Five shades

di alpha_omega
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 (Luca, Derek) ***
Capitolo 2: *** eileen, james ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 (Luca, Derek) ***


Luca non avrebbe saputo dire se era il mondo ad essere cambiato o lui ad essere cresciuto in un'infanzia parecchio comoda. fatto stava che da quando era scoppiata la guerra, anche se l'Italia era ancora fuori dal conflitto per le risorse, la sua vita era peggiorata.
Quanto era stato stupido ed infantile; si era lagnato per qualche giocattolo in meno e cose simili. Poi per i vestiti. Poi per il coprifuoco. Poi per il riscaldamento tenuto sempre al minimo. Poi per il cibo.
Da un giorno all'altro i soldati erano andati a bussare alla porta di ogni cittadino dandogli un tempo di quarantott'ore per raccogliere beni di prima necessità e ciò che avevano caro e di stiparlo in una piccola sacca grigia a persona. Ricordava ancora le facce stravolte dei suoi genitori che si sedevano sul divano liso del salotto e chiamavano lui e la sua sorellina per cercare di spiegare loro come mai avrebbero dovuto lasciare la loro casa "per la nostra sicurezza" dicevano "non saremmo protetti se rimaniamo qui, e poi potrete farvi sempre dei nuovi amici".
Gli era sembrato un gioco, aveva preso la sua sacca dalle mani di sua madre. Dentro c'era qualche vestito e i documenti che gli avrebbero garantito un posto nei nuovi alloggi riservati ai civili. "è una vacanza, mamma? Poi torniamo qui vero?".
Non ci sarebbe mai più tornato. Il nuovo alloggio era una stanzetta minuscola, nelle viscere della terra, identica a migliaia di altre gemelle. Ruisciva a malapena a contenere due letti a castello e lo spazio per entrare. I bagni erano in comune con altre venti famiglie di quel piano.
Quando l'avevano visto la prima volta sua madre e suo padre gli avevano chiesto di uscire dalla stanza e di rimanerci per qualche minuto, poi avrebbero fatto una passeggiata per il loro piano, tutti insieme.
Aveva undici anni, la sua sorellina cinque. Lo aveva seguito con passo malfermo e avevano chiuso la porta di metallo. Erano andati al gabinetto e avevano contato quante porte c'erano al loro piano e si erano messi a disegnare sulle loro mani con i pastelli a cera che avevano infilato a forza tra le peghe dei vestiti. Quando erano ritornati sua madre aveva gli occhi arrossati, ma sorrideva come sempre. Lo aveva capito qualche anno dopo: li aveva fatti uscire perchè non voleva che la vedessero piangere.
 Da un giorno all'altro la scuola che tanto detestava era diventata per lui un sogno utopico, così come a molti altri bambini.  Non facevano mai niente, e i pochi materiali di studio rimasti se li potevano permettere solo quelli che avevano pagato un sovrapprezzo per i mini appartamenti più  in basso, più comodi e più al sicuro dalle bombe.
Dopo lo smarrimento iniziale ad ognuno era stato dato un compito, anche se la maggior parte degli adulti lavorava nelle fabbriche sotterranee: enormi complessi con grosse macchine cilindriche e decine di file di nastri trasportatori e di operai a perdita d'occhio. Anche se aveva il permesso di gironzolare nella Struttura fino a che non avesse avuto dodici anni, l'età per lavorare nelle fabbriche, andava sempre a trovare i suoi genitori. Era difficile riconoscerli, nelle loro tute scure e i visi incupiti dalla fatica, ma ci riusciva sempre tra migliaia di altre persone simili. Quando gironzolava nella fabbrica si chiese come facesse il soffitto di una sala così grande a non crollare sotto il peso della terra. Non crollò mai, ma ogni volta che ripensava a quel posto quella domanda emergeva prepotentemente dalla sua testa, come quando aveva sei o sette anni ed aveva sentito un cigolio sinistro provenire dal lampadario del salotto. Da allora gli girava sempre attorno, per paura che gli cadesse in testa.
La sala mensa era uguale alla fabbrica, se non per il fatto che al posto dei nastri trasportatori c'erano dei tavolini di plastica e dai silos cilindrici usciva cibo anzichè metallo liquido.
Il cibo era una specie di pastina bianca semisolida. Suo padre ogni volta che la vedeva rideva, dicendo che assomigliava ad una qualche sbobba proteica di un qualche film futuristico che aveva visto da ragazzo, poi aveva dato un bacio a sua moglie "ti ricordi? Lo abbiamo visto insieme quando è uscito!". Era uno dei pochi momenti in cui sua madre sorrideva. Poi, quando nessuno oltre a loro guardava li abbracciava tutti e tre e diceva quanto fossero fortunati a stare ancora tutti insieme.
 
