoggiato al tavolino. Non successe nulla nemmeno quando Tony ci riprovò indossando il guanto dell’armatura Ironman, né quando a lui si unì Rhodey, anche lui coadiuvato dalla propria armatura.
Anche Banner ci provò, con gli stessi risultati.
Toccava a Steve e Victoria si scoprì incuriosita: se davvero bisognava essere degni per impugnare Mjolnir, non le veniva in mente persona più integerrima e irreprensibile del Capitano Rogers. Ma proprio mentre Steve si apprestava all’impresa, una nuova fitta alla testa obbligò la donna a chiudere gli occhi, portandosi una mano alla tempia. Tony se ne accorse subito.
«Qualcosa non va?» chiese, mentre Natasha rifiutava con garbo di inserirsi in quella sfida ad alto contenuto di testosterone.
«È solo che questo mal di testa non mi passa» rispose, massaggiandosi le tempie. «Forse sarebbe meglio che mi ritirassi».
«Secondo me dovrebbe provare Victoria» intervenne la dottoressa Cho, che non si era accorta del malessere dell’amica. «Sopporta Stark da così tanto tempo che secondo me ne è degna».
La compagnia rise e Tony accolse l’affermazione con un sorriso tirato.
«Prenditi pure gioco di me» disse. «Mi chiedo come continuerai a sperimentare con i tuoi giocattoli quando ti revocherò tutti i fondi».
Victoria sorrise stancamente: «Non credo di essere abbastanza in forma per dare il meglio di me» replicò alzandosi. «E inoltre non vorrei umiliare mio marito» aggiunse con un sorriso.
Le risate scrosciarono e anche Tony batté le mani, accogliendo con un sorriso la battuta di Victoria.
«Se volete scusarmi…» iniziò quest’ultima, ma si bloccò all’improvviso. Chiuse gli occhi, ripiegandosi su se stessa e portando le mani alla testa.
Tony le fu immediatamente accanto, sostenendola.
«Vicky, che succede?»
La donna non rispose ma allontanò bruscamente le sue mani. Si raddrizzò e si voltò, puntando lo sguardo di sotto. Loro erano sul piano rialzato, ma Victoria guardava verso la zona più in basso, quella che dava accesso al laboratorio.
Tony seguì la direzione del suo sguardo, ma non c’era nulla. Erano soli e il comportamento della moglie iniziava a preoccuparlo.
«Victoria, che sta succedendo?»
«C’è qualcosa…» disse lei.
La donna non era pienamente consapevole di cosa stava accadendo. Di una cosa era certa: aveva sentito un sussurro nella propria testa ed era sicura che nessuno degli altri l’aveva udito. Era qualcosa di abbastanza inquietante e, se unito a quel mal di testa che era diventato un tormento indicibile, la faceva preoccupare alquanto.
Era altresì sicura della direzione da cui era provenuto, per quello si era girata, vagamente conscia del fatto che il suo comportamento doveva risultare strano ai suoi amici. Stava per voltarsi e scusarsi, chiedendo a Tony di accompagnarla a letto, quando un fischio acuto risuonò attorno a loro.
Tutti, istintivamente, si chinarono, cercando di proteggersi le orecchie. L’unica che non parve sorpresa fu Victoria, che rimase ritta in piedi, continuando a scrutare il buio. D’improvviso, qualcosa apparve nell’oscurità.
Il sibilo tacque, mentre un rottame che doveva essere un’armatura si faceva avanti barcollando. Gli Avengers balzarono in piedi: Steve spinse istintivamente Beth dietro il bancone del bar e Thor impugnò meglio Mjolnir.
L’armatura si fece avanti. Era parzialmente danneggiata, quasi che qualcuno avesse preso i pezzi sostituiti della Iron Legion e li avesse assemblati a caso. All’androide mancava un braccio e perdeva un liquido di qualche genere, imbrattando il pavimento, ma Victoria non vide praticamente nulla di tutto ciò.
Tony chiamò Jarvis che, stranamente, non rispose. Victoria sapeva di essere in pericolo: la creatura (ammesso che si potesse definire tale) che aveva davanti non avrebbe dovuto essere lì. Inoltre, percepiva un sentimento di delusione e rabbia nei confronti di Tony anche se si rendeva conto che non ne aveva motivo. Eppure sentiva la furia crescere dentro di sé, un sentimento gelido che parve annullare tutto il suo essere.
«Non avresti dovuto giocare con il fuoco» mormorò rivolta al marito con una voce che non riconobbe.
Non udì mai la replica di Tony perché si scatenò il finimondo.

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Capitolo 3
*** Outlook ***


Ultron ha sferrato il suo attacco
e ora la Avengers Tower non è più sicura.
Mentre gli Avengers partono alla ricerca di Ultron,
le donne e i bambini raggiungono una casa sicura.
E qui Victoria riceverà sconvolgenti novità
che cambieranno per sempre la sua vita.
Buona lettura... e recensite, please!


PROSPETTIVA

Erano tutti riuniti nel laboratorio. Fuori dalle vetrate, ciò che restava del salone delle feste sembrava fare gli sberleffi agli eroi più potenti della terra. Erano stati attaccati nel cuore della loro roccaforte, un posto che ritenevano sicuro per sé e per le proprie famiglie.
Sul banco degli imputati, ancora una volta, Tony Stark. All’insaputa di tutti ad eccezione del solo Banner, Tony aveva pasticciato con lo scettro di Loki. Ne aveva intuito le potenzialità e aveva sperato che potesse essere la chiave di Ultron, una rete di protezione globale che potesse proteggere l’umanità dalle minacce sempre più potenti che la prendevano di mira.
A conti fatti, avrebbe potuto essere la soluzione ai loro problemi, riconsegnando gli Avengers ad una vita tranquilla, ciascuno con la propria famiglia. In realtà, come Victoria aveva giustamente predetto, non si poteva sperare di imbrigliare un’energia così potente. Ciò che era successo era, in qualche modo, inevitabile: l’uomo non avrebbe mai dovuto tentare di sostituirsi a Dio.
Ultron aveva una visione distorta della realtà e riteneva che ci fosse un unico modo per proteggere il mondo: l’estinzione dell’uomo. A partire dagli Avengers.
Ultron aveva preso in fretta il sopravvento su Jarvis, assimilandolo. Da lì, il passo successivo era stato prendere il controllo della Iron Legion che aveva rivoltato contro il suo creatore e gli Avengers.
Quella sera erano stati fortunati. Se l’erano cavata con qualche ammaccatura, riuscendo infine a distruggere i nemici, ma poteva andare molto peggio.
Il primo pensiero di tutti era andato ai bambini che dormivano negli appartamenti di sotto. Se la Iron Legion ormai al servizio di Ultron li avesse attaccati, sarebbe stato un massacro da cui nessuno di loro avrebbe saputo rialzarsi. Fortunatamente, Ultron non si era mosso in quella direzione, o forse non ne aveva avuto il tempo. I piccoli non si erano nemmeno accorti di ciò che era successo e dormivano ancora nei loro letti.
Victoria era rimasta ferita di striscio dalle schegge di vetro esplose nello scontro, ma non era quello ciò che la faceva stare in ansia. Avvertiva di essere in qualche modo legata a Ultron: era indubbio che i sussurri che aveva sentito nella sua testa provenissero da lui. Non ne aveva parlato con Tony, ma aveva chiesto a Helen di prelevarle un po’ di sangue e di farle qualche analisi.
La discussione aveva assunto toni accesi: erano volate parole grosse e Thor si era scaldato parecchio, finendo per afferrare Tony per il collo e alzarlo di una ventina di centimetri. Quando la calma era ritornata, avevano cercato di analizzare la situazione in ogni sfaccettatura. Il problema era che Ultron non sottostava ai limiti di un corpo fisico. Era dappertutto, grazie a Internet e alla rete globale.
Una flebile traccia lo collegava al Wakanda, un piccolo stato africano che aveva l’unico pregio di conservare i maggiori giacimenti di Vibranio al mondo. Tale metallo, usato dal padre di Tony per costruire lo scudo di Captain America, era rarissimo e Tony credeva che suo padre l’avesse usato tutto. Evidentemente non era così e Ultron puntava a quello.
Steve si alzò in piedi: «La prima cosa da fare è portare le donne e i bambini in un luogo sicuro. Mia moglie è all’ottavo mese di gravidanza, è un miracolo che non le sia successo nulla durante l’attacco di Ultron».
Beth non era lì in quel momento: la dottoressa Cho l’aveva visitata stabilendo che stava bene ma imponendole di riposare per il bene suo e della bambina che portava in grembo.
«C’è una casa sicura in Ohio. Potrete stare lì fintanto che la cosa non sarà sistemata» affermò Clint.
Stabilirono i dettagli del trasferimento che decisero di fare nel più breve tempo possibile. Victoria e le altre donne, ad eccezione di Natasha e Maria, sarebbero partite non appena fossero state pronte a bordo del jet privato della famiglia Stark. Anche Violet e Jane sarebbero arrivate direttamente da Malibu e si sarebbero unite alle altre in Ohio. Gli Avengers, invece, sarebbero partiti alle prime luci dell’alba per il Wakanda, nella speranza di incrociare il percorso di Ultron.
Non era nemmeno necessario che facessero i bagagli: ogni casa, ogni rifugio, era attrezzato per loro. Victoria quindi scese nel proprio appartamento e recuperò i documenti e pochi effetti personali.
Tre Audi Q7 a sette posti erano già pronte quando scesero con l’ascensore fin nel parcheggio privato. Zachary dormiva aggrappato al collo di suo padre che teneva per mano Elizabeth, mentre Victoria teneva in braccio Serenity che, fedele al suo nome, si succhiava il pollice e non aveva dato cenno di volersi svegliare. Salirono sul primo automezzo mentre Steve aiutò Beth a salire sul secondo, accomodandosi poi accanto a lei con Kayla in braccio. Natasha e Clint presero posto sul terzo con Alexander, anche lui abbandonato al sonno. Con loro salirono anche Zoey e Phoebe, le due bambinaie che ormai facevano parte della famiglia.
Quando raggiunsero l’aeroporto, il jet era pronto. I bambini non si erano svegliati e li assicurarono ai sedili reclinati: nemmeno si mossero, nonostante il trambusto. Elizabeth, dopo aver salutato suo padre, sedette al proprio posto sbadigliando e si allacciò le cinture.
Victoria si chiedeva come potesse Natasha separarsi da suo figlio. Se era dura per Clint, per una madre doveva essere annichilente. Non appena avevano deciso di spostarsi in Ohio, Nat aveva lanciato una significativa occhiata a Victoria che aveva mosso appena il capo: avrebbe badato ad Alexander finché lei non fosse tornata dalla missione.
I due, dopo essersi accomiatati dal loro figlio, lasciarono l’aeroporto e tornarono alla Tower. Le altre due coppie, invece, rimasero sulla pista ancora qualche momento e Tony abbracciò la moglie.
«Mi dispiace» disse, appoggiando la fronte su quella di lei. «Credevo di poterlo controllare, di riuscire a sfruttare quella montagna di conoscenza per creare un mondo migliore».
Victoria gli posò l’indice sulle labbra per farlo tacere. «Non ha importanza ora. Pensa solo a fermarlo e a tornare da me tutto intero, intesi?»
Si baciarono. Poi, senza voltarsi, Victoria seguì Beth sulla scaletta del jet e si accomodò, allacciando le cinture mentre i piloti avviavano i motori e l’aereo si muoveva lentamente sulla pista.
Il volo fu breve e tranquillo; durò poco più di un’ora e quando arrivarono erano le cinque del mattino passate da un po’. All’aeroporto c’erano due auto con autista che in meno di mezz’ora le portarono alla villa sul Rose Lake.
Non era paragonabile né alla maestosa Avengers Hall né alla supertecnologica Avengers Tower, ma era grande e isolata e, soprattutto, sicura.
Erano tutti esausti per il trambusto di quelle ore sicché si ritirarono nelle proprie stanze e cercarono di riposare, anche se l’ansia per la sorte dei propri uomini tenne le mogli sveglie ancora per un po’.
Il giorno seguente arrivarono anche Violet, Jane e Adam. Non c’era molto che potessero fare se non stare ad aspettare di ricevere notizie dagli Avengers quindi facevano giocare i bambini e cercavano di non impazzire pensando al pericolo che stavano correndo i loro uomini.
Fu dopo due giorni che le cose precipitarono improvvisamente. Zachary stava litigando con Kayla per la supremazia sul telecomando quando premette un pulsante e cambiò involontariamente canale, finendo sul notiziario. Violet alzò di scatto la testa quando riconobbe il ruggito di Hulk e si avvicinò al televisore.
Zoey e Phoebe capirono subito e fecero sloggiare i bambini in fretta, mentre tutte le donne si riunivano in salotto e osservavano orrendamente affascinate le immagini internazionali. Violet crollò a sedere sul divano, coprendosi la bocca con la mano, mentre le immagini impietose continuavano a scorrere sullo schermo e mostravano Hulk che seminava distruzione in città.
Victoria non avrebbe avuto bisogno di vedere ciò che seguì, perché immaginava che Tony avrebbe fatto ricorso a Veronica per fermare Hulk, apparentemente impazzito e fuori controllo. Veronica orbitava attorno al pianeta in modo da poter raggiungere qualsiasi luogo in brevissimo tempo e conteneva i componenti per un’armatura alta quasi tre metri e mezzo, progettata proprio insieme a Bruce, l’unica in grado di fermare il bestione verde.
Ma ormai il mondo aveva visto Hulk, quello vero, e non c’era possibilità di tornare indietro. Da lì a chiedere l’arresto immediato di Bruce, il passo era breve. Gli Avengers erano eroi osannati dai più: ma il minimo passo falso veniva pagato a carissimo prezzo.
Erano ancora davanti al televisore quando arrivò Fury. L’ex direttore dello S.H.I.E.L.D., ormai ufficialmente disciolto, aveva abbandonato la lunga giacca di pelle nera per gli abiti civili ma conservava la stessa aria misteriosa che aveva quando era a capo della più grande rete di intelligence mondiale. In realtà, lo S.H.I.E.L.D. continuava a lavorare in segreto, sostenendo gli Avengers nell’ambito di un progetto che avrebbe dovuto portare alla pace mondiale.
«Signore» le salutò Nick. Victoria balzò in piedi e Nick si affrettò ad alzare le mani. «Tranquille, stanno tutti bene. Scossi e ammaccati, ma sono tutti vivi e arriveranno qui non appena stabilizzata la situazione in Wakanda».
Il sospiro di sollievo fu collettivo. Non era semplice essere la compagna di un Avengers. E, sebbene non si opponessero e capissero che agivano per un bene più grande, tutte loro avrebbero accettato senza lacrime un pensionamento anticipato dal difficile mestiere di eroe.
Per il bene dei bambini, cercarono di ristabilire un minimo di normalità e quando, finalmente, tutti furono a letto, Victoria uscì sulla veranda e sedette al buio su uno dei divanetti di vimini. L’arrivo di Tony e del resto degli Avengers era previsto di lì a un paio d’ore e voleva aspettarlo sveglia.
Non sentì Nick avvicinarsi sicché sussultò quando lui parlò.
«Ti spiace se resto qui fuori con te?»
Lei scosse la testa e gli fece cenno di accomodarsi accanto a lei, ma Nick preferì sedersi sul tavolino di fronte.
«È un bel casino stavolta, eh?»
Si conoscevano da anni e Victoria era stata la prima donna ad avere accesso alle informazioni dello S.H.I.E.L.D. a causa del suo coinvolgimento sentimentale con Tony. Nick non rispose ma sospirò, e lei sorrise stancamente.
«Ah, lo conosco quel sospiro. Vale più di mille parole» commentò. «Come è potuto succedere, Nick?»
Si riferiva ovviamente a Hulk. Le resistenze di Nick sulla necessità di farlo entrare nella squadra tornavano alla ribalta. Ai tempi, Nick avrebbe voluto far entrare il solo Bruce Banner, sulle cui capacità di scienziato non si poteva discutere. Ma non si poteva avere l’uno senza l’altro. Poi, finalmente, le cose avevano iniziato ad andare per il verso giusto e Hulk, pur se non veniva impiegato in tutti gli scontri, aveva dimostrato di riuscire a controllarsi e poter essere un supporto alla squadra. Almeno fino a quel momento.
«Ultron non è solo, purtroppo. Non so come abbia fatto a reclutare i gemelli Maximoff, ma una cosa è certa: Wanda, pur essendo una ragazzina, è temibile. È merito suo se ora il mondo chiede a gran voce l’arresto del dottor Banner».
Victoria ricordava che Tony gliene aveva parlato e ricordava che l’aveva definita letale.
«Quindi prima di fermare Ultron, devono fermare questa Wanda, giusto?» chiese la donna, lasciando vagare lo sguardo sulla distesa buia del lago.
«Non è così semplice. Wanda è un mutante con poteri mentali che erano già potentissimi prima che il barone Strucker facesse su di lei e sul fratello esperimenti di dubbia natura. Nessuno di loro, nemmeno Thor, è immune al suo potere. Ma forse c’è qualcuno che potrebbe esserlo».
Victoria tornò a scrutarlo nella poca luce che usciva dalle finestre alle sue spalle.
«Chi?» domandò perplessa.
Nick rimase in silenzio a lungo, tanto che Victoria stava per ripetergli la domanda quando lui parlò di nuovo.
«Helen Cho mi ha chiamato da Seul con i risultati delle tue analisi».
Victoria rimase talmente disorientata dal repentino cambio d’argomento che non recepì subito le sue parole. Poi si alzò in piedi, indignata: «Perché diavolo ha chiamato te? Le avevo raccomandato la massima discrezione».
«Le avevi detto di non farne parola con Tony e lei non l’ha fatto. Ora siediti, per favore».
La donna non obbedì subito, tanto che Fury ripeté l’ordine e lei si accomodò, restando però rigida e tesa.
«Il fatto che la dottoressa Cho si sia sentita in dovere di avvisare me» proseguì, «è relativo a ciò che ha trovato nel tuo sangue».
«Mi stai spaventando, Nick».
Lui si tese in avanti. «Confesso che ho pensato a lungo alla necessità di dirtelo o meno. Ora però, dopo quello che è successo, sono obbligato a riferirtelo». Fece una breve pausa. «Non devi preoccuparti: il tuo fisico è perfettamente in salute».
Victoria rilassò le spalle in modo quasi impercettibile: il tono usato da Nick sottintendeva che qualcosa di strano c’era. Anche perché, altrimenti, perché Helen avrebbe dovuto chiamare lui?
«Nel tuo sangue c’è un gene particolare. Helen non si aspettava di trovarlo e, dato che non dovrebbe essere lì, ha preferito chiamare me». Di nuovo, una pausa. «Il gene che ha trovato si chiama gene-X».
Vide che quella parola non aveva alcun significato per lei e capì che doveva spiegarsi meglio.
«Victoria, tu sei un mutante» disse con dolcezza.
Per Victoria quella frase non aveva significato. Seguitò a ripetersela nella testa, ma continuava a non comprenderla. O meglio, ne comprendeva il senso ma non era possibile, doveva esserci per forza un errore.
«Capisci ciò che ti sto dicendo?» chiese Nick.
«No… cioè, si, ma io… non è possibile» balbettò la donna.
Fury scosse la testa: «Helen ha ripetuto gli esami più volte. Non c’è dubbio».
«Sono confusa» affermò, alzandosi e appoggiandosi alla ringhiera di legno. «Pensavo che il gene mutante si manifestasse durante l’adolescenza, ma io non ho mai…» e non riuscì a proseguire.
«È vero, è così» confermò Nick. «Il perché, nel tuo caso, non sia successo, è un mistero. Ma il gene c’è e si sta muovendo, per così dire».
Victoria si girò verso di lui, restando appoggiata alla balaustra.
«E si sa… voglio dire, siete a conoscenza di che tipo di potere si tratta?»
«È proprio questo che mi ha fatto decidere a parlartene. I tuoi poteri sono di tipo cerebrale. È questo il motivo per cui sei stata tormentata dal mal di testa quando lo scettro è stato portato alla Tower».
Ed era per quello che aveva sentito quel sussurro nella testa poco prima dell’attacco di Ultron. Certo, Ultron non era umano ma era una creatura senziente e le sue onde cerebrali erano molto potenti.
«C’è altro» aggiunse Fury.
«Perché, questo non era abbastanza?» chiese Victoria, tornando a sedersi.
«Dalla base Hydra dove abbiamo recuperato lo scettro, abbiamo portato via anche molti file. Non tutto, perché molto è stato cancellato prima che Tony arrivasse, ma c’era tutta una serie di esami fatti su Wanda».
Victoria si stropicciò gli occhi con le dita. «Perché ho come l’impressione che non mi piacerà la tua prossima frase?»
«Il sangue di Wanda ha la stessa conformazione del tuo, cosa che ci fa presumere che i vostri poteri siano simili». Fury lasciò che le sue parole arrivassero a segno e concluse: «Per questo ti ho detto che c’è qualcuno che forse può fermarla. Quella persona sei tu, Victoria».
«Suvvia, Nick» sbottò la donna. «Stiamo parlando del sesso degli angeli. Io non ho poteri e non so come potrei controllarli, anche se li avessi».
«C’è una soluzione per questo» disse. «Allo S.H.I.E.L.D. abbiamo un siero che dovrebbe funzionare su di te e…»
Non riuscì a finire perché una luce azzurra sfolgorò sulle acque tranquille del lago. Il Quinjet che trasportava gli Avengers apparve nel cielo, manovrando per portarsi sulla radura che fungeva da pista di atterraggio.
Era in modalità silenziosa e non l’avevano sentito arrivare, ma sotto i loro occhi si posò a terra. Victoria balzò in piedi e fece per scendere dalla veranda per raggiungere il jet, ma Nick la fermò.
«Ho bisogno di una risposta» disse.
«Non posso dartela ora» replicò la donna. «Devo ragionarci su e capire che cosa significa questo per me. E devo parlarne con Tony».
Il sorriso che si dipinse sulle labbra di Fury aveva una sfumatura di mestizia che non le sfuggì nonostante il buio.
«Lui non sarà mai d’accordo» affermò con sicurezza. Poi la fissò con il suo unico occhio: «Ricorda che dovrà essere una decisione soltanto tua».
Victoria non rispose e si precipitò giù dai tre gradini, mentre le altre donne uscivano di casa e si disponevano ad accogliere i loro uomini.

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Capitolo 4
*** Inevitability ***


Victoria è a un bivio.
La scelta è inevitabile.
Ma non può prendere da sola
una decisione che influirà così tanto
sul suo futuro.
E Tony sarà un ostacolo più duro del previsto.
A voi... buona lettura!



