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Sul divano di un prive sta seduta, circondata da ragazzi
che allungano fin troppo le mani, una bella biondina completamente ubriaca.
Gli occhi celesti sono velati dall’oblio, vagano vacui per
la stanza.
Si soffermano su ogni cosa senza vedere niente.
Il giorno dopo non ricorderà praticamente nulla.
Si alza, ergendosi sulle lunghe, magre gambe e si sistema
la gonna vertiginosamente corta.
Barcolla sui tacchi ed avanza tentoni, sostenendosi sulle
pareti con le mani, sembra voler andare via dopo una lunga serata di follie.
Un bel moro la soccorre, prendendola per la vita, e la
guida verso il parcheggio della discoteca.
Lei lo guarda inizialmente perplessa, poi lo riconosce e si
lascia portare.
Si frequentano da sempre, sa che non le vuole fare del
male.
Il ragazzo le inculca un casco in testa e la carica dietro
di sé.
Lei gli passa le braccia intorno al suo robusto torace, con
le dita afferra la giacca di pelle del suo salvatore.
Dopo una lunga corsa, la moto si ferma davanti ad una
sontuosa villetta.
Aiuta la ragazza a scendere: si era addormentata.
Ride forsennatamente, fin troppo sguaiatamente per una come
lei.
Ed urla un nome: “Shikaaaaa! Mi vedi? Sono quiiiii!”.
Il ragazzo moro le tappa la bocca con una mano, poi citofona.
Dopo un bel pezzo, risponde qualcuno.
Una voce maschile, rauca, assonnata.
“Ma si può sapere chi è a quest’ora?”
“Shikamaru, sono io, Kiba. Lo so che ti rompo, ma ho con me
Ino. Sta male, ha bevuto troppo, non so da chi lasciarla…Non potresti prenderla
tu?”
“Santo Dio ma sempre a me? Senti, portatela tu, io ho qui
con me Temari che dorme e…beh non la prenderebbe troppo bene se se la
ritrovasse qui domattina.”
Ad un tratto lei riesce a divincolarsi ed urla al citofono
“Shika sei stupendo! Non mi vuooooi? Hai paura che quella
troia si arrabbi perché mi trova da teeee? Perché non mi vuooooi?”
La voce è strascicata, più acuta del solito. Le parole le
muoiono in gola, rotte dal pianto.
Si stringe a Kiba, nascondendo il volto nel suo petto.
“Non mi vuole…non mi vuole nessuno…sono…sono solo la bionda
da una notte e via…tu..tu mi vuoi?” chiede speranzosa.
Lui le sorride, la stringe tra le braccia, allunga il collo
verso il citofono per un’ultima comunicazione per rassicurare l’amico.
“Ok Shikamaru, me la porto a casa io.”
E di nuovo in moto fino ad un casale rustico. Accolti da
una muta di cani, i due scendono e Kiba la prende in braccio, portandola
dentro.
La adagia sul suo letto e la spoglia, rimanendo in
contemplazione di quel corpo splendido.
Tonica, snella, slanciata, gambe magrissime, ventre piatto,
addome scolpito, seno provocante ed incredibilmente invitante.
Le infila una sua vecchia maglietta che le va enorme.
Ino si rigira sul letto soffice, sembra finalmente serena.
Anche Kiba si spoglia a questo punto, tiene addosso solo i
boxer, sopra i quali mette i pantaloni del pigiama.
Con le mani un po’ esitanti le scioglie i lunghi capelli
biondi.
Solleva poi attentamente le gambe della ragazza e la copre
col piumone, per poi stendersi accanto a lei.
Le sue gambe lisce sfregano su quelle ruvide e robuste di
lui, le mani sono fresche di manicure, sul viso il trucco è leggermente
sbavato, le labbra appena aperte.
Si avvicina, tentato.
Sempre più vicino, fino a sentire il suo respiro lento.
Ancora di più.
Bacio.
Non aveva mai desiderato tanto una ragazza.
Ino apre gli occhi.
Non gli da alcun tempo di scusarsi, di spiegare.
Lo bacia anche lei.
E di nuovo le loro gambe si incrociano, si cercano, e la
maglia ed i pantaloni del pigiama trovano il loro posto con la biancheria.
Per terra.
In un altro luogo…
Un giovane dai lunghissimi capelli neri si gode,
completamente preso, un amplesso che sta raggiungendo con una ragazza castana,
la solita ragazza castana delle sue notti annoiate.
I suoi capelli corti e la frangetta disordinata le si
appiccicano sul viso e sul collo, sudati.
Quando lui termina, si separa da lei brutalmente e la
sposta con uno spintone per asciugarsi con dei teli di lino.
La ragazza lo guarda, delusa: sa che non cambierà per
lei…sa benissimo a chi pensa quando lo fanno…e sa che non verrà
considerata mai nulla di più di un mero passatempo ai suoi occhi.
Ha l’espressione ferita di chi sa che si sta buttando via
come una prostituta.
Di chi sa che non potrà cambiare questa situazione.
Ha le mani incrociate strette al petto, le gambe chiuse
ermeticamente, quasi a volersi riscattare di quello che ha appena permesso.
Lui si alza dal letto ed indossa il suo pigiama di seta
bianca, che ricade sul suo corpo scolpito e longilineo.
Nella stanza accanto dorme il vero oggetto del suo
desiderio: sua cugina.
Forse perché è proibito, o perché lei è pura ed innocente.
O forse perché non sopporta più questa ragazzina adorante,
che implora il suo amore.
Troppe lo hanno fatto.
Lei ancora non si rassegna all’evidenza: lui non la amerà
mai.
“Vattene” dice, atono.
“C..cosa scusa?” domanda lei con un filo di voce, tremante,
sofferente.
“Ho detto: vattene. Non ti voglio più. Via dal mio letto,
ora.”
“Neji…ma perché? Si può sapere che ti ho fatto? Eh? Che
diavolo mi manca rispetto a quella tossicodipendente del cazzo?” grida.
“Almeno lei ha sofferto…lei è diversa da tutte voi…deve
essere difesa…deve essere amata, ma non implora, non pietisce nulla di tutto
cio’ a differenza tua, che sei solo una squallida troietta!”
Le capita spesso di avere attacchi del genere.
Isterica, si alza e comincia a rivestirsi, imprecando
contro di lui, che rimane impassibile.
Si specchia e si rifà velocemente i suoi due usuali
chignon, dopodiché prende la borsetta e lo osserva, ferina.
“Mi sembra di averti ordinato di andartene.”
Le urla, prima di assestarle due schiaffi in faccia.
La ragazza scappa giù per le scale, sbattendo la porta.
“So che tornerai, TenTen. La tua vita pende dalla mia
bocca. Io ti odio per questo. Sei una sottomessa e basta.”
Dice, poi si sistema a letto, sorseggiando un bicchiere
pieno di brandy per rilassarsi.
E finalmente spegne la luce e si addormenta.
Casa Nara
Shikamaru gira per casa, stravolto.
Ino. Gli aveva sempre dovuto dare problemi.
Combattuto tra l’odio e l’amore per quella ragazza così
eclettica e problematica.
Si versa un bicchiere d’acqua in cucina, per poi sedersi al
tavolo e sorseggiarlo con calma.
Si tranquillizza pensando a Temari.
Lei aveva sconvolto tutta la sua vita, i suoi ritmi, tutto.
Da quando c’era lei, Ino aveva cominciato a tormentarlo con
dispettosi messaggi d’amore, affinché lui e la sua fidanzata litigassero.
Avevano uno strano legame.
Mentre con Temari il rapporto era piuttosto tranquillo, con
Ino bastavano due minuti per far scoppiare un furioso litigio.
Ino era capricciosa, viziata, abituata ad essere il centro
dell’attenzione, sempre desiderosa di ricevere complimenti e di sentirsi dire
quanto era bella, attiva, sosteneva dei tempi che lui non si sarebbe nemmeno
mai sognato di tentare.
E poi Ino era un’alcolista, e lui lo sapeva meglio di
tutti.
Troppe volte l’aveva ospitata in casa sua dopo le sue
bravate notturne, coprendola con i suoi genitori e proteggendola da tutto
quello che le sarebbe potuto succedere se fosse rimasta da sola, di notte, in
giro.
Lei era come un circolo vizioso: malgrado Shikamaru non la
sopportasse, si trovava sempre a doverla aiutare, a difenderla, ad ascoltarla,
a consolarla.
Forse perché lui stesso si era inconsciamente scelto il
ruolo di diventare il punto di riferimento di quella ragazza.
Si alza svogliatamente per tornare in camera da letto,
ravviandosi i capelli neri, di media lunghezza, all’indietro.
Dopo essersi messo sotto le coperte, si volta verso di lei.
Temari.
La sua isola felice, la sua gioia, il suo mondo.
Adora tutto di lei.
Bella…Bellissima.
I capelli lisci, un po’ selvaggi, con quella frangetta
divisa in due parti ce le ricade sulle sopracciglia, sono di quel colore che
lui ama tantissimo…color sabbia bagnata, quell’oro intenso, scuro, emozionante,
pieno di riflessi.
E poi pensa ai suoi occhi.
Verdi come il mare.
Fin troppo densi per vedervi attraverso ciò che pensa, ma
fragili abbastanza da mostrare quello che prova.
Temari si volta, ormai sveglia.
“I tuoi pensieri fanno più rumore delle urla di quella
forsennata. Di nuovo ubriaca?”
Sorniona, si accoccola sul petto di lui, mentre Shikamaru
le passa un braccio intorno alle spalle.
“Già. Non so cosa fare per lei. Io vorrei aiutarla, ma
non…non so cosa fare.”
“Shika, tu non hai colpa. E’ la sa vita e se non si sa
gestire tu non puoi sempre tirarla fuori dai guai. Su, ora non ci pensare,
sappi che è in buone mani…No?”
Lei allaccia le braccia intorno al collo di Shikamaru e si
porta sopra di lui.
“Si, hai ragione tu in fin dei conti. E poi si trova da
Kiba, quindi posso stare tranquillo.”