Quando riaprì gli occhi, Luca Aldini stentò a riconoscere la stanza. Era nella sua camera da ufficiale dell'esercito e quello era l'ennesimo sogno che l'universo gli regalava. Si strofinò il viso abbronzato con il dorso della mano e sbadigliò sonoramente. Dalla fioca luce che filtrava dalle persiane intuì che non si era ancora fatto giorno. Non tentò di tornare a letto per recuperare qualche preziosa ora di sonno. Una volta sveglio non c'era per lui alcun verso di addormentarsi.
Si tirò su di malavoglia e fece strisciare il palmo della mano sulla parete, finchè non premette il profilo familiare dell'interruttore. Il suo appartamento non era niente di che se paragonato alla sua casa in Italia, che era incredibilmente rimasta intatta anche dopo il bombardamento ma abbattuta in seguito per far posto ai prefabbricati per famiglie, ma da quando dieci anni prima era ufficialmente scoppiata la terza guerra mondiale era il primo posto in cui si sentisse sereno dopo aver lasciato la Struttura. Era un piccolo monolocale in un condomino di proprietà dell'esercito dell'Euroamerica; la nazione che poco dopo l'inizio dei conflitti era stata ottenuta fondendo le nazioni dell'Europa e dell'America del Nord e che ora era una delle tre macroregioni mondiali, insieme ai Neutrali e alla Lega Afroasiatica.
Si sciacquò il viso nel piccolo lavabo in ceramica del bagno; lo specchio davanti a lui riflettè il profilo giovane di un diciannovenne abbronzato con i tipici lineamenti del sud per cui tante ragazze perdevano la testa, i capelli marrone scurissimo tanto da sembrare neri erano soffici al tatto, gli occhi grandi e scuri fissarono per qualche secondo il proprio riflesso prima di decidere che stava bene così. Con un sospirò uscì dal minuscolo bagno e si sedette sulla sedia pieghevole vicino al letto. Lanciò uno sguardo scoraggiato allo scaffale a muro dove giacevano una mezza dozzina di libri che le sue mani avevano aperto e sfogliato così tante volte da renderne sfocate o illeggibili parecchie parole che ormai conosceva a memoria. Diede un'occhiata all'orologio digitale sul comodino. Le 5 della mattina. Altre due ore e avrebbe incontrato i quattro ragazzini prodigio di cui aveva tanto sentito parlare. Erano un progetto sperimentale mai provato prima. Inutile dire che il suo petto si gonfiava d'orgoglio al pensiero che a lui sarebbe spettato il compito di addestrarli.
Erano tutti tra i sedici e i diciassette anni. Venivano da paesi diversi dell'Euroamerica, parlavano tutti inglese, anche se la legge per gli Istant-Traduttori era chiara: ogni ciuttadino Euroamericano era obbligato a possederne uno, installato con una piccola operazione permanente dietro l'orecchio sinistro al compimento dei dodici anni.
L'esperimento prevedeva che quattro soggetti con caratteristiche completamente differenti venissero addestrati insieme e formassero una vera e propria squadra speciale. Si immaginò un'intera equipe di persone in camice che selezionavano profili su profili di Civili per identificare quei quattro adolescenti che sebbene con caratteri differenti sarebbero stati in grado di lavorare perfettamente tra di loro.
Il cuore aveva subito una dolorosa stretta alla scoperta che sarebbero stati prelevati dalle loro famiglie e dal prefabbricato assegnatogli con e senza il loro consenso. Certo, la versione ufficiale dichiarava che essendo ancora minorenni ci sarebbe voluta l'autorizzazione delle famiglie. Ma una piccola sommetta alle agenzie di reclutamento era stata in grado di ridurre i tempi da qualche settimana a qualche ora. Nel giro di tre ore dal rilascio dei fascicoli ognuna delle sue future giovani reclute era su un aereo privato dritti verso l'Alaska, che come aveva scoperto lui subito dopo essere sbarcato non era più tanto fredda a causa al surriscaldamento globale.
Il ronzio sommesso del suo bracciale comunicatore annunciò l'arrivo del fascicolo che tanto attendeva.
Lo aprì: dentro c'erano i dati generali e qualche foto. Ne sfogliò alcune. A quanto pare erano due ragazzi e due ragazze. Un inglese, una scozzese, una irlandese e un americano. In comune non avevano praticamente niente se non la lingua.
 
