La Vita è un Dono

di Lexi Niger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


E' la prima storia che ho scritto e non è ancora conclusa.
Lo so che all'inizio sembra molto superficiale, spero possiate comprendere che ero alle prime armi.
Se avrete la pazienza di vedere la sua evoluzione, mi è stato detto più e più volte che sono migliorata tantissimo.
Non so, magari mentivano XD
Se vi fa schifo, lasciatemi un commento comunque, serve sempre, meglio dell'indifferenza.
Grazie, un bacio, Ale.



Guardai l'orologio. Le 8.
Controllai con una sbirciatina quello appeso al soffitto della banchina. Le 8.
Allora non era il mio ad essere avanti, era il treno ad essere in ritardo.
In forte ritardo. Merda.
Perchè proprio oggi? Le ferrovie italiane non era mai state un modello di puntualità, ma un ritardo di mezz'ora oggi proprio non ci voleva.
Era il mio primo giorno di scuola. Sorrisi.
Diciamo il primo giorno di scuola per l'ennesima volta: l'università.
Mi ero svegliata presto, avevo indossato una gonna di jeans e una polo, casual ma non troppo.
Che ansia, non sapevo cosa aspettarmi.
Visi nuovi, persone sconosciute, professori diversi.
Uno sguardo ai binari: ancora niente.
Poi sentii un suono in lontananza e mi alzai dalla panchina.
Sembrava che finalmente il treno stesse arrivando.
Trovai un posto libero vicino al finestrino e mi lasciai sprofondare nel sedile.
Sarei arrivata in ritardo al discorso del rettore. Era una certezza ormai.
Maledii mentalmente il sistema italiano più e più volte ma non potei fare altro.
Rassegnata guardai una dopo l'altra le fermate fino a che non lessi il cartello della mia.
Scesi quasi di corsa, incurante degli sguardi che mi venivano lanciati.
Arrivai alla fermata del tram quando questo si era appena allontanato.
Provai inutilmente a sbracciarmi per farlo fermare. Niente.
Oggi avrei fatto meglio a rimanere a casa, sembrava che nulla potesse andarmi bene.
Cos'altro avrebbe potuto succedermi?

*

Spensi con tranquillità il motore rombante della mia Porsche. Non c'era fretta.
Un'occhiata veloce allo specchietto e scesi. Ero perfetto. Come sempre d'altronde.
Per quella mattina avevo scelto un paio di jeans neri, una camicia bianca a maniche corte e una cravatta porpora, annodata con nonchalance. Volevo trasmettere un'idea precisa di me.
Camminai con lentezza ostentata tra i giovani radunati davanti all'ingresso e nei corridoi.
Non conoscevo nessuno. Ne mi importava.
Per un attimo il mio viso si velò di nostalgia.
Inghilterra.
E' là che avevo lasciato quel poco affetto che ero in grado di provare.
Alcuni mi fissarono mentre passavo. Poco male.
Non mi importava attirare l'attenzione di qualcuno, non avevo voglia di conversare, stavo meglio da solo.
Milano. Che schifo, pensai.
Mi appoggiai delicatamente al muro di fronte all'auditorium, con le braccia conserte.
I primi, curiosi e incapaci di attendere, cominciarono ad entrare per prendere posto.
Chissà cosa li spinge ad essere così ansiosi per l'inizio dell'università?
Per me era un giorno come un altro. Il mio compito era di tutt'altra natura.
Decisi che forse era meglio cominciare ad entrare.
La sala era abbastanza grande, ma niente a confronto nelle università inglesi come Cambridge. Saranno stati si e no 500-600 posti.
Vidi un gruppo di ragazze voltarsi verso di me e parlottare tra loro. Sorrisi compiaciuto.
Mi sarei seduto vicino a loro, giusto per illuderle di avere una speranza con me.
Mentre mi avvicinavo sembravano stupite della mia scelta, e i loro visi si tinsero di un marcato colore rosato. Tipico delle donne.
Non avevo ancora fatto tempo a sedermi che mi rivolsero un saluto.
< Ciao > risposi educatamente.
< Io sono Chiara, e loro sono Angela e Isabella > disse la più vicina a me indicandomi le altre due.
< Piacere, Jamie >.
< Ma allora non sei italiano? > mi chiese Angela. Che arguta la ragazza, pensai.
< No infatti, sono inglese di origini >.
< Però la nostra lingua la parli davvero benissimo! >, se pensava di potermi conquistare con queste smancerie si sbagliava.
< Grazie > mi limitai a rispondere.
Chiusi lì la conversazione voltandomi dall'altra parte a vedere chi stava scendendo le scale.
Il rettore arrivò poco dopo, con la sua corte di professori più o meno anziani.
Presero posto nel grande tavolo sul palco, allestito per l'occasione con microfoni e brocche d'acqua. Avevano forse intenzione di parlare così a lungo da avere la gola secca?

Era già passata più di mezz'ora dall'inizio del discorso.
Una noia indicibile.
Per fortuna che ero abituato a immergermi nei miei pensieri senza dare a vedere la noia, perchè altrimenti avrei continuato a sbadigliare.
< Signorina, sì lei che è appena entrata cercando di non dare nell'occhio, prego ci raggiunga qui sul palco > gracchiò la voce del rettore.
Tutta la sala, me compreso, si girò a vedere la fonte di queste inattese parole.
E scorsi vicino all'ingresso una ragazza, il cui viso avrebbe fatto invidia ai pelle-rossa.
Non potei trattenermi dal ridere.
Finalmente un diversivo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ciao ragazze, aggiungo il secondo capitolo.
Questa storia può sembrare inizialmente banale, ma poi si fa più articolata.
Spero che avrete la pazienza di leggerla, capitolo per capitolo.
Per ora ringrazio chi ha commentato, perchè le vostre parole sono di grande sostegno.
A presto, baci.



Si riferiva a me?
Con la coda dell'occhio feci una rapida scansione intorno a me: ero l'unica in piedi e ovviamente la sola ad essere in ritardo.
Solo allora alzai lo sguardo e ritrovai un intero auditorium che mi fissava.
C'era chi tentava di non ridere, ma la maggior parte già si scambiava battute.
Sentii chiaramente le guance diventare rosse e calde e tentai di non peggiorare la situazione rimanendo ferma imbambolata.
Cercando di mostrare una sicurezza che non avevo mossi i primi passi verso gli scalini.
Non ne avevo fatti che pochi quando la suola delle mie ballerine mi tradì e scivolai.
Un braccio mi afferrò prima che toccassi il pavimento e così riuscii a non cadere come un pesce lesso.
Nuove risate si alzarono alle mie spalle mentre mi rialzavo e mi girai per vedere chi mi aveva salvato da un'ennesima figuraccia.
Un viso d'angelo, incorniciato da folti capelli biondi, mi sorrise.
Gli mimai un grazie con le labbra e continuai a scendere gli scalini.
< Finalmente, credevo che non ce l'avrebbe fatta! > mi schernì il rettore.
Era senza dubbio offeso dal mio ritardo e mi stava rendendo il pagliaccio della situazione.
< Lei è? >.
< Sofia Alfieri >.
Lo salutai educatamente, anche se avrei voluto prenderlo a sberle, e mi voltai per dirigermi verso il primo posto libero, ma sentii la sua voce che mi richiamava.
< Ci dica quali sono le finalità del primo anno di studi qui alla facoltà di economia, prego.
Se si permette di arrivare in ritardo evidentemente le conosce bene >.
Un colpo basso. Non era ancora finita.

*

Avrei dovuto provare compassione per lei.
Sola davanti a tutti. Umiliata. Resa ridicola.
Ma non ne provavo.
Anzi, ritenevo quella situazione divertente.
Un diversivo, come avevo detto.
Risi ripensando al suo ingresso in scena di poco fa.
Che frana.
Chissà perchè a differenza degli altri si era permessa un ritardo?
Di certo adesso se ne stava pentendo. Lo si leggeva sul viso perennemente rosso.
E ora avrebbe anche dovuto rispondere ad una domanda posta con l'obiettivo di metterla in crisi.
< Ehm, io credo che la finalità principale del primo anno sia darci la conoscenza degli elementi basilari su cui si costruirà il progetto  degli anni successivi > biascico a voce bassissima.
Non male. Soprattutto nello stato in cui si trovava.
Era evidente che il rettore non aveva gradito.
Si aspettava di coglierla in fallo.
Ci riprovò.
< Se possiede questa prontezza, potrebbe chiarire al mio posto i dubbi dei neo-studenti qui presenti >.
Stoccata.
La sua espressione dimostrò il panico più totale.
Un ragazzo nelle prime file, di cui vedevo solo la nuca, rise sguaiatamente.
L'attenzione del rettore si spostò su di lui.
Ebete.
< Vuole rispondere lei, al posto della signorina Alfieri? Prego, ci raggiunga qui sul palco, c'è posto. >
Il ragazzo si alzò titubante, l'ilarità di poco prima del tutto svanita.
In che posto sono finito?
Mi sembrava tutto così incredibile.
Sarà che gli inglesi sono considerati freddi e insensibili, ma qui pareva di essere ad uno spettacolo comico.
Non restava che goderselo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ecco il terzo capitolo!
Ringrazio infinitamente la mia unica commentatrice costante!


Il tempo mi sembrava immobile.
Anche il destino si prendeva gioco di me?
Ero seduta sul palco, perchè il rettore non mi aveva concesso di prendere posto nelle normali file.
Sotto gli occhi di tutti, come allo zoo. E i miei occhi rigorosamente piantati a terra.
Prima di arrivare mi ero rammaricata di aver perso l'inizio.
Ora non ascoltavo nemmeno una parola.
Borioso. Non gli avrei mai perdonato quello che mi aveva fatto.
Aveva ferito il mio orgoglio.
Nessuno poteva permetterselo.
Chissà con questo pessimo inizio come sarà il seguito?
Sicuramente sarei rimasta nella mente di tutti come la sciocca che si è fatta riprendere il primo giorno.
Una nuova ondata di calore mi pervase il viso.
Basta Sofia, intimai a me stessa.
Basta, ti sei già fatta notare, fin troppo.
Decisi di prestare ascolto alla fine del discorso.
Il professore che stava parlando era anziano, ma sembrava ancora molto lucido. In forma direi.
E aveva un'ottima parlantina.
Sperai che potesse essere un mio professore.
Sicuramente le sue lezioni non dovevano essere noiose.
Ripassò il microfono al rettore. Le ultime informazioni agli studenti.
Finalmente potei alzarmi.
Avrei voluto correre, ma, vista l'esperienza di prima sui gradini, mi trattenni.
Dovevo dimostrarmi controllata.
Decisi di prendere la scalinata laterale, ma anche così sentii dietro di me i “complimenti”, “bella figura”, “che frana”.
All'ennesimo “bella performance” mi voltai stizzita. Non ne potevo più.
Vidi un ragazzo come dire....diverso.
Senza dubbio bello.
Ma di una bellezza vaga, indecifrabile.
Aveva un ghigno sarcastico sul viso, che metteva in mostra due piccole fossette ai lati della bocca.
< Grazie > risposi, < ho fatto del mio meglio >.
Mi voltai senza dargli possibilità di replica.
Non ne valeva la pena.