Temari gli bacia il petto, mentre lui le accarezza i
capelli dolcemente.
“Ti amo, bambola.”
“Ti amo anche io, piccolo.”
Silenzio.
Rumore di baci, rumore di tenerezze tra innamorati.
“Amore?”
“Si, Temari?”
“Non voglio bere mai più. Non voglio essere come lei.”
Di colpo, lui la stringe forte al cuore, l’espressione più
felice del mondo illumina il viso del giovane uomo.
E per la prima volta, Ino è l’ultimo dei suoi problemi.
Spazio Cos:
Salve amati lettori! VI avviso che questa AU è solo un
esperimento, mi è venuta in mente circa due mesi fa, dopo ho letto anche “Cosa
significa…Normale?” di Arwen5786 e mi sono posta un freno in quanto poteva
risultare un’opera di plagio, per cui ci tengo a precisare che NON LO E’, anche
perché la storia si ramificherà diversamente.
Per Arwen: ho provato a contattarti, ma devi non aver
ricevuto la mail. Ad ogni modo, spero ti possa piacere questa fic! Se pensi che
sia troppo simile alla tua, la eliminerò immediatamente!
Seduta per terra in camera sua, completamente circondata da
foto e foglietti, stringe la cornetta del telefono quasi fosse l’ultima cosa a
cui aggrapparsi di quello straziante legame che la schiavizzava ormai da tempo.
Dall’altro capo il suo ragazzo di sempre la stava mollando.
Già.
Per l’ennesima volta.
Non si contavano più le volte in cui si erano presi e
lasciati, senza parlare dei numerosi tradimenti.
Da tutte e due le parti.
“E’ finita davvero, Sasuke? Non ci sarà mai più un noi?”
chiede con un ultimo, speranzoso filo di voce.
“Sakura, non ti sopporto più. Sono stanco di te. Non siamo
compatibili, noi due.”risponde secco.
“Ne sei sicuro?”
“Si.”
Questa volta non ci saranno ritorni e lacrime di gioia.
No.
Questa volta le lacrime saranno solo di dolore.
Lei attacca la cornetta con orrore, poi prende in mano una
ad una le foto che sono disposte intorno a lei.
Sempre loro due.
Sasuke…Un nome che le rimbomba dentro come una condanna.
La sua personalissima condanna, il suo tormento, le sue
notti insonni.
E tutto quello ce sa di poter fare in questo momento è
piangere, finché non si sentirà completamente svuotata, finché anche il bel
verde brillante dei suoi occhi non apparirà slavato, sbiadito, opaco.
Con le dita va ad asciugarsi il viso umido.
Si scopre improvvisamente in preda ai tremori, che la
scuotono.
Finalmente si alza dal parquet, ancora indecisa su cosa
fare.
Vivere o mollare tutto?
Vaga confusa per l’appartamento.
I suoi genitori sono fuori, rimarrà da sola per tutto il
weekend, senza una minima occupazione, senza amiche con cui uscire.
Potrebbe chiamare Ino, o TenTen.
Ma la prima è dannatamente inaffidabile e potrebbe darle
buca alla prima occasione.
La seconda invece…meglio lasciarla perdere, di questi tempi
la sua isteria sembra essersi intensificata, non farebbe altro che deprimerla.
Anche se in questo momento a Sakura sembra quasi
impossibile essere più depressa di quanto non sia già ora.
Ogni volta succede sempre la stessa cosa: lui la lascia e
le si abbatte infinitamente.
Sasuke le ruba l’anima e con questa ogni motivo di
esistenza con i suoi capricci e le sue manie di solitudine.
E lei, puntualmente, accetta e sue decisioni, ormai
apaticamente, vivendo solo in funzione dei momenti in cui lui decide di amarla.
Per Sakura sembra essere abbastanza.
Eppure, questa volta la situazione è cambiata.
E forse non ci sarà un happy ending.
I suoi capelli sono sistemati alla ben e meglio, da troppo
tempo trascurati, non emettono più quel bagliore rosa chiaro caratteristico, la
sua pelle non è più elastica come una volta…come quando se ne prendeva
costantemente cura.
Si specchia, e detesta quel che vede.
Non è più lei. Dov’è finita Sakura?
E soprattutto…che ne sarà di lei?
I suoi pensieri si perdono tra i mille ricordi dei mesi
vissuti con Sasuke, delle sue tenerezze nascoste a tutti gli altri, che non
avrebbero mai potuto capire il valore di quei piccoli, magici gesti che le
riempivano la vita.
La felicità che le ha dato e poi tolto…
Ed è un attimo perché lei decida.
Perché la follia dell’idea che le è balenata in mente passi
da teoria in pratica.
Le basta che sia veloce e che non le permetta ritorno.
Corre in bagno con gli occhi sgranati e la prima cosa che
trova nel mobiletto si rivela perversamente provvidenziale.
Una lametta.
Tira un respiro profondo.
Ci vuole tanto più coraggio di quanto ne possegga.
Ma nonostante tutto ce la fa a realizzare il suo desiderio.
Incantata, guarda il sangue colare dai polsi, mentre sente
le forze abbandonarla ad ogni battito di ciglia.
Ed è subito notte.
L’ultima cosa che sente è un grido soffuso, vociare,
bisbigli…nulla più.
Villa Hyuuga
E’ caldo nel giardino della imponente villa dei signori
Hyuuga.
Troppo caldo per lei, che si gira e rigira spasmodicamente
nel letto in preda ad un ultimo viaggio prima che la vengano a
controllare.
Decide di concedersi questo piccolo lusso.
Perché dopo la attende il suo mondo triste e fragile,
minato dai continui cinismi di suo padre e dal rapporto con il suo ragazzo.
La aspetta la sua favola perversa, che aveva una
principessa tossica ed un capitano di ventura a posto del nobile principe.
L’unica favola in cui è lei a rincorrere lui.
Sospira sempre più velocemente, la pressione cardiaca
cresce, aumenta la sudorazione…è fin troppo caldo, quasi insostenibile, cerca
di prendere aria a bocca spalancata, si aggrappa alle lenzuola con le mani
affusolate, sbattendo con i talloni sul materasso.
La stanza si deforma attorno a lei, il suo corpo emana una
luce accecante e intorno a lei ci sono solo suoni angelici, tutto è
improvvisamente sereno e meraviglioso, la felicità la invade ed annega i suoi
occhi bianchi.
Dopo un bel pezzo, la pasticca gialla con lo smile che ha
ingoiato comincia perdere effetto e lei si accascia sfinita.
Pochi minuti dopo, entra una donna alta, sinuosa, dai
lunghi capelli castani e mossi, che si china sul letto ed accarezza il viso
madido di sudore della ragazza.
I suoi sensi, ancora alterati dalla droga, le fanno
percepire quel tocco come se le dita estranee si fondessero con il suo viso in
una miscela pastosa, omogenea.
Sente quella voce così familiare…La riconoscerebbe tra
mille altre.
Non può essere che lei, sì.
Quel timbro caldo, morbido, estremamente femminile come il
corpo cui appartiene, dolce, colmo di amore le giunge alle orecchie e le
rimbomba in testa, fino a toccarle le corde più intime del cuore.
“Hinata, dormigliona! Che cosa fai, ti vuoi svegliare oggi
o no? C’è la colazione pronta.”
Materna, la donna si siede sul bordo del letto e sorride
teneramente a quella che per lei è una figlia ormai.
“Kurenai…buongiorno…sì, ora mi alzo.” Risponde lei con la
sua voce alta, chiara, leggermente impastata di sonno…ed altro.
Fa pressione sulle braccia e si mette seduta, appoggiando
la schiena al cuscino.
Guarda la sua tutrice.
Hanno un legame così stretto che Hinata ormai la vede come
una madre…più che una madre.
Kurenai per lei è una confidente, una figura di
riferimento, un’amica fidata, l’unica spalla su cui può piangere.
E non se la sente di mentirle.
Non può mentirle.
“Io…i-io…l’ho fatto di nuovo.”
Silenzio. Non c’è nulla da dire.
Kurenai sa che se aprisse la bocca, ne uscirebbe l’urlo di
disperazione più terrificante mai udito in tutta L.A.
Perciò preferisce tacere.
La sua espressione si incupisce ed una lacrima impertinente
scappa via dalla presa ferrea del suo autocontrollo per scivolare giù, lungo
una guancia candida, e cadere sul suo vestito.
La abbraccia forte, colta da un impeto materno mai provato
prima.
Perché è sua, la sua bambina.
Hinata si abbandona al pianto liberatore più lungo della
sua vita.
Lei non vorrebbe fare quello che ha fatto, non vorrebbe
alimentare tutte le maledettissime voci che la inseguono per i corridoi del
liceo,
non vorrebbe nemmeno essere sé stessa.
Non avrebbe mai voluto esserlo, né lo augurerebbe a qualcun
altro.
L’unica cosa che ha fatto è stato deludere aspettative,
sempre troppo alte per lei che, ovviamente, non riusciva a soddisfare.
Poi, improvvisamente, era arrivata Kurenai nella sua vita,
e tutto era cambiato.
Non avendo conosciuto l’affetto materno, aveva trovato in
lei tutto ciò che le era mancato.
Anche se il segreto per la felicità fittizia la trascinava
sempre più lontano da lei. O almeno, così aveva pensato fino a quel momento.
Perché l’aveva abbracciata.
Le aveva trasmesso la sicurezza che, come madre, non
l’avrebbe mai abbandonata, qualunque cosa avrebbe fatto.
Kurenai non l’avrebbe mai punita né condannata.
L’avrebbe solo amata incondizionatamente.
Ma tutte e due sapevano che bisognava risolvere quella
questione prima che fosse troppo tardi.
Stanza buia di una palazzina di periferia.
TenTen si accende una sigaretta, aspirando a fondo.
Che depressione.
Stringe i pugni, cercando di concentrare nel destro che
sferra contro la parete tutta la sua rabbia.
Non ce la fa più.
Anche perché sa perfettamente che la causa del suo male è
lei stessa.
Questa è la cosa che le rode di più di tutte.
