Lacrime di rugiada

di looking_for_Alaska
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eos e la vendetta di Afrodite ***
Capitolo 2: *** L'inizio della maledizione ***
Capitolo 3: *** Lacrime di rugiada ***
Capitolo 4: *** L'alba ***



Capitolo 1
*** Eos e la vendetta di Afrodite ***


La bella Eos si distese nell'erba, lasciando che i raggi del sole le baciassero la pelle bianca e fredda. I capelli rosso scuro brillavano di mille sfumature, mentre gli occhi verdi erano celati dalle lunghi ciglia nere. Il corpo nudo, coperto solo da un velo trasparente, era magnifico e statuario, paragonabile a quello della stessa Afrodite. 
A proposito di Afrodite...
Eos spalancò gli occhi, terrorizzata. Aveva appena giaciuto con l'amante della dea e l'ira vendicativa di Afrodite era conosciuta in ogni dove.
Nessuno verrà a sapere di noi, le aveva sussurrato Ares all'orecchio, mentre le lasciava una scia di baci infuocati sul collo. 
Ma Eos sapeva che stava mentendo.
Lo avrebbero saputo tutti, avrebbe reso pubblico il suo tradimento. E tutto solo per vedere quanto Afrodite lo voleva per sé. 
Socchiuse gli occhi, lasciando lo sguardo libero di vagare.
Era in una radura; al centro di essa c'era uno specchio d'acqua limpida, un piccolo bosco lo costeggiava e una grande quercia ombreggiava sulle gambe della dea. Mille fiori coloravano l'erba fresca e per un attimo Eos desiderò di poter restare lì per sempre. Era un luogo così pieno di pace, così silenzioso.
Ma sapeva che doveva tornare all'Olimpo.
Si alzò lentamente, come se volesse che milioni di occhi invisibili la studiassero e la giudicassero.
Non aveva paura dei giudizi, Eos.
Era una dea minore, la poco conosciuta dea dell'aurora, soprannominata anche " la dea dalle dita di rosa". Non era importante, ma lei non voleva il potere. Lei voleva la pace, la tranquillità.
Giacere con l'amante di una dea maggiore non é il modo migliore per preservare la tua tranquillità, Eos.
Eos annuì. In effetti, quello era stato un errore. Ma a lei piaceva divertirsi, essere allegra. La tristezza non faceva per lei.
Prese il suo velo e se lo avvolse intorno al corpo statuario e con un ultimo sorriso al sole, si incamminò verso l'Olimpo.

                                                                                            *       *      *

Afrodite le stava di fronte, bellissima e terribile. Un peplo rosso le fasciava la vita e sfiorava il pavimento della Sala dei Dodici. 
Erano sole, faccia a faccia.
I boccoli dorati della dea dell'amore le incorniciavano il viso perfetto e gli occhi nocciola le scandagliavano il corpo, cercando quella bellezza che doveva aver distratto Ares abbastanza da fargli dimenticare per un attimo lei.
Afrodite teneva il mento alzato, imperiosa.
Ares era il suo amante e non avrebbe permesso ad una sciocca dea minore di portarglielo via.
Eos la raggiunse a passo lento e le sorrise, senza cattiveria. Sapevano entrambe cosa aveva fatto, non c'era bisogno di nasconderlo.
<< Eos >> sibilò la voce di Afrodite. Eos arricciò il naso. 
La dea della bellezza aveva una voce sgradevole, brutta da ascoltare, cattiva. Si inchinò davanti a lei, perché era sua superiore e doveva mostrarle rispetto.
Afrodite non sembrò toccata dal suo comportamento. Non la lodò, non la ringraziò, non le chiese nemmeno di rialzarsi : voleva solo vendetta.
<> ripeté, più lentamente. << Non dovevi farlo >>.
La dea dell'aurora scrollò le spalle e abbassò la testa. << Ne sono consapevole, mia signora >>.
Afrodite le si avvicinò, tirandole il velo trasparente verso l'alto e obbligandola ad alzarsi. << Sai che devo punirti >> provò ad imitare un tono dispiaciuto, ma poi scoppiò a ridere. 
Eos annuì, sottomessa. La bionda dea le accarezzò il viso, saggiando la sua pelle di seta e paragonandola mentalmente con la propria.
<< Sei molto bella, Eos >> disse inaspettatamente.
Quel commento spaventò la dea più di ogni altra parola. << Grazie, mia signora. So che merito una punizione, perciò punitemi nel modo che ritenete migliore >>.
Afrodite sorrise  a denti stretti. Conosceva la paura più grande di Eos. Era una dea pacifica, piuttosto solitaria, che amava la felicità e la vita. Si scervellò per trovare una punizione degna per il dolore e per l'umiliazione che aveva provato lei, quando Ares si era vantato con tutta la Dodeca di ciò che aveva fatto. Poi le venne un'idea che superò in grandezza e in malignità tutte le altre. 
<< Io ti maledico, Eos, dea dell'aurora >> il tono di Afrodite era un misto tra il dispiaciuto e il trionfante. << Io ti condanno ad innamorarti  di un mortale e a conoscere le lacrime di una morte >>.
Eos abbassò la testa, mentre una voluta di denso fumo nero le si addensava attorno per un secondo, prima di scomparire. La maledizione era stata lanciata. Incrociò lo sguardo della dea: << E' tutto, mia signora? >>.
Afrodite le sorrise. << Oh, no. Saggerai la mia condanna in tutta la sua potenza solo al momento esatto >>.
Eos se ne andò dalla Sala dopo essere stata congedata, domandandosi cosa mai aveva in serbo il destino per lei.