Seduta sul muretto del cortile mi tormentavo le mani. Ero nervosa.
Perchè avevo smesso di fumare?
Per un attimo pensai di chiedere una sigaretta a qualcuno.
No. Avevo faticato a smettere. Non ci sarei ricascata.
Vide il ragazzo biondo uscire insieme ad una ragazza minuta, molto graziosa.
Si avvicinarono a me.
Sperai che non volessero deridermi.
Decisi di anticipare qualsiasi loro parola.
< Grazie per prima > dissi guardando lui, < se non mi avessi aiutata probabilmente sarei caduta >.
Mi sorrise. Un sorriso affettuoso, non di scherno.
< Non ti preoccupare, mi sembrava il minimo. Comunque io sono Jean e lei è mia cugina Amelie >.
< Molto piacere. Io sono Sofia, ma già lo sapete. Di dove siete? >.
< Siamo francesi, della Provenza. Ci siamo trasferiti qui a Milano da poco, ma conosciamo bene l'Italia. Ci venivamo spesso da piccoli >.
< J'adore la France >.
< Parles-tu français? >, mi chiese Amelie.
< Seulement un peu, je l'ai étudié en passé >.
< Che ne dite di pranzare insieme > propose Jean, < mi sembra di aver visto qui di fronte un bar per universitari. Potremmo conoscerci meglio con qualcosa nello stomaco >. Rise.
Io e Amy annuimmo.
Dopotutto il primo giorno poteva non rivelarsi così male.


Come avrete capito il ragazzo che l'ha aiutata non è lo stesso di cui si è parlato all'inizio XD
Un bacio, a presto!
Commentate!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ringrazio kety Bell, perchè non credo che avrei postato altrimenti.
Un bacio

Capitolo 4.

Non avevo resistito alla tentazione di deriderla.
Voleva a tutti i costi mostrarsi sicura. Indifferente.
Finzione.
I suoi movimenti erano innaturali.
E il suo sguardo.
Se avesse potuto mi avrebbe incenerito seduta stante.
Non si poteva se non provocarla.
Mi guardai intorno. E ora?
Le ragazze si erano alzate; sembravano attendere qualcosa.
Da parte mia? Non avrebbero avuto nulla. Non da me.
Feci per andarmene.
< Jamie? Ti andrebbe di pranzare con noi? > mi fermò Angela.
Soppesai le sue parole. Dopotutto avrei potuto fingere un minimo di interesse.
E poi quelle ragazze erano le classiche oche senza cervello.
Potevano ritornarmi utili. Almeno nei momenti di noia.
Erano ancora lì ad aspettare una mia risposta.
< Va bene >.
Sorrisero compiaciute. Bastava la mia presenza.
< Fatemi strada > precisai.

Il posto non era male. Rimodernato da poco.
Lucido, nuovo, lo tenevano molto pulito, in ordine.
Peccato per il nome. Senza un briciolo di fantasia. Un bar non può chiamarsi “per universitari”. Scossi la testa.
< Tu cosa ne pensi, Jamie? >
Rivolsi loro l'attenzione. Erano convinte che avessi seguito il filo del discorso.
Utilizzai la mia espressione più innocente.
< Scusate. Ero distratto. Potete ripetere? >.
Non avrei fallito.
Infatti.
< Non ti preoccupare. Non era niente di importante. Ci chiedevamo cosa ne pensi di Milano e della facoltà >.
Insopportabile. Ma lo tenni per me.
< Sto cercando di ambientarmi. Sicuramente con il vostro aiuto mi risulterà più facile >.
Dovevo essere gentile.
Ma non credevo ad una sola virgola delle mie parole.
Qui non c'era nulla del mio mondo. Nulla.
< Conta pure su di me. Io sono di Milano. Posso farti da Cicerone quando vuoi > preciso Angela.
La guardai.
Con più attenzione notai i capelli biondi, legati in una coda che lasciava scoperte le spalle.
La maglia attillata sottolineava le curve generose.
Sì, forse la sua compagnia mi sarebbe risultata gradita.
Sorrisi.
Di certo non in veste di guida.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Eccomi, vi aggiungo il nuovo capitolo.
Per quanto mi ha detto Gemi, lo scorso capitolo mi ero dimenticata che i dialogi tra <> se non lascio spazio non si vedono, scusate. Vi consiglio di rileggerlo.
Per il resto di solito il capitolo ha un solo narratore, se invece si alternano, scelgo abitualmente di lasciare uno stacco con frapposto *.
Spero si capisca.
Grazie, un bacio.


Capitolo 5.

Sentivo la pioggia battere sul finestrino del treno.
Avevo gli occhi chiusi. La borsa stretta a me. Non si sa mai, nel caso mi fossi addormentata.
Ripensai alla giornata appena trascorsa.
Iniziata malissimo, peggio proprio non si poteva.
Scoppiai a ridere ripensandoci.
Se fosse stata un'altra probabilmente lo avrei fatto.
Il fatto è che non potevo nemmeno prendermela più di tanto con il rettore o con gli altri.
Avevo fatto una figura pessima. Ma la colpa era interamente mia.
Beh, in parte del sistema ferroviario, ma era un cavillo.
Mi venne in mente il volto del ragazzo che mi aveva presa in giro.
Quando mi ero voltata la sua espressione era sorridente.
Ma il sorriso non scaldava i suoi lineamenti.
I suoi occhi erano freddi. Non c'era gioia in essi.
Che strano. Alla fine se rideva doveva essere allegro.
Sorvolai.
Gli avevo già dedicato fin troppa attenzione.
Ripensai invece ai miei due nuovi amici.
Il pranzo con loro era stato veramente molto divertente.
Mi avevano raccontato di essersi trasferiti perchè ritenevano la nostra facoltà la migliore nel campo dell'economia.
Effettivamente Milano era il centro economico del nord, su questo non si poteva obiettare.
E poi ero davvero felice che fossero qui. Avevo legato con facilità con loro.
E poi Jean.
Che dolce, che bello.
Di certo non mi sarebbe dispiaciuto essere più che amici.
Risi. Che sciocca, di sicuro lui non mi vedeva proprio sotto quella luce.
Diciamocelo, potrei essere definita carina, ma per quanto avevo visto alla presentazione, alla facoltà vi erano delle vere modelle.
Che invidia.
I miei capelli li odiavo.
Erano mossi, intrattabili.
Mentre loro avevano dei soffici capelli lisci, lucenti.
Forse potevo vincere sugli occhi: molti apprezzavano il ghiaccio delle mie iridi, un colore assolutamente inusuale.
L'avevo ereditato dalla nonna.
Avrei tentato di essere carina e interessante.
Ma o mi accettava com'ero oppure al diavolo.
Non sarei cambiata. Non più.
Una lacrima mi scese, traditrice.
Luigi.
A volte ci pensavo ancora. Inevitabile.
Era stata la mia prima storia seria. Durata due anni.
E poi il mio cuore era andato in frantumi.
Aveva chiuso. Senza un perchè.
Solo diceva di non provare più gli stessi sentimenti.
E poco dopo l'avevo rivisto con un'altra.
Ci limonava. Tranquillo.
Ero scappata piangendo, nemmeno la mia migliore amica era riuscita a lenire il dolore.
E da allora mi ero chiusa.
Ero più attenta.
Non mi esponevo mai se potevo rischiare di rimanere scottata.
Era stato doloroso una volta.
Alla seconda non sapevo se avrei resistito. Se il mio cuore avrebbe retto.
Pensai ad Emma.
La mia metà, la mia confidente, la mia spalla.
Lei era tutto per me, il nostro legame era saldo, maturato nel tempo.
E ora eravamo separate. Lei studiava ingegneria a Pavia, io economia a Milano.
Ma non avrei mai permesso che il nostro rapporto andasse perduto.
Lei era troppo importante.
Rappresentava il mio inscindibile legame con il passato, ora che mi preparavo ad affrontare un futuro difficile.
Aprii gli occhi e cercai il cellulare.
< Il primo giorno è stato indimenticabile. Per gli altri. Appena ci vediamo ti racconto tutte le figure che ho fatto. Il tuo? Spero sia andato tutto ok. Un bacio! > le scrissi.
Finalmente ero arrivata, scesi dal treno.
Ora mi aspettava senza dubbio la prova più difficile: convincere i miei a trasferirmi a Milano.
Viaggiare un giorno mi aveva distrutto.
Non mi immaginavo farlo come abitudine.

< Non se ne parla nemmeno lontanamente, Sofia. Milano è pericolosa, i tassi di criminalità sono alle stelle. Non manderò mia figlia là ad immolarsi > sbraitò mio padre.
Pessimo inizio.
< Ma papà, tutti abitano là. E' troppo faticoso viaggiare. Ne risentirebbero i miei voti. Non riuscirei a studiare. Sarei sempre stressata dal viaggio > provai a toccare un tasto dolente.
< L'abbiamo fatto sia io che tua madre. Siamo ancora qui, vivi. Puoi farlo anche tu. E ottenere comunque ottimi risultati >.
< Papà perchè non tenti di capirmi? Ho provato a viaggiare oggi, e si sono visti i risultati. Sono arrivata in ritardo e sono diventata il pagliaccio del primo giorno di scuola. Per favore. Non penso di poterlo sopportare >.
< Non sono affatto convinto delle tue ragioni. Ci rifletterò >.
Guardai mamma.
Di solito lei riusciva a raggirarselo un po'.
Non so come faceva. Ma riusciva quasi sempre a raggiungere il suo scopo.
L'importante era averla dalla propria parte.
Mi sorrise e mi fece l'occhiolino.
Perfetto.
Era vinta.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Ciao!
Beh diciamo che posto per le mie due lettrici.