Lei ne aveva avuti di ragazzi…fuori e dentro il letto, ed
aveva capito subito che con Neji sarebbe stato diverso.
Non sarebbe stata lei a tiranneggiare lui.
Sarebbe stato il contrario.
E lei non aveva mai sopportato di essere la numero due, e
tantomeno di essere dominata così palesemente da lui.
Neji la faceva soccombere e poi se ne approfittava, sapendo
perfettamente che, questa volta, l’inarrivabile TenTen, la regina delle nevi,
era la sua personalissima schiava, da girare e rigirare come un calzino.
Questo la faceva impazzire.
La sua incapacità di reagire quando se lo ritrovava
davanti.
Ed ora eccola, affacciata alla finestra, che divora la
sigaretta dal gusto amaro e pregnante con ferocia, quasi come se si trattasse
di quel dannato uomo che le aveva distrutto la dignità.
“Stronzo.” Dice ad alta voce, spegnendo il mozzicone sul
davanzale.
Si butta sul letto, per poi decidere d fare come fa anche
lui.
Ripiegare sul suo succube.
Alza la cornetta e digita velocemente il numero, a memoria.
“Vieni? Ti aspetto…calda.” Tono provocante, sensuale.
Quante volte lo avrà usato con lui? Nemmeno a contarle.
Ormai, quando aveva bisogno di uno svago, lui accorreva e la distraeva al suo
meglio.
Dopo circa dieci minuti, suonano alla porta.
Va ad aprire di corsa e si ritrova davanti uno statuario
ragazzo moro, dalle spalle possenti e con una muscolatura molto scolpita che la
prende in braccio e la bacia con tenerezza, accarezzandole una guancia.
“Mi sei mancata tanto, piccolina.” Dice con un sorriso
gentile che gli addolcisce il viso spigoloso e virile.
“Anche tu, Kankuro…Sono molto triste effettivamente.”
Oltre che essere un amante perfetto, è anche il suo
migliore amico.
Se lo è chiesto spesso perché non fare coppia fissa con
lui, che è il ragazzo ideale.
Spiritoso, affettuoso, amabile, leggermente arrogante,
tenero al momento gusto, gentile, rispettoso.
Il problema era sempre lui, con il suo modo di
sedurla così dannatamente irresistibile, con i suoi ritorni di fiamma
improvvisi che la colpivano sempre impreparata, con le sue sorprese, con le sue
promesse.
Che non manteneva mai, naturalmente.
Cosa poteva aspettarsi da uno come Neji? Bugie, e basta.
Solo trattamenti di serie B.
Mentre Kankuro la adora, c’è dell’alchimia tra di loro, una
sintonia inspiegabile altrimenti che come…destino.
Sanno che faranno coppia, prima o poi.
E questo li emulsiona, li unisce.
Lentamente avviene ciò che avevano programmato, in silenzio
religioso, con cura ai minimi particolari, anche insignificanti.
Entrano nel letto baciandosi, da veri innamorati, e tutto
procede armoniosamente.
Perfetto, nella sua delicatezza.
E allora perditi in questo attimo TenTen…perché se
sceglierai la tua perdizione non ce ne saranno altri.
E, per una volta, TenTen decide di accontentarsi della sua
felicità.
Spazio Cos:
Mi sono commossa a leggere tutte quelle recensioni…Siete
stati stupendi! E poi…altro che ospiti illustri!
Non sono molto persuasa dell’esito di questo capitolo, ma
naturalmente questo sta a voi deciderlo, perciò commentate numerosi: sia che vi
piaccia, che non vi piaccia, se sono recensioni costruttive o semplici pareri,
o anche solo minimi apprezzamente, sappiate che mi renderete estremamente
felice!
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito: bambi88(spero
che ti piaccia come ho caratterizzato anche queste ragazze! Ci tengo molto al
tuo parere!), Arwen5786(grazie, grazie e grazie! Appena finirò di
leggere tutti i capitoli ti farò sapere…naturalmente fai lo stesso con la mia
fic e dimmi che te ne pare senza alcuno scrupolo!), Niraw, mart, lilithkyubi,
Sakura03(Sacchan i tuoi commenti mi riempiono sempre di gioia! Spero che
anche questo capitolo sia all’altezza!) e Talpina Pensierosa (grazie
Baby! Dimmi che ti pare anche di questo capitolo ok?).
Ps. Avverto che potrebbero esserci imprecisioni di
consecutio temporum perché sono molto assonnata XD.
Ino apre gli occhi, inondati da un fascio di luce che scappa
impertinente all’ostacolo delle tende, sempre più celesti del cie
Bad boy
Ino apre gli occhi, inondati da un fascio di luce che
scappa impertinente all’ostacolo delle tende, sempre più celesti del cielo
stesso, sempre più brillanti dello zaffiro, sempre superiori ad ogni paragone
possibile.
Ormai tersi dalla patina dell’ebbrezza della notte
precedente, guizzano allegri per la stanza e sul ragazzo ancora addormentato
accanto a lei, con quell’aspetto curioso, a volte addirittura buffo, simpatico,
sopra le righe, a volte addirittura osé con le sue considerazioni fuori luogo.
Le piace, senza dubbio.
Sono fatti esattamente della stessa pasta: folli,
sconsiderati, impaccati di soldi e consenzienti a tutto ciò che implica quel
briciolo di irrazionalità che li percorre entrambe.
Adrenalina. Vivere in onore di una sostanza
che scatena quella sensazione che Ino adora.
Scosta una ciocca di capelli biondo oro dal viso roseo e
sorride maliziosa.
Sì, ci sapeva decisamente fare a letto il ragazzo.
Si gira su un fianco e lo accarezza delicatamente,
svegliandolo nel modo più bello con cui lui si fosse mai destato.
Gli occhi neri di lui la scrutano, alla ricerca di
un’espressione, di un’emozione, di un sorriso.
Che non tarda ad arrivare, radioso.
Lei ha questo compito a volte divertente a volte scocciante
di fare la signorina sorriso, fin da piccola aveva fatto il bello ed il cattivo
tempo a casa sua.
Con i suoi grandi occhi luminosi e quell’aria angelica non
le si poteva dire di no: era la favorita di tutti i parenti, non era festa se
non c’era lei e l’unico dovere di tutti quelli intorno a lei era di
accontentarla.
È così carina..perché non la facciamo felice?
Ma dai,
guardala, che cucciola…sì, mamma ti regalerà quello che vuoi!
Certo Ino! Dimmi dove ti devo accompagnare e ti ci porterò
subito!
Sì amore
puoi uscire stasera, torna quando vuoi, basta che ci avverti se dormi fuori!
Oh avanti non essere severo: in fondo se lo merita…
Frasi che avevano accompagnato tutta la sua infanzia e la
sua adolescenza fino a quel momento.
“Buongiorno bell’addormentato.” Dice con voce vellutata.
“Ciao, piccola!” risponde lui con un sorrisone malizioso,
afferrandola per la vita ed abbracciandola.
Insinua la mano sotto la maglietta, accarezzandole
lentamente la pancia tonica e liscia, e lascia un bacio sugli addominali della
sua ragazza.
“Sei bellissima stamattina. Ti preparo qualcosa?”
“Sì, tutto il tuo amore!” gli si aggrappa al collo, un po’
femme fatale, un po’ bambina. Col suo tipico fascino dolce.
“Ok…” replica Kiba, felice come non lo è mai stato.
Finalmente non è un sogno. È davvero Ino quella stesa
accanto a lui.
Non è la sua folle immaginazione, è la realtà più
fantastica che gli sia mai capitata.
La bacia, sicuro che stavolta quelle labbra non si
dissolveranno improvvisamente come d’incanto.
Sicuro che lei è lì per restare con lui.
Si alza di scatto dopo essersi accertato per l’ennesima
volta che quella ragazza non sia un’illusione effimera e va in cucina a
preparare la colazione, lasciandola riposare altri dieci minuti.
La vede chiudere gli occhi, angelica.
Kiba arriva in cucina e dispone su un vassoio due brioches
calde e profumate, due caffè ed un girasole.
Affinché lei sorrida.
Affinché quel risveglio per lei significhi quello che
significa anche per lui.
Affinché quel miraggio non abbia fine.
Sorride senza un concreto motivo, semplicemente perché gli
va, perché c’è Ino nella sua vita ed ora tutto cambia.
È la sua occasione.
Per riscattarsi, per smontare coloro che lo definivano un
buono a nulla.
Perché bisogna pur essere buoni a qualcosa per ritrovarsi a
letto con lei.
Risale le scale in silenzio, adagia il vassoio sul comodino
e la sveglia con un bacio in fonte.
Ino sorride sorniona, mettendosi un cuscino dietro la
schiena per stare eretta, e lo guarda, studiando i lineamenti irregolari e
mascolini di Kiba.
Virile, con quel certo so che di selvatico, di misterioso,
di avventuroso, ricercato nello stile, spalle ampie e fisico scolpito,
massiccio, una figura quasi fraterna e al tempo stesso attraente e fascinoso.
Il suo tipo.
Ce lo aveva avuto sotto agli occhi per una vita e non se ne
era mai resa conto, o perlomeno non lo aveva mai voluto vedere come qualcosa di
diverso che un amico.
Troppo presa da sé stessa e dalle sue fisime stupide.
Da Sasuke, che le aveva chiaramente fatto capire che non
interessava quel bell’oggettino che lei costituiva, da Shikamaru, che dopo
tanto tempo in cui lei lo aveva ignorato, aveva perso per sempre.
E non si era concentrata sull’essenziale, su ciò che lei
davvero voleva e non su quello che gli altri si aspettavano lei volesse.
“Kiba…io ti amo” dice sincera,
quasi a togliersi un peso dal cuore.
“Ti amo anche io, piccola
Ino”.
In una ricca villa fuori città…
Un giovane cammina lungo il perimetro della piscina di
casa sua, guardando un minuscolo insetto annaspare per riuscire a salvarsi.
Spontaneamente, tende la mano e lo raccoglie.