INEVITABILITÀ

Victoria sedeva sul letto matrimoniale con la schiena appoggiata alla testata, cercando di fare un po’ di ordine nella cacofonia di pensieri che le rimbombava nel cervello. Sentiva l’acqua scrosciare dietro la porta chiusa del bagno.
Gli Avengers erano rientrati da poco più di un’ora ed era rimasta sconvolta di fronte alle condizioni di Natasha.
«Un incontro troppo ravvicinato con la Maximoff» aveva ringhiato Clint che aveva dovuto sorreggerla per farla arrivare in casa, mentre Nat si trascinava con espressione smarrita come se fosse in trance.
Thor era chiuso e taciturno, ma aveva abbracciato Jane affondando il viso nei suoi capelli. Poi, senza una parola, l’aveva circondata con il braccio ed era entrato. Quanto a Steve, era sempre il più equilibrato di tutti, ma Victoria lo conosceva bene e aveva visto ombre nei suoi occhi. Poi anche lui aveva seguito Beth in casa, chiedendole delle sue condizioni.
Tony era comparso nel vano del portello. Aveva sfiorato con gli occhi sua moglie e poi aveva fissato l’unica altra donna rimasta sul prato.
«Il gigante non vuole scendere» aveva detto. A quel punto, Violet si era mossa e aveva salito la rampa, scomparendo all’interno del jet. Tony era sceso e aveva baciato Victoria sulle labbra.
«Lasciamoli soli» aveva detto, trascinandola in casa. «Solo tua sorella può riuscirci».
Violet era infine riuscita a far scendere Bruce e i due si erano ritirati nella loro stanza. Secondo Tony ci sarebbe voluto un po’ di tempo per far sì che Banner si riprendesse dallo shock.
Quelle non erano ovviamente le uniche riflessioni che le turbinavano in testa. La rivelazione di Nick Fury era tale da sconvolgerla: era qualcosa talmente fuori dall’ordinario che, nonostante ne avesse viste parecchie da quando stava con Tony, non riusciva a rendersene conto.
Ciò che la turbava maggiormente era che lei avrebbe potuto fare la differenza e aiutare gli Avengers. Se ciò che Nick le aveva detto era vero, e non aveva motivo di dubitarne, lei avrebbe potuto avere accesso ad un potere simile a quello di Wanda, in grado probabilmente di contrastare quello della ragazza.
Da una parte avrebbe voluto accettare le parole di Nick e abbracciare il destino che le si parava davanti. A quel punto lei non sarebbe più stata un peso sulle spalle di Tony. Non che lui le avesse mai fatto pesare la cosa, ma non le sarebbe dispiaciuto potersi difendere da sola. Con quei poteri, quali che fossero, magari avrebbe potuto proteggere se stessa e i suoi figli.
Dall’altra parte, tuttavia, era spaventata dalle prospettive che si aprivano davanti a lei. C’era la possibilità che non riuscisse a controllare i suoi poteri e finisse per ferire o peggio le persone che amava? Era un’eventualità da non sottovalutare.
Doveva assolutamente parlarne con Tony, ma sapeva già che non sarebbe stato facile. Come poteva dirgli una cosa del genere?
Tony uscì dal bagno in quel momento, con solo un telo a cingergli i lombi. Aveva un secondo asciugamano intorno al collo, con il quale si stava frizionando i capelli umidi. Si lasciò cadere sul materasso con un sospiro, coricandosi di traverso e appoggiando la testa sulle gambe di Victoria.
Mentre lei gli accarezzava i capelli, lui chiuse gli occhi. In Wakanda, Tony era stato impegnato a combattere Ultron ed era rimasto lontano dall’influenza maligna della Maximoff. Non aveva riportato conseguenze psicologiche come Bruce o Natasha, ma qualche segno sul suo corpo c’era. Quando era dentro la sua armatura, a maggior ragione dentro la gigantesca Hulkbuster, era al sicuro dalle pallottole e dalla maggior parte dei colpi, ma qualcuno arrivava comunque a segno.
Victoria accarezzò con delicatezza il taglio poco profondo che aveva sullo zigomo, abbassando poi gli occhi sul suo corpo, notando i lividi e le abrasioni sul torace, provocate dallo scontro con Hulk.
«Sto bene» mormorò lui e la donna riportò gli occhi sul suo viso. «Dovevi vedere com’era conciato l’altro» sogghignò.
«La situazione è grave, Tony» cominciò, e stavolta lui non negò come faceva sempre, minimizzando le cose. «Ultron è un avversario potente ed è ovunque. E finché con lui ci sarà Wanda Maximoff, sarete sempre in minoranza».
Tony sbuffò: «La ragazzina è più furba di quanto pensassi e con il fratello a vegliare su di lei è praticamente intoccabile. È più veloce di una meteora, mai visto nessuno muoversi così. Ma troveremo un modo per bloccare entrambi».
Victoria deglutì: doveva dirglielo, e quello era il momento. Non poteva permettersi di perdere tempo perché non ce n’era.
«Forse… forse il modo per fermarla ce l’abbiamo».
Lui aprì gli occhi e la fissò. «Accettiamo suggerimenti. Anzi, sono decisamente graditi».
«Non credo che questi ti piaceranno» commentò secca. Il tono fece drizzare le orecchie a Tony che si raddrizzò. Prima che aprisse bocca, Victoria alzò una mano. «C’è una cosa che devo assolutamente dirti e tu devi lasciarmi parlare senza interrompermi».
«Oh, tesoro. Non stasera. Non sono in vena di discorsi seri, ho avuto una giornata impegnativa, per così dire» borbottò.
«Mi dispiace, ma non posso tenermi dentro questa cosa. È troppo importante e potrebbe avere un impatto non indifferente su questa guerra».
«Non so se sono più incuriosito o più spaventato. Ad ogni modo, avanti: ti ascolto».
La donna sospirò: «Per farti capire la faccenda devo partire al giorno in cui siete rientrati dalla Sokovia».
Gli spiegò brevemente del suo mal di testa e di come fosse peggiorato nei giorni seguenti fino alla sera della festa.
«Ricordi il mio comportamento quella sera?»
Tony annuì: «Ricordo che mi avevi detto di non sentirti bene e che volevi andare a letto. Poi c’è stato l’attacco».
«Esatto» confermò lei. «Ma non è tutto. Poco prima che Ultron emergesse dal laboratorio, io ho sentito qualcuno sussurrare nella mia testa. La cosa mi ha spaventato, ma ho dato la colpa alla stanchezza e allo stress. Tuttavia, ho chiesto a Helen di farmi un prelievo e di verificare che tutto fosse a posto».
«Perché non me ne hai parlato?» chiese Tony con un certo fastidio.
Victoria abbassò gli occhi. «Vorrei dirti che è stato perché nel trambusto di quelle ore l’ho dimenticato, ma non è così. Non ho voluto accennartene perché non sapevo come dirtelo. Insomma, volevo prima essere sicura di non essere diventata pazza».
«Immagino che i risultati delle analisi siano arrivati, giusto? E se hai deciso di dirmelo immagino che tu non sia pazza».
Era seccato e Victoria capiva bene il perché. In passato c’erano stati segreti tra di loro, che avevano rischiato di mettere in crisi il loro rapporto. Avevano giurato che la cosa non si sarebbe più ripetuta.
«Sì, i risultati sono arrivati. Fisicamente è tutto a posto, ma è saltato fuori qualcosa di nuovo».
Esisteva un modo indolore per dire a tuo marito che hai appena scoperto di essere un mutante?
«Sei incinta?» proruppe.
«Eh? Santo cielo, no!» esclamò lei. «Ho detto basta, tre eredi sono più che sufficienti».
Lui ridacchiò: «E che ne so, Johnson! So che tendi a fare figli nei momenti meno opportuni. Allora, mi vuoi dire cosa sta succedendo?»
Tergiversare era inutile. Tony aveva il diritto di sapere e non c’era un modo facile per dire qualcosa del genere.
«Nel mio sangue c’è un gene particolare che fa di me…» e fece una pausa, raccogliendo il coraggio, «un mutante».
Entrambi rimasero immobili: Victoria per timore della sua reazione e Tony perché scioccato dalla rivelazione. La donna sentiva il cuore galoppare nel petto ma Tony non si muoveva: fissava un punto dietro di lei, senza vederlo.
Timorosa, gli sfiorò il braccio. Tony reagì saltando giù dal letto. S’infilò i boxer e gettò via l’asciugamano di cui si era cinto.
«Non è possibile» dichiarò, piantando i pugni sui fianchi.
«Lo credevo anche io, ma purtroppo non c’è errore». Anche Victoria si alzò e, senza staccare lo sguardo dal suo viso, gli si avvicinò. Non le sfuggì che lui si ritrasse quando gli fu vicina; tentò di camuffare il movimento cercando i pantaloni, ma era teso e non poteva nasconderlo.
Gli spiegò con calma che non sapevano perché la sua mutazione non si fosse manifestata prima, ma c’era ed era questa ad averle provocato quel fastidioso mal di testa.
«Fury non voleva nemmeno dirmelo, ma ritiene che i poteri che acquisirei sarebbero simili a quelli di Wanda e quindi potrei essere d’aiuto agli Avengers».
A quelle parole, Tony esplose.
«CHE COSA? Non se ne parla».
Aprì rabbiosamente il cassettone e prese una maglietta, infilandosela. La sua espressione era furente.
«Non me ne frega niente di ciò che dice Fury. Non puoi essere di aiuto agli Avengers se non tenendoti il più lontana possibile dai guai. Quando questa storia sarà finita, troverò un modo per curarti».
«Curarmi?» domandò lei. «Non capisco cosa c’è da curare. Non penserai che la mutazione sia una malattia, vero?»
La questione mutanti era esplosa da qualche tempo ormai e il dibattito era tuttora aperto. C’era chi sosteneva che fossero pericolosi e ne pretendeva la reclusione e chi invece si batteva perché potessero avere una vita normale. Victoria era sempre stata a favore della seconda corrente, a maggior ragione ora che la cosa la toccava da vicino.
«Non hai visto Wanda in azione» le gridò contro Tony. «È malata, non c’è dubbio».
«Abbassa la voce, per favore» lo ammonì, ma lui non le diede retta.
«Non sai niente di questo mondo, Victoria. E nemmeno voglio che ci entri. Non posso permetterti di rischiare la vita».
«Tu la rischi continuamente però» commentò.
«Appunto. Se mi succedesse qualcosa, devo essere sicuro che i nostri figli non rimarranno orfani. Ci hai pensato a questo?»
«Certo che ci ho pensato, ma io…»
«Non è un gioco. Né uno dei tuoi libri».
«Abbassa la voce, ti ho detto. E comunque non è una decisione che puoi prendere tu per me».
Tony scosse la testa e chiuse gli occhi.
«Non hai idea di quanto sono incazzato in questo momento» mormorò, finalmente a voce bassa.
«Non ne hai motivo, Tony. Arrabbiarsi non risolverà né questa situazione imprevista né le cose con Ultron. Metterci l’uno contro l’altro è ciò che lo farà trionfare, non possiamo permetterlo».
Gli sfiorò il bicipite e lo sentì fremere al suo tocco.
«Finché Wanda coprirà le spalle a Ultron, voi non riuscirete ad avvicinarlo. È troppo forte per voi» provò di nuovo la donna, ma lui scosse la testa.
«Non ne voglio parlare ora, Victoria. Sono stanco e ho bisogno di riposare». Aprì gli occhi. «Anzi, non ha senso parlarne più, la discussione è chiusa».
La presa di posizione così netta irritò Victoria. Il carattere deciso era uno dei tratti che amava di più del suo uomo, ma in quell’ambito sentì la rabbia crescere come un uragano dentro lo stomaco.
«Non puoi chiudere così ogni discussione. Non ne vuoi parlare tu e quindi non bisogna più parlarne. Pensavo che avrei trovato comprensione e aiuto e invece mi ritrovo a sbattere contro un muro di gomma. Credi che per me sia facile?»
Notò subito lo scintillio di rabbia negli occhi di Tony e quando fece un passo verso di lei, arretrò istintivamente.
«E credi che per me sia facile? Grazie a me, il mondo è di nuovo in pericolo e non c’è uno nella squadra che non mi reputi il diretto responsabile di questa situazione. Ho messo in pericolo ognuno di loro, obbligandoli a scendere di nuovo in campo. Come se non bastasse, oggi ho lottato con il mio migliore amico e ce le siamo date di santa ragione per colpa di una streghetta che si diverte a giocare con i nostri neuroni». Fece un altro passo verso di lei e, per la prima volta, Victoria ebbe paura di lui. «Sai una cosa? Anche io pensavo di trovare comprensione e aiuto una volta tornato qui e invece mia moglie mi ha detto di essere un mutante e di volersi imbarcare in qualcosa di talmente più grande di lei che la schiaccerà come una formica. Non lo permetterò. A costo di incatenarti nel seminterrato finché questa cosa non sarà conclusa, non lo permetterò».
Frasi terribili, dettate dalla rabbia e dallo stress, gridate in crescendo. Victoria non fu consapevole della propria reazione finché non sentì la propria mano abbattersi con violenza sulla guancia di Tony. Si pentì immediatamente di averlo schiaffeggiato ma ormai era tardi.
Lui non disse nulla. Afferrò il cuscino, spalancò la porta e scese al piano di sotto. Le loro grida avevano richiamato l’attenzione degli altri e i passi affrettati di Tony nel corridoio fecero uscire Steve appena in tempo per fermare Victoria che si stava precipitando giù per le scale per scusarsi.
«Lasciagli un po’ di tempo per sbollire. Siete entrambi troppo tesi».
Quella notte, nessuno dei due riuscì a dormire. Victoria si ritirò nella sua stanza, si gettò sul copriletto e pianse tutte le lacrime che aveva. Sperava che lo sfinimento alla fine avrebbe vinto, ma non accadde e rimase tutta la notte a pensare alle parole di Tony e alla sua situazione.
Al piano di sotto, Tony si rigirò sul divano senza riuscire a trovare pace. Quando ormai l’alba scoloriva il cielo nero a oriente, si rassegnò. Si alzò, infilò le scarpe e uscì. L’aria era frizzante e portava in sé tutto il sentore di umidità del lago.
Si avviò di corsa, costeggiando la riva, dapprima con un trotto tranquillo, poi accelerando progressivamente. Arrivò al pontile, il suo punto di riferimento a circa cinque chilometri dalla casa, che il sole già illuminava le cime degli alberi e si fermò per riprendere fiato.
Sedette sulle assi di legno con i piedi penzoloni a un palmo dalla superficie dell’acqua. Le cose stavano precipitando, troppo in fretta perché lui potesse fermarle.
Tutto era iniziato con quella visione avuta nella base Hydra. C’era di nuovo quel buco spazio temporale che aveva riversato su New York la temibile armata dei Chitauri e che era rimasto nei suoi incubi per lungo tempo. Stavolta lui si trovava dall’altra parte e vedeva la Terra mentre le navi dei Chitauri attraversavano il portale.
Ma non era stato quello a sconvolgerlo nonostante la visione degli Avengers uccisi e ammucchiati sulle rocce come fasci di grano dopo la mietitura. Persino l’invincibile Hulk, trafitto da numerose lance e abbandonato sul fianco. E poi la Vedova Nera, Occhio di Falco, il possente Thor e Captain America con lo scudo spezzato a metà accanto a lui.
No, a farlo sudare freddo erano stati i cadaveri della sua famiglia abbandonati come bambole rotte. Aveva visto Elizabeth, che aveva conservato nella morte l’espressione di dolore, e suo fratello Zachary poco distante, con la maglietta di Ironman lacera e insanguinata.
Serenity era in braccio a sua madre, la testa abbandonata all’indietro e un filo di sangue che le colava dall’angolo della bocca. Tony si era inginocchiato accanto a Victoria mentre le lacrime gli offuscavano la vista.
Le aveva tastato il collo in cerca del battito: la pelle era fredda e non gli serviva essere un medico per capire che la ferita al ventre era sicuramente letale. Aveva abbassato la testa, sconfitto. Era sopravvissuto al palladio e a tutti i nemici che gli si erano scagliati contro, ma a questa perdita non poteva sopravvivere. Né voleva farlo.
Victoria gli aveva afferrato la mano e lui aveva spalancato gli occhi.
«Non avresti dovuto giocare con il fuoco» gli aveva sussurrato con voce stentata, parole che avrebbe ripetuto la sera dell’attacco di Ultron alla Avengers Tower. «Avresti potuto fare di più. Avresti dovuto…»
Poi si era irrigidita e lui l’aveva presa fra le braccia cercando di fermare le convulsioni della morte che la stavano portando via. Ovviamente non ci era riuscito e non aveva potuto fare altro che osservare la lucentezza sparire dai suoi splendidi occhi verdi, mentre il corpo perdeva rigidità e infine si abbandonava.
La visione si era poi dissolta, ma lui aveva continuato a sentire il peso del cadavere fra le braccia e il peso della perdita nel cuore. A conti fatti, la cosa davvero spaventosa era che lui era sopravvissuto a tutti: agli Avengers, i suoi migliori amici, a sua moglie e ai suoi figli, che erano tutta la sua vita. Era quello che finiva per essere devastante: il sapere di dover andare avanti senza le persone che amava.
Una volta rientrato alla Tower, gli erano bastati gli esami preliminari sullo scettro per capire che le potenzialità erano enormi. Non aveva previsto che Ultron avrebbe preso il controllo di Jarvis e, attraverso lui, anche della Iron Legion.
Aveva sbagliato, ma la motivazione era giusta. Aveva tre figli e voleva goderseli invece che essere impegnato a rischiare la vita per rendere il mondo un posto migliore. E non pensava solo ai suoi ma anche a quelli degli Avengers e, perché no, a quelli di tutta l’umanità. Con Ultron a protezione del pianeta, sarebbero stati finalmente liberi dal peso di una responsabilità che investiva loro e le loro famiglie.
Non era andata così e il punto più basso l’avevano toccato in Wakanda. Ultron, sempre un passo davanti a loro, si era recato nel piccolo stato africano per mettere le mani su una riserva di vibranio, materiale che presentava un grado di durezza tale da essere praticamente indistruttibile. Lo scudo di Captain America, un progetto del padre di Tony, ne era l’esempio più chiaro. Ultron aveva capito che con un corpo fatto di quel materiale sarebbe stato invincibile.
Mentre Tony combatteva con Ultron, Wanda Maximoff aveva usato i suoi poteri sul resto degli Avengers, eccettuato Occhio di Falco, mettendoli KO uno dopo l’altro. Il problema era che era entrata anche nella testa di Banner, che aveva già il suo bel daffare a mantenere l’autocontrollo senza bisogno di qualcuno che giocasse con il suo cervello.
Era servito Hulkbuster per fermare il gigante verde e lo stesso avevano distrutto mezza città (la Fondazione Stark, che interveniva sempre in casi del genere, era comunque già sul posto).
Uno stormo di anatre selvatiche nella classica formazione a freccia planò sulle acque del lago e si posò sulla superficie in una nube di spruzzi, ma non fu in grado di strapparlo ai suoi pensieri.
Quello decisamente non era un bel periodo per Tony. Ma tornare a casa e sentirsi sganciare addosso la notizia che Victoria era un mutante era stato troppo. Ancora ora, ripensandoci, non poteva crederci. Tuttavia quella notte, prima di provare a dormire sul divano, aveva mandato un’e-mail alla dottoressa Cho che, nonostante il fuso orario, aveva risposto subito, trasmettendogli gli esiti delle analisi.
Victoria aveva effettivamente il gene-X ma non era stato quello, tutto sommato, a farlo arrabbiare. Né lo schiaffo con cui l’aveva colpito (e che forse si era meritato alzando così la voce). Insomma, non cambiava quello che provava per lei. Ciò che l’aveva fatto imbestialire era questo novello desiderio della donna di buttarsi nella mischia. Aveva fatto di tutto per tenerla al sicuro e ora lei (istigata da Fury, ne era certo) pensava di doversi impegnare in prima persona per salvare il mondo.
Il vero bastardo di tutta la faccenda, in realtà, era proprio Nick. Lui era dell’idea che il singolo individuo fosse sacrificabile per il bene del resto dell’umanità e Tony era d’accordo. Almeno finché il singolo individuo non si rivelava essere sua moglie. Allora le cose cambiavano decisamente.
La vibrazione del cellulare in tasca lo riportò al presente.
«Dove sei?» chiese Steve senza troppi preamboli.
«Avevo bisogno di un po’ d’aria. Non starmi troppo addosso, Rogers» replicò.
Udì il sospiro irritato del capitano anche attraverso l’apparecchio.
«Dobbiamo parlare. Rientra» disse categorico e riattaccò.
Tony considerò per un secondo la possibilità di opporsi all’ordine ma alla fine si rimise in piedi e si avviò di corsa, tornando sui suoi passi verso la villa.

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Capitolo 5
*** Uprising ***


Le cose, nella famiglia Stark, non sono mai semplici.
E la litigata fra Tony e Victoria è stata impetuosa
quanto una tempesta in mare aperto.
Ma ora bisogna prendere una decisione
ed è Victoria a dover decidere del proprio futuro.
Buona lettura e, se volete, attendo i vostri commenti.