Mi fermai davanti alla cancellata di ferro. Abbassai il finestrino.
Il viso paffuto di Augustine, il maggiordomo, mi apparve nel video-citofono.
< Aprimi >.
Sentii il meccanismo ronzare e le braccia meccaniche aprirmi il passaggio.
Non aspettai nemmeno che fosse completamente spalancato.
La Porsche ci passava comunque.
Lasciai l'auto in garage. Percorsi veloce il vialetto di ghiaia e la scalinata d'ingresso.
< Hi Jamie >.
Mi voltai.
Mia madre, seduta sul divano. Sfogliava una rivista distrattamente.
< Hi mom >.
Conosceva benissimo la lingua ma si ostinava a parlare l'inglese.
Desiderio di distinguersi, probabilmente. Nessuno poteva parlarlo con lo stesso accento.
< Faccio una nuotata >.
Anuuì.
Arrivai velocemente nella mia stanza al piano superiore. Sarebbe più giusto dire stanze.
La nostra casa era una villa rinascimentale appena fuori il centro di Milano.
Una delle più belle della Lombardia.
I miei genitori avevano deciso di dividere l'edificio in ali, così da averne una ciascuno.
Io mi ero preso l'ala destra.
Quella che vedeva sorgere il sole.
Quindi avevo un appartamento per me.
C'era la stanza da letto, il bagno, il salotto, la sala studio-lettura e la palestra.
Non mi facevo mancare nulla.
Mi tolsi in fretta i vestiti e li lasciai sul letto.
Ci avrebbe pensato la cameriera a metterli in ordine.
Presi il costume dal cassetto e il salviettone.
La piscina era sul retro della casa, circondata da un soffice prato inglese.
Mio padre non vi avrebbe mai e poi mai rinunciato.
Poggiai il telo sullo sdraio e mi tuffai.
Era inizio ottobre e il sole non era più così caldo.
Ma ero abituato al clima inglese. Per me era quasi ancora estate.
Feci un buon numero di vasche.
Avevo lasciato il nuoto trasferendomi in Italia e terminando il college.
Ma non avrei permesso al mio fisico di perdere la sua forma.
Dopotutto non mi costava fatica.
Mi avvolsi subito nel telo e frizionai i capelli così che non rimanessero incollati.

L'acqua calda mi scorreva sulla pelle.
Sottolineava i muscoli delle braccia.
Non ero un palestrato. Ero tonico. I muscoli c'erano, ma non ostentati.
Mi sedetti sul pavimento della cabina doccia.
Avevo bisogno di rilassarmi.
Ripensai a quanto avevo lasciato solo poche settimane prima.
L'Inghilterra era il mio paese.
Ci sarei tornato.
Dopo questa parentesi.
Più di tutto mi mancava Charles.
Io e lui eravamo uguali.
E quando dico uguali intendo che condividevamo anche la stessa natura, lo stesso compito.
Due gocce d'acqua.
Entrambi belli, cinici, insensibili, sarcastici.
Lui però aveva i capelli rossi. E gli occhi verdi.
Io ero senza dubbio quello che incuteva più timore alla vista.
I miei occhi erano leggenda al college.
Un estratto di sangue porpora.
Tendevano al bordeaux scuro quando ero rilassato, al viola scuro, quasi nero, quando ero stanco.
Mi alzai e chiusi l'acqua.
Trovai l'asciugamano e me lo avvolsi sui fianchi.
Mi diressi in camera.
Incurante delle gocce che disperdevo per terra.
Faceva parte del divertimento.
Una ragazza stava piegando i miei vestiti.
Una ragazza? Chi poteva essere? La nuova cameriera a cui aveva accennato mia madre?
< Scusa, tu sei? > le chiesi.
Sobbalzo leggermente. Evidentemente non si era accorta del mio ingresso.
< Isabelle, signore. Scusatemi. Credevo non foste in casa. Me ne vado subito >.
Si incamminò veloce alla porta.
< Aspetta >.
La raggiunsi con un paio di falcate veloci.
< Niente signore. Mi chiamo Jamie. Ok? >.
< Sì, sign...Jamie! >.
Il suo viso si imporporò.
Dopotutto ero mezzo nudo a pochi centimetri da lei.
Mi avvicinai al suo volto.
Trattenne il respiro.
Sorrisi.
Si aspettava un bacio.
Correva troppo la ragazza.
< A presto > le sussurrai all'orecchio. < Ora vai > e mi voltai dandole le spalle.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


E' confortante vedere che di capitolo in capitolo sia i commenti che i lettori diminuiscono..uno stimolo enorme..
Mi dispiace ma non so davvero se continuerò a postare, perchè ho bisogno di sapere cosa pensate, e qui nessuno mi dice nulla..
Non posso obbligarvi, ma al contempo non ho la forza sufficiente a continuare nell'indifferenza.
Ringrazio kety.
Ciao.

Capitolo 7.

Era passato un mese e quasi non me ne ero accorta.
L'inizio poco promettente era stato dimenticato.
L'università mi piaceva molto.
L'ambiente non era poi così male, nonostante alcune eccezioni.
Avevo conosciuto meglio Amelie e ora eravamo in grande confidenza.
Non avrebbe mai sostituito Emma, ma era comunque bello avere un'amica di cui potersi fidare.
Guardai l'orologio.
Era ora.
Chiusi il libro e lo riposi nella tracolla insieme agli appunti che stavo riguardando.
< Scappo > dissi a Amy.
Le diedi un piccolo bacio sulla guancia.
Un segno di affetto. Le volevo bene.
< A più tardi. In bocca al lupo > mi rispose sollevando il viso.
Lasciai silenziosamente la biblioteca così da non disturbare gli studenti che si stavano preparando alla sessione di esami.
Percorsi il corridoio fino al mio armadietto.
Tastai le tasche alla ricerca delle chiavi.
Dov'erano finite?
Non potevo averle perse.
Improvvisamente ricordai di averle lasciate ad Amelie.
Corsi fino alla biblioteca e anche al suo interno, incurante questa volta del rumore che potevo fare.
< Cosa ci fai qui? > mi chiese sorpresa.
< Le chiavi dell'armadietto >.
< Ah già >. Frugò velocemente nella borsa e me le porse.
< Grazie > le urlai mentre scappavo via, attirandomi una serie di “silenzio” dagli studenti circostanti.
Raggiunsi di nuovo l'armadietto e vi posi la tracolla.
Controllai di nuovo l'ora. Ero in ritardo di dieci minuti.
Speriamo che il signor Bianchi non si arrabbi.
Corsi fuori dall'istituto e non mi fermai fino all'ingresso del locale.
La porta emise il classico suono dell'apertura che avvisa dell'ingresso di un cliente.
< Sei in ritardo, Sofia. Il primo giorno. Lo sai che non è un buon biglietto di presentazione vero? >.
< Mi scusi sig. Bianchi. Non succederà più. Ho ritardato a lezione >.
Mentii, ma era a fin di bene.
Possibile che tutte le volte che dovevo iniziare qualcosa fossi in ritardo?
< La divisa si trova in quello stanzino. Vi sono degli appendini e dei ripiani dove lasciare i tuoi oggetti personali: niente cellulari mentre sei al lavoro, intesi? >.
Annuii e mi mossi nella direzione che mi aveva indicato.
Staff. Era scritto sulla targa della porta.
Entrai e trovai la divisa nuova appoggiata su una panchina.
La stanza era simile ad uno spogliatoio.
Mi sfilai gli abiti e indossai i pantaloni neri e la camicetta panna del locale.
Raccolsi i capelli con il mollettone.
Ero pronta per il mio primo turno di lavoro.
Il sig. Bianchi sapeva che avevo bisogno di un lavoro e quando una delle cameriere aveva preannunciato un periodo di maternità mi aveva chiesto se desideravo ancora quel posto.
Come potevo farmi sfuggire un'occasione simile?
Era il mio pass par tous per trasferirmi a Milano.
Uscii titubante dalla stanza.
< Tieni il cartellino, Sofia. I clienti sapranno come chiamarti >.
Me lo posi sul petto.
< Di che cosa mi occupo? >.
< Per ora occupati del servizio clienti. Pensi di esserne in grado? >.
Che domande. Non ero una minorata.
< Certo. Nessun problema >.
< Perfetto, il locale aprirà tra un paio di minuti. Fai un giro del locale così da vedere come sono numerati i tavoli. Poi prendi il tuo block-notes e aspetta >.
Annuii.
Sembrava facile.
E mi avrebbe permesso di guadagnare soldi non faticando troppo.
Mi poggiai al bancone in attesa.

< Un panino con prosciutto cotto e maionese. E una coca cola. Grazie > segnai veloce l'ordinazione del signore seduto al tavolino 14 e mi avviai a comunicarla alla cucina.
Presi la lattina dal frigorifero e la portai al cliente, pregandolo di pazientare il tempo necessario alla preparazione del panino.
Tornai dietro il balcone e mi voltai verso l'apertura che comunicava con la cucina retrostante.
Sentii il suono della porta che si apriva.
Non mi voltai subito.
Il nuovo cliente si sarebbe accomodato e avrebbe avuto il tempo di meditare la sua scelta per il pranzo.
Una volta portato il panino avrei preso anche la sua ordinazione.
< Posso ordinare o devo aspettare i tuoi comodi? >.
Conoscevo quella voce.
No. Non era possibile. Non anche qui.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Vi lascio un nuovo capitolo.
Per rispondere a kety: scrivo perchè ho scoperto che mi piace, anzi in certi momenti non resisto se non metto per iscritto le cose che ho nella testa.
Ho iniziato a maggio, senza troppo convinzione, ma adesso ci ho preso maggiormente la mano.
E non scrivo ovviamente per la gloria, perchè sono a dei livelli in cui la considerazione può essere solo bassa, ma allo stesso tempo è importante vedere cosa ne pensano gli altri e ricevere commenti.
Non ho mai detto: dite che vi piace vi prego. Anche i commenti negativi sono costruttivi, probabilmente più di quelli positivi.
E per quanto riguarda la storia, è già delineata in linea di massima, i capitoli che ho già scritto sono numerosi, ma a causa della scuola ho dovuto prendere una pausa.
E' per questo che ho detto che altre persone l'hanno apprezzata, perchè hanno letto come si sviluppa e il miglioramento che c'è stato a livello di scrittura.
Scusate il tedio, ci tenevo a rispondere.
Buona lettura, Ale.