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Capitolo 2
*** L'inizio della maledizione ***


Eos subì la maledizione in tutta la sua potenza solo molto tempo dopo, trent'anni prima della guerra di Troia.
In quegli anni, molto lontani dal tradimento di Ares, la dea quasi si era scordata le parole di Afrodite.
Un giorno però, mentre passeggiava per Troia, aveva incontrato un giovane, figlio del re Laomedonte.
Egli portava il nome di Titone; aveva capelli castani e ricci e una lieve barba gli copriva il viso. Profondi occhi azzurri studiavano il mondo, giudicandolo secondo l'idea di vita di un umano.
Eos se ne era innamorata improvvisamente, senza capirne il motivo. Lo aveva intravisto nella folla, al mercato della città e subito aveva provato un sentimento intenso, folle, bellissimo. Diverso da tutto ciò che aveva sentito prima per qualcuno.
Gli si era avvicinata, aveva tentato di parlargli e lui si era dimostrato gentile e disponibile.
Ora erano sdraiati nella radura; e mentre lui si rivestiva lentamente, lei ripensava beata all'amore che li legava.
<< Ti conosco da poco, Titone figlio di Laomedonte, ma sento già di amarti >> sussurrò, ma seppe che quello l'aveva sentita.
Era al suo fianco. Le prese una mano e se la portò sul petto. << Lo senti questo? >>. Il suo cuore palpitava veloce sotto i polpastrelli della dea.
<< Non è mai andato così veloce, prima di conoscere te. Sposami Eos, mia dea, mia regina. Sposami e rendimi immortale, così potremo vivere per sempre l'uno al fianco dell'altra >>.
Queste dolci parole la colpirono e la bella dea si sporse per donargli un lieve e casto bacio sulle labbra morbide e rosee.
<< Non ti posso promettere l'immortalità, amore mio, ma chiederò a Zeus di donartela >>. Titone la strinse forte al petto, promettendole frasi dolci e innamorate. Eos chiuse gli occhi, felice, beata, sicura che quella gaiezza non le sarebbe stata strappata da  nulla e nessuno.
Purtroppo si sbagliava.

                                                                                                                         *          *          *


Eos si inchinò davanti al re dell'Olimpo. La figura imponente di Zeus la sovrastava, pronto a giudicarla secondo le leggi divine.
La folta barba nera era quasi più lunga dei capelli e gli occhi gialli scandagliavano la Sala vuota.
Erano presenti solo lei, il re dell'Olimpo e Titone, il suo amante.
<< Quindi per questi motivi io ti prego, mio signore e mio re, mia luce e mia ragione di vita, di rendere quest'uomo immortale per farlo vivere per sempre al mio fianco >>.
Zeus studiò per la milionesima volta Titone. Poi il suo sguardo si posò sulla bella Eos. << Tu hai sempre avuto degli amanti, mia cara Eos, e io lo so bene; ho condiviso il tuo talamo diverse volte. Ora tu sei certa di quello che mi stai chiedendo? Vuoi quest'uomo al tuo fianco? >>.
Eos annuì frettolosamente, poi si gettò a terra di nuovo in un inchino. 
<< Oh sì, mio signore, sono sicura. Ho amato Titone sin dal primo istante. Per questo vi chiedo di perdonare la mia sfrontatezza e renderlo immortale >>.
Zeus le lanciò un'occhiata strana, poi il suo viso serio si distese in un sorriso e alzando il braccio, proclamò : << E sia! Titone, io ti dono l'immortalità e ti dichiaro marito di Eos, dea dell'aurora >>. 
Poi sottovoce, si rivolse alla dea : << Non dimenticarti la tua maledizione, Eos. Non si è ancora compiuta, ma non ci vorrà molto >>.
Eos impallidì e ogni briciolo di felicità svanì dal suo viso.
Ma poi sorrise di nuovo. Afrodite era una dea malvagia, e il suo amore per Titone sarebbe stato eterno, ne era sicura. Nessuna dea poteva fermarlo.
Ella però non rammentava che Afrodite era l'amore stesso, e che poteva giocarci come voleva. 
         