RIVOLTA

Quando rientrò, i bambini (non solo i suoi) gli corsero incontro. Non appena riuscì a districarsi dalla masnada, raggiunse gli altri in sala da pranzo. Il lungo tavolo era apparecchiato per la colazione, ma non tutti erano accomodati sulle sedie.
Clint stava imboccando Alexander. Tony, notando che Natasha mancava, le chiese notizie.
«Sta bene, ma sta ancora riposando. È stata particolarmente dura per lei».
Mancavano anche Bruce e Violet, ma non si era aspettato di trovarli. Il suo amico aveva sempre bisogno di tempo per riprendersi dopo una metamorfosi, a maggior ragione dopo essersi trovato in una situazione come quella in Wakanda. Violet era l’unica a cui permettesse di avvicinarlo.
Victoria si era alzata quando era entrato. I segni violacei sotto i suoi occhi gli rivelarono che nemmeno lei aveva riposato. Si rese conto che aveva bisogno di lei, la desiderava come sempre, ma il suo orgoglio non gli permetteva di abbassarsi a chiedere scusa né di perdonarla facilmente.
Così, quando lei si avvicinò chiedendogli se volesse un caffè, rispose freddamente che si sarebbe servito da solo e si allontanò. La donna ci rimase male, ma non disse nulla.
Non lo vide più per tutto il giorno e cercò di tenersi impegnata con i bambini. Ma mentre era in giardino a partecipare ai loro giochi, si ritrovò spesso a sollevare lo sguardo verso la villa dove sapeva che gli Avengers erano riuniti e stavano decidendo come affrontare Ultron.
«Gli passerà, vedrai» le disse Beth ad un certo punto, sfiorandole la spalla.
«Non lo so» replicò. «È così testardo».
Quando Steve uscì e raggiunse sua moglie, aveva l’aria grave e tesa.
«Pensiamo di aver capito dov’è diretto Ultron».
«Dove?» chiesero entrambe.
«Seul. Sospettiamo che voglia fare un passo ulteriore e combinare il vibranio con le attrezzature della dottoressa Cho per la ricostruzione dei tessuti, creandosi un corpo nuovo». Steve accarezzò il viso della moglie. «Partiamo tra qualche ora».
Furono interrotti da un movimento sulla veranda di casa. Thor uscì e baciò Adam e Jane. Poi li lasciò e si allontanò. Quando fu al centro del prato fece roteare Mjolnir e volò via, mentre Adam lo salutava con la manina.
«La visione ispirata da Wanda gli ha mostrato cose che non comprende» spiegò Steve. «Ha deciso di andare a Londra e parlare con Selvig, per cercare di capire di cosa si tratta».
«Anche Tony verrà a Seul?» domandò Victoria.
«No, lui no. Fury ci ha informati che Ultron sta cercando di accedere ai codici di accesso agli impianti missilistici ma qualcuno glielo sta impedendo. Ci sta facendo un favore, ma non sappiamo di chi si tratta e Tony andrà a Oslo, al Neuxs, per cercare di capirlo».
Il Neuxs era il più importante centro internet del pianeta, l’unico luogo che speravano fosse rimasto al sicuro dall’influenza di Ultron e dal quale Tony sperava di rintracciare il misterioso hacker che stava giocando con i codici.
«Partirà a minuti» aggiunse Steve.
Victoria scattò di corsa e si precipitò in casa. Salì al primo piano e bussò alla porta della camera che avrebbe dovuto dividere con Tony. Non ci fu risposta ma lei entrò lo stesso.
Tony stava infilando i documenti nella ventiquattrore e non distolse l’attenzione da ciò che stava facendo. Lei era intimorita e, per la prima volta, a disagio in sua compagnia.
«Cap mi ha detto che parti per Oslo» disse in un sussurro. Lui non rispose, infilando nella valigetta anche un cambio di biancheria.
La donna era pronta a capire che fosse arrabbiato ma che non rispondesse le sembrava un comportamento decisamente infantile.
«Hai intenzione di continuare per molto a non parlarmi?»
Di nuovo, le sue parole non sortirono effetto alcuno. Tony si voltò e prese un paio di magliette dal cassetto. Victoria sedette sul letto: vedeva la sua espressione tesa e corrucciata nello specchio. Sospirò e distolse lo sguardo.
«Non fare quella faccia» borbottò lui, sempre senza voltarsi.
«Quale faccia?»
«Come se stessi discutendo con un bambino».
«Perché, non è così?»
Tra di loro calò di nuovo il silenzio. Poi, finalmente, lui si voltò.
«Sto solo cercando di proteggerti» affermò, in tono più calmo.
«E io di aiutarti».
Entrambi si rendevano conto che non sarebbero mai arrivati ad un punto d’incontro in quel modo, ognuno arroccato sulla propria posizione. E, in modo del tutto inaspettato, fu Tony a cedere. Sedette accanto a lei e le prese le mani.
«In Sokovia quella piccola strega ha giocato con le nostre paure e sai cos’ha mostrato a me? I miei compagni morti e la mia famiglia uccisa». Le strinse più forte le mani, fino a farle male. «Ho stretto il tuo cadavere fra le braccia, Vicky».
Incapace di stare fermo, si alzò e si avvicinò alla finestra. I bambini giocavano ancora in giardino sotto l’occhio vigile di Steve e delle bambinaie. Individuò i suoi figli e rimase ad osservarli un po’ in silenzio. Non sentì che lei si avvicinava finché non lo abbracciò da dietro e gli appoggiò la guancia sulla schiena.
«Si trattava soltanto di un incubo, Tony».
Lui si voltò e le sollevò il viso per guardarla negli occhi.
«Non posso perderti, Victoria. Posso sopravvivere a tutto, ma non a questo».
«Tony…» provò, ma non la lasciò parlare.
«Piccola, io devo partire, non posso rimandare. Promettimi solo che non farai niente di stupido e ne riparleremo al mio ritorno. Ti prego».
Victoria era stupita dal cambiamento. Insomma, avvertiva ancora rigidezza e tensione, ma l’atteggiamento di Tony era drasticamente mutato. Annuì in risposta e lui le sfiorò appena le labbra con la bocca.
«Sta attento» raccomandò.
«Lo farò» rispose. Raccolse la valigetta e uscì. Un’auto era in attesa per portarlo all’aeroporto, da dove sarebbe partito con il suo jet privato. Negli ultimi giorni aveva usato molto l’armatura e voleva approfittarne per recuperare le energie perdute.
Ci vollero altre due ore di preparativi prima che Steve, Clint e Natasha fossero pronti a partire ma, alla fine, il Quinjet spiegò le ali e si alzò in volo, scompigliando le chiome degli alberi.
Il jet era ancora in vista ma già Victoria bussava alla porta del bungalow dove Fury aveva passato quei giorni. Quando aprì, la donna trasse un lungo respiro tremulo.
«Voglio fare questa cosa, Nick. Sento che è necessaria».
Lui la scrutò a lungo.
«Tony lo sa?»
«Non è d’accordo, se è ciò che vuoi sapere. Ma stavolta sento che devo prendere da sola la mia decisione».
Fury annuì con decisione. «Va bene. Hai mezz’ora di tempo. Saluta i tuoi figli mentre io faccio qualche telefonata».
Con Zachary e Serenity non c’era bisogno di molte spiegazioni, anche se le si spezzava il cuore all’idea di lasciarli. A Elizabeth disse che doveva trovare un modo per aiutare papà a sconfiggere il cattivo e tanto le bastò.
Propinò la stessa spiegazione alle amiche, che non credettero ad una sola parola ma accettarono che dovesse andare. Se avessero sollevato obiezioni avrebbe invocato la segretezza e nessuna di loro avrebbe sondato di più. Erano le donne degli Avengers, erano abituate a quelle mosse. E poi, in fondo, se ne andava con Fury, ex direttore dello S.H.I.E.L.D., cosa più che sufficiente a garantire la legittimità della cosa.
L’auto di Nick attendeva davanti alla villa e Victoria si accomodò sul sedile posteriore. L’autista chiuse la portiera a lei e a Nick, si mise al volante e partì.
«C’è una base segreta dello S.H.I.E.L.D. in questa zona. Ho dato disposizioni perché sia tutto pronto quando arriveremo».
C’erano due ore di macchina dalla villa alla base e Victoria dormì per tutto il tempo, esausta per la notte in bianco e per la tensione di quelle ore. Si svegliò quando avvertì una variazione nel rombo del motore e notò che stavano attraversando un tunnel artificiale illuminato da una serie di neon.
Il tunnel era lunghissimo e finì davanti a una spessa porta di acciaio. Nessuno degli occupanti dell’auto si mosse e, dopo qualche secondo di attesa, la porta si aprì con uno sbuffo pneumatico, lasciandoli entrare e richiudendosi subito dietro di loro.
L’immensa struttura sembrava un hangar e c’erano mezzi di ogni tipo parcheggiati con ordine maniacale. La berlina nera su cui viaggiavano continuò ad avanzare finché la donna vide davanti a loro una parete di vetro.
L’autista parcheggiò in un posto contrassegnato da righe arancioni e li fece scendere. Nick si avvicinò alla vetrata su cui comparve una specie di schermo.
«Fury, Nicholas J.» disse. Sullo schermo apparve una sua foto e una delle vetrate si aprì per lasciarlo passare. Lui si voltò verso Victoria e la invitò con un cenno ad entrare.
«Benvenuta alla base Jaywick dello S.H.I.E.L.D.»
Incrociarono parecchie persone, alcune in uniforme, altre che indossavano camici bianchi. Ognuno di loro sembrava molto indaffarato: salutava Fury con un cenno del capo e degnava appena di uno sguardo Victoria.
Nick la condusse in un ufficio arredato in modo spartano con una semplice scrivania di ferro, un paio di sedie e una serie di schedari che correva lungo le pareti.
«Dove siamo?»
«Non posso dirtelo, ma siamo sotto una montagna, perfettamente al sicuro». Sul piano della scrivania c’era una cartella con il logo dell’organizzazione e Fury la scostò. «Innanzitutto devo sapere come sei rimasta con Tony. Tutto questo avrà conseguenze su di te, quindi su di lui e perciò che sugli Avengers».
La donna sospirò. «Gli ho promesso che non farò nulla di stupido e che ne riparleremo a bocce ferme».
Fury fece una smorfia: «Non è una gran base di partenza, se posso permettermi».
«Hai mai avuto un sogno, una visione? Qualcosa per cui eri disposto a lottare nonostante tutti ti dicessero che non ne valeva la pena?» gli chiese e l’altro sogghignò.
«Più di una volta» replicò. «L’ultima quando ho scommesso sugli Avengers».
«Allora non ho bisogno di spiegarti le mie ragioni».
La fissò per un lungo istante e lei sostenne lo sguardo senza vacillare.
«E sia!» esclamò infine. Prese la cartellina e l’aprì. «Ciò che faremo è molto semplice. Ti inietteremo un siero che andrà a stimolare la produzione di cellule con il gene-X. Questo innescherà la mutazione che, per un motivo che non conosciamo, non si è manifestata durante l’adolescenza».
«A quel punto cosa succederà?»
Fury non rispose. Victoria accavallò le gambe e si tese in avanti.
«Aspetta un attimo: quanta sperimentazione avete fatto su questo siero?»
Il silenzio si protrasse ancora e la donna alzò le mani in segno di resa: «No, lascia perdere: preferisco non saperlo».
Si passò nervosamente una mano fra i capelli. «Senti, se stiamo qui a pensarci troppo su, finirò per cambiare idea. Quindi, facciamo questa cosa».
Fury premette un pulsante su una consolle e si alzò in piedi. Lo fermò prima che aprisse bocca.
«Voglio farti solo una domanda: c’è pericolo per la mia vita?»
«La dottoressa Cho ha fatto tutti gli esami necessari e ha stabilito che sei perfettamente in grado di sostenere la mutazione. Inoltre sarai attentamente monitorata e, in caso di necessità, terremo pronto l’antidoto per annullare gli effetti del siero. Una volta però che la mutazione sarà completata, non sarà possibile tornare indietro». Sapeva di non aver risposto alla sua domanda, ma non aveva altro da offrirle. Victoria capì e non insistette.
La porta del piccolo ufficio si aprì ed entrò una donna bionda con un camice bianco.
«La dottoressa Courtney ti preparerà per l’iniezione. Ci vediamo tra poco in laboratorio». Fury aggirò la scrivania e le tese la mano. «Sei una delle persone più coraggiose che abbia mai incontrato: ci vuole fegato per prendere questa decisione. Tony dovrebbe essere fiero di te».
«Spero che l’orgoglio supererà la rabbia quando saprà cos’ho fatto».
Victoria seguì la dottoressa in un piccolo ambulatorio. Si spogliò e rimase con la sola biancheria intima. La donna le applicò degli elettrodi sul torace e poi le consegnò dei vestiti.
«Indossi questi, prego» disse. Era cortese ma fredda.
Gli indumenti che le aveva dato era di uno strano tessuto elastico blu a nido d’ape. Infilò i pantaloni e la maglia a maniche corte. Gli elettrodi non avevano fili perciò chiuse la cerniera sul petto e seguì la donna in camice bianco.
Uscirono dall’ambulatorio e Victoria la seguì. Si rendeva vagamente conto che quel posto era enorme, ma si chiedeva come facessero quelle persone a lavorare in quel bunker senza finestre. Inoltre, sapere di avere una montagna sopra la testa la preoccupava, ma non tanto quanto ciò che si apprestava a fare. Ad ogni modo, non voleva pensarci. Il confine tra coraggio e incoscienza, doveva ammetterlo, era molto labile.
Fu introdotta in una stanza dalle asettiche pareti piastrellate di bianco dove ritrovò Fury. Tre pareti erano completamente bianche mentre la quarta era in parte occupata da uno specchio tipo quelli delle sale interrogatori. Le ricordava la sala in cui l’FBI l’aveva portata e interrogata tre anni prima, anche se quella non era così inquietante.
L’unico arredo della stanza era un lettino d’acciaio con le cinghie per fermare braccia e gambe. Le ricordò quello delle esecuzioni con iniezione letale e rabbrividì. Fury notò il suo turbamento e le strinse la spalla.
«È solo una precauzione».
Victoria salì sul lettino e si stese, tendendo le braccia sui supporti. La Courtney le assicurò i polsi alle cinghie e fece lo stesso con le caviglie. Una volta immobilizzata sul lettino, il coraggio l’abbandonò. Sentiva il cuore galoppare nel petto e il respiro accelerò bruscamente.
«Sei ancora in tempo per tirarti indietro» disse Fury, avvicinandosi al lettino.
Victoria prese alcuni respiri profondi e rimase qualche attimo a occhi chiusi. Quando li riaprì, fissò Nick: «Ok, cominciamo».
«Va bene. La dottoressa ti inietterà il siero, poi uscirà dalla stanza. Non sappiamo che reazioni si scateneranno, ma per sicurezza aspetteremo dietro quel vetro» disse, indicando lo specchio. Le accarezzò la fronte: «Andrà tutto bene, vedrai».
Uscì dalla stanza e rimase solo la Courtney. Le applicò un laccio emostatico al braccio destro, facendo spiccare la vena con un paio di colpetti. Prese una siringa piena di un liquido incolore, passò un batuffolo sull’interno del gomito e piantò l’ago. Premette lentamente lo stantuffo e Victoria sentì distintamente il liquido che si riversava nella vena.
Ripose la siringa vuota in una bacinella di acciaio, applicò un cerotto sul braccio di Victoria e, senza proferire parola, uscì.
Rimasta sola, Victoria cercò senza troppo successo di regolare il respiro. Per diversi minuti non accadde nulla, tanto che cominciò a pensare che il siero non avesse effetto. Poi cominciò a sentire una sgradevole sensazione di calore che si irradiava verso le dita e contemporaneamente risaliva verso la spalla.
Cercò di calmarsi, ma sentiva che qualcosa non andava, mentre il calore si espandeva nel petto, giù fino allo stomaco, poi ancora più in basso, fino alle punte dei piedi. Sentì la testa in fiamme e in modo irrazionale pensò di rischiare l’autocombustione.
Che Fury si fosse sbagliato? Forse i suoi poteri non erano mentali ma pirocinetici e lei stava andando a fuoco. Una paura irrazionale si impossessò di lei e strattonò le cinghie che la legavano, nel tentativo di sfuggire a quel tormento.
Nell’altra stanza, Nick Fury, la dottoressa Courtney e una dozzina di collaboratori osservavano alternativamente la scena e i parametri di Victoria riportati sui monitor grazie ai sensori che aveva addosso.
«È molto agitata» commentò la dottoressa.
Nick non commentò, ma cominciava a pensare di aver affrettato troppo i tempi. Il siero che avevano inoculato a Victoria era ad un livello di sperimentazione davvero troppo basso per poter essere usato su una persona. Il problema era che non avevano tempo: Wanda Maximoff andava fermata e la carta migliore che si era ritrovato tra le mani era quella donna dai capelli ramati ora legata ad un lettino.
«Forse dovremmo interrompere» mormorò la dottoressa, lanciando un’occhiata alla siringa di antidoto già pronta.
«No, ce la farà».
La partita che stava giocando era pericolosissima. Se le cose fossero andate storte, avrebbe dovuto fare i conti con Stark e non aveva dubbi su quale sarebbe stata la sentenza nei suoi confronti né la pena.
Il corpo di Victoria si inarcò violentemente, a malapena trattenuto dalle cinghie. I valori sugli schermi impazzirono e il battito cardiaco subì una brusca impennata. Dalla sua posizione, Nick vedeva i tendini del collo tesi come sbarre d’acciaio e temette che si sarebbe frantumata i denti.
Victoria gridò quando una fitta alla testa la colpì con violenza. Sembrava che le stessero spingendo un chiodo arroventato nel cervello. Il mal di testa che l’aveva tormentata alla Avengers Tower non era nemmeno paragonabile.
Tempo e spazio persero di significato. Non era conscia di dove si trovasse, né da quanto fosse lì. C’era solo dolore, intenso e bruciante. Era invece acutamente consapevole di ogni cellula che componeva il suo corpo e di come ogni piccola parte di lei esplodesse di dolore. Ogni cellula soffriva e gemeva e lei ne sentiva la sofferenza moltiplicata milioni di volte.
Avrebbe voluto rannicchiarsi su se stessa e attendere che la morte spegnesse quel supplizio ma per quanto cercasse di chiudere le braccia, c’era qualcosa che la tratteneva.
Sentiva un rombo nelle orecchie, come se si trovasse sotto una violenta cascata d’acqua. Era troppo stordita per capire che si trattava del cuore che pompava furiosamente nel suo petto, ma ne erano ben consapevoli gli scienziati al di là del vetro.
La dottoressa si alzò di scatto quando i valori del battito cardiaco aumentarono ancora e allungò la mano verso l’antidoto.
«Non lo faccia» disse Fury, con il suo unico occhio puntato su Victoria.
«Nessun umano può reggere una simile tachicardia» obiettò la donna.
«Lei non è già più umana».
Nell’altra stanza, Victoria s’inarcò di nuovo, se possibile con più veemenza di prima. E, all’improvviso, il frenetico bip dell’elettrocardiogramma si ridusse ad un unico sibilo prolungato.
«È in arresto» esclamò la dottoressa, precipitandosi fuori. Afferrò il carrello con il defibrillatore e lo trascinò vicino al lettino.
«Non può essere» mormorò Nick, facendo un passo verso il finto specchio mentre il corpo della donna si rilassava e tornava a stendersi sul lettino.
«Stavolta non te la cavi, Nick» disse a se stesso. «Sei un uomo morto».

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Capitolo 6
*** Can you stop this thing? ***


 
La mutazione è iniziata.
E ora Victoria dovrà lottare,
per la propria vita
e per quella di chi ama.
Buona lettura e...
aspetto sempre di sapere cosa ne pensate!


PUOI FERMARE QUESTA COSA?