Ero nervoso.
La mattina si era rivelata una terribile noia. E io non sopportavo la noia.
Entrai di malavoglia nel bar. Solo.
Decisi di sedermi al bancone.
Dopotutto ero solo e occupare un tavolo era uno spreco.
La cameriera era voltata di spalle.
Ma chi era?
Dov'era finita Grazia, la cameriera che mi serviva subito.
Mi sporsi leggermente in avanti sullo sgabello.
Niente male il suo posteriore.
Se il viso era altrettanto grazioso avrei potuto farci un pensiero.
Ero un abituè del bar. Non sarebbe stato difficile sedurla.
< Posso ordinare o devo aspettare i tuoi comodi? > le dissi, un po' troppo brusco.
Si girò di scatto.
La riconobbi.
Lei. La ragazza del primo giorno di scuola.
Sorrisi.
Non avevo notato il suo fondoschiena prima.
< Cosa hai detto scusa? >. Il tono di voce era più freddo del ghiaccio.
< Se devo aspettare i tuoi comodi. Non dirmi che sei sorda oltre che goffa? >. Perfido.
La vidi schiudere le labbra per rispondermi.
Ci ripensò. Si voltò diretta verso la cucina.
Tornò indietro con una panino fumante.
Il mio stomaco brontolò. Avevo fame.
Mi passò deliberatamente vicino. Ignorandomi.
Stava giocando con il fuoco la ragazza.
Si sarebbe scottata.
Vidi il sig. Bianchi uscire dall'ufficio.
< Mi scusi > richiamai la sua attenzione. < La sua nuova cameriera si rifiuta di servirmi >.
Mi aveva provocato. No, era una bugia. Ero io che mi divertivo a metterla in imbarazzo.
< Sofia! >.
Lei si voltò di scatto.
< Sofia vieni qui per favore >.
Il suo viso era perplesso.
Sicuramente stava pensando a che cosa poteva aver combinato per sentirsi chiamare in quel modo.
< Questo ragazzo mi ha detto che non prendi il suo ordine. Che non si ripeta più. Un'altra lamentela e ti licenzio >.
Abbassò lo sguardo.
< Mi dispiace. Non si ripeterà >.
Questa volta l'avevo umiliata parecchio.

*

Tornai dietro il bancone e mi apprestai a segnare il suo ordine.
Str***o. Non era nient'altro che un idiota.
< Cosa vuoi? >.
< Non si dice cosa desideri? Con il cliente non si deve essere bruschi >.
< Con te non mi limiterei ad essere brusca. Ritieniti fortunato > dissi a bassa voce.
Si divertiva a provocarmi. Si vedeva.
Non gli avrei mai e poi mai permesso di farmi perdere il lavoro.
Non ora che l'avevo finalmente ottenuto.
Lo guardai eloquentemente.
< Allora? >.
< Prendo un hamburger con patatine. Devo festeggiare la vittoria >.
Sogghignò.
Quanto avrei voluto stampargli le cinque dita su quel viso da falso angelo.
Stavo per andarmene..
< Ah, cameriera, portami anche un assortimento di salse >.

Quel ragazzo era abituato a trattare tutti come pezze da piedi
Il modo in cui mi aveva chiamato: cameriera. Evidente.
Come se fossi una serva. Un sottoprodotto della società.
Non usava il mio nome.
Pur essendo coetanei.
Teneva le distanze tra chi pagava e chi serviva.
Arrivò il suo piatto.
A malincuore mi riavvicinai al posto dove sedeva.
< Era ora! >.
< Se vuoi prova a lamentarti anche del cuoco. Magari ti riesce di farlo licenziare >.
Rise.
< Sei tu quella scarsa. Non il cuoco. Non ti sei dimenticata qualcosa? >.
Riflettei un attimo. Mi stava prendendo in giro?
Un flash: le salse.
Cazzo, aveva ragione.
Mi chinai a prenderle e gliele buttai con rabbia vicino al piatto.
< E' inutile che ti innervosisci. Ammetti che hai torto e mettiti il cuore in pace. Se non sei tagliata per questo lavoro non puoi farci nulla >.
< Mangia che si fredda. Non vorrei mai che poi ti rimanesse sullo stomaco >.
Non ci parlavo da un mese con lui.
Ora capivo il perchè: mi faceva sclerare.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Buona lettura!
Un bacio, Ale.


Mi gustavo il mio piatto con calma.
L'hamburger era squisito e le patatine molto croccanti.
Avevo aperto la bustina di ketchup, poi avevo optato per la maionese.
Si abbinava meglio.
E il pranzo si stava rivelando infinitamente divertente con lei che faceva la cameriera.
Sgranocchiai l'ultima patatina.
< Ho finito > le dissi mentre si stava avvicinando con una pila di piatti vuoti tra le mani.
Appoggiò i piatti sul bancone per prendere anche il mio.
Splash.
Uno schizzo di ketchup le finì direttamente sulla camicia bianca.
< Cazzo no! > urlò quasi.
Io scoppia a ridere a crepapelle.
Era una frana. Non ne avevo mai conosciuta una peggiore.
< Ahah, molto divertente. Quand'è che pensiamo di crescere un po'? >.
Nel suo sguardo non c'era un filo di ironia.
< Guarda che hai fatto tutto da sola. Ti ripeto che sei una frana. Lascia stare questo lavoro >.
< E' il mio lavoro. Non lo lascerò a causa di un cretino come te >.
Si portò dietro il bancone e prese una tovagliolo con il quale tentò di sistemare la macchia.
Le si era anche sbottonato un bottone che lasciava intravedere una parte del bordo del reggiseno.
< Se vuoi ti aiuto a pulirti? >.
Alzò lo sguardo.
Era arrabbiata. Peggio. Furiosa.
< Tu non mi toccherai mai. Nemmeno con un dito >.
< Un giorno sarai tu a chiedermelo >. Sorrisi sornione e feci per alzarmi.
< Se mai lo farò, e ne dubito, ti basterà aprire la bocca per farmi ritornare in me >.
< Vedrò di stare zitto allora >.
Mi diressi verso la porta quando vidi entrare Angela e Chiara insieme al suo tipo.
< Ciao Jamie! > strillò Angela porgendomi un bacio sulla guancia, < resti a farci compagnia vero? >.
Avrei prolungato il mio divertimento?
< Si, perchè no > e mi voltai verso Sofia per godermi la sua espressione.

*

Mi rifugiai nello spogliatoio.
Non ne potevo più. Era una tortura.
Misi i polsi sotto l'acqua fredda e me li portai alle tempie.
Sapevo di non poter sopportare questo tutti i giorni.
La casa. La casa. La casa.
Dovevo ripetermelo nella testa.
I soldi ti servono per trasferirti Sofia. Non mandare tutto a monte. Non ora che ci sei così vicina.
Presi il cellulare e digitai un veloce messaggio per Amelie.
Se fosse venuta a farmi un po' di compagnia avrei resistito fino a sera.
Uscii di nuovo.
< Sofia, servi quei ragazzi seduti al tavolo 16 >.
Perfetto.
Non bastava aver sopportato lui.
Ora mi toccava anche quell'oca di Angela.
Ormai avevo inquadrato un po' tutti i miei compagni di corso in facoltà.
Lei era la classica Barbie. Bionda. Stupida. Bellissima.
Mi avvicinai al tavolo.
< Ciao, volete ordinare? >, guardai i nuovi arrivati, evitando lui. D'altronde aveva già mangiato.
< Sto ancora guardando la lista > mi rispose Angela.
< Per noi due panini, un the al limone e una sprite > mi disse Chiara.
Scrissi sul block la sua ordinazione e guardai di nuovo Angela.
Poteva scegliere in un ridotto  lasso di tempo?
< Angela sbrigati altrimenti subirai la furia della cameriera >.
Di nuovo la sua voce.
Lo ignorai.
< Ah davvero? Fino a prova contraria il cliente sono io >, mi guardò Angela con aria di sfida.
< Chiamami quando hai deciso >.
Non avevo tempo da perdere.
Mi diressi dalla signora con il bambino dietro di loro.
< Buongiorno signora, cosa desiderate? >.
< Ciao cara. Io prendo un cotto e mozzarella e mio figlio un toast. Ci puoi portare una bottiglia di acqua frizzante? >.
< Naturalmente signora. Arrivo subito > le sorrisi, ecco qual era il cliente perfetto.
Vidi Angela che cercava di attirare la mia attenzione.
Ora avrebbe aspettato lei.
Presi l'acqua e la portai alla signora.
< Hai deciso? > chiesi ad Angela.
< Un toast >.
< A me porta una coca. La salsa di prima mi ha fatto venire sete >.
Doveva smetterla di prendermi in giro.
Non ero un pagliaccio.
Nemmeno il suo antistress.
Tornai con quello che mi avevano richiesto.


Spazio autrice:
-dark: grazie sono felice che ti piaccia. No ninete vampiri qui, lascio lo scettro alla Meyer XD, sono umani, forse con qualcosa in più..
-chan: grazie mille, mi fa molto piacere che tu lo pensi. Io invece tendenzialmente amo i personaggi stronzi, ambigui ecc., mi piace immedesimarmi in loro.
-kety: ma certo che puoi chiamarmi tesora! sono felice che la storia ti abbia preso, purtroppo questi capitoli sono già scritti, il resto chissà quando riuscirò a metterlo su carta.
Odio non trovare il tempo per scrivere.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Ciaoooooooooooooo!
Oggi sono felice, qui da me nevica!!!
Lasciatemi un commentuccio please, almeno voi che mi seguite!!!!!!!!
Un bacio, Ale.


< Ecco i panini, il toast e le lattine >.
Decisi che dovevo esasperarla.
< Ho cambiato idea. Portami un caffè al posto della coca >.
Finalmente mi guardò negli occhi.
< Potevi pensarci prima > mi disse.
Aveva ragione. Ma lo facevo apposta.
Non mi andavano né la coca né il caffè.
< Il cliente ha sempre ragione >.
Si girò, indispettita.
< Non quando è arrogante e vanesio > borbottò a bassa voce.
< Ti ho sentito >.
< Tanto meglio >.

