L'ombra del passato

di Carme93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il passato ritorna sempre ***
Capitolo 2: *** La Tana ***
Capitolo 3: *** Basta un sorriso ***
Capitolo 4: *** Bentornati nonni ***
Capitolo 5: *** La prima bacchetta magica ***
Capitolo 6: *** L'espresso di Hogwarts ***
Capitolo 7: *** Smistamento ***
Capitolo 8: *** L'inizio di un'avventura ***
Capitolo 9: *** Quiddtch ***
Capitolo 10: *** Nuovi misteri ***
Capitolo 11: *** Antiche leggende ***
Capitolo 12: *** La forza dell'amicizia ***
Capitolo 13: *** I folletti ed il custode ***
Capitolo 14: *** Dolcetto o scherzetto? ***
Capitolo 15: *** Grifondoro contro serpeverde ***
Capitolo 16: *** La festa dell'amicizia ***
Capitolo 17: *** Un bianco Natale ***
Capitolo 18: *** Curiosità. Attenzione maneggiare con cura ***
Capitolo 19: *** Scoperte spiacevoli ***
Capitolo 20: *** La dolce Tassorosso ***
Capitolo 21: *** La bontà di Tosca ***
Capitolo 22: *** Gioco di squadra ***
Capitolo 23: *** Giochi pericolosi ***
Capitolo 24: *** Il fantasma di Silente ***
Capitolo 25: *** Finale: Grifondoro contro Corvonero ***
Capitolo 26: *** Lo smeraldo di Salazar ***
Capitolo 27: *** Ricordare, per non dimenticare ***
Capitolo 28: *** Il solstizio d'estate ***
Capitolo 29: *** L'erede dei Fondatori ***
Capitolo 30: *** Finalmente le vacanze estive ***



Capitolo 1
*** Il passato ritorna sempre ***


Capitolo 1
Il passato ritorna sempre
L
La sveglia suonava già da qualche secondo ed una mano cieca vagava sul comodino nel tentativo di spegnerla . Finalmente ci riuscì e la stanza piombò di nuovo nel silenzio, mentre la luce del mattino entrava dall’ampia finestra, che apriva sulla parete di sinistra. La mano si ritrasse. Un uomo emerse dalle lenzuola e sedette sul letto, lasciando che gli occhi si abituassero alla luce. I capelli neri, folti e disordinati li ricadevano sugli occhi verdi smeraldo.
«Harry»
L’uomo si voltò a guardare teneramente la moglie, che s’era appena svegliata. Era bellissima. Dopo quindici anni di matrimonio era sempre uguale. Lì, distesa placidamente, quasi indifesa, sembrava la stessa ragazzina che aveva baciato per la prima volta a sedici anni. Si chinò a baciarla e percepì il suo profumo, che gli ricordava al tempo stesso la torta di melassa, l’odore del legno d’un manico di scopa e quello dei fiori della Tana, la casa dei suoi suoceri.
«Scusami, Ginny, amore, non volevo svegliarti» sussurrò.
Lei ricambiò il bacio e lo lasciò andare in bagno a farsi la doccia. Solo quando rientrò in camera si decise ad alzarsi. Si mise la vestaglia con l’intenzione di scendere al piano di sotto per preparare la colazione, ma prima si fermò per un momento a controllare la sua bambina, che a fine mese avrebbe compiuto undici anni. Quello era l’unico momento in cui la piccola peste era tranquilla. Era adorabile mentre dormiva stretta ad un peluche a forma di drago, un regalo del loro carissimo e grandissimo amico Rubeus Hagrid. Entrata in cucina si mise ai fornelli, riflettendo sulla giornata che stava cominciando: aveva un appuntamento alla redazione del giornale per cui lavorava ed avrebbe dovuto lasciare la bambina a qualcuno, poiché a casa da sola avrebbe rappresentato un pericolo per sé e per l’edificio. Non c’erano molte soluzioni: allo zio George, ai nonni o alla zia Audrey. Le avrebbe permesso di scegliere, anche se sicuramente non avrebbe minimamente preso in considerazione la terza possibilità. Naturalmente la piccola voleva bene alla zia, ma da sola con lei si sarebbe annoiata visto che le cugine erano ancora entrambe ad Hogwarts; senza dimenticare che avrebbe preferito evitare lo zio Percy. Suo fratello Percy era stato eletto da tutti i nipoti “Zio più noioso del secolo”, anche se nessuno di loro fino a quel momento aveva avuto il coraggio di consegnargli l’ambito premio. Ridacchiò. I ragazzi non avevano tutti i torti, suo fratello era sempre stato alquanto pedante fin da ragazzino ed aveva sempre giudicato severamente il comportamento dei suoi fratelli, che non erano precisi e rigorosi come lui. Ed ancora oggi si permetteva alle volte di intromettersi nel loro modo d’educare i figli e ciò le dava incredibilmente fastidio. Purtroppo Percy troppo spesso sembrava dimenticare che nella sua ossessiva tensione alla perfezione aveva commesso un grave errore da ragazzo: aveva giudicato i suoi genitori e ciò in cui loro credevano e per questo s’era allontanato dalla famiglia in un momento particolarmente difficile e cupo; dopo due anni, ammettendo finalmente il suo errore, era tornato in seno alla famiglia. Era stato riaccolto e perdonato da tutti. Nonostante l’apparenza lei, però, era certa che ancora il fratello si sentisse in colpa per quanto era avvenuto. Adesso quella storia era tabù, loro madre non ne sopportava nemmeno un accenno. Lei non sapeva se l’avesse raccontato alle sue figlie, ma sicuramente la moglie Audrey doveva esserne a conoscenza, in quanto si erano incontrati proprio in quel periodo. Il suono improvviso del campanello la riscosse dai suoi pensieri.
«Vado io» disse Harry, che stava scendendo le scale.
Lo sentì parlottare con qualcuno, probabilmente il postino.
Harry chiuse la porta ed osservò la lettera. Il suo cuore perse parecchi battiti. Rimase immobile per qualche minuto. Si pizzicò, credendo di sognare. Si fece male.  Era sveglio, terribilmente sveglio.  Gli tremavano le mani, ma si fece forza e l’aprì. Era abbastanza breve:

Caro Harry,
come stai? Io bene ed anche mamma e papà. Lo ammetto è un modo stupido di cominciare, come se non fossero passati ventidue anni dall’ultima volta in cui ci siamo visti. Mi dispiace per quello che è accaduto in passato e vorrei ricominciare daccapo. Io mio sono fatto una bella famiglia, spero che a te sia successa la stessa cosa. In più ho bisogno anche del tuo aiuto, non saprei a chi altri chiederlo. Non mi prendere per ipocrita. Per quanto tu forse non ci crederai sono cresciuto e non sono più lo stesso ragazzo prepotente e viziato. Abito con i miei. Ci farebbe piacere se venissi a cena da noi sabato con la tua famiglia.
Tuo cugino,
Dudley Dursley

«Harry, ti senti bene?»
Ginny preoccupata aveva fatto capolino dalla cucina per capire il motivo per cui il marito si attardava nell’ingresso. Lui la osservò per un attimo. Dalla sua espressione comprese che doveva essere sbiancato. Annuì a fatica. I sentimenti più diversi si facevano strada dentro di lui.
«E’ la bolletta della luce?»
Harry scosse la testa e le porse la lettera. Lei la prese e cominciò a leggerla, ma dovette sedersi per la sorpresa. Cercò la sua mano, quasi a rassicurarlo come se volesse dirli che nessuno lo avrebbe più maltrattato come in passato. Insomma come accidenti quella gente poteva ancora farsi sentire dopo tutto le sofferenze che aveva inflitto ad Harry? Harry Potter loro non l’avevano mai compreso, meno che mai amato. La sfrontatezza di quello l’uomo la irritava: chiedergli un favore dopo averlo usato come punching-ball per ben dieci anni!!!!
«E’ successo qualcosa ad Al od a Jamie?»
Solo in quell’istante Ginny ed il marito si accorsero della presenza della figlia, che probabilmente aveva visto i loro volti agitati e s’era preoccupata. In più, essendo molto sveglia, aveva notato la lettera sul tavolo ed il primo collegamento che aveva fatto era con i fratelli lontani.
«No. E’ tutto a posto» la rassicurò, subito Harry.
«Jamie è finito di nuovo nei guai?» insistette lei. 
«No, tesoro. La lettera non viene da Hogwarts» rispose Ginny.
La bambina parve rassicurata. Al e Jamie erano i suoi fratelli maggiori ed era particolarmente legata ai due.
«La lettera è di mio cugino» sospirò Harry, ben consapevole che avrebbe fatto in modo di scoprire il contenuto della lettera in ogni modo.
Lei aggrottò la fronte riflettendo e poi disse:
«Quello di cui non ti piace parlare?»
«Quello»
Harry, quando i suoi figli avevano cominciato a fare domande come ogni bambino, aveva dovuto trovare il modo di rispondere a quelle che riguardavano la sua famiglia. Era stato difficile.  Harry Potter non era un uomo comune. Era quanto di più anormale si possa immaginare: era un mago. La sua natura non era mai stata accettata dalla famiglia Dursley, che l’aveva accolto all’età di un anno ormai orfano di entrambi i genitori, James e Lily Potter. Petunia Dursley era la sorella di sua madre e per questo motivo nel disegno dell’uomo che aveva affidato loro il bimbo avrebbero dovuto volerli bene. Ma così non era stato. L’ avevano sempre disprezzato e maltrattato. Per dieci anni era stato infelice, aveva ignorato la sua identità, la verità sui suoi genitori e la sua vera natura. Poi il giorno del suo undicesimo compleanno Rubeus Hagrid, Custode dei luoghi e delle chiavi di Hogwarts, una delle più prestigiose scuole di magia d’Europa, gli aveva racconto tutto. Era esistito un mago molto cattivo, il più cattivo di tutti i tempi, che aveva cercato di dominare il mondo magico gettandolo nella paura e nel dolore. Una profezia gli aveva ricordato ciò che ogni tiranno in cuor suo teme: un rivale, che avrebbe avuto un potere a lui sconosciuto e ne avrebbe potuto determinare la fine. Aveva designato lui, alla tenera età di un anno, “come suo eguale”. Aveva attaccato la sua famiglia. Aveva ucciso suo padre per primo, poi sua madre che si era frapposta tra lui ed il figlio. Un uomo cattivo difficilmente potrà mai capire il valore dell’amore e Lord Voldermort, questo il suo nome, o più semplicemente Tom Orvoloson Riddle, non l’aveva mai capito. Sua madre con quel gesto gli aveva donato l’arma che l’avrebbe salvato in futuro, decretando la definitiva sconfitta del mago oscuro.
«E che vuole?» chiese ancora la bambina.
«Vuole fare la pace. Ci ha invitati a casa sua sabato» spiegò Harry.
«Oh… ma non ci saranno Al e Jamie…»
I due figli maggiori frequentavano rispettivamente il secondo ed il terzo anno ad Hogwarts e sarebbero rientrati a casa per le vacanze estive solo la settimana successiva. Osservò la sua adorata figlia, che aveva ereditato i capelli rossicci della nonna ed aveva la stessa grinta di Lily Evans e della madre. Lei non aveva minimamente pensato che il padre stesse meditando di non andarci proprio, in quanto sia lui che Ginny le avevano insegnato l’importanza di preferire sempre la pace alla guerra e quindi dava per scontato che questo valesse anche per il famigerato cugino.
«Harry, che vuoi fare?» chiese Ginny.
Che il passato non si potesse mai eliminare e che alla fine sarebbe tornato a bussare prepotentemente alla porta di ciascuno di noi, l’aveva capito fin troppo bene quando non aveva raccontato nulla a Jamie ed ad Al sulla guerra contro Lord Voldermort. James l’aveva scoperto i primi giorni ad Hogwarts, scoprendo la fama del padre e conseguentemente notando come i compagni inizialmente lo trattassero diversamente, quasi con un misto di devozione e riverenza. L’anno successivo sull’Espresso di Hogwarts s’era premurato di raccontare tutto al fratello più piccolo ed alla cugina Rose. Visti i risultati e le conseguenti recriminazioni dei figli, aveva già raccontato tutto alla più piccola, dopo aver vietato ai grandi di farlo al suo posto. E così avevano fatto i suoi migliori amici e cognati Hermione e Ron Weasley con il loro secondogenito Hugo, il fratellino di Rose.
«Devo rifletterci…tu che cosa ne dici?»
«Non so…Devi fare quello che ti senti…che cos’è che diceva Silente? E’ più facile perdonare quando si ha ragione, che quando si ha torto?».
Harry la guardò. Erano le parole che Albus Silente aveva usato per spiegare alla suocera Molly Weasley come mai il figlio Percy, anche se s’era accorto che i genitori avevano ragione, non era ancora tornato a casa. Albus Silente, Preside di Hogwarts per quasi trent’anni ed uno dei più grandi maghi della storia, era stato per Harry un importante punto di riferimento nel suo percorso di crescita e preparazione ad affrontare il suo destino. Era un uomo straordinariamente intelligente, ma alle volte strano. Di consigli ne aveva dati parecchi, e molto raramente aveva sbagliato nei suoi giudizi.
«Mi stai dicendo che dovremmo andarci?»
«Silente avrebbe detto che è la cosa giusta da fare…anche se devo ammettere di non avere molta voglia di conoscerli»
Harry rimase qualche secondo in silenzio, poi disse: «Sabato andremo da mio cugino, Lily. Al e Jamie lo conosceranno un’altra volta, ma porteremo con noi anche Teddy e Victoire».
Teddy era il suo figlioccio ed aveva fatto in modo che si sentisse come uno dei suoi figli. Ed i quattro avevano imparato a trattarsi come fratelli. Era fidanzato con Victoire, la primogenita di suo cognato Bill, il fratello più grande di Ginny. Era un mago molto abile, portato particolarmente per la trasfigurazione tanto che la sua professoressa non solo l’aveva aiuto a diventare animangus (si tratta di una pratica molto difficile e pochi maghi ci provano) ma gli aveva anche promesso il suo posto al momento del suo pensionamento. Da poco il ragazzo aveva sostenuto gli esami finali presso l’Accademia Auror e tutti ne aspettavano con ansia i risultati. Nonché Harry avesse qualche dubbio sul risultato positivo. Era molto fiero del suo figlioccio.
«Ma ha figli?» indagò Lily
«A quanto pare sì»
«Della mia età?»
«Non lo so, Lily»
«Su, facciamo colazione» li esortò Ginny, prima che la bambina torturasse il padre con le sue domande.
                                        *
«Allora mi raccomando. Lily niente magie e niente giochetti strani. Teddy non cambiare aspetto e controlla il colore dei capelli…». Il suo figlioccio era un metamorphomagus, capacità che aveva ereditato dalla madre Ninfadora Tonks, ma ormai aveva imparato a controllare perfettamente i suoi poteri, anche se in momenti di particolare emozione perdeva il controllo. Il ragazzo sbuffò divertito, ma prima che potesse affermare qualcosa fu Ginny a parlare: 
«Harry, ti prego. Datti una calmata. Andrà tutto bene»
Erano più di dieci minuti che girava intorno al tavolino del piccolo soggiorno annesso alla cucina e ripeteva le stesse identiche istruzioni ai ragazzi, che ormai le conoscevano a memoria. Harry annuì e si mosse verso l’ingresso.
«Andiamo, su» esortò gli altri Ginny.
Harry guidò in silenzio per quasi tutto il tragitto, mentre i ragazzi seduti nel sedile posteriore ridevano e scherzavano. Lily aveva preso posto tra Victoire e Teddy e la sua figura minuta da bimba si perdeva fra i due ragazzi ormai grandi. Teddy aveva ventun anni e, nonostante lo sport e l’attività fisica che all’Accademia Auror certo non mancavano, era smilzo ed i muscoli non si notavano particolarmente sotto l’elegante camicia azzurra. Sorrideva divertito, mentre la sorellina acquisita lo aggiornava su quanto era accaduto nella lunghissima settimana in cui non si erano visti. Altrettanto attenta si mostrava Victoire, che aveva ereditato un ottavo di sangue Veela dalla madre e la sua bellezza ne era la conferma: i biondi capelli erano lunghi fino alla vita, gli occhi azzurri, ereditati invece dal padre, erano vispi ed intelligenti ed i lineamenti del viso erano delicati e graziosi. Ad Hogwarts la gran parte della popolazione maschile ci aveva provato, ma purtroppo per loro aveva occhi solo per Teddy; per questo quando si era diplomata i ragazzi non erano stati particolarmente dispiaciuti ed aveva rivolto subito tutta la loro attenzione verso sua sorella Dominique, altrettanto bella. In quel momento Harry provava un misto di emozioni diverse, che minacciavano di travolgerlo. Non riusciva a discernerle le une dalle altre e così si riducevano a nulla. Si sentiva vuoto. Le voci dei ragazzi lo raggiungevano come da un’altra dimensione. Percepiva su di sé lo sguardo di Ginny. Doveva stare tranquillo. Era insieme alla sua famiglia e sarebbe andato tutto bene. Che cosa avrebbero potuto farli? Ora era un uomo adulto, non potevano certo tiranneggiarlo come quando aveva tredici anni. E poi che cos’era quell’aiuto a cui Dudley aveva accennato?
«Harry. Harry, ma è vero?»
Lui si riscosse dai suoi pensieri al richiamo di Teddy.
«Che cosa?» chiese.
«Jamie in bichini» sghignazzò Lily.
Sbuffò, ma non poté fare a meno di sorridere anche lui.
«Sì, la professoressa McGrannit mi ha scritto la settimana scorsa»  
I tre risero più forte.
«Avevano fatto una scommessa con Freddie. Dovevano fare dalla Sala Comune al Lago Nero e ritorno; ma li ha beccati Gazza» spiegò. Per curiosità gettò uno sguardo dietro di sé e vide che avevano le lacrime agli occhi per il gran ridere.
«Qualcuno…li ha…fatto…una foto?» chiese Teddy a scatti.
«Sì, Dominique ha promesso di farne una copia per tutti» rispose Ginny, la cui ira per l’ultima bravata del figlio s’era ormai placata.
«Magari…ci …fanno…anche l’autografo» sghignazzò Lily.
Dopo un po’ arrivarono a Privet Drive numero quattro. La casa era sempre la stessa: perfetta e curata come se non fossero nemmeno trascorsi ventidue anni.
«Allora ragazzi, mi raccomando…» iniziò Harry dopo essere sceso dalla macchina.
«Niente magia e niente metamorfosi» conclusero loro in coro, ridendo.
«Andiamo» disse Ginny prendendolo per il braccio e spingendolo avanti.
Suonò il campanello in trepidante attesa. Il suo cuore perse qualche battito e si sentì stringere lo stomaco. Non era scappato davanti al mago più potente del mondo, ma l’avrebbe fatto molto volentieri in quel momento. Ad aprire la porta fu un bambino, così identico a Dudley, che se non avesse avuto circa una cinquantina di chili in meno rispetto al cugino da piccolo, anche se era un po’ paffuto, avrebbe creduto di essere tornato indietro nel tempo. Una donna alta e bionda lo seguiva e sorrise loro.
«Buonasera» salutò lei «Tu devi essere Harry»
«Ehm sì. Molto piacere»
«Il piacere è mio. Accomodatevi»
All’interno la casa aveva un altro aspetto diverso rispetto al passato, quantomeno dava tutta un’altra sensazione. Harry la seguì lungo lo stretto e famigliare corridoio che conduceva in cucina. Ignorò a fatica il ripostiglio del sottoscala dove aveva dormito per dieci anni.
«Scusatemi, non mi sono ancora presentata» disse la donna con un sorriso «Io sono Shary, la moglie di Dudley. E lui è Vernon».
Ginny le strinse la mano: «Sono Ginny, piacere».
Harry notò gli zii in un angolo, che li guardavano con sospetto e si chiese quanto li avesse forzati Dudley per convincerli ad invitarli a cena. Non erano felici di vederli. A zio Vernon pulsava già la vena sulla tempia, e per esperienza sapeva che era un segnale di pericolo, e zia Petunia era incredibilmente pallida. Entrambi, però, sembravano sollevati nel vederli vestiti normalmente. I maghi, infatti, come loro stessi avevano modo di vedere più volte in passato, indossavano lunghe vesti e tuniche dai colori spesso eccentrici. Negli ultimi tempi, però, le nuove generazioni preferivano di gran lunga vestire alla babbana (i maghi definiscono babbani coloro che non sono dotati di poteri magici). I suoi zii avevano sempre amato la normalità ed avevano cercato di custodirla gelosamente; con l’arrivo del nipote tra i piedi era diventato molto difficile. Shary sembrava a disagio, di solito avrebbe presentato gli ospiti ad i suoi suoceri, ma in questo caso si conoscevano già. A spezzare il silenzio ed il suo disagio, fu proprio Harry che sospirò e porse la mano agli zii, che con riluttanza la strinsero. Poi disse loro:
«Vi presento mia moglie Ginny e la mia figlia più piccola Lily…»
«Lily? L’hai chiamata Lily?» chiese basita la zia.
«Già, come mia madre» rispose lui in tono di sfida.
«E’ uguale a lei…voglio dire è uguale a mia sorella alla sua età, a parte gli occhi…».
«Ha gli occhi di Ginny» annuì lui «Gli occhi di mia madre gli ha ereditati solo il mio secondogenito Albus. Lui e James, il più grande, sono a scuola» dal tono in cui lo disse voleva far capire allo zio che si trattava di Hogwarts e dall’espressione che assunse capì di essere stato chiaro. Poi aggiunse:
«Lui è Teddy, il mio figlioccio, ma è come se fosse mio figlio e lei è la sua fidanzata nonché mia nipote, Victoire».
«Harry, benvenuto».
Harry si voltò. Riconobbe subito suo cugino, anche se era cambiato parecchio: era dimagrito e diventato molto più muscoloso. Sorprendendolo ancora una volta lo abbracciò. Dudley si presentò agli altri. Dietro di lui si nascondeva una bambina, anche lei all’incirca dell’età di Lily, come il maschietto.
«Ehi BigD, ti sei dato da fare» disse Harry usando il soprannome con cui i suoi amici lo chiamavano da ragazzo.
Lui rise.
«Lei è Petunia. Vedo che Vernon l’avete già conosciuto. Sono gemelli».
Harry a sua volta gli presentò la sua famiglia. Per un attimo scese un silenzio imbarazzato. Shary si allontanò con il pretesto di controllare la cena.
«Allora BigD come te la passi?» chiese Harry sforzandosi di fare conversazione.
«Bene, sono il vicepresidente nella ditta in cui lavorava anche papà. Ricordi la Grunnings?»
«Producete sempre trapani?» chiese Harry con un accenno divertito.
«Già. Ed ho anche continuato a lottare. Come dilettante, s’intende» sorrise Dudley «Mia moglie prima di rimanere incinta faceva gare di nuoto ad alti livelli».
«E quello…quello di voi che proteggeva il nostro primo ministro?» a parlare era stato zio Vernon nella speranza di portare il discorso nelle sue mani. Harry si sforzò di non sbuffare, davanti all’ennesima conferma che gli zii non erano cambiati poi tanto.
«Intendi Kingsley Schacklebolt? Sta bene, grazie. E’ stato nominato primo ministro per tre mandati di fila. S’è sposato ed ha avuto due figli».
«Ottimo, ottimo» commentò l’altro. Harry alzò gli occhi al cielo. Dudley fece per parlare, ma fu interrotto da una Lily eccitata:
«Oooooh, papà. Non avevi detto che loro non sono come noi?»
Harry si girò di scatto per vedere di che cosa stesse parlando la figlia. Per poco non gli prese un colpo: una pallina rossa volava davanti ai bambini. Il suo primo istinto fu quello di rimproverare la figlia, ma fu preceduto dal cugino:
«Ragazzi, vi prego smettetela».
«Non sono stata io. E’ Vernon» ribatté infastidita Petunia.
 La vena di zio Vernon minacciava di scoppiare, Dudley era impallidito.
«Volevo far vedere a Lily che cosa so fare…» si giustificò, ma all’occhiataccia del nonno tacque.
«Papà. Papà allora la possiamo usare la magia?» chiese Lily.
«No, Lily. Giocate senza magia per adesso» rispose Ginny, accorrendo in aiuto del marito ancora troppo scioccato.
«E-e-era questo il problema di cui dovevi parlarmi?» chiese Harry balbettando all’inizio. Shary, che aveva assistito alla scena, si sedette accanto al marito.
«Si, avrei voluto parlartene con calma dopo cena».
«Ci abbiamo provato» sbottò, però, zio Vernon «li abbiamo portati nei migliori ospedali del paese, nei centri psichiatrici più rinomati e costosi. Non abbiamo badato a spese. Prima Vernon e poi anche Petunia».
«CHE COSA?» lo interruppe Harry urlando e si alzò in piedi «COME HAI POTUTO? COME? VOLETE FAR PASSARE AI VOSTRI NIPOTI QUELLO CHE AVETE FATTO PASSARE A ME? AVETE GIA’ COMINCIATO A CHAMARLI “SPOSTATI”? “ANORMALI”? LA VERITA’ E’ CHE VOI NON CAPIRETE MAI!!!!! ZIA PETUNIA, VEDI CHE IO SO COME SONO ANDATE LE COSE. LO SO!!!! TU ERI GELOSA DI MIA MADRE, SARESTI VOLUTA ANDARE ANCHE TU AD HOGWARTS. HAI SUPPLICATO SILENTE, PERCHE’ TI PERMETTESSE DI ANDARCI. NEGALO SE NE HAI IL CORAGGIO» guardò la zia con occhi rossi.
La donna era completamente impallidita e con difficoltà chiese:
«C-co-come lo-lo sai?».
«Che te ne frega» sibilò «E’ la verità. ED ADESSO VOLETE FORSE MALTRATTARLI COME AVETE FATTO CON   ME? BEN VI STA. Si dice che il male che uno compie ritorna sempre. Avete la possibilità di rimediare ai vostri errori, fatelo». Tornò a sedersi e si coprì il volto con le mani nel tentativo di calmarsi. Di sfuggita vide le espressioni spaventate di Teddy, Vic e Lily. Nessuno di loro l’aveva mai visto perdere il controllo così. Ginny era rimasta impassibile.
«Non voglio che i miei figli siano infelici». Tutti osservarono Shary. Harry in quel momento ammirò la moglie del cugino, in quel momento era così simile a Ginny. Tutte le madri erano uguali, quando devono proteggere i figli. Era sicuro che sarebbe stata ben in grado di farlo anche senza l’ausilio di una bacchetta magica.
«Che cosa devo fare perché siano felici?».
Dudley teneva gli occhi fissi sulle ginocchia e sembrava sul punto di scoppiare a piangere, ma quando parlò la sua voce era ferma. Si rivolse direttamente ai suoi genitori.
«Mamma…papà…se i nostri figli sono maghi…non permetterò a nessuno di trattarli come dei mostri».
«Che cosa siamo noi?» chiese Vernon.
«Smettila di intrometterti nelle discussioni degli adulti» lo sgridò il nonno, guardandolo male.
«Maghi. Siete maghi» rispose Harry, ignorando lo zio «Chiedimi ciò che vuoi Vernon. E’ normale che tu sia confuso».
«Q-quello c-che faccio è magia?» balbettò, intimorito dal nonno.
«Che cos’è che fai?».
«Beh per esempio una volta ho desiderato che il vaso della nonna si aggiustasse e quello è tornato integro, come se non fosse mai stato colpito da una pallonata» sussurrò evitando lo sguardo degli adulti.
«Sì, è magia. Quando si è piccoli, si parla di magia inconsapevole. Solitamente quando si prova un’emozione intensa».
«Guarda» disse Teddy e con un gesto della bacchetta cambiò il colore della maglia del bambino da blu a rosso.
«Uao» approvò lui, mentre la sorella rimaneva in silenzio.
«Incantesimo cambia - colore» spiegò il ragazzo.
«Me lo puoi insegnare, per favore?»
«No» intervenne Harry «Imparerai ad Hogwarts, se vorrai andarci».
«Hogwarts?» chiese Shary, evidentemente preoccupata.
«Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Una delle più prestigiose scuole d’Europa».
«Io ci andrò a settembre» annunciò Lily eccitata.
«Perché non continuiamo la discussione a tavola?» propose Dudley.
«Shary, devi stare tranquilla, Hogwarts è un’ottima scuola» cercò di tranquillizzarla Ginny. La cena fu abbastanza piacevole e quando terminarono Petunia chiese alla madre se poteva mostrare la sua stanza a Lily. Lei acconsentì subito. Era palese che gli adulti volessero restare soli a parlare. Lily non ne fu contenta, preferiva ascoltare le loro conversazione di solito e quindi seguì la cugina di malavoglia. Salirono al piano di sopra e Petunia li condusse in una stanzetta, che Lily constatò fosse la metà della sua. Era molto graziosa ed ordinata.
«Che ne dici?» le chiese la cugina.
Lily era orripilata e l’unica cosa che riuscì a dire, con evidente disgusto, fu:
«E’ tutta rosa».
In effetti le tende, il copriletto, le mensole e vari peluche erano tutti rosa.
«Già, non è bellissima?».
Lily che non voleva essere scortese, si limitò ad un falsissimo: «E’ carina».
«Senti devi assolutamente rispondere ad alcune mie domande. Com’è Hogwarts? Devo saperlo. Sai, io sono sempre stata la migliore della mia scuola elementare. Anzi la migliore in tutto ciò che ho fatto. Sono sempre la migliore. Infatti i nonni mi adorano. Ora non voglio essere impreparata».
Aveva detto tutto ciò senza quasi riprendere fiato e contemporaneamente il fratello aveva assunto un’aria depressa, che Lily non era riuscita ad interpretare.
«Le scuole sono tutte uguali» rispose.
«Si, vabbè. In questa si studia la magia, no? Quindi non è come tutte le altre scuole».
«E’ più divertente in effetti. Il Quidditch è bellissimo, e i ragazzi dal secondo anno in poi possono provare ad entrare nella squadra della loro Casa» replicò eccitata. 
«Che cosa sono il Quidditch e le Case?».
«Il Quidditch è lo sport più diffuso tra i maghi, come il calcio per i Babbani. Si gioca su i manici di scopa, con tre palle diverse e vi sono diversi ruoli» disse con voce monotona, di solito non avrebbe mai smesso di parlare del suo sport preferito, ma Petunia le dava fastidio «Per quanto riguarda le Case, ad Hogwarts ne esistono quattro: Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde. Prendono i loro nomi dai fondatori della Scuola. La prima sera ti smistano. Io voglio essere una Grifondoro come tutta la mia famiglia».
«Ci smistano?» chiese Vernon parlando per la prima volta, da quando erano saliti in camera.
«C’è un cappello magico, il Cappello Parlante, che ti legge la mente e scopre quali sono le tue qualità».
«Che tipo di qualità?».
«I Grifondoro sono i coraggiosi e puri di cuore, i Tassorosso sono quelli buoni ed onesti, i Corvonero quelli particolarmente intelligenti ed i Serpeverde sono quelli furbi ed antipatici».
«Che materie si studiano?» continuò l’interrogatorio ed intercettando l’espressione di Vernon aggiunse «E non alzare gli occhi al cielo, è perché non ti preoccupi per niente che sei sempre l’ultimo della classe».
Lily la guardò malissimo, ma la lite fu sviata da Shary che li chiamò dal piano di sotto. Lei obbedì immediatamente e gli altri due furono costretti a seguirla. Vernon, mentre si salutavano, sussurrò alla cugina: «Se ho bisogno di farti domande, posso chiamarti?».
La bambina colse la sua preoccupazione e capì che le parole di Petunia non contribuivano certo a tenere alta l’autostima di Vernon, sempre se ne aveva una. Prese un pennarello su un mobile e gli scrisse il numero di telefono sul braccio, senza che gli adulti se ne accorgessero. Gli diede un bacio sulla guancia e sussurrò:
«Sicuramente ci vedremo presto. Non fatti mettere sotto da Petunia».
Poi vide il padre scompigliarsi nervosamente i capelli: quella serata era durata troppo per lui. Gli si avvicinò e gli circondò la vita con un braccio, come a dirgli che lei era lì e doveva stare tranquillo. Lui comprese e ricambiò la stretta, mentre uscivano dalla villetta. Il muro tra i due mondi di Harry e dei Dursley, però, sembrava essere finalmente crollato.
re.

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Capitolo 2
*** La Tana ***


La Tana

  Harry, anche se con molta difficoltà, aveva riallacciato i  rapporti con suo cugino Dudley. Non si era sorpreso per niente, però, nel costatare che gli zii non ne erano felici e stavano facendo solo buon viso a cattivo gioco: come sempre, anche in questo caso, non erano riusciti a dire di no al loro amatissimo e viziatissimo figlio. Erano trascorse ormai un paio di settimane dal loro incontro e non poteva fare a meno di pensare che nessuno dei due aveva avuto il coraggio di richiamare l’altro. Diede un’occhiata ai fogli che aveva davanti nel tentativo di concentrarsi sul suo lavoro. Era seduto al tavolo della cucina illuminata dal tiepido sole di luglio, ma proprio non aveva voglia di concludere quel rapporto sull’ultimo intervento dei suoi Auror. Improvvisamente due ragazzine entrarono dalla porta sul retro e corsero verso le scale, che portavano al piano superiore, seguite a ruota da un ragazzino.
«Non correte» disse mollemente, consapevole che non l’avrebbero ascoltato.
«Si, zio» rispose Hugo, voltandosi solo un attimo verso di lui. I suoi capelli rossi, gli occhi azzurri e una spruzzatina di lentiggini sul viso lo identificavano perfettamente come un Weasley. Aveva ereditato la sensibilità e l’intelligenza della madre Hermione, ma l’impulsività e l’insicurezza di Ron. Le due ragazzine che lo avevano proceduto erano le sue migliori amiche: Lily ed Alice Hannah Paciock, figlia di un caro amico di famiglia, Neville Paciock. Si conoscevano fin da piccolissimi ed erano inseparabili. A settembre avrebbero iniziato a frequentare Hogwarts insieme. Un gufo, entrato dalla finestra e planato sul tavolo, lo riscosse dai suoi pensieri. Prese la lettera, che l’animale teneva legata alla zampa e lo lasciò volare via. Riconobbe subito il simbolo sulla busta di pergamena giallastra e con un moto di emozione chiamò, avvicinandosi alle scale:
«Teddiiii, Teddiiiiii. Sono arrivati i risultati»
Non fece in tempo a sedersi nuovamente, che sei furie scesero le scale correndo e si precipitarono in cucina. Stavolta non ci provò nemmeno a rimproverarli e porse la lettera al figlioccio. Lui la prese e la osservò in silenzio per qualche secondo.
«Se non hai il coraggio la apro io» lo apostrofò James Sirius, primogenito di casa Potter.
Teddy lo ignorò e lesse:
ACCADEMIA AUROR
ESAME FINALE
ANNO 2019
Numero canditati 15
Numero promossi 5
 
Egregio signor Ted Remus Lupin,
Le comunichiamo con sommo piacere che lei ha superato l’esame finale dell’addestramento Auror della nostra Accademia. Da oggi lei è ufficialmente un Auror del Ministero della Magia. Le porgiamo i nostri più sentiti auguri. E’ pregato di presentarsi domani mattina al Dipartimento Auror alle 9:30. Alleghiamo alla presente il diploma, che dovrà presentare al Ministero ed i risultati conseguiti nelle macro aree di esame.
 
Voti: A (livello eccezionale)
          B (livello buono)
          C (livello discreto)
 
Esiti:
DIFESA CONTRO LE ARTI OSCURE       A 
POZIONI                                                 B
INCANTESIMI                                         A
TRASFIGURAZIONE                                 A
 
Teddy sorrise ad Harry, che lo osservava preoccupato.
«Evvai Teddy» gridò James, che era salito su una sedia per leggere insieme a lui. Harry lo abbracciò, subito imitato dagli altri. Quando entrarono Ginny ed Andromeda Black, la nonna di Teddy, trovarono Lily, Alice, Hugo e James che saltellavano da una parte all’altra del piccolo soggiorno e gridavano:
«E’ un Auror. E’ un Auror. Ce l’ha fatta!!!!! Ce l’ha fattaaaa!!!!»
Ginny rise e dopo Andromeda abbracciò anche lei il ragazzo. Harry prese una bottiglia di spumante ed una di succo e riempì i bicchieri per tutti i presenti. Ignorando le proteste di James, che voleva lo spumante insieme ai grandi, brindarono: «A Teddy, il nuovo Auror». Harry era davvero fiero di lui. Poco dopo Teddy uscì per andare ad informare la fidanzata ed i suoi amici, alcuni dei quali avevano sostenuto l’esame con lui.
*
La mattina dopo Harry e Ginny accompagnarono i figli alla Tana dai nonni, dove avrebbero trascorso qualche settimana. Nonna Molly fu felicissima di vederli: adorava l’estate, proprio perché la casa era sempre piena ed allegra grazie alla presenza dei nipoti. Una volta i figli ed i nipoti andavano da lei a pranzo ogni domenica, ma ormai i ragazzi stavano crescendo e frequentavano quasi tutti Hogwarts. Naturalmente pretendeva comunque la presenza dei figli almeno una volta alla settimana. Lily, James ed Albus, salutati i nonni, corsero a posare i borsoni nelle loro stanza per poi andare a giocare con i cugini. James trovò Fred nella stanza che condividevano. Era il figlio di zio George e zia Angelina, portava il nome del gemello del padre, scomparso durante la famosa Battaglia di Hogwarts. Aveva compiuto quindici anni a maggio ed avevano festeggiato tutti insieme nella Sala Comune di Grifondoro. Fred era la fotocopia del padre: capelli rossi, lentigginoso, occhi azzurri, ma l’altezza l’aveva ereditata dalla madre. Simpatico e vivace, poco incline allo studio ed al rispetto delle regole, i più ritenevano che fosse il degno erede dei gemelli Weasley. James rimase fermo sulla soglia, troppo scioccato per aprire bocca. Non vedeva l’ora di parlare con lui degli scherzi da fare alla cugina Molly, la più antipatica della famiglia, forse anche più di suo padre, l’insopportabile zio Percy. Fred si voltò e lo vide. Un ghigno malandrino si aprì sul suo volto. Aveva colto lo sconcerto del cugino, che finalmente ritrovò la facoltà di parlare.
«Freddie, stai studiando?».
Quello rise in risposta, ma non chiuse il libro che stava leggendo.
«Pozioni…quindi non parlerei proprio di studio».
James entrò nella stanza, continuando ad osservarlo con sospetto. L’altro sbuffò e si decise a spiegare:
«Mcmillan m’ha proposto di partecipare al concorso “MIGLIOR GIOVANE POZIONISTA” e m’ ha dato dei libri per esercitarmi un poco. Sai la maggior parte dei concorrenti sarà dell’ultimo anno».
James sorrise sollevato: suo cugino stava bene.
«Sono sicuro che vincerai» sentenziò con la sua solita sicumera «Sei il migliore della scuola in pozioni» ignorando del tutto il fatto che gli avversari avrebbero avuto due anni di istruzione più del cugino. Nel frattempo Lily con l’aiuto di zia Jane, la moglie di Charlie, secondogenito di Molly Weasley, aveva portato il borsone nella camera, che una volta era stata della madre. La zia era arrivata alla Tana già da qualche ora con i figli, facendo una sorpresa ai suoceri che li aspettavano solo fra un paio di giorni. Charlie, però, aveva avuto un incarico in Irlanda e lei non aveva avuto voglia di rimanere a casa da sola. Era una donna alta e slanciata, amante degli animali e soprattutto dei draghi, d’altronde non avrebbe sposato Charlie in caso contrario. Insieme i due dirigevano una riserva di draghi in Romania. Lily avrebbe condiviso la stanza con Fabiana, figlia proprio di Charlie e Jane, un concentrato di energia ed allegria con capelli ed occhi neri come quelli della madre ed il volto cosparso di lentiggini; con Roxane, sorella minore di Fred, di carnagione un po’ più scura rispetto a quella del fratello, e Lucy di carnagione molto chiara, come quella della madre. Entrambe avevano i capelli rossi e le lentiggini tipiche dei Weasley. Le tre ragazzine avevano appena concluso il loro primo anno ad Hogwarts. Fabiana e Lucy avevano spezzato la tradizione di famiglia, poiché erano state smistate rispettivamente a Corvonero ed a Serpeverde. La decisione del Cappello Parlante aveva colto di sorpresa tutta la famiglia, ma alla fine i fatti avevano confermato che era stata la scelta giusta. Infatti Fabiana era molto intelligente e si era dimostrata una delle migliori studentesse del suo anno, mentre Lucy era furba e calcolatrice come la peggiore dei Serpeverde (o almeno a giudizio dei suoi cugini). Lily cominciò a tempestare Roxane e Fabiana di domande, benché avesse già fatto il terzo grado ai fratelli, a lei poco dopo si aggiunse anche Hugo entusiasta.
«Vi sconsiglio di scendere di sotto per ora» disse Rose, sorella maggiore di Hugo buttandosi su uno dei letti. Lei condivideva la stanza con le cugine più grandi già da Natale e questo dava parecchio fastidio a Lily, che si era sentita tradita.
«Perché?» chiese Lily
«Nonna discute con zio Percy, ma non ho capito perché…e beh quando zio Percy è alterato è meglio stargli alla larga, no?».
«Discutono sicuramente per Lucy» disse Roxane.
«Roxi, non capisco…che cosa centra Lucy?» domandò Lily, sorpresa, ma la bambina s’accorse che né Rose né suo fratello Albus, che s’era fermato ad ascoltarle, avevano dato segni di sorpresa; ma prima che potesse porre qualche domanda, Rose disse:
«E’ per il risultato degli esami finali, vero?».
Roxi annuì, ma Lily proprio non riusciva a capire: sapeva che ogni anno ad Hogwarts si tenevano degli esami per il passaggio all’anno successivo, ma a parte i G.U.F.O. ed i M.A.G.O., che erano importanti per il loro futuro, aveva sempre creduto non fossero chissà cosa. In fondo suo fratello Jamie era sempre stato promosso e non era molto studioso.
«Non capisco» ammise.
«Ha superato gli esami con una sufficienza stiracchiata».
«E quindi? E’ stata promossa!!!! Anche Jamie ha preso a stento sei in erbologia e storia della magia».
«Lily, non capisce che stiamo parlando di Lucy? Quindi di zio Percy e non di tuo padre».
«Che differenza fa?»
Albus sbuffò e si sedette accanto a Rose e poi rispose alla sorellina:
«Tantissima, direi!!!! Insomma immagina un po’ che cosa avrebbe fatto zio Percy a Jamie in questi tre anni se fosse stato suo padre, dai…ti rendi conto che tipo una volta al mese la McGrannit scrive a mamma e a papà? E Jamie finisce in punizione almeno una volta a settimana…l’ultima l’hai vista, no? Lui e Freddie si sono messi in bikini…certo oddio, questo è stato molto divertente…» cominciò a ridere seguito a ruota dagli altri.
«Insomma» riprese a parlare «lo zio avrebbe avuto un collasso nervoso…»
«No, aspetta, penso che anche zio George avrebbe avuto un colpo se fosse stata Roxi…» sghignazzò Rose.
«Ehi, non mi metterei in bikini davanti a tutta la scuola!!!!» protestò Roxi disgustata.
Tutto risero di nuovo.
«Si vabbè, lei è femmina. A zio George non gli ha fatto né caldo né freddo la pagliacciata di Jamie e Freddie» commentò Albus.
«Comunque Lily, zio Percy non è tuo è padre che ha pazienza. Lui è la perfezione fatta persona, un po’ come Molly, che è la sua fotocopia» concluse Roxi.
«Senza contare che anche Jamie studia più di lei e questo non va giù allo zio» aggiunse Roxi.
Lily rise all’dea che il fratello potesse studiare più di qualcun altro: durante le vacanze estive Teddy si disperava a convincerlo a fare i compiti.
«Jamie che studia non ce lo vedo proprio» commentò.
«Guarda che non è stupido» disse Albus «Anzi è molto intelligente e poi non è che siccome mamma e papà non fanno scenate come quelle di zio Percy, se ne freghino. Lo sai che lo rimproverano sempre, soprattutto mamma».
«Quindi lo zio che vuole fare?» chiese Rose.
«Non vuole farla uscire quest’estate e non vuole nemmeno portarla qui, ecco perché la nonna è furiosa. Meno male che non c’è mio padre se no avrebbero litigato anche loro. Prima che la nonna mi mandasse di sopra, lo zio aveva tirato in ballo anche lui…dicendo qualcosa tipo: “non voglio che finisca come George…” E poi quando siete arrivati voi si è interrotto, probabilmente per non farsi sentire da zia Ginny e adesso avranno ripreso».
«Che scemo» borbottò Lily.
«Venite a giocare in giardino?»
Tutti si voltarono ad osservare i nuovi venuti.
«Ciao ragazzi. Certo arriviamo» risposero Lily ed Hugo in coro.
Arthur e Gideon, gemelli e fratelli minori di Fabiana, sorrisero. Anche loro avevano i capelli rossi e le lentiggini erano molto evidenti.
*
Le giornate alla Tana trascorrevano leggere ed allegre. La nonna preparava sempre un sacco di leccornie, in quanto riteneva che i nipoti fossero troppo magri e che mangiassero poco ad Hogwarts. Freddie le aveva, però, assicurato più volte che entrava ed usciva a suo piacimento dalle cucine. Quest’affermazione, la prima volta, gli era costata tre occhiatacce: una dalla madre e da zio Percy ben consapevoli che fosse contro le regole della Scuola ed una da zia Hermione che lo considerava l’ennesimo sfruttamento degli elfi domestici da parte dei maghi. Lui con un sorrisetto le aveva assicurato che loro erano ben felici di accontentarlo e che, comunque, non li disturbava mai di notte. Quella mattina di metà luglio nonna Molly, una donna un po’ bassina e pienotta con i capelli rossi lievemente striati di grigio, stava approfittando del fatto che i nipoti dormissero ancora per mettere in ordine la cucina ed il piccolo soggiorno. In estate la casa sembrava sempre un campo di battaglia, ma lei era comunque contenta. Era orgogliosa di poter affermare di avere sedici nipoti. In più, spesso, permetteva che questi invitassero i loro compagni ed alle volte lei stessa invitava gli amici di famiglia: i Paciock, gli Scamander e gli Schacklebolt. La famiglia Weasley era nota nel mondo magico, quasi quanto quella di Harry Potter (che poi non faceva molta differenza, perché lui aveva sposato la sua unica figlia femmina). I ragazzi ogni volta che affrontavano il loro primo anno ad Hogwarts, le raccontavano che i compagni li fissavano e li additavano all’inizio, finché o si abituavano o capivano che non avevano nulla di diverso da loro. Più difficile era stato, naturalmente, con i figli di Harry e Ron. Respirò l’aria pulita del mattino, che si stava riscaldando rapidamente. Si prospettava una calda giornata. Suo figlio George aveva messo in giardino una piscina gonfiabile, così l’aveva chiamata, un cosa babbana, che aveva entusiasmato tutti i ragazzi ed anche suo marito, che non smetteva di giocare con gli aggeggi babbani a maggior ragione ora che era in pensione. Preparò una colazione leggera in modo che i nipoti non dovessero aspettare troppo per farsi il bagno. A sorvegliarli quel giorno ci avrebbero pensato Charlie e Jane, così lei avrebbe potuto dedicarsi alle varie faccende domestiche. Si ritrovò ad osservare il cielo fuori dalla finestra, da cui penetrava una luce intensa che illuminava tutta la cucina e vide una serie di puntini in movimento, sempre più vicini. Comprese che erano gufi e veloce aprì la finestra. Sette maestosi pennuti planarono sul tavolo. Un’occhiata allo stemma di ceralacca impresso sulle buste che avevano legate alle zampe, le fu sufficiente per capire che erano dei nipoti. Prese le lettere ed i gufi volarono via. Salì la prima rampa di scale, che portavano ai piani superiori, e cominciò a gridare:
«Ragaziiii, scendete!!!! Sono arrivate le lettere da Hogwarts» fece a malapena in tempo a concludere la frase che una ragazza bionda, alta e flessuosa piombò su di lei quasi sconvolta.
«Stai scherzando, nonna?».
«No, Dominique, tesoro. Sono sul tavolo in cucina». Lei corse di sotto. Dominique era una ragazza di sedici anni e si preparava ad affrontare il penultimo anno ad Hogwarts; era la secondogenita di Bill, il più grande dei suoi maschi. La osservò teneramente, mentre cercava la sua lettera in mezzo a quelle dei cuginetti. Le ricordò un’altra sedicenne, che più di vent’anni prima aspettava ansiosamente la stessa lettera ed andava avanti ed indietro per la cucina rendendo nervosi anche gli altri; ora quella stessa ragazza era diventata sua nuora. Quanti dolori, quante gioie, quante lacrime, quante risate avevano conosciuto quelle mura!!!!
«Buongiorno, nonna»
Si voltò a guardare la ragazzina, che l’aveva riscossa dai suoi pensieri: era come guardare la ragazza di vent’anni prima, solo più bassa e con i lineamenti
Ancor infantili, senza contare gli occhi azzurri ed una spruzzatina di lentiggini sul volto, marca Weasley.
«Rosie, tesoro» la baciò e l’abbracciò.
«Sono arrivati i risultati a Domi?».
Molly annuì e la ragazzina, con uno strilletto che ricordava tanto la madre, raggiunse la cugina. Si decise a seguirla, sentiva porte sbattere di sopra e ciò significava che gli altri si stavano alzando. E poi anche lei era emozionata: Dominique era la quarta nipote ad aver sostenuto i G.U.F.O. (“Giudizio unico per fattucchieri ordinari”), il diploma che ottenevano i ragazzi del quinto anno ad Hogwarts ed era fondamentale per il loro futuro.
«Allora, tesoro, com’è andata?».
«Oh, è stata bravissima» rispose Rose per lei.
Dominique con un bellissimo sorriso, che a scuola faceva cadere ai suoi piedi tutti i ragazzi, porse la pergamena alla nonna.
GIUDIZIO UNICO PER FATTUCCHIERI ORDINARI
Voti di promozione: Eccezionale(E)
                                         Oltre ogni previsione(O)
                              Accettabile(A)
    Voti di bocciatura: Scadente(S)
                                Desolante(D)
                          Troll(T)
Dominique Gabrielle Weasley ha conseguito:
 
Astronomia                          O
Aritmanzia                           O
Incantesimi                          E
Difesa contro le arti oscure    E
Erbologia                             O
Storia della magia                A
Pozioni                                 O
Antiche rune                         E
Trasfigurazione                    O
«Bravissima, tesoro mio. Nove G.U.F.O.!!!!».
La nonna l’abbracciò e lei corse di sopra per scrivere ai genitori, che erano fuori paese per lavoro e sarebbero rientrati solo la settimana successiva. Le si rivolse all’altra nipotina:
«Latte, Rosie?».
«Si grazie, nonna».
Alcuni dei più piccoli si unirono a loro seguiti da Jane.
«Nooonna. E’ arrivata, finalmente!!!!».
«Lily, sono contenta» rispose lei pazientemente, sperando che la bambina smettesse di tirarla per il braccio. Anche Arthur, Gideon ed Hugo avevano aperto le loro lettere ed erano entusiasti. Tutti volevano che la nonna le leggesse, lei li accontentò pur conoscendone a memoria il contenuto. Quella di Lily recitava:
“Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts
Preside: Minerva McGrannit (Ordine di Merlino,
Prima Classe, Membro del Wizengamot)
Cara signorina Potter,
Siamo lieti di informarLa che lei ha il diritto di frequentare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Qui accluso troverà l’elenco di tutti i libri di testo e del materiale necessario. I corsi avranno inizio il 1 settembre. Restiamo in attesa della Sua risposta via gufo entro e non oltre il 31 luglio p.v.
 
Con ossequi,
Filius Vitious
Vicedirettore”.
 
Ora la cucina era piena delle urla entusiaste dei ragazzini. Avevano desiderato a lungo quelle lettere, invidiosi dei fratelli e dei cugini più grandi, che tartassavano di domande. Rose abbracciò il fratellino Hugo. Molly non poté fare a meno di sorridere pensando che presto Hogwarts avrebbe conosciuto altri quattro Weasley, o meglio tre Weasley ed una Potter, ma appunto non faceva molta differenza.
«Jamieeee. Aaaal» con un urlo degno di una banshee, una strega delle paludi, Lily si gettò sui fratelli, che stavano scendendo le scale e li mostrò la lettera. La nonna sorrise: i tre fratelli erano molto uniti, ed entrambi i grandi abbracciarono la sorellina e si unirono ai festeggiamenti. La donna, felice, s’incantò a guardarli per qualche secondo: Charlie l’aveva fatta commuovere scegliendo i nomi dei figli: li aveva chiamati come suo marito e come i suoi due fratelli, uccisi dai Mangiamorte. Erano molto diversi tra loro: Gideon era chiassoso e movimentato; Fabiana amava molto leggere ed era più tranquilla, ma si faceva facilmente coinvolgere negli scherzi organizzati da Roxi e Lucy; mentre Arthur era un angelo: tranquillo, obbediente ed anche molto sensibile.
«Buongiorno» un’adolescente occhialuta entrò in cucina, perfettamente vestita e con i capelli rossi legati in una stretta ed ordinata coda di cavallo. La seguiva un bambino biondo ancora in pigiama con un libro in mano, che si stropicciava distrattamente gli occhi.
«Molly, Louis» li accolse lei con un sorriso «Che cosa preferite per colazione?».
«Un tè forte, come al solito. Grazie» rispose la ragazza.
«Il latte con il cacao» rispose l’altro. Louis era il figlio più piccolo di Bill, anche lui come le sorelle maggiori aveva sangue Veela nelle vene. Era biondo e molto chiaro in viso. Era il più piccolo della famiglia, osservò le lettere dei cugini con una punta d’invidia: lui avrebbe dovuto aspettare ancora un anno. Si mise a leggere, mentre beveva il latte, incurante del chiasso dei cugini; ma Molly non era altrettanto accondiscendente ed, infatti, disse:
«Sapete vero, che ad Hogwarts non è tollerato un simile comportamento?».
I cugini sbuffarono e corsero in giardino, prima che potesse aggiungere qualcos'altro.
 

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Capitolo 3
*** Basta un sorriso ***


Capitolo terzo
 
Basta un sorriso
 
«Ragazzi, un attimo di silenzio, vi prego».
Harry Potter era in piedi davanti al lungo tavolo di legno al centro della Sala Riunioni ed i suoi uomini lo osservavano in attesa di scoprire per quale ragione avesse convocato l’intero corpo Auror. Si schiarì la gola e continuò:
«Tra pochi minuti il Ministro sarà qui, vuole parlarci».
Gli Auror cominciarono a bisbigliare sorpresi ed incuriositi, finché un uomo di colore non entrò nella stanza, accompagnato da una signora anziana. Tutti si alzarono in segno di rispetto, senza nascondere un certo stupore per la presenza di quest’ultima. Il Ministro fece loro segno di sedersi, Harry gli lasciò il suo posto a capotavola ed evocò due sedie, una per sé ed una per la donna. Kingsley Schacklebolt sorrise e si congratulò con loro:
«L’arresto di Mcnair e lo smantellamento della sua organizzazione è stato il risultato di un ottimo lavoro di squadra» fece un cenno ad Harry, che lo ringraziò. Teddy ed i suoi amici, che avevano partecipato all’operazione solo marginalmente in quanto ancora inesperti, ascoltavano seri le parole del Ministro.
«Comunque oggi sono venuto anche su richiesta di Percy Weasley. Lui ritiene che sia opportuno sorvegliare i Malfoy, quando verranno scarcerati da Azkaban. Tu che ne pensi Harry?».
L’interpellato divenne pensieroso: era consapevole che Lord Voldermort fosse solo la punta dell’iceberg e che i suoi seguaci rimasti in vita per lo più continuavano a credere nei suoi ideali, di conseguenza rappresentavano un pericolo costante. Non guardò il suo vice e migliore amico, perché sapeva già che per lui tutti i Mangiamorte sarebbero dovuti marcire in galera.
«Se tu lo ritieni opportuno ti metterò a disposizione due dei miei uomini, ma non credo sia il caso. Narcissa ha scontato la sua pena e su Lucius sarà gettato un incantesimo, visto che la sua è una libertà vigilata».
Kingsley annuì: «Va bene, come vuoi tu, niente scorta, ma li terremo comunque d’occhio. E’ meglio non sottovalutarli. Abbiamo visto tutti Mcnair».
Rodolphus Mcnair era il figlio di una mangiamorte, condannato a vita ad Azkaban, e lì aveva da poco raggiunto il padre: a suo carico c’era la morte di diversi babbani a cui aveva venduto sostanze nocive. Kingsley si rivolse alla donna, seduta alla sua sinistra.
«La professoressa McGrannit vorrebbe parlare con tutti voi».
 La donna si schiarì la voce e disse:
«Vi ringrazio. Come forse alcuni di voi sapranno, il professore Osvald McBridge di Difesa contro le Arti Oscure è andato in pensione. Hogwarts vuole sempre offrire il meglio ai suoi studenti, per questo sono venuta a chiedervi se qualcuno di voi desidera sostituirlo».
Un ragazzo seduto accanto a Teddy scoppiò a ridere in maniera poco rispettosa, suscitando l’ilarità di un altro amico seduto vicino a loro.
«Landerson, Harper. Sono rimasta sorpresa e soddisfatta nello scoprire che entrambi avete superato gli esami per diventare Auror, ma state tranquilli non mi rivolgevo certo a voi. Sareste capaci di far piombare la scuola nell’anarchia» disse lei severamente. I due risero ancora più forte, ignorando le occhiatacce dei loro superiori. La Preside continuò, senza farci caso, insomma li aveva già sopportati per sette anni: «E non mi rivolgo nemmeno a lei signor Lupin. La tua offerta l’hai già avuta. La professoressa Macklin ha fatto esplicitamente il tuo nome. Entrambe riteniamo che il tuo futuro sia la trasfigurazione. Se voi siete d’accordo, visto che adesso è un Auror del ministero, Ted diventerà un insegnante di Hogwarts» le ultime parole erano rivolte ad Harry e Kingsley. Teddy rosso in volto guardò il suo padrino: aveva ricevuto la lettera della professoressa quella mattina e avrebbe voluto parlarne con lui dopo la riunione. Harry era molto orgoglioso di lui e si limitò ad annuire.
«Naturalmente, professoressa. Il Ministero è sempre pronto a collaborare per istruire al meglio i nostri giovani maghi. Se Lupin è d’accordo, sarà esonerato dai suoi incarichi per tutta la durata dell’anno scolastico» rispose Kingsley.
«Bene, signor Lupin ci pensi con calma. L’aspetto nel mio ufficio. Le do tempo fino ad i primi di agosto per decidere. Allora nessuno è intenzionato ad insegnare difesa contro le arti oscure?».
«Io proporrei Gawain Robards» replicò il Ministro.
Robards era l’ex-capo del dipartimento Auror: nel 2007 troppo stanco per continuare a conservare questo ruolo, l’aveva lasciato ad Harry Potter. Era, comunque, rimasto nella squadra ed aveva guidato il giovane sostituto per i primi anni. Tutti si voltarono verso di lui: era conosciuto per la sua austerità e rigidità. Harper e Landerson ringraziarono il cielo di essere già diplomati: uno così avrebbe fatto in modo che venissero espulsi alla prima infrazione del regolamento. La Preside sorrise.
«Per me sarebbe un onore» rispose quello dopo qualche secondo.
«Ne sono lieta signor Robards… o meglio adesso dovrei chiamarla professor Robards. L’aspetto domani nel mio ufficio per discutere un po’ più tranquillamente».
«La riunione è terminata» annunciò Harry.
Minerva McGrannit li ringraziò e fece per congedarsi.
«Non prende qualcosa con noi, Minerva?» la invitò il Ministro.
«No, vi ringrazio. Ho un appuntamento».
La Preside, uscita dal Ministero, si smaterializzò in un vicolo deserto. Si riassettò la veste e lasciato il vicolo, si avviò lungo il viale alberato. Si trovava nella periferia di Londra ed era una strada decisamente tranquilla. Non ci mise molto a trovare l’edificio, che cercava. Era abbastanza fatiscente e cupo. Fece una smorfia: non le piaceva per niente quel posto. Un uomo, non ancora quarantenne, le fece cenno e lei si avvicinò in fretta.
«Buongiorno, professoressa».
«Buongiorno, Neville. Ti ringrazio di essere venuto».
«Si tratta di chi penso io?».
«Esattamente. In caso contrario avrei lasciato che se ne occupasse Justin. In qualità di insegnante di babbanologia è certamente più adatto per questo genere di incarichi. Ma non potevo spiegargli tutto, così ho preferito venire di persona» rispose e poi entrò rapidamente nel cortile.
Era un luogo squallido: sembrava che nessuno si prendesse la briga di tagliere l’erba da molti mesi, vi erano pezzi vecchi di giostre, probabilmente abbandonati lì da anni.
Neville si mordicchiò il labbro nervoso, non era un bel luogo dove far crescere dei bambini. Lui non avrebbe mai permesso ai suoi figli di entrare in posto simile. Sobbalzò lievemente nel notare qualcosa muoversi tra l’erba: chissà quanti animali c’erano lì dentro. Si bloccò di fronte alla porta d’ingresso, la Preside aveva già suonato ed attesero in silenzio.
«Buongiorno» disse una ragazza aprendo. Poteva avere all’incirca una ventina d’anni. Il suo tono non era stato per niente cortese, al contrario sembrava piuttosto seccato.
«Buongiorno» replicò asciutta la McGranitt «La direttrice ci sta aspettando, abbiamo un appuntamento con lei».
«Ah, siete quelli che vogliono nella loro scuola quello strano» disse tutto questo masticando una gomma con la bocca aperta «Seguitemi».
Neville gettò un’occhiata alla professoressa, come sempre la sua espressione era indecifrabile, ma le labbra stavano diventando più sottili, il che non era un buon segno.
«Avete un bel coraggio a volere quel bambino. E’ davvero una piaga. Comunque ci fate un favore».
«In che senso una piaga?» domandò la Preside.
«Ve lo spiegherà la direttrice». La sua espressione divenne dubbiosa: «Forse non dovevo… ora non lo volete più?».
Loro non risposero e lei riprese a camminare. In silenzio la seguirono lungo un corridoio spoglio e per nulla accogliente. A tratti sentivano voci di bambini. Probabilmente si trovavano nel cortile sul retro. La ragazza si fermò davanti ad una porta blindata, cosa che lasciò basito Neville visto che quella d’ingresso aveva l’aria di poter cadere al minimo soffio di vento. Lei bussò e poi con un gesto della mano li fece segnò di entrare.
«Buongiorno» li accolse una donna di mezza età, tutta truccata e con un vestitino, così corto che fece assottigliare ancora di più le labbra della Preside di Hogwarts «Sono Odette Flan, la direttrice di questo orfanotrofio».
«Buongiorno, io sono Minerva McGranitt, Preside di Hogwarts e lui è il professor Paciock. Le avevo scritto per avvertirla del nostro arrivo e per anticiparle il motivo».
«Si, si. Accomodatevi» li invitò indicandoli due sedie imbottite di fronte alla scrivania. Lei si sedette dall’altro lato.
L’ufficio non era piccolo, ma era così pieno di mobili e di oggetti da risultare soffocante. Quella donna aveva un gusto pacchiano ed insulso. Neville pose l’attenzione su di lei, che sorrideva in modo falsissimo.
«Bene, bene… Quindi se ho capito lei vuole offrire un posto nella sua scuola a Samuel Vance? Perché?».
«E’ la Scuola che ha frequentato anche la madre. E’ iscritto dalla nascita».
«Davvero?» chiese la donna sospettosa «Noi la madre l’abbiamo vista una volta sola. Lei la conosce?».
«Sì, è stata mia allieva diversi anni fa. Non la vedo da molto tempo, so che si trova all’estero».
«Già. Ogni tanto scrive al bambino, ma non specifica mai dove si trova. In effetti lei ci aveva detto che al compimento degli undici anni sarebbe venuto qualcuno a cercarlo. Lei mi ha dato la sua autorizzazione, con la sola preghiera di riaccoglierlo nelle vacanze estive».
«Quindi non vi è alcun problema per lei se Samuel frequenterà la nostra Scuola da settembre?».
«No, anzi. Viste le parole della madre, immagino che porterete via il bambino comunque… anche se vi dico qualcosa che non vi piace su di lui. Sbaglio?».
«Non sbaglia. La prego, mi dica tutto ciò che ritiene necessario su Samuel».
«Fa sempre cose strane e litiga sempre con gli altri bambini. Quando qualcosa non gli va bene è capace di stare in silenzio per ore, se non per giorni. E’ indisponente… si isola sempre… gioca sempre solo e se lo costringiamo a stare con gli altri si ammutisce… è insopportabile… impertinente… fa troppe domande. Fa sempre i capricci…».
«Ha reso perfettamente l’idea, la ringrazio. Ma non si deve preoccupare, dirigo la mia Scuola da più di vent’anni ed insegno da molto di più. Non ho alcun problema ad affrontare ragazzini difficili».
Di questo Neville non aveva alcun dubbio, ma conosceva la Preside da così tanto da rendersi conto che stava facendo buon viso a cattivo gioco, come si suole dire. Una donna altera e severa come Minerva McGranitt non poteva certo tollerare una direttrice frivola e probabilmente inadatta al ruolo che ricopriva.
«Volete conoscerlo?».
«Sì, grazie».
«Seguitemi».
Li condusse fuori dall’ufficio e poi di nuovo lungo il corridoio, che in parte avevano percorso precedentemente. In fondo si trovava una porta spalancata. Le urla dei bambini erano molto più vicine. Il cortile sul retro non era molto diverso dall’altro, sennonché l’erba, spesso calpestata, era rada. Il giudizio di Neville però non migliorò: i bambini era completamente soli e più che giocare con il pallone, che avevano a disposizione, si spingevano e si picchiavano. Istintivamente ne separò due, che lo guardarono malissimo.
«Oh, non si preoccupi» intervenne la direttrice «Sono solo bambini, sfogano così le loro energie. E non possiamo starli sempre addosso».
Neville non replicò, ma vide che la McGranitt non nascondeva più la sua disapprovazione.
«Robert» chiamò la direttrice ed un ragazzino si avvicinò svogliatamente «Dov’è Samuel?».
«Lo sfigato è vicino al muretto, che gioca da solo con il suo pallone» rispose e poi corse di nuovo dai suoi compagni.  
«Che vi avevo detto?» commentò lei scuotendo la testa.
Li accompagnò fin al limite del cortiletto, in uno spiazzo lievemente nascosto da alcuni alberi. Lì un bambino, con capelli castani folti e vestiti troppo larghi per lui, colpiva ripetutamente il muro con un pallone di cuoio.
«Vi lascio soli con lui. Comunque vi avverto è un maleducato, non sapete che responsabilità vi state prendendo».
I due aspettarono che si allontanasse e poi la Preside sussurrò a Neville:
«Comincia tu a parlarli».
Lui annuì e si avvicinò di più.
«Ciao».
Lui sussultò e si voltò.
«Buongiorno» sussurrò.
«Tu sei Samuel, vero?».
«Sì».
«Io sono il professor Paciock e lei è la professoressa McGranitt. Siamo qui per parlarti della nostra Scuola, Hogwarts».
Il bambino, che aveva assunto un’aria spaventata, s’illuminò un poco.
«Davvero?».
«Sì. Sai Hogwarts è una Scuola per ragazzi con doti particolari…».
«Mi scusi, signore» disse lui interrompendolo «Io so che cos’è Hogwarts. So di essere un mago».
Neville guardò sorpreso la McGranitt e lei decise di intervenire.
«Chi te ne ha parlato?».
«La mia mamma. Lei è una strega molto dotata. E’ dovuta andare all’estero quando avevo cinque anni. Però prima di lasciarmi mi ha spiegato queste cose… cioè non so tutto… solo che sono un mago e che Hogwarts è una Scuola di magia».
«Ah, capisco. Questa è la tua lettera di ammissione, signor Vance» disse la Preside porgendogli una busta giallastra, che aveva tirato fuori da una tasca della lunga veste verde smeraldo.
Samuel l’aprì in silenzio, dopo qualche secondo chiese:
«Posso farle una domanda professoressa?».
«Naturalmente».
«Dove si compra tutto questo materiale? E poi io non ho soldi…» disse arrossendo.
«Non ti devi preoccupare, la Scuola ha un fondo per gli studenti con difficoltà economiche. Per quanto riguarda il luogo, sono sicura che il professor Paciock sarà felice di accompagnarti. Vero, professore?».
«Certamente, professoressa».
«Hai altre domande?».
«Per ora no, grazie professoressa».
Neville si avvicinò e gli scompigliò affettuosamente i capelli, gli ricordava tanto suo figlio Frank. La McGranitt, dopo essersi guardata intorno un attimo, estrasse la bacchetta, che Samuel osservò a bocca aperta, e con un rapido gesto fece sparire un brutto livido che il bambino aveva sulla guancia e quelli sulle braccia. Lui sempre più sorpreso balbettò un “grazie”. La donna si limitò a un lieve sorriso.
«Vedrai ti troverai bene ad Hogwarts» gli sussurrò Neville.
Subito dopo lo salutarono. Neville fu sicuro di aver visto spuntare un sorriso sul suo volto.
*
Fred e James si svegliarono presto, infastiditi dal troppo caldo. Scesero al piano di sotto con l’intenzione di fare colazione. Sul tavolino del salottino nell’ingresso troneggiava la coppa di Freddie: “Il miglior giovane pozionista”. Sorrise, suo cugino era stato grande, si era rivelato più bravo di tutti gli altri partecipanti, che provenivano da altre scuole d’Europa. Era stato in grado di preparare un perfetto Distillato della morte vivente nonostante facesse parte del programma del sesto anno. Era finito sia sulla “Gazzetta del Profeta” sia su “Il pozionista” e naturalmente zio George aveva comprato entrambi i giornali. Era molto orgoglioso del figlio.
«Dormito bene, ragazzi?» li accolse la nonna.
«Insomma, fa un caldo…» commentò James sbadigliando.
«Mettiti la mano davanti alla bocca» lo rimproverò Ginny sedendosi a tavola accanto a lui. «Buongiorno a tutti» aggiunse dopo averli lanciato un’occhiataccia.
Iniziarono a mangiare in silenzio. Dopo un po’ li raggiunsero Albus, Rose e Louis. Improvvisamente Fred disse qualcosa, che risultò incomprensibile poiché aveva la bocca piena. Cominciò a gesticolare ed alla fine si affogò; comunque Louis aveva compreso e si alzò ad aprire la finestra per fare entrare otto gufi, che elegantemente planarono sul tavolo. La nonna usò l’incantesimo “apneo” su Fred, che riprese a respirare e corse ai piedi della scala gridando:
«Gufi da Hogwarts per tuttiiiiii. SCENDETEEEE».
Tornò a sedersi per cercare la sua busta, mentre il cugino liberava i gufi, che volarono subito via.
«Buongiorno». Un uomo alto, dai capelli rossi e lunghi legati in una coda e con un orecchino a forma di zanna, fece il suo ingresso in cucina. Diede un bacio a Louis ed alla madre.
«Bill devi andare a lavoro oggi?» chiese lei.
«No, io e Fleur abbiamo ancora un paio di giorni di ferie».
Fleur, alta e dalla lunga chioma bionda, li raggiunse sedendosi accanto al marito, seguita dagli altri ragazzi. Per un attimo ci fu silenzio, mentre ognuno di loro cercava la propria lettera nel mucchio. All’improvviso Fred scattò in piedi, rovesciando la sedia.
«Sei sempre il solito pasticcione» lo apostrofò la madre che stava scendendo le scale in quel momento.
«Se tu sei stato nominato Prefetto» commentò Dominique, fingendosi sconvolta «la McGrannit è invecchiata tutta in una botta!!!!».
Qualcuno rise, ma James, atterrito alla sola idea, corse dall’altro lato del tavolo per leggere la lettera del cugino. Spalancò la bocca per la sorpresa e tutti li osservarono.
«Che succede?» chiese zio Charlie sedendosi accanto a Bill.
Fred capovolse la busta ed una spilletta gli cadde sul palmo aperto. James gettò un urlo, mentre il cugino rialzò la sedia e ci salì sopra all’in piedi. Con tono di voce solenne proclamò:
«Sono il nuovo capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro».
Tutti cominciarono ad urlare uno sopra l’altro e nel giro di pochi secondi il neocapitano si trovo schiacciato a terra dai cugini, dalla sorellina e dal padre.
«Che cos’è questo chiasso?» una voce autoritaria si levò al disopra delle loro grida: sulla porta svettava l’alta figura di zio Percy. Louis con la coda dell’occhio scorse i suoi genitori ancora seduti a tavola, ma che ridevano insieme a zio Charlie che poi corse ad abbracciare il nipote ed a complimentarsi con lui.
«Magnifico» commentò nonno Arthur «il quarto capitano di Grifondoro in famiglia». Nel novero erano compresi suo figlio Charlie ed i suoi cognati Harry ed Angelina, che commossa abbracciò il figlio. Lei in più era una giocatrice professionista: aveva giocato per lunghi anni nelle Holyhead Harpies, però, nel momento in cui avrebbe dovuto fare il salto di qualità entrando nella nazionale inglese aveva rinunciato, scegliendo il ruolo di allenatrice che le permetteva meglio di stare vicino alla famiglia che stava iniziando a crescere con la nascita di Freddie. Percy, irritato, ignorò i fratelli e sedette accanto alla figlia maggiore, mentre la madre gli porgeva una tazza di thè. Finalmente ritornò un po’ di calma e Molly annunciò:
«Sono stata nominata Caposcuola».
«Oooooh bravissima tesoro mio» gridò la nonna abbracciandola.
Percy era fuori di sé dalla gioia.
«Dobbiamo assolutamente festeggiare» cinguettò la nonna «Stasera».
«Invitiamo anche Lys e Lorcan? Ed Alice?» chiese subito Lily, appoggiata da Hugo.
«Certamente».
«Ciao a tutti» disse Teddy entrando «Fred, avrei bisogno di parlare con tutti voi. Quando finite di fare colazione, saliamo un attimo su, per favore».
Prima che i cugini lo trascinassero nelle loro discussioni, Louis si rivolse al padre:
«Papà».
«Che c’è Lou?».
«Posso andare con Vic e Teddy a Neal’s Yard pomeriggio?».
«Che cos’è?» chiese Fleur lanciando un’occhiata a Teddy.
«E’ un quartiere di Londra, un vicolo tra Short Gardens e Monmouth Street che si apre in un coloratissimo “courtyard”. Od almeno così ha detto Vic. Mi sono informato e Neal’s Yard prende il suo nome da Thomas Neale, che nel 1690 ottenne un appezzamento di terra da William III e creò l’area conosciuta come Seven Dials. Fu però Nicholas Saunders negli anni ’70 a salvare Neal’s Yard (un posto infestato da ratti) dalla demolizione e a renderlo il posto interessante che è ora. Saunders nel 1976 si trasferì al numero 2 di Neal’s Yard, dove aprì un negozio di alimenti integrali, che rapidamente diventò piuttosto popolare e permise all’area di svilupparsi e di diventare il centro di una piccola comunità di negozi indipendenti tra loro, ma che si definiscono “una piccola famiglia “».
 
«Non avrei saputo dirlo meglio» commentò Teddy con un sorrisetto.
 
Ancora una volta Bill e Fleur rimasero sconcertati dalla quantità d’informazioni e nozioni che riusciva a snocciolare ed a memorizzare in pochissimo tempo: Louis era decisamente molto intelligente e loro alle volte non erano in grado di rispondere adeguatamente alle sue esigenze, anche perché aveva anche un carattere molto chiuso, spesso dovevano costringerlo a parlare per capire che cosa gli passasse per la testa. Era capace di rimanere in silenzio per molto tempo, se non sollecitato.
«Si, certo» rispose Bill «Se per tua sorella e per Teddy non ci sono problemi, puoi andare con loro».
«Mi raccomando non farli arrabbiare» disse Fleur, ma Bill sapeva che era una raccomandazione inutile: Louis non era il tipo da dare fastidio o da disubbidire. Vic e Lou erano molto legati e lei spesso se lo portava con sé quando faceva qualche cosa di particolare con il fidanzato. Teddy infatti fece loro segno di non preoccuparsi. Il bambino annuì e corse dai cugini, che erano già saliti in camera di Freddie. Prese posto accanto a Fabiana, buttata sul letto di Fred, ai suoi piedi si posero i gemelli. Gli altri cugini si sedettero sugli altri letti o sul tappeto al centro della camera. Teddy entrò sorridendo insieme a Vic e Molly:
«Dovreste smettere di escludere Molly» disse facendo arrossire la ragazza.
«Mmm lei fa la spia e lo sai».
«Non la farà. Avete la mia parola».
«E sia. Che cosa devi dirci?».
«Non vorrete dirci che diventerò zia?!?!» lo precedette Dominique «Io la mia benedizione ve l’ho data, ma non pensate nemmeno che io cambierò pannolini o vi farò compagnia quando trascorrerete notti in bianco».
«Come lo chiamerete?» intervenne Lily eccitata.
«Al posto del latte avete bevuto whisky, stamattina? Voi diventerete zii, solo dopo che ci saremo sposati» disse ferma Vic, Teddy era diventato paonazzo. Louis si rilassò, non era pronto a vedere sua sorella con il pancione.
«La McGrannit mi ha offerto il posto di insegnante di trasfigurazione».
Le sue parole furono accolte da un silenzio scioccato.
«Cioè la Macklin se ne va in pensione?» proruppe James.
«Si e vuole che sia io a sostituirla».
«Il mio amore promessa della trasfigurazione» gongolò Vic baciandolo.
«Sei sicuro che non diventeremo zii? Forse sarebbe stato meglio» commentò Dominique «Cioè ora dovrei darti del voi e portarti rispetto?».
«Ragazzi, non ho ancora accettato. Quindi se non volete, non c’è problema».
«Non se ne parla nemmeno» sbottò Vic fulminandoli con lo sguardo «Se lo costringete a rifiutare, vi affatturo».
Nessuno prese per scherzo le sue parole, in quanto era maggiorenne e quindi poteva benissimo usare la magia quasi impunemente.
«Non è che non siamo felici per te» intervenne Jamie «ma Domi, ha ragione insomma è un po’ strano… già è difficile con zio Neville».
«Beh fa meno paura della Macklin» disse Rose in suo favore.
«Allora se io dovessi, diciamo, fare saltellare un topo per tutta la classe scatenando il panico tra le ragazze, anziché trasformarlo in una spazzola adatta ai tappetti… mi puniresti per una settimana?» chiese Fred con finta aria innocente.
«Miseriaccia Freddie, quella è stata una delle più belle lezioni di trasfigurazione di sempre».
Teddy lo osservò, sapeva che era serio, così rispose: «Per un giorno solo?» preferì non immaginare la faccia della Macklin in quel momento.
«Va bene, allora. Approvo» annunciò Fred seguito a ruota dagli altri.
«Quando non c’è nessuno ti posso insultare?» chiese Dominique con la sua miglior faccia da schiaffi.
«Meglio di no, se tocchi il mio Teddy ti tiro tutti i capelli» disse Vic con un ghigno, che deformava il suo viso perfetto.
«Tranquilla Vic, veglieremo su di lui» promise Fred, divertito dalla conversazione.
Prima che qualcuno potesse aggiungere qualcos’altro la porta s’aprì ed entrò George.
«Niente piscina oggi?».
«Arriviamo» rispose Rose.
 «Freddie ti va una scopa nuova? Insomma il nuovo capitano ha bisogno di una scopa decente».
«Wow, davvero papà?».
«Si. Tu e Roxi venite a Diagon Alley stamattina. Mamma è libera oggi e così potete comprare il materiale per la scuola» poi rivolto ai nipoti «Chi vuole farsi un giro con noi è il benvenuto. Vi aspetto di sotto» sorrise ed uscì dalla stanza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Bentornati nonni ***


Desclaimer: la maggior parte dei personaggi appartiene( o si ispira) a J.K.  Rowling e questa storia non ha nessuno scopo di lucro. 


Capitolo quarto

 
Bentornati nonni
 
Draco Lucius Malfoy aveva trentanove anni, ma era già stempiato da diverso tempo, come il padre alla sua età. Si lisciò con una mano i capelli radi e biondissimi. Neanche guardò le lettere, che la governante gli aveva consegnato. Era cambiato molto dalla caduta del Signore Oscuro e lottava con tutto se stesso per riabilitare il nome dei Malfoy. Dopo l’arresto dei suoi genitori e la fine del processo, si era dedicato solo al lavoro e alla famiglia. Aveva cercato di evitare ogni contatto con i vecchi compagni di scuola e gli amici di famiglia, ma Blaise Zabini e Theodore Nott non avevano accettato il suo atteggiamento e l’avevano costretto a non lasciarsi tutto alle spalle: la loro amicizia, per esempio, avrebbe potuto continuare. Il padre di Theo era stato condannato ad Azkaban ed anche l’amico aveva finalmente cominciato a porsi delle domande sugli insegnamenti ricevuti: era davvero necessario disprezzare babbani, mezzosangue e Nati Babbani per onorare il nome di mago? Entrambi erano arrivati alla conclusione che forse non era così importante. Farsi riaccogliere dalla comunità magica era stato più difficile per Draco, che a soli sedici anni era diventato ufficialmente un mangiamorte e la gente spesso ancora oggi a distanza di venti anni lo additava come tale. O meglio la gente perbene, quella che affermava di odiare i mangiamorte e poi truffava il suo prossimo, lo additava così; ma coloro che erano stati vicini al Signore Oscuro e continuavano a sostenerne gli ideali lo consideravano un reietto, un traditore. Comunque non gli interessava perché con l’appoggio dei suoi migliori amici e della sua famiglia era riuscito a trovare il suo posto: ora lavorava presso il Dipartimento di Cooperazione Magica Internazionale. Doveva ammettere che doveva molto, però a coloro che ai tempi della scuola aveva disprezzato ed odiato di più: a salvarlo dalla condanna durante il processo ai mangiamorte, che si era protratto per alcuni anni, era stato il Prescelto o più semplicemente Harry Potter. Il Grifondoro aveva raccontato ai giudici quanto aveva visto sulla Torre di Astronomia, in quella maledetta notte in cui Albus Silente era stato ucciso da Severus Piton, il loro insegnante di pozioni. Avrebbe dovuto uccidere lui il Preside, così il Signore Oscuro aveva ordinato. Era solo un ragazzo e sapevano tutti che non ci sarebbe mai riuscito: era un modo di punire suo padre Lucius per aver fallito un’importante missione. Come aveva scoperto alla fine della guerra le cose era molto più complicate. In più Harry aveva raccontato che quando lui e i suoi amici erano stati portati al Malfoy Manor prigionieri, Draco aveva fatto finta di non riconoscerlo.  Per questi e vari motivi aveva evitato la prigione. Theo non era mai diventato un mangiamorte e quindi aveva dovuto affrontare solo l’emarginazione della comunità, ma anche lui si stava riscattando: ora era un giornalista affermato e scriveva per “La gazzetta del Profeta”, il quotidiano più popolare della Gran Bretagna magica. Blaise e la madre erano sempre stati ufficialmente lontani dal Signore Oscuro, per quanto ne avessero sempre condiviso le idee, in questo modo non avevano avuto quasi nessuna difficoltà ed ora l’amico era uno dei massimi esperti riconosciuti di legge magica e collaborava spesso con il Wizengamot, il tribunale supremo dei maghi. Draco, soprappensiero, diede una pacca sulla spalla del figlio a mo’ di saluto. Il ragazzino ricambiò con un «Ciao, papà». Era preso dalla lettura di una lettera, che doveva essere di uno dei suoi migliori amici. Era una bella giornata di agosto, sedette un attimo con lui nel gazebo del giardino, in attesa che la moglie fosse pronta per uscire. Dopo la guerra era tornato al Malfoy Manor solo per pochissimo tempo, poi con la moglie aveva comprato una villetta poco fuori Londra. Era completamente il contrario della casa in cui era cresciuto: era luminosa, piccola e raccolta, arredata modernamente.
«Papà» lo chiamò il figlio «Mi firmi il permesso per visitare il villaggio di Hogsmeade?».
Draco lo osservò per un attimo prima di rispondere. Era identico a lui alla sua età, ma aveva un carattere del tutto diverso. O forse dipendeva dalla diversa educazione ricevuta e dalle diverse compagnie. Non lo sapeva ma era abbastanza fiero di lui: l’anno precedente era diventato il cercatore di Serpeverde, ma lui l’ammissione in squadra se l’era meritata. Era un ragazzino pieno di vita e sorridente.
«Sì, dammi».
Evocò piuma e calamaio. Firmò e poi glielo restituì, beandosi segretamente del suo sorriso eccitato. Ad Hogwarts i ragazzi del terzo avevano la possibilità di visitare il villaggio vicino in alcune giornate prestabilite; era uno dei pochi luoghi totalmente magici della Gran Bretagna. Astoria Greengrass li raggiunse e baciò il figlio sulla guancia. Draco si alzò immediatamente, non potevano perdere tempo perché avevano un appuntamento importante.
«Scorpius, tesoro» disse Astoria «comportati bene. Noi non ci metteremo molto».
«Sì, mamma».
Draco gli fece una rapida carezza. Non era bravissimo a mostrare il suo affetto e questo dipendeva dal modo in cui era stato cresciuto, ma cercava di imparare in fretta.
Scorpius, rimasto solo, cominciò a sfogliare svogliatamente un fumetto.
«Signorino, le servo qui la colazione?».
«Sì, grazie Monay».
Monay era una donna tarchiata, di carnagione scura, originaria del Brasile. Era una magonò a servizio della sua famiglia da…. Beh da sempre, a sua memoria c’era sempre stata. Continuò a leggere le avventure di un mago un po’ sfigato, pressato dalle idee purosangue della famiglia, che trovava la felicità nella sua amicizia segreta con un coetaneo babbano. Questo genere di storie godeva di un certo successo negli ultimi anni.
«Signorino?».
«Sì, Monay?».
Scorpius si rese subito conto che c’era qualcosa che non andava: la donna non aveva con sé il vassoio con la colazione ed aveva un’aria spaventata.
«Ci sono i suoi nonni. Li ho fatti accomodare in salotto».
Il ragazzino le rivolse uno sguardo perplesso: insomma i nonni non stavano particolarmente simpatici nemmeno a lui, ma non tanto da esserne spaventati! E poi perché in salotto e non l’avevano raggiunto in giardino? Conscio che ci fosse qualcosa che gli sfuggiva, disse:
«Mamma non mi aveva detto che sarebbero venuti».
«No, signorino» replicò lei «Sono i suoi nonni paterni».
Rimase scioccato: non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere. Insomma l’ultima informazione che aveva di loro, è che occupavano una cella ad Azkaban, la prigione dei maghi posta su un’isoletta in mezzo al mare. Cioè lontano da tutto e da tutti.
«Signorino, vuole che chiami i suoi genitori?».
Scorpius si riscosse e fece segno di no con la testa.
«Me ne occupo io».
I suoi genitori non erano via nemmeno da mezz’ora, non poteva certo chiamarli! Erano andati al San Mungo. Volevano dargli un fratellino, ed in quei giorni a Londra si trovava un medimago straniero particolarmente famoso: era un’occasione da non perdere. Entrò nel salotto dalla porta a vetri che dava direttamente sul giardino. Due adulti dall’aria patita fissarono su di lui gli occhi lievemente incavati e gli si avvicinarono subito. Per lo più erano come nella foto, che il padre una volta gli aveva mostrato: solo che i capelli del nonno erano completamente bianchi e quelli della nonna erano striati di bianco e grigio con ancora qualche ciocca nera. Dovevano avere poco più di sessant’anni e non se li sarebbero portati male, se non avessero dovuto affrontare il carcere.
«Tu sei Scorpius» esordì la nonna abbracciandolo. Il nonno gli strinse la mano.
«Sei uguale a tuo padre. Quanti anni hai? Dodici?»
«Tredici» lo corresse.
Si accomodarono sulle poltrone di pelle chiara, come se fossero di casa e Scorpius si sedette sul divano di fronte a loro.
«Mi aspettavo un’accoglienza migliore» si lagnò il nonno.
«Non ce l’aspettavamo» ammise il ragazzino.
«Gli Auror non vi hanno avvertito?».
«Siamo ritornati ieri sera, probabilmente avranno scritto ma mamma e papà non hanno avuto il tempo di leggere le lettere che sono arrivate in nostra assenza».
«Dove siete stati?».
«Negli Stati Uniti. Papà aveva degli incontri di lavoro, e quando ha finito abbiamo girato un po’ il paese».
«Signorino, vuole che porti qualcosa?» chiese Monay entrando in salotto.
«Che cosa prendete?» suo padre faceva così con gli ospiti.
«Un whisky incendiario» disse il nonno.
«Per me andrà bene dell’acquavite» rispose, invece, la nonna.
«Signorino a lei porto un thè? Non ha ancora fatto colazione».
«Sì, grazie Monay».
«Perché una serva e non un elfo domestico?» domandò bruscamente il nonno.
«Non è una serva» replicò lui stizzito «E’ la nostra governante. A mamma non piacciono gli elfi e poi ci sono dei movimenti contro lo sfruttamento degli elfi, e trovano molto appoggiò all’interno del Ministero».
Monay rientrò portando un vassoio e servì prima gli ospiti e poi Scorpius. Suonò il campanello e andò ad aprire. Poco dopo un bambino di circa dieci-undici anni entrò correndo.
«Ciao, Scorp» disse con la sua voce squillante «Mamma ha un pranzo di lavoro con papà e vuole che stia con voi oggi».
«Nonni, vi presento mio cugino Orion».
«E’ il figlio di Daphne?» chiese Narcissa.
I due annuirono. Ed Orion sentendosi in soggezione, tacque per un po’. Il che era già un miracolo per Scorpius, visto che il cugino non stava mai zitto. 
Lucius ignorò il bambino e si rivolse al nipote:
«Allora terzo anno ad Hogwarts?».
Una parte di Scorpius avrebbe voluto rispondere: “No, il primo. Sono stato bocciato due volte”. Poi si disse che il nonno non sembrava un tipo che apprezzava l’umorismo.
«Sì».
«Sei Serpeverde, vero?».
Ancora una volta fu sul punto di rispondere ironicamente: insomma indossava una maglietta con il simbolo della Casa di Salazar, cosa pensava che fosse? un Grifondoro? Certo, si guardò bene dal dire che il Cappello Parlante ci aveva fatto anche un pensierino a mandarcelo tra i rosso-oro e spesso si domandava se avesse fatto bene a supplicarlo di mandarlo a Serpeverde per far felice il padre. In quell’istante, però, ringraziò Salazar e Merlino perché il nonno sembrava più che capace di ucciderlo se avesse dato una risposta negativa.
«Sì».
«Anche io voglio essere smistato lì» cantilenò Orion.
«Sono andati bene gli esami?».
Scorpius riteneva che rispondere a monosillabi senza particolare entusiasmo fosse un modo non troppo maleducato per mostrare che la conversazione non era gradevole, ma a quanto pare Lucius Malfoy non la pensava allo stesso modo.
«Sì».
«Sì? In che senso? Tuo padre si faceva battere sempre da un’insopportabile so-tutto-io sanguesporco. Che voti hai preso?» insistette.
Il ragazzino era oltremodo infastidito per l’interrogatorio di quello che per lui in fondo era uno sconosciuto, ma si sorprese comunque perché aveva usato la parola sanguesporco, assolutamente proibita ad Hogwarts: gli insegnanti toglievano un sacco di punti allo studente che osava pronunciarla ed alcuni assegnavano anche delle punizioni.
«Scorpius è un genio» disse Orion ridacchiando. L’avrebbe volentieri preso a pugni, ma ogni cosa a suo tempo.
«Ho preso 6 in storia della magia, 9 in difesa, erbologia e pozioni, otto in astronomia e sette in trasfigurazione».
«Insomma, ti sei sprecato molto» brontolò Lucius.
«Ma è un grande cercatore!» si intromise Orion, che proprio non sapeva quando stare zitto.
«Davvero? Avete vinto il campionato?»
«No».
«Come mai?».
«Un mio compagno di squadra, Daniel Warrington, durante la partita con i Corvonero, anziché colpire i bolidi, mi ha tirato la mazza in testa e ci hanno completamente stracciato. Dicono che sia stata la peggiore partita di Serpeverde da secoli. Io mi sono risvegliato in infermeria con un trauma cranico e mi hanno detto che non mi sono sfracellato a terra solo perché Parker di Corvonero e Zabini, il nostro capitano, mi hanno preso al volo».
«Non l’hanno punito questo cretino?» chiese la nonna sconcertata.
«Cioè il vostro direttore deve aver fatto qualcosa! Insomma nessuno può macchiare impunemente il buon nome di Salazar Serpeverde!».
«Candida Macklin non sopporta il Quidditch ed il clima di competizione esasperata che si crea tra le Case, soprattutto tra noi e Grifondoro. Non le è interessato per nulla».
«Una schifosa babbanofila, direttrice di Serpeverde? Quella scuola cade sempre più in basso. Forse è il caso che tu ti trasferisca a Durmstrang».
«Non se ne parla nemmeno» sbottò Scorpius «Sto benissimo ad Hogwarts».
Il nonno lo ignorò e continuò con il suo interrogatorio:
«E le altre partite?».
«Abbiamo perso con Grifondoro. Il loro cercatore è molto bravo. Abbiamo vinto solo con Tassorosso, che l’anno scorso aveva una squadra davvero scarsa».
«A proposito di Grifondoro» scattò Orion «Hai visto il giornale di qualche settimana fa?».
«No» disse spazientito Scorpius «Siamo tornati ieri».
Il cugino, però, non lo stava nemmeno ascoltando e corse verso la cucina. Tornò qualche secondo dopo porgendogli una copia della “Gazzetta del Profeta” abbastanza vecchia. In prima pagina c’era una foto, che ritraeva Fred Weasley, il loro insegnante di pozioni Ernie Mcmillan ed un altro uomo che Scorpius non conosceva. La didascalia recitava: “Miglior giovane pozionista”.
«Forte» commentò.
«Che cos’è?» chiese il nonno.
Il ragazzino gli diede il giornale, subito sul viso dell’uomo si dipinse una smorfia disgustata.
«Dovete stare lontani da questa gente» sentenziò buttando il giornale a terra «Sono schifosi babbanofili e traditori del loro sangue».
Era questo che suo nonno pensava dei Weasley? E se li avesse detto chi erano i suoi migliori amici, come avrebbe reagito?
«Avete almeno vinto la Coppa delle Case?» riprese il nonno.
Scorpius si disse che non l’avrebbe sopportato ancora a lungo.
«No. Ha vinto Corvonero. Un ragazzo ci ha fatto perdere un sacco di punti e ci siamo classificati ultimi».
«Chi è stato?».
«Charles Harper. E’ stato beccato mentre faceva il prepotente con un ragazzino più piccolo».
«Tutto qua?».
«Tutto qua? Gli ha rotto il setto nasale! La Macklin è andata su tutte le furie, anche perché non era la prima volta che accadeva. Così ha tolto 100 punti a Charles».
«E’ inaccettabile ciò che dici. E voi non fate nulla?».
«Beh Warrington s’è ritrovato con una testa d’asino, opera del nostro capitano e si è guardato bene dal dirlo ai professori. Ed Harper è stato punito dalla nostra direttrice direttamente».
«Era un purosangue?».
«Chi Harper od il ragazzino? Quest’ultimo non di sicuro perché Harper l’ha insultato con quella parola».
«QUELLA PAROLA?????»  Si arrabbiò il nonno «Tu, mio nipote, hai bisogno che siano gli altri ad insegnarti come si tratta la feccia? Tuo padre mi sentirà».
«Sono qui, padre».
Draco ed Astoria fecero il loro ingresso. Erano pallidi in volto, probabilmente Monay li aveva subito avvertiti degli ospiti inaspettati.
«Scorpius, Orion salite di sopra» disse la donna, dopo aver ricambiato il saluto del nipotino.
Il ragazzino non credé alle sue orecchie: li aveva sopportati lui fino a quel momento, perché adesso lo cacciavano?
«Scorpius, hai sentito la mamma? Obbedisci» disse Draco severo, ma aveva gli occhi puntati su suo padre e non lo stava nemmeno guardando.
Alla fine obbedì e salì nella sua camera con il cugino. Il colore verde-argento era la prima cosa che colpiva chi entrava. A lui piaceva un sacco, era il suo colore preferito. Si buttò sul letto, infastidito dalla piega che aveva preso la giornata. Suo nonno e suo padre cominciarono a litigare urlando, ma erano così alterati che non riusciva a cogliere le loro parole.
«A tuo nonno verrebbe un infarto se sapesse chi sono i tuoi migliori amici» non era una domanda quella di Orion, ma un’affermazione. Si molto probabilmente se lo sarebbe tolto davanti in un attimo. Comunque diede un pugno al cugino, che si lamentò.
«Questo è perché parli troppo».
Lui mugugnò, poi chiese:
«Domani andiamo a Diagon Alley, vieni anche tu?».
«Sì, va bene».
Poi Orion cominciò a sproloquiare sulle Case e su Hogwarts, ma già non l’ascoltava più. La sua attenzione era stata colta da una fotografia sulla scrivania, posta sotto la finestra. Cinque ragazzini, che dimostravano sì e no dodici anni, sorridevano abbracciandosi. L’avevano scattata alla fine del primo anno. I capelli rossi e le lentiggini sul volto di una delle due ragazzine la contraddistinguevano come una Weasley. L’altra al suo fianco aveva lunghi capelli castani che le ricadevano disordinatamente sulle spalle, gli occhi verdi ed uno sguardo furbo. All’estrema destra una ragazzino moro dai folti capelli neri, perennemente in disordine e con degli occhi verdi brillanti, sorrideva felice. Al centro c’era lui entusiasta di avere trovato dei veri amici, e ad i suoi lati due ragazzini: uno dalla carnagione chiara ed i capelli castani, l’altro era di colore. Erano Rose Weasley, Cassandra Cooman, Elphias Doge, Alastor Schacklebolt ed Albus Potter. Tutti e quattro Grifondoro. Si, suo nonno ci sarebbe rimasto secco, ma non ci pensò nemmeno a nascondere la foto. Anche suo padre si era sorpreso quando gliel’aveva comunicato. Era stato il destino a volere così. Si ricordava perfettamente il suo primo viaggio verso Hogwarts: occupava uno scompartimento da solo, conosceva la storia della sua famiglia e si aspettava ostilità dagli altri studenti. Infatti ad un certo punto Augustus Roockwood con i suoi degni compagni era entrato nel suo scompartimento ed aveva cominciato a fare il prepotente. Naturalmente aveva cercato di difendersi ma loro erano più grandi e più grossi di lui. Per un momento aveva avuto molta paura, poi era intervenuto un ragazzo moro con un suo amico di colore, come poi avrebbe scoperto erano James Sirius Potter e Tylor Jordan, ma anche loro non potevano molto contro i tre. Per fortuna, però, l’altro loro migliore amico, Danny Baston, era andato a chiamare aiuto. All’arrivo del prefetto, la cugina Weasley di turno in questo caso Victoire, ed il caposcuola di Grifondoro Roockwood ed amici non si divertirono più molto ed ancor meno lo fecero quando i due Grifondoro fecero rapporto a Candida Macklin. James dopo essersi presentato insieme ai suoi amici, l’aveva accompagnato nello scompartimento di Albus e Rose e poi se n’era andato affermando che aveva altro da fare che perdere tempo con i bambini del primo anno. Con il passare del tempo Scorpius si era reso conto che James indossava una maschera da sbruffone e prendeva in giro il fratello minore in continuazione, ma in realtà era sempre attento a non ferire nessuno e non sopportava le ingiustizie. I loro genitori, appunto, erano stati sorpresi della loro amicizia, che era sopravvissuta anche se lui era stato smistato a Serpeverde e loro a Grifondoro. Harry Potter, Ron Weasley e Draco Malfoy erano stati compagni di scuola, ma si erano sempre odiati dal più profondo del cuore. In definitiva, però, nessuno né Harry né Draco si erano mostrati contrari alla loro amicizia: anzi un paio di volte Scorpius era stato a casa Potter e così anche Albus e Rose erano andati da lui. L’unico che l’aveva presa molto male era stato Ron, che proprio non poteva sopportare che la sua adorata bambina potesse avere qualcosa a che fare con un Malfoy, ma alla fine si era dovuto rassegnare sotto le minacce della moglie, della sorella e della madre. Harry e Draco intrattenevano freddi rapporti di cortesia, soprattutto in presenza dei figli, mentre Ron a malapena salutava il Serpeverde: beh in fondo aveva accettato che Rose e Scorpius fossero amici, nessuno aveva detto che doveva comportarsi amichevolmente con il padre del migliore amico di sua figlia. Le mogli andavano decisamente più d’accordo ed ogni tanto prendevano il thè insieme, ma solo saltuariamente riuscivano a far sedere con loro i mariti, che accampavano sempre impegni su impegni. I più contenti di tutti della loro amicizia erano sicuramente gli insegnanti e la Preside: erano l’esempio della concordia tra Case che auspicavano, soprattutto tra Serpeverde e Grifondoro. Dopotutto il Cappello Parlante non prendeva decisioni a caso, era maledettamente furbo. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** La prima bacchetta magica ***


Capitolo quinto
La prima bacchetta magica
 
La fine delle vacanze estive colse i ragazzi quasi di sorpresa: Jamie, Fred, Rose, Dominique e Roxi si ritrovarono a finire i compiti gli ultimi giorni sotto stretto controllo delle madri. Quella più disperata era sicuramente Hermione, che se la prese con Ron affermando che era colpa dei suoi geni se la figlia sprecava la sua intelligenza.
Un paio di settimane prima dell’inizio della Scuola, Harry e Ginny accompagnarono i figli a Diagon Alley per comperare tutto il materiale per il nuovo anno scolastico.
«Vernon dove ci aspetta?» chiese Lily distogliendo i genitori dai loro pensieri.
«Fuori dal Paiolo Magico» rispose Harry osservandola. Negli ultimi tempi i due si erano sentiti spesso e avevano stretto amicizia, ma a quanto pare la stessa cosa non valeva per Petunia: lei e Lily non potevano vedersi. Avevano invitato i cugini a casa loro per un thè e le due bambine si erano accapigliate, tanto che lui e Dudley erano dovuti intervenire per separarle. Harry parcheggiò poco distante dal piccolo locale, che potevano vedere solo i maghi. I Dursley aspettavano lì vicino: Shary e Dudley avevano un’aria smarrita, ma i bambini erano palesemente eccitati.
«Ciao» disse Vernon con un sorriso timido, appena li vide.
«Questo è il Paiolo Magico. Voi non potete vederlo perché non siete maghi» spiegò Harry, dopo averli salutati «Ma non vi preoccupate, lasciatevi guidare dai bambini. Una volta dentro non avrete problemi».
Vernon, felice, prese per mano il padre e lo condusse all’interno, subito imitato dalla sorella, che vi condusse la madre. Qui attendevano già i Weasley, seduti ad un tavolino: Ron ed Hermione discutevano animatamente a bassa voce, Hugo mangiava un brioche di zucca e Rose sbuffava annoiata; appena li scorse, saltò su e li raggiunse con un sorriso radioso stampato sul volto.
«Finalmente! Siete sempre in ritardo!».
«E’ colpa di Lily» sbuffò James «Non trovava la lista».
La sorellina lo guardò malissimo prima di abbracciare Rose.
Ginny fece le presentazioni.
«Sedetevi qui con noi» li invitò Hermione cordiale.
«Non andiamo?» domandò perplessa Petunia.
 