Il dolore era cessato. Finalmente era libera e il sollievo la spinse a sorridere. O meglio, credeva di stare sorridendo: non era sicura di dove fosse la bocca. Che strana sensazione.
Poco a poco si rese conto che qualcosa non andava. C’era troppo silenzio, soprattutto in confronto a prima quando sembrava di essere in mezzo ad una mandria lanciata al galoppo. Ma non le importava: ciò che contava era che la testa non le doleva più e sentiva le membra sciolte e rilassate.
Qualcosa però venne a turbare il suo idillio, come increspature sulle acque calme di un lago. Sentiva intorno a sé stupore e incredulità. E frenesia. E paura. Ma sapeva che non erano sentimenti suoi. Lei non aveva motivo di sentirsi stupita, incredula, frenetica o impaurita. Finalmente stava bene, perché avrebbe dovuto provare quei sentimenti?
C’era un brusio di voci intorno a lei, ma erano così lontane e non riusciva a sentire cosa dicessero. Probabilmente si trattava di discorsi che non le competevano, ma percepiva che doveva essere qualcosa di molto importante. Perché non la lasciavano in pace? In fondo voleva soltanto dormire.
A ben pensarci, non era sicura di stare dormendo. Era quasi certa di avere gli occhi aperti, ma non vedeva. Forse stava sognando, ecco perché tutto appariva così strano.
All’improvviso, la luce sfolgorò nei suoi occhi, così violenta da far male. Sentì il proprio corpo inarcarsi, ma non era stato il suo cervello a dare quell’impulso. Una scarica elettrica le attraversò il torace e subito il rombo di cavalli al galoppo riprese.
Ora sì che aveva gli occhi aperti, ma non vedeva nulla. Solo bianco, tutto bianco. C’era ansia intorno a lei ed era un sentimento che la disturbava. Stava così bene prima, perché l’avevano svegliata in maniera così violenta?
Era confusa e cercò di portare una mano al viso, ma sentì che era bloccata. Realizzò che il polso era imprigionato e desiderò essere libera. Immediatamente sentì la pressione sul braccio alleggerirsi e poté spostare la mano. La portò davanti al viso e per un attimo ebbe l’impressione che fosse avvolta da un reticolo verde che ondeggiava e si muoveva come una fiamma.
Di nuovo, sensazioni che non erano le sue la invasero. Ora, insieme all’ansia e alla frenesia, c’era stupore misto a un pizzico di sollievo. Voltò il capo e riconobbe la dottoressa Courtney. Stava dicendo qualcosa ma non riusciva a capire, come se parlasse da dietro uno schermo di vetro.
Poi vide che aveva in mano una siringa e ricordò come dalla puntura precedente fosse scaturito quello strano calore e poi quel dolore devastante. Ebbe paura (stavolta sì, era la sua) e alzò una mano per fermarla.
«No!» esclamò. Ci fu un lampo verde e la dottoressa sparì dal suo campo visivo. Udì un tonfo sordo, un grido e percepì dolore, sensazione che però non le apparteneva.
Dal suo punto d’osservazione privilegiato, Fury vide tutto.
Vide Victoria in arresto cardiaco che si rilassava nell’immobilità della morte. Aveva fallito e ora doveva affrontare le conseguenze della sua pazzia. Era la fine: la fine degli Avengers perché la perdita della moglie sarebbe stata un colpo troppo grosso da metabolizzare per Tony in primis e poi per tutti gli altri; la fine per lui, perché Tony avrebbe preteso vendetta; e la fine per il mondo intero, perché tutto questo spalancava la strada a Ultron.
Vide la dottoressa Courtney precipitarsi nel laboratorio e preparare il defibrillatore. In cuor suo sapeva che era inutile, ma rimase a guardare mentre la donna caricava lo strumento e appoggiava le piastre sul petto di Victoria. E quando la scarica la colpì, accadde qualcosa che nessuno di loro si era aspettato.
Vide gli occhi di Victoria spalancarsi e un fitto reticolo verde percorrere il suo corpo. Aveva già visto quel fenomeno. Da quando aveva scoperto che Victoria era un mutante e che i suoi poteri potevano essere simili a quelli di Wanda, aveva visionato tutto il materiale disponibile sulla piccola strega originaria della Sokovia. La Maximoff mostrava le stesse caratteristiche. Cambiava il colore: rosso per la ragazzina sokoviana, verde per Victoria. Ma, in sostanza, i due fenomeni erano identici.
Vide le cinghie che trattenevano il polso destro di Victoria sciogliersi da sole. Appoggiò una mano sul vetro a specchio che lo divideva dal laboratorio. Erano poteri telecinetici quelli con cui la donna, consapevole o meno, questo era da appurare, aveva sciolto i legacci. La strana brillantezza verde si spense, lasciandolo con il sospetto di aver trovato un tesoro, non un semplice mutante.
Vide Victoria girare la testa verso la dottoressa. Sembrava confusa, come se non capisse le parole della Courtney che le stava chiedendo se si sentisse bene. La scienziata annunciò che l’avrebbe sedata e prese la siringa.
Vide la paura dipingersi sul volto di Victoria e capì che era troppo tardi per intervenire. Victoria sollevò una mano e lui seppe con certezza che avrebbe usato i suoi poteri per difendersi. Era naturale: era un animale confuso e spaventato e si sarebbe difesa con le sue nuove capacità.
Vide un lampo verde, repentino e abbagliante, e il corpo della Courtney fu scagliato indietro. Attraverso il sistema audio udì chiaramente il crac di ossa spezzate e quello bastò a riscuoterlo dall’intorpidimento di cui era caduto preda. Sapeva cosa sarebbe successo ora: si sarebbe scatenata la confusione e, se aveva ragione, in quel momento Victoria era bombardata di sensazioni che non riusciva a capire e ogni parossismo di terrore intorno a lei l’avrebbe indotta ad usare ancora le sue facoltà.
Corse nel laboratorio, facendo sloggiare in fretta due o tre scienziati che si erano precipitati dietro la Courtney per dare un mano. Rialzò la donna che giaceva a terra, constatando con sollievo che era cosciente e si affrettò ad uscire, mentre le cinghie che ancora trattenevano Victoria si scioglievano.
Victoria scese dal lettino, si accorse di ciò che aveva fatto e indietreggiò, finché fu con le spalle al muro. Fury uscì e fece chiudere la porta dietro di sé. Il battente e le mura della stanza erano spessi più di un metro, ma non era più sicuro che sarebbero bastati per contenerla. Poi affidò la dottoressa ferita ai suoi collaboratori e tornò davanti allo specchio. Victoria era in piedi, appoggiata alla parete. Stava a testa china e i capelli le coprivano il viso. Fury digitò un comando sulla tastiera e attivò il collegamento audio.
«Victoria, sono Nick. Va tutto bene, tranquilla».
La donna alzò la testa di scatto e lui trasalì. L’iride scintillava, circondata da quello stesso reticolo verde che prima le aveva avvolto tutto il corpo. La visione era inquietante eppure bellissima. Era la prova che Victoria era potente e che, in fondo, aveva avuto ragione.
«Nick! Che cosa mi sta succedendo?»
«È la mutazione, il tuo corpo sta cercando di adattarsi». Sapeva che doveva tenerla calma per i primi momenti. I poteri mutanti erano legati alle emozioni e se fosse riuscita a calmare quelle, ne avrebbe acquisito il controllo. Non sarebbe stato facile: aveva ancora il respiro e il battito accelerati, anche se non come prima che il suo cuore si fermasse.
«Ascolta la mia voce, concentrati su di essa».
Victoria scosse la testa, sempre con quel sinistro bagliore verde negli occhi.
«Ce la puoi fare, sei più forte di così».
La vide prendersi la testa fra le mani.
«Fallo smettere! Dio, ti prego, fa’ che smetta» mormorò. Aveva la testa piena di sussurri, emozioni che non erano sue le aggrovigliavano il cervello e non riusciva a concentrarsi su nessuna di quelle percezioni, con il risultato che il suo smarrimento aumentava.
Con una punta di paura capì che stava percependo i pensieri di tutti coloro che erano presenti nella stanza a fianco e avvertì che il raggio si stava allargando, includendo sempre più persone. Il mormorio nella sua testa aumentò e, con un gemito, cadde in ginocchio sul pavimento, sempre artigliandosi la testa.
Una scarica di energia scaturì dal suo corpo curvo, potente e incontrollata. Travolse il carrello della rianimazione che era rimasto accanto al lettino e lo scagliò contro il muro. Andò in pezzi e incrinò le piastrelle bianche del rivestimento.
Victoria gemette e strisciò lungo la parete, rintanandosi nell’angolo. Fury la seguì grazie alle telecamere a circuito chiuso.
«Victoria, ascoltami» cominciò, ma la donna scosse la testa. Gli occhi conservavano ancora quello strano riflesso verde e Nick sperò che non fosse definitivo.
«Non ce la faccio» piagnucolò. «Sono troppi, sono troppi» disse, continuando a ripetere quelle parole.
«Sì che puoi farcela. Concentrati su di me, Victoria. Concentrati solo sulla mia voce».
Gli spezzava il cuore vederla così e non riusciva neanche ad immaginare il tormento che stava provando. Se voleva fare in modo che riuscisse a controllare i suoi poteri, doveva far sì che si calmasse e cominciasse a ragionare. L’irrazionalità era il nemico peggiore, in quei casi.
«Devi controllare le emozioni, le tue emozioni. Quando ci riuscirai, potrai domare anche gli stimoli che provengono dall’esterno».
«Non so come fare» gridò, mentre un’altra esplosione di energia fuoriusciva dal suo corpo e si abbatteva contro il muro. Le piastrelle si creparono e caddero a terra.
«Ascolta la mia voce. Concentrati, Victoria. Isolami dagli altri, segui solo me».
Fury continuò a parlare e la donna si accorse che pian piano i sussurri retrocedevano. Ora sentiva solo calma e fiducia e sapeva che erano le sensazioni che stava provando Nick. Il cuore rallentò il battito al ritmo consueto, la respirazione si normalizzò e l’ansia che l’aveva colta quando si era risvegliata retrocesse.
Per la prima volta dopo l’iniezione provò un senso di benessere e capì che ciò che sentiva dentro poteva essere controllato. Mentre Fury continuava a tranquillizzarla, dedicò del tempo ad analizzare il suo io interiore che sentiva profondamente cambiato. Era sempre lei, ma c’era qualcosa di nuovo, qualcosa che la rendeva diversa.
C’era una coscienza nuova in lei che sentiva ogni cellula del proprio corpo come un’entità a sé. Scavò a fondo, attratta da una forza irresistibile, finché trovò il nucleo del suo potere. Con gli occhi della mente lo vide come una sfera circondata da fiamme verdi simili a un fuoco fatuo. Desiderò di toccarlo e le fiamme sfolgorarono con più intensità.
«Ehi, vacci piano!»
La voce di Fury la riscosse e si rese conto di aver rilasciato una quantità di energia. Un’altra sezione di parete si sbriciolò quando fu colpita dalla scarica.
«Tranquillo» disse, ricacciando in basso tutta l’energia, «ora ce l’ho».
Non avrebbe potuto sbagliarsi di più.
Ventiquattr’ore più tardi, esausta nel corpo e ancor più nello spirito, se ne stava rannicchiata nell’angolo. Del lettino a cui era stata assicurata il giorno prima non rimanevano che frammenti, distrutti dalla furia del suo potere. C’era di buono che i sussurri nella sua testa erano cessati. O meglio, era riuscita in qualche modo ad abbassarne il volume, riuscendo infine a conviverci.
Ma ciò che la preoccupava maggiormente erano quegli scoppi improvvisi di energia ai quali non riusciva ad opporsi.
«Coraggio, Victoria». Fury non l’aveva abbandonata un attimo, continuando a incoraggiarla e a sostenerla. «Prova di nuovo».
Victoria scosse la testa. Non ce la faceva più. Aveva provato mille maniere per controllare quelle nuove facoltà, ma non c’era verso. Era scoraggiata e iniziava a pensare che Tony avesse ragione. Ricordare suo marito gli fece sentire nostalgia di lui e dei bambini. Finché non fosse riuscita a controllarsi (sempre che alla fine l’avesse avuta vinta) non avrebbe potuto avvicinarsi a nessuno di loro: non poteva rischiare di ferirli o peggio.
Il rimorso era una pessima compagnia. Non si era comportata bene con Tony. Lui non era d’accordo con la sua scelta e la cosa giusta da fare sarebbe stata aspettare e parlarne con calma. Il punto era proprio quello: la sabbia nella clessidra si andava esaurendo e ogni minuto perso era un minuto di vantaggio per Ultron.
Tony l’aveva salvata in tutti i modi possibili e la sua sicurezza e quella dei bambini erano i capisaldi della vita di un supereroe che cercava ostinatamente di tenerli il più lontano possibile dal soprannaturale che ormai premeva per entrare nelle loro vite.
Forse la mia decisione è stata dettata dall’egoismo?, si chiese Victoria. Insomma, ora i suoi figli avevano un padre che combatteva i cattivi dentro un’armatura di metallo e una madre con poteri di cui ancora sapevano ben poco.
No, niente egoismo. Solo il desiderio di tenerli al sicuro, di saperli difendere senza attendere che gli Avengers debbano entrare in azione.
Era quello che l’aveva spinta ad accettare la proposta di Fury. Tony era iperprotettivo nei confronti della sua famiglia e forse ora lei avrebbe potuto aiutarlo.
Avrebbe voluto che fosse lì, avrebbe voluto chiedergli scusa per averlo in qualche modo tradito. Sapeva che desiderare qualcosa era pericoloso per lei in quel momento. Ogni emozione andava attentamente dosata per evitare che influisse sui suoi poteri ancora instabili. Ma desiderava rivedere Tony con un’intensità tale che le parve quasi di sentirlo dentro di sé.
Con un sussulto si accorse che era effettivamente vicino. Chiuse gli occhi e si concentrò sulla scia nuova che sentiva. Ne era certa, l’avrebbe riconosciuto tra mille: Tony era vicino. Anzi, era nella stanza accanto.
Sapere che era lì e che probabilmente la stava guardando le mise addosso un’improvvisa paura che lui non accettasse ciò che aveva fatto. Si rannicchiò ancora di più, nascondendo il viso perché sentiva che i suoi occhi stavano mutando di nuovo.
Percepiva distintamente ciò che gli passava per la testa in quel momento. C’era rabbia, ma non tutta rivolta a lei; c’era dolore, per essere stato ingannato; c’era preoccupazione, tutta rivolta a lei; e c’era qualcosa che non riusciva a comprendere. Era meravigliata da ciò che leggeva dentro di lui: con nessuno le era capitato di poter entrare così in profondità. Forse il loro legame fungeva da catalizzatore e l’aiutava a concentrarsi.
Distratta e meravigliata da quel nuovo sviluppo si accorse troppo tardi che lui era sempre più vicino finché udì la porta che si apriva. Si irrigidì: era più di un giorno che nessuno entrava lì, lei era ancora troppo pericolosa. Gli occhi sfolgorarono, ma li tenne chiusi, cercando invece di concentrarsi per non lasciarsi andare ad un’emissione di energia.
I frammenti delle piastrelle distrutte scricchiolarono sotto le sue scarpe. Ora c’era un altro aroma nei suoi pensieri e dovette meditarci solo un attimo per capire che si trattava di disapprovazione.
«Non sono in condizioni di essere rimproverata oggi» mormorò.
«Come sai che sono qui per rimproverarti?» domandò. Si era fermato ma era a pochissima distanza da lei, che riusciva a fiutare il sentore del suo dopobarba.
«Non occorre usare i miei poteri per capirlo. È abbastanza evidente».
Le sue emozioni cambiarono. Alla disapprovazione si mescolava la curiosità. Ma Victoria sapeva di doverlo allontanare. Sentiva il potere ribollire sotto la superficie e si stava impegnando con tutte le sue forze per trattenerlo.
«Devi andartene, Tony» disse, sempre senza alzare la testa.
«Guardami, Victoria».
Non poteva farlo: il potere le faceva divampare gli occhi di fuoco verde e non voleva che lui, almeno per il momento, la vedesse in quelle condizioni. Quando aveva deciso di seguire Nick, aveva tirato fin quasi al punto di rottura i fili che li legavano l’uno all’altra. Quella dimostrazione del suo tradimento avrebbe potuto essere un nuovo colpo alla loro relazione.
«Guardami» ripeté con tono categorico. Il suo subconscio percepì quella perentorietà come una minaccia e il potere lottò per uscire. Lo represse di nuovo, ma le costò un enorme sforzo. Si alzò in piedi, cercando di fuggire, di scomparire all’interno del muro magari. Era sempre a testa china e la cortina ramata dei capelli sciolti le copriva del tutto il viso.
«Ti prego, devi andare. Non voglio farti del male» gemette.
«Non me ne farai». C’era un’incrollabile sicurezza nelle sue parole e Victoria si aggrappò ad essa. «Ora apri gli occhi».
La donna alzò il capo, gettando indietro i capelli. «Non odiarmi» sussurrò, e spalancò gli occhi.
Tony era lì, a un paio di metri di distanza. Vestiva un completo scuro, lo stesso che indossava quando era partito per Oslo segno che, non appena aveva saputo dov’era, si era precipitato da lei. Non percepì né paura né repulsione in lui, mentre le scrutava il viso con attenzione.
«Non è definitivo. Per la maggior parte del tempo lo controllo e i miei occhi sono normali. Ma quando sono agitata, come ora, è più complicato».
«Perché sei agitata?» chiese con delicatezza, facendo mezzo passo verso di lei.
Gli occhi sfavillarono con intensità maggiore e quelle stesse fiamme che scintillavano nei suoi occhi fiorirono sulle sue mani. Era il preludio ad un’altra esplosione e, dato che non ne aveva controllo, avrebbe preso in pieno Tony. Le conseguenze sarebbero state devastanti, come dimostravano i cocci delle piastrelle infrante sul pavimento.
«Ti prego» implorò. «Va’ via prima che succeda. Non hai idea di ciò di cui sono capace». Abbassò lo sguardo, nel disperato tentativo di trovare in sé le risorse per resistere.
«Non abbassare gli occhi» ribadì Tony, facendo un altro piccolo passo. Ora erano divisi da meno di un metro e nonostante tutto Victoria sentiva solo sicurezza e tranquillità. «Occhi su di me, Victoria».
«Accadrà il peggio, credimi. Sento che la situazione mi sta sfuggendo di mano e quando succederà, sarà meglio non trovarsi qui» disse, ma riportò gli occhi nei suoi, lottando con l’impulso di liberarsi di quella costrizione al petto che sapeva essere l’energia che stava sopprimendo.
«Non me ne andrò» dichiarò Tony. «Ho fiducia in te, Victoria. So che lo controllerai».
Lei scosse la testa, mentre un tremito violento la scuoteva. La voce di Fury rimbombò dagli altoparlanti: «Ora basta, Tony. Vieni via di lì. È troppo instabile».
«No! Quando uscirò di qui, uscirò con lei». Poi, con tono più dolce, tornò a rivolgersi a sua moglie: «Sei più forte di ciò che c’è dentro di te. Controllalo».
«Non so come fare» bisbigliò lei.
«Sì che lo sai. È scritto nel tuo DNA. Nemmeno io sapevo come controllare il reattore Arc, ma ho imparato a farlo».
«È diverso» ringhiò lei, mentre un nuovo spasmo la scuoteva. «Tu non rischiavi di distruggere tutto ciò che ti circondava». Strinse i pugni, sempre avvolti da quell’inquietante bagliore verde.
Un altro mezzo passo e si ritrovò Tony vicinissimo. Incuneata nell’angolo formato dalle due pareti, non poteva sfuggirgli.
«Adesso ti prenderò per mano» disse, muovendo lentamente il braccio. «Se non vuoi che io rimanga folgorato, fai estinguere queste fiamme».
«No, non farlo» esclamò allarmata. Lo sforzo di trattenere i suoi poteri stava diventando titanico.
La mano di Tony non si allontanò, anzi avanzò verso la sua, fermandosi appena prima di sfiorare quella strana aura verde che la circondava, e Victoria rimase ad osservarla angosciata.
«Guarda me» disse di nuovo Tony e lei alzò gli occhi: riflessi verdi danzavano sui lineamenti di suo marito.
«Che tu lo voglia o meno, io ora ti prenderò per mano. Sta a te decidere cosa vuoi fare».
«Tony, no!» esclamò, ma era già troppo tardi. Sentì le dita di lui che la sfioravano e si preparò al peggio.
Non accadde nulla. Si rese conto che i suoi occhi erano tornati normali. Abbassò lo sguardo e vide con stupore che anche la sua pelle non emetteva più quella luminosità aliena.
«Sei pazzo, lo sai?»
«Non era per questo che ti eri innamorata di me?»
Victoria sogghignò. Non c’era traccia dell’agitazione che prima aveva spinto il potere in superficie. Era saldamente rinchiuso in quel nucleo al centro del petto e quando lo sfiorò con la mente, rimase immobile.
«Come hai fatto?»
«Sapevo che eri in grado di padroneggiare le tue nuove facoltà. Ti serviva solo un incentivo e ho sempre pensato di essere uno stimolo sufficiente per qualsiasi creatura di genere femminile». Poi la guardò severamente. «Ma questo non significa che ti ho perdonata».

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Capitolo 7
*** Darkest of intentions ***


La verità è ormai svelata:
Victoria è un mutante.
E, se i calcoli di Fury non sono errati,
potrebbe essere l'unica arma da schierare
contro il perfido Ultron.
Ma adesso sono gli Avengers a dover digerire la faccenda.
E potrebbe essere più difficile del previsto.
Buona lettura!