*

Adesso basta.
Mi aveva provocata? Avrebbe avuto quello che si meritava.
Preparai il caffè.
Lo portai sul ripiano sotto il bancone.
Presi il sale e lo versai dentro.
Mescolai attentamente con il cucchiaino finchè non si sciolse.
< Ecco il tuo caffè > gli dissi porgendoglielo.
Ne bevve un sorso.
La sua espressione mutò, ma ingoiò comunque.
< Questa volta ti sei dimenticata lo zucchero? >.
Mi battei una mano sulla fronte, sorridendo per la prima volta.
< Metti lo zucchero? Credevo che preferissi il sapore amaro del sale. Che sciocca! >.
Risi andandomene via.
< Non le dici nulla? > sentii Angela chiedergli alle mie spalle.
< Non ora >.

Mancavano dieci minuti alla chiusura del locale.
Mi ero tolta la divisa per indossare i panni civili e avevo ritirato la camicia per poterla lavare.
Guardai il cellulare.
Niente.
Amelie non mi aveva risposto.
Mi sentivo sola. Abbandonata.
Ma no. Sicuramente non aveva visto il messaggio.
Salutai il sig. Bianchi e uscii dal locale.
Era l'imbrunire.
Il tramonto era insieme all'alba il mio momento del giorno preferito.
Il più romantico in assoluto.
Peccato che ero sola.
< Sofia? >.
Qualcuno mi aveva chiamato.
Mi voltai e lo vidi.
Era appoggiato ad una splendida moto da corsa. Nera e oro. Elegante. Come lui.
Gli sorrisi.
Era venuto per me?
< Ciao! > gli risposi calorosamente. < Come mai sei qui? >.
< Mi pare ovvio > e mi indicò con la mano.
< Grazie, ma non dovevi. Davvero. E' da tanto che aspetti? >.
< No, sapevo che avresti finito a quest'ora. E poi volevo avere le prime impressioni del lavoro >.
Come poteva essere così carino?
Jean.
Era diverso da tutti gli altri ragazzi.
Mi piaceva. Sì, non potevo più negarlo.
Era bello. Era dolce. Era premuroso.
< Sofia sei tra noi? >.
Lo guardai. Sventolava la mano davanti ai miei occhi.
< Si scusa. Ci sono >.
< Ti va di mangiare qualcosa insieme? >.
Era un appuntamento?
No. Era un'uscita tra amici.
< Certo. Molto volentieri >.
Anche in forma di amici ero euforica di uscire con lui.
< Allora monta! >.
Lo guardai perplessa.
< Sulla moto? >.
< E dove se no? Certo, sulla moto >, mi pose il casco.
< Veramente io..come dire..ho un po' paura delle moto! >, arrossii.
Smontò e si avvicinò a me che avevo abbassato lo sguardo.
Mi sollevò delicatamente il mento, finchè i suoi occhi non incontrarono i miei.
< Stai tranquilla. Non ti succederà nulla. Sei con me >.
Annuii.
Era vero.
Con lui ero al sicuro.
Mi aveva sempre trasmesso quel senso di protezione.
< Andiamo! > gli sorrisi. Se lo meritava.
E dopotutto..io non vedevo l'ora di trascorrere la serata con lui.


Spazio autrice:
-dark: vedo che Jamie ti va a genio XD e pieno di mistero!
-kety: se ti ispira violenza adesso chissà dopo! le domande che ti sei fatta sono sorte un po' a tutte le persone che hanno letto..vedrai in seguito, forse non capirai nemmeno mai completamente Jamie, nemmeno io lo inquadro del tutto XD

Ah, se vi va ho scritto una one shot su orgoglio e pregiudizio, non so se è il vostro genere..

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Ciaoooooooooo, scusate l'assenza del week-end ma sono stata piuttosto presa a causa della scuola.
Eccovi il nuovo capitolo..
Commentate vero???? Sapete quanto adori le vostre opinioni XD
Un bacio e buon inizio settimana!


Avevo acconsentito troppo presto.
Lo sapevo.
Ora mi trovavo stretta a lui come una cozza.
Probabilmente gli davo anche fastidio.
E' solo che un nodo allo stomaco mi impediva di respirare.
Avevo paura.
Una paura folle. Irrazionale. Non potevo dominarla.
Quando sarebbe finito?
Lo sentii rallentare.
Grazie al cielo.
Avevo la nausea. Cercai di non darlo a vedere.
Scesi.
Le gambe mi tradirono. Barcollai.
La sua mano afferrò la mia.
Com'era calda.
< Ehi Sofia, tutto ok? >.
Mi sfilò il casco e mi osservò.
Cercai di sorridere.
Probabilmente ne uscì una smorfia, vista la sua espressione preoccupata.
< Tu non stai affatto bene. Lasciamo perdere la cena >.
< No! > urlai quasi, tanto che si mise a ridere.
< Non ti preoccupare. La rifaremo >.
< Ti prego. Andiamo. Sto meglio >.
In effetti i giramenti stavano diminuendo. E anche il nodo allo stomaco.
< Sicura? >.
< Completamente! >.

Mi sciacquai il viso.
Avevo lasciato un attimo Jean al tavolo.
Mi dispiaceva allontanarmi da lui.
Ma dovevo rinfrescarmi. Riprendere un aspetto normale.
Mi guardai allo specchio.
Si vedeva che ero reduce da una lunga giornata.
Maledii me stessa. Perchè non portavo con me una pochette di trucchi?
Che stupida.
Alzai le spalle.
Quel che è fatto è fatto.

Stava finendo di mangiare i profitterols. Ma quanto mangiava?
Io mi ero limitata ad un'insalata leggera, lui aveva optato per una fiorentina con contorno.
E ora il dolce.
Incontrai i suoi occhi verdi quando li sollevò dal piatto.
Mi sarei potuta perdere in quegli occhi. Erano il mio porto.
< Ho mangiato troppo forse > disse toccandosi la pancia.
Scoppiammo a ridere insieme.
< Beh forse un pochino sì! >.
< E' che gli allenamenti mi mettono sempre molto appetito >.
< E' così pesante giocare a basket? > chiesi curiosa.
< Beh non è una passeggiata, ma non mi lamento. Mi piace >.
Annuii.
< Vieni ti accompagno al treno > propose gentile.
L'esperienza di poco prima mi avrebbe dovuto far rifiutare.
Non ne ebbi il coraggio. Volevo prolungare la serata ancora un poco.
< Grazie, ma se ti allungo la strada lascia stare >.
< Sofia, non ti lascerei mai andare da sola fino in stazione. A proposito, quando ti trasferisci? >.
< Spero presto. Adesso che ho trovato un lavoro mio padre non avrà più scuse >.
< Bene! Così potremmo vederci più spesso >.
Il mio cuore perse un battito.
Vederci più spesso?
No, non era possibile che intendesse quello.

Smontai veloce dalla moto. Passarci sopra dieci minuti era già abbastanza per me.
Gli tesi il casco.
Questa volta andava decisamente meglio.
Ero saldamente in piedi. E non avevo giramenti.
Ottimo.
Si piegò a mettere il catenaccio e rialzandosi si avvicinò a me.
Mi girai per avviarmi ai binari ma sentii qualcosa che si insinuò nella mia mano. La sua.
Cosa stava facendo?
Mi girai verso di lui. Perplessa.
Di risposta mi sorrise. Sorrisi anch'io.
Mi sembrava un sogno. La sua mano e la mia.
Il calore che mi trasmetteva solo con quel piccolo tocco.
Il treno era fermo sul binario uno. Aspettava gli ultimi ritardatari prima di lasciare la stazione.
Ci fermammo davanti ad uno sportello.
Peccato che questa serata fosse finita. Era la più bella. Da molto tempo.
Mi alzai in punta di piedi per dargli un leggero bacio sulla guancia.
Si mosse contemporaneamente a me.
Le mie labbra sfiorarono le sue. Delicatamente.
Un fortissimo calore mi salì al viso.
Mi staccai subito e feci per salire sul treno.
< Dove pensi di scappare ora? >.
La sua mano era ancora legata alla mia.
Mi cinse la vita con il braccio e mi riportò a terra.
< Non puoi andartene così >.
Cosa stava dicendo? Era impazzito?
Il suo viso si avvicinò pericolosamente al mio.
Mi guardò negli occhi, quasi a chiedermi un muto consenso.
Chiusi i miei e mi abbandonai a ciò che più desideravo.
Le sue labbra cercarono le mie con avidità.
Sembravano volerle esplorare, assaporare.
Sentii la sua lingua disegnare il contorno del mio labbro. Lo dischiusi.
Finalmente.
Le nostre lingue si trovarono. Per la prima volta.
Il suo sapore era...magnifico.
Avrei voluto che non finisse mai. Proprio mai.



Spazio autrice:
kety: sai che ti adoro? mi dimostri un affetto incredibile. Jean è praticamente agli antipodi di Jamie, vedrai.. Buon inizio settimana di lavoro!

vero: ahah, vietato pronunciare il suo nome! beh ti ci vorrà ancora un po' per svelare il mistero!

mary: grazie per il commento, sono felice che ti piaccia e spero continuerai a seguirla e a scrivermi cosa ne pensi.

niis: che bel commento costruttivo! per la protagonista, anche a me piace molto, è genuina! I dettagli fanta appariranno con il tempo, ma vi avviso che sono marginali, giusto una cosuccia.
I due ragazzi sono molto diversi, ma non credo rifiuterei nessuno dei due XD, per lo scrivere in prima persona sono d'accordo con te ed è mia abitudine fare questa scelta. Ho scritto solo una cosa in terza.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Ehilà!
Spero vada tutto bene, io in mezzo al trambusto della scuola vi posto il nuovo capitolo..
Fatemi sapere cosa ne pensate, please.
Un bacio, Ale.


Sfioravo leggermente la copertina dei libri. Mi rilassava la mia biblioteca.
Nei libri potevo esiliarmi dalla realtà.
Una realtà che per ora non mi attraeva per niente.
Ripensai a quel pomeriggio.
Perchè quella ragazza si ostinava a sfidarmi?
Alla lunga avrei vinto io. Io. Io che non mi perdevo in debolezze.
La sfida che avevamo intrapreso era l'unica cosa che impegnava la mia mente.
Per il resto, il vuoto più assoluto.
Mi sdraiai sulla dormeuse di pelle.
Tanto valeva riposarmi un po'.
All'improvviso mi sorse un interrogativo: perchè non avevo più premonizioni?
Forse era l'attesa della nuova guardiana assegnatami.
Sì , doveva essere così.
Non aveva senso averle se non  si potevano comunicare.
Avrei aspettato. Non avevo fretta.
Chiusi gli occhi e caddi in un sonno senza sogni.

