Since I fell for you

di somewhereonlyiknow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lasciamo che mangino una torta da stripper ***
Capitolo 2: *** Tu salti, io salto, ma devo proprio? ***



Capitolo 1
*** Lasciamo che mangino una torta da stripper ***


Since I fell for you

Since I fell for you

 

 

 

Una promessa è una sorta di concetto davvero relativo.

 

Le persone la buttano lì tutte le volte. Di solito non significa molto.

 

Lei aveva detto ai suoi amici di liceo: “Ti prometto che ci terremo in contatto.”

 

Non l’ha fatto. Ha mandato le chiamate in segreteria telefonica e ha lasciato le e-mail senza risposta.

 

Lei aveva detto a sua mamma: “Ti prometto che andrò dritto dalla nonna.”

 

Non l’ha fatto. Invece ha fatto l’autostop fino in Messico per le vacanze di primavera.

 

Lei aveva detto alla sua vicina: “Ti prometto che non ho rubato il tuo giornale.”

 

L’ha fatto. Non poteva preoccuparsi di abbonarsi lei stessa.

 

Quindi quando l’organizzatore del matrimonio di Sharpay Evans cancella il suo lavoro tre giorni prima che quattrocento persone siano sistemate per essere assemblate in una chiesa per vederla sposarsi al più buon partito in tutto il Nord America, lei non sa perché è così sorpresa. Dopotutto, sebbene l’organizzatore di matrimoni abbia promesso che i fiori sarebbero stati consegnati, e abbia promesso che l’assegnazione dei posti sarebbe stata decisa, e abbia promesso di sistemare tutte le damigelle, e abbia promesso che i ragazzi del catering avevano promesso che non avrebbero servito pollo (così passé), come lei sa da un po’, le promesse sono una sorta di concetto davvero relativo. 

 

 

###

 

 

“NON POSSO CREDERE CHE ABBIA CANCELLATO!”

 

“Lo so,” suo fratello arrotolò il suo cappello in un cuscino improvvisato. Sbadigliando, controllò il suo orologio. 2 am.

 

“LO VOGLIO MORTO.”

 

Ryan non aprì gli occhi: “La mafia è in vacanza.”

 

Sharpay collassò sul divano, seppellendo la testa tra le mani: “Mi sto per sposare, Ryan,” gemette “Tra tre giorni! E l’organizzatore ha promesso che avrebbe avuto tutto pronto per ieri! E ora, cancella? A me? Non ho assolutamente niente! Niente è pronto! La disposizione dei fiori non è stata organizzata, nessuno ha avuto gli ultimi ritocchi ai vestiti, la sede non è stata confermata, il ricevimento non è stato combinato…” si fermò malvagia “Te l’ho già detto? LO VOGLIO…”

 

“…morto, lo so.” mormorò Ryan assonnato.

 

“E non posso organizzare tutto in tempo! Sono solo una persona! E nessun organizzatore di matrimoni sano di mente organizzerà un matrimonio in tre giorni! Dio, voglio quel ragazzo…”

 

“…morto, ho capito.”

 

“Questo è un assoluto disastro. In tre giorni, quattrocento persone arriveranno, e mi vedranno sposarmi nel mio vestito per il ballo della scuola al McDonald’s!”

 

“Shar,” il fratello aprì un occhio “Tu hai i soldi. Charlie ha i soldi. Tra voi due, sono sicuro che potete contattare qualcuno che organizzi il matrimonio per voi.”

 

Ryan giurò di vedere una vena scoppiare nel collo di sua sorella: “CHI?” domandò con uno strillo “CHI? Ho chiamato tutti in California, e non c’è nessuno che voglia organizzare un matrimonio con quattrocento persone in tre giorni. Charlie dice che non vuole nemmeno un matrimonio in grande ed elaborato! Tutto ciò che vuole è passare il resto della vita con me!” alzò gli occhi al cielo come se quella fosse la cosa più ridicola e offensiva che avesse mai sentito “Dio, mi sposo con uno sciocco.”

 

“Forse anche lui ha ragione, Shar. Insomma, spenderai il resto della vita con il ragazzo che ami. Non dovrebbe importare se ti sposi nel giardino dietro casa o se indossi un vestito prêt-à-porter…” un libro si schiantò con la sua nuca.

 

“SEI MATTO?” gridò sua sorella “VUOI CHE SIA UMILIATA DAVANTI A QUATTROCENTO PERSONE?”

 

Saggiamente, Ryan rimase zitto.

 

“IO NON MI SPOSO NEL NOSTRO CORTILE. IO NON INDOSSERO’ UN VESTITO…” a questo punto, Sharpay aveva un’aria molto suicida “… FOTTUTAMENTE PRET-A-PORTER!”

 

Il fratello sospirò: “Shar, lo so che non è così che hai immaginato il tuo matrimonio. Ma non puoi rinviarlo. Gli inviti sono stati spediti mesi fa e non sono sicuro che Ellen DeGeneres possa sopportare un altro matrimonio cancellato. Senti, sono certo che se collaboriamo tutti insieme -io, te, Charlie e tutti i nostri amici- ed iniziamo ad assegnare dei lavori a tutti, il matrimonio sarà sistemato in men che non si dica.”

 

Sharpay si lasciò scappare un rumoroso lamento: “Ry, non posso. Le persone non possono sapere che sono stata abbandonata dal mio maledetto organizzatore.”

 

“Ascolta,” ribattè ragionevole Ryan “Ci proveremo, okay? Facciamo una lista di tutte le persone che vorranno dare una mano.”

 

“La famiglia di Charlie è fuori,” rispose immediatamente la sorella “Lo sai quale tipo di vergogna mi porterà il fatto che non riesco nemmeno ad organizzare un matrimonio come si deve? Mi eviteranno per il resto della vita, e a Natale, mi daranno la parte peggiore del tacchino e la salsa bruciata.”

 

Ryan si accigliò: “Non ha senso.”

 

“Solo, no, okay?”

 

“Okay, va bene. I tuoi amici dal lavoro?”

 

“Sono nello show business, Ryan. Non ti fai degli amici a Broadway.”

 

“Bene, chi altro conosci?”

 

“Nessuno! Ecco ciò che intendo!” Sharpay era esasperata “Non mi fido abbastanza di nessuno. Perderanno tutto il loro rispetto per me.”

 

“Sharpay, non è colpa tua se quel ragazzo ti ha abbandonata.”

 

“Tu sei un uomo,” Sharpay alzò gli occhi al cielo “Tu non capisci. Il matrimonio di una ragazza è qualcosa che lei non può mandare all’aria! E io che faccio? Lo mando all’aria.” si morse furiosamente l’interno della guancia “Quell’organizzatore? Lo voglio…”

 

“…morto?” finì Ryan “Sì, lo so.” sospirò “Non perderanno il rispetto per te.”

 

“Sì, lo faranno! Tutti lo faranno quando lo scopriranno!”

 

Ryan si fermò, immerso nei suoi pensieri, tamburellando con un dito sul mento: “Gabriella Montez è in città per il matrimonio.”

 

Sharpay alzò lo sguardo: “Dal liceo? Perché l’ho invitata?”

 

“Tu non l’hai fatto,” il fratello scosse la testa “Io l’ho fatto. Non vi siete tenute in contatto voi due?”

 

Sua sorella scrollò le spalle: “Lo sai, dopo il liceo. Lei ha detto che avrebbe chiamato, io ho detto che avrei chiamato. Noi… non abbiamo chiamato.”

 

“Beh, noi siamo rimasti in contatto. Ci siamo incontrati a Parigi l’anno scorso. Sta bene. E conosci Gabriella. Ti aiuterà con il matrimonio e poi ti annegherà nella sua solidarietà.” Ryan osservò gli occhi della sorella perdere un po’ della loro tristezza.

 

“La chiamerò,” meditò Sharpay “E’ un po’ che non ci sentiamo.”

 

“E,” continuò cauto Ryan “Troy Bolton è in città.”

 

Sharpay alzò lo sguardo dal suo cellulare: “Okay,” disse lentamente “Per una partita di basket?”

 

“Per il matrimonio.”

 

“L’ho invitato?”

 

“No, è stato Charlie. Lui è il proprietario della squadra di Troy, ricordi?”

 

“No,” rispose brevemente Sharpay “E riguardo a lui?”

 

“Aiuterebbe.”

 

Sharpay era silenziosa: “E’ uno scherzo? Perché ‘Il lupo mangiafrutta’ sarebbe più divertente.”

 

“Beh, ha senso!” esclamò Ryan “Lui non perderà il rispetto per te perché non ne ha mai avuto, in primo luogo. E poi è un amico di Charlie. Non manderà a monte il matrimonio solo per vederti soffrire.”

 

“Sarò io a giudicare…” disse enigmatica Sharpay.

 

“Hai bisogno di tutte le mani alzate, Shar. Questo matrimonio è tra tre giorni. Hai bisogno di tutto l’aiuto che puoi trovare.”

 

Ci fu un lungo silenzio mentre il viso della bionda si contraeva in un’espressione agitata: “Bene. Prepara tutto, Ryan. Voglio Troy e Gabriella a casa mia alle quattro.”

 

“Del pomeriggio?”

 

“No, del mattino.” lo interruppe Sharpay “Non possiamo perdere altro tempo. E quell’organizzatore di matrimoni, lo voglio…”

 

“…morto,” intervenne Ryan, annotandoselo sul cellulare “Capito. Chiamerò la mafia appena ritornano dalla crociera alle Hawaii.”

 

“Favoloso.”

 

 

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Conto alla rovescia: tre giorni al matrimonio

 

Gabriella Montez non era mai stata in California prima. Era un posto luminoso, pieno di cieli soleggiati ed anche sorrisi solari. Sfortunatamente, alle quattro del mattino, non c’era tantissimo Sole e divertimento di cui lei potesse godere. Infatti, non ce n’era proprio. Gli uccellini canticchiavano in aria mentre lei parcheggiava la sua macchina a noleggio fuori da una villa a Beverly Hills. Non poteva nemmeno credere che in quel momento fosse lì. Era da un sacco di tempo che non sentiva Sharpay.

 

Assonnata, raggiunse i cancelli: “Salve?” sussurrò all’interfono “Sono Gabriella Montez.”

 

Avvertì un soffio di aria calda dietro il collo. Oh Dio, dov’era il suo spray al peperoncino contro gli stupratori quando ne aveva bisogno? Sua mamma le diceva sempre di pulirsi le orecchie, di non lasciare mai che una torta si raffreddasse prima di averla tolta dalla teglia, e di ricordarsi sempre lo spray.

 

“E Troy Bolton.” intervenne la voce.

 

Lei si congelò. Quasi preferiva lo stupratore, in quel momento.

 

“Perché stai sussurrando?” le sussurrò all’orecchio.

 

“Sono le quattro del mattino,” mormorò lei in risposta. Deglutendo, forzò dell’aria nei suoi polmoni “Le persone dormono.”

 

Lo sentì ridere: “La domanda è, perché noi no? Insieme, preferibilmente.”

 

Lei si girò e lo guardò negli occhi. Almeno, lei pensava che fosse il suo viso; era troppo buio per dirlo e lei avrebbe potuto fissare ad una vicina palma: “Che ci fai qui?” sibilò.

 

Lui fece cenno alla casa: “Campo di addestramento. Stile matrimonio di Sharpay. Ho sempre detto che mi sarebbe piaciuto essere dall’altra parte del mondo quando e se la nostra piccola sfacciata si sarebbe sposata.”