PIÙ OSCURA DELLE INTENZIONI

«Mi serve ancora qualche minuto, Bruce» disse Tony, digitando freneticamente sulla tastiera.
«Non ce l’hai, qualche minuto» replicò l’altro, con la voce attutita dato che stava trafficando sotto la culla rigeneratrice.
 Il motivo di tanta fretta era la necessità di fermare al più presto Ultron e i suoi. Nelle ultime ore c’erano stati notevoli sviluppi e, mentre continuava a lavorare sul computer, li ripercorse.
A Oslo aveva fatto una notevole scoperta. Il misterioso hacker che continuava a cambiare i codici degli armamenti più potenti del pianeta altri non era che Jarvis. Quando Ultron aveva tentato di assimilarlo, Jarvis aveva intuito la sua pericolosità e si era rifugiato su Internet, facendo perdere le proprie tracce. Senza saperlo, Tony aveva già fra le mani un’intelligenza artificiale con poteri e capacità praticamente illimitati.
Tony aveva salvato l’interfaccia di Jarvis e la stava riportando alla Avengers Tower, pensando freneticamente ad un modo per schierarla nella guerra contro Ultron. Mentre era in aereo, aveva cercato di chiamare Victoria. Gli dispiaceva che si fossero lasciati senza aver chiarito la situazione. Aveva ripensato molto a quanto si erano detti: per lui, che fosse un mutante o meno, importava poco. In fondo, neanche Victoria aveva mai fatto drammi per il fatto che lui aveva un reattore Arc impiantato al centro del petto che lo teneva in vita. E poi, uno dei suoi migliori amici era un timido professore di fisica che saltuariamente si trasformava in un gigante verde.
Ma quando sua moglie non aveva risposto, aveva provato il primo fremito d’allarme. Eppure ancora non credeva che lei avesse infine deciso di seguire Nick. Ne aveva avuto la certezza quando aveva chiamato Violet e la cognata gli aveva confermato che era partita la sera prima proprio con l’ex direttore dello S.H.I.E.L.D.
Scoprire dove l’aveva portata non era stato difficile. La base Jaywick era la più vicina e Tony si era precipitato lì volando con la sua nuova armatura non appena il suo jet era atterrato. Avrebbe potuto (e voluto!) sfondare il pesante portone di cemento armato con uno solo dei suoi pugni, ma si era trattenuto. La notizia che Ironman era al portone ci aveva messo poco ad arrivare a Fury che aveva dato l’ordine di farlo entrare.
Fury gli era andato incontro e Tony aveva fatto fatica a impedirsi di colpirlo. Ma quando aveva visto in che condizioni versava sua moglie, la rabbia aveva davvero rischiato di sopraffarlo.
«Vado dentro» aveva detto semplicemente.
«Dico, lo vedi come ha ridotto la stanza? Ti farà a pezzi» aveva replicato Nick e Tony si era girato di scatto e gli aveva puntato contro l’indice teso.
«Senti un po’, gran figlio di puttana. Hai fatto abbastanza per lei. Io non mi limiterò ad attendere che distrugga se stessa e questo posto. Fammi entrare, in modo che possa sistemare questo casino».
Fury non aveva replicato né Tony si era curato di attendere una risposta. Era entrato e, con l’abituale fermezza, aveva riportato le cose a una parvenza di normalità.
Era uscito dalla stanza distrutta tenendo per mano sua moglie. Tutti la guardavano come se fosse un fenomeno da baraccone e lei aveva tentato di ritrarsi.
«Tranquilla. Nessuno ti toccherà finché sei con me» aveva detto Tony, scrutando quelle persone con cipiglio. «E ho l’impressione che nessuno ti toccherà più neanche se sarai da sola, da ora in avanti».
Quando si erano fermati davanti a Nick, con Tony che era rimasto ostinatamente fra loro, Victoria aveva abbassato lo sguardo.
«Mi spiace per il disastro che ho combinato» aveva mormorato. «La dottoressa Courtney sta bene?»
«Sì, sta bene. Il resto non ha importanza. Dispiace a me di averti sottoposto a una tale tortura. Stai bene?»
Victoria aveva stretto la mano del marito. «Sì, ora sì».
A quel punto, il cellulare di Stark aveva emesso un trillo. Captain America lo aveva aggiornato su quanto era accaduto a Seul. Ultron, con l’aiuto dei gemelli Maximoff, aveva messo in atto il suo piano: usare il vibranio e la culla rigeneratrice per creare un nuovo corpo praticamente indistruttibile in cui trasferire la sua oscura coscienza.
Cap e i Barton erano riusciti a fermare Ultron, ma il prezzo era stato alto. Natasha era stata rapita da uno dei robot ai comandi di Ultron. Fedele fino in fondo alla sua missione, Clint stava rientrando con il Quinjet alla Avengers Tower. Secondo Steve, la culla andava distrutta.
«Va bene, ci vediamo a New York». Aveva riattaccato e comunicato il tutto a Fury. Ma quando aveva affermato che portava Victoria con sé, entrambi si erano opposti.
«Non sono ancora pronta, Tony» sosteneva. A nulla erano valsi i suoi tentativi di convincerla. Voleva restare un altro po’ in quella struttura dove poteva esercitare le sue nuove capacità.
«E sia. Ma ti voglio alla Tower entro due giorni al massimo. Non mi piace che restiamo separati».
Così, era rientrato a New York. Mentre attendeva che Barton tornasse, ne aveva approfittato per riposare un po’, dato che erano stati giorni intensi, tanto per usare un eufemismo. E quando il Quinjet era atterrato con il suo carico sulla piattaforma della Tower, aveva scoperto ciò che Steve non gli aveva detto per telefono.
Ultron non aveva solo creato un corpo artificiale. Quando aveva attaccato gli Avengers dopo la festa, prima di andarsene aveva rubato lo scettro di Loki. Tony aveva pensato che gli servisse come sorgente di potere, ma non era così. Ultron aveva scoperto che all’interno della sfera luminosa sulla sommità di quel maledetto strumento era conservata la Gemma della Mente, una delle sei Gemme dell’Infinito. L’aveva recuperata e, con l’aiuto della dottoressa Cho (per l’occasione soggiogata dal potere dello scettro), l’aveva impiantata nel nuovo corpo.
L’idea era balenata come un fulmine nella testa di Tony. Aveva un corpo, aveva la Gemma e aveva un’intelligenza artificiale da poterci accoppiare. Si era arrischiato a parlarne solo con Banner che, anche se aveva sollevato numerose obiezioni, era decisamente solleticato dalle implicazioni. Il risultato era che finalmente, dopo quasi trentacinque ore di lavoro, erano pronti a dare un corpo a Jarvis.
«Hai finito con quei computer, genio?»
Banner aveva finito di collegare la culla all’alimentazione della Tower e si era avvicinato.
«Io sono pronto, signore» affermò Jarvis.
«Datemi altri due minuti».
Bruce scartabellò i fogli che Tony aveva sulla scrivania e che contenevano i suoi appunti e i suoi calcoli.
«Victoria come sta?»
«Molto meglio. Ci sentiamo spesso».
«E non ti disturba… cioè, il fatto che lei ora sia diversa… non è un problema?»
Tony ruotò sulla sedia per guardarlo. «Passo la mia vita con un ragazzo che ha combattuto la seconda guerra mondiale e che è rimasto congelato per settant’anni, una spia russa capace di tramortirti con un mignolo, un arciere con una mira capace di centrare una monetina da un chilometro di distanza, un semidio norreno giunto da chissà dove e uno scienziato che ogni tanto diventa una montagna di muscoli alta due metri». Sorrise e alzò le spalle: «Credi che ci sia qualcosa che riesce ancora a sconvolgermi?»
Il computer emise un bip e i due si avvicinarono alla culla, sbirciando dalla finestrella all’altezza del viso. Il corpo era perfettamente formato, con la pelle di uno strano color amaranto. Sulla fronte, tra gli occhi ancora chiusi, c’era una piccola pietra ovale gialla. Era la Gemma della Mente, un oggetto magico potentissimo.
«Sto interrompendo qualcosa?»
Si girarono entrambi. Victoria era sulla soglia. Indossava un paio di jeans attillati e una camicetta nera e aveva i capelli raccolti e fermati con uno spillone.
«Ciao, Victoria. Come stai?» chiese Bruce.
«Molto meglio ora».
«Ti vedo abbastanza provata» commentò asciutto. Lei si strinse nelle spalle e agganciò un pollice alla tasca posteriore dei jeans.
«La mutazione non è stata una passeggiata».
Tony si avvicinò alla moglie. «Non ti aspettavo prima di stasera» ponderò.
«Le cose sono andate meglio di quanto ci aspettassimo e Fury ha giudicato che fossi pronta per tornare in società». Lo guardò e sorrise: «Non avevi voglia di vedermi?»
«Non ne hai un’idea, piccola» mormorò, facendosi più vicino e posandole le mani sui fianchi. «Da quanto non ti bacio?»
Nelle ore che aveva trascorso alla base S.H.I.E.L.D. Victoria aveva imparato non solo a gestire i suoi poteri ma anche a capire meglio ciò che sentiva. Non percepiva ciò che gli altri pensavano, ma piuttosto le sensazioni che provavano. Rabbia, ansia, gioia, serenità: ognuna aveva un diverso aroma e lei imparava progressivamente a riconoscerle.
In quel momento le arrivava un sentore dolce e vanigliato e non era difficile capire che era il desiderio di Tony.
«Da troppo» rispose in un sussurro. Tony posò le labbra sulle sue, mentre Bruce distoglieva lo sguardo facendole arrivare la sua sensazione di imbarazzo.
Victoria non era mai rimasta insensibile ai baci di Tony, ma quella volta fu diverso. Fu una scarica che le scardinò la spina dorsale e infiammò ogni terminazione nervosa. I poteri amplificavano il suo desiderio e quello di Tony, con il risultato che un solo bacio bastava a mandarle fuori giri il cervello. Quando lui mosse le labbra, Victoria lo spinse via con delicatezza.
«Qualcosa non va?» chiese Tony, leggermente contrariato.
Negli occhi della donna vide schegge di luce verde ma scomparvero quasi subito.
«Te lo dico dopo» sorrise lei. Aveva le guance rosse e gli occhi scintillavano, ma non per le emissioni dei suoi nuovi poteri.
A un tratto lei inclinò la testa, come se fosse in ascolto. Poi si girò verso la culla.
«Ma c’è qualcuno lì dentro?»
Entrambi gli uomini la osservarono stupiti.
«Cosa senti?» chiese Tony.
Lei strinse gli occhi, valutando ciò che sentiva: «Dolore. Devastazione. Disperazione» enumerò. «Ma è come se fossero sentimenti non suoi».
Tony le spiegò in fretta che Ultron aveva cercato di creare quel nuovo corpo e trasferirvi la propria coscienza. Quindi ciò che sentiva, probabilmente, erano residui di Ultron.
«E tu cosa stai pensando di fare ora?»
Bruce ridacchiò: «Ah, adesso sei finito, bello mio. Non riuscirai più a nasconderle niente».
«Non avevo neanche pensato di non dirglielo» dichiarò e le raccontò cos’avevano intenzione di fare.
«È un’idea del cazzo, Tony».
«Santi numi, Capitano! Il linguaggio!»
Steve irruppe nella stanza e si bloccò quando vide Victoria. «Ehi! Bentornata. Stai bene?»
«Sì. È tutto a posto» rispose. «Tu invece sei piuttosto agitato» aggiunse con cautela.
Steve si volse a metà. «Stai ancora giocando a fare Dio, eh Stark?»
«Senti, anche il primo tentativo di andare sulla Luna non finì bene. Sto solo cercando un modo per tirarci fuori dai guai».
Victoria sentiva la rabbia crescere come la marea sulla spiaggia di Malibu. Conosceva bene suo marito e sapeva che quando aveva in testa un progetto, non c’era nulla che potesse distoglierlo dai suoi propositi. Ma conosceva bene anche Steve. Il suo senso dell’onore non gli permetteva di venire a patti con la spregiudicatezza di Tony. Il confronto si preannunciava esplosivo.
«Quella cosa» disse Steve indicando la culla, «deve essere distrutta».
«Quella cosa salverà le nostre vite».
«E tu naturalmente sei d’accordo, vero Bruce?»
Bruce, ancora vicino alla culla, posò una mano sul coperchio. «Stavolta ha ragione Stark».
«Scienziati pazzi!» sbottò. Era in borghese ma quando tese la mano lo scudo fu attirato dai sensori magnetici che portava sul braccio.
«Mettilo giù» ordinò Tony. Alzò la mano e il guanto della sua armatura si chiuse su di essa.
Victoria avvertì il caratteristico sibilo di caricamento del repulsore e tentò una mediazione.
«Tony, tesoro, cerca di calmarti». Poi si girò verso Steve: «E tu, abbassa lo scudo. Rilassatevi e parliamone».
Il braccio di suo marito ebbe un fremito e si abbassò di qualche centimetro. Victoria gli sorrise in segno di incoraggiamento. Voltava le spalle a Steve e non lo vide mentre si bilanciava sulle gambe e lanciava lo scudo come un frisbee. Il disco di vibranio colpì la culla e tranciò di netto tre dei cavi di alimentazione. Un allarme iniziò a suonare insistentemente.
«Figlio di puttana!» proruppe Tony, mentre il pettorale dell’armatura gli si agganciava addosso e lui spingeva la moglie dietro di sé.
Si lanciarono l’uno sull’altro, lottando come nemici implacabili. Bruce raggiunse Victoria e cercò di trascinarla via, ma lei resisteva. Quando la guardò in viso, Bruce trasalì.
«I tuoi occhi!» esclamò.
«Tranquillo, è sotto controllo. Proverò a dividerli ma…»
Ci fu un boato e una delle vetrate della Tower andò in frantumi. Victoria si abbassò istintivamente mentre Thor irrompeva nel laboratorio e atterrava sul coperchio della culla. Anche Tony e Steve si bloccarono, voltandosi in tempo per vedere l’asgardiano che alzava Mjolnir.
Una rete di fulmini congiunse il cielo al martello del semidio che lo abbassò di scatto. Le scariche di energia avvolsero la culla e i computer impazzirono. Victoria e gli altri si coprirono gli occhi, ma per il resto, per alcuni secondi nessuno dei presenti mosse un muscolo.
Quando tutto fu finito e il silenzio calò nel laboratorio, Victoria rialzò lentamente la testa.
«È vivo» disse.
Quasi in risposta alle sue parole, il coperchio della culla esplose, scagliando via Thor che ricadde in piedi come un gatto. Ne emerse una strana creatura con il corpo snello eppure muscoloso, la pelle solcata dalle linee di congiunzione dei tessuti artificiali. Rimase accucciato per un momento sul bordo di quella crisalide che l’aveva generato e poi sollevò la testa e fissò Thor.
«Non farlo!» gridò Victoria che aveva intuito i suoi pensieri. Era confuso, si guardava intorno, e provava una sensazione simile alla paura ma, soprattutto, si sentiva minacciato.
Quasi non aveva finito di parlare che lo strano individuo si scagliò contro Thor con una velocità tale che nessuno riuscì ad intervenire. Lo colpì al petto, catapultandolo qualche metro indietro. Il semidio urtò la parete con violenza, ma la botta fece solo tanto rumore per nulla. Però irritò l’asgardiano e Victoria presentì le sue mosse dall’indignazione che sentiva nei suoi pensieri. Ma ciò che la spinse a fare ciò che fece fu il senso di colpa che le arrivava dalla creatura seminuda.
Mentre Thor si preparava a colpire, Victoria si interpose fra lui e quello strano essere.
«No!» esclamò, sollevando la mano destra. I suoi occhi scintillarono e gli strani bagliori verdi le avvolsero anche la mano. Partendo dalle sue dita, un reticolo di luce verde formò una barriera e Tony trasalì nel vedere quel fenomeno: andava dal pavimento al soffitto e li isolava da Thor, che si bloccò con Mjolnir ancora sollevato nell’atto di colpire.
«Che mi venga un colpo» sussurrò Steve e Tony provò uno strano senso d’orgoglio nel vedere cosa sapeva fare sua moglie.
«Non voleva colpirti» disse Victoria, rivolgendosi all’energumeno di Asgard, «è stato solo…»
«Un riflesso condizionato» finì la creatura. Aveva la voce di Jarvis.
«Non voleva farti del male. Non vuole farne a nessuno di noi» affermò la donna e quando Thor annuì, ritirò la barriera che scintillava ancora fra di loro.
«Sono impressionato» commentò Thor.
«Io invece eccitato» le sussurrò all’orecchio Tony che si era avvicinato a passo lento. Victoria fece una smorfia esasperata e si girò verso la creatura.
Sotto i suoi occhi, l’essere modificò la sua pelle, copiando la struttura a nido d’ape dell’uniforme di Thor. E poi, come se ci avesse pensato solo in quel momento, aggiunse un diafano mantello dorato.
«Cosa sei?» chiese Captain America.
La creatura ci pensò su un po’, poi parlò in tono calmo e solenne: «Non sono un programma. E non sono una persona. Sono una visione, direi».
«Giusto. Visione» asserì Victoria, battezzando la creatura che accettò con un cenno del capo.
«Qualunque cosa tu sia, decidi in fretta» proruppe Steve. «O sei con noi, o sei contro di noi».
Visione ruotò il capo e lo fissò: «Non credo di poter dire di essere schierato dall’una o dall’altra parte. Ho memoria di ciò che sono i pensieri di Ultron e lui ha una visione distorta dell’umanità. Non è sempre tutto nero e non è sempre tutto bianco. Non è fondamentalmente malvagio. Ma è vero che io sono per la vita. Ultron no».
«Hai idea di dove sia?» chiese Tony, ma Visione scosse il capo in segno di diniego.
«Io sì» intervenne Victoria, attirando l’attenzione di tutti. «È tornato in Sokovia».
«Come lo sai?» chiese Thor, che dopo aver visto la sua dimostrazione di potere, tendeva a mantenere le distanze.
«Lo sento. O meglio, percepisco Wanda e il suo gemello e so che lui è con loro» spiegò.
«Tu puoi sentirla sebbene sia sull’altra metà del pianeta?» chiese Stark, incredulo di fronte alle sue capacità. «Come diavolo ci riesci?»
Era infine arrivato il momento di spiegare ciò che aveva appreso alla base Jaywick. Aveva sperato di procrastinare un altro po’ il tempo delle rivelazioni, ma di tempo non ce n’era proprio più.
«I miei poteri mi permettono di sentire i pensieri di chi mi sta intorno. Non riesco a leggere dentro di voi, tranquilli: ma avverto i sentimenti che provate. Oltre a voi, il mio raggio d’azione mi permette di andare anche oltre le mura di questo edificio» chiarì, circondando con il braccio il panorama di grattacieli fuori dalle vetrate.
«Con i mutanti è ancora diverso» proseguì. «Loro li percepisco a maggiore distanza e più grande è il loro potere, meno difficile è cogliere la loro scia».
«E la Maximoff è estremamente potente» commentò Thor, che già una volta aveva sottovalutato la piccola strega sokoviana.
«Lo è» confermò la donna. «È uno dei mutanti più potenti che esistano». Poi, quasi per un ripensamento improvviso, aggiunse: «E i miei poteri sono molto simili ai suoi».
La frase aleggiò nell’aria per un po’, prima che Tony si voltasse verso la moglie. «Aspetta un attimo: se i vostri poteri sono simili, significa che anche tu sei così potente?»
Non sapeva bene quale risposta avrebbe preferito, ma Victoria non lo tenne sulla corda per molto. Annuì e lui la guardò con un rispetto nuovo.
«Come lei, anche io sono un mutante di classe omega» precisò.
«Sarebbe a dire?» s’informò Steve.
«Sarebbe a dire un mutante con il potere di distruggere il pianeta» chiarì Visione.

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Capitolo 8
*** The mission ***


Dunque, Victoria è un mutante, oltretutto di classe omega,
al livello di Wanda Maximoff o della Fenice Jean Grey.
La notizia ha sconvolto gli Avengers,
consapevoli della doppia natura che ormai risiede nell'intimo della donna.
Ma dovranno abituarsi in fretta all'idea del cambiamento
perchè Ultron non aspetterà e sferrerà in fretta il proprio attacco.
Buona lettura!