Cos'era questo rumore fastidioso?
Sembrava..un elettrodomestico.
Mi costrinsi ad aprire gli occhi.
No, non era nella mia mente. Quel suono proveniva da una stanza vicina.
Guardai l'ora.
Maledizione. Avevo dormito solo un'ora.
Mi rimaneva ancora tutto il tardo pomeriggio e la sera da impegnare.
E non sapevo come.
Mi alzai lentamente, ero ancora riluttante all'idea di abbandonare il mio rifugio.
Segui la provenienza del rumore fino a trovarmi davanti alla porta della mia stanza.
Che stupido. Avrei dovuto capirlo subito. Le pulizie.
Socchiusi silenziosamente la porta.
La vidi.
Isabelle era di spalle. Teneva in mano l'aspirapolvere con la quale puliva il pavimento.
Dopotutto avevo trovato cosa fare per un po'.
Sorrisi.
Forse era anche meglio del riposo sul divano.
Mi avvicinai fino a raggiungerla alle spalle.
< Sai che mi hai svegliato? > le sussurrai all'orecchio.
Sussultò.
Era così gratificante vedere la reazione delle donne.
Si girò fverso di me.
< Mi scusi signore. Non pensavo di infastidirla >.
< Non mi infastidisci affatto. Però ora dovrai farti perdonare >.
E io sapevo perfettamente come.
< Se posso signore, volentieri >.
Le tolsi l'aspirapolvere di mano e la tirai a me.
< Ma signore.. >.
Le spensi le parole con un bacio.
Le sue labbra erano morbide, vi premetti sopra le mie. Con forza.
Avevo voglia di lei. Di lei come di un'altra.
Ovvio.
Ma siccome c'era lei, sarebbe andata bene.
Mi staccai da lei.
< Signore, io non credo che dovremmo >.
< E perchè no? Non ti attraggo forse? > chiesi innocente.
Arrossì.
< No signore, certo che no, è che sono la cameriera > balbettò, leggermente ansante dopo il bacio.
La tenevo ancora stretta a me.
< Per quello che ho in mente non potrebbe importarmi di meno, sai? > le sussurrai.
La baciai ancora. Con passione.
La mia lingua si fece largo tra le sue labbra.
Emise un gemito.
La stavo facendo impazzire.
Spostai la mia mano sul suo corpo.
Aveva proprio delle belle curve.
Decisi che dovevo andare oltre. In fretta.
La feci sdraiare sul divano. Il mio letto era off-limits.
Continuavo a baciarla e intanto cercavo di slacciarle la camicetta.
La sua mano tentò invano di bloccare la mia.
Non le diedi la possibilità di muovere alcuna protesta.
Le regole le dettavo io.
E non sembrava nemmeno che le dispiacesse.
Mi staccai per slacciarle il reggiseno.
< Non stiamo correndo troppo? > mi chiese preoccupata.
< Certo che no >.
Con la mano tra i capelli attirò il mio viso al suo per baciarmi di nuovo.
No, non le dispiaceva. E nemmeno a me tutto sommato.
Non avevo sentito la porta aprirsi, ma sentii chiaramente le sue parole.
< Non ci smentiamo mai, Jamie? >.
Scoppiai a ridere.
Mi alzai lasciando Isabelle mezza nuda sul divano.
< Tu qui? >.


Autriceeeeeee:
-vero: Jean è dolce, sì...ahah, adesso è comparso XD cosa ne pensi? stronzo?
-kety: certo, n.1! nemmeno a me la moto va tanto a genio..Jean è dolce hai ragione. Sai che hai un acume pazzesco? Oppure sono io che sono prevedibile? Non esplicito nullaXD
-mary: grazie mille, te lo cedo, io sono per Jamie!

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Ehilà!
Ho pensato di postarvi il nuovo capitolo così magari avete più tempo per leggerlo!
Fatemi sapere, un bacio, Ale.


Mi abbottonai la camicia.
< Rivestiti e lasciaci soli > ordinai a Isabelle.
Ora avevo altro da fare.
Sembrò offesa dal mio disinteresse. Doveva saperlo, lei era un oggetto.
Finalmente la porta si chiuse dietro di lei.
Fissai i suoi occhi. Quanto mi erano mancati.
Avrei voluto usare parole cariche di affetto.
Non ci riuscii. Non era nella mia natura.
Ma il sorriso che gli rivolsi fu eloquente.
Charles.
Mi era mancato come l'ossigeno in alta montagna, come l'acqua nel deserto.
Era una parte fondamentale della mia vita.
< Che ci fai tu qui? >.
< E' così che si accoglie un vecchio amico? Con una donna nuda tutta per te e senza nemmeno un abbraccio? >.
Mi avvicinai a lui e lo abbracciai.
Nessuna frase avrebbe espresso adeguatamente il nostro legame.
< Hai ragione, ero piuttosto impegnat o> sorrisi, < ma non mi hai ancora detto che ci fai a Milano? >.
< Sono di passaggio. Sto andando a Roma, ma mi fermerò per un po' qui. Sempre se deciderai di ospitarmi. Si intende >.
Il tramonto assunse tinte più calde.
La sua visita era caduta a pennello. Ad alleviare il mio malumore.
< Certo. Casa mia è casa tua lo sai >.
< Dai Jamie, raccontami cosa ci offre questa città > e disegno con le mani un corpo di donna.
Scoppiai a ridere.
< Sono io quello che non si smentisce mai? >.
< Beh, non mi sembra che tu abbia perso tempo >.
< Si fa il possibile no? >.
< Assolutamente socio! >.
Ci spostammo nel salotto e occupammo due poltrone. Uno in fronte all'altro. Come sempre.
< Milano ha pascoli davvero carenti. Con qualche eccezione, ovvio >.
< Vorrà dire che tu ti limiterai a presentarmi questa minoranza! >.
< Quando vuoi >.
< Subito? >.
Dopotutto avevamo ancora la serata.
Annuii.

La Porsche si muoveva fluida e silenziosa verso il calar del sole che si intravedeva dietro le case.
Eravamo giovani. Liberi.
La città era nostra.
E finalmente mi sentii di appartenere alla realtà.

*

Aprii la porta di casa.
Era tardi. Eccessivamente tardi. Mi sarei beccata delle lamentele.
E infatti...
< Ti sembra l'ora di rientrare? >.
La voce di mio padre mi giunse dal salotto, attutita dal rumore della tv.
< Ho fatto tardi al lavoro >.
Una bugia. Ma non mi andava di dare spiegazioni. Era presto, troppo.
Mi affacciai alla porta.
La mia famiglia era lì. Mio padre, mia madre, mia sorella.
Sedevano insieme sul divano a godersi la programmazione serale.
Mi stampai l'immagine nella testa. Presto non sarebbero più stati al mio fianco.
La mia famiglia.
Per la prima volta mi rendevo conto di quanto mi sarebbero mancati.
Sarei stata indipendente, libera.
Ma il prezzo era quello della solitudine. Sarebbe pesata nei momenti più duri.
Già lo sapevo.
Ma avevo scelto. Avevo diciannove anni, quasi venti.
Non era più tempo di nascondersi sotto le gonnelle della mamma.
< Com'è andata al bar, Sofia? > mi chiese premurosa mia madre.
< Alla grande! >. Tutto sommato a parte l'incidente con quel cretino era andata bene.
< Ne sono felice > e lo era davvero.
Voleva solo il mio bene. Come tutte le mamme.
< Posso iniziare a preparare gli scatoloni? >.
< Non è troppo presto tesoro? >. Papà. Non si smentiva mai.
< No papà, non è presto. Appena trovo un appartamento libero mi trasferisco >.
Mio padre sembrò arrendersi. Ero cresciuta. Doveva lasciarmi volare con le mie ali.
< Salgo. Buona notte >.
Guardai mia sorella.
Si era addormentata mentre noi parlavamo. Com'era tenera.
< La porto su io > sussurrai a mia madre.
Otto anni di vita erano tra le mie braccia.
La posai delicatamente a letto e la coprii.
Com'era spensierata.
Le posi un leggero bacio sulla fronte e mi allontanai.
Dormi sorellina. Sogna. Perchè quando sarai grande capirai che la realtà è tutt'altra cosa.


Spazio autrice:
-mary: beh forse un lato umano ce l'ha, nascosto bene XD sono felice che ti coinvolga di più!
-vero: eheh, Jamie è il protagonista, non posso eclissarlo. E poi vedrai, attendi!
-kety: tu sei matta, ti adorooooooooooo! comunque vedrai, il loro rapporto penso sia molto molto complesso. Mi scuso per gli errori. vedrò di fare più attenzione.
-kyraya: benvenuta! Sono felice che ti piaccia, spero continuerai a seguirla, e a commentare XD

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Ehilà!
Scusatemi per l'assenza, ma gli impegni scolastici delle ultime settimane mi hanno tenuta lontana da internet.
Rieccomi qui!
Sinceramente rileggendo questi che sono i primi capitoli mi accorgo che non sono un granchè rispetto alle ultime cose che ho scritto, scusatemi, arriverà presto la parte migliore!
Fatemi sapere, un bacio, Ale.