Poi, come percorso da una scossa elettrica, ghigna in modo
inquietante e immerge il pugno chiuso intorno alla bestiola nell’acqua,
facendola così annegare.
Riscontra un preoccupante piacere nell’uccidere piccoli
animali e nei metodi di tortura.
Inquietante
attitudine verso la sevizia.
Necessita di continue attenzioni onde evitare il peggio.
Spinge
coloro che lo circondano a desistere ogni tentativo di contatto umano.
Questo era ciò che dicevano di lui gli psicologi del liceo.
Odiato dai compagni maschi in quanto più corteggiato e
desiderato, costituiva l’oggetto del desiderio di tutte le ragazze che lo
circondavano.
E così si era interessato improvvisamente ad una di loro,
Sakura, quella che si demoralizzava di meno, che non era mai riuscito a ferire
nell’orgoglio, che continuava a perseguire il suo sogno di conoscerlo, di
penetrare i silenzi apatici che lo caratterizzavano.
A lui piaceva molto questa sua determinazione, seppure alle
volte risultasse una vera palla al piede dalla quale non si sarebbe mai
separato.
Un po’ perché lo divertiva la sua buffa compagnia, vedere
come lei cambiava: da temeraria irriducibile, sempre all’attacco, con le sue
battute pungenti e con le continue sfrecciatine che la rendevano a volte un po’
velenosa, a dolce compagna, sensibile ed arrendevole.
Un po’ perché…beh, senza Sakura…lui non riusciva a
vivere.
Non sapeva più tornare alla sua vecchia esistenza da quando
era arrivata lei, irruenta, come un uragano, e gli aveva fatto intraprendere
una strada dalla quale sapeva non esistere ritorno.
Era per questo motivo che la odiava al tempo stesso, ed il
più delle volte non sapeva quale fosse il sentimento predominante.
Perciò aveva deciso di lasciarla, una volta per tutte, per
poter intraprendere la sua strada, senza distrazioni.
E Sakura era un’enorme distrazione.
Era una droga.
Una volta provato com’era essere amato da lei, non aveva
più potuto farne a meno.
Ma era giunto il momento di separarsene.
Ed eccolo, Sasuke che passeggia solitario e triste,
seguendo il ritmo lento e malinconico di un motivo che sua madre era solita
suonare al pianoforte quando era bambino, ripercorre ricordi troppo dolorosi
per essere vissuti singolarmente con lucidità.
Sasuke, che per dimostrare a sé stesso quanto vale, quanto
sa sopportare, si priva di colei che gli aveva fatto apprezzare di nuovo la
vita in tutte le sue sfaccettature e manifestazioni differenti.
Perché hai amato Sakura, lo sai? Perché è diversa…perché
non è mediocre, perché quando piange ha negli occhi quella scintilla di sfida
che ti dimostra quanto in realtà sia maledettamente forte e tenace, perché nei
suoi baci c’è l’amore di una madre e la violenza di un nemico, perché difende
ciò che le appartiene con i denti e con le unghie consapevole, nonostante
tutto, dei suoi limiti.
La ami tutt’ora innegabilmente.
Questo è il dolore più grande per il giovane che cammina,
eretto, lo sguardo rivolto all’orizzonte infiammato dal nuovo giorno.
I capelli neri ondeggiano, smossi dalla brezza tagliente,
illuminati dai riflessi argentei che li percorrono, mentre gli occhi
impenetrabili, intensi come oceani, sommergono ricordi spiacevoli con
altrettante emozioni.
Una lacrima scorre leggera sul suo viso pallido e delicato,
scivolando sulla pelle liscia,e annega nel tessuto morbido e raffinato del suo
maglione bianco, lasciando un’invisibile traccia della sua silenziosa
sofferenza.
E’ decisamente troppo.
Lei gli manca, gli manca da morire. Non avrebbe mai voluto
chiamarla.
Sono stati gli attimi più combattuti della sua esistenza,
ed improvvisamente tutto ciò che gli rimane di quei momenti è solo la
terrificante sensazione di aver fatto, per l’ennesima volta, la scelta
sbagliata. Non vuole perdere Sakura.
E quindi quel che rimane da fare è prendere la macchina e andare
da lei.
Sì, è indubbiamente la scelta giusta.
La vuole abbracciare, cingere la sua vita stretta con le
sue braccia forti.
Corre su per le scale che lo separano dal pianerottolo al
secondo piano, interno 4, casa Haruno.
Un pessimo presentimento lo scuote prima di entrare, quasi
un flash.
Apre la porta con una spallata e corre verso la camera
della sua amata Sakura, e nota con orrore il pavimento bagnato di sangue nel
tragitto dal bagno alla camera da letto di lei.
Che fai, tremi?
Immobile, resta pietrificato alla vista del sangue. Quel
sangue. Ha il perverso desiderio di accucciarsi e leccarlo tutto, fino a
lei.
Poi entra finalmente nella camera da letto della ragazza e
la trova.
Accasciata in un angolo, i capelli scompigliati e
sudaticci, la testa bassa, i vestiti imbrattati e i polsi squarciati.
Quasi mosso da una forza esterna, le alza il volto
prendendola per il mento, e ciò che vede lo fa urlare, lo terrifica, lo
paralizza nel suo grido.
Sakura, con i segni della morte impressi addosso.
“Sasuke…amore…” dice flebilmente, appena udibile.
Le lacrime sgorgano copiose dagli occhi di lui che, fuori
di sé, singhiozza follemente, per poi caricarsela in spalla e trascinarla via
da quel luogo di raccapriccio per metterla a sedere in macchina accanto a sé.
“Tieni…tieni duro, piccolina…Ti salverò..tu vivrai,
vedrai…”la voce rotta dal pianto, leggermente più acuta esce dalla sua gola
quasi come un appello, una supplica in extremis.
“Giuro che non ti lascerò mai più…Da oggi in poi saremo
solo noi due. Solo io e te, Sakura adorata.”
Cerca di autoconvincersi invano. Lei è gelida, esangue.
Arrivato all’ospedale, la solleva sugli omeri e la porta
nella sala delle emergenze, noncurante degli infermieri che lo fermano, urlando
in faccia a chiunque lo voglia intralciare, riuscendo a dire solo “Devo
salvarla perché la amo.”
Finalmente, un primario arriva con due infermieri
trascinanti una barella.
Depone la ragazza e la segue con lo sguardo verso la porta
della sala operatoria, singhiozzando ancora pazzamente.
Perché ora che ha trovato un motivo valido per cui vivere,
Sasuke non intende lasciarsela portare via così.
Casa Nara
Shikamaru agguanta rapido la sua macchinetta fotografica
professionale e scatta rapido una serie di foto alla bella Temari, ancora sognante,
stesa accanto a lui.
Gli piace vederla dormire ed un sorriso intenerito si
dipinge sul suo viso da duro.
I capelli lunghi gli coprono un po’ il viso: li sposta con
un veloce movimento della mano per guardare meglio attraverso l’obiettivo.
Temari mugola nel sonno, rigirandosi pigramente tra le
lenzuola, sembra una gatta selvatica, una lince che solo lui ha saputo domare.
La cosa lo eccita terribilmente.
Sì, quando la vede muoversi, con quelle curve morbide e
femminili, le mani aggraziate ed affusolate, la carnagione dorata ed
esotica…Lui non si riusciva a trattenere, proprio come in quel momento, in cui
la sua voglia era palesata anche fisicamente.
Si osserva, con un fare leggermente vanesio.
Bel fisico, non c’è che dire.
Assolutamente virile, statuario, possente, con portamento
da uomo maturato con una certa esperienza, assolutamente sicuro di sé.
Chi non lo sarebbe se fosse lui?
Era anche molto agevolato dal suo carattere peculiare,
timido, misterioso, curioso, a volte irritante anche se dolcissimo e
comprensivo.
Pigro. Già, molto pigro. E amante della fotografia.
Sincero, assolutamente, un po’ impacciato, quel giusto che
bastava a farlo amare da tutti.
Anche da lei.
Lei, così diversa, maledetta, solitaria suo malgrado,
pungente, determinata, con quel bisogno di sentirsi amata che lo sconvolgeva e
lo lasciava senza parole.
Lei, che sapeva amare così tanto da rendergli impossibile
controbattere alle sue dimostrazioni di affetto.
Lei, che lo aveva puntato fin dal primo momento, mentre lui
non ci aveva capito niente, perso com’era dietro ad Ino.
Lei, che aveva reso la sua vita meravigliosa.
Scatta un’ultima foto, e fatalmente parte il flash.
“Speriamo che non l’abbia svegliata” dice fra sé e sé
Shikamaru, intimorito da un eventuale cattivo risveglio della lince che giace
accanto a lui.
“Shikamaru?” dice Temari sonnolenta.
“Amore!” esclama lui felice e sorridente.
“Non farlo mai più.”
Ahia. La giornata di questa allegra coppia comincia con lei
che ha appena tirato uno schiaffo in pieno volto a lui, lasciandolo interdetto
a massaggiarsi la guancia.
Segue un bacio delle sue labbra morbide e calde sulla parte
dolorante, e poi un pochino di lotta mentre si rivoltano nel letto ancora
impregnato di notte, passione, dell’amore che si p consumato in quella stanza,
del ritmo dei movimenti di questi fidanzati così insoliti, del profumo di
Shikamaru: sandalo e gelsomino, del profumo di Temari: iris, frangipane e
magnolia.
Si ritrovano stretti come la notte prima, a mordicchiarsi e
a scambiarsi battutine, a ridere come bambini, ad amarsi come nessuno mai ha
saputo fare prima.
“Shika, forse è meglio che io vada adesso, altrimenti tua
madre chi la sente!”esclama lei, mesta, sollevandosi lentamente dal letto.
Raccoglie gli abiti da terra, lanciando ogni tanto un sorriso
a lui, che se ne sta ancora steso, il torace scoperto, respirando lentamente.
La osserva rivestirsi con un certo interesse.
Temari si infila il vestito rosso e lilla che aveva la sera
prima, le mary-jane di vernice, nere, prende al volo la sua borsa ed il chiodo
di pelle nera.