Derek Wilkinson era rimasto impassibile davanti ai due massicci ufficiali che erano venuti a prenderlo. Suo zio non era stato dello stesso avviso e come risultato aveva rimediato un  vistoso occhio nero e una spalla slogata quando aveva provato a frapporsi tra lui e la porta. Quando aveva capito che non c'era più niente che potesse fare si era seduto in un angolo a guardare il vuoto mentre uno dei due gli illustrava le procedure per potersi tenere in contatto con suo nipote. Sarebbero dovuti passare sei mesi per la loro prima telefonata.
Mezz'ora dopo era su un jet che lo avrebbe portato dalla Florida fino alla Base, negli occhi ancora l'immagine di quell'uomo che lo aveva cresciuto da quando aveva sei anni, dopo che i suoi genitori erano morti in un incidente d'auto dieci anni prima. Suo zio era un colosso pieno di tatuaggi con la pelle scottata dal sole e le braccia rese muscolose dal lavoro. Le rughe attorno agli occhi di chi sorrideva spesso. Gestiva una piccola rimessa di auto e da un paio di anni anche Derek aveva iniziato a dargli una mano.
Guardò le proprie mani come se le vedesse per la prima volta. Non erano grandi come quelle dello zio, ma quasi affusolate. Suo zio non faceva altro che dirgli quanto gli ricordasse la sua adorata sorella. Derek non era troppo alto anche se era sopra la media, il torace ampio e le spalle larghe, la mascella decisa e due occhi azzurri sotto un taglio a spazzola di capelli castano chiaro, il naso dritto e le labbra carnose erano perennemente serrate in una linea sottile. mi farò onore. Pensava, cercando di far buon viso a cattivo gioco, avrebbe protetto suo zio e tutti i suoi amici. Nessuno potrà prendere la mia terra. Giurò a se stesso, negli occhi fino ad allora apatici brillò una scintilla. Nessuno.
L'aereo atterrò direttamente nel campo di addestramento. A quanto pareva era il primo arrivato, tutti gli altri sarebbero arrivati entro breve dall'Europa. Si guardò intorno. Contò  ventiquattro baracche militari disposte tutte a semicerchio ad un gigantesco campo d'addestramento, ogniuna contrassegnata da una diversa lettera dell'alfabeto. Il campo era diviso da ampie sezioni di gesso e in ogni quadrato c'erano le stesse attrezzature ugualmente riprodotte in serie. a fianco c'era un grosso edificio grigio, tozzo e pieno di parabole. probabilmente gli alloggi degli ufficiali. Sulla cima c'era una stazione di atterraggio per elicotteri e a fianco una pista per aereoplani.
Istintivamente si infilò le mani nelle tasche. Sobbalzò, sentendo qualcosa di duro sotto i polpastrelli; era certo che fossero vuote.
Estrasse il piccolo oggetto come se fosse fatto di vetro e strabuzzò gli occhi.
Era un ciondolo, un piccolo mondo in miniatura. La stessa collana che sua madre indossava nella foto appesa sopra il caminetto. Suo zio doveva aver trovato il modo di infilargliela di nascosto nella tasca.
Lo strinse forte. Era tutto ciò che gli rimaneva della sua vecchia vita.
 