 

“Cos’è successo?”

 

“Charlie Delaney. È un mio amico. Povero ragazzo. Ha già la bara pronta.”

 

“Si sta per sposare, non morire.” replicò Gabriella.

 

“Morire, sposare Sharpay Evans, tutto collegato. Il LA Times pubblicherà il suo necrologio tra sei giorni.”

 

Gabriella sospirò esasperata: “Non sei cambiato.”

 

“Ecco dove sbagli. Ho cambiato la biancheria stamattina. Tu, signorina Montez, non sei cambiata.”

 

Gabriella strinse i denti mentre lui le si avvicinava sempre di più: “No?” sussurrò, spingendosi contro il muro.

 

Lui rise senza divertimento: “No, sei sempre la stessa fredda stronza che eri al liceo.”

 

Bam.

 

 

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“Oooh!” l’intero corpo di guardie di sicurezza più Sharpay e Ryan si lasciarono scappare un gemito collettivo quando Gabriella colpì Troy con un pugno.

 

“Ecco, ragazzi, pagare.” Ryan ghignò, allungando le mani aperte.

 

Sharpay e le guardie di sicurezza borbottarono e riluttanti infilarono le mani in tasca per prendere i venti dollari.

 

“Non ve l’avevo detto?” Ryan intascò i soldi con aria di sufficienza “L’inferno non ha la furia di una ragazza il cui ex-ragazzo chiama una fredda stronza perché lei l’ha mollato al liceo. Dannazione, sono bravo in questo. Cinquanta verdoni, Jen ed Angelina si presentano agli Oscar con lo stesso vestito.”

 

 

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Era passato un sacco di tempo da quando Troy Bolton aveva visto i suoi vecchi amici del liceo. A modo loro, erano cambiati drasticamente, ma allo stesso tempo, erano ancora le stesse persone che conosceva e amava. Beh, che gli piacevano. Gli piaceva Ryan. E odiava. Odiava Sharpay. E Gabriella? Non avevano ancora inventato una parola per descrivere cosa provava in quel momento verso di lei. Quindi, loro erano ancora le stesse persone che conosceva e che gli piacevano, e che bleah-ava.

 

Sharpay e Ryan sembravano non essere invecchiati di un giorno dai tempi del liceo. Ancora vestiti nei loro sospettosamente coreografati bizzarri vestiti, la prima era ancora così prepotente, stranamente affascinante e prova che la sanità mentale probabilmente non era ereditaria, mentre il secondo provvedeva ancora ad una parvenza di calma e ragione nella famiglia Evans.

 

Non era ancora sicuro del perché era andato là quel giorno. Avrebbe potuto dire di no a Ryan quando aveva chiamato, inventandosi una scusa su un allenamento o qualcosa del genere. Ma era lì alle quattro oh sette del mattino, una brocca di caffè sul tavolo, una confezione di piselli congelati sul suo occhio nero di fresco, discutendo della differenza tra bianco sporco e bianco steccato.

 

“A me sembrano esattamente uguali.” osservò piatto.

 

Gabriella gli lanciò un’occhiata sprezzante: “Non sono uguali.” scattò.

 

“Avrei potuto confondermi.”

 

“Una formica lobotomizzata potrebbe confonderti!”

 

Troy buttò per terra la sua copia di Bride Magazine: “Senti, perché non ci diamo dei compiti? Abbiamo tre giorni fino al matrimonio. Se lavoriamo per conto nostro per un po’, allora sarà tutto a posto in men che non si dica, e io non mi dovrò preoccupare per quale bianco dovrai indossare o se dovrai riverniciare le tue scarpe.” fece una pausa “Aspetta, puoi riverniciare le scarpe? Da quando?”

 

“In realtà abbiamo già deciso per quello,” disse Sharpay, con tono da donna d’affari “Preparerò il mio vestito oggi, e voi due dovete andare a cercare le band per il ricevimento. Ora, quando prenotate la band, tenete a mente che questo è il mio matrimonio e io davvero non posso sottolinearlo abbastanza, ho bisogno che scegliate qualcosa che piacerà a me…”

 

“Aspetta, voi due?” l’interruppe Gabriella “Due? Dobbiamo farlo insieme?”

 

“Certo, insieme,” sbottò la bionda “Non voglio che il mio matrimonio assomiglia ad un concerto death metal,” voltò di scatto la testa nella direzione di Troy “ma non voglio nemmeno che ci sia troppa agitazione come ad una dannata fiera del libro,” occhieggiò direttamente Gabriella “Due menti sono meglio che una, giusto? Se lo fate insieme, ci sono meno possibilità che mandiate tutto all’aria.”

 

“Beh, perché non posso andare con Ryan?” si lamentò Troy.

 

Gli occhi del biondo si spalancarono e lui diede uno strattone alla manica di Sharpay, in preda al panico: “Neanche per idea.” sibilò “Mi faranno diventare completamente demente.”

 

“Demente?”

 

“Demente,” confermò Ryan “Pazzo. Banana. Matto. Bloccato a Bellevue con una camicia di forza per la prossima decade. Scegli il tuo sinonimo.”

 

“Ryan deve prenotare la chiesa.” annunciò la sorella.

 

“Lo farò io con lui!” saltarono su simultaneamente Troy e Gabriella.

 

“Lui è una suora,” disse velocemente Sharpay “Cioè, non una suora, ma tipo una suora. Tipo un uomo suora. Non lasceranno entrare non-suore. Mi dispiace.”

 

Gabriella e Troy si guardarono in cagnesco.

 

“Odio tutto ciò…” la ragazza grugnì.

 

“Non hai nemmeno un picnic con cui cavartela.”

 

“I odio te.”

 

“E tu mi rischiari la giornata.”

 

“Hai la maturità di un cinquenne!”

 

“Passato al primo anno di elementari, giusto?”

 

“Di un asino di cinque anni! Con difficoltà d’apprendimento!”

 

“Tu mi vuoi.”

 

“Tu sei una crosta degli occhi.”

 

“Tanto meglio che vedertici, mia cara.”

 

“Sei un tale idiota!”

 

“Tanto meglio…”

 

Sharpay chiuse per un attimo gli occhi: “Li voglio…”

 

“…morti?” tirò ad indovinare Ryan.

 

“Stavo per dire muti. Ma anche morti mi andrebbe bene.”

 

 

###

 

 

La sala d’aspetto del Lakeside Weddings sembrava più appropriata ad una sala d’aspetto di un killer.

 

Ma questo non era colpa dello staff del Lakeside Weddings. Era luminoso, arieggiato, con varie e raffinate fotografie in bianco e nero di spose assurdamente felici alle pareti. Gli unici occupanti della sala d’aspetto, comunque, una Gabriella Montez dal volto duro e Troy Bolton, sembravano capitati per caso nell’ufficio di un organizzatore di matrimoni, mentre invece stavano cercando una casa di funerali o un pentolone di acido in cui gettare l’un l’altro.

 

Troy lanciò un’occhiata alla mora accanto a lui. Sospirò alla posizione mortalmente stretta della sua mandibola: “Non mi parli più seriamente?”

 

“Non posso farlo se continui a provare a parlare con me.”

 

“So che abbiamo avuto le nostre divergenze…”

 

Divergenze?” le mani di Gabriella strinsero il bordo della sua sedia.

 

“E so che sei ancora sopraffatta dal tuo desiderio per me…”

 

La testa di Gabriella scattò a guardarlo: “Sopraffatta? Dal mio desiderio?” si poteva praticamente vedere del fumo uscirle dalle orecchie “Ascoltami bene, io odio tutto ciò. Odio tutto questo, odio lavorare con te, e odio te. E’ chiaro? Lo sto facendo per Sharpay, perché me l’ha chiesto, e perché ha bisogno di aiuto. Non ho chiesto di lavorare con te e non ho nessun tipo di desiderio sopraffante di farti niente se non di tagliarti il collo!”

 

Troy sogghignò compiaciuto.

 

“E togliti quel ghigno stupido dalla faccia!” replicò Gabriella.

 

“Succede che questo è il ghigno più intelligente che possiedo.”

 

Gabriella si morse furiosamente l’interno della guancia.

 

“Scusate?” una voce li interruppe. Alzarono lo sguardo per trovare una ragazza dall’espressione confusa “Il mio nome è Jodie. State progettando di…” si fermò e registrò la furia sul viso tirato di Gabriella e il sorriso stronzo su quello di Troy “Ehm, sposarvi?”

 

“Perché, ci può giurare!” saltò su Troy con uno scioccante accento Texano. Si sporse per circondare le spalle di Gabriella con un braccio “Sì, lo siamo! La mia piccola tesorina ed io stiamo cercando delle band che suonino al ricevimento!”

 

Gabriella battè lentamente le palpebre, le narici che si allargavano: “Sì,” disse pacatamente “Ci chiedevamo se potevate aiutarci a prendere una decisione informata.”

 

Troy premette la guancia contro quella della ragazza e sorrise accattivante.

 

“Beh,” Jodie si schiarì la gola “Questo è quello per cui sono qui. Che tipo di musica state cercando?”

 

“Violini,” rispose sognante Gabriella “Forse un quartetto d’archi, un piccolo piano.”

 

Troy fece una smorfia: “Un piccolo piano cioè niente piano. Avete qualcosa di più movimentato? Forse delle chitarre elettriche, degli amplificatori.”

 

I denti di Gabriella stavano iniziando a fare male per tutto quel finto sorridere: “Tesoro,” disse mordace “Io non lo vorrei così. Io vorrei qualcosa di leggero e tranquillo.”

 

“Evans? Leggero? Tranquillo? Ah!”

 

Jodie sembrava sopraffatta: “Abbiamo un pianista libero.”

 

“Magari anche qualche sassofono.” meditò Gabriella.

 

“Ce l’ho!” Troy suonò trionfante “Delle maracas, dei grandi tamburi, e avremo un limbo party!”

 

“Io non voglio un limbo party.” ringhiò la ragazza a denti stretti.

 

“Adesso dici così, ma aspetta finchè sarai orizzontale.”

 

 

###

 

 

Otto ore, un sacco di litigi, un quartetto d’archi, un piano, un sassofono, un set di maracas, una lista di numeri romantici come “The way you look tonight” (Gabriella) e “Let’s get it on” (Troy), ed un esaurimento nervoso della povera Jodie più tardi, Troy e Gabriella lasciarono il Lakeside Weddings.

 

Gabriella sii flessibile, Gabriella sii veloce, Gabriella cammina sotto la stecca del limbo.” canticchiò il ragazzo.

 

Troy sii flessibile, Troy aumenta il passo, Troy meglio star zitto prima che Gabriella ti tagli il…”

 

“Shh!!” pretese Troy “Stai cercando di essere così fredda ed insensibile? Lui potrebbe sentirti!”

 

Gabriella si lasciò scappare una risatina: “Ti riferisci al tuo pene in terza persone?”

 

Troy si stupì: “Tu non lo fai?”

 

“E’ una delle cose che controllano prima che ti diano il tuo certificato sanitario.”

 

Troy rise: “E’ questo che ti insegnano a Parigi?” si fermò alla loro macchina a noleggio e pensò un attimo “Ehi, ti va di fare una passeggiata?”

 

“Una passeggiata?” Gabriella si accigliò.

 

“Ho lasciato il mio mantello da Superman a casa. Non posso volare, scusa.”