Si sofferma davanti allo specchio, sistemandosi i capelli
biondi.
Va verso il mobiletto dei liquori, si versa un bicchiere di
whisky con ghiaccio che ingoia tutto d’un fiato, ripulendosi le labbra con il
dorso della mano, poi si avvicina a lui e gli accarezza il petto, seducente.
“Buona giornata, amore. Ci sentiamo più tardi.” Dice a voce
bassa, baciandolo sulla guancia.
Lui sente i suoi passi decisi scendere le scale ed avanzare
sul parquet, verso la porta.
Apre la maniglia ed esce.
Naturalmente, farà sbattere la porta, come sempre.
Incorreggibile.
Indomabile.
Impossibile.
Adorabile.
Amare Temari è una continua lotta col destino, bisogna
abbandonarsi a lei in tutto e per tutto, lasciare che sia la passione a portare
il tutto avanti, seguire l’istinto e la follia dei sensi.
Che, senza una precisa ragione, senza una logica che
Shikamaru potesse intuire e a cui affidarsi, che i suoi calcoli potessero
prevedere, riesce sempre a far andare tutto per il verso giusto.
E, naturalmente, con lei non ci sono mezze misure: o tutto
o niente, o odio o amore, o selvaggia o docile, o velenosa o amabile, o sesso o
amore, o anima o corpo.
Questo è quello che Shikamaru desidera: quel brivido
estremo di saggio nonsense che la contraddistingue e che fa di Temari il
suo essere complementare, una calamita irresistibile.
E ancora si sente i suoi baci addosso, le sue unghie, i
suoi denti, le sue parole bollenti, la sua pelle inconfondibile.
No, non esiste forza della natura più sconvolgente di lei.
Lui, dal suo canto, si lascia semplicemente travolgere. E
amare.
Spazio Cos:
Grazie a tutti innanzitutto per aver messo il mio lavoro
nei preferiti! Secondo poi, vorrei ringraziarvi singolarmente ma al momento non
ho davvero tempo, per cui citerò solo brevemente i nominativi!
Grazie a: Sakura03 Talpina Pensierosa ballerinaclassica
lilithkyubi(sì, ci sarà la Gaara/Matsuri ma dovrai aspettare ancora un po’!
Perdono!) Arwen5786 Bambi88.
Il silenzio regna sovrano nella camera del giovane.
Occhi sbarrati, fissi a terra, si dondola convulsamente su
una seggiola di legno sfracassata, ridendo violentemente con la schiuma alla
bocca.
Con una mano si regge saldamente alla sedia, mentre si
strappa via con i denti le unghie dell’altra, cosa che lo fa ridere ancora di
più.
Sempre più sonoro, i rivoli di saliva colano lenti sulla
maglia grigiastra, ruvida e logora.
Alza il viso verso la luce al neon, algida, che illumina la
stanza, dilatando ancora di più le pupille verdi al contatto diretto con la
luce abbagliante.
Resta così, quasi ipnotizzato, senza sentire la bava che
gli scende dagli angoli della bocca sul collo, sulle clavicole.
Scuote leggermente la testa, per spostare le ciocche di
capelli bagnati dalla fronte: sono zuppi di sudore, e le gocce gli vanno a
finire nella congiuntiva, facendogli provare un’insopportabile bruciore.
“Gah..Mmmraaaaaah!!!…Gaaah!!!” grida di colpo, disumano.
L’urlo risuona come un grugnito di un orso ferito per tutta
la stanza, il ragazzo cade a terra dalla sedia, la mano sinistra è sporca di
sangue che sgorga dal vallo ungueale dell’indice e dell’anulare, odora
fortemente della bocca del giovane.
Guarda per un momento affascinato quel fluido rosso porpora
spargersi sulle mattonelle celeste opaco del pavimento, per poi essere preso da
un conato di vomito e rigettare, bocconi.
Lei fa in tempo ad entrare, sollecitata dalle urla di poco
prima, per trovarsi quella scena pietosa davanti.
Tira un sospiro profondo, alzando gli occhi al cielo
spazientita.
Poi, armatasi di santa pazienza, si inginocchia accanto a
lui.
Prende un fazzoletto dalla tasca dell’uniforme bianca e gli
pulisce la bocca, per poi prendergli il viso tra le mani e guardarlo dritto in
faccia.
“Allora?” domanda con dolcezza.
“Hn..hnn..niente.” risponde lui, la voce intensa, maschile,
profonda.
“Su, facciamo una bella cosa noi due ora: andiamo a farci
la doccia. Ti va? Dai, così dopo ti metto dei vestiti puliti, belli caldi, poi
ti stendi un pochino ed io resto qua con te. Ok?” il tono materno ed affettuoso
della moretta lo rassicura.
“Ok…Mmatsuuri…”
Si appoggia di peso su di lei, affidandosi completamente
alle sue cure.
Matsuri lo porta nel bagno della stanzetta. Adagiandolo
nella vasca, lo spoglia pazientemente e lo lava come ha sempre fatto.
Ha il petto sudato ed il lezzo di sudore è nauseabondo e
pregnante.
Lei aspetta prima che l’acqua salga fino al costato per poi
cominciare a sfregare sulla schiena con la spugna e la saponetta,
energicamente, per poi andare a lavare le braccia e le mani del suo paziente,
per poi procedere su pettorali e addome, gambe e piedi.
Dopo una buona mezz’ora passata a fare le abluzioni del
ragazzo, toglie il tappo della vasca e lo risciacqua.
In ultimo, gli lava la testa, facendo forza sulla cute,
finché non sente i capelli privi della spiacevole e consueta sensazione unta.
Le prende le mani e si alza dalla vasca grondante d’acqua,
agguantando un asciugamano là vicino ed avvolgendolo in vita.
Un barlume scintilla negli occhi chiari attorniati da
profonde occhiaie di lui, che segue con il suo sguardo ambiguo l’infermiera
giovane dedita a ripulire il bagno.
“Ti senti meglio ora, Gaara?” gli chiede col suo tono eternamente
allegro.
“Sì, grazie Matsuri. Si può fare qualcosa per le mie
unghie? Così sono ripugnanti.” Guarda con ribrezzo la mano mutilata.
“Penso proprio di sì. Su, ora rivestiti che andiamo in
infermeria a metterci qualcosina.”
Matsuri si volta: non perché sia particolarmente pudica o
perché Gaara si senta innervosito da lei, semplicemente è una piccola cortesia.
“Ho fatto.”
“Bene, andiamo allora.”
Lo prende per mano, mansueto come un agnellino, e lo
conduce verso una sala piuttosto buia e fredda.
Lui si siede su un lettino e le porge la mano, mentre lei
si munisce di disinfettante, cotone, pomata antisettica, garze e bende
elastiche con le relative graffette.
“Ora ti farà male, perciò cerca di stare buono e stringere
i denti.”
Gaara la guarda in cagnesco.
“E va bene, ragazzina…”grugnisce
“Ehi!” esclama lei divertita dal loro piccolo battibecco.
“…mpf…”sbuffa lui.
Ed è un attimo: Matsuri sfrega il cotone imbevuto di
disinfettante sulla carne viva ed arrossata, veloce e precisa, il suo paziente
soffoca un grido ferino affondando i denti in un fazzoletto agguantato poco
prima del momento cruciale, per sedarsi quando la ragazza butta via i tamponi e
comincia la medicazione regolare.
Alla fine, tornano nella camera sorridenti entrambe.
Gaara ama la sua compagnia: quella ragazza è divertente,
pacifica, spiritosa, sempre allegra.
Non la definirebbe né stupenda né particolarmente
avvenente, ma ha quel sorriso che gli fa girare la testa.
Matsuri invece è incuriosita pazzamente da quel ragazzo
così misterioso e controverso, relegato in quella stanza da ormai dieci anni,
portato lì con la forza quando era appena adolescente.
Lei se la ricordava quella notte, era in clinica con la
madre, che era stata a sua volta infermiera, e ogni tanto se lo rivedeva
davanti quel visetto impaurito dietro al vetro della porta della sua camera.
Così avevano fatto amicizia da bambini, e poi lei era
diventata la sua confidente ed, infine, la sua infermiera.
O almeno l’unica che sapesse trattare con quel suo
carattere scontroso, ambizioso, riservato e pungente, anche se sensibile e
saggio una volta superato quel muro che divide coloro che per lui contano da
coloro che esistono e basta.
Anche se coloro che esistevano lo ferivano profondamente
con le loro cattiverie, con la loro violenza, con le etichette che gli davano.
Matsuri sapeva.
Si nasconde nell’ombra ad aspettare che sia lui a parlare e
ad aprirsi con lei.
Nonostante sappia quanto lui ne soffra, non inizia mai a
parlare di cose così delicate senza il suo consenso.
E la cosa buffa è che Gaara non risponde mai alle
provocazioni.
“E’ una questione di stile”, dice sempre.
E lei invece urla contro coloro che lo aggrediscono, e si
arrovella ed arrabbia vedendolo impassibile e silenzioso di fronte alle
ingiurie.
“Cazzo Gaara di’ qualcosa…Ma li senti?Ascolta cosa
dicono di te: che sei cattivo, che sei ignorante, che manchi d’intelligenza…Dio
Gaara digli qualcosa, parlaci, chiarisci questa situazione una volta per
tutte!”
“Matsuri, perché mai dovrei parlare con persone che valgono
tanto quanto mattonelle spaccate?”
A quel punto non le resta che tacere, stringendo i pugni.
Ha imparato che non si deve insistere con lui, o si
potrebbe ritorcere contro quelli che lo amano.
Quelli come lei.
Villa Sabaku
Torna a casa sconfitto dentro.
Ha avuto TenTen sua per una notte e questo dovrebbe
confortare il giovane Kankuro.
E invece è tutto il contrario.
Quella notte l’ha distrutto, consumato, amareggiato.
Perché il problema è il ritorno alla normalità.
Lui la ama.
Lei no.
E questo è un fatto.
Lui per lei c’è sempre.
Disposto a mettere da parte il suo orgoglio e la sua
rinomata dignità ferrea pur di stare con lei.