 
«Hannah e Neville non sono ancora arrivati. Sono dei nostri amici» spiegò Harry. Poco dopo una donna bionda entrò nel locale seguita da tre ragazzini. Lily Luna Potter, con un sorriso a trentadue denti, saltò letteralmente addosso alla sua migliore amica, prima che qualcun altro dei presenti potesse dire o fare qualcosa: era più di una settimana che non si vedevano! Lei ed Alice erano felicissime perché quel giorno avrebbero finalmente comprato la bacchetta. Hugo si unì all’abbraccio. Petunia li osservò irritata, mentre Vernon assunse un’aria preoccupata.
«Ciao, Hannah». Ginny ed Hermione la abbracciarono a turno, mentre Harry e Ron le strinsero la mano.
«Hannah ti presento i miei cugini Dudley e Shary e i loro figli Vernon e Petunia».
«Molto piacere» disse lei «Loro sono i miei figli Frank, Alice ed Augusta».
«Ma Neville?» chiese Ron.
«Sarà qui a momenti, è andato a prendere un ragazzino che deve aiutare a comprare il materiale scolastico».
«Quale ragazzino?».
«Il ragazzino che pensi tu, Harry. Sai benissimo che in caso contrario la professoressa McGranitt avrebbe affidato l’incarico a Justin. Non te ne hanno parlato?».
«Sì, la Preside è venuta nel mio ufficio ed ho avuto modo di discuterne anche con Neville qualche giorno fa».
«Per prima cosa compreremo la bacchetta, vero?» chiese Lily interrompendo i loro discorsi.
«Come preferite voi, Lily».
«Noi vogliamo la bacchetta» dissero in coro i tre.
«Desiderate qualcosa?» un ragazzino smilzo ed emaciato, si era avvicinato.
«Ciao, Jonathan» disse Albus sorridendo.
Il ragazzino arrossì e ricambiò il saluto del coetaneo.
«No, ti ringrazio» rispose Harry.
«Buongiorno a tutti… ciao Jonathan».
Un uomo, alto e moro, con un enorme sorriso si aggiunse a loro insieme ad un bambino.
«Buongiorno, signore» rispose Jonathan arrossendo ancora di più.
«Come stai?» gli chiese Neville, osservandolo attentamente.
«Salve, professore» una donna con un ampio grembiule gli strinse la mano «Come vuole che stia, sa in che giorni siamo» rispose per il figlio con una punta di preoccupazione nella voce.
Neville annuì serio, poi si rivolse agli amici:
«Scusate se vi ho fatto aspettare. Lui è Samuel Vance. Oggi ci farà compagnia».
Samuel indossava come sempre dei vestiti troppo larghi per lui e si sentiva a disagio davanti a quelle persone sconosciute, ma Lily ed Alice erano molto socievoli e non ci misero molto a coinvolgerlo nelle loro chiacchiere. Si diressero tutti insieme verso quello che doveva essere il retro del locale: un cortile minuscolo, ma pulito ed ordinato. Harry estrasse la bacchetta e picchiettò alcuni mattoni del muro e quello lentamente si aprì. Quando varcarono l’arco di mattoni i gemelli e Samuel rimasero a bocca aperta davanti allo spettacolo della lunga via piena di negozi, colori, gente che si affrettava da una parte all’altra, ragazzi che correvano e scherzavano.
«Wow» Vernon era estasiato, per la prima volta in vita sua si sentiva al posto giusto.
«Hai visto? Te l’avevo detto che è fantastico! Ed ancora non hai visto niente!» gli disse Lily.
Il cugino annuì e la seguì lungo la via, insieme ad Alice ed Hugo.
«Aspettate voi» li richiamò Hermione «Non vi allontanate senza di noi».
I bambini sbuffarono, ma obbedirono.
«Mi sa che dovremo andare prima alla Gringott, perché Dudley deve cambiare i soldi».
«Oh no, che noia!» sbottò Lily.
«Possiamo fare così» disse diplomatico Harry «Voi cominciate ad andare da Olivander ed io accompagno Dudley. Vi raggiungiamo lì».
«Vengo con voi. Devo prelevare» si aggiunse Ron.
«Mai che tu ti ricorda qualcosa a tempo debito» sbuffò Hermione.
Così il grosso del gruppo si avviò verso il più antico negozio di bacchette della Gran Bretagna.
«Ma che cos’ha Jonathan?» chiese Al, accostandosi agli adulti, mentre Jamie cercava di spaventare i piccoli con la storia delle Case, proprio come aveva fatto con lui. Neville si fece pensieroso.
«Non te lo posso dire» rispose infine.
«Perché?» insistette Albus.
«Sono cose personali, Al. Ti prego, non insistere. Fammi un favore, però, siate suoi amici. Almeno voi non lo prendete in giro. Ti assicuro che le cose per lui sono abbastanza difficili, senza che i suoi compagni di Scuola facciano gli stupidi».
«Io non l’ho mai preso in giro».
«Lo spero per te» replicò Ginny «Sai benissimo che né io né tu padre lo sopporteremmo».
«Mmm guarda che ci vedo benissimo, anche se non parlo… vero Rose?».
La ragazzina, che aveva evitato accuratamente di inserirsi nella conversazione, fu costretta a voltarsi.
«Che cosa?».
«Non fare la finta tonta» replicò lui serio «So perfettamente che sei tra quelli che tormentano Jonathan».
«Io non l’ho mai incantato».
«Rosie, si può fare del male anche a parole. Dovresti saperlo».
«Rose Weasley. Che cos’è questa storia?» sbottò Hermione.
«Uffa. Gli avrò detto un paio di volte che è un secchione asociale. Nient’altro».
«Nient’altro? Aspetta che torni tuo padre e vediamo che dice!».
Mentre le due cominciavano a battibeccare, come al solito, Ginny si rivolse a Neville:
«Ma chi è Jonathan?».
«Il figlio di Anthony Goldstain».
«Ah… povero ragazzo… è cresciuto, non l’avevo riconosciuto…».
«E come avresti potuto? Mica tu ed Anthony vi vedete…».
«Tu sai che cos’ha?».
«Sì, Al. Ma non te lo dirò».
«E’ un ragazzino fragile, non riesce ad integrarsi perfettamente con gli altri. Ecco perché ti ho detto così Albus».
«Mi impegnerò di più quest’anno. Cercherò di coinvolgerlo di più nelle nostre attività… potrebbe venire con noi ad Hogsmeade».
«Mi sembra un’ottima idea».
«ECCOCCI… ECCOCCI… ECCOCCI…» gridarono i ragazzini, attirando la loro attenzione.
L’insegna del negozio recitava: Olivander: Fabbrica di bacchette di qualità superiore dal 382 d. C.  Le lettere erano dorate ed in vetrina vi erano alcune bacchette magiche, che i sei osservarono incantati. Gli adulti risero.
«Su, adesso ne avrete una vostra» disse Neville, esortandoli ad entrare. Un lieve scampanellio li accolse, ma per quanto i bambini si sforzarono di individuarne la fonte non ebbero successo e sobbalzarono quando un uomo di mezz’età disse:
«Buongiorno, in cosa posso esservi utile?».
«I ragazzi devono comprare la loro prima bacchetta» rispose Ginny.
«Oh nuovi giovani maghi, ma che bello».
L’uomo era basso e tarchiato: sembrava parecchio fuori posto in quel luogo e si muoveva goffamente tra gli scaffali. Un ragazzo alto e slanciato entrò dal retrobottega, fece un segno a Neville ed ai presenti e si appoggiò ad uno scaffale, osservando l’adulto con un certo divertimento che non riusciva a nascondere.
«Bene, lasciate che vi prenda le misure» iniziò da Alice, ma presto si ingarbugliò con il metro. Il ragazzo sembrava stesse a stento trattenendo una risata.
«Vuoi una mano, padre?».
«No, accidenti. Ce la faccio solo. Tanto queste misure non servono a niente» risolse, posando il metro e cominciando a rovistare negli scaffali. Il figlio fece una smorfia.
«Il nonno ritiene che sia utile per avere un punto di partenza…».
«Ti ho detto che non ho bisogno di aiuto!» s’irritò l’altro. «Ecco provi questa, signorina» disse porgendo una bacchetta ad Alice «E’ vite, corda di cuore di drago, molto rigida, tredici pollici».
Alice la prese e l’agitò lievemente: la vetrata di un armadio andò in mille pezzi.
«No, no, non è questa…. Mmm vediamo…».
Alice ne provo altre cinque, nel frattempo Harry, Ron e Dudley li raggiunsero.
«Signor Potter, come sta?».
«Bene, grazie signor Olivander. Vostro padre?».
«Male, male… ormai non gli resta molto… è vecchio in fondo».
Ai presenti era evidente che lui, però, non aveva una briciola del talento del padre. Fece provare almeno altre tre bacchette ad Alice ed alla fine si arrese dicendo:
«Ehm io ho un impegno… ma vi lascio nelle mani di mio figlio… sì… ehm buona giornata…».
«E’ un emerito idiota. Scusatelo» sbottò il ragazzo.
«Garrick, non dovresti dire così. E’ pur sempre tuo padre» lo riprese Neville.
«Anche se non lo dico, lo penso… che differenza fa, professore?».
Neville non replicò e lui si mise al lavoro. Prese le misure ad Alice e mentre cercava una bacchetta, il metro continuava da solo con Lily.
Garrick gli porse una bacchetta alla bambina e la osservò criticamente mentre incendiava il bancone di legno.
Allarmato disse: «Prof, non è che potrebbe spegnerlo?».
Neville con un pigro gesto della bacchetta lo spense.
«Grazie».
«Tu non lo sai fare?» domandò Petunia.
«Sì, ma sono minorenne. Non posso usare la magia fuori dalla Scuola… prova questa…».
Alice strinse la bacchetta e percepì una sensazione di calore e sorrise.
«Magnifico! Nocciolo, crine di unicorno, molto flessibile, dodici pollici e tre quarti».
Lily si fece avanti, mentre il metro misurava Petunia, che lo guardava tra il sospettoso e lo spaventato. James osservò attentamente la sorellina, quando era toccato a lui era stato… era stato parecchio assurdo: il signor Olivander non aveva fatto alcuna fatica, perché appena aveva messo piede nel negozio la bacchetta era saltata fuori dalla sua custodia e gli era volata in mano. Non aveva mai visto nulla di così assurdo. Mai. Alla fine la zia Hermione aveva trovato una spiegazione, che l’uomo non era stato in grado di dargli sul momento: il legno di vite è molto particolare, tanto particolare da riconoscere il suo padrone anche senza alcun contatto fisico. Adorava la sua bacchetta. Lily ne provò almeno quattro, finché con un ghigno Garrick gliene porse una dal colore molto chiaro, quasi bianco. Quando la strinse emise un fascio di luce.
«Pioppo bianco, corda di cuore di drago, flessibile, dodici pollici e tre quarti. Non è una bacchetta che si vende spesso» commentò, poi malizioso guardò Harry e Ginny «Mio nonno dice che si addice ai maghi rivoluzionari».
Neville ridacchiò e Ginny borbottò qualcosa che suonò:
«E ti pareva?».
«Ne voglio una come quella di Lily. E’ bellissima ed elegante» disse subito Petunia.
«Mi dispiace. Ma è la bacchetta che sceglie il mago e non viceversa».
La ragazzina un po’ delusa prese la bacchetta che lui le porgeva senza troppo entusiasmo, ma con sua sorpresa quella si illuminò subito e lei si sentì a suo agio stringendola.
«Ottimo. Al primo colpo. Devi esserne contenta l’olmo è un legno ambito tra le famiglie più nobili del mondo magico. Compie incantesimi eleganti e crea pochi incidenti. Ha un cuore di corda di cuore di drago, è un po’ rigida, undici pollici e mezzo. Avanti il prossimo».
Ci volle una buona ora prima che fossero quasi tutti pronti. Alla fine Hugo era stato scelto da una bacchetta di pioppo con un nucleo di crine d’unicorno, flessibile, tredici pollici e mezzo. Vernon, invece, da una bacchetta di carpine, con nucleo di crine d’unicorno, molto flessibile, quattordici pollici. Per ultimo toccò a Samuel, con il quale Garrick ebbe molte più difficoltà.
«Mmm prova questa… è una delle ultime creazioni di mio nonno…».
Il ragazzino la prese e senza che facesse nulla, dalla punta fuoriuscì una luce colorata. Garrick sembrava sorpreso ed ammirato allo stesso tempo.
«Cedro, piuma di fenice, flessibile, dodici pollici ed un quarto. Davvero una bella bacchetta. Amico, penso che ti starò alla larga ad Hogwarts…».
«Perché?» chiese Samuel.
«Vedi il cedro è un legno che di solito si addice a maghi con una grande forza di carattere e con una lealtà fuori dal comune, intuitivi e perspicaci, ma soprattutto si dice che sia impossibile ingannare o mentire al mago che la possiede. Ed è sconsigliabile attaccarlo soprattutto se qualcuno ha fatto del male ad un suo caro».
«Garrick adora mentire» spezzò la tensione Neville, ma mentre uscivano, dopo aver pagato, lanciò un’occhiata eloquente ad Harry che ricambiò cupo. 
«Ora andiamo da Madama McClan per comprare le divise» disse Ginny.
«Nooo che noia, ti prego mamma» si lamentò Albus.
«Dobbiamo venire per forza anche noi?» chiese supplicante James.
«Dai, Ginny, andate voi ragazze con i bambini. Io, Neville, Ron e Dudley compreremo i libri per tutti. Se no, non finiremo più».
«Evvai» esultò Albus, mentre si avviava verso il Ghirigoro, la libreria più fornita di Diagon Alley.
La libreria era affollata di famiglie, che come loro acquistavano i libri per il nuovo anno scolastico. I commessi non riuscivano a stare dietro a tutti i clienti. Si misero in fila, in attesa del loro turno. O meglio i ragazzi lasciarono i genitori in fila e loro cominciarono a bighellonare per il negozio. James aveva riconosciuto alcuni ragazzi del suo anno e si era messo a chiacchierare con loro. Frank, Albus, Rose ed Augusta invece adoravano curiosare tra i libri esposti.
«Che materie nuove hai scelto?» chiese Frank ad Albus, mentre si avviavano tra due alti scaffali per raggiungere l’ala che preferivano della libreria. Ad Hogwarts gli studenti sceglievano delle nuove materie da seguire a partire dal terzo anno.
«Antiche rune, cura delle creature magiche, aritmanzia e babbanologia».
«Sono tante, avrai un anno impegnativo» commentò lui serio.
«Già. Jamie non fa che prendermi in giro dicendo che sono un secchione» sospirò.
«Anche Alice lo fa…».
«Guarda» disse Albus eccitato, indicando la parete piena di libri, davanti alla quale erano sbucati.
«Magnifico».
«Nooo… è uscito il nuovo romanzo di Ombrosus!» strillò Augusta. Lei e Rose li avevano raggiunti. Albus ne prese una copia e gli altri tre si avvicinarono per vederla con lui. La copertina era azzurro cielo ed il titolo si estendeva a chiare lettere dorate: Antares e la fata della foresta.
«Devo assolutamente leggerlo».
«Sì, anche io» dissero in coro Frank, Rose ed Augusta. Risero e poi Augusta chiese ad Albus:
«Per favore, ne prendi un volume per me? Non ci arrivo».
Albus obbedì e ne porse uno a lei ed uno a Rose.
«Andiamo? Prima che paghino?» propose Frank. Gli altri annuirono e lo seguirono.
«Al, ti muovi?» Rose si era accorta che il cugino si era bloccato davanti ad uno scaffale e non li stava più seguendo. Ritornarono sui loro passi e videro ciò che aveva attirato la sua attenzione.
«Storia di Hogwarts. Ma ce l’abbiamo e soprattutto lo sai a memoria!» disse Rose.
«Pensavo… insomma quel ragazzino… Samuel… sarebbe carino se glielo regalassimo o no?».
«Si, in effetti sarebbe un bel gesto».
«Ok, va bene. Prendilo ed andiamo o cominceranno a rompere» concluse Rose.
«Eccovi! E’ possibile che vi perdiate sempre qua dentro?» chiese Harry.
«Dov’è mio padre?» chiese Rose.
«E’ uscito il nuovo libro di Ombrosus» annunciò Albus.
Neville ed Harry annuirono rassegnati, ogni qual volta portavano i figli in libreria finiva allo stesso modo.
«Tuo padre è fuori con Dudley. Qui fa un caldo soffocante».
«Papi» disse Albus a bassa voce, in modo che solo Harry potesse sentirlo «Ho pensato che sarebbe carino se regalassimo Storia di Hogwarts a Samuel, sembra così smarrito. Più di Petunia e Vernon».
Harry sorrise e prese il libro per pagarlo. Osservò il figlio, mentre uscivano dalla libreria, era un ragazzino così sensibile ed attento. Alle volte pensava che lui più di tutti avesse preso dalla nonna Lily.
 «Quando dicono che la cultura pesa» borbottò James, prendendo due buste di libri.
Aspettarono gli altri alla gelateria di Florian Fortebraccio. Il caldo di agosto si faceva sentire ed un gelato rinfrescò tutti.
«Ragazzi, è meglio che vi dividiate i libri. Li abbiamo mescolati».
Subito Frank ed Albus vi misero mano per tutti.
«Vediamo… Questo è facile… Qui ci sono i libri di storia della magia: volume secondo è mio… il quarto di Jamie, questi sono per te e Rose…».
«…e il volume primo è il nostro» s’inserì Lily, lasciandosi cadere sulla sedia accanto a quella di Albus, mentre le madri posavano a terra le buste cariche di vestiti.
«Anche i volumi di Teoria della magia di Adalbert Incant sono vostri» disse lui.
«Vita domestica e Habitat Sociale dei Babbani Britannici di Wilhelm Wigworthy è per noi del terzo anno» li aiutò Rose.
«Ma che senso ha studiare babbanologia?» domandò Alice.
«E’ facile» rispose James con un sorriso malandrino «I nostri genitori ci hanno fatto crescere con i Babbani. Noi sappiamo già tutto senza studiare!».
«Non ne sono così sicuro» borbottò Albus, ma il fratello ed Alice lo ignorarono.
«Allora Teoria della trasfigurazione e Forze oscure: guida all’Auto-Protezione di Dante Tremante sono per voi del primo anno» disse Frank passando i manuali ai rispettivi proprietari.
«Qui ci sono tutti i manuali di incantesimi… Rose tieni il volume terzo… Rose?».
La ragazzina stava sfogliando un volume particolarmente grosso, alzò lo sguardo, ma non prese il libro che James le stava porgendo.
«Al» disse invece inorridita «Questo è il manuale di Antiche Rune».
Albus che stava smistando un'altra busta di libri, che erano per lo più del primo anno alzò lo sguardo su di lei, che gli passò un volume identico a quello che teneva in mano.
«Metodo Semplificato per la Lettura delle Antiche Rune» lesse James «Siete ancora in tempo per cambiare idea. Il mio amico Danny la segue e dice che è pesantissima».
«A me sembra interessante» dissentì Albus.
«Anche questi sono vostri: Numerologia e Grammatica. Voi non siete normali! Aritmanzia! Finirà che studierete più di Fred, che ha i G.U.F.O.!» disse James.
«Ha deciso mia madre» bofonchiò Rose.
«E tu che studi divinazione!?!?» si difese Albus.
«Ma fa scassare dal ridere! Non sapete cosa vi perdete! La Cooman è una pazza. Adora predire la mia morte!».
«Sto morendo dal ridere» commentò Albus ironico.
Distribuirono in fretta i libri rimanenti e ripreso il giro di spese. La tappa successiva alla farmacia fu rapida, nessuno adorava particolarmente pozioni. Harry era curioso di sapere se la figlia avesse ereditato il talento della nonna. Albus aveva parecchie difficoltà con la materia, e questo sicuramente l’aveva preso da lui; mentre Jamie, quando si ricordava di studiare, se la cavava piuttosto bene. Quando ormai la lista del materiale era ormai terminata si diressero al Serraglio Stregato, qui persero invece un sacco di tempo. Alla fine Hugo scelse un gattino, che ribattezzò subito Artiglio, facendo ridere tutti, perché era un esserino piccolo e indifeso. Lily invece volle un gufetto dagli strani colori che chiamò Zellino, cosa che fece ridere James per tutto il percorso verso il negozio di zio George ed Harry e Ginny dovettero intervenire per evitare che Lily lo picchiasse. Petunia prese una gattina, mentre Vernon un gufo con cui avrebbe potuto comunicare con i genitori, Lily gli aveva spiegato che avrebbe potuto usarne uno della Scuola, ma per una volta voleva apparire lui quello maturo. Il negozio di zio George era il più colorato e chiassoso di tutta Diagon Alley: era pieno di bambini e ragazzi di tutte le età, che correvano da una parte a l’altra per provare gli scherzi.
«Benvenuti, cercate qualcosa in particolare?» domandò una ragazza bionda, che indossava una divisa bordeaux.
«Jasmine lascia, me ne occupo io. Loro sono di casa qui. Sono i miei nipoti ed i loro amici… Scusatela è nuova… Neville in che ruolo sei qui?» domandò sospettoso.
«Come padre perché Alice vuole una puffola pigmea, come amico perché volevo salutarti, come professore di Hogwarts perché accompagno Samuel a comprare il materiale per la Scuola… e basta credo…» sorrise Neville.
«Ma non come direttore di Grifondoro, vero?».
«Facciamo di no. Non vedo nulla, sono diventato improvvisamente cieco».
Gli altri risero. Il problema era che per vari motivi, per lo più validi, i prodotti Tiri Vispi Weasley erano vietati ad Hogwarts ed in un certo senso tra George e Neville vi era un conflitto di interessi. Per tirare fuori di lì i ragazzi necessitò ai genitori almeno mezz’ora, per poi trascorrerne un’altra davanti alla vetrina di Accessori di prima qualità per il Quidditch, mentre Jamie si comprava un nuovo paio di guanti di pelle di drago, perché i vecchi erano misteriosamente scomparsi. In realtà Rose gli aveva gettati in un calderone pieno di un liquido particolarmente acido e non ne era rimasto nulla. La ragazzina si era difesa affermando che voleva solo sperimentare quanto fosse robusta la pelle di drago, per poi concludere che forse non era vera pelle. I due cugini avevano fatto pace e si erano accordati per la versione dei guanti accidentalmente persi, in modo che Rose non si beccasse una sgridata dalla madre. Destino a cui, però, James non era sfuggito: quando aveva annunciato ai genitori di averli persi loro li avevano fatto una predica su quanto fosse distratto e sua quanta poca cura avesse delle sue cose. Non per niente le persone più vicine a lui sapevano che era ben diverso da come si atteggiava: era un vero cavaliere, un vero Grifondoro. E di questo tutti i cugini ne erano convinti. Rose ne ottenne anche un paio nuovi. In realtà non le servivano, ma Ron non riusciva mai a dirle di no; per par condicio Hermione lo faceva sempre.
 

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Capitolo 6
*** L'espresso di Hogwarts ***


Capitolo sesto
 
L’espresso di Hogwarts

Come di tradizione tutta la famiglia si radunò alla Tana il penultimo giorno delle vacanze, che coincideva con il compleanno di Lucy. Per l’occasione Percy aveva permesso alla figlia di uscire di casa. La ragazzina, imbronciata ed irritata, cercò subito di sfogare le energie represse per due mesi. Roxi e Fabi le diedero una mano per vendicarsi del padre: fecero finta di litigare con un sacchetto in mano, quando lui si avvicinò, Fabi accidentalmente glielo svuotò addosso. Il contenuto si rivelò essere polvere pruriginosa, gentilmente offerta da Tiri Vispi Weasley. Percy cominciò a grattarsi, suscitando le risate generali ed a nulla valsero le sue richieste d’aiuto ai fratelli: George si complimentò con la figlia per la riuscita dello scherzo, mentre Charlie e la moglie erano presi da alcune foto di un nuovo drago, che la loro riserva avrebbe dovuto accogliere e sbrigarono la faccenda affermando che Percy avrebbe dovuto lasciare le bambine litigare in pace. Alla fine intervenne nonna Molly, che con uno sguardo di disapprovazione alle nipoti, prese il figlio per un braccio e lo trascinò in bagno, in modo che lavasse via la polvere. Aumentando così le risate dei figli e nipoti. Risate che si spensero quando la furia di Lucy si abbatté indiscriminatamente sugli zii e sui cugini, con eccezione dello zio George, naturalmente, e di Fabi e Roxi. Lo zio Ron ululò disperato quando trovò la camera, che lui e la moglie occupavano alla Tana, tappezzata di stendardi verde-argento che ripetevano: “Grifondoro cacca”. Zia Hermione accorsa in suo aiuto fece sparire il tutto con un rapido gesto della bacchetta.
«Ma io che le ho fatto?» piagnucolò Ron quando nell’indossare la divisa da Auror si accorse che era piena di ragni. Hermione non rispose e lo invitò ad andarsene a lavoro. George commentò ridendo che lui era perfetto per questo genere di scherzi e che se ne erano accorte anche le nipoti. Hermione rivolse un’occhiata di biasimo al cognato e sperò di cuore che Angelina rientrasse presto dagli allenamenti per rimettere in riga figlia e marito. Ron, comunque, uscì poco dopo per andare al lavoro, seguito a ruota dalla moglie. Harry, che si era trattenuto qualche minuto in più con Ginny quella mattina, invocò subito tutta la sua pazienza, soprattutto per non litigare con Percy, cui attribuiva tutta la colpa per il comportamento di Lucy, e non disse nulla quando la sua divisa da Auror fu ritrovata tra le zampe di alcuni gnomi, che se la contendevano stracciandola; lasciò che Molly la sistemasse rapidamente. Quando scese in cucina pronto per uscire, si accorse che la situazione stava degenerando rapidamente ed Albus gli si appiccicò a dosso. 
«Papà ti prego portami con te, non mi lasciare in questa gabbia di matti. Ti pregoooo».
Lucy aveva strappato la maglietta preferita di Lily e lei le aveva giurato vendetta e si era alleata con Hugo e Gideon. Si era scatenato un caos assurdo: i ragazzi correvano da una parte all’altra della casa, spingendosi e facendo un uso indiscriminato di vari prodotti Tiri Vispi Weasley. Naturalmente George se l’era svignata: non sarebbe mai cresciuto.
«Al…» stava per rispondergli che non se ne parlava nemmeno, poi vide il suo sguardo supplicante e quello di Louis che si era aggrappato al cugino, come ultimo baluardo di razionalità e disse «Va bene… Molly porto Louis con me, ok?».
«Sisi, fai come vuoi Harry» rispose lei sul punto di una crisi isterica, mentre un frisbee zannuto non le colpiva per un pelo la testa. A lanciarlo era stata Lily. Harry sbuffò e decise di non poter lasciare la suocera in quel delirio. Acciuffò Lily per un braccio e la obbligò a chiedere scusa alla nonna. Dopodiché stringendola sempre per il braccio, le disse:
«Adesso vieni al lavoro con me» lei s’illuminò e smise di fare resistenza «Ginny, per favore, porta con te Al e Lou».
La moglie annuì e poi lui chiamò James che stava applicando abbondanti dosi di quella che sembrava una crema per la pelle di Fleur sulla faccia e sulle braccia di Fabi.
«James!».
«Che c’è papà?» chiese lui innocentemente.
«Molla immediatamente tua cugina, riporta la crema dove l’hai presa e poi va fuori a sfogare le tue energie volando. Ti giuro che se torno e i nonni mi dicono che li hai fatti impazzire, ti puoi scordare le uscite ad Hogsmeade quest’anno».
James scattò all’in piedi e si profuse in mille scuse rivolte alla nonna, ai genitori ed a Fabi e poi corse di sopra, probabilmente per riporre la crema. Quando Harry e Ginny uscirono per smaterializzarsi la situazione non era migliorata particolarmente, ma gli altri nipoti non li avevano dato ascolto e loro non avevano l’autorità per imporsi.
*
Quando rientrarono quella sera li accolse un James esasperato:
«Perché hai detto quelle cose davanti a Fabi? Perché?».
Harry osservò il figlio dalla testa ai piedi: presentava qualche graffio sulla guancia destra, il segno di un morso sulla mano ed aveva le unghie pitturate di rosso, cosa che fece schiantare dal ridere Ron, Hugo e Lily. Al e Lou si trattennero cercando di essere solidali nei suoi confronti.
«Non hanno fatto altro che ricattarmi tutto il pomeriggio!».
«Oh siete tornati? Ginny per favore vieni ad aiutarmi ad apparecchiare, gli altri saranno qui a momenti», come sempre aveva invitato i Paciock, gli Scamander, gli Schacklebolt ed Andromeda Tonks con Teddy, «Ah, Harry, Jamie è stato bravissimo, ha tenuto occupate le bambine per tutto il pomeriggio e così hanno smesso di litigare» disse Molly, per poi tornare in cucina. Harry non riuscì a trattenere un sorrisetto divertito e visto lo sguardo offeso del figlio, gli mise un braccio intorno al collo e con la mano sfiorò delicatamente i graffi.
«Dirò ad Angelina e a Jane di far tagliare le unghie a Roxi e Fabi», sospirò, «Vieni sono sicuro che tra le cose di tua mamma troveremo qualcosa per toglierti quel coso dalle dita».
«Jamieeee… vieni dobbiamo metterti il rossetto e…» Lucy apparve dalla porta del giardino e si bloccò vedendo lo zio.
«Io credo che sia meglio che vi andiate a lavare le mani ed aiutiate la nonna» commentò Harry, con una punta di irritazione nella voce.
«Tu non puoi dirmi cosa devo o non devo fare» sentenziò lei, come a sfidarlo a dire il contrario. Alle sue spalle apparvero le altre due aguzzine.  
«Ma brave quindi non vi vergognate per niente di aver ricattato Jamie?».
Fabi e Roxi arrossirono e si guardarono i piedi.
«Lo dirai ai nostri genitori?» chiese Fabi.
«Sì, avete esagerato parecchio. Da quand’è che mordete?». Aveva mantenuto la calma tutto il giorno, ma adesso la sua pazienza si era esaurita. Loro non risposero. Lui le osservò severamente e poi condusse Jamie di sopra; qui fortunatamente trovarono Victoire e fu lei a togliergli lo smalto dalle dita, visto che in realtà nessuno dei due sapeva da dove cominciare. Lucy perse l’appoggio delle due cugine e quindi la serata trascorse poi abbastanza tranquillamente. Roxi si beccò una bella sgridata da Angelina, come sempre George si era defilato nel momento in cui avrebbe dovuto comportarsi da adulto responsabile, e Fabi si vide togliere la paghetta senza troppi convenevoli dalla madre; Charlie a malapena aveva ascoltato ciò che accadeva intorno a lui, ancora troppo preso dal suo drago e dalla dieta particolare, cui avrebbe dovuto sottoporlo al suo rientro. Ulteriori scontri e recriminazioni furono comunque evitati grazie all’arrivo degli ospiti. I primi furono gli Scamander: Luna Lovegood era una cara amica di Ginny fin dai tempi della Scuola; era sempre stata un po’ sui generis, come d’altronde anche il padre Xenophilius, in quanto tendevano a credere a creature che per lo più non esistevano. Aveva sposato Rolf Scamander un naturalista, figlio di un famoso studioso di creature magiche. I due coniugi avevano compiuto parecchi viaggi insieme, con finalità di studio; ma Luna tendeva ad una vita più tranquilla e sedentaria da quando era diventata mamma di due gemelli: Lorcan e Lysander. I due bambini avevano dieci anni e stavano sempre appiccicati a Lily, Alice ed Hugo. Per quanto fossero coetanei di Louis non andavano particolarmente d’accordo, probabilmente a causa dei loro caratteri molto diversi e per il fatto che non si incontravano spesso. Subito dopo arrivarono i Paciock e per ultimi gli Schacklebolt, il che era plausibile considerando che Kingsley era il Ministro della Magia. L’ex-Auror dopo la guerra aveva sposato una Babbana ed avevano avuto due figli: Ninfadora (Kingsley aveva chiesto il permesso ad Andromeda e l’aveva scelta come sua madrina, Teddy all’epoca era ancora troppo piccolo per capire). La ragazza, però, non poteva essere più diversa dalla sua omonima: una Corvonero, che doveva iniziare il sesto anno ad Hogwarts; aveva ottenuto voti molto alti ai suoi G.U.F.O. ed era stata nominata Prefetto. In parte aveva ereditato il carattere della madre: severa e bacchettona; mentre il secondogenito Alastor era un Grifondoro del terzo anno, di indole tranquilla, ma abbastanza pasticcione tanto da attirare spesso la riprovazione della madre e soprattutto della sorella, che non lo perdeva di vista un secondo nemmeno a Scuola. Il primo anno aveva preso l’abitudine di mandar ai genitori dei veri e propri bollettini su tutto ciò che il fratellino faceva e non faceva e a Natale Kingsley l’aveva fermamente pregata di smetterla, in quanto se ci fosse stato qualcosa che loro avrebbero dovuto sapere ci avrebbero pensato gli insegnanti ad informarli. Infatti il suo comportamento minava fortemente l’autostima del ragazzino. Ninfadora prese posto accanto a Dominique e chiacchierò amabilmente con lei durante la cena, ma tutti i ragazzi sapevano che le due non erano particolarmente amiche, anzi avevano un carattere opposto e spesso rivaleggiavano tra loro. Alastor era molto timido, ma vivendo vicino ai Potter ed ai Weasley, andava molto d’accordo con Jamie, Al e Rose con cui giocava spesso. La serata si concluse con i fuochi d’artificio di George e Lucy, per una volta tranquilla, spense felice le sue dodici candeline. Il giorno dopo tutti tornarono a casa per prepararsi alla partenza, anche se si rividero nel pomeriggio per festeggiare il compleanno di Roxi. Alla Tana rimase solo Charlie, che sarebbe ripartito per la Romania solo il pomeriggio del giorno seguente.
*
La famiglia Potter s’avviò verso l’ingresso della stazione di King Cross, dove un gruppetto particolarmente agitato l’attendeva: i Dursley. Si vedeva dall’espressione che i nonni Petunia e Vernon stavano compiendo un grosso sforzo per far felici i nipotini. Harry osservò lo zio e scorse la vena che pulsava sulla tempia, sembrava sul punto di scoppiare. Capì che sarebbe stato meglio sbrigassi prima che ciò accadesse. Spinse il carrello di Lily, la bambina si era appiccicata a Vernon e parlottavano a bassa voce. Sulla banchina tra i binari 9 e 10 i nonni salutarono i nipotini e tornarono indietro rapidamente: in fondo avevano già sopportato abbastanza per i loro standard. Dudley era terribilmente pallido ed Harry si avvicinò a lui e gli ripeté ciò che avrebbe dovuto fare. James, seccatosi di aspettare, diede una dimostrazione pratica, ignorando il richiamo della madre.
«Posso andare anche io?» chiese Albus impaziente.
«Vai» rispose Ginny, piccata dal comportamento del primogenito. Al sparì attraverso il passaggio, come aveva fatto il fratello sotto gli occhi meravigliati dei cugini.
«S-scusate c-come ha fatto?» tutti si voltarono verso il ragazzino che aveva parlato.
«Samuel!» disse Harry avvicinandosi e scompigliandogli i capelli affettuosamente. Rivedeva tanto di sé in lui. Come sempre indossava vestiti di taglie troppe larghe; ma ciò che lo infastidì furono i lividi che esibiva sul volto. Gettò uno sguardo eloquente a Ginny, che annuì silenziosamente e con delicatezza prese il bambino per mano, gli sussurrò qualcosa all’orecchio, probabilmente per rassicurarlo.
«Lily ti dispiace se attraverso il passaggio insieme a Samuel?» domandò la donna. La bambina la osservò per qualche secondo con espressione indecifrabile, poi disse:
«Tanto io passo con papà» ed agguantò la mano di Harry, stringendola forte.
Ginny prese il carrello di Samuel e lo incitò a correre, pochi secondi dopo anche loro erano spariti. Harry fece un cenno a Dudley.
«Andate veloci, se siete agitati» li consigliò.
Dudley, trascinato dal figlio, fece come gli era stato detto; Shary lo seguì immediatamente con Petunia. Harry trattenne un attimo Lily:
«Ascoltami. Samuel ha bisogno di affetto, nessuno gli dedica mai il suo tempo. Per te può sembrare strano o comunque non puoi comprenderlo, perché io e la mamma ci siamo sempre quando tu o Al o Jamie chiamate. Lui non ha nessuno. Sii gentile con lui e non te la prendere con la mamma. Lei vorrebbe dare un po’ d’affetto anche a lui. Ma non dimenticare che l’affetto è lo stesso per tutti voi. Va bene?».
Lei lo osservò negli occhi e poi annuì. Harry le diede un bacio sulla fronte.
«Pronta?».
Lei annuì e corse insieme al padre, solo per un attimo pensò che si sarebbe schiantata contro il muro; poi sbucarono sulla banchina 9 e ¾. Una bellissima locomotiva scarlatta occupava i binari. La banchina era affollata di studenti e familiari, che correvano da una parte all’altra con i loro bauli e gufi che stridevano, infastiditi dal caos che regnava.
«Dov’è James?» chiese Harry.
«A cercare Danny e Tylor. Possiamo andare dagli altri?» replicò Albus.
«Al? Tutto ok?» Harry rimase indietro affiancando il figlio. Era da quando si era alzato che era nervoso.
«Sì».
«Non mentire, sai che non sei capace», in effetti l’unica dei suoi figli che sapeva farlo davvero era Lily; il che non era rincuorante.
«Nulla di che», sospirò, «E’ che Jamie e Rose dicono che io sono la pecora nera della famiglia. Dicono che è impossibile che sia figlio tuo e della mamma… insomma tu sei sempre stato un grande cercatore e mamma un’ottima cacciatrice e… e a me piace solo volare… io ho paura della competizione e poi giocare a Quidditch mi mette ansia…».
Aveva detto tutto tenendo gli occhi puntati a terra. Harry aveva da tempo compreso che il figlio non condivideva a pieno il loro amore per lo sport più seguito tra i maghi; ma in fondo non gli interessava più di tanto, era consapevole che Albus possedesse molte qualità, che i fratelli non avevano.
«Al, dovresti smettere di dare sempre retta a Rose ed a Jamie. Sai come sono… insomma loro vanno pazzi per il Quidditch, ma non significa che deve valere anche per te. Insomma tu impazzisci per la Trasfigurazione e decisamente tuo fratello e tua cugina non possono sopportarla. Nessuno ti obbliga a giocare!».
«Zio Ron mi ha detto che ti deluderò se nemmeno quest’anno parteciperò e supererò i provini».
«Al, sono molto orgoglioso di ognuno di voi. Non me ne frega niente se tu non ami il Quidditch, ok? Fa quello che ti piace! Non avevi detto che ti sarebbe piaciuto entrare nel Club degli Incantesimi? Fallo e divertiti».
Lui si fece pensieroso, poi prima di unirsi agli altri parenti e salutarli disse al padre:
«Però guardare le partite mi piace, quando torniamo per le vacanze ci porti a vederne qualcuna?».
Harry ridacchiò e rispose: «Voi comportatevi bene e io vi porterò allo stadio». Dopodiché salutarono Ron ed Hermione. Harry gettò un’occhiataccia all’amico: sapeva che Al era sensibile, come gli veniva in mente di dirgli certe cose?! Appena fossero rimasti soli, gli avrebbe detto due paroline! Anche Neville ed Hannah erano già arrivati. Hugo era eccitatissimo ed abbracciò strette Lily ed Alice. Si erano sentiti fino al giorno prima via gufo per decidere come vestirsi, il ragazzino aveva ignorato la conversazione ed aveva riso in faccia a Lily quando si era precipitata a casa sua affermando che lei e l’amica avevano optato per uno stile casual e che lui avrebbe dovuto adeguarsi. Hugo aveva evitato di dirle che lui comunque, con o senza il loro permesso, avrebbe indossato jeans e maglietta. Frank aveva trovato Roxi e l’aveva trascinata lì con tutta la sua famiglia. Zio Percy era dovuto andare a lavoro ed Audrey da sola, dopo aver lasciato Molly al vagone di testa riservato a Prefetti e Caposcuola, stava impazzando con Lucy. Ai nipoti comunque non dispiacque l’assenza dello zio, almeno si sarebbero evitati la sua annuale predica. Bill e Fleur si fermarono un attimo per salutarli, dopo aver accompagnato anche Dominique al vagone dei Prefetti, e poi si smaterializzarono per andare al lavoro. Rose ed Al dovevano attendere la partenza per vedere Scorpius, poiché era stato scortato alla stazione dai nonni. Charlie e Jane cercavano di fare le ultime raccomandazioni ai gemelli ed a Fabi, che ultimamente li ascoltava sempre meno. Teddy scherzava con Jamie e Fred; nonostante si sarebbero rivisti quella sera ad Hogwarts, Lily non l’avrebbe mai perdonato se si fosse perso la sua partenza. Vic con Louis, a differenza dei genitori, era rimasta lì con il fidanzato ad attendere che partissero. Samuel era stato trascinato in un canto da Ginny ed Hannah e quando tornò dagli altri nessun livido deturpava più il suo viso delicato. Harry in tanto aveva presentato i suoi cugini al resto della famiglia ed agli amici. Harry, Ron, Neville, Dudley e Charlie aiutarono i figli più piccoli a caricare i loro bagagli sul treno; gli altri adulti aiutarono i grandi. Ormai la locomotiva fischiava quasi a richiamare tutti alla partenza prossima. I genitori accerchiarono i figli per salutarli e farli le ultime raccomandazioni.
«Jamie mi raccomando» disse Ginny costringendolo a guardarla negli occhi «Comportati bene. Niente lettere dalla McGranitt o mi senti!».
Harry strinse per ultima la sua bambina, sentendo una morsa allo stomaco: ora sì, che la casa sarebbe stata vuota e silenziosa! quanto le sarebbe mancata! Un nuovo fischio del treno li costrinse a separarsi. Spinsero i figli sul treno e chiusero le porte. Gli altri avevano fatto lo stesso. Continuarono a salutarli con la mano, mentre il treno partiva e prendendo gradualmente velocità lasciava la stazione.
 
*
«Ragazzi, non vedo l’ora di essere ad Hogwarts» sospirò Lily, buttandosi su uno dei due sedili centrali dello scompartimento, subito attorniata dai suoi migliori amici. Samuel, silenzioso come sempre, prese posto accanto ad Alice vicino al finestrino. Di fronte a lui sedette Vernon, ed un’infastidita Petunia si trovò tra il fratello e i gemelli Weasley.  Poco dopo la porta scorrevole dello scompartimento si aprì ed entrò un ragazzino biondo con un largo sorriso sul volto pallido.
«Buongiorno, futuri Grifondoro!» Scorpius Malfoy indossava già la divisa e i colori verde-argento saltarono agli occhi dei ragazzini, che per lo più lo fissavano curiosi.
«Ciao» salutarono Lily ed Hugo in coro. A differenza degli altri, loro conoscevano Scorpius, perché era andato più volte a casa loro durante le vacanze scolastiche.
«Mi sono perso i vostri fratelli» li comunicò, dopo che i due gli avevano presentato i coetanei.
«Devono essere qui vicino» replicò Lily.
«Ho un regalo per voi», disse il ragazzino porgendo un pacchettino a Lily ed una busta colorata ad Hugo, «E’ un braccialetto Tiffany, l’ho preso a New York e quella è una felpa Hard Rock, sempre di New York» spiegò.
«Grazie, Scorp» disse Lily cercando di mettere il braccialetto.
«Aspetta» si avvicinò lui premuroso e la aiutò a chiudere il gancetto.
«Sei stato gentilissimo» lo ringraziò Hugo, provando la felpa di colore scarlatto.
«Te l’ho scelta in tinta, Grifondoro!», replicò ridendo Scorpius, «Vado a cercare Al e Rosie».
Rimasti soli, Hugo osservò la felpa preoccupato.
«Che hai?» gli domandò Alice.
«Lui è sicuro che io sarò un Grifondoro… E se non lo sarò? Mio padre che cosa dirà?».
«Abbiamo detto di non pensare alle Case finché non sarà ora dello Smistamento», replicò irritata Lily, «Comunque zio Ron non ti diserrerebbe, la zia non glielo permetterebbe».
Vernon rimase colpito da questo scambio di battute, in quanto fino a quel momento aveva dato per certo che tutti i Weasley e i Potter sarebbero stati smistati nella Casa dei coraggiosi. L’ espressione spaventata di Arthur era, però, la conferma che non avessero alcuna certezza in proposito e magari si mostravano più tranquilli di quanto lo fossero in realtà.  Hugo, per distrarsi, cominciò a sfidare tutti a scacchi magici, di cui dovette spiegarne le regole a Samuel, Vernon e Petunia che non vi avevano mai giocato. A mezzogiorno passò la Signora del carrello e Lily con i due amici si premurò di prendere un po’ di tutto per far assaggiare i dolci dei maghi ai tre che non li conoscevano.
«Che significa Tutti Gusti+1?» domandò Petunia sospettosa.
«Prova» rispose Lily con un ghigno. Hugo per esperienza non avrebbe mai accettato nulla dall’amica quando assumeva quell’espressione, che lo zio Harry definiva malandrina, ma Petunia avrebbe dovuto impararlo a suo spese. Infatti la ragazzina prese una caramella dal pacco e dopo un attimo di titubanza la mise in bocca. Tutti la osservarono in attesa di una reazione. Lei fece una smorfia disgustata e coprendosi la mano con la bocca corse fuori dalla scompartimento, mentre gli altri scoppiarono a ridere.
«Che cos’era?» chiese Vernon con le lacrime agli occhi.
«Caramelle, sono solo caramelle. Solo che hanno davvero tutti i gusti: da quelli classici a quelli più strani come cavoletti di Bruxelles o addirittura cerume. Quale abbia beccato tua sorella, non lo so», rispose Lily, suscitando altre risate. Quando la ragazzina rientrò si rifiutò di rispondere alle loro domande e lanciò un’occhiata offesa alla cugina. Arthur, che evidentemente era l’unico un po’ dispiaciuto, si sporse verso di lei e le porse una brioche.
«E’ una brioche di zucca», spiegò, «E’ molto dolce, a me piace un sacco. Fidati, ti toglierà il gusto della caramella».
Lei lo osservò per qualche secondo, poi si convinse di potersi fidare e prese la brioche, sussurrando un grazie. 
«Queste sono cioccorane», annunciò Alice, scartandone una.
«Rane in che senso?» chiese Samuel.
«Nel senso che hanno la forma di una rana. Niente di particolare, insomma. Fondamentali sono le figurine…» rispose Lily.
«Rappresentano i maghi più famosi di tutti i tempi. A me mancano Merlino e Corvonero. Accidenti non riesco mai a trovarli» continuò Alice.
Samuel ne scartò una e mentre la mangiava osservò la figurina: rappresentava un mago occhialuto con i capelli corvini e disordinati. La didascalia sul retro recitava:

Harry James Potter
Nato il 31 luglio 1980. Ricordato per essere il primo mago ad essere sopravvissuto all’Anatema che Uccide: il 31 ottobre 1981 grazie a lui scompariva per la prima volta Colui-che-non-deve-essere-nominato. Noto come il Prescelto, perché destinato a sconfiggere definitivamente il Mago Oscuro. Riuscì nell’impresa il 2 maggio 1998, durante quella che è nota come Battaglia di Hogwarts, salvando l’intero mondo magico e ponendo fine alla nuova guerra scoppiata con il suo ritorno. Attualmente è il Capo del Dipartimento Auror del Ministero della Magia.
 
«Chi è Colui-che-non-deve-essere-nominato?» chiese.
Tutti si voltarono a guardarlo e scese il silenzio. Arthur, Gideon, Lily, Alice ed Hugo sembravano tesi; Vernon e Petunia perplessi.
«E’ una storia vecchia… Prima che noi nascessimo. Ai nostri genitori non piace parlarne. E’ stato un periodo pieno di sofferenze. Lord Voldermort, questo era il vero nome del mago cattivo, ma molti ancora hanno anche paura di pronunciarne il nome. Era cattivissimo e faceva tante cose brutte. Mio padre l’ha sconfitto quando aveva diciotto anni, per questo è una mago famosissimo. Nelle figurine potrai trovare anche i genitori di Hugo, sono sempre stati con mio papà. Non l’hanno mai lasciato da solo» rispose Lily stranamente seria.
«C’è anche la Preside» aggiunse Arthur, mostrando la figurina, che aveva trovato. Samuel la osservò e riconobbe la donna, che era andata a trovarlo all’orfanotrofio: aveva lo stesso sguardo severo di quel giorno, anzi di più, perché poi quella volta si era addolcita curandogli i lividi, che gli avevano fatto i compagni. Ad un certo punto la donna scomparve.
«E’ sparita!».
«Le immagini magiche fanno così, più tardi tornerà» commentò Gideon.
Trascorsero un bel po’ di tempo con le figurine e poi ad assaggiare gli altri dolci.
*
Conrad Avens, un ragazzo di quindici anni di altezza media ed abbastanza esile di corporatura, entrò nello scompartimento occupato dai suoi compagni di Grifondoro.
«Allora sei vivo!» lo accolse Fred Weasley con un sorriso.
«Sono stato nominato Prefetto» replicò indicando la spilla, appuntata sulla divisa in perfetto ordine.
«Si l’avevamo notato» disse Seby Thomas, piegandosi in avanti verso di lui, in modo preoccupante.
«Allora… dicci un po’ da chi dovremo stare alla larga quest’anno» lo esortò Fred.
Conrad sbuffò e prima di rispondere osservò gli altri che occupavano lo scompartimento: Alexander Steeval, da tutti chiamato Alex, alto e snello, con un’espressione di sfida sempre stampata sul volto, anche se chi lo conosceva sapeva che era solo un atteggiamento di difesa: i genitori avevano divorziato quando lui aveva nove anni, anche se avevano problemi già da prima; secondo i pettegolezzi che si erano diffusi per tutta la comunità magica, in quanto suo padre era il Capo della Squadra Magica e quindi molto noto, la sera che morì il nonno di Alex, la signora Steeval non si era presa nemmeno la briga di annullare l’appuntamento con il suo amante, lasciando soli il marito e la suocera sconvolti e dopo il lutto era seguito il divorzio. Ora Alex ed i fratelli erano affidati al padre, giudicato senz’altro più adatto a crescere dei figli. Eleanor Mckenzie, una Nata Babbana, dai lunghi capelli biondi, magra, era un tipo che sprizzava energia da tutti i pori. Poi vi erano Danny Baston, James Potter e Tylor Jordan. Per farla breve era circondato dagli studenti più indisciplinati della Scuola.
«L’altro Prefetto di Grifondoro è Mary Anne Parker. Quelli di Tassorosso sono i gemelli Mcmillan, di Corvonero Beatrix Calliance e Laurence Roberts; mentre i Prefetti di Serpeverde Roockwood e Zabini».  
«Roockwood? Ma è un idiota!» commentò Fred.
«Tutti i Serpeverde sono stupidi! Uno lo doveva pur sceglierlo la McGranitt» s’inserì James.
«E i Caposcuola chi sono? A parte loro cugina si intende» domandò Eleanor.
«Dain Zabini per Serpeverde, Abel Calliance per Tassorosso e Fabian Parker per Corvonero» rispose Conrad.
«Giochiamo a sparaschiocco?» propose James e tutti ne furono felici. Mentre distribuiva le carte, una ragazzina irruppe nel loro scompartimento.
«Amber!», sobbalzò Alex cogliendola tra le braccia, «Che succede?».
«Jesse» singhiozzò lei.
«Che ti ha fatto?».
«Mi ha detto che se non finisco a Serpeverde mi ammazza ed ha insultato un ragazzino con cui stavo facendo amicizia, perché non era un Purosangue».
«Che idiota» commentò Seby.
«Io ancora non riesco a credere che siete fratelli» aggiunse Fred, scuotendo il capo.
Alex non disse niente e si limitò ad accarezzare la sorellina, sussurrandole parole di incoraggiamento nell’orecchio.
*
Vincent Goyle era un ragazzino alto per la sua età, troppo grasso, troppo arrogante, troppo stupido, ma tremendamente subdolo. Lui avrebbe voluto essere un leader, non uno dei tanti. Aveva già trovato dei compagni fidati, con cui cercava negli scompartimenti degli altri del primo anno per imporre fin da subito la sua supremazia. Lui sarebbe stato diverso da suo padre: non avrebbe preso ordini da nessuno. Fece un cenno ai suoi compagni e spinse la porta di uno scompartimento. I ragazzini all'interno lo osservarono incuriositi. Storse la bocca.
«Capelli rossi e lentiggini… Voi siete Weasley», disse subito indicando Hugo, Gideon, Lily ed Arthur, «E voi altri chi siete? Qual è il vostro Stato di Sangue?».
«Tu, chi cavolo sei?!» sbottò Lily alzandosi a fronteggiarlo, subito fiancheggiata da Alice e Gideon.
«Vincent Goyle», rispose con un inchino, «Loro sono Thomas Mcnair», un ragazzino basso e bruno fece un passo avanti verso Lily con fare minaccioso, «e Patrick Moran», disse indicando l’altro compagno, biondo ed alto.
«Sì, se te lo stai chiedendo Weasley», disse quest’ultimo rivolto ad Hugo, «sono il figlio di Ludovic Moran, Campione del Mondo di Quidditch».
«Allora a parte i Weasley, babbanofili e traditori del loro sangue chi altro c’è qui?» insisté Goyle.
Hugo saltò dal sedile nel tentativo di trattenere gli amici.
«IMPEDIMENTA» urlò una voce femminile alle spalle dei tre.
Goyle cadde ai piedi di Lily, la quale con un ghigno lo stuzzicò con un piede.
«Alla fine hai capito da solo quale sia il tuo…», ma non finì la frase perché Moran gridò:
«STUPEFICIUM» ma la mancò e colpì in pieno il finestrino, che andò in frantumi.
Lucy fece per saltare addosso al ragazzino, ma una mano la trattenne. Tutti sollevarono gli occhi su un ragazzo più grande, che era apparso sulla soglia dello scompartimento.
«Che succede qua?» chiese osservandoli uno per uno.
«A te che te ne frega?» replicò sprezzante Goyle.
Lily si convinse che doveva possedere un quoziente intellettivo rasente lo zero: il ragazzo era un Prefetto, ergo loro erano nei guai prima ancora di aver messo piede ad Hogwarts. Era il caso di rispondergli male?  Lui comunque avanzò all’interno dello scompartimento, ignorandolo.
«Ti sei fatta male?» domandò esaminando la mano di Petunia. Lily si voltò ad osservarla e si accorse che stava sanguinando. Lui estrasse un fazzoletto dalla tasca della divisa e le avvolse la mano «Non sembra nulla di grave… probabilmente una scheggia di vetro ti ha sfiorato. Comunque quando arriveremo a Scuola farai vedere la mano all’infermiera. Tranquilla, Madama Chips è bravissima», e poi rivolgendosi ai quattro che se la stavano battendo, «Non vi muovete».
«Come ti chiami?» gli domandò Petunia con gli occhi che le brillavano.
«Rimen Mcmillan… Allora che cos’è successo qui?» chiese per la seconda volta.
Lily gli raccontò tutto sperando che chiudesse un occhio, ma il Prefetto non sembrava intenzionato a farlo.
«Lucy Weasley, la Preside non sarà felice di aver a che fare con te fin dal primo giorno…».
«Fatti gli affari tuoi» replicò lei andandosene sbattendo i piedi lungo il corridoio.
«…Moran e Goyle farò rapporto alla Preside anche per il vostro comportamento. Ora andatevene nel vostro scompartimento», poi si rivolse a Lily ed al suo gruppetto, «Indossate la divisa siamo quasi ad Hogwarts».
Loro si riscossero e senza commentare quanto avvenuto fecero come gli era stato detto. Poco dopo il treno cominciò a rallentare ed alla fine si fermò alla stazione di Hogsmeade.
 
 
Nota dell’autrice:
Ciao a tutti! Questa è la mia prima fanfiction e spero che vi piaccia! Come avrete notato nei capitoli precedenti, cerco di rispettare quello che il volere di J.K. Rowling riguardo ai  personaggi della Nuova Generazione, ma con dell’eccezioni: infatti dalle varie dichiarazioni della scrittrice  risulta chiaro che ella immagini che Charlie sia l’unico Weasley non sposato, comunque mi sembrava brutto e quindi sono nati Fabi, Arthur e Gideon ( ci tenevo anche ad usare questi nomi, che come potete capire sono significativi per la famiglia Weasley); un simile discorso vale per Neville (la scrittrice ha designato Hannah Abbott come sua moglie, ma ha lasciato intendere che la coppia non ha avuto figli), nessuno più di lui, secondo me, merita di avere una famiglia. In questo capitolo ho tentato di presentare alcuni tratti salienti dei ragazzi. Spero di aggiornare almeno una volta alla settimana. Adesso vi lascio e spero che la lettura sia stata davvero di vostro gradimento. Mi raccomando recensite e ditemi che ne pensate: tutte le critiche, soprattutto se costruttive, sono ben accette :-D ;-)

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Capitolo 7
*** Smistamento ***


Capitolo settimo
Smistamento

Lily scese dal treno insieme agli amici. L’aria della sera era fresca e c’era odore di pioggia. La stazione era un vero caos: gufi che stridevano, gatti che scappavano tra le gambe e i ragazzi che si chiamavano da una parte all’altra della banchina. Al di sopra del frastuono i ragazzini sentirono un vocione a loro ben noto:
«PRIMO ANNO! PRIMO ANNO! PRIMO ANNO DA QUESTA PARTE».
«HAGRID» gridarono Lily, Hugo ed Alice abbracciandolo, anche se per essere precisi tutti e tre insieme non riuscivano a circondare la vita del Mezzogigante.
«Loro sono Vernon e Petunia, Hagrid» disse Lily spingendo avanti i due cugini.
«Piacere, ragazzi. Io sono Rubeus Hagrid il Custode delle Chiavi e dei Luoghi di Hogwarts» replicò lui, porgendoli la sua manona, che i due strinsero (anche se in realtà con la loro coprirono solo le punta delle dita). Harry gli aveva raccontato la sorprendente novità alla festa di compleanno di Roxane ed adesso li osservò con un certo interesse. Ad un certo punto si riscosse e gridò:
«PRIMO ANNO, PRIMO ANNO DA QUESTA PARTE. VENITE FORZA!».
Ragazzini spauriti arrivavano da tutte le direzioni.
«Ci siamo tutti?», chiese Hagrid, li squadrò per un attimo e poi aggiunse, «Adesso seguitemi e attenti a dove mettete i piedi».
Non aveva ancora concluso la frase che Lily inciampò in una radice, ma Hugo ed Alice la presero prima che cadesse a terra. Molti risero e suo cugino la guardò come a dire non ti smentisci mai. Lei arrossì per l’imbarazzo. Hagrid non si era accorto di nulla.
«Dopo questa curva ci potete vedere una prima panoramica di Hogwarts» annunciò.
Lily rimase a bocca aperta: un magnifico castello, tutto illuminato si ergeva su un’altura poco distante. Era meraviglioso. Si volse verso i suoi migliori amici e vide che sorridevano. Lo stretto sentiero, che Hagrid li stava facendo percorrere, si aprì sulla sponda di un lago: il Lago Nero. La luna, a malapena oscurata da qualche nuvola, si rifletteva sulle placide acque. Era uno spettacolo sublime. C’era qualcosa che l’attraeva in quelle acque scure: erano belle e spaventose allo stesso tempo. I suoi fratelli ed i suoi genitori le avevano raccontato che vi abitavano le creature più svariate: sirene, tritoni, avvicini ed addirittura una…
«…piovra gigante. Vi giuro, mio padre è caduto nel lago il suo primo giorno e mi ha detto che l’ha tirato fuori la proprio la piovra!» disse a voce alta un ragazzino con i capelli cortissimi, come quelli dei militari. Ed un gruppetto di coetanei lo ascoltava affascinato. Sulla sponda del Lago Nero vi erano ancorate delle barchette di legno.
«Su salite. Quattro per barca, mi raccomando. Solo quattro. Su sbrigatevi» li esortò Hagrid.
Lily salì insieme ad Hugo, Alice ed Arthur. I gemelli occuparono un'altra brachetta con Samuel ed un ragazzino che non conoscevano; mentre Gideon salì con tre ragazzine, pronto a stringere amicizia con loro. Lily adorava le barche: zio Bill ne possedeva una e durante le vacanze estive spesso la portava con sé a fare dei giri. La sensazione del vento sulla pelle era bellissima e la luce della luna contribuiva a creare un’atmosfera da sogno. Fin troppo presto l’incanto si spezzò e si fermarono in un porticciolo sotterraneo. Da lì raggiunsero il prato che si estendeva intorno al castello.
«Io sono Vernon» disse Vernon al ragazzino con cui aveva condiviso la barca. Quello sorrise e gli strinse la mano dicendo:
«Io sono Murray».
Molte ragazzine intorno a loro ridacchiavano e lo indicavano. Vernon era a disagio, poiché non ne comprendeva il motivo. Il compagno, invece, appariva solo parecchio infastidito ed evitò in ogni modo i loro tentativi di fare amicizia. Seguirono in silenzio Hagrid fino all’ingresso e poi oltre le maestose porte di legno. Qui li attendeva un mago minuscolo e completamente canuto. I ragazzini lo osservarono incuriositi.
«Ecco gli studenti del primo anno, professor Vitious».
«Grazie, Hagrid. Da qui in avanti me ne occuperò io».
Hagrid strizzò l’occhio ai cugini, tutti appiccicati in un lato della Sala d’Ingresso, e sparì attraverso una porta laterale.
«Buonasera e benvenuti ad Hogwarts, cari ragazzi», disse il mago con una vocetta stridula, «Io sono Filius Vitious Vicepreside della Scuola, Direttore della Casa di Corvonero e insegnante di Incantesimi. Tra poco vi sarà la Cerimonia dello Smistamento di fronte a tutta la Scuola. Infatti, come molti di voi sapranno, ad Hogwarts esistono quattro Case, intitolate ai Fondatori: Corvonero, Grifondoro, Tassorosso e Serpeverde. Per i sette anni che trascorrerete in questa Scuola la vostra Casa sarà come un seconda famiglia per voi. I successi che otterrete le faranno vincere punti, le violazioni del regolamento gliene faranno perdere. A fine anno la Casa con più punti si aggiudicherà la Coppa delle Case».
Una signora anziana si avvicinò all’insegnante e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Lui annuì e si rivolse ai ragazzini.
«Chi di voi si è fatto male sul treno?».
Petunia arrossì e si fece avanti.
«Tu sei la signorina Dursley? Fammi vedere la mano» disse sbrigativa la donna. Le tolse il fazzoletto insanguinato e dopo aver esaminato il taglio, agitò la bacchetta e la pelle si rimarginò.
«Grazie» disse Petunia.
«Era solo un taglietto. Niente di grave, proprio come ha detto il signor Mcmillan» commentò lei, rivolgendosi soprattutto all’insegnante.
«Grazie, Madama Chips. Ragazzi mettetevi in fila. E’ il momento dello Smistamento» annunciò il professor Vitious. Guidò i ragazzi attraverso una serie di porte a doppio battente fino alla Sala Grande, dove era radunata tutta la Scuola. Gli studenti erano divisi in quattro tavoli, uno per ogni Casa ed in fondo vi era il Tavolo delle Autorità. Tutti alzarono gli occhi verso il soffitto, che era incantato in modo da riflettere il cielo esterno, e si levarono vari ooh e wow. Lily cercò i suoi famigliari nei vari tavoli, imitata dagli amici: Albus e Jamie le fecero cenno dal tavolo di Grifondoro, per incoraggiarla. Lily si sentì felice e non desiderò altro che raggiungerli. Davanti al tavolo degli insegnanti si bloccarono, Vitious si allontanò un momento e ritornò con uno sgabello di legno, su cui era appoggiato un cappello vecchio, logoro e un po’ bruciacchiato. Tutti i presenti puntarono l’attenzione su di esso, il brusio si spense ed apertosi uno squarciò su un lato del cappello, questi iniziò a cantare. Alla fine della canzone, che aveva elencato le qualità di ogni Casa, tutti applaudirono.
«Bene, ragazzi. Adesso vi chiamerò in ordine alfabetico. Voi indosserete il Cappello Parlante e quando lui annuncerà la vostra Casa, raggiungerete il vostro tavolo» fece un pausa mentre srotolava un foglio di pergamena, tirato fuori da una tasca della sua veste blu scura.
«Allien Mirko».
Un ragazzino, bassino e biondo, si fece avanti ed indossò il Cappello, che gli coprì quasi tutto il volto. Poi dallo stesso squarciò attraverso il quale aveva cantato, il Cappello gridò:
«Tassorosso»
Il secondo tavolo a destra esplose in un appaluso per dare il benvenuto al nuovo compagno.
«Baston Karl»
«CORVONERO»
Questa volta a festeggiare fu il secondo tavolo da sinistra. Il professore lasciò che l’applauso si spegnesse e chiamò:
«Baston Kevin»
«CORVONERO»
Ancora una volta il tavolo dei Corvonero esultò con particolare enfasi, addirittura molti studenti più grandi si alzarono per stringere la mano ai nuovi compagni.
«Perché tutto questo entusiasmo?» chiese Vernon a Lily a voce bassissima.
«Sono i figli di Oliver Baston, Campione del Mondo di Quidditch ed attuale allenatore della nostra nazionale» replicò lei rapidamente, a voce altrettanto bassa.
«Canon Colin»
Il ragazzino, che Lily aveva sentito parlare con tanto entusiasmo della piovra gigante, si fece avanti e con passo malfermo raggiunse lo sgabello. Era biondo, di carnagione chiara e particolarmente minuto.  Sedette ed indossò il Cappello. Dopo qualche secondo gridò:
«GRIFONDORO»
Il tavolo all’estrema sinistra applaudì forte, mentre il ragazzino raggiante si univa a loro. Anche Corner Elisabeth fu smistata a Grifondoro. Dopo di lei fu chiamato Cubert Philippe che divenne un Corvonero. Poi fu il turno dei gemelli:
«Dursley Petunia»
La ragazzina si fece avanti titubante, ma camminò con la sua solita eleganza ed aria da snob, che tanto infastidiva Lily. Il Cappello impiegò almeno un minuto, prima di prendere una decisione:  
«CORVONERO»
Lily pensò che qualunque Casa le sarebbe andata bene, purché non fosse quella della cugina.
«Dursley Vernon»
Spinse il cugino terrorizzato. Il Cappello con lui ci mese almeno due minuti, poi finalmente gridò:
«GRIFONDORO»
Vernon, rincuorato, sedette accanto ad Elisabeth Corner. Finnigan Luna fu smista a Corvonero e Goyle Vincent fu accontentato immediatamente: appena il Cappello sfiorò il suo capo lo spedì a Serpeverde. In questo caso fu il tavolo all’estrema destra ad esultare. Lo smistamento continuò con Jefferson Gabriella che divenne una Grifondoro, Lowell Noemi a Tassorosso, Lumacorno Eloise e Mclaggen Carina a Serpeverde.
«Mcnair Thomas»
Il ragazzino, che avevano conosciuto sul treno con Goyle, avanzò baldanzoso e raggiunse l’amico con aria soddisfatta, quando il Cappello urlò:
«SERPEVERDE»
Montague Orion, Moran Patrick furono smistati anche loro a Serpeverde, mentre Mullet Murray divenne un Grifondoro e fu accolto da applausi fragorosi quanto quelli dei gemelli Baston.
«Nott Marcellus»
A questo nome si sollevò un brusio dai quattro tavoli, il ragazzino era molto pallido e sotto gli occhi di tutti percorse il breve tratto che lo separava dal Cappello Parlante. Aveva un fisico asciutto ed esile, gli occhi azzurri ed i capelli neri. La decisione del Cappello si fece attendere molto più a lungo rispetto alle precedenti. Trascorsero più di quattro minuti prima che urlasse:
«GRIFONDORO»
Il brusio nella Sala Grande divenne sempre più elevato, Marcellus si tolse il Cappello e con mano tremante lo porse al professor Vitious. L’applauso che lo accolse fu molto tiepido e si spense presto. Anche l’insegnante sembrava sconcertato; ripresosi chiamò: 
«Paciock Alice»
La ragazzina avanzò sicura; il Cappello a malapena le sfiorò la testa e gridò:
«GRIFONDORO»
Questa volta l’applauso dei Grifondoro fu molto caloroso.
«Potter Lily»
La Sala Grande si zittì completamente; Lily sapeva che la guardavano tutti solo per il suo cognome, infastidita si calcò il Cappello sulla testa, ma essendo troppo largo finì per coprirle gli occhi.
«Mmm che abbiamo qui», Lily sussultò sentendo quella vocina e impiegò qualche istante per comprendere che poteva sentirla solo lei, «Vediamo dove posso collocarti? Vedo molto coraggio ed intelligenza…».
«Fa quello che vuoi, ma non mi mettere a Serpeverde… ah e nemmeno a Corvonero, non sopporterei quella scema di Petunia…»
«Direi che la pazienza non è un tuo pregio! Certo che a Serpeverde non ci staresti male…».
«Non ci pensare nemmeno!» lo interruppe di nuovo lei.
«Uhm che caratterino… io continuo a pensare che Serpeverde sarebbe la Casa giusta per te… ma se proprio non vuoi, facciamo…GRIFONDORO» l’ultima parola l’aveva urlata a tutta la Sala Grande.
Lily felice si tolse il Cappello e corse dai suoi fratelli; il tavolo rosso-oro era scoppiato in applausi ed urla. Si ritrovò a stringere moltissime mani, molti si presentarono, ma lei a malapena ne sentì il nome in quel caos. Quando i Grifondoro si tranquillizzarono il professor Vitious chiamò Roberts Robin che fu smistato a Corvonero, Steeval Amber che divenne una nuova Tassorosso, poi fu il turno di Thomas Padma mandata a Corvonero così come Walcott Therry. Finalmente fu il turno dei cugini Weasley, Lily, Vernon ed Alice incrociarono le dita nella speranza che gli amici li raggiungessero.
«Weasley Arthur»
«TASSOROSSO»
Il ragazzino era cereo in volto mentre prendeva posto al tavolo giallo-nero. Lily vide sua cugina Fabiana fare un gesto incoraggiante verso il fratellino.  
«Weasley Gideon»
«GRIFONDORO»
Gideon sedette vicino a loro con evidente sollievo, ma sembrava rattristato del fatto che il gemello non era con lui: non si erano mai separati. Lily osservò Hugo, che sembrava sul punto di vomitare: la mancanza di autocontrollo l’aveva sicuramente ereditata dal padre.
«Weasley Hugo»
«GRIFONDORO»
Lily ed Alice abbracciarono Hugo quando si unì a loro, con un sorriso enorme stampato sul volto.
«Vance Samuel»
«TASSOROSSO»
Samuel si rattristò di non essere con Lily ed Alice e con un sospirò sedette vicino ad Arthur, che però sembrava troppo scioccato per essere di compagnia.
«Zabini Milly»
Una ragazzina con i capelli lievemente riccioluti e di corporatura minuta, fu l’ultima ad essere smistata; con lei il Cappello ci mise almeno un paio di minuti, ma alla fine, con palese sollievo della ragazzina, sentenziò:
«Serpeverde»
Lily cercò di attirare l’attenzione di Arthur e Samuel per farli capire che andava tutto bene, indipendentemente dal fatto che non erano Grifondoro; ma il cugino le dava le spalle ed aveva appoggiato la testa sul tavolo, Samuel invece era lievemente più tranquillo, nonostante la sua timidezza, stava chiacchierando con una compagna. Prima che potesse parlare con Alice ed Hugo per indicarli la reazione di Arthur, la Preside si alzò e fu costretta a tacere.
«Benvenuti i nuovi e bentornati i vecchi studenti. Spero che quest’anno scolastico sia ricco di soddisfazioni e successi per ognuno di voi. Prima di dare inizio al Banchetto di Benvenuto vorrei fare alcuni annunci» fece un attimo di pausa e sembrò squadrare i ragazzi uno per uno. «Come molti di voi sapranno la professoressa Macklin ed il professore McBridge sono andati in pensione. Sono lieta di presentarvi Gawain Robards che sarà il vostro nuovo docente di difesa contro le arti oscure e Direttore della Casa di Serpeverde».
Gli studenti applaudirono educatamente, solo i Serpeverde si mostrarono più entusiasti.
«I soliti ruffiani» borbottò James.
«Vorrei presentarvi anche il professore Ted Lupin, che ricoprirà la cattedra di Trasfigurazione». Questa volta l’applauso più forte si levò dai Grifondoro, alcuni Serpeverde lo osservavano sfrontati e ridendo: probabilmente ritenevano di poterlo manipolare secondo i loro desideri a causa della sua giovane età. Ancora una volta la professoressa McGranitt attese che tornasse il silenzio e poi riprese a parlare:
«Vi ricordo che i duelli di magia nei corridoi sono vietati, come lo è la Foresta Proibita… d’altronde non si chiamerebbe così se no… anche se sembra che alcuni di voi facciano fatica a comprenderlo» fissò il tavolo dei Grifondoro, dove Fred, Alex, Seby ed Eleanor avevano assunto un’espressione da angioletti, nient’affatto convincente. «Da quest’anno il signor Gazza sarà affiancato dal signor Franz Licory; entrambi mi hanno pregata di ricordarvi che quasi tutti i prodotti Tiri Vispi Weasley sono vietati. Troverete la lista completa affissa sulla porta del loro ufficio. Infine tutti coloro che vogliono partecipare ai provini per la squadra di Quidditch dovranno dare il proprio nome al Responsabile della loro Casa. Ed ora buon appetito a tutti» concluse e mentre prendeva posto i tavoli si riempirono di ogni genere di cibo, lasciando meravigliati i ragazzini del primo anno.
«Teddy è tutto rosso» ridacchiò Lily, cominciando a servirsi da un enorme piatto di salcicce.
Al tavolo dei Tassorosso il più sorpreso di tutti era sicuramente Samuel, che non aveva mai visto tanto cibo in vita sua. Rimase impalato per qualche secondo, mentre gli altri cominciavano a mangiare. Alla fine fu Arthur a scuoterlo, toccandogli il braccio. Iniziò a riempirsi il piatto di un po’ di tutto, ma continuava a sorprendersi di ciò che vedeva: insomma era la prima volta che poteva mangiare senza paura che uno dei compagni gli rubasse il cibo dal piatto. In più tutti chiacchieravano allegramente, scambiandosi racconti sulle vacanze appena concluse o sui loro progetti per il nuovo anno scolastico. All’orfanotrofio la direttrice non li permetteva mai di parlare durante i pasti, potevano farlo solo lei e la sua collaboratrice.
«Io sono Amber, tu come ti chiami?».
Samuel sollevò gli occhi dal piatto ed incrociò quelli verde chiaro della ragazzina che aveva parlato.
«Samuel, piacere».
«Sei contento di essere un Tassorosso?» gli chiese a voce bassissima, forse per non farsi sentire dagli altri compagni: Lily gli aveva spiegato che ognuno teneva particolarmente alla propria Casa.
«Non so… è che dei ragazzi che conoscevo sono finiti in un’altra Casa ed io avevo sperato che saremmo stati insieme… tu?».
«Mmm mio fratello maggiore è a Serpeverde, stamattina mi ha detto che me l’avrebbe fatta pagare se non fossi stata smistata lì… poi c’è Alex, l’altro mio fratello, lui è un Grifondoro… lui ha detto che non importava… a me non dispiace Tassorosso, ma avrei voluto essere con lui…».
«Capisco… non credo che tuo fratello più grande possa farti nulla… il professor Paciock mi ha detto che la prepotenza non è ammessa ad Hogwarts… i tuoi genitori?».
«Erano entrambi Corvonero… ma a mio padre non interessa in quale Casa siamo… cioè gli interessa, ma non ha mai preteso che uno di noi fosse per forza un Corvonero… e i tuoi?».
«Non lo so… mia madre non me l’ha mai detto… e mio padre non l’ho mai conosciuto… secondo te ci sono dei registri che si possono consultare…?».
«Beh immagino esista un archivio con tutti i dati degli studenti che hanno frequentato la Scuola, ma non credo che noi abbiamo il permesso di usarli… comunque potremmo andare nella Sala Trofei, lì ci sono gli elenchi dei Prefetti e Caposcuola… magari potresti trovare lì qualche informazione sui tuoi».
«Su mia madre… sarebbe bello…. Di mio padre non conosco nemmeno il nome…».
«Non essere triste… non possiamo scegliere in che famiglia nascere… io conosco la mia mamma, ma lei se ne frega di noi… quindi…».
«Mi aiuterai?» chiese timidamente dopo un po’.
«Amici?».
«Non ho mai avuto un amico…», costatò più rivolto a se stesso che a lei, «Amici». Lei lo sorprese ancora una volta, stringendolo in un abbraccio.
La serata trascorse tranquilla e si movimentò solo quando i fantasmi fecero il loro ingresso nella Sala Grande per dare il benvenuto ai nuovi studenti. Nick-quasi-senza-testa svolazzò per un po’ vicino a Lily ed agli altri ragazzini del primo anno e causò diversi conati di vomito, quando, su richiesta di Colin Canon, mostrò loro come poteva essere quasi senza testa.
«Mi raccomando», li incitò, «Sono già due anni che Corvonero si aggiudica la Coppa delle Case. La Dama Grigia sta diventando insopportabile con quella sua aria di superiorità» e così dicendo indicò un fantasma che svolazzava vicino al tavolo dei Corvonero.
«Tranquillo, quest’anno ci siamo noi».
«Che hai?» chiese Alice, rivolgendosi ad un ragazzino moro, seduto di fronte a lei.
«Non gli rivolgere la parola!» s’inserì Colin Canon, prima che lui potesse rispondere.
Alice odiava quando qualcuno le diceva che non poteva fare qualcosa, ciò valeva per i suoi genitori, figuriamoci un ragazzino minuscolo che avrebbe potuto atterrare con una mano.
«E perché no?» chiese a denti stretti.
«Lui è un Nott!».
«Continuo a non capire».
Lily ed Hugo non si intromisero, erano consapevoli che Colin stesse giocando con il fuoco: era meglio non fare arrabbiare Alice Paciock.
«La sua è una famiglia di Mangiamorte! Dovrebbero marcire tutti in galera!».
«Solo mio nonno» disse il ragazzino, le cui guance si imporporarono «Mio padre non lo è mai stato!».
«Solo perché non ne ha avuto il tempo! ».
«Dacci un taglio Canon», disse Alice tagliente, «Ora lui è un Grifondoro, quindi è a posto».
Gli amici sapevano, che anche se avesse avuto dei dubbi in proposito gli avrebbe comunque messi da parte pur di andare contro il compagno.
«E se fosse stato suo nonno a far del male ai tuoi nonni? Diresti ancora così?».
Alice lo osservò stranita: «Che centrano i miei nonni?».
«Non sai perché sono rinchiusi al San Mungo?».
Ora lo stavano osservando tutti. Prima che Alice trovasse un modo per replicare, uno studente più grande si intromise nella discussione.
«Ragazzino, sai che parli un po’ troppo? Non ti è passato minimamente per l’anticamera del tuo evidentemente minuscolo cervellino che magari alla tua compagna non hanno raccontato tutto? E forse non avrebbero dovuto raccontarlo nemmeno a te, visto che sei così immaturo. E per quanto riguarda Nott, anche io sono il nipote di un mangiamorte, ma non per questo sono meno Grifondoro! Quindi statti un po’ zitto. A meno che non vorrai spiegare tu al professor Paciock perché ti ho affatturato».
I ragazzi lasciarono cadere l’argomento, ma Alice divenne pensierosa e non si unì alle loro chiacchiere. Quando i piatti tornarono a svuotarsi e tutti erano ormai sazi, la Preside si alzò di nuovo augurandoli la buonanotte.
«Primo anno, seguitemi per favore» la voce annoiata di Dominique si levò sul frastuono causato dagli studenti che lasciavano la Sala Grande. Tutti i ragazzini a mano a mano si radunarono vicino a lei. Lily vide che i Prefetti delle altre Case stavano facendo altrettanto. Seguirono la cugina fuori dalla Sala ed attraverso diverse rampe di scale e corridoi. Per gran parte del percorso furono affiancati dai Corvonero. Vernon cercò di attirare l’attenzione di sua sorella, ma lei si limitò a fargli un cenno, troppo presa dalle sue nuove amiche.
«Questa che vi sto mostrando è la via più breve per raggiungere il nostro dormitorio. Quindi vedete di stare attenti, non ho intenzione di passare le prossime settimane a farvi da guida… Ah, alle scale piace cambiare, quindi seguitemi oppure per me potete dormire in corridoio perché non verrò a cercarvi».
«Scherza, vero?» chiese Vernon preoccupato, ma proprio in quel momento una rampa di scale sopra di loro si spostò.
«No» rispose Lily, cercando di non ridergli in faccia.
«Eccoci» annunciò Dominique, fermandosi davanti al quadro di un elegante signora con qualche chilo di troppo.
«Parola d’ordine?» chiese la Signora Grassa.
«Leo felix» replicò pronta Dominique. Il quadro si spostò rivelando un entrata nascosta e la ragazza fece loro segno di seguirla all’interno.
«Benvenuti nella Sala Comune di Grifondoro! Quella che avete appena sentito è la parola d’ordine. Imparatela a memoria e non ditela a nessuno. E ’severamente proibito far entrare nella propria Sala Comune studenti di altre Case. Naturalmente vale anche il contrario. Il coprifuoco per gli studenti dal primo al quarto anno scatta alle venti e trenta, per quelli delle classi superiori a partire dalle ventuno ed un quarto. Vedete di non farvi beccare in giro oltre l’orario o farete perdere un bel po’ di punti a Grifondoro. Bene, a sinistra ci sono i dormitori delle ragazze, a destra quelli dei ragazzi. Io sono Dominique Weasley e se avete bisogno potete chiedere a me o agli altri Prefetti o meglio ancora alla nostra Caposcuola. Il Responsabile della nostra Casa, se non lo sapete ancora, è il professor Paciock. E’ disponibilissimo; per qualunque cosa avrete bisogno potrete rivolgervi anche a lui senza alcun timore. Credo di avervi detto tutto. Ora vi consiglierei di andarvene a letto. Buonanotte». 
Lily aveva ascoltato a malapena metà del suo discorso, perché era troppo affascinata e continuava a guardarsi intorno: la sala era circolare, questo perché si trovavano in una delle torri, il pavimento era ricoperto da un tappeto scarlatto e lo stendardo di Grifondoro troneggiava sulla parete alle loro spalle. La Sala era disseminata di tavolini e poltrone. Il fuoco scoppiettava in un grande caminetto, posto sul lato destro della stanza, e riscaldava l’ambiente. Quando Dominique si avviò verso il dormitorio femminile, lei corse tra le braccia di Jamie ed Al, che l’avevano aspettata fino a quel momento. Insieme a loro c’erano anche Frank e Rose. Dopo aver augurato la buonanotte ai fratelli, i tre si diressero verso le loro stanze, dove i compagni li avevano già preceduti. Lily ed Alice si fermarono al primo piano; una targhetta accanto alla porta recitava: ALLIEVE DEL PRIMO ANNO. Entrarono e videro che le compagne di stanza avevano già indossato il pigiama. Durante la cena non avevano parlato quasi per niente.
«Io sono Lily e lei è Alice» disse subito la ragazzina, non aspettando altro di fare amicizia con quelle ragazzine con cui avrebbe condiviso la stanza per sette anni.
«Io sono Elisabeth» si presentò una delle due, tendendo la mano, in modo che sia lei che Alice giudicarono un po’ pomposo e formale, ma comunque la strinsero. Elisabeth aveva i capelli neri, che le arrivavano fin sotto le spalle, un colorito pallido ed occhi neri, che mettevano soggezione. Sembrava fin troppo matura per la sua età.
«Io sono Gabriella. Saremo amiche, vero?».
Alice e Lily in risposta la abbracciarono. Loro erano così: espansive ed esuberanti. La compagna ne fu felice e ricambiò la stretta.
«Sapete, mi sento così smarrita… fino ad un mese fa, non sapevo che quello che so fare è magia… e qui e tutto strano…».
«Tranquilla, ad Hogwarts ti troverai bene. Ci divertiremo un mondo».
«E’ un problema se io non ho i genitori maghi?» chiese a bruciapelo, mentre le altre si stavano mettendo sotto le coperte.
«No, assolutamente» replicò subito Lily.
«Beh un ragazzino sul treno diceva di sì».
«Alcuni ritengono di essere superiori perché provengono da antiche famiglie di maghi… ma sono tutte scemenze» spiegò Alice.
«Tu non sei d’accordo?» domandò Lily ad Elisabeth, che era rimasta in silenzio. Le si limitò a fare un cenno d’assenso con il capo.
«I vostri genitori sono maghi?».
«Sì» risposero tutte e tre in coro.
*
Nel dormitorio dei maschi erano ormai andati tutti a letto, ma quasi nessuno ancora aveva preso sonno. Era tutti persi nei loro pensieri. L’unico che dormiva era Hugo, sazio e soddisfatto per essere un Grifondoro, aveva un’espressione beata sul viso.
Gideon pensava al gemello ed era preoccupato. Insomma senza di lui non era in grado di cavarsela! E così avrebbe avuto più difficoltà a controllarlo ed a proteggerlo.
Murray era felice perché per la prima volta in vita sua aveva fatto amicizia con un coetaneo che si era avvicinato a lui in quanto tale e non perché era il figlio di due grandi Campioni di Quidditch.
Vernon non riusciva a prendere sonno per le troppe emozioni, certo era più tranquillo di quando era partito e non vedeva l’ora di scrivere ai genitori. Era un Grifondoro e stava già facendo amicizia: parte delle sue paure si erano rivelate infondate.
Marcellus era agitato per le accuse che Colin le aveva rivolto durante la cena. In parte se l’aspettava, perché il padre l’aveva avvertito. Comunque non era importante cosa pensassero di suo padre, lui gli voleva molto bene e sapeva che non avrebbe mai fatto male a nessuno. Chissà come ci sarebbe rimasto quando avrebbe scoperto che lui era un Grifondoro! Quella mattina l’aveva rassicurato affermando che qualunque Casa sarebbe andata bene, sperò che fosse davvero così e non ci rimanesse troppo male. Lui in fondo era contento della scelta del Cappello Parlante.
Colin era furente: non voleva condividere la stanza con il nipote di un mangiamorte. Si era lamentato con un Prefetto e lui l’aveva guardato come se fosse pazzo, per poi invitarlo a rivolgersi al loro Direttore se stava parlando sul serio, ma avvertendolo che il professor Paciock non sarebbe stato felice della richiesta. Insomma non capivano che avrebbe potuto essere il nipote dell’assassino di suo zio?!
Il sonno lentamente scese sui quattro ragazzi, che una alla volta crollarono stanchi da tutte le novità della giornata.
 
Nota dell’autrice:
Ciao a tutti! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Finalmente i ragazzi della NG sono ritornati ad Hogwarts. Credo che alla fine della guerra i pregiudizi vecchi non siano scomparsi (l’ho dimostrato soprattutto nel capitolo precedente): sono dell’idea che la guerra contro Lord Voldermort abbia aperto gli occhi a molti (come per esempio Malfoy e Nott), ma i pregiudizi non sono nati con il Signore Oscuro e difficilmente penso che possano essere morti con lui; in più si aggiungono i nuovi pregiudizi: tutti vorrebbero prendere le distanze dai Mangiamorte e da chi è loro legato a causa delle sofferenze che hanno inferto a molte famiglie della Comunità Magica; naturalmente Neville ed Harry, per esempio, non hanno ritenuto necessario elencare i nomi delle famiglie di mangiamorte ai figli, mentre Dennis, magari senza cattiveria, ha raccontato un po’ troppo al figlio( che sicuramente ha percepito anche la sua amarezza per la perdita del fratello). In fondo anche Ron ha messo in guardia dai Malfoy la figlia fin dal primo giorno (anche se invano ;-)) e lui continua a non vedere di buon occhio determinati soggetti. Attiro la vostra attenzione su ciò perché ritengo che sia importante per farvi capire il mio modo d’immaginare il mondo magico dopo la sconfitta del Signore Oscuro. 