 

Gabriella rimise le chiavi della macchina nella borsa: “Suppongo che possiamo fare una passeggiata.” sorrise, il primo vero che lui le aveva visto in tutto il giorno. Aveva quasi dimenticato quanto bella poteva essere quando sorrideva così.

 

Infilando le mani in tasca, si girò nervosamente verso di lei: “Allora, com’era Parigi? Non ci siamo parlati per un po’.”

 

“Parigi è…” Gabriella pensò per un momento “…sai, Parigi. Ho preso un anno di pausa per girare l’Europa, e poi ho studiato per un po’. Ritorno in estate. Medicina.”

 

“Tu… hai incontrato qualcuno?”

 

Gabriella nascose un sorriso: “Uno o due. Ma adesso, nessuno.”

 

Troy finse uno shock: “No fidanzato? No marito? No ruffiano?”

 

Lei ridacchiò, un’abitudine infantile da cui pensava essere cresciuta. Scosse la testa affettuosamente: “Mi sei mancato. Molto. Anche se non ci siamo esattamente lasciati nella più amichevole delle circostanze. Giravo per dei posti, o vedevo qualcosa di divertente, e pensavo ‘Oh, se solo Troy fosse qui per vederlo.’” arrossì leggermente “Era stupido, lo so…”

 

“Anche io ti pensavo. Cercavo il tuo viso tra la folla del pubblico.”

 

“Guardia di punta dei Knicks, ho sentito.” Gabriella gli fece un gran sorriso “Ho sempre saputo che ce l’avresti fatta. Come ci si sente? Tuo papà deve essere molto orgoglioso.”

 

“Ci si sente…”

 

“Alla grande?”

 

“Alla grande,” Troy mentì “E’ fantastico.”

 

“Sono così orgogliosa di te. Non ho mai avuto l’opportunità di dirtelo, ma lo sono. E per quanto valga, mi dispiace. Per il liceo e tutto.”

 

In un secondo di debolezza, il castano le prese la mano: “E’ stato tanto tempo fa. È nel passato, giusto? E mi dispiace per stamattina. Vecchie ferite ed il resto.”

 

Gabriella provò coraggiosamente a sorridere: “E’ tutto a posto. Tutti diciamo cose stupide.” esitò per un momento, avvertendo la sua mano fremere contro il suo palmo “Dopo il matrimonio e tutto, dovremmo tenerci in contatto. Mi è mancato averti intorno.”

 

Lui le offrì un sorriso forzato: “Ti chiamerò. Scriverò.”

 

“Scriverò. Chiamerò.”

 

Lui ghignò, facendo dondolare le loro mani: “E’ divertente,” osservò “Adesso? Mi sento come se fossi di nuovo diciassettenne. Siamo seduti sull’amaca, sotto le stelle. Bevendo latte e biscotti come dei bambini. Cantando canzoncine sporche con tutto il fiato quando invece dovremmo prepararci per gli esami finali.”

 

“E i vicini ci minacciano ancora di farci causa?” domandò Gabriella ironicamente.

 

“Alcuni dei momenti migliori della mia vita.” ammise Troy.

 

“Anche per me.” disse lei dolcemente.

 

Lui si fermò per un momento. Voltandosi verso di lei, sorrise malizioso, gli occhi che brillavano: “Quali sono le chance di includere ‘Guarigione sessuale’ alla lista?”

 

“Praticamente nessuna.”

 

“Lo sapevo.”

 

 

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Conto alla rovescia: due giorni al matrimonio

 

“NON AVRO’ MAI TUTTO PRONTO IN TEMPO. RYAN, ASCOLTAMI. E’ FINITA. LA MIA VITA E’ ROVINATA.”

 

Evidentemente, Sharpay Evans stava prendendo la catastrofe che era il suo matrimonio incombente piuttosto bene.

 

“VOGLIO CHE GLI SPARINO FINO ALLA MORTE, RYAN. NE VOGLIO UNO NELLA TESTA, UNO NEL PETTO.”

 

Ryan espulse un respiro e si calò il cappello sul viso: “Shar…”

 

“CHI E’ CHE SI COMPORTA COSI? CHE RAZZA DI ORGANIZZATORE DI MATRIMONI SI RITIRA TRE GIORNI PRIMA DI UN MATRIMONIO?”

 

Gabriella sbadigliò e riaggiusto il cuscino perché le coprisse le orecchie: “Shar…”

 

“E ORA, IL MIO MATRIMONIO SARA’ UN DISASTRO. ME LO RIMANGIO, RYAN. UNO NELL’INGUINE E POI UNO NELLA TESTA E NEL PETTO. VOGLIO CHE SOFFRA.”

 

Troy fece capolino noncurante dalla cucina: “Ragazza, hai finito i sandwich.”

 

“Shar,” Ryan si alzò dal divano con grande sforzo. Massaggiò rassicurante le spalle di sua sorella “Non farti prendere dal panico, okay? Senti, ho la chiesa e l’hotel per il ricevimento già prenotati. Sono stati molto comprensivi quando ho menzionato che era per Charles Delaney, multimilionario, e Sharpay Evans, famosa artista. La mamma sta organizzando i fiori per la cerimonia e il ricevimento mentre parliamo, e papà è al telefono con quelli del catering in questo momento. E grazie a Troy e Gabriella, la musica è sistemata.”

 

“Ma il mio vestito da sposa…” gemette Sharpay “E tutti i vestiti delle damigelle.”

 

“Sono stati sistemati oggi, ricordi?”

 

“E la torta?”

 

Suo fratello aprì la bocca e poi la richiuse: “La stanno…” la sua voce si affievolì. Si girò lentamente verso Troy e Gabriella con la sua espressione oh-merda “…Preparando.”

 

“Sei sicuro?” premette Sharpay “Come ho chiesto io?”

 

“Come hai chiesto tu.” Ryan deglutì rumorosamente.

 

Troy alzò un sopracciglio e si avvicinò: “Hai chiesto per una carina, vecchia torta al cioccolato, giusto? Come una di quelle che compriamo già fatte dal fornaio, vero?” si scambiò un’occhiata nervosa con Gabriella “Per favore dimmi che è ciò che vuoi, e che non sei una di quelle persone che vogliono una grande, enorme, elaborata torta di nozze per cui servono tre settimane di lavoro?”

 

Gabriella gli lanciò uno sguardo stanco: “Hai presente con chi stai parlando, giusto?”

 

 

###

 

 

Cinque minuti dopo

 

“Salve, il mio nome è Gabriella Montez…”

 

“…Troy Bolton…”

 

“…Ryan Evans…”

 

“…e mi stavo chiedendo se voi possiate aiutarmi…”

 

“…una triplo strato…”

 

“…alta un metro e mezzo…”

 

“…rosa pastello…”

 

“…e bianco sporco, qualunque cosa sia…”

 

“…con panna montata fresca dalla Svizzera…”

 

“…e delicati fiori che adornino i bordi…”

 

“…con fragola sullo strato in cima…”

 

“…cioccolato sul secondo strato…”

 

“…e vaniglia sul terzo strato…”

 

“…gelato e caramella…”

 

“…un pizzico di caramella fondente e marzapane…”

 

“…e vorremmo averla tra due giorni…”

 

Beep.

 

“…due giorni? …sì, ho davvero detto giorni.”

 

Beep.

 

“…pensate che potreste possibilmente finirla tra due giorni? …ora, senta, adesso è scortese. Non ha nemmeno mai conosciuto mia madre!”

 

Beep.

 

Gabriella sbattè giù l’elenco telefonico: “E’ senza speranza,” gemette “Abbiamo chiamato ogni pasticceria dello Stato. Mi riagganciano tutti in faccia. Non c’è modo in cui potremo avere la torta che Sharpay vuole finita in tempo per il matrimonio.” scrollò le spalle “Dovremo solo portarle una torta più semplice, una per cui non servono settimane di preparazione.”

 

Ryan si alzò disperato dalla sua sedia: “No, no, no,” disse. Uno degli occhi era più grande dell’altro, donandogli un aspetto leggermente sconvolto “Ho promesso a Sharpay che avremmo trovato la torta. Insieme al vestito, la torta è la parte più importante!”

 

“Una promessa è qualcosa che fai a tua madre quando hai sette anni, di indossare vestiti pruriginosi quando piove,” Troy osservò attraverso una bocca piena di cibo. Scosse la testa e diede un altro morso: “Una promessa è qualcosa che fai alla ragazza nel bar che probabilmente non rivedrai mai più perché vuoi arrivare alla parte divertente. Una promessa è qualcosa che fai al tuo dentista mentre ti sta programmando il prossimo appuntamento. È qualcosa che due giovani star indossano sull’anulare della loro mano destra. Ti ho sentito. Non hai promesso niente. Hai solo detto che la stavano preparando.” deglutì “Ed è così.”

 

“Lo è?”

 

“Lo è?”

 

“Lo è,” confermò Troy “Dovremo solo farla noi da soli.”

 

“Farla noi da soli?”

 

“Farla noi da soli?”

 

“Farla noi da soli.” concordò Troy “Una volta ho fatto una torta per mia mamma. Di caramella fondente. Era buonissima.”

 

Gabriella emise un sospiro: “Lascia che ti ricordi, Troy, che una torta non rende l’uomo cuoco.”

 

“Lascia che ti ricordi, Gabriella, che odio quando parli di sottofondo.”

 

“Non possiamo preparare una torta per il matrimonio, Troy.”

 

“Abbiamo un’altra opzione…” osservò lui pensieroso.

 

“Davvero?”

 

“Davvero?”

 

“Davvero,” ripetè il castano “Mi ha appena colpito.”

 

“Ha lasciato una ferita, spero.”

 

“Dobbiamo andare a fare visita ad un vecchio amico.”

 


###

 

 

ZEKE?” sibilò Gabriella sottovoce. Stavano davanti ad un elaborato ristorante alto parecchi piani. Si voltò furiosamente verso il suo tronfio compagno “Stiamo andando da Zeke a chiedergli di preparare una torta per il matrimonio di una ragazza di cui è ancora ossessionato?”

 

“E hanno detto che non ti meritavi il titolo di migliore studentessa del corso che avrebbe tenuto il discorso il giorno del diploma [tutta sta frase per tradurre una parola sola O.o Nda]  che Taylor aveva preso più A di te.” ghignò Troy.

 

“Beh, non possiamo entrare,” Gabriella indicò le porte serrate “Sono chiusi. Troveremo un’altra soluzione.” si girò per andarsene ma Troy le afferrò il polso e la strattonò indietro.

 

“Dammi una forcina.” pretese.

 

La ragazza lo guardò con un interessante miscuglio di incredulità ed irritazione: “Tu non entrerai con la forza!” sibilò “E se lo farai, puoi farti arrestare da sola!”

 

“Sono venuto qui altre volte, Gabriella,” insistette il ragazzo “Zeke lavora al secondo piano. Tutto quello che dobbiamo fare è irrompere, sgattaiolare lassù e parlargli. Capirà.”

 

“Irrompere?” Gabriella sembrava pronta a sputare fuoco “Irrompere?”

 

“E’ per Sharpay,” rimbeccò Troy “Stiamo cercando di aiutarla, ricordi? E al primo segno di una porta chiusa…”

 

“Vuoi dire un precedente criminale!”

 

“…sei già pronta a lasciare tutto? Dov’è il tuo vigore?”

 

“Io sono piena di vigore!”

 

“E allora andiamo! Questo è per Sharpay, la nostra…” Troy fece una smorfia di disgusto “…amica.