Aveva anche implorato, per quella donna.
Ma TenTen ha sempre altro per la testa.
O meglio, ha sempre lo Hyuuga per la testa…e non solo.
E lui serve per occupare i tempi morti della giornata di
quella piccola infame che se lo rigira come un calzino.
Quella piccola infame.
Già.
Una sua parola potrebbe cambiargli la vita e dare un senso
a tutto, finalmente.
Quella parolina dolce e tronca, che non arriva mai in
risposta alla sua domanda.
Quel maledettissimo sì.
Si è ridotto ad essere il suo zerbino.
Non mostra mai questo disagio interiore, così abissale,
quando sono insieme, si limita ad essere cortese e riverente.
Lei lo prende in giro dicendogli che sì, prima o poi si
metteranno insieme, ma che ancora non è momento, o che lo vede solo come un
amico, chissà quali altre idiozie.
Così, con la coda tra le gambe, Kankuro se ne torna in
casa.
Apre il portone e sente un forte odore di biscotti allo
zenzero appena sfornati.
Sorride tristemente: quei biscotti erano i preferiti del
suo fratellino più piccolo, Gaara.
Se lo ricordava bene, da bambino, quando prendeva una sedia
del tavolo, la metteva sotto la credenza con immenso sforzo e poi ci si
arrampicava su per prendere il vaso dove loro madre nascondeva quei biscotti
buonissimi; una volta sceso si nascondeva sotto al tavolo e se li mangiava
velocemente per paura di essere scoperto.
L’aveva visto tante volte, ma gli faceva una tale tenerezza
che non aveva detto mai nulla a nessuno, anzi si prendeva sempre lui la colpa
fingendo di ammettere di aver divorato tutti i biscotti.
Similmente faceva Temari.
Ma sua sorella era sempre stata strana.
Con uno schiocco di dita passava dalla felicità alla depressione,
senza un evidente motivo.
Ed il modo con cui da sempre era abituata a celare i suoi
reali sentimenti lo spiazzava sempre un po’.
“Tem sono a casa!”
“Me ne compiaccio” grida lei dalla cucina “Ma con TenTen
com’è andata?”
“E come doveva andare? Al solito…”risponde lui mesto.
“Ho capito. Ora che fai?”chiede la sorella.
“Mi sa che vado un po’ in palestra così mi concentro su
altre cose.”
“Va bene, ma torna presto: oggi dobbiamo andare a trovare
Gaara, sai quanto gli dispiace quando non ci siamo.”
“Sì ok. A dopo Tem.”
“A dopo…”
Kankuro sale le scale e va in camera sua.
Si sbottona la camicia e toglie i jeans, rimpiazzando il
tutto con sneakers, tuta e maglietta a mezze maniche.
Prende la borsa ed esce di nuovo, riponendo
nell’allenamento ogni speranza di distrazione.
Fortunatamente la giornata si prospetta piuttosto
impegnata.
Stavolta la partita è vinta, e se lei lo chiamerà, lui sarà
purtroppo occupato.
Peccato, TenTen, stavolta ci perdi tu.
Perché sarebbero la coppia più bella al mondo se solo lei
volesse.
Ma fino a quel momento, lui ha deciso di dedicarsi ad altro
pur di non impazzire per lo struggimento dato dall’attesa attanagliante.
Quartieri alti, strada principale.
Hinata se ne va inquieta per strada, nel tentativo di
rilassarsi.
Ha troppo pensieri ad affollarle la testa, e poi quella
sensazione di sperimento ed ansia si fa sempre più insostenibile.
Deve farcela a star senza, anche se le sembra così
impossibile.
Ogni tanto si ferma davanti a qualche vetrina, a volte
entra nel negozio se le interessa qualcosa.
Ma la verità è che al momento non ne vuole sapere di
niente.
Vorrebbe unapiccola, deliziosa pasticca per rimettersi al mondo, ma ha promesso a
Kurenai che non lo farà più.
Mai più.
Il nervosismo ed i sintomi contrastanti dati dall’astinenza
le fanno venire voglia di piangere e perdere il controllo.
Andando contro la sua ferrea autodisciplina.
Contro l’immagine di ragazza riservata ed educata,
temperata, che deve fornire alla gente, a quelli che lei chiama “gli
scrutatori”.
Ma non ci riesce a non piangere.
No, invece deve farcela.
Sì.
No.
Sì.
No.
Sì.
No…
“Ah!” esclama con un filo di voce, prima di lasciarsi
cadere all’indietro, rovesciando gli occhi.
Un dolore sordo le pervade la spina dorsale ed il cranio,
riesce a sentire il sangue che le scorre lentamente dalla lesione sulla nuca.
Singhiozza, ancora accasciata a terra.
Come alzarsi?
Come sfuggire agli sguardi invadenti e curiosi della gente
che si accalca intorno a lei?
Nessuna via di fuga stavolta.
Gratta sull’asfalto con le mani piccole e fragili,
spaccandosi le punte delle unghie morbide e minute.
Poi, quegli occhi.
Quel celeste abbacinante.
“Hinata, tutto a posto?”
La sua voce…E’ proprio lui…il suo ragazzo…
“N-Naruto…”
“Avanti, vieni, ti porto a casa. E voi, che avete da
guardare? Andatevene, forza!” dice con quel suo ghigno tipico di quando è
arrabbiato.
Hinata sente le sue braccia passare sotto al suo collo e
alle sue ginocchia per poi sollevarla.
Si guardano.
“E’ tutto a posto ora. Riesci a muovere le gambe?” domanda
premuroso.
“Penso di sì” risponde lei, agitando leggermente la
sinistra “Sì, ce la faccio.”
“Bene.Ora cerca di chiudere gli occhi e riposarti, penso a
tutto io.” Le sorride intenerito, come si sorride ad un passero dall’ala
spezzata.
Lei si lascia andare di nuovo all’oblio ed una lacrima,
timorosa, scende dall’angolo esterno dell’occhio destro per andare a rifugiarsi
tra i suoi capelli lisci.
Quando si sveglia, non c’è più Naruto accanto a lei, ma suo
cugino, che le tiene la mano, fissandola insistentemente.
Hinata sorride, felice che sia tutto passato.
Porta una mano alla nuca, dove si era ferita, e sente un
ingombrante tampone di cotone.
Spaesata, cerca un minimo indizio nel volto di Neji.
“Ti hanno messo i punti. Come ti senti ora?” quella sua voce
atona la disturba un po’.
“Senz’altro meglio…Nulla di grave vero?”
Di’ di no, di’ di no, di’ di no, di’ di no, di’ di no…ti prego…
“No, nulla, ma dovrai essere trasferita in una clinica di
riabilitazione. Così non ci sarà più il rischio che tu abbia altre crisi.”
Che umiliazione. Ora tutti sanno, o almeno tutti sapranno
che lei…
Di colpo si accorge che lui è sempre più vicino, le
accarezza il viso, le labbra, scende sulle spalle.
“Neji…” dice ansante Hinata.
“Sssh” sussurra lui, baciandola.
Ed in un momento nella ragazza avviene uno sconvolgimento
di tutte le sue precedenti certezze.
Ma è tutto troppo trascinante per non lasciarsi andare.
Che male c’è, se per una volta anche lei…
Si spogliano freneticamente, e poi lui inizia il suo lavoro
di seduzione armandosi di carezze così intime da sconvolgerla e baci.
I baci più caldi che lei abbia mai ricevuto.
Quindi, Neji si fa strada sul suo corpo, muovendosi
sinuosamente, seguito da lei, dalla sua piccola apprendista proibita.
E immediatamente, un dolore acuto le dilaga nel ventre,
cosicché Hinata si aggrappa saldamente ai muscoli della schiena di Neji, che
continua con colpi inizialmente delicati per non influire sulla sofferenza
della ragazza, e lentamente con maggiore forza ed impeto, assecondato dai
movimenti agevolanti e sensuali di lei, perdendosi nei suoi fianchi accoglienti
e meravigliosamente morbidi.
Il culmine li raggiunge, implicando un crescendo di
sensazioni incontrollabile ed un ultimo attimo di piacere assoluto.
Forse è semplicemente la proibizione di questo rapporto a
rendere tutto così indimenticabile ed eccitante per entrambi, o forse la loro
somiglianza esteriore e differenza interiore può farli arrivare a completezza
solo tramite questo rapporto di appagamento reciproco.
Ma ora è meglio che Hinata non si faccia troppe domande e
che, per una volta, accetti le cose così come vengono.
Spazio Cos:
Piaciuto?
A me sì ^^. Allora c’è da dire che questo capitolo si divide in tre parti,
ognuna dedicata ad una persona diversa.
La prima è per lilithkyubi (hai visto che è
arrivata?), la seconda per bambi88 (ora Kankuro è libero,
quindi…approfittane! ;-) ), l’ultima per Arwen5786-san (Hyuugacest per
sempre!).
E ora i ringraziamenti: Talpina Pensierosa (eccoti
Gaara! Non sarà come te lo aspettavi forse, ma spero che ti piaccia anche così
come l’ho dipinto io), Sakura03 (prossimo capitolo probabile SasuSaku!
Attenta nee-chan!), kun e ballerinaclassica ( mi fa piacere vi
sia piaciuto! Spero che anche questo incontri i vostri gusti ragazzi!) e Triadine
(nemy-chan! Che piacere! Dimmi che ne pensi ok?).
Kankuro, statuario, lavora sodo sui bicipiti, tentando di
distrarsi dal suo chiodo fisso.
Osserva bene tutte le ragazze che si trovano nella sala,
concludendo mentalmente che no, non ce n’è una che sia pari a TenTen.
Alcune sono completamente diverse, altre ci si avvicinano
leggermente, certe la ricordano per certi versi, ma nessuna è così
perfetta.
Perché TenTen è il tipo di ragazza che la gente ferma per
strada solo per complimentarsi con lei per la sua bellezza.
Una bellezza semplice, non artificiosa, naturale e fresca,
frizzante.