LA MISSIONE

 
«Oh, fermiamoci un attimo. Qui c’è bisogno di fare il punto della situazione». Captain America prese il comando della situazione con l’abituale risolutezza. «Victoria, devi spiegarci con chiarezza in cosa consistono i tuoi poteri».
«La percezione sensoriale è il minore di essi. Ho anche capacità telecinetiche, riesco a muovere gli oggetti con la mente. Ma la mia capacità principale è questa sorta di energia che mi avete visto usare prima per fermare Thor». Per dimostrare di cosa stava parlando, sollevò una mano e, mentre i suoi occhi si illuminavano di verde, essa venne avvolta dal consueto reticolo di energia. «Ora è sotto controllo e vedete che la posso manipolare. Ma all’inizio non era così. E c’è una stanza semidistrutta alla base Jaywick a testimoniarlo».
La luce verde si spense sulla sua mano e nei suoi occhi.
«Ciò che vi ho fatto vedere però non rende l’idea di quanto potere stia contenendo il mio corpo in questo momento». Scrutò il viso di ognuno di loro. «È vero, è un potere terribile, capace di grande distruzione, non lo nego».
«Direi che è un bel problema» giudicò Thor. «Non possiamo permetterci né distrazioni né lotte intestine».
«Ehi, Point Break! Stai parlando di mia moglie».
«Moglie o no, è una potenziale minaccia».
Tony fece un passo verso il gigante di Asgard con un’espressione sul viso che non lasciava presagire nulla di buono. Victoria lo fermò.
«Thor ha ragione, ma ha detto una cosa fondamentale: potenziale». La donna si volse verso il semidio: «Anche tu hai il potenziale per distruggere la Terra, o sbaglio?»
L’uomo non negò e Victoria proseguì: «Non importa la quantità di potere che ognuno di noi ha. Ciò che conta è come lo usiamo. Io so che ciò che ho dentro potrebbe essere devastante ma sono madre di tre figli e userò queste mie nuove capacità soltanto per il bene. Come tutti voi».
«Ad ogni modo» intervenne Tony, «non è lei sul banco degli imputati. Chi mi preoccupa davvero è Wanda Maximoff. Quelle sono esattamente le mani sbagliate in cui un potere del genere può diventare letale».
Bruce prese la parola: «La ragazzina è temibile e finché protegge Ultron, anche lui è intoccabile. Nessuno di noi può avvicinarsi a lei senza essere manipolato».
«Io posso» contestò Victoria. E prima che suo marito potesse dire qualcosa, lo bloccò sollevando un indice: «Tieni per te la tua disapprovazione e qualsiasi altro commento tu abbia in testa. Il tempo in cui Victoria era la tenera fanciulla incapace di difendersi è finito».
Persino Visione nascose un sorriso di fronte alla veemenza di quell’affermazione.
«Wanda è stata manipolata prima da Strucker e poi da Ultron. È confusa e ha dei dubbi su ciò che Ultron si propone di fare, ma è piena di rancore e brama vendetta».
«Pensi di poterla spingere ad abbandonare Ultron?» domandò Steve.
«Ne sono certa» affermò con sicurezza. «E comunque non abbiamo molta scelta: se vogliamo arrivare a neutralizzare la testa del serpente, dobbiamo eliminare la minaccia costituita da Wanda».
Il silenzio scese nella stanza. Ognuno di loro cercava di rimettere ordine nella ridda di pensieri che turbinava nella propria testa. Ma le loro riflessioni furono interrotte quasi subito dall’arrivo di Clint. Aveva passato le ultime ore a cercare di rintracciare la sua compagna e non sapeva nulla di ciò che era successo in sua assenza.
Si bloccò perplesso di fronte a Victoria, lanciò un’occhiata confusa a Visione e poi alle facce tese degli altri.
«Sì, ci sono un po’ di novità» illustrò Cap.
«Infatti. Anche io ne ho. Ho trovato Nat».
«In Sokovia, scommetto» proruppe Tony.
«Esatto. Per l’esattezza nel forte che abbiamo attaccato e nel quale era custodito lo scettro di Loki».
Il sollievo per la rivelazione che la sua donna era viva e stava abbastanza bene da trovare un modo per comunicare con il Morse era evidente.
«Va bene. Qualunque cosa stia preparando Ultron, immagino che sarà piuttosto definitiva. Direi che siamo alla resa dei conti. Partiamo immediatamente per la Sokovia. Clint» disse, rivolgendosi all’amico, «so che il tuo primo pensiero è per Nat, ma devo chiederti di lasciare che siano altri a occuparsi di lei. Ho bisogno di te e del tuo arco».
Clint annuì, accettando l’ordine.
«Viceversa» continuò volgendosi verso Bruce, «non posso permettere in nessun modo che tu entri in contatto con Wanda, visto cos’è successo l’ultima volta. Ti occuperai di Nat: la prendi e la porti in salvo».
Il resto di loro avrebbe cercato di fermare Ultron, possibilmente senza perdite per il genere umano, anche se erano certi che quel maledetto avrebbe tentato in ogni modo di farsi scudo con la gente comune.
«Visione, tu sei la nemesi di Ultron. Contiamo su di te».
Aveva tenuto per ultima Victoria e ora le posò una mano sulla spalla. «La decisione che hai preso mi ha ricordato quella che mi portò a diventare Captain America. Sei stata coraggiosa e ti sei guadagnata di entrare a pieno titolo nel Team Avengers. Wanda è tua, sei l’unica in grado di contrastarla».
Victoria percepiva il dubbio e la perplessità e sentiva che venivano da Thor.
«Capisco che tutto questo possa disorientare, ma sono e resterò dalla parte del bene». Gli occhi scintillarono di luci verdi e la donna tese la mano verso Mjolnir, che Thor aveva posato sul tavolo, facendolo sollevare. Circondato da una rete di filamenti di energia, il martello del semidio che solo chi era degno poteva sollevare, rimase sospeso a mezz’aria.
«Spero che basti come prova» disse la donna.
Visione fece un passo avanti e afferrò il manico del martello. Victoria lo liberò dalla morsa dei suoi poteri e lui lo tenne senza sforzo.
«Dovrà bastare» disse, mettendolo infine fra le mani del suo legittimo proprietario.
Fu Steve a rompere il momento di incredulo silenzio che seguì: «Va bene. Penso che ora siamo tutti d’accordo. Andate a prepararvi, partiamo tra dieci minuti». Sfiorò Victoria con lo sguardo dalla testa ai piedi: «Una delle uniformi della Vedova Nera dovrebbe andarti».
Victoria si allontanò con gli altri per andarsi a cambiare. Non appena uscì dalla stanza, Tony si piantò davanti a Steve a gambe larghe.
«Dico, sei impazzito? Lei non è in grado di combattere, finirà per farsi ammazzare».
«Stark, che ti piaccia o no, tua moglie è cambiata. Con quei poteri, nessuno può arrivare a sfiorarla. Se ammazzano lei, significa che siamo morti anche tutti noi e sarà la fine».
«Ha questi poteri da meno di una settimana. Hai pensato a cosa succederà se ne perderà il controllo?»
«Non accadrà. È risoluta e determinata e andrà fino in fondo».
Tony si allontanò per riordinare un po’ le idee. Sapeva bene che Steve aveva ragione: Victoria non era più quella di prima. Anzi, forse era la creatura più potente del palazzo, forse anche più di Thor. Ma loro sarebbero stati la prima linea di difesa fra Ultron e la gente e rabbrividiva al pensiero che anche Victoria si sarebbe schierata con gli Avengers.
Nella sua visione strategica, Steve aveva visto giusto, come sempre. Quindi Tony doveva rassegnarsi all’idea che in quella missione, e forse anche in altre, Victoria sarebbe scesa in campo.
Riscuotendosi dai suoi pensieri, andò a cercarla.
La trovò in camera da letto, accucciata a terra mentre si allacciava le scarpe. Quando si rialzò, Tony soffocò un’esclamazione. Indossava una delle succinte tute della Vedova Nera, che le fasciava il corpo lasciando ben poco all’immaginazione.
«Non è il momento» disse, puntandogli contro l’indice. «Togliti quelle idee dalla testa».
«Avevi detto di non saper leggere i miei pensieri» replicò, mentre la donna si voltava per togliersi i gioielli e riporli nel portagioie e lui inclinava la testa di lato per ammirare il suo perfetto lato B.
«Non occorre, sento il tuo desiderio».
Victoria raccolse i capelli in una coda e li fermò con un elastico. I suoi preparativi erano conclusi e si girò verso Tony.
«Tesoro» disse lui, «quando saremo in Sokovia, sarà una bolgia infernale e tu non sei mai stata…»
«Andrà tutto bene, Tony» disse, appoggiandosi al mobile. «So difendermi. Non hai idea di quanto sono ampie le mie percezioni. Avverto ogni singola cellula del mio corpo, così come le tue. Distinguo ogni persona in questo edificio e quelle che stanno passeggiando sul marciapiede trecento metri sotto di noi. E posso captare persone che sono dall’altra parte del pianeta. Credimi, nessuno può cogliermi di sorpresa».
Tony la raggiunse e le sfiorò il viso, sistemandole una ciocca ribelle dietro l’orecchio.
«Proprio nessuno?» chiese. «Mi è sempre piaciuto sorprenderti».
La donna si appoggiò alla sua mano, mentre una nube di dolcezza l’avvolgeva. Sorrise.
«Perché sorridi?»
«Perché sento ciò che provi».
Tony trasse di tasca una piccola scatolina. «Il tuo auricolare» disse. Lo attivò e glielo infilò delicatamente nell’orecchio. «È di ultima generazione. Si collega alla tua rete neurale e ci permette di sentirti solo se tu vuoi comunicare con noi».
Prese le mani della moglie fra le proprie e abbassò gli occhi, sfiorando con il pollice il cerchietto d’oro infilato al suo anulare sinistro.
«La fede non me la tolgo».
«Né io voglio che tu lo faccia».
Tony baciò l’anello che le aveva messo attorno al dito dodici anni prima e lei fece lo stesso con quello di lui.
«Ti amo» sussurrò, preso da un’emozione che gli chiudeva la gola e gli riempiva gli occhi di commozione.
«Ti amo, Anthony Edward Stark».
Si baciarono, con dolcezza. Poi rimasero abbracciati per un lungo momento, finché Steve li chiamò perché si radunassero sulla piattaforma del Quinjet. Quindi, mano nella mano, salirono al piano di sopra.
Occhio di Falco era già ai comandi del jet e gli altri si infilarono in cabina. Quando il portello fu chiuso, avviò i motori e il carrello a cui il jet era agganciato si spostò in avanti finché furono sulla piattaforma sospesa della Avengers Tower.
Le ali del Quinjet si aprirono e si bloccarono nella loro posizione. I motori a energia Repulsor emisero il loro caratteristico sibilo e fecero alzare il velivolo, l’unico autorizzato a entrare a bassa quota nello spazio aereo newyorkese.
«Buongiorno» li salutò Clint con la voce impostata di un pilota di linea. «La Avengers Air vi dà il benvenuto a bordo. Mettetevi comodi, ma non troppo: si parte per la Sokovia».
Non c’era molto che potessero fare finché non fossero arrivati sul luogo. Tony mostrò a sua moglie le immagini della città ai piedi del forte. Era annidata in una valle di forma più o meno circolare, attorniata da montagne i cui picchi erano innevati anche in quella stagione.
«Abbiamo idea del perché Ultron si sia rifugiato proprio lì?»
«Quando sono penetrato nella base Hydra, ho trovato esperimenti di robotica piuttosto avanzati. C’era anche la carcassa di una delle navi aliene che attaccarono New York e, per inciso, mi sto ancora chiedendo come hanno fatto a procurarsela» spiegò Tony. «Clint era ferito e noi dovevamo rientrare al più presto per mettere al sicuro lo scettro sicché ce ne siamo andati senza indagare più di tanto, ma sono sicuro che lì sotto c’è qualcos’altro ed è quello a cui mira Ultron».
«Sinceramente, non capisco come mai abbia sviluppato una coscienza così distorta» considerò Visione. «In fondo, è nato da un’idea buona».
Tony scosse la testa. «Quando ci siamo scontrati in Wakanda, ho percepito che la sua ostilità è diretta principalmente contro di me. Odia il venir paragonato o ricondotto in qualche modo a me, quindi forse è per questa ragione che si comporta esattamente all’opposto: io cerco di salvare il mondo e lui vuole distruggerlo».
«Non è il mondo che vuole distruggere» puntualizzò Visione. «Vuole estinguere l’umanità perché secondo lui è l’unico modo per salvare il mondo. Vuole la stessa cosa che vuoi tu, in fondo. Solo non ha capito che il mondo senza vita sarebbe distrutto comunque».
Il resto del viaggio fu breve come solo un volo sul Quinjet poteva essere. Clint attivò la modalità invisibile, ma era difficile che Ultron e i suoi si facessero scappare il loro arrivo. Attraverso le sofisticate attrezzature di cui era dotato il Quinjet, individuarono Ultron nella chiesa diroccata al centro della città.
«I gemelli non sono con lui» affermò con sicurezza Victoria. Indicò un punto preciso sulla mappa virtuale, a cinquantina di metri in scala da dove il puntino rosso che indicava Ultron pulsava in modo regolare.
«D’accordo, vediamo di stendere una specie di piano d’azione» disse Rogers. Ognuno di loro indossava la propria uniforme ed erano pronti.
«Victoria, hai bisogno di un nome di battaglia» disse il capitano Rogers.
Lei ci pensò un solo istante. «Direi che Whisper [1] è appropriato. In fondo, tutto è cominciato con un sussurro nella mia testa».
«Va bene, e Whisper sia». Si girò verso Tony. «Ironman, a te tocca Ultron. Tu e Visione cercate di tenerlo impegnato e di scoprire cos’ha in mente. Qualcosa mi dice che sta aspettando te: vuole la tua approvazione».
«Ce l’avrà: insieme a un biglietto di sola andata per l’inferno».
«Bruce, tu andrai direttamente al forte, il più lontano possibile da Wanda e dai suoi trucchi. Non sappiamo in che condizioni sia Natasha: la prendi e la porti a jet. Il tuo compito finisce lì».
Bruce, l’unico in abiti civili (anche se indossava gli speciali pantaloni estensibili progettati insieme a Tony), si infilò una pistola a impulsi nella tasca posteriore dei pantaloni.
«Whisper, tu devi neutralizzare Wanda. Sei l’unica che può farlo. Occhio di Falco verrà con te». La donna annuì. «Quando sarete riusciti a liberarvi dei gemelli, aiuterete me e Thor nell’evacuazione dei civili. Tutto chiaro?»
Mentre tutti assentivano, Clint fece atterrare il jet, a metà strada tra il forte e la città.
«Non sappiamo con esattezza cosa ci troveremo davanti. Restiamo in contatto tramite gli auricolari e vediamo come evolve la situazione» concluse Steve, premendo il pulsante per aprire il portello.
Bruce si avviò a passo svelto verso la rocca, scomparendo in breve tra gli alberi.
Tony si fermò un attimo con la visiera alzata.
«Bada a lei, Occhio di Falco» disse. «E tu fa’ attenzione, ok? Niente eroismi».
«Non preoccuparti. Sono più al sicuro di tutti voi».
Ironman chiuse di scatto la visiera e s’involò spinto dai repulsori, seguito da Visione con il mantello dorato che svolazzava dietro di lui.
Gli altri quattro si avviarono di corsa verso la città. Victoria era in forma e si teneva costantemente in allenamento. Inoltre, da quando aveva acquisito i suoi nuovi poteri, si sentiva piena di energia, sicché tenne il loro passo senza problemi.
Entrarono in città e si divisero: Thor e Captain America si diressero verso il centro, mentre lei e Occhio di Falco proseguirono verso il punto in cui sapevano trovarsi Wanda e suo fratello.
«Pensi che lei ti sentirà arrivare?» bisbigliò lui, tenendo l’arco pronto e la freccia incoccata.
«Non lo so con certezza, ma penso di no. Lo leggerei nei suoi sentimenti».
Man mano che si avvicinavano, Victoria la sentiva con maggior chiarezza: era arrabbiata e delusa e non stentava a crederci. Aveva letto la sua scheda e sapeva che lei e suo fratello, orfani, erano passati da una famiglia affidataria all’altra. Non era un gran bel modo di crescere e se a questo si assommava che entrambi i ragazzi avevano sviluppato capacità mutanti, la loro infanzia doveva essere stata parecchio difficile.
Eppure, Victoria percepiva un altro sentore: Wanda era in qualche modo consapevole che la strada presa da Ultron era sbagliata, ma non sapeva in che altro modo vivere e ottenere la sua vendetta.
La donna si bloccò all’improvviso, segnalando a Occhio di Falco che percepiva la presenza di Wanda all’interno del palazzo alla loro destra. Sembrava un palazzo di uffici abbandonato ed era fatiscente come il resto della città. Il pesante portone era accostato e bloccato con una catena che però era talmente allentata da permettere ad una persona di intrufolarsi fra i battenti.
«Vado per primo» sussurrò lui. Si chinò, sbirciò cautamente dentro e si infilò nel varco. L’interno era cupo, ma un po’ di luce filtrava dalle finestre oscurate, permettendogli di vedere l’interno libero. Un lungo corridoio si estendeva davanti a loro e su di esso si aprivano porte da entrambi i lati. La maggior parte era chiusa ma molte altre erano divelte e pendevano storte dai cardini.
Victoria lo seguì, facendogli poi cenno di proseguire. Clint avanzò con circospezione sul pavimento lurido finché, a metà del passaggio, lo fermò posandogli una mano sul braccio. Indicò verso destra: i gemelli erano nella stanza vicina.
Clint abbassò la testa e accostò le labbra al suo orecchio. «Riesci a dirmi con sicurezza dov’è il ragazzo?»
La donna indicò un punto a destra della porta chiusa. Clint annuì e le fece cenno di stare dietro di lui. Poi si bilanciò e colpì la porta con un calcio. Il legno marcio cedette di schianto e Clint fece irruzione nella stanza. Con una rapidità che ingannò l’occhio della donna, scagliò la freccia. Pietro era esattamente sulla traiettoria e nemmeno la sua velocità poté nulla in quell’occasione.
A una decina di centimetri dal suo petto, il dardo esplose e un robusto cavo d’acciaio si avvolse strettamente intorno a Pietro, bloccandone i movimenti, e si ancorò alla parete di cemento. Da lì non si sarebbe più mosso.
«Wanda, scappa!» gridò.
La ragazza non se lo fece ripetere due volte: la finestra con i vetri frantumati era la via di fuga più vicina e si buttò fuori dandosi lo slancio sul davanzale.
«Resta con lui. La fermo io!» esclamò Victoria, seguendola.
Saltò in strada. Wanda era a qualche metro di distanza e correva veloce, dirigendosi verso il centro. Victoria tese la mano: i suoi occhi sfavillarono e una barriera di energia s’innalzò repentinamente davanti alla ragazza in fuga. Wanda evidentemente non se l’aspettava perché ci andò a sbattere contro. Rovinò a terra, ma fu velocissima a rialzarsi e a voltarsi verso di lei.
«Ti chiedi chi sono, vero?» domandò Victoria e subito sentì che l’altra tentava di penetrare la sua mente.
«Non puoi entrare nella mia testa, Wanda».
La ragazza si raddrizzò e per la prima volta Victoria poté osservarla con attenzione. Aveva i tratti slavi, con il viso piccolo e rotondo. Gli occhi erano verdi e grandissimi, le labbra rosse spiccavano evidenti sul viso dalla pelle candida, circondato dai capelli castani mossi e ondulati. Portava un vestito nero che le arrivava a metà coscia con sopra una corta giacca di pelle rossa. Indossava un paio di scaldamuscoli neri e ai piedi calzava anfibi sempre neri.
Sembrava una ragazzina fuggita di casa per andare al concerto del suo gruppo rock preferito e invece era un mutante con un potere terribile. Victoria lo sentiva ribollire dentro di lei, pronto ad esplodere.
Victoria fece un passo verso di lei e subito gli occhi le si accesero di bagliori cremisi.
«Posso solo immaginare come ti senti» disse Victoria.
«Non sapete ciò che io e Pietro abbiamo passato, non potrete mai capire» sibilò l’altra. Le mani furono avvolte dalla strana energia che già le infervorava gli occhi.
Victoria sollevò una mano. «Non farlo» disse semplicemente, facendo divampare anche i suoi poteri. Wanda trasalì, sorpresa.
«Sì, esatto. Sono come te, Wanda».
All’improvviso, ci fu una serie di esplosioni. La battaglia era cominciata e con essa anche la sofferenza. Grida e urla fecero eco agli spari e alle deflagrazioni. Wanda sussultò, spaventata.
«È questo ciò che Ultron vuole. Con lui sarà guerra» provò Victoria, ma la ragazza fece un gesto spazientito.
«E tu cosa ne sai della guerra?» sbottò, scrutandola poi con gli occhi stretti in due fessure. «Aspetta, io ti conosco: ti ho vista sulle copertine dei giornali. Sei la moglie di Tony Stark, è così?»
Sogghignò, sembrando per la prima volta diabolica come Thor l’aveva definita.
«Com’è vivere in una grande villa, circondata dal lusso comprato con soldi sporchi di sangue? Tuo marito ammazza la gente, sai?»
«Non sai di cosa parli, Wanda. Tony è cambiato, e ha pagato ampiamente il suo debito».
«Sta zitta!»
Wanda le scatenò contro il suo potere ed ebbe appena il tempo di creare uno scudo con i suoi poteri per proteggersi. Ma ugualmente il colpo la spinse indietro di oltre un metro.
«Vuoi la pace?» le chiese. «Non è con Ultron che la otterrai».
Victoria avvertì la presenza di molte persone. Diversi agenti di polizia si schierarono in posizione puntando le pistole verso Wanda. Forse avevano notato la A degli Avengers sulla tuta di Victoria o forse, più probabilmente, qualcuno li aveva avvisati che lei stava dalla parte dei buoni. Viceversa, sapevano che la ragazzina con la giacca di pelle rossa era pericolosa e si prepararono a far fuoco.
«No!» esclamò Victoria, innalzando una barriera tra Wanda e i poliziotti. I proiettili si disintegrarono al contatto con l’energia di Victoria.
In quel momento la terra tremò con violenza, tanto che entrambe non riuscirono a mantenere l’equilibrio.
«Ragazzi, abbiamo un problema» la voce di Tony la raggiunse attraverso l’auricolare. «La città si sta sollevando».
Tegole e pezzi di cornicione caddero intorno a loro e profonde crepe si aprirono nei muri dei palazzi circostanti.
«Che sta succedendo?» si domandò Wanda mentre si rimetteva in piedi a fatica. La gente uscì dalle case in preda al panico, riversandosi nelle strade e cercando riparo. I poliziotti, dimenticatisi di Wanda, aiutarono la gente a sfollare il più rapidamente possibile.
Tre robot comparvero in cielo sopra di loro, puntando senza esitazione sulla gente. Avevano chiaramente intenzioni ostili e Victoria capì di avere poco tempo per agire. Tese le mani davanti a sé, puntandole verso l’alto, e le mosse allargandole in un arco. Avvolti da fili di luce verde, i tre robot andarono in frantumi. Wanda la osservava stupita.
«Hai ragione, io non so nulla della guerra. Ma tu sì. E dato che sai com’è, vuoi davvero che questa gente la sperimenti?»
Vide la prima crepa nella corazza di Wanda, mentre si guardava intorno spaesata e una nuova scossa faceva tremare tutto. Ironman sfrecciò nel cielo, inseguendo un gruppo di cinque robot.
«Quello è mio marito» disse Victoria, indicando verso l’alto. «Ha fatto una scelta, e devi farla anche tu, bambina. Lui ha scelto il bene. E tu non puoi lasciarti manipolare da Ultron». Tese la mano verso di lei. «Se vuoi, anche tu puoi essere un Avenger».
Un groviglio di emozioni e sensazioni esplose nell’animo della ragazza, ma era talmente intenso che Victoria non riuscì a dipanarlo. Una nuova scossa di terremoto, più violenta di quelle precedenti, la fece barcollare. Poi, improvvisamente, fu colpita da dietro. Cadde a terra e, mentre si rialzava, capì cosa l’aveva spinta a terra.
Wanda non c’era più e percepiva lei e il fratello che si stavano allontanando. Clint saltò sulla strada e l’aiutò a rimettersi in piedi.
«Quel ragazzino è un fulmine. Non sono riuscito ad avvertirti. Wanda?»
Victoria scosse la testa. «È fuggita. Ma non credo che tornerà da Ultron. Ah, dannazione: ero così vicina a portarla dalla nostra parte».
 Di nuovo, Tony si fece sentire: «Dolcezza, credo che nessuno ti abbia ancora spiegato che in questo team abbiamo un’attenzione particolare al linguaggio».
 

[1] Sussurro

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Capitolo 9
*** Sacrifice ***


Victoria ha acquisito il controllo dei propri poteri
e Visione è finalmente entrato a far parte del team.
Ormai è tempo di battaglia e Tony dovrà rassegnarsi 
a vedere anche su moglie impegnata contro Ultron.
Buona lettura!