 

Gabriella era silenziosa: “Non so perché ti do retta.” disse infine. Riluttante, come se la stesse assolutamente uccidendo, portò una mano tra i capelli e prese una forcina. La porse a Troy, che con un’appena udibile ‘evviva’, appiattì la forcina e la inserì nella serratura.

 

“Sai cosa stai facendo?” sibilò lei.

 

“Rilassati.”

 

“Se mi buttano fuori dalla facoltà di medicina per questo…” minacciò.

 

Troy mosse un’ultima volta la forcina nella toppa, prima che si sentisse un inconfondibile click e che la porta si liberasse dalla chiusura: “Non te l’avevo detto?” guardò dritto la mora, la spavalderia chiaramente identificabile nella sua voce. Mise una mano sul pomolo della porta per aprirla: “Andrà tutto…”

 

In quel preciso istante, lo strillo di un allarme che ricordava molto Sharpay si spanse nell’aria.

 

“Bene?” gridò Gabriella sopra il rumore. Lanciò a Troy un’occhiata acida: “Stavi per dire che sarebbe andato tutto bene?”

 

Senza parlare, lui le prese la mano in un movimento veloce e la condusse all’interno del ristorante.

 

“Che stai facendo?” pretese di sapere la ragazza. Il panico le colorava le parole: “Dobbiamo uscire da qui prima che arrivi la polizia!”

 

“Stai scherzando? Dobbiamo trovare Zeke!”

 

“Voi due!” un uomo dal forte accento, con dei folti e ricci baffi, apparve alla porta della cucina. Teneva in mano un coltello da macellaio, macchiato di sangue animale. Gabriella scomparve dietro a Troy “Cosa state facendo voi due qui? Siamo chiusi!”

 

“Dobbiamo vedere un amico. Ci metteremo solo un minuto!” provò a ragionare Troy.

 

“Troy,” grugnì Gabriella dal profondo della gola. Gli strinse la spalla e provò a spingerlo fuori dalla porta “Ha un coltello. Sai cosa fanno i coltelli? I coltelli posso tagliare le persone! Specialmente le persone che irrompono nel loro ristorante!”

 

“No!” l’uomo iniziò a marciare verso di loro “Siamo chiusi! Uscite da qui!”

 

Troy deglutì, gli occhi che guizzavano alle scale verso il piano successivo del ristorante: “Gabriella,” le strinse forte la mano “Usciamo da qui.”

 

Gabriella sospirò di sollievo: “Ora stai… argh!” strillò quando Troy la trascinò non fuori dalla porta e lontano dall’uomo pazzo con il grande coltello, ma su per le scale del ristorante “Sei diventato matto?” gridò “Dobbiamo uscire! Dove stiamo andando?”

 

Oltrepassarono un segnale di ‘Riservato al personale’ mentre Gabriella protestava che non erano del personale, dando solo più incentivo all’uomo pazzo con il grande coltello di tagliarli in tanti piccoli pezzettini. Al piano di sotto, potevano sentire delle urla in una lingua straniera e un tramestio di passi su per le scale. Infine, si trovarono in una cucina vuota, gli incipienti passi che diventano più forti ogni secondo che passava.

 

“Cosa facciamo adesso, Einstein?” Gabriella si girò verso Troy, le labbra strette “Aspettiamo di essere mutilati da un branco di cuochi impazziti con dei grandi coltelli?”

 

“Ci nascondiamo.” rispose il ragazzo come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Osservò velocemente la cucina, prima che i suoi occhi si posassero infine su un grande contenitore di plastica posato nel mezzo di un tavolo. Era coperto da una rete e da della carta, e con un po’ di ristrettezza, sembrava che potesse quasi contenere due persone che si nascondevano da un branco di cuochi impazziti con dei grandi coltelli “Lì dentro.” sussurrò a Gabriella.

 

“Lì dentro? Che cos’è?”

 

“Che importa?” l’aiutò a salire sul tavolo e ad entrare in quell’aggeggio, prima di calarsi nel contenitore accanto a lei.

 

“Ahia, è il mio piede quello!”

 

“E quella è la mia testa!”

 

“Che ovviamente non serve a niente, perché se avessimo ascoltato me, saremmo al sicuro e non staremmo per finire sei metri sotto terra!”

 

La porta si aprì improvvisamente, accompagnata da un turbine di voci confuse che suonavano sospettosamente come ‘Uccideteli’. Troy e Gabriella abbassarono istintivamente la testa ancora di più nell’oscurità. “Dove sono?” gridò una voce “Hai detto che erano saliti!”

 

“Sono saliti! Non so dove sono andati!”

 

“Svelti, controlliamo il terzo piano.”

 

“E’ inutile,” disse qualcun altro “C’è l’ascensore al terzo piano, ricordate? L’ascensore che porta dritto al primo piano. Sono probabilmente a metà strada per il Messico ormai.”

 

“Dobbiamo aumentare la nostra sicurezza. Zeke, assicurati di questo.”

 

“Sì, signore.”

 

Alla voce familiare, Troy e Gabriella quasi saltarono per l’eccitazione. Troy spostò la testa di un centimetro e fissò la ragazza, i suoi occhi che dicevano ‘Te l’avevo detto’ nel più ovvio dei modi. Lei alzò gli occhi al cielo e si portò un dito al collo, ricordandogli il corrente impiccio in cui erano.

 

“Come sta andando la torta per quella festa degli scapoli di stasera, Zeke? L’hai già iniziata?”

 

“Non ancora, signore, ma potrei aver bisogno di un po’ d’aiuto.”

 

“Lo farò io. Tutti gli altri, ritornate a lavorare. Vado un attimo fuori a fare due cose prima. Tornerò a darti una mano tra poco, Zeke.”

 

“Grazie, signore.”

 

Ci fu un brontolio collettivo quando il capo richiamò tutti gli altri al lavoro e i passi del personale lentamente uscirono dalla stanza.

 

“E’ sicuro adesso?” mormorò Gabriella.

 

Troy scosse leggermente la testa: “Aspetta…” sussurrò.

 

Potevano sentire i fischiettii allegri di Zeke mentre si aggirava per la cucina, aprendo cassetti e frigoriferi. A volte, urtava il tavolo su cui Troy e Gabriella erano rannicchiati, cosa che rendeva loro molto difficile non cadere. Infine, lo sentirono avvicinarsi al tavolo ancora una volta. Cantava a bassa voce mentre lavorava affianco a loro.

 

“Zeke…” sussurrò Troy più piano che potè. Non ci fu risposta salvo che il rumore degli strumenti sul tavolo.

 

“Zeke…” intervenne Gabriella. Alla fine il lavoro si fermò.

 

“Zeke!” Troy afferrò l’opportunità “Zeke, sono Troy!”

 

Poterono udire il ragazzo deglutire: “Chi è là?”

 

Gabriella si alzò un poco così che la sua testa potesse spuntare dal contenitore: “Ze…” si lasciò scappare un urlo smorzato quando il ragazzo afro-americano cercò di colpirla con una spatola.

 

“Gabriella?” mormorò Zeke. Lasciò cadere la spatola e corse al contenitore. Ci guardò dentro e vide il ghigno imbarazzato di Troy “Troy? Cosa ci fate voi due qui? E dentro?

 

“Stavi cercando di uccidermi con quella spatola?” borbottò la ragazza. Si toccò protettiva la sommità della testa “Mi hai quasi decapitata!”

 

“Pensavo che foste i ragazzi che sono entrati di nascosto!”

 

Troy e Gabriella si scambiarono un’occhiata.

 

Zeke rimase a bocca aperta: “Voi eravate i ragazzi che sono entrati di nascosto!”

 

“Zeke, ascolta,” disse il castano a voce bassa. Guardò il suo vecchio amico “Siamo venuti a trovarti.”

 

“Dovete uscire da lì ragazzi!” rispose urgentemente Zeke. Si girò per controllare se il suo capo era ancora impegnato “Finchè il mio capo è ancora nel suo ufficio. Siete in una torta da stripper!”

 

Gabriella alzò le sopracciglia: “Una torta da stripper?”

 

“Sai, quelle torte a Vegas,” spiegò Troy “E’ il tuo compleanno, o il tuo addio al celibato, ti portano la torta e la spogliarellista ci salta fuori.” al sorriso accorto di Gabriella, s’impappinò “Non che io abbia avuto esperienze di prima mano o altro…”

 

Gabriella annuì: “Uh-uh, certo…” si girò verso Zeke “Ascolta, Sharpay si sta per sposare e…”

 

Zeke sbiancò e spalancò gli occhi: “Si sta per sposare?” ripetè piano. Sembrava un cucciolo ferito “Qu-quando?”

 

“Tra due giorni,” rispose Troy “E abbiamo bisogno di una torta.”

 

“Una torta?” Zeke era ancora sbalordito.

 

“Una torta.” confermò Gabriella.

 

“La torta!” il capo uscì dal suo ufficio ed immediatamente Troy e Gabriella scomparvero nella loro torta da stripper “Direi di iniziare, Zeke. Stasera questa torta andrà a qualche ragazzo fortunato!”

 

Zeke uscì dal suo intontimento e annuì: “Certo, certo.” sorrise rassicurante. Pensando velocemente, prese un rotolo di fogli d’alluminio e con un’ultima occhiata spaventata a Troy e Gabriella, coprì la punta del contenitore con l’alluminio.

 

Gabriella si girò per guardare in cagnesco Troy. Almeno pensava fosse Troy; era buio, e lei poteva anche stare guardando le pareti della torta da stripper: “E’ tutta colpa tua,” disse sottovoce “Non posso credere di essere in una torta da stripper. Perché questo tipo di cose succedono sempre quando sono con te?”

 

“E’ un dono.”

 

“Hai sentito qualcosa, Zeke?”

 

“No,” potevano udire la voce smorzata di Zeke “Sono molto silenzioso, vero?” disse, battendo la mano contro la torta da stripper.

 

Ci fu uno spruzzo di glassa sui bordi del contenitore, il primo di molti.

 

“Io non ti parlo più.” sbuffò silenziosamente Gabriella “Non voglio sentire un suono da te finchè non usciamo da questo pasticcio.”

 

Potè quasi sentirlo ghignare.

 

“Suono.”

 

 

###

 

 

Parecchie ore dopo.

 

Luogo indeterminato.

 

Il sobbalzo di un furgoncino svegliò Gabriella. Potè sentire il motore spegnersi sotto i suoi piedi e lo sbattere delle portiere mentre dei passi si avvicinavano a loro.

 

“Troy,” sussurrò “Troy, svegliati.”

 

“Non ne ho voglia.”

 

Gabriella roteò gli occhi: “Togli la testa dal mio petto.”

 

“Comodo…” borbottò assonnato.

 

“Siamo arrivati.”

 

“Arrivati dove?”

 

Gabriella rimase silenziosa per un secondo: “Non lo so, esattamente.”

 

Ci fu una folata d’aria quando le porte del furgoncino si aprirono. Tre paia di piedi si avvicinarono a loro, spingendo la tavola su cui erano posati giù per una rampa.

 

Ci fu un altro duro sobbalzo: “La spogliarellista è dentro?” domandò una voce rauca.

 

“Ehm, sì.” poterono sentire la risata nervosa di Zeke.

 

“Meraviglioso.” disse qualcun altro “So che siamo solamente i ragazzi delle consegne, ma non ci muoveremo per un po’. Sei lo chef? Cosa fai qui?”

 

“E’ una grande torta. Voglio vedere, ehm, le persone che se la gustano.”