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Capitolo 8
*** L'inizio di un'avventura ***


Capitolo ottavo
L’inizio di un’avventura

Marcellus si svegliò di scatto. Qualcosa l’aveva colpito. La luce inondava la stanza e lui fece fatica a focalizzarla.
«Se non ti alzi te ne tiro un altro» minacciò una voce, che non riconobbe.
«E dai Hugo, lascialo in pace» s’inserì un’altra voce.
Finalmente riuscì a vedere quanto avveniva intorno a lui. Tutto quello che era accaduto il giorno prima li tornò prepotentemente alla memoria. Di fronte al suo letto Vernon lottava con Hugo per prendergli un cuscino dalle mani. Accanto alla testata del letto ne vide un altro e comprese di essere stato colpito da quello. Riappoggiò la testa sul suo cuscino. S’era spaventato ed invece era solo uno stupido cuscino. Gideon mise fine alla lotta, riprendendosi l’oggetto della contesa, che probabilmente gli apparteneva. Marcellus di scatto sedette sul letto: il compagno indossava la divisa ed adesso litigava con il nodo della cravatta; Hugo si stava legando le scarpe da tennis, mentre Vernon e Murray chiacchieravano già pronti. Di Colin non c’era nessuna traccia. Saltò giù dal letto e cominciò a rovistare nel suo baule alla ricerca della divisa.
«Finalmente ti sei dato una mossa!» l’apostrofò Hugo.
«Se ti sbrighi, ti aspettiamo» disse Murray.
*
«Lily! Lily, ti vuoi svegliare?! E’ tardi!»
«Gabri, scusami, ma con Lily non funziona così» intervenne Alice.
«Ah sì? E come si sveglia la mattina?».
Per tutta risposta Alice prese un bicchiere d’acqua dal suo comodino e lo svuotò sulla faccia dell’amica. Lily si svegliò, borbottando parole incomprensibili; impiegò qualche secondo per focalizzare le due ragazzine vicine al suo letto, piegate in due dalle risate.
«Porco Merlino» sbottò con grande raffinatezza. «Io ti ammazzo Alice». Non aveva alcun dubbio che fosse stata la sua migliore amica. Cercò di scendere dal letto rapidamente per saltarle addosso, ma s’imbrogliò nelle lenzuola, scivolò e batté la testa contro il letto accanto. Le altre risero ancora più forte.
«Vedi che sono le otto ed quarto. Ti conviene muoverti se non vuoi arrivare in ritardo il primo giorno. Ci vediamo giù». Elisabeth Corner, perfettamente vestita, fece loro un lieve sorriso prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle.
Lily si sollevò e si massaggiò la testa.
«Lily!» la esortò Alice, visto che si era incantata.
La ragazzina si riscosse e si preparò velocemente. Un quarto d’ora dopo, grazie all’aiuto di Albus e Frank che le avevano aspettate in Sala Comune consapevoli che si sarebbero perse, fecero il loro ingresso in Sala Grande. Sedettero vicine ai ragazzi, che stavano facendo colazione. Lily si accorse che il professor Paciock stava già distribuendo gli orari delle lezioni.
«Ehi ragazze avete avuto difficoltà a svegliarvi?» domandò loro avvicinandosi. Lily sbadigliò eloquentemente e lui rise. «Ecco i vostri orari».
«Allora Alice hai dovuto ricorrere all’acqua per svegliare Lily?» chiese Hugo, mentre l’insegnante si allontanava.
«Conosci un altro modo per svegliare tua cugina?» replicò lei.
Tutti risero e Lily li fece la linguaccia.
«Mmm la prima ora abbiamo storia della magia» disse Vernon attirando l’attenzione di tutti.
«Che noia!» borbottò Gideon.
«Meglio cuginetto» intervenne James, seduto poco distante con i suoi amici. «Puoi continuare a dormire. Rüf non si accorge di nulla».
«Non dovresti suggerirgli certe cose, Jamie» disse Albus.
«Non ti impicciare, secchione. Con chi siete?».
«Con i Tassorosso» rispose Lily e si voltò per cercare Samuel ed Arthur: stavano facendo colazione anche loro e sembravano molto più tranquilli rispetto alla sera prima. «Voi?» aggiunse rivolta ai fratelli.
«Antiche rune. Non vedo l’ora» rispose Albus e gettando un’occhiataccia a Jamie, che stava fingendo un attacco di vomito, si alzò. «Io vado. Buona giornata a tutti». Subito lo seguirono i suoi compagni.
«Comunque storia della magia è inutile. Dovrebbero eliminarla dalla faccia della terra» disse Gideon, seccato.
«Non dire queste cose davanti a mio fratello! Potrebbe offendersi» disse Alice ridendo.
Frank, sentendosi chiamato in causa, sollevò gli occhi su di loro e la guardò male. Tutti quelli che li conoscevano si chiedevano come potessero essere fratelli, in quanto almeno apparentemente erano molto diversi tra loro: Frank era smilzo, con gli occhi ed i capelli castani come quelli del padre, il suo viso era un libro aperto, non per niente i suoi genitori gli dicevano sempre che quando mentiva si capiva subito, era un ragazzino solitario e l’unica persona con cui andava particolarmente d’accordo era Roxane Weasley; amava la storia, infatti desiderava diventare uno storico. Alice aveva una costituzione un po’ più robusta, i capelli erano castani e tendevano al biondo, gli occhi erano anche castani, era alta quanto il fratello maggiore, e non perdeva occasione per farglielo notare, vivace e movimentata amava essere al centro del caos, di cui spesso era anche autrice. Quanto Frank era studioso e tranquillo, tanto lei era svogliata e caotica.
«E se saltassimo Rüf?» propose Alice. Osservò il fratello aspettandosi una reazione indignata, ma lui si strofinò gli occhi con fare imbarazzato e sembrò trovare interessante il suo piatto ormai vuoto.
«C’è papà dietro di me, vero?» disse e si voltò, facendo un largo sorriso al padre. Lui ricambiò e disse:
«Avanti ragazzi, vi accompagno all’aula di storia della magia. Non vorrei che vi perdeste il primo giorno di scuola!». Alice s’imbronciò e tirò una gomitata a Lily, che era scoppiata a ridere.
«E tu che cos’hai?» chiese Alice al fratello, guardandolo male. Lui si alzò e recuperò lo zaino.
«Incantesimi», replicò lui, «E ci sto andando».
«Ma non arriverai in ritardo alla tua lezione?» tentò Alice rivolta al padre.
«No, non ti preoccupare», poi aggiunse rivolto a Jamie, Danny e Tylor, «Io solo posso arrivare in ritardo in caso, quindi voi tre muovetevi. Fra cinque minuti vi voglio trovare fuori dalla serra numero tre».
James alzò gli occhi al cielo, ma poi sorrise. Si alzò e prese la borsa. In fondo era contento di essere tornato ad Hogwarts: era una scuola magica, la migliore del mondo.
Neville accompagnò la figlia ed i compagni fuori dalla Sala Grande; a loro si aggiunsero anche Samuel, Arthur ed una ragazzina che ancora non conosceva, probabilmente avevano il timore di perdersi. Arrivati all’aula, trattenne Alice, mentre gli altri entravano.
«Alice, mi raccomando… comportati bene… Ah, poi ne abbiamo parlato: non puoi chiamarmi papà a scuola o quanto meno no a lezione. Comunque faccio finta che la tua incitazione a giocarsi la lezione sia stata solo una battuta. Ora vai. Mi raccomando».
Alice sbuffando sedette all’ultimo banco accanto a Lily. Hugo era davanti a loro insieme a Gideon ed al primo banco sedevano Samuel e la sua nuova amica. Vernon e Murray erano nell’ultimo banco della fila centrale e stavano chiacchierando con Gabriella seduta davanti a loro insieme a Colin. Al primo banco al centro si erano seduti Marcellus ed Elisabeth. Gli altri posti erano occupati dai Tassorosso.
«Mi sa tanto di una secchiona con i fiocchi» commentò Lily osservando Elisabeth, ma poi sobbalzò quando l’insegnante entrò fluttuando dalla parete. Insomma l’avevano avvertita che era un fantasma, ma vederlo con i propri occhi era tutt’altra cosa.
«Che noia! Non gli puoi nemmeno augurare un raffreddore piccolo piccolo» disse Alice ed entrambe scoppiarono a ridere.
L’insegnante iniziò a chiamare l’appello con voce lenta e noiosa facendolo diventare un’agonia. Finita quest’operazione burocratica, perché altrimenti non si poteva definire visto che non li aveva nemmeno guardati in faccia, iniziò a spiegare con lo stesso tono di voce e ben presto la classe cadde nel torpore. Solo i ragazzi ai primi banchi si sforzavano di prendere appunti. Alice e Lily trascorsero la lezione giocando a tris e tirando palline di carta a Gideon che dormiva beatamente. L’ora sembrò non passare mai, soprattutto per Murray che con suo grande fastidio veniva continuamente additato da due ragazzine di Tassorosso. Al suono della campanella fu il primo a correre fuori per evitarle.
«Che abbiamo adesso?» chiese Gideon sbadigliando.
«Difesa contro le Arti Oscure con i Serpeverde» rispose Hugo.
«Voi sapete dov’è l’aula vero?» domandò Vernon, ma gli altri scossero la testa. Si guardarono tutti intorno come se si aspettassero che comparisse una freccia che li indicasse la direzione giusta.
Lily vide Albus e si avvicinò a lui.
«Ehi Al ci accompagni a Difesa?».
«Va bene» rispose lui, fece un cenno agli amici e li guidò al piano di sopra, fin davanti alla porta.
«Grazie, Al» disse Lily abbracciandolo.
«Figurati. Ora vado o arriverò in ritardo da Vitious».
Quando entrarono, si accorsero che i Serpeverde erano già arrivati. Goyle ed i suoi amici li guardarono male. Lily ed Alice stavolta presero posto al primo banco. Poco dopo Gawain Robards, imponente ed austero, fece il suo ingresso in aula e si chiuse la porta alle spalle. Il silenzio fu immediato.
«Buongiorno ragazzi».
Ci fu un borbottio in risposta.
«Dovreste rispondere: “Buongiorno professor Robards”. Non vi hanno insegnato l’educazione i vostri genitori?».
Loro rimasero in silenzio, terrorizzati dalla sua sola presenza. L’insegnante alzò agli occhi al cielo e cercò di mantenere la calma. Era da quando aveva messo piede in Sala Grande quella mattina, che si ripeteva che aveva a che fare con dei ragazzi e non con degli Auror.
«Come saprete io sono un Auror e non uno studioso, conseguentemente ho intenzione di dare un taglio pratico alla mia disciplina. E' mio dovere insegnarvi a difendervi nel migliore dei modi. Poco mi importa di compiti e libri».
I ragazzini lo osservarono eccitati: suonava decisamente bene.
«Cominceremo immediatamente dall’incantesimo di difesa base. Chi sa dirmi qual è?».
Marcellus alzò la mano esitante.
«Come ti chiami?».
«Marcellus Nott, signore» mormorò lui, spaventato dalla sua voce aspra.
«Qual è la risposta?».
«L’incantesimo di Disarmo. La formula è esperlliamus».
«Bene. Cinque punti a Grifondoro. Però Potter mi aspettavo la risposta da te. Con quest’incantesimo tuo padre si è salvato la pelle molte volte».
Lily arrossì e replicò: «Non lo sapevo, signore». Nella prima lettera che avrebbe inviato a casa non avrebbe mancato di rinfacciare quest’imbarazzo al padre.
«Ora vi dividerò in coppie e vi eserciterete. Alzatevi, forza».
Loro obbedirono immediatamente e lui con un rapido gesto della bacchetta spostò i banchi lungo le pareti.
«Vi eserciterete a coppia. Le sceglierò io e non voglio sentire polemiche. Allora… Nott e Goyle, Potter e Mcnair, Paciock e Moran, Weasley e Weasley, Jefferson con Mclaggen, Lumacorno con Corner, Montague con Mullet, Dursley con Zabini, Canon fai a turno con Zabini».
Loro si disposero come li era stato detto. Marcellus nemmeno dieci minuti dopo riuscì a disarmare il compagno e Robards assegnò altri dieci punti a Grifondoro. Lily ed Alice abbandonarono ben presto le bacchette e cominciarono a spintonarsi ed a insultarsi con i loro avversari.
«Silencio», disse Robards e loro ritrovandosi nell’impossibilità di parlare si voltarono verso di lui, «In punizione tutti e quattro. E cinque punti in meno, ciascuno. E rimettetevi a lavoro!».
Lily ed Alice guardarono in cagnesco gli avversari e pochi secondi dopo li disarmarono. La lezione continuò senza ulteriori scontri.
«Ma tuo padre non ti aveva detto di comportarti bene?» chiese Lily ridendo.
«Credo che finire in punizione la seconda ora non è quello che intendeva» replicò lei.
«I Serpeverde meritavano una lezione e poi credo che Mcnair ce l’abbia con mio padre, ma non ho capito perché».
«Mmm non lo so, Lily. Comunque se Moran dice un’altra volta che sono cicciona lo ammazzo».
«Ti ha detto davvero una cosa del genere?».
«Sì, ma mi sono vendicata».
Trascorsero l’intervallo nel parco intorno al castello. Era una bella giornata e loro si crogiolarono al sole.
«Che abbiamo ora?» domandò Vernon, riscuotendo i compagni dal torpore in cui erano caduti. Hugo consultò l’orario e rispose:
«Erbologia».
«Mmm le serre sono lì. Andiamo».
«Ma davvero il professore è tuo padre?» chiese Gabriella.
«Sì, ma stai tranquilla non è tipo di favoritismi» replicò Alice.
Arrivarono proprio mentre Neville faceva segno ai compagni di entrare. Scoccò loro un’occhiata di monito.
«Chissà se sa già della punizione» sussurrò Alice a Lily.
«No, non credo. Non può aver avuto il tempo di parlare con Robards» rispose lei, mentre prendevano posto.
Neville spiegò in linea generale quali fossero gli obiettivi del corso ed illustrò il programma che avrebbero affrontato quell’anno. Poi li spiegò come trapiantare un semplice bulbo, soffermandosi sulle giuste quantità di concime e terra da usare. Nell’ultima parte della lezione li invitò a mettere in pratica quanto ascoltato; nel frattempo lui girò tra la varie postazioni per correggere eventuali errori. Hugo non ci mise molto a portare a termine il compito: gli piaceva aiutare la mamma e la nonna in giardino. Mentre Neville era distratto con Elisabeth Corner, cercò di rimediare al pasticcio che Alice e Lily avevano combinato. Non che ne fossero particolarmente preoccupate. Avevano giocato con la terra per tutta l’ora e ne avevano gettata parecchia a terra. Il bulbo nel vaso era completamente affogato nel concime, perché non si erano minimamente preoccupate di rispettare le giuste proporzioni.
«Hugo!».
Lui si voltò ed incrociò lo sguardo di Neville. Come si dice? Beccato con le mani nella marmellata? No. Beccato con le mani nel vaso, quello di Lily.  Ritirò le mani, ma non seppe rispondere alla sua tacita domanda.
«Ti prego di non mettere più le mani nel lavoro degli altri, meno che mai in quello delle tue migliori amiche o dovrò prendere provvedimenti. E sai che non voglio!».
«Mi dispiace».
Neville gli sorrise, tornando gioviale come sempre, e controllò il suo vaso: «Hai fatto un buon lavoro comunque. Cinque punti a Grifondoro». Hugo sorrise contento. «Quanto a voi… vedete che vi ho osservato per tutta la lezione e non mi è piaciuto per nulla il vostro comportamento. Prima di andare a pranzare, metterete in ordine la serra». Ignorò il loro disappunto e riprese a controllare il lavoro degli altri. Hugo si guardò intorno e vide che oltre lui, solo Elisabeth Corner e Marcellus avevano portato a termine il compito tra i Grifondoro; mentre i Tassorosso, con cui seguivano la lezione, erano decisamente molto più avanti. Tutti tranne suo cugino Arthur, che a quanto pare mancava di un minimo di senso della misura ed i suo bulbo era sparito nel vaso. Cercò Neville per vedere se si era accorto delle difficoltà del cugino, ma lui era impegnato con Colin Canon. Alzò la mano e lo chiamò: «Professore». Neville sollevò gli occhi su di lui ed Hugo gli chiese: «Posso aiutare Arthur?». L’insegnante si voltò ad osservare il ragazzino, che arrossì: «Sì, va bene». La sua risposta suscitò subito le polemiche di Lily ed Alice.
«Ma insomma che volete? Non avete fatto altro che giocare per due ore!» sbottò Neville.
«Anche lui non ha seguito» sentenziò Lily.
«Non è vero! Ho preso anche appunti!» s’indignò Arthur.
Comunque ogni altra polemica fu messa a tacere dal suono della campanella. Hugo finì di aiutare Arthur, mentre Lily ed Alice cercarono di sgattaiolare via insieme agli altri.
«Non ci pensate nemmeno!» le bloccò Neville. «Non ci muoveremo da qui finché non avrete ordinato tutto», poi si rivolse ad Hugo ed al cugino: «Tutto apposto ragazzi?».
«Sì, grazie professore» rispose Arthur, mentre con sollievo aggiungeva il suo vaso sul tavolo dove li avevano raccolti tutti. Samuel ed Amber lo stavano aspettando vicino alla porta. Hugo lo seguì fuori, ma sulla soglia tentennò un attimo osservando le sue amiche che spazzavano senza alcuna convinzione.
«Hugo, vai. Lily ed Alice ti raggiungeranno tra poco… sempre se smettono di fare i capricci».
Il ragazzino obbedì e seguì il cugino ed i suoi amici in Sala Grande, poi si divisero ognuno diretto al proprio tavolo. Sedette vicino a Rose ed Albus.
«E mia sorella?» gli chiese subito il cugino.
Hugo rapidamente raccontò loro della prima lezione di erbologia; Al scosse la testa rassegnato e borbottò: «E’ tutta Jamie».
A quest’ultimo, arrivato in quel momento, non sfuggirono le ultime parole del fratello:
«Che ho fatto adesso?».
Hugo gli raccontò rapidamente quanto aveva già riferito ad Al. Lui ridacchiò e non disse nulla. Poco dopo si aggiunsero a loro Dominique, Fred e Molly. Sembrava quasi di essere alla Tana.
«Allora qualcuno di voi ha fatto lezione con Teddy?» chiese Dominique.
«Noi» rispose Albus e Rose accanto a lui annuì, mentre ingoiava un boccone particolarmente grosso (l’appetito l’aveva ereditato dal padre).
«Come è stato?».
«Magnifico. Eravamo con i Serpeverde e loro pensavano di poter fare quello che volevano…» rispose Rose.
«…già solo perché è giovane. Ma sono caduti male. Ha tolto dieci punti a Warrington…» aggiunse Albus. «Spero abbiano capito. Credo che ci sia andato leggero solo perché è il primo giorno. Comunque è molto bravo a spiegare, ma questo lo sapevamo già…».
«Ha cominciato a spiegare gli animangus. Si è trasformato in un lupo davanti a tutta la classe. Credo che gli abbia fatto guadagnare parecchi punti… insomma solo i maghi più capaci sono in grado di divenire animangus».
«Già è stato fantastico», convenne Albus, «Vorrei tanto diventare anche io un animangus».
«Il nonno lo era» ricordò James. «Comunque a proposito di animagi, state attenti se vedete in giro un gatto con strani segni vicino agli occhi. Allontanatevi e non fiatate. Qualunque cosa potrebbe essere usata contro di voi».
I ragazzi più grandi risero, i più piccoli sembrarono perplessi.
«Insomma, Hugo», sbuffò Rose, «Mamma ce l’ha raccontato un milione di volte. La Preside è un animangus… una gatta per la precisione. Ed il qui presente James Sirius Potter dall’alto della sua intelligenza ha provato a catturarlo due anni fa».
«Accidenti, mi ha punito per una settimana! Ma che ne sapevo io, che lei è un animangus?». Molti risero.
«Peccato che per giustificarti hai detto di averla confusa con Mrs. Purr, che cercavi di catturare per farla trovare a Gazza appesa da qualche parte! Se ricordi ti ha punito per questo…» disse Rose.
«Ah già… si era per questo in effetti».
Tutti risero di nuovo davanti all’espressione malandrina di James.
«Ehi Frank, perché quella faccia?» la domanda di Fred attirò l’attenzione di tutti sul ragazzino appena arrivato, seguito da Roxi.
«Ho fatto esplodere il calderone alla prima lezione. Tu che faccia avresti?». Gli altri risero e Frank con una smorfia aggiunse: «Ah, scusa. Mi ero dimenticato che sei il Re delle Pozioni! Mcmillan mi ha mollato un tema lunghissimo in cui devo spiegare gli errori commessi! Ma come faccio? Non ho idea di che cosa ho fatto perché esplodesse!» si lagnò.
«Più tardi ti aiuto io. Promesso».
«Grazie mille» disse sincero e poi cominciò a riempirsi il piatto un po’ più tranquillo. Nel frattempo Lily ed Alice entrarono in Sala Grande alquanto imbronciate, seguite invece da un Neville soddisfatto di averle domate almeno per il momento.
«Che avete combinato?» chiese Frank, ma sua sorella si gettò sul cibo senza degnarlo di uno sguardo. Lily, che gli voleva bene, biascicò una rapida risposta e poi si mise a mangiare. Lui tra l’allibito ed il rassegnato la imitò. Ad un certo punto Frank richiamò di nuovo l’attenzione della sorellina:
«Perché papà ti guarda in quel modo?».
Tutti si voltarono verso il tavolo degli insegnanti ed Alice rivolse un sorriso innocente al padre, lui scosse la testa e si mise a parlare con Mcmillan, seduto al suo fianco.
«Mi sa che Robards ha fatto la spia» disse Lily, per poi raccontare agli altri del loro scontro con i Serpeverde.
«Certo, che Mcnair ce l’ha con papà! Non hai sentito? Quest’estate papà ha arrestato suo padre. Voleva vendicarsi!» commentò Albus.
«Ah… non ci avevo pensato…».
«Comunque che non ti venga in mente di scontrarti di nuovo con lui!» l’ammonì gesticolando con la forchetta. «Non è una cosa che riguarda noi. Papà si arrabbierebbe».
«Se insulta di nuovo papà io lo affatturo» replicò lei.
«Non sei in grado» le fece notare Hugo.
«Imparerò a farlo solo per colpirlo!».
«Sei impossibile, Lily» sbuffò Albus, mentre Fred e James se la ridevano. 
Nel pomeriggio i Grifondoro del primo anno avevano lezione di pozioni con i Corvonero e Lily non ne era affatto felice, ma il più spaventato di tutti era Vernon che avrebbe dovuto affrontare sua sorella. Trascorsero la pausa pranzo vagando per il parco e ne approfittarono per spiegare qualcosa sul loro mondo a Gabriella. La ragazzina rimase particolarmente affascinata dalla descrizione delle creature che abitavano il Lago Nero.
«Mi sa che andresti molto d’accordo con Hagrid» ridacchiò Hugo.
«Chi è Hagrid?».
«Hai presente quell’omone grande e grosso che ci ha accompagnati ieri sera?».
«Sì…».
«Lui è Hagrid. E’ un Mezzogigante, per questo è enorme… ma è una persona buonissima e ama le creature magiche…» spiegò Lily.
«Infatti insegna Cura delle Creature Magiche» aggiunse Hugo.
La campanella suonò in lontananza e i ragazzini sussultarono.
«Ma non mancava mezz’ora??» sbraitò Hugo verso Vernon, che osservò l’orologio che portava al polso.
«Mi sa che si è rotto» borbottò. Lily gli prese il polso senza molta delicatezza e lo osservò.
«E’ uno degli ultimi modelli dell’Apple! Perché non me l’hai detto?! Si serve di internet! Queste cose non funzionano qui! La magia interferisce».
«Davvero? E quindi il mio cellulare?».
«Prega che funzioni quando ritorni a casa!» rispose Lily.
«Ehm non per interrompervi… ma siamo in ritardo e credo che neppure voi sappiate dov’è l’aula di pozioni!» intervenne Hugo.
Senza aggiungere altro si avviarono verso il castello, ma non trovarono nessuno a cui chiedere informazioni.
«Credo che dovremmo scendere nei sotterranei». Lily li guidò verso delle scale e loro la seguirono. Per loro sfortuna la prima persona che incontrarono fu un Serpeverde del settimo anno che si divertì a farli sbagliare strada. Lily ed Alice cominciarono a maledire tutta la Casa di Salazar Serpeverde e furono sentite da una ragazza, che un cipiglio minaccioso chiese loro:
«Che cos’avete contro i Serpeverde?».
Hugo decise di prendere in mano la situazione e siccome lei era un prefetto pensò di potersi fidare:
«Scusa, ma un tuo compagno ci ha dato le indicazioni sbagliate per raggiungere l’aula di pozioni e noi ci siamo persi».
La ragazza sbuffò e lanciando un’occhiataccia a Lily ed Alice li accompagnò fin davanti la porta dell’aula.
«Grazie» le disse Hugo, poi siccome le amiche erano ancora irritate, bussò ed entrò. Neanche a dirlo tutta la classe si voltò a guardarli, manco se non avessero mai visto qualcuno arrivare in ritardo!
«Scusi professore, ci siamo persi» borbottò imbarazzato.
«Per questa volta non toglierò punti a Grifondoro. Solo perché è il primo giorno. Forza sedetevi, stavo giusto dicendo ai vostri compagni che vorrei che preparaste una Pozione Scacciabrufoli. Potete trovare gli ingredienti a pagina dodici del vostro manuale. Per quanto riguardo ciò che ho spiegato prima vi farete prestare gli appunti…» disse Ernie Mcmillan con una punta di severità nella voce. Loro fecero come li era stato detto: Lily, Hugo ed Alice sedettero accanto a Marcellus al primo banco, mentre Gabriella e Vernon vicino a Gideon e Colin in fondo alla classe. La pozione scacciabrufoli era abbastanza semplice, ma molti ebbero comunque difficoltà. Alla fine della lezione solo Alice, Lily, Hugo e Marcellus tra i Grifondoro riuscirono ad realizzarla correttamente. Vernon, quando uscirono dall’aula era alquanto depresso, ma comunque per una volta anche sua sorella non era riuscita a dimostrarsi la più brava. Petunia infatti sembrava parecchio arrabbiata, d’altronde la sua pozione emanava un fumo scuro e dall’odore nauseabondo, e se ne andò senza nemmeno salutarli.
«Su, non te la prendere» disse Lily a Vernon dandogli una pacca d’incoraggiamento sulla spalla. 
 

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Capitolo 9
*** Quiddtch ***


Capitolo nove

Quidditch

Nei giorni seguenti Alice e Lily si sforzarono a stare tranquille e non combinarono nessun guaio degno di nota. Entrambe erano streghe molto dotate e quindi riuscivano in ogni attività cui si applicavano. Il problema, però, era proprio quello di attirare la loro attenzione. Durante la prima lezione di Incantesimi dopo dieci minuti avevano iniziato ad annoiarsi ed avevano trovato divertente disarmare i compagni che si esercitavano nei movimenti con la bacchetta: i poveretti si vedevano volar via la bacchetta dalle mani senza capire; ma comunque l’anziano docente non se ne accorse. La prima lezione di trasfigurazione fu molta impegnativa e fu l’unica a creare loro difficoltà.
«L’arte di trasfigurare gli oggetti è molto complessa e richiede grande concentrazione» aveva esordito Teddy quel mercoledì mattina.
Lily ed Alice, come sempre, avevano sottovalutato le sue parole e non avevano prestato ascolto alla sua spiegazione e quando lui aveva detto:
«Ora vi distribuirò un fiammifero ciascuno e vorrei che vi esercitaste a trasformarlo in un ago».
Le ragazzine si erano approcciate con superficialità al compito, ritenendo che fosse troppo semplice. In realtà un’ora dopo il loro fiammifero si era ostinato a rimanere tale. Ancora una volta seguivano la lezione con i Tassorosso. Marcellus si era mostrato subito molto portato per la materia: al primo colpo il suo fiammifero era diventato appuntito e metallico; poco dopo era pervenuto allo stesso risultato anche Samuel. Teddy aveva assegnato dieci punti ad entrambe le Case. Hugo alla fine dell’ora si era vantato del fatto che il suo era diventato appuntito ed addirittura aveva anche la cruna, anche se era rimasto di legno. Anche Vernon era riuscito a cambiare qualcosa con sua grande felicità. Gli altri non avevano avuto particolare successo, comunque Teddy assicurò loro che avrebbero continuato ad esercitarsi finché non sarebbero stati tutti allo stesso livello. Il venerdì sera ebbero la prima lezione di astronomia, che colpì particolarmente Alice. La volta celeste, lontano dall’inquinamento di Londra, si vedeva perfettamente e la ragazzina ne rimase affascinata. Lily si annoiò parecchio e trascorse l’ora a lanciare palline di carta bagnata tra i capelli di Petunia, cercando di immaginarsi la sua faccia quando tornata in dormitorio se ne sarebbe accorta. Il sabato mattina scesero a colazione presto perché volevano assistere ai provini per squadra di Quidditch di Grifondoro. Lily sedette con i suoi fratelli ed i cugini. Lanciò un’occhiataccia ad Albus perché avevano dovuto costringerlo ad iscriversi, nonostante fosse bravo. Lui la ignorò: era arrabbiato con lei e Rose perché l’aveva messo alle strette davanti all’intera Sala Comune. Stessa sorte era toccata a Frank.
«Frank… Al… ho bisogno del vostro aiuto» provò Fred, ma entrambi lo guardarono male perché non li aveva spalleggiati contro le ragazze. «Sul serio… Io ieri ho preso T in erbologia e non so a chi chiedere aiuto…».
«Come cavolo hai fatto?» sbottò Albus, abbandonando l’espressione offesa.
«Mio padre cerca sempre di non mettere voti inferiori alla D!».
«Beh diciamo che ho dato fuoco al mio arbusto autofertilizzante…».
Alice, Lily, James, Eleanor e Seby scoppiarono a ridere.
«Merlino, è stato magnifico» biascicò Seby tra le risate.
«Sì, magnifico… Peccato che stavamo lavorando in coppia e mi sono beccato una T anche io» borbottò Alex.
«Una T dove?» chiese Amber unendosi a loro insieme a Samuel e ad Arthur.
«Erbologia…».
«Ma T non sta per Troll?».
«Esatto» confermò James.
«Papà ti aveva detto di impegnarti perché quest’anno hai i G.U.F.O.!».
«Già… quindi Amber non mi fare la predica anche tu! E’ stato un incidente».
«Come cavolo hai fatto?» chiese Frank.
«Sei troppo piccolo per queste cose, quando cresci te lo spiego». Frank rimase interdetto, ma gli altri si piegarono in due dalle risate.
«Per caso seguite erbologia con i Tassorosso?» chiese Rose, quando riuscì a smettere di ridere.
«Purtroppo sì… Anche pozioni…» rispose Alex.
«Ma tu che ne sai!?» sbottò Fred diventando paonazzo.
«I tonti siete voi maschi! Ora vado a prendere scopa e tuta ci vediamo al campo… e non vi ingozzate troppo come al solito!».
«Hai una cotta per una Tassorosso?» domandò Lily.
«Lily! Vai ai giocare con le bambole, per favore. Io vado al campo e voi smettetela o vi affatturo».
Gli altri risero di nuovo e Lily fu trattenuta da Albus, per evitare che attaccasse il cugino davanti a metà del corpo docenti in quel momento presente in Sala Grande.
*
Fred, ancora irritato per la conversazione avuta con i cugini a colazione, avanzò verso il centro del campo di Quidditch. Percepiva su di sé gli sguardi dei ragazzi presenti ed ogni tanto le risatine di qualche ragazza. Dopotutto era un bel ragazzo e sarebbe stato uno dei più richiesti della Scuola se non fosse stato per sua tendenza innata a cacciarsi nei guai. S’aggiustò la spilla di capitano sul petto, cercando di darsi un tono e strinse con l’altra mano la sua nuovissima Sagitta Millenium (“La scopa del nuovo Millennio” recitava lo slogan pubblicitario). Gli altri membri della squadra lo circondarono: James il Cercatore, Danny e Rose i Cacciatori. Gli iscritti ai provini erano un bel numero. Cercò di attirare la loro attenzione, ma invano. Allora Rose fece schizzare delle scintille rosse dalla bacchetta e tutti la guardarono spaventati.
«Se fate lo sforzo di tacere, iniziamo!» disse a denti stretti. Il silenzio fu assoluto. Fred le rivolse un’occhiata di ringraziamento.
«Bene come tutti voi sapete oggi dobbiamo scegliere un portiere, un cacciatore ed un battitore. Per prima cosa vorrei che vi divideste in gruppi e faceste alcuni giri del campo volando».
Fred e Rose ci misero parecchio tempo a dividerli in sei gruppi da cinque. Lily e gli altri nel frattempo osservavano comodamente seduti sugli spalti. Era stata Angelina a consigliare loro di cominciare così le selezioni. Ai ragazzi era parso strano, in quanto ritenevano scontato che se uno si presentava alle selezioni dovesse per forza saper volare. Scoprirono presto quanto si sbagliavano: nel primo gruppo c’era un ragazzo del settimo anno che a quanto pare soffriva di vertigini e cominciò a piagnucolare ed a supplicare che lo facessero scendere; nel secondo gruppo c’era Albus che volò benissimo; nel terzo Dominique, che erano stati tutti sorpresi di vedere perché di solito si rifiutava di giocare per paura di spezzarsi un’unghia o di sporcarsi, Edmund Parker, il suo attuale fidanzato, Tylor Jordan e Molly, che fu un disastro; nel quarto c’erano molte di quelle ragazze che ridevano al suo passaggio e fu felice di poterne eliminare parecchie; nel quinto Frank, che sa la cavò abbastanza bene e nel sesto ed ultimo gruppo vi fu tamponamento a catena, perché uno dei primi aveva frenato di botta senza un motivo preciso e gli altri li erano arrivati a dosso.
«Quanto meno si sono ridotti di numero» sussurrò Fred ad una Rose scandalizzata, poi rivolto agli altri: «Perfetto, ora dividetevi in tre gruppi a seconda del ruolo per cui volete provare. I primi saranno portieri e cacciatori». Erano rimasti circa una quindicina di candidati, di questi una decina si propose come cacciatore, tre portieri e due battitori. Albus e Frank erano irritati ed avevano la faccia di chi voleva far finire al più presto una tortura.
«I cacciatori tireranno cinque rigori per ogni portiere. Il primo sarà Frank».
La prova di Frank fu abbastanza rapida e deprimente, Fred capì subito che non era portato per quel ruolo, se non ci fosse stato Jamie forse avrebbe potuto tentare come cercatore; comunque non ne parò nessuna e Fred si sentì in colpa di non aver evitato che Rose, Alice e Lily lo costringessero. Alice sugli spalti rideva di lui senza alcun ritegno e mentre atterrava fu sicuro di aver colto un’espressione risentita ed offesa sul volto del ragazzino. Albus sorprese tutti e forse anche se stesso parandole tutte: era davvero portato per quel ruolo; alla Tana spesso si rifiutava di giocare con loro a Quidditch e lui aveva sempre pensato non avesse il talento di Lily e Jamie. Anche Edmund Parker diede ottima prova di sé. Con l’accordo di Rose e Danny eliminò subito quattro cacciatori che avevano dimostrato di non vedere nemmeno i tre anelli. Fecero fare dei tiri liberi ai sei candidati rimasti. Ancora un volta Albus ed Edmund si mostrarono molto abili. Alla fine i candidati cacciatori rimasero in quattro.
«Bene, adesso faremo una partitella» annunciò Fred con voce roca per aver litigato con i cacciatori respinti. «Dominique, Edmund, Doge, Calliance, Walcott, Barker ed Alex da una parte; dall’altra insieme ai membri effettivi della squadra voglio Hans, Seby ed Albus… Per favore Rose libera le palle e tu Eleanor fai da arbitro».
Fred fece durare la partitella un bel po’: Jamie ed Alex avevano l’ordine di acchiappare il boccino d’oro solo al suo segnale. In questo modo ebbe la possibilità di vedere come i giocatori si muovevano sul campo, per quanto si trattasse solo di una simulazione. Alla fine diede il segnale ai due cercatori. James cinque minuti dopo brandiva il boccino tra le dita. Fred fece segno agli altri di scendere. A terre confabulò un po’ con i compagni di squadra e poi si rivolse ai candidati:
«Vi ringrazio per aver partecipato… Purtroppo possiamo scegliere solo tre di voi… Il nuovo portiere è Albus Severus Potter… Il nuovo battitore Agnes Walcott ed il nuovo cacciatore Elphias Doge… Il primo allenamento sarà lunedì sera alle sette. Buon week end».
*
«Dov’è Al?» chiese Alastor sedendosi accanto a James.
«Ti risulta che io gli faccia da balia? Sarà in biblioteca!».
«Non c’è. E’ dalle selezioni che non lo vediamo».
«Abbiamo cercato dappertutto» confermò le sue parole Scorpius sedendosi insieme a Rose, Cassandra Cooman ed Elphias. 
«Anche da Hagrid?».
«Ehm no… ci siamo dimenticati» ammise Rose.
«Visto mio fratello non è sparito nel nulla».
Si misero tutti a cenare in silenzio, solo quando avevano quasi finito Albus si unì a loro.
«Ciao» disse semplicemente.
«Oh ecco il mio portiere» lo accolse Fred con un ampio sorriso, che però il cugino non ricambiò.
«Ero venuto a parlarti di questo Freddie… io non ho intenzione di entrare in squadra».
James si affogò, Fred e Rose lo squadrarono come se fosse impazzito.
«Molto divertente» commentò James ripresosi.
«Non è uno scherzo! Dai il posto ad Edmund, perché io non giocherò!».
«E perché no?» domandò Fred con voce pericolosamente calma, tanto che Roxi vicino a lui gli pose una mano sul braccio.
«Sapete benissimo che ho partecipato ai provini solo perché mi avete costretto… non ho tempo per il Quidditch, in una sola settimana ci hanno riempiti di compiti e…».
«Tutte scuse! Ammetti che hai solo paura!» sbottò James.
«Lo ammetto… contenti? Ed adesso lasciatemi in pace!» disse alzandosi.
«ALBUS SEVERUS POTTER SEI UN FIFONE!», urlò James e tutta la Sala Grande si voltò verso di loro. «SEI UN FIFONE!».
Albus strinse i pugni sul punto di reagire alla sua ennesima provocazione, ma Alastor, Elphias e Scorp lo raggiunsero.
«Dai, andiamo» sussurrò Alastor spingendolo verso la porta.
«PER UNA VOLTA CHE ERO FIERO DI ESSERE TUO FRATELLO».
Gli amici videro le mani di Al stringersi a pugno con tanta forza da divenire quasi bianche, ma anziché voltarsi si affrettò ad uscire dalla Sala Grande, dove i Serpeverde avevano cominciato a ridere.
Quando James salì in Sala Comune quella sera non trovò suo fratello e non si prese nemmeno la briga di andare a cercarlo in camera: doveva chiedergli lui scusa! Si buttò sulla sua poltrona preferita vicino al fuoco dopo essersi fatto prestare piuma e pergamena da Lily, altrettanto furiosa.
Hogwarts,
Sala Comune di Grifondoro,
5 settembre 2019
Cari mamma e papà,
come state? Io bene, qui è sempre la solita storia: compiti e spiegazioni… Una noia insomma… Teddy pretende più di Mcmillan un altro po’. Non mi aspettavo fosse così pesante come prof. O forse mi ero solo illuso del contrario. Scriveteli e diteli di essere più buono! Grazie tante, perché so che non lo farete. Non ditelo a zia Hermione, perché lei è capace di scrivergli solo per incoraggiarlo! Questa settimana non ho preso nessuna punizione! Contenti? Comunque Robards è insopportabile! E’ l’antipatia fatta persona! Comunque dice che sono bravo! Ieri Fred ha incendiato una pianta, potete immaginarvi la faccia di zio Neville, avrei voluto essere presente! Credo che sia l’unico ad essere stato capace di beccarsi una T da lui! Comunque stasera ho deciso di scrivervi perché è necessario che facciate rinsavire il vostro secondogenito. Credo si sia fumato o bevuto qualcosa di molto forte! Oggi ha partecipato ai provini di Quidditch per il ruolo di portiere. E’ stato formidabile. Naturalmente Fred l’ha scelto. Lui, ingrato che non è altro, è sparito per tutto il giorno e poi a cena se n’è venuto dicendo che non vuole il posto! Ma vi pare?! Rischia di morire assassinato nel suo letto, vi avverto. E non sono l’unico che vorrebbe ammazzarlo. Confido che gli farete tornare il sale in zucca. Al più presto però: lunedì sera ci sarà il primo allenamento.
Con affetto,
                                                                                                                                             Jamie.
 
Angolo autrice:

Ciao a tutti! Ecco un nuovo capitolo :-D Con il prossimo si entrerà nel vivo della storia, qui ancora mi sono limitata a tratteggiare il carattere di alcuni personaggi (in modo particolare di Albus, che è uno dei miei preferiti).
Ringrazio LilyScorpius per la sua recensione, che mi ha fatto molto piacere ;-) :-D  
 

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Capitolo 10
*** Nuovi misteri ***


Capitolo decimo
 
Nuovi misteri

Lentamente settembre lasciò il posto ad ottobre ed il parco si riempì di foglie secche, creando un’atmosfera nostalgica e malinconica. La temperatura, però, non era ancora troppo bassa e permetteva ai ragazzi di passeggiare e stare all’aria aperta, godendosi così quelle che probabilmente sarebbero state le ultime belle giornate. Quella sera, comunque, la temperatura s’era abbassata ulteriolmente e Neville si strinse il mantello sulle spalle, mentre precedeva lungo il corridoio quasi del tutto deserto: infatti il coprifuoco sarebbe scattato di lì a poco anche per i ragazzi più grandi ed i Prefetti avrebbero presto cominciato la ronda. Incontrò solo qualche ritardatario e lo sollecitò a raggiungere la sua Sala Comune. Si fermò di fronte ai due gargoyle, che sorvegliano l’ingresso della Presidenza. Sentì dei passi avvicinarsi e si voltò nella direzione da cui il suono proveniva. Ernie Mcmillan gli sorrise da lontano e Neville lo aspettò.
«Credevo di essere l’ultimo».
«Non ti preoccupare. Siamo in perfetto orario» replicò Ernie.
«Flamel» disse Neville ed i gargoyle si spostarono rivelando una scala a chiocciola; quando misero piede sul primo gradino iniziò a salire da sola.  Si bloccò davanti ad una porta di legno massiccio. Ernie bussò e subito la Preside li invitò ad entrare. La stanza circolare era più affollata del solito. I due con sorpresa si accorsero della presenza di Harry e capirono che non era lì per una visita di cortesia né per parlare dei figli: alle sue spalle c’erano una ragazza che dimostrava meno di trent’anni ed un uomo decisamente più maturo, ma tutti e tre indossava la divisa di ordinanza degli Auror. In realtà ponendo un po’ più di attenzione si accorsero che vi era un quarto Auror, anche egli abbastanza giovane, ma stava vicino ad un bambino e ad una ragazzina ed erano seduti di fronte alla Preside. Nell’ufficio erano presenti anche gli altri due Direttori, all’in piedi alla destra della Preside. Ernie e Neville strinsero la mano agli Auror e si posero alla sinistra della McGranitt.
«Bene, adesso ci siamo tutti». Osservò i suoi colleghi per un attimo e continuò: «Immagino che ricordiate l’articolo uscito sulla Gazzetta del Profeta la settimana scorsa. Sabrina De Marchi è stata ritrovata morta nel suo laboratorio».
I quattro professori annuirono. L’articolo non aveva suscitato particolari reazioni a Scuola in quanto la morte della donna era stato un fatale incidente durante un esperimento. Neville non poté fare a meno di notare che la ragazzina si era incupita ed aveva stretto le mani in modo convulso, così guardò la Preside in attesa che aggiungesse qualcosa.
«Era un’ottima strega e pozionista. E’ nata ed è stata istruita in Italia come si può capire dal nome… Mi dispiace doverlo fare in un’occasione del genere ma vi presento il mio pronipote Malcom… Sabrina era sua moglie e loro sono Isobel e Christopher, i loro figli… Malcom come avrete capito è un Auror, purtroppo quando è avvenuto l’incidente si trovava all’estero per una missione. Naturalmente il Ministero ha autorizzato il suo immediato rientro in Inghilterra. Ma nei prossimi giorni sarà costretto a partire nuovamente, conseguentemente mi ha chiesto di ammettere Isobel ad Hogwarts. Mia nipote fino a questo momento ha studiato privatamente e sinceramente non sono pienamente a conoscenza delle sue lacune o dei suoi punti di forza. So che è insolito ammettere uno studente ad anno scolastico iniziato, ma se voi siete d’accordo farei un’eccezione… sapete che potete esprimervi liberamente…».
«Naturalmente, Minerva. Sai benissimo che non ti devi fare alcun problema! Credo di poter parlare a nome dei miei colleghi se dico che Isobel è la benvenuta a Scuola, indipendentemente dal fatto che sia tua nipote» replicò Vitious con la sua vocetta stridula. Neville ed Ernie annuirono prontamente, Robards non sembrava particolarmente entusiasta, ma non disse nulle forse perché dietro la richiesta c’era Harry e quindi anche il Ministro della Magia.
«Vi ringrazio… Temo, però, di dovervi chiedere ancora una cortesia… Christopher dovrebbe rimanere qui…».
«Ma Minerva! Non ha l’età! Non mi sembra sia il caso» sbottò Robards, finalmente sincero.
«Me ne rendo conto, Gawain… Infatti vi sto chiedendo un favore personale».
Neville la osservò e comprese subito quanto le fosse costato dirlo: lei era una donna tutta d’un pezzo, che non scendeva a compromessi.
«Potrebbe andare in una scuola privata babbana!» suggerì con foga Robards.
«Questa discussione finisce qui» intervenne Harry autoritario e gli amici lo guardarono sorpresi. «Robards, la professoressa McGranitt ve l’ha chiesto gentilmente perché sa che non può imporvi una cosa del genere, né rientrerebbe nel suo modo di fare. In realtà il bambino deve rimanere qui e basta. Deve stare con sua sorella, è già abbastanza traumatizzato così. Inoltre la Preside è ufficialmente la loro tutrice. Infine», alzò il tono della voce, perché Robards aveva mostrato l’intenzione di interromperlo, «Se ritieni che ciò non sia sufficiente, ti dirò che come Capo del Dipartimento Auror non posso permettere che questo bambino finisca incustodito tra i Babbani o potrei dare le dimissioni seduta stante. Ora per favore professoressa proceda a smistare Isobel, così poi potremo parlare tra adulti. Immagino che per questa notte non ci saranno problemi se Christopher dormirà con sua sorella… sempre se il Responsabile della sua Casa sarà d’accordo».
La faccia di Robards dichiarava chiaramente che lui non sarebbe mai stato d’accordo ed Harry con un sospiro stanco si augurò che la ragazzina non venisse smistata nella Casa di Salazar. La Preside appellò il Cappello Parlante, che giaceva su uno scaffale in alto.
«Neville, per favore…».
Neville prese il Cappello dalle sue mani e si avvicinò alla ragazzina cercando di farla un sorriso incoraggiante. Glielo posò delicatamente in testa e tutti attesero in silenzio. La decisioni si fece attendere per almeno quattro minuti, poi finalmente il Cappello urlò: «GRIFONDORO». I presenti sembrarono tutti sollevati, a parte Isobel che sembrava ancora più smarrita e confusa.
«Molto bene. Neville per favore accompagna Isobel alla Torre di Grifondoro… Per te non è un problema se per questa notte Christopher dormirà con lei, vero?».
«No, non ho nulla in contrario. Anzi ritengo che sia una buona idea…».
«Mi permetta di dissentire, Preside! Come vuole spiegarlo alle compagne di stanza della signorina?» intervenne Robards.
«Professoressa, non ha detto di che anno è Isobel» si limitò a far notare Neville, ignorando il collega.
«Terzo» rispose lei.
«Allora non ci saranno problemi. Rose Weasley e Cassandra Cooman non si lamenteranno» disse Neville e poi invitò i due fratelli a seguirlo e loro obbedirono dopo aver abbracciato il padre.
«Neville, poi torna qui».
«Come desidera, professoressa».
Isobel ed il fratellino lo seguirono in silenzio per tutto il percorso, quando si voltò a guardarli davanti al quadro della Signora Grassa li fecero molta tenerezza: si tenevano per mano ed il piccolo assonnato si stropicciava gli occhi.
«Professore e loro chi sono?» domandò la Signora Grassa pettegola come sempre.
«Una nuova studentessa… Cespuglio farfallino» replicò e lei si fece da parte un po’ scontenta. «Questa è la Sala Comune di Grifondoro. Mi raccomando la parola d’ordine che avete appena sentito non dovete dirla a nessuno e nessuno che appartenga a questa Casa può entrare qui. E’ severamente vietato, quindi ti prego di ricordarlo Isobel». La ragazzina annuì. «Bene, sediamoci un attimo» si guardò intorno e vide che gli unici presenti erano proprio Albus e compagni, che ricambiarono lo sguardo incuriositi. Evidentemente stavano terminando i compiti per il giorno dopo: Elphias sembrava particolarmente stanco mentre riprendeva a scrivere di malavoglia e così anche Rose; gli altri erano in silenzio, probabilmente li avevano interrotti mentre ripetevano.
«Ragazzi, per piacere appena finite avvicinatevi» disse loro, poi si rivolse ad Isobel: «Sai già quale materie a scelta vuoi seguire?».
«Sì, signore. Antiche rune, aritmanzia, babbanologia e cura delle creature magiche».
«E’ una scelta impegnativa, ma se ne sei convinta ecco il tuo orario» disse colpendo un foglio bianco con la bacchetta.
«Grazie, signore».
Nel frattempo gli altri ragazzi si erano avvicinati e li avevano circondati.
«Ragazzi vi presento Isobel da oggi sarà una vostra compagna… Isobel ti presento Rose, Cassandra, Albus, Elphias ed Alastor… Ragazze per voi è un problema se Christopher stanotte dorme con sua sorella?».
«No» rispose Rose per entrambe.
«Allora vi lascio andare a letto… sembrate molto stanchi».
«Allenamento… Fred ci ha distrutto…» biascicò Rose, mentre Elphias sbadigliava.
«A proposito di Fred», disse Neville guardando Albus dritto negli occhi, «Guai se mi rendo conto che tu e Frank avete scritto un altro tema al posto suo. Stavolta ho chiuso entrambi gli occhi, solo perché avete fatto un lavoro ammirevole nonostante si trattasse di un argomento al di là del vostro programma… Al se credevi che così avresti fatto pace con lui, ti sei sbagliato… anche perché gliel’ho fatto rifare, come saprai».
«Non mi parlano né lui né Jamie» replicò affranto.
«E non ti parlerei nemmeno io, se non fossi il mio migliore amico da quando siamo nati» borbottò Rose.
«Secondo me, state esagerando! Al hai fatto bene a rifiutare, certe cose non si fanno per costrizione… E poi basta, ho visto gli allenamenti Edmund è molto bravo. Adesso andate a letto. Buonanotte».
«Su, venite» disse Cassandra dopo che ebbero dato la buonanotte ai ragazzi. Isobel si lasciò condurre lungo una rampa di scale e dentro una camera.
«Benvenuta!» disse Cassandra con un sorriso.
«Figo, hanno già aggiunto un altro letto!» aggiunse Rose.
La stanza aveva un’ampia finestra e le pareti erano di un tenue color oro, mentre le tende dei letti a baldacchino e della finestra erano scarlatte; ai piedi di ogni letto c’erano i loro bauli ed una piccola scrivania troneggiava in angolo vicino alla finestra.
«Piccola, ma carina ed accogliente» disse Cassandra.
«Mi hai tolto le parole di bocca» disse Isobel aprendosi in un piccolo sorriso.
*
Quando Neville riprese il suo posto accanto alla Preside, Harry prese la parola.
«Alla luce delle indagini che abbiamo compiuto, posso affermare che la morte di Sabrina De Marchi non si sia trattata proprio di un incidente. Malcom, mi dispiace dirti che tua moglie era sotto l’effetto della Maledizione Imperius… Immagino che Isobel avrà detto anche a te che Sabrina si comportava in modo strano da quando sei partito. Purtroppo non sappiamo chi sia stato, ma possiamo immaginare l’obiettivo. Sabrina stava lavorando alla realizzazione della Pietra Filosofale», tutti rimasero a bocca aperta, «Come saprete è molto complessa, probabilmente l’hanno costretta a realizzarla in quanto è una pozionista di fama mondiale, ma a quanto pare ha commesso un errore. Per questo vorrei che i suoi figli stiano al sicuro: potrebbero vendicarsi su di loro per il suo fallimento».
Nessuno osò parlare e lui concluse: «Per ora non ho nulla da aggiungere». Fece cenno ai due Auror di uscire sorprendendo i presenti.
«Ernie c’è un’altra cosa» disse ed osservò Malcom invitandolo a parlare.
«Lei è l’insegnante di Pozioni, vero? Non sono il tipo che chiede favoritismi o simili, quindi la prego di non fraintendermi… E’ stata Isobel ha trovare la madre dopo l’incidente, nel laboratorio che abbiamo a casa… lei l’aiutava spesso, ma quel giorno, per fortuna, non ne aveva avuto voglia… Non è più rientrata nel laboratorio. Si è rifiutata. Io spero che non faccia così anche qui, ma in caso la prego di avere pazienza…».
«Non si preoccupi» rispose Ernie.
«Allora vi ringrazio tutti e vi auguro buonanotte» li congedò la Preside e ben presto rimase sola con il nipote.
«Neville! Ernie!».
«Harry» Neville ed Ernie si fermarono a parlare con l’amico.
«E’ davvero una brutta storia!» borbottò Ernie.
«Già. Qualcuno vuole realizzare la Pietra Filosofale e non sappiamo perché… Senti Ernie ma mio nipote non sarebbe in grado di…?».
«Mi dispiace, Harry. Io credo che con un’adeguata preparazione Fred ne abbia le capacità… Sei preoccupato?».
«Sì. Ma ci sono altri pozionisti rinomati, no? Lumacorno per esempio…».
«E’ troppo vecchio! Comunque sì, ce ne sono altri. Sulla prima copia dell’anno de Il Pozionista c’è l’elenco dei dieci migliori pozionisti al mondo. Sabrina De Marchi era la prima. Se vuoi ho la copia nel mio ufficio. Comunque non dimenticare che stiamo parlando sempre della Pietra Filosofale, solo Nicholas Flamel è riuscito nell’impresa! E ce ne sono stati abili pozionisti! Come minimo si dovrebbero avere i suoi appunti, ma saggiamente lui non li ha mai divulgati quando era in vita ed ora appartengono alla sua famiglia».
«Capisco… Neville volevo chiederti una cosa anche a te… Al e Jamie che fanno? Io e Ginny li abbiamo scritto, ma ho l’impressione che non ci abbiamo ascoltati».
«Infatti. Fred e Jamie tengono il broncio ad Al».
«Magnifico… Ernie, ho bisogno di vedere quella rivista per favore».

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Capitolo 11
*** Antiche leggende ***


Capitolo undicesimo
 
Antiche leggende
 
 
Isobel si svegliò presto la mattina dopo, ma in un primo momento fece fatica a capire dove si trovasse. Chris ancora dormiva accanto a lei. Si mise a sedere ed osservò le tende scarlatte del suo letto a baldacchino ed a poco a poco gli eventi della sera precedente li tornarono alla mente. Era stata smistata a Grifondoro, per quello che ne sapeva era una delle migliori Case di Hogwarts; in più la prozia era stata in quella Casa e ci teneva particolarmente: avrebbe potuto considerarlo come un buon inizio. Avrebbe potuto se non fosse stata così pessimista. Erano successe troppe cose in quei pochi giorni e lei voleva solo sprofondare nell’oblio e non doverci più pensare. Si riappoggiò al cuscino e senza rendersene conto si riaddormentò.
«Isobel! Isobel!».
Aprì gli occhi di scatto e incrociò quelli azzurri di Rose.
«Mi dispiace svegliarti, ma faremo tardi a Difesa contro le Arti Oscure e Robards odia i ritardatari e se poi sono Grifondoro è peggio».
Isobel la ascoltò ma comprese solo che erano il ritardo e saltò dal letto. Anche Chris si svegliò e le guardò preoccupato.
«Ciao Chris» lo salutò Cassandra, mentre Rose gli fece un cenno della mano mentre si aggiustava il nodo della cravatta. «Vestiti, così puoi venire a fare colazione con noi».
«Non ricorderò mai questa strada!» sbottò spaventata Isobel, mentre le compagne la conducevano in Sala Grande.
«Tranquilla, è solo un’impressione. Ti ci abituerai» la consolò Rose.
«Dove ci sediamo?» domandò meravigliato Chris osservando le quattro tavole.
«Al tavolo dei Grifondoro, naturalmente» disse Cassandra prendendo posto.
«Cassy, dove sono i ragazzi?» chiese Rose percorrendo con gli occhi tutta la tavola. 
«Boh… è strano… quando c’è Difesa tuo cugino va in iperventilazione… non arriverebbe mai in ritardo».
Iniziarono a fare colazione.
«Speriamo che Vitious non interroghi più tardi, perché non sono riuscita a studiare la lezione di oggi» borbottò Rose.
«Stavolta li espellono!» annunciò Roxi buttandosi sulla panca di fronte a loro, insieme a Frank.
«A chi?» chiese Cassy.
«Mio fratello e Jamie».
«Che hanno combinato?».
«Si sono vendicati di Al».
«CHE COSA?!» urlarono all’unisono Cassy e Rose.
«Mio padre è furioso… Ha detto che scriverà a zio Harry ed a zio George» aggiunse Frank.
«Che hanno fatto ad Al?» chiese Cassy.
«Fred gli ha trasfigurato i capelli…».
«Ma se non ha mai studiato trasfigurazione umana!» disse Rose.
«Infatti», intervenne una voce alle loro spalle, «non si sa come, ma i suoi capelli hanno cominciato a crescere a dismisura… c’era da che sbellicarsi…».
«Elphias! Alastor! Scorp! Dov’è Al?» li accolsero le ragazze, mentre si sedevano con loro.
«Infermeria. E’ dovuto intervenire anche Lupin… Per loro sfortuna li ha beccati la McGranitt e penso che convocherà i tuoi zii…».
«Non è che abbia torto… insomma una trasfigurazione sbagliata potrebbe essere pericolosa» sospirò Scorpius.
Poco dopo si diressero verso l’aula di Difesa, dove i Serpeverde avevano già preso posto. Chris era ritornato alla Torre di Grifondoro insieme a Dominique che aveva un’ora buca. Presero posto in fondo all’aula: Robards sarebbe stato più felice se non avesse visto i Grifondoro davanti. 
«Buongiorno a tutti!».
«Buongiorno professor Robards».
L’insegnante chiamò l’appello e gettò occhiate malevole al gruppetto in fondo, anche se quella per Isobel sembrò più cattiva; lei si voltò verso i compagni per vedere se avevano notato la stessa cosa ma loro la guardavano sorpresi. Arrossì: non aveva detto loro che il suo cognome era McGranitt; ma se per questo anche loro avevano taciuto i propri cognomi.
«Ragazzi io…».
«Signorina McGranitt visto cha ha voglia di chiacchierare sarà la prima ad iniziare con l’esercitazione… Tutti in piedi grazie». Loro obbedirono e lui spostò i banchi lungo le pareti.
Isobel era confusa, anche perché non sapeva che cosa fare. Sentì Elphias sussurrare malevolo, ma sembrava avercela con l’insegnante non con lei. 
«Avanti, vieni qui al centro davanti a tutti… Dopotutto sei una Grifondoro…».
Isobel avanzò e si pose davanti a lui.
«Doge e Schacklebolt prendete quella cassa e mettetela sulla cattedra». I due ragazzini fecero per ubbidire, ma era evidente che pesasse troppo per loro e poi si accorsero che a tratti si muoveva da sola.
«Stupidi, Grifondoro… Cinque punti in meno per la vostra mancanza di arguzia… Insomma siete maghi!».
I due arrossirono violentemente ed estrassero le bacchette.
«Wingardium leviosa» pronunciarono: la cassa si librò di qualche centimetro ma l’incantesimo di Alastor si spense subito e la sua estremità gli cadde dolorosamente sul piede. Lui odiava Incantesimi.  Robards ed i Serpeverde risero con cattiveria e peggiorarono la situazione perché Alastor cercò di rimediare ma stavolta sbagliò anche a pronunciare l’incantesimo e fece perdere l’equilibrio all’amico.
«Warrington, Malfoy fatelo voi» disse Robards con l’aria di chi aveva a che fare con due deficienti, cosa che fece sbellicare ulteriormente i Serpeverde. I due riuscirono nell’impresa.
«Visto non ci voleva niente! Altri cinque punti in meno a Grifondoro e dieci a Serpeverde… Dirò al professor Vitious che non siete in grado di fare nemmeno un incantesimo del primo anno… Chissà come ci siete arrivati al terzo! Anche se ho una mezza idea» concluse guardando Alastor maligno. Il ragazzino era paonazzo in volto e sembrava sul punto di scoppiare a piangere, ma Elphias lo spinse in fondo al gruppo, dove erano Rose e Cassy.
«Scusa» borbottò all’amico cercando di riprendersi. Elphias fece spallucce, ma osservò con odio Robards. Sapeva che sarebbe andato a parlare con il professore di Incantesimi, ma non gli faceva né caldo né freddo: lui era molto bravo in quella materia e Vitious li conosceva da due anni ormai e non ci avrebbe messo molto a capire che era colpa di Alastor e non avrebbe detto nulla a loro, non per il motivo a cui aveva alluso Robards, ma proprio perché li conosceva e conosceva le loro difficoltà. In quel momento entrò in aula Albus ed i Serpeverde scoppiarono in una sonora risata seguita da fischi e dileggiamenti vari. In effetti nemmeno loro riuscirono a rimanere seri: aveva capelli blu notte malamente tagliati.
«Teddy ha detto che l’effetto dovrebbe sparire entro qualche ora al massimo. E’ riuscito a fermare almeno la crescita. Mi ha promesso che poi me li sistemerà meglio…» spiegò mestamente agli amici.
«No, Potter… Vieni qui avanti. Visto che sei arrivato in ritardo e la mia classe non è il tuo albergo personale sarai il secondo a provare». Albus arrossì ed obbedì. «Secondo voi che cosa c’è in questa cassa?». La cassa adesso sbatacchiava in modo più evidente, cosa che spaventò i ragazzi. Elphias alzò la mano, ma l’insegnante gli diede la parola solo dopo essersi assicurato che nessun Serpeverde avesse fatto altrettanto.
«Un molliccio».
«Non ci voleva poi molto a rispondere e chi conosce l’incantesimo per sconfiggerlo? Si, Doge?» replicò annoiato.
«I mollicci possono essere sconfitti solo con le risate. La formula è riddikulus».
«Molto bene. Vi chiamerò una alla volta e lo affronterete». Detto ciò con un colpo di bacchetta aprì la cassa e tutti si fecero indietro lasciando Isobel da sola. All’inizio sembrò uscire una forma indistinta, poi, con orrore di tutti, prese le sembianze di una bellissima donna ancora giovane ma accasciata a terra in posizione innaturale e ricoperta di sangue. Isobel urlò. Gli altri rimasero agghiacciati.
«Avanti signorina, è solo un molliccio… Dov’è il suo coraggio da Grifondoro?» la dileggiò Robards riprendendosi dalla sorpresa. Lei però rimase immobile, finché qualcuno non la spinse da parte e si mise al suo posto. La donna scomparve ed al suo posto ne apparve una molto anziana, con vestiti che sarebbero andati di moda qualche secolo prima, ed ammoniva Elphias con un dito. Lui la osservò per qualche istante intimorito, poi chiuse gli occhi e gridò:
«RIDDIKULUS».
La vecchia improvvisamente si ritrovò ad indossare un vestitino striminzito, degno di una cubista, che metteva in mostra le gambe magre e rinsecchite e cominciò a danzare in modo forsennato. La classe scoppiò in una fragorosa risata. Isobel si riscosse e scappò via. Robards battendo una mano sulla cattedra riportò il silenzio.
«Doge, sapevo che sei stupido, ma pensavo che la frase vi chiamerò una alla volta fosse abbastanza chiara anche per il tuo cervellino. Ti ho sopravvalutato?».
«No».
«No, signore. Ricordati che devi portarmi rispetto!».
«Il rispetto si deve anche meritare e lei non se lo merita. Ha visto che Isobel stava male ed ha osato prenderla in giro. Dovrebbe vergognarsi». La classe trattenne il fiato e Robards divenne paonazzo.
«COME OSI, STUPIDO RAGAZZINO! IMPUDENTE! LA TUA MALEDUCAZIONE SARA’ SEVERAMENTE PUNITA TE LO GIURO!».
I Serpeverde cominciarono a ghignare rivolti al Grifondoro. Le sue compagne lo guardavano invece ammirate e sorridevano in segno di sfida; Albus ed Alastor erano terrorizzati.
«60 punti in meno a Grifondoro» disse Robards con voce glaciale facendo sparire il sorrisino dal volto di Cassy e Rose. «Tu e la tua amica siete in punizione per tutta la prossima settimana…».
«Signore, scusi… ma Isobel che centra?» chiese Scorpius.
«Scorpius, ragazzo mio, ti consiglio di non frequentare certe compagnie… Comunque la signorina è uscita dall’aula senza permesso. Inoltre racconterò l’accaduto sia al vostro Direttore sia alla Preside. Vorrei tanto vedere la faccia di tua nonna quando saprà come l’hai ridicolizzata davanti a tutta la classe. Ed ora riprendiamo… Potter, tocca a te». Elphias che alle ultime parole era sbiancato, si spostò lentamente lasciando il posto all’amico.
*

«Al, basta. Mi sono seccata di tradurre».
Il ragazzo abituato al suo atteggiamento la ignorò ed aprì il vocabolario runico per cercare il significato di una parola.
«Sto parlando sul serio! Odio questa stupida materia. James aveva ragione, ricciolo blu».
«Solo perché non eccelli come nelle altre» replicò infastidito dal nomignolo che aveva usato e dal sentire il nome del fratello.
«Se volessi eccellere, ci riuscirei! Ma non serve per diventare Auror» disse stizzita.
«Lo dici solo perché la Spinnet ti ha dato un’insufficienza nell’ultimo compito».
Lei gli prese dalle mani il dizionario per avere la sua completa attenzione.
«Tu mi confondi con mia madre. A me non me ne frega niente di essere la prima della classe».
«Buon per te. Dubito che placherai così l’ira della zia quando saprà che le hai mentito sui tuoi voti» disse con cattiveria, tentando di riprendersi il vocabolario.
«Pensa per te. Lei non lo saprà mai. Vedrà solo la pagella: perfetta come sempre».
«Io non ho mentito sui miei voti!».
«Nel senso che hai raccontato agli zii i tuoi ultimi disastri in pozioni ed aritmanzia? Non ci credo!».
«Sì, l’ho fatto. Nell’ultima lettera. Chiediglielo se vuoi» tirò con forza il dizionario e strappò la pagina.
«Imbranato!» disse lei e si mise a raccogliere i suoi libri.
«Che intenzioni hai?».
«Vado da zio Neville».
«Perché?».
«Mollo antiche rune e babbanologia».
«Cosa?! Zia Hermione si infurierà!».
«Affari suoi! Forza vieni anche tu».
«Io che centro?».
«Devi mollare aritmanzia e cura delle creature magiche».
«Scherzi?! Hagrid ci rimarrebbe malissimo!».
«Peccato che sei terrorizzato da ogni essere che non sia umano».
«Comunque non voglio. Lasciami in pace! Vacci tu se ci tieni tanto. E comunque con erbologia che intenzioni hai? Mica la puoi mollare solo perché non ti piace».
«Dì pure che la odio… Mi aiuterai vero?».
«Sì come sempre. Ma perché non l’hai mai detto a zia?».
«L’ho fatto, ma non ha capito. Pensava che non mi sentissi all’altezza e lei e papà hanno cominciato a fare stupidi discorsi sull’autostima e sulle mie enormi capacità… Hai raccontato a tuo padre del grosso e cattivo molliccio di stamattina?» rise e lo abbandonò ai suoi pensieri.
No, non l’aveva raccontato a suo padre. Si vergognava troppo. Il molliccio appena l’aveva visto, aveva assunto le sembianze della Morte così come veniva descritta da Beda il Bardo nelle sue fiabe. Era terrorizzato all’idea di perdere uno dei suoi cari. Quando aveva otto anni, una zia ultracentenaria della madre era morta. I suoi genitori erano stati costretti a portarli con loro a casa della donna, ma li avevano ordinato di non lasciare la cucina. James come sempre aveva fatto il contrario e come sempre lui l’aveva seguito. Erano entrati nella camera da letto dove giaceva la zia Muriel. Non c’era nessuno oltre loro e la donna. Era rimasto scioccato. Suo fratello aveva cercato di scuoterlo, ma quando si era reso conto che non gli dava più ascolto aveva chiamato la mamma, rassegnato a beccarsi una sgridata. Ginny l’aveva preso in braccio e portato via di lì. Per più di una settimana aveva dormito con i suoi genitori e poi per il mese successivo aveva costretto uno dei due a rimanere con lui finché non avesse preso sonno. Jamie non aveva mai osato prenderlo in giro sull’argomento, la madre gli aveva sequestrato la scopa giocattolo in modo che si ricordasse di non disobbedirle e soprattutto di non portarsi dietro i fratelli nel farlo. Comunque quella mattina non aveva affrontato il molliccio. Aveva mollato la bacchetta ed aveva continuato a fissarlo mentre si avvicinava sotto gli sguardi derisori di Robards ed i fischi dei Serpeverde. L’avrebbero preso in giro fino al diploma. Per fortuna alla fine la Preside non aveva convocato i suoi genitori per lo scherzo di Jamie, e quindi Robards non aveva avuto modo di raccontare della lezione a suo padre. Si sentiva uno schifo: lui figlio del Salvatore del Mondo Magico ed attuale Capo del Dipartimento Auror era una schiappa in Difesa contro le Arti Oscure!
*
 
«Leggi qua» intimò Rose.
La Sala Comune era ormai deserta. Alastor aveva finito i compiti ed era già salito in camera e così anche Cassy. Elphias era arrabbiato e si era chiuso in camera tutto il pomeriggio: sia la McGranitt sia Paciock l’avevano rimproverato, ma entrambi si erano rifiutati di scrivere ai suoi genitori e ciò aveva fatto infuriare Robards. Isobel non si era fatta vedere per tutto il giorno e quando era rientrata se n’era andata subito a letto. Al stava cercando di finire gli esercizi di Aritmanzia, ma ci rinunciò cogliendo l’atteggiamento combattivo della cugina. Prese il libriccino che lei gli porgeva. Era molto antico e rilegato in cuoio: alcune pagine all’interno sembravano mangiucchiate. Era fragilissimo. Da quando l’arcigna ed anziana Madama Pince prestava certi libri? Lesse la collocazione sul fianco e scioccato alzò gli occhi su Rose.
«Dimmi che questo è un incubo e tu non sei definitivamente impazzita!».
«Leggi» lo ignorò lei.
Albus prese un bel respiro e parlò calmo, come alla ricerca di un pizzico di razionalità:
«Dubito che qualunque insegnante a parte la Cooman ti abbia mai potuto firmare un permesso, quindi devo dedurre il peggio. Dimmi che è te l’ha dato la Cooman! Ti prego».
«No, anche perché non lo conoscevo prima di vederlo».
«Mi stai dicendo che tu sei entrata nel Reparto Proibito per dare un’occhiata e non contenta hai rubato un libro?».
«L’ho preso in prestito! Io non rubo», lui la osservò scettico e lei insisté, «Avanti, leggi».
«Sai che sui libri della biblioteca viene imposto un incantesimo antifurto?». No, non lo sapeva: la sua espressione era eloquente.
«Non è scattato».
Ad Albus sembrava troppo facile, ma a quel punto non poteva farci nulla e curioso l’aprì. Il frontespizio recitava: Questo diario appartiene ad Orion Gaunt. Era un inglese antico ed Albus andando avanti ebbe difficoltà a comprenderlo pienamente. Lesse ad alta voce a beneficio di Rose.
A.D. 1200
1 Settembre
Primo giorno di Scuola. Il nostro dormitorio è in fermento: sir Burke ha raccontato a quello stupido del figlio una strana leggenda. Tutte fandonie secondo me.
A.D. 1200
18 Ottobre
Sembra che la leggenda sia vera. Alcuni Grifondoro l’hanno chiesto al signor Korbin, mezzosangue schifoso. Molti hanno dato il via ad una vera e propria caccia al tesoro.
«Riesci a leggere!».
«L’ho appena fatto».
«Continua dai».
Albus annuì e tornò a porre attenzione al testo. Dopotutto non ci trovava nulla di male a soddisfare quella curiosità. Suo padre aveva loro raccomandato più volte di non intromettersi negli affari dei grandi, ma quello era un libro di secoli prima. Che male avrebbe potuto fare?

A.D 1200
Natale
A quanto pare è vero. Black, mio caro amico, ha trovato la famosa Sala dei Fondatori. Chissà quanti tesori cela. La scritta era in rune antiche e non l’abbiamo compresa ed in più mancano le pietre dei Fondatori. Lo stupido fantasma di Corvonero non ha voluto darci risposta.
A.D. 1201
Maggio
La ricerca è terminata. Uno stupido Tassorosso, avido più di noi Serpeverde, ha urlato in Sala Grande che aveva trovato il topazio di Tosca Tassorosso, ma doveva essere una stupida pietra incantata e senza valore. Sicuramente uno scherzo degli stupidi figli di Godric; non per niente nessuno si è fatto avanti per prendersi la colpa. Lo stupido Tassorosso ha ora entrambe le mani fasciate. Un ustione grave ha detto l’infermiera. Ci è stato proibito di continuare le nostre ricerche.
«Godric aveva figli?».
Albus alzò gli occhi al cielo. «Alle volte dubito che tu sia figlia di zia Hermione… Intende i Grifondoro! Noi siamo i figli di Godric!» disse spazientito.
«Non fare tanto l’intelligentone! Sfoglia il libro, più avanti c’è scritto altro».
Albus obbedì e sfogliò rapidamente il libriccino: Rose aveva ragione c’era dell’altro, ma la scrittura cambiava ed anche la data! C’era un secolo di differenza. Si schiarì la voce e riprese a leggere.

15 Novembre 1302
Parco di Hogwarts
Oggi ho saltato di nuovo la lezione di Pozioni. Merlino, quanto è noiosa! Ed ho fatto bene! Bighellonando come sempre in biblioteca ho scoperto questo libriccino. E’ scritto malissimo. D’altronde era un Serpeverde. Comunque la leggenda di cui parla l’ho già sentita. E lui è stato solo uno stupido a non crederci fin da subito. Io degna progenie di Priscilla Corvonero racconterò ai posteri tale ed incredibile verità. Si dice che i benamati Fondatori di questa prestigiosa Scuola, Godric Grifondoro, Tosca Tassorosso, Priscilla Corvonero e Salazar Serpeverde, avessero costruito una bellissima Sala in cui si incontravano dopo le lezioni per discutere di magia ed anche questioni di banale quotidianità. Sembra che vi potessero accedere solo loro. Inoltre si narra che i Fondatori possedessero delle pietre magiche. In tali pietre avevano infuso parte dei loro poteri: il rubino di Grifondoro dovrebbe infondere il coraggio; lo zaffiro di Corvonero la sapienza; lo smeraldo di Serpeverde l’astuzia ed infine il topazio della buona Tosca nient’altro che bontà. Prima di morire i Fondatori hanno nascosto le pietre perché non fossero al centro di lotte e cadessero nelle mani di persone avide. L’unico che può possedere le pietre è l’Erede dei Fondatori: non erede di sangue, ma colui che si sarebbe mostrato puro ed innocente e le avesse prese solo per compiere il Bene e non per fini personali. Chi non è degno non può toccare le pietre: il Tassorosso infatti ha peccato di avidità e si è scottato. Io le troverò.

«E’ fantastico!» proruppe in un gridolino eccitato Rose.
«Già».
«Leggi, leggi» lo esortò.
11 Aprile 1303
Sala Comune di Corvonero
Ho trovato la Sala! E’ nel sotterraneo, sul lato opposto alla Sala Comune dei Serpeverde. L’entrata è nascosta dietro un ampio arazzo che rappresenta i Fondatori nel Periodo della Concordia. Devo ammettere di non averlo mai notato, ma d’altronde io non frequento i piani bassi; eppure i Tassorosso sono così vicini e non ne hanno mai parlato! Peccato che non ho mai seguito Antiche Rune e non sono riuscito ad entrare. Comunque ora mi concentrerò sulla ricerca delle pietre.

05 Settembre 1303
Sala Grande
Dopo molte ricerche ho trovato il topazio di Tassorosso. Appena l’ho toccato mi sono scottato. Per fortuna sono capace di curarmi da solo e non sono dovuto andare in Infermeria, se no mi avrebbero posto domande scomode. Lo confesso la bontà non è una delle mie qualità. Si trovava in una delle serre. Il luogo è contrassegnato con una runa. Precisamente era in uno sportellino nascosto in uno dei banconi da lavoro.

09 Febbraio 1304
Sala Comune di Corvonero
Sono euforico! Ho trovato il mio zaffiro. Mi ha solo arrossato la mano. So di essere avido di conoscenza. Sono felice. Helena capirà, anche se non mi ha voluto aiutare. Dice che sono accecato e non comprendo i rischi che sto correndo. Lo zaffiro si trovava nella nostra Sala Comune: è uno degli occhi del busto di Priscilla Corvonero. Questa è la conferma che solo un Corvonero può essere l’Erede dei Fondatori.
03 Maggio 1304

Infermeria di Hogwarts
Salazar Serpeverde era un pazzo furioso. Sono due mesi che sono in Infermeria! Solo lui poteva nascondere la sua pietra nella Foresta Proibita! Era nascosta in una tana di vipere, incastonato nell’occhio di un cobra di pietra. Un’adorabilissima statua che si è animata al mio tocco! Ho deciso di rimandare la ricerca del rubino: gli esami finali sono vicini e gli insegnanti non hanno gradito la mia passeggiata nella Foresta Proibita.
13 Dicembre 1304
Dormitorio di Corvonero
Non riesco a trovare quel benedetto rubino, ma non posso desistere: è il mio ultimo anno di Scuola. Temo che si trovi nella Sala Comune dei Grifondoro. Tenterò di stringere amicizia con Daiana McDonald.

15 Marzo 1305
Sala Comune di Grifondoro
Ce l’ho fatta! Ho il rubino! Ho faticato a farmi amica la Grifondoro. Certo le ho dovuto confidare tutta la storia, ma nessuno può fregare un Corvonero. Comunque devo ammettere che senza il suo aiuto non ce l’avrei mai fatta. Daiana mi ha fatto entrare nottetempo nella torre di Grifondoro e l’abbiamo setacciata insieme, senza grandi risultati in principio. Grifondoro apprezzava il coraggio, ma non era sadico. Su una finestra c’era inciso un leone, che sulle altre mancava. Ci siamo concentrati su quella. Allora l’abbiamo aperta. Daiana è saltata sul davanzale, facendomi prendere un colpo. Eravamo a centinaia di metri da terra. E’ stata la prima a notare il simbolo di Grifondoro. Si è quasi alzata in piedi per toccare il mattone, che si è spostato ha rilevato un’incavatura: dentro vi era un sacchetto scarlatto. L’ha preso ed è rientrata. Mi aspettavo che si scottasse, ma non è accaduto. Ancora non comprendo il perché: lo ha fatto per avidità ne sono sicuro: le ho promesso del denaro. Comunque adesso tiene il rubino al collo e ha deciso che il giorno del solstizio verrà da me.

Vigilia del Solstizio d’estate
20 giugno 1305
Stanotte diventerò il mago più potente del mondo. E’ da marzo che con Daiana progettiamo questa serata. Non le ho rivelato dove sono le altre pietre. Non vorrei che me le rubasse. Non mi fido, ma non mi può fregare.
«Ehi la scrittura cambia di nuovo! Ascolta» disse Albus.

A.D. 1343
Cornovaglia
Ho ritrovato questo diario tra i vecchi libri di Scuola. L’ho riconosciuto subito: mio marito ci scriveva spesso negli ultimi anni di Scuola. L’ho letto tutto, all’epoca non me l’avrebbe mai permesso. Ricordare quei momenti mi ha fatto tremare. Quanto siamo stati sprovveduti! Questo diario è insieme una benedizione ed una maledizione. Ho deciso che lo consegnerò all’attuale Preside di Hogwarts, perché possa servire da memento alle future generazioni. Sarò sempre grata ad Helena Corvonero, se non fosse intervenuta in tempo mio marito sarebbe morto all’alba di quel solstizio d’estate. Quello stupido di Richard era troppo accecato dalla sua avidità per comprendere la verità. Infatti non ha mai capito perché non mi sono scottata con il rubino. Povero stupido: io l’ho assecondato solo perché lo amavo, non per i soldi che mi aveva promesso. Se stai leggendo questo diario, prendilo come una bella storia finita bene. Sei arrivato alla fine della lettura, ora chiudilo e dimenticalo. Sii saggio!
Daiana McDonald 
«Devo ammettere che è una bella storia. Non capisco perché si trovava nel Reparto Proibito… Rose, per le consunte mutande di Merlino! Che diavolo stai facendo?» Albus aveva finalmente alzato gli occhi dal diario e vide sua cugina sul davanzale della finestra.
«Dammi una mano, se ti avesse sentito ora zia Ginny ti avrebbe affatturato la lingua» commentò lei come si stesse semplicemente esercitando su un incantesimo. Albus colse da lei e le trattenne un braccio.
«Lumos» sussurrò e la sua bacchetta si accese. Gettò un gridolino eccitato. «C’è Al. C’è. La leggenda è vera! Ma è troppo in alto… Daiana si è leggermente alzata… ma io sono più piccola così non ci arrivo… Mollami».
«Tu sei pazza! Scendi da lì!».
Rose con un gesto brusco liberò il braccio dalla sua presa e si allungò facendo leva sulla punta dei piedi. Sotto gli occhi esterrefatti di Albus il mattone si spostò e rivelò un sacchetto scarlatto. Rose l’aprì subito e strinse la pietra. Urlò di dolore ed Albus disperato la placcò alle gambe prima che cadesse di sotto; con una forza che non credeva di avere la trascinò dentro di peso.  Solo allora lei in lacrime lasciò cadere la pietra e mostrò la mano che era carne viva. La osservò inorridito.
«Che succeda qua? Perché Rose ha urlato?».
Molly troneggiava su di loro, con la spilla da Caposcuola sul pigiama e li scrutava torva.
«Rose si stava esercitando con l’incantesimo incendio e si è bruciata la mano» disse Albus di getto, non capì se lei se l’era bevuta ma troppo sconvolta aveva preso Rose di forza e l’aveva trascinata oltre il ritratto della Signora Grassa; mentre le osservava un brivido freddo gli percosse la schiena, in futuro si sarebbe pentito amaramente della bugia appena detta.
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti! Questo è un capitolo che desideravo tanto pubblicare. Adesso la storia si concentrerà soprattutto su Albus, i suoi amici e Frank. Mi raccomando recensite e fatemi sapere che cosa ne pensate ;-) Cercherò di pubblicare ogni settimana (preferibilmente la domenica od il sabato); per ora non dovrebbe venirmi difficile farlo con regolarità perché la storia è tutta abbozzata e ho già scritto i prossimi capitoli :-D Buon sabato sera ;-)   
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** La forza dell'amicizia ***


Capitolo dodicesimo
La forza dell’amicizia
 
«Weasley perché non ti metti una minigonna e mostri a tutti quanto sei sexy?».
Molly si voltò verso il compagno di banco sbalordita: era dall’inizio della lezione che la importunava dicendo fesserie, ma questa superava tutte le altre.
«Sei rincitrullito di colpo, Jackson?».
«No, sono sicuro che dietro quella divisa si nasconde un bel corpo» disse con voce volutamente suadente. Lei arrossì violentemente. «E poi sono cinque anni che ci conosciamo! Chiamami Nicolas!».
«Ma che dici! E poi non mi distrarre!».
«Allora hanno ragione tutti gli altri… E’ vero quello che dicono di te!».
La ragazza che aveva tentato di riprendere a seguire la lezione si voltò nuovamente verso di lui:
«E cosa dicono di me?».
«Che sei acida e frigida… ah è morirai vergine e zitella».
Il volto di Molly era ormai completamente rosso, fece per replicare ma la vocetta stridula di Vitious li riportò alla realtà.
«Jackson! Weasley! I vostri compagni sono già in posizione! Se ci degnaste della vostra attenzione non vi farebbe male». La classe si riempì di risatine di scherno. Molly si guardò intorno: i compagni erano all’in piedi e disposti a coppie. Loro prontamente li imitarono.
«Bene potete iniziare. Provate l’incantesimo a turno e mi raccomando ricordate ciò che vi ho detto!».
Molly entrò nel panico: che aveva detto? Si guardò intorno ma nessuno sembrava disposto ad aiutarli. Nicolas approfittò della distrazione del professore e chiese ad un amico che cosa dovessero fare. Molly non sentì la risposta, ma il ragazzo ghignò divertito.
«Cominciò io» a differenza degli altri pronunciò l’incantesimo ad alta voce e lei si pentì in ritardo di aver acconsentito. «LEGILIMENS!».
Si rivide mentre correva in un vasto ed incolto giardino con alcuni bimbi più piccoli… ad un certo punto cadde e si sbucciò un ginocchio e subito gli stessi bimbi la circondarono per vedere come stava ed uno più alto degli alti con i capelli rosa la prese per mano e l’aiutò ad alzarsi. Una bambina bionda le asciugò le lacrimucce che erano spuntate… alcuni dei maschietti osservavano interessati la ferita… uno di loro dai capelli rossi si vantava mostrando una crosta più grande e subito uno moro ne cercò una sul gomito che in realtà a malapena si vedeva: adesso però anche lei poteva mostrare la sua ferita e ne era orgogliosa… La scena cambiò e la stessa Molly più grande sedeva composta in quella che doveva essere la sua cameretta ed osservava un testo di Pozioni per Bambini con aria corrucciata, che si trasformò in un sorriso falsissimo quando un uomo alto e rosso entrò nella stanza… l’inutile sermone di Percy Weasley fu sostituito da un Fred Weasley irritato che urlava contro di lei… Molly e Lucy che litigavano e Percy interveniva a favore della prima… Poi Victoire che la insultava in lacrime e Molly la osservava impotente…
Molly non comprese il perché, ma il flusso di ricordi di cui era ormai in balia si bloccò. Tornò bruscamente alla realtà e si rese conto che tutti la osservavano. Aveva le guance bagnate e si accorse di aver pianto. Gabriel Richardson di Tassorosso fronteggiava irato Nicolas. I compagni di quest’ultimo lo spalleggiavano e tutta la classe li osservava in attesa dello scoppio: un Tassorosso aveva osato sfidare uno dei ragazzi più popolari della Scuola.
«Ragazzi, niente litigi. Vi prego» intervenne subito Vitious.
«Professore! Richardson si è intromesso nella nostra esercitazione!».
«Se mi avessi ascoltato invece di chiacchierare insieme alla signorina Weasley avresti saputo di doverti fermare in tempo! La tua è stata una vergognosa violazione della privacy della tua compagna! Quindici punti in meno a Grifondoro» replicò lui stizzito.
Molly ebbe il desiderio di lasciare l’aula. Che le stava succedendo? Non le era mai successo in sei anni di distrarsi ed addirittura essere ripresa da un insegnante! Due volte! Eppure quei ricordi avevano smosso dentro di lei qualcosa. Quando aveva sette anni era tutto più facile, diverso. Si sentiva una cosa sola con i cugini. Poi a poco a poco si era distaccata da tutti. Tutti tranne Victoire, almeno fino a quel brutto litigio. Erano trascorsi sì e no due anni: durante le vacanze di Natale aveva detto a suo padre che Vic stava con Teddy in segreto e lui puntualmente, da bravo fratello aveva creduto, aveva raccontato tutto a Bill e Fleur. A differenza di quanto si aspettassero nessuno dei due reagì vietando alla figlia di vedere il ragazzo, ma rimasero particolarmente male scoprendo che gliel’aveva nascosto. Ne era seguita una lite che aveva coinvolto anche Harry e Ginny: in un paio di giorni si era sistemato tutto, perché nessuno era contrario al loro legame e Vic aveva fatto pace con il padre affermando che stava aspettando di essere sicura che tra lei e Teddy fosse una cosa seria, perché in fondo erano membri della stessa famiglia ed avrebbero voluto evitare proprio quello che era accaduto. Il suo rapporto con Vic non era più stato lo stesso. Non si era più confidata con lei e non l’aveva più ascoltata. Lei e Teddy erano stati i suoi unici amici per anni. Veri amici, di quelli a cui racconti tutto. Accumunati dal fatto di essere i più grandi della loro enorme famiglia.
*
“Allora, ripigliò: «Où est ma chatte?» che era la prima frase del suo libro di francese. Il Topo ebbe un soprassalto tale da schizzar fuori dal pelo dell’acqua, e poi si mise a tremare tutto per lo spavento, «Oh, scusami, scusami!» lo implorò Alice precipitosamente, temendo di aver offeso i sentimenti del povero animale. «Mi è del tutto uscito dalla mente che a te i gatti non piacciono.». «Non mi piacciono?!» ripeté il Topo con una vocetta stridula e piena di sdegno. «Perché a te piacerebbero se fossi al mio posto?» …
«Vance! Ti stai divertendo?».
Petunia, come tutta la classe, si voltò ad osservare il Tassorosso seduto in fondo all’aula con Amber Steeval. Il sorriso del ragazzino si spense lentamente mentre sollevava gli occhi sull’insegnante. L’uomo tese la mano e lui rassegnato gli consegnò il libro che evidentemente stava leggendo. Padma Thomas, accanto a Petunia, cercò di leggerne il titolo, ma era troppo lontano.
«Dieci punti in meno per Tassorosso», sentenziò l’insegnante, «Vista la tua media in Pozioni, non ritengo che tu ti possa permettere certe distrazioni. Ripeti che cos’ho spiegato fino a questo momento».
Il ragazzino gli rivolse uno sguardo vacuo e vagamente colpevole: era evidente che non aveva ascoltato una sola parola dall’inizio della lezione ed il professore doveva esserne consapevole. Uno dei gemelli Baston provò a suggerirgli quanto meno l’argomento trattato, ma non ebbe successo.
«Cinque punti in meno a Corvonero! Baston sei pregato di tacere quando non mi rivolgo a te!» disse severo Mcmillan.
«Mi scusi, signore. Ero distratto» ammise infine il ragazzino.
«Dovete preparare la Pozione Obliviosa. Sulla lavagna troverai le istruzioni. Non mi chiedere spiegazioni perché non te ne darò. E’ una delle pozioni che vengono richieste più frequentemente agli esami finali» replicò seccamente il professore.
Il ragazzino entrò nel panico perché non voleva prendere l’ennesima insufficienza, insomma nell’ultima verifica aveva combinato un disastro. La situazione non migliorò quando si accorse di aver dimenticato il libro nel dormitorio e da lì le istruzioni in mezzo ai vapori che uscivano dai calderoni dei compagni non le vedeva proprio. Si voltò verso Amber in cerca di aiuto, lei sorrise e spostò il suo manuale al centro del banco in modo che potessero leggere entrambi. Quando suonò la campanella, riempì una boccetta con il suo lavoro: aveva un colore vagamente simile a quello descritto sul manuale. Molto vagamente. Lasciò che i suoi compagni consegnassero per primi e si attardò con Amber in modo da poter parlare con l’insegnante. Una volta che gli altri furono usciti tutti, si avvicinò alla cattedra. L’insegnante li osservò severamente mentre riponevano le loro fiale con le altre. 
«Mi dispiace per il mio comportamento, professore» disse Samuel timidamente. L’insegnante annuì.
«Potrei riavere il libro?» mormorò timoroso. Ernie Mcmillan lo squadrò per un attimo e poi rispose:
«Te lo restituirò se prenderai almeno la sufficienza nella verifica della prossima settimana». Sam sgranò gli occhi e balbettò:
«Ma professore la prego… Il libro è di Albus…».
«Avresti dovuto pensarci prima. Ed adesso andate a pranzo».
Samuel annuì ed uscì dall’aula a capo chino seguito da Amber; sperò ardentemente che Al non si arrabbiasse troppo.
*
«James perché non vieni a parlarci del sistema di governo babbano?».
Il ragazzo osservò il professor Finch-Fletchley con tanto d’occhi. Justin per conto suo fu sicuro di sentire il suo cervello frenetico alla ricerca di una buona giustificazione e doveva ammettere di essere curioso: James era dotato molta fantasia. Quel giorno, però, sembrava in difficoltà.
«Posso venire io, professore?».
L’insegnante si rivolse alla ragazzina seduta al primo banco. Le sorrise e James sembrò sollevato. 
«Va bene Benedetta, vieni tu» acconsentì. Trascorse il resto dell’ora interrogandola, anche se in realtà non ne aveva particolare necessità in quanto lei era una dei suoi migliori studenti: aveva accettato di interrogarla solo perché sembrava ansiosa di salvare il compagno e poi aveva capito che il resto della classe non era più preparata di James ed aveva voluto evitare di concludere la settimana con una strage. Benedetta rispose brillantemente a tutte le sue domande, non che si aspettasse esito diverso. Al suono della campanella le sorrise e disse:
«Ok va bene, dieci punti a Grifondoro… James la prossima volta tocca a te… E voialtri studiate pure! Non bighellonate nel parco per tutto il week end… Ora andate e buona serata».
I ragazzi non se lo fecero ripetere due volte e cominciarono a sciamare verso la Sala Grande.
«Ehi Benedetta!».
La ragazzina riconobbe la voce ed arrossì. Si voltò e si trovò faccia a faccia con James Sirius Potter uno dei ragazzi più noti della Scuola, ma stranamente lui odiava esserlo e girava sempre in compagnia dei suoi amici o dei suoi cugini. Le stava molto simpatico anche per questo: insomma era il figlio del Salvatore del Mondo Magico e non se la tirava per niente.
«Grazie! Ti devo un favore».
«Non ti preoccupare… Non ho fatto nulla di che…».
James le sorrise e poi disse: «Su andiamo a cenare».
*
«Al, sei preoccupato?» chiese Alastor, mentre si sdraiava.
Erano più di dieci minuti che Albus, seduto sul letto, sfogliava nervosamente un volume preso in prestito in biblioteca.
«Per Rose… Questa storia è assurda! C’è qualcosa di pericoloso in quelle pietre. Ho paura che finirà male».
«Qualunque cosa saremo con voi, se ti può consolare» disse Elphias con voce assonnata.
«Grazie… Mi dispiace per la strillettera di tua nonna… Robards è stato scorretto… zio Neville era furioso… Ha praticamente scavalcato la sua autorità!».
«Lascia stare, fratello… Robards è uno stronzo».
«Che dice quel libro?» tentò di cambiare argomento Alastor.
«Poco… Dice che è il giorno in cui divino, reale e magico si mescolano… E poi rientra in diverse tradizioni oltre quella celtica: per esempio in quella cristiana. E un autore babbano ha scritto una commedia ambientata proprio quel giorno… Ah ed inoltre il solstizio cade tra il 21 ed il 24 giugno… Nient’altro» rispose affranto.
«Domani cerchiamo meglio, tranquillo. In biblioteca ci sarà qualche libro che ne parla. Ti daremo una mano» replicò Elphias.
«Ora è meglio che dormiamo. Buonanotte» disse Alastor.
«Dai Al, Alastor ha ragione. Mettiti sotto le coperte, spengo io la lampada» disse Elphias che era l’unico ancora in piedi.
«Grazie ragazzi. Buonanotte».
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti! Questo capitolo non è il massimo, scusatemi! E’ un capitolo di passaggio in cui ho voluto soffermarmi un po’ su Molly, che devo ammettere è un personaggio un po’ difficile da trattare per me: insomma mi sembra troppo banale che sia sempre stata e sempre sarà la fotocopia di Percy e quindi sto cercando di mostrare come i miti infantili possano cambiare crescendo (tipo l’idea che il padre sia perfetto, come nel caso di Percy). Non sono sicura di star partendo nel modo corretto, ma spero di dare un senso alla storia di Molly, che naturalmente sarà secondaria rispetto alle vicissitudini di Al ed amici. Invece James e Benedetta li adoro e quindi ho voluto presentarli così ed ho tutta l’intenzione di farli diventare molto amici. Per quanto riguarda Samuel si tratta soprattutto di un capriccio che mi è venuto leggendo quel brano, che è tratto da Alice nel Paese delle Meraviglie, ed ho voluto lasciarlo comunque nel capitolo. Comunque so che questo capitolo non è il massimo, quindi (computer permettendo) pubblicherò anche il capitolo tredicesimo che mi piace molto di più. Ditemi cosa ne pensate, mi raccomando! :-D Ringrazio vivamente coloro che stanno leggendo silenziosamente la storia, coloro che l’hanno messa tra le seguite e ancor di più chi ha recensito. Non sapete quanto mi piaccia piacere che la storia susciti almeno un minimo di interesse :-D :-D 

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Capitolo 13
*** I folletti ed il custode ***


Capitolo tredicesimo
 
I folletti ed il custode
 
«Madama Corvonero, come mai ci ha chiamato a quest’ora tarda?».
«Mio caro Frate Grasso, le assicuro che avrei preferito di gran lunga non doverlo fare… ma ahimè le circostanze sono tali, che non ho potuto esimermi dal disturbarvi tutti».
«Orsù Helena, rendici partecipi di ciò che ti cruccia» la esortò il Barone Sanguinario, il fantasma di Serpeverde.
«Nel pomeriggio mi ha cercato una giovane Grifondoro», iniziò osservando Nick- Quasi -Senza- Testa, «Desiderava avere informazioni sulla Leggenda delle Pietre dei Fondatori!».
Per quanto possa essere possibile il Barone Sanguinario divenne più trasparente, mentre gli altri due fantasmi assunsero un’aria perplessa.
«Mia cara Helena, di che leggenda si tratta?».
«Innanzitutto devo precisare che in realtà non è una leggenda: le pietre esistono davvero. Mio caro Frate Grasso, i Fondatori ad un certo punto decisero d’ incanalare un po’ del loro potere nelle pietre che meglio li rappresentano. Il loro fine era quello di dare la possibilità ai posteri di utilizzare tale potere in un momento di particolare necessità. Solo colui che se ne mostri degno può farlo però. Il Predestinato o l’Erede, se volete chiamarlo così, deve possedere le qualità che i Fondatori apprezzavano; ma soprattutto deve usare le Pietre non per sé stesso ma per aiutare gli altri. Naturalmente comprenderete bene il pericolo che può nascere se dovesse cominciare una ricerca delle Pietre».
«Certamente non sarebbe una buona cosa se il grande potere dei Fondatori venisse usata per scopi oscuri» convenne il Frate Grasso.
«Oh di questo non si deve preoccupare… Solo chi ne è degno può usare il potere dei Fondatori, chi non lo è né viene schiacciato. Il pericolo, come sempre, sono gli uomini stessi che accecati dalla brama del potere sarebbero pronti a farsi del male a vicenda pur di ottenere ciò che vogliono». 
«Vuoi che fermi la Grifondoro?» chiese Nick.
«No, ormai è tardi. Lei è in possesso del Rubino di Godric Grifondoro e sa perfettamente dove trovare le altre. E’ testarda e ci riuscirà! Ma non è lei la Predestinata! Le voci di nuove violenze stanno circolando e credo che sia il momento che le Pietre vengano usate. Il nostro compito è quello di trovare il Predestinato o la Predestinata. So già chi ci potrà aiutare».
«Madama hai spiegato queste cose alla giovane Grifondoro?» domandò Nick.
«No. Gli uomini meritano di essere puniti per la loro avidità!».
*
 
«Bene, oggi voglio presentarvi i folletti della Cornovaglia! Ma prima che ciò accada, vi avverto che la per la prossima lezione mi aspetto un rotolo di pergamena su queste graziose creature. Ora il vostro compito è quello di rimetterli in gabbia. Buon divertimento!» annunciò il professor Robards aprendo una gabbia piena di esserini blu elettrico alti circa venti centimetri, che si gettarono su di loro. In men che non si dica in classe scoppiò il caos. 
«Sbaglio o non ci ha detto come rimetterli in gabbia?» chiese Frank tentando di evitare un libro lanciato da un folletto.
«E dove sarebbe il divertimento per lui se no?» replicò Roxi con una vocina isterica.
In quel momento un loro compagno di Casa, Charles Calliance, decise per un approccio duro e si gettò di peso su un folletto e cominciò la rissa più assurda della storia: Halley Hans, un altro Grifondoro, cercava di aiutarlo, mentre un secondo folletto lo percuoteva alla testa con un grosso manuale. Lorein Calliance e Nadine Parkinson urlavano in un angolo mentre quattro folletti tiravano loro i capelli. Frank tentò di difendersi con un libro, sventolandolo all’aria ma non colpendone nemmeno uno.
«Ma come cavolo fanno a volare senza ali!» disse atterrito.
«Non credo sia importante, a meno che tu non voglia chiederglielo» disse Roxi, abbassandosi appena in tempo per evitare la fattura di un Serpeverde.
«PETRIFICUS TOTALUS» urlò Lucy bloccandone uno che cadde sul pavimento con un tonfo. Trionfante lo rimise in gabbia, conquistando dieci punti per Serpeverde. Gli altri ragazzi cominciarono ad imitarla, ma prendere la mira non era per niente facile: Mariam Russell di Serpeverde fu pietrificata al posto di un folletto, che si era spostato all’ultimo secondo e nessuno si prese la briga di liberarla. L’insegnante leggeva imperterrito, seduto alla cattedra.
«Nooo… fatemi scendere… Vi pregoooo…».
Frank sollevò la testa e vide che un folletto aveva agguantato il suo compagno Alcyone Granbell e gli faceva fare un tour aereo dell’aula. Lucy riuscì a bloccarne altri due. Charles si era liberato ed aveva rinunciato a prendere a pugni i folletti: esibiva un grosso graffio sulla guancia; ora saltava da un banco all’altro nel tentativo di acchiapparne uno. A Frank sfuggiva la logicità del suo comportamento, ma evitò di farglielo notare: loro due non andavano per niente d’accordo.
«Staccati! Staccati!» gridò Roxi. Frank corse in suo aiuto e cercò di liberarle i capelli dalla presa di un folletto. Diede uno strattone e cadde all’indietro, il folletto andò a spiaccicarsi contro il muro e cadde stordito.
«Wow Frank l’hai messo k.o.!» celiò Roxi, che non perdeva mai la voglia di scherzare.
«Per Merlino Paciock! Sei un mago, usa la bacchetta!».
Roxi lanciò un’occhiata velenosa all’insegnante. Frank si rimise in piedi senza dire nulla. Lorein singhiozzava correndo da una parte all’altra dell’aula. Roxi riuscì ad immobilizzarne uno e rimetterlo in gabbia, ma il professore la ignorò. I folletti cominciarono ad incattivirsi di più e la confusione aumentò: libri volavano e spesso colpivano i ragazzi al posto dei folletti, che a loro volta rispondevano svuotando su poveri malcapitati boccette d’inchiostro o giocavano al tiro al bersagliò usando le matite come proiettili. Lucy era l’unica che si divertiva: buttava banchi a terra e lanciava oggetti in aria senza alcuna necessità. Halley ne prese uno in pieno con il manuale di Storia della Magia.
«Pensavo che non mi sarebbe mai servito» commentò mettendo in gabbia la sua preda.
Alcyone urlò di dolore, quando il folletto si stufò di portarlo a passeggio per l’aula e lo lanciò sul pavimento. Frank fu attaccato da tre folletti, cadde di nuova a terra e perse la bacchetta. Invano tentò di difendersi mentre uno dei tre lo tirava per la cravatta smorzandogli il respiro, gli altri due gli stracciavano la divisa. Roxi ed Halley intervennero e li immobilizzarono approfittando della loro distrazione. Per fortuna l’ora trascorse ed il professor Robards finalmente chiuse il libro che stava leggendo. Li osservò con una smorfia di disgusto.
«Siete degli incapaci» sentenziò. Estrasse la bacchetta e con un pigro gesto bloccò i cinque folletti che ancora scorrazzavano per l’aula. «Paciock! Tanto per il cambiare sei il peggiore della classe! Che razza di mago sei? Ti sei fatto prendere dal panico ed hai buttato la bacchetta! Dovresti vergognarti, tuo padre ha combattuto una guerra e tu non sei in grado di affrontare degli stupidi Pixie! Dieci punti in meno a Grifondoro e per punizione scriverai centocinquanta volte “la bacchetta serve per difendersi, non è un bastoncino di legno per accendere il fuoco”» tutti risero e i Serpeverde fischiarono. Il professor Robards rise malevolo ed aggiunse: «La prossima volta mi dirai qual è il modo corretto per sconfiggere i Pixie, ora andate!».
Frank trovò lo zaino nel disordine e fece per uscire dall’aula in fretta, ma l’insegnante lo fermò.
«Paciock, fa qualcosa di buono: rimetti l’aula in ordine» altre risatine di scherno si levarono dai compagni, solo Roxi lo guardò dispiaciuta. «Puoi usare la magia se ne sei capace» lo derise ancora Robards prima di uscire anche lui. Frank, rimasto solo, osservò il disastro intorno a lui. Le lacrime premevano per uscire, ma tentò di trattenersi, per mantenere un minimo di dignità. In Incantesimi se la cavava piuttosto bene, ma comprese subito che avrebbe fatto prima senza magia. Certo se avesse conosciuto quelli incantesimi che usava sua mamma per rimettere in ordine sarebbe stato più facile. Iniziò dai banchi sollevandoli e rimettendoli al loro posto; fece lo stesso con le sedie. Fortunatamente ognuno aveva raccolto le proprie cose, così raccolse tutte le cartacce e completò il suo lavoro. Si asciugò gli occhi, sperando che nessuno si accorgesse che aveva pianto. L’ultimo desiderio era quello di farsi sbeffeggiare sia dai suoi compagni sia dai Serpeverde in Sala Grande davanti a tutta la Scuola, così si diresse verso la biblioteca. Quando quella sera ritornò in Dormitorio vi trovò i suoi compagni di stanza, Charles Calliance ed Halley Hans, intenti a giocare a sparaschiocco. I due ragazzi si voltarono subito verso di lui e risero.
«Per Godric, Paciock tu sei la conferma che essere Purosangue non significa essere migliore degli altri! La Preside dovrebbe usarti come esempio!» lo derise Charles.
«Hai finito con le pulizie? A Natale potremmo regalarti un grembiulino… Ti starebbe d’incanto!» rincarò Halley.
Frank tentò di ignorarli, ma fu inutile. Loro lo circondarono.
«Adesso non ci sono né la Weasley né papino a difenderti quindi molla i compiti per domani senza fare molte storie!» ordinò Charles.
«Lasciatemi in pace» provò debolmente lui, ma Halley gli strappò lo zaino dalle mani e si servì da solo.
«Grazie Paciock, non ho parole per la tua generosità» commentò Charles. «Vuoi un consiglio da amico? Non perdere tempo con i compiti, tanto sei un Magonò. Chiedi a Gazza o ad Hagrid di diventare il loro assistente. Almeno così Robards sarà felice di te!». 
Frank sentì di nuovo le lacrime premere per uscire, ma lasciò la stanza prima di darli la soddisfazione di vederlo piangere. Uscì dal buco del ritratto incurante dei richiami di Molly, che irritata gli ricordava che era scattato il coprifuoco. Corse a perdifiato per un paio di piani. Per una volta ebbe un po’ di fortuna e non incontrò né Prefetti né professori. Entrò nell’ufficio del padre senza nemmeno bussare.
«Frank! Ti ho detto un sacco di volte che…» ma il resto del rimprovero per non aver bussato non arrivò mai; Neville si era reso conto che piangeva. «Frank che hai?» chiese con tono totalmente diverso. Il ragazzino aggirò la scrivania e lo abbracciò. Neville sempre più sorpreso ricambiò la sua stretta, ma non disse nulla. Lasciò che il figlio si sfogasse e si calmasse. Nel frattempo gli accarezzava delicatamente la testa: quando era piccolo si tranquillizzava solo in quel modo ed in fondo era ancora un bambino.
«Ti va di raccontarmi che ti è successo?» chiese quando il piantò si arrestò. Frank tirò su con il naso, ma non rispose. Neville continuò ad accarezzarlo. «A strapparti la divisa sono stati i Pixie?». Frank si irrigidì comprendendo che quanto avvenuto durante la lezione di Difesa era di dominio pubblico e sicuramente suo padre aveva ascoltato la versione ricca e dettagliata di Robards stesso. «Sai anche noi li abbiamo affrontati al secondo anno. Il nostro professore era molto incapace e dopo averli liberati non sapeva nemmeno lui come rimetterli in gabbia. Quasi tutti sono fuggiti dall’aula, lui compreso. L’avrei fatto anche io se non avessi avuto una sorte molto simile a quella di Alcyone, che tra parentesi ora è in infermeria e Madama Chips è furiosa. In classe rimanemmo solo io, Ron, Harry ed Hermione. Se non fosse stato per Hermione, probabilmente saremmo scappati lasciando che i folletti invadessero la Scuola» ridacchiò.
«Davvero?». Frank lo stava finalmente guardando negli occhi.
«Sì. Ascoltami se voi già sapeste fare tutto non avreste bisogno di studiare. Quindi non ti preoccupare. Migliorerai in Difesa, devi avere solo un po’ di fiducia in te stesso».
«Non ti vergogni di me?».
«Certo che no! Come ti viene in mente una cosa del genere?».
«Il professor Robards ha detto che è vergognoso che io non sappia affrontare dei folletti, mentre tu hai combattuto una guerra» sussurrò pianissimo, ma Neville sentì comunque e si irritò: naturalmente quello Robards a cena non gliel’aveva raccontato. E si arrabbiò ancora di più quando sentì come aveva umiliato suo figlio. Aveva voglia di andare da lui e prenderlo a pugni! Insomma ma che razza di esempio dava ai ragazzi? Aveva evitato di litigarci per la storia di Elphias, ma adesso la sua pazienza aveva raggiunto il limite. Si sarebbe lamentato con la Preside da padre e da Direttore di Grifondoro.
«Frank ascoltami, il professor Robards è un tuo insegnante e finché rimarrà tale dovrà portargli il massimo rispetto, chiaro?».
«Sì».
«Per il resto non ti preoccupare, sono molto orgoglioso di te ok?».
Frank non rispose: gli tornavano alla mente le parole di Charles.
«E se fossi un Magonò?».
Neville non sapeva se ridere o arrabbiarsi a quel punto.
«Il professor Robards ti ha detto una cosa del genere?» sbottò.
«No… ma se…».
«Ma niente! Tu non sei un Magonò! E non lo dico perché sono tuo padre… Frank ti prego di non fare lo stupido. Fino a ieri Teddy mi ha raccontato che sei stato il primo a trasformare un verme in un cucchiaino da tè. Ed il professor Vitious mi parla sempre bene di te. Devi solo imparare a credere in te stesso!».
«Ti voglio bene papà».
«Anche io Frank, nemmeno ti immagini quanto».
*
 
La mattina seguente Frank si alzò molto presto. I suoi compagni ancora dormivano e lui non aveva la minima intenzione di aspettarli e sentirsi prendere ancora in giro. Ancora una volta non aveva raccontato a suo padre come si facevano beffa di lui: in fondo lui era il Direttore di Grifondoro ed in teoria non ci sarebbe stato nulla di male se fosse intervenuto; ma dall’anno prima lo prendevano spesso in giro perché era il figlio del prof e molti credevano che i voti buoni che aveva in alcune materie dipendessero dal fatto che era raccomandato. Lui aveva provato a farli notare che in Pozioni era sempre un disastro ma loro avevano risposto che sicuramente Mcmillan ce l’aveva con suo padre. Un’idiozia bella e buona insomma, visto e considerato che al contrario erano molto amici. Non volendo spiegare certe dinamiche a suo padre, preferiva tacere. E comunque finché avrebbe avuto Roxi al suo fianco non avrebbe avuto problemi. Il castello era silenzioso a quell’ora, un po’ si spaventò mentre raggiungeva la Guferia. Atreiu (il nome l’avevano scelto lui ed Augusta), il gufo di famiglia, volò subito verso di lui. Frank lo accarezzò e gli diede dei biscottini gufici, che aveva portato per lui. Delicatamente gli legò una lettera alla zampa.
«Portala a mamma» gli sussurrò. Lui prese il volo e Frank cercò di seguirlo con lo sguardo, ma in pochi secondi era sparito dalla sua vista. A quel punto si diresse verso la Sala Grande per fare colazione: la sera prima non aveva mangiato nulla ed ora si sentiva affamato.
«E tu dove vai a quest’ora?» sobbalzò e si voltò. Un uomo che poteva dimostrare circa una settantina di anni lo squadrava severamente. Frank si fermò ed attese che si avvicinasse. Non lo conosceva. Era molto alto, ma leggermente incurvato dagli anni, e lo sovrastava. Aveva i capelli grigi e portava sul naso degli occhialetti minuscoli da lettura, che li conferivano un’aria particolarmente severa. Si sentì intimorito da lui.
«In Sala Grande, signore» rispose educatamente.
«Così presto?». Frank non rispose, non ritenendolo necessario: il coprifuoco cessava alle sei, quindi lui non stava infrangendo alcuna regola. «E come mai sei così lontano dalla tua Sala Comune?» insisté indicando il leone rampante sulla sua divisa. 
«Sono andato in Guferia a spedire una lettera, signore».
«Joseph, aspetta mi sono dimenticata di dirti una cosa». La Preside li raggiunse e gettò un’occhiata inquisitoria a Frank.
«Paciock che fai in giro così presto?».
Il ragazzino si affrettò a ripetere quanto aveva appena detto al signore sconosciuto. La Preside annuì e poi disse:
«Vedo che hai fatto conoscenza con il signor Lorentz… Ieri sera non eri presente a cena quando l’ho presentato a tutta la Scuola. Affiancherà il signor Gazza ed il signor Licory nel loro lavoro, quindi mi raccomando il massimo rispetto».
«Sì, professoressa».