ANGOLO AUTRICE
Okaaaay "faccina imbarazzata" è la prima storia su efp che pubblico da più di un anno, è un pò difficile riprendere il ritmo ahah.
Questa è un idea che bazzica da più di tre anni nel mio computer, spero vi piaccia!. Nei prossimi capitoli verranno spiegate meglio le cause della guerra ed introdotti i nuovi personaggi.
A presto
alpha_omega
 

 

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Capitolo 2
*** eileen, james ***


Eileen osservava attraverso il vetro lo spesso strato di nuvole che separava l'aereo dalla sua ormai sempre più lontana Irlanda. Sapeva che i loro colori sgargianti erano dovuti all'inquinamento e che se ci fosse stata anche solo una piccola fessura lasciata libera avrebbe rischiato di morire per intossicazione; in cielo gli effetti dell'inquinamento erano molto più evidenti che sulla terra.
Senza curarsi se le fosse pemesso o meno prese una gomma alla fragola dalla tasca della giacca leggera e iniziò a masticarla vistosamente. L'ufficiale le lanciò un'occhiata infastidita ma non disse niente.
Due mesi. si fece forza, due mesi e suo fratello sarebbe venuto a riprenderla, glielo aveva giurato, e al diavolo la guerra e qualunque altra stronzata che L'Euroamerica si fosse inventata. Avrebbero preso un volo di sola andata per l'Australia, l'unico paese neutrale che avesse ancora contatti con l'esterno. I loro genitori prima di essere uccisi in una congiura erano stati i maggiori esponenti della Lega anti Euroamericana, certi che un simile potere sarebbe collassato su se stesso alla prima difficoltà. Lei e Eoin avrebbero potuto chiedere asilo politico e cominciare una nuova vita insieme.
Si torturò una ciocca di capelli rossi come fuoco intrecciato di cui andava particolarmente fiera: era riuscita a farli crescere fino a metà schiena senza doverli tagliare. L'Irlanda dopo l'inizio della guerra era diventata uno dei maggiori produttori di ortaggi di tutta l'Euroamerica e tutti i suoi abitanti senza un lavoro essenziale per la società erano stati mandati a lavorare la terra e non si contavano le ragazze che per non essere intralciate nel lavoro o per non morire di caldo se li tagliavano corti o rasavano quasi a zero. Ma lei aveva resistito alla tentazione ed aveva continuato a prendersene cura anche quando era distrutta dalla fatica e doveva trascinarsi verso il loro alloggio appoggiata a suo fratello.
Aveva tratti tipici irlandesi: pelle chiara e una leggera spruzzata di efelidi attorno al naso minuscolo. Era di corporatura minuta e non superava il metro e cinquanta, il fisico era ben proporzionato e aveva un'andatura quasi furtiva quando camminava, nel complesso era considerata molto bella dalla maggior parte dei suoi conoscenti che la paragonavano a suo padre, quando le avevano mostrato una sua foto da giovane per poco non aveva sputato la gomma alla liquirizia che stava masticando in quel momento. Era uguale a lei! Se non fosse stato per gli occhi verdi come un prato inglese che aveva passato solo a Eoin e per il fisico imponente; sua madre era per metà tailandese e per l'altra metà tedesca. Da lei aveva ereditato gli occhi castani dal taglio leggermente orientale, le sopracciglia sottili e la statura. Come avesse fatto una donna nata da due culture così diverse a ritrovarsi in un'isola così lontana e a sposare un uomo tanto diverso da lei era un mistero, ma il risultato era piuttosto soddisfacente, come testimoniavano le decine di cuori spezzati che si era lasciata dietro nel corso dei suoi sedici anni.
Passò un dito sopra il polso sinistro dove si era fatta tatuare un quadrifoglio qualche mese prima, in previsione del suo viaggio senza ritorno per l'Australia, sotto c'era scritto "Don't forget". In qualunque modo sarebbe andata non avrebbe dimenticato la sua terra. Sorrise al pensiero che andava bene anche in quella circostanza.
-C'è qualcosa da bere?-. Si sentiva la gola riarsa. L'ufficiale indicò un minifrigo in un angolo.
Si alzò dalla poltroncina, stirandosi i muscoli rimasti inerti per così tanto tempo. Dentro il frigobar trovò alcune bibite analcoliche e un paio di lattine di birra.
Sapeva che non avrebbe dovuto, ma come parecchi adolescenti di sua conoscenza andava regolarmente a bere in un pub irlandese abusivo nei fine settimana dopo il lavoro. Non che fosse alcolista o roba del genere, reggeva l'alcool molto meglio di parecchi ragazzoni suoi coetanei ma grossi il triplo di lei a cui si divertiva a raccontare le eroiche gesta di quando erano sbronzi il giorno dopo. La birra semplicemente le piaceva.
Prese una lattina e la stappò, rivolgendo un sorriso innocente all'ufficiale che le rivolse un' occhiata come a dirle "senti ragazzina, sto in piedi da più di tre ore a vedere una stupida adolescente come te fare scenette da bambina di due anni, mi hanno dato semplicemente l'ordine di fare in modo che non ti salti per caso in testa l'idea che l'acqua dell'oceano qui sotto sia ottima per una nuotata o che non provi a soffocarti con quelle maledette cuffiette per il tuo stupido bracciale comunicatore pieno zeppo di musica che ti spuntano dalla tasca e io sono a posto, se ti trovano ubriaca quando scendi sono affari tuoi."
Con un sospiro di trionfo si sedette di nuovo sulla poltroncina e si mise a sorseggiare la birra gelata godendosi la sensazione fredda delle goccioline di condensa che si erano formate sull'alluminio e chiuse gli occhi mentre sentiva le bollicine dorate pizzicarle piacevolmente la gola, cercando di godersi al massimo quel momento di pace, chissà se ce ne sarebbe mai stato un altro?
 