                                                                                                                      *       *       *

Quasi dieci anni dopo, anche se per gli dei immortali non sono altro che veloci attimi, Eos stringeva tra le braccia il suo secondogenito.
<< Dovresti chiamarlo Mnemone, amore mio >> sussurrò al suo orecchio destro Titone, suo marito e dio.
Eos gli regalò uno dei suoi bellissimi sorrisi, e Titone vide in lei il lucore mattutino dell'alba. Si era innamorato subito di quella dea dallo sguardo innocente e fresco, ma non distante. Aveva la bellezza di un'umana, ma la mente intelligente e solenne di una creatura antica e splendente.
<< Mnemone? " Colui  che tiene duro"? Mi piace tantissimo >> rispose dolcemente lei, baciando il marito. 
Il nuovo  nato scoppiò a ridere quando il primogenito Emazione gli fece il solletico. Eos sorrise felice : il suo sogno si era realizzato e nessuna maledizione le aveva portato via ciò che aveva. 
<< Ciao, Mnemone >> esclamò il piccolo Emazione.
Il primogenito aveva quattro anni, ma già si distinguevano lineamenti decisi e ben definiti. Aveva gli occhi azzurri del padre e i capelli rosso scuro della madre. La voce era acuta, ma musicale. 
In lui si distingueva chiaramente il sangue divino che gli aveva donato la vita. 
Eos baciò la fronte dei figli, mentre il marito la stringeva a sé.
Era felice, si sentiva completa. Quell'amore non poteva guastarsi, quella gaiezza era eterna, lo sentiva chiaramente.
Allora perché c'era quel velo di inquietudine che le bloccava il respiro?

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Capitolo 3
*** Lacrime di rugiada ***


Mnemone stava di fronte a Troia. La città era sotto assedio da dieci lunghi anni. Aveva deciso di combattere. 
Sua madre Eos gli aveva sempre ripetuto che essere troppo coraggiosi portava alla morte. Ma che ne poteva mai sapere lei? 
Non aveva mai saggiato la potenza di una spada.
Mnemone si passò una mano tra i capelli ricci e dello stesso rosso scuro della madre. Aveva anche i suoi stessi occhi, ma la fisionomia del corpo e la voce erano quelle del padre. 
Ma Mnemone doveva combattere. Era re di Persia e di Etiopia. Aveva deciso solo in quell'anno di schierarsi con i Troiani.
Paride era un suo caro amico... e poi, doveva ammetterlo, gli facevano un po' pena. Le truppe greche li stavano sconfiggendo su molti fronti.
Mnemone sperava di poterli aiutare, almeno un poco. Non aveva paura della morte.
Era un uomo sciocco, Mnemone.
  
                                                                                                                             *        *        *

Achille stava disteso nella sua tenda.
<< Principe Achille, è ora >>.
Achille scosse i capelli lunghi e lucidi. Si alzò a fatica, liquidando un suo servo con un cenno della mano. 
Prese le sue erbe profumate preferite, e ne fece una poltiglia e se la passò su tutto il corpo. 
Adorava il profumo che emanavano, e lo facevano sentire sicuro di sé.
  Sapeva di essere forte, imbattibile, un semidio. 
Ma aveva comunque una parte umana che aveva bisogno di sicurezze. Ma questo era un segreto che conosceva solo Patroclo.
Il suo amato Patroclo.
<< Achille! >>.
Sorrise al bellissimo uomo che era davanti a lui. << Ciao Patroclo >>:
<< Hai bisogno di aiuto con l'armatura? >> gli chiese quello, avvicinandosi. << Certo >>.
Patroclo afferrò l'armatura dorata e gliela poggiò sul petto, mentre gliela allacciava. Achille poi finì di prepararsi,  afferrò sia la lancia che la spada e si legò quest'ultima in vita.
<< Pronto? >> gli domandò Patroclo.
Achille sorrise teneramente sentendo la vena di preoccupazione nella sua voce. << Tranquillo. Nessuno mi può far del male, finché ti saprò salvo nell'accampamento >>.
Poi gli prese il viso tra le mani e lo baciò ardentemente. 
<< A dopo >> sussurrò Patroclo senza fiato, mentre Achille lasciava la tenda con un sorriso sulle labbra.