 

Gabriella deglutì il suo pranzo mentre la tavola veniva condotta sul sentiero dissestato: “Cosa facciamo?” mormorò “Visto che loro si aspettano che salti fuori la stripper e siamo noi?”

 

“Togliti i pantaloni.” ordinò Troy.

 

“Io non mi tolgo i pantaloni.” bisbigliò sprezzante Gabriella.

 

“Come faranno a credere che siamo degli spogliarellisti allora?”

 

“Noi non fingeremo di essere spogliarellisti.”

 

“Questa è una torta da stripper, giusto?”

 

“Smettila di dire torta da stripper.”

 

“Beh, non è una crostata.”

 

La tavola si fermò improvvisamente e il trillo di un campanello potè distinguersi prima di un improvviso scoppio di chiacchiere eccitate e grida da dentro la casa.

 

Gabriella roteò gli occhi. A chi mai poteva piacere una torta da stripper?

 

“Ho una consegna per Ben Johnston?” esclamò la voce smorzata del ragazzo delle consegne “Firma qui?”

 

“Ehi, amico!” gridò qualcuno. La tavola fu portata in casa e Gabriella avvertì Troy tremare per delle risate incontrollabili. Non sapeva cosa lui potesse trovare così divertente nelle circostanze in cui si trovavano “E’ arrivata la torta! Okay, ragazzi, sedetevi. Ora, la torta qui è per il mio amico, Ben. Domani sarà legato…”

 

“Amico. Mi hai preso una torta con una spogliarellista dentro?”

 

“Il mio regalo per te, fratello.”

 

Cadde il silenzio.

 

“Cosa facciamo?” sibilò Gabriella.

 

“Strip?” suggerì Troy.

 

“Amico, ma la torta sta sussurrando?”

 

“Amico, quante spogliarelliste ci sono lì dentro?”

 

Zeke tossì incisivo.

 

“Troy,” Gabriella afferrò la manica della sua camicia, il viso colorato di panico “Troy, cosa facciamo?”

 

Senza rispondere, ma senza dubbio con un ghigno malizioso, Troy saltò su dalla sua posizione dentro la torta: “EHI-LA’!” gridò felicemente. Prima che Gabriella potesse solo elaborare l’imbarazzo, il ragazzo usò una mano per strattonarla su e l’altra per sbottonare abilmente la sua camicia. Glassa e pezzi di torta volarono per la stanza, atterrando su ogni superficie possibile, benchè principalmente su Troy e Gabriella.

 

“Troy!” strillò Gabriella, stringendo di nuovo i lembi della camicia.

 

Zeke si prese la testa tra le mani, nell’angolo.

 

“Amico, mi hai preso uno stripper gay?”

 

“No! Lo giuro, fratello! Ho detto loro di assicurarsi che ci avrebbero dato Chrystal un milione di volte!”

 

Troy prese un pezzo di torta dai suoi capelli e l’assaggiò, nemmeno preoccupandosi di nascondere quanto ridicolosamente divertente trovasse la situazione: “Ora, ragazzi, non assaliteci tutti in una volta. Mettetevi in fila.”

 

“NOI,” urlò Gabriella con tutto il fiato che aveva. Si girò verso Troy, il viso rosso di rabbia “CE NE ANDIAMO. ADESSO.” ignorando le sue proteste, affondò le unghie nel suo polso e scattò fuori dalla stanza.

 

Zeke cercò di seguirli senza dare nell’occhio, il viso gonfio per lo sforzo di trattenere le risate.

 

“Ehi, aspettate! Avevamo ordinato una spogliarellista!

 

 

 

To be continued

 

 

 

 

Premetto che nemmeno io so come andrà a finire, visto che il secondo capitolo originale non è stato ancora pubblicato. Ma io l’adoro già, e mi fa ridere XD

 

Non dipenderà da me la pubblicazione della fine, ma spero arrivi presto, perché anche io, come spero voi, sono curiosa.

 

Un commento, lungo o corto, per dire se vi è piaciuta o no, se e dove vi ha fatto ridere, sarebbe un grande regalo sia per me che per l’autrice.

 

Un bacione a tutti

 

Hypnotic Poison

 

 

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Capitolo 2
*** Tu salti, io salto, ma devo proprio? ***


Capitolo due: Tu salti, io salto, ma devo proprio

 

Capitolo due: Tu salti, io salto, ma devo proprio?

 

Sharpay Evans osservava la scena davanti ai suoi occhi con irritazione. Gabriella, ricoperta di torta, stava strillando a pieni polmoni, ovviamente agitata per qualcosa, ma era piuttosto difficile decifrare ciò che stava urlando. Tutto ciò che Sharpay poteva intendere era “torta” e “spogliarellista” e poche altre irripetibili parole. Troy, d’altro canto, appariva imperturbato e si stava ancora togliendo la glassa dalla fronte per poi mangiarla.

 

“E quando pensi che non puoi cadere più in basso, trovi la porta di un seminterrato!” strillò Gabriella.

 

Sharpay sospirò: “Gabriella, lo dico raramente alle persone che non sono me, ma tu devi smettere di urlare.”

 

“…UNA DANNATA TORTA DA STRIPPER.”

 

“Ed entrambi dovete spiegarmi esattamente che cosa intendete per torta da stripper.

 

“UNA TORTA DA STRIPPER,” ululò la mora “TORTA. DA. STRIPPER.”

 

“Non importa quanto lentamente lo dici, ancora non so cosa vuoi dire,” spiegò la bionda con una pazienza che di solito riservava ai piccoli animali o ai bambini piccoli con difficoltà d’apprendimento “Bolton, esattamente come hai mandato tutto all’aria stavolta? E cos’è, per l’amor di Dio, una torta da stripper?”

 

“Ehi,” protestò Troy con la bocca piena di torta “Come fai a sapere che è colpa mia?”

 

Gabriella strappò un pezzo di torta dai suoi capelli e lo lanciò al suo ex-ragazzo: “CERTO CHE E’ COLPA TUA. SE MI AVESSI ASCOLTATO E FOSSIMO SCAPPATI DA QUEI MATTI CON I COLTELLI AL RISTORANTE INVECE DI ANDARCI A NASCONDERE IN UNA DANNATA TORTA DA STRIPPER…”

 

Sharpay si portò una mano alla fronte: “Qualcuno deve dirmi cosa sta succedendo.

 

“E allora siamo rimasti chiusi in una torta da stripper!” ribattè Troy esasperato “E allora?”

 

“E ALLORA?” Gabriella lo guardò a bocca aperta “GUARDAMI. SONO COPERTA DI TORTA.

 

“Quindi? Ti ho risparmiato dieci dollari di cena.

 

La mora gli lanciò un’occhiataccia: “Sei incredibile,” sibilò “Non sono mai stata più umiliata in tutta la mia vita.”

 

“Sai qual è il tuo problema? Tu non sai come divertirti.

 

La ragazza strinse i denti: “Io mi diverto tantissimo. Tantissimo.

 

“Oh, davvero? E in che modo? Fammi un esempio.”

 

“Non te lo farò.” sbottò Gabriella.

 

Troy rise esageratamente di trionfo: “Perché non ce l’hai.”

 

“Ho un sacco di modi per divertirmi!”

 

“No, non ce li hai.” replicò lui.

 

Gabriella si mise un dito nell’orecchio: “Non ti sento. dichiarò ad alta voce.

 

“Ti uccide completamente che il divertimento più grande che tu abbia mai avuto è stato oggi, con me, nella torta da stripper.”

 

“E’ una stupida bugia.” sbuffò Gabriella.

 

“Non è una stupida bugia,” la imitò Troy “Ti sei divertita in quella torta da stripper!”

 

Sharpay guardava dall’uno all’altro come in una partita di tennis: “Questa torta da stripper è qualche strana metafora?” si fermò e sospirò comprensiva “Oooh, l’avete fatto da qualche parte, ragazzi?”

 

Le narici di Gabriella si allargarono, il suo viso si contorse in una smorfia: “Non ti parlo.

 

“Beh, io ti parlo ancora!”

 

“Se non la smetti di parlare in questo momento, mi metto a urlare!”

 

Troy lasciò scappare un sospiro esasperato: “Perché sei così…” fu interrotto dall’urlo acuto di Gabriella.

Fissandola per un momento, possibilmente dibattendo se mandarla o no in un asilo, saltò sul sofà degli Evans e raggiunse il lettore CD. Girò la rotella del volume al massimo cui poteva andare e spinse play. Le prime note di ‘I feel pretty [Dal musical “West Side Story”, per chi non la conoscesse XD Ndt] si spansero improvvisamente per l’intero salotto, rimbombando attraverso ognuno dei dieci amplificatori installati nella stanza.

 

Gabriella chiuse la bocca per la sorpresa. Il momento in cui smise di strillare, Troy spense la musica: “Non abbiamo finito di parlare!” gridò “Ti sei divertita! Ammettilo!”

 

Le labbra di Gabriella si curvarono e meno di un secondo dopo, aprì la bocca di nuovo per lasciar scappare un altro urlo spacca-timpani.

 

Troy roteò gli occhi e spinse ancora play: “Smettila di urlare!” le gridò sopra il caos combinato dello strillo acuto della mora e le parole di ‘so pretty and witty and ga-a-y’.

 

“Ferma la musica!” ribattè la ragazza a pieni polmoni.

 

“Smettila di urlare!”

 

Gabriella gli tirò in testa un cuscino di piume: “Ferma la musica!”

 

“SMETTILA DI URLARE.”

 

“FERMA LA MUSICA.”

 

“SMETTILA DI URLARE.”

 

“FERMA LA…”

 

Un fischio assordante interruppe il pandemonio. Entrambe le parti si zittirono in uno scioccato silenzio e Troy premette il bottone pausa sul lettore CD: “Cosa…” Ryan li guardò a bocca aperta, dall’entrata. Osservò bene Troy e Gabriella, ancora coperti di torta stantia “Che cosa state facendo?” riuscì a borbottare.

 

Troy e Gabriella si fissarono in cagnesco.

 

“Ha incominciato lei!” accusò il ragazzo, in quell’esatto momento la mora disse: “Ha incominciato lui!”

 

Ryan era stordito: “Cosa stavate…? Dove cavolo è Sharpay?”

 

Una testa bionda spuntò fuori da dietro una libreria: “E’ finita?” apparve alla vista, le mani sulle orecchie “Dio, voi due sapete come urlare. L’avete imparato da me?”

 

“Cosa diavolo è successo?” insistette Ryan.

 

“Lei è irragionevole!”

 

“Lui mi ha chiusa in una torta da stripper!”

 

Sharpay si rivolse a Ryan: “Spero che tu sappia cosa significhi, perché io no.

 

“Una torta da stripper?” interruppe una nuova, sconosciuta voce.

 

“Una torta da stripper.” Zeke si era materializzato dal nulla. Ammiccò per un attimo a Troy e Gabriella prima di spiegare: “Come quelle torte a Vegas da dove spuntano le spogliarelliste.

 

Sharpay, Ryan, Troy e Gabriella si girarono per fronteggiare i nuovi arrivati.

 

“Charlie!” Sharpay salutò il suo fidanzato. Il suo sguardo si spostò sull’uomo affianco a lui: “Zeke!” boccheggiò. Incespicò all’indietro come se la sua mera presenza la ripugnasse “Cosa stai… cosa stai facendo…?”

 

“Conosci questo ragazzo, Shar?” Charlie, un bell’uomo alto con un forte accento inglese, chiese alla sua futura sposa. Dandole un bacio sulla guancia, indicò Zeke: “Era sul nostro vialetto. Ha detto che ti stava cercando, quindi l’ho fatto entrare. È qui per il matrimonio?”