Angolo autrice:
Ecco come promesso ne sto pubblicando già un altro. Questo lo ritengo particolarmente importante per la storia, spero che sia di vostro gradimento. Io adoro Frank, non so se si è capito (ok l’ho maltrattato un po’ in questo capitolo, ma nulla toglie che sia uno dei miei preferiti della NG) ;-). Ah, naturalmente adoro anche Neville :-D :-D
Spero che abbiate trascorso tutti un buon Ferragosto. Appuntamento al prossimo week-end, però voi fatemi sapere cosa ne pensate per piacere ;-). 

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Capitolo 14
*** Dolcetto o scherzetto? ***


Capitolo quattordicesimo
 
Dolcetto o scherzetto?
 
«Sei un fifone!».
«Non è vero! Il Cappello si è sbagliato! Io sono coraggioso!».
«Dimostralo».
«E come?».
Amber e Samuel arrivarono appena in tempo per vedere Goyle che si chinava su Arthur e gli sussurrava qualcosa all’orecchio.
«Che vuoi Goyle?» chiese Amber ostile.
«Nulla che ti interessi, Steeval».
«Mi raccomando, Weasley. Ci si vede a lezione».
Lui ed i suoi amici si allontanarono con il solito ghigno strafottente sul volto.
«Che volevano da te?» domandò Samuel.
«Nulla, andiamo a fare colazione».
«Arthur, qualunque cosa non ascoltargli. Ti prego» aggiunse Amber.
«Figurati, per chi mi hai preso?» replicò e li precedette in Sala Grande.
*
 
«Roxi? Perché fai quella faccia?» chiese Frank osservandola attentamente. Era la mattina di Halloween e stavano facendo colazione come sempre al loro tavolo.
«Credo di sentirmi male. Ci vedo azzurro…». Il ragazzino seguì il suo sguardo e scoppiò a ridere.
«Merlino, tua cugina si è tinta i capelli di azzurro! Come diavolo ha fatto?», ma sotto i loro occhi i capelli di Lucy divennero rosa, «Com’è possibile?» chiese esterrefatto. Roxi divenne meditabonda e dopo un po’ si tirò una manata sulla fronte: «Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima! E’ una delle ultime invenzioni di papà! E’ uno shampoo magico: per un giorno i capelli continuano a cambiare colore» spiegò.
«Comunque non credo che il maggior problema sia quello… Che razza di maglietta indossa?».
Roxi la osservò con attenzione e vide che gli altri Serpeverde l’avevano isolata. Scoppiò in una fragorosa risata: sua cugina era troppo per i freddi e fini Serpeverde.
«E’ una maglietta che ha rubato in un mercatino babbano… C’è scritto Fuck you».
«La McGranitt stavolta la uccide» costatò Frank.
«Poco ma sicuro… Andiamo o faremo tardi a lezione».
I Grifondoro del secondo anno seguivano Erbologia con i Serpeverde, ma al suono della campanella Lucy non si fece vedere.
«Ma secondo te verrà?».
«No, per me bigia» rispose Roxi, mentre prendevano posto.
Contro ogni sua previsione Lucy entrò nella serra con tutta la sua calma con mezz’ora di ritardo. L’insegnante interruppe la spiegazione e la guardò sorpreso come anche tutta la classe.
«Lucy la tua divisa?».
«Oggi è Halloween! Mi seccavo indossarla… Ringrazi che sono venuta a lezione! Dovrebbe essere vacanza!».
«Dieci punti in meno a Serpeverde! Ti ricordo che mi devi chiamare signore o professore! Non essere irrispettosa!».
Lucy lo osservò annoiata e non ascoltò nemmeno una parola. La sua attenzione fu attirata dalla cugina: se non la sollecitava lei, Roxi era capace di comportarsi sempre bene! Insomma non aveva senso. In fondo era lei la figlia del perfetto ed ordinato Percy Weasley, invece Roxi del chiassoso e perennemente fanciullo George Weasley. C’era qualcosa che non le tornava. Poi ebbe un lampo di genio. Era così semplice in fondo! Erano nate a distanza di un giorno. Un solo giorno! Poteva essere accaduta qualsiasi cosa: uno zio od un’infermiera distratta! Niente di più banale!
 «Lucy mi stai ascoltando?».
«No, pensavo» rispose osservando l’insegnante dritto negli occhi.
Neville perse la pazienza e disse: «Altri venti punti in meno a Serpeverde! E non ti ammetto in classe! Lo dirò al tuo Direttore stanne certa… Ed ora vai…».
Lucy sbuffò sonoramente ed uscì dichiarando candidamente:
«Tanto non mi interessava seguire la lezione!».

*
 
La tranquillità della lezione fu sconvolta dal grido di Alice. Lily si coprì l’orecchio e si voltò a guardarla irritata. Stava per urlarle nel canale uditivo, quando si accorse che sul banco dell’amica c’era un ragno. Un ragno parecchio strano: quattro occhi e due zampe; infatti più che camminare, strisciava. Senza molti convenevoli lo spiaccicò con il manuale di Incantesimi. Alice terrorizzata saltò sul banco. Altri urlarono e Lily si rese conto che tutto il pavimento dell’aula era ricoperto di ragni. Strillò e saltò sulla sedia. Lei non era aracnofobica come l’amica, ma erano tarantole. Certo tarantole colpite da una specie di trasmutazione genetica, ma sempre tarantole. Volarono incantesimi senza senso, che crearono più confusione che altro. La classe si svuotò rapidamente ed anche Vitious, in preda a quello che Lily ipotizzò essere un esaurimento nervoso, corse fuori. Alice però non aveva la minima intenzione di muoversi da lì.
«Accidenti!» imprecò Teddy entrando. Con un gesto della bacchetta fece sparire i ragni e si avvicinò a loro. «Alice, non ci sono più ragni» disse dolcemente; ma la ragazzina non volle saperne di scendere. Allora Teddy la prese in braccio e la portò fuori dall’aula. I ragazzini del primo anno erano radunati nel corridoio insieme a quelli del quinto.
«E voi cha fate qui?» chiese Teddy con disappunto. Loro non risposero. «Cinque punti in meno per ciascuno di voi e dieci ai prefetti! Non avreste dovuto lasciare l’aula senza permesso! Forza tornate ad esercitarvi sugli incantesimi evanescenti. Voi rientrate nella vostra aula. Roberts vai a chiamare il professor Mcmillan e tu Avens il professor Paciock. Calliance rimani qui a controllarli e quando arrivano i miei colleghi rientra in classe». Si soprese di come tutti si affrettarono ad ubbidirgli ed i ragazzini lo osservarono intimoriti. Nonostante fosse giovane, riusciva a farsi rispettare. Squadrò Lily, che era rimasta al suo fianco, e le chiese: «Non sono stato chiaro?».
«Io sto con Alice».
«Tu vai in classe».
Si osservarono per qualche secondo poi Lily capitolò:
«E’ scorretto… Se fossimo stati a casa…» borbottò mentre entrava in classe.
Dopo aver congedato con dieci minuti di anticipo le loro classi, Neville ed Ernie entrarono nell’aula di Incantesimi ed osservarono i ragazzini corrucciati.
«Allora chi è stato?» chiese Neville, annoiato e consapevole che non li avrebbero risposto. Infatti tutti tacquero. Allora lui si rivolse a Lily, ma lei negò di avere alcuna responsabilità in quella storia. D’altronde non faceva fatica a crederle perché non avrebbe mai tirato un brutto tiro alla sua migliore amica.
«Sentite, sappiamo che per voi è stato solo un gioco… Il professor Vitious però è anziano e non è stato bello da parte vostra approfittarne così» disse Ernie.
«Mettiamola così: la Preside è stata informata e vuole conoscere il colpevole… Gli ordini della Preside non si discutono, quindi o il colpevole si assume le sue responsabilità oppure saremo costretti a prendere provvedimenti contro l’intera classe» chiarì Neville.
«Ma io non ho fatto niente» disse con voce tremula Elisabeth Corner. Tutta la classe si voltò verso di lei.
«Mi dispiace, ma se il colpevole non si fa avanti non abbiamo scelta».
«Vi diamo cinque minuti, ok?» disse Neville. Lui ed Ernie uscirono dalla classe.
«Non mi sembra una grande idea» sbottò quest’ultimo, una volta lontani dalle orecchie dei ragazzi.
«Non mi pare che tu ne avessi una migliore… E da quando Vitious ha il cuore così debole?».
«Sarà la vecchiaia, Neville» replicò severo l’altro. «Ed a loro che li è preso? Ma più passano gli anni, più i ragazzi diventano irrispettosi? Noi non eravamo così».
«Fred e George Weasley l’avrebbero trovato divertente… Comunque hai ragione, ci sono alcuni elementi particolarmente turbolenti…».
 «Tra cui tua figlia» fece notare l’amico.
«Sai me ne sono accorto…».
«Siamo sicuri che sia tua figlia? Non è che tu e Michael Corner avete scambiato le figlie al San Mungo?».
«Molto divertente, Ernie… ma così non sei d’aiuto… ti assicuro che mi fa esaurire, non so più come comportarmi… E ti assicuro che Michael è molto severo».
«Lo so… forse dovresti esserlo anche tu».
«Hannah mi dice sempre la stessa cosa! Che cosa volete che faccia? Che l’ammazzi?».
«Quanto sei melodrammatico, Neville… la verità è che tu odi dover punire o sgridare chicchessia… Ma ho una notizia per te», continuò con fare teatrale, «Fattelo andar bene, perché sei padre ed insegnante e sei costretto a farlo! Quindi vedi di fare una bella ramanzina al colpevole».
«Chi ti dice che è stato uno dei miei?» replicò infastidito.
«Solo i Grifondoro hanno queste idee brillanti».
«Ah, sì? Un galeone che è stato un Tassorosso».
«Ci sto… Avanti rientriamo».
Tornarono a fronteggiare la classe: i ragazzini sembravano agitati, parecchi erano rossi in viso e si guardavano in cagnesco. Non ci voleva un genio per capire che avevano litigato.
«Allora chi è stato?» domandò Ernie.
«Sono stata io».
Lily Luna Potter si alzò e si avvicinò a loro. Gli altri Grifondoro assunsero un’espressione tra il sorpreso ed il preoccupato; tutti tranne Hugo, Elisabeth e Gabriella che osservavano la compagna impassibili. Neville scosse la testa e disse:
«Chi stai coprendo?».
«Nessuno. Sono stata io. Prima ho mentito. Non volevo che Alice si spaventasse, ma ho perso il controllo dell’Incantesimo».
«Stai mentendo adesso. Chi è stato?» replicò Neville.
«E’ stato Nott, signore». Tutti si voltarono verso Colin Canon. Marcellus sbiancò.
«Ma che cavolo hai per la testa?» sbottò Hugo.
«Anche tu ti si sei fatto amico con Nott?» inveì Gideon contro il cugino.
«Non litigate tra voi, per favore. Canon la tua accusa è grave. Marcellus?».
«N-Non s-sono stato io».
«Insomma sono stata io!» disse Lily attirando l’attenzione di tutti di nuovo su di lei.
«Ok, Lily. Allora vieni con me, la Preside vorrà fare due chiacchiere con te… Voi altri potete andare».
I ragazzini cominciarono a sciamare fuori dall’aula. Amber e Samuel trattennero Arthur e rimasero indietro.
«Che volete?» chiese infastidito.
«Ah fa pure l’ostile» replicò irata Amber.
«Senti io ti ho visto… eravamo seduti uno accanto all’altro…» sussurrò Samuel a voce bassissima, quasi a volergli chiedere scusa.
«Mi stai accusando di qualcosa?» chiese rabbioso.
«Io…» provò incerto Samuel.
«Lascia perdere, Sam. Noi non siamo abbastanza per un Weasley, vero? Vattene dai tuoi amici Serpeverde allora. Hanno ragione, sei solo un fifone. Il Cappello Parlante ha fatto bene a metterti tra i Tassorosso. Hai permesso che tua cugina si prendesse la colpa al posto tuo! Ma bravo…. Andiamo Sam, io non elemosino l’amicizia di nessuno, manco di Harry Potter in persona».
Arthur rimase lì a guardarli mentre si allontanavano e si maledì per non avere il coraggio nemmeno di chiedere loro scusa.
*
 
«Oggi mi siedo io con Jonathan» annunciò Rose ed Albus la osservò allibito mentre prendeva il suo zaino e lo buttava a terra vicino all’ultimo banco. «Ti alzi?».
«Ma Rose?!» si lamentò.
«Buon pomeriggio a tutti. Prendete posto per cortesia» disse la professoressa entrando. Albus desistette e lasciò il posto alla cugina. L’insegnante iniziò a spiegare e Jonathan tentò di prendere appunti, ma Rose non era molto intenzionata a seguire.
«Volevo chiederti scusa se alle volte di ho dato del secchione, ma tu ti comporti in quel modo…».
Jonathan la guardò sorpreso.
«Ah ehm ok grazie».
«Allora vediamo… che squadra di Quidditch tifi?». Jonathan alzò lo sguardo dal suo quaderno e balbettò: «Tengo per il Puddlemere United».
«E in che ruolo ti piacerebbe giocare?».
«Io… non mi piace giocarci…».
«WEASLEY! GOLDSTAIN! Avete intenzione di ascoltarmi? Fate silenzio!».
«Scusi professoressa» ribatté Rose con voce melliflua; mentre Jonathan arrossiva. Rose attese qualche minuto e poi ripartì all’attacco:
«Ti piace Ombrosus? A me sì, l’ultimo libro è davvero bello. L’hai letto? ».
«Piace anche a me… ma forse dovremmo seguire…».
«Ma no, tranquillo. La De Mattheis ripete parola per parola il libro. E’ solo una perdita di tempo ascoltarla… Sei pallido, stai bene?». A queste parole Jonathan sembrò spaventato.
«Sto benissimo, grazie».
«Ma è vero che la Tassorosso del quinto anno, quella che gioca come cacciatrice, è tua sorella? Senza offesa ma è un po’ oca, sei sicuro che avete lo stesso sangue?».
«Se intendi Melissa, sì è mia sorella. E non credo che sia un’oca…».
«Lo sembra» replicò Rose imperterrita.
«Weasley! Goldstain! Fuori!» sentenziò la De Mattheis. Rose alzò gli occhi al cielo esasperata: quella donna era davvero noiosa. La volta precedente l’aveva espulsa dall’aula perché cercava di tirare un ragno tra i ricci di Warrington.
«Professoressa scusi… davvero noi…» tentò Jonathan.
«Ho detto fuori, Goldstain! Immediatamente!».
«Non si scaldi, eh. Ora togliamo il disturbo» la rassicurò Rose.
«FUORI! FUORI! E QUINDICI PUNTI IN MENO CIASCUNO!» urlò l’insegnante.
Quando furono fuori dall’aula Rose trascinò Jonathan lungo il corridoio e quando furono abbastanza lontani scoppiò a ridere.
«Per gli slip consunti di Merlino, solo a noi poteva capitarci un’acida zitella in menopausa!». Jonathan la osservava atterrito. «Perché fai quella faccia? Oh è la prima volta che un insegnante si incazza con te?». Si avvicinò a lui tanto che i loro nasi quasi si potevano toccare e gli scompigliò i capelli. «Allora congratulazioni! Non lo trovi eccitante? Ora abbiamo un’ora a nostra disposizione! Ho bisogno di parlarti di una cosa…», poi vedendo la sua faccia aggiunse, «Che noia che sei! Allora visto che sei inesperto e so che stai pensando alle conseguenze, ti dirò io quello che succederà: Uno. La De Mattheis andrà a frignare dai nostri Direttori. E stai tranquillo, lei mi odia quindi mi descriverà come una specie di diavolo che porta i secchioni sulla cattiva strada. Due. I nostri Direttori ci convocheranno per farci la predica. Tre. Io mi beccherò una punizione da Paciock perché è almeno la quarta volta che la De Mattheis si lamenta di me e probabilmente scriverà a mia madre. Tu non devi preoccuparti. Vitious ti chiederà spiegazioni e ti esorterà a non rifarlo. Niente di speciale insomma… Ora mi segui, per favore?». Siccome non si muoveva lo prese per un braccio e cominciò a trascinarlo verso la Torre di Grifondoro.
*
 
«Ma Lily come ti è saltato in mente?» chiese Albus, mentre si riempiva il piatto di patate al forno.
«Non essere noioso, Al», lo rimbeccò Fred, «Lily ha fatto solo uno scherzo! Vero Jamie?».
«Mmm Vitious avrebbe dovuto lasciarlo in pace! Insomma che ti ha fatto? E’ anziano! Ed è buono con tutti! Non capisco perché gli scherzi idioti non li fai alla Campbell!».
«Stavolta ti becchi una strillettera di mamma, sicuro» sentenziò Albus.
«Ma quanto siete rincuoranti!».
«Lasciatela stare, non è colpa sua».
Albus, James e Fred osservarono Hugo scettici.
«Ah, no? E di chi?» chiese Albus.
«Mia e basta» replicò Lily, tirando una gomitata nelle costole al cugino.
«Domani salterò la colazione», annunciò Roxi, «Non potrei sopportare una strillettera di zia Ginny insieme a quella di zio Percy».
«Mio padre che centra?» chiese Molly. Roxi le raccontò della bella pensata di Lucy.
«Mmm penso che anche io salterò la colazione».
«Frank» sussurrò una vocina vicina al suo orecchio. Il ragazzino si voltò verso la compagna.
«Che c’è Gretel?».
«Ti prego quando saliamo in Sala Comune mi fai copiare il tuo tema di Trasfigurazione? Se non consegno il compito nemmeno domani finirò nei guai».
«Certo, tranquilla».
«Grazie mille».
«Ma figurati» si schermì lui.
Il Banchetto di Halloween si concluse con uno spettacolo offerto dagli spettri di Hogwarts e con i Fuochi Forsennati Weasley a forma di scheletri e pipistrelli.
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti! Questo capitolo potrebbe sembrare di poca importanza, ma capirete più avanti ;-) In fondo Rose, per quanto si comporti quasi peggio dei gemelli Weasley, ha pur sempre il cervello della madre: le sue mosse sono tutte calcolate. Per quanto riguarda Lily invece devo ammettere di essermi divertiti un po’ per movimentare Halloween ed anche per tratteggiare il suo carattere: è esuberante come il nonno, ma ha anche quella tendenza a salvare gli amici proprio come il padre. E poi naturalmente il mio amato Neville è sempre buonissimo :-D Lucy invece è pronta a combinarne una delle sue e portare un po’ di scompiglio, tanto per cambiare (mi verrebbe da dire “povero Percy”, ma in realtà non mi dispiace per niente). Buon fine settimana a tutti ;-) Alla prossima ;-) 

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Capitolo 15
*** Grifondoro contro serpeverde ***


Capitolo quindicesimo Grifondoro contro Serpeverde Jonathan si guardò intorno per assicurarsi che la Sala Comune fosse vuota. Aveva atteso che tutti andassero a letto, proprio per essere sicuro che nessuno lo vedesse. La Sala era effettivamente vuota. Inspirò forte quasi a farsi coraggio e si alzò dalla divano blu su cui aveva atteso facendo finta di leggere un libro: cioè avrebbe voluto leggerlo sul serio, ma era troppo nervoso per concentrarsi. Aveva anche rinunciato ad anticipare i compiti. Era trascorsa almeno una settimana da quando lui e Rose Weasley avevano parlato. Si avvicinò al busto di Priscilla Corvonero e lo osservò attentamente. Ricordava perfettamente ogni parola della coetanea, ma ancor di più quelle di Albus Potter che l’aveva quasi supplicato di non dare ascolto alla cugina. Ci aveva pensato a lungo, ma alla fine la curiosità aveva avuto la meglio sulla ragione: insomma che male poteva esserci a verificare che la leggenda fosse vera? Mise una mano in tasca e si rigirò tra le dita la sua figurina preferita; la portava sempre con sé. Allungò il braccio tremante verso il volto della statua e con la mano premette l’occhio destro. Con un tuffo al cuore la pupilla, che altro non era che uno zaffiro, gli cadde tra le mani. Il suo cuore batteva all’impazzata e gettò un’occhiata apprensiva alle porte dei dormitori, ma non stava scendendo nessuno. Osservò lo zaffiro. Non si era bruciato, eppure era sicuro che sarebbe accaduto. Provò a rimettere la pietra al suo posto e quella s’incastonò di nuovo perfettamente. Tirò fuori la figurina dalla tasca. Rappresentava il suo eroe, avrebbe voluto diventare come lui. Ecco perché aveva accettato di aiutare Rose Weasley, ma la parte razionale di lui, che ora parlava con la voce di Albus, gli diceva che era sbagliato. Decise di andarsene a letto. L’indomani avrebbe parlato con Rose e le avrebbe detto che la pietra era davvero lì, poi avrebbe deciso cosa farsene. Eppure per una volta, qualcuno che non era Albus, si era interessato a lui e non voleva rinunciarci solo per paura. Chissà se avessero davvero saputo chi era se avrebbero continuato ad essergli amici. * La partita inaugurale del Torneo di Quidditch si stava ormai avvicinando e la tensione tra Grifondoro e Serpeverde aumentava di giorno in giorno. Il giorno prima tutta la Scuola era fin troppo tranquilla. La quiete che precede la tempesta. «Avanti Scorp, scommettiamo!» incitò Rose. «Rosie», replicò lui paziente, «l’ultima volta mi hai fregato cinque galeoni». «Per forza hai scommesso che non avrebbe segnato nemmeno un goal contro di voi» disse Cassy divertita. «Mai scommettere che Rose non sappia fare qualcosa» gli ricordò Albus, senza nemmeno alzare la testa dal manuale di Incantesimi. «Infatti ho deciso che non scommetterò mai più con lei». «Sei solo un fifone, Scorp. Sai che perderete». «Scordatelo, prenderò io il boccino domani!». «Non puntare troppo in alto, Malfoy…. Sarà già tanto se vi facciamo segnare qualche goal», disse James sedendosi vicino a loro, «Per Merlino Al, non puoi studiare alle otto e mezza del mattino!». «Mmm fammi vedere il Regolamento della Scuola e mostrami quale norma me lo vieterebbe» replicò lui annoiato ed infastidito dalle quotidiane punzecchiature di Jamie. Ignorò lo sguardo esasperato di suo fratello e degli amici. Anche Alastor tentava di ripetere incantesimi, ma sfogliava tanto forte le pagine che sembrava volesse distruggere il libro. «Ma che avete stamattina?» chiese James sorpreso. «Verifica di Incantesimi» borbottò Rose, mentre attaccava un secondo cornetto ripieno di marmellata. «Vitious si è rimbambito del tutto se mette una verifica il giorno prima della partita» si lagnò Scorpius. «Saranno tutte domande a risposta aperta. Al mi fai copiare, vero?» chiese Cassy. Tutti la osservarono basiti. «Come fai a sapere che saranno risposte aperte?» domandò Rose. «Intuito» arrossì lei. «Vitious se ne accorge… l’ultima volta ci ha richiamati un sacco di volte… comunque se vuoi provaci, per me non c’è problema… ma adesso andiamo che si sta facendo tardi» rispose Albus alzandosi. «Ma non abbiamo ripetuto nulla!» si lamentò Rose. «Voi non avete ripetuto nulla! Non avete fatto altro che parlare di Quidditch!» replicò lui scuotendo la testa. James li osservò mentre uscivano dalla Sala Grande battibeccando; non era molto preoccupato per la partita: insomma la squadra sembrava affiatata ed aveva tutte le possibilità di giocare un’ottima partita. Quando entrò nell’aula di Difesa Contro le Arti Oscure, però lo prese uno strano presentimento. «Buongiorno ragazzi» disse il professor Robards facendo il suo ingresso in classe. «Buongiorno professor Robards» replicarono loro senza alcun entusiasmo. «Oggi vorrei che vi esercitaste duellando fra di voi». James si chiese se fosse per la tensione della partita, ma alle parole dell’insegnante gli sembrò che si fosse dipinto un ghigno sadico sul volto dei Serpeverde e qualcuno (e ciò lo inquietò di più) rivolse uno sguardo fugace verso di lui. «Potter sveglia, parlo con te». «Mi scusi, signore». L’insegnante sbuffò e disse: «Ti ho detto di metterti in coppia con Van Rutter». James raggiunse il suo avversario. Anche lui era inquietante. Perché, accidenti, aveva quella cattiva sensazione? Quel ragazzo era tutto muscoli e niente cervello, non avrebbe avuto problemi. Infatti, al via di Robards, cominciarono a duellare e lui non ebbe la minima difficoltà a respingere i suoi attacchi e lo disarmò un paio di volte. Poteva anche essere un perdigiorno, ma Difesa l’aveva sempre presa sul serio ed era uno dei migliori della classe. Dopo mezz’ora aveva cominciato ad annoiarsi di brutto: Van Rutter era un incapace. Qualcuno bussò alla porta e su invito di Robards un Serpeverde entrò in aula. James non conosceva il ragazzino, ma il suo senso di inquietudine aumentò notevolmente e non seppe spiegarsi il perché. «Il professor Vitious vuole parlarle urgentemente… Si tratta di Harper ne ha combinata una delle sue». Il professore sbuffò e lo seguì in corridoio. La porta si richiuse dietro di lui con un rumore sordo. James si voltò verso il suo avversario ed ebbe appena il tempo di cogliere il suo ghigno divertito. «SERPENSOTIA» urlò il Serpeverde. James non conoscendo l’incantesimo fu colto di sorpresa quando dalla bacchetta dell’altro spuntò un serpente dagli strani colori, così non parò il secondo colpo: «IMPEDIMENTA». Cadde in avanti troppo vicino al serpente. Molti urlarono e poi qualcuno disse experlliamus e la bacchetta gli volò di mano. Il serpente attaccò ed il giovane Grifondoro percepì un dolore lancinante al braccio destro. Gli amici gridarono. «Qualcuno vada a chiamare aiuto» disse la voce di Tylor, ma James iniziò a perdere conoscenza e tutto gli sembrava più sfocato e lontano. Le urla aumentarono quando il serpente cominciò a vagare per la classe scatenando il panico. Danny e Tylor tentarono di sorreggere l’amico. James sentì la voce di una donna vagamente famigliare gridare Vipera evanesca. Rivolse un sorriso malandrino ad Alicia Spinnet, l’insegnante di Antiche Rune e mamma di Danny, e svenne. Sentiva un forte dolore alla testa e delle voci ovattate, si decise ad aprire gli occhi e fu colpito da una luce accecante; li richiuse immediatamente. «JAMES!». «Baston, se non abbassi la voce ti butto fuori!». Finalmente riuscì a focalizzare la stanza intorno a lui e lo accolse il sorriso dei suoi migliori amici. «Ben svegliato, signor Potter. Ha fatto prendere uno bello spavento a tutti». Madama Chips si era prepotentemente inserita nel suo campo visivo spingendo di lato Danny. «Non sono morto avvelenato» costatò con voce roca. «Direi di no, Potter… Anche perché il serpente non era velenoso». James felice fece per mettersi seduto, puntellandosi sulle braccia, ma qualcosa andò storto: il braccio destro non collaborava, sembrava un pezzo di legno. Guardò terrorizzato l’infermiera. «Quel serpente quando morde inietta nelle sue vittime una sostanza che le paralizza, quando non riescono più a muoversi se le mangia; così può colpire anche animali più grossi di lui», spiegò Madama Chips, «Mentre dormivi ti ho somministrato l’antidoto, prontamente preparato dal professor Mcmillan, quindi il tuo braccio non resterà paralizzato per sempre. Nel giro di un mese tornerà perfettamente funzionale». «UN MESE?», urlò James, «IO DEVO GIOCARE DOMANI MATTINA!». «Ed io mi chiedo come facciate voi Potter a trovarvi nelle situazioni più assurde… Tuo padre è stato qui per le più svariate…». Il suo borbottio fu interrotto dall’arrivo di due adulti e due ragazzi. «Ecco parli del diavolo e spuntano le corna! Buonasera, signori Potter… Stavo proprio dicendo a vostro figlio che ne ho abbastanza di voi!» concluse l’infermiera per poi chiudersi nel suo ufficio. «Ma è andata completamente?» borbottò Tylor a Danny, mentre si spostavano per fare posto ai genitori dell’amico. James si lasciò abbracciare da entrambi. «Quanto ho dormito?». «Sono le otto e mezza, Jamie» rispose Albus. «E voi perché non eravate al mio capezzale?» chiese ai fratelli. «Ci siamo stati fino ad un’ora fa, poi mi è venuto il desiderio di uccidere Zabini e Lily mi ha seguito. Sono sicuro che è stata una sua idea». «Non sarete nei guai?» domandò Ginny severa. «No. Qualcuno mi ha preceduto ed ha urlato davanti a tutti chi avrebbe sostituito Jamie e che avremmo vinto comunque alla faccia sua. Dovevi vedere la faccia di Zabini». «Chi?». «Ad urlare è stata Cassy… Alle volte fa proprio paura, non so come faccia a sapere sempre tutto… Il punto è che ci azzecca… Lei ha detto che deve sostituirti Isobel… non so come le sia uscita una cosa del genere… I Serpeverde non hanno fatto altro che ridere, mentre a Fred ed a Isobel è venuto un mezzo infarto…». «Ma non ha mai giocato!» sbottò James. «Non lo so, Jamie» replicò Albus. «Comunque sei stato vendicato» lo informò Lily. «E come?». «Alex Steeval ha affatturato Van Rutter prima che entrasse in Sala Grande ed Alice, Hugo e Gideon hanno riempito l’ufficio di Robards di caccabombe» gli sussurrò all’orecchio la sorellina, facendo spazientire la madre; ma prima che Ginny Potter potesse dire qualcosa, Fred si aggiunse a loro alquanto preoccupato. «Ho dato i nomi definitivi a Madama Jones», annunciò in tono funeralesco, «ti sostituirà quella nuova». «Eh? Ma sei impazzito?». «La Cooman ha insistito un sacco… Ha detto che deve andare così… Quella ragazzina mi inquieta quanto la zia… Presti la tua scopa ad Isobel?». «Sisi tutto quello che vuoi… Ma sei sicuro? Ha mai visto un boccino in tutta la sua vita?». «Dice che sa volare, ha visto varie partite di Quidditch e tiene per le Holyhead Harpies. Non ha mai giocato seriamente, meno che mai da Cercatrice; ha giocato con suo padre e suo fratello nel giardino di casa… Fra parentesi l’unico che sembra entusiasta di tutto ciò è proprio Chris, e Zabini e compagni stanno ancora ridendo di noi…». «Sono sicura che sarà bravissima!» sentenziò Ginny, ottenendo varie occhiate scettiche e perplesse; solo Harry sorrise e le diede un bacio sulla guancia sorprendendo tutti. * La mattina dopo Fred era agitatissimo: era la sua prima partita da Capitano ed aveva fatto la scelta folle di prendere in squadra nella partita inaugurale contro i Serpeverde una ragazzina che non aveva mai visto giocare. Se avessero perso, tutta la Casa l’avrebbe odiato per sempre. Roxi cercò di tranquillizzarlo e di farlo mangiare senza molto successo. Prima di scendere in Sala Grande era andato a trovare Jamie. Il cugino aveva supplicato in tutti i modi e probabilmente in tutte le lingue che conosceva (e purtroppo erano davvero poche) Madama Chips di lasciarlo andare allo stadio per assistere alla partita, ma non aveva ottenuto nulla. L’unica sua consolazione era la puffola pigmea di Alice, cui era stata messa una sciarpa rosso-oro. In effetti faceva un po’ pena. Fred si disse che Madama Chips non avesse un cuore se non si commuoveva davanti agli occhioni del cugino. Comunque aveva smesso di preoccuparsene quando era entrata Benedetta Merinon ed aveva annunciato a Jamie che gli avrebbe fatto compagnia. A quel punto suo cugino aveva dimenticato pure la puffola e la guardava con occhi sognanti e lui ridacchiando aveva tolto il disturbo. Ignorò le frecciatine dei Serpeverde e si diresse mogio agli spogliatoi. Lasciò che i compagni indossassero la divisa, poi si riscosse e li esortò da vero Capitano: «Forza ragazzi! Siamo Grifondoro, per Merlino! Quelle stupide Serpi hanno mandato in infermeria il nostro Cercatore per danneggiarci! Ma noi vinceremo comunque! Avanti andiamo in campo e diamoli una lezione!». «Sì» urlarono in coro gli altri. Fred prese da parte Isobel, mentre gli altri uscivano dagli spogliatoi. La ragazzina era bianca, a colazione non aveva toccato cibo e sembrava si stesse ancora chiedendo se stessero scherzando tutti. «Senti non so per quale diavolo di motivo la Cooman ha preteso di farti giocare ed ancora mi chiedo perché ho permesso tutto ciò, ma prendi quel maledetto boccino, ok?». Lei lo guardò terrorizzata e non si mosse. Fred sbuffò e disse: «La pallina gialla minuscola, hai presente? Prendila prima di Malfoy e noi vinciamo… Prendila, perché ti assicuro che i nostri compagni non saranno clementi in caso contrario né con me né con te… Pensa solo al boccino e tieni d’occhio Malfoy… Adesso muoviti». Fred la tirò quasi di peso in campo. «Buongiorno Hogwaaaarts! Benvenuti alla prima partita dell’anno: Grifondoro contro Serpeverde… Ecco le squadre… I Serpeverde capitanati da Dain Zabini… Per lui è l’ultimo anno e da quando è Capitano non ha mai sconfitto i Grifondoro… Ricordiamo tutti il Grandissimo Dai Baston, che si è diplomato l’anno scorso. Un grandissimo battitore che ha portato la Coppa alla sua Casa per quattro anni di fila come Capitano e ne ha vinta una anche da semplice giocatore». Fischi di scherno si levarono dalla folla verde-argento ed urla entusiaste dai Grifondoro. «Poi abbiamo Malfoy, Roockwood, Main, Warrington, Steeval e Katie Baston…. I Grifondoro: il neocapitano Fred Weasley, molto discusso per aver sostituito James Potter con Isobel McGranitt, Weasley, Baston, Walcott, Parker e Doge… Chissà se questa squadra sarà all’altezza di quella di Dai… Ma ecco che Madama Jones fischia e libera le palle, i giocatori si alzano in volo… la partita è cominciata». Isobel si sentì gli occhi di tutto lo stadio addosso e rimase bloccata a mezz’aria; si riscosse solo quando vide i suoi nuovi amici sugli spalti: avevano realizzato uno striscione solo per lei, con loro c’era anche il fratellino. Tentò di calmarsi e cominciò a guardarsi intorno. Fred si accorse che finalmente la sua Cercatrice stava dando segni di vita e si tranquillizzò e gettò un’occhiataccia ad Hermes Pratzel, un petulante Corvonero, che per fortuna quell’anno si sarebbe diplomato e non avrebbe più rotto le pluffe a nessuno con le sue telecronache. «Doge passa la pluffa alla Weasley, la Weasley a Baston che prova un tiro da lontano, ma viene prontamente parato da Zabini… I Serpeverde ripartono…». Fred spedì un bolide dritto contro Roockwood e la pluffa fu subito recuperata da Rose, che sfrecciò verso la porta avversaria. Fece finta di tirare e poi proprio sotto gli anelli passò ad Elphias che tirò la pluffa al centro dell’anello di sinistra. «E Grifondoro passa in vantaggiooo… Dieci a zero… Vediamo come reagiscono i Serpeverde…». Katie Baston prese la pluffa e la passò a Roockwood, che a sua volta la tirò a Main; Agnes Walcott tentò di fermare lo scambio con un bolide, ma mancò di pochissimo la Baston che era tornata in possesso della pluffa. Edmund Parker comunque parò senza problemi il tiro di Main. La partita si protrasse senza particolari sorprese per un quart’ora. «Grifondoro è in vantaggio per 80 a 30… I Cacciatori rosso-oro sono fenomenali, non c’è che dire». Isobel si guardava disperatamente intorno alla ricerca del boccino d’oro senza successo; l’unica consolazione era che anche Malfoy sembrava ad un punto morto. Rose segnò altre due reti. Fred colpì in pieno Roockwood con un bolide, permettendo a Doge di recuperare la pluffa e segnare il 110 a 60. Il tempo scorreva inesorabilmente e dopo tre quarti d’ora la concentrazione stava diminuendo: da entrambe le parti veniva commessi errori sciocchi. Rose perse la pluffa a favore di Main che segnò facilmente il 110 a 70. Finalmente Isobel vide uno scintillio vicino a Zabini e senza pensarci un attimo si piegò sulla scopa ed accelerò verso di lui, prese di sorpresa anche Scorpius che si gettò al suo inseguimento tallonandola stretta. Isobel in seguito non avrebbe mai capito cosa l’avesse spinta a fare l’idiozia più grande della sua vita: si sollevò sulla scopa e appoggiandosi sulla spalla di Zabini acchiappò il boccino. Non voleva certo essere odiata da tutta la sua Casa fin dall’inizio. I piedi inevitabilmente scivolarono dalla scopa e si ritrovò a fare una capriola in aria, guardando l’intero stadio con la testa all’in giù si chiese solo quante ossa avrebbe potuto rompersi da quell’altezza. Si sentì prendere per la vita e trascinare a terra di peso. Rimettendosi in piedi ancora tremante osservò il suo salvatore. Madama Jones fischiò la fine della partita. «Grazie». «L’ho fatto perché sono il Caposcuola e perché sei la nipote della Preside» rispose Zabini, sputò a terra e si diresse verso gli spogliatoi. Isobel si ricordò di avere il boccino in mano e si voltò verso i compagni che la stavano raggiungendo di corsa. * «Molti anni fa hanno frequentato questa Scuola quattro ragazzi: James, Sirius, Remus e Peter. Divennero amici fin dal primo giorno. Erano quasi come fratelli, soprattutto Sirius e James. Loro due erano i ragazzi più dotati della Scuola, ma anche i più indisciplinati. Remus tentava di controllarli, ma invano. Peter era il meno dotato, ma si beò della loro amicizia. Remus, però, nascondeva un segreto e gli amici finirono per accorgersene. Dopo tanto scoprirono di cosa si trattava: Remus era un Lupo Mannaro ed ogni volta che c’era la luna piena si allontanava da Scuola con l’infermiera, in modo da potersi trasformare senza far male agli altri studenti. Per questo motivo Albus Silente fece piantare il Platano Picchiatore: esso cela un tunnel che conduce nella Stamberga Stregata ad Hogsmeade. Naturalmente non è mai stata stregata, le urla erano quelle di Remus, ma quel furbacchione di Silente alimentò le voci e molti continuano ancora oggi a credere che la Stamberga sia realmente stregata. James e Sirius non volevano lasciare l’amico solo durante questi momenti, così decisero di diventare animagi. Ci riuscirono alla fine del quinto anno. James si trasformava in un cervo per questo fu soprannominato Ramoso; Sirius in un cane e fu chiamato Felpato; mentre Peter, che vi riuscì solo grazie all’aiuto degli altri due, in un topo e da allora lo chiamarono Codaliscia. I quattro cominciarono a vagare anche per Hogsmeade la notte, spinti dall’incoscienza giovanile. Fortunatamente nessuno si fece mai male e ci vollero molti anni perché Albus Silente scoprisse tutto ciò, ma questa è un’altra storia. I quattro disegnarono la Mappa de Malandrino in cui segnarono tutti i passaggi segreti della Scuola. Questa mappa» raccontò Lily, per poi far vedere a Marcellus l’antica pergamena. «Giuro solennemente di non avere buone intenzioni». I SIGNORI LUNASTORTA, CODALISCIA, FELPATO E RAMOSO CONSIGLIERI E ALLEATI DEI MAGICI MALFATTORI SONO FIERI DI PRESENTARVI LA MAPPA DEL MALANDRINO «Lunastorta era Remus.», spiegò Lily, «I Malandrini si servivano di questa mappa e del mantello di James per combinare guai a Scuola. La mappa sfortunatamente fu loro requisita da Gazza durante il loro ultimo anno, ma il suo ritrovamento è un’altra storia». Marcellus la guardava a bocca aperta, Hugo ed Alice conoscevano a memoria la storia, ma Lily era maledettamente brava a raccontare e quindi pendevano dalle sue labbra. «Bene, vi ho riunito qui stasera perché è il momento di far risorgere i Malandrini. Siete con me?». «Certo» sussurrò estasiata Alice. Hugo annuì dopo qualche secondo. Tutti guardarono Marcellus in attesa. «Ehm non ci metteremo davvero nei guai, vero?». «Naturalmente faremo in modo di non farci beccare» rispose Lily, ma non tranquillizzò minimamente l’amico. «E daaaii, fallo per me». «Ok» acconsentì infine il ragazzino, sapendo che sicuramente se ne sarebbe pentito. * Ancora una volta Jonathan era rimasto l’ultimo in Sala Comune, si assicurò di essere solo e si avvicinò al busto della Fondatrice della sua Casa. Tese l’orecchio, ma nessun rumore proveniva dai dormitori. Prese lo zaffiro e se lo girò tra le mani, con sua sorpresa al posto della pietra nella pupilla ora c’era un segno scuro, che si confondeva perfettamente con l’originale. Questo particolare non l’aveva notato la sera prima. Sentì dei passi ed il cuore gli balzò il gola. Mise la pietra in tasca rapidamente e si voltò verso le porte che portavano ai dormitori. Con il cuore che minacciava di saltargli fuori dal petto vide un ragazzo che lo osservava. Era del sesto anno, ma non conosceva il suo nome. Il ragazzo avanzò nella stanza con un cipiglio sospettoso. Jonathan si aspettò delle domande, ma quello prese un libro da uno dei tavolini e tornò indietro senza dire alcunché. Lasciò che il battito del cuore tornasse normale e poi estrasse la figurina del suo eroe e la guardò attentamente. Non sapeva se essere spaventato da quel ragazzo e se stesse facendo la cosa giusta; ma dopotutto non aveva cattive intenzioni. Girò la figurina e lesse la didascalia che ormai conosceva a memoria. Remus John Lupin Nacque a Londra nel 1960. All’età di cinque anni fu morso da Fenrir Grayback, spietato Lupo Mannaro e noto per essere fedele a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, per vendicare un torto subito da Lyall Lupin, il padre di Remus. Da quel momento fu un Lupo Mannaro anche lui. Con molte polemiche fu ammesso ad Hogwarts da Albus Silente: fu il primo licantropo ad avere questa possibilità. Nel 1993 vi tornò anche come insegnante. Nel 1995 si unì per la seconda volta all’Ordine della Fenice, organizzazione segreta voluta da Silente per combattere Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. Morì il 2 maggio 1998 durante la Battaglia di Hogwarts per mano del mangiamorte Antonin Dolohov. E’ il primo Lupo Mannaro ad aver ottenuto l’Ordine di Merlino Prima Classe alla Memoria. Angolo dell’autrice: Ciao a tutti! Innanzitutto vi chiedo scusa per il ritardo, ma purtroppo questo mese accadrà spesso perché avrò molti impegni (quindi vi chiedo scusa anche per questo fin da subito). Come avete potuto vedere Rose calcola ogni cosa ed ha avuto anche la capacità di coinvolgere Jonathan (che immagino adesso sia abbastanza chiaro che problema abbia). Per quanto riguarda i malandrini non potevo non inserirli, mi piace troppo l’idea che anche in questa generazione vi sia qualcuno che raccolga la loro eredità (nessuno mi sembra migliore di Lily, che credo sia quella che più di tutti i fratelli Potter abbia ereditato il carattere del nonno). Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento. Fatemi sapere che cosa ne pensate ;-) Vi auguro una buonanotte e ci vediamo al prossimo capitolo ;-)

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Capitolo 16
*** La festa dell'amicizia ***


Capitolo sedicesimo
 
La festa dell’amicizia
 
«Grazie Benedetta» disse James con un ampio sorriso.
La ragazza arrossì per un momento ed imbarazzata ricambiò il sorriso e disse:
«Abbiamo fatto il lavoro insieme, non mi devi ringraziare… Comunque sei bravissimo a disegnare! Non lo sapevo».
«E’ un passatempo per me… Comunque zio Neville era contentissimo! Non solo ho fatto un compito per bene, ma ho anche preso il massimo dei voti… Certo che ti devo ringraziare!».
«No, sono io che devo ringraziare te… Non avrei portato a termine il compito con Christopher».
Gli sorrise così dolcemente che James sentì il cuore martellare nel petto. Non aveva mai provato nulla del genere davanti a nessuna ragazza. Avrebbe voluto schermirsi affermando che l’aveva fatto con piacere e simili cose, che in effetti sarebbero state sincere, ma si ritrovò ad annuire ed a sorridere come l’idiota.  Christopher Belson era un loro compagno di Casa, ma era così viziato, ricco ed arrogante che nemmeno James, che era la personificazione della Socialità, riusciva a sopportare. Naturalmente Neville ne era al corrente, ma aveva deciso di accoppiare uno studente più capace con uno meno. Aveva agito in buona fede: in fondo Benedetta era una delle sue migliori studentesse e Christopher decisamente il peggiore; ma vista l’incompatibilità tra i due ragazzi alla fine aveva desistito e James si era proposto subito per sostituirlo con la scusa degli allenamenti del Quidditch che rendevano difficoltosa la sua collaborazione con una Corvonero.
 «Ti devo anche un sette in pozioni» aggiunse lei, mentre insieme a Tylor e Danny si avviavano verso il castello.
«Ed io non avrei recuperato in tutte le materie» poi colse l’espressione degli amici e tacque arrossendo. Danny lo trattenne per un attimo e Tylor gli sussurrò: «Datti una mossa!». James si divincolò e procedette senza guardarli. Lo stressavano da settimane!
«Benedetta», chiamò, la ragazza era rimasta in disparte vedendoli discutere tra loro, «Ti va di andare al Ballo dell’Amicizia con noi?». Ignorò lo sguardo assassino degli amici.
«Ehm, ok va bene, grazie».
Con cuore che gli esplodeva nel petto James si avviò al castello. Il ballo dell’Amicizia era una nuova tradizione che la professoressa McGrannit aveva istituito poco dopo la Battaglia di Hogwarts e la ripresa delle lezioni: la situazione era molto tesa, soprattutto vi era un atteggiamento duro contro i Serpeverde da parte delle altre Case. Lo scopo della festa è stato fin da principio quello di spingere le Case a riavvicinarsi e soprattutto di creare contatti amichevoli con i Serpeverde. All’inizio era stato molto faticoso, perché le ferite lasciate dalla guerra erano troppo profonde, poi con il trascorrere del tempo il messaggio sulla necessità di collaborazione tra le Case e l’importanza di non fare discriminazioni sullo stato di Sangue aveva cominciato a penetrare. Ancora, a distanza di molti anni, la professoressa McGranitt non aveva raggiunto pienamente il suo obiettivo, ma il clima era molto più rilassato e non era certo strano vedere un Serpeverde ed un Grifondoro essere particolarmente amici o mangiare allo stesso tavolo.
*
«Frank, sei sicuro? Non mi sembra una buona idea… Che vuoi che ci dica?».
«Non c’è nulla di male nel chiedere! E’ il suo lavoro… Se non è compito suo ce lo spiega».
Gretel Finnigan era una ragazzina esile e minuta, sorrideva sempre di fronte agli altri, ma solo i suoi amici più fidati, Frank e Roxi, sapevano che c’era qualcosa che la tormentava. Ed adesso Frank si era fissato di dover risolvere il problema. La verità è che lei era solo stupida, ed alla stupidità non vi è cura.
«Frankie…». Gretel si zittì mentre entravano nell’ufficio di Madama Chips, Frank la tirò di lato appena in tempo cosicché non fu colpita dai frammenti di vetro della finestra.
«GOYLE SEI IMPAZZITO?!» urlò l’infermiera.
Vincent Goyle era in piedi davanti a lei con la bacchetta puntata e con un ghigno divertito scappò via. Frank e Gretel osservarono la donna infuriata; il ragazzino stava per andarsene per evitare che l’ira funesta si abbattesse su di loro, ma poi vide che la mano dell’infermiera era ferita e lei stava armeggiando con il disinfettante, ma aveva difficoltà ad aprirlo con la mano sinistra.
«Madama, permette?» chiese, nonostante la parte auto conservativa di lui gli diceva di andarsene, visto che la donna aveva un caratteraccio normalmente, figuriamoci in quel momento. Infatti lo guardò male per un attimo, poi sospirò e gli porse la boccetta. Frank di sua iniziativa, sperando che non l’avrebbe ucciso, prese anche un batuffolo di cotone, lo bagnò e glielo porse. Si allontanò dalla scrivania, mentre lei disinfettava la ferita e poi la faceva sparire con un gesto impacciato della bacchetta, visto che usava la sinistra. Madama Chips sospirò di nuovo, poi disse:
«Grazie Paciock, vado a fare due chiacchere con la Preside. Aspettatemi qui».
Gretel lanciò un’occhiata supplichevole all’amico, ma lui non si mosse e si limitò ad annuire. Quando l’infermiera lasciò la stanza estrasse la sua bacchetta e mormorò:
«Reparo». La finestra tornò perfettamente intatta.
«Sei troppo buono… Urla sempre con tutti quella e poi quando veniamo qui, dice sempre che cerchiamo un modo di saltare le lezioni… Andiamocene» borbottò Gretel.
«No, non fare come gli altri! Non è cattiva, è solo burbera… Ed è vero che spesso si vieni qui per trovare una giustificazione per saltare le lezioni impunemente… E’ un’ottima infermiera, figurati se non capisce subito se uno sta male sul serio o si è mangiato una Pasticca Vomitosa!».
«Sei troppo buono» ripeté lei imperterrita.
Rimasero in silenzio per il resto del tempo. Frank si guardò intorno e vide che Goyle aveva buttato a terra il registro delle visite e vari fogli di pergamena. Si abbassò e li raccolse; mentre li riappoggiava sulla scrivania la donna rientrò. Sembrava più tranquilla di prima, osservò la finestra e la stanza tornata in ordine. Sorrise lievemente.
«Grazie» disse per poi osservarli criticamente.
Frank abbassò lo sguardo intimidito, anche se in fondo sapeva di non avere nulla di cui preoccuparsi. Non era a conoscenza delle motivazioni che avevano spinto quel ragazzino a comportarsi in quel modo, ma dalla sua espressione sembrava che l’avesse fatto per mero divertimento e cattiveria. Sua sorella non poteva sopportarlo e per quel poco che aveva visto doveva essere molto viziato: insomma suo padre era la persona più buona del mondo, ma se lui od una delle sue sorelle avesse commesso un simile atto di vandalismo si sarebbe infuriato come non mai.
«Che cosa volevate?».
«Credo che Gretel abbia un problema ed ho pensato che lei sarebbe stata in grado di dirci di che cosa si tratti».
Madama Chips lo osservò sorpresa, poi disse:
«Ditemi».
*
«Molly?!».
Le labbra dei due ragazzi si staccarono ed i due si voltarono verso la luce della bacchetta di Dominique Weasley. Molly impallidì, non aveva nemmeno controllato chi fosse di ronda quella sera. La cugina abbassò lievemente la bacchetta in modo da non accecarli ed aspettò interrogativa. Erano circa le undici e mezza e nessuno dei due avrebbe dovuto trovarsi lì. Molly non sapeva che cosa dire e boccheggiava, mentre il ragazzo sembrava perfettamente a suo agio.
«Domi», intervenne il Prefetto di Tassorosso che era con lei, «so che è tua cugina, ma dobbiamo fare rapporto lo sai… E’ anche una Caposcuola!».
«Sta un po’ zitto», replicò lei osservando la cugina con senso di trionfo crescente, «Noi non abbiamo visto niente ed ora ce ne andiamo». Avrebbe costretto la cugina a farle i compiti di erbologia fino alla fine dell’anno.
«Domi! Come Prefetti abbiamo dei doveri!».
Dominique si voltò a guardarlo minacciosa: «Se non fai come dico io, ti giuro che ti cancello la memoria!».
«Non mi puoi minacciare… Ti giuro che vado dal professor Mcmillan e…».
«E? Cosa? Sta zitto che è meglio» lanciò a Molly un’ultima occhiata e trascinò via il compagno.
*
 «Dobbiamo assolutamente trovare il topazio» borbottò Rose, mentre Albus alzava gli occhi al cielo esasperato.
«La devi smettere con questa storia! Hai restituito il libro?».
«No, Al. Non capisci che probabilmente nessuno sa che esiste! Ecco perché non aveva alcun incantesimo di protezione».
«Ehm Rosie, ascolta… Stanno per iniziare le vacanze di Natale, non mettiamoci nei guai gli ultimi giorni… Cercheremo il topazio al nostro ritorno» intervenne Scorpius e la ragazzina lo osservò fissamente per qualche secondo. Tutti, e soprattutto Scorpius, temettero che l’avrebbe affatturato, invece alla fine annuì e disse:
«Sì, hai ragione Scorp. Anche perché devo rifletterci per bene… Rilassiamoci, siamo in vacanza».
«In verità domani avremo la verifica di Trasfigurazione» le ricordò Albus e stavolta la cugina aveva messo la mano in tasca per prendere la bacchetta, ma fu salvato da Lily che si sedette vicino a loro e minacciò Elphias con una forchetta.
«Non ti vergogni?!».
Il ragazzino alzò gli occhi dalla rivista di Quidditch che stava sfogliando e la osservò interrogativo.
«Al! Il tuo migliore amico rimarrà qui da solo durante le vacanze».
Albus abituato agli attacchi isterici di famiglia aveva continuato imperterrito a studiare, ma sentito ciò pose tutta la sua attenzione sui compagni: «Eh? E’ vero Elphias?».
Lui sospirò ed annuì: «Sì, è vero. Mio padre sarà all’ estero per lavoro e mia nonna mi ha caldamente invitato a starmene fuori dai piedi».
«Embè?» chiese Rose.
«Amico ti rendi conto che qui non rimarrà quasi nessuno?» interloquì Alastor.
«Lo sai che a casa mia c’è sempre posto» aggiunse Albus serio.
«Lo so, lo so. La potete smettere? Mia nonna non vuole che mi muova da qui! Non mi daranno il permesso e se lo faccio finirò nei guai. Non si può uscire da Scuola senza permesso… Ed ora scusate ma non ho più fame, devo ancora ripetere Trasfigurazione… Ci vediamo su».
Non era vero che doveva ripetere, l’avevano fatto tutti insieme nel pomeriggio ed Elphias non continuava mai a farlo fino a tardi come Albus od Alastor.
«Che facciamo?» domandò quest’ultimo.
«Lo schiantiamo e lo mettiamo di nascosto nel baule, così non potranno rimproverarlo».
«Certo come no, Rosie… Sai che il rapimento è reato?» replicò Scorpius ridendo.
«Ma lui sarebbe d’accordo e felice… Non faremmo del male a nessuno».
«Questa è simulazione di reato… Ma scusa tuo padre non fa l’Auror?».
«Vuoi fare il magiavvocato?» chiese lei di rimando, assottigliando gli occhi in maniera minacciosa.
«Scorpius, attento che diventi la sua cena» scoppiò a ridere Cassy, seguita a ruota dagli altri.
*
Il ballo si teneva la sera dell’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze. La Sala Grande come sempre era stata adornata da dodici enormi abeti, decorati magnificamente da Vitious e da Teddy. Al si guardava intono felice. Adorava il Natale. Presto sarebbe tornato a casa e non vedeva l’ora. Aveva indossato una semplice camicia blu su un paio di pantaloni eleganti, altrettanto blu. I suoi fratelli dicevano che non era capace di vestirsi, torto non ne avevano ma per fortuna a Scuola indossavano la divisa e quindi il problema non si poneva. Le regole delle festa non imponevano un vestito elegante e soprattutto da mago, bisognava solo evitare la divisa in modo che non ci fosse nessun colore e dividerli almeno per una sera. Prese gli occhiali dal comodino (perché non bastava che il colore degli occhi fosse uguale a quello del padre, ma aveva dovuto ereditarne anche la miopia. Lui solo tra tre fratelli!). In Sala Comune lo aspettavano gli altri: Elphias non si era sforzato più di lui: indossava una semplice camicia azzurra ed un paio di jeans; Alastor un’elegante veste da mago, che attirava l’attenzione di tutti, costretto dalla sorella maggiore; Cassy indossava una minigonna, che avrebbe fatto irritare la Preside, ed un top elegante; Rosie lo stesso e Isobel una maglietta ed un paio di jeans. Decisamente i ragazzi più grandi erano quelli più eleganti, ma si disse Albus le sue compagne erano ancora piccole per non trovarsi a disagio vestite in quel modo. James indossava un completo elegante senza cravatta ma con un sorriso ebete stampato in faccia, seguì il suo sguardo e vide che osservava la sua compagna Benedetta. Sorrise e distolse lo sguardo: finalmente aveva capito perché negli ultimi tempi Jamie era insolitamente tranquillo. Quando scesero in Sala Grande la trovarono già gremita, Scorpius li raggiunse subito insieme a Edward Zabini, un suo amico di infanzia. Rose sembrò subito interessata a lui, come non lo era stata per due anni. Al sentì puzza di bruciato, ma non aveva intenzione di litigare con lei anche quella sera e quindi si disse che Eddie sarebbe stato perfettamente in grado di difendersi da solo. Incrociò gli occhi di Scorpius e quello sospirò comprensivo.
 
 «Sei bellissima» disse James a Benedetta.
«Ma che dici! Non sono elegante per niente! Hai visto Elettra Granbell?».
James l’aveva vista eccome. Tutta la popolazione maschile di Hogwarts l’aveva vista. E per sua fortuna gli insegnanti avevano deciso di chiudere entrambi gli occhi visto che Natale era alle porte: indossava un tubino stretto e striminzito che non arrivava nemmeno alle ginocchia.
«Benedetta ha ragione, James! E’ uno schianto» mormorò Danny.
James si irritò, come si permetteva a paragonare quella a Benedetta? «Merlino! Baston, chiudi la bocca stai sbavando!», disse con cattiveria, «E poi la vera Bellezza sta nella semplicità». Aveva pronunciato quelle parole senza pensare. Gli amici lo stavano fissando e Benedetta era rossa come un pomodoro. Ok. Ora poteva andarsi a buttarsi dalla Torre di Astronomia!
«Che hai contro la mia Elettra?» sbottò Danny con l’espressione di un folle.
«La tua Elettra? Ti sei bevuto il cervello? E’ una donna scarlatta della peggior specie!».
Danny arrossì notevolmente e strinse i pugni minaccioso: «Come osi, Potter?».
Tylor era incredulo: i due non avevano mai litigato sul serio in quei tre anni. Benedetta comunque fu più rapida, agguantò James per un braccio e lo trascinò via prima che arrivassero alle mani: per ignorare un duello alla babbana i professori avrebbero dovuto essere davvero ciechi. Senza contare che la professoressa Spinnet li stava osservando sospettosa. A quanto pare le madri hanno dei radar conficcati nel cervello per fiutare i guai.
«Jamie, che ti prende? Danny si è solo preso una cotta. E’ normalissimo!».
«Avere una cotta sì, ma non per la Granbell».
«Ti devo ricordare che è la ragazza più desiderata della Scuola? Dopo sua sorella e tua cugina Dominique? Gran parte dei ragazzi delle Scuola sono cotti di lei».
«Ma Danny è il mio migliore amico, dannazione! Lo farebbe solo soffrire! Quella ragazza e la sua famiglia hanno ancora manie purosangue! Giocherebbe soltanto con Danny» ringhiò James.
«So perfettamente che cosa pensa dei non Purosangue» replicò lei distogliendo lo sguardo: passava il tempo ad ignorare gli insulti della Granbell e delle sue degne ancelle; ancelle perché di certo non potevano definirsi amiche le compagne che le stavano intorno adoranti ad ogni ora del giorno. L’amicizia è ben altra cosa.
«Scusami, ho esagerato… Balliamo? Ti prometto che cercherò di non pestarti i piedi».
Benedetta tornò a guardarlo ed un lieve sorriso si aprì sul suo volto: «Cinque minuti fa dicevi di essere affamato… direi che sarebbe meglio mangiare qualcosa prima».
James rise ed istintivamente le prese la mano, pentendosene subito. Lei arrossì per l’ennesima volta quella sera, ma non gli allontanò la mano. Il ragazzo con il cuore a mille, la guidò sul lato destro della Sala dove era stato allestito un buffet. Infatti come ogni anno il quattro tavoli delle Case erano spariti per lasciar spazio per ballare, ma soprattutto per fare in modo che ragazzi di Case diverse si mescolassero. Jamie si guardò intorno: i suoi fratelli erano in gruppi eterogenei, che rispondevano perfettamente allo spirito della festa. Solo pochi Serpeverde si tenevano lontani dalla calca e stavano per conto loro: erano quelli che erano ancora vittima di vecchi e stupidi pregiudizi. Tra loro riconobbe la sua nemesi: Marcus Thomas Parkinson; praticamente ogni volta che si incontravano si prendevano a pugni, tanto che i loro compagni facevano di tutto perché ciò non accadesse; naturalmente i Serpeverde non si preoccupavano per Marcus, ma per i punti che avrebbe potuto far perdere alla loro Casa.
*
Dominique bloccò Molly prima che uscisse dal dormitorio femminile e la trascinò nella sua stanza.
«Chi ti ha truccato così? E dove hai preso questo tubino? Non ho mai visto nulla che sembrasse un vestito nel tuo armadio!».
«Ma chi ti credi essere con tutte queste domande? Mia madre?».
«Ringrazia che non sia tuo padre», borbottò lei, «Non starai andando al ballo con quel Jackson?».
«Ha un nome, Dominique! Si chiama Nicolas! E scusa, da me che diamine vuoi? Tu non ci vai con Parker?».
«Non paragonare Parker a Jackson per cortesia», rispose lei con voce tutt’altro che cortese, «Senti hai perfettamente ragione a volerti divertire… E’ il tuo ultimo anno di Scuola… E stai bene così, non sembri neppure tu… Il trucco, i vestiti eleganti ed i tacchi servono anche a questo, ma non ti devi dimenticare chi sei!».
«E questa che sarebbe? Una perla di saggezza? E’ il colmo che tu che cambi i ragazzi come se fossero dei calzini, mi venga a fare la predica».
«Molly, diamine! Jackson è un Troll di quelli potenti! Sta solo giocando con te, te lo assicuro… Io domino i ragazzi, sono io a mollarli quando mi annoio… Jackson ti farà del male!».
«Almeno mi stai dicendo la verità per la prima volta! Tu la pensi come tutti! Che io sono orribile e per questo non mi invita mai nessuno per andare ad Hogsmeade! Ed invece vi sbagliate… SBAGLIATE, CAPITO?», prese un respiro ed aggiunse, «L’ultima uscita lui doveva studiare… Perché lui è solo incompreso, gli insegnanti lo odiano… La prossima volta andrò con lui ad Hogsmeade e farò crepare di invidia tutte». Detto ciò uscì sbattendo la porta. Domi si sedette sul letto sbuffando: sua cugina era una scema. Nicolas Jackson non era un incompreso, ma un inguaribile stronzo: l’ultima volta era andato eccome ad Hogsmeade. L’aveva visto con i suoi occhi mentre faceva il prepotente con alcuni Tassorosso del terzo anno e si era goduta lo spettacolo del grandissimo e muscolosissimo Grifondoro sgridato come un bambino dal Prefetto di Corvonero, Matthew Fergusson, che aveva anche un anno in meno di lui. E poi l’aveva rivisto mentre esplorava attentamente la bocca di una Serpeverde del quinto anno con la sua lingua. Decisamente lei era una persona concreta e non paranoica, comunque Molly avrebbe capito a spese sue. Lei l’aveva avvertita!
Molly entrò in Sala Grande e cercò il suo fidanzato con lo sguardo. Oh sì era il suo fidanzato, finalmente la coppia perfetta della famiglia non sarebbero stati solo Teddy e Vic. Sperava ardentemente che non si fosse arrabbiato: avevano appuntamento alle 19.30 precise in Sala Comune, ma lei era arrivata cinque minuti in ritardo a causa della paranoica, invidiosa e odiosa ricattatrice di sua cugina! Poi lo vide vicino al tavolo del buffet. Si sentì mancare la terra sotto i piedi. Lo osservò attentamente perché non poteva essere lui, l’aveva senz’altro scambiato con qualcun altro; ma più si avvicinava più non aveva dubbi. Nicolas, il suo Nicolas si stava baciando con Eileen Warrington, studentessa Serpeverde del settimo anno, più comunemente nota come Regina delle Serpi per i suoi compagni, come la Mantide Religiosa per tutta la popolazione femminile della Scuola. I suoi compagni la videro e scoppiarono a ridere.
«Amico, mi sa che ti devo cinquanta galeoni» disse un Corvonero rivolto a Jackson. Si vedeva lontano un miglio che aveva bevuto e Nicolas non era da meno, rise sguaiatamente e replicò: «Che ti aspettavi? Se Eileen è la Regina delle Serpi io sono il re dei Grifoni!».
Molly avrebbe voluto urlargli che era il re di ben altro, ma si voltò e si allontanò. Si lasciò andare su una sedia vicino al tavolo delle bibite, e disse meravigliando anche se stessa al Serpeverde che girava lì vicino in modo sospetto: «Sei tu quello che corregge le burrobirre?».
Lui la guardò sospettoso, poi annuì.
«Dammene una corretta allora».
*
«Fred, ma perché sei venuto solo?».
Il ragazzo alzò gli occhi sulla sua migliore amica. Alex stava ballando con Glynnis Baston e Seby era sparito da un pezzo in compagnia di un’altra Tassorosso. Decisamente le Tassorosso erano la loro maledizione, il colmo sarebbe stato che anche Eleanor si prendesse una cotta per uno studente di quella Casa.
«Perché non potevo invitare la ragazza che mi piace».
«July Mcmillan? Non puoi fare altro che dimenticarla, Fred. Per il tuo bene. E’ proibita!».
«Lo so, ma io la amo con tutto me stesso… Me la sogno la notte! L’altro giorno stavo per sbagliare una pozione, perché la stavo guardando… Ti rendi conto? Sbagliare una pozione? Io?».
«Beh se fosse accaduto, sarebbe stato esilarante ascoltarti mentre dicevi al prof che ti sei distratto per guardare sua figlia!».
Fred la guardò malissimo e fece per alzarsi ed andarsene, ma lei lo bloccò: «Ok, scusa non è divertente… ma non puoi farci nulla! Balliamo… Da amici».
«Ok».
«I Magic Wizards sono fantastici non trovi?».
«No».
La ragazza sbuffò, ma si accontentò di avere almeno per un po’ il ragazzo che amava.
La musica era alta ed ormai la maggior parte degli studenti ballava o chiacchierava a bordo pista. La Preside si era dileguata, lasciando il compito di sorvegliarli agli insegnanti più giovani. Ballarono per un po’ e Fred cercò di dimenticarsi di se stesso, farsi un tutt’uno con la musica e perdersi nell’incoscienza del momento. O quanto meno ci provò finché non vide la Tassorosso, che tormentava i suoi pensieri ed i suoi sogni, uscire la Sala in compagnia di Charles Harper, Serpeverde, quinto anno, a rischio espulsione. In sintesi un pessimo soggetto. Li indicò all’amica che sbuffò sonoramente.
«Non vorrai seguirli?».
Sì, voleva. La ragazza sospirò e lo seguì per fare in modo che non si cacciasse nei guai: cosa alquanto difficile per Fred Weasley.
«Ho un brutto presentimento, Eleanor».
Qualunque presentimento avesse il ragazzo, non migliorò di certo quando ai due davanti a loro si aggiunse Augustus Roockwood. Li seguirono lungo un corridoio silenzioso e deserto del primo piano, poi quando i tre si fermarono si nascosero dietro una statua, che a malapena copriva entrambi.
«Ma che stanno facendo?» sbottò Fred. Eleanor lo guardò scuotendo la testa: lo trovava così dolce quando si mostrava ingenuo.
«Fumano e direi non nicotina» replicò con semplicità.
«Eh?» lui si voltò ad osservarla con i suoi bellissimi occhi azzurri sgranati. Lei sbuffò.
«Insomma Fred, si stanno facendo una canna».
«Ma lei è un Prefetto!».
Sembrava così scandalizzato che le venne da ridere: insomma Fred era un ospite fisso nell’ufficio della McGrannit ed ora reagiva così perché un Prefetto stava infrangendo le regole!
«Anche Roockwood lo è, se proprio vogliamo essere pignoli».
«Ma Finch-Fletchley ci ha parlato di questa roba a lezione! Fa malissimo e soprattutto stanno rischiando minimo minimo una sospensione».
«Naturalmente ti dispiacerebbe molto se Roockwood ed Harper fossero espulsi», intercettò il suo sguardo ed alzò gli occhi al cielo, «Ok niente espulsione, c’è anche July».
«Guarda! Si sta sentendo male! Tossisce!».
«Morgana, Fred! L’unico che si sta sentendo male qui sei tu! Non moriranno per una canna!».
Roockwood e July avevano cominciato a discutere; mentre Harper sorrideva in modo ebete. Il Serpeverde voleva baciare per forza la ragazza, che si divincolava dalla sua presa. Eleanor non fece in tempo a voltarsi ed a trattenere Fred, che questo scattò fuori dal loro nascondiglio e si scagliò su Roockwood.
«Che cazzo vuoi, Weasley?» lo apostrofò quest’ultimo dopo aver incassato l’inaspettato pugno di Fred.
«GIURO CHE TI FACCIO BUTTARE FUORI» urlò fuori di sé.
L’altro lasciò la ragazza e ghignò malefico: «Se cado io, cade lei… Ti auguro un pessimo Natale, Weasley e sappi che me la pagherai». Prese Harper quasi di peso e li lasciarono soli. July si sedette su un gradino piangendo e Fred si mise accanto a lei senza sapere come comportarsi. Colpire Roockwood l’aveva completamente svuotato. Avrebbe voluto baciarla: era così belle anche mentre piangeva. Cercò di ripetersi come una mantra, che ormai aveva imparato a memoria, che doveva lasciarla in pace perché era la figlia del suo insegnante preferito, ma il suo cervello non funzionava tanto bene di fronte a lei.
«C’è il vischio» disse July ad un tratto. Fred alzò lo sguardo e vide la pianta che gli indicava. Tornarono ad osservarsi e come se fosse la cosa più naturale del mondo si avvicinarono. Le loro labbra si sfiorarono per un attimo. Per un attimo gli occhi dell’uno si fissarono spaventati in quelli di lei, un solo millisecondo e lei lo baciò. Se fosse stato un po’ meno felice, forse Fred avrebbe potuto sentire un cuore che andava in frantumi poco lontano; però il suo mondo si era ridotto a quelle labbra e non esisteva più nulla.
*
Molly non sapeva più quante burrobirre corrette aveva bevuto, ma doveva essere trascorso molto tempo perché i ragazzi più piccoli si erano ormai stancati od annoiati e se ne erano andati. La festa sarebbe terminata a mezzanotte. La testa le girava e voleva dormire lì dove si trovava. Ad un certo punto si sentì sollevare da due braccia forti ed un viso apparve nel suo campo visivo. Lo conosceva, ne era sicura.
«Credo che tu abbia esagerato, piccola Weasley. Ti porto nella tua Sala Comune».
La mattina dopo si sarebbe ritrovata nel suo letto, ricordandosi solo di Jackson, le burrobirre e quel viso, cui finalmente avrebbe dato un nome; l’ultimo cui avrebbe mai pensato in un momento di bisogno.

Angolo autrice:
Ciao a tutti! Scusatemi per il ritardo… comunque ecco un nuovo capitolo. Mi sono concentrata ancora una volta su Molly, ma senza dimenticare i personaggi principali. Alcuni passaggi saranno più chiari con lo svilupparsi della trama, anche se adesso potrebbero sembrare di troppo ;-) Fatemi sapere che cosa ne pensate, mi raccomando ;-) Buon finesettimana a tutti :-D

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Capitolo 17
*** Un bianco Natale ***


Capitolo diciassettesimo
 
Un bianco Natale

 «SIETE DEI BUGIARDI! CI AVETE MENTITO! E POI CI DITE TUTTE QUELLE SCEMENZE SUL FATTO CHE NON SI DICONO LE BUGIE!».
Frank si svegliò di colpo e non ci mise molto a riconoscere la voce di sua sorella Augusta. Si guardò un attimo intorno, mettendo a fuoco la sua stanza. Erano rientrati a casa la sera prima e per la stanchezza del viaggio era crollato molto presto. Entrava pochissima luce dalla finestra, si voltò ed osservò la sveglia sul comodino: le lancette segnavano le sette del mattino. Nel frattempo sua sorella continuava ad urlare, probabilmente contro i loro genitori. Sospirò: non era sua intenzione svegliarsi così presto il primo giorno di vacanza! Si alzò ed uscì dalla sua cameretta. Come aveva immaginato sua sorella, rossa in volto ed in lacrime, urlava come la disperata contro il padre. La mamma aveva la testa appoggiata allo stipite della porta della sua camera da letto e con gli occhi semichiusi osservava la scena. Aveva una strana espressione. A Frank sembrò mortificata. Si era svegliata anche Alice ed osservava la scena assonnata. Il padre tentava inutilmente di calmare la figlia.
«Neville, insomma! Sono le sette del mattino! Tua figlia sta solo facendo i capricci! Imponiti, per Godric! Io non avrei sopportato nemmeno due minuti un comportamento simile» inveì nonna Augusta spalancando la porta della sua stanza. Neville era in palese difficoltà. Frank si prese di coraggio e chiese:
«Che succede?».
Suo padre fece per rispondere, ma fu preceduto dalla stessa Augusta:
«C’E’ CHE SONO DEI BUGIARDI».
«Augusta ti prego», supplicò Neville, «Noi non vi abbiamo mentito».
«Ci avete tenuto nascosta la verità! E’ la stessa cosa, lo dici sempre!» ringhiò lei in risposta.
«Noi volevamo dirvelo! Però avremmo voluto farlo quando fosse stati presenti tutti e tre e ieri sera eravate stanchi. Ve l’avremmo detto oggi» sospirò Neville.
«Che cosa dovete dirci?» chiese Alice.
Neville si avvicinò alla moglie e le circondò teneramente la vita con le braccia.
«Presto avrete un fratellino od una sorellina».
Per qualche secondo rimasero tutti in silenzio: Frank ed Alice erano sorpresi, mentre Augusta guardava i genitori con un’espressione rabbiosa. Neville ed Hannah attendevano palesemente preoccupati una loro reazione. Il primo a riscuotersi fu Frank e li abbracciò sorridendo.
«Forte», disse Alice, «avevo proprio bisogno di un alleato, visto che Frank ed Augusta non mi danno mai retta».
Neville allargò le braccia in modo che anche Alice potesse aggiungersi all’abbraccio ed osservò Augusta in attesa. La bambina, però, non si mosse.
«Allora signorina, si può sapere che problema hai?» domandò severa la nonna. Augusta Paciock aveva sempre avuto una particolare predilezione verso la nipotina, non tanto perché portava il suo nome, quanto perché era sempre precisa ed attenta in ogni cosa che faceva, obbediente e tranquilla. Ora il suo sguardo era carico di disapprovazione.
«Che bisogno c’era di un altro bambino? Non bastavamo noi tre? Non siamo già troppi? Ammettilo nonna, lo stipendio di papà mica basta».
Frank sentì i genitori irrigidirsi. Neville aveva un’aria ferita ed Hannah gli occhi lievemente rossi.
«Ma che vai cianciando signorina! Ho sempre pensato che fossi tu la più responsabile tra voi tre e devo dire che mi sono clamorosamente sbagliata. Non sai quanto sono delusa! Io me ne tornerei a letto se fossi in te».
La bambina li squadrò per un attimo con rabbia e poi se ne andò in camera sbattendo la porta.
«Vedrete che le passerà» disse la nonna prima di ritirarsi.
«Ma Augusta come l’ha saputo?» chiese Alice.
«Io e papà ne stavamo parlando e lei ha origliato» rispose Hannah con tono flebile.
«Quando nascerà la bambina?» domandò ancora Alice.
«Potrebbe essere anche un maschio» si ribellò Frank.
«Non litigate, vi prego» disse Neville stancamente.
«Nascerà verso maggio. Ora andate a dormire un altro po’ per favore» aggiunse Hannah.
Alice obbedì subito, evidentemente non desiderava altro che tornare a letto. Frank rimase fermo ad osservare i genitori titubante.
«Che problema c’è Frank? Non credo che tu non abbia più sonno» disse Hannah.
«Volevo chiedere una cosa a papà».
Neville alzò gli occhi su di lui perplesso, invitandolo silenziosamente a parlare.
«Roxi e Gretel mi hanno scritto ieri sera… I genitori di Gretel non hanno capito un tubo di quello che tu e Madama Chips li avete scritto ed adesso Gretel ce l’ha con me perché dice che non mi sarei dovuto impicciare».
«Stai tranquillo, hai fatto benissimo. Più tardi vedrò di parlare con Seamus… Veramente mi aspettavo che mi scrivesse… Dì a Gretel di non preoccuparsi».
«Lei mi ha detto che i suoi si sono arrabbiati molto anche perché li ha scritto Robards e li ha inviato il compito che abbiamo fatto prima delle vacanze…». Frank lasciò la frase in sospeso, chiedendo silenziosamente se l’insegnante avesse scritto anche a loro e se fossero arrabbiati per questo. Suo padre fece una smorfia: che lui e Robards non potessero soffrirsi l’avevano capito anche i muri del castello.
«Immagino… Il tuo me l’ha dato di persona ieri mattina… lo ha trovato divertente… ma spero che tu non voglia parlarne a quest’ora… lo faremo più tardi. Su, anche se non hai sonno almeno riposati un po’».
«Ma…».
Neville sospirò e disse: «Frankie, è andato male e sono sicuro che tu lo sappia… non siamo arrabbiati, se è questo che ti preoccupa».
Frank annuì e rientrò nella sua stanza, ma ormai il sonno gli era passato quasi del tutto. Un brivido di freddo lo costrinse a cercare una coperta e con quella a dosso si avvicinò alla finestra. Fuori non si vedeva quasi nulla. Solo bianco. Ci mise qualche secondo per realizzare che stava nevicando, per un attimo dimenticò quasi del tutto il resto e dovette trattenersi per non urlare a tutti la sua scoperta. I suoi genitori non erano molto in vena e lui non era un bambino piccolo di fronte alla sua prima nevicata. E comunque fuori c’era una vera e proprio tormenta ed i suoi genitori non li avrebbero mai permesso di uscire in giardino. Si sedette alla scrivania e presa pergamena e piuma cominciò a scrivere una risposta per Roxi:
Ciao Roxi,
hai visto come nevica? Mi sa che Atreiu non ti porterà nessuna lettera se non smette. E’ prestissimo, probabilmente stai ancora dormendo! Beata te! Augusta ha origliato una conversazione dei nostri genitori (lei che è così perfettina!) e si è messa ad urlare svegliando tutti. Alla fine papà ci ha annunciato che la mamma aspetta un bambino. Così verso maggio avremo un nuovo fratellino. Alice dice che sarà femmina, ma io vorrei tanto un fratellino con cui giocare! Non è una novità stupenda? Ancora non me ne capacito. Ma credo di esserne contento. Augusta invece credo che sia gelosa e papà e mamma ci sono rimasti male per il suo comportamento. Figurati che l’ha rimproverata persino la nonna! Ho chiesto a papà del compito di Robards e mi ha risposto che l’ha dato direttamente a lui. Mi ha assicurato che lui e la mamma non sono arrabbiati anche se sono andato male. Ma io non voglio deluderli e quindi ci sto male comunque. Robards mi terrorizza lo sai. I tuoi non ti hanno detto nulla, vero? Comunque papà ha detto che parlerà con il padre di Gretel e gli spiegherà la situazione. Ora mi sdraio un altro po’. Spero che ci vedremo presto. Già mi manchi.
Frankie
*
 «Sammy, come mai sveglio a quest’ora?».
Il ragazzino sobbalzò e si voltò trovandosi di fronte Ginny Potter. Non era abituato a quel diminutivo e meno che mai a quel tono gentile.
«Scusa, torno immediatamente in camera mia… volevo solo un bicchiere d’acqua».
Ginny sorrise e lo accarezzò.
«Non ti devi scusare… volevo solo sapere se va tutto bene… Vieni ti do io il bicchiere d’acqua».
Samuel la seguì vicino al piano cucina e la ringraziò.
«Hai dormito?».
«Un pochino… senti volevo… devo dirti una cosa… insomma ora che tu ed Harry avete ottenuto il mio affidamento, devo fare quello che dite voi, vero? Proprio come Lily, Jamie ed Al, vero?».
«Detto così suona male… Samuel, sì ci sono delle regole che io ed Harry vorremmo che tu seguissi e sì sono le stesse dei nostri figli in quanto avendoti preso in custodia abbiamo intenzione di trattarti come uno di loro» sorrise alla fine Ginny.
«Quindi quando faccio qualcosa di sbagliato ve lo devo dire?».
Ginny doveva ammetterlo non aveva pensato che sarebbe stato difficile occuparsi di un bambino che per anni era cresciuto senza alcun affetto.
«Lo preferiremmo, sì. Però Samuel è normale sbagliare. Io ed Harry commettiamo molti sbagli, anche verso di voi, non è che siamo qui per condannarvi qualunque cosa fate».
«Albus ti ha detto che fine ha fatto la sua copia di “Alice nel paese delle meraviglie”?».
«No e sinceramente non sapevo nemmeno che non ce l’avesse più» replicò lei decidendo di assecondarlo.
«E’ colpa mia. Me l’ha sequestrato il professor Mcmillan perché stavo leggendo in classe anziché seguire. Ha detto che me l’avrebbe restituito solo se avessi preso un sei nella verifica successiva. Ma non l’ho preso e nemmeno in quella dopo».
Ginny lo osservò per qualche secondo, non la stava guardando in faccia ma aveva gli occhi fissi a terra.
«Sono sicura che migliorerai… hai chiesto aiuto a Jamie? Lui è bravo in pozioni. Senti non ti crucciare… Io ed Harry abbiamo parlato con il professor Mcmillan e sappiamo perfettamente quali siano i tuoi voti in pozione e nelle altre materie».
«Buongiorno a tutti! Come mai così mattiniero Samuel?» disse Harry entrando in cucina.
«Aveva sete e stavamo approfittando dell’occasione per fare quattro chiacchere» rispose Ginny.
«Mmm forse è meglio che vieni un attimo nel mio studio, ti devo parlare di una cosa importante» disse Harry serio. Samuel gli gettò uno sguardo preoccupato ed annuì. Ginny guardò il marito a mo’ di monito e lui capì di dover stare attento alle parole che usava. Harry precedette il ragazzino lungo la rampa di scale che portavano al piano superiore e poi dentro una stanza piccola ma accogliente. Una lunga scrivania in mogano massiccio ingombra di carte e documenti occupava quasi metà dell’ambiente; una vetrinetta in cui si intravedeva libri ed oggetti, che in quel momento Samuel non fu capace di riconoscere, era collocata sulla parete di fronte alla porta. Entrando a destra vi era una libreria piena di libri e vari soprammobili. Un carillon di legno con intarsi colorati attirò la sua attenzione finché l’adulto non lo invitò a sedersi. Non era seduto alla scrivania come si era aspettato, ma su un divano beige al centro della stanza, di fronte al quale vi erano due poltrone dello stesso colore ed in mezzo c’era un tavolino basso. Samuel si avvicinò ed Harry gli fece segno di sedersi accanto a lui. Titubante obbedì. 
«Il professor Mcmillan mi ha detto che…».
«Ti giuro che mi impegnerò… te lo prometto…».
«Samuel, fammi parlare per favore ed ascoltami senza interrompermi… Non mi riferivo ai tuoi voti, non ho dubbi che ti impegnerai… Ascoltami, il professore mi ha detto che tu e la tua amica Amber avete fatto delle indagini sulla tua famiglia».
Samuel deglutì e lo osservò spaventato.
«S-sei arrabbiato?».
«No, ma mi sembra giusto dirti quello che so in proposito. Dimmi un po’, che cos’avete scoperto voi?».
«Prima abbiamo cercato nella Sala Trofei… Non abbiamo trovato nessuna Emma Vance negli elenchi dei Prefetti e Caposcuola, ma solo un certo Emmanuel Vance. Così Amber ed io abbiamo deciso di chiedere al professor Mcmillan di vedere la mia scheda… insomma abbiamo pensato che lì doveva esserci tutto quello che volevamo sapere. Il professore ha acconsentito… credo che non si fosse mai soffermato nemmeno lui su quei dati, perché non sapeva nulla…».
«Che c’era scritto?».
«Che sono figlio di Cassiopea Selwyn ed Emmanuel Vance… ma poi il professore non ha voluto mostrarmela… abbiamo immaginato che ci fosse scritto qualcosa che non posso sapere…».
«Così avete provato d’ impossessarvi del foglio di nascosto».
Samuel alzò gli occhi su di lui solo per un secondo, la sue espressione non esprimeva alcuna emozione. Era a conoscenza di ogni cosa, perché allora gli faceva l’interrogatorio? L’ultima era stata un’affermazione, non una domanda. Era stata l’ultimo atto della loro ricerca: Mcmillan li aveva beccati, mentre rovistavano nel suo ufficio di nascosto; li aveva fatto una lavata di capo; aveva scritto al padre di Amber (lui ancora non era stato affidato ai Potter e non avrebbe avuto senso rivolgersi all’orfanotrofio babbano) e li aveva puniti facendoli pulire un sacco di calderoni. Comunque Amber si era beccata una strillettera dal padre e lui si era sentito così in colpa da lasciar perdere tutto almeno per un po’. Amber comunque a differenza di quanto aveva temuto non se l’era presa con lui e già il giorno dopo si era chiarita con il padre.
«Mi vuoi punire?» chiese titubante, pentendosene subito. Insomma era una domanda scema. Harry sbuffò:
«Credo l’abbia già fatto Ernie o sbaglio? Quello che mi interessa è sapere se avete trovato quello che volevate, perché lui non ha saputo dirmelo».
«No» rispose con una punta di amarezza che non riuscì a trattenere. Certo il modo in cui si era comportato era sbagliato, ma riteneva giusto avere delle risposte sulla sua famiglia. Ma aveva paura di farlo arrabbiare se gliel’avesse chiesto apertamente.
«Ti racconterò quello che so. Cassiopea Selwyn era la secondogenita di un’antichissima famiglia di Purosangue, i Selwyn appunto. Purtroppo suo padre si unì ai Mangiamorte sia durante la prima guerra magica che durante la seconda. Nel 1998 fu condannato a vita ad Azkaban. Lei aveva circa sei anni. Crebbe con la madre e la sorella maggiore. Io non l’ho mai conosciuta di persona, ma ritengo che la sua non sia stata un’infanzia felice. La madre inculcò l’odio ed il rancore per la sorte del marito e per la sconfitta di Voldermort alle figlie. Cassiopea però fu sempre di indole ribelle. Cinque anni dopo con grande rabbia della madre fu smistata a Grifondoro. Qui conobbe tuo padre Emmanuel. Anche lui ferito dalla guerra, ma la sua famiglia aveva combattuto sul fronte opposto. Sua zia Emmeline fece parte dell’Ordine delle Fenice in entrambe le guerre e si pensa sia stata assassinata da Lord Voldermort in persona. Tuo nonno non ebbe la forza di affrontare la morte della sorella maggiore e portò via la famiglia per salvarla. Ritornarono in Inghilterra solo alla fine della guerra. Emmanuel aveva un anno più di tua madre. Con il trascorrere del tempo i due divennero amici e poi si innamorarono. Naturalmente per tua nonna una Selwyn non avrebbe mai potuto sposare un Mezzosangue. Non accettò mai la loro relazione. A diciassette anni tua madre rimase incinta di te, lasciò la Scuola e si nascose. Tuo padre aveva iniziato l’addestramento per diventare Auror ed avrebbe voluto sposarla. Credo che alla fine si siano sposati in segreto. I Selwyn però erano ancora una famiglia molto potente e la signora mise i suoi uomini sulle tracce della figlia ribelle e del genero. Tua madre visse nascosta per almeno cinque anni. Poi una notte si lasciò ingannare dalla sorella. In fondo sentiva la mancanza della famiglia e rivelò il vostro nascondiglio. A quel punto tua madre provò a chiamare tuo padre e cercò nel frattempo di difendersi, ma fu ferita gravemente. Così si smaterializzò con te all’orfanotrofio e credo ti abbia cancellato i ricordi di quella sera. Lei si lasciò morire molto lontano così che nessuno potesse avvicinarsi a te. Tuo padre arrivò quando tutto ormai era accaduto ed acciecato dal dolore, perché pensò che fossi morto anche tu, si recò a Villa Selwyn per cercare vendetta. Lì uccise tua nonna, ma tua zia riuscì e fuggire e credo non sia mai rientrata in Inghilterra. Che tu fossi vivo lo scoprì troppo tardi la professoressa McGranitt, cui tua madre aveva lasciato una lettera in cui spiegava dove ti avrebbe lasciato in caso di pericolo. Aveva previsto tutto».
Harry che aveva snocciolato gli eventi con tono incolore lo abbracciò stretto mentre singhiozzava. Molto dopo con una voce flebile gli chiese:
«Mio padre? Non è un Auror?».
Harry esitò un momento, poi si disse che a quel punto la verità doveva dirla tutta:
«E’ stato condannato ad Azkaban per omicidio e conseguentemente espulso con disonore dal corpo degli Auror».
*
«Albus, svegliati! Insomma sono le nove del mattino!».
Un grugnito indistinto si levò da sotto le coperte. La ragazzina imperterrita prese il bicchiere d’acqua sul comodino e lo vuotò sul cugino, che si svegliò di scatto. Albus la fulminò con lo sguardo.
«Che diavolo vuoi, Rose? Non eri tu che dormivi fino all’ora di pranzo il sabato?».
«Sì, ma ora siamo a casa. Devo dimostrare ai miei che sono perfetta e quindi mi sono alzata presto per iniziare fin da subito i compiti delle vacanze come avrebbe fatto mia madre».
«E da quando i compiti gli fai nel mio letto?» domandò Albus sarcastico visto che Rose nel frattempo si era messa sotto le coperte con lui.
«Spiritoso… Loro sono a lavoro, non devo più recitare… Merlino, che noia… sembrava che stamattina non volessero andarci».
«Mmm… mi spieghi perché sei venuta a svegliarmi? Sono solo le nove… Io non devo dimostrare niente a nessuno e poi tua mamma è una delle streghe più intelligenti della sua generazione! Secondo te davvero può cascare nella tua recita? Dopo tutto quello che hai combinato in questi anni?».
«Io sono bravissima a recitare».
«Sei una serpe mancata».
«Ascoltami… Non ti sembra strano che Jonathan stia male una volta al mese?».
«E’ cagionevole di salute» replicò Albus nella speranza di chiudere la conversazione.
«Proprio quando c’è la luna piena?».
Albus la osservò basito: «Non dire idiozie!».
«Troverò le prove e te lo dimostrerò!».
«Non vedo l’ora» bofonchiò Albus ironico.
«Dai alzati, voglio fare un giro a Londra».
«Mmm sai benissimo che non possiamo andare a Londra da soli!».
«I nostri genitori rientreranno solo nel pomeriggio. Abbiamo il tempo di andare e tornare senza che se ne accorgano».
«Ma neanche per sogno!», sbottò, «Esci dal mio letto e dalla mia stanza!».
*
Come tradizione tutta la famiglia Potter si trasferì alla Tana per festeggiare la Vigilia e il Natale tutti insieme. Sam era ormai abituato ai cugini Potter-Weasley dopo quattro mesi di scuola, ma vederli tutti insieme lì senza quasi nessun freno inibitorio… beh era un’esperienza scioccante. James rimase con lui il tempo necessario per presentarli Louis e Victoire gli unici che non frequentavano Hogwarts, per poi gettarsi nel caos. Ancora più scioccante fu l’essere stritolato da nonna Molly. Cercò lo sguardo di Harry in cerca di aiuto e l’uomo gli sorrise incoraggiante. Per l’occasione fece finalmente pace con Arthur ed al rientro a scuola avrebbe convinto Amber a fare altrettanto. Non che l’amico avesse smesso di farsi influenzare dai Serpeverde ma, su consiglio di Harry, aveva capito che ignorandolo non l’avrebbero aiutato.
La casa era addobbata con un maestoso abete, che troneggiava nel piccolo salotto. L’albero era decorato con candele e fatine galleggianti.
La cena trascorse serenamente e si ingozzarono di cibo in quanto la nonna li considerava decisamente troppo magri. Dopo aver mangiato si sedettero in salotto gli adulti prima di andare a dormire.
«Allora Harry, che cosa sono queste notizie strane riportate dal Profeta? Dobbiamo preoccuparci?» chiese Bill.
«Bill», lo fulminò la madre, «non credo sia il caso di parlare di queste cose davanti ai ragazzi».
«No, Molly. Credo che ci siano alcune cose che i ragazzi devono sapere», replicò Harry meditabondo, «Quello che dice il Profeta è vero e naturalmente non dice tutto. C’è questo gruppo, i cui membri si fanno chiamare Neomangiamorte, che compie violenze contro i Nati Babbani e i Babbani».
«Questo succede da più di un anno. Mi riferisco agli omicidi dei pozionisti» disse Bill.
«Mmm non posso andare nei dettagli, ci sono informazioni che non si possono divulgare… Non sappiamo se sono collegati… ma credo di sì».
«Quanto sono pericolosi?» domandò apprensivo nonno Arthur.
«Avete presente l’attentato ai Fawley? Il giudice del Wizengamot aveva condannato uno di loro, reo di aver attaccato dei Babbani, non aveva ceduto ai loro tentativi di corruzione e loro lo hanno attaccato a casa sua».
«Aprile 2015. Hanno attaccato la casa, come se non ci fosse alcun incantesimo di protezione…».
«Era una protezione minima» disse Ron, interrompendo la moglie.
«Era pur sempre una protezione! E loro sono entrati come se niente fosse!» replicò Hermione.
«Hermione, ha ragione Ron. Per quanto le protezioni fossero blande, c’erano ed invece loro sono riusciti a passare perché hanno usato la Magia Nera, lo sai benissimo».
I ragazzi trattennero il fiato, Al guardò il padre: se li stava raccontando quelle cose significava che la situazione era grave, in caso contrario non l’avrebbe mai fatto. Lui non voleva che si intromettessero nel suo lavoro.
«Ma si sono salvati?» domandò Domi.
«Il giudice è riuscito a proteggere i figli prima dell’arrivo degli Auror che ha prontamente allarmato, ma non la moglie» le rispose Hermione.
«Ma cosa centra con la mamma di Isobel?» chiese Rose.
«Non lo so», ammise Harry, «ma abbiamo buoni motivi per pensare che il mandante, se vogliamo chiamarlo così, sia sempre lo stesso». Tirò fuori un foglietto dalla tasca e lo aprì per farglielo vedere.
Al curioso si sporse per vedere il disegno: era un serpente che si mordeva la coda.
«Nemmeno Hermione ha capito che cosa rappresenta», ammise preoccupato, «E’ il loro simbolo, l’abbiamo trovato sulla parete di villa Fawley, nel laboratorio di Sabrina De Marchi e degli altri due pozionisti».
«Perché i pozionisti zio? Prima la De Marchi la migliore al mondo, poi Belby il terzo e Tyler Coler il decimo».
«Mi dispiace Fred, ma non sappiamo con certezza quale sia la logica di tutto ciò».
«Non lo vuoi dire, ma se sono saltati in aria è perché stavano preparando pozioni altamente complesse. Tu lo sai, perché ho cercato di strappare informazioni a Mcmillan e non ha risposto segno che lo sa e che ne avete parlato. Ma se vogliono una pozione difficile perché non si è rivolto a Moki Oschinauwa?».
«Moki chi?» sbottò Ron.
«Il secondo miglior pozionista al mondo, Ron», replicò Harry pensieroso, «Bella domanda Fred. Che cosa sai di questi pozionisti? L’unico elemento che hanno in comune è che tutti e tre si trovavano su suolo inglese».
«Non molto, mica sono giocatori di Quidditch che si mettono in mostra, ma anni fa Moki ha avuto problemi con la legge giapponese perché è stato accusato di aver usato la magia nera».
«Dove l’hai letto?».
«Su Il pozionista naturalmente, ma ce l’ho a casa non qui».
«Domani andiamo a prenderlo».
«Domani è Natale, Harry. Sono certa che puoi rimandare a dopodomani» disse con tono di avvertimento nonna Molly.
«Harry, non puoi indagare più di tanto su questo Moki. E’ decisamente fuori dalla tua giurisdizione».
«Ti pare che non lo sappia» borbottò infastidito.
«Io lo so che cos’è quello».
Tutti alzarono gli occhi su Louis, che stava indicando il disegno appoggiato sul tavolino.
«Lo sai?».
«Sì. Si chiama uroboro».
«E cosa sarebbe?» chiese Harry, attento.
«E’ un animale simbolico che si trova nella letteratura magica egiziana di età ellenista. L’icona rappresenta un serpente che morde o inghiotte la propria coda, realizzando la figura di un cerchio. In origine simboleggiava l’eternità e il cosmo. Poi ha assunto anche altre rappresentazioni. Si pensa che stia a simboleggiare l’avvicendarsi della vita e dalla morte ed in alchimia, il ripetersi del ciclo che raffina le sostanza attraverso il riscaldamento, l’evaporazione, il raffreddamento e la condensazione».
«Tu non sei mio fratello! L’avete adottato, vero?» s’intromise Domi, beccandosi un’occhiataccia dai suoi genitori. Louis era estremamente intelligente, fin troppo per la sua età, ma era anche molto timido e si sentiva a disagio quando qualcuno sottolineava che non era del tutto ‘normale’ od almeno questo gli dicevano i suoi compagni della scuola babbana e ne soffriva, anche se i suoi non lo sapevamo; lanciò un’occhiata ferita alla sorella perché almeno in casa voleva essere lasciato in pace.
«Centra l’alchimia! Tutto ricollega ai pozionisti» esultò Harry gettando un’occhiata eloquente a Ron e Hermione, ignorando il commento della nipote.
«Alchimia?! Che razza di pozioni stanno preparando?» chiese Fred.
«Ora basta, è ora di andare a letto» tagliò corto Hermione alzandosi in piedi e facendo segno ai suoi figli. Rose cominciò subito a protestare.
«Chi tace acconsente» sbraitò Fred.
«Fred a letto» intimò Angelina.
«Ho quindici anni e mezzo non mi puoi dire quando andare a letto!» replicò lui. Che era più o meno la stessa protesta di Rose. Jamie ed Al obbedirono subito al gesto imperioso di Ginny, mentre Lily diede manforte alla cugina.
«Molto bene», disse rassegnato Bill, «se non volete andare a letto, potete rimanere qui». I fratelli gli diedero ragione e ignorarono i figli ribelli.
«Lou», disse Harry ponendo una mano sulla spalla del nipotino, «grazie, non sapevamo quelle cose che ci hai detto. Come le hai sapute?».
«Nella biblioteca di Nicholas Flamel c’è l’uroboro inciso su una parete. Il nonno di Valentin mi ha spiegato che cosa fosse molto tempo fa».
Harry boccheggiò, i pezzi del puzzle cominciavano ad aumentare ma li piacevano sempre meno. Incrociò gli occhi di Hermione, anche lei aveva ascoltato ed era arrivata alla stessa conclusione: Flamel uguale pietra filosofale.
«Grazie davvero, Lou», poi si voltò verso il cognato che gli aveva seguiti al piano di sopra per accompagnare il figlio a letto, «Per caso i tuoi cognati verranno in Inghilterra per le vacanze?».
«No, Gabrielle ha deciso di fare un viaggio in America ed ha portato anche i miei suoceri».
«Ho bisogno di parlare con tuo cognato».
«Lui è un ignorante» disse Louis.
«Louis! Ti ho detto un milione di volte che non si insultano le persone adulte! E’ chiaro?».
«Sì, papà».
«Bene allora fila a letto, tra poco vengo a darti la buonanotte».
«Che voleva dire, Louis?» indagò Harry, consapevole del fatto che il bambino difficilmente se ne usciva con giudizi così taglienti.
«Mio cognato Emile non è un uomo colto, per quello che ne so ha a malapena preso il diploma a Beauxbatons. La sua notorietà deriva essenzialmente dal suo cognome. Comunque lui e Louis non vanno d’accordo. Lou adora la biblioteca dei Flamel e finché era in vita il padre di Emile aveva la possibilità di entrarci e leggere qualche libro, dopo la morte del padre mio cognato non gliel’ha più permesso. E sai che Lou non è un bambino capriccioso, ma ti assicuro che questa cosa lo innervosisce parecchio».
«Capisco. Vorrei comunque parlare con tuo cognato».
«Harry non puoi! Hai potere finché sei in territorio britannico. Non in Francia. Finiresti nei guai! Un interrogatorio su suolo francese di un cittadino francese? Sarebbe un abuso di potere!».
«Chiacchierata amichevole?».
«Come no, Harry raccontalo a qualcun altro» disse Hermione.
«Mio cognato non è per le chiacchierate amichevoli con le forze dell’ordine. E’ la pecora nera della famiglia» spiegò Bill.
«Hermione, io devo parlare con Flamel. Capisci è tutto collegato!» disse con sguardo eloquente.
«Dipartimento per la Cooperazione Magica Internazionale. Chiedi a Malfoy di mettersi in contatto con il Ministero francese».
Harry borbottò qualcosa di incomprensibile.
«Buonanotte» disse Bill con un sorrisetto, in quanto era consapevole delle difficoltà ad interagire con i Malfoy del padre, di Ron e del cognato. L’unica eccezione per Harry ed il padre era il giovane Scorpius.
«Buonanotte un cavolo» borbottò Harry di fronte al sorriso malizioso di Hermione.
 