SACRIFICIO

 
Victoria e Clint ci misero un bel po’ ad arrivare nei pressi della chiesa diroccata che si trovava esattamente al centro della città. Non che la distanza fosse poi molta, ma Ultron aveva scatenato le sue armate e dietro ogni angolo spuntavano nuovi robot. Inoltre, cercavano come potevano di aiutare la gente e le forze dell’ordine nell’evacuazione.
Nei pressi dell’edificio, proseguire fu anche più difficile ed erano sempre più costretti a difendersi dagli attacchi dei nemici. Riuscirono comunque a raggiungere il resto degli Avengers e Tony si sincerò subito delle sue condizioni.
«Sono impolverata, ma tutta intera» lo rassicurò. «Però Wanda è scappata». La donna si avvicinò alla strana struttura al centro delle rovine. «È quest’affare che sta facendo questo disastro?»
«Credo sia sempre stato qui. Ultron sta solo usando l’idea di qualcun altro» spiegò Tony.
Il poderoso meccanismo ruotava lentamente, spingendo la città verso l’alto. L’idea di Ultron era di attivare il congegno, una volta arrivati all’altezza desiderata, per farlo ricadere al suolo. L’urto sulla crosta terrestre avrebbe generato forze immani, in grado di generare reazioni a catena tali da estinguere il genere umano.
«Idee per fermarlo?» chiese Clint.
«Molto poche e molto confuse, in verità» rispose Thor, mentre respingeva l’attacco di un altro androide.
La terra tremò di nuovo, ma stavolta per l’arrivo di Hulk che si fermò in una nube di polvere facendo scendere a terra Natasha, che si precipitò tra le braccia di Clint.
«Stai bene?» le chiese, prendendole il viso tra le mani.
«Tutto ok. Ultron non mi ha sfiorata con un dito».
«Ragazzi!»
Fu Thor ad attirare la loro attenzione e tutti si girarono verso di lui che aveva lo sguardo al cielo. Sullo sfondo dei palazzi cadenti, Ultron era sospeso a mezz’aria e li guardava.
Thor, indicando i rottami dei nemici che si erano scagliati contro di loro, si rivolse direttamente a lui: «Tutto qui quello che sai fare?» gridò.
Ultron ridacchiò e alzò un braccio. Al suo segnale, una moltitudine di robot fitta come uno sciame di locuste si fece avanti e si fermò, in attesa di ulteriori ordini.
«Dovevi proprio chiedere?» commentò sarcasticamente Steve.
Gli Avengers si schierarono: avrebbero protetto la chiave del meccanismo fino alla fine. Ultron ne prese atto con un cenno.
«Ecco, questo è esattamente quello che volevo: tutti voi contro tutti me!»
La marea di robot si mosse come un unico organismo, dilagando verso di loro.
«Avengers, manteniamo la posizione!» ordinò Captain America e tutti si prepararono all’impatto della prima ondata.
«Sta’ dietro di me, Whisper» disse Tony.
«Sta’ tu dietro a me, Ironman» replicò l’altra, puntellandosi per agire.
Mosse le mani e scintille verdi si accesero nei suoi occhi. Creò una specie di sfera fra le mani aperte, lanciandola poi verso i robot. Lungo la traiettoria di quel proiettile di pura energia, nulla rimase integro. Tony soffocò un’esclamazione.
«Qualcosa da dire, tesoro?»
«Assolutamente no, dolcezza» replicò lui, prendendo il volo.
Victoria perse il conto delle ondate di nemici a cui si opposero. Il suo universo si restrinse alla necessità di respingere ogni attacco e proteggere il congegno. Le mani formicolavano per l’energia che stava maneggiando e i suoi occhi non si erano ancora raffreddati. Ognuno di loro era attaccato su diversi fronti: Thor usava Mjolnir come se fosse un prolungamento del suo braccio, la Vedova Nera si muoveva con l’agilità di un felino facendo a pezzi i nemici con le sue scariche elettriche, l’arco di Occhio di Falco continuava a cantare la sua melodia, Captain America usava forza e destrezza per sbaragliare i nemici, Ironman e Visione volavano sopra le loro teste bloccando gli attacchi dall’alto e Hulk aveva l’effetto di una palla da demolizione.
Victoria bloccò l’ultimo nemico, usando la telecinesi per sollevarlo e sbatterlo con violenza contro una colonna di pietra che tremò all’impatto. Udì un grido dietro di sé e si voltò appena in tempo per bloccare Ultron che, vista la disfatta del suo esercito di latta, era sceso personalmente in battaglia.
Rimase bloccato a mezz’aria, a meno di un metro dalla donna che lo tratteneva con il suo potere.
«Non avresti dovuto metterti contro di noi» sibilò, e con un gesto della mano lo lanciò fuori dal cerchio di rovine ormai ingombro dei pezzi dei robot distrutti.
Thor, Ironman e Visione lo seguirono e Victoria approfittò della tregua per rifiatare un po’.
«Credo di essermi persa qualcosa» commentò Nat.
«Sì, un po’ di cose». Si raddrizzò per abbracciarla. «Sono un po’ cambiata mentre tu ti godevi un bel soggiorno gratuito in Sokovia».
«Ah, posto ameno e incantevole» commentò con sarcasmo. Poi si fece seria e la squadrò con attenzione: «Direi che gli Avengers ti stanno benissimo addosso» approvò.
«Nat, non incoraggiarla, per favore» la redarguì Tony.
Gli Avengers si raggrupparono intorno alla chiave del meccanismo che continuava a muoversi e a  far lievitare la città e Steve prese la parola: «Ci sono buone notizie: l’Helicarrier dello S.H.I.E.L.D. è in arrivo per evacuare i civili. Dobbiamo fare il più in fretta possibile, l’aria è sempre più rarefatta e l’ossigeno scarseggia».
«Come risolviamo il problema di questo pezzo di roccia che continua a salire?» chiese Clint.
«Quando tutti saranno al sicuro a bordo della portaerei» intervenne Tony, «proverò a sovraccaricare il sistema. Friday sta ultimando i calcoli ma ritiene che la cosa dovrebbe causare un’esplosione che disintegrerà la città, in modo che la ricaduta al suolo non generi l’onda d’urto fatale».
Friday era l’interfaccia che aveva sostituito Jarvis e che aiutava Tony nella gestione dell’armatura e di tutti i sistemi. Steve prese a dirigere le operazioni con l’abituale fermezza.
«Ok, ci organizziamo in questo modo. Thor, Visione e Ironman sono gli unici in grado di volare: a voi il perimetro. Non possiamo permettere che uno solo di questi androidi fugga da qui».
«Thor, forse avrò bisogno di te per mandare il sistema in overload» aggiunse Tony. L’asgardiano annuì.
«Il resto di noi darà una mano con l’evacuazione, ma qualcuno dovrà restare qui a proteggere la chiave».
«Resto io» disse Victoria.
Il silenzio calò pesante come una cappa di velluto e fu Tony a infrangerlo.
«Assolutamente no!» esclamò.
La donna sbuffò. «Sapete bene che è l’unica opzione possibile» replicò lei, senza guardarlo.
«No, non è fattibile. Punto» disse, categorico.
Victoria lo fronteggiò.
«Devi smetterla di pensarmi come tua moglie, come la donna indifesa che ero. Non lo sono più, Tony. Mi hai vista combattere: valgo quanto voi».
Lui tentennò.
«Non abbiamo tempo per questi discorsi» continuò lei. «Sono l’unica che può tenerli a bada tutti insieme mentre voi siete impegnati».
«Tutti insieme?» chiese Ironman in tono piuttosto seccato.
Gli occhi di Victoria iniziarono a brillare e i rottami ammassati ai loro piedi si sollevarono in aria. Gli Avengers si guardarono intorno, stupiti da quella manifestazione di potere.
«Sì, tutti insieme» rispose lei, facendo ricadere le carcasse di metallo.
Non poteva vedere gli occhi del marito, nascosti dietro la visiera dell’armatura, ma intuiva i suoi pensieri dai segnali che le inviava.
«Non mi va di lasciarti da sola» brontolò.
Victoria stava per replicare quando percepì il potere di Wanda nelle vicinanze. Molto vicino. Fece appena in tempo a sollevare un braccio per imporre loro il silenzio che i gemelli Maximoff sbucarono da una delle colonne.
«Non sarà sola» mormorò Wanda.
Le reazioni degli Avengers furono diverse, ma nessuna fu amichevole. Victoria si girò verso di loro, voltando le spalle ai gemelli e mettendosi di fronte ai suoi amici. Fece lampeggiare gli occhi una volta, a titolo di avvertimento.
«Che stai facendo, Whisper?» domandò irato Captain America.
«Proteggo due innocenti».
Sentì l’incredulità di entrambi: era evidente che nessuno si era mai interessato a loro se non per sfruttare le capacità fuori dal comune che avevano. Vedere che Victoria stava prendendo le loro difese fece crollare definitivamente ogni loro riserva. Wanda fece un passo avanti.
Hulk sbuffò e batté violentemente i pugni a terra. Victoria stese la mano e una barriera di energia isolò lei e Wanda dalla minaccia del gigante verde.
«Mi dispiace per ciò che ho fatto. Mi scuso con voi per aver condizionato le vostre menti. Io e mio fratello credevamo che foste voi la minaccia. Ma ora siamo pronti a combattere al vostro fianco per fermare Ultron».
«Dice la verità» rincarò Victoria.
Captain America si fece avanti, con lo scudo fissato al braccio. «Va bene. Whisper, abbassa questo schermo» ordinò. Victoria obbedì.
«Non possiamo permetterci ulteriori perdite di tempo, i mezzi dello S.H.I.E.L.D. stanno arrivando per prelevare i civili. Whisper, tu e Wanda resterete qui a proteggere il congegno». Lanciò un’occhiata a Pietro che attendeva dietro la sorella. «Tu ci aiuterai?»
Per tutta risposta, il ragazzo scattò velocissimo e comparve fianco di Clint, rubandogli una delle frecce dalla faretra.
«Neanche stavolta mi avevi visto arrivare, vero?» ridacchiò, ricordando il primo incontro proprio con Occhio di Falco.
«Diavolo, hai l’argento vivo addosso, ragazzo?» chiese, strappandogli il dardo dalle mani.
«Mmh, Quicksilver [1]! Mi piace» commentò.
«Quando saremo tutti in salvo» proseguì ignorando le stoccate fra i due, «Quicksilver tornerà indietro a prendere Wanda».
«Scarlet» lo corresse la ragazza.
«Visione, tu tornerai a prendere Whisper. Poi Ironman e Thor concluderanno questa faccenda». Steve fece una pausa girando lo sguardo sui suoi compagni. «È tutto chiaro?»
Si avviarono ognuno verso i compiti assegnati. Ironman sollevò la visiera e indugiò per un attimo accanto a sua moglie.
«Avremo diverse cosucce su cui discutere una volta conclusa questa storia» mormorò.
Lei si sollevò in punta di piedi e lo baciò: «Va’ a salvare la tua parte di mondo. Io mi occuperò della mia».
Chiuse la visiera e volò via, lasciandola sola con Wanda.
«Grazie» mormorò la ragazza.
Victoria sorrise. «Tutti meritano una seconda occasione. Tu e tuo fratello siete stati bravi a coglierla».
Subirono altri tre attacchi mentre attendevano che gli Avengers facessero sfollare la gente, ma nessuno riuscì a superare lo scoglio dei loro poteri congiunti.
Finalmente, le operazioni furono concluse: la città era deserta. Ormai erano talmente in alto che respirare stava diventando un problema. Captain America richiamò tutti presso l’ultima scialuppa di salvataggio, dove lui, Clint e Quicksilver erano già.
Steve stava dando il segnale a Quicksilver e Visione di andare a prelevare le ragazze presso la chiesa diroccata quando Clint si accorse che un ragazzino era rimasto indietro. Era impolverato e un filo di sangue gli serpeggiava lungo il viso: doveva essere rimasto separato dai suoi e ora arrancava verso la salvezza.
Batté sulla spalla di Steve: «Aspetta, ne è rimasto uno» disse, saltando giù dal velivolo per raggiungere il bambino.
Hulk e la Vedova Nera mancavano ancora all’appello, ma erano di ritorno dall’ultimo giro di perlustrazione. Mentre si affrettavano a raggiungere la scialuppa, un Quinjet comparve nel cielo. Natasha lo guardò perplessa: non avrebbe dovuto trovarsi lì. Hulk intuì la verità prima di lei: l’afferrò, voltando le spalle al velivolo che scendeva in picchiata, e si chiuse a palla su di lei, coprendola con il proprio corpo dalla sventagliata di proiettili che piovve su di loro.
Ultron aveva trovato il velivolo abbandonato e se ne era appropriato. Il suo piano era svanito, principalmente perché aveva sottovalutato la forza degli Avengers, ma il suo progetto di distruzione non era ancora accantonato. Doveva solo ritirarsi e riorganizzarsi e per farlo doveva togliersi di lì. Il Quinjet gli aveva offerto l’occasione giusta per sparire, ma poi aveva sentito attraverso la radio che alcuni degli Avengers erano ancora in zona e non aveva resistito.
Non si voltò per vedere se i suoi proiettili avevano causato danni: sapeva anche lui che Hulk era invulnerabile. Piuttosto, c’erano altri bersagli che non avevano la sua scorza dura.
Eccone lì uno, infatti. Riconobbe Occhio di Falco e puntò verso di lui. L’uomo si voltò e vide la morte piombare su di lui, ma non si scompose. Teneva fra le braccia un bambino e all’ultimo si voltò per fargli da scudo.
«Patetico» sibilò e premette il pulsante di sparo. Le mitragliatrici gemelle iniziarono a cantare e lui proseguì, involandosi nel cielo. Nessuno avrebbe potuto sopravvivere a quell’inferno di fuoco: aveva ottenuto quanto più poteva ed era il momento di andarsene.
Non vide arrivare Hulk che, dopo aver messo in salvo Natasha a bordo dell’Helicarrier, aveva spiccato uno dei suoi poderosi balzi ed era atterrato proprio sul Quinjet. Ultron non ebbe scampo: Hulk lo afferrò con forza, strappandolo dal sedile di guida, e lo scagliò via. Con il sistema di volo danneggiato, Ultron non poté far altro che cadere come un sasso. Si schiantò al suolo con forza, restando immobile, pur se ancora vivo.
A terra, o meglio su quel grosso agglomerato fluttuante, Clint alzò il capo di scatto. Non era possibile che Ultron l’avesse mancato, eppure non era ferito. Poi capì: Pietro aveva afferrato lui e il bambino e li aveva trascinati al riparo. Clint inorridì quando vide il sangue macchiare la maglia del ragazzo che barcollò e cadde di schianto, morto ancor prima di toccare il terreno. Steve, che aveva assistito alla scena, si precipitò da loro, ammutolito di fronte al sacrificio di Pietro.
Nella chiesetta semidistrutta, Whisper e Scarlet avevano respinto quello che speravano fosse l’ultimo attacco, quando la ragazza si bloccò di colpo.
«Che succede?» domandò Victoria, poi lo avvertì anche lei. L’ondata di dolore la colpì con forza e non ci mise molto a capire che era successo qualcosa a Pietro: il legame tra i due gemelli era fortissimo e Wanda aveva già capito.
Spalancò la bocca in un grido di dolore e una scarica di energia potente e incontrollata si propagò dal suo corpo. Prese in pieno Victoria, che non ebbe il tempo di proteggersi. La donna finì con violenza contro una delle colonne e scivolò a terra, tramortita dal colpo.
Quando tornò in sé, non sapeva quanto tempo fosse passato. La voce di Tony la chiamava con insistenza. Si rimise in piedi e si guardò intorno.
«Scarlet è sparita» sussurrò. Stava per aggiungere qualcosa quando si accorse che uno dei robot era sopravvissuto. Perdeva liquido e si trascinava semidistrutto, ma era pericolosamente vicino alla chiave. Ancora stordita dal colpo, fu troppo lenta: quando la scarica di energia lo colpì, l’androide aveva già attivato il meccanismo.
Avvertì immediatamente che la città iniziava a precipitare. Colto di sorpresa, sentì Tony imprecare.
«Che accidenti succede?»
«Il meccanismo è attivato» gridò la donna.
«Merda, ho bisogno di più tempo» sbottò l’altro.
Non aveva idea di dove fosse suo marito, ma sapeva esattamente cosa doveva fare, anche se non era del tutto certa che fosse una buona idea.
Si concentrò, chiudendo gli occhi, cercando di isolarsi da tutto. Si spinse fin nel nucleo del suo potere perché sapeva di aver bisogno di ogni stilla di quell’energia che aveva sempre tenuto racchiusa in sé.
Quando spalancò gli occhi, essi bruciarono con un’intensità mai vista. Tese le mani verso il basso e lasciò che tutto ciò che aveva dentro uscisse. Una rete di scariche verdi serpeggiò sul terreno, dilagando in fretta per tutta la città.
«Signore, siamo a millequattrocento metri e continuiamo a scendere». La voce di Friday arrivò fino a Victoria tramite l’auricolare. «Sotto i mille metri ogni azione sarà inutile, signore».
«È finita, ragazzi» disse Ironman. «Visione, porta via mia moglie».
«Milletrecento metri, signore».
Visione, che era in attesa dell’ordine, arrivò in volo e atterrò accanto a Victoria.
«Che stai facendo?» domandò.
«Ciò che devo» replicò lei a denti stretti.
«Milleduecento metri, signore. Ma sta rallentando». Friday sembrava perplessa.
«Rallentando?» le fece eco Tony.
Agli occhi di chi era ormai al sicuro sull’Helicarrier, la scena appariva surreale: a milleduecento metri da terra, quella che era stata la loro città era sospesa in aria, avvolta in una strana rete di luce verde che continuava a muoversi, scendendo verso il basso.
«Siamo a millecentocinquanta metri, ma è quasi ferma» annunciò Friday.
A millecento metri dal suolo, quella luminosità verde aveva infine avvolto completamente quel grosso masso sospeso che si bloccò del tutto.
«Va’ da Scarlet» sibilò a Visione. «È a nord, vicino al precipizio, nei pressi di un autobus rovesciato. Portala in salvo».
Visione esitò per una frazione di secondo.
«VAI!» gli gridò e lui volò via.
Trovò Wanda esattamente dove aveva detto Victoria. Era andata a cercare Ultron, o ciò che ne rimaneva, e gli aveva strappato il cuore di metallo dal petto, vendicando il fratello ucciso. Stringeva ancora tra le mani quel trofeo quando la prese fra le braccia e la portò sull’Helicarrier, atterrando delicatamente sul ponte.
«Tony, fa’ ciò che devi, ma in fretta. Non resisterò a lungo» annunciò Victoria. Era lei a sostenere tutto il peso delle tonnellate di roccia sospesa.
«No! Non posso far nulla finché tu sei lì. Devi andartene».
«Se me ne vado, crollerà tutto. Devo mantenere il contatto con il terreno».
«Non lo farò. Non ti condannerò a morte. Forse i calcoli di Friday sono errati e l’urto non sarà così terribile. O forse riusciremo a disintegrare questo pezzo di roccia anche sotto i mille metri».
Cercava scuse e giustificazioni per non dover prendere quella decisione. Victoria sentì qualcosa colarle dalla narice e quando arrivò alle labbra sentì il gusto metallico del sangue. Era pericolosamente vicina allo stremo.
«Tony, non c’è nient’altro che possiamo fare».
«Friday, esegui nuovamente i calcoli. Troveremo un’altra soluzione».
Non la stava ad ascoltare. Tony era così: non conosceva la sconfitta, la parola perdere non era nel suo vocabolario. Ma stavolta la battaglia era troppo grande anche per lui.
«Il sacrificio di uno è preferibile a quello di sette miliardi di persone» sussurrò, ma sapeva che lui poteva sentirla. «Salva i nostri figli, Tony».
Lo udì singhiozzare e il cuore le si frantumò nel petto, riuscendo quasi a farle perdere il controllo. Crollò in ginocchio ma con uno sforzo sovrumano mantenne la presa.
«Non posso farlo, Vicky» mormorò, la voce spezzata e quasi irriconoscibile.
«Sì che puoi farlo. Devi farlo, Tony. È l’unica cosa giusta da fare».
In quel momento, Tony era al di sotto della città fluttuante. Aveva aperto una breccia nella struttura e ora vedeva l’intero meccanismo che aveva creato tanto scompiglio.
«Sono in posizione, Tony» disse Thor, intromettendosi con delicatezza.
Tutti, Fury compreso, erano in ascolto. Ma nessuno osava spingere Tony a prendere l’unica decisione che avesse un senso.
Molti metri più su, Victoria era al lumicino. Sostenere quello sforzo per un periodo così continuato la stava prosciugando e quando avesse ceduto, quel dispendio di energia sarebbe stato completamente inutile.
«Tony» sussurrò, «ti prego. Non posso resistere oltre».
Lui tacque per un lungo momento e quando Victoria temette di stare per perdere conoscenza e mollare tutto, la sua voce le diede accesso ad un’ultima riserva di forza che non sapeva di possedere.
«Sarò dannato per il resto dei miei giorni dopo questa decisione» biascicò.
Lei sorrise stancamente: «Sei assolto da ogni colpa, Tony. Bacia i bambini per me».
«Ti amo, Vicky» disse. Poi spense la radio, prima che lei rispondesse. Se avesse udito di nuovo la sua voce, avrebbe abbandonato la posizione, sarebbe andato a prenderla e l’avrebbe portata lontana. Ma in cuor suo sapeva che Friday non sbagliava: se quell’enorme agglomerato di roccia fosse precipitato sulla crosta terrestre, le conseguenze sarebbero state globali. E tra sua moglie e i suoi figli, scelse i suoi figli.
Con gli occhi pieni di brucianti lacrime di dolore, attivò il potente reattore toracico, indirizzando tutta l’energia Repulsor contro il diabolico meccanismo attivato da Ultron.
«Ora, Thor!» gridò.
L’asgardiano alzò Mjolnir e richiamò i fulmini dal cielo, dirigendoli contro quella macchina infernale. Il sovraccarico di potenza mandò in tilt tutti i sistemi e gli ingranaggi rivolsero contro se stessi l’immane forza distruttrice in un’orgia di devastazione.
Con un rombo immane, la città prese a sgretolarsi, ricadendo a terra in frammenti che, per quanto di notevoli dimensioni, non avrebbero causato danni.
Victoria sentì la pressione alleggerirsi e capì che la partita era vinta. Si accasciò, stremata, mentre la fitta rete di energia che aveva bloccato la caduta della città svaniva. Il bagliore nei suoi occhi si affievolì e si spense e l’ultima cosa che vide fu il cielo azzurro, punteggiato di soffici nuvole bianche.
Poi, sotto di lei il terreno tremò con violenza. La terra si spaccò, inghiottendola. Ma lei ormai era in un luogo a metà tra la vita e la morte e quasi non se ne accorse. Davanti a lei c’erano solo i visi delle persone che amava. Li vide tutti: i suoi genitori, morti da tempo, sua sorella, gli amici più cari, gli Avengers e le loro famiglie, che erano diventati la sua famiglia.
E poi vide Tony. Era in piedi, sulla scogliera vicino alla villa di Malibu. Vide Elizabeth, i lunghi capelli rossi scompigliati dal vento. Zachary, così simile a suo padre. Serenity che aveva preso il meglio da entrambi i genitori e sembrava una bambola di porcellana. Erano tutti lì, accanto alla piccola lapide che era l’unico ricordo di quello che prima della nascita di Serenity sarebbe stato il suo terzogenito, il bambino mai nato che Loki aveva ucciso.
Non credevo di essere capace di amarli fino a questo punto, pensò. Poi fu il buio.
 

[1] Tradotto: argento vivo 

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Capitolo 10
*** Heroes ***


Victoria ha sacrificato se stessa per salvare il mondo
e merita di essere annoverata fra gli eroi.
Ma Tony è distrutto e vuole soltanto recuperare il suo corpo
per avere qualcosa su cui piangere.
Da qui in poi, nulla più sarà lo stesso.
Buona lettura!