 

Sharpay, per la prima volta in tutta la sua vita, sembrava senza parole: “Sì, ehm…” mormorò incerta “Noi… noi una volta…”

 

“…uscivamo insieme,” completò Zeke “Noi una volta uscivamo insieme.”

 

Charlie sembrava insicuro: “Davvero,” disse, fingendo di essere il più noncurante possibile “Ehm, non è… carino?”

 

Ci fu un lungo, scomodo silenzio. Zeke guardava Charlie, Charlie guardava Sharpay, e Sharpay guardava il pavimento.

 

Ryan guardò Troy e Gabriella: “Fate qualcosa!” mimò pericolosamente.

 

Troy guardò Gabriella, che non gli offrì altro che una dispiaciuta scrollata di spalle. Sospirando, spinse di nuovo il play sul lettore CD.

 

I feel pretty

 

Oh so pretty

 

 

###

 

 

Da qualche parte tra l’asciugarsi i capelli e depilarsi le sopracciglia, Gabriella arrivò a sentire la mancanza di Troy. Le ricordava il giorno in cui aveva rotto con lui al liceo. Si era svegliata alle sei come aveva sempre fatto, aveva mangiato una tazza di cereali sfogliando il giornale come aveva sempre fatto, e poi aveva aspettato lo scuolabus come aveva sempre fatto. Era andata al suo armadietto come aveva sempre fatto, aveva preso fuori i suoi libri di Diritto e Letteratura come aveva sempre fatto, e si era girata per parlargli come aveva sempre fatto.

 

Eccetto che quella volta lui non era stato lì.

 

L’aveva visto in classe, ma lui non la guardava mai. L’aveva visto nei corridoi, ma lui si girava e camminava dalla parte opposta ogni volta che lei chiamava il suo nome. Le era mancato terribilmente i primi giorni. Le era mancato il fatto che le teneva un posto in classe, che l’aiutava a falsificare un biglietto cosìcchè poteva saltare ginnastica, le era mancato il modo in cui le lasciava dei semplici bigliettini nell’armadietto, raccontandole alcune barzellette divertenti che aveva sentito mentre camminava dietro a dei primini in corridoio. Ma ormai non era stato più lo stesso. Lui non le aveva più salvato un posto, non c’erano più stati sciocche battute nel suo armadietto tra le lezioni e lei aveva finito per essere bocciata in ginnastica quel semestre perché non riusciva a capire la fisica della pallavolo.

 

 E poi era successa la cosa peggiore. Si era abituata.

 

Si era abituata allo spazio vuoto accanto a lei di notte. Si era abituata a saltare le partite di basket e a Sharpay che si lamentava di non riuscire mai a capire niente di ciò che faceva nel decathlon. Si era abituata a portarsi i libri tra le classi e prendersi la sua gelatina alla fila per il pranzo. Si era abituata alla vita senza di lui.

 

Ma questa volta, era diverso. Questa volta, quasi cinque anni dopo, lei iniziava davvero a sentire la sua mancanza, e lui era solamente dall’altro lato della casa. Non aveva realizzato quanto stava bene con lui, quanto si divertiva con lui, finchè non era rimasta da sola. E questa volta, aveva paura. Aveva paura che si sarebbe abituata di nuovo.

 

Prese il suo spazzolino e il tubetto di dentifricio sul comodino. Senza pensare, perché avrebbe mollato se ci avesse pensato troppo, buttò il tubetto di dentifricio pieno nel pattume. Camminò fuori dalla sua stanza, nel corridoio e fino alla camera in cui dormiva lui.

 

La porta era aperta e lo poteva sentire cantare ‘Limbo Rock’ sottovoce. Rimase sull’entrata per un momento, guardandolo mentre era steso sul letto, che tirava una palla da basket di gommapiuma su e giù, su e giù. Tamburellò con le nocche contro la porta: “Posso prendere un po’ di dentifricio?” domandò dolcemente.

 

Lui non la guardò: “In bagno.”

 

Entrò lentamente nel bagno, aspettando che parlasse. Non lo fece. Lei aspettò, si lavò accuratamente i denti, dentro e fuori, tutt’attorno come il dentista le aveva insegnato quando aveva cinque anni. Sputò, fece i gargarismi, passò quattro volte il collutorio, due volte il filo interdentale, ma ancora, lui non disse niente.

 

Quando la sua bocca stava iniziando ad essere insensibile per l’uso spropositato di prodotti per l’igiene dentale, uscì, respirando pesantemente. Si appoggiò allo stipite e lo fissò dolcemente: “Mi sono divertita. disse alla fine.

 

Lui smise di tirare la palla. La sua testa si girò verso di lei, cadendo sul cuscino: “Sì?” sorrise forzato.

 

Lei ricambiò il sorriso: “Sì.” rispose piano.

 

“Scusa per la musica.”

 

“Scusa per le urla.”

 

Lui rise: “Avevo torto, sai,” disse lentamente dopo un momento. I suoi occhi le scrutarono il viso “Quello che ho detto ieri. Sei cambiata. Non sei più quella ragazza timida ed ingenua che eri al liceo.

 

“Certo che non lo sono. Cosa pensavi sarebbe successo?” domandò lei incredula.

 

“Non lo so,” Troy scosse le spalle “Pensavo che quando ci saremmo rivisti… sarebbe stato come era sempre stato. Che saremmo state le stesse persone che siamo sempre state.

 

“Sono cresciuta. E tu anche. Non abbiamo più diciotto anni,” disse gentilmente Gabriella. Sospirò e chiuse per poco gli occhi “Credo di essere più… coi piedi per terra. Meno idealista. Più realista. Ma sono sempre io. Solo una versione migliore. Stare lontano da casa, da mia mamma, dalla mia piccola zona di conforto… mi ha insegnato molto.”

 

Troy si spostò sulla schiena: “Eravamo così…” si fermò, pensando “Giovani,” terminò infine “Eravamo così giovani. Pensavamo che saremmo rimasti insieme per sempre.

 

“Avevamo diciotto anni.”

 

“Lo so. Come ho detto, giovani.”

 

“E stupidi.”

 

Molto stupidi.” concordò Troy.

 

“Ti ricordi di Taylor?” domandò Gabriella dopo un istante. Scosse i capelli come se il ricordo della sua vecchia amica le facesse male alla testa “Era la mia migliore amica. Avevamo promesso di chiamarci. Di scriverci. esitò “Non l’abbiamo mai fatto. L’ho chiamata una volta quando ero a Parigi, e lei ha lasciato un paio di e-mail, ma dopo un po’, ci siamo scordate.” sospirò “Pensavamo che saremmo state migliori amiche per sempre.”

 

“Le promesse sono stupide.”

 

“Ne abbiamo fatte molte al liceo, vero?”

 

“Prometto che ti amerò per sempre,” sbottò all’improvviso Troy. Le sorrise: “Suona come qualcosa che noi due da diciottenni avremmo detto, giusto?”

 

“Sharpay diceva sempre che eravamo disgustosamente sdolcinati.

 

“Eravamo diciottenni.”

 

“Giovani.”

 

“Stupidi.”

 

Molto stupidi.”

 

Lui annuì e si sforzò di sorridere: “Posso chiederti una cosa?”

 

“Qualunque. La mia vita è un libro aperto. fece una pausa, gli occhi che brillavano “Parlerò di qualunque cosa eccetto me e il presidente.”

 

Lui rise nervosamente e si sedette dritto, le mani che stringevano i lati del letto. Rimanendo in un silenzio leggero, deglutì: “Eri davvero così infelice quando eri con me?” chiese infine. Lo disse dolcemente, come se questo in qualche modo potesse mascherare il dolore che ancora lo imbarazzava avere “Quando ci siamo lasciati, hai detto che era perché eri molto triste. Ero…?” la sua voce si spense, lontana, i suoi occhi guardavano un buco nel tappeto “Voglio dire, ho davvero…?”

 

Gabriella chiuse gli occhi mentre il suo stomaco si agitava. Per auto-odio o perché davvero non avrebbe dovuto comprare quel burrito dal ragazzo in strada, non lo sapeva. Ma sperava che fosse la seconda: “Non eri…” rispose velocemente “Non era…”

 

Lui alzò gli occhi per guardarla tristemente: “Mi dispiace. si allungò e coprì la mano con la sua. Era tiepida e leggermente sudata e lei dovette stringere un lembo dei suoi pantaloncini per impedirsi di tremare “Avrei dovuto prestarti più attenzione. Avrei dovuto ascoltarti di più.

 

“Tu eri il migliore ragazzo che una diciottenne me poteva avere.” insistette piano Gabriella.

 

“Eri davvero così triste?” premette lui “Ho…?” si fermò triste “Ti ho davvero resa così maledettamente infelice?”

 

Gabriella avvertì la gola chiudersi, la testa muovere una specie di infausta guerra contro il cuore: “Io…”

 

Slam.

 

Sia Troy che Gabriella scattarono fuori dalla loro conversazione e sobbalzarono al suono improvviso.

 

“Che cos’era?” sussurrò Gabriella.

 

Slam.

 

Un quadro cadde dal muro, seguito da uno strillo molto familiare.

 

“La Shar-diavolo è a casa,” Troy rabbrividì “Cosa dobbiamo fare?”

 

“Nasconderci?” suggerì Gabriella.

 

Slam.

 

Un vaso crollò da una libreria.

 

“Forse non si accorgerà che siamo qui.”

 

“GABRIELLA. BOLTON.” i tacchi di Sharpay tuonarono lungo le scale, senza dubbio bruciando un buco nel tappeto. Arrivò ai piedi della stanza di Troy, il viso rosso di furia e i denti scoperti, come se una risposta sbagliata sarebbe stata punita con un sfortunato pranzo –sfortunato nel senso che loro sarebbero stati il pranzo “PERCHE’ AVETE PORTATO LUI QUI?” strillò.

 

Simultaneamente Troy e Gabriella si coprirono le orecchie per fermare lo scampanellio.

 

“Lui chi?” Troy finse confusione “Dio? Beh, è lusinghiero, ma era già qui quando sono arrivato.”

 

“SAI CHI INTENDO.”

 

“GABRIELLA. TROY.” un’altra serie di passi rimbalzò su per le scale. Ryan arrivò senza fiato all’entrata di Troy, il cappello di traverso: “PERCHE’ AVETE PORTATO LUI QUI?” gridò.

 

“Beh, come appunto stavo spiegando a tua sorella qui…”

 

Sharpay si voltò verso Ryan: “Di’ alla mafia di finire subito la loro fottuta crociera!” urlò “Devono sparare alle persone, dannazione!”

 

“E’ solo successo,” s’inserì velocemente Gabriella, nel tentativo di allentare la potenzialmente esplosiva situazione “Stavamo cercando qualcuno che ti preparasse la torta. E non potevamo trovare nessuno che l’avrebbe fatto con così poco preavviso, quindi siamo andati a trovare Zeke. E dato che voi due eravate… voglio dire, dato che noi tutti eravamo così uniti al liceo, ho pensato che lui avrebbe potuto essere capace di darci una mano.

 

“DARCI UNA MANO?” s’infuriò Sharpay “PERCHE’ NON MI HAI SEMPLICEMENTE PUNTATO UNA PISTOLA ALLA TESTA E NON MI HAI SPARATO, INVECE?”

 

“Avremmo dovuto farlo, invece.”