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Capitolo 18
*** Curiosità. Attenzione maneggiare con cura ***


Capitolo diciottesimo.
Curiosità. Attenzione maneggiare con cura.


«Jamie, mi raccomando».
«Certo, capo!».
James sorrise malandrino in direzione del padre, che annuì con mezzo sorriso. Merlino, quanto erano agitati tutti! Dopotutto perché i nuovi cattivi avrebbero dovuto attaccare proprio loro? Insomma l’Inghilterra è enorme! Ma si guardò bene da esternare ad alta voce queste considerazioni: avevamo fatto una fatica terribile a convincere i genitori a lasciarli andare da soli alla pista di pattinaggio sul ghiaccio a Bristol, a nemmeno quaranta minuti di autobus da lì. Mica stavano andando dall’altra parte dell’oceano! Apprensivi ed iperprotettivi, ecco cosa erano i loro genitori! E dire che a quattordici anni suo padre aveva partecipato al Torneo Tremaghi! Ma appunto era meglio tenersi questi pensieri per sé. In più era il più grande del gruppo e ciò aveva fatto ricadere su di lui ogni responsabilità. Il che lo esaltava parecchio, doveva ammetterlo. Osservò la sua squadra: Albus era imbacuccato nel suo giubbotto blu, guanti, cappello e sciarpa rigorosamente rosso-oro proprio come i suoi e degli altri. Inoltre sotto i giubbotti o cappotti avevano tutti i maglioni marca Weasley. Nessuno avrebbe fatto fatica a riconoscerli come parenti, se non addirittura fratelli. Lily ed Alice avevano accettato a fatica che sarebbe stato lui a comandare in assenza dei genitori, ma alla fine non avevano avuto scelta. Rosie lo stava soppesando maliziosamente e ricambiò il suo sguardo con un ghigno: per quanto la cugina stesse appiccicata ad Al, avevano molto in comune. A differenza di Lily ed Alice, sapeva di poter ottenere da lui quello che voleva, se l’avesse preso per il verso giusto. Frank confabulava con Albus e non voleva sapere che cosa entusiasmasse tanto i due secchioni ed Hugo osservava divertito le sue migliori amiche che ancora sbuffavano. L’unica nota stonata era che la piccola Augusta, cui naturalmente voleva bene, si era appiccicata al suo braccio e non dava segno di volersi staccare. Tutti sapevano che la piccola aveva una cotta per lui. Il Natale dell’anno prima gli aveva confessato il suo amore davanti a tutti. Merlino! Era stato il momento più imbarazzante della sua vita. Rose ancora lo prendeva in giro e da buona cugina, cui toccava il titolo di Miglior Stronza dell’anno, aveva raccontato alla bambina di Benedetta. Si può essere gelosi a nove anni? A quanto pare sì. Sua mamma gli aveva detto di stare tranquillo, perché era una cosa passeggiera: una cotta infantile di cui poi non si mantiene nemmeno il ricordo. Detto da colei che si era innamorata per la prima volta a dieci anni ed aveva sposato il fortunato, nonostante una guerra… beh non era per niente consolante. Finalmente dopo un milioni di raccomandazioni, i genitori li lasciarono andare. E Merlino c’era mancato poco che perdessero il pullman! Jamie pazientemente si premurò di obliterare anche i biglietti di Lily, Alice ed Augusta, che erano più che in grado di far da sole ma a quanto pare sua sorella ed Alice stavano complottando per rendergli un inferno il pomeriggio, mentre Augusta pretendeva che si comportasse da buon cavaliere. Cominciava a pentirsi, forse non sarebbe sopravvissuto od avrebbe ammazzato sua sorella. Durante il tragitto si avvicinò a Samuel, l’unico rimasto in silenzio da quando erano partiti. Prima che la madre li chiamasse perché erano arrivati i Paciock loro stavano per litigare. Era entrato nella sua stanza mentre inviava una lettera. In ciò non vi era nulla di anormale naturalmente, ma non aveva mai visto quel gufo. Era certo che non fosse uno di quelli della Scuola e quindi era da escludere che il destinatario fosse un compagno rimasto ad Hogwarts per le vacanze; non era di Amber Steeval, che possedeva una bellissima civetta bianca né di Arthur che era terrorizzato dai gufi. Così gli aveva chiesto spiegazioni. Semplice curiosità? Non sapeva dire che cosa l’avesse spinto ad impicciarsi negli affari del ragazzino, insomma non era davvero suo fratello e non aveva avuto il tempo di affezionarsi a lui. Ed allora? Non era in grado di spiegarselo, ma aveva avuto una cattiva sensazione. Samuel aveva reagito in modo strano, assumendo l’aria di chi si sente in colpa per qualcosa.
«Allora a chi hai scritto prima? A qualche bella Tassorosso?» chiese cercando di fare lo sbruffone, parte che gli riusciva abbastanza bene.
«Non sono affari tuoi» rispose lapidario.
James lo squadrò sorpreso e si trattenne dal prenderlo per il bavero e ricordargli che il capo era lui.
«Sembra che tu voglia nascondere qualcosa» disse, non riuscendo a trattenere l’irritazione. Il ragazzino fuggì al suo interrogatorio andando a mettersi accanto ad Albus e Frank e trascorse il resto del viaggio fingendo di interessarsi ai loro discorsi. James strinse i denti, si fidava ciecamente di suo padre ma quel ragazzino nascondeva qualcosa. Cavoli, quella cattiva sensazione non lo mollava.
Mancava poco alle cinque del pomeriggio quando arrivarono a Bristol, avevano almeno tre ore di libertà assoluta, poi avrebbero preso il Nottetempo che li avrebbe portati fino a casa Paciock. Lì avrebbero cenato tutti insieme. James fece fatica a radunare fratelli e cugini (nella definizione potevano essere annoverati anche i Paciock, tanto erano cresciuti come tali). Tirò un sospiro di sollievo quando Al si mise in coda al gruppo con Rose e Frank, almeno non avrebbe dovuto controllare i più piccoli da solo. Merlino, se adorava suo fratello. Certo non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura.
«La pista di pattinaggio è quella» disse James, indicando un punto tutto illuminato poco distante. Avvicinandosi videro che era molto affollata. La pista aveva una forma quadrata: tre lati del perimetro erano circondati da porticati, sotto i quali si trovavano a destra la biglietteria, a sinistra un bar ed i bagni. Il quarto lato era occupato da un maestoso albero di Natale, completamente illuminato. James sorrise come un bambino, adorava le vacanze natalizie per le luci e i colori. Gli altoparlanti mandavano canzoni natalizie di sottofondo. Si ricordò di quando suo padre li aveva portati lì per la priva volta: all’epoca aveva circa otto anni e non aveva mai pattinato sul ghiaccio. Nemmeno loro papà era in grado di farlo ed era stato divertente vederlo scivolare in continuazione. Il più bravo era stato senz’altro Al quel giorno, dopo la mamma s’intende. Sua madre sembrava portata per tutti gli sport, magici o babbani che fossero. Per un attimo si perse nei suoi ricordi, ma fu subito richiamato al presente da Al.
«Ti stai perdendo la squadra» gli comunicò tra il divertito ed il preoccupato.
James si guardò intorno e si rese conto che erano rimasti in tre: lui, Al e Frank.  Per sua fortuna gli altri non si erano allontanati molto. Li trovò mentre assediavamo la biglietteria.
«Chi vi ha detto di allontanarvi senza dirmi niente?!».
Un coro di chi credi di essere?, ma fammi il piacere? e paga veloce, fu di certo una risposta abbastanza appagante da zittirlo. Adesso capiva perché i genitori rompevano in continuazione. Avere più responsabilità? Ma chi gliel’aveva fatto fare? Comunque pagò e lasciò che ognuno scegliesse i pattini della misura giusta, a parte Al che ne aveva chiesto ed ottenuto in regalo un paio tutto suo.
«Bella pattinatrice, vuoi fare pattinaggio artistico da grande?» lo apostrofò.
Al lo guardò malissimo, mentre si allacciava le stringhe dei pattini e rispose tagliente: «Immagina quanto sarebbero contenti mamma e papà di sapere che non ti ascolta nessuno».
James fece per rispondere a tono, ma Augusta attirò la sua attenzione: «Jamiejamie, aiutami ti prego».
«Su, va’ ad aiutare la tua fidanzatina Jamiejamie» gli disse Al, con un ghigno che non gli si addiceva per nulla. SI trattenne dal tirargli un pugno e a malincuore raggiunse la bambina. Quando finalmente furono tutti in pista, James ebbe modo di pentirsi ulteriolmente: Augusta non aveva intenzione di mollarlo.
«Jamie, sei bravissimo a pattinare. Insegnami» gli intimò la dolcissima bambina.
Al di là di questo il tempo trascorse tranquillamente, almeno finché pattinavano non avrebbe dovuto preoccuparsi troppo e bene o male sulla pista riusciva a tenerli tutti sott’occhio. Ben presto iniziò persino a rilassarsi e dopotutto assecondare Augusta aveva i suoi risvolti positivi: tutte le ragazze presenti sulla pista lo guardavano come se fosse la cosa più dolce del mondo.
James cominciava a convincersi che badare a fratelli e cugini fosse più facile di quanto avesse pensato fino a quel momento, quando un urlo riempì la pista. Ci mise un secondo per rendersi conto che gli altoparlanti si erano ammutiti, neanche fossero stati silenziati con un incantesimo tacitante. O forse era stato davvero quello.  Scorse degli uomini con una veste nera che si facevano largo tra la folla. No, non potevano essere loro. Che cosa avrebbero potuto cercare in un centro babbano il 30 dicembre? E guarda caso dove si trovavano loro! Lui non credeva alle coincidenza. Quando però vide la maschera argentata che li copriva il volto e la bacchetta che brandivano, non ebbe più dubbi: non che ne avesse avuti ma la speranza è l’ultima a morire. Sguainò la bacchetta e senza perdere di vista i tizi in nero, tentò di cercare ed avvicinarsi agli altri, ma non era facile: c’era troppa gente.
«Periculum!» disse sicuro e la sua bacchetta sparò scintille rosse verso l’alto; certo niente di meglio per dire ehi sono qui, ma la regola d’oro di suo padre era: “Se siete in pericolo, chiedete aiuto, non siete Auror”. C’erano sempre della pattuglie della Squadra Magica in giro, qualcuno avrebbe visto le scintille. I tizi schiantarono molti Babbani od almeno sperò che fosse schiantesimi.
James tentò di concentrarsi su gli uomini che venivano verso di lui, non poteva fare nulla per quelle persone e non aveva senso che si prendesse in giro da solo: lampo verde significa una sola cosa. Quelli non erano lì per discutere. Con il cuore in gola comprese immediatamente che volevano loro. Molti babbani fuggirono e non li rincorsero, altri caddero inerti sulla pista di ghiaccio, ma i suoi fratelli e gli altri furono sospinti verso di lui, quasi a bordo pista. Li volevano vivi, almeno per ora. In caso contrario quanto ci avrebbero messo a tacitare dei maghi di nemmeno tredici anni? Nulla. Un brivido gli percosse la schiena.
«Non avrete mica intenzione di sfidarci?» chiese ironico quello che doveva essere il capo.
Ormai erano stati spinti ai bordi della pista e tutti avevano le bacchetta puntate sugli aggressori. «Oh giusto dimenticavo, nella vostra famiglia c’è la mania di fare gli eroi».
Gli uomini accanto a lui risero. James ne approfittò per osservarlo: era il capo senz’altro, appeso al collo aveva un ciondolo, che ci avrebbe scommesso tutta la sua paghetta fosse quell’urocoso di cui parlavano suo padre ed gli zii.
«Vogliamo solo Samuel, su Samuel vieni con me. Non farò del male ai tuoi amici».
Si come no, pensò James, la frase più vecchia del mondo!
«Non ti muovere» lo apostrofò con durezza, ma il ragazzino era terrorizzato: qualunque cosa centrasse o sapesse, non aveva previsto quello.
Il capo parlò in una lingua sconosciuta e uno degli uomini si fece avanti e James prima di capire cosa stesse accadendo si ritrovò a terra urlando per il dolore. Non ne aveva mai provato tanto in vita sua. Mai. E lui faceva regolarmente a botte con Parkinson, che menava forte. Non aveva provato tanto dolore nemmeno quando era caduto dalle scale o quando aveva preso la Firebolt del padre ed era andato a sbattere contro la libreria che gli era rovinata addosso. Mai. Urlò con tutto se stesso, sembrava che gli stessero incidendo il corpo con tante lame. Poi come era arrivato il dolore cessò, senti un mugugno di dolore e il suo aggressore cadde all’indietro. A terra a bocconi non capì molto, aveva la vista annebbiata e tutti il corpo doleva anche se non quanto prima. Riconobbe a malapena Albus che si inginocchiò accanto a lui e non riuscì nemmeno ad urlare quando vide uno degli uomini sul punto di colpire il fratello. Ma una serie di crack familiari riempirono l’aria e un gruppo di uomini in divisa separò lui e gli altri dai Neomangiamorte, perché non aveva alcun dubbio che si trattasse di loro. Mentre gli altri lo circondavano poté sentire solo qualche ordine urlato. Ad un certo punto un uomo si fece largo tra i ragazzini e lo osservò.
«Ora voi ci darete una spiegazione» disse in tono aspro. Se James ne avesse avute le forze si sarebbe messo ad urlare: insomma li stava incolpando di qualcosa?! Il tono era lo stesso che avrebbe usato con dei bambini disubbidienti.
«Se avete bisogno di spiegazioni, perché vi siete fatti sfuggire i tizi che ci hanno aggredito?» domandò irritata Rose.
James gemette: se li erano fatti sfuggire! Che incapaci! Aveva ragione zio Ron a prendersela sempre con quelli della Squadra Speciale Magica.
«Ragazzina, modera il tono!» sbottò quello.
«Signore», una ragazza con la stessa divisa beige entrò nel suo campo visivo, «credo sia il caso di chiamare il Capitano. Questo caso non è di nostra competenza e bisogna avvertire gli Auror».
«Ma sei impazzita?! Mi pare che qui ci siamo noi e non gli Auror! E fino a prova contraria sono io che comando e non ti permettere mai più di dirmi quello che devo fare! Portate il prigioniero al Ministero ed anche questi bambini perché devono essere interrogati. Chiamate anche una squadra di obliaviatori e tenete lontani i giornalisti babbani o meno che siano!» abbaiò l’uomo in risposta.
 
Quando finalmente raggiunsero la sede della Squadra Speciale Magica al secondo livello del Ministero della Magia, James capì che non avrebbe fatto un altro passo senza svenire e si buttò sulla prima sedia che trovò.
«Ragazzino», abbaiò l’agente, «Alzati, nessuno ti ha dato il permesso…».
«Credo che lei sia davvero tonto!», sbottò Rose, «Mio cugino è stato cruciato! Trascinarlo qui di peso è stato già un abuso di potere! Adesso non ne posso più! Quindi mi ascolti bene. Se non si dà una regolata, le giuro che domani mattina potrà andare a cercarsi un altro lavoro!».
«Ragazzina, maleducata! Come ti permetti!?».
«Come? Ha appena trascinato come dei delinquenti nove minorenni senza avvertire i loro genitori o tutori legali! Ma vuole sapere cosa mi dà la certezza che se non si dà una mossa perderà il posto? Molto semplice. Io sono figlia di Hermione Jane Granger giudice effettivo del Wizengamot! Se lei si è dimenticato qualche piccola legge per strada, le assicuro che mia madre conosce anche le clausole minori scritte nella prima costituzione del mondo magico!».
L’agente stava boccheggiando con grande soddisfazione di tutti.
«Credo che possa bastare così», disse una voce autoritaria che costrinse tutti a voltarsi, «Agente Smith, non ho idea del perché questa ragazzina la stia minacciando mettendo in mezzo addirittura il Wizengamot, ma le assicuro che faremo due chiacchere appena qualcuno avrà la decenza di farmi rapporto».
«Mi scusi, signore», Albus, fino a quel momento rimasto in silenzio, attirò l’attenzione del nuovo venuto su di sé, «Mio fratello è stato cruciato e non sta bene».
James alzò gli occhi al cielo, condivideva i metodi di Rose totalmente; Al ancora credeva nell’aiuto degli adulti nonostante avesse visto con i suoi occhi il comportamento dell’agente Smith.
«Smith, chiami un guaritore. Robinson», ordinò chiamando la ragazza che prima si era opposta all’agente, «Convochi i genitori dei ragazzi e voi accomodatevi nel mio ufficio».
Con sua sorpresa James l’uomo gli si avvicinò e lo aiutò ad alzarsi.
«Immagino che troverai la poltrona del mio ufficio decisamente più comoda… Ah, chiedo scusa non mi sono presentato: Terry Steeval».
James strinse la sua mano ed accettò il suo aiuto.
«James Potter» replicò.
«Magnifico», borbottò il Capitano, «tuo padre e tuo zio vorranno la testa di Smith… Sai, non si potevano vedere neanche a Scuola».
Li fece accomodare in un piccolo ma ordinato ufficio, evocò altre sedie oltre le due di fronte alla scrivania, che non sarebbero state sufficienti per tutti ed aiutò James a sedersi nell’unica poltrona in un angolo della stanza.
«Se sta facendo il gentile solo perché ha paura dei nostri genitori, sappia che loro non sopportano gli adulatori» polemizzò Rose con la sua conclamata diplomazia. Il Capitano si accigliò e la fissò per un attimo prima di rispondere: «Io non ho paura di nessuno, mi dispiace deluderti. Sto facendo il gentile perché siete dei ragazzini e sembra che abbiate appena visto un mostro e considerando che James è stato cruciato, direi che sono abbastanza intelligente da dedurre che non abbiate avuto una bella esperienza».
Pochi secondi dopo Harry Potter e Ron Weasley fecero irruzione nella stanza, seguiti dalle rispettive mogli e da Neville. L’agente Robinson entrò subito dopo in compagnia di un uomo alto, che i ragazzi conoscevano vagamente. Terry Steeval si alzò al loro ingresso.
«Signore, è arrivato il Guaritore Goldstain».
A quelle parole tutti fecero silenzio. Neville era stato circondato dai figli, così come Hermione si era subito premurata di verificare le condizioni di Hugo, in quanto Rose era in evidente posa da battaglia e stava più che bene; Harry si rese conto dell’inattività del figlio maggiore e si avvicinò a lui seguito a ruota dal Guaritore, che al di là del cenno del Capitano non ci aveva messo molto a realizzare per chi dei ragazzi era stato chiamato.
«Jamie?» fece interrogativo Harry con apprensione.
«Sto bene», assicurò lui con un sorriso che però risultò più una smorfia, «Ho fame».
Harry cercò di sorridere e gli scompigliò i capelli, rendendoli più disordinati di quanto non fossero già.
«Lascia che ti dia un’occhiata» s’intromise Goldstain. Harry si spostò per lasciargli spazio e cinse la vita di Ginny che si era avvicinata. Ci fu silenzio per qualche minuto, poi Goldstain si raddrizzò e si avvicinò ai due.
«È stato cruciato, ma possiamo dire che sta bene».
«Possiamo?» fece eco Harry terreo in volto.
«Sì, non ha riportato alcun danno, né fisico né mentale. Tuo figlio è forte, ma è sempre un ragazzo. La maledizione l’ha sfiancato, con un bel po’ di riposo tornerà come nuovo».
«Grazie, Anthony».
«Dovere. Devo farvi avere qualche relazione che attesti le condizioni di James?» disse guardando interrogativo da Harry a Terry Steeval, non sapendo chi dei due comandasse in quel momento.
«Sì, grazie» rispose Steeval.
Goldstain annuì e si congedò, promettendo che avrebbero avuto tutto la mattina seguente.
«Che cavolo è successo?» tagliò corto Ron, che in fatto di diplomazia poteva far concorrenza alla figlia.
«Lo vorrei sapere anche io» replicò il Capitano.
Rose prese la parola e raccontò loro di come improvvisamente erano stati attaccati dagli uomini incappucciati; descrisse ogni cosa nei minimi particolari senza che le fosse richiesto, insomma suo padre era un Auror e lei sapeva perfettamente che ogni cosa era utile ad un’indagine! «Quello che non riesco a capire è perché volessero Samuel» concluse.
«Non lo so» rispose Harry perché la nipote l’aveva guardato aspettandosi una risposta da lui.
«Signore!», Smith aveva spalancato la porta senza bussare e si era catapultato nella stanza, «Il prigioniero è morto».
L’aria nella stanza divenne più greve, ma prima che qualcuno potesse replicare Albus disse: «Io non volevo ucciderlo, io…».
Sembrava non riuscisse più nemmeno a respirare. Harry lo circondò con le sue braccia tendando di calmarlo, gettò smarrito un’occhiata alla moglie, che seduta vicino a Jamie ricambiò allarmata: Al era sempre stato il più sensibile dei tre figli, quello che piangeva più facilmente anche al minimo rimprovero ma mai aveva reagito in quel modo.
«Potter, non lo stringere in quella maniera. È una crisi di panico, già non respira di suo» disse Goldstain rientrato nella stanza a seguito di Smith, «Albus quell’uomo è morto avvelenato. Non è colpa tua» aggiunse avvicinandosi a loro. Il ragazzino sembrò calmarsi e lo guardò, sorpreso che ricordasse il suo nome.
«Io non volevo fargli del male… io…».
«Respira», replicò il medimago con voce calma e pacata, «la ferita che aveva in fronte non era minimamente grave. Stai tranquillo».
Al riprese a respirare quasi regolarmente e poi spiegò al padre quasi cercando la sua approvazione: «Ci hanno disarmato appena uno di loro ha cominciato a cruciare Jamie. Non l’avevo mai sentito gridare così, mi sono sentito impotente senza bacchetta… ma non potevo rimanere a guardare, così mi sono tolto un pattino e ho mirato alla faccia… volevo che la smettesse… ho sbagliato avrei dovuto mirare alla mano… io…».
Harry scosse la testa e lo abbracciò.
«Sei stato bravissimo» gli sussurrò all’orecchio.
«Che vuol dire che è morto avvelenato?» s’informò Steeval.
«Aveva del veleno nascosto nell’orlo della tunica» spiegò Goldstain. «Letale. È di quei veleni che entra in circolo in pochissimo tempo. Non potevo salvarlo, l’antidoto è raro e non serve a nulla nemmeno il bezoar».
«Avrai una bella gatta da pelare» concluse Ron, che non sembrava dispiaciuto per nulla.
«Scusate. Capitano permette una parola?» s’intromise Robinson.
«Ti ascolto».
«Non so se il Guaritore ha già avuto modo di guardare il corpo del prigioniero».
«No, non l’ho fatto. Mi è stato chiesto di visitarlo perché era ferito, ma quando sono arrivato stava già leccando il veleno in polvere dall’orlo del colletto», replicò Goldstain serio, «Non avete bisogno che io faccia adesso l’autopsia, vero? Perché sono le otto di sera, il mio turno è finito da un pezzo e la mia famiglia mi sta aspettando».
Anthony Goldstain era un ottimo Guaritore, non per niente era stato nominato primario del San Mungo, ma non poteva fare più nulla per quell’uomo e per lui a quel punto decisamente la sua famiglia veniva prima.
«Non volevo dire questo», intervenne la ragazza, «Ho notato che sul braccio ha lo stesso simbolo che il Capitano Potter ci ha fatto vedere qualche settimana fa… cioè sono andata a guardare apposta perché erano vestiti in modo sospetto».
«Il loro Capo aveva una catenina appesa al collo con quel simbolo» disse James con voce fioca.
«Ron, allora è un problema nostro» sospirò Harry, stringendo più forte Al a sé.
 
*
 
«Rosie».
«Stai zitto, Al» replicò lei.
«Rose!».
«Che diavolo vuoi?» sbottò la ragazzina voltandosi verso di lui giusto il tempo per gettargli un’occhiataccia.
«Ti sei dimenticata che mio padre non vuole che entriamo nel suo studio senza permesso?».
«È preso dalla festa in questo momento. Nessuno si accorgerà della nostra assenza. È un momento perfetto per scoprire qualcosa».
«Ma è una cosa sbagliata, Rose! Anche se non lo saprà, ci stiamo comportando male».
«Sei una piaga, Albus. Comportati da Grifondoro per una volta, e non da Tassorosso!».
Albus accusò il colpo in silenzio, odiava quando l’altra gli ricordava che probabilmente il Cappello Parlante era sbronzo quando l’aveva smistato. Spesso e volentieri si sentiva inadeguato a vestire i colori rosso e oro, di cui però andava enormemente orgoglioso. La seguì senza più alcuna lamentela. Come sempre lei comandava, lui obbediva. Rose cominciò a rovistare tra le carte sulla scrivania e poi ad aprire i cassetti. Lui si bloccò sulla porta cercando di quietare in qualche modo i suoi sensi di colpa. Sua cugina emise un sospiro soddisfatto quando tirò fuori dal penultimo cassetto una cartellina scarlatta. Anche dalla sua posizione poteva leggerne l’etichetta, che recitava: “CASO FAWLEY”. Rose l’aprì e iniziò a spulciare con un certo interesse i documenti contenuti.
Al sentì una mano sulla sua spalla e sussultò. Alzò gli occhi abbastanza per incrociare quelli irritati di suo padre.
«Uffi Al, ma qui non c’è nulla di nuovo! Ma tuo padre non le aggiorna le cartelle?».
«Le aggiorno eccome, ma evidentemente non è stato necessario» replicò il diretto interessato. Rose sobbalzò ed assunse per un attimo un’aria colpevole, ma si riprese subito e sorrise allo zio con la sua miglior faccia da schiaffi.
«Papà, scusaci davvero… noi…».
«Volevamo avere informazioni!», concluse Rose ed Al la fulminò con lo sguardo, «Voi non volete darcele!».
«Se non lo facciamo ci sarà un motivo, no Rose?», sospirò Harry, «Magari è pericoloso? È ieri ci è già venuto un infarto per quello che vi è successo! Ora fila di sotto, i tuoi si chiedevano dove fossi. Non manca molto a mezzanotte».
Rose sbuffò, ma obbedì. Harry aspettò che la nipote lasciasse la stanza, poi si rivolse al figlio:
«Albus, quante volte vi ho detto che non dovete entrare qui dentro senza dirmelo?».
«Tante. Davvero mi dispiace. Scusami» replicò lui.
«Al, so benissimo che la curiosità alle volte spinge a comportarsi in maniera irresponsabile. Io ed i tuoi zii abbiamo infranto le regole un numero infinito di volte, mettendoci in mezzo a cose più grandi di noi. Non voglio fare l’ipocrita rimproverando te e Rose, però statene fuori, ok? Io non ho potuto scegliere un’infanzia spensierata, a voi invece nessuno ve l’ha mai negata».
Al annuì mortificato. Harry gli scompigliò i capelli affettuosamente per fargli capire che non era troppo arrabbiato. «Per favore, non farti trascinare sempre da Rose. Ragiona con la tua testa. Me lo prometti?».
«Sì, promesso».
«Bene, ora scendiamo. Si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto».
*

 
«James, sbrigati è quasi mezzanotte!».
«Arrivo, mamma. Vado a chiamare Samuel».
James salì lentamente le scale per non far rumore. Entrò in camera di Al e chiamò Ombrosus, il gufo del fratello. Strappò un pezzo di pergamena da quelle di scorta, che Al aveva ordinatamente impilato sulla scrivania e scrisse rapidamente.
«Ehi amico, Lione è a caccia. Fammi un piacere, ok?».
Il gufo tubò, quasi ad annuire, e gli porse la zampa. Legò il foglietto e poi si avvicinò alla finestra. La aprì ed attese. Probabilmente il gufo del fratello, in attesa di sapere a chi dovesse consegnare il messaggio, lo stava prendendo per pazzo.
Non ci volle molto che un altro gufo volò fuori dalla finestra di Samuel, James si voltò verso Ombrosus ed ordinò:
«Seguì quel gufo e consegna il messaggio al suo padrone».
James osservò il gufo del fratello sparire nella notte e strinse stretto il davanzale della finestra, incurante dell’aria fredda che gli frustava il volto. Il messaggio era breve e semplice:
“Chi sei? Rispondimi!
James Sirius Potter”.
 

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Capitolo 19
*** Scoperte spiacevoli ***


Capitolo diciannovesimo.

Scoperte spiacevoli

Albus era seduto alla scrivania e tentava di finire i compiti di Difesa, gli aveva lasciati per ultimi perché il padre era riuscito a liberarsi solo la sera prima per spiegargli ciò che non aveva capito. La spiegazione era stata molto chiara, adorava ascoltare suo papà perché sapeva come spiegare i concetti più complessi al contrario di Robards; nonostante ciò in un’ora non aveva scritto nemmeno una pagina. Ogni frase che buttava giù, puntualmente la cancellava pochi secondi dopo: li sembrava che nulla sarebbe andato bene al suo professore.
Si voltò di nuovo verso la finestra alle sue spalle, non avrebbe saputo dire se alla ricerca di ispirazione o di una semplice distrazione. Un puntino in lontananza attirò la sua attenzione. Si muoveva in modo strano. Si avvicinò per vedere meglio: erano sicuramente due gufi. Uno dei quali era Ombrosus. Comprese subito che c’era qualcosa che non andava: l’altro gufo decisamente più grosso trasportava il suo. Spalancò la finestra con il cuore in gola e si spostò per fargli passare. Un urlo gli rimase bloccato in gola, quando vide il suo gufo insanguinato ed apparentemente privo di vita. No, non apparentemente. Il gufo più grosso gettò Ombrosus a terra e volò via.
Al si sentì impotente e non si preoccupò nemmeno di asciugarsi le lacrime che li bagnavano le guance, mentre guardava il suo gufetto ucciso senza pietà e con l’uroboro inciso a fuoco sul dorso.
*
«Signore, ho i risultati dell’autopsia. Sono arrivati ora dal San Mungo».
Harry alzò il capo dalle carte che stava firmando e fece segno alla ragazza di avvicinarsi.
«Che dicono?» domandò aprendo la cartellina.
«Quell’uomo è morto per aver ingerito della ricina. È il più potente dei veleni esistenti al mondo e nessuno ad oggi è riuscito a creare un antidoto. Per essere chiari è sette volte più potente del veleno di un cobra e seimila volte più del cianuro. Viene estratta da un’euforbiacea, il ricinus communis, diffusa in tutto il mondo ma originaria dell’Asia e dell’Africa, ed in forma inselvatichita anche in Italia. Alcuni gruppi terroristici babbani la usano come minaccia alla stregua di un’arma biologica. Oltre che per ingestione la ricina si può assumere per inalazione o iniezione. Il guaritore Goldstain ha aggiunto una nota alla fine del referto: ritiene che l’uomo non doveva essere al corrente delle caratteristiche di questo veleno perché l’ha visto con i suoi occhi leccarlo dal colletto della divisa, ma già le sue narici si sono impregnate della tossina nel momento in cui ha strappato il colletto della veste».
Harry annuì: il ragionamento di Anthony era corretto, ma poneva solo ulteriori interrogativi.
«Chi era quell’uomo? L’avete scoperto?».
«No, signore. Non aveva documenti con sé. Abbiamo buoni motivi per pensare che sia entrato clandestinamente in Gran Bretagna».
«Diciamo pure che è stato fatto entrare… Diramate la sua foto agli altri Ministeri, voglio sapere da dove proviene».
«Si, signore».
Harry vide la ragazza tentennare un attimo come se volesse chiedergli qualcosa, impiegò qualche minuto per ricordarsi della richiesta di permesso che glie era passata tra le mani quella mattina. Decisamente aveva a che fare con troppi documenti. Era la parte che gli piaceva meno del suo lavoro.
«Elisabeth, ho firmato il tuo permesso questa mattina» le comunicò con un lieve sorriso. Aveva preso in simpatia quella ragazza fin da quando si era diplomata all’Accademia pochi anni prima. Era un ottimo Auror, sempre presente e sempre attenta. La vita era stata un po’ ingiusta con lei. E con chi non lo è? Era una ragazza-madre, ma proprio per questo la stimava moltissimo.
«Grazie, signore», replicò lei evidentemente sollevata, «Davie si è preso l’influenza e volevo portarlo al San Mungo per un controllo».
«Tranquilla, assicurati che non sia nulla di grave».
«Harry».
Gabriel Fenwick entrò nell’ufficio con un’espressione alquanto preoccupante accompagnato da un agente della Squadra Speciale Magica.
«L’agente Jefferson, ha un messaggio per te dal Capitano Steeval».
«Capitano Potter, questa mattina ci è stato segnalato uno scoppio di magia in un quartiere babbano. Una nostra pattuglia si è recata sul posto. C’è stato un omicidio ed il Capitano Steeval vuole che lei lo raggiunga sul posto con i suoi uomini. Non mi ha dato spiegazioni in merito».
Harry si trattenne dall’imprecare.
«Gabriel chiama Ron e un altro paio di uomini. Preparatevi ad intervenire».
Gabriel annuì e si affrettò ad obbedire.
«Dove?» chiese all’agente Jefferson.
«Nell’Est End, signore. Un orfanotrofio babbano, che si chiama Isola felice o una cosa del genere».
Harry sentì un macigno sullo stomaco: era lo stesso orfanotrofio dove era cresciuto Samuel.
«Elisabeth vieni anche tu».
«Sì, signore».
*
«Al, mi presti una pergamena… Oh, santo Merlino, che diavolo è successo?».
James si avvicinò al fratello e lo scosse.
«Ombrosus… io… io non lo so…».
«Mi sa che è colpa mia… perdonami Al. Sul serio io non potevo sapere…» mormorò costernato, cercando di ignorare la paura che si faceva spazio nel suo cuore.
«Tu? Cosa centri tu?» domandò con voce bassa e minacciosa Albus, voltandosi verso di lui.
James sapeva che suo fratello era sì una persona mite e di indole pacifica, ma anche la sua pazienza aveva un limite e quando si arrabbiava non disonorava le generazioni Potter e Weasley che lo avevano preceduto e quindi si affrettò a spiegare. Non aveva voglia di litigare, si sentiva davvero in colpa per quello che era successo.
«Samuel non mi voleva dire a chi scriveva e quindi ho mandato Ombrosus a seguire il suo gufo con un biglietto in cui chiedevo al destinatario di identificarsi. Sir era a caccia, non potevo certo aspettarlo» aveva tentato di fare un discorso logico e conseguenziale, per far capire al fratello le sue buone intenzioni, ma da come lampeggiarono i suoi occhi verdi capì che non ci era minimamente riuscito o comunque Albus era al di là di ogni ragionevolezza.
«TU HAI FATTO COSA? IO TI AMMAZZO».
James cercò di parare l’assalto, ma l’altro per quanto mingherlino ci mise tutta la sua energia e si ritrovarono riversi a terra. James cercò di evitare i suoi pugni, senza reagire: sapeva di meritarselo. Ignorò anche i suoi insulti sconclusionati, misti alle lacrime.
*
«Harry».
Harry si avvicinò al Capitano Steeval.
«Odette Flan, sessantacinque anni, nubile. Dirigeva l’orfanotrofio da undici anni. Babbana. Harry, che diavolo volevano i Neomangiamorte da questa donna?» concluse indicando l’uroboro inciso sulla parete dietro la scrivania.
Harry si passò una mano tra i capelli e poi rispose: «Credo centri Samuel Vance. È cresciuto in quest’orfanotrofio. La donna com’è morta?».
«Un’avada kedavra. Semplice ed indolore. Vieni a vederla da vicino».
Il corpo della donna si trovava vicino alla scrivania. Ad Harry non piacque: era una di quelle che cercavano in ogni modo di sembrare più giovani di quel che erano ed alla fine risultavano più ridicole che altro. La osservò per qualche secondo e poi si rivolse nuovamente a Terry Steeval.
«La sua espressione… sembra sorpresa…».
«Infatti… e la posizione del corpo? Hai notato? Non sembra che stesse cercando di proteggersi o scappare» replicò l’altro, mostrando di essere giunto alle stesse conclusioni.
«Quindi conosceva l’assassino» concluse Harry.
«Signore?».
Harry si voltò verso il più giovane dei suoi uomini. Aveva dato loro ordine di affiancare nelle indagini gli agenti della Squadra Speciale Magica appena erano arrivati: il caso era loro, Terry li aveva chiamati per questo non certo per una consulenza.
«Edward, dimmi».
«Uno dei cassetti della scrivania era chiuso a chiave. L’abbiamo forzato per verificarne il contenuto».
«E quindi?» lo esortò.
«Abbiamo trovato una serie di monili, per lo più di quelli che solitamente vengono donati ai bambini appena nati: piccoli orecchini, medagliette d’oro, qualche ciondolino a forma di crocefisso».
«La donna probabilmente li aveva sottratti ai bambini» costatò Terry.
«Questi però sono particolari» aggiunse il ragazzo, mostrando loro un medaglione d’oro massiccio ed un lamina argentata. Harry li prese e li osservò insieme a Terry.
 «Questo è sicuramente di Samuel. È una runa questo simbolo inciso sulla lamina», disse Terry, «È eoh, nota anche come ehiwaz. Se non ricordo male significa resistenza».
«Anche il medaglione appartiene ad un mago» s’inserì Edward.
«Come fai ad esserne sicuro? È solo un medaglione, potrebbe appartenere a chiunque» replicò Harry.
«Mi permetta di insistere, signore. Vede questo simbolo?», chiese, indicando l’incisione sulla superfice aurea: un serpente a tre teste dall’aria particolarmente minacciosa. «È quello della famiglia Selwyn. Mio padre mi ha costretto ad imparare a memoria tutti gli stemmi araldici delle famiglie Purosangue più antiche quando ero piccolo. Inoltre le famiglie purosangue donano sempre la bulla al nuovo rampollo. Ho un medaglione simile con lo stemma della mia Casata».
Harry lo osservò sorpreso per qualche istante. Gli credeva: Edward apparteneva all’antica famiglia dei Burke e a questo genere di tradizioni vi era avvezzo fin da bambino purtroppo. Quell’informazione non lo rallegrava di certo: non era altro che l’ennesimo tassello che collegava al piccolo Samuel.
«È possibile. La madre di Samuel era una Selwyn».
«Quindi la Flan ha tolto la lamina ed il medaglione al bambino quando è arrivato all’orfanotrofio… potrebbero esserci i Selwyn dietro questa storia?» ipotizzò Terry.
«Potrebbero. Ma per quello che ne so, l’ultima Selwyn ha lasciato il paese circa sei anni fa».
«La Flan o il bambino avevano contatti con lei? Siamo sicuri che lei non sia più tornata?».
«No, ma indagheremo» sospirò Harry.
«Io ed i miei uomini siamo a disposizione».
«Grazie, Terry».

Harry lasciò i suoi uomini ad analizzare il piccolo ufficio ed a interrogare i presenti e rientrò in ufficio.
«Mandami Landerson» disse alla sua segretaria.
Il giovane Auror lo raggiunse poco dopo con il suo immancabile sorriso beffardo sul volto.
«Mi ha fatto chiamare, signore?».
«Sì. Manda all’orfanotrofio dove c’è stato l’omicidio una squadra di obliaviatori e parla con il Capo dell’Ufficio Relazioni con i Babbani vorrei che intervenissero o facessero intervenire qualcuno perché non piace il modo in cui vengono trattati quei bambini».
«Agli ordini signore». Fece per andarsene e poi tornò indietro lievemente imbarazzato, atteggiamento strano per lui. «Ah, signore… dimenticavo… in sua assenza l’ha cercata Teddy… mi ha chiesto di riferirle che se non ha impegni urgenti sarebbe il caso che lei andasse a casa».
«A casa?», domandò alzandosi di scatto, «che cos’è successo?».
«Non lo so… Teddy non me l’ha spiegato».
Harry si precipitò fuori dall’ufficio, cercando di ragionare: Teddy era rimasto a casa con i ragazzi perché lui e Ginny erano entrambi a lavoro, senza contare che Lily non aveva la minima voglia di studiare e solo sollecitata in continuazione tendeva ad applicarsi e Teddy era la persona più adatta a seguirla; il suo figlioccio non avrebbe mai chiamato senza un buon motivo, ma allo stesso tempo non doveva essere qualcosa di grave in caso contrario Teddy avrebbe insistito con Landerson e sarebbe stato chiamato mentre era all’orfanotrofio. Fuori dal Ministero si smaterializzò in un vicolo deserto. I suoi sensi allenati per prima cosa, quando mise i piedi sul giardino sul retro di casa sua, li dissero che non c’era nulla di strano. La piccola villetta era tranquilla. Rincuorato spinse la porta sul retro della cucina ed entrò in casa. Sentì voci concitate provenire dal piano di sopra, ma nulla di preoccupante. Salì al piano superiore e vide che erano tutti radunati nella stanza di Albus.
«In Difesa dovreste essere bocciati tutti», disse irritato facendoli sobbalzare, «non mi avete sentito arrivare e la porta della cucina era aperta. Vi ho detto un milione di volte di chiuderla!».
«Me la sono dimenticata. Scusa zio» replicò Rose.
«Mi dispiace di averti disturbato al lavoro Harry, ma ho ritenuto opportuno farlo… ecco vedi…» iniziò Teddy incerto, costatando il nervosismo del padrino.
«JAMES HA UCCISO IL MIO GUFO» urlò Albus.
Harry lo osservò basito: presentava il labbro inferiore gonfio ed una guancia graffiata, ma soprattutto non era da lui alzare la voce in quel modo. Sembrava sconvolto.
«Al? Tutto ok?».
«Ombrosus è stato ucciso» mormorò indicando il gufetto che nessuno aveva ancora toccato su ordine di Teddy.
«Sì, ma non sono stato io… cioè è colpa mia, ma non sapevo! Non volevo che finisse così» biascicò James.
Harry prese nota del volto graffiato del primogenito: «Avete fatto a pugni?» chiese severo. Se c’era qualcosa che proprio non tollerava era chi alzava le mani per risolvere le contese, a maggior ragione se si trattava dei suoi figli. I due assunsero un’espressione colpevole che rispose da sola.
«Li ho sentiti litigare e sono venuto a controllare, li ho separati ed Albus mi ha detto del suo gufo».
Harry si passò una mano tra i capelli per mitigare la rabbia. Vano tentativo.
«Mi sono spaventato! Mi hai chiamato per un loro litigio?» chiese rivolgendosi direttamente al figlioccio.
Teddy sospirò, intuendo che il padrino non aveva afferrato la situazione essendo più interessato a costatare che stessero tutti bene: «Naturalmente no. Harry, il gufo è stato marchiato con l’uroboro».
Harry impiegò qualche secondo ad elaborare le sue parole, dopodiché in pochi passi si avvicinò all’esserino che non aveva nemmeno notato e che Al gli aveva indicato. Si inginocchiò e lo osservò per qualche minuto. Evocò una scatola e lo mise là dentro.
«Dove lo porti?»
Si alzò e guardò il figlio minore dritto negli occhi: vi lesse paura, la stessa che aveva quando Ginny l’aveva portato via dalla stanza da letto della zia Muriel ormai defunta. Sentendo la rabbia scivolare via, istintivamente lo accarezzò senza però distogliere lo sguardo: «Voglio farlo esaminare».
«Perché l’hanno ucciso?».
«Al, cercherò di scoprirlo… a chi l’avevi mandato?».
«Chiedilo a James. È colpa sua».
James, senza aspettare che lui gli ponesse la domanda, raccontò come aveva visto Samuel scrivere a qualcuno e di come non avendo ottenuto spiegazioni, dopo aver litigato con lui, avesse scritto il bigliettino per il misterioso mittente e mandato Ombrosus per scoprire qualcosa.
«Ma sei impazzito?», sbottò Harry, «Chi credi di essere a mandare certi bigliettini ed aspettarti anche che ti venga risposto?! Non ho parole per la tua stupidità!».
James ascoltò a capo chino il resto della predica: cavoli se si sentiva stupido.
«Samuel a chi diamine scrivi?» domandò poi Harry, ponendo la sua attenzione sul ragazzino, che per tutta risposta scoppiò in lacrime.
«Oh, Merlino» borbottò Harry, che non era minimamente dell’umore per sopportare certe reazioni.
Fortunatamente gli venne in aiuto Teddy: «Samuel rispondi alle nostre domande. Ti sei messo in qualcosa di troppo grande e pericoloso per te. L’altro giorno siete stati attaccati dai Neomangiamorte ed ora il gufo di Al è stato ucciso. Quelle persone non scherzano».
«Prima credevo che fosse la mia mamma a scrivermi… anche la direttrice dell’orfanotrofio diceva così… poi quando mi hai raccontato che non c’è più, non sapevo a chi credere. Le ho scritto una lettera chiedendole spiegazioni. Mi ha risposto che hai mentito e che non dovevo crederti. Mi ha detto che voleva incontrarmi, sapevo che non mi avreste dato il permesso così quando avete detto a James che avremmo potuto andare a pattinare da soli gliel’ho detto. James mi ha visto è a cominciato a fare domande. Nella lettera che ho inviato a Vigilia di Capodanno le ho detto che non volevo più avere a che fare con lei… una mamma non farebbe mai quelle cose vero?».
Harry voleva sbattere la testa contro il muro: con quale cuore si poteva ingannare un bambino che non desiderava altro che conoscere la sua famiglia?
«Mi dispiace che tu non mi abbia creduto… ora consegnami immediatamente tutte le lettere che ti sono state inviate» avrebbe voluto consolarlo e rassicurarlo, ma non era in grado in quel momento e si rese conto di aver parlato come se avesse uno dei suoi uomini davanti o meglio uno dei suoi uomini che stava per mandare a farsi un bel po’ di guardie ad Azkaban per punizione. Infatti Samuel terrorizzato obbedì subito e corse nella sua camera, dopo pochi minuti tornò con una scatola di latta che gli consegnò.
All’interno trovò una serie di lettere, di cui scorse rapidamente le date nel silenzio generale: alcune risalivano a molti anni prima. Si tolse gli occhiali e si passò una mano sul volto. Qualcuno scriveva al bambino da anni spacciandosi per la madre e quel qualcuno non aveva buone intenzioni; la direttrice Flan era al corrente di tutto ciò e probabilmente conosceva il mittente. Ma che cosa volevano da Samuel? Quel bambino non aveva nulla di particolare: nessun potere fuori dalla norma e un intelligenza nella media. Proprio non capiva. Sospirò e si rimise gli occhiali.
«Le lettere sono sequestrate e guai a te se qualcuno che non conosci ti scrive e gli rispondi senza comunicarlo a me o quando sarai ad Hogwarts ad un insegnante. Per questa volta chiuderò un occhio. È chiaro?».
«Sì, signore» rispose lui, tirando su col naso.
Aveva parlato di nuovo da Capo Auror? O Merlino quando era arrabbiato non riusciva a non farlo. Per mitigare il rimprovero lo accarezzò e gli scompigliò un po’ i capelli. Samuel sembrò tranquillizzarsi un pochino.
«Io devo andare adesso. Teddy per favore sistema i graffi di Jamie ed Al… Quanto a te James mi pareva di essere stato chiaro su che cosa sarebbe successo se ti avessi beccato ad alzare le mani, o no?». James annuì avvilito. «Bene, stasera mi aspetto che mi consegni il tuo manico di scopa».
«No, aspetta papà», lo richiamò Albus ed Harry si voltò verso di lui interrogativo, «Sono stato io ad iniziare, lui ha cercato solo di difendersi. Non voleva fare a botte… ha cercato di respingermi e ho sbattuto contro il letto… ecco perché ho il labbro gonfio… non è stato lui». Albus arrossì sia per la confessione sia molto probabilmente per l’ennesima prova della sua goffaggine.
Harry incrociò le braccia al petto e lo osservò per qualche secondo, non sapendo che cosa dire: solitamente nelle loro liti la vittima era sempre stata Al e per questo se l’era presa subito con James. Tentava sempre di essere equo nel giudicare i figli, ma Albus sembrava davvero sconvolto, anzi lo era: il fatto che avesse alzato le mani sul fratello ne era un segno equivocabile.
«Per favore uscite tutti?» chiese retoricamente. Obbedirono senza protestare. Una volta rimasto solo con il figlio, lo invitò silenziosamente a sedersi sul letto e si pose accanto a lui, circondandoli le spalle con un braccio.
«Mi dispiace per Ombrosus, Al» avrebbe voluto assicurargli che gliene avrebbe comprato un altro anche quel pomeriggio stesso, ma si disse che avrebbe dimostrato il tatto di un elefante visto che il figlio era affezionato al suo gufetto.
«Sono stupido, vero? A reagire così? Era un gufo, non una persona» disse lui quasi in un sussurro.
«No, non sei stupido. E gli animali sono creature viventi e lui era affezionato a te… credo che in caso contrario sarebbe scappato dopo tutte le volte che Freddie, Lily, Lucy e James hanno tentato di usarlo come cavia dei loro esperimenti». Albus fece un lieve sorriso in replica ed Harry lo interpretò come segno che si stava calmando. «Anche io ho sofferto quando Edvige è stata uccisa. Era una bellissima civetta bianca, un regalo di Hagrid per il mio undicesimo compleanno… ve l’ho raccontato, no?».
Albus annuì.
«Papà, davvero mi dispiace per come ho reagito… non punire Jamie per favore… se gli vieti di giocare a Quidditch ad un mese dalla partita con i Tassorosso Freddie lo uccide… e poi è colpa mia».
«Non lo farò tranquillo, non ho intenzione di punirlo per qualcosa che non ha fatto… è stato molto stupido a mandare quella lettera, ma credo che questo l’abbia capito e poi se c’è qualcuno che ha sbagliato siamo io e la mamma perché non ci siamo preoccupati della corrispondenza di Samuel… Ciò non toglie che avreste potuto farvi male, mi raccomando Albus i gesti compiuti per rabbia sono pericolosi e spesso inutile… ora che ti sei calmato, pensi di aver ottenuto qualcosa azzuffandoti con Jamie?».
Al scosse la testa, biascicò delle altre scuse ed appoggiò la testa sulla sua spalla.
«Quegli uomini vogliono farci del male?» chiese dopo un po’.
Harry fu colto alla sprovvista dalla domanda, ma poi preferì rispondere sinceramente: «Sì, ma farò di tutto per proteggervi».
 

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Capitolo 20
*** La dolce Tassorosso ***


   Capitolo ventesimo.
La dolce Tassorosso

«Weasley! Dovresti aspettarmi!»
Dominique sorrise e si voltò verso il ragazzo: «E tu dovresti abbassare la voce se non vuoi svegliare tutto il castello! E mai possibile che non riesci a starmi dietro?».
Lui sbuffò evidentemente infastidito dal suo atteggiamento. «Questa sì che è sfortuna! Solo tu potevi capitarmi come compagna di ronda la prima sera…».
Dominique si bloccò di colpo e lo squadrò mentre la raggiungeva: Matthew Fergusson, Prefetto Corvonero, forse il migliore studente del loro anno ed uno dei preferiti della McGranitt, aveva la carnagione chiara, capelli neri in quel momento arruffati. Era un ragazzo adorabile in effetti, ma un irrimediabile secchione.
«La McGranitt si è raccomandata di stare attenti… Secondo te siamo davvero in pericolo o stanno esagerando tutti quanti?» gli chiese quando fu al suo fianco.
Matthew la osservò serio e rispose: «Non lo so… Hai letto la Gazzetta del Profeta stamattina?».
«Sì, ma loro godono nell’allarmare la popolazione… Mio zio non si esprime, ma si vede che è preoccupato».
«Mmm cerchiamo di stare attenti, non credo che tuo zio sia il tipo da scatenare il panico. D’altronde siamo a quota quattro pozionisti trovati morti».
«Sì ma l’ultimo non è stato ucciso qui in Inghilterra».
«No, a Tokyo. Da quello che ha scritto Finnigan tuo zio sta facendo i salti mortali per ottenere un permesso per estendere le indagini lì».
«Non credo abbia molte possibilità. La Sketeer dice un sacco di idiozie, ma è probabile che mio zio e Draco Malfoy abbiano discusso davvero».
«Sì, lo penso anche io. Il punto è che non dipende solo da Malfoy: immagino sia anche suo interesse risolvere questa situazione».
«Non capisco perché non gli dà l’autorizzazione a recarsi in Giappone allora».
«La Sketeer ha detto che non lo vuole autorizzare Malfoy, ma secondo me è molto probabile che siano i Giapponesi a rifiutarsi. Il loro è un governo tendenzialmente chiuso, non ama i rapporti con i Ministeri stranieri. Tuo zio vuole praticamente sostituirsi a loro nelle indagini».
«Che ne sai tu di quello che fanno i Giapponesi?».
«Ho seguito un corso al Ministero quest’estate».
«Uh, che noioso… Ho sempre odiato quei corsi. Mi zio ci porta sempre mia cugina».
«Ehm non stiamo parlando più dello stesso zio, vero?».
Dominique rise: «No, naturalmente. Parlavo del padre di Molly».
«A proposito non sapevo che tua cugina si fosse rimessa con Jackson».
«Cosa? Mia cugina non ha più nulla a che fare con quello dalla Festa dell’Amicizia».
«Veramente lei e Jackson erano insieme al tuo compleanno».
«Stai scherzando?».
«No, Dominique. Sai che non mi piacciono i pettegolezzi, ma Molly è strana. Fabian stamattina mi ha detto di aver litigato con lei perché avrebbe dovuto stilare il calendario delle ronde per il mese di gennaio e se n’è dimenticata».
«Scusa e noi che ci facciamo qui?».
«Fabian, vuole essere considerato il miglior studente del settimo anno e quando tua cugina gli ha detto in quel modo lui era pronto ad andare dalla McGranitt…».
«Parker è uno stronzo».
Matthew la ignorò e continuò: «Ho cercato di fargli capire che avrebbe fatto una figura migliore se avesse risolto il problema, così mi ha mollato la ronda di questa sera…».
«… e l’ha mollata anche a me perché sono una Weasley».
«Esattamente. Purtroppo credo che andrà comunque a parlare con la Preside».
«Dirò ad Edmund di convincere suo fratello a non farlo».
«Oh sì, il piccolo Ed ti obbedirà subito» replicò acido Matthew.
«Che cos’hai contro Edmund?».
«È il tuo zerbino personale, non è il tuo ragazzo…».
«Ma come ti permetti????» sbottò Dominique furiosa e così cominciarono a battibeccare e non smisero per tutta la durata della ronda.
*
«Isobel, sei sicura di voler venire a lezione con noi?» si preoccupò Elphias.
La ragazzina sospirò e gli rivolse uno sguardo amareggiato: «No, non voglio venirci… ma mia zia non mi ha dato scelta».
Rose imprecò contro la Preside in modo tanto volgare, che Albus ringraziò Merlino che zia Hermione non potesse sentirla da Londra.
«Su, Mcmillan non è così male» provò Alastor beccandosi un’occhiataccia dai compagni.
«Taci, che sei un disastro in Pozioni» replicò Rose.
«E soprattutto se non ci muoviamo faremo tardi e poi vedi se Mcmillan non è così male» li richiamò Cassandra Cooman.
I ragazzi si diressero in silenzio verso i sotterranei.
«Mmm ragazzi, credo di essermi dimenticata qualcosa…» ruppe il silenzio Rose, giocherellando con un orecchino a forma di piuma.
«Riguardo cosa?» le chiese Cassy.
«Riguardo Pozioni, credo».
Tutti si fermarono e la osservarono tra il divertito ed il rassegnato.
«Rosi», tentò di non scoppiare a ridere Cassy, «non ti riferisci alla verifica di fine primo quadrimestre, vero?».
«Oh, cavoli» strabuzzò gli occhi Rose.
Albus si coprì il volto con le mani per la disperazione, prima di sbottare: «Non ho fatto altro per tutte la vacanze che supplicarti per studiare insieme… Avevo cominciato ad odiarti perché mi hai ignorato per tutto il tempo, ma non so se il fatto che te ne fossi scordata completamente sia più consolante…».
Ripresero a camminare, mentre Rose domandava: «Ma la verifica su cosa sarebbe?».
«Tutto il programma del primo quadrimestre, come ogni anno» replicò Cassy.
Rose sembrò rifletterci per qualche secondo: «Ma sì, chi se ne frega. Io mi siedo con Dorcas di Tassorosso» annunciò ed entrò in classe senza dar loro tempo di ribattere.
«Ma tua cugina è andata completamente?» chiese Elphias ad Al. Quest’ultimo si limitò a scuotere la testa rassegnato. Sì, forse era impazzita del tutto: insomma passa che si fosse scordata la verifica, insomma non era la prima volta (zia Hermione piangerà di gioia quando la figlia si diplomerà), ma sedersi con Dorcas Fenwick, che era sì la Tassorosso più dolce e gentile della Scuola, ma un disastro in Pozioni, era decisamente troppo!
«Io do una mano ad Alastor e Cassy, vuoi sederti con noi?» domandò ancora Elphias distogliendolo dai suoi pensieri. Albus si guardò intorno e vide che c’erano solo due posti liberi: uno accanto a Cassy e l’altro accanto ad Isobel. La compagna sembrava smarrita e spaventata. Sospirò: «No, grazie. Mi siedo con Isobel».
«Siete tutti pazzi» borbottò l’amico. E ne aveva ben donde, di fatto stava rifiutando un sicuro voto alto: Elphias era il più bravo del loro anno in Pozioni.
«Avanti, prendete posto» richiamò la loro attenzione Mcmillan. «Come già sapete, la verifica di fine quadrimestre consiste in una prova teorica ed una pratica. Per ciascuna prova avete a disposizione un’ora. D’altronde potete considerarla una simulazione dell’esame di fine anno».
«Questo per non metterci ansia» borbottò in modo udibilissimo Rose, suscitando le risatine dei compagni.
«Se voi studiaste volta per volta, come vi dico sempre, non avreste motivo di avere ansia. Comunque Weasley stai facendo perdere tempo ai tuoi compagni. Ecco la prova teorica» disse e un blocco di pergamene si autodistribuì. «Avete sessanta minuti da adesso. Guai a chi tenta di fare il furbo».
Albus sospirò scorrendo le domande del test: fortunatamente non erano difficili. Lavorò concentrato per almeno mezz’ora; quando una pedata gli colpì la caviglia si trattenne appena in tempo dal lamentarsi ad alta voce e si voltò interrogativo verso la cugina (solo lei era così manesca). Con sua sorpresa però non era minimamente preoccupata, ma gli indicò Isobel con lo sguardo. Per un momento si sentì in colpa per essersi dimenticato della compagna, ma lei sembrava tranquilla. Approfittò di una distrazione di Mcmillan e le sussurrò: «Finito?».
«Sono facili» replicò lei con una scrollata di spalle. Ok, si sentiva ufficialmente un'idiota. Percependo un’occhiata perforante di Mcmillan sulla nuca, tornò al suo compito. Mentre il professore ritirava le pergamene, si rese conto che sua cugina si era voluta sedere vicino alla povera Dorcas solo per metterla nei guai. E ti pareva? Avrebbe dovuto chiedere ad uno psicomago, forse sua cugina mostrava il suo affetto in quel modo.
«Allora hai letto quel diario che ti ho prestato?».
«Sì, è una bella storia. Ma è solo una leggenda o no?».
Rose fece un sorriso malandrino e per tutta risposta le mostrò il rubino di Grifondoro che portava appeso al collo. Albus sbuffò, ma lei lo ignorò: le aveva detto di non tenerlo lì, spesso le aveva arrossato tutta la pelle del petto anche se mai come quella sera nella loro Sala Comune. «Aiutami a trovare il topazio di Tosca Tassorosso» le chiese senza mezzi termini.
«Bene, per quanto concerne la parte pratica vorrei che realizzaste la Pozione Restringente. Vedete che dopotutto sono buono?». In risposta ci fu un mormorio indistinto che l’insegnante ignorò: «Forza, iniziate».
Albus deglutì: questa era la parte che odiava di Pozioni. Suo cugino Fred lo prendeva in giro affermando che Pozioni era essenzialmente pratica. La faceva facile lui, che aveva talento da vendere in quella materia come nel Quidditch. Magnifico, si stava facendo prendere dal panico. Col cavolo che si sarebbe ricordato gli ingredienti. Si voltò verso Isobel in cerca d’aiuto, ma lei osservava il suo calderone come se stesse per esplodere. Disperato cercò lo sguardo di Rose, che sembrava più interessata a convincere Dorcas a darle una mano con il topazio. Lei colse il suo sguardo e sbuffò: «Anche mio padre si ricorda gli ingredienti di questa pozione».
Albus rimase interdetto dalla risposta: zio Ron non si ricordava un bel niente di Pozioni e ripeteva in continuazione che stava per essere bocciato all’esame finale dell’Accademia Auror per colpa di questa stessa materia. Stava per risponderle male, quando gli tornarono alla mente le parole irate dello zio: E quando Piton mi ha detto: “Weasley, taglia tu le radici a Malfoy”, non so chi avrei picchiato per primo. Ma quando ha preso le mie radici per darle a quella sottospecie di furetto troppo cresciuto avrei voluto fargliele mangiare…. Dopo di che interveniva sempre zia Hermione a redarguirlo, ma nel frattempo si inseriva anche zio Neville che raccontava di come Hermione gli avesse salvato la vita al suo rospo Oscar. Sorrise, Rose aveva ragione: se la sapevano fare zio Neville e zio Ron… Si mise al lavoro con un ampio sorriso sul volto, cosa inedita per quel sotterraneo. Dopotutto sua cugina non era così fuori di testa.
Con soddisfazione si rese conto che la prova forse non sarebbe andata così male. Si voltò verso Isobel e vide che la compagna non aveva nemmeno iniziato a lavorare.
«Isi, che succede?».
«Non ce la faccio Al…», rispose lei con lacrime agli occhi, «Non voglio più vedere una pozione in vita mia». Le mani le tremavano, ma Albus non sapeva proprio come aiutarla.
«Potter! McGranitt! Smettetela di chiacchierare» gli riprese il professore.
Albus lo osservò per un attimo e si rese conto che la sua attenzione era tutta rivolta ad un gruppetto di Tassorosso e quindi non si era minimamente accorto delle condizioni di Isobel. Non sapeva se fosse la soluzione più giusta, ma in quel momento non gliene venne nessun altra in mente: «Professore, credo che Isobel non si senta bene».
Tutti alzarono gli occhi dai loro calderoni spinti dalla curiosità, ma ad un’occhiataccia dell’insegnante tornarono a lavorare. Mcmillan si avvicinò al loro tavolo e Albus si beccò il calcio di Rose in silenzio: sua cugina stava tentando di aiutare Dorcas con la pozione e poteva anche capire che chiamare il professore non era certo la migliore delle idee, ma se avesse continuato in quel modo gli avrebbe rotto sicuramente la caviglia.
«Isobel, se non te la senti puoi uscire» disse lievemente preoccupato Mcmillan.
La ragazzina ricambiò il suo sguardo con tanto d’occhi: «Ma mia zia…».
«So benissimo che cosa ha detto tua zia, ma ritengo che non abbia senso che tu rimanga in aula se non sei in grado di lavorare. Inoltre questa prova dovrebbe verificare il vostro grado di apprendimento dei vari argomenti trattati fino a questo momento e tu non hai seguito nessun altra lezione fino ad ora. Riparleremo della questione in privato. Ora ti suggerisco di recarti nella tua Sala Comune in attesa della cena».
«Grazie, professore» replicò Isobel, palesemente sollevata. Raccolse velocemente le sue cose ed Albus dovette aiutarla perché ancora le tremavano notevolmente le mani.
«Ci vediamo dopo» le sussurrò.
«Grazie» rispose lei, regalandogli l’accenno di un sorriso.
Albus si concentrò di nuovo sul suo calderone. Alla fine dell’ora consegnò la fiala piena della sua pozione a Mcmillan, che la prese con un sorriso compiaciuto. Beh dopotutto era andata meglio di quanto avesse potuto immaginare.
Rose rimase appiccicata a Dorcas: le due ragazze erano amiche dal primo anno. Per quello che aveva capito Albus, alcuni ragazzi più grande spintonavo e prendevano in giro la Tassorosso e Rose era intervenuta in sua difesa. Sentì chiaramente la loro conversazione, mentre si avviavano in Sala Grande per la cena:
«Va bene, Rose. Ti darò una mano, se può servire a sconfiggere i Neomangiamorte».
Secondo lui sua cugina stava esagerando, non avrebbe dovuto illudere tutti gli amici.
«È quello il nostro principale obiettivo».
«Ragazzi, ragazzi».
Jonathan veniva loro incontro quasi correndo: «Vi devo parlare di una cosa importante». Li trascinò quasi di peso in un corridoio deserto, ignorando le lamentale di Rose, che diventava intrattabile quando le facevano fare tardi a cena. «Vi ricordate di quel ragazzo che avevo paura mi avesse visto quando ho preso lo zaffiro?».
«Sì, ma avevamo concordato sul fatto che ti avesse solamente preso per pazzo» replicò Rose irritata.
«Ma non è così! Sono giorni che mi sento osservato…».
«Sei paranoico» tentò di tagliar corto Rose.
«No! Lo pensavo anche io, ma poi ci ho fatto più attenzione ed ho visto che casualmente era sempre gli stessi ragazzi a circondarmi! Gente che non mi ha mai filato e con cui non ho mai parlato. Così ho indagato: il ragazzo che mi ha visto quella sera si chiama Mike Douglas, VI anno. Per quello che sono riuscito a capire è legato alla famiglia Yaxley. Una delle poche Purosangue rimaste, ma tendenzialmente rischia l’estinzione in quanto l’ultimo discendente in linea maschile era un Mangiamorte ed è stato rinchiuso ad Azkaban. Mike è figlio della sorella».
«Ah però» commentò Elphias.
«Non facciamoci prendere dai pregiudizi. Che importanza ha chi è suo zio?».
«Nessuna forse, ma ti giuro che non mi piace come mi guarda» concluse Jonathan.
*
«Frank». Il ragazzino alzò lo sguardo dalle sue patate al forno ed osservò sorpreso la compagna. «Volevo chiederti scusa» disse Gretel Finnigan tutto in un fiato. «E ringraziarti. Grazie a tuo padre, finalmente i miei hanno capito che non hanno nulla da vergognarsi se sono dislessica. Ora che lo sanno anche i prof e tutto un po’ più facile, almeno ora Robards non potrà più dirmi che sono un’incapace svogliata. Sapete, ho scoperto che se lo facesse potrebbe perdere il posto. In effetti sarebbe una buona soluzione per togliercelo dai piedi. Diventerei la ragazza più popolare della Scuola».
Frank e Roxanne risero.
«Bentornata, Gretel» disse poi il primo abbracciandola.
*

«Lily, è una cosa assurda! Finiremo nei guai!».
«Oh, stai zitto Marcellus. Nessuno saprà che siamo stati noi» replicò Alice al posto dell’amica.
«Sì, ma è vandalismo» insistette lui cercando appoggio da Hugo. Quest’ultimo si guardò nervosamente intorno: il corridoio era deserto e non si sentiva nemmeno un rumore. Avevano atteso che i Prefetti concludessero la consueta ronda prima di uscire dalla loro Sala Comune. In effetti se li avessero beccati, non li avrebbero certo fatto i complimenti.
«E comunque anche mio padre l’ha fatto quando era studente» disse Alice come a chiudere la questione.
«Giusto, anche mia madre» aggiunse Lily, agitando la bomboletta spray che aveva in mano.
«Che cosa?!», esclamò sorpreso Marcellus, «Il professor Paciock scriveva sui muri da ragazzo?».
«Aspetta, aspetta…», intervenne Hugo, «Sì, lui, zia Ginny e zia Luna l’hanno fatto, però non potete paragonarvi a loro! Insomma il nostro è un gesto immaturo e di infantile ribellione alle regole; all’epoca, invece, la Scuola era nelle mani dei Mangiamorte. Mica è la stessa cosa!».
«Infantile ribellione?», ripeterono in coro Lily ed Alice disgustate, «Ma chi ti ha insegnato a parlare?».
«Dobbiamo farlo? Allora sbrighiamoci» tagliò corto lui, consapevole di combattere una battaglia persa in partenza. Lily scosse la testa e si concentrò sulla parete di fronte a lei. Pochi minuti dopo, avvertiti da un sommesso miagolio, scapparono verso la Torre di Grifondoro. Gazza al suo arrivo trovò solo un’ampia scritta scarlatta:
“PREPARATEVI, I MALANDRINI SONO TORNATI”.
 

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Capitolo 21
*** La bontà di Tosca ***


Capitolo ventunesimo.
La bontà di Tosca

Harry si affrettò nel familiare corridoio del settimo piano, seguito da Ron e da Gabriel. A causa dell’omicidio del pozionista giapponese aveva dovuto rimandare più volte l’incontro con la Preside, ma finalmente quella sera aveva trovato il tempo per recarsi ad Hogwarts. Le indagini purtroppo erano ad un punto morto: i Giapponesi si erano rifiutati categoricamente di farlo entrare nel loro paese. Maledetti testardi! Nella casa di Moki era stato inciso l’uroboro. Si era addirittura sbilanciato fornendo dettagli delle sue indagini per convincerli a collaborare, ma non era servito a nulla. Il risultato era stato che Malfoy l’aveva bandito dal suo ufficio ed era dovuto intervenire anche Kingsley per placare le acque internazionali: i giornalisti di tutto il mondo, aizzati dagli stessi Giapponesi, avevano cominciato a sbizzarrirsi attaccando la Gran Bretagna, affermando che il suo obiettivo fosse quello di intromettersi nei governi degli altri Stati. L’unica cosa che aveva ottenuto era stato l’incontro con un agente speciale giapponese: meglio di niente. In realtà doveva ammettere che lui stesso avrebbe visto di cattivo occhio chiunque avesse tentato di impicciarsi nelle sue indagini, a maggior ragione uno straniero. A sua discolpa poteva solo dire che quello che aveva vissuto combattendo contro Lord Voldermort fosse un deterrente sufficiente a mettersi contro tutti, per la sola paura che il passato potesse ritornare sul serio.
«Harry? Mi stai ascoltando?».
«Scusami, Gabriel. Ripeti per cortesia».
«Ti stavo dicendo che poco prima di uscire Elisabeth mi ha comunicato di aver scoperto da dove provenisse il Neomangiamorte che si è suicidato nel Quartier Generale della Squadra Speciale Magica».
«E me lo dici adesso?».
«E da quando ci siamo smaterializzati che cercò di attirare la tua attenzione» replicò l’altro seccato.
«Giusto, scusami. Ti ascolto».
«Si chiamava Aamil Swain. Quarantacinque anni. Originario dell’isola di Tristan da Cunha. Aveva diversi precedenti penali non solo in patria, ma anche in Sud Africa. Il primo a risponderci è stato proprio il loro Ministero. Il Ministero di Tristan ci ha chiesto la salma a nome della famiglia».
«Tristan? Che posto è?» domandò Ron.
«Tristan de Cunha è un arcipelago dell’oceano Atlantico Meridionale. Il governo babbano è legato a quello di Sant’Elena, a sua volta facente parte del territorio britannico. Il Ministero della Magia, invece, gode di piena autonomia dall’inizio della guerra contro Colui-che-non-deve-essere-nominato: l’allora Ministro della Magia, Harold Minchum, decise di favorire l’indipendenza di quasi tutti i nostri territori oltremare, poiché la situazione qui era già tesa per l’ascesa del Signore Oscuro e sarebbe stato impossibile per chiunque tenere tutto sotto controllo. L’isola principale porta lo stesso nome dell’arcipelago. A differenza di altri territorio con cui vi è ancora oggi un’aperta collaborazione, i rapporti con l’isola, dove risiede tutt’oggi il governo centrale, si sono rarefatti quasi subito. In fondo si tratta di uno degli insediamenti umani più remoti. Per capirci non esistono né porti né aeroporti. Le altre isole che si ricordano sono l’Isola Inaccessibile, l’Isola di Nigthingale e l’Isola Gough…».
«Come fai a sapere queste cose?» chiese Ron esterrefatto.
«Elisabeth mi ha consegnato il rapporto prima di tornare a casa. L’ho lasciato sulla scrivania di Harry».
«Lo leggerò domani mattina», replicò Harry bloccandosi a poca distanza dai gargoyle della presidenza, «C’è altro di importante che devo sapere?».
«Sì, il nostro Ministero ha sempre trascurato i rapporti con Tristan, proprio perché è così lontano. Anche per questo hanno tardato a rispondere alle nostre richieste: non amano aver a che fare con noi. Già prima della loro indipendenza, di fatto si autogovernavano. Ci hanno chiesto la salma ma hanno rifiutato di darci qualunque informazione su Swain».
«E le informazioni che abbiamo da dove vengono?».
«Il Ministero del Sud Africa ci ha inoltrato un identikit. Ci hanno avvertiti che essenzialmente si trattava di un mercenario. Ho già inoltrato una richiesta per poter visionare i suoi movimenti economici. Spero il Sud Africa ci risponda al massimo entro domani pomeriggio. Ho paura però che Tristan non ci risponderà mai e non abbiamo nessun motivo per trattenere la salma né sarebbe moralmente corretto».
Harry sbuffò e poi ordinò: «Prima di tornare a casa, vorrei che chiedessi a Steeval di rafforzare i controlli su tutte le vie di accesso alla Gran Bretagna, babbane e magiche».
«Harry, non penserai davvero che un esercito di mercenari possa entrare nel nostro paese per vie non magiche! Anche i Babbani fanno controlli attentissimi su tutti coloro che entrano nel nostro territorio».
«E se avessero documenti falsi? O se avessero tutte le carte in regola per entrare in Inghilterra? I Babbani non avrebbero motivo di fermarli. E se mettessero le varie guardie sotto Imperius? Non possiamo escludere nulla… Adesso andiamo la McGranitt ci sta aspettando».
«Dai Harry, dì la parola d’ordine. Theo mi aspetta a casa».
«Animagus».
Harry lasciò che gli amici lo precedessero sulla scala a chiocciola e si passò una mano sul viso. Gabriel bussò ed entrò insieme a Ron. Harry capì che quella serata sarebbe stata ancora più lunga del previsto, appena mise piede nel familiare ufficio circolare: Rose ed Albus erano in piedi di fronte alla scrivania della Preside, accanto alla quale stava Neville con volto corrucciato e le braccia incrociate. In un angolo c’era Madama Pince palesemente furiosa. Strinse la mano ai tre adulti, subito imitato dagli amici, e scompigliò i capelli al figlio, che sembrava davvero preoccupato.
«Bene. Signor Potter, signor Weasley fortunatamente avevamo già un appuntamento o avrei dovuto convocarvi appositamente» disse ironica la Preside. Harry lanciò un’occhiataccia a Ron, che aveva assunto un’aria spaventata: il cuor di leone lasciava ad Hermione i colloqui con la Preside, che purtroppo con Rose non erano stati rari in quei due anni e mezzo. Certo una McGranitt ironica spaventava anche a lui. Sospirò e invocò tutta la sua pazienza:
«Che cosa hanno combinato i ragazzi, professoressa?».
«Sono accusati di aver iteratamente sottratto dei libri dal Reparto Proibito della biblioteca».
«Eh?» Harry gettò una lunga occhiata al figlio, il quale evitò accuratamente il suo sguardo. Insomma Albus di solito non dava mai grattacapi a lui e Ginny, soprattutto per quanto riguardava la Scuola. Ora perché aveva deciso di farsi un giretto nel Reparto Proibito? Nemmeno lui, Ron ed Hermione erano arrivati a tanto!
«Hai capito benissimo, Potter. Magari ora che siete qui, si decideranno a darci una spiegazione. I libri sono il De Potentissimis Potionibus, un vecchio diario, che a dire la verità non aveva nemmeno l’Incanto Antifurto, e Maledizioni e contromaledizioni del professor Vindicatus Viridian».
Harry capì di dover intervenire o veramente quella serata non sarebbe mai finita, e lui non desiderava altro che ritornare a casa da Ginny: «Albus a che cosa vi servono questi libri? Lo sai vero che si tratta di roba oscura?».
«Sì, lo so», rispose lui giocherellando con i piedi ma a nessun sfuggì la rapida occhiata che gettò alla cugina, «Il diario non parla di magia oscura, credo. Comunque non ci servono a nulla».
«Ah, no? E perché mai li avreste presi dalla biblioteca allora?».
«Eravamo solo curiosi, zio» replicò Rose.
«Ma curiosi di che?», si spazientì Harry, «Potrei anche capire che eravate curiosi di entrare nel Reparto Proibito, ma non certo rubare libri del genere! Pensavate di leggerli prima di andare a dormire? Vi abbiamo ripetuto un milione di volte di stare lontani dalla Magia Nera! È possibile che facciate sempre di testa vostra?».
«E dai Harry, non esagerare. Erano solo curiosi. Lo sai che Rosi ha l’intelligenza vivace di Hermione ed è normale che le normali nozioni, che vengono spiegate a lezione non sono sufficienti per lei… senza offesa Neville, s’intende» s’intromise Ron.
«Ron, sul serio mi dispiace contraddirti, ma Rose avrà pure l’intelligenza vivace di Hermione ma non la usa certo per applicarsi a Scuola. Non so che cosa faccia con i miei colleghi, ma a me non consegna i compiti da due settimane. Quelli delle vacanze li ha palesemente copiati da Albus».
«Comunque Ron fa quello che vuoi con Rose, ma io non ho intenzione di giustificare Albus. Ha solo tredici anni, non avrebbe dovuto nemmeno avvicinarsi al Reparto Proibito e men che mai di nascosto» aggiunse Harry, lasciando a Neville lo sgradito compito di aprire gli occhi all’amico sulla figlia.
«Io non ho mai messo piede nel Reparto Proibito» bofonchiò Albus, senza rivolgersi a nessuno in particolare. Zio Ron completamente rosso in volto e tutti gli altri lo fissarono e lui ricominciò a giocherellare con i piedi ancora più nervosamente.
«Potter, quei libri sono stati ritrovati nella tua stanza» disse la Preside, ma Albus non replicò.
«E va bene o penso che mi sentirò in colpa per un sacco di tempo», sbottò Rose, «I libri si trovavano nella stanza di Al perché ce li ho portati io. Volevo che li leggessimo insieme, ma Al è nervoso in questo periodo e abbiamo litigato. Così siamo stati presi di sorpresa dall’ispezione del professor Paciock e della professoressa Spinnet. Sono stata io ad entrare nel Reparto Proibito e io ho preso i libri».
«E di grazia quando l’avresti fatto? Controllo sempre con la massima attenzione che nessuno si avvicini al Reparto Proibito» domandò con tono minaccioso Madama Pince.
«Di notte» ammise Rose rassegnata.
«Non ho parole» si limitò a dire la McGranitt. «Potter puoi andare».
Albus tentennò, non voleva lasciare sola la cugina. Harry si avvicinò a lui e gli diede un buffetto bonario: «Su, obbedisci alla professoressa. Rose se la cava fin troppo bene da sola». Lui obbedì e solo quando fu uscito Madama Pince riprese la parola: «Il libro di Pozioni ha diverse pagine strappate ed è stato visibilmente maltrattato…».
«È solo caduto a terra e non manca nessuna pagina» sbuffò Rose.
«SOLO CADUTO A TERRA?! PROFANATRICE… IO…».
«La prego, Madama Pince…».
«Preside a me non interessa chi dei due ragazzi sia il colpevole, pretendo che qualcuno si addossi le spese del restauro del libro! Mi sembra il minimo per il loro comportamento! È una stampa del ‘700!».
«Io non ho intenzione di pagare nessun restauro» esclamò Rose. «Sta solo cercando una scusa per farlo restaurare a spese altrui!».
«COME OSI?!».
«Ora basta» la voce bassa ed irata della Preside sembrò sufficiente a mettere a tacere le due.
«E comunque», ricominciò, invece, Rose quasi immediatamente beccandosi diverse occhiatacce, «Il libro l’ha lanciato Al. Zio devi far controllare tuo figlio. Ha attacchi isterici ultimamente. Tipo scenate da prima donna».
Harry guardò il suo migliore amico, ma quest’ultimo non sembrava in grado di imporsi sulla figlia. Sospirò: purtroppo avevano cose più importanti delle bravate e dei litigi di due ragazzini.
«Madama Pince, professoressa McGranitt vi assicurò che pagherò il restauro del libro. La pregherei adesso, se non vi è altro che riguarda i nostri figli, di passare al motivo per cui le ho chiesto più volte di incontrarci. Purtroppo la situazione è molto delicata, quindi la prego di non pensare che non mi interesso del comportamento di mio figlio. Al momento, purtroppo, le circostanze mi impongono un comportamento che rispetti la mia posizione nei confronti del Ministero e non della famiglia».
La McGranitt sbuffò: «Potter non la fare troppo lunga, comprendo benissimo. Weasley vai, alla tua punizione ci penserà il professor Paciock. Madama Pince, la prego di andare anche lei e le assicuro che le sue richieste saranno esaudite…».
«Vorrei che ai due ragazzi venisse precluso l’ingresso alla biblioteca per un tempo indeterminato» la interruppe l’altra.
«E chi ci entra» esclamò Rose.
Neville la fulminò con lo sguardo e poi si rivolse alla bibliotecaria: «Garantisco io per i miei Grifondoro. La prego di non vietare l’ingresso ad Albus: qualora riscontrasse un comportamento scorretto da parte sua, le assicuro che sarò il primo a prendere provvedimenti».
«Come vuole, ma lei non la voglio più vedere» acconsentì la donna additando Rose.
«Sarà un piacere reciproco» rassicurò la ragazzina.
«WEASLEY! Vattene nel tuo dormitorio» disse irata la Preside. Quando finalmente Rose e Madama Pince lasciarono l’ufficio, la Preside si rivolse a Neville: «Ti prego, lasciami sola con gli Auror».
«Naturalmente, professoressa. Vorrei solo dire una cosa ad Harry riguardo ad Albus».
«Che ha fatto?».
«Nulla, Harry. Ma al di là del modo di esprimersi di Rose, credo che Albus sia turbato da qualcosa: non dorme bene, non hai visto il suo volto? Ha le occhiaie da giorni. L’ho sollecitato più volte a dirmi quale siano le cause. Lui mi ha risposto che ha scelto troppo materie e sta cercando di stare al passo con tutte, ma mi ha mentito. Si vedeva lontano un miglio. È sempre più distratto anche in classe e non è da lui. Se continua così lo costringerò ad andare da Madama Chips».
Harry si tolse gli occhi e si passò una mano sul volto: «Sono giorni che rientro tardi a casa. Non ho neanche letto le sue ultime lettere; ha sempre risposto Ginny da sola. Non vi nascondo che questa situazione mi preoccupa da morire. I Neomangiamorte sono ben organizzati ed hanno qualcuno che li comanda. E questo qualcuno ha soldi e potere. Ne sono sicuro: non tutti potrebbero permettersi dei mercenari. Aumenteremo le protezioni al Castello, Kingsley ci sta già lavorando e verrà personalmente nei prossimi giorni e gli uomini stanziati ad Hogsmeade sono stati notevolmente aumentati. Ti prego Neville dà tu uno sguardo ad Al e vedi cosa lo turba. Io gli scriverò domani, ma lui non mi darà mai spiegazioni via gufo».
Neville annuì e si congedò.
«Allora Potter, andiamo al dunque. Sei venuto a parlarmi di Samuel Vance, sbaglio?».
«No, non sbaglia. Immagino che Teddy le avrà già raccontato che cos’è successo l’ultimo giorno delle vacanze».
«Sì, l’ha fatto. Ho già avvertito il professor Mcmillan: se qualcuno scriverà di nuovo al bambino ne saremo subito informati e te lo comunicherò».
«Sia lei che la direttrice Flan eravate al corrente che qualcuno scriveva al bambino. Perché non ne sono stato informato e soprattutto perché l’avete permesso? Non ha altri parenti oltre la zia. Era logico che la madre non potesse scrivergli».
«Ascoltami bene Harry. Ho parlato della lettera di Cassiopea solo con te e con Neville. Non so perché la Flan fosse convinta che la donna si trovasse all’estero, forse ha incontrato Bellatrix, o chi per lei, e le è sfuggito durante il nostro incontro; ma in quel momento non ho reputato importante dirtelo. Devo ammettere che ero abbastanza seccata dal modo in cui vedo vengono educati i bambini in quel posto. Dubito che Cassiopea abbia mai parlato con la donna. Era in fuga e ha lasciato il bambino davanti all’orfanotrofio senza molte spiegazioni. Non so dirti se Samuel avesse una lettera con sé quella sera, non ho ritenuto di dover trattare l’argomento con la direttrice Flan. Inoltre credo che Cassiopea abbia cancellato alcuni dei ricordi di Samuel per proteggerlo. Come hai potuto costatare tu stesso, il bambino non sapeva nulla di Emmanuel, però lui il padre lo conosceva anche se lo vedeva raramente. È stata una mia incoscienza non dirti che cosa la donna e Samuel mi avessero detto quel giorno, lo ammetto. Sappi, però, che non tutti i parenti di Samuel sono morti. Probabilmente anche questo mi ha tratto in inganno. Non mi riferisco ad Emmanuel. La nonna paterna dopo l’arresto del figlio ha lasciato il paese e nessuno sa dove sia andata; ma sono sicura che è viva. Harry cercala e restituisci un pezzetto di famiglia a Samuel. È inutile continuare a nasconderlo come ci hanno chiesto Emmanuel e Cassiopea. Bellatrix ormai sa dove trovarlo».
«Va bene troverò la nonna e ho convinto Hermione a far in modo che vengano concessi gli arresti domiciliari ad Emmanuel» replicò Harry.
*
«PACIOCK!».
Frank sussultò e si voltò verso l’uomo che l’aveva chiamato: «Sì, signore?».
«Che cosa vi costa a voi ragazzini di pulirvi le scarpe quando rientrate al castello?», sputò con rabbia Lorentz indicando una striscia di fango lasciata da un gruppetto di Serpeverde lungo il corridoio, «Io sono un magonò! Forse voi siete abituati così a casa vostra perché le vostre mamme agitano la bacchetta e puliscono tutto. Non avete rispetto per chi lavora! Gazza ormai arranca per spostarsi di un metro con quella stupida gatta, che perde peli in continuazione! E Licory, bello quello, quando c’è da sgobbare non si trova mai! Bella la gioventù di oggi! Ma non avete ritegno?».
Frank ascoltò la predica in silenzio ed intimorito. Non capiva perché se la prendesse tanto con lui, insomma le sue scarpe erano perfettamente pulite; non ci aveva nemmeno pensato a mettere piede in cortile: aveva piovuto tutta la notte e si moriva di freddo. Senza contare che avrebbe voluto fargli notare che sua madre urlava come una pazza, se non si pulivano le scarpe prima di entrare in casa. Ma si trattenne perché pensò che non sarebbe stato troppo educato rispondergli. Era abituato con nonna Augusta: spesso le persone anziane si lamentavano con chi li capitava a tiro.
«Ora ti insegno io a fregartene».
«Ma io non ho fatto niente» si lamentò, mentre lo trascinava di peso verso il suo ufficio.
«Che importanza ha? Siete tutti uguali voi mocciosi! Pagherai tu per tutti».
«Ma è ingiusto» si lamentò senza essere ascoltato. Nel giro di dieci minuti si ritrovò a lavare il corridoio deserto da solo. Lorentz gli aveva anche sequestrato la bacchetta: Così capisci cosa si prova a non poter risolvere tutto con la magia!
Impiegò quasi un’ora a portare a termine il compito, quando entrò nell’ufficio di Lorentz lo trovò appoggiato alla scrivania in un evidente stato di sofferenza.
«Che hai da guardare? Posa quella roba, riprenditi la bacchetta e vattene» lo apostrofò quello astioso.
Frank ripose il secchio ed il resto nel piccolo ripostiglio della stanza, ma non riuscì a trattenersi dal chiedere: «Vuole che vada a chiamare Madama Chips?».
Lorentz lo guardò male. Era riuscito a sedersi sulla vecchia poltrona vicino alla finestra. «Sì… grazie». Lorentz lo osservò mentre lasciava la stanza ed iniziò a porsi qualche domanda su quello strano ragazzino: insomma l’aveva aggredito senza motivo e nonostante ciò si stava premurando di aiutarlo. La burbera infermiera della Scuola entrò senza convenevoli nel suo ufficio nemmeno cinque minuti dopo.
«Lorentz!», lo attaccò immediatamente, «Non mi bastano i ragazzini viziati e pestiferi, ci si deve mettere anche lei! Ha ricominciato con i suoi stupidi esercizi, vero? Io le avevo detto di darci un taglio!».
«Appunto perché non sono uno di quei ragazzini, non si permetta di farmi la predica! E non sono stupidi esercizi! Mi devo mantenere in forma».
«Ma mi faccia il piacere! Lei dovrebbe starsene in pace in pensione! E comunque la sua schiena non è dello stesso parere! Se non segue i miei consigli, può cominciare anche ad assumere pozioni antidolorifiche al posto dell’acqua».
«Lei è un’esagerata» borbottò l’uomo dopo aver bevuto il calice che la donna gli aveva offerto. «Aspetti un attimo, le devo fare una domanda».
«Sì, figuri. Io non dirigo un’infermeria, ho improvvisamente aperto un ufficio informazioni».
«Ho capito che ce l’ha con me, è stata chiarissima. Le assicuro che anche a me comincia a star stretto questo lavoro. Devo ammettere che ho sottovalutato i ragazzini, credevo che sarebbe stato più semplice. Comunque volevo chiederle… quel ragazzino di prima… quello che è venuta a chiamarla… come si chiama? Frank?».
«Sì, Frank. Che cosa vuole da lui?».
«È strano o è una mia impressione?».
«Non so cosa intenda».
Lorentz sbuffò per la poca voglia di collaborare della donna, decise comunque di raccontarle quanto era accaduto poco prima.
«Che cosa le ha fatto quel ragazzino? Ma non si vergogna? Le giuro che se si avvicina di nuovo a lui, la faccio licenziare! Ma che è saltato in mente a Minerva quest’anno di portarsi qua dentro voi rudi Auror! Tra lei e Robards non so chi sopporto di meno!».
«Non credo tocchi a lei discutere le disposizioni del Ministero! E non si scaldi tanto! Perché ci tiene tanto al ragazzino?».
«È adorabile ed è molto gentile…», sospirò ed aggiunse, «Sono ormai invecchiata… come vede io lo ammetto… ho già detto alla Preside che dall’anno prossimo non potrà più contare su di me… C’è stato un periodo prima delle vacanze di Natale, durante il quale gli insegnanti mandavano gli studenti in punizione da me perché mi aiutassero, ma è stata una soluzione disastrosa e ho detto alla Preside che preferivo cavarmela da sola piuttosto che avere a che fare con certi individui superficiali e menefreghisti… Frank se ne è reso conto… un pomeriggio… si offerto volontariamente di aiutarmi… ogni sera viene da me per almeno un’ora… nessuno lo ha obbligato… non vedo più bene e lui mi ordina il registro delle visite e mi ha riscritto tutte le etichette delle pozioni in caratteri più grandi… le assicuro che non si meritava minimamente che lo trattasse male!». Detto ciò la donna lo piantò da solo.
Si maledì: mai servire due padroni! In che razza di situazione si era cacciato? Ma Madama Chips aveva ragione: doveva andare definitivamente in pensione!
*
 
«Dor sei puntualissima» bisbigliò Rose, facendo spazio all’amica sotto il mantello dell’invisibilità di suo cugino James. Si assicurò che fossero entrambe ben coperte e si avviò verso l’imponente portone di quercia.
 «Hai trovato le chiavi?».
«Certo».
«E come hai fatto?».
«Sono entrata nell’ufficio di zio Neville con la scusa di chiedergli un chiarimento sull’ultima lezione. Era molto distratto, mi ha a malapena dato retta. È strano da parte sua… sembrava preoccupato per qualcosa, infatti mi ha detto che non poteva aiutarmi e se ne andato. Capisci?».
«Andato, in che senso?».
«Uscito dal castello… mi ha detto che in sua assenza si occuperà la Spinnet di noi Grifondoro» concluse con una smorfia: Alicia Spinnet era un’insegnante abbastanza severa e se le avesse beccate in giro per il parco a quell’ora avrebbe sicuramente scritto ai suoi genitori e naturalmente l’avrebbe comunicato anche a Mcmillan. Una piaga, insomma. È dire che suo marito era così… così… fantastico… sì, non c’erano altre parole! Lei avrebbe sposato Oliver Baston da grande. Assolutamente. L’avrebbe colpito il suo grande talento per il Quidditch!
«Rose, ci sei?».
La ragazzina fu riportata alla realtà dalle parole dell’amica: «Sì, sì andiamo».
«Mi dici perché hai ricominciato a seguire Antiche Rune? Non ti piace! Prima o poi farai impazzire la Spinnet per puro divertimento!».
«Voglio fare la spezzaincantesimi, come mio zio Bill».
«Se lo dici tu… In quale serra si trova il topazio?».
Erano ormai arrivate vicino alla serra numero uno. Rose sospirò:
«Hai letto il diario… non viene specificato. Dovremmo cercare in tutte e sette».
«Da quale iniziamo?».
Rose fece spallucce, come a dire che la scelta le era indifferente. «Quattro».
Le due ragazzine si guardarono per un attimo intorno per assicurarsi che nessuno avrebbe potuto vederle. Il piccolo spiazzo in terra battuta su cui davano le serre era completamente deserto ed, oltre che dal frusciare del vento, il silenzio era spezzato solo dal lieve gocciolare della fontana, accanto all’entrata della serra numero sei. Rose inserì la chiave nella toppa e tentò di non far rumore, ma lo scatto risuonò ugualmente nella sera. Sobbalzarono entrambe, ma in fondo nessuno poteva averle davvero sentite. Attesero qualche secondo: il tempo necessario perché il loro cuore riprendesse a battere regolarmente. Poi Rose entrò per prima.
«Stai attenta. Qui non abbiamo mai lavorato… non sappiamo che piante ci sono» l’avvertì Dorcas.
All’interno la serra, però, non si mostrò ai loro occhi molto diversa dalle altre in cui avevano fatto lezione fino a quel momento. Qualcosa sfiorò il viso di Rose, che si trattenne dall’urlare ma fece un salto indietro buttando a terra Dorcas per poi caderle addosso.
«Il tranello del diavolo… il tranello del diavolo» farfugliò terrorizzata.
Dorcas scoppiò a ridere mentre si sollevava e porgeva una mano anche a lei.
«Rosi, è solo un cespuglio farfallino. Non fa male a nessuno e si trova in molte case di maghi! Se verrai bocciata agli esami finali di erbologia, non me ne meraviglierò! Insomma come puoi pensare che tuo zio tenga il tranello del diavolo in una di queste serre?».
«Una volta i miei genitori hanno affrontato un cane a tre teste… me l’ha raccontato mio padre… e nascosto sotto un bagno c’era un basilisco… ti pare tanto improbabile il tranello del diavolo?» replicò Rose piccata.
Dorcas non replicò, ma decise di guidare lei. «Avanti, cerchiamo il bancone con il simbolo runico» la sollecitò.
Esaminarono palmo palmo i banconi da lavoro per ben due volte, ma nessuno presentava una runa incisa.
«Ora scegli tu» disse Rose all’amica, dopo aver richiuso la serra numero quattro.
«Che ne dici della cinque? Comunque non mi torna qualcosa… insomma non credo che Tosca Tassorosso ne abbia scelta una a muzzo…».
«Ed io che ne so come ragionava quella donna?» borbottò Rose. Si avviarono verso l’altra serra, ma Dorcas bloccò immediatamente Rose.
«Che fai? Dobbiamo controllare! Senti non abbiamo molto tempo prima che chiudano il portone, quindi dobbiamo muoverci… scopriremo un’altra volta come ragionava Tosca».
«No, Rose. Non vedi che questa serra è diversa dalle altre?».
«A maggior ragione» disse Rose, tentando di liberarsi dalla stretta dell’amica.