EROI

Quando Tony atterrò sull’Helicarrier, nessuno ebbe il coraggio di avvicinarsi. Tutti avevano udito il suo grido di dolore mentre volava a bassa quota, sfiorando le acque del lago, evitando i frammenti cadenti della città. La tentazione di aggrapparsi a uno dei più grossi per essere trascinato a fondo era forte, ma aveva tre figli a cui doveva portare il bacio di una madre che aveva dato tutto di sé per salvarli. In quel momento, l’amava più di quanto avesse mai fatto.
Fu lui ad andare incontro a Fury, raggiungendolo vicino alla sovrastruttura dell’immensa nave volante. Non sollevò la visiera e chi lo ascoltava faticò a riconoscere la sua voce.
«L’avete seguita, vero?» chiese.
Fury era perplesso.
«Che cosa, Tony?» chiese con cautela.
«Victoria» specificò. «L’avete seguita quando è precipitata, giusto? Ho bisogno di sapere la sua posizione. Devo andare a prenderla».
Steve si avvicinò all’amico. Non poteva immaginare di perdere Beth, sarebbe stato perdere metà di se stesso. Era sicuro che lo stesso valesse per Tony e intuiva che era sotto shock.
«Tony, ascoltami» disse, sfiorandogli il braccio coperto dall’armatura. L’altro si scostò, ma Steve proseguì: «Victoria era nel centro esatto della città quando è caduta. Non ci è stato possibile vederla».
Tony non rispose, girando la testa per fissare le montagne che circondavano il cratere che si era formato quando la città era stata sollevata.
«Ci ha salvati tutti» mormorò Fury, caricando le parole di rispetto. «Ma purtroppo non c’è più nulla che possiamo fare».
La reazione di Tony fu talmente repentina che si accorsero di cos’era successo solo quando videro che aveva afferrato Fury per il collo e lo aveva bloccato contro il metallo della paratia, a una decina di centimetri da terra.
«Nulla di questo sarebbe successo se tu non le avessi messo le tue strane idee in testa, figlio di puttana» gli urlò contro. «Me l’hai portata via, è colpa tua se è morta».
Pronunciò quella parola per la prima volta e il vuoto che aveva al posto del cuore turbinò. Victoria era per lui più di una moglie. Era la compagna della sua vita, quell’unica creatura al mondo in grado di penetrare ogni sua difesa con un solo sguardo. Sin dal primo momento lei gli era entrata sottopelle, riempiendo in fretta la sua anima vuota.
Da quando i suoi genitori erano morti, Tony aveva sempre fatto tutto da solo. Era ricco, intelligente e potente e poteva avere tutto ciò che voleva. Ma nonostante si fosse circondato di auto di lusso e donne bellissime, niente riusciva a saziarlo. Almeno finché Victoria non era entrata nella sua vita.
Era l’unica donna che non l’avesse cercato per prima, dimostrandosi per nulla impressionata dal suo fascino. Questo l’aveva resa immediatamente più appetibile, una nuova sfida, qualcosa da conquistare. Ma lei non era alla ricerca di una semplice avventura e gli aveva incatenato il cuore.
Gli aveva dato tre figli stupendi ed era stata lei a rimetterlo in sesto ogni volta che gli eventi avevano minacciato di soffocarlo. Era lei che lo teneva insieme, il suo rifugio sicuro quando il mondo tornava a spaventarlo.
Che la battaglia fosse condotta nel consiglio d’amministrazione delle Stark Industries o dentro l’armatura di Ironman, tornare a casa e trovarla ad aspettarlo era un sollievo talmente grande da aver creato una sorta di dipendenza. Dipendenza da cui, per forza di cose, ora doveva imparare a fare a meno.
Perché lei adesso non c’era più e lui cercava disperatamente un colpevole, qualcuno da poter accusare, in modo che fosse possibile vendicare la sua morte, ben sapendo che il vero colpevole era lui stesso: avrebbe dovuto fare di più per proteggerla.
Tutti quei pensieri balenarono nella sua testa in una frazione di secondo. Poi Steve fece un passo avanti per strapparlo via da Fury, ma fu lo stesso direttore dello S.H.I.E.L.D. a bloccarlo con un cenno della mano.
«Tony, se lei non avesse fatto quello che ha fatto, noi tutti ora non saremmo qui. È vero, l’ho spinta alla ricerca di questi poteri, ma l’ho fatto solo perché sapevo che era l’unica arma in grado di fermare Ultron».
Ironman lo tenne sospeso ancora per un attimo, poi lo lasciò andare bruscamente. Si girò a guardare il resto degli Avengers, che avevano fatto capannello intorno a lui. Strinse i pugni, notando i loro sguardi di pietà e compassione.
«È solo che non posso lasciarla là sotto» mormorò. «Insomma, lei amava il sole e la luce, non posso abbandonarla nel buio e al freddo. Ho bisogno di un corpo su cui…» non riuscì a proseguire e rimase in silenzio.
«D’accordo, ti aiuteremo a cercarla» assicurò Fury, massaggiandosi la gola offesa.
Meno di un’ora dopo l’esplosione che aveva fatto a pezzi la città fluttuante, due squadre di ricerca furono mandate a terra. Erano una ventina di uomini, tutti quelli disponibili in quel momento, ma Fury promise che altri sarebbero arrivati in fretta. Ironman era ovviamente con loro, anche perché non c’era altro posto dove poteva stare.
Nella sua salita verso l’alto, la città si era progressivamente spostata verso nord e quando era stata distrutta, i frammenti erano caduti a metà tra il lago e l’enorme cratere al centro della valle. Mentre gli uomini cercavano sulla terraferma, anche con l’aiuto dei cani, Tony si concentrò sul lago.
Con l’aiuto di Friday, creò una griglia di ricerca e prese a percorrerla, volando a pelo d’acqua. La tuta che aveva indossato Victoria aveva dei sensori e sperava che almeno uno fosse rimasto attivo o che il corpo di sua moglie non si trovasse sotto tonnellate di roccia che avrebbero schermato il segnale. Friday scandagliava il lago con tutti i suoi sistemi, nella speranza di trovare qualcosa.
«Signore, rilevo qualcosa di anomalo».
Erano quasi al centro del lago e Tony non perse tempo a chiedere maggiori informazioni. Si tuffò in acqua e si fece spingere in basso dai repulsori. L’armatura era a tenuta stagna, quindi poteva restare in immersione per un’ora almeno prima di dover risalire e ricaricarsi di ossigeno.
L’acqua era ancora torbida a causa dei detriti e la visibilità era quasi nulla, ma Tony si affidava a Friday, mentre si spingeva verso il fondo del lago.
«In questo punto il lago è profondo trecento metri, signore. Il segnale proviene proprio dal fondo».
«È uno dei nostri sensori?» domandò.
«Non proprio. O meglio, percepisco il segnale, ma c’è anche qualcos’altro che non riesco a identificare».
Tony si spinse più in basso, passando accanto a un masso grande quanto un’utilitaria e si domandò se davvero c’era un corpo da recuperare. Se un sasso massiccio anche solo la metà le fosse caduto sopra, di lei non sarebbe rimasto nulla da portare in superficie. E purtroppo sembrava che in quel punto si fosse concentrato il grosso dei detriti.
Proseguì ancora, mentre sullo schermo vedeva i metri che lo separavano dal segnale diminuire in maniera sensibile. Si accorse che la visibilità era cambiata. Inspiegabilmente, a duecento metri di profondità, riusciva a vedere meglio che in superficie.
C’era una strana luminosità verde e quando scrutò più avanti, si accorse con un sussulto cos’era a provocarla: il corpo di Victoria era sospeso a pochi metri dal fondo, avvolto in un bozzolo di quegli stessi bagliori verdi che avevano sorretto la città, integro e perfetto.
Tony si avvicinò in fretta, notando a malapena che sembrava che tutti i frammenti di roccia fossero stati respinti e avessero evitato di colpirla di proposito.
E quando sfiorò quella strana aura verde capì il perché. Ricevette una violenta scarica di tipo elettrico che lo scaraventò lontano. Tutti i sistemi si spensero e, non più sorretto dai repulsori, il suo corpo appesantito dall’armatura affondò. Friday ci mise trenta secondi a tornare online e furono i più lunghi della sua vita, bloccato sul fondo del lago senza possibilità di tornare in superficie.
«È una barriera d’energia, signore» spiegò Friday.
«Dimmi qualcosa che non so» borbottò mentre si avvicinava. Victoria sembrava addormentata e fluttuava a qualche centimetro da lui. «È morta?» domandò.
«Non posso stabilirlo, signore. I miei scanner non riescono a superare quella barriera energetica».
Tony attivò la radio e spiegò in fretta cos’aveva trovato. Diede le proprie coordinate e Fury lo fece attendere qualche minuto.
«Va bene, ti mandiamo giù due sommozzatori. Ti aiuteranno nel recupero».
Quando arrivarono, i due estrassero dalle sacche delle fasce di materiale isolante. Avvolsero il corpo di Victoria con le cinghie, creando un’imbracatura intorno a lei, stando attenti a non entrare in contatto con l’aura che l’avvolgeva. Poi Tony afferrò i capi e la trascinò via.
Risalirono lentamente. Victoria era sempre immobile e non dava segno di accorgersi né del movimento né del cambiamento di pressione. Quando riemersero, Tony afferrò più saldamente le corde e prese il volo.
L’Helicarrier era sceso di quota per agevolare il trasferimento a terra dei civili e Tony non dovette alzarsi troppo per raggiungerlo. Sul ponte erano stati preparati dei materassini e Tony scese con cautela, adagiandovi il corpo di Victoria.
Le cinghie furono rimosse e Tony uscì dall’armatura, inginocchiandosi accanto a lei. Essere così vicino e non poterla toccare e sincerarsi che fosse viva era quasi peggiore di saperla sul fondo del lago. Dentro di lui c’era una flebile fiamma di speranza, ma non osava alimentarla per timore che poi la delusione di veder disattesi i suoi desideri fosse peggiore da sopportare.
«È viva» disse qualcuno di cui sul momento non riconobbe la voce. Alzò il capo e davanti a lui, nel circolo di facce ansiose, c’era Wanda.
Lo fissò negli occhi: «Sta sognando. E i morti non sognano» spiegò la ragazza.
Sembrava così certa di quel che diceva. Tony abbassò lo sguardo: in effetti sembrava che dormisse, ma poteva davvero concedersi di credere a quelle parole?
«Come la tiriamo fuori da qui?» chiese, non sapeva bene a chi. Forse proprio alla ragazzina dai poteri simili a quelli di sua moglie.
Lei gli si inginocchiò di fronte. Fra di loro, il corpo di Victoria brillava ancora di luce verde.
«Forse se…» sussurrò e stese le mani su Victoria. Le passò avanti e indietro sul suo corpo mentre nessuno fiatava. Lentamente, sotto gli occhi stupefatti di Tony, il bozzolo che la proteggeva cominciò a svanire. Non capiva cosa stesse facendo Wanda, che continuava a passare le mani su sua moglie senza toccarla, ma qualunque cosa fosse stava funzionando.
Quando l’ultimo filamento verde scomparve, il corpo di Victoria s’inarcò con violenza e poi ricadde, come se avesse ricevuto la scarica di un defibrillatore. Tony non resistette oltre e la prese fra le braccia.
«Dio mio» mormorò. «È gelida».
Il corpo della donna era ghiacciato. La strinse a sé e la testa ciondolò, mentre la cascata ramata dei suoi capelli (asciutti, notò, nonostante il bagno nel lago), si riversava dietro di lei. Le membra erano molli e abbandonate e a lui sembrava che fosse fatta di una sorta di liquido perché non riusciva a trattenerla nel suo abbraccio. La strinse ancor di più, quasi a volerle trasmettere parte della propria vita.
Le accarezzò la fronte, recitando il suo nome in una continua litania. Infine, sicuro che non lo avrebbe trovato, scostò il colletto della tuta e cercò il battito sul collo. Come aveva previsto, non sentì nulla e la disperazione lo colse; crollò la testa e le lacrime caddero dai suoi occhi. Era davvero finita.
Le sue dita erano ancora ferme sul collo di sua moglie quando gli parve di sentire un piccolo battito. Poi, all’improvviso, Victoria trasse un lungo respiro sibilante e spalancò gli occhi. Colto di sorpresa, Tony quasi se la fece sfuggire dalle mani ma rinsaldò la presa e la tenne contro di sé.
La fissò negli occhi, i suoi veri occhi, quelli di cui si era innamorato, ed era senza parole per lo stupore di quella insperata risurrezione.
Victoria lo mise a fuoco con difficoltà e quando ci riuscì mosse appena un angolo della bocca in quello che voleva essere un sorriso.
«Ce l’abbiamo fatta?» balbettò.
«No» replicò Tony, «ce l’hai fatta».
Non c’era tempo da perdere. La donna era ancora gelata e le dita delle mani cominciavano a diventare blu. Tremava irrefrenabilmente e Tony la sollevò e si alzò.
«Dobbiamo scaldarla e in fretta, o andrà in ipotermia».
Si diresse a passo svelto sottocoperta. Fury lo condusse in infermeria. Era vuota e la adagiarono su uno dei lettini. Batteva i denti con tanta forza che Tony ebbe paura che potesse spezzarseli e tremava come una foglia. Lui e Fury la spogliarono e il direttore dello S.H.I.E.L.D. ebbe il buonsenso di distogliere il più possibile lo sguardo: non ci teneva a essere messo di nuovo al muro.
Tony si spogliò e, con solo i boxer addosso, si coricò accanto a lei, avvolgendola in un abbraccio e aderendo del tutto alla sua schiena, intrecciando le gambe alle sue. Fury drappeggiò loro addosso una coperta termica e uscì.
«Non ora, Tony» riuscì a sussurrare tra un brivido e l’altro. «Ho avuto una giornata non facile. E ho mal di testa».
Lui ridacchiò vicino al suo orecchio e Victoria pensò che fosse il suono più bello mai udito.
«Sciocca ragazza!» esclamò. «Non voglio fare l’amore con un cubetto di ghiaccio. Temo che influirebbe sulle mie prestazioni. Quanto al tuo mal di testa, sono sicuro che peggiorerà quando ti sarai ripresa a sufficienza perché io possa sgridarti per aver messo in pericolo la tua vita».
Victoria non replicò e Tony pensò che fosse scivolata in una sorta di torpore. Ma dopo un paio di minuti, lei parlo di nuovo.
«Non ho fatto in tempo a dirti che ti amo, prima che la radio smettesse di funzionare».
Le ci volle un bel po’ per pronunciare quella lunga frase e Tony s’irrigidì, ripensando a quei terribili momenti in cui aveva creduto di averla perduta.
«Non ha smesso di funzionare. L’ho spenta io» spiegò. «Se mi avessi detto quelle due parole sarei corso da te e non avrei mai avuto il coraggio di andare fino in fondo».
Seguì un’altra lunga pausa nella quale gli parve che cominciasse a tremare un po’ meno.
«Ti amo, Tony» disse ad un certo punto.
Lui sorrise e la strinse un po’ di più.
«Lo so» replicò. «È stato più che evidente quando hai sacrificato la tua vita per salvare la mia e quella di ogni altro essere vivente su questo pianeta».

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Capitolo 11
*** The last one ***


Victoria è scampata alla morte grazie ai suoi nuovi poteri
e Tony si è rassegnato al fatto che sia un mutante
e che i suoi poteri siano un'arma in più per gli Avengers.
Ora lei e suo marito sono tornati sulla loro vita normale...
sempre che duri...
Buona lettura!


L'ULTIMO

Victoria si stava crogiolando al sole a occhi chiusi. Ne sentiva ancor più il bisogno da quando Tony l’aveva ripescata dal fondo del lago in Sokovia e c’erano volute ore per riportarla alla temperatura corporea di una persona normale.
Da allora erano trascorse due settimane e il mondo stava tornando lentamente alla normalità. Gli Avengers erano rientrati a Malibu e ora Victoria era stesa su una sdraio a bordo piscina con il sottofondo di urla e strepiti dei bambini.
Elizabeth aveva invitato un paio di amiche, quella domenica, e ora stavano giocando a palla mentre i più piccoli, capeggiati da Zachary, ruzzavano nella piscina dei cuccioli, come usavano chiamarla. Serenity invece, protetta da un ombrellone, seduta per terra tra la sua chaise longue e quella di Tony, era intenta a giocare con le bambole.
Ritrovare i suoi bambini dopo l’esperienza che aveva vissuto – e che nessuno riusciva ancora a spiegare – era stato il più bello dei momenti. I più piccoli ancora non sapevano dei poteri di Victoria ma Elizabeth sì e l’aveva presa sorprendentemente bene.
«È solo un’altra stranezza della nostra strana famiglia» aveva commentato.
«Posso farti una domanda?» chiese Tony e lei aprì gli occhi e voltò la testa verso di lui.
«Dimmi».
«Quella cosa di spostare gli oggetti con la mente…»
«Si chiama telecinesi, Tony» sottolineò lei. «Coraggio, ti sei laureato al MIT a pieni voti, ritengo che tu ce la possa fare a pronunciare questa parola».
Lui non raccolse la provocazione e continuò: «Pensi che riusciresti, non so, a far aprire la porta del frigobar?»
Victoria aggrottò la fronte. «Direi di sì. Posso aprire anche quello in casa e, se mi concentro solo un po’ di più, forse anche quello della Avengers Tower».
«Bene, allora puoi farmi arrivare un birra? Sono assetato».
«Non userò i miei poteri per portarti una birra, testa di rapa!» esclamò, indignata. «Alzi il tuo sedere esageratamente sexy e te la vai a prendere».
«Mi sto accorgendo di avere una moglie terribilmente egoista. In fondo ho solo chiesto… da quando pensi che il mio fondoschiena sia sexy?»
Lei rise con calore, scaldando il cuore di Tony. Nonostante le due settimane trascorse, non poteva impedirsi di vederla sul fondo del lago, apparentemente senza vita.
«È una domenica troppo bella per rovinarla con certi pensieri» mormorò la donna.
Lui rimase zitto per qualche secondo.
«Posso farti un’altra domanda?»
«Inutile come la precedente?»
«Pensi davvero di combattere ancora con gli Avengers?»
Quella era davvero una spinosa questione. Non era la prima volta che ne discutevano, ma non erano giunti a una conclusione. Tony non aveva abbandonato la sua idea: sua moglie doveva restare il più lontano possibile dai guai.
Il grido di Serenity interruppe le loro riflessioni. La bambina si alzò e si avvicinò a suo padre.
«È rotta, papà!» esclamò, storpiando un po’ la R, porgendogli la bambola mutilata di un braccio. Tony armeggiò per qualche istante e le rese il giocattolo.
«Ecco qua, principessina».
La bambina lo ringraziò con un bacio.
«Se farà così anche quando avrà sedici anni, sarai fritto, caro mio» commentò, tenendo d’occhio i bambini in piscina.
«Non cambiare discorso, Johnson».
Lei fece un gesto spazientito. «Che vuoi che ti dica, Tony? Non puoi chiedermi di restare in panchina con queste capacità. Le userò, se sarà necessario».
«Odio il fatto di saperti in pericolo. Odio pensare che qualcuno possa farti del male» disse con veemenza.
Victoria fece lampeggiare gli occhi e il suo corpo fu racchiuso per un secondo in una bolla protettiva.
«Credi davvero che qualcuno possa arrivare a me con questi poteri?» Tony non rispose e lei proseguì: «Sono potente, Tony. Forse non abbiamo ancora capito bene quanto».
«Prova a spiegarmelo allora» replicò, mentre si alzava per andare a recuperare il pallone che le ragazze avevano lanciato inavvertitamente fuori dall’acqua. Poi tornò da Victoria e sedette sulla sua sdraio. La guardò negli occhi: «Definisci potente».
Lei rispose nello stesso modo in cui aveva già reagito le altre volte che le aveva fatto la stessa domanda: distolse lo sguardo.
«Cosa mi nascondi, dolcezza?» domandò con delicatezza.
Lei tacque e parve che stesse racimolando il coraggio per una nuova rivelazione.
«Ricordi cosa successe prima dell’attacco dei Chitauri a New York?» gli chiese.
Lo ricordava bene. Loki l’aveva soggiogata con il suo scettro, obbligandola a sottostare ai suoi ordini. Voleva che fosse lei a uccidere Tony e ci sarebbe anche riuscita, se qualcosa non l’avesse fermata all’ultimo secondo.
«Ho parlato con Clint, dato che anche lui ha sperimentato il potere dello scettro di Loki. Lui non era consapevole di ciò che faceva, Tony. Io sì».
«Che vuoi dire?»
«Che era come se ci fossero due entità dentro di me e una di esse era in grado di opporsi al potere anche se non è riuscita a liberarsi completamente. Pur se latente, è stata la mia parte mutante a farmi rinsavire quel tanto che è bastato per non trafiggerti».
Lui era perplesso: «Non riesco a seguirti».
Victoria si sollevò un po’, ripiegando le gambe sotto di sé.
«Ti sto dicendo che se succedesse ora, lo scettro non avrebbe alcun potere su di me».
Lo disse guardandolo negli occhi e fu Tony a cedere per primo. Si voltò e rimase a guardare Elizabeth e le ragazze che si divertivano.
«Sei più potente dello scettro di Loki? È questo che mi stai dicendo?» domandò senza guardarla.
Lei si tese e lo fece voltare, prendendogli il viso fra le mani.
«Thor aveva ragione. Il potere di un mutante di classe omega può diventare devastante».
«Lo dici per vantarti o per spaventarmi?»
«Per spaventarti» disse con serietà. «Ciò che ho dentro è un’energia terrificante. Ora è sotto controllo e farò in modo che ci rimanga, ma come qualsiasi bestia feroce potrebbe spezzare le catene e evadere dalla gabbia».
«Vedremo di affrontare la cosa quando e se si presenterà» replicò lui, con tono un po’ rabbioso.
La donna lo guardò negli occhi: «Ehi, sono sempre io. Meno indifesa di prima, ma sono sempre io».
Tony sorrise, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«Lo so. E sei ancora più bella della prima volta in cui ti vidi in quel bar di Los Angeles».
Victoria sogghignò: «Ma lo sai che se tu non avessi parcheggiato da miliardario strafottente quale eri all’epoca, magari non ci saremmo incontrati?»
«Ti avrei trovata comunque, perché sei la mia metà di cielo» sussurrò.
L’ondata dei suoi sentimenti la coprì con delicatezza e lo baciò, muovendo le labbra sulle sue con tutta la dolcezza di cui era capace. Percepì le sue mani sulla schiena lasciata scoperta dal costume e sorrise sulla sua bocca, non tanto per il gesto quanto per i sentimenti che percepiva muoversi nel suo animo.
«Sì, so che senti quanto ti desidero». Poi, con gli occhi brillanti di malizia, aggiunse: «La birra non me l’hai voluta offrire, ma potremo provare qualcuno dei tuoi nuovi trucchetti in camera da letto, che ne dici?»
Stava per colpirlo e rimproverarlo per tanta mancanza di ritegno quando percepì qualcos’altro. Veniva dalla villa alle loro spalle e sorrise nel capire di cosa si trattava.
«Friday, ti dispiace chiamare Zoey?»
«Subito, signora».
«Che succede?» domandò Tony.
«Credo che la famiglia si stia allargando» replicò e quando la comprensione gli illuminò il viso, si alzò e infilò un prendisole colorato sopra il costume.
«Zoey, ti spiace dare un’occhiata ai piccoli?»
Prese Tony per mano e lo trascinò verso la villa, dirigendosi al secondo appartamento, quello più vicino al loro. Friday li fece entrare e Victoria andò dritta verso il salotto, dove trovò Beth seduta sul divano, alle prese con la respirazione.
«Immaginavo che l’avresti sentito» mormorò quando vide Victoria. La donna sedette sul divano accanto all’amica che la guardò preoccupata: «È in anticipo».
Victoria si strinse nelle spalle. «Di appena due settimane e con lo stress degli ultimi tempi è un miracolo che tu non abbia partorito prima».
Steve arrivò come una furia, con Kayla in braccio. Tony tese le braccia e lei si tese verso di lui. Non c’era femmina, di nessuna età, che potesse resistergli.
«Vieni qui, bambolina. Dalla faccia direi che tuo padre è un po’ agitato».
«Come ti senti?» chiese a Beth, ignorando completamente Tony.
«Esattamente come due minuti fa quando me l’hai chiesto» replicò Beth.
«Santo cielo, Steve!» esclamò Victoria. L’uomo era un fascio di nervi e non c’era bisogno dei suoi poteri per capirlo. «Sta tranquillo, non è il vostro primo rodeo, no?»
Lui agitò le mani in aria.
«È prematura» sbottò.
«Non è prematura» commentò Victoria. «È già in posizione da tempo e nascere un paio di settimane prima non è essere prematura». Poi si volse verso Beth e le sfiorò la mano: «Se può farti star meglio, sappi che io la sento. È perfetta e sta benissimo».
Beth la ringraziò con un sorriso che si spense quando arrivò un’altra contrazione.
«Va’ a prendere la macchina, Capitano. Non vorrei che tua moglie partorisse sul divano» gli suggerì Tony.
Finalmente Steve si riscosse. Afferrò la borsa vicino alla porta e corse fuori. Due minuti dopo, l’auto era davanti all’ingresso e Victoria aiutò Beth a salire a bordo.
«Aspettiamo la vostra chiamata, poi arriveremo con Kayla» le disse attraverso il finestrino aperto.
«Ciao, mamma» disse la bambina.
«A presto, amore mio» replicò, mentre Steve si avviava in direzione del cancello della tenuta.
Quando l’auto sparì in lontananza, Tony si rivolse alla piccola Kayla: «Tra poco avrai una sorellina. Sei felice?»
«Moltissimo felice. Non vedo l’ora di conoscerla».
«Nel frattempo, se Phoebe ti mette il costume, possiamo fare un po’ di tuffi. Che ne pensi?»
Tony dovette accompagnarla di sopra per rassicurarla che non sarebbe andato senza di lei e Victoria rimase sola. Si avvicinò alle vetrate che davano sull’oceano.
In poco tempo erano cambiate così tante cose, proprio a partire da lei. La scoperta dei suoi poteri apriva tutta una serie di interrogativi e anche se Fury non le dava il tormento, sapeva che avrebbe voluto studiarla.
Su tutto c’era la preoccupazione che quella mole di potere che stava gestendo potesse sfuggirle di mano o che qualcuno potesse costringerla a fare cose che non voleva, come usare i suoi poteri per la distruzione, magari proprio contro gli Avengers. Dovevano trovare un modo per proteggersi da quell’eventualità, ed era sicura che ce l’avrebbero fatta.
C’era un altro pensiero che le frullava in testa e sapeva che, da quando ne avevano parlato, era diventato motivo di preoccupazione anche per Tony. In quanto mutante, lei portava in sé il cosiddetto gene-X e non era improbabile che l’avesse passato ai bambini. Elizabeth era la più grande e la più vicina alla pubertà, momento in cui solitamente i poteri si rendevano manifesti. Prese un appunto mentale di farle fare un prelievo di sangue e farlo analizzare dalla dottoressa Courtney per capire se davvero c’era la possibilità che sviluppasse capacità insolite. Con Zachary e Serenity aveva un po’ più di tempo ma anche loro, un domani, avrebbero dovuto fare i conti con quella realtà.
Vedremo di affrontare la cosa quando e se si presenterà, disse a se stessa. La frase era diventata un po’ il motto in quei lunghi giorni di incertezza.
Kayla attraversò il salotto come un piccolo fulmine biondo, diretta verso la portafinestra che dava sul prato, seguita a passo di corsa da Phoebe.
«Penso che anche Quicksilver avrebbe difficoltà a starle dietro» esclamò Tony, raggiungendo la moglie.
«Novità su di lui?» chiese Victoria e Tony scosse la testa.
«Ancora no».
Il dolore per la perdita di Pietro aveva quasi annientato Wanda. Se c’era una cosa che Victoria sapeva con certezza era che un mutante di classe omega aveva una componente di instabilità propria. La mancanza del fratello poteva generare una reazione tale da innescare un’esplosione d’energia che si sarebbe rivelata letale.
«L’abbiamo ibernato e attendiamo di avere la tecnologia adatta per riportarlo indietro. Anche se non so quanto possa essere etico». Si mise di fronte a lei e le circondò la vita con le braccia, attirandola verso di sé.
«Va tutto bene?» le chiese.
«Sì, tutto ok» rispose un po’ troppo in fretta. Poi, dato che lui la guardava con insistenza con un sopracciglio alzato, aggiunse: «Stavo solo pensando che la nostra vita non è mai noiosa».
«È una domenica troppo bella per rovinarla con certi pensieri» replicò, ripetendo le parole che lei stessa aveva pronunciato poco prima.
«Hai ragione» confermò con un sorriso. «In fondo, per il momento sono solo sussurri nel buio».
E, mano nella mano, tornarono dai bambini, a godersi gli ultimi raggi di sole di quella splendida domenica, in attesa che Steve chiamasse per comunicare che Madeleine Rogers era entrata ufficialmente a far parte della loro strana famiglia.

 
CURIOSITÀ
Mi sento in dovere di chiarire cosa mi ha spinto a scegliere i titoli del racconto e dei vari capitoli.
Il significato di Whispers in the Dark, Sussurri nel Buio, è duplice.
Indica innanzitutto il modo in cui tutto inizia la sera dell’attacco di Ultron alla Avengers Tower, con Victoria che percepisce un sussurro nella sua testa, cosa che la spinge a chiedere alla dottoressa Cho di indagare più a fondo. Da lì inizia tutta la vicenda che la porterà a scoprire di essere un mutante ed è per questo che lei sceglie Whisper, sussurro appunto, come nome di battaglia.
Il titolo ritorna anche nel finale. Victoria percepisce che c’è altro che la attende e che i poteri che le sono stati donati dovranno essere messi a servizio di un bene più grande. Inoltre, ci sono altre minacce che incombono, ma sono ancora lontane perché lei riesca a percepirle con chiarezza. Di nuovo, sussurri nel buio.
Per quanto riguarda le intestazioni dei singoli capitoli, sono tutti in inglese, contrariamente a quanto faccio di solito. Questo per un semplice motivo: sono alcuni dei titoli dei brani che compongono la colonna sonora del film Avengers: Age of Ultron, a cui questa storia s’ispira. La splendida musica composta da Brian Tyler è stata anche la colonna sonora che mi ha tenuta sveglia e concentrata nelle notti che sono servite per terminare questo lavoro.
Spero che mi abbia anche ispirata, ma questo lo dovrai stabilire tu che hai letto!
 

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