 

“Beh, qual è il problema?” chiese Gabriella “Non vi siete divertiti a cena? Pensavo che sarebbe stato divertente per tutti voi frequentarsi.

 

“Divertente come l’herpes, forse,” commentò Ryan alzando gli occhi al cielo “Zeke vuole parlare.”

 

Parlare?” esclamarono all’unisono Troy e Gabriella, con la stessa enfasi.

 

Parlare,” confermò il biondo “La cena è stata come mangiare in una camera ardente, e dopo, Zeke si è preso la briga di chiedere a Sharpay se potevano parlare privatamente.”

 

“E che ha detto Charlie?”

 

“Cos’avrebbe dovuto dire?” gemette Sharpay “Ha solo detto buona notte ed è andato a casa!”

 

Gabriella emise un suono comprensivo: “Allora cosa farai?”

 

“Non lo so!” la bionda sembrava prossima alle lacrime “Neanche per idea noi possiamo parlare!”

 

“Che ne dici di usare le vostre bocche e lingue?” osservò impassibile Troy.

 

“Lui dirà che vuole che torniamo insieme e poi farà quella stronzata deldevi fare una scelta’! E io non voglio ferirlo! Non lo voglio davvero! Ma amo Charlie,” esclamò Sharpay. Appoggio la testa allo stipite, emettendo un rumoroso sospiro “Sul serio. E Zeke è un ragazzo così caro; non voglio ferirlo. Ma io amo Charlie.

 

“Tu provi amore?” Troy sollevò le sopracciglia. Si fermò opportuno “Davvero?” domandò scettico, l’espressione contorta.

 

Gabriella gli diede una gomitata nelle costole: “Shar, mi dispiace,” mormorò comprensiva. Si alzò e diede alla sua vecchia amica un caldo abbraccio “Lo sono davvero. Se c’è qualcosa che possiamo fare…”

 

Sharpay tirò su con il naso: “In realtà…” s’illuminò visibilmente, cosa che portò Troy a fare una sorta di strano suono come di clacson dal profondo della gola.

 

Si tuffò a capofitto nel cuscino come un bambino insolente: “No,” protestò con voce smorzata “No! Sono stanco! Voglio andare a letto! Non voglio passare tutta la notte a massaggiarti i piedi e a lavarti con la spugna!”

 

“Troy…” lo ammonì Gabriella.

 

“No! È stata Gabriella a dire ‘se c’è qualcosa che noi possiamo fare’! Non c’è nessunnoi’! Io sono un pronome involontario!”

 

E’ colpa tua,” disse cupa Sharpay “Ora, grazie a te, il ricordo del mo fidanzamento sarà macchiato per sempre.”

 

Ryan e Gabriella annuirono comprensivi, mentre Troy fece un altro bizzarro suono di gola: “Non m’importa di quello che dici,” ribattè testardamente “Vado a letto.”

 

“Il giorno più importante della mia vita,” Sharpay tirò drammaticamente su con il naso, mentre Ryan le sventolava un fazzoletto davanti al viso “Ro- rovinato.” balbettò lacrimosa.

 

Troy non mosse la testa e invece alzò la mano nella maniera ‘ragazza, per favore’ o ‘parla alla mano’.

 

Gabriella sospirò e con un’altra occhiata sprezzante allo strano ed effeminato gesto di Troy, si voltò verso la sua bionda amica: “Io ti aiuterò, Shar,” esclamò “Qualunque cosa ti serva. So che stai attraversando un momento difficile. E per quanto valga, ci dispiace di aver trascinato Zeke in questa cosa.”

 

“Beh, ecco tutto,” rispose Sharpay “Devi parlare di questo con Zeke al posto mio. Devi dirgli che mi sto per sposare… no, che mi voglio sposare. Devi dirgli che non voglio ritornare insieme a lui.”

 

Gabriella alzò un sopracciglio: “Non pensi che dovresti farlo da sola?” dopo l’occhiata truce di Sharpay e l’inizio del discorso ‘prima di tutto, voi due mi avete ficcata in questo’, continuò frettolosamente “Lo andrò a trovare domani.

 

“No,” Sharpay scosse la testa “Devi andarlo a trovare stanotte. Domani c’è la cena di prova e non voglio che ci siano questioni irrisolte tra di noi, se capisci cosa intendo.”

 

“Sharpay, è l’una del mattino,” protestò Gabriella “Lo andrò a trovare domani, per prima cosa.”

 

Lo sguardo della bionda si oscurò ancora, e Ryan intervenne velocemente: “Sharpay ha detto che l’avrebbe incontrato al ristorante in mezz’ora.

 

Gabriella si alzò e si trascinò alla porta: “Okay, va bene,” borbottò incerta “Ma penso ancora che sia una cosa che dovresti fare tu stessa.” guardò Troy che era ancora steso sul letto, il cuscino sopra la testa “Vieni, Troy?”

 

“No.” grugnì lui.

 

Ryan si girò per lanciarle un’occhiata comprensiva, ma Gabriella alzò la mano e mimò ‘aspetta’. Contò i secondi sulle dita, e nel momento in cui il mignolo si chiuse sul palmo, Troy si lasciò scappare un suono frustrato e si alzò riluttante dal letto, lamentandosi sotto voce.

 

Gabriella sogghignò: “Te l’avevo detto.”

 

 

###

 

 

La corsa al ristorante fu silenziosa tranne che per due casi. Il primo fu quando Troy le chiese se aveva fame e lei rispose di no, e si fermarono ad un supermercato notturno e comprarono comunque una barretta al cioccolato e una brioche alla marmellata. Lui la conosceva troppo bene, pensò Gabriella di malumore, quando la corsa era finita e lei aveva l’incarto spiegazzato di una mega confezione di Mars sulle gambe e la marmellata di albicocca attorno alla bocca. Il secondo fu quando lei gli chiese se avesse allacciato la cintura e lui rispose che l’aveva fatto.

 

Senza la (rumorosa) presenza dei gemelli Evans, d’improvviso, si ritrovarono da capo. Non proprio amici, non proprio nemici. La conversazione era stentata e l’atmosfera era imbarazzata; i rimanenti segni del loro precedente discorso soffocavano la loro curiosa, quasi-ma-non-proprio relazione.

 

Troy parcheggiò fuori dal ristorante, i lampioni che si dimostravano inutili, fornendo poco più di una pallida illuminazione dei dintorni. Socchiuse gli occhi quando uscì dalla macchina, cercando qualche segno di Zeke.

 

“Non vedo nulla,” osservò Gabriella. Le venne la pelle d’oca quando entrò in contatto con il vento gelido, dimostrando che anche la soleggiata California non era immune al tempo freddo.

 

Allacciandosi le braccia al petto, si calciò mentalmente per non essersi cambiata; la sua vecchia maglietta, il cardigan tarmato e i pantaloni del pigiama di Spongebob non erano solo un crimine contro la moda, ma anche contro degli innocenti membri della società che avrebbero voluto conservare la loro vista. Una veloce occhiata a Troy mostrò che a lui non stava andando molto meglio; i suoi pantaloni avevano un enorme buco in un ginocchio, e ovviamente aveva preso in prestito degli accessori di stile da Sharpay; nei piedi indossava delle ciabatte rosa pelose.

 

Lui la catturò intenta nell’osservare la sua curiosa scelta di calzature: “Avevo freddo ai piedi,” borbottò in difesa “E le mie scarpe si stanno ancora asciugando dalla torta.”

 

“Ho dei bellissimi gioielli francesi,” esclamò innocente Gabriella “Ti farebbero risaltare i tuoi bellissimi occhi blu.”

 

“Ehi, non fare la spiritosa. Non sono adatti a me.

 

Gabriella sbadigliò e si appoggiò all’auto, tremando di freddo: “Non posso credere che siamo di nuovo qui,” commentò. Ispezionò assonnata la strada “Siamo fortunati che è l’una del mattino e quegli chef che ci stavano seguendo…”

 

La mano di Troy volò improvvisamente contro la sua bocca e lui si voltò in fretta: “Non guardare,” disse piano, la voce pericolosamente bassa “Non guardare, non parlare.”

 

Gabriella tolse irritata la mano di Troy: “Qual è il problema con te?” sibilò.

 

“Non guardare,” rispose lui a denti stretti, e si spostò in modo che le sue larghe spalle le coprissero la visuale.

 

“Non guardare cosa?”

 

“Il cuoco,” bisbigliò lui il più silenziosamente possibile, dando ancora le spalle al ristorante “Che ci stava seguendo stamattina. È alla porta.”

 

Gabriella cercò di aprire la gola per respirare. Stringendo forte la mano di Troy, si alzò appena per sbirciare oltre la spalla del ragazzo. Poteva vedere la grande, massiccia figura del cuoco che chiudeva le porte del ristorante.

 

“Magari lui non…” deglutì invece di finire la frase.

 

“Voi due laggiù,” rimbombò l’inequivocabile voce dell’uomo. Dopotutto, non dimentichi spesso la voce di un uomo che ti ha rincorso con un coltello “Voi laggiù?”

 

“Non rispondere,” mormorò Troy “Non fare movimenti improvvisi,” lentamente, cercò le chiavi dell’auto nella tasca “Ora, vai lenta verso la portiera.”

 

“Ehi!” esclamò il cuoco “Mi avete sentito?”

 

“Va tutto bene,” grugnì Troy, varie ottave sotto il suo normale tono di voce.

 

Ricordandosi di respirare, Gabriella si tolse lentamente dalla presa di Troy e si mosse verso la portiera.

 

“E’ l’una del mattino,” disse lo chef. Gabriella poteva sentire i suoi passi avvicinarsi alla loro auto. Più lui veniva vicino, più il cuore le batteva forte. Per favore non riconoscerci, per favore non riconoscerci, si ripeteva nella testa come un mantra. “Che state facendo qui fuori? Se state qui a fare casino come quelle altre bande…” posò una mano ferma sulla spalla di Troy e lo fece voltare. Ci mise un secondo, ma la realizzazione colpì comunque il cuoco “Tu!” boccheggiò.

 

Troy tentò un sorriso: “Ehilà.” esclamò docilmente.

 

“Hai fegato!” gridò. Si elevò a tutta la sua altezza, di parecchi centimetri più alta di Troy “Entri nel mio ristorante! Mi rubi Dio solo sa quanti soldi! Mi rovini la giornata! E torni di nuovo?” scosse la testa come se potesse appena crederci. Stringendo il polso di Troy, il suo viso si contorse in una smorfia “Bene, adesso ti ho preso! Ti porto dritto alla stazione di polizia!”

 

“Mi dispiace?” Troy sfoderò il suo sorriso più affascinante.

 

“Oh, davvero?” ringhiò il cuoco “Faresti bene! E anche la tua ragazza!” volse la testa verso Gabriella.

 

“Oh lei non è la mia ragazza,” corresse Troy nello stesso momento in cui Gabriella si affrettava ad esclamare: “Oh, non stiamo insieme.”

 

Il cuoco aveva l’aria di uno a cui non gliene fregava niente: “Non me frega niente.” disse esasperato.

 

“Ma non è questo che mi dispiace.” continuò Troy.

 

“Ah sì?”

 

Senza preavviso, il pugno del ragazzo volò contro la faccia dello chef. Mentre quest’ultimo gemeva di dolore, Troy liberò il polso dalla presa del suo rapitore: “Forza!” gridò a Gabriella che ancora fissava ammutolita il sangue che sgorgava dal naso del cuoco. Le prese la mano e sfrecciarono lungo la strada.