 
La serra numero cinque sembrava un orto in miniatura ed alla luce fioca della bacchetta si intravedevano una serie di piante erbacee con lunghi peduncoli con frutti bianco-verdastri e porporino violaceo, alti fusti con petali bianchi e rossi ed altri con petali giallo-verdastri.
«Invece no, qui non ci sono banconi».
«Entriamo! Saranno sicuramente nascosti! Un posto perfetto per un nascondiglio!».
«Rose! Stiamo parlando di Tosca Tassorosso! Lei non avrebbe mai nascosto qualcosa ai suoi studenti in questo modo… Ho paura che queste piante possano essere pericolose e Tosca non ci avrebbe mai messo in pericolo».
«Ma doveva proteggere la pietra dai malintenzionati! Oppure queste piante sono state messe dopo… insomma è passato un sacco di tempo!».
«Tuo zio mi ha detto che è stato cambiato pochissimo… non so se l’hai notato ma alla società magica inglese non piacciono i cambiamenti... mia zia è stata in America tempo fa e mi ha detto che tutto diverso… sembra quasi che tra maghi e babbani non ci sia alcuna differenza… E comunque ti ripeto che Tosca non avrebbe mai rischiato di far male a qualcuno».
«Figo», commentò Rose chiudendo a chiave la serra ed ignorando l’ultima parte del discorso dell’amica, «In futuro ci andrò… questo paese mi sta stretto alle volte. Proviamo la serra numero due».
«“Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”».
«Eh?».
«È una citazione del Piccolo Principe, non l’hai letto?».
«Mmm diversi anni fa… Al e Frankie lo adorarono, ma io no… non è il mio genere… Io preferisco Salgari, Verne, Stevenson… roba d’avventura insomma… Ma ora che centra?».
«Penso che Tosca abbia ragionato così per nascondere il topazio… La base di un bancone da lavoro potrebbe sembrare scontato come nascondiglio, ma alle volte sono proprio le cose che abbiamo sotto il naso quelle che ci mettiamo di più a trovare… Lei ammirava la pazienza, quindi in un certo senso sta mettendo alla prova la nostra… e poi noi vogliamo il topazio per far del bene…». Rose annuì vaga, mentre si avvicinava alla serra numero due a grandi passi. Dorcas percepì che l’amica era turbata, ma non riusciva a capire da cosa. «Comunque continuo a pensare che non abbia scelto una serra qualsiasi… era pur sempre una delle più potenti streghe del suo tempo».
Rose non replicò ed entrò nella serra. Ancora una volta la perlustrarono con grandissima attenzione ed esaminarono i banconi più di una volta. Alla fine dovettero arrendersi e costatare che il topazio non era nemmeno lì.
«Accidenti!» sbottò Rose, gesticolando con le braccia.
«No!» Dorcas spostò il braccio dell’amica lontano da una pianta, ma non abbastanza velocemente da evitare che questa scattasse. Rose urlò stringendosi al petto la mano ferita. Quando finalmente Dorcas la convinse a mostrarle la mano, videro che sanguinava copiosamente. La ferita, però, fortunatamente non sembrava troppo profonda.
«M-mi h-ha morsa» mormorò esterrefatta Rose tra le lacrime.
«Per questo lo chiamano geranio zannuto», tentò di sdrammatizzare Dorcas con voce fioca per lo spavento, «Per un momento ho pensato che ti avrebbe staccato tutta la mano».
«E non me lo potevi dire prima, che sto coso morde?» ringhiò Rose.
«Credevo lo sapessi! Il professor Paciock ce l’ha spiegato l’anno scorso, quando ci ha portato qui per studiare la ruta».
«Ero distratta evidentemente» biascicò Rose. «Usciamo da qui. Subito».
«Dovresti far vedere la mano a Madama Chips» disse Dorcas accucciandosi vicino all’amica che si era seduta su un secchio rovesciato.
«Col cavolo! Come le spiego che alle nove di sera sono stata morsa da un fiore con le zanne? L’ho incontrato per caso nella Sala Comune di Grifondoro? Piuttosto dimmi, quel coso è velenoso?».
«No. Il problema è che stai perdendo sangue».
«Non morirò dissanguata… Dammi un fazzoletto… Non me ne andrò di qui senza quel topazio».
Dorcas le passò il suo fazzoletto e la osservò mentre se lo legava intorno alla mano.
«Senti proviamo la serra numero sette? Credo sia quella che cerchiamo… Per i maghi il sette è il numero più potente…».
Rose saltò su e quasi urlò: «Sei un genio!».
«Adoro questa serra» sussurrò felice Dorcas. Rose la fissò come se fosse pazza e non commentò. «Ma dai, ammettilo che è la più bella!».

«Sei sicura che sia questa? Insomma la base del bancone non è formata da un unico blocco…».
Dorcas, però, non la stava più ascoltando; la ragazzina osservava con attenzione un bancone alla volta.
«Ecco, vieni a vedere!» chiamò con voce eccitata. Rose si inginocchiò a terra accanto a lei e puntò la bacchetta sul piede di mogano del bancone. Con un sorriso vide una piccolissima runa incisa elegantemente sul legno.
«Che runa è?» chiese all’amica, non aveva problemi ad ammettere con lei di essere un disastro in Antiche Rune.
«Se non sbaglio è gyfu. Significa dono e generosità. La runa perfetta per Tosca Tassorosso».
«Capito. Ora tocca a te, però. Forza prendi il topazio ed andiamocene».
Dorcas in realtà non aveva idea di che cosa fare, ma Rose ne sapeva quanto lei. Dopo aver riflettuto qualche secondo decise di premere la runa e capì di aver fatto bene quando percepì uno scricchiolio che ricordava proprio degli ingranaggi in azione. Solo alla luce della bacchetta le due ragazze riuscirono a distinguere che una delle assi di legno, che fungevano da pavimento, si era spostata lievemente mostrando un piccolo incavo di pietra. Al cui interno c’era un sacchetto nero. Dorcas lo prese, lo aprì e per la gioia di Rose ne tirò fuori il topazio.
«EVVAI» ululò Rose, prima che Dorcas, temendo che il troppo entusiasmo dell’amica le avrebbe fatte scoprire, le tappasse la bocca con una mano. «Siamo state grandi» aggiunse Rose a voce bassa dopo essere stata liberata. Dorcas sorrise e si alzò dirigendosi verso il piccolo armadietto accanto all’entrata. Rovistò per qualche secondo e ne tirò fuori una boccettina.
«Dammi la mano, Rose».
La Tassorosso tolse delicatamente il fazzoletto e poi mise un po’ del contenuto della boccettina sulla ferita.
«Cavoli, brucia» si ribellò Rose, ma l’amica non mollò la mano.
«Essenza di dittamo. Vedi? Sta cicatrizzando. Credo che il professor Paciock non se la prenderà se ne abbiamo usato un pochino» rispose Dorcas riemettendo la boccettina al suo posto.
«Dopo che gli ho rubato le chiavi ed abbiamo vagato nelle sue amate serre senza il suo permesso? No, immagino che usare un po’ di dittamo non sia nulla in confronto» ironizzò Rose. «Avanti, andiamocene a letto».
 

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Capitolo 22
*** Gioco di squadra ***


Capitolo ventiduesimo.
Gioco di squadra

James alzò gli occhi ed incrociò quelli di un ragazzino, che non conosceva. Lo stava fissando.
«Ehm ciao».
«Ciao. Tu sei James, vero?».
James si accigliò: tutti sapevano che lui era James Potter.
«Sì, cosa posso fare per te?» chiese, ignorando Benedetta che aveva assunto un’espressione divertita.
«Sono qui per le ripetizioni di Difesa» replicò quello, prendendo posto di fronte a lui.
Il ragazzo si voltò verso l’amica, ma anche lei sembrava sorpresa.
«Non ho capito che centro io» disse sentendosi stupido.
«Ho dato i miei cinque galeoni a Danny Baston e lui mi ha detto che ti avrei trovato qui in biblioteca».
«State chiedendo soldi ai ragazzi più piccoli?» domandò Benedetta esterrefatta.
«Io non ho fatto un bel niente!» si difese James.
«Allora? Mi aiuti? O devo dire al professor Mcmillan che voi Grifondoro fregate gli studenti più piccoli?».
James scrutò ostile il ricattatore: alla faccia del Tassorosso! «Dimmi che cosa devo spiegarti» si arrese.
*
«CHE COSA VI E’ SALTATO IN MENTE?» urlò James, appena trovò i suoi due amici comodamente stravaccati sulle migliori poltrone della Sala Comune di fronte al caminetto. Chissà quanti ragazzini avevano spaventato per accaparrarsi quei posti. Erano quasi tre anni che litigava per quello con Molly e si sorbiva lo sguardo di disapprovazione di Albus.
«Cosa?» chiese annoiato Tylor, mentre Danny continuava a leggere una lettera. La calligrafia era fin troppo familiare a James. Il ragazzo preso da un attacco di rabbia, strappò la lettera dalle sue mani: «QUESTA E’ MIA! COME TI SEI PERMESSO AD APRIRLA SENZA IL MIO CONSENSO?».
«Uno. Ci stanno guardando tutti, quindi abbassa la voce. Due. Ancora ti scrivi con quell’idiota di Robert?».
«Tre. Fatti i cazzi tuoi» sbottò James, con gli occhi che lampeggiavano. «Ed ora spiegatemi questa storia delle ripetizioni!».
«Abbiamo avuto un’idea geniale. Sei il migliore del nostro anno in Difesa. E’ un peccato non sfruttare il proprio talento…» rispose Tylor con occhi sognanti.
«… abbiamo deciso che quest’estate andremo a Madrid per assistere alla finale del Campionato Europeo di Quidditch…» continuò Danny.
«… notte brava a Madrid…» aggiunse Tylor.
«Capisci ora a che servono i soldi?».
«No. Tuo padre avrà senz’altro un mare di biglietti gratuiti se l’Inghilterra arriverà in finale ed a mio padre li regaleranno sicuramente in ufficio… e poi non mi convince per niente la parte notte brava a Madrid… Quale dei nostri genitori ci darà il permesso? E poi gradirei essere informato preventivamente delle vostre idee geniali… a maggior ragione se mi coinvolgono direttamente. Mi hanno assaltato un sacco di mocciosi! E non voglio nemmeno sapere che reazione avrà Robards quando scoprirà che mi sto sostituendo a lui!».
«Mio padre» risposero all’unisono gli altri due ragazzi, mostrando di aver ascoltato solo una parte del suo discorso. «Perché il tuo no?» domandò Tylor malizioso.
«Certo che sì» rispose aspro James: la verità è che dubitava fortemente che suo padre gli avrebbe dato davvero il permesso, ma a suo parere anche loro avevano mentito. «Ma questa storia non mi piace comunque!» gli dava fastidio sentirsi controllato, ma la loro espressione indifferente era segno che stava combattendo una battaglia persa.
«Questa è la lista di quelli che hanno già pagato», disse infatti Danny ignorandolo, «Mi raccomando, non voglio lamentele. Ed ora scusa devo vedermi con Elettra».
James osservò basito l’amico, mentre usciva. Danny si voltò solo un’altra volta prima di sparire oltre il ritratto della Signora Grassa: «Ah, ho preso in prestito il mantello. Grazie».
James strinse i pugni irritato.
«Io ho sonno. Buonanotte, James» gli disse Tylor.
Lasciato da solo, mise la lettera in tasca e si avvicinò al fratello seduto ad un tavolo dal lato opposto della Sala Comune.
«Ehi, come va?».
Albus aveva proprio una brutta cera: era pallido, gli occhi arrossati, occhiaie ed i capelli completamente all’aria.
«Tutto normale» borbottò in risposta.
«Sai, sembri uno zombie… non mi pare tanto normale».
«Jamie, per favore! Devo studiare» si alterò Albus.
James non sapeva come comportarsi: avrebbe dovuto aiutare suo fratello, ma se avesse insistito Al si sarebbe arrabbiato di più ed avrebbe peggiorato le cose.
«Ok, scusa. Dovevo parlarti di una cosa. Ti manca molto?».
«Sì, Jamie», rispose Al a denti stretti, «Se non è importante rimandiamo a domani».
James sospirò e gli diede la buonanotte. Entrando nella sua camera si accorse che Tylor già dormiva: aveva faticato così tanto quel giorno, che proprio si meritava di riposarsi un po’! Si morse il labbro: erano i suoi migliori amici non doveva pensare certe cose! La verità, però, era che più trascorreva il tempo più non riusciva a farne a meno. Per un attimo si sentì solo: suo fratello era così timido che faceva fatica a relazionarsi con chiunque, eppure era riuscito ad ottenere l’affetto ed il rispetto dei suoi amici. Lui, invece, faceva amicizia con tutti, ma non si sentiva veramente se stesso con nessuno. A parte Benedetta. Danny e Tylor, che avrebbero dovuto essere i suoi migliori amici, lo facevano sentire sempre lo scemo della situazione. Non ci avrebbe mai creduto nessuno che il più delle volte era lui che cercava di essere quello ragionevole, mentre erano loro due che avevano idee folli. Alla fine quello che finiva nei guai, però, era sempre lui. Era sempre stato così dal primo anno. Robert era diverso, si erano capiti alla perfezione fin dalla prima sera. Lui era molto studioso (figuriamoci con la zia che aveva!) e tendenzialmente mite; James per conto suo era sempre stato vivace, ma non aveva mai voluto essere quello sempre additato dagli insegnanti, quello sempre da tenere d’occhio o lo stupido che non studia mai. Il primo anno non era andato tanto male: gli insegnati l’avevano preso per uno da tenere sotto stretto controllo e basta; ma anche questa era sempre colpa di Danny e Tylor: gli avevano raccontato tutta la storia di suo padre ed avevano cominciato a convincerlo che doveva essere degno del nonno, di cui portava il nome. Robert l’aveva sempre trattenuto dal superare il limite, alla fin fine della semplice buona educazione. Poi i suoi genitori avevano deciso che dovevano trasferirsi negli Stati Uniti e lui con loro. Non si vedevano da quasi tre anni, ma non avevano mai smesso di scriversi e confidarsi a vicenda. Gli mancava un sacco. Per colpa loro era diventato il buffone del loro anno. Scrisse una risposta molto lunga alla lettera dell’amico e si recò in Guferia. Mentre ritornava in Sala Comune si sentì chiamare:
«Potter!».
James sospirò: alla sfiga non c’era fine. Non alla sua comunque. «Buonasera, professoressa McGranitt».
«Il tuo coprifuoco non è scattato?» chiese squadrandolo attraverso i suoi occhiali quadrati.
«Solo da dieci minuti, professoressa. Ero andato in Guferia, quando sono uscito il coprifuoco non era scattato glielo assicuro».
«Chiuderò un occhio per questa volta. Sei sicuro di star bene?» disse lei, continuando a scrutarlo con maggior attenzione.
Il ragazzo scrollò le spalle e poi non riuscì a trattenersi e chiese: «Ma lei ci sta provando davvero a riportare Robi in Inghilterra?».
La donna per un attimo assunse un’espressione sorpresa, poi il suo volto tornò indecifrabile come sempre: «Ti assicuro di sì… Purtroppo mia nipote è sempre stata testarda fin da piccola… Ciò che più mi innervosisce è il suo comportamento irresponsabile nei confronti del figlio: non ignoro certamente che è spinta dallo spirito di contrariarmi o comunque pe mero principio. Non agisce sempre per il bene del figlio, anzi al contrario. Ora vai, forza e non farti beccare in giro dopo il coprifuoco un'altra volta».
«Sì, professoressa. Buonanotte».

*

Frank ripose piuma e calamaio e poi si rivolse all’infermiera: «Madama, posso farle una domanda?».
La donna, che stava lucidando la sua bacchetta, alzò gli occhi su di lui: «Naturalmente».
«Ha presente l’aula di Pozioni? La distanza che c’è tra la lavagna e l’ultimo banco?», la donna non nascose la sua perplessità ma annuì, «È normale che una persona non veda una scritta posta alla stessa distanza?».
«Dipende da chi è questa persona», replicò l’infermiera, «Il tuo coprifuoco sta per scattare Frank, quindi ti pregherei di non girarci troppo intorno… se sei tu ad avere questo problema, basta che tu lo dica».
Il ragazzino sospirò ed annuì: «Quindi è normale o no?».
«Da vicino ci vedi?» indagò la donna.
«Sì, benissimo… come sempre…».
«Da quanto tempo ti succede?».
«Ho cominciato a farci caso prima di Natale».
«Oh, Frank! Quindi gli ultimi calderoni che hai fatto esplodere…».
«…non riuscivo a leggere le istruzioni alla lavagna… Ho chiesto al professore di farmi sedere davanti, ma con i vapori delle pozioni non è cambiato molto… vedo le lettere sfocate, se le focalizzo ed alle volte per farlo devo stringere gli occhi…».
«Non ti devi preoccupare. Credo che tu sia miope, che non è altro che è un difetto di rifrazione dell’occhio… per capirci non vedi da lontano… Basta mettere gli occhiali…».
«Per quanto tempo?».
«Per sempre. La miopia si può contenere con gli occhiali nel periodo della crescita, dopo si stabilizzerà definitivamente. I Babbani hanno trovato anche altri metodi oltre gli occhiali, ma io ritengo che le soluzioni tradizionali siano sempre le migliori… Che cosa ti preoccupa?». Frank non rispose. «Ora facciamo un controllo e vediamo quanti gradi ti mancano… se non sbaglio, tuo padre non è ad Hogwarts questa sera… gli parlerò domani».
«È necessario?».
Madama Chips lo fissò sorpresa per qualche secondo: «Certo, che lo è! Gli occhiali chi te li compra? Non vedo perché tu ti debba preoccupare. Porta la sedia qui al centro, così facciamo un controllo e vediamo quanti gradi ti mancano»,
«Madama Chips, le posso fare un’altra domanda?», la donna annuì e lui proseguì, «Una persona può morire solo perché è incinta?».
La donna sospirò: «Direi che solo perché aspetta un bambino, no; ma accade alle volte per altre complicazioni. Al giorno d’oggi, però, è raro… Perché me lo chiedi?».
«Stamattina mio padre mi ha rivelato che mia mamma è stata male la settimana scorsa ed il guaritore che l’ha visitata ha detto che deve stare in assoluto riposo. Mio padre ha detto che non devo preoccuparmi, che andrà tutto bene… ma lui è preoccupato e va tutte le sera a casa!».
«Tuo padre si preoccupa un sacco anche se ti fai un minuscolo taglietto alla mano, ti ricordo… Comunque secondo me, devi stare tranquillo e non ti mettere strane idee in testa: parlerò io con tuo padre domani. E la prossima volta che hai un problema, parlane subito con qualcuno!».
Frank sospirò e si sedette dove l’infermiera gli aveva detto. Per problema intendeva forse anche Charles Calliance che si esercita con l’incantesimo reducto sul suo libro di pozioni? Se fino a quel momento non aveva detto nulla delle sue difficoltà a Mcmillan era proprio per non dover spiegare dove fosse il suo manuale. Non poteva certo parlarne ora e far preoccupare i suoi genitori ulteriormente! Aveva sperato che con il tempo Charles e gli altri si sarebbero stancati di prenderlo in giro: ahimè quanto si era sbagliato! Ed adesso che avrebbe dovuto mettere gli occhiali… no, non voleva nemmeno immaginare quanto quei tre gliel’avrebbero fatto pesare.

*

Ormai era febbraio inoltrato: la neve continuava a cadere e si gelava. Senz’altro quell’inverno si stava rivelando molto freddo.
Quella mattina del quattordici, Molly si trascinò fuori dal letto più per forza d’inerzia che per reale voglia di alzarsi e soprattutto affrontare la giornata. Una volta era la prima ad alzarsi ed a richiamare le compagne perché non facessero tardi. Inutile dire che loro non avevano mai apprezzato. Adesso la guardavano spesso con un’espressione tra il disprezzo e la compassione. Si mise a sedere sul letto, ma impiegò qualche secondo a rendersi conto del totale silenzio in cui versava la Torre. Con uno strano presentimento gettò un’occhiata allarmata alla sveglia babbana, che zia Hermione le aveva regalato al primo anno: 9:30. Rimase a fissarla inorridita per diversi secondi, prima di saltare su e cercare la sua divisa nel disordine del suo baule. Quando un quarto d’ora dopo giunse di fronte all’aula di Antiche Rune decise di attendere il suono della campanella. Si appoggiò al muro, assonnata e nervosa. Non si mosse nemmeno quando i compagni cominciarono a riversarsi in corridoio. Alla fine mentre già cominciavano ad avvicinarsi gli studenti della seconda ora, entrò in classe.
«Buongiorno professoressa Spinett» esordì. La donna che stava riordinando una pila di compiti, la osservò severamente. Molly avrebbe voluto urlare: quel giorno avevano anche una verifica e lei se n’era completamente scordata?
«Buongiorno, signorina Weasley».
«Mi dispiace davvero professoressa… Non mi è suonata la sveglia… cioè credo di essermi dimenticata di metterla ieri sera… sul serio non l’ho fatto apposta… se vuole la verifica la recupero a parte…».
«Molly», la interruppe l’insegnate, «la verifica l’abbiamo svolta la settimana scorsa… Sei sicura di sentirti bene? In questo periodo sei disattenta… fin troppo, direi…».
«Sto bene» replicò infastidita Molly.
La professoressa non apprezzò minimamente il suo tono, ma si limito a porgerle la verifica corretta: «Di questo passo non supererai mai i M.A.G.O. in questa materia. Ti consiglierei di mettere da parte l’orgoglio e farti aiutare».
Molly, irritata, ingoiò una rispostaccia e dopo aver visto la rossa D che troneggiava sul suo compito, lo restituì e se ne andò senza aggiungere altro.

*

Il giorno di San Valentino è dedicato per tradizione alla festa degli innamorati e con il trascorrere del tempo, con gran fastidio della Preside, i ragazzi avevano iniziato a conferirgli sempre maggior rilievo. Attraverso Prefetti e Caposcuola era stata inoltrata alla donna la richiesta di autorizzare una gita ad Hogsmeade per l’occasione. Bisogna sottolineare che ciò accadeva da anni, quindi più che una richiesta si era trasformata in una supplica. La Preside comunque aveva concesso l’autorizzazione solo quelle rare volte in cui il quattordici era stato di sabato o di domenica. Quell’anno le aspettative degli studenti erano state nuovamente deluse e molti dei Prefetti e dei Caposcuola erano visibilmente irritati per essere stati costretti dai compagni a rivolgersi alla Preside, nella piena consapevolezza dell’inutilità del loro tentativo, ed essersi beccati una lunga predica sull’importanza di non perdersi in atteggiamenti troppo frivoli e che tendenzialmente li deconcentravano dallo studio.
Comunque quell’anno avrebbe potuto aggiungere un’altra valida motivazione per non acconsentire alle richieste avanzate dagli studenti per quella giornata.
Albus si sedette al tavolo di Grifondoro insieme agli amici vicino a Lily. Non impiegò molto tempo per comprendere che ne aveva combinato una delle sue: aveva un’espressione malandrina e di eccitata attesa. Un’espressione, che sapeva per certo, non portasse altro che guai.
«Lily, che hai combinato?» chiese spazientito: era mai possibile che i suoi fratelli non riuscissero mai a stare tranquilli? Che cosa gli sarebbe costato?
«Io? Assolutamente, nulla. Perché devo combinare sempre qualcosa?» chiese con un tono di finta offesa, che non avrebbe mai convinto lui, che la conosceva dalla nascita.
Albus abbassò la voce e si avvicinò al suo orecchio: «Lily, fammi il piacere di non provare a prendere in giro me. Sappiamo tutti che quella scritta l’hai fatta tu insieme ai tuoi amici. Sono sicuro che anche la McGranitt sospetta di voi! Lei ha conosciuto nonno ed i suoi amici. Non possiamo sapere se lei sa o meno che si chiamavano Malandrini, ma è abbastanza intelligente da far due più due. Lily, quello che avete fatto è gravissimo! Che altro ti è saltato in mente?».
«Nulla, Al. Pensa a te che hai gli occhi a palla. Ma ti sei visto allo specchio ultimamente? Io non mi farei vedere in giro con quella faccia».
Al stava per replicare, quando uno strillo richiamò l’attenzione dell’intera Sala Grande. Hannah Zabini, Prefetto, Serpeverde del quinto anno era letteralmente saltata addosso a Mcmillan, quando l’insegnante era entrato. Ora tentava palesemente di baciarlo. Dopo un momento di sgomento, l’intera Sala Grande scoppiò a ridere. Ad Albus non era sfuggito che Lily e compari ridessero già prima: sua sorella si teneva la pancia ed era piegata all’indietro, tanto che Al ebbe seriamente paura che sarebbe scivolata a terra; Alice aveva le lacrime agli occhi ed era piegata sulla panca; Marcellus cercava di trattenersi, premendo le mani sulla bocca; Hugo non distoglieva gli occhi dalla scena, con una luce di maniaca soddisfazione nello sguardo. Al tavolo degli insegnanti la Preside era palesemente furiosa, ma non tutti i colleghi condividevano la sua reazione: Justin Finch-Fletchley rideva forte insieme agli studenti e Neville tentava invano di rimanere serio. Comunque fu Alicia Spinett, che era appena entrata, ad aiutare Ernie; solo dopo che lei staccò la ragazza dal collega, si avvicinò anche il professor Robards, evidentemente furioso dal comportamento di uno dei suoi Prefetti.
«SILENZIO» gridò la Preside, per un momento sembrò tornare la calma nella Sala ma poi Hannah strillò: «Ma io la amo!». E tutta la Scuola riprese a ridere. Alicia scortò fuori la ragazza quasi di forza, ma tutti continuarono a ridere ugualmente.
«Professore!» tuonò Dain Zabini, avvicinandosi a Robards. Il Caposcuola brandiva un calice ed era nero in volto. Albus non ci mise molto a capire e così come la maggior parte dei presenti. Le risate si spensero rapidamente e tutti osservarono gli insegnanti, già raggiunti dalla Preside. «Qualcuno ha messo dell’Amortentia nel succo di zucca di mia sorella! O meglio, non qualcuno… I Grifondoro!». Parecchie proteste si levarono dal tavolo rosso-oro, ma furono zittite da un gesto di avvertimento di Neville.
«Le sue accuse sono gravi, signor Zabini. In questa Scuola è vietato l’uso di filtri d’amore se non a scopo meramente didattico».
«So quello che dico. Sono sicuro che è stato Weasley. È l’unico in grado di preparare questa pozione!».
Ernie nel frattempo si era ricomposto, anche sei il suo volto era ancora rosso: «Weasley, mi ha comunicato questa mattina che qualcuno stanotte gli ha rubato la pozione in questione. Ed è molto probabile che sia stato un Grifondoro» disse, quasi in tono di scuse guardando Neville. Albus, sentendo queste parole, ebbe la conferma di ciò che aveva ipotizzato da un pezzo: Lily era l’artefice di quello scherzo ai danni della Serpeverde. Osservò spaventato il tavolo verde-argento: la maggior parte era furiosa. Si sarebbero vendicati e di brutto. La sua sorellina stava finalmente realizzando in che guaio si era ficcata e così gli altri malandrini.
«Molto bene», disse la Preside irritata, «Non posso stabilire che sia stata un Grifondoro solo per questo motivo… perciò se il o i colpevoli non si autodenunceranno entro stasera, la prossima gita ad Hogsmeade salterà». Detto ciò uscì dalla Sala Grande senza aggiungere altro. Non rideva più nessuno tra gli studenti. L’unico che ancora rideva era Justin, che seguì Ernie fuori dalla Sala.
«Al, aiuto» sussurrò Lily, tirandoli la manica della divisa. Il ragazzino la scrutò contrariato: erano settimane che dormiva malissimo, non aveva alcuna voglia di riparare ai suoi guai. Sospirò. Non aveva la minima idea di come cacciarli fuori da quel guaio.
«Non è la fine del mondo saltare una gita», sussurrò Alice, «Il mese prossimo ce ne sarà un’altra. Non possiamo confessare, sarebbe peggio…».
«Senza contare che i Serpeverde si vendicherebbero» aggiunse Hugo.
«Secondo me dovreste assumervi le vostre responsabilità» sussurrò Albus. Naturalmente nessuno gli diede retta, così li lasciò perdere e si recò alla lezione di Antiche Rune. Si sedette al primo banco ed aprì il libro di storia della magia, in attesa dell’inizio della lezione. Con sua sorpresa una farfalla di carta volò verso di lui. Si guardò intorno, ma a parte alcuni Serpeverde, che stavano prendendo posto, non vide nessun probabile mittente. Probabilmente avevano gettato sul foglietto lo stesso incantesimo dei promemoria del Ministero. Lo aprì e lesse. Non fece in tempo a formulare qualsiasi pensiero logico, che gli fu strappato dalle mani.
«“Immenso e rosso
Sopra il Gran Palais
Il sole d’inverno appare
E scompare
Come lui il mio cuore sparirà
E tutto il mio sangue se ne andrà
Se ne andrà in cerca di te
Mio amore
Mia beltà
E ti ritroverà
Là dove sei tu.
Potter, ma chi ti vuole? Mirtilla Malcontenta?» gridò fintamente disgustato Daniel Warrington.
«No, ma dai nemmeno lei! Se l’è scritto da solo!» sghignazzò Thomas Roockwood.
«Ridammelo» saltò su Albus, tentando di strapparglielo dalle mani. Thomas intervenne subito in aiuto dell’amico e spintonò Albus, che rischiò di inciampare sulla sedia alle sue spalle.
«Roockwood! Potter! Warrington! Smettetela immediatamente» li richiamò la professoressa Spinett, che era appena entrata in aula, e si avvicinò ai tre. Albus sentiva il volto andare a fuoco per l’imbarazzo. «Perché state litigando?» chiese autoritaria, osservandoli uno alla volta.
«Si sono appropriati di qualcosa che mi appartiene» rispose infine Albus, cercando di non rendersi ancora più ridicolo.
«Stavamo solo scherzando» si difese Warrington, restituendogli il foglietto ormai tutto sgualcito.
«Bene, allora adesso prendete posto. Non intenzione di perdere tempo per il vostro comportamento infantile. Cinque punti ciascuno verranno tolti a Serpeverde e Grifondoro».
Al si morse il labbro per non replicare: la stanchezza lo faceva spesso parlare a sproposito. Solo non trovava giusto, che la professoressa avesse tolto punti anche lui.

*

«Piccola Weasley. Dobbiamo parlare».
Molly fissò irritata il ragazzo, che senza alcun invito si era seduto di fronte a lei. «Sto studiando» replicò a denti stretti.
«Sono dieci minuti che fissi lo stesso rigo. Ti stavo osservando».
«Vuoi essere ringraziato Greengrass? Grazie».
«Miss Gratitudine, nessuno ti obbliga a ringraziarmi. Anche perché sono passati quasi due mesi, se avessi voluto mi avresti già ringraziato. E comunque odio essere chiamato per cognome. Io non sono la mia famiglia. Io sono Arion. Un’identità a sé stante. Ok?».
«Ok. E tu non chiamarmi Piccola Weasley. Chiamami Molly o meglio ancora Weasley».
«Vada per Molly», acconsentì lui, «Comunque non era della Festa dell’Amicizia che volevo parlarti. Ma di Dain Zabini ed i suoi amici: ce l’hanno con i tuoi cugini ed i loro amici».
«Quali dei miei cugini?».
«Potter medio e compagni».
«E che vuole Zabini da loro?».
«E che ne so? Loro non piacciono a me, ed io non piaccio a loro. Ho sentito per sbaglio alcuni sprazzi della loro conversazione. Vedi di avvertirli. Quelli non scherzano. Zabini stava dando degli ordini a Maciste».
«Non oseranno…».
«Maciste non si è mai posto il problema di rispettare le regole, mi sembra. Quel ragazzo picchierebbe anche un Auror».

*

«Ragazzi, è successo un casino!» biascicò Rose, lasciandosi cadere accanto ad Al. «Sapevo di non doverti dare retta» aggiunse tirandogli un pugno sul braccio.
«Riguardo che cosa?» domandò indignato, massaggiandosi il braccio.
«Non indossare il rubino e lasciarlo in camera mia. Me l’hanno rubato!».
Scorpius si affogò con i succo di zucca: «Com’è possibile? Solo una ragazza potrebbe essere entrata! O voi Grifondoro siete completamente fuori oggi od avete seri problemi di sicurezza!».
«Non abbiamo problemi di sicurezza! Sai benissimo chi ha rubato la pozione a Fred… Ma chi può essere stato stavolta?» replicò Cassy.
«Ragazzi, io ve l’avevo detto che Douglas mi fa seguire!» disse Jonathan.
«Molly mi ha detto che dobbiamo stare attenti a Zabini» li avvertì Albus.
«Ecco, secondo me è stata la Calliance» disse Dorcas, additando una ragazzina seduta alla fine del tavolo. «Dopo pranzo l’ho vista che parlava con suo fratello, il nostro Caposcuola, vicino alla nostra Sala Comune… Ha le mani fasciate…».
Albus, inorridito, non trovo nulla da ribattere nel suo ragionamento.
«E dov’è il vostro Caposcuola?» chiese Rose, che non vedeva il ragazzo al suo tavolo.
«Eccolo», disse Scorpius e gli altri seguirono il suo sguardo, «Siamo in un mare di guai».
Abel Calliance era sulla soglia della Sala Grande in compagnia di Dain Zabini, Alphonse Main, Mike Douglas e Maciste (uno studente del settimo anno, che era stato bocciato almeno due volte e che terrorizzava sempre i più piccoli. Nessuno si ricordava il suo vero nome, probabilmente solo gli insegnanti).
«Insieme ce la faremo» sentenziò Dorcas tranquilla. «Siamo amici, no? Ed Al, lascia perdere i Serpeverde. Sono solo gelosi perché loro non hanno ricevuto alcun bigliettino».
 

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Capitolo 23
*** Giochi pericolosi ***


Capitolo ventitreesimo.

Giochi pericolosi

«Lucy? Come sei entrata qui dentro?» disse Roxi sorpresa.
«Una testa rossa in più od in meno… Nessuno fa caso a me… E poi secondo te Rose non ha mai fatto entrare Malfoy? Comunque è carino. C’è un bel calduccio…».
«Lucy! Esci da qui o metterai nei guai anche me e Frank!».
Il ragazzino con lo zaino sulle spalle le osservava rassegnato. «Chi ti ha dato la parola d’ordine?» chiese.
«Calliance. Quello farebbe qualsiasi cosa per soldi. Miseriaccia, si è preso la bellezza di tre galeoni. Praticamente tutti i miei risparmi!».
«Non potevi aspettarmi fuori?» domandò Roxi perplessa.
«Dovevo darti questa», disse mostrandole una bottiglietta piena di un liquido bluastro. «È una nuova bibita babbana, me la sono fatta mandare di nascosto da tuo padre. È buonissima, devi assolutamente assaggiarla!».
«A me il colore non piace» decretò Frank, scrutando la bottiglietta con sospetto.
«Nessuno ha chiesto il tuo parere, Paciock! Avanti, solo perché è blu non hai il coraggio di provarla?».
«Io non ho paura di nulla» ribatté Roxi. Prese la bottiglietta e bevve. Dopo un sorso, però la lasciò cadere ed il liquido macchiò la moquette scarlatta della Sala Comune di Grifondoro.
«Oh, Merlino. Roxi che hai?» chiese allarmato Frank, cingendole le spalle, mentre l’amica si contorceva e si piegava in avanti. «Roxi! Roxi! Ma che cavolo le hai dato?» sbottò terrorizzato, appoggiando Roxi a terra il più delicatamente possibile. Il corpo della ragazzina sussultava ed il suo respiro era mozzato.
«I-io… la pozione del DNA…» balbettò Lucy.
«Le hai fatto bere la pozione del DNA?» chiese sconvolto Fred, che si era avvicinato richiamato da altri ragazzi. Non aspettò risposta e corse verso il dormitorio maschile. James si inginocchiò accanto a Frank. «Spostatevi. Spostatevi», disse ai compagni che si accalcavano, «Qualcuno vada a chiamare il nostro direttore, invece di stare qua a guardare».
Lucy scappò via terrorizzata, ma nessuno dei suoi cugini la seguì.
«Bevi, bevi» borbottò Fred, ritornato di corsa. Fece ingoiare di forza alla sorellina un liquido trasparente e la ragazzina perse definitivamente conoscenza, ma il suo respiro divenne lievemente più regolare.
«Che succede?» domandò Neville, facendosi spazio nella calca, che attorniava i quattro ragazzi.
«Roxi ha ingerito la pozione del DNA, che è altamente tossica. Gli ingrediente sono così nocivi, che ne basta pochissima per bruciare gli organi interni. Le ho dato una pozione protettiva, ma il liquido è ormai in circolo e deve intervenire un Guaritore» spiegò Fred, inceppandosi su ogni parola per la paura. Dopodiché aiutò Neville a portarla in infermeria.
*
«Lucy, aspettami! Per favore!» Frank la raggiunse e la trattenne per un braccio. Il vento freddo sferzava il volto di entrambi. «Voglio solo parlarti».
«E di cosa? Mi espelleranno! E forse mi rinchiuderanno ad Azkaban per cuginicidio» singhiozzò.
«A parte il fatto che cuginicidio non esiste come parola. E soprattutto Roxi è viva e vegeta».
«Ma sono chiusi lì dentro da ore e zio George e zia Angelina sono preoccupatissimi… non li ho mai visti così».
«Perché l’hai fatto?».
«Ora basta, Paciock. Lascia stare, Lucy. Lei vieni con noi adesso» disse una ragazzina, appena sopraggiunta insieme ad un’altra.
«Greengrass, sto solo cercando di capire perché ha fatto male a Roxi».
«Ed io ti ho detto di lasciarla in pace!». Mise una mano sulla spalla di Lucy e la trascinò verso il castello. Frank rivolse la sua attenzione al Lago Nero, completamente ghiacciato. Si asciugò le lacrime con la manica della divisa e si affrettò verso le serre per non arrivare in ritardo a lezione, visto che il padre gli aveva proibito di aspettare fuori dall’ infermeria.
*
Lucy si lasciò trascinare dalle amiche fino alla loro Sala Comune. Una volta raggiunta la loro stanza si gettò sul suo letto, percepì la presenza di entrambe ai suoi fianchi, ma non disse nulla.
«Lu? Che cos’è andato storto nel tuo piano?» chiese Arianna Greengrass.
«Credo che la pozione non si beva… Non ho idea di come funzioni sul serio. Quel cretino di Roockwood non me l’ha detto. Ho dato per scontato che si bevesse. Tutte le pozioni si bevono!».
«Ti avevo detto di non fidarti di Roockwood. Quel ragazzo mi dà i brividi» sospirò Alexis Finch-Fletchley.
«E comunque non tutte le pozioni si bevono» aggiunse Arianna.
«Evita, attacchi di secchionaggine. Sto già male» mugugnò Lucy.
«Vedrai che Madama Chips rimetterà in sesto tua cugina».
«Ma sarò comunque espulsa!».
«Magari, no… Dicono tutti che sbagliare è umano» provò a consolarla Alexis.
«Ma perseverare diabolico… e purtroppo Lucy ha un elenco di malefatte fin troppo lungo per essere solo al secondo anno».
«Sì, ma sono cose di poco conto. Sono sicura che le daranno un’altra possibilità».
«Alexis, tu sei troppo buona! Purtroppo la McGranitt non lo è».
«Io non voglio che la buttino fuori!» singhiozzò Alexis e si diresse verso la porta.
«Dove vai?» chiese Arianna.
«Da mio padre. Deve fare qualcosa!».
«Non può farci nulla lui. Lascialo in pace».
«Mi deve ascoltare!» borbottò lei.
Alexis era estremamente legata al padre, l’unica volta in cui vi era sta tensione tra loro era stata dopo il suo smistamento a Serpeverde. Il padre, come le sorelle, non l’aveva presa per niente bene. Per lui era ancora difficile rivalutare completamente quella Casata dopo la guerra. Non era mai stato severo o soffocante, ma per i primi mesi del suo primo anno non aveva fatto altro che rimproverarla per ogni minuzia ed i suoi voti non gli andavano mai bene, nonostante s’impegnasse molto. Faceva in quel modo solo perché lei indossava i colori verde-argento, perché le sue sorelle Emily e Noemi, rispettivamente Grifondoro e Tassorosso, non amavano minimamente lo studio e nonostante ciò non le rimproverava quasi mai. Lei doveva aiutare Lucy, perché all’epoca era stata lei, trascinandosi Arianna, ad andare da suo padre (era stato lui stesso a raccontarglielo), e gliele aveva letteralmente cantate ed Arianna le aveva assicurato che la loro amica era arrivata ad insultare l’insegnante non troppo velatamente. Comunque il padre aveva colto il messaggio e dopo era stato lui a cercarla per scusarsi del suo comportamento pressoché infantile. Da allora era tornato tutto come prima dello smistamento, anche se le sue sorelle continuavano a punzecchiarla sull’argomento, ma suo padre interveniva sempre in suo favore e quindi non le interessava più di tanto. Loro l’avevano sempre presa in giro. Arrivò alla sua classe proprio alla fine dell’ora. Evitò i ragazzi, che uscivano per dirigersi alla lezione successiva, ed entrò.
«Non dovresti essere a lezione, tu?» la precedette Justin con una punta di severità nella voce.
Ops, giusto. La storia di Lucy l’aveva completamente sconvolta. «Ehm sì dovrei…».
«Perché hai pianto?» chiese lui accarezzandole il viso umido.
«Non voglio che Lucy venga espulsa. Lo puoi impedire, vero?».
Justin sospirò e l’abbracciò, scoccandole un bacio sulla testa. «Non credo di avere tutto questo potere. E la tua amica ha fatto una cosa molto grave, che l’è saltato in mente?».
«Pensa che lei e la cugina siano state scambiate nella culla».
«È un’idiozia che accade solo nei film babbani…».
«E lei non sapeva che la pozione non si beve. Non è cattiva, non la potete espellere per questo!».
«Adesso calmati! Ti assicuro che verrà valutata attentamente la situazione. Altro non posso dirti… Ah, a parte il fatto che Robards non sarà per niente contento quando saprà che hai saltato la doppia ora di erbologia».
«No, dai ti prego. Robards mi terrorizza. Ti prometto che non accadrà più» disse supplichevole.
Justin sospirò e cedette: «Chiederò a Neville di chiudere un occhio per questa volta, se non farà rapporto a Robards difficilmente lui verrà a sapere che tu, e immagino anche Arianna, non siete andate a lezione».
«Grazie, grazie, grazie» disse lei abbracciandolo.
*
Frank si era assicurato che Roxi si stesse riprendendo, ma non era ancora andato a trovarla. Prima le lezioni, poi i compiti ed aveva sempre rimandato. La verità è che aveva paura di vederla soffrire. Ma era pur sempre la sua migliore amica, se stava male non poteva lasciarla certo da sola! Corse su per le scale del dormitorio maschile e bloccò James, che stava scendendo in quel momento.
«Ti prego» ansimò, «prestami il mantello».
Il ragazzo lo osservò sorpreso: «E così il mio piccolo secchione, che non trasgredisce mai le regole, vuole farsi un giro dopo il coprifuoco?».
«Devo andare a trovare Roxi. Ti prego non mi far perdere tempo…».
Cinque minuti dopo, nascosto dal mantello dell’invisibilità, si avviò lungo il corridoio del settimo piano. Di norma durante il giorno se non era in compagnia di Roxi o di Albus gli sembrava di essere parte della parete, per quanto si sentisse considerato dal resto degli studenti. Adesso, invece, era come se tutti i quadri non solo lo vedessero ma anche che lo giudicassero; quasi se li immaginava brontolare per l’indisciplina dei “giovani d’oggi”. Evitò un Prefetto di Corvonero. Non aveva scelto la serata migliore per infrangere le regole: erano di ronda Serpeverde e Corvonero. Fortunatamente il corridoio dell’infermeria era libero. Si affacciò dalla porta e gettò un’occhiata all’interno: Angelina Weasley era seduta accanto al letto della figlia e gli dava le spalle. Da lì non vedeva Roxi. Non poteva certo entrare con Angelina lì? E se non ci fosse stata, sarebbe cambiata la situazione? Insomma era stato uno stupido: lì lui a quell’ora non avrebbe dovuto esserci per nessun motivo. Chissà cosa avrebbe pensato di lui Madama Chips! Si voltò, pronto a tornare alla Torre di Grifondoro, ma sbatté contro qualcuno e cadde all’indietro. Il mantello scivolò via.
«Frankie!» la voce gioviale di George Weasley quasi rimbombò nel corridoio deserto. Avrebbe preferito che non avesse parlato a voce così alta. L’uomo, con un ampio sorriso in volto, lo rimise in piedi di peso. «Che fai scappi?».
Il ragazzino arrossì e si avviò lunghe le corsie vuote dell’infermeria insieme a George.
«Ciao, Roxi» sussurrò avvicinandosi al letto dell’amica.
Roxi non aveva una bella cera, ma gli sorrise ugualmente. Gli fece segno di avvicinarsi e quando lui obbedì lei gli diede un bacio sulla guancia, poi disse a voce bassissima: «Mi sei mancato».
«Scusa se non sono venuto prima» replicò lui, sentendosi improvvisamente in colpa. Lei lo aspettava!
«Angie, vieni a prendere un po’ di caffè. C’è Frankie che fa compagnia a Roxi».
I due adulti li lasciarono soli. Roxi non sembrava avesse molta voglia o la forza di parlare, così gli chiese: «Raccontami di oggi».
Frank le raccontò tutto quello che era accaduto da quando lei era stata portata in infermeria. Non fece alcun accenno a Lucy, che si era data alla macchia. Roxi per lo più ascoltò in silenzio, ogni tanto accennò un sorriso divertito. Quando George ed Angelina ritornarono, trovarono i due ragazzini addormentati.
«Non sono tenerissimi?» chiese Angelina rivolta al marito, che si limito ad annuire e sorridere. Roxi stringeva la mano di Frank, ed il ragazzino aveva appoggiato la testa accanto alla spalla dell’amica. La porta si aprì di scatto e l’incanto si ruppe. I due genitori si voltarono, mentre Neville entrava in compagnia di Fred.
«Abbiamo trovato Lucy. Papà, dice che vuole parlare solo con te» annunciò il ragazzo.
«Lui che fa qua?» sbuffò Neville accennando al figlio.
«Teneva compagnia a Roxi, mentre noi siamo andati a prendere un caffè. Mi sembra logico» replicò George con un ghigno malandrino.
«Sai benissimo, che dovrebbe essere nel suo letto in questo momento!» replicò Neville per nulla intenerito dalle parole dell’altro.
«Mi stai chiedendo se conosco le regole della Scuola? Sì, in effetti credo di averle infrante tutte a suo tempo… alcune anche un migliaio di volte».
Angelina alzò gli occhi al cielo, Neville sbuffò e Fred ridacchiò battendo il cinque al padre.
«Bene, io vado dalla peste prima che sparisca di nuovo… E mi raccomando Neville, non rompere le pluffe… Vieni con me Fred…».
Angelina osservò marito e figlio uscire e si rivolse a Neville: «Neville, so che George non è mai serio, ma credo che stavolta abbia ragione. Sai quanto si vogliono bene Frankie e Roxi. Non è necessario che tu sia severo con lui in questo caso».
«Sì, tranquilla. Lo so benissimo perché Frank è qui. È stato in pensiero tutto il giorno. Lo sveglio e lo riaccompagno alla Torre. Però il mantello dovete restituirlo ad Harry» disse prendendolo dalla sedia e porgendoglielo.
«Sei consapevole del fatto, che domani prima di andarcene George farà in modo che ritorni nelle mani di James o Lily?».
«Perfettamente, ma almeno io ho fatto il mio dovere» rispose Neville, facendole l’occhiolino. Poi toccò delicatamente il figlio e lui sobbalzò quasi subito, guardandosi intorno. «Papà! Io…».
«Tu? Su non ti sforzare a trovare qualche stupida scusa… So quanto tieni a Roxi… Ti accompagno alla Torre» disse circondandolo con un braccio in modo affettuoso. «Ma non violare più le regole».
«Certo, papà» biascicò lui assonnato.
*
Percy Weasley percorreva la stanza a grandi falcate almeno da dieci minuti. Sua figlia lo fissava a braccia incrociate e con un’espressione di sfida dipinta sul volto.
«Si può sapere che ti è saltato in mente? Che cos’è questa storia assurda che hai raccontato alla Preside? Quando tu e Roxi sareste state scambiate nella culla?» sbottò senza più riuscire a trattenersi. Audrey gli aveva chiesto di aspettarla, avrebbero parlato insieme alla figlia; ma la moglie era in ritardo a causa di un’improvvisa emergenza al San Mungo, dove lavorava come medimaga.
«Quando eravamo ancora nella nursery dell’ospedale. Io e Roxi siamo nate a distanza di ventiquattro ore» rispose lei fredda.
«Quindi tu pensi che mia figlia sia Roxi? E tu saresti figlia di George?».
«Esattamente. Come ho detto alla McGranitt volevo solo dimostrarlo. Non conoscevo l’effettivo funzionamento di quella pozione, ecco perché è successo tutto ciò».
«La professoressa McGranitt, signorina ricordati che devi portare rispetto agli adulti! E sei stata un’incosciente ad usare una pozione che conoscevi! Tua cugina si è salvata per puro miracolo! Se Fred non fosse stato lì o se non avesse avuto quella pozione protettiva a portata di mano… Io non so più che fare con te» sospirò. «Credi davvero che vi abbiamo scambiate? Roxanne non assomiglia per niente né a me né a tua madre».
«Mica la somiglianza è sempre visibile! E comunque ti assomiglia più di me! E poi abbiamo entrambe capelli rossi, lentiggini ed occhi azzurri. Ci assomigliamo un sacco io e Roxi».
«Quasi tutti i Weasley hanno queste caratteristiche! E non hai notato che Roxi ha la carnagione più scura? L’ha ereditata da Angelina! Mentre tu hai la pelle chiarissima, proprio come tua madre!». Lucy fissava ostinatamente il pavimento, fingendo di non ascoltarlo. «E va bene! Se è quello che vuoi. Ecco la pozione del DNA, tua madre l’ha presa al San Mungo. Vuoi ancora provare?».
«Sì, certo» Lucy divenne improvvisamente molto più attenta. «Dammi un tuo capello, allora».
Lucy obbedì e Percy se ne staccò uno anche lui.
«Ora metterò entrambi i capelli nella pozione», disse mostrandole una fiale con un liquido bluastro, «se diventa rossa significa che sono io tuo padre. Invece il colore rosa indica che siamo parenti. Infine se rimane blu significa che non abbiamo alcun legame di sangue. Tutto chiaro? Sei pronta?».
«Vai».
«Toglimi una curiosità prima. Nel caso assurdo che tu avessi ragione, che cosa succederà?».
«Semplice. Io e Roxi ci scambieremo».
«Dubito che Roxi ne sarebbe felice. Tu non consideri mai i sentimenti altrui? Ma sia come vuoi tu. Ecco». Percy aggiunse i due capelli nella fiale e Lucy la fissò per un secondo, poi chiuse gli occhi temendo il risultato. Quando li riaprì la pozione era inesorabilmente rossa e suo padre la scrutava severamente.
«Allora, che hai da dire a tua discolpa?».
Lucy ricacciò indietro le lacrime ed urlò: «TI ODIO». Scappò via e abbandonò Percy da solo a chiedersi dove avesse sbagliato con lei.
*
«Rosie».
La ragazzina si voltò verso l’amica, che correva verso di lei in lacrime. Alcuni ragazzi più grandi la inseguivano. Estrasse la bacchetta. «Tranquilla, Dor. Ci penso io».
I grandi risero.
«Ci penso io» le fece il verso uno di loro.
Erano in tre: Douglas di Corvonero, Warrington e Maciste di Serpeverde. «Che cosa vuoi fare, mezzosangue?» l’apostrofò Douglas sprezzante.
«Farvi rimpiangere di esservi avvicinati alla mia amica» replicò Rose, nient’affatto intimorita. «Esperlliamus!». Douglas respinse l’incantesimo senza alcuna difficoltà. «Con chi credi di aver a che fare? Dateci il topazio di Tosca Tassorosso e forse saremo clementi».
«Sì, col cavolo» rispose Rose. Riprovò a disarmarlo, ma Maciste, che non era minimamente paziente, si avventò su di lei e le strappò la bacchetta di mano, storcendole il polso. Rose urlò per i dolore e con gli occhi annebbiati dalle lacrime, non riuscì ad impedire che Warrington strappasse il filo, cui era legato il topazio, dal collo di Dorcas.
«Lasciatele in pace!» impose Albus, sopraggiungendo di corsa seguito da Scorpius.
«Incarceramus». L’incantesimo di Douglas colse entrambi di sorpresa e caddero a terra, legati da corde invisibili, e li caddero anche le bacchette. «Chi abbiamo qui?» chiese il Corvonero con un ghigno divertito. «Un Grifondoro ed addirittura un Serpeverde. Malfoy mi ripugni! La tua famiglia non ti ha ancora diseredato?».
Scorpius si limitò a guardarlo in cagnesco.
«E lui non è un vero Grifondoro», s’intromise Warrington, «Mio fratello mi ha detto che si è quasi messo a piangere davanti ad un molliccio». I tre sghignazzarono. Alla fine Douglas ordinò: «Maciste, dà loro una lezione. Magari Malfoy rinsavisce e si ricorda da che parte deve stare. Ah, pretendo anche lo zaffiro di Corvonero e lo avrò con le buone o con le cattive. Maciste ora vi farà vedere le cattive».
Rose, zittita, come gli altri, da un incantesimo tacitante, si disse che non avrebbe mai dimenticato quel momento. Anche quando i tre se ne furono finalmente andati e l’incantesimo si sciolse, lei rimase nella stessa posizione. Non riusciva nemmeno a guardare il cugino e l’amico. Strinse le ginocchia al petto e lasciò andare liberamente le lacrime. Una parte di lei sperò ardentemente che fosse stato solo un incubo, ma il polso dolorante era più che reale.
«Che cavolo è successo qui?».
Rose alzò gli occhi ed incrociò quelli di spaventati di un ragazzo più grande. Non rispose. Lui si avvicinò a lei ed a Dorcas. Tirò fuori un pacco di fazzoletti dallo zaino e glieli porse. Lei istintivamente si attaccò al suo braccio, dopo che le aveva aiutate ad alzarsi. Un’ora dopo non l’aveva ancora mollato, nonostante Madama Chips le avesse dato una pozione calmante e le avesse sistemato il polso. Anche Al e Scorp stavano meglio, ma erano ancora privi di conoscenza. James e gli altri li avevano raggiunti in infermeria, ma lei si era rifiutata di fornire loro alcuna spiegazione. Fortunatamente l’infermiera era intervenuta ed aveva fatto in modo che la lasciassero in pace. Ad un certo punto la porta si aprì e Neville, Harry, Ron, i signori Malfoy e Gabriel Fenwick entrarono.
«Papà!» gridò Rose, liberando finalmente il Prefetto di Corvonero dalla sua stretta e si gettò sul padre, che la strinse subito a sé. Gabriel fece altrettanto con Dorcas. Harry, Draco ed Astoria si avvicinarono ai rispettivi figli.
«Pretendo una spiegazione» sibilò Draco rivolto a Neville.
«E l’avrà signor Malfoy» rispose la Preside appena arrivata, insieme a Mcmillan.
«Che cos’è accaduto?» chiese Harry a denti stretti.
«Non l’abbiamo ancora capito. La signorina Weasley e la signorina Fenwick non ci hanno ancora raccontato nulla» rispose ancora la Preside.
«Harry, Rosie è spaventata. Lasciala in pace!» lo bloccò il suo migliore amico prima che potesse aprire bocca.
«Tu che cosa sai?» sbottò Draco additando minacciosamente il Prefetto di Corvonero.
«Nulla, mi dispiace, signore. Stavo tornando nella mia Sala Comune quando li ho trovati».
«Si stanno svegliando» li richiamò Neville.
Scorpius, in realtà era già sveglio da qualche secondo e li stava osservando in silenzio; mentre Albus si mosse irrequieto, quasi pensasse di essere ancora legato, prima di aprire gli occhi.
«Al!» Harry si avvicinò immediatamente e gli accarezzò i capelli. Il figlio era pallido. «Al, come stai?».
«Come se un rullo compressore, mi fosse passato di sopra» borbottò in modo che potesse udirlo solo lui.
«Ti ricordi cos’è successo?».
Albus si incupì, ma fece un lieve cenno affermativo.
«Perché non ce lo racconti?».
Il ragazzino chiuse gli occhi e scosse la testa. Scorpius era sicuro che anche nella testa dell’amico in quel momento stesse rimbombando l’ultimo avvertimento di Douglas: Non una parola.
«Al, ti prego» provò Harry, ma il figlio si rifiutò di guardarlo. «Mamma sta arrivando, ok?».
«Fergusson, puoi andare» ruppe il silenzio la Preside.
Il ragazzo obbedì e mentre usciva tenne aperta la porta per far passare Ginny Potter ed Hermione Weasley.
«Scorpius, maledizione! Dicci che cos’è successo!» sbottò irritato Draco Malfoy.
«Signor Malfoy, è pregato di abbassare la voce! Questa è un’infermeria» lo redarguì Madama Chips, accennando esplicitamente a Roxi, ben vigile in uno dei letti vicini.
«Preside, la prego, potremmo rimanere soli con i nostri figli?» chiese Ginny.
«Naturalmente. Ragazzi andate a cenare. Signor Fenwick, signori Weasley vi pregherei di uscire anche voi».
«Ora parlate» ordinò Draco, quando furono tutti usciti e Madama Chips si fu chiusa la porta del suo ufficio alle spalle. I Potter lo fulminarono con lo sguardo.
«Al, per piacere, raccontaci quello che vi è accaduto» disse Ginny, dopo averlo abbracciato.
«Di che cosa avete paura? Avete fatto qualcosa che non avreste dovuto?» le venne in aiuto Astoria Malfoy.
Albus e Scorpius si scambiarono uno sguardo. Alla fine il secondo sbuffò e disse: «Non ve lo possiamo dire. Non possiamo chiudere qui la questione?».
«Assolutamente no!» tuonò Draco Malfoy.
«Albus, non mi fare perdere la pazienza. Ci state facendo preoccupare un sacco!» rincarò Harry.
Albus si mise seduto con una lieve smorfia: la pozione cura ferite non aveva ancora fatto effetto del tutto. «Sono stati dei ragazzi più grandi, ma hanno detto che se facciamo i loro nomi sarà peggio per noi».
«Si ritroveranno espulsi, prima che possano anche solo muovere un dito!» si alterò Draco Malfoy.
Scorpius fece una finta risata amara: «Espulsi? È più facile che facciano ricadere la colpa su noi quattro…».
«Perché voi che avete fatto?».
«A loro nulla. Io non ci avevo mai parlato» rispose Albus alla madre.
«E tu Scorpius?» chiese minaccioso Draco.
«Certo, che ci ho parlato. Tutte quelle stupide feste da snob purosangue a casa Zabini…» si interruppe, rendendosi conto di aver parlato troppo.
«Quindi conosco i loro genitori?».
«Facciamola finita, fuori i nomi» s’inserì Harry, senza distogliere lo sguardo dal figlio.
«Douglas di Corvonero…».
«Era lui a comandare» gli venne in aiuto Scorpius. Albus lo ringraziò con un lieve sorriso: almeno avrebbero rischiato la vendetta in due. «Warrington e Maciste».
«Maciste? Che razza di nome è?» domandò Draco.
«Credo che il suo vero nome sia Edward Kinnins. È del settimo anno e terrorizza sempre gli altri studenti, tanto che ormai lo conoscono tutti solo come Maciste» spiegò Scorpius.
*
«Ho parlato con il professor Robards e mi ha detto che Douglas, Kinnins e Warrington erano a lezione con lui. Temo che i vostri figli abbiano mentito» principiò la Preside.
«Mi faccia il piacere!», sbottò Draco, «la diagnosi di Madama Chips non è stata abbastanza chiara? La chiami, allora».
«La prego, signor Malfoy. Il professor Robards ritiene che probabilmente i ragazzi abbiano inventato questa storia per non confessare che hanno duellato alla babbana tra loro».
«Professoressa, sta scherzando, vero?» chiese Harry. «Mia nipote e Dorcas perché sono così sconvolte?».
«A quanto pare l’unica cosa che mette d’accordo voi due sono i vostri figli!».
«Hanno avuto la sventurata idea di diventare amici, quindi direi di sì» borbottò Malfoy, ma la Preside lo ignorò.
«Secondo voi, io dovrei dar più credito a due maghi di tredici anni o ad un mio docente?».
«Ai nostri figli» ringhiarono all’unisono, per poi guardarsi in cagnesco.
«Ma non si è chiesta perché uno studente del settimo anno si trovasse in classe con quelli del sesto?» domandò Harry con veemenza.
«Certo che sì, Potter. Con chi credi di aver a che fare? Il professor Robards mi ha risposto che Kinnins aveva un’ora libera ed aveva deciso di seguire la lezione di Difesa del sesto anno per consolidare le sue conoscenze».
«Che nobile proposito!» ironizzò Harry.
«Che deve consolidare uno che è stato bocciato due volte?» commentò acidamente Malfoy.
«Vi prego, signori! Bene, togliamoci il dubbio! Aspettatemi qui».
Harry e Draco non si rivolsero minimamente la parola e un silenzio teso regnò nell’ufficio finché la Preside non rientrò in compagnia di un Prefetto di Serpeverde.
«Vi presento la signorina Samantha Tylerson. Bene, signorina, lei oggi era presente alla lezione di Difesa Contro le Arti Oscure, vero?».
«Sì, naturalmente professoressa».
«Vi erano studenti assenti? Qualcuno è arrivato in ritardo?».
La ragazza sembrò decisamente sorpresa da quelle domande, ma rispose: «Sì, era assente Matthew Fergusson di Corvonero; mentre Warrington è arrivato in ritardo ed era in compagnia di Kinnins. Il professore gli ha permesso di seguire la lezione con noi».
«Bene, bene a quanto pare non sono dei tredicenni a mentire…» commentò sarcastico Malfoy.
*
«Avanti» disse Ernie Mcmillan.
Filius Vitious procedette all’interno del piccolo ufficio con il passo ormai malfermo a causa dell’età avanzata. Justin Finch-Fletchley, fino a quel momento stravaccato sul divanetto giallo, si raddrizzò immediatamente tentando di assumere una postura più composta; mentre Neville si alzò, per lasciargli la poltrona. Vitious lo ringraziò con un cenno, mentre i tre giovani docenti si stringevano sul divano.
«Buonasera, professore. Come mai qui?» chiese Justin.
«Buonasera, ragazzi. Sono venuto a scambiare due parole con voi. Ho visto che non avete preso bene il modo in cui Minerva ha reagito agli ultimi gravi episodi».
«Professore, Potter e Malfoy sono stati letteralmente pestati da tre ragazzi più grandi. La prego, di chiamare gli episodi gravi con il loro nome» replicò serio Justin.
«E poi con tutto il rispetto, la professoressa McGranitt non ha preso provvedimenti. È questo che ci ha lasciati scontenti e basiti. Personalmente se si fosse trattato di uno dei miei studenti avrei proceduto immediatamente con una sospensione» aggiunse Ernie evidentemente seccato.
«Mi rincresce che non abbiate più fiducia in Minerva» replicò amareggiato il piccolo insegnante di incantesimi.
«Abbiamo fiducia nella professoressa McGranitt» asserì Neville anche a nome degli amici. «A maggior ragione il suo comportamento ci ha profondamente deluso».
«Purtroppo vi sono state complicazioni diplomatiche, ma vi assicuro che se ufficialmente non ha preso provvedimenti, non significa che non l’abbia fatto nemmeno ufficiosamente. Gawain Robards ha consegnato stamattina le sue dimissioni. Completerà l’anno e poi andrà direttamente in pensione. Naturalmente Harry Potter non ha gradito il suo atteggiamento nei confronti del figlio, per cui una loro futura collaborazione al Ministero è quanto mai da escludere. Robards è più che consapevole di non essere indispensabile».
«È quanto mai diseducativo che lui abbia difeso i suoi allievi anche di fronte ad una simile condotta!» borbottò Neville.
«Vi prego, mettete da parte il vostro rancore per Robards in questi ultimi mesi e continuate a svolgere il vostro lavoro al meglio come avete sempre fatto. E perché lo sappiate, ho punito personalmente Douglas. Non ho proceduto ad una sospensione perché avrei dovuto spiegarne il motivo e Robards ha fatto in modo che l’intera faccenda fosse insabbiata. Comunque questa sera sono venuto a comunicarvi che a giugno andrò in pensione».
«Cosa?» sbottò Justin.
«Hai capito bene, Justin» sorrise l’anziano mago. «Ascoltatemi bene. Voi avete combattuto per questa Scuola, appena sia io che Minerva lasceremo i nostri rispettivi incarichi sarete voi i nuovi pilastri della Scuola. Abbiamo completa fiducia in voi. Neville, per diritto di anzianità, sarai tu il nuovo vicepreside. Sono sicuro che farai un ottimo lavoro. Ed i tuoi colleghi saranno sempre pronti ad aiutarti».
«Io non credo di essere all’altezza».
«Non può andare in pensione. Ragiona ancora benissimo!».
Ernie tirò una gomitata a Justin per intimargli di tacere, ma l’anziano mago si limitò a ridacchiare.
«Per Merlino, ragiono benissimo. Su questo non ho dubbi, Justin. Purtroppo però mi stanco più facilmente e la stanchezza mi fa perdere la pazienza. E, confido che lo sappiate, senza pazienza non si è bravi insegnanti… E Neville, ti dico che sarai bravissimo».
 
Nota dell’autrice:
Ciao a tutti :-D
Nello scorso capitolo mi sono dimenticata di dirvi che la poesia inviata ad Albus non è mia, ma di un poeta francese: Jacques Prevert.  
Spero che la storia vi stia piacendo, non dite mai nulla! Comunque buona serata :-D :-D

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Capitolo 24
*** Il fantasma di Silente ***


Capitolo ventiquattresimo.
Il fantasma di Silente


 
«Ecco i Tassorosso, capitanati da Gabriel Richardson… Abbott, Mcnoss, Mcmillan, Calliance, Castor e Norris…» Hermes Pratzel strillava dalla sua postazione come sempre. Albus prese posto accanto a Frank e Roxi nella marea rosso-oro. Giocherellò con la sciarpa, mentre suo fratello e gli altri Grifondoro facevano il loro ingresso in campo.
«Sono in forma, vinceranno senza alcun problema» disse Scorpius, appena arrivò e lo salutò con una pacca sulla spalla. Qualcuno lo guardò torvo.
«Cerchi di suicidarti, Malfoy?» lo apostrofò Eleanor Mckenzie, seduta dietro di loro.
«No, grazie. Ci tengo alla pelle. Voglio solo guardare la partita» replicò lui con un ampio sorriso.
«Tranquillo, Scorp. Non ti succederà nulla. Se ti dovesse accadere qualcosa, mentre sei in mezzo ad una folla di Grifondoro con chi pensi che se la prenderebbero? Non siamo furbi, ma nemmeno stupidi» disse Alastor.
Albus sorrise allo scambio di battute, ma poi, appena Scorpius ed Alastor si concentrarono sulla partita, tornò serio e si rivolse a Frank.
«Devo parlarti di una cosa importante» sussurrò.  Era sempre stato molto legato a Frank: la loro famiglia era molto numerosa e spesso era difficile trovare un po’ di calma, ma soprattutto non sempre si trovava perfettamente a suo agio con i cugini chiassosi. Fin da piccolo aveva trovato un buon amico proprio in Frank e nonostante ad Hogwarts fossero più distanti, visto che erano in classi diverse, comunque in caso di necessità si cercavano.
«Sei preoccupato per James? Non credo che i Serpeverde tenteranno un colpo basso proprio durante la partita. Sono presenti quasi tutti gli insegnanti e la Preside».
Albus sospirò: «Mmm ciò non significa che non si vendicheranno… Rose non avrebbe dovuto raccontare agli altri che è stato Maciste a picchiarci insieme a Warrington… Cioè lui e Fred sono stati fantastici…».
«Più che fantastici, direi… Credo che nessun altro Grifondoro abbia mai compiuto un’impresa simile… Sono entrati nottetempo nella Sala Comune dei Serpeverde ed hanno spruzzato la vernice speciale Tiri Vispi Weasley, di colore rosso-oro naturalmente, e poi entrare nei dormitori maschili e nelle loro stanze… Maciste non faceva più il gradasso quando Fred l’ha messo sotto sopra con il liberacorpus… Hanno umiliato i Serpeverde ben bene da quello che raccontano… L’anno ricoperto di melassa e di piume… Una cosa straordinaria! Robards era furioso. Ho sentito dire che Zabini l’ha buttato giù dal letto a quell’ora… Naturalmente Robards se l’è presa con mio padre… Credo che a lui però non sia dispiaciuto per nulla di questa bravata… insomma la verità è che a nessuno è andata giù come hanno gestito il vostro pestaggio…».
«Appunto i Serpeverde aspettano solo il momento adatto per vendicarsi! Ma non è di questo che vorrei parlarti». Albus si chinò di più sul suo orecchio e rapidamente gli raccontò della Leggenda dei Fondatori. Man mano che andava avanti, gli occhi di Frank si dilatavano per lo stupore. «E questo è tutto» concluse, aspettando ansiosamente che gli dicesse qualcosa. Frank, però, fu sollevato dal gravoso compito da uno Scorpius eccitato, che gridò strattonando Albus per la spalla: «Guarda tuo fratello! Che picchiata!». Scorpius era in piedi sul sedile, come molti altri Grifondoro, e seguiva attentamente la discesa del cercatore. Albus individuò il fratello proprio mentre quest’ultimo riprendeva quota mostrando a tutti il boccino stretto tra le sue mani.
«È stato magnifico!» strillò Scorpius.
Albus sorrise incerto, dopotutto quello che era successo in quei mesi non riusciva più ad entusiasmarsi di fronte ad una vittoria di Grifondoro.
«Al, non credi sia il caso di parlarne con un adulto? Se le pietre funzionano davvero… nelle loro mani diventerebbero un’arma pericolosa… E loro hanno rubato il topazio a Dorcas ed il rubino a Rosie… E poi non potete mica entrare nella foresta a cercare lo smeraldo di Salazar… Finireste in un guaio assurdo» disse Frank, mentre lasciavano lo stadio.
«Lo so», sospirò, «Rosie però è fissata. Fa piani su piani… E dirlo agli adulti? Pensi che non abbia pensato di confidarmi con tuo padre? Ma così tradirei la fiducia di Rose e poi ormai quei ragazzi lo sanno e se gli insegnanti li chiedessero qualcosa negherebbero… sicuro… e come potremmo dimostrarlo? Lo zaffiro da solo potrebbe essere un semplice zaffiro e comunque non sappiamo se le pietre funzionino per davvero».
«Mmm non so come consigliarti Albus».
«Mi basta che tu lo sappia, gli altri sono troppo coinvolti: Rose è riuscita a convincerli. Loro credono di poter sconfiggere i Neomangiamorte con le pietre… Ma a me sembra troppo facile…».
«È per questo che eri preoccupato le settimane scorse?».
«Anche. Dopo l’uccisione di Ombrosus, ho iniziato ad avere degli incubi… sempre più frequenti e le notizie sulla gazzetta non sono state d’aiuto… morti, soprattutto tra i Babbani… sarà egoistico ma ho cominciato a temere che possa succedere qualcosa ai miei familiari… ed a poco a poco sono diventato sempre più ansioso… e sinceramente ero terrorizzato dall’idea di addormentarmi e vedere concretamente le mie paure realizzarsi e poi zio Ron, nella serie storie da non raccontare mai ai tuoi figli-nipoti ma io le racconto comunque, ci ha detto più di una volta che mio padre aveva un pessimo rapporto con gli incubi da ragazzo…».
«In che senso?» lo interruppe Frank.
«Non lo so… Mio padre si è rifiutato di rispondere a qualsiasi domanda in proposito e si è arrabbiato molto con zio Ron per averci raccontato certe cose e naturalmente lo zio si è guardato bene dall’aggiungere altro… Comunque ho iniziato a prendere la Pozione Risvegliante… era diventata una specie di ossessione… grazie alla pozione riuscivo a studiare e seguire le lezioni e cercavo di evitare di dormire il più possibile, ma come Mcmillan dice sempre, e né lui né Madama Chips erano molto contenti quando l’hanno saputo, ogni pozione ha degli effetti collaterali in generale e poi specifici a seconda delle persone… E ti assicuro che ne ho bevuta parecchia… Dopo che Maciste mi ha spedito in infermieria, ho ceduto ed ho raccontato tutto a tuo padre…». Albus si fermò di scatto sulla riva deserta del Lago Nero. «Sono contento che lui sia qui e sia il nostro direttore. Ho fatto una stupidaggine enorme e ne ero consapevole… però, lui è il mio padrino, così nonostante mi vergognassi mi sono rivolto a lui… È tuo padre Frank… stravede per te e le tue sorelle… perché non gli racconti di Calliance e compagni? Sono stati loro a romperti gli occhiali nuovi?».
Frank trattenne il respiro, preso alla sprovvista dalla rapidità con cui l’amico aveva cambiato argomento. Toccò gli occhiali leggermente storti. «È stato Halley Hans», ammise a malincuore, «Come posso raccontare una cosa del genere a mio padre?».
«Come ho fatto io!».
«Non è la stessa cosa! Il tuo era un problema personale. Il mio… Insomma ti rendi conto cosa succederebbe?».
«Sì, Calliance e gli altri avrebbero la punizione che si meritano per essere degli stupidi prepotenti!» lo interruppe Albus.
«E verrebbero tolti un sacco di punti a Grifondoro! Finiremmo ultimi nella classifica…».
«Ma chissenefrega della coppa delle Case! Frankie vuoi continuare a farti mettere i piedi in testa fino al diploma? Immagino che te ne sia accorto, più crescono più diventeranno fastidiosi!».
«Ci penso, ok? Ho bisogno di un favore, però».
Albus sospirò: difficilmente Frank si sarebbe ribellato da solo a quella situazione. «Dimmi».
«Potresti prestarmi il tuo libro di pozioni dell’anno scorso? A fine anno te lo restituisco. Roxi non sa dove sia il suo, mi ha detto che forse l’ha dimenticato alla Tana; ma non vuole chiederlo a sua mamma, perché se no comincia con la predica sulla sua distrazione e menefreghismo… Anche se nelle condizioni in cui è ora, penso che le concederebbero qualunque cosa senza dire nulla».
«Andiamo, così scrivo subito a mia mamma e le dico di mandarmi il libro».
«Grazie, Al».
«Tu pensa a quello che ti ho detto» replicò lui con un lieve sorriso.
*