Ha un portamento femminile, gesti delicati e calibrati, ha
imparato l’eleganza e la leggiadria attraverso quasi dodici anni di ginnastica
artistica e danza classica, e tutto si può dire tranne che non sappia muoversi
con grazia esemplare.
Il suo corpo è slanciato, la sua statura considerevole, è
ben proporzionata, senza un filo di grasso, non esiste una parte di lei che non
sia tonica.
Tra l’altro, è anche fortunata perché ha un bel visetto a
cuore, occhi marrone scuro, brillanti, un naso piccolino, alla francese, arcata
sopracciliare leggermente curva, labbra sottili e sode, denti piuttosto
allineati.
Il suo carattere è definito da una marcata personalità,
piuttosto disponibile e gentile, simpatica, allegra, di spirito,
intraprendente, spigliata, carismatica, estroversa.
Sa quando tacere e quando parlare, come comportarsi a
seconda dell’ambiente riuscendo comunque a fare sempre un’ottima figura.
TenTen è tutto questo per lui, che è disposto anche a
passare sopra alle sue innumerevoli crisi isteriche più che preoccupanti.
Kankuro viene richiamato dalle sue riflessioni bruscamente
dall’esclamazione di una ragazza che gli sta passando accanto e che ha appena
urtato con il bilanciere piuttosto violentemente.
“Ahia! Ehi cerca di stare più attento!” dice, seccata.
“S-sì, scusami, non volevo…ti ho fatto molto male?” chiede
per pura cortesia, notando qualcosa di interessante nella fanciulla.
I suoi occhi meravigliosi.
“No, dai, è tutto a posto, non è successo niente, davvero.”
Fa per andarsene, ma viene bloccata dalla presa salda del ragazzo.
“Senti, come ti chiami?”le domanda, cercando di intavolare
una conversazione.
“Io? Kurokawa Asuka…” abbassa il viso, arrossendo un
pochino, nel tentativo di nascondere i suoi occhi straordinari dietro gli
occhiali.
“Piacere Asuka, io sono Sabaku no Kankuro. Senti, facciamo
così, per farmi perdonare perché non mi aspetti qua fuori tra dieci minuti che
ti offro qualcosa?”
“Va bene…allora a tra poco…” dice Asuka, svicolando verso
lo spogliatoio femminile visibilmente imbarazzata.
Kankuro rimane così, immobile, a fissare un punto nel
vuoto.
Dove prima c’erano quelle due stelle ambulanti, scomparse
con lei.
E anche lui corre a cambiarsi, ancora annichilito dalla straordinaria
bellezza di quella ragazza, completamente diversa dalla sua Ten, ma dotata di
uno sguardo che mette le ali.
Né troppo alta né troppo bassa, formosa più o meno come sua
sorella, capelli biondo cenere di media lunghezza, un sorriso tenero ed un espressione
da cerbiatto indifeso deliziosa.
Esce dallo spogliatoio e la aspetta fuori dalla palestra,
sistemandosi i capelli davanti alla porta a vetri.
Ma da quando non era così nervoso?
Da quanto tempo non sentiva più quella familiare stretta
allo stomaco, quella bramosia, quell’incertezza meravigliosa?
Troppo, fin troppo.
“Kankuro?” sente una voce chiamarlo da dietro, si volta
sfoderando un sorriso pieno.
“Ehi, ciao! Ti fa ancora male il braccio?” la voce
tremolante per l’ansia, l’espressione da scemo patentato stampata in volto.
“No, no, tutto passato.” Risponde lei educatamente.
“Senti, io non ce la faccio a non dirtelo, prendimi per un
maniaco o cose del genere, però hai degli occhi a dir poco stupendi…Sai a chi
assomigli? A bambi, hai presente il cerbiatto?”
Asuka scoppia in una risata imbarazzata e al tempo stesso
dolcissima.
Ride anche lui con lei, per poi incorniciarle il viso con
le mani e guardarla insistentemente.
Che bel taglio d’occhi.
E che bel punto di nocciola chiaro, quelle iridi luminose e
guizzanti.
E’ pura attrazione, è elettricità, è chimica, è follia.
E’ qualunque cosa voi decidiate di vedere nel gesto di
Kankuro, che incurante del fatto di non conoscerla, di non sapere niente su di
lei, del ritardo colossale che farà alla clinica per andare a trovare Gaara,
della gente che guarda curiosa, del battito galoppante del cuore di Asuka, la
bacia delicatamente sulle labbra.
E’ un bacio assai silenzioso.
Un bacio da film, di quelli che si vedono e rivedono,
forward e rewind, play e stop.
Un bacio di quelli che non si dimenticano, perché è
talmente folle e insensato da creare un’atmosfera unica ed irripetibile che si
conserva nel cuore.
Un bacio, che ne preannuncia molti altri.
Così, Kankuro ed Asuka si salutano immediatamente dopo,
ognuno verso i propri impegni, ognuno con un solo pensiero.
Un bacio.
Stanza d’ospedale n°27
Lei è stesa sul lettino, composta.
Dopo averla medicata ed essersi premurati che la sua
situazione si fosse fatta stabile, l’hanno lavata per bene, mettendola in
ordine.
Ora ha i capelli raccolti in una coda bassa, sulla nuca, ed
indossa un pigiama rosa pallido.
Non si è ancora svegliata dal suo arrivo in ospedale.
Ha una flebo attaccata al polso e due garze coprono i tagli
praticati verticalmente sugli avambracci, dall’incavo dei gomiti fino ai polsi.
Sul braccio opposto è attaccato un trasfusore di sangue.
Il colorito è pallido, il viso ha impressi i segni della
morte scampata per un pelo.
Sembra addormentata mentre giace lì, con il respiro lento
ed affaticato.
Lui non si è spostato di un centimetro, se ne sta seduto
accanto al letto con lo sguardo perso nel vuoto, tenendole stretta la mano
gelida.
Non ha proferito parola.
Non ha pianto.
Le ha solo, sempre continuato a tenere la mano.
Ad un tratto, si apre la porta della camera ed entra il
primario con un’infermiera piuttosto giovane, che indossa però una uniforme
diversa da quella delle altre infermiere dell’ospedale.
“Signor…Uchiha?” dice interrogativo l’uomo.
Sasuke si limita ad annuire di tutta risposta.
“Questa è Matsuri, un’infermiera della clinica di
riabilitazione per disturbi psichici e comportamentali R.C.C. Le comunico che
la signorina Haruno vi verrà trasferita quanto prima come provvedimento
preventivo onde evitare episodi recidivanti. I genitori sono già stati
avvisati. Ad ogni modo, non c’è da preoccuparsi. Ora come ora la ragazza è
salva e necessita solo di rimettersi in salute, contiamo di dimetterla a breve
e trasferirla direttamente lo stesso giorno.”
Sasuke lo guarda interrogativo, con aria di supponenza.
“Sakura non ha bisogno delle cure di un centro di
riabilitazione. Lei ha solo bisogno di me, lei vive per me, non le serve
nient’altro.”
Afferma gelido, sotto lo sguardo perplesso del medico.
“Ascolta, ragazzo, te lo ripeterò solo una volta: le mie
decisioni sono inconfutabili, e se io reputo che la signorina Haruno necessiti
di determinati trattamenti, vuol dire che le mie motivazioni sono più che
fondate. Ora taci, siediti, e quando finisce l’orario delle visite vattene.”
L’uomo e la ragazza escono in silenzio, lasciandolo da solo
alle sue riflessioni.
Come possono pensare di portargliela via?
La sua Sakura, colei che gli appartiene,
anima e corpo.
Non possono portarla via così, metterla in una clinica, in
un fottutissimo sanatorio.
Lui non può permetterlo.
E’ assolutamente inconcepibile: come potrebbe andare avanti
senza la sua presenza, senza le sue tenere parole, senza il suo punto di
riferimento?
Perché la verità è che vivono l’uno per l’altro, in maniera
simbiotica, condividendo un rapporto di esclusiva dipendenza.
“Sasuke…kun…” mormora lei.
“Sakura-chan? Sakura-chan rispondi…apri gli occhi,
svegliati, guardami amore mio, guardami!” dice in preda all’ansia lui, chino
sul suo viso.
“Sasuke-kun…sei proprio tu?” chiede con un filo di voce,
aprendo gli occhi vacui.
“Sì, certo che sono io. Adorata, ci vogliono separare, ci
vogliono dividere! Non lo permetterò. Io voglio star con te sempre. Hai capito?
MI HAI CAPITO? SEMPRE!!!” urla Sasuke tra i singhiozzi, afferrandola per le
spalle e scuotendola.
La testa di Sakura cade rivolta all’indietro, inconscia,
assolutamente vinta dalla spossatezza.
I medici invece afferrano Sasuke, tenendolo per le braccia,
e lo trascinano fuori dalla stanza, tentando di zittire le grida sfrenate del
giovane, recalcitrante.
Una volta fuori dall’ospedale, rimonta in macchina con il
viso rigato dalle lacrime.
Ora non sa né dove andare, né cosa fare, né da chi
rifugiarsi.
Ogni luogo ed ogni cosa gli vengano in mente gli ricordano
Sakura, improvvisamente onnipresente ed ossessionante.
“Che cazzo faccio ora, porca puttana?” dice tra sé,
appoggiando la fronte sul volante, finché non gli balena un’idea suicida in
mente.
Ingrana la marcia con gli occhi sbarrati, combattuto se
andare da lui o non farlo.
Si ferma davanti a quel portone familiare, alla ricerca di
un segno che gli suggerisca cosa fare.
Sprofonda nel sedile, passandosi una mano tra i capelli
corvini, umidi di sudore, mentre il suo respiro si fa sempre più affannoso ed
il suo viso si contorce convulsamente.
Troppi brutti ricordi.
Andare là dentro significa ricascarci e ricominciare, e
magari finire anche lui in riabilitazione.
Sì, però una striscia in quel momento ci starebbe
benissimo.
Guarda in lacrime quella villa, quel portone, la strada
avanti a sé, illuminata dai lampioni.
E decide, finalmente.
Tira un sospiro profondo, per poi tornarsene a casa, a
crogiolarsi nei suoi pensieri.