 

“Gli hai appena dato un pugno!” gemette Gabriella senza fiato mentre correvano “Sarebbe stato molto più semplice se avessimo solo chiesto ad una giuria di metterci in prigione dai cinque ai dieci anni!”

 

Ci fu un ruggito di rabbia dal fondo della via, seguito da una serie di imprecazioni in una lingua straniera. Potevano sentire il turbinio dei passi dietro di loro mentre il cuoco li seguiva. Troy guardò Gabriella e sorrise birichino: “Déjà vu?” scherzò.

 

“Ti odio, Troy Bolton,” sibilò lei “Se ci uccide, non ti parlerò mai più.”

 

“Posso convivere con questo.”

 

“E poi dirò a tutti delle tue ciabatte!”

 

Troy chiuse immediatamente la bocca. Rubando un’occhiata dietro di lui, potè vedere il cuoco conquistare lentamente terreno contro di loro. Si morse il labbro e si girò ancora; le morbose grida di “Vi ucciderò!” del cuoco stavano incominciando a sconcertarlo. Si guardò attorno urgentemente.

 

All’improvviso, Gabriella gli tirò il polso: “Troy,” ansimò “L’hotel!” indicò il grande e lussuoso hotel aldilà della strada, le sue luci chiare richiamavano letti comodi, un pasto caldo e un rifugio da uno chef pazzo che cercava di ucciderli.

 

Schizzarono tra il traffico e fino alle scale dell’hotel, investendo nel processo il cameriere e il fattorino con un carrello di bagagli. Potevano sentire le urla maniache del cuoco dietro di loro e un’altra sinfonia di auto suonanti mentre attraversava la strada.

 

“Andiamo.” esortò Troy e la tirò di nuovo per mano, volando dentro l’hotel.

 

La reception era vuota a quell’ora del mattino tranne che per poche solitarie donne delle pulizie. Stravagante com’era l’hotel, avevano ovviamente adattato una strategia decorativa delmeno è più’, che non serviva vantaggi a coloro che cercavano di nascondersi da un assassino.

 

“L’ascensore.” boccheggiò improvvisamente Gabriella. Corsero dentro un ascensore, proprio mentre il cuoco irrompeva nell’hotel.

 

“Oh, merda,” imprecò Troy mentre premeva quanti pulsanti riusciva con il pugno. Il cuoco li individuò dall’altra parte della reception e lanciò un grido, scavalcando con un salto una pianta e slittando verso di loro “Oh, merda, oh, merda.

 

“Vai, vai, vai,” Gabriella cercò di incoraggiare l’ascensore. Ad un tratto, come se l’avesse sentita, un campanello suonò e le porte si chiusero. Mentre la musica dell’ascensore iniziò a suonare un’allegra ed inappropriata canzone per l’occasione, videro qualche pelo dei baffi del cuoco catturato tra le porte “Oh, Dio,” la mora lasciò andare il fiato che aveva trattenuto “Oh, Dio, pensavo ci avesse preso. Che facciamo adesso?”

 

Troy le prese di nuovo la mano quando le porte si aprirono: “Torniamo giù. rispose e premette il pulsante per la reception.

 

Gabriella si accigliò: “Come hai detto?”

 

“Torniamo giù,” spiegò il ragazzo “Senti, lui si aspetta che noi andiamo su, e ci aspetterà su. Ma noi andiamo giù e lasciamo l’hotel.”

 

“Suona troppo ovvio per essere una buona idea.

 

“Fidati di me.”

 

Le porte dell’ascensore si aprirono di nuovo, e davanti a loro apparve la reception dell’hotel. Uscirono cauti, controllando l’area alla ricerca del cuoco. Poiché lui non era in vista, uscirono completamente, cercando di sembrare più casuali possibili. Camminarono mano nella mano per l’ingresso, gli occhi in cerca del loro inseguitore.

 

Quando arrivarono alla porta, tirarono entrambi un sospiro di sollievo: “Ce la siamo scampata per miracolo. Pensavo che stessimo per…” Gabriella fu interrotta da un urlo dall’altra parte dell’atrio. La coppia si girò per vedere il cuoco emergere da una scala, urlando a pieni polmoni, agitando le braccia sopra la testa.

 

Troy lanciò un’occhiataccia a Gabriella: “Hai gufato. la rimbeccò, prima di tirarla ancora per mano e sfrecciare fuori dalla porta. Corsero attorno al lato dell’hotel, prima di trovarsi ad affrontare un recinto di metallo. Guardandosi velocemente attorno per assicurarsi che lo chef fosse ancora ad una distanza considerabile, sollevò Gabriella sul recinto: “Scala.” le istruì mentre il cuoco balzava fuori dall’hotel in un attacco di rabbia “Vai, vai, vai,” la esortò.

 

“Sto andando.” grugnì Gabriella, ed atterrò con un tonfo dall’altro lato dello steccato, seguita poco dopo da Troy.

 

Corsero lungo il lato del costoso hotel, senza parlare (od urlare) questa volta per risparmiare energie. Gabriella non aveva fatto così tanto esercizio dall’ultimo anno di liceo e trovò il suo cuore battere innaturalmente contro il suo petto e il sangue affluirle in viso. Si appuntò di ringraziare sua madre per la figura esile, visto che era sicura che senza i giusti geni, sarebbe stata obesa in quel momento.

 

“Oh, ragazzi,” grugnì Troy quando raggiunsero la fine della lunghezza dell’hotel. Non c’era assolutamente un posto dove nascondersi. Nient’altro che una piscina olimpionica e qualche albero antico occupavano l’area nel retro dell’hotel.

 

“L’albero,” boccheggiò Gabriella, senza fiato. Indicò uno degli alberi imponenti “Non c’è altro posto dove nascondersi se non lassù.

 

Troy annuì e con uno sguardo veloce dietro di lui, sollevò gentilmente Gabriella su un nodo del tronco dell’albero più grande. Lei iniziò ad arrampicarsi lentamente e lui poteva sentirla imprecare a bassa voce.

 

“Questo non è un buon momento per dirti che ho paura delle altezze, vero?” sussurrò.

 

“Gabriella,” replicò urgentemente Troy dietro di lei “Spicciati, o non arriverai mai più così in alto. Sei metri sotto terra, se capisci ciò che intendo. rimase zitto un secondo “E sì, ti sto guardando il sedere.”

 

Gabriella roteò gli occhi: “La notte che ti ha fatto, Dio doveva essere stato ad una grande festa.

 

Ci fu un turbinio di passi quando il cuoco arrivò a loro. Gabriella e Troy si arrampicarono nei confini frondosi dell’albero mentre il cuoco controllava la zona, sempre imprecando ad alta voce: “So che siete qui!” gridò “Venite fuori! Ho ancora intenzione di uccidervi appena vi trovo!”

 

Il vento aumentò e Gabriella deglutì la sua brioche mentre l’albero ondeggiava da una parte e dall’altra, e la loro posizione così in alto era precaria.

 

Una raffica particolarmente violenta fece agitare le foglie attorno a loro e i rami dell’albero si mossero pericolosamente. Un gridolino smorzato scappò dalle labbra di Gabriella e con un lampo d’orrore negli occhi, Troy le premette la mano sulla bocca.

 

Ma era troppo tardi. La testa del cuoco scattò nella loro direzione e i suoi occhi brillarono vittoriosi. Corse alla base dell’albero, e con una risatina maligna che Gabriella pensava non esistesse al di fuori delle favole, iniziò ad arrampicarsi. La sua corporatura pesante lo rendeva molto lento e faticava a farsi strada nell’albero, ma questo non eliminava il fatto che erano intrappolati. Non c’era nessun luogo dove andare, tranne giù, e questo era molto fuori discussione a meno che non volessero fare la conoscenza del marciapiede.

 

Gabriella strinse forte il braccio di Troy, gli occhi ancora puntati sullo chef che si stava divertendo con tutti i vari modi di morte che avrebbe potuto infliggere loro: “Beh,” disse lei deglutendo “E’ stato bello conoscerti. Ho vissuto una bella vita, davvero. Ho viaggiato. Ho visto il mondo. Credo che mi sarebbe piaciuto vedere la mamma un’ultima volta ma…”

 

Troy la interruppe: “Nuotare.”

 

Gabriella lo fissò: “Cosa?”

 

I suoi occhi erano fissi sulla piscina sotto di loro: “Sai nuotare?” ripetè.

 

Gli occhi di Gabriella si spostarono dai suoi alla piscina e poi ancora agli occhi blu prima in incredulità poi in sgomento ed orrore: “La domanda rilevante non è sai volare?” scattò.

 

“Devi imparare ad essere più positiva.”

 

“Sono positiva che non posso farlo! Sono positiva che moriremo!”

 

“Potrebbe andare peggio,” rimbeccò Troy “Potrebbe non esserci la piscina. Potrebbe esserci la piscina senza acqua.”

 

“E’ meraviglioso! Ho sempre voluto farmi una nuotata prima di morire!”

 

Troy guardò il cuoco e poi Gabriella. Si tolse i pantaloni e li tirò allo chef, che lanciò un urlo e cadde a terra per la sorpresa: “Svestiti. la istruì.

 

Gabriella lo fissò: “Lo attacchiamo con i nostri pigiama?”

 

Troy si tolse la maglietta e la tirò giù: “Gabriella, svestiti. Vorrai il meno possibile addosso quanto cadiamo in acqua.

 

“Troy, non voglio morire in biancheria!”

 

“Mi dispiace! Se avessimo saputo che avremmo fatto questo stanotte, avremmo potuto fare shopping. Ora svestiti!”

 

Con un ultimo sguardo allo chef, che si trascinava sempre più vicino, Gabriella tirò un sospiro riluttante e si tolse le scarpe, lanciandole con un tonfo sull’erba. I suoi pantaloni furono i successivi ad andarsene, prima che notasse Troy sogghignarle compiaciuto, gli occhi che scorrevano sopra il suo corpo tremante: “Ti odio, Troy Bolton. borbottò mentre si toglieva la maglietta

 

Lui ghignò: “Stai benissimo.” disse, muovendo le sopracciglia.

 

“Taci.”

 

“Ora quando lo dico, mi stringi forte la mano e salti, okay?”

 

Gabriella si spostò nervosamente sul ramo, sporgendosi per ispezionare l’acqua scintillante. Deglutì: “Troy, io non penso che…”

 

“E’ tutto okay, stai bene.”

 

Lei lo fissò sprezzante.

 

“Fidati di me,  le disse rassicurante “Quando te lo dico, prendi un respiro, chiudi gli occhi e salta.” rubò un’occhiata dietro di lui e vide il cuoco sempre più vicino. La guardò, calmando l’incontrollabile tremito della sua mano con una stretta forte “Pronta?”

 

“No…” Gabriella deglutì, sembrando sul punto di vomitare.

 

“Uno…”

 

Poterono sentire il cuoco arrancare verso di loro, ed il ramo curvarsi per il peso.

 

“Due…”

 

La piscina brillava sotto di loro, una straordinaria fusione di blu, verde ed argento.

 

“Tre.”

 

Presero un respiro all’unisono.

 

E saltarono.

 

 

 

 

To be continued

 

 

 

Ed anche il capitolo due è andato. Forse questa storia è un po’ paradossale, ma a me piace proprio così XD

 

Grazie a lovely_fairy, Angels4ever, armony_93 e Tay_ e a chi commenterà o leggerà!

 

Baci, la vostra

 

Hypnotic Poison

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