«James la smetti di toccarti l’orecchio?» domandò Danny con una smorfia di disgusto. Tylor li aveva convinti a farsi fare un piercing da Charles Harper di Serpeverde. L’orecchio di James, però, si era gonfiato intorno all’anellino ed aveva assunto un colorito verdognolo.
«Mi fa male!» si lamentò il ragazzo.
«Sei una femminuccia, Jamie» disse Tylor.
«Devi andare da Madama Chips! Quella è un’infezione con i fiocchi» lo avvertì Benedetta, ma prima che James potesse replicare, Tylor e Danny si fermarono a fronteggiarla: «Senti Merinon, hai davvero rotto le pluffe! Capito? Non ce ne frega nulla di quello che pensi tu» disse Danny.
«Sei pesante e non ci piace la tua compagnia! Sei troppo perfettina per noi, molto carino da parte tua suggerire a Jamie come beccarsi una punizione!» rincarò Tylor.
«Ma che dite?! Benedetta, aspetta… io non…» tentò James, ma la ragazza era già scappata via e lui si voltò adirato verso gli altri due ragazzi: «Ma come vi siete permessi di dire certe cose? L’avete fatta piangere!».
«L’abbiamo fatto per te. La sua compagnia ti sta cambiando!» rispose Danny.
«Tuo cugino Fred è d’accordo con noi. Inoltre con la sua mania di studiare sempre e fare tutti i compiti senza copiare ti sta distraendo dal Quidditch! Non puoi dimenticarti dei tuoi doveri nei confronti dell’intera Casa per una ragazzina insignificante!» rincarò Tylor.
«Ma se ho preso il boccino in meno di un quarto d’ora contro i Tassorosso!».
«Tuo padre ai suoi tempi ce ne ha messi dieci, me l’ha detto mio padre».
«Roderick Plumpton ha preso il boccino in tre secondi e mezzo nella partita contro le Caerphilly Catapults nel 1921! Non hai fatto chissà cosa!».
«Voi siete impazziti! Io non devo battere il record di un Cercatore della Nazionale Inglese e poi secondo me ha avuto solo moltissima fortuna! Ora cerchiamo Benedetta e le chiedete scusa!».
«No, no. Ti devi allontanare da lei! Ha una pessima influenza su di te!» replicò Danny.
«Adesso andiamo ai Tre manici di scopa e ci prendiamo una burrobirra!» disse Tylor e iniziò a trascinarlo per un braccio. James si staccò di forza e li guardò malissimo, precedendoli nel pub. Si diresse subito al bancone per ordinare per tutti e tre. Il pub ora gestito dalla madre di Tylor.
«Buongiorno signora Jordan, ciao Drew, ciao Dali» salutò la madre ed i fratellini dell’amico.
«Ciao James, come stai? A Scuola tutto bene?».
«Tutto come sempre. Lei come sta?».
«Come devo stare? Con tutte le preoccupazioni che ho! E Tylor non mi aiuta mica! Nell’ultimo mese ho ricevuto una lettera dalla McGranitt e quattro da Paciock! Quel ragazzo mi farà morire di crepa cuore! Ed adesso che diavolo vi siete messi alle orecchie?» domandò nervosa, scrutando il suo orecchino.
«È solo un piercing, signora… Noi…», ma lei non lo fece finire di parlare, che si precipitò dal figlio maggiore.
«Disgraziato! Mi avevi detto che i soldi ti servivano per comprare un libro! Mi vuoi fare davvero impazzire!» urlò. Molti avventori si voltarono verso di loro. Quel giorno, però, la maggior parte erano studenti della Scuola e quindi si limitarono a sghignazzare.
«Che cosa vuoi, James?» chiese scontroso Drew. James distolse lo sguardò dalla scena e si voltò verso il bambino. «Tre burrobirre, per piacere».
Pochi secondi dopo Drew li mise davanti ciò che aveva chiesto. «Perché hai assecondato quel cretino di mio fratello?» gli chiese con espressione cupa.
«Non pensavo ci fosse nulla di male…».
«Sei uno scemo» commentò seriamente Drew, per poi rivolgersi ad un altro cliente, ignorandolo completamente. James tornò dagli amici, proprio mentre la signora Jordan indignata voltava le spalle a Tylor.
«Però, l’ha presa maluccio» commentò il ragazzo con noncuranza.
«Maluccio, dici? Ha promesso che da lei non vedrai un soldo fino alla fine dell’anno!» replicò Danny.
«Almeno io ho avuto il coraggio di dirlo a mia madre, voi no. Siete dei fifoni».
Danny si mosse imbarazzato sulla sedia. Avevano fatto il piercing circa una settimana prima e da quel momento ogni lezione di Antiche Rune aveva fatto finta di star male ed aveva evitato ogni contatto con la madre.
«Sua madre lo sa. Ed anche mio padre. E mi sa che non l’ha detto alla mamma e se non ha il coraggio lui, che ha sconfitto Lord Voldermort…» replicò James.
«Mia madre lo sa?» chiese Danny scioccato.
«Gliel’ha detto zio Neville, così come ha fatto con mio padre. Penso che stia solo attendendo il momento adatto per beccarti».
Danny deglutì e si mise a bere la sua burrobirra in silenzio, mentre Tylor assumeva un’espressione terribilmente soddisfatta. James fece per dirgli qualcosa ed esortarlo a chiedere scusa a quella povera donna di sua madre, ma poi ci ripensò: l’argomento famiglia era sempre stato un tabù tra loro.
«Non piangi perché la mamma ti ha rimproverato, Jordan?». Su di loro troneggiavano un gruppetto di Serpeverde.
James sentì il sangue arrivargli in testa: «Parkinson, tu ed i tuoi amici non siete i benvenuti». Tylor comunque aveva già messo mano alla bacchetta.
«Posala… è appena entrato Mcmillan insieme a Finch-Fletchley…» lo bloccò Danny. James con la coda dell’occhio vide i due insegnanti sedersi in un tavolo vicino all’ingresso. Lontani abbastanza da non sentire ciò che dicevano, ma non da non vedere una zuffa.
«Sì bravo, Jordan. Ascolta Baston» disse il Serpeverde. «E poi volevamo solo proporvi una sfida. O non avete abbastanza coraggio?».
«Noi siamo coraggiosi, dicci che dobbiamo fare e te lo dimostreremo» rispose Tylor determinato. James e Danny lo affiancavano supportivi, ma il primo sentiva odore di guai.
«Avete presente La testa di Porco?».
«Dicono che è infestata dai fantasmi…» disse Van Rutter alle sue spalle.
«Idiota, sono tutte storie…».
«Una zia di mia madre abita qui ad Hogsmeade… E negli ultimi tempi ci sono stati strani rumori, ma non entrerebbe mai nessuno lì dentro… secondo me è davvero il fantasma del vecchio scorbutico».
«Sarà, allora scopriremo anche quello» replicò Marcus Parkinson tranquillo.
«Ti sei dato alla caccia ai fantasmi, Parkinson?».
«No, Potter. Preferisco il whisky incendiario ben invecchiato. Sono sicuro che il vecchio ne ha lasciato qualche cassa prima di schiattare e dubito che qualcuno abbiamo avuto il coraggio di entrare a prendersele. Sarebbe un vero peccato non approfittarne».
«Ci è vietato entrare lì dentro» disse James e tutti si voltarono verso di lui increduli.
«Ci stiamo, ma se vuoi quel whisky dovrai pagarci il servizio Parkinson» disse Tylor.
«Da quando Potter si preoccupa delle regole?».
«Lascia stare Jamie, sta passando un periodo turbolento. Vogliamo centocinquanta galeoni e qualche bottiglia per noi» rispose Tylor.
«No. Il prezzo dipenderà dalle bottiglie che mi porterete. Solo allora ci metteremo d’accordo».
«Ti conviene rispettare il patto, Parkinson o sai di cosa siamo capaci…».
«Sì, certo» rispose lui con noncuranza, «ma io non sono un incapace con Maciste. So usare la bacchetta, quindi non ti montare troppo Jordan. Ora noi andiamo, vi aspetto tra un’oretta vicino alla Stamberga Strillante. Lì nessuno farà caso a noi…».
«No» lo interruppe James, «Ci vediamo vicino quel negozio di vestiti babbani».
«Tu deliri, Potter. Ci vedremo dove ho detto io. A dopo» concluse Parkinson. Lui e i suoi amici si allontanarono e presero posto in un tavolo poco distante.
«Ma sei scemo? Quel negozio è quasi al centro del villaggio! Vuoi farti vedere da tutti?» sbottò Tylor.
«Siete voi che vi sbagliate! Questo posto pullula di Auror ed agenti della Squadra Speciale Magica! Se ci vedessero trascinare una cassa fuori dal villaggio, ci fermerebbero dopo tre secondi!».
«Jamie, non c’è nessuno. Gli Auror e gli agenti si notano e noi non ne abbiamo incrociato nessuno da stamattina. Sei paranoico!» disse Danny.
James scosse la testa irritato: «Per forza, sono in borghese! E comunque Tylor non avresti dovuto accettare senza consultarci».
«Neanche a me piace l’idea, però Tylor ha ragione: è un’ottima occasione! Per te che ti devi riprendere e per la nostra raccolta fondi per Madrid, visto che non ti fai più pagare per le ripetizioni».
James lo fulminò con lo sguardo: cioè quei due avevano anche il coraggio di lamentarsi, quando lui era stato l’unico a rimetterci! Il piccolo ed adorabile Colin Canon si era lamentato con il padre perché non aveva i cinque galeoni per pagare le ripetizioni: Dennis Canon era uno degli uomini di suo padre e non ci aveva messo molto ad andare a lamentarsi con lui. Si era beccato una strillettera dalla madre e ci aveva rimesso anche i suoi risparmi: erano stati costretti a restituire i soldi presi ma i due geniali amici ne avevano già speso una parte, per cosa poi solo Merlino lo sapeva!
«Andiamo» li esortò Tylor che fissava la madre preoccupato: la donna stava parlando con i due insegnanti. «Muoviamoci, credo che quello stronzo di Mcmillan le stia raccontando del piccolo incidente di ieri».
James inarcò un sopracciglio: l’amico ieri aveva fatto esplodere un paio di micette nei calderoni di alcuni Corvonero, rei di essere degli insopportabili secchioni. Ora lui era di certo l’ultima persona che poteva fare la morale, ma nei calderoni c’era una perfetta pozione esplodente. Basti dire che la maggior parte della classe era finita in infermeria (cioè tutti tranne loro e Benedetta perché si sono nascosti sotto un banco appena in tempo) compreso Mcmillan, e l’aula era tutt’ora inagibile. Ce l’avevano quasi fatta ad uscire senza essere visti dai tre adulti, quando la donna gettò un urlo, che avrebbe fatto invidia ad una banshee: «TYLOR LEE JORDAN! TORNA IMMEDIATAMENTE QUI, SEI HAI IL CORAGGIO!».
«Gambe!» li incitò Tylor quasi tirandoli di peso fuori dal pub. «NE PARLIAMO LA PROSSIMA VOLTA» urlò in risposta prima di allontanarsi di corsa.
«TI GIURO CHE NON CI SARA’ UNA PROSSIMA USCITA AD HOGSMEADE».
James con la coda dell’occhio vide la signora Jordan sulla porta del pub, in un posizione che ricordava tanto nonna Molly e quando nonna Molly li guardava con le mani sui fianchi non era mai un buon segno.
«Credo che tu sia perduto stavolta» commentò Danny, mentre riprendevano fiato.
«Figurati, urla soltanto… e poi sul permesso c’è la firma di mio padre. Lei è un’esagerata, lui lo sa. Forza, James. Tira fuori il mantello» replicò Tylor.
James sospirò ed obbedì. Tirò fuori il mantello nascosto sotto quello della divisa e con un gesto automatico, perché lo compiva ormai da tre anni, coprì se stesso e gli amici. Tutto sommato era meglio che nessuno li vedesse avvicinarsi alla Testa di Porco. Il locale era stato chiuso dopo la morte di Abeforth Silente, avvenuta quando loro erano al primo anno. Da allora gli studenti avevano iniziato ad entrarci per gioco o per pure curiosità. In un primo momento gli insegnanti a malapena ci avevano fatto caso, poi un giorno di due anni prima, uno studente aveva rischiato di farsi male seriamente a causa della caduta di una trave di legno e così era stato severamente vietato l’ingresso a tutti. James seguì in silenzio gli amici lungo la via principale e poi svoltò in una stradina secondaria: il vecchio locale si ergeva a stento e probabilmente se non fosse appartenuto ad un membro della famiglia Silente sarebbe già stata demolita da un bel pezzo. L’ingresso era stato sbarrato con spesse assi di legno. Si guardarono intorno, ma non c’era nessuno.
«Come entriamo?» chiese Tylor.
«Con la magia, logico» replicò Danny, alzando gli occhi al cielo. Si avvicinarono alla porta ed estrasse la bacchetta. Ci rifletté un po’ su e poi disse con voce chiara e sicura:
«Evanesco».
I tre rimasero ad osservare le assi, che non si erano minimamente mosse.
«Quello è un incantesimo del quinto anno!» sbottò James, mentre Tylor metteva mano alla bacchetta. «Bombard-».
«Sei impazzito?!».
«Vuoi farci scoprire?».
«Ed allora come facciamo?» chiese Tylor, infastidito che gli amici l’avessero bloccato.
«Alla babbana» replicò James, «aiutatemi». Provò a tirare la prima asse senza farci attenzione, in quanto sapeva che da solo non ce l’avrebbe mai fatta. Insomma avrebbe voluto solamente spingere gli amici a darsi una mossa. Ma le cose andarono molto diversamente: l’asse venne via alla minima pressione e lui si ritrovò a terra, il legno non lo prese in testa per pochissimo ed il mantello scivolò via scoprendoli.
«Cavoli, James. Da quando sei così forte?» chiese Tylor ammirato.
James sbuffò e si rialzò, proprio mentre un basito Danny spostava la seconda asse. Tylor sgranò gli occhi.
«A quanto pare siamo stati preceduti» borbottò James preoccupato. Chi avrebbe voluto entrare in posto del genere? Uno studente? Era da escludere, insomma avrebbe incontrato le loro stesse difficoltà oltre il fatto che, appunto, era vietato e tutti pensavano che vi fosse il fantasma di Abeforth Silente, ancora più scorbutico di quanto era stato in vita. Danny annuì, evidentemente stava facendo rapidamente le stesse considerazioni.
 «Entriamo!» li esortò Tylor, che non condivideva le loro preoccupazioni. James estrasse la bacchetta e nascose nuovamente il mantello. Tolsero altre assi e poi entrarono insieme. Il primo piano era ingombro di pezzi di legno, che i ragazzi identificarono ben presto con le varie parti dei tavoli, altri integri si trovavano capovolti o buttati contro le pareti. Alla luce fioca della bacchetta videro vari disegni osceni che adornava le pareti. Ah, sì, la Preside li aveva vietato l’ingresso anche per un “un’inaccettabile comportamento da teppisti di strada, che non si addice ad uno studente di Hogwarts”. Tylor sobbalzò, spaventando anche i compagni.
«C’erano degli occhi sulla parete!».
James e Danny puntarono le bacchette sul punto che li stava indicando, ma non c’era nulla.
«Non dire fesserie, le pareti non hanno occhi. Vediamo se c’è qualcosa qui» lo redarguì Danny.
Ispezionarono la stanza, ma non trovarono nulla.
«Logico! Molti altri studenti sono entrati qui prima di noi. Ma nessuno ha avuto mai il coraggio di salire al piano di sopra ed è proprio quello che faremo noi» sentenziò Tylor. Gli altri due non dissentirono. Così si avviarono lungo la pericolante scala di legno.
«Comunque qui dentro deve essere andato a male qualcosa. C’è un forte odore di marcio» costatò Danny, tappandosi il naso con la mano sinistra. I gradini di legno scricchiolavano sotto il loro peso, minacciando di farli cadere di sotto.
«Fermo!» James bloccò Tylor appena in tempo prima che mettesse il piede su un gradino rotto. Da quel momento in poi fecero ben attenzione a dove mettevano i piedi, così ci misero diversi minuti a salire la prima rampa di scale.
«Sono sicuro che questa era la stanza del vecchio. Non ha il numero» disse Danny.
«Ma voi ne siete proprio sicuri? Insomma perché dovrebbe esserci del whisky nella sua stanza? Sotto non ce n’è…».
«Era un vecchio sporco e spilorcio… Quindi direi che è più che possibile» replicò Tylor. James si strinse nelle spalle e non disse nulla, tanto ormai erano lì e tanto valeva controllare. Strinsero le bacchette e James entrò per primo nella stanza. Ebbe appena il tempo di vedere un uomo alto e massiccio, dalla carnagione scura e si ritrovò a terra stringendosi la spalla sinistra con la mano. Sentì le urla degli amici.
«Experlliamus» James si voltò appena in tempo per vedere quella specie di mazza che l’uomo teneva in mano volare nelle mani di Danny. Si rimise in piedi a fatica e osservò la stanza. Un letto con un materasso sfondato stava sotto una finestra sfangata, da cui entrava solo qualche raggio di sole pomeridiano. Sul letto giaceva una figurina: una ragazzina che sembrava stesse male e respirava appena e male. Vicino a lei una donna emaciata l’assisteva. L’uomo che l’aveva aggredito stava davanti a loro come a proteggerli e dietro di lui si scorgeva un bambino piccolissimo.
«Senta lei è disarmato» disse Tylor come se fosse un diplomatico esperto, «e credo che abbia troppi problemi. Noi vogliamo solo quella cassa». Danny si avvicinò alla suddetta e la scoperchiò: «C’è quello che vogliamo» disse semplicemente.
«Perfetto» continuò Tylor, «Noi ci prendiamo la cassa e ce ne andiamo. Noi non vi abbiamo mai visto e voi non avete mai visto noi! Ok?».
L’uomo lo scrutò per un attimo e poi parlò in perfetto inglese: «Va bene. Ma non una parola su di noi».
«Aalif, ti prego… Sta peggiorando» disse la donna con voce supplichevole.
«Taci, non è il caso. Non possiamo fidarci».
«Forse, forse possiamo aiutarvi…» s’intromise James.
«Sei impazzito? Dobbiamo andarcene» decretò Tylor e Danny annuì al suo fianco.
«Ma non vedi che quella ragazza sta male?» ribatté James, poi si rivolse all’uomo «Chi siete?».
«Non ho intenzione di rispondere».
«Perché vi nascondete qui? Siete disarmati, non credo vogliate far del male a qualcuno» replicò James imperterrito, mentre Tylor e Danny facevano levitare la cassa verso la porta.
«Voi siete solo ragazzini… Non avete nulla a che fare con la Signora Oscura, vero?».
«Non so chi sia la Signora Oscura» rispose James.
«I suoi uomini ci hanno fatto entrare illegalmente in questo paese. Dove siamo, poi? Sono riuscito a scappare con mia moglie e due dei miei figli e ho dovuto evitare anche le autorità, perché siamo dei clandestini».
«In Scozia. Quindi non volete far male a nessuno?».
«No, nel mio paese ero una delle personalità più importanti. Ho studiato magisprudenza a Johannesburg. Ho sempre tenuto in alta considerazione la giustizia. Per me questa situazione è oltremodo motivo di vergogna, ma devo proteggere la mia famiglia od almeno quel che ne resta».
«La posso aiutare se vuole. Se lei è nel giusto, le autorità britanniche la aiuteranno».
«James! Andiamo! Non possiamo farci beccare qui, in compagnia di clandestini».
«Ti prego se puoi aiutarci… non voglio perdere anche la mia bambina…» supplicò in lacrime la donna.
«Puoi aiutarci davvero?» chiese l’uomo sospettoso.
«James, vieni via!» lo richiamò Tylor sulla porta, ma il ragazzo si stava sfilando il mantello e lo porse all’uomo: «Sua moglie sta tremando dal freddo. Ragazzi, date un mantello al bambino».
«Tu ti sei bevuto il cervello. Andiamo via» intervenne Danny. James non credette alle sue orecchie: «Davvero, vorreste abbandonarli qui? Li avreste sulla coscienza!».
«Jamie» provò ancora Danny, con il tono di chi parla ad un bambino particolarmente stupido, «Se Paciock o la McGranitt sapessero che siamo stati qui, finiremmo nei guai. Non possiamo chiamare nessuno. Se la caveranno da soli. Su avanti vieni. Questa è la volta buona che ti sospendono».
James sentì la rabbia crescergli nel petto. Stavolta avrebbe fatto di testa sua. «Appunto, visto che tanto nei guai ci finisco sempre io, andatevene. Non mi muoverò di qui senza provare ad aiutarli» sentenziò. I loro occhi si incrociarono e per un attimo si illuse che gli amici avrebbero lasciato andare la cassa e l’avrebbero aiutato. Invece si limitarono a scuotere la testa ed a voltarsi verso l’uscita. «Non venire a lamentarti con noi poi» disse Danny. James li guardò sparire nel buio del corridoio e si rivolse alla famigliola: la donna aveva avvolto se stessa ed il bambino nel suo mantello. James prese la tracolla che portava al collo e ne tirò fuori delle barrette di cioccolata presa da Mielandia quella mattina. «Non ho altro qui» disse porgendogliele ad Aalif, «Se vi fidate di me vi aiuterò. Però devo chiamare mio padre. Lui si occupa della sicurezza, se voi collaborerete con la giustizia nessuno vi caccerà e sarete protetti da questa Signora Oscura».
«Non credo di avere altra scelta» acconsentì l’uomo. James si inginocchiò e della borsa tirò fuori un astuccio di pelle, da lì sfilò uno specchio, che adagiò a terra di fronte a lui. L’unico rumore che si sentiva nella stanza era il vociò distante proveniente dalla strada e il respiro della ragazza simile ad un rantolo.
«Harry Potter» scandì chiaramente James rivolto allo specchio. Pochi secondi dopo sullo specchio apparve il viso del padre.
«Jamie! Che succede?» chiese allarmato.
«Sto bene, tranquillo. Ed anche Lily ed Al» gli disse subito.
«Ah, bene. Se non ne è nulla di urgente allora ci sentiamo dopo. Mi hai chiamato proprio durante una riunione dei Capi di Dipartimento».
«Si tratta di una cosa importante. Dovresti venire qui da solo con un Guaritore…».
«Qui dove, James? E perché un Guaritore? Stai bene davvero?».
«Sì, papà. Se ti fidi di me, devi ascoltarmi. Vieni e capirai tu stesso. Sono alla Testa di Porco. Al primo piano».
«La Testa di Porco? Quel posto rischia di crollare da un momento all’altro! Che ti è saltato in mente!? Perché non riesci a stare tranquillo…».
«Ti prego, vieni. Mi rimprovererai dopo» lo interruppe James.
Harry sospirò e disse: «Arrivo, ma poi facciamo i conti di persona».
La comunicazione si chiuse e James rialzò gli occhi sui presenti.
«Vedrete andrà tutto bene. I nostri Guaritori rimetteranno vostra figlia in sesto».
L’uomo annuì. Fu il bambino a rompere il silenzio: «Hai ancora cioccolata?». Suo padre lo fulminò con lo sguardo e lui ritornò ad accucciarsi a terra accanto alla madre. James gli rivolse un sorriso di scuse: «Mi dispiace, qui non ho nient’altro».
Rimasero in silenzio per quella che sembrò un’eternità, poi sentirono dei passi sulle scale. James ed Aalif si irrigidirono in un primo momento. Il ragazzo strinse la bacchetta, ma quando vide il padre in compagnia di Anthony Goldstain tirò un sospiro sollevato e si trattenne dall’abbracciarlo. Ripose la bacchetta, sentendosi finalmente al sicuro e sorrise ai nuovi venuti. Al contrario Harry ed Anthony strinsero di più la loro.
«James, che storia è questa?».
«Quella ragazza ha bisogno di cure» disse subito lui. Goldstain annuì e si avvicinò ai tre vicino al letto. Harry non distolse la bacchetta dall’uomo ed in silenzio lo invitò a parlare.
«Sono Aalif Enoka. Sono a capo di una delle due più importanti famiglie dell’Isola di Gough. Lei è mia moglie Ambreen, la ragazza è mia famiglia Akili e lui mio figlio Mamun. Io e la mia famiglia siamo stati portati qui di forza. Sono riuscito a fuggire, appena in tempo. Ma ci stanno inseguendo. È l’unico posto che ho trovato per nascondermi. Il ragazzo ha detto che se avessi collaborato con la giustizia inglese, avreste protetto la mia famiglia».
Harry gettò un’occhiataccia a James. «Preferirei continuare la discussione al Ministero. Devo indagare su di lei, è la prassi anche se mio figlio ha deciso di fidarsi».
«Harry, devo portare la ragazza e la madre al San Mungo. Qui non posso aiutarle».
«Mia moglie?» chiese l’uomo.
«Rischia di perdere il bambino che porta in grembo» replicò piatto Goldstain. Compì un gesto elegante con la sua bacchetta e ne fuoriuscì una lepre argentata. «Ho avvertito i miei collaboratori, perché vengano ad aiutarmi a trasferirle».
«Bene. Lei mi deve seguire al Ministero invece. Potrà vedere più tardi i suoi famigliari».
«Va bene, come desidera».
«La parete ha gli occhi» quasi cantilenò il bambino dondolandosi, coperto dal mantello di James più grande di lui. Era spaventato.
«Le pareti non hanno gli occhi tranquillo. Sarà qualche macchia» disse Harry con voce addolcita.
«Oh, ma queste ce l’hanno. Il bambino ha ragione» replicò Goldstain. «Non senti questa puzza? Qui c’è una bella infestazione di bundinum. Presto crollerà questo posto, non ho capito perché non l’abbiamo già demolito».
«Che sono i bundinum?» domandò James.
«Creature che si nutrono di sporcizia» tagliò corto Goldstain, fece apparire una barella per la ragazza ed invitò la donna a seguirlo «I miei colleghi ci stanno aspettando sotto, cercheremo di dare nell’occhio il meno possibile».
«Scendiamo anche noi» disse Harry. Al piano di sotto attesero che Goldstain si allontanasse con le due donne ed il bambino. «Fra qualche minuto ci smaterializzeremo anche noi. Le dispiace se prima scambio due parole con mio figlio?» chiese ad Aalif.
«No, faccia pure».
«Spiegami dall’inizio».
James sospirò e raccontò tutto quello che era accaduto fino a quel momento.
«Dubito che Danny e Tylor non siano già stati beccati da uno dei miei uomini o da quelli di Terry, comunque se ciò non fosse accaduto ti prego non prendere un centesimo da Parkinson, ok? Se hai bisogno di soldi devi chiedergli direttamente a me. Inoltre ti pregherei di non bere whisky in compagnia di quelli altri due scriteriati. Se hai tutto questo desiderio di assaggiarlo, ti prometto che durante le vacanze te lo farò fare. Ma con me, ok? Non sei abituato a bere e ti fai trascinare già da sobrio. Promettimelo».
«Va bene, papà. Promesso».
«Quell’orecchio non mi piace».
«Mi fa male» ammise lui, «ma non so che fare…».
«Ti sta male… Vuoi che ti aiuto a toglierlo? Così poi potrai farti dare qualcosa da Fred da metterci sopra».
«Gli altri mi prenderanno in giro… Anche Fred se l’è fatto… Dicono che sono un bambino… ma a Benedetta non piace, lei ha detto che sembrò uno di quei ragazzi super viziati ed arroganti… Ma gli altri dicono che Benedetta ha una cattiva influenza su di me».
«Ah, sì? E chi te l’avrebbe detto? Danny e Tylor?».
«Anche Fred lo pensa. Non gli chiederò un bel niente a lui».
«Vuoi un consiglio? Rifletti bene su gli amici che scegli. Sbagliare è umano. Non ti sorprendere delle mie parole, Danny e Tylor hanno alle spalle delle ottime famiglie, ma non mi piace come si comportano e l’influenza negativa che hanno su di te. Ron ed Hermione non mi avrebbero mai lasciato solo con degli estranei. Non posso scegliere gli amici per te, ma pensaci. Secondo me dovresti dare ascolto a Benedetta».
«Sei arrabbiato?».
Harry si strinse nella spalle e scosse la testa: «Mi basta che tu sappia assumerti le tue responsabilità. Se avessi voltato le spalle come hanno fatto i tuoi compagni, penso che ne sarei stato profondamente deluso. Ciò non significa che tu debba comportarti sempre in modo sconsiderato. Non avresti mai dovuto accettare quella sottospecie di sfida! Sai che si può parlare di effrazione? Questo posto appartiene al Ministero essendo morto l’ultimo membro della famiglia Silente senza eredi. Ultimamente non mi piace proprio quello che tu e quei due state facendo! Non vi à mai stato fatto mancare nulla, perché siete alla continua ricerca di soldi?».
«Per trascorre la notte della finale di Quidditch a Madrid» ammise.
«La notte? Magari da soli? Scordatelo. E molto probabilmente non ci andremo. Non mi piacciono le cose che stanno accadendo e un evento del genere è perfetto per fare una strage».
«Stai scherzando?» chiese James, colpito dal tono serio e preoccupato del padre.
«Sono fin troppo serio, James. Ed adesso ascoltami bene. Tornatene al castello e tieni per te quello che è accaduto questo pomeriggio. Hai fatto bene a chiamarmi. Credo che quest’uomo rappresenti una svolta per le indagini e meno persone ne sono al corrente meglio è ok? Ah, e vai da Madama Chips. Se ti fa male e non ti piace, non ce alcuna vergogna ad ammetterlo. Ti devi vergognare solo se fai qualcosa che ritieni sbagliato, perché te lo chiede qualcuno!».
James sospirò: «Ho colto il messaggio».
Harry lo abbracciò brevemente e gli diede il suo mantello; poi James si allontanò e si girò solo quando stava per rientrare sulla via principale: suo padre e l’altro mago si erano già smaterializzati. Ritornò al castello come gli era stato ordinato. Strinse il mantello sulle spalle e si sentì un po’ figo un po’ in imbarazzo: si vedeva lontano un miglio che quello non era il mantello della divisa, ma quello scarlatto degli Auror. Rientrando nel parco, notò lo zio Neville che si avviava verso le serre. Lo raggiunse e si accorse che era scuro in volto.
«Tutto ok?».
L’uomo sobbalzò e si voltò verso di lui, che lo affiancò. L’espressione dell’uomo passò da un lieve sorriso nel vederlo al sospettoso a causa del mantello. «No. Baston e Jordan sono tornati al castello accompagnati da due agenti della Squadra Speciale Magica… Non sembri sorpreso… Dimmi che non centri nulla…».
James fece un sorriso colpevole: «Mi dispiace ero con loro, ma ero rimasto indietro: ecco perché non c’ero quando sono stati beccati».
Neville sbuffò spazientito e fece per parlare, ma James lo precedette: «Ti prego, risparmiati la ramanzina. Ci ha già pensato papà».
«Il mantello è suo?» domandò lui dopo aver annuito.
«Già, me l’ha prestato. Diciamo che sono rimasto indietro per un motivo ben preciso, ma non se vuoi saperlo devi parlare con papà. MI ha detto di non parlarne con nessuno».
«Va bene, James. I tuoi amici sono nei sotterranei a rimettere in piedi l’aula di pozioni. Sperando che Tylor non decida di farla saltare di nuovo in aria. Temo che tu debba raggiungerli».
«Sì, ma prima dimmi dov’è Benedetta!».
«Bella domanda. Dimmi piuttosto che le avete fatto. L’ho trovata che piangeva vicino al Lago Nero».
James raccontò lo scambio di battute che l’amica aveva avuto con i due ragazzi ad Hogsmeade. «Dov’è adesso? Le devo chiedere scusa!».
«In biblioteca, mi ha detto che sarebbe andata lì. Ma era ormai più tranquilla… Aspetta…» acciuffò per un braccio il ragazzo, che stava già correndo via. «Ti giuro che le chiedo scusa e raggiungo subito gli altri per favore».
«MI fido, James. Però vieni un attimo con me».
James lo seguì vicino alle serre dove c’era un’aiuola fiorita. Neville staccò un fiore e glielo porse.
«Non sarebbe meglio una rosa? Rossa?» chiese incerto James guardando il bulbo con fiori bianchi. Non era brutto, ma nemmeno il fiore più bello che avesse mai visto. Neville rise: «Non ti sembra di correre troppo? So benissimo che non ti piace erbologia, ma dovresti sapere che esiste un linguaggio dei fiori. Benedetta lo sa perfettamente, ne abbiamo parlato un sacco di volte. La rosa rossa comunque lo sanno tutti che indica l’amore. Questo è un giacinto, si regala quando si compiono sgradevolezze nei confronti della persona amata».
James era completamente rosso in volto per l’imbarazzo: «Io non l’amo! E poi sono stati Danny e Tylor ad essere sgradevoli con lei!».
«Se ne sei convinto, perché non l’hai seguita? Jamie, anche l’amicizia si deve dimostrare! Spero che tu in futuro te lo ricorderai».
«Oggi tu e mio padre vi siete messi d’accordo a farmi la morale. Ma almeno voi non mi consigliate di stare lontano da Benedetta. Vado da lei e grazie» disse con un lieve sorriso e corse via.
Come previsto trovò Benedetta in biblioteca che era deserta al solito posto nel tavolo più lontano dall’ingresso vicino ad una finestra e con tanti libri davanti.
«Scusa. Io non penso quelle cose. La prossima volta trascorreremo la giornata ad Hogsmeade insieme come promesso» disse tutto velocemente, lasciandole a malapena il tempo di alzare la testa dal libro, che stava leggendo. «Ti prego».
Lei sorrise e prese il fiore. «Grazie».
James le diede un bacio sulla guancia e fece per scappare via, ma lei lo trattenne: «Perché scappi?».
«Ho combinato un casino con quei cretini, che fra parentesi costringerò a chiederti scusa, e devo andare ad aiutarli a pulire l’aula di pozioni».
«Aspetta, vengo con te. In quattro faremo prima» disse raccogliendo le sue cose.
«Ma tu non hai fatto nulla… non è giusto che…» iniziò James sorpreso, ma lei scosse la testa e gli fece cenno di andare.
*
«Potter, spero per te che tu abbia una buona spiegazione per avermi chiamato qui, dopo che ti avevo esplicitamente detto di non volerti vedere per un bel pezzo!» esordì Draco Malfoy, entrando nell’ufficio di Harry accompagnato dalla signora Matthews.
«Può andare signora Matthews, grazie. Malfoy ti presento Aalif Enoka. Credo che troverai la sua presenza un motivo sufficiente per stare in una stessa stanza con me».
Malfoy non replicò e si sedette nella sedia davanti alla scrivania, accavallò le gambe e lo osservò come a dire “Stupiscimi”. Harry gli gettò un’occhiataccia in risposta. Aalif li osservava sorpreso dal loro atteggiamento, che agli occhi di un estraneo poteva apparire decisamente poco professionale (chi li conosceva ormai si era rassegnato).
«Signor Enoka, per piacere ci racconti la sua storia da principio» lo invitò Harry senza alcuna inflessione nella voce.
«Come le avevo già detto provengo dall’Isola di Gough, che fa parte dell’arcipelago di Tristan Da Cunha. L’isola principale, da cui prende il nome l’arcipelago, è stata a lungo soggetta al governo britannico. Come saprete per varie vicissitudini poi ha ottenuto l’indipendenza. Ciò vale soprattutto per il mondo babbano. La storia della comunità magica ha preso molto prima una strada differente. Non vi è mai stato un buon rapporto con il Ministero Inglese. Ufficialmente i due Ministeri si ignoravano già molto prima che fosse concessa l’indipendenza. L’arcipelago di Tristan Da Cunha è formato da altre tre isole oltre quella principale. I Babbani le credono disabitate, anche se molto recentemente ne hanno riconosciuto il valore ambientale. Per secoli anche i maghi si sono concentrati a Tristan, nell’Ottocento però vi fu una guerra tra le famiglie Purosangue e i pochi fedeli al Ministero Inglese. Non illudetevi, per piacere, la fedeltà nasceva dall’idea che voi Inglesi potesse garantire condizioni di vita diverse. In realtà per lo più ci ignoravate, come ho detto, e questo ha portato i Purosangue alla rivolta. Anche i miei avi parteciparono alla guerra. Lo scontro si trasformò ben presto in una carneficina. E si risolse solo quando i capi delle due fazioni decisero di affrontare diplomaticamente la questione. Principalmente erano entrambi d’accordo su un punto fin dall’inizio: la madre patria non doveva sapere nulla dei nostri conflitti interni. Alla fine i Purosangue si ritirano sull’Isola di Gough, che è la seconda per grandezza dell’arcipelago. Così si crearono due comunità separate. Tristan ha mantenuto finti rapporti con l’Inghilterra fino all’indipendenza, poi se n’è staccata completamente. Invece voi della comunità di Gough non avete mai saputo nulla, e probabilmente non l’avreste fatto per molto tempo se l’attuale capo non avesse deciso di mettersi in affari con gli Europei. I Purosangue una volta insediatosi sull’isola però hanno cominciato a contendersi il potere, dando inizio ad un nuovo periodo di scontri e faide tra famiglie. Finché le due più importanti non presero in sopravvento: la mia e la famiglia Kasem. Gli scontri continuarono ancora finché un mio avo, Aba Enoka, non propose di risolvere la contesa con un duello tra i capifamiglia e donde evitare nuovi scontri alla morte del vincitore si decise che il capo della comunità sarebbe stato decretato sempre con tale procedura. Il primo duello lo vinse lui. Nel corso dell’Ottocento e del Novecento si sono alternati al potere i membri delle due famiglie: alcuni furono dittatori spietati, altri uomini mediocri di nessun valore, altri uomini illuminati. La situazione non è cambiata fino ad oggi. Mio padre, però, morì nel 2017. Io ho sempre creduto che si sia trattato di un omicidio ed che il mandante sia stato Abdul-Azeem giovane capo della famiglia Kasem. Così mi sono battuto in duello con lui. Sinceramente credo che le mie capacità siano di gran lunga superiori alle sue, ma quel giorno vinse lui. Non so bene cosa sia accaduto e questo rafforza la mia idea che Abdul abbia imbrogliato confondendomi. Da quel giorno ha mostrato nei miei confronti e della mia famiglia una falsa condiscendenza. Vedete il duello non deve per forza essere mortale, ma di fatto lo è sempre stato per evitare conflitti successivi tra i due capifamiglia. Mio padre Muntasir aveva ucciso il suo. Abdul volle mostrarsi clemente, in realtà i fatti hanno dimostrato che lui è il peggior dittatore della nostra breve storia. È un uomo avido di potere ed ultimamente sembra che stia facendo affari in particolare con una donna europea. Si fa chiamare l’Oscura Signora».
«Molto originale» disse sarcastico Draco. La sua postura era ora rigida e non aveva perso una parola del racconto di Aalif. Il suo volto era rimasto indecifrabile.
«Che genere di affari?» chiese Harry.
«Commercio di uomini: vende coloro che sono sgraditi al governo. Sembra che la donna stia creando un esercito ed uno dei suoi obiettivi più acclamati dalla mia comunità è creare un regno Purosangue. Molti si fanno avanti volentieri. Personalmente ho sempre creduto nella superiorità Purosangue, in fondo è quello che mi è stato insegnato. Ma ciò non comporta la non accettazione degli altri».
«Su Potter, non fare quella faccia disgustata. Vedi che credere nella superiorità del sangue non significa voler compiere una strage. Come vengono fatti entrare questi uomini nel nostro territorio?».
«Siamo arrivati in barca» rispose Aalif, «prima che suo figlio me lo dicesse non sapevo nemmeno che fossimo in Inghilterra, anche se lo immaginavo. Il viaggio è stato lungo, ma a mio parere non abbastanza da raggiungere gli Stati Uniti. Io e la mia famiglia siamo stati attaccati di notte dagli uomini di Abdul. Ho visto i miei figli più grandi morire sotto i miei occhi. È stato straziante non poter fare nulla per loro. Il mio primogenito è morto qui in Inghilterra poco dopo il nostro arrivo, abbiamo cercato di scappare una prima volta e non è servito a nulla. Poi siamo riusciti a scappare per l’inettitudine del nostro sorvegliante e ci siamo nascosti in quella casa abbandonata».
«Come avete fatto ad arrivare ad Hogsmeade?».
«Era il paese più vicino… il primo che abbiamo trovato sul nostro cammino. Mia figlia era stata ferita, mia moglie è in stato interessante non avevo molto scelta».
Harry guardò Draco, che era completamente sbiancato.
«Quanto vicino?» chiese Malfoy senza nascondere la preoccupazione.
«Nemmeno un giorno di cammino e ci avremmo messo anche di meno se loro non fossero state male».
Harry si alzò di scatto e chiamò la sua segretaria: «Signora Matthews, dica a Ron e Gabriel di venire subito qui e portare una cartina della Scozia. Ah, che dicano agli uomini di prepararsi».
«Potter, bisogna delimitare subito l’area. Non devono avvicinarsi ad Hogwarts!».
«Malfoy, non mi devi spiegare il mio lavoro! Signor Enoka, a parte il sorvegliante ha avuto a che fare con qualcun altro? Magari qualche Inglese?».
«Il sorvegliante era inglese. Comunque una della prime sere è venuto un uomo vestito di nero e con una maschera d’argento… ah, al collo aveva appeso una collana con un ciondolo a forma di runespoor. Ho avuto l’impressione che fosse molto in alto nella loro gerarchia di potere, tutti gli altri era terrorizzati da lui. A buon diritto secondo me perché si percepiva un’aura di potere molto forte. L’obiettivo era addestrarci e usarci come mercenari. Pochi giorni dopo siamo scappati e non l’ho più rivisto».
«Molto bene, la ringrazio per la sua collaborazione. D’ora in avanti sarà sotto la custodia di due dei miei uomini. L’accompagneranno al San Mungo dalla sua famiglia e la seguiranno in ogni suo spostamento sia per proteggerla sia per garanzia che lei non ci stia ingannando» disse Harry.
*
«Ciao, Roxi. Come stai?».
La ragazzina sorrise: le sue guance erano di nuovo rosee ed aveva recuperato quasi tutte le sue energie.
«Ciao Frankie! Era ora che arrivassi, mi stavo annoiando da morire con Madama Chips. Non fa che brontolare e non mi fa muovere!».
Frank sorrise e si sedette accanto a lei: «Anche a me manchi un sacco. Mi sento così solo senza di te».
«Al?».
«Non fa che studiare, quindi anche se stiamo insieme non parliamo molto. Ma lui non può stare con me tutto il giorno! Ci vediamo dopo le lezioni in biblioteca… La sera in Sala Comune nessuno dei due ha molta voglia di parlare… E poi tu non sei Al!».
Roxi ridacchiò: «In effetti no!».
«Ti ho portato una cosa» disse Frank arrossendo. Aprì lo zaino e tirò fuori un piccolo peluche. «Ho chiesto ad Al di prenderlo ad Hogsmeade ieri».
«È bellissimo Frankie!» Roxi gli saltò al collo, schioccandogli un bacio sulla guancia.
«Non ti agitare tanto o Madama Chips mi caccerà».
«Frankie» chiamò lei, mentre tornava a sdraiarsi, «sei il migliore miglior amico del mondo».
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti! Sono tornata, anche se ho l’impressione di non essere mancata a nessuno… Comunque a questo capitolo ci ho lavorato un sacco e spero vi piaccia.
Vorrei solo sottolineare che non ho nulla contro Abeforth Silente: ciò che ho scritto su di lui e sul suo locale dipende essenzialmente da quanto vi è scritto in “Harry Potter e l’ Ordine della Fenice” (Vitious dice ad Hermione che sarebbe il caso portarsi dei bicchieri puliti, se ci si reca alla Testa di Porco oppure quando i ragazzi entrano per la prima volta nel pub vi è proprio Abeforth che pulisce i bicchieri con uno straccio sporco) oppure in “Harry Potter ed il Principe Mezzosangue” (quando Silente racconta ad Harry di aver sentito per la prima volta la Profezia mentre si trovava in una delle stanze del pub con la Cooman e lui stesso non esprime parole di gran lode, anzi).
Per il resto vi auguro Buon Natale (scusate il ritardo :-D). 

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Capitolo 25
*** Finale: Grifondoro contro Corvonero ***


Capitolo venticinquesimo.
Finale: Grifondoro contro Corvonero.
«No, no e poi no!».
«Al, non fare il bambino» lo redarguì Rose.
«Io? Sono io a comportarmi da bambino? E voi altri non potete darle retta!» s’infervorò il cugino. Scorpius, Jonathan, Dorcas, Elphias, Cassy ed Alastor ricambiarono seri il suo sguardo.
«Rose,» provò Elphias, «Al ha ragione. Faresti venire un infarto a Fred. Ti devo ricordare che dopo che vostra cugina ha lasciato Parker davanti a tutta la Casa, ci manca un giocatore!».
«E comunque io non ci vado nella Foresta Proibita» ripeté forse per la milionesima volta Albus.
«Rosie, la foresta è pericolosa» pigolò spaventata Dorcas.
«E va bene, ci andrò dopo la partita. MI sembra un’ottima idea, così tutti saranno presi dai festeggiamenti. Andiamo, prendiamo lo smeraldo e torniamo. Nessuno farà caso a noi!».
Albus sgranò gli occhi: «Non era questo che volevamo dire!».
«Ci andrò con voi o senza di voi!» dichiarò imperterrita la ragazzina.
«Io sono con te, naturalmente. Lo smeraldo mi tocca» disse Scorpius.
«È una pazzia, Scorpius! Perché le dai corda?» si lamentò Albus.
«A differenza tua, lui non è un fifone. Te l’ho sempre detto e te lo ripeto: non sei degno di tuo padre».
Albus accusò il colpo e non disse più nulla. Gli altri evitarono il suo sguardo.
«Comunque io credo che Al abbia ragione, Rose».
«Jonathan, non hai rischiato nulla ad impossessarti dello zaffiro. Dimostra che possiamo davvero fidarci di te». Il Corvonero deglutì e la osservò spaventato: «Hai ragione, lo farò».
«Non serve che veniate tutti» intervenne Scorpius.
«Sì, infatti. Tocca ai quattro Custodi» disse Cassy. «Rosie, Dor, Scorp e Jonathan per intenderci».
«Mi sembra una buona idea» concordò Rose, «Così non daremo troppo nell’occhio».
«Ottimo, allora la prossima riunione sarà il giorno prima della partita» aggiunse Cassy.
«Adesso andiamo a mangiare» decretò Scorpius.
Albus li lasciò passare avanti, ma non li seguì in Sala Grande. Gli si era chiuso lo stomaco. In più avrebbe avuto più probabilità di incontrare il fratello e Fred. Era da una settimana che gli davano il tormento; precisamente da quando Dominique aveva avuto la brillante idea di lasciare Edmund Parker. Il sedicenne, dall’alto della sua maturità emotiva, per ripicca aveva lasciato la squadra di Quidditch di Grifondoro. Così ora Fred era alla ricerca disperata di un nuovo Portiere. E molto gentilmente avevano ricominciato a torturare lui. Gli tenevano agguati mentre si recava a lezione, facendolo arrivare in ritardo. Si recò nell’aula di Incantesimi senza incontrare nessuno, ma entrando in aula tirò un sospiro di sollievo troppo presto.
«Preso!» urlarono due voci a lui fin troppo note e due braccia forti lo trascinarono di nuovo in corridoio e poi in aula in disuso. Finalmente libero, si voltò a fronteggiarli rosso in volto e furioso. Entrambi erano armati di bacchetta, estrasse anche la sua ma James fu più veloce e lo disarmò.
«MI LASCIATE IN PACE?» urlò nella vana speranza che lo ascoltassero.
«No, abbassa la voce ed ascoltaci tu» replicò Fred, «Sei un secchione, quindi un concetto così banale dovrebbe entrarti facilmente in testa».
«Alla squadra manca un portiere, mancano pochissimi giorni alla finale…» s’inserì James.
«… due giorni per la precisione…» aggiunse Fred.
«Tu sei un ottimo portiere… Mi sembra scontato che tu debba giocare!».
«L’allenamento è stasera subito dopo le lezioni» lo informò Fred.
«Io non verrò! Questo concetto vi è chiaro?» replicò Albus, rosso in viso.
«E chi dovrebbe giocare? Sei un egoista senza cuore!» disse Fred coprendosi gli occhi con un braccio gli occhi, fingendo di piangere.
«Ne ho abbastanza di tutti voi!» sibilò furioso Albus, «non ve ne va bene mai una! Non sono come volete voi, mi dispiace ok? Prima Rose che mi dà del Tassorosso implicitamente ed ora voi che praticamente mi date della Serpe senza cuore. La volete sapere una cosa? Non me ne sbatte nulla di quello che volete voi». James fece per parlare, ma Albus lo precedette, mentre la campanella suonava annunciando l’inizio delle lezioni pomeridiane. «Un’altra parola e giuro che scrivo a mamma e papà». Dopodiché sfilò in mezzo a loro ed uscì dall’aula, lasciandoli basiti.
«La prossima mossa?» chiese Fred.
«Andare a cercare un nuovo portiere».
«Coosa? Vuoi davvero lasciarlo perdere così? Se fosse mio fratello…».
«Ma non lo è. Forza andiamo a lezione» tagliò corto James.
*
«JAMEEEEES!!!!».
James saltò letteralmente dal letto con il cuore in gola, prima di rendersi conto che era stato Fred a gridare. Il ragazzo troneggiava su di lui con sguardo assassino. Quando il suo cuore riprese a battere normalmente, James si rese conto che il cugino indossava la divisa di Quidditch e teneva la sua scopa da corsa nella mano destra.
«Fred, sei impazzito? Siamo in piena notte!» disse alla fine, mentre cercava disperatamente di ricoprirsi con il piumone scarlatto. Per essere aprile, faceva ancora parecchio freddo.
«Gli unici pazzi siete tu e Danny! Se non uscite immediatamente da questi letti, vi affatturo».
«Tra qualche ora» borbottò James, poggiando la testa sul cuscino.
«ADESSO!!!! Sono le dieci del mattino!».
«Non essere paranoico… è ancora buio fuori…» sospirò James già sul punto di addormentarsi nuovamente.
«Fuori c’è un temporale!» replicò Fred esasperato e per rendere il concetto più chiaro spalancò la finestra. Un fiotto di vento freddo penetrò nella camera, facendo rabbrividire tutti i ragazzi.
«DEFICIENTE!!!!» imprecò Tylor, «Porco Merlino, chiudi quella cavolo di finestra!».
Nel frattempo Danny, che aveva controllato l’orario sulla sua sveglia, saltò giù dal letto ed iniziò a cercare disparatamente la sua divisa nel suo disordinato baule.
«James?» chiamò Fred.
«Altri cinque minuti» borbottò il ragazzo in risposta.
«Aguamenti» si limitò a dire Fred, puntando la bacchetta contro il cugino.
«Porca Morgana, Fred! L’acqua no! Ora muoio di freddo!».
«Non mi interessa, vi voglio in Sala Grande tra cinque minuti!».
James borbottando e maledicendo il caratteraccio del cugino, si vestì il più rapidamente possibile; mentre usciva dalla stanza incrociò Albus.
«Ciao, Al».
«Ciao, Jamie. Ti sei appena svegliato?» replicò il fratello con un accenno divertito.
«Mi ha appena buttato giù da letto Freddie. E sai benissimo che la sua delicatezza è incommensurabile».
«Immagino» ridacchiò Albus.
«Senti, mi dispiace per come mi sono comportato negli ultimi giorni… non avrei dovuto assecondare Freddie e rispettare la tua decisione… sono un pessimo fratello maggiore» disse sincero.
«Non ti preoccupare… Sai sei molto migliorato negli ultimi tempi» sorrise Albus.
«Molto gentile da parte tua» rispose James, ricambiando il sorriso.
«Allora si può sapere chi è il nuovo portiere? Capisco il silenzio pre-partita, ma ormai… e poi non andrò a raccontarlo ai Corvonero!».
«Non lo so. Fred non ha voluto dirlo a nessuno! L’ha allenato separatamente. Non capisco che senso abbia! Anzi credo che il suo comportamento sia assurdo! Insomma un nuovo elemento deve essere provato con l’intera squadra! Non gli è bastato quello che è successo alla prima partita!».
«Ma chi può aver scelto?».
«Ce lo siamo chiesti tutti un milione di volte, ma non ne abbiamo idea… Speriamo bene».
Si sedettero vicini e fecero colazione in silenzio. Albus percepiva lo sguardo di Fred su di lui: il cugino non gli aveva più rivolto la parola.
«Lascialo stare, gli passerà» sussurrò James, alzandosi per recarsi negli spogliatoi. Albus gli disse: «Buona fortuna!».
Al come sempre si recò allo stadio in compagnia di Alastor, Scorpius, Cassy, Isobel, Jonathan e Dorcas. Tutti si erano dipinti il volto con strisce rosse ed oro e qualche scritta “W Grifondoro”. Cassy per prima cosa, dopo che ebbero preso posto, truccò anche lui. Dopo tanto tempo Al non poté fare a meno di ridere insieme agli altri, quando Scorpius prese il cerone rosso e cominciò a scriversi sulle braccia frasi volgari. 
«Fred è fuori di testa!» quasi urlò Frank, rompendo l’incanto.
«Che ha fatto?» chiese Albus, non preoccupato più di tanto: insomma dopo quattordici anni si era convinto che la pazzia facesse parte del loro DNA.
«Il nuovo portiere è Roxi!» rispose rosso in volto.
Un silenzio attonito accolse le sue parole. Roxanne era stata dimessa pochi giorni prima da una Madama Chips ormai esasperata e decisa a non sopportare più i suoi attacchi di noia; senza contare che Roxi aveva tentato di scappare dall’infermeria almeno un paio di volte.
«Ma non può! Madama Chips si è raccomandata che non facesse alcun tipo di sforzo! Fred è davvero impazzito stavolta! Ecco perché l’ha nascosto a tutti!» disse Albus scioccato.
«Va bè sta meglio, no?» provò Scorpius.
Albus si strinse nel mantello, mentre ricominciava a piovere. «Sì, ma quella pozione ha effetti tremendi. C’è mancato poco che le bruciasse gli organi interni! Non credo che esista qualcuno più incosciente di Fred».
«Signori e signore, benvenuti alla tanto attesa finale del Torneo di Quidditch! Grifondoro contro Corvonero!». A commentare la partita quel giorno vi era Katie Baston di Serpeverde.
«Avete visto chi c’è nella tribuna dei professori?» chiese eccitato Scorpius. Tutti guardarono dove l’amico stava indicando.
«Wow, ma quello è Oliver Baston?» chiese a nessuno in particolare Alastor.
«Sì, è lui. Sarà sicuramente venuto a vedere Danny» commentò Albus, senza particolare entusiasmo.
«Ecco i Corvonero, capitanati da Fabian Parker… Matthew ed Alexander Parker, Mike Douglas, Pratzel, Howell e Smithy… I Grifondoro di Fred Weasley presentano una formazione sorprendente! Sappiamo tutti che Edmund Parker ha dato le dimissioni ed a sostituirlo è Roxanne Weasley…». Il resto del commento della Serpeverde si perse nella reazione generale della Scuola. Al fischio di inizio l’attenzione degli studenti si spostò comunque sui giocatori che avevano preso quota. Albus sentì Frank fremere accanto a lui, mentre Roxi si posizionava davanti agli anelli.
La pioggia divenne sempre più forte e si alzò un vento freddo. James cercava il boccino, ma con poco successo: non vedeva quasi nulla. L’acqua gli sferzava il volto e vi erano momenti in cui non vedeva nemmeno i suoi compagni od i bolidi. La partita stava diventando notevolmente pericolosa. Toccava a lui chiuderla al più presto. Perlustrò il campo per un tempo che gli parve infinito, finché non vide Fred sbracciarsi da terra. Capì ed atterrò subito dopo.
«Che cazzo fai James? Quanto ci metti a prendere quel maledetto boccino?».
«Pensi sia facile?» chiese oltraggiato James, «Qui non si vede un palmo dal naso!».
«Stiamo perdendo cinquanta a zero!» sbraitò Fred ed il vento si portò via il resto.
«Quanto tempo è trascorso?» chiese Rose, bagnata fradicia come gli altri.
«Quasi mezz’ora. Forse risalite in sella» replicò Fred, ma prima di fare altrettanto prese James da parte. «Roxi ha la febbre… Credo di aver combinato un disastro… cerca di prendere il boccino… io non so… insomma se sta male è colpa mia…».
Fred sembrava non trovare le parole e James gli venne incontro. «Ho capito. Andiamo».
La partita riprese, mentre il tempo peggiorava sempre di più. La situazione non cambiò per quelli che a James sembrarono dieci minuti. I Grifondoro erano riusciti a segnare tre goal, accorciando così le distanze, ma i Corvonero sembravano dominare. Roxi sembrava accusare sempre di più lo sforzo: fece passare la pluffa del 60 a 30 nell’anello centrale senza nemmeno tentare di pararla. Ben presto se ne avvidero anche i Corvonero, che se ne approfittarono subito. I Grifondoro rendendosi conto della situazione iniziarono ad innervosirsi ed a commettere errori e falli non necessari. Le urla di Fred si perdevano nel vento. James tentò di concentrarsi al massimo: doveva mettere fine alla partita. Dipendeva tutto da lui. Un fulmine squarciò il cielo e finalmente lo vide: il boccino sfrecciava poco più in basso rispetto agli anelli di Grifondoro. Si gettò in picchiata, tentando di tenere gli occhi ben aperti nonostante l’acqua. Percepì la presenza di Alexander Parker, che lo tallonava stretto. Accelerò per distanziarlo. Aveva quasi raggiunto il boccino. Poi un altro fulmine illuminò il campo e la vide: Roxi era scivolata dalla scopa e stava precipitando. Istintivamente virò a destra e la prese al volo. Con il senno di poi fu una decisione tanto impulsiva quanto sconsiderata. Si ritrovò a cadere con lei, senza riuscire a controllare la scopa. Si aspettava che da un momento all’altro Alexander Parker, che era vicino a lui poco prima e doveva essersene accorto intervenisse od attirasse l’attenzione degli altri su di loro; ma non accadde. James con enorme sforzò tentò di raddrizzare la scopa e quanto meno rallentare la caduta. Alla fine riuscì a toccare terra in modo non troppo doloroso. Od almeno non lo sarebbe stato se Roxi non l’avesse schiacciato completamente con il suo peso. Centrò in pieno una pozzanghera, che almeno attutì l’impatto. Per prima cosa tentò di sollevarsi e con sollievo si rese conto che, nonostante fosse tutto un dolore, almeno le ossa erano tutte perfettamente integre.  
«Roxi? Roxi?» chiamò, ma la cuginetta era priva di sensi. Le toccò la fronte e si accorse che scottava. Alzò gli occhi per vedere che diavolo di fine avessero fatto gli altri e lo spettacolo che gli si presentò lo colpì come un pugno in pieno stomaco: i Corvonero portavano in trionfo Alexander Parker. I Grifondoro mesti li stavano raggiungendo.
«Cavolo, cavolo. Roxi, dimmi che stai bene!» disse supplicante Fred, per la prima volta dimentico della partita. Prima che James potesse rispondergli a tono, furono raggiunti dagli insegnanti. Neville prese in braccio la ragazzina e, dopo aver lanciato un’occhiataccia alla squadra, la portò in infermeria.
La pioggia cadeva sempre più forte, ma James non la sentiva più. Per la prima volta in tre anni aveva perso il boccino d’oro. Avevano perso la coppa del Quidditch, quella stessa coppa che per almeno sei anni era stata loro. La rabbia si impadronì di lui e si voltò verso i Corvonero che incuranti della pioggia continuavano imperterriti a festeggiare. Erano stati sleali. Avrebbe tolto il sorriso a quel piccolo verme di Alexander Parker!
«Parker! Tu hai visto che mia cugina era scivolata! Perché non sei venuto ad aiutarmi?».
Il ragazzino si spaventò, anche se il vento probabilmente aveva portato via la metà delle sue parole, doveva aver percepito la sua ira.
«Potter, fai il gradasso con quelli più piccoli?» disse Fabian Parker avvicinandosi.
«Io? Siete degli imbroglioni! Con che coraggio festeggiate? Non vi vergognate di nulla?».
«Dimostralo, Potter. Dimostra che abbiamo imbrogliato! Qui l’unico idiota è tuo cugino! Non avrebbe mai dovuto far giocare sua sorella se stava male!».
«La sai una cosa, Parker? Dominique ha fatto bene a lasciare tuo fratello! È un idiota, come tutta la vostra famiglia!».
«Come osi, Potter? Io sono un Caposcuola!».
James aprì la bocca per ribattere che non gliene fregava proprio nulla, ma qualcuno gli tappò la bocca con una mano e lo spinse via. Non aveva bisogno di cercare il suo viso, qualche centimetro più in basso, per riconoscerla. A bordo campo le prese una mano e la strinse nella sua.
«Sono le mie mani ad essere congelate o le tue?».
«Entrambe» rispose Benedetta, «siamo zuppi. Andiamocene in Sala Comune, abbiamo bisogno di una doccia calda». James non protestò e si lasciò guidare da lei, dando le spalle ai Corvonero che salivano in tribuna e ricevevano la Coppa dalla mani della Preside.
*
«Non possiamo entrare nella foresta con questo tempo» sentenziò Rose, facendo tirare un sospiro di sollievo agli amici. La ragazzina osservava con ostilità la pioggia battere sul vetro della finestra. Poco dopo pranzo si erano riuniti nell’aula d’incantesimi. Naturalmente non avrebbero dovuto trovarsi lì, ma Vitious non si sarebbe arrabbiato se li avesse visti. I Corvonero festeggiavano per tutta la Scuola senza alcun ritegno ed ignorando le occhiatacce degli studenti delle altre Case. Gli unici contenti della loro vittoria erano i Serpeverde. Od almeno tutti tranne Scorpius, che adesso, seduto su un banco, giocava con un elastico e gettava occhiate annoiate fuori dalla finestra.
Roxi stava meglio ed era sotto la stretta sorveglianza di Madama Chips, mentre Fred stava passando il suo brutto quarto d’ora: si era beccato una ramanzina sia dalla Preside sia da Paciock, ed adesso erano arrivati anche i suoi genitori.
Tutti avevano visto il comportamento scorretto di Alexander Parker, ma l’unica a lamentarsi era stata July Mcmillan. La ragazza, furiosa per quello che era successo a Fred, aveva insultato Fabian Parker davanti a tutta la Sala Grande ed aveva cercato inutilmente giustizia dal padre: l’insegnante di pozioni, sinceramente dispiaciuto per quanto avvenuto, le aveva risposto di non poter far nulla in quanto i Corvonero non avevano infranto nessuna regola della Scuola e nemmeno del Quidditch; quindi qualunque provvedimento disciplinare nei loro confronti sarebbe stato un sopruso e se erano stati moralmente scorretti ci avrebbe pensato la loro coscienza. Tale risposta non era andata bene a nessuno: i Grifondoro al momento nutrivano profondi dubbi sulla coscienza dei Corvonero.  Differentemente dal solito la tensione tra le due Case non era sparita con la conclusione della partita, ma si stava inasprendo sempre di più. Per questo motivo i ragazzi avevano preferito nascondersi in quell’aula, lontano dagli sguardi degli altri. I Grifondoro non avevano voluto nessuno estraneo al loro tavolo a pranzo e questo aveva fatto sorgere diversi litigi e scontri che Neville aveva dovuto sedare. Per ripicca Albus ed i suoi compagni del terzo anno avevano pranzato al tavolo dei Tassorosso, che non avevano minimamente tentato di cacciare loro o Scorpius o Jonathan. Naturalmente gli altri Grifondoro l’avevano presa malissimo e più tardi, quando sarebbero rientrati nella loro Sala Comune, avrebbero dovuto affrontarli.  
James e Fred non si erano nemmeno presentati a pranzo, ma Albus non si era preoccupato più di tanto perché sapeva per certo che erano in buona compagnia.
«Accidenti!» disse Rose, attirando l’attenzione di tutti. Aveva il viso appiccicato al vetro. Scorpius seguì il suo sguardo e deglutì: «Main e compagni stanno andando».
«Sono pazzi!» esclamò Elphias.
«No. Furbi» sospirò Scorpius, «Chi penserebbe mai che un gruppo di studenti possa decidere di uscire con un tempo del genere?».
«Dobbiamo seguirli» disse Rose, che però improvvisamente era bianca come un lenzuolo.
Il castello fu scosso da un forte tuono e la ragazzina impallidì ancora di più.
«Rosie?» chiamò Al preoccupato.
«Sto bene. Andiamo, non abbiamo scelta. Non possiamo permetterli di impossessarsi anche dello smeraldo di Serpeverde. Sarebbe terribile».
«Dovete almeno provarci. Tocca ai quattro Custodi. Noi vi copriremo» disse Cassy.
«Rose, non è necessario. Parliamone con la Preside o con zio Neville!».
«Vuoi fare la spia?» chiese perplesso Elphias.
«Non è proprio fare la spia e comunque è meglio parlarne con gli adulti prima che sia troppo tardi».
«No! I Custodi siamo noi! Tu che centri? Sei un fifone! Non venirmi a fare la predica» replicò lei con voce però incerta.
«Forza allora, prima che si allontanino troppo» disse Scorpius.
Albus li guardò scendere le scale. Si sentì stringere il cuore: era la consapevolezza di dover andare con loro. Due anni prima il Cappello Parlante aveva pensato che sarebbe stato bene tra i Corvonero e lui per tutto quel tempo aveva dubitato di aver fatto bene a pregarlo di spedirlo tra i Grifondoro, ma in quel momento capì che era la sua Casa, l’unica giusta per lui. Salutò gli altri ed ignorando le loro proteste corse dai quattro beccandoli proprio mentre uscivano dall’imponente portone di quercia. Si scambiò uno sguardo d’intesa con Rose e sul viso della ragazzina sorse un sorriso riconoscente. I Grifondoro erano quelli leali e puri di cuore ed Albus e Rose si erano scambiati una promessa e l’avrebbero rispettata. Poco importava se all’epoca avessero avuto solo sei anni, entrambi se ne ricordavano perfettamente: si sarebbero protetti a vicenda e si sarebbero sempre difesi. Ogni tanto sembrava sparire dalla loro mente, ma quella promessa era incisa nei loro cuori ed era più potente di qualunque magia. Senza che gli altri se ne accorgessero Albus strinse brevemente la mano alla cugina, mentre si avvicinavano ai confini della Foresta Proibita. Una sola cosa terrorizzava Rose Weasley: i temporali. Albus era uno dei pochi a saperlo e la ragazzina non l’aveva rivelato nemmeno agli amici.
 

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Capitolo 26
*** Lo smeraldo di Salazar ***


Capitolo ventiseiesimo.

Lo smeraldo di Salazar

 La pioggia batteva forte su Hogwarts ed i ragazzi incespicavano nel terreno irregolare della foresta e più volte rischiarono di scivolare nei pantani. La Foresta Proibita normalmente non era un luogo particolarmente ospitale, ma quel pomeriggio appariva ai loro occhi ancora più macabra. Era completamente buio e se non avessero avuto le bacchette non avrebbero visto ad un palmo dal loro naso. Inoltre il rumore della pioggia era amplificato, ma non era per nulla rassicurante. Ben presto persero la cognizione del tempo e si ritrovarono a vagare al buio alla ricerca della radura di cui parlava il diario od almeno dei Serpeverde.
 «Torniamo indietro» disse Dorcas con voce piagnucolante.
«Dobbiamo andare avanti» disse Rose, tirando su con il naso.
«Qualcuno di voi sa dove stiamo andando?» chiese Scorpius con voce roca.
Si fermarono e per un momento si guardarono negli occhi a vicenda. L’amara consapevolezza si fece strada in loro: si erano persi nella Foresta Proibita.
«E voi che fate qui?» una voce pacata e profonda attirò la loro attenzione. I cinque si voltarono verso chi aveva parlato. Si immobilizzarono sul posto incapaci di rispondere alcunché. Davanti a loro vi era un gruppetto di centauri, che li scrutava in modo preoccupante. A parlare probabilmente era stato quello più vicino con una barbetta brizzolata, quasi del tutto bianca.
«Come avete osato entrare nel nostro territorio?» chiese un altro aspramente. Era decisamente più giovane del primo, ma i suoi occhietti erano socchiusi in maniera malevola. «Fiorenzo, gli umani devono smetterla di entrare nel nostro territorio!».
«Fiorenzo, ricordati il nostro accordo: niente più rapporti con gli umani» lo richiamò un altro centauro dall’aria anziana.
I ragazzi per conto loro era indietreggiati tanto da appoggiarsi al tronco di un’immensa quercia.
«Sono solo cuccioli» disse lentamente il primo centauro di nome Fiorenzo.
«N-non sapevamo che fosse il vostro territorio…» tentò Rose.
«In realtà non sappiamo nemmeno dove siamo…» aggiunse Jonathan.
«Ci siamo persi» disse Dorcas in lacrime.
«Non ha importanza che siano dei cuccioli, gli umani devono insegnarli a rispettarci e non lo fanno!» disse scalciando un altro centauro dall’aspetto e dalla voce molto più giovane. I ragazzi si appiattirono ancora di più sul tronco dell’albero.
«Gli umani glielo insegnano. Non hanno il permesso di stare qui» sottolineò Fiorenzo.
«Che se ne vadano allora» sbuffò l’altro anziano.
«Usiamoli come esempio» propose il più giovane.
«Cassandro! Irone! Smettetela, li state spaventando inutilmente» li rimproverò Fiorenzo. «Li riaccompagnerò personalmente a Scuola».
«Ehm veramente noi stiamo cercando una cosa… E se voi sapeste dove si trova, ci fareste un favore» disse Scorpius.
«Un favore? Noi non aiutiamo gli umani se non in casi eccezionali» disse Cassandro, scalciando all’indietro con fare impaziente.
«Fiorenzo, non vale a nulla essere gentili con loro. Voglio sempre di più. Gli uomini non si accontentano mai» rincarò Irone.
«È importante. La stanno cercando anche dei ragazzi più grandi e vogliono farne un cattivo uso» provò Albus.
L’attenzione di Fiorenzo si spostò su di lui, che fino al quel momento era rimasto in silenzio. «Sei il figlio di Harry Potter?».
«S-sì s-signore».
«Non aver paura. Quando ho conosciuto tuo padre, lui era molto più piccolo…».
«Sì, lo so. Non sono coraggioso quanto lui» sbottò Albus interrompendolo. Gli amici lo guardarono come se fosse impazzito.
Con sorpresa di tutti il centauro ridacchiò. «Giovane Potter, tu non sai cosa sia il vero coraggio e non conosci ancora le tue qualità» disse poi con tono nuovamente pacato e serio. «I vostri compagni sono vicini alla radura, che cercate. Ma vi sconsiglio di proseguire. Sappiamo cosa state cercando. È pericoloso, potreste non uscire vivi da questa foresta e non saremo noi ad uccidervi».
«Lei non capisce» disse Rose. «Noi dobbiamo prendere lo smeraldo. Lei non lo sa, ma stanno succedendo cose molto brutte e dobbiamo evitarle».
Fiorenzo scosse il capo. «Negli ultimi mesi Marte sta diventando sempre più luminoso. Non succedeva da più di vent’anni. Vi accompagnerò al castello. Devo molto ad Harry Potter, non permetterò che a suo figlio accada qualcosa».
Il centauro si avvicinò a loro e li fece segno con la mano di seguirlo. I ragazzi non si mossero ancora spaventati.
«Davvero signor Centauro non possiamo tornare a Scuola senza quella pietra» tentò Scorpius.
«E poi non ci interessa di che colore è Marte» borbottò Rose. «E ci dicono sempre che questo posto è pericoloso, ma secondo me i grandi esagerano come sempre».
«Mi chiamo Albus Severus Potter» disse invece Albus con una sicurezza insolita per lui.
«Bene Albus Severus, percepisco grande saggezza in te. C’è una radura che perfino noi evitiamo. Nel nostro popolo si tramanda una storia: Salazar Serpeverde vi nascose un oggetto molto potente. Molti l’hanno cercata, per lo più invano. Il mago sapeva farsi comprendere dai rettili e chiese loro di difendere la pietra».
«Sono passati secoli da allora. I serpenti sono morti tutti» disse Rose come se fosse la cosa più logica del mondo.
«Ma non i loro discendenti ed adesso in quella radura hanno trovato ricetto anche altri orribili esseri. Non permetterò che vi andiate» replicò Fiorenzo.
«La sai una cosa? Tornatene a guardare Venere» disse Rose e lanciò una manciata di polvere buiopesto. Si levarono le imprecazioni dei centauri ed Albus si sentì prendere per mano e trascinare via.
«Devono essere uccisi!».
«Oltraggioso!».
«Si prendono gioco di noi! Ragazzina, se ti prendo ti faccio vedere io Venere!» urlò Irone.
Albus molti minuti dopo si fermò e lasciò andare la mano di Jonathan. Appoggiandosi ad un albero, tentò di riprendere fiato. Si accorse che aveva smesso di piovere.
Si guardarono intorno, ma non riconobbero il luogo. Albus si rese conto che avevano mandato a farsi strabenedire ogni prudenza e l’unica possibilità di ritrovare la strada per tornare al castello. Correre alla cieca nella foresta: non avrebbero potuto fare qualcosa di più sciocco.
«Rose, non avresti dovuto farlo» disse Albus rivolto alla cugina.
«Io sono Albus Severus Potter» gli fece il verso lei.
«Rosie, i centauri sono molto permalosi» tentò di farla ragionare Jonathan.
«Chissenefrega. Andiamo» replicò la ragazzina.
«State attenti dove mettete i piedi» li avvertì Scorpius.
I ragazzi si rimisero a camminare in silenzio. Persero nuovamente la cognizione del tempo e quando Albus stava per consigliarli di fermarsi quando un verso stridulo li fece raggelare. Un nano saltò fuori da un buco con un randello in mano.
«Che diamine è?» domandò Scorpius.
«Un berretto rosso. Li abbiamo studiati con Robards» rispose Jonathan.
«Credo che ci voglia far male» sbottò Scorpius.
«Stupeficium» disse Rose ed il nano volò contro un albero.
«Così facile da eliminare?» chiese sorpreso Scorpius.
«Tutto sommato sì, ma se becca un babbano di notte e gli tira una randellata in testa…» commentò Jonathan.
«Rose sei ancora sicura che i grandi esagerino sempre?» borbottò Albus, ma la cugina lo ignorò.
«Prova con Homenum revelio» suggerì Jonathan, ma la compagna lo guardò come se fosse impazzito:
«È un incantesimo avanzato! Fallo tu se sei così bravo!».
«Homenum revelio» disse Dorcas sorprendendo tutti.
L’incantesimo funzionò e la ragazzina li guidò verso destra, lungo un sentiero fangoso e pieno di sassi. Lo percorsero fino in fondo, sobbalzando ogni volta che spezzavano qualche rametto con i piedi. All’improvviso sentirono voci concitate e capirono di essere vicini.
Il sentiero si aprì in una radura, che risaltò in modo strano alla luce delle loro bacchette, ma in un primo momento i ragazzi non ci fecero caso. La loro attenzione al contrario fu attirata dai Serpeverde che urlavano terrorizzati e tiravano incantesimi contro masse di buio più dense. Per una frazione di secondo Albus non riuscì a capire quale fosse il problema, finché Dorcas non si mise ad urlare ed a piangere, attaccandosi al suo braccio.
«Stupeficium» disse in preda al panico colpendo un serpente che gli insidiava le gambe.
«Acromantule!» disse Jonathan con voce strozzata.
Albus si voltò appena in tempo per rendersi conto che i Serpeverde non miravano contro il buio ma contro ragni giganti. Le pinze degli animali emettevano un ticchettio inquietante. A rilucere alla luce delle bacchette erano immense ragnatele, che si estendevano da un albero all’altro. Albus deglutì: erano caduti in una specie di enorme trappola. La radura sembrava minuscola in confronto a tutti i ragni che la abitavano. Sentì gli amici pronunciare schiantesimi ed incantesimi simili per colpire ragni e serpenti.
«Distraetele. Noi prendiamo la pietra» disse Rose indicando un punto dall’altra parte della radura.
Jonathan ed Albus schiantarono un’acromantula insieme, ma avevano molta difficoltà anche perché Dorcas non sembrava minimamente in grado di difendersi per quanto era scioccata.
Videro un’acromantula sul punto di colpire Alphonse Main alle spalle: «Stupeficium» gridarono all’unisono Jonathan ed Albus. Riprese a piovere ed il caos aumentò. Un’ acromantula costrinse Albus a dividersi da Dorcas ed ad allontanarsi dagli altri. Sbalzò di lato ed evitò una di quelle bestie. Albus aveva il cuore in gola e sentiva le lacrime premere per uscire: disperava che ne sarebbero usciti vivi. Un incantesimo vagante colpì un albero ed Albus si scostò appena in tempo per non essere preso da un ramo molto spesso. Da esso si levò una melodia dolcissima, che per un attimo sembrò fermare il tempo: Dorcas smise di piangere e tirò sul con il naso, Jonathan si voltò verso Albus, Scorpius e Rose smisero di litigare con Main. I Serpeverde erano parecchio turbati dal canto, mentre i ragazzini si sentirono molto più coraggiosi.
Albus, come se non fossero in mezzo ad un branco di acromantule affamate, si avvicinò al ramo. Scostò le foglie e vide una specie di pulcino rossastro. Una delle ali era spezzata, ma per il resto sembrava stesse bene. I compagni ripresero a difendersi con più decisione. Raccolse il pulcino e lo osservò.
«Albus voltati!» l’urlo terrorizzato di Dorcas spinse Albus a girarsi, ma fu comunque troppo tardi. Le pinze di uno di quei mostri lo colpirono al braccio. Urlò e per il contraccolpo cadde all’indietro, sbattendo contro il tronco di un albero. Albus aveva gli occhi pieni di lacrime; strinse delicatamente il pulcino tra le mani come a proteggerlo e chiuse gli occhi, mentre il ragno si avventava nuovamente contro di lui. Si aspettava di essere morso o magari inghiottito tutto intero da un momento all’altro, ma non accadde nulla di tutto ciò. Azzardò un’occhiata e vide il ragno steso a terra poco distante.
«Muoviti, Potter. Ci sono troppo acromantule, non possiamo schiantarle tutte».
Albus riconobbe Mcmillan e si rimise in piedi con il suo aiuto. Si lasciò trascinare quasi di peso, perché incespicava ad ogni passo. Quando finalmente si fermarono, erano ormai lontani dal pericolo.
«È ferito?» chiese Neville.
«Sì, sanguina dal braccio sinistro. Gli altri?» replicò Ernie Mcmillan.
«Stanno bene» rispose Justin Finch-Fletchley.
Un rumore di zoccoli fece sobbalzare Albus.
«Sta fermo» lo bloccò Mcmillan.
«Stanno bene, Fiorenzo. Grazie del vostro aiuto».
«Ho un debito verso Hogwarts, Neville».
Il pulcino si rimise a cantare sorprendendo tutti; si divincolò dalla mano di Albus e saltò su suo braccio. Mcmillan aveva strappato la divisa per poter esaminare la ferita e la creatura vi appoggiò la testa: lacrime calde caddero dai suoi occhi e la ferita si cicatrizzò con incredibile rapidità. Emise un’ultima nota e si addormentò.
«Albus Severus sei più simile a tuo padre di quanto tu ritenga» disse Fiorenzo. «Badate bene di non invadere più il nostro territorio» disse per poi voltarsi ed andarsene.
«Come ha fatto a guarire la ferita?» domandò Rose con voce tremula.
«È una fenice» rispose Hagrid, «È straordinario! Sembra proprio Fanny, vero?» chiese il vecchio guardiacaccia agli insegnanti con grande entusiasmo.
«A quanto pare» borbottò Justin basito.
«Dobbiamo andare prima che ricominci a piovere di nuovo» disse, invece, Ernie.
Hagrid per tutto il tempo non tolse gli occhi dalla fenice, addormentata nelle mani di Albus.
Impiegarono più di un quarto d’ora ad uscire dalla foresta e quando ci riuscirono, furono accolti dalle luci rassicuranti del castello. Il cielo era nero come la pece, nemmeno una stella osava fare capolino tra le nuvole.
Hagrid li accompagnò fino al portone d’ingresso. Qui li accolse un Franz Licory completamente ubriaco. Se non fossero stati ancora terrorizzati da quello che avevano appena passato, si sarebbero piegati in due dalle risate: il Custode, paonazzo in volto, cantava canzoni degne di un’osteria con voce stridula ed era anche terribilmente stonato.
«Ed ecco che cosa fa il nostro Custode la sera, quando non lo troviamo. Silencio» disse irato Mcmillan.
«Hagrid per favore occupati di lui e quando sarà sufficientemente lucido, avvertilo che i suoi servigi non sono più richiesti ad Hogwarts. Che faccia i bagagli al più presto» aggiunse Neville.
«Voi, seguiteci» ordinò Ernie, facendoli cenno con il capo di procedere.
I ragazzi obbedirono e furono accolti dal caldo tepore della Sala d’Ingresso. Li condussero direttamente nell’ufficio della Preside.
«Soriano» disse Neville ai gargoyle.
Ernie fu il primo ad entrare e i suoi colleghi fecero passare avanti i ragazzi.
La Preside era seduta alla scrivania e li osservò severamente, mentre entravano. Albus abbassò lo sguardo incapace di sostenere quello della donna. Accanto a lei vi erano Robards e Vitious.
«Abbiamo trovato anche Main, Warrington e Douglas» comunicò Mcmillan, per poi raccontarle dove e come li avevano trovati.
«Siete impazziti per caso?» sibilò la Preside, squadrandoli uno ad uno. «Avete rischiato la vita! Per cosa poi? Ce l’avete una valida spiegazione?».
Nessuno dei ragazzi osò replicare.
«Spero per voi che non l’abbiate fatto per qualche stupida sfida! Non mi aspettavo un comportamento del genere da molti di voi. Sono molto delusa! Dovreste vergognarvi! Io proprio non capisco cosa vi possa essere passato per la testa! Pretendo una spiegazione!».
Albus, tenendo gli occhi fissi a terra, iniziò a raccontare da principio: il diario rubato da Rose nel Reparto Proibito, il rubino di Grifondoro che Rose aveva trovato nella loro Sala Comune, il coinvolgimento degli altri e le resistenze di Nick-Quasi-Senza-Testa e della Dama Grigia a rispondere alle loro domande, lo zaffiro di Corvonero e la curiosità di Douglas, il topazio (anche se evitò di specificare come e chi ne era entrato in possesso), la consapevolezza di essere stati scoperti e di essere seguiti, il furto del rubino e poi del topazio. Infine la necessità di trovare per primi lo smeraldo. La Preside non tentò nemmeno di nascondere la sua sorpresa ed ordinò:
«Mostratemi le pietre».
Jonathan si stacco il braccialetto che portava al polso ed a cui aveva legato lo zaffiro e lo consegnò alla professoressa; Scorpius tirò fuori dalla tasca della divisa lo smeraldo, che con sua grande soddisfazione era riuscito a prendere prima di Main. Nel farlo però mostrò la mano destra completamente insanguinata. Il professor Vitious gettò un’eloquente occhiata a Robards, ma questi non si mosse; così il professore di pozioni si avvicinò al ragazzino e dopo aver esaminato la ferita chiese: «Come te la sei fatta?».
«Lo smeraldo era incastonato in un serpente di pietra. Appena l’ho toccato si è animato».
«Preside, credo sia il caso che Malfoy faccia vedere la mano a Madama Chips. Credo che i denti della statua fossero impregnati di veleno».
«Sì, naturalmente. Malfoy fa come ha detto il professor Mcmillan e porta con te la signorina Fenwick, ritengo che per questa sera abbia sopportato abbastanza» disse la McGranitt. La donna per l’ennesima volta in tre anni si ritrovò a costatare che il giovane Malfoy fosse diverso dal padre alla sua età: non solo era molto amico dei Potter-Weasley, ma anche molto più gentile. Scorpius prese per mano Dorcas e la condusse con sé. «Signor Warrington vada con il professor Robards a prendere le altre due pietre, dovunque le abbiate nascoste».
Durante l’attesa nessuno parlò. Dopo un tempo che parve infinito i due rientrarono nell’ufficio. Warrington consegnò le pietre alla Preside.
«Queste le terrò io d’ora in avanti. Per quanto riguarda voi, ritengo che la paura sia stata un’ottima maestra e ci ripenserete bene dal comportarvi di nuovo in modo così sconsiderato. Nonostante ciò avete infranto una delle regole più severe della Scuola e pertanto sarete puniti. I vostri direttori vi faranno sapere il giorno e l’ora della punizione. Inoltre per la vostra grave mancanza di giudizio vi verranno tolti cinquanta punti ciascun-…».
«Cinquanta? Sono tantissimi, professoressa!» la interruppe Rose.
«Weasley, è cattiva educazione interrompere gli altri mentre parlano! E ringrazia che non ve ne tolga di più! E questa sera scriverò alle vostre famiglie».
«Professoressa, nella foresta ho trovato questa creatura. Credo abbia bisogno delle cure di Hagrid» Albus si fece avanti e la mostrò alla donna più da vicino.
L’espressione della Preside mutò sensibilmente e sembrò addolcirsi, mentre si voltava brevemente verso il quadro di Albus Silente posto alle sue spalle. «Stai tranquillo, Potter. Hagrid si prenderà cura di questa fenice» disse, «Professor Finch-Fletchley la prego di portarla ad Hagrid».
Albus consegnò la creatura a Justin, che uscì senza dire nulla dall’ufficio.
«Andate anche voi e badate bene: la prossima volta che verrete qui, potrei non essere così clemente».
Minerva li osservò mentre uscivano in silenzio ed ascoltò a malapena i saluti dei suoi colleghi.
Fissò a lungo le quattro pietre preziose di fronte a lei. Era decisamente sorpresa del comportamento di quei ragazzini. Sapeva che avrebbe dovuto essere più severa con loro: insomma avevano vagato nella Foresta Proibita, rischiando la vita! Eppure vederli così insieme era per lei motivo di soddisfazione! Tutti gli sforzi della sua vita, la fatica e le sofferenze avevano avuto come obiettivo la pace e la concordia nella comunità magica. In fondo Hogwarts ero lo specchio della comunità magica: quelli stessi ragazzini fra qualche anno avrebbe inciso sulla società con le loro scelte. E finalmente membri di Case diverse collaboravano tra loro con tanta naturalezza e sincerità. Venti anni prima se avesse pensato che un Malfoy avrebbe potuto dare la mano ad una Tassorosso, avrebbe pensato che fosse giunto il momento del pensionamento.
Dopotutto anche se lentamente i suoi sforzi stavano dando frutto.
 

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Capitolo 27
*** Ricordare, per non dimenticare ***


Capitolo ventisettesimo.

Ricordare, per non dimenticare.

Albus ripose in ordine libri e quaderni e si affrettò ad uscire dalla biblioteca. Rischiava di arrivare in ritardo. Non corse: ci mancava solo che lo beccasse Lorentz o peggio ancora Gazza. Era stata una lunga settimana, per fortuna però era già giovedì. Visto e considerato che la settimana era iniziata con la strillettera del padre, e suo padre non mandava mai strillettere, e si stava concludendo con la punizione da scontare: beh era stata una settimana pessima. Aggiungiamo pure che tutta la Casa di Grifondoro era furiosa con lui e Rose perché avevano perso la bellezza di cento punti. Certo come la cugina sottolineava imperterrita i Serpeverde ne avevano persi ben centocinquanta; ma ai loro compagni non interessava. Per conto suo aveva lavorato sodo per recuperare i suoi cinquanta punti e ci era riuscito egregiamente. Un unico effetto collaterale: per raggiungere questo obiettivo aveva dovuto mettersi un po’ in mostra, cosa che non sopportava di solito. Rose non si era minimamente preoccupata. Anzi non faceva che vantarsi e raccontare la loro impresa nella foresta con sempre maggiori particolari. Albus non stava nemmeno più ad ascoltarla. L’ultima volta aveva detto ad alcuni ragazzini del primo anno che si erano scontrati con un nundu ed l’avevano sconfitto solo grazie a lei. Ed il nundu era una creatura che viveva in Africa ed ammazzava molto facilmente i maghi. Scorpius era più nervoso perché veniva persino accusato di tradimento dai suoi compagni di Casa, ma, a parte quando aveva affatturato un loro compagno del terzo anno, era riuscito a mantenere la calma. Il Serpeverde non si era beccato alcuna strillettera: a quanto pare non era una reazione degna di genitori Purosangue. Dorcas ci era rimasta male quanto lui nel ricevere la strillettera, nessuno dei due si era mai messo nei guai e meno che mai in uno così grande. E comunque quella che mandava strillettere era sempre la mamma, mai suo padre: l’aver avuto questo onore non lo entusiasmava, anzi. Neanche Jonathan si era beccato un strillettera, ma a quanto ne sapeva il padre era venuto a trovarlo il giorno prima, probabilmente perché era stato male. Rose insisteva con la sua ipotesi e cominciava a convincersene anche lui: negli ultimi due mesi l’amico era stato in infermieria due volte ed entrambe le volte c’era la luna piena. Si riscosse proprio mentre raggiungeva la Sala d’Ingresso. Rose, Dorcas e Scoprius erano già lì.
«Ciao, ragazzi».
Rose era seduta a terra con le gambe aperte e la schiena appoggiata alla parete. Era la personificazione della Noia o meglio ancora della Strafottenza. Scorpius chiacchierava con lei a voce bassa, mentre Dorcas stava appoggiata al muro poco distante e si muoveva nervosamente. I primi due risposero con un cenno al suo saluto, mentre la Tassorosso gli si avvicinò.
«Ciao, Al» pigolò. Lui le fece un sorriso di incoraggiamento.
«Oh, i bambini sono già qui. Hai visto Mike?» il tono sarcastico di Alphonse Main attirò l’attenzione dei quattro.
«Probabilmente pensavano che li avrebbero sgridati se fossero arrivati in ritardo» replicò Douglas. Entrambi risero ed a loro si unì anche Warrington. Rose e Scorpius misero mano alle bacchette, ma prima che facessero qualcosa di impulsivo, come loro solito, intervenne una voce autoritaria a loro ben nota.
«Mi sembra il minimo, signor Douglas. A quanto mi risulta dovete scontare una punizione e non è accettabile il ritardo. E ti faccio notare che è mancato poco che lei ed i suoi amici non lo foste. Sinceramente non l’avrei gradito». Ernie Mcmillan era arrivato appena in tempo per sentire le provocazioni dei due ragazzi più grandi. «Direi che cinque punti in meno ciascuno potrebbero farvi riflettere» sentenziò. «E Weasley, alzati da terra e stai composta per l’amor di Merlino».
Neville sopraggiunse proprio mentre Rose si alzava con uno sbuffo. Era in compagnia di Jonathan. Il ragazzino era pallido in volto, ma rivolse comunque un sorriso sincero agli amici.
«Neville, non si era detto che Goldstain sarebbe stato esonerato per questa sera?».
Neville rispose con un’espressione contrita.
«Voglio scontare la punizione insieme agli altri» replicò invece Jonathan, con una sicurezza che sorprese Albus.
«Ha il permesso del professor Vitious» riferì Neville al collega.
«Va bene, ma se dovessi sentirti poco bene dillo al professor Paciock o ad Hagrid. Chiaro?».
«Sì, signore».
«Seguiteci» ordinò Neville.
I ragazzi obbedirono e si diressero nel cortile con i due insegnanti. Per essere la fine di aprile faceva ancora freddo. Albus si strinse di più il mantello a dosso. Neville accese la bacchetta ed illuminò il percorso. Non ci volle molto a capire che si stavano dirigendo verso i margini della Foresta Proibita.
«N-non andiamo nella foresta, v-vero?» chiese Dorcas con voce piagnucolante. Il gruppetto si fermò e tutti si rivolsero a lei. Stava tremando ed Albus comprese che non era solo per il freddo. I grandi sghignazzarono e smisero solo alle occhiatacce degli insegnanti.
«Dorcas» disse con tono gentile Mcmillan, avvicinandosi a lei, «non vi inoltrerete nella foresta e comunque il professor Paciock ed Hagrid saranno sempre con voi. Non c’è nulla di cui tu debba preoccuparti».
I ragazzi, però, sapevano che Dorcas non aveva reagito bene alla loro gita nella foresta. Era rimasta completamente sconvolta dalle acromantule tanto che Madama Chips l’aveva tenuta con sé in infermeria per tutto il fine settimana, ma Dorcas era stata silenziosa in quei giorni.
Scorpius si avvicinò e le sussurrò qualcosa all’orecchio, lei non sembrò molto convinta ma non scostò la mano del Serpeverde quando strinse la sua.
Il gruppetto riprese a muoversi e giunse ai margini della foresta. Lì li aspettava Hagrid. Il mezzogigante rivolse loro un immenso sorriso.
«Ciao».
«Bene, ci vediamo domani mattina a lezione» disse Ernie congedandosi.
«Paura, professore?» chiese Main.
Ernie si voltò e lo fulminò con lo sguardo: «Sbaglio Main od eri proprio tu quello che singhiozzava davanti ad un’acromantula? Sì, eri tu. Quindi fa poco lo spiritoso e non permetterti mai più di mancarmi di rispetto. Altri dieci punti in meno a Serpeverde e vediamo se hai ancora voglia di scherzare». Attese per qualche secondo in silenzio come a sfidarlo a parlare. «Bene» disse e si diresse verso il castello.
«Il vostro compito è abbastanza semplice» ruppe il silenzio Neville. «Dovete cercare dell’aneto e foglie e bacche di biancospino. Ci divideremo in due gruppi. Main, Warrington e Douglas con me; mentre voi quattro andrete con Hagrid».
«Signore, le faccio notare che i gruppi sono squilibrati in questo modo. Sarebbe più corretto farne due da cinque» intervenne Douglas.
Albus lo guardò male: lo aveva proposto apposta per separarli.
«Non credo faccia molta differenza. Non è una gara. Comunque Rose verrai con noi» replicò Neville.
Albus seguì Hagrid in silenzio.
«Guardatevi attorno e raccogliete le piante che vi ha detto Neville».
«E chi si ricorda come sono fatte» borbottò Scorpius.
«Ci pensiamo noi, Scorp» lo rassicurò Albus dandoli una pacca sulla spalla. In fondo lui e Dorcas si contendevano il titolo di primi della classe in erbologia e Jonathan, da buon Corvonero era bravo in tutte le materie.
Dorcas fu la prima a trovare il biancospino ed insieme raccolsero quanto richiesto.
«Mi raccomando, quanto basta! Ce ne stanno tante qui. Mica dovete spennare tutta questa» li avvertì Hagrid.
Scorpius nonostante le lamentale non se la cavava mica male in erbologia e fu lui a trovare l’aneto.
Albus sorrise e capì quanto volesse bene a quel gruppetto così eterogeneo. In quel momento Scorpius con un ghigno, degno di un Serpeverde qual era, rubò delle foglie di biancospino dalle mani di Jonathan e cominciò a saltellare da una parte a l’altra come un folletto, urlando che lui sapeva che cosa ci faceva i Babbani con le foglie. Risero tutti mentre il Serpeverde si ingegnava a rotolare la foglia, l’unico che non aveva capito era Hagrid che sorrideva comunque.
«Piuttosto ti ci vorrebbe un infuso di biancospino» ridacchiò Dorcas, finalmente rilassata.
«Non vorrai mica far venire un infarto ai tuoi perfetti parenti purosangue?» lo canzonò Jonathan.
«Che schifo. È amara» disse Scorpius sputando la foglia e suscitando altre risa.
Hagrid si era allontanato un po’ e Scorpius ne approfittò ulteriolmente. Prese dei rami spezzati da terra e li lanciò ai compagni.
«Avete presente i pirati? Difendetevi» disse puntando il suo ramo contro di loro a mo’ di spada.
«Scorp, sei sicuro che quella era una foglia di biancospino?» chiese Jonathan mentre parava il colpo con una certa maestria senza smettere di ridere. «E comunque cadi male con me. È l’unica cosa in cui ho sempre battuto mia sorella, quando eravamo piccoli. Ed un Cercatore verde-argento non mi fa paura».
Albus rise di cuore come non faceva da giorni e tirò qualche colpo contro Dorcas, che a sua volta sembrava essersi dimenticata di essere nella Foresta Proibita. Scorpius e Jonathan avevano preso sul serio il loro scontro.
«Io ho sempre fatto Peter quando giocavo con mia sorella» ansimò il Corvonero, evitando un colpo dell’amico.
«E chi sarebbe Peter?» chiese Scorpius, tentando di disarmarlo. La domanda aumentò le risate di Albus e Dorcas che smisero di duellare gustandoseli.
«Come non conosci il grande Peter Pan?» lo prese in giro Albus.
«Direi di no. Chi è? Il campione di duello con rami spezzati?».
«È il bambino che non vuole mai crescere! Lui lotta con i pirati e vive sull’Isolachenonc’è con i Bambini Smarriti» rispose Dorcas.
«Eh?» chiese sorpreso Scorpius.
«Ma che infanzia hai avuto? E poi queste sono delle spade! Non vedi che rifinitura ha la mia? Nell’elsa c’è pure uno zaffiro incastonato» intervenne Jonathan.
«Beda il Bardo e tanto tanto Quidditch» replicò con espressione beata il Serpeverde.
«Ma che state facendo?» il vocione di Hagrid li riportò alla realtà.
Istintivamente i ragazzi nascosero le loro spade, che erano tornate ad essere solo dei rami e si resero conto che nella foga del loro gioco avevano stipato alla rinfusa le foglie di biancospino e l’aneto nelle tasche della divisa.
«Non so se sia possibile, ma siete peggio dei vostri genitori» borbottò il mezzogigante. «Non avete portato a termine il vostro compito! E tra poco dovremmo tornare dagli altri! Che dirò a Neville?».
I quattro si scambiarono occhiate colpevoli.
«Ci diamo da fare adesso, Hagrid. Scusaci, ci siamo distratti» rispose Albus per tutti.
I quattro si misero di buona lena e riempirono la sacca, che Hagrid aveva portato con sé appositamente.
«Bene, ora possiamo andare» disse quest’ultimo facendo loro l’occhiolino.
Quando si ricongiunsero agli altri si resero conto che l’umore dell’altro gruppo era abbastanza basso e zio Neville sembrava parecchio seccato.
«Si sono comportati bene, Hagrid?» chiese senza mezzi termini.
«Benissimo» rispose con un immenso sorriso, che tranquillizzò ulteriormente i ragazzi. «Guarda quanto hanno raccolto!».
Quando rientrarono nella loro Sala Comune, Albus si rivolse a Rose: «Che avete fatto a zio Neville per farlo arrabbiare?».
«Nessuno di noi si ricordava come erano fatte quelle piante» sbuffò lei. «Credo che non abbia nemmeno considerato Warrington, ho sentito dire che ha preso una T ai suoi G.U.F.O. l’anno scorso. Ma si è arrabbiato particolarmente con me e soprattutto con Douglas e Main che frequentano i corsi avanzati per i M.A.G.O.».
«Capisco. Poverino».
«Poverino lui? Povera me! Quanto ci scommetti che alla prossima lezione mi interroga? E nemmeno ti immagini quante pagine, anzi capitoli devo ancora studiare!» replicò Rose, per poi dirigersi a grandi falcate verso il suo dormitorio.
«Buonanotte, eh» la richiamò Albus.
«Domani mi darai i tuoi appunti o è la volta buona che mamma mi uccide. Notte anche a te» rispose lei prima di sparire dietro la porta.
*
«Che hai?» chiese Roxi.
Frank smise di svuotare il suo zaino e si rivolse a lei: «Non trovo il libro di pozioni».
«Che problema c’è? Seguiamo insieme. Mamma mi ha mandato il mio».
«A parte il fatto che è di Albus e non posso perderglielo, ma là dentro avevo messo il tema per oggi! Eri con me ieri sera, l’hai visto anche tu!» rispose e Roxi percepì subito il suo panico, così si affrettò a rispondere. «Sì, me lo ricordo. Hai controllato bene? Magari l’hai lasciato nell’aula di Incantesimi o in quella di Trasfigurazione».
«Non mi pare. Non l’ho preso per niente stamattina! Perché avrei dovuto?».
«Paciock! Weasley! Volete stare attenti?! Vi ho chiesto due volte di consegnarmi i vostri temi!» li redarguì Mcmillan di fronte a loro. Cavoli, non l’avevano nemmeno sentito avvicinarsi. Roxi gli porse il suo elaborato e tentò di trovare una valida scusa per l’amico, ma Frank la precedette e spiegò all’insegnante quello che gli era successo. Per Roxi fu una pessima mossa, raccontare la verità agli insegnanti era quasi sempre una pessima mossa; ma Frank era fatto in quel modo.
«Mi dispiace, Paciock. Sei in grado di dimostrarmi che non è solo una scusa?».
Roxi lo guardò male: quella era la domanda più stupida che avesse sentito in vita sua! Certo che non poteva dimostrarlo! Neanche Albus Silente avrebbe potuto farlo, a meno che…
«Frank l’ha fatto il tema! L’abbiamo fatto insieme. Può usare la legilmanzia! I nostri ricordi sarebbero un’ottima prova o pensa che saremmo in grado di manipolarli?».
«Weasley, non mettere alla prova la mia pazienza! L’uso della legilmanzia, come del Veritaserum, è severamente vietato sugli studenti, soprattutto sui minorenni!» poi si rivolse di nuovo a Frank. «Paciock, per questa volta non ti punirò ma questo compito sarà valutato con un non classificato».
Roxi vide Frank abbassare la testa ed arrossire. Sapeva che non si sarebbe lamentato.
«Non è corretto!» si lamentò allora al posto suo. «Le dico che Frank ha fatto il tema!». Poi si rivolse agli altri Grifondoro alla ricerca del loro appoggio. «Ragazzi, c’eravate anche voi in Sala Comune! Diteglielo!».
«È vero! Abbiamo studiato insieme» s’intromise Gretel Finnigan.
«No, non è vero professore! Paciock è stato tutto il pomeriggio nel parco!» disse invece Charles Calliance, subito appoggiato da Granbell e da Hans.
Roxi si alzò e dall’alto del suo metro e trenta minacciò Calliance: «Dì un’altra stronzata del genere e giuro che ti faccio ingoiare la bacchetta!».
«WEASLEY!» la richiamò Mcmillan. «Quindici punti in meno a Grifondoro e mettiti a sedere prima che prenda altri provvedimenti!».
«Ma professore! Calliance non può dire queste cose di Frank!» s’infervorò Gretel.
«Signorina Finnigan, non ti ci mettere anche tu! E comunque non posso stabilire chi dice la verità, per cui il mio giudizio non cambia. Adesso però ricomponetevi o vi farò pulire calderoni per tutto il week end!».
La classe piombò nel più completo silenzio. Roxi fremeva, ma riuscì a trattenersi fino alla fine della lezione. Quando furono ben lontani da Mcmillan scoppiò.
 «Sono sicura che centra quel cretino di Calliance! Hai visto come ghignava? Ma stavolta ce la pagherà!».
«Lascia perdere» sospirò Frank.
«Lascio perdere?!» si irritò Roxi. L’amico non replicò ulteriormente, mentre sedeva al tavolo di Grifondoro per pranzare.
Roxi lo osservò mentre svogliatamente si riempiva il piatto: aveva un’espressione patetica. Era solo un non classificato, ma lei sapeva quanto si era impegnato ad alzare la sua media ed ora ogni suo sforzo era andato a farsi strabenedire.
Per tutta la giornata Roxi sopportò pazientemente il suo silenzio, per quanto avrebbe voluto prenderlo per le spalle e scuoterlo ben bene perché si svegliasse e smettesse di farsi mettere i piedi in testa.
«Ehi».
Erano entrambi in Sala Comune ed erano intenti a terminare i compiti per il giorno dopo; la voce di Albus li fece sobbalzare.
«Ciao, Al. Come va?» replicò senza molto entusiasmo.
«Bene, grazie. Voi? Avete delle facce? È successo qualcosa?».
«Al, mi dispiace sul serio. Ma ho perso il tuo libro di pozioni. Giuro che te lo ripago» bofonchiò Frank.
«Il mio libro di pozioni? Ma eccolo! Me l’ha dato un tuo compagno. Quel Calliance. Non ho capito perché ce l’avesse lui. Te l’ha preso?» disse Albus tutto d’un fiato.
«Lo sapevo!» sbottò Roxi.
Adesso basta: Calliance aveva esagerato. Se la sarebbe vista con i Malandrini. Una sola parola ad Alice e sarebbe scoppiato l’inferno. Una vera e propria guerra civile.
*
«Un attimo di attenzione, prego». La Preside si era alzata dal tavolo dei professori ed attese che vi fosse assoluto silenzio in Sala Grande prima di parlare.
James fissò con ostinazione il suo piatto. Sapeva già che cosa avrebbe detto.
«Oggi è il due maggio e come tutti voi sapete è il giorno della Commemorazione della Battaglia di Hogwarts. Questo pomeriggio, come di consueto, ci sarà la cerimonia. Ad essa prenderanno parte i membri di spicco della Comunità Magica. È inutile che io dica che pretendo da voi un comportamento decoroso. Guai a chi dovesse mettere in imbarazzo la Scuola! Inoltre vi invito a mantenere un contegno più serio del solito per rispetto di coloro che in questo giorno hanno perso i loro cari ventidue anni fa. Cercate di riflettere!» disse per poi avviarsi lungo la Sala. «Lo vedete questo segno, vero? Lo conoscete tutti senza dubbio: è qui che Harry Potter e Lord Voldermort si sono scontrati per l’ultima volta; però badate bene che tutta la Scuola è intrisa del sangue che i Difensori di Hogwarts hanno versato per sconfiggere Lord Voldermort. Nel momento in cui fate discriminazioni di qualunque tipo, voi sputate sulle sofferenze di chi ha dato tutto per un futuro migliore. Un futuro dove non vi fosse alcuna discriminazione. Un futuro di pace e serenità».
Gli studenti la osservarono per tutto il tempo ad occhi sbarrati e la seguirono con lo sguardo mentre lasciava la Sala.
«Miseriaccia! Cioè l’avete sentita? Non ha mai fatto un discorso del genere!» proruppe Rose al tavolo dei Grifondoro, ma non fu l’unica. All’uscita della Preside un grande mormorio si era levato per tutta la Sala Grande. James gettò un’occhiata agli insegnanti: alcuni, quelli che avevano combattuto, avevano un’espressione indecifrabile e poco dopo seguirono la Preside; altri con aria contrita ripresero a fare colazione. Teddy non si era proprio presentato quella mattina. Il loro fratellone odiava quella giornata: se fosse stato per lui l’avrebbe trascorsa a casa sua con la nonna, Harry e Ginny come quando era piccolo. Da quando aveva iniziato Hogwarts non era mai riuscito a defilarsi, poi la situazione era peggiorata all’Accademia Auror: gli allievi erano obbligati a prendere parte alla cerimonia. Infine quest’anno per la prima volta avrebbe dovuto affrontare la giornata da docente e chi lo conosceva, sapeva che non si sarebbe mai tirato indietro.
James per un attimo osservò gli stendardi neri che decoravano la Sala Grande. Poi distolse lo sguardo. Odiava le cose tristi.
*
Quel pomeriggio la Sala d’Ingresso era affollata di studenti ed i quattro direttori tentavano di metterli ordinatamente in fila e guidarli fuori.
Il professor Robards fu il più rapido di tutti: «Seguitemi fuori, immediatamente. Giuro che a chi rimane indietro farò fare il campo da Quidditch di corsa per quindici volte!».
I Serpeverde non se lo fecero ripetere due volte e si affrettarono ad obbedire.
Furono seguiti dai Corvonero con in testa il piccolo docente di Incantesimi. Ernie fece un cenno a Neville e lo precedette, tentando di tenere a bada alcuni Tassorosso del primo anno.
Neville, per scelta, fino a quel momento non aveva nemmeno tentato di ordinare i suoi ragazzi. Con l’aiuto dei Prefetti riuscì a mettere in fila l’intera Casa senza urlare troppo.
«Dov’è Molly?» chiese, accorgendosi dell’assenza della sua Caposcuola. Com’era prevedibile tutti i Potter-Weasley nicchiarono e cominciarono a guardare dappertutto tranne che nella sua direzione. Alla fine Albus rispose: «Sta arrivando… Stava poco bene».
Neville inarcò un sopracciglio, ma non commentò: se lasciavano ad Albus l’onere di trovare una scusa, dovevano essere disperati. Inoltre che Molly avesse un problema era più che chiaro a tutto il corpo docente, ma lei non si faceva aiutare in alcun modo. Purtroppo non poteva ignorare la sua assenza. Era la Caposcuola e le disposizioni della Preside erano chiare: accanto ai Responsabili delle Case dovevano esserci proprio i Caposcuola. Se l’avesse sostituita con uno dei Prefetti, lei se ne sarebbe accorta e sarebbe un eufemismo affermare che non avrebbe gradito.
Per fortuna Molly ebbe il buonsenso di arrivare.
«Sei in ritardo. Cerca di ricomporti: hai la cravatta messa malissimo» si limitò a dire. Non aveva senso infierire ulteriolmente: Molly non era più la stessa di prima e non sapeva se era un bene od un male. Anche se almeno in quel momento non ebbe dubbi in proposito. Fortunatamente Dominique ebbe un moto di pietà nei confronti della cugina e le riannodò la cravatta e le legò rapidamente i capelli.
«Andiamo» sospirò Neville.
I ragazzi man mano che si avvicinavano alla tomba di Silente si quietavano sempre di più. Anche loro percepivano una sensazione di turbamento, che aleggiava nel parco. Ogni anno gli sembrava di essere catapultato indietro nel tempo fino al funerale di Silente. Le sedie venivano sempre messe di fronte alla tomba del vecchio Preside proprio come allora. Sentì stringersi lo stomaco, come se qualcuno glielo stesse strizzando tra le mani. Almeno di solito c’era Hannah e dopo trascorrevano insieme la serata, rimarginando l’uno le ferite dell’altro. Quell’anno non sarebbe stato possibile, era assurdo solo pensare che la moglie si muovesse di casa.
Si pose accanto ad Ernie con i suoi ragazzi. I Prefetti affiancarono quelli di Tassorosso, come li era stato indicato in precedenza.
«Siete arrivati appena in tempo! Ti hanno dato problemi?».
Neville scosse la testa: «Mi ero perso la Caposcuola».
Ernie annuì comprensivo.
La Preside era seduto in prima fila, accanto a Kingsley Schacklebolt ed a Vitious. Alla destra del Ministro della Magia sedeva Harry Potter ed alla sinistra del professore di Incantesimi il Caposcuola Fabian Parker, che quell’anno avrebbe rappresentato gli studenti.
Percy Weasley era in seconda fila, proprio alle spalle del Ministro. A nessuno dei Potter-Weasley sfuggì l’occhiata infastidita che lanciò alla figlia maggiore: l’onore di rappresentare la Scuola aspettava allo studente migliore del settimo anno e lui si sarebbe aspettato di vedere la figlia al posto di Parker. Tutti sapevano che quello era un brutto colpo per lui: pochi anni prima seduti accanto al Vicepreside vi erano stati Teddy e Victoire.
Molly, per conto suo, sembrava completamente fuori dal mondo come se tutta quella situazione non la toccasse minimamente.
Sempre in prima fila ma a sinistra sedevano gli altri Capi Dipartimento del Ministero della Magia: Hermione Weasley, Draco Malfoy, Richard Parkinson, Gregory Mullet solo per citare i più noti tra i ragazzi.
Il resto della popolazione magica occupava gli altri posti messi a disposizione della Scuola. Ai lati all’in piedi vi erano gli studenti delle quattro Case e gli allievi Auror alle spalle di uno dei loro istruttori. Molti li osservavano con invidia e desiderio di emulazione.
Neville tentò senza molta convinzione di richiamare i ragazzi che si sbracciavano per salutare i genitori. Sia lui sia Ernie rinunciarono ben presto.
Nelle prime file vi erano anche Seamus Finnigan, direttore della Gazzetta del Profeta, ed Anthony Goldstain, primario del San Mungo.
La prima a prendere la parola fu la Preside McGranitt e quando lei concluse il Ministro si alzò e salì sul piccolo palco, che era stato eretto appositamente al fianco della tomba di Albus Silente. Il silenzio fu immediato.
«Buonasera a tutti! Anche quest’anno ci ritroviamo qui per commemorare la morte dei Difensori di Hogwarts. Badate bene: commemorare, ricordare… Non festeggiare. ‘Abbiamo vinto contro Lord Voldermort’, ‘I nostri cuori sono stati oppressi dal timore per anni’, ‘C’è eccome da festeggiare’ direte voi. È vero: abbiamo vinto; ma non c’è nulla da festeggiare. Abbiamo combattuto una guerra e le guerre non hanno vincitori. Ci sono solo vinti. Qui in questo momento sono presenti molti dei combattenti di allora: l’Ordine della Fenice, l’Esercito di Silente, i docenti di Hogwarts ed i suoi studenti. E a proposito di questo ci tengo a ringraziare particolarmente la Preside McGranitt perché ogni anno ci ospita nella sua Scuola. Sì, sua perché Hogwarts è sempre stata indipendente e non ha mai avuto bisogno del Ministero, per quanto gli sia rimasta fedele. E quella notte signori, non c’era il Ministero qui, non c’era la Squadra Speciale Magica, non c’erano gli Auror. Sono morti gli studenti di Hogwarts e gli abitanti di Hogsmeade. Il Ministero è caduto per prima e non ha saputo rialzarsi. Ad Hogwarts nonostante la presenza dei Mangiamorte gli studenti non hanno abbassato la testa, non hanno chiuso gli occhi di fronte alle ingiustizie. L’Esercito di Silente non ha mai smesso di combattere! Non mi dilungherò oltre questa sera. Vi lascio con un ammonimento: ci vuole molto di più a costruire che a distruggere. Alcune ferite di quella notte non si cicatrizzeranno mai. A quanto pare non è stato sufficiente! Non avete sofferto abbastanza? Non avevate detto di voler evitare le vostre sofferenze ai vostri figli? Ebbene un gruppo di maghi, che si fanno chiamare Neomangiamorte, ha già iniziato a gettare nel panico il mondo magico! Attenzione: le parole non servono a molto. Intelligentibus pauca». Il Ministro aveva iniziato il suo discorso con voce sommessa, ma a poco a poco era divenuta sempre più grave ed elevata. Il più completo silenzio accolse le parole e quasi molti non si accorsero che era tornato a sedersi.
Prese il suo posto un uomo sulla cinquantina: Edward Davidson, rettore dell’Accademia di studi storici ed umanistici. Egli diede un rapido resoconto della prima e seconda guerra magica, soffermandosi di più proprio sulla battaglia finale.
Fabian Parker pronunciò un discorso a nome degli studenti ed infine un impiegato del Ministero salì sul palchetto. Tutti i presenti si alzarono. L’impiegato iniziò ad elencare i nomi dei cinquanta che avevano perso la vita durante la Battaglia di Hogwarts. Ormai il parco era completamente al buio, ma ad ogni nome i famigliari accendevano la bacchetta e schizzavano dei segnali luminosi in cielo. Roxi vide suo padre in fondo alla platea alzare la sua bacchetta e scagliare in alto una luce rosso-oro, perché i gemelli Weasley erano sempre stati una spanna davanti agli altri e non era cambiato nulla.
I centauri emersero ai margini della foresta e tirarono frecce incendiate come personale segno di omaggio. I Maridi al centro del Lago Nero intonarono una specie di nenia triste e malinconica.
La voce di un ragazzino del terzo anno di Tassorosso si levò tremolante in quell’atmosfera sospesa: «Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengano trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi nel mondo».