Scesi dal tram correndo. Ero di nuovo in ritardo.
Proprio oggi che c'era lezione presto. Per di più con il prof. Schillaci. Un vero rompipalle.
Praticamente ero morta. Chissà le scenate che avrebbe fatto.
Mi misi a correre. Dovevo concentrarmi perchè rischiavo di cadere.
Pioveva a dirotto. E ovviamente ero senza ombrello.
Attraversai la strada correndo senza guardare.
Sentii una frenata. Il suono di un clacson che mi richiamava.
Mi voltai per vedere chi aveva tentato di investirmi.
Niente di meno che lui. Con la sua Porsche.
Gli avrei fatto rimangiare il ghigno che gli si allargava sul suo volto.
In futuro.
Ora però dovevo scappare.
Entrai in facoltà zuppa e arrossata.
Qualcun altro al posto mio sarebbe sembrato volutamente trasandato.
Io sembravo una pazza che aveva fatto un lotta nel fango.
Perfetto.
Decisi che ritardo per ritardo tanto valeva fare una capatina al bagno.
L'immagine che mi guardò dallo specchio quasi mi fece urlare.
Avevo i capelli in un stato pietoso.
Il viso con la matita in parte colata.
I vestiti erano fradici per la pioggia.
L'orlo dei jeans sporco di fango.
Che merda.
Avessi avuto l'appartamento in città tutto questo non sarebbe successo.
Dovevo trasferirmi. Al più presto.
Guardai l'orologio.
Erano le dieci e trenta. Mezz'ora e la lezione sarebbe terminata.
Non valeva la pena farsi richiamare per così poco.
Avrei saltato.
Mi avviai verso il bar della facoltà.
Girai l'angolo e mi scontrai con qualcuno che proveniva dalla parte opposta.
Caddi all'indietro. Atterrai di sedere. Che figura.
< Vedo che la stabilità proprio non è il tuo forte, eh cameriera? >.
Ma perchè era sempre in mezzo?
Lo guardai. Questa volta non era solo. Aveva dato vita ad un club di idioti?
< Finchè tu mi sbarri la strada non vedo cosa posso fare >.
< Magari guardare dove vai, che ne dici? >.
< La prossima volta mettiti un campanellino al collo, come le mucche, così se sento che ti avvicini cambio strada! >.
Non riuscivamo proprio a fare un discorso senza insultarci.
Il suo amico mi tese la mano.
< Il mio amico Jamie è talmente maleducato da non presentarci. Io sono Charles >.
< Non mi avevi detto di presentarti solo le persone che contano? > replicò quell'idiota arrogante.
< Ti avevo chiesto di presentarmi anche le ragazze carine! >.
Che due boriosi individui. Ma chi si credevano di essere?
La sua mano era ancora tesa. Aspettava che gliela stringessi.
< Per quanto mi riguarda se tolleri questo qui > e indicai Jamie, < allora devi pensarla come lui. Sinceramente non mi interessa conoscerti >.
E così dicendo mi voltai e mi allontanai a passi veloci.

< Ma chi è quella? > Charles si voltò perplesso verso di me, < che le hai fatto? >.
< Assolutamente nulla >.
< Non me la dai a bere sai >.
< Comunque non è nessuno di importante. Non ti preoccupare. Ignorala. Io ci riesco benissimo >.
< Ha un nome? >.
< Probabilmente sì visto che è una persona >.
Continuai a camminare, lui mi stava a fianco.
< Allora? >.
< Cosa? >.
< Il nome, Jamie. Il nome >.
< Non pretenderai mica che io lo sappia. Se mi serve chiamarla, la chiamo cameriera. Che mi frega del nome! >.
< Sai che sei peggiorato? Milano ti ha reso ancora più cinico di prima >.
< Senti chi parla >.
Raggiungemmo il cortile interno alla facoltà e ci sedemmo sul muretto evitando di essere bagnati dalla pioggia che cadeva copiosamente.
< Sei arrivato a portare il maltempo? >.
< Rispecchia il tuo umore no? Su Jamie, che ti succede? >.
Gli raccontai in breve la mia vita nella città italiana. Non mi ero ancora completamente abituato a questa realtà. Il legame con il passato si faceva ancora sentire.
Soprattutto ora. Con lui qui a fianco.
< Mi è venuta un'idea > esclamò felice.
< Spara >.
Chissà cosa aveva pensato. Di solito riusciva sempre ad alleviare la mia noia. O la tristezza.
< Una festa. Tu sei il re delle feste. E hai una casa enorme a disposizione >.
Ci riflettei un attimo. Dopotutto non aveva torto.
In Inghilterra ero solito tenere almeno un party al mese.
Chissà se qui sapevano apprezzare una festa coi fiocchi.
< Andata. Si può fare >.
Sorrise compiaciuto.
< Ti aiuterò io >.
< A fare che cosa? Io non ho intenzione di muovere un dito. A preparare tutto ci penserà la servitù.
Noi occupiamoci degli inviti >.
< Spargi la voce e vedrai che arriveranno come api al miele >.
< Speravo in qualcosa di un po' esclusivo >.
< Dai, non priviamoci dello spettacolo che ci offrirà certa gente. Non mi puoi fare questo >.
Scoppiammo a ridere insieme.
Ecco com'eravamo. Com'eravamo stati. E come probabilmente saremmo stati in futuro.


Spazio autrice:
-vero: per il segreto ci vorrà ancora un po' di tempo, armati di pazienza!
-mary: anche tu ansiosa di sapere tutto eh? mi sa che dovrai aspettare XD
-kety: è davvero interessante leggere tutte le tue riflessioni. sì il rapporto tra di loro è forse il più significativo che Jamie nutra..qualcosa di torbido?! ahaha

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Ciaoooooooooooooo
Scusate è tantissimo tempo che non aggiorno, ne sono consapevole.
Spero che non vi siate dimenticate di me, anche se non ci vorrebbe molto XD
Buona lettura, come sempre ci terrei a sapere se avete gradito!

Ah, pubblicità, ho scritto una oneshot su HP, se a qualcuno interessasse mi farebbe piacere avere un vostro commento..



Aprii gli occhi. Cazzo, la sveglia non era suonata.
No, che stupida. Era sabato. L'avevo tolta io ieri sera prima di dormire.
Mi rilassai di nuovo sotto le coperte, al calduccio.
La stanza era immersa in una leggera penombra dovuta ai raggi di sole che filtravano attraverso le persiane.
Osservai i mobili intorno a me.
La scrivania aveva un leggero strato di polvere, segno che era stata dimenticata a favore dei tavoli della biblioteca, dove preferivo studiare.
La libreria era intatta. Come l'avevo lasciata. Ma i libri, almeno alcuni, li avrei portati con me.
Erano amici, amici cari. Non li avrei abbandonati nel dimenticatoio.
Decisi che era meglio alzarmi. Il mattino aveva l'oro in bocca e io ero piena di cose da organizzare.
Mi diressi in bagno.
Occupato.
Che palle. Possibile che i miei si ostinassero ad avere un solo bagno in quattro?
Si doveva prendere il biglietto come al bancone del supermercato. E aspettare il proprio turno.
Optai per fare colazione.
La cucina era la solita di sempre. Quella in cui da piccola amavo rifugiarmi per mangiare un poco di nutella, dal barattolo, nei momenti di sconforto.
Presi la mia tazza, il latte dal frigo e i biscotti e mi accomodai al tavolo.
Mia mamma entrò in quel momento. Era pronta per il lavoro.
Si sedette un attimo.
< Buongiorno tesoro, dormito bene? >.
Annuii mentre masticavo un biscotto.
< Mamma, stamattina pensavo di preparare gli scatoloni per il trasloco, dove li hai messi? >.
< In garage, tesoro >.
Guardò l'orologio.
< Devo scappare. Quando si sveglia fatti aiutare da tua sorella Claudia. Magari non sarà granchè utile ma almeno ti fa compagnia. Preparare degli scatoloni è noioso, te lo dice una che ha esperienza >.
< Ok mamma, buon lavoro! >.
Finii la colazione e lavai velocemente la tazza, rimettendola nello scolapiatti.
Risalii le scale fino al bagno. Una volta uscita mia mamma era libero. Mio padre andava al lavoro presto la mattina e quindi non dava problemi a nessuno.
Mi lavai i denti e mi feci una doccia veloce.
Legai i capelli bagnati in una coda e con l'asciugamano legato addosso mi diressi in camera.
Mi scontrai con mia sorella che usciva dalla camera.
< Ciao piccola! > le accarezzai la testa posandovi un bacio < ti va di aiutarmi a sistemare le mie cose dopo? >.
Claudia sorrise felice, di quell'entusiasmo che solo i bambini possiedono e che noi grandi abbiamo quasi completamente perduto.
Indossai una tuta comoda e scesi a cercare gli scatoloni.
Bingo. Erano sul mobile.
Tornai in camera e cominciai a compilare una lista degli oggetti che avrei portato con me.
L'appartamento era piccolo e già arredato, quindi niente mobili.
Solo soprammobili indispensabili a rendere l'ambiente meno asettico.
Volevo che si percepisse che quel posto era mio, non un luogo di passaggio.
Claudia bussò alla porta prima di entrare, come le avevo insegnato.
< Vieni piccola, aiutami a sistemare i libri >.
Insieme riuscimmo a chiudere presto ben quattro scatoloni pieni e io li portai nel salone di sotto.
L'orologio in cucina suonò mezzogiorno.
< Claudia scendi che prepariamo insieme il pranzo! >.
Arrivò saltellando e io mi abbassai con le braccia aperte, pronta ad accoglierla in un caloroso abbraccio.
La posi sul ripiano della cucina.
< Cosa cuciniamo per mamma e papà? > le chiesi.
Vidi la sua piccola fronte corrugarsi nello sforzo di trovare la soluzione migliore.
< La carbonara! >.
< Ottima scelta >.
Mi avvicinai al frigo e tirai fuori pancetta e uova, poi presi lo scalogno per creare il soffritto adatto.
< Ti va di rompere le uova e sbatterle? >.
Si illuminò tutta in viso. Bastava poco per farla sorridere.
Quanto adoravo quel piccolo microbo. Mi dava ossigeno quando la vita sembrava togliermelo.
La guidai nei movimenti così da evitare che facesse casino sul ripiano.
< Brava! > la incoraggiai.
Sentii la porta che si apriva.
< Corri da papà che è arrivato! > le suggerii.
Non se lo fece ripetere e tornò in cucina in braccio a nostro padre.
Di lì a poco arrivò anche mia madre e ci accomodammo a tavola, aspettando che la pasta cuocesse.
Il pranzo fu uno dei più belli che mi ricordassi.
Si parlo del più e del meno, senza preoccupazioni.
Mia sorella non se ne rendeva ancora conto, ma quel pranzo chiudeva un'epoca.
D'ora in poi sarei stata a casa solo qualche week-end.
Niente più pranzi e cene riuniti intorno al tavolo.
Io stavo lasciando il nido. Ero grande, o almeno cercavo di esserlo.
Mentre mia madre lavava i piatti mio padre caricò gli scatoloni nel baule della macchina.
L'emozione saliva.
Non era un addio, ma un arrivederci che comportava un po' di tristezza a tutti, me compresa, che avevo tanto desiderato trasferirmi.
Mia madre mi strinse a se, sussurrandomi parole di coraggio, dicendomi che me la sarei cavata egregiamente anche da sola. Ero indipendente, sapevo badare a me stessa.
Abbracciai mia sorella a lungo, il viso rigato da stupide lacrime che non volevano saperne di fermarsi.
Anche lei piangeva. Non voleva lasciarmi andare. Era ancora piccola. Io ero il suo punto di riferimento.
Ma che mi stava succedendo?
Stavo solo trasferendomi a sessanta chilometri di distanza, non in Congobelga.
Eppure sentivo dentro di me che qualcosa sarebbe inesorabilmente cambiato.
Ancora non sapevo che alla lunga avrei avuto ragione.