 
James sbuffò sonoramente quando l'ufficiale riammanettò il proprio polso al suo, come poco prima di partire dall'Inghilterra. Ma non ci poteva fare niente, con tutte le condanne che si era beccato al riformatorio per aggressioni e roba simile. Non lo avrebbe mai ammesso, ma quell'arruolamento era per lui una manna dal cielo. Non avrebbe mai più dovuto rivedere quelle brutte facce dei suoi che lo guardavano dall'altra parte del vetro antiproiettile con quelle facce deluse nei costosissimi abiti tirati a lucido, le facce contrite e piene di tristezza apposta per mostrare in giro quanto il loro stupido erede era stato tirato su con le migliori intenzioni che lui aveva tradito.
Se li immaginava in quel momento, felici per non dover più sborsare cifre enormi per fare in modo che i media non mettessero in giro la voce che il loro rampollo fosse un criminale già a diciassette anni. Se ne sarebbe occupato l'esercito ora e per il mondo lui era morto e sepolto.
Sfoderò il suo migliore sorriso da squalo. Al riformatorio lo chiamavano così per la sua espressione poco prima che qualcuno che lo aveva appena insultato se ne pentisse amaramente. Da quanto aveva capito dai discorsi dell'ufficiale con i genitori che neanche lo avevano guardato o gli avevano rivolto la parola prima che se ne andasse, se ne sarebbe dovuto andare in una base dall'altra parte del mondo ad allenarsi con altri tre sfigati come lui.
L'aereo toccò terra con un sobbalso, dovette appoggiarsi a una parete per non cadere a terra come un idiota. I suoi nuovi carcerieri invece non diedero il minimo segno di tentennamento e rimasero in piedi come se fossero stati inchiodati al pavimento.
Lo spinsero giù per la scaletta e per qualche secondo venne accecato dalla luce.
Per poco non gli cadde la mascella quando vide dove si trovavano. Era un campo di addestramento circolare con una cresta di neve tutto intorno. Ad un profano della materia sarebbe potuto sembrare che essendo in autunno la neve era ancora rada, ma la sua famiglia costruiva campi di forza da più di un decennio. La "cupola" faceva tranquillamente traspirare ossigeno e anidride carbonica, ma teneva la neve e l'inquinamento fuori che quando cadeva scendeva lungo il bordo, come una palla di vetro natalizia con le idee un pò confuse.
Si sarebbe fatto valere, il comando non era una sua particolare dote, ma nessuno, ragazzo prodigio o meno gli avrebbe mai messo i piedi in testa.
Il ghigno si allargò, mentre scendeva le scalette, la cresta di capelli neri trati a lucido con le punte verdeazzurro luccicava sotto il sole, le iridi celesti quasi ghiaccio con la pupilla così ristretta da sembrare quelle di un gatto e il fisico slanciato e asciutto e i tre piercing che aveva due sul sopracciglio e uno nel lobo superiore dell'orecchio che nell'insieme corrispondevano all'esatto opposto del "bravo ragazzo" che tanto decantava la sua cara e dolce patria.
A proposito di bravo ragazzo; ce ne era uno proprio in mezzo allo spiazzo che guardava sopra di se come se fosse la prima volta che vedeva un campo di forze. Era circondato da un capannello di ufficiali proprio come lui, ma a differenza sua non aveva manette o altro a fermarlo.
Qualcuno dietro di lui lo spintonò e si vide sbattere in faccia uno zainetto militare -Qui c'è quello che ti serve- la voce dell'ufficiale era gutturale, come se la usasse troppe poche volte. Gli indicò una baracca tra le tante -Lì è dove dormirete, renditi presentabile per domani mattina, troverete delle docce, e indosserete i vestiti che vi sono stati dati, non fate scherzi.
Roteò gli occhi, ricordandosi del dispositivo di localizzazione che gli avevano impiantato nell'osso del braccio destro quasi un anno prima. Non ci teneva a farsi staccare un arto. E anche se fosse riuscito a scappare quel clima freddo lo avrebbe certamente ucciso, non aveva nè l'esperienza nè l'attrezzatura per affrontare un'impresa simile, e poi dove sarebbe andato?
Nel frattempo era atterrato un secondo jet. Una ragazza minuta con i capelli rossi passò accanto a lui senza degnarlo di uno sguardo.
 