 
Angolo autrice:
Ciao a tutti! Non pensavo che ce l’avrei fatta ad aggiornare oggi! Ed invece… Evviva, ci tenevo tanto!
Questo è un capitolo di passaggio; invece i prossimi due saranno decisivi. Ormai siamo quasi alla fine di quest’avventura! La mia prima fanfiction sta giungendo al termine :-D :-D :-D

Ci tenevo a scrivere qualcosa sul due maggio. In effetti il capitolo è un po’ triste, ma la frase conclusiva credo di debba leggere come un’esortazione ed in fondo porta con sé una piccola scintilla di speranza. Ci tengo e devo sottolineare che si tratta di una citazione di Gandhi.

Grazie a tutti i lettori silenziosi che continuano a leggere la mia storia e soprattutto xxJudeSharp_ , la cui ultima recensione mi ha fatto molto piacere e mi ha stimolato nella realizzazione di questo nuovo capitolo.

Vi auguro un 2016 pieno di felicità, soddisfazioni e tanta tanta fantasia, perché credo che sia una delle armi più potenti che l’uomo possiede (da qui anche il gioco di Scorpius nella foresta). Tantissimi auguri a tutti :-D :-D :-D
 

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Capitolo 28
*** Il solstizio d'estate ***


Capitolo ventottesimo.

Il solstizio d’estate

«Avete visto Paciock, quando è caduto con la faccia nel lago?».
«Oh, sì. Charlie, sei stato magnifico» concordò Halley Hans, tenendosi la pancia per il gran ridere.
Accanto a loro anche Alcyone Granbell rideva con le lacrime.
«Dovremmo pensare ad un bel regalino di fine anno da fargli, non credete?» chiese Calliance.
I compagni, però, non ebbero il tempo di rispondere che tutto divenne buio. Urlarono.
«Che cavolo succede? Era pieno giorno!» si lamentò Granbell.
«Non funziona nemmeno il lumos» sbraitò Hans.
«Non vedo nulla!» strillò Calliance.
«Io vi vedo perfettamente! Vedo anche dentro di voi! Gli unici ciechi siete voi».
I tre sobbalzarono al suono di quella voce profonda e si guardarono intorno. Naturalmente invano.
«Chi sei? Noi non ti temiamo! Lo so, è solo uno stupido scherzo!» disse con una vocetta acuta Calliance.
«Io, Godric Grifondoro, sarei uno scherzo? Come osate?» gridò la voce.
«Grifondoro è morto, per chi ci prendi?» borbottò Granbell, ma sembrava spaventato.
«Sono il suo spirito» sussurrò la voce con tono quasi dolce, che spaventò di più i ragazzi.
«E per ammazzare la noia, sei venuto qui a farti un giretto?» chiese nervosamente Calliance.
«Nooo» ululò la voce, facendoli rizzare i capelli sulla nuca.
«Mi hai toccato tu?» strillò Halley Hans.
«No. Anche io sono stato toccato… Da qualcosa di freddo, come i fantasmi… Ho paura, scappiamo…» sbraitò Calliance in risposta.
«Spostati, fammi pensare» urlò Granbell.
Vi furono un paio di minuti di caos totale, ma il buio era così fitto che continuavano a scontrarsi.
«Basta» tuonò Godric Grifondoro. «Ascoltatemi, siete stai voi ad evocarmi».
«Noi?» replicò Calliance.
«No, no, si sbaglia. Noi non sappiamo fare le evocazioni» assicurò tremante Granbell.
«Ed invece siete stati proprio voi! Il vostro comportamento mi ha fatto infuriare! Mai sono dovuto ritornare per un evento così grave! Mai ho provato così tanta vergogna per i miei studenti!».
«No, Signor Fondatore signore noi non sappiamo di che cosa sta parlando» tentò Granbell.
«Lo sapete eccome! Non mentite a me!» gridò lo spirito. «Voi avete ripetutamente umiliato un vostro compagno di Casa! Dovreste vergognarvi!».
«Credo si riferisca a Paciock» bofonchiò Granbell.
«Zitto, idiota» disse Calliance tirando una gomitata alla cieca e colpendo Halley Hans.
«Ah, allora sapete di che cosa parlo! Siete almeno un po’ pentiti?» domandò lo spirito in un sibilo minaccioso.
«Deve capire signor Fondatore, che questo nostro compagno… insomma il Cappello Parlante… ecco sì il Cappello, ha sbagliato a collocarlo a Grifondoro e noi da buoni compagni cerchiamo di spiegarglielo» rispose Calliance.
«Come osi?» tuonò Grifondoro. «Stai per caso asserendo che il mio cappello, quel cappello che io e gli altri tre maghi più potenti della mia epoca abbiano incantato, non funziona?».
«No, no signore… io volevo dire…».
«Taci!» gridò Grifondoro. «Ora avrete la punizione che meritate».
I tre cominciarono ad urlare ed a supplicare, ma uno alla volta caddero a terra, privi di conoscenza.
A svegliare Charles Calliance fu la luce che entrava dalla finestra.
«Ma che cavolo…?» bofonchiò mettendosi a sedere e coprendosi gli occhi con una mano. Si guardò intorno: i suoi amici erano sdraiati poco distanti ed ancora incoscienti, il contenuto dei loro zaini era disseminato per il corridoio, i libri era strappati e le pergamene erano volate ancora più lontano; ma ciò che aveva più dell’assurdo erano la divisa ed il volto dei suoi compagni. La divisa era rosa e gli orli laterali erano completamente scuciti; il loro volto era tutto truccato con i colori ed i disegni più strani, che sul momento non riuscì a comprendere.
Osservò se stesso e si rese conto di essere nelle loro stesse condizioni.
«Accidenti! Ragazzi svegliatevi!» sbottò irritato. Gli scosse uno per uno finché non riaprirono gli occhi.
«Dov’è Godric?» chiese subito Granbell.
«Lascia perdere. Ho paura che ci abbiamo preso in giro! Seguitemi» ordinò Calliance.
Raccolsero alla rinfuse le loro cose e le gettarono negli zaini.
«Ehi capo, sai che sulla tua faccia c’è scritto ‘serpe’?» chiese Granbell.
«Idiota» replicò lui correndo verso la Sala d’Ingresso.
Purtroppo per loro era l’ora di pranzo e la Sala era piena di studenti, che si avviavano in Sala Grande. Molti risero ed iniziarono ad additarli.
«Wow una nuova moda?» chiese sghignazzando una Serpeverde del settimo anno.
I ragazzi si bloccarono ad osservarli creando un ingorgo allucinante. Gli insegnanti si avvicinarono per capire cosa stesse accadendo; ma i tre circondarono Paciock e lui gli guardò interrogativi.
«Che cos’è questa storia?» domandò pazientemente.
«Lo chieda a loro!» replicò Calliance furioso, indicando Lily e compagni che dalle scale osservavano divertiti la scena.
«Noi? Eravamo a lezione! Chiedi al professor Lupin» rispose Lily.
«È una bugia! Mente! Lei è i suoi amici ci hanno tirato un tiro mancino!» continuò imperterrito Calliance.
«I ragazzi erano in classe» s’inserì Teddy, apparendo alle spalle dei Malandrini. I quattro assunsero un’espressione degna di un angioletto.
«Mi sa che è stato davvero lo spirito di Godric Grifondoro» borbottò Granbell.
Le risate aumentarono.
«Lo spirito di Grifondoro?» chiese perplesso Neville.
Prima che Calliance potesse fermarlo, Granbell raccontò a mezza Scuola la loro disavventura.
Molti ormai piangevano per il gran ridere, anche gli altri insegnanti presenti non riuscirono a trattenersi.
«Io dico che siamo stati vittima di uno scherzo!».
«Neanche il vostro Fondatore vi vuole» sghignazzò Lucy, puntandoli contro un dito.
Neville non fece in tempo a richiamare la ragazzina, che un’altra voce si levò contro i tre, stavolta dalla folla rosso-oro.
«Perché non raccontate per quale motivo Godric ce l’aveva con voi?».
Calliance fulminò chi aveva parlato con lo sguardo: «Che ne sai, Potter? Fatti gli affaracci tuoi!».
«Sono affari miei. Non si scherza con i Potter-Weasley!».
Applausi e grida si levarono da gran parte della Sala d’Ingresso e gli insegnanti ebbero difficoltà a riportare l’ordine ed iniziarono a spingere i ragazzi verso la Sala Grande.
«Qualunque cosa sia accaduta, Neville, mi raccomando fatti spiegare dai tre anche quali motivazioni li hanno spinti a saltare la mia lezione di questa mattina» disse con la solita vocetta stridula il professor Vitious.
«Ah, allora seguitemi nel mio ufficio così potremmo fare due chiacchiere in privato».

*

«Ciao zio» disse Albus sorridendo.
«Ciao Al, siediti per cortesia».
Il ragazzino prese posto nella sedia di fronte alla scrivania.
«Che succede?» chiese lievemente preoccupato, in fondo era stato convocato dal Direttore della sua Casa.
«Dovresti spiegarmi che cos’è accaduto stamattina a Calliance, Hans e Granbell. Sinceramente trovo molto poco credibile che Godric Grifondoro abbia calcato nuovamente i corridoi della Scuola, seppur in forma di spirito».
«Ehm, sì in effetti sembra assurdo, vero?».
«Molto assurdo. Albus non divagare».
«Perché lo chiedi proprio a me?».
Neville sospirò e raccolse tutta la sua pazienza: cioè quella che gli era rimasta dopo aver litigato con la signora Granbell tutto il pomeriggio. Avrebbe voluto sapere come aveva fatto a sapere così velocemente quanto avvenuto ed accorrere in difesa del suo bambino! Come se il corpo docente di Hogwarts non fosse in grado di risolvere simili stupidaggini! «Albus, credo che tu sappia un bel po’ di cose. Hai chiesto ai ragazzi che cosa hanno fatto per suscitare l’ira di Grifondoro…».
«Era per dire… Scusa avrei dovuto farmi gli affari miei» lo interruppe troppo velocemente il ragazzino, rendendosi conto troppo tardi di aver commesso un passo falso.
«Peccato che poi hai detto che sono ‘affari tuoi’, perché riguardano la tua famiglia. Ricordo male?».
Albus deglutì e si diede mentalmente del cretino, aveva parlato troppo! Ma che gli era saltato in mente!
«Ricordi benissimo» ammise a malincuore.
«Perfetto, allora illuminami».
«Ma scusa Grifondoro non può aver davvero voluto farsi una passeggiata? Dopotutto ha fondato Hogwarts! Dopo tanti secoli deve proprio mancargli!».
Neville sbuffò: «Non è divertente. Sto perdendo la pazienza. Dimmi che cos’è accaduto questa mattina».
Albus prese un respiro e poi rispose: «No».
«Prego?».
«Hai sentito. Ho detto no. Non ti dirò quello che so».
Neville era sorpreso: Albus era sempre collaborativo. «Ti prego, non mi fare arrabbiare» disse stancamente. «Chi è stato?».
Albus strinse le labbra e distolse lo sguardo, facendo sbuffare nuovamente lo zio. «Ero a lezione con te. Non mi sono mosso dalla classe».
La replica di Neville fu troncata sul nascere da una cerva argentata, che irruppe nell’ufficio. Albus sobbalzò, riconoscendo il Patronus ancor prima che parlasse.
«Neville, è il momento. Io e Luna siamo con Hannah al San Mungo» disse la voce di Ginny Potter.
La cerva si dissolse sotto gli occhi dei due. Neville dovette prendere fiato un paio di volte prima di alzarsi e cercare frettolosamente il mantello. Corse fuori, fermandosi solo il tempo di dire ad Albus: «Chiama Teddy, per favore. Dilli di accompagnare Frank ed Alice al San Mungo. Con la Preside parlo io».

*

Quanto tempo avessero trascorso in quel corridoio, così bianco da dar fastidio alla lunga, Frank non sarebbe mai stato in grado di dirlo. Per l’ennesima volta rischiò di addormentarsi, ma fortunatamente aveva la testa appoggiata al fianco della zia Ginny, quindi non cadde nonostante fosse all’in piedi. Alice si era assopita su una sedia di plastica con il capo all’indietro contro la parete. Augusta, giunta con la nonna, era acciambellata tra le braccia di zia Luna.
Non riusciva a comprendere perché ci mettessero tanto ed iniziava ad essere sempre più preoccupato, nonostante tutti gli adulti avessero tentato di tranquillizzarlo, affermando che non vi era nulla di strano: a quanto pareva la sorellina (perché sì alla fine aveva avuto ragione Alice) se la stava prendendo comoda.
Zio Charles, il fratello maggiore della mamma, percorreva a grandi falcate il corridoio, aumentando il nervosismo generale. Il nonno e zia Clarisse, la moglie di zio Charles, sedevano vicini ad Alice in totale silenzio.
Ad un certo punto fu sicuro di essersi addormentato perché un movimento brusco della zia lo fece sobbalzare. Si guardò intorno assonnato e vide il padre avvicinarsi a loro con un sorriso incerto.
Tutti gli si accalcarono intorno, ma Frank si fece largò tra loro.
«Papà» richiamò la sua attenzione prima di tutti gli altri. «Tutto bene?».
Il sorriso di Neville divenne più largo, mentre lo abbracciava. «Sì. Non te l’avevo promesso?» rispose, prima di parare l’assalto di Alice ed Augusta.
«Vogliamo vedere la sorellina» disse subito Alice.
«Tra qualche minuto. Mamma ha bisogno di un attimo di tranquillità».
«Ci sono stati problemi?» domandò zio Charles, con il suo solito tono serioso.
«Qualche piccola complicazione, ma è andato tutto bene alla fine».
Neville fu letteralmente subissato di domande dai presenti, mentre i figli lo tiravano da ogni parte per avere la sua attenzione. Soprattutto Augusta, che non sembrava aver minimamente superato la sua gelosia, anche se Frank aveva pensato che in loro assenza si sarebbe calmata: insomma aveva avuto la mamma tutta per sé!
«Signor Paciock, vostra moglie vi aspetta». Un’ infermiera si era avvicinata e per un attimo scrutò lievemente preoccupata la piccola folla che lo attorniava. «La signora è un po’ stanca, non credo sia il caso che entriate tutti insieme».
«Entro prima io con mio padre» intervenne Charles.
«Col cavolo, zio! Tocca a noi!» lo fulminò Alice.
«Ali, ti prego non ti rivolgerti così a tuo zio» intervenne Neville, «Charles, Albert non ve la prendete; ma i bambini hanno il diritto di conoscere la sorellina per primi».
I tre seguirono il padre lungo il corridoio fino ad una stanzetta, quando entrarono furono accolti dal sorriso stanco della madre. Corsero ad abbracciarla, stando bene attenti a non farle male.
«Ecco la bambina». Tutti si voltarono verso l’infermiera, che portava in braccio quello che assomigliava ad un fagottino rosa.
Neville la prese in braccio con delicatezza e l’avvicinò al resto della famiglia.
«Ma è minuscola!» disse subito Alice, esaminandola con attenzione.
«La volete prendere in braccio?» chiese Hannah. Alice ed Augusta si tirarono subito indietro; mentre Frank si accostò di più al letto e la mamma lo aiutò a prendere la sorellina.
«Guarda, dorme. Anche lei ti trova noioso» commentò acidamente Augusta. Frank non replicò, sapendo che, per quanto potesse essere illogico per lui, la sorella ce l’aveva con la neonata e non con lui.
«Augusta, i bambini appena nati si limitano a mangiare ed a dormire».
«Ed a piangere. Speriamo che non scambi il giorno e la notte come Frank» bofonchiò Neville.
«Allora è come Alice. Anche lei sa solo mangiare e dormire».
«Ehi, che problema hai?» sbottò quest’ultima.
Neville ed Hannah si scambiarono un’occhiata e decisero di non dire nulla.
«Avanti, come chiamiamo la sorellina?» chiese, invece, Neville.
Augusta si imbronciò e non partecipò minimamente alla conversazione.
«Potremmo chiamarla Katie, come la giocatrice della nazionale inglese!» propose Alice entusiasta.
«Vuoi chiamare tua sorella come un’emerita sconosciuta?» storse la bocca Hannah.
«Un’emerita sconosciuta, mamma? Katie Bell ha vinto il mondiale di Quidditch!».
«Perché non la chiamiamo Aurora? È un bel nome» disse Frank, lasciando che la mamma riprendesse la bambina.
«È un bel nome! Che ne dici, Neville?».
«Anche a me piace» concordò.
Prima che i presenti potessero aggiungere altro, nonno Albert e nonna Augusta irruppero nella stanza.
«Non riuscivano più ad attendere» si giustificò Albert Abbott.
«Vi presento Aurora Katie Paciock» disse Neville con un ampio sorriso stampato in volto.

*

«Roxi, ciao».
La ragazzina si voltò verso sua cugina Lucy, che le rivolgeva la parola per la priva volta da mesi.
«Ciao».
Avevano appena concluso l’ultimo esame: trasfigurazione. Gli studenti del secondo anno erano tutti lì e tesero le orecchie, magari sperando in una lite in grande stile.
«Ti va di parlare? Lontane dal pubblico magari?».
«Sì, conosco un luogo perfetto. Vieni con me».
Roxi le prese la mano e la trascinò via, facendo solo un segno a Gretel e Frank. La condusse al settimo piano e si fermò davanti ad una parete bianca. Poi le lasciò la mano e camminò avanti indietro per tre volte.
«Non mi dire che è…?» disse Lucy per poi spalancare la bocca, mentre la forma di una porta si delineava sulla parete.
«È la Stanza delle Necessità. Dopo di te».
«Wow» sussurrò l’altra colpita ed entrò.
Rimase completamente senza parole quando comprese che cosa avesse chiesto la cugina. Si voltò verso di lei con le lacrime agli occhi. «Quindi non ce l’hai con me».
«No. È andata bene in fondo… Sei tu che mi hai evitato negli ultimi tempi, non io».
Roxi e Lucy si abbracciarono.
«Allora ti piace?» chiese Roxi, dopo che si separarono.
Lucy si asciugò gli occhi con la manica della divisa ed annuì, abbozzando un sorriso.
Era la loro stanza alla Tana; od almeno la loro stanza prima che si allontanassero. Era il loro rifugio: avevano attaccato i due letti per stare vicinissime anche di notte e lontane dalle altre cugine.
«Lucy, che mi sono persa in questo anno e mezzo? Più ci penso, più sono sicura che mi sfugge qualcosa. Ed è successo tutto dopo lo scorso Natale, sbaglio?».
Lucy sospirò e si buttò sul letto. Roxi tirò il lenzuolo che usavano a mo’ di tenda, ricreando lo stesso ambiente della loro infanzia; ma loro non erano più le stesse bambine.
«Ero entusiasta di cominciare Hogwarts, ma temevo di non essere all’altezza di Molly. Questo lo sai. Solo che pensavo: ‘Cavoli sono anche io figlia di Percy Weasley. Non avrò problemi! ’. Ed invece fin dalla prima sera tutto è andato storto! Che bellezza! La prima Weasley Serpeverde!».
«Per noi non è cambiato nulla! Ti siamo rimasti vicini, indipendentemente dai colori» la interruppe Roxi.
«Sì, ma cerca di capirmi! Mia madre era Corvonero e mio padre Grifondoro come tutti i Weasley e poi arrivo io e finisco a Serpeverde! La Casa che la nostra famiglia ha sempre odiato! Sai come mi guardava zio Ron a Natale? Come se fossi una mina sul punto di esplodere! La mia perfetta sorella invece è stata smistata a Grifondoro! Ma non è solo questo! Non ero il genio, anzi non sono il genio, che credevo! Avevo sempre bisogno del vostro aiuto e nonostante mi impegnassi c’erano cose che non avevano senso per me!».
«Ma succede! Né io né Frank siamo geni!».
«Sì, Roxi, ma quando siamo rientrati a casa per le vacanze i tuoi genitori e quelli di Frank alla stazione non hanno fatto altro che abbracciarvi ed assicurarsi che stesse bene! Mio padre non mi ha rivolto parola! La sua attenzione era tutta per Molly! Che gli raccontava della sua ultima E! Quando siamo tornati a casa, mi ha detto che era deluso perché non studiavo! Non mi ha minimamente creduto quando gli ho detto che mi ero impegnata un sacco!».
«E così hai deciso di non fare più niente e vendicarti…».
«Esattamente. Almeno ora mi rimprovera a buon diritto… Mi dispiace sul serio, Roxi. Non volevo farti del male… È che vorrei che zio George fosse mio padre. Perdonami».
Roxi la strinse a sé senza dire nulla.
«Sei stata stupida» disse dopo un bel po’ di tempo. «Volevi vendicarti di zio Percy, ma non avresti dovuto allontanarci».
«Mi darete una seconda possibilità?».
«Noi Grifondoro sappiamo essere molto generosi».
«Grazie. Ah, complimenti la storia dello spirito di Grifondoro è stata esilarante. Dei veri geni!».
«Nuovo Trasformavoce, al modico prezzo di dieci galeoni. Gratuito se ti chiami Roxanne Weasley. E comunque è merito dei Malandrini. Sono stati fantastici. Calliance e compagni staranno tranquilli in questi ultimi giorni e l’anno prossimo si vedrà».

*

«Molly! Accidenti, mi vuoi ascoltare?».
Arion scagliò con violenza un sasso nel Lago Nero e si voltò verso la ragazza, beccandola mentre riapriva un altro libro e lo sfogliava senza leggere veramente alcunché. Sbuffò e si sedette sotto il faggio accanto a lei.
«Domani iniziano i M.A.G.O.! Come hai potuto costringermi a venire nel parco?!».
«Ho dovuto! Altri cinque minuti e Madama Pince ti avrebbe linciato ed hai terrorizzato un gruppo di Tassorosso…».
«Stavano disturbando!».
«Ridevano! Fuori dalla Biblioteca! Vuoi perdere la spilla proprio le ultime due settimane? Faresti un favore a Zabini ed a Parker! Non aspettano altro che umiliarti! E poi se permetti sei completamente fusa! Insomma domani avremo la prova di Trasfigurazione e tu» disse prendendo un libro alla volta, mostrandole la copertina, «hai preso tutti i libri, tranne quello di Trasfigurazione».
«Tu non capisci!» sbottò lei alzandosi e tentando di allontanarsi. Arion la trattenne per un braccio e la costrinse a sedersi nuovamente. «Allora, spiegamelo».
«D-devo prendere tutte E! Alla Commemorazione ho parlato con i miei, sono molto delusi. I-io avrei dovuto essere al posto di Parker, non so cosa mi sia preso! La Preside li ha detto del calo del mio profitto! E per colpa tua, continuo a disobbedire ai miei».
«Colpa mia? Scusa tanto se ti ho portato qui per evitare che la Pince ti maledisse!».
«Non è questo! La Campbell ha detto ai miei, che io e te ci frequentiamo».
Arion rimase per un attimo senza parole: lui e Molly avevano iniziato a frequentarsi ad aprile, ed era stata una sorpresa per tutta la Scuola. Tutto sommato Arion era un ragazzo abbastanza richiesto dalla popolazione femminile di Hogwarts ed a molte la sua scelta non aveva fatto piacere. Naturalmente.
«Quella è una stronza! Li ha parlato male di me, vero?».
«Sì, li ha detto che sei un pessimo elemento, che non studi, che non hai alcun futuro, che ti basi solo sul tuo cognome. Ti ha descritto come una specie di teppista».
Arion strinse i pugni per la rabbia e ricominciò a tirare sassi in acqua con ancor maggior violenza di prima.
«Quella mi odia!» disse amaramente, «Lo pensi anche tu? Che non ho futuro?».
«N-no».
«E fai bene!» si voltò verso di lei e la osservò con espressione dura, «Ti dico una cosa adesso, non dimenticarla: tra due mesi mi accompagnerai all’Accademia Auror per la mia iscrizione definitiva!». Poi la sua espressione dura si trasformò in una che Molly non gli aveva mai visto fino a quel momento. Sembrava un miscuglio di tristezza ed insicurezza. Le fece tenerezza. Arion si inginocchiò accanto a lei. «Molly, tu lo sai… io non sono come mi descrive la Campbell. Ok, sono un po’ sbruffone alle volte… anzi no, diciamo pure spesso… ok? Lo riconosco. Ma io non mi baso sul mio cognome e poi al momento i Greengrass sono molto più famosi perché mia zia ha sposato un Malfoy, che perché mio padre è un pezzo forte del Ministero! E comunque studio! Per la cronaca ho preso sette G.U.F.O.! E tutti con voti non inferiori ad O».
«Ti conosco» rispose Molly, baciandolo delicatamente sulle labbra, «È per questo che sono ancora con te, nonostante i miei me l’abbiano vietato. Tutti sanno che la Campbell è perfida ed ha i suoi pupilli, ma lei e mio padre sono molto amici. Credimi se ti dico che lui non si è mai fidato delle parole mie o di mia sorella se non sostenute da chi ritiene affidabile. A meno che, naturalmente, io non dica qualcosa contro i miei cugini ed allora mi appoggerebbe contro ogni evidenza. Litiga spesso con i miei zii per questo motivo».
Si baciarono di nuovo questa volta più a lungo. Arion sorrise e le accarezzò una guancia: «Se ora sei più tranquilla, ripetiamo qualcosa prima di cena. Però si fa come dico io. Ok?».
«Ok».
Arion le porse la mano e l’aiutò ad alzarsi.

*

«Allora che possiamo fare per concludere degnamente l’anno? Uno scherzetto ai Serpeverde?».
«No, grazie Rose. Ci mancherebbe solo questo e poi i miei compagni mi ammazzeranno! Vuoi avermi sulla coscienza?».
«Quanto sei melodrammatico, Scorpius!».
«Intanto sono l’unico che ha accettato di farti compagnia! E poi lo sappiamo tutti e due cosa vuoi fare».
«Lo vuoi anche tu» ribatté Rose.
«E vorrei ben vedere! Ti ricordo che un serpente di pietra ha tentato di strapparmi una mano! Avanti Rose è il venti giugno. Cerchiamo la Sala dei Fondatori! Non ha importanza se non abbiamo le pietre, a questo punto sono curioso! Ed anche tu!».
«Ok, ci sto».
«E poi ho fatto una ricerca in biblioteca. Esistono delle tavole astronomiche in cui viene indicato il giorno in cui cadono i solstizi e gli equinozi. Ed anche l’ora. Alle 21.43 quest’anno inizierà ufficialmente l’estate. Troviamo la Sala e festeggiamo così l’inizio delle vacanze! Guarda ho portato quella cosa babbana che ti piace tanto e le fette biscottate. Sono o no sono il migliore?».
Rose aveva trattenuto a stento uno strillo entusiasta quando l’amico aveva tirato fuori dalla zaino un barattolo enorme di Nutella, ma quando finì di parlare gli buttò le braccia al collo: «Sì, sei il migliore Scorpius! E si chiama Nutella. Ricordatelo. È un alimento vitale!».
«Sì, soprattutto per entrare nelle tue grazie. In effetti è molto potente. Adesso, però, smetti di agitarti. Se Gazza ci becca, accoglieremo l’estate pulendo la Sala Trofei».
Rose fece una finta faccia orripilata: «Non sia mai! Lascia che controllo la mappa. Giuro solennemente di non avere buone intenzioni».
«La pura verità» borbottò Scorpius, beccandosi una gomitata. Nonostante ciò si preparò ad infastidirla ancora. Merlino, quanto si divertiva a farla arrabbiare! L’amica, però, s’imbronciò improvvisamente.
«Siamo circondati?» celiò, «La McGranitt, un paio di Prefetti e Caposcuola, Gazza, la sua gattaccia, Lorentz, un po’ di professori?».
Rose gli porse la pergamena e gli indicò alcuni puntini. Scorpius fece fatica a focalizzare i cartigli con i nomi alla fioca luce della luna, che penetrava da una finestra; ma quando ci riuscì, presentì subito che sarebbe stata meglio la sua ipotesi: Dain Zabini, Augustus Roockwood, Norris Avery, Alphonse Main, Daniel Warrington, Mike Douglas, André Castor, Edward Kinnins ed Abel Calliance. Tutti insieme in un’aula poco distante.
«Sono aumentati» fu l’unico commento che uscì dalla sua bocca.
«Le pietre sono nell’ufficio della Preside. Insomma non possono impossessarsene, no?».
«Se la Preside non si trovasse dentro l’ufficio, secondo te sarebbe difficile entrare?» replicò Scorpius a malincuore.
«No. Certo bisognerebbe indovinare la parola d’ordine. Ci vorrebbe del tempo e e…» si bloccò osservandolo. La paura balenò sul suo volto. «I Caposcuola conoscono la parola d’ordine».
«E Zabini e Calliance sono Caposcuola» disse piatto il Serpeverde.
«Dobbiamo capire che intenzioni hanno».
Scorpius annuì e verificò che fossero ben coperti dal Mantello prima di procedere. Il suo sesto senso lo avvertì immediatamente che avrebbero accolto l’estate in bel altro modo. Il barattolo di Nutella, sembrò pesare molto più di un Kg nel suo zaino.
Si fermarono poco distanti dalla porta dell’aula in cui gli altri ragazzi erano riuniti. Rose tirò fuori dalla tasca le Orecchie Oblunghe. Non andava mai in giro senza, soprattutto dopo che la sua adoratissima mamma ne aveva trovato un paio nella sua cameretta e molto gentilmente le aveva cestinate. Fortunatamente lo zio George si preoccupava che fossero sempre ben forniti. Ne passò un capo a Scorpius. Subito le voci dei ragazzi giunsero chiare e nitide:
«Adesso hai paura, Calliance?» tuonò una voce dura, che i due riconobbero subito come quella di Main.
«È una pazzia! E poi non state rispettando gli accordi!» si lamentò Abel Calliance.
«No? Vi avevamo detto che i Purosangue avrebbero preso il potere e voi sareste stati graziati in cambio della vostra collaborazione! Non vi conviene tirarvi indietro adesso. Nessun Babbano o Nato Babbano si salverà quando la Signora prenderà il potere! Vi grazierà solo perché avete scelto in tempo la parte giusta!» continuò Main.
«Nemmeno a me piace questa storia! Stavolta ci espelleranno! La Preside è stata chiara: un’altra infrazione grave e siamo fuori» piagnucolò Warrington. «Mio padre mi ammazzerà!».
«Maledetto idiota! Non capisci? Questa notte tutti gli Auror moriranno, il mondo magico cadrà nel caos e si scatenerà il panico! La gente si dimenticherà anche di sapersi difendere senza i suoi grandi difensori. La Signora prenderà il Ministero e poi Hogwarts! Lord Voldermort sarà vendicato e noi saremo trattati con tutti gli onori» sibilò sempre Main.
«Siete arrivati fin qui e non potete tirarvi indietro!» disse Zabini.
«Parli bene tu, che devi fare la parte dello zelante Caposcuola!» replicò Warrington.
«Guarda che rischio anche io!».
«Oh, poverino! Se la Preside dovesse accorgersi che la stai prendendo in giro potrebbe punirti! Ah, no aspetta non è possibile. Tu sei la Serpe più viscida che io abbia mai conosciuto: in un modo o nell’altro sei riuscito sempre a far ricadere le tue colpe su altri. E così prima ti sei beccato la spilla da Prefetto e poi quella di Caposcuola!» sputò con rabbia Warrington, con tanta forza da far capire a chiunque che quelle parole se le teneva dentro da anni, ma non aveva mai avuto abbastanza coraggio da attaccare il compagno.
«Dici bene, Warrington. E ti ricordo che io sono quello che mette i soldi. E perché sia ben chiaro a tutti, tu non sei abbastanza Purosangue da comprendere certe dinamiche, rischio di essere diseredato. Mio padre è un pezzo grosso del Wizengamot, sarebbe capace di eliminare qualunque cosa o persona che possa macchiare la sua reputazione».
«Ora basta discutere» intervenne Main, che evidentemente era il capo, «dobbiamo procedere. Sono già le ventuno. Ripetiamo il piano. Sono stato già abbastanza benevolo ad ascoltare le vostre lamentele. È scontato che nessuno si tirerà indietro. Non vivo comunque».
Ogni lamentela si spense immediatamente, a quanto pareva nessuno pensava che stesse scherzando. Rose guardò Scorpius spaventata.
«C-convincerò alcuni ragazzini del primo anno a fare chiasso dalle parti del dormitorio di Serpeverde» disse Calliance.
«A quel punto andrò a chiamare indignatissimo la Preside e la condurrò nei sotterranei. Siate rapidi mi raccomando. Quella donna terrorizza con lo sguardo: i ragazzini del primo anno non le terranno testa» continuò Zabini.
«Noi recupereremo le pietre e ci vedremo nei sotterranei di fronte all’ingresso della Sala dei Fondatori alle 3.50. Mi raccomando siate puntuali. Dev’essere tutto pronto per quando farà giorno. L’unico esentato è Zabini perché deve mantenere la sua posizione di Caposcuola» concluse Main.
«Anche io sono un Caposcuola!» si lamentò Calliance.
«Sì, ma di te non mi fido e poi lui è uno dei maggiori finanziatori del nostro progetto. È giusto che abbia dei privilegi e poi tu sei un Sanguesporco, dovresti prostrarti ai miei piedi solo perché ti do questa possibilità!» replicò Main duro.
«I-io non ho capito bene come uccideremo gli Auror» pigolò Warrington.
Una serie di insulti ed imprecazioni si levò dai suoi compagni.
«Sei più tardo di quanto pensassi» sospirò Main. «Alle 4.22 farà alba ed io diventerò potentissimo grazie ai poteri dei Fondatori e potrò far saltare il Tower Bridge su cui in questo momento Harry Potter sta portando tutta la sua squadra. Il grande Salvatore del Mondo Magico non lo sa, ma li sta guidando a morte certa. Ha avuto una soffiata, ma è solo una trappola. Che gran brutta fine. Eh, sì signori, Londra si sveglierà con i fuochi d’artificio!».
«È impossibile fare una cosa del genere e poi a tale distanza!» ribatté Warrington.
«Sei solo un ignorante» tuonò Main, «Si tratta di magia antichissima! Nulla che tu possa comprendere! Me l’ha spiegato la Signora in persona! Ed adesso andiamo, forza».
Scorpius tirò in un’altra aula Rose appena in tempo. Non seppe per quanto rimasero lì in silenzio. Sentiva distintamente ogni battito del cuore di Rose, il cui volto era rigato di lacrime.
«Rosie! Rosie!». Ad un certo punto ritenne di doverla scuotere, perché sembrava che non ci riuscisse da sola.
«Scorpius tu non capisci. Mio padre… mio padre andrà senz’altro con zio Harry… Non rimarrà mai indietro. È sempre stato al suo fianco!».
«Appunto, Rose. Dobbiamo fermarli! Andiamo a chiamare Dorcas e Jonathan. Siamo noi i Custodi delle Pietre! Li impediremo di usarle a qualunque costo!».
«Sì, sì hai ragione. Andiamo. Ma dobbiamo chiamare anche Al».
«No, Al lasciamolo in pace».
«No, deve saperlo. Si tratta di suo padre».
«Va bene, tu va’ da lui. Io cerco gli altri e li racconto tutto. Dobbiamo ancora scoprire dov’è la Sala dei Fondatori e sarà meglio arrivare lì prima delle 3.50 in modo da tenerli d’occhio. Sono già le 21.45. Ci vediamo in Sala d’Ingresso al più presto».
«Aspetta, Scorpius. Prendi il Mantello, voi siete di più. Io terrò la mappa».
Rose corse a perdifiato fino alla Torre di Grifondoro, rischiando di essere beccata dai Prefetti di ronda un sacco di volte.
«Perseveranza» quasi urlò alla Signora Grassa e quella la lasciò passare brontolando sulla sua maleducazione. «Albus!».
Il cugino si voltò immediatamente ed incrociò il suo sguardo. Interruppe immediatamente la partita a sparaschiocco e la raggiunse.
«Che è successo? Hai una faccia!».
Rose lo prese per il braccio e lo trascinò nella sua stanza. Fortunatamente non vi era nessuno. Gli raccontò per filo e per segno ciò che avevano sentito con Scorpius. «Muoviamoci, dobbiamo trovare la Sala dei Fondatori». Scattò verso la porta, mentre ancora finiva di parlare. Sorpresa si rese conto che Albus non la stava seguendo.
«Beh, che c’è? Non abbiamo molto tempo!».
«Noi non faremo un bel niente! Ed adesso andiamo dalla Preside e le raccontiamo ogni cosa. Se ne occuperà lei. Avvertirà papà e non cadranno nella trappola».
«Sei scemo? Noi siamo i Custodi delle Pietre!».
«Non siamo un bel niente, Rose! Non ti è bastato rischiare di essere mangiata da un’allegra famigliola di ragni giganti?».
«Odio quando fai lo spiritoso».
«Rose, ascoltami bene! Noi abbiamo a malapena quattordici anni. Non tocca a noi risolvere questi problemi!».
«Ti sei fatto fare il lavaggio del cervello da zio Harry!» disse sconvolta Rose.
«Ho promesso a papà che non avrei più fatto stupidaggini come quella di andare nella Foresta Proibita».
«Hai fatto una promessa anche a me».
«Me lo ricordo. Appunto per questo ascoltami. Parlo per il bene di entrambi».
Rose si allontanò da lui scuotendo la testa. «Quando metteremo fine a questa storia, zio Harry mi sentirà!».
Albus la inseguì per le scale e tentò di fermarla, così Rose si voltò e lo affrontò.
«Perdonami Al sul serio, anche io ti voglio bene. Petrificus Totalus».
Il cugino cadde a terra in un tonfo, Rose lo spinse in un cantuccio e lo coprì con il suo mantello, ignorando i suoi verdi occhi che sembravano accusarla di essere la peggiore cugina del mondo. Quando si incontrarono tutti in Sala d’Ingresso erano già le dieci e mezza passate: Scorpius aveva avuto parecchie difficoltà a rintracciare gli altri due. Con grande imbarazzo ammise che aveva impiegato più di un quarto d’ora a risolvere l’indovinello del batacchio a forma di corvo, che proteggeva l’ingresso della Torre di Corvonero. Fortunatamente Dorcas aveva capito che stava succedendo qualcosa nel momento in cui aveva visto Calliance convincere i ragazzini del primo anno a fargli un favore. Così era uscita per cercarli e si era imbattuta in Scorpius e Jonathan.
Vagarono per i sotterranei per un bel pezzo prima di trovare la porta.
«Io sono sicuro che c’eravamo già passati! Non può essere apparsa dal nulla!» si lamentò Jonathan.
«L’importante è che l’abbiamo trovata» replicò Rose.
«Sono le dodici meno venti».
«Cerchiamo di capire come si entra lì dentro. Non vedo maniglie. Temo che l’alohomora non funzionerà» disse Rose.
Scorpius provò tanto per non lasciare nulla di intentato, ma come Rose aveva previsto non servì a nulla.
«Lasciate stare gli incantesimi. È molto semplice. Vedete wynja?» disse Jonathan.
«Chi?».
«Rosie, sul serio sei sicura di aver superato l’esame di Antiche Rune?».
«Non rompere le pluffe e rispondi».
«È la runa che rappresenta la realizzazione di un desiderio o di un progetto. Inoltre è in grado di armonizzare e riportare la pace su punti di vista completamente opposti».
«La runa perfetta per i Fondatori quindi» concluse Dorcas.
«Se lo dite voi» borbottò Rose.
«Ora non ci rimane che aspettare» disse Scorpius. «Mettiamoci qui, sotto il Mantello. Non potranno vederci».
«Che ore sono?» chiese Rose, dopo che si furono coperti ben bene.
«Le dodici meno dieci» rispose Dorcas.
«Perfetto, dovremo aspettare solo per circa tre ore» concluse Jonathan.

*

Frank percepì una sensazione di freddo intenso. Si rigirò nelle lenzuola, temendo, che a dispetto di quanto si erano aspettati, Calliance e gli altri fossero già tornati all’attacco. Un freddo del genere non era normale in pieno giugno. Si mise a sedere ed a tentoni prese la bacchetta sul comodino.
«Lumos» sussurrò e lanciò uno strillo quando vide chi galleggiava a pochi centimetri dal suo viso.

Angolo autrice:

Ciao a tutti :-D
Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento :-D Ormai siamo quasi alla fine. Nella prima parte la storia si svolge all’inizio di giugno fino al fatidico solstizio d’estate, cui naturalmente ho dedicato molto più spazio.
Che ne pensate del nome Aurora? A me sembra molto bello J
Fatemi sapere che cosa ne pensate ;-)
Spero di pubblicare presto il capitolo successivo. Vi auguro una buona serata :-D
 

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Capitolo 29
*** L'erede dei Fondatori ***


Capitolo ventinovesimo.

L’erede dei Fondatori

«Insomma Paciock! Così sveglierai tutti!».
Frank boccheggiò, mentre i battiti del suo cuore tornavano lentamente regolari. I suoi compagni avevano il sonno pesante e non l’avevano sentito. «Mi scusi, sir Nicolas; ma mi ha spaventato».
«Dovresti dirlo ai Cacciatori Senzatesta, loro non credono che io sia così spaventoso. Bah sono solo degli arroganti» borbottò il fantasma.
Frank si accigliò e gettò un’occhiata alla sua sveglia: segnava la 4.03 del mattino. Non voleva certo essere scortese con sir Nicolas, ma sperava ardentemente che non fosse andato a svegliarlo solo per lamentarsi della sua sorte o peggio ancora per provare con lui quanto potesse essere spaventoso.
«Ehm sir Nicolas, posso esserle utile?» domandò allora interrompendo il suo borbottio continuo.
«Oh, per Merlino! Sei ancora a letto, Paciock!?».
«Beh di solito mi alzo alle otto ed è quasi sempre sufficiente per arrivare in orario a lezione» replicò, nonostante quella conversazione stesse diventando sempre più illogica a suo parere.
Il fantasma scosse violentemente la testa, gesto che Frank non seppe dire se più inquietante o rivoltante: il lavoro maldestro del boia che aveva decapitato sir Nicolas, risultava fin troppo evidente.
«Muoviti! È tardissimo. Dobbiamo andare. Esci da qui».
Frank intontito lo seguì meccanicamente fuori dalla camera. Scese quasi di corsa le scale per star dietro al fantasma, ma inciampò in qualcosa di duro. Per fortuna mise in tempo le mani in avanti ed evitò di sbattere la faccia sui gradini più bassi. Raddrizzandosi, esaminò il mantello su cui era inciampato.
«Al!» disse inorridito e si sbrigò a recitare il contro incantesimo. Albus si rimise in piedi a fatica: era rimasto bloccato nella stessa posizione per ore ed ora si sentiva tutto dolorante.
«Insomma Paciock, corri! O succederà una tragedia!» lo esortò sir Nicolas, che era tornato indietro per vedere che fine avesse fatto. «Sta per fare alba e gli Auror moriranno!».
Albus barcollò come se l’avessero appena colpito allo stomaco con un pugno. Per un attimo pensò che avrebbe vomitato.
«Paciock, tu sei l’Erede dei Fondatori! Solo tu puoi usare il loro potere! Solo tu puoi salvare gli Auror!» continuò il fantasma.
«Sono le 4.10» gemette Albus. «Ti prego, Frank seguì sir Nicolas. Ti prego». Era sul punto di piangere. Se fosse successo qualcosa a suo padre ed a suo zio non se lo sarebbe mai perdonato. Tutta quella storia era iniziata per gioco.
Frank davanti alle lacrime, che l’amico non era riuscito a trattenere, si riscosse e corse dietro al fantasma di Grifondoro, anche se ancora non aveva capito nulla di ciò che stava accadendo.

*

«Eccoli» bisbigliò Jonathan.
«Se la sono presa comoda» bofonchiò assonnato Scorpius.
«Zitti! Volete farvi sentire?» sibilò Rose minacciosa.
Per un attimo Main si era voltato proprio verso di loro. I ragazzi trattennero il respiro finché il gruppetto non li diede le spalle e si concentrò sulla porta.
«Douglas, il Corvonero qui sei tu. Illuminaci» bofonchiò contrariato Main.
Il gruppetto si era ridotto: Zabini, Calliance, Roockwood ed Avery non erano presenti. Rose si guardò alle spalle: sarebbe stato un grave errore farsi prendere di sorpresa. Il corridoio, però, era deserto.
«Fatto. Bisognava premere solo una stupida runa» disse tronfio Douglas.
Rose gettò un incantesimo silenziatore sulla porta, in modo che non cigolasse quando l’avrebbero aperta loro.
«Ma quello s’impara al quinto anno» sussurrò ammirato Jonathan.
«Io imparo tutto quello che mi può tornare utile» replicò lei.
Attesero qualche secondo ed entrarono.
L’ingresso della Sala dava su un corridoio completamente buio. Procedettero senza accendere le bacchette, per non segnalare la loro presenza, servendosi solo della luce fioca che proveniva dal gruppo più avanti.
Rose sobbalzò quando Scorpius le toccò la spalla e le indicò gli affreschi che decoravano le pareti. Per un attimo si bloccarono, colpiti dalla loro bellezza e da come si fossero conservati per tutto quel tempo.
«Questo rappresenta i Fondatori… stanno stringendo una specie cdi accordo…» mormorò Jonathan.
«Probabilmente è il momento in cui decisero di creare Hogwarts» disse Dorcas, affascinata come gli altri.
Man mano che andavano avanti gli affreschi mostrarono loro l’insediamento dei Fondatori nel castello; i primi studenti; i Fondatori in compagnia dai loro pupilli; Godric che insieme agli altri tre incantava il Cappello Parlante.
«Raccontano la storia della Scuola…» comprese Scorpius.
«Sì, ma solo gli anni della Concordia. Prima che Salazar Serpeverde abbondonasse il castello» intuì Jonathan.
«Temo che da allora non abbiano più usato questo posto» disse disgustata Rose, indicando una vasta ragnatela che riempiva la sommità di un affresco, e il suoi inizio e la sua fine si perdevano nel buio.
Dorcas si scostò spaventata: dopo le acromantule non poteva vedere più un ragno.
«Andiamo, siamo rimasti indietro» li esortò Rose.
Prima di entrare nella Sala dei Fondatori si assicurarono di essere ben coperti dal Mantello. Bastarono pochi secondi, però, a far loro comprendere che avevano commesso il peggiore degli errori: sottovalutare il proprio avversario.
La Sala era buia.
«Benvenuti» disse la voce di Main, e poi accese la sua bacchetta. Era a pochi centimetri da loro. Prima che potessero reagire, furono disarmati. La porta fu chiusa con uno schianto da Douglas. Erano in trappola.
«Warrington accendi le lampade» ordinò Main, dopo che, con un gesto pigro della bacchetta, aveva legato i quattro amici con delle corde invisibili. «È quasi ora. Sono le quattro ed un quarto. Ti devo ringraziare Rose Weasley. Senza di te non saremmo mai arrivati qui questa sera». Avvicinò il suo viso a quello della ragazzina e sussurrò con tono dolce: «Unisciti a noi. Dopotutto porti il cognome di una delle famiglie Purosangue d’Inghilterra. La Signora ti accoglierà a braccia aperte. Tu hai collaborato alla sua ascesa. Hai collaborato alla distruzione del corpo Auror del Regno Unito. I rinforzi stranieri non arriveranno mai abbastanza in tempo. Unisciti a noi, Rose Weasley».
«MAI» urlò sconvolta la ragazzina.
Warrington accese la prima lampada. «Datemi una mano, sono secoli che nessuno le utilizza» si lamentò.
«Hai avuto la tua chance. Crucio».
Rose urlò, come mai aveva fatto in vita sua. Cadde a terra ed il suo corpo sobbalzava come se fosse percorso da scariche elettriche. Le sembrò che il dolore non dovesse mai smettere, ma alla fine tutto cessò e si ritrovò a singhiozzare sul pavimento freddo e polveroso della Sala, improvvisamente illuminata. La luce la costrinse a chiudere gli occhi, ma tanto non avrebbe più combattuto, che senso avrebbe avuto? Era finita. Il dolore ricominciò ed il suo mondo si ridusse solo a quello.
«Main, smettila di giocare. Sono le quattro e venti. Ci siamo quasi».
Scorpius e gli altri avevano assistito impotenti alla tortura dell’amica. In un altro momento avrebbero amato quella Sala per la sua bellezza. Era un tripudio di pietre preziose: rubini, smeraldi, zaffiri e topazi.
La Sala era quadrangolare e suo ogni parete troneggiava il ritratto a grandezza naturale dei Fondatori. Erano decisamente inquietanti alla luce fioca delle lampade poste ai quattro angoli della stanza. Di fronte a loro Priscilla Corvonero, li scrutava come a rimproverarli della loro dissennatezza: avevano condannato il loro mondo solo per giocare a fare i grandi. Scorpius si appoggiò alla parete dietro di lui, su cui sicuramente c’era Godric Grifondoro.
Alla loro sinistra Salazar Serpeverde li osservava quasi con disgusto. A destra, invece, Tosca Tassorosso aveva un’espressione di triste dolcezza.
Curioso era l’arazzo che circondava il ritratto di Serpeverde; ma Scorpius non ebbe bisogno di esaminarlo per essere sicuro che si trattasse dell’albero genealogico di tutte le famiglie Purosangue, probabilmente era incantato in modo che nel corso dei secoli potesse seguire l’evoluzione di ogni famiglia. Se avesse cercato, avrebbe trovato anche il suo nome.
Un enorme cassettone di legno scuro, era posizionato sotto il ritratto di Tassorosso; mentre un’immensa libreria occupava la parete di fronte, tutto intorno a quello di Corvonero.
Main intanto aveva inserito le pietre negli occhi destri dei ritratti con l’aiutò della magia e poi spostato il massiccio tavolo di legno che occupava il centro della stanza.
Scorpius, disperato, lesse l’ora sull’orologio da polso di Dorcas: quattro e ventuno. Tentò di prendere tempo.
«Come avete fatto a scoprirci?» chiese.
«Calliance ha detto che Fenwick non era in Sala Comune e Zabini ha costatato di persona la tua assenza. Sappiamo fare due più due, Malfoy» rispose Douglas e puntò la bacchetta contro di lui, «Crucio. Ho sempre desiderato farlo. Essere il Purosangue di serie B, solo perché discendente per via femminile, sai quanto può dare fastidio? Ah giusto, no non lo puoi sapere perché tu sei l’unico erede della grande famiglia Malfoy! Traditori schifosi».
All’improvviso gli occhi dei Fondatori emisero dei fasci di luce colorata: rossa, verde, blu e gialla. Main si posizionò al centro dove le luci sempre più forti si incrociarono e lo colpirono in pieno petto.
«NO» urlò Douglas, «Sarò io a prendere i poteri dei Fondatori!». Così dicendo schiantò Main e si mise al suo posto. Gli altri erano tutti terrorizzati.
Erano le 4.22 del ventuno giugno. Nonostante fossero nei sotterranei in quella stanza stava magicamente albeggiando.
Rose si riscosse e si accorse che l’incantesimo che li legava si era sciolto. Dolorante si rimise in piedi ed urlò: «SEI UN VERMICOLO DOUGLAS! NON SEI DEGNO!». Per la disperazione si gettò in avanti e lo spinse via. Se fosse stata un po’ più lucida od attenta si sarebbe accorta che il ragazzo era caduto privo di sensi e di certo non era colpa della sua spallata.
La ragazzina comprese immediatamente che qualcosa non stava procedendo per il verso giusto. Percepiva un potere enorme, il potere dei Fondatori; ma non lo stava acquisendo. Le forze le stavano venendo meno, sentì le gambe tremare. I Poteri la stavano schiacciando: sentiva un peso enorme sul cuore, che sembrava sul punto di esplodere. Le gambe stavano per cedere e stava per lasciarsi andare, quando qualcuno la spinse via. Cadde a terra, incapace di tenersi in piedi. Sentì gli amici urlare ed alzò gli occhi: Frank era circondato dal fascio di luci.
La stanza si riempì di fantasmi.
Inspirò a pieni polmoni l’aria polverosa della Sala ed accolse con un sorriso Albus, che poco dopo irruppe nella stanza seguito dalla Preside, da zio Neville, Lorentz, Robards e Mcmillan. Tutti, però, si pietrificarono alla vista di quanto stava accadendo.
Neville, spaventato, fece per avvicinarsi al figlio, ma la Dama Grigia glielo impedì. «No» disse con voce profonda.
«Avanti, Grifondoro. Il sole sta sorgendo. Fa quello che devi fare o sarà troppo tardi» disse il Frate Grasso incitando Frank.
Il ragazzino era visibilmente terrorizzato, ma in quel momento apparve Smile, la fenice di Albus. L’algida creatura volteggiò su di lui emettendo una melodia dolcissima, che ebbe l’effetto di incoraggiarlo. Strinse più forte la bacchetta e focalizzò il Tower Bridge nella sua mente. C’era stato molte volte con la sua famiglia. Non era difficile. Si immaginò gli Auror in attesa di qualcosa, che avrebbe potuto rivelarsi la loro fine. Sir Nicolas gli aveva raccontato ogni cosa a grandi linee, mentre correvano nei sotterranei. Sinceramente era sicuro che mai più sarebbe riuscito a scendere sette piani in poco più di cinque minuti. Percepiva un dolore lancinante al petto, come ogni qual volta che si compie un sforzo intenso ed improvviso.
Successivamente non avrebbe mai saputo dire se avesse davvero pronunciato l’incantesimo, ma solo illudersi che ne aveva usato uno Non Verbale senza esserne capace per lui era impensabile, e nemmeno per quale motivo avesse scelto proprio quell’incantesimo. Comunque fu l’unico ed il più adatto che gli balenò in mente, ed assurdamente comprese che era quello giusto.
«Protego».
La luce raggiunse il suo acme e la stanza si illuminò a giorno.
Frank sentì un brivido percorrergli la schiena e come se qualcosa gli avesse succhiato ogni energia cadde in ginocchio, ma solo quando la luce illuminò omogeneamente tutta la Sala abbassò la bacchetta. Sentì solo delle urla, mentre perdeva i sensi.
Neville, atterrito, corse da lui, ma la Dama Grigia lo tranquillizzò: «Sta solo dormendo. È sfinito. Ha esaurito il Potere delle Pietre, ma l’uso di un grande Potere richiede una grande forza. Le Pietre ora sono soltanto pietre, ma molte vite sono state salvate».
I fantasmi e Lorentz circondarono la Preside per parlarle; mentre Neville prese in braccio il figlio, completamente pallido in volto. Ernie invece si assicurò delle condizioni degli altri ragazzini. Robards non si mosse ed osservò la scena agghiacciato: era evidente che non si sarebbe aspettato che i suoi pupilli potessero arrivare a tanto.
I fantasmi si dileguarono e la Preside ascoltò quanto Mcmillan le riferì all’orecchio prima di rivolgersi a tutti i presenti: «Alla luce di quanto Madama Corvonero mi ha riferito e di quanto ho visto con i miei stessi occhi, ritengo che Frank si meriti centocinquanta punti ed un Encomio Speciale per i Servigi resi alla Scuola. Quanto a voi, Malfoy, Weasley, Fenwick e Goldstain spero che vi rendiate conto del grave pericolo che avete corso! Conferisco cinquanta punti ciascuno per il coraggio che avete dimostrato e ringraziate la vostra buona stella se non vi espello per la vostra infinita stupidità. Professor Mcmillan accompagni i ragazzi in infermeria per cortesia. Gli altri mi seguano in Presidenza. Professor Robards convochi i loro genitori e Neville» la sua voce si addolcì lievemente, «dopo che avrai portato in infermieria tuo figlio, avverti il Ministero». La donna fece un attimo di pausa ed i ragazzi percepirono il grande potere che emanava e se ne sentirono intimoriti come mai. «La tolleranza è finita» decretò aspramente.

*

Harry incredulo si rese conto che il fuoco non sfiorava né lui né i suoi uomini. Fortunatamente non aveva dato ascolto alla soffiata e non aveva portato tutta la squadra con sé. Vi era una retroguardia pronta ad intervenire ed un gruppo era rimasto al Quartiere Generale. C’era qualcosa che non gli tornava nel messaggio che aveva ricevuto. Esso diceva che avrebbero fatto saltare in aria il Tower Bridge. Kingsley aveva avvertito le autorità babbane ed il posto era stato isolato e circondato dalle loro forze. Inoltre il fantomatico informatore raccontava che quello sarebbe stato lo scontro definitivo ed i Neomangiamorte avrebbero messo i campo ogni loro risorsa. Per loro sfortuna non era così ingenuo o forse era troppo sentimentale, come l’avrebbe accusato gente come la Sketeer, e mai avrebbe portato i suoi uomini più giovani ed inesperti ad affrontare una possibile carneficina. Vero anche che non avevano avuto scelta: se non si fossero presentati, avrebbero compiuto una strage di Babbani. Non c’è che direi, erano sempre molto originali. Nel momento in cui aveva fatto giorno, però, era scoppiato davvero un inferno. Se ne fosse uscito vivo, avrebbe dovuto assolutamente capire come quelli uomini erano riusciti ad imbottire letteralmente la struttura del ponte di bombe esplodenti senza che nessuno se ne accorgesse.
A torto comunque i Neomangiamorte, o chi li comandava, li avevano sottovalutati. Tra i suoi uomini erano stati mescolati quelli di Terry Steeval e soprattutto i Tiratori Scelti; inoltre vi erano anche degli esperti Spezzaincantesimi che stavano già provvedendo a rendere innocue le bombe. Ricompattò immediatamente la squadra, che al momento delle esplosioni si era frammentata.
Harry non riusciva a spiegarsi che cosa avesse fatto saltare il loro piano, purtroppo per quanto avessero previsto la trappola il loro dispiegamento di mezzi e forze si era dimostrato realmente prorompente, proprio come promesso. Sembrava che qualcosa di potente si fosse intromesso: ed era stata una fortuna, in caso contrario l’esperienza degli uomini che aveva portato con sé non sarebbe stata sufficiente. Le fiamme si spensero rapidamente ed il gruppo dei Neomangiamorte, si presentò chiaramente ai loro occhi sotto il sole ormai sorto. Erano molto meno numerosi di quanto avessero temuto. Prese velocemente in mano la situazione e si fece avanti.
«Siete circondati. Abbassate le bacchette».
Erano totalmente smarriti e questo sembrò strano ad Harry: neanche loro si aspettavano che la loro trappola avrebbe fatto così tanto cilecca?
«Potter, i miei uomini sono pronti a combattere». Uno dei Neomangiamorte fece un passo avanti. La maschera argentata gli copriva il volto, ma l’uroboro luccicava sul suo petto. Era lui che comandava, infatti gli altri Neomangiamorte gli si strinsero dietro in posizione d’attacco.
Harry fu il primo attaccare, non aveva senso aspettare. La retroguardia era guidata da Gabriel e presto avrebbe circondato i Neomangiamorte, ma perché la strategia funzionasse loro dovevano essere distratti.
Bastarono pochi colpi, per fargli comprendere che aveva di fronte un abile mago. Era un osso duro. Si concentrò solo sull’avversario e chiuse la mente al resto. Non doveva sfuggirgli. In più l’istinto gli diceva che era lo stesso che durante le vacanze di Natale aveva cruciato James.
Tentò di schiantarlo, ma quello evitò il colpo agilmente. Rise. Con un moto di rabbia Harry comprese che stava ridendo di lui.
«Potter, ancora usi gli schiantesimi?».
«Chi sei?» tuonò Harry evocando un incantesimo scudo.
«Non mi riconosci?». Il suo avversario si tolse la maschera ed il Capo Auror rimase sbigottito.
«Rabastan Lestrange? Dovresti essere ad Azkaban!».
«Esattamente. Mentirei se ti dicessi che mi ha fatto piacere rincontrarti. Però i tuoi figli ti assomigliano tanto, spero di rivederli presto».
«Sectumsempra».
«No, Potter. Sono molto più forte di quanto credi. Eh, non sono mai tornato ad Azkaban e non lo farò certo oggi».
«Signore, siamo circondati» urlò uno dei Neomangiamorte, che fu prontamente schiantato da uno degli uomini di Harry.
«Il ponte è nelle nostre mani» Ron affiancò il suo migliore amico e sgranò gli occhi riconoscendo l’uomo con cui aveva duellato.
«Arrenditi, Lestrange. I miei uomini hanno già imposto la fattura anti-smaterializzazione a tutta questa zona!».
Rabastan scosse la testa e ghignò: «Io ho copiato il trucchetto di Barty Crounch Junior, ma tra i tuoi uomini c’è qualcuno che dovrebbe stare ad Azkaban quanto me, reo di Alto Tradimento. Ci rivedremo presto».
«NO! FRAGLAMUS». L’incantesimo di Harry colpì l’asfalto dove poco prima si trovava Rabastan, creando una voragine; ma egli si era già smaterializzato.
 «Harry!» Gabriel l’aveva raggiunto ed era in attesa di ordini.
«Voglio tutta la squadra al Quartier Generale, immediatamente» ordinò.
Gabriel annuì e poi fece rapporto: «Siamo riusciti ad arrestarne un buon numero, prima che si smaterializzassero. Due dei nostri sono stati feriti. Un Neomangiamorte è morto. Ho dato ordine di eliminare il veleno nascosto nelle tuniche».
«Portateli nelle carceri del Ministero. Dovremo interrogarli. Gabriel appena rientriamo voglio trovare nel mio ufficio chi era incaricato di porre gli incantesimi anti-smaterializzazione. Qualcuno ha tradito».
«Signore! È arrivato un patronus dell’allievo Conners. È stata richiesta una squadra di Auror ad Hogwarts».
«Ad Hogwarts?» si accertò Harry spaventato e stanco.
«Che diavolo è successo, Danielson?» sbottò Ron.
«A quanto pare la Preside di Hogwarts ormai chiama gli Auror senza dare spiegazioni. Come se noi fossimo i suoi cagnolini…».
Harry lo fulminò con lo sguardo: «Danielson, tieni i tuoi commenti per te se non vuoi beccarti un provvedimento disciplinare» lo minacciò aspramente. «Dì a Conners di prendere quattro compagni e di andare. Il vice capo Weasley lo raggiungerà a momenti» ordinò. «Ron va ad Hogwarts».

Angolo autrice:

Ciao a tutti! Ecco il penultimo capitolo! Ed ecco svelato il nome dell’Erede dei Fondatori! Nell’ultimo capitolo si capirà perché proprio Frank.
Spero che questo capitolo sia di vostro capitolo. Alla prossima e buona serata :-D 

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Capitolo 30
*** Finalmente le vacanze estive ***


Capitolo trentesimo.

Finalmente le vacanze estive

Frank si risvegliò in infermeria. La stanza era illuminata fiocamente, come se fosse pomeriggio inoltrato. Si stropicciò gli occhi e nel farlo incrociò quelli del padre, seduto accanto al suo letto. Sorrise e lui ricambiò. A poco a poco le immagini del sotterraneo gli vennero in mente e tentò di mettersi seduto.
«Sta giù, sei ancora debole» lo bloccò suo padre, «Mi hai fatto preoccupare». Si chinò e lo strinse forte a sé e Frank si sentì più tranquillo.
«Per quanto ho dormito? Tutto il giorno?» domandò.
«Due giorni interi» lo corresse Neville, «È domenica sera».
«Gli altri?».
«Stanno tutti bene» rispose Neville, incupendosi lievemente, «Madama Chips ha dimesso Rose questa mattina e gli altri già ieri sera sono tornati nelle rispettive Sale Comuni».
«Mi dispiace di averti fatto preoccupare» borbottò dopo un po’ Frank, che avrebbe scommesso qualunque cosa che il padre aveva trascorso ogni momento libero lì con lui.
Neville gli scompigliò i capelli e lo baciò sulla fronte: «Siamo tutti molto fieri di te».

*

Frank impiegò diversi giorni per rimettersi completamente in forze, ma gli amici non lo lasciarono mai solo.
«Ciao, Frank».
Alzò gli occhi, anche se aveva riconosciuto subito la voce. Sorrise e ricambiò l’abbracciò di zia Ginny e di zio Harry.
«Mi hanno raccontato un po’ di cose» continuò quest’ultimo, anche se era un eufemismo per dire che gli avevano fatto un rapporto preciso e dettagliato. «Grazie, a nome di tutto il corpo Auror».
Frank arrossì violentemente per l’imbarazzo e tentò di schermirsi, senza sapere realmente che cosa dire. Fortunatamente Albus e gli altri entrarono in quel momento, evitandogli la fatica di trovare le parole giuste. I ragazzi portavano con sé nuove scatole di cioccorane e dolci vari.
Albus abbracciò i genitori e rimase in piedi accanto ad Harry, mentre gli altri circondarono il letto.
«Allora papà è vero quello che si dice? Che Main e gli altri saranno processati dal Wizengamot?» chiese James.
Ginny gli rivolse un’occhiataccia e gli altri ragazzi si mossero inquieti. Frank li osservò sorpresi. In quei giorni nessuno di loro aveva avuto il coraggio di parlare di quanto era accaduto nella Sala dei Fondatori.
«Sì, è vero. Main e Douglas hanno usato più volte una Maledizione Senza Perdono su di voi e da un controllo delle bacchette è risultato che in precedenza anche Castor ne ha fatto uso» rispose Harry.
«Che cosa succederà ora?» domandò Albus, esprimendo a gran voce ciò che tutti si chiedevano da giorni.
«I Neomangiamorte hanno subito un duro colpo. Ne abbiamo arrestati parecchi. I mercenari sono stati pronti a collaborare, ma non sanno molto. Presto però torneranno all’attacco, ne sono sicuro» si fermò a riflettere per un momento, «Ne abbiamo già parlato ampiamente e non mi voglio ripetere ulteriormente: state fuori dagli affari che non vi riguardano!» disse severo.
I cinque ragazzini abbassarono il capo, consci che il rimprovero era soprattutto per loro.
James intervenne nuovamente: «E comunque la Preside è stata chiara sabato sera: la tolleranza è finita».
Gli altri annuirono ricordando le parole della professoressa McGranitt. Nessuno di loro aveva sentito la Sala Grande silenziosa come in quell’occasione.
«Main, Castor e Douglas sono stati espulsi». Scorpius informò Frank.

*

Frank si vestì rapidamente, contento di potersi godere almeno gli ultimi giorni di Scuola con gli amici.
«Paciock, vedo che sei pronto ad uscire. Mi fa piacere» disse Minerva McGranitt entrando nell’infermeria.
«Buongiorno, professoressa» disse Frank arrossendo, voltandosi vide che era accompagnata dal signor Lorentz.
«Abbiamo bisogno di fare quattro chiacchere con te, quindi siediti» disse quest’ultimo, indicando il letto con un gesto vago della mano.
«Ehm in teoria avrei lezione di Incantesimi».
«Non fa niente, Paciock. Ti giustificherò io per il ritardo e comunque il professor Vitious non ti dirà nulla».
Frank a questo punto obbedì e sedette come gli era stato richiesto.
«Credo di doverti delle spiegazioni» principiò Lorentz, «Io sono un Auror in pensione, non un magonò. Sono stato mandato qui perché Harry Potter riteneva che con me la Scuola sarebbe stata più sicura. Ho accettato l’incarico perché non ho mai apprezzato particolarmente rimanere troppo a lungo inattivo, ma come Madama Chips mi ha fatto notare: non ho più l’età. Madama Corvonero in seguito mi ha chiesto di collaborare alla ricerca dell’Erede dei Fondatori. Ho accettato, in fondo sono sempre molto legato alla Casa Corvonero, che è stata la mia seconda famiglia per ben sette anni. Inoltre ho sempre avuto un ottimo rapporto con la Dama Grigia. Il mio compito era quello di metterti alla prova. Mi scuso quindi se mi sono comportato ingiustamente nei tuoi confronti. Volevo solo sapere come avresti reagito».
Frank lo osservò sorpreso e tentò di non pensare a tutte le volte in cui se l’era presa con lui senza motivo.
«Perché io?» domandò. Erano giorni che se lo chiedeva, ma non era riuscito a trovare una risposta.
A rispondere fu la Preside: «Vedi, secondo quanto mi ha spiegato la Dama Grigia, si parla di erede in modo generico. La storia, tra i discendenti dei Fondatori, ricorda principalmente Helena, a causa della sua tragica fine. Comunque anche se gli altri tre ebbero dei figli, il loro cognome si è perso poco tempo dopo, se non con la loro morte. Basti pensare alla famiglia Gaunt, ora estinta, che discendeva direttamente da Salazar Serpeverde oppure la famiglia Smith, anch’essa estinta, per quanto riguarda Tosca Tassorosso. Allora secondo il loro progetto avrebbe potuto usare le pietre solo uno studente, che avesse dimostrato di possedere le virtù che stimavano maggiormente; ma soprattutto questo potere doveva essere usato per una buona causa e non per fini egoistici. I fantasmi hanno posto l’attenzione su di te perché sei un Testurbante. Naturalmente hanno interpellato prima il Cappello Parlante ed in fondo è stato il suo giudizio a spingerli a metterti alla prova, per accertarsi che potessi essere davvero la persona giusta. Immagino che tu ricorda perfettamente il tuo Smistamento, vero?».
«Sì, professoressa». Certo che ricordava: era durato ben sei minuti, anche se non se n’era accorto.  Aveva discusso con il Cappello per tutto il tempo. «Ma solo perché io non gli permettevo di decidere. Volevo essere un Grifondoro come mio padre, ma lui non era d’accordo» disse con la voce pregna di delusione.
«E dove avrebbe voluto mandarti?» chiese Lorentz.
«Tassorosso o Corvonero. Non so perché sembrava convinto che sarei stato benissimo con i Corvonero».
«Però ti ha mandato a Grifondoro. Questo spiega perché sei stato considerato il degno Erede. Possiedi le qualità che i Fondatori apprezzavano» commentò Lorentz.
«E Serpeverde?» chiese Frank, «Non credo di essere furbo e non ho mai pensato di essere ambizioso».
«Sei Purosangue. E non sei stupido, solo ingenuo. Crescerai» disse la McGranitt con un lieve sorriso.
«Bene ora devo proprio andare» disse Lorentz, «Grazie dell’ospitalità Minerva». Strinse la mano alla Preside e poi si rivolse di nuovo a Frank: «Complimenti».
Dopo che l’Auror si chiuse la porta alle spalle, la Preside disse: «Ritengo che ora tu debba andare. Mi raccomando non crucciarti troppo sulla storia dello Smistamento. Il Cappello Parlante ascolta il parere degli studenti, ma decide sempre di testa sua! Se ha accettato di mandarti a Grifondoro, lo ha fatto perché sapeva che ne hai la stoffa».
«Lui mi ha detto: “A Tassorosso non avresti alcun problema, è la Casa perfetta per te; ma ti manderei a Corvonero anche se sarà più difficile”, poi io l’ho pregato nuovamente di mandarmi a Grifondoro. Ero più che certo che i miei mi avrebbero voluto bene allo stesso modo, indipendentemente dalla Casa in cui sarei stato smistato, ma mio padre quando parla di Grifondoro è… è diverso… gli brillano gli occhi… lui ci tiene tantissimo… non mi bastava che continuasse a volermi bene, volevo essere come lui… Non mi sono mai pentito di aver supplicato il Cappello, ma non sono all’altezza di Grifondoro… Il Cappello mi aveva avvertito: “Ti accontento, visto che ci tieni tanto, ma il mostrartene degno ti richiederà un grande impegno”» confessò Frank, trovando molto interessanti le sue converse bianche, che spuntavano da sotto la divisa.
L’unica persona cui aveva mai raccontato quelle cose era Roxi. Chissà perché in quel momento gli era saltato in mente di raccontarlo proprio alla Preside, una delle ultime persone che avrebbe scelto per confidarsi. Non che non avesse stima di lei, anzi; ma gli metteva addosso un timore assurdo.
«Albus Silente diceva che sono le nostre azioni a dire chi siamo, le nostre scelte. E tu hai fatto la tua. Se fossi in te non mi vergognerei. Inoltre meno di una settimana fa, hai dimostrato a tutti che sei nella Casa giusta. Paciock, dovresti stare più attento al significato delle parole. Il Cappello non ha detto che saresti stato fuori posto tra i Grifondoro, ma che avresti dovuto impegnarti molto. Il che, se permetti, è di gran lunga differente. L’essere Preside mi impone una totale imparzialità nei confronti degli studenti della Scuola, ma non smetterò mai di essere una Grifondoro. E ti assicuro che sono più che contenta di averti nella mia Casa».
Frank divenne paonazzo al complimento inaspettato della Preside e biascicò un grazie.
«Continua ad impegnarti, mi raccomando. Ed ora vai, il professor Vitious sarà contento di averti di nuovo in classe».

*

La sera del Banchetto di Fine Anno, tutti gli studenti rimasero stupiti: quando entrando in Sala Grande non trovarono gli stendardi della Casa vincitrice della coppa, ma solo quelli con lo stemma della Scuola.
«Che succede? Non avevano vinto i Corvi?» chiese James, prendendo posto accanto agli amici ed ai suoi famigliari.
Nessuno seppe rispondergli.
Il tavolo di Tassorosso era il più silenzioso: non erano mai stati la Casa più rinomata di Hogwarts, ma mai la loro reputazione era stata macchiata da un’espulsione, che l’era costata cento punti; come se non bastasse Abel Calliance era stato destituito dal suo ruolo di Caposcuola giocandosi altri cinquanta punti e gli studenti del primo anno che aveva coinvolto erano stati puniti tutti dal loro Direttore ed avevano perso altri cinquanta punti. Tassorosso non era mai stata così in basso da toccare il fondo. E naturalmente Ernie Mcmillan era furioso con l’intera Casa.
Anche Corvonero e Serpeverde avevano perso un po’ di punti a causa delle espulsioni di Douglas e Main e della destituzione di Zabini; ma mai quanto Tassorosso.
I Grifondoro, considerando gli ultimi avvenimenti, iniziarono a sperare in un ribaltamento del risultato a loro favore. In fondo grazie a Frank, Rose ed Albus avevano guadagnato ben duecentotrenta punti.
La Sala Grande si zittì immediatamente appena la Preside si alzò per prendere la parola: «Io ed il corpo docenti abbiamo riflettuto molto sugli ultimi avvenimenti, ed abbiamo deciso che da quest’anno per ogni classe verrà premiato uno studente che si è distinto per profitto e condotta.  Ho scelto personalmente tali studenti, basandomi sui risultati degli esami appena conclusi e sui rapporti dei loro insegnanti. Gli studenti del quinto ed settimo anno saranno premiati all’inizio del prossimo anno. Il premio consiste essenzialmente in cinquanta punti per la propria Casa». Fece un attimo di pausa, permettendo ai ragazzi di assimilare con calma la novità, poi riprese: «La migliore studentessa del primo anno è Luna Finnigan di Corvonero». Un forte applauso si levò dal tavolo blu-argento.
La Preside li lasciò festeggiare per qualche minuto e continuò: «La migliore studentessa del secondo anno è Eleanor Davies di Corvonero». Questa volta riprese a parlare quasi subito: «Il migliore allievo del terzo anno è Albus Severus Potter».
Il tavolo dei Grifondoro non fu da meno di quello di Corvonero ed Albus si trovò inabissato dalle pacche e dagli abbracci dei suoi cugini.
«GRANDISSIMO AL! GLIELA FACCIAMO VEDERE NOI A QUEI CORVONERO! PENSA ALLA FACCIA CHE FARANNO ZIA HERMIONE E ZIO PERCY!» gli urlò James nell’orecchio.
«Sì, grande Al. Così mia mamma smetterà di rompere le pluffe e comprenderà che non sono io la secchiona della famiglia!» esultò felice Rose.
La Preside fece più fatica a riportare all’ordine i Grifondoro, quando finalmente tacquero, disse: «Il miglior allievo del quarto anno è Gabriel Corner di Corvonero».
Nuovi applausi si levarono dal tavolo blu-argento: i ragazzi erano sempre più eccitati perché avevano quasi superato Grifondoro ed erano ad un passo dalla vittoria.
«Infine il migliore allievo del sesto anno è Matthew Fergusson di Corvonero. Quindi a questo punto» e qui alzò un po’ la voce, perché i ragazzi avevano già cominciato a festeggiare, «non mi resta che proclamare il vincitore della Coppa delle Case di quest’anno. Al quarto posto Tassorosso con centocinquanta punti; al terzo Serpeverde con duecento punti; al secondo posto Grifondoro con trecento punti. Al primo posto Corvonero con trecentodieci punti».
La Preside batté le mani e gli stendardi ed i colori di Corvonero decorarono immediatamente la Sala Grande, mentre i ragazzi festeggiavano l’ennesima vittoria. Le altre Case non si unirono ai festeggiamenti e non si rallegrarono minimamente per loro: Serpeverde e Tassorosso erano troppo umiliate, i Grifondoro troppo scioccati per aver perso per solo dieci punti.
«Buon appetito e buone vacanze a tutti» disse la Preside e i tavoli si riempirono di succulente portate.

*

La mattina successiva i ragazzi si diressero chiassosi e felici alla stazione di Hogsmeade per prendere l’Espresso di Hogwarts, che li avrebbe portati a casa per le tanto agognate vacanze. Tutti chiacchieravano facendo progetti per l’estate con gli amici o raccontando dove l’avrebbero trascorsa con le famiglie.
Durante la colazione i Responsabili delle Case avevano consegnato ad ognuno di loro i risultati degli esami e gli avvisi con i divieti di usare la magia a casa.
Le pergamene con i voti degli esami erano state sigillate, ma la maggior parte degli studenti le aprì mentre si recava alla stazione o al più tardi sul treno. 
I Malandrini presero uno scompartimento tutto per loro e lessero i risultati contemporaneamente, come si erano accordati precedentemente.
«Siamo stati promossi tutti, magnifico» sospirò Lily con un ampio sorriso.
«Wow estate arriviamo» strillò Alice lanciando la pergamena all’aria e colpendo Hugo, che sfortunatamente aveva deciso di sedersi di fronte a lei.
«Certo, tuo padre avrebbe potuto evitare di aggiungere un elenco con tutte le nostre malefatte» borbottò Marcellus.
«Fossero solo quelle!» disse Hugo con gli occhi fuori dalle orbite, «Si è divertito ad inserire anche quelle che sa che siamo stati noi, ma non è riuscito a dimostrarlo».
«Quand’è diventato così sadico?» si lamentò Marcellus.
«Quando l’ho mandato a quel paese e gli ho detto che avremmo continuato a fare quello che vogliamo, credo» confessò Alice.
Lily scoppiò a ridere e le batté il cinque.
Marcellus si coprì il volto tra le mani e borbottò preghiere a Merlino, che non riuscirono ad intendere perfettamente.
«Mia mamma mi ucciderà! E sarà colpa vostra» decretò disperato Hugo.

*

In un altro scompartimento James, Benedetta, Danny e Tylor erano altrettanto felici per essere stati promossi.
«Non ho preso nessuno voto inferiore al sette! Grazie Benedetta, è tutto merito tuo» esultò James abbracciandola, «E la volta buona che i miei ci comprino il cane che chiediamo da un sacco di tempo».
«Se glielo chiederà Albus, penso che non gli diranno di no» celiò Danny.
James sorrise ed annuì convinto. In un certo senso lui, Danny e Tylor avevano fatto pace, anche se ancora vi erano parecchi motivi di disaccordo tra loro.
«Allora non c’è alcuna possibilità che i vostri genitori vi mandino in Spagna la prossima settimana? Sarete tutti miei ospiti» disse Danny.
«No, mio padre dice che è pericoloso. Ha paura che i Neomangiamorte facciano qualche brutto scherzo» sospirò deluso James. I suoi gliel’avevano comunicato, quando erano andati a trovare Frank.
«Io fra due giorni partirò per l’Italia e trascorrerò l’estate dai parenti di mia mamma. Grazie lo stesso per l’invito» replicò Benedetta.
L’atteggiamento di Danny e Tylor nei suoi confronti era cambiato dal momento in cui li aveva aiutati a sistemare l’aula di Pozioni; per farlo aveva mentito a Mcmillan, la verità alla fine era venuta a galla e Benedetta si era beccata una sgridata dal loro Direttore. Da quel momento avevano cominciato a stimarla sempre di più.
«Amico non sai quanto vorrei» borbottò Tylor, «Mia mamma, però, è furiosa. Ed appena vedrà i risultati degli esami lo sarà ancora di più. Sono stato promosso per il rotto della scuffia, in pratica. È stata chiara, non mi farà venire in Spagna. È riuscita perfino a convincere mio padre!».
«Volete giocare a sparaschiocco?» chiese Danny per cambiare argomento. Tutti si mostrarono entusiasti e si misero a giocare, mentre il treno sfrecciava nella brulla campagna scozzese.

*

«Che progetti avete per quest’estate? Io rimarrò a Londra. Mio padre mi ha detto che un impegno di lavoro importante e non potrà andare da nessuna parte. Si è rifiutato di dirmi di che cosa si tratta però» disse Scorpius.
«Perché non vieni alla Tana? Papà mi ha detto che ci trasferiremo lì tra una settimana. Nonna Molly sarà contenta di vederti! Naturalmente l’invito vale anche per voi» propose Al, rivolgendosi a Dorcas, Jonathan, Elphias, Cassy, Isobel ed Alastor.
«Ok, e voi verrete da me» replicò Scorpius, «Ma vorrei anche fare qualche giretto a Londra».
«L’hai chiesto ai tuoi? Dopo quello che è accaduto l’allerta è al massimo. Non ci lasceranno muovere da soli» replicò mesta Rose.
«E dire che siamo stati noi a darli la possibilità di velocizzare la loro affermazione» borbottò Jonathan.
«Non me lo ricordare. Anche perché sono stata io a coinvolgere tutti voi. Ed a proposito di questo… Vi devo delle scuse, vi ho cacciato in un sacco di guai e di pericoli quest’anno» disse Rose, guardando in modo particolare Albus.
Tutti le assicurarono che la colpa non era solo sua, perché l’avevano appoggiata e che non c’era bisogno di scusarsi.
«Comunque io non ci sarò quest’estate» disse Elphias, visibilmente contento. «Trascorrerò le vacanze con mia mamma. Mi ha promesso che verrà a prendermi lei stessa a King Cross. Sta facendo di tutto per riottenere il mio affidamento».
I ragazzi gli diedero pacche sulle spalle e le ragazze lo abbracciarono.
«Comunque lei vive ancora in Svizzera e quindi trascorrerò lì le vacanze» aggiunse Elphias.
«Io ci sono qualunque cosa volete fare» disse Alastor con un sorriso.
«Ci mancava pure! Abiti a cinque minuti a piedi da casa nostra!» sbottò Rose.
«Anche io sarò a Londra» disse Isobel, «Per fortuna mio padre è di nuovo a casa. Ha promesso che non accetterà più missioni all’estero per un bel po’».
«Ma tornerai ad Hogwarts a settembre, vero?» chiese preoccupato Elphias. Stranamente Rose e Cassy ridacchiarono.
«Sì, ho detto a mio padre che non voglio più studiare da sola. Certo sarò costretta a studiare Pozioni quest’estate in modo da poter seguire le lezioni con voi. Non voglio proprio cambiare classe o rinunciare ad Hogwarts solo per questa stupida materia. Mio padre ha un amico che mi aiuterà volentieri».
Dorcas e Cassy assicurarono che sarebbero rimaste a Londra per tutte le vacanze.
«E tu Jonathan?» chiese Scorpius.
Il ragazzino distolse lo sguardo dalla finestra e sorrise: «Sarò a Londra. Anche se non sarò sempre disponibile, mio padre mi ha anticipato che dovrò aiutare la mamma al “Paiolo Magico”. Non è molto contento del mio “comportamento” di quest’anno».
Gli amici lo osservarono per un attimo un po’ dispiaciuti, così lui si sentì in dovere di aggiungere: «Perché fate quelle facce? Io comunque in estate trascorro la maggior parte del mio tempo lì. Mi secco di stare solo a casa. Se venite al pub, sarò a vostra completa disposizione per fare un giro a Diagon Alley. E per il resto ho detto che non sarò sempre disponibile, non che sparirò dalla circolazione. Per quanto riguarda mio padre, vi assicuro che appena arriveranno i risultati dei G.U.F.O. di mia sorella Melissa, si dimenticherà anche dell’esistenza della Foresta Proibita».
Tutti avevano avuto modo di conoscere Melissa in quei mesi, sia perché avevano fatto amicizia con lui sia perché era la migliore amica di July Mcmillan, ormai da mesi fidanzata con Fred, e quindi la sua presenza era diventata costante al tavolo di Grifondoro. E sembrava una mancata Grifondoro, nessuno capiva perché il Cappello l’avesse mandata tra i tranquilli Tassorosso: amava il Quidditch e odiava studiare in maniera direttamente proporzionale. Così alle parole di Jonathan scoppiarono tutti a ridere.
«Ora proporrei un’ultima scorpacciata di dolci per chiudere l’anno in bellezza» disse Rose e tutti si gettarono felici sui dolci comprati poco prima.

*

«FranK! Fammi vedere i risultati dei tuoi esami!» chiese Alice in tono imperioso, dopo aver fatto irruzione nello scompartimento occupato dal fratello, da Roxi e da Gretel Finnigan.
Il ragazzino sbuffò, ma obbedì. Anche perché era consapevole che avrebbe fatto di tutto per ottenere ciò che voleva.
Alice sedette nel sedile vuoto e lesse nella sua mente (in caso contrario sarebbe stata la volta buona che il fratello avrebbe perso la pazienza):

Esami finali del secondo anno.
Frank Neville Paciock ha conseguito:
Trasfigurazione                            10
Incantesimi                                   10
Difesa Contro le Arti Oscure         6
Erbologia                                        10
Pozioni                                               7
Astronomia                                        8
Storia della magia                          10”
 
«Cavoli, hai preso quattro dieci!».
Frank arrossì lievemente al commento della sorella, ma non disse nulla. In effetti era abbastanza soddisfatto anche. Soprattutto per il dieci in trasfigurazione ed il sette in Pozioni. Molto meno felice era per il sei in Difesa: l’esame era stato un disastro e probabilmente la sufficienza gli era stata regalata in virtù degli altri voti che aveva.
«Facciamo così, Frankie» disse pensierosa Alice, «Farò vedere per prima i voti a mamma, dopodiché io mi riprendo velocemente la pergamena e tu senza darle tempo di parlare le metti davanti la tua. Io mi trasferisco da Lily per un po’ e mamma si concentra su di te. Ok?».
Frank rise. «Come vuoi tu, ma tanto sai che non funzionerà» acconsentì.
«E va bene, niente fuga. Ma comunque glieli faremo vedere solo ed esclusivamente quando Augusta andrà a letto, non la sopporto quando fa la saccente. Sicuramente lei come sempre avrà preso tutte A e mi prenderà in giro dicendomi che sono un ignorante!».
Stavolta Frank non rise: Augusta sapeva diventare molto insopportabile. Lui ed Alice temevano fortemente che la sorellina sarebbe stata smistata a Serpeverde una volta giunta ad Hogwarts. Naturalmente non si erano mai permessi di dirlo a nessuno e ne avevano sempre discusso solo tra loro. Frank alla scuola babbana non aveva mai avuto problemi, ma aveva visto con i propri occhi quanto Augusta godesse ad umiliare Alice ogni volta che ne aveva l’occasione ed Alice stessa gli aveva confessato che durante il suo primo anno gli era mancato tantissimo, perché aveva dovuto sopportarla da sola.
Frank si alzò e l’abbracciò. All’orecchio le sussurrò: «Ha dieci anni, la deve smettere con questa storia! In caso contrario faremo in modo che smetta, tranquilla».
«Grazie, Frankie».
«Grazie a te, siete stati fantastici ad organizzare quello scherzo contro Calliance e gli altri. Avete rischiato di finire nei guai solo per difendere me».
«Siamo fratelli, è giusto così» decretò Alice. «Ed ora mollami, troppe sdolcinatezze mi potrebbero rovinare la reputazione».

*

«Ti amo» sussurrò Dominique, baciandolo di nuovo. «E ti giuro che non l’ho mai detto a nessun altro».
«Lo spero proprio. Io non sono uno dei tanti, cui hai spezzato il cuore in questi anni» replicò Matthew Fergusson. «Anche io ti amo».
«La prossima volta però troviamo un posto migliore dove dichiararci. Il bagno è un po’ deprimente».
«Non è colpa mia se questo treno pullula di tuoi cugini. Non volevo sbandierare i miei sentimenti» borbottò Matthew per poi baciarla di nuovo.
La porta si aprì all’improvviso ed una Lucy maliziosa sorrise al loro indirizzo: «Vi ho visto solo io entrare qui dentro. Oggi mi sento buona, Domi e non ti chiederò nulla in cambio del mio silenzio. Però vi conviene ricomporvi: siamo a King Cross».
Dominique non si imbarazzava facilmente, ma in quel caso le sue guance si tinsero di rosso.
«Andiamo a recuperare i bagagli» disse al suo ragazzo, quello giusto stavolta, e lo prese per mano.
Matthew le lasciò la mano solo una volta prima che il treno si fermasse, per ottemperare un ultima volta ai suoi doveri di Prefetto visto che i ragazzi nella fretta di scendere per primi avevano iniziato a spintonarsi con il rischio di farsi male.
«Ad agosto mia sorella si sposerà e tu sarai il mio accompagnatore» lo informò Dominique.
«Sicuro, non permetterei nemmeno ai tuoi cugini di prendermi il posto».

*

Frank era rimasto indietro per controllare ancora una volta il diario che aveva nello zaino. Alla fine del loro colloquio in infermeria, aveva seguito la Preside e le aveva chiesto il permesso di tenere il diario che raccontava della Leggenda dei Fondatori, per poterlo ricopiare in ordine ed aggiungere la conclusione di quella storia che in fondo si era protratta per secoli. La professoressa era rimasta sorpresa in un primo momento, ma poi aveva acconsentito. Il giorno prima l’aveva cercato e gli aveva consegnato il diario. Inoltre gli aveva permesso anche, sotto sua stretta sorveglianza, di poter vedere per bene la Sala dei Fondatori. Ne era rimasto molto affascinato: era molto più bella di quanto li avessero detto gli altri. Probabilmente anche perché Zabini, Calliance e Warrington erano stati costretti a pulirla da cima a fondo per punizione.
Ciò che l’aveva colpito era il mobile di Tosca Tassorosso: era composto da cassetti di diverse forme e dimensioni. Bastava aprirne uno per trovare ciò di cui più si aveva bisogno in quel momento.
Frank strinse tra le mani la runa di terracotta, che aveva trovato in uno dei cassetti più alti e più piccoli, di forma rotonda.
La Preside gli aveva spiegato che si trattava di tyr, la runa che rappresenta la forza, la resistenza e l'affidabilità. È una runa protettiva utilizzata anticamente dai guerrieri affinché li proteggesse in battaglia, ma impersona anche lo spirito competitivo e il principio del lavoro duro e del superare qualcuno o qualcosa anche a costo di enormi sacrifici. Non per niente è anche la runa della volontà, della disponibilità a rinunciare a qualcosa di caro per ristabilire l'equilibrio e l'armonia. È la forza che ci fa proseguire nonostante le difficoltà e che deve però essere motivata da nobili ideali e non da futili egoismi personali.
Gli aveva dato il permesso di tenerla, affermando che a tempo debito avrebbe sicuramente compreso il perché Tosca Tassorosso avesse voluta fargliela trovare.
«Ti muovi? I tuoi sono con i miei. È venuta anche tua mamma» lo chiamò Roxi, facendo capolino dalla porta dello scompartimento.
Saltò giù dal treno trascinandosi il baule e corse ad abbracciare sua madre. Sembrava un’eternità che non la vedeva. Eppure era trascorso a malapena un mese dalla nascita della sorellina.
Di sfuggita vide Harry e Ginny, che, figuriamoci, erano stati informati immediatamente da James e Lily dell’ultimo successo di Al ed adesso l’amico, rosso in volto, era sotto i riflettori di tutta la famiglia Potter-Weasley.
Ron aveva afferrato Rose, salvandola dalla madre, ed adesso si stava coccolando indisturbato la sua principessa. Hugo e Lily raccontavano la loro ultima bravata a zio George. I gemelli e Fabiana erano con Bill e stavano tentando di capire per quale motivo i genitori non si fossero presi la briga di andare a prenderli.
Fred presentava July alla madre e viceversa la sua ragazza lo presentava alla madre Susan. Dominique era poco distante e salutava nuovamente Matthew.
Una specie di strillo poco virile attirò l’attenzione di tutti: a quanto pare Molly aveva deciso di informare i genitori che non avrebbe cambiato idea su Arion baciandolo di fronte a loro. Lucy osservava felice la scena insieme ad Arianna Greengrass: le due avevano complottato e si erano affaticate un sacco per raggiungere quel risultato. Arianna aveva scoperto che il fratellone aveva una cotta per Molly dalla fine del quarto anno e Lucy si era fatta in quattro per avvicinarli: era stata lei a mandare Arion a recuperarla alla Festa dell’Amicizia ed era stata sempre lei a dire al tonto di raccontare a Molly delle cattive intenzioni di Zabini ed amici.
Per i ragazzi non vi fu mai inizio di vacanze più divertente: Bill e Ron presero per le braccia un Percy in piena crisi isterica e lo trascinarono di peso oltre la barriera del binario 9 e ¾ tra le risate generali.
 
Angolo autrice:

Ciao a tutti!
Questo è l’ultimo capitolo della mia prima fanfiction, il che è abbastanza emozionante J 
Spero che le motivazioni apportate per la scelta di Frank, come Erede dei Fondatori, non vi deludano. L’ultima parte del capitolo è una rapida panoramica della famiglia Weasley-Potter, anche se poi i principali personaggi della storia sono stati: Frank, Albus, Rose, Scorpius, Jonathan e Dorcas.
Vorrei soffermarmi solo un attimo sulla discendenza dei Fondatori: J.K. Rowling stessa ci ha informato che Lord Voldermort era l’ultimo erede di Salazar Serpeverde (in quanto figlio di una Gaunt); mentre sempre ne “Il principe Mezzosangue” vi è il personaggio di Epizepha (scusate non ricordo se si scrive così) Smith, proprietaria della Coppa di Tassorosso: sappiamo con certezze che è morta avvelenata, io ho immaginato che se la Coppa era in suo possesso, debba appartenere ad un ramo primario e non secondario della famiglia (lei nomina “altri parenti” che avrebbero voluto impossessarsi dei suoi tesori). Specifico questo per l’esistenza di Zacharias Smith (che ho anche citato in questa storia, in qualità di agente della Squadra Speciale Magica), ma non credo (od almeno non voglio credere), che vi sia un legame famigliare con Epizepha (quindi con Tosca Tassorosso) se non molto labile. A rendere verosimile la mia scelta vi è pure il fatto che Smith è un cognome molto diffuso in Inghilterra.
Naturalmente spero ardentemente che la storia vi sia piaciuta. E vi invito a lasciare anche una piccolissima recensione per conoscere il vostro parere. Mi piacerebbe scrivere la continuazione di questa storia e se avete qualche consiglio da darmi sul mio modo di scrivere, è ben accetto: come ho detto su, è la prima che scrivo, per cui vi sono molte cose che devo ancora imparare ;-)
Ringrazio le venti persone che hanno messo “L’ombra del passato” tra le seguite, le sette che l’hanno posta tra le preferite e le quattro che l’hanno messa tra le ricordate :-D Un ringraziamento speciale va a chi ha anche recensito e soprattutto a  xxJudeSharp__ che mi ha sostenuto fino all’ultimo capitolo, incrementando la mia autostima e soprattutto la mia voglia di scrivere. Infine ringrazio i miei amici silenziosi, che hanno cominciato a leggere la storia e presto mi daranno anche il loro giudizio :-D
Vi auguro un buon week-end :-*
 

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