Spazio autrice:

-mary: spero che in questo lasso di tempo tu non sia morta di curiosità ancora di più, non potrei perdonarmelo XD
-kety: hai sentito un po' la mia mancanza? grazie per tutti i complimenti sullo stile, anche se non penso sia così eccezionale..Per quanto riguarda Charles, vedrai, è un personaggio abbastanza importante..
Ah, grazie per aver commentato anche la oneshot su HP, mi ha fatto davvero molto piacere, non ti immagini..
-vero: eheh non ti va proprio a genio Jamie?! Non è un rapporto strano il loro, niente da creare sospetti.. Grazie per i consigli, sono sempre ben accetti.. Se non vedi cambiamenti è prechè questi capitoli sono già scritti e non li cambierei, ma ne tengo conto per quello che scrivo attualmente..

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Ciaooooooooooooo
Aggiornato in fretta no?!
Ditemi cosa ne pensate, un commento è sempre gradito!
Un bacio



Avevo finito di pranzare e decisi di dedicarmi al mio appartamento.
Ancora non ci potevo credere.
Era il mio appartamento.
Presi una scala per cominciare a montare le tende.
Ne avevo scelte un paio semitrasparenti e molto colorate per la mia camera, così da lasciar filtrare il sole, quando c'era.
Era un giornata stupenda. Aprii la finestra ed entrarono i suoni direttamente dalla strada.
Soprattutto rumore di veicoli e voci allegre di persone a spasso.
Agganciai uno ad uno gli anelli al bastone.
Scesi e ne ammirai il risultato. Era davvero bello. Migliorai il tutto con una calamita che teneva la tenda su un lato, così entrava più luce.
Il motore di una moto potente si spense proprio sotto casa mia.
Possibile che fosse già venuto da me?
Mi affacciai alla finestra e lo vidi togliersi il casco.
I suoi capelli biondi brillavano anche sotto il timido sole di novembre, una tipica giornata di fine autunno.
Lo lascia suonare.
< Chi è? > risposi al citofono.
< Sono Jean >. Come mi piaceva il suo accento francese.
Premetti il pulsante per aprire la porta d'ingresso e mi avviai verso quella del mio appartamento.
Quasi non feci tempo ad aprirla che era già davanti a me. E dire che ero al secondo piano.
< Ciao > mi disse prima di stringermi a se e baciarmi.
Non me lo aspettavo. Pensavo che ci avesse ripensato.
< Ciao > gli risposi quando si staccò. Sorrideva beato.
Gli feci strada all'interno e gli mostrai le stanze.
Gli scatoloni erano ancora pieni e ingombravano il pavimento.
< Con una così bella giornata ti va di andare a fare una passeggiata in castello? > mi chiese.
Era una bella idea. Anche perchè restare in casa rendeva la situazione molto più imbarazzante.
< Lasciami il tempo di cambiarmi > dissi, indicando la tuta che indossavo.
< Per me sei perfetta anche così > ripose tenero.
Ma si allontanò sedendosi sul divano.
Scelsi un paio di jeans, un maglione non troppo pesante e il giubbotto.
Misi un filo di trucco.
< Sono pronta > esclamai entusiasta.
Poi ricordai la moto.

*

Guardai Charles seduto all'estremo opposto del tavolo.
Eravamo in casa solo io e lui. I miei erano fuori a pranzo con amici, come loro abitudine.
Il tavolo era imbandito con le portate che la servitù aveva cucinato esclusivamente per noi.
< Gradisce ancora un po' di sacher, signorino Jamie? > mi chiese Augustine, il maggiordomo.
< No grazie, ho mangiato fin troppo. Ne vuoi ancora Charles? >.
Charles alzò gli occhi dal piatto che stava terminando e annuì.
Io scossi la testa. Come faceva a mangiare così tanto?
Fin da bambini lui ci metteva il triplo di me a terminare un pasto.
Certo, finchè prendeva tre porzioni di ogni portata.
< Vado a sdraiarmi sul divano, avvertimi quando hai finito di abbuffarti! >.
Accesi la tv e feci un po' di zapping, ma non c'era nulla che potesse interessarmi.
La spensi e chiusi gli occhi.
Sentii una mano che mi scrollava.
< Hai finito? Sicuro di non valere un ammazza-caffè? > lo derisi.
< Rifocillarmi mi ha fatto venire in mente il programma del pomeriggio >.
< Sentiamo >.
< Portami a fare un giro in centro >.
Poteva andare. Anche se sicuramente avremmo trovato un caos assurdo.
< E chiama qualche tua amica > disse, enfatizzando l'ultima parola.
Mandai un messaggio ad Angela, dicendole di chiamare gli altri.

Rumori assordanti tutto intorno a me. Non ne potevo più dei portici di Piazza Duomo.
Bambini che correvano di qua e di là tra la folla che si spintonava per trovare il passaggio migliore.
< Allora Jamie quando pensi di dare questo party? > mi chiese Angela.
< Il prossimo sabato. Sentite ragazzi perchè non ci allontaniamo da questo casino? >.
< Dai andiamo in castello >  propose Chiara.
Io acconsentii e così anche gli altri.
Stavamo camminando quando Chiara salutò una ragazza sola sull'altro lato della strada.
< Ciao Amelie! Ti unisci a noi? >.
Io la guardai un attimo. Era una ragazza minuta, con i capelli neri piuttosto corti rispetto al normale.
Non era il mio tipo.
Amelie attraversò la strada e si aggiunse a noi.
< Che dici lo diciamo anche a lei della festa? > mi sussurrò Angela all'orecchio.
Non capivo queste confidenze che si prendeva, senza che gliene avessi dato motivo.
Ci pensai un attimo.
< Sabato prossimo organizzo un party a casa mia, ti va di venire? Puoi portare anche delle amiche se vuoi! > le dissi guardandola negli occhi.
Sembrò stupita che mi stessi rivolgendo a lei.
Le ragazze mi rendevano troppo importante. Ecco perchè poi diventavo arrogante.
< C-certo, volentieri > rispose.
Arrivammo finalmente in castello.
Mi piaceva. Aveva un non so che di antico trascurato e il prato era ben tenuto.
Attraversammo qualche viale cercando il posto migliore dove fermarci.
Sentii Amelie salutare qualcuno.
Mi voltai.
Sul prato, teneramente abbracciati, erano distesi la cameriera e un tipo biondo.
Perfetto. Avevo trovato il posto migliore.

*

Le sue labbra si muovevano delicatamente insieme alle mie.
Era disteso di schiena e io ero in fianco a lui, distesa di pancia.
Le sue mani mi stringevano, trasmettendomi il suo desiderio.
Qualcuno mi stava salutando. Mi costrinsi a staccarmi da lui e a cercare la fonte di quell'interruzione.
Vidi Amelie che si sbracciava per salutarmi. Aguzzai meglio la vista.
Ma con chi era?
Scorsi Angela, Chiara, altri ragazzi e poi loro due.
Cosa ci faceva Amelie con loro?
Si avvicinarono in gruppo, Amelie in testa. Mi alzai e così fece anche Jean.
< Ciao Sofia! > mi diede i consueti baci sulle guance. Io la guardai perplessa.
Ancora non mi spiegavo quella situazione.
< Possiamo unirci a voi? > chiese, guardando entrambi.
< Sì prego > anche se dentro di me non desideravo che il contrario.
< Ti hanno finalmente licenziato o ti concedono pure il giorno libero, cameriera? > sibilò Jamie.
Sentii Jean irrigidirsi al mio fianco e lo guardai per calmarlo. Non doveva intervenire.
La questione era tra me e quell'idiota. Noi due e basta.
< Ci speravi eh? E invece mi danno la domenica libera per evitare di vedere la tua faccia. Peccato. Non avevano previsto che ti incontrassi anche qui! >.
Mi alzai e mi allontanai un attimo, guardando Amelie così da invitarla a seguirmi.
< Ma che ti è saltato in mente di portarli qui? E soprattutto, cosa diavolo ci fai con quelli? > chiesi irritata appena fummo fuori dalla portata del gruppo.
< Sofia, io non sapevo che tu fossi qui con Jean. E poi sono simpatici >.
Io feci una smorfia disgustata.
< Si simpatici come il diabete mellito! >.
< Devi sempre esagerare eh? >.
< Non esagero Amelie. Tu non sai di cosa è capace quella gente. Sono solo dei bambini viziati! >.
< Non fare l'adulta adesso. E poi volevo chiederti una cosa, ma mi sa che mi è passata la voglia! >.
Era delusa. Si girò per ritornare dagli altri ma le presi un braccio.
Dovevo fare buon viso a cattivo gioco, altrimenti rischiavo per colpa loro di litigare con lei.
< Scusa ho esagerato. Dai dimmi che sono curiosa >.
Il suo viso ritornò quello sereno di sempre.
< Jamie ha organizzato una festa a casa sua per il prossimo sabato. Ci andiamo vero? >.
Non potei fare a meno di notare che sottolineò il “ci”. Voleva che partecipassi anch'io.
L'idea non mi attirava affatto, soprattutto perchè includeva lui.
Ma non potevo dirle di no.
A lei Jamie piaceva, era evidente, ed era sorda a qualsiasi rimprovero mosso nei suoi confronti.
< Sì, ci andremo >.
Mi abbracciò soffocandomi. Almeno lei sarebbe stata felice.



Spazio autrice:
-vero: visto che c'è ancora il punto di vista di Jamie, contenta? Spero tu non ne abbia sentito la mancanza XD
-mary: ho pubblicato appena ho potuto, grazie per esserci sempre!
-kety: cara! grazie per aver letto due volte la dramione e per i complimenti, sei troppo buona! spero che questo capitolo ti sia piaciuto altrettanto..

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