La baracca era abbastanza spaziosa da contenere due letti a castello e quattro armadietti a muro. Una porta laterale portava al bagno.
Dentro c'era già qualcuno,anche se girata di schiena: una ragazza con dei capelli biondi piuttosto corti che le arrivavano appena a coprire le orecchie, era alta e il fisico era androgino e asciutto.
-Ehi tu-. Si girò, nella luce fioca non riuscì a vederla bene, ma poteva vedere abbastanza chiaramente il viso.Ci mise qualche secondo a capirlo: non era una ragazza.
Il ragazzino sconosciuto cercò di sorridere, ma era palesemente intimorito -C...ciao!- Quasi strillò.
Inclinò la testa da un lato, assumendo la sua espressione da duro -Come ti chiami?-
-M...Micheil, sign..-sembrò esitare un attimo -Micheil O'Connel, dalla Scozia- disse con più convinzione. Gli porse la mano -Fe...felice di conoscerti...-.
Ignorò la mano -James, dall'Inghilterra- disse secco.
-Ti...ti dispiace se...se prendo quello?- il ragazzino indicò uno dei letti in alto. James alzò un sopracciglio: era uno dei più difficili da raggiungere. -Nessun problema.
Il ragazzo e la ragazza che aveva notato prima entrarono chiacchierando. Li ignorò e fregandosene delle presentazioni si infilò in bagno.
-Hei!-.
Non si girò -Mezz'ora e poi ho fatto, se non vi sta bene andate pure a piagnucolare dalla mamma.
O sei forte o non sopravvivi. Li vigevano le stesse regole non scritte del riformatorio.Era già riuscito ad applicarle una volta. Non sarebbe stato poi così difficile farlo una seconda.
 
 
ANGOLO AUTRICE
salve! spero che questo secondo capitolo vi sia piaciuto. ho aggiornato molto velocemente, non so se riuscirò a tenere il ritmo ahah, ma dovrei aggiornare al massimo entro qualche giorno.  lasciate un commento o un consiglio su come continuare se vi va, grazie per aver letto!
a presto
alpha_omega

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