                                                                                                                      *          *         *


Mnemone aveva ucciso ormai  più di quaranta soldati achei. Si sentiva imbattibile e l'adrenalina scorreva feroce nelle sue vene.
Era forte. Poteva uccidere chiunque. Nemmeno Achille Pelide poteva strappargli la vita. 
Purtroppo  si sbagliava.
Se lo ritrovò di fronte in un attimo. Il tempo intorno a loro parve fermarsi. Nessun carro lo trasportava, era solo in mezzo al terreno sporco di fango. Eppure si notava l'aura di luce guerriera che emanava.
Mnemone impallidì mentre pensava "quest'uomo è nato per uccidere".
E si sentì stupido per aver pensato di poter vincere. Chi era lui per poter battere un essere baciato dagli dei?
Ma poi si riscosse. Anche lui aveva sangue divino. Erano alla pari.
Ed eccoli lì, i due semidei, potenti e forti. L'uno animato dalla voglia di vincere per rendere felice la famiglia, l'altro composto da un eguale percentuale di odio e amore intrecciati insieme. 
In quel momento, in quel breve attimo, Mnemone e Achille furono due esseri  alla pari. Poi il Pelide scagliò la freccia.
Non ci fu uno scontro. 
Semplicemente, la freccia trapassò l'addome di Mnemone e lo uccise. 
Si dice che il figlio di Teti, prima di andarsene ad affrontare un guerriero degno della sua forza, si sia voltato un'ultima volta per incontrare di nuovo lo sguardo cristallino di un uomo che condivideva la sua stessa sorte, il cui  nome significava " colui che tiene duro".

       
                                                                                                       *           *          *


<< Dov'é mio figlio? >> la voce melodiosa di Eos tagliò il silenzioso come una lama. Non c'era preoccupazione in essa; credeva molto nel secondogenito. 
Ma né Emazione né il marito Titone risposero.
Eos si sedette sulla sedia di fronte a loro. << Allora, come mai non è qui? L'assedio è finito tre ore fa >> e scoppiò  a ridere.
Ma appena notò che nessuno dei due seguiva il suo esempio e che schivavano il suo sguardo, iniziò a preoccuparsi.
<< Titone, Mnemone dov'é? >> sibilò.
Ma il marito non si deciva a darle una risposta.
<< Emazione? >> la sua voce stava prendendo una nota isterica.
Titone si alzò e le posò una mano sulla spalla. << Eos, tesoro... Mnemone si é scontrato con Achille >>.
Eos non capì subito, o forse non volle capire. << Non ho visto il cadavere del Pelide sul campo di battaglia >>.
Calò di nuovo un silenzio denso, che non aveva bisogno di ulteriori spiegazioni. Eos capì. 
Capì  di aver perso il suo amato figlio, capì che una parte di lei era morta.
Capì, ma questo solo dopo  tempo, che la maledizione di Afrodite si era compiuta. 

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Capitolo 4
*** L'alba ***


1 anno dopo...

Era notte, ma presto sarebbe giunta l'alba.
Eos era sulla cima di una montagna. Quale non era importante.
Dalla morte di Mnemone, niente lo era più.
Strinse forte al petto il mazzo di stelle alpine che aveva colto per dirgli finalmente addio e proseguire con la propria vita.
Aveva passato ogni giorno di quell'anno a disperarsi, a fare incubi e a pregare Ade di restituirle l'anima del figlio.
Ma non aveva pianto. Non ci era mai riuscita, le lacrime non erano sgorgate.
In fondo sapeva che sarebbe andata  a finire così. E sapeva anche che era il momento di salutare l'amato figlio per l'ultima volta.
<< Ciao Mnemone >> sussurrò.  << Sono venuta per salutarti. Sì, sembra stupido, io sembro stupida, questa vita sembra stupida. E forse lo è. Ma tu non sei più qui. Non potremo più condividere nulla insieme. Non una risata ti scuoterà, non un sorriso ti illuminerà il viso, non una mano ti accarezzerà. Sai, tuo fratello Emazione non fa altro che incoraggiarmi ad essere forte. Anche tuo padre Titone insiste molto. Li odio entrambi. Non capiscono il dolore di una madre che si è vista strappare il suo bambino dalle braccia da un momento all'altro. Come possono capire? Non ti conoscevano veramente, Mnemone, ma io sì. Sono stanca di soffrire, amore mio, figlio adorato. Condivido il dolore di molte madri che hanno visto i figli uscire di casa ma non li hanno visti tornare. Non sono l'unica, lo so.
Ma tu eri " colui che tiene duro".  Eppure sei morto, sei volato via, lasciandomi qui da sola. Non so se ce la faccio ad andare avanti, Mnemone. Ma devo farlo. E l'unico modo per farlo è dirti addio.
Spero che tu possa perdonarmi >>.
Una folata di vento gelida la scosse. Eos gettò le stelle alpine, e il vento le portò via con sé.
Lacrime gelide cominciarono a scorrere sulle sue guance per la prima volta, e mentre cadevano divennero rugiada. Nessuna felicità bruciava in lei, nessun sorriso animava il suo volto.
Solo tristezza, rabbia, odio, rassegnazione e lacrime.
Tante, tante lacrime.
Eos dalle dita di rosa contò fino a tre, poi si lanciò nel vuoto.
E l'alba giunse.



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