Perché, forse, non è continuando a scappare da un seppure
doloroso passato che riuscirà a vivere il suo presente.
Spazio Cos: Causa mancanza di ispirazione,
questo capitolo si conclude qua, con solo due coppie, invece che tre.
Perdonatemi, spero che recensirete numerosi ugualmente, il
fatto è che in questo momento sono molto giù di morale T_T…consolatemi amati
lettori, vi prego! Sto veramente a terra…
Bambi88: indovina un po’ chi è Asuka? Tu tesoro! Spero la
sorpresa ti sia piaciuta, io mi sono consultata con Arwen per renderla il più
somigliante possibile a te!
Hinata è un perfetto esempio di persona accidiosa.
Lei ben sa cosa è bene e come raggiungerlo.
Ma la vita le aveva riservato talmente tanti fallimenti
che, forse, era giunto il momento di arrendersi.
Lasciare che tutto le scivoli addosso.
Atarassia.
La più auspicabile delle opzioni.
Niente più sofferenza.
Nessuna emozione, semplicemente guardare il mondo scorrere
dal suo angoletto, in dolce attesa della fine.
A che pro lottare per un Naruto che non c’è mai?
A che pro lottare per difendere la sua relazione con Neji,
laddove la cosa può condurre solo all’emarginazione e alla repulsione?
A che pro lottare per dare un senso alla sua vita?
Non importa più nulla.
Perché una tossicodipendente rimane sempre una
tossicodipendente, qualcosa da nascondere, un fallimento della famiglia, da
allontanare il prima possibile e, magari, per tutta la vita.
Rinchiusa in uno squallido centro di riabilitazione…come i
matti, gli schizofrenici…
Hinata impallidisce, è gelida, le gocce di sudore affiorano
sulla sua pelle.
Si sfrega le mani convulsamente, gli occhi guizzano
angosciati da una parte all’altra della sua camera, che ora le appare così opprimente.
Accucciata, con le ginocchia strette al petto, si dondola
in un angolo, seduta sul marmo freddo, sbattendo la schiena al muro, facendo
ondeggiare la testa avanti e indietro, la frangetta le sbatte delicatamente
sulla fronte.
Batte i denti.
Si formano degli aloni di sudore sotto alle sue ascelle
lisce, sulla schiena, sull’addome. Lei odia sentirsi sudata.
Così, non sapendo che fare, l’unica cosa che le rimane è
starsene là in attesa.
Di cosa, poi, non si sa.
Però è l’unica cosa che sa fare davvero bene: aspettare.
Hinata aveva amato. Eccome se lo aveva fatto. Forse lo fa
tutt’ora.
Anche se è confusa.
Neji, così esperto, accurato, la sua precisa metà, anche se
è maledettamente pericoloso.
Naruto, la sua cotta adolescenziale, quello sguardo
penetrante, ma così meschino.
Amare sia l’uno che l’altro è un suicidio.
Naruto è completamente inaffidabile, disattento, sempre
appresso alla sua vecchia fiamma, Sakura, costantemente a rischio per via delle
sue idiozie. E poi è inconfutabilmente un poco di buono: ruba dove può per
comprare fumo che poi spaccia ai ragazzi più piccoli, sempre in giro a fare scritte
con le bombolette, finito un paio di volte in riformatorio per aver dato adito
a più di una rissa, alcune finite come lotte all’arma bianca.
Una testa calda, irrimediabilmente.
Che però sa anche essere dolce, e così ogni volta Hinata
perdona, dimentica.
Neji invece è uno sciupafemmine. Bello, con quel che di
misterioso e velato, un lato oscuro irresistibile, intrigante, chiuso.
A tratti appare addirittura insensibile.
Lei ha paura ad innamorarsi oltremodo di lui: farlo è
decisamente imprudente.
Un altro rifiuto sarebbe necessario per ucciderla.
E, nel dubbio, Hinata si rifugia nella solitudine e nello
squallore di un laccio emostatico con una siringa.
Guarda quei due oggetti inespressiva.
Poi, un viso si fa strada tra i suoi pensieri, con
prepotenza, e con esso la promessa che aveva fatto: niente più droga.
Kurenai.
Un nome dolce per una persona dolce.
Una donna che conduce la vita ideale, secondo Hinata: un
lavoro ben pagato e dignitoso, che le piace, conduce una convivenza semplice ma
amorosa con il suo compagno Asuma, è bella nel senso più universale del
termine, si sa comportare, vive serenamente.
Lei, invece, sta per essere strappata via da tutto quello
che le è a forza diventato familiare con gli anni.
Ma, in fondo, non cambierà niente: sta solo passando da una
gabbia all’altra, tutto qua.
Ci vorrà solo un poco di tempo ad abituarsi.
Abitudine.
La sfida più grande che la vita pone è la quotidianità, la
schiavitù della routine. Eppure, chi riesce a trovare qualcosa di straordinario
nei piccoli gesti di ogni giorno è salvo, e possiede il segreto della vita
stessa.
Ad Hinata queste piccole gioie sono state portate via dalla
cattiveria delle voci messe in giro su di lei, dall’indifferenza di tutti nei
suoi confronti, dalla costante sensazione di diventare sempre più
insignificante.
Con fare svogliato e debole, si alza in piedi, barcollando
verso il letto, lo sguardo vacuo fisso sulla valigia da fare.
Gesti che preannunciano una radicale chiusura a tutto
quanto è stato, ed una fioca speranza per il futuro.
Stanza d’ospedale n°27
Sakura si sveglia dolcemente, spalancando i suoi grandi
occhi verde chiaro al nuovo giorno.
L’immediata consapevolezza di non essere a casa sua le
sopraggiunge nel vedere la stanza bianca abbacinante e, soprattutto, le garze
che coprono i solchi profondi ricuciti sui suoi avambracci.
Allora, in definitiva, non era un sogno: lei aveva davvero
tentato di suicidarsi.
Non riesce a rendersi conto dell’affiorare delle lacrime
che il suo petto è già squassato dai singhiozzi.
Chi l’aveva portata là?
Chi aveva avuto la supponenza di decidere che lei dovesse
vivere?
Chi, chi, chi, chi, chi?
“Si è svegliata.” Constata una voce, da un angolo della
stanza.
Sakura si volta di colpo: non avrebbe mai immaginato che ci
fosse qualcuno oltre lei lì dentro.
“Chi…chi c’è?” mormora leggermente impaurita.
“Mi chiamo Sai, sono un infermiere dell’R.C.C., in qualità
di rappresentante della clinica sono tenuto ad informarla, Signorina Haruno,
che al termine della convalescenza un addetto la attenderà qui in ospedale per
trasferirla in una stanza liberata appositamente per lei nel nostro reparto per
i pazienti affetti da crisi depressive con conseguenze più o meno gravi nel
tempo. Dal momento che i suoi genitori non sono in città, il primario si è
assunto tutte le responsabilità concernenti la sua convalescenza ed i
provvedimenti necessari.”
Si fa avanti il ragazzo, vestito con un camice celeste,
capelli neri e lisci, occhi indecifrabili, tra il ghiaccio ed il nero,
dall’aspetto assolutamente apatico.
C’è qualcosa in tutto questo che la disturba: non c’è
tenerezza, non c’è un minimo sentore di sensibilità.
Si accorge improvvisamente, con grande dolore, che nel
mondo il suo risveglio non comporta niente.
Quel ragazzo…lui è lì perché gliel’hanno ordinato, non per
altro.
Il primario ne avrà viste altre mille come lei.
Le infermiere sono diffidenti e brusche.
E Sasuke-kun non c’è.
Lei voleva solo affetto.
Lei voleva un abbraccio, una carezza, una voce amica.
E invece davanti a lei c’è solo un giovane enigmatico con
l’espressione da sogliola che non sembra minimamente tentato a confortarla.
“Quanto ci vorrà?” chiede sconsolata.
“Circa altri due-tre giorni. Ah, mi hanno detto di
consegnarle dei presenti che le sono stati fatti da un certo signor Uzumaki-
Naruto?le sembra tanto strano…ancora si ricorda da lei dalle medie!Sakura non
può trattenersi dal sorridere- e dal giovane Uchiha.”
Se il fatto che Naruto l’avesse pensata la aveva sconvolta,
che lo avesse fatto Sasuke la devasta completamente.
Sai-sogliola le allunga un grande cesto pieno di fiori
rosa, con al centro una scatola di cioccolatini, rosa anch’essa.
Legge il biglietto, scritto con grafia stentata ed
infantile: Sakura-chan! Guarisci presto, appena puoi fammi uno squillo e ti
offro una bella scodella di Ramen! Naruto, sempre uguale, con lo stesso
amore per il ramen così smodato e…per lei.
Poi, Sai-sogliola le passa un pacco piuttosto piccino,
incartato alla perfezione e con un bel biglietto, sul quale spicca una
calligrafia elegante e semplice.
Sai
bene che con le parole non ci so fare, perciò scriverò poco,
sperando
di colpire il tuo cuore egualmente.
Pensami in
ogni momento, mia dolce,
durante
questo annoso periodo che ci separa.
Sappi che
mi hai come io ti ho.
Ti amo.
Uchiha
Sasuke.
Sakura improvvisamente riprende il pianto interrotto
precedentemente dall’intervento del ragazzo-sogliola.
In quel momento succede l’incredibile: sente un tocco caldo
sulla schiena e Sai le porge un fazzoletto di lino bianco con naturalezza.
Lei accetta, nascondendo il volto sul torace del ragazzo,
che le circonda le spalle con il braccio, un po’ sorpreso.
Dopo una ventina di minuti, riesce a risollevare il volto,
che presenta occhiaie ancora più scavate e labbra, naso e occhi arrossati,
leggermente urticati.
“Ti senti meglio?” domanda con la solita voce piatta lui.
“Sì…grazie, davvero…grazie di tutto.” Risponde lei.
“Hm. Allora…a presto, Sakura Haruno.”
Esce dalla stanza silenziosamente, nello stesso modo in cui
era entrato.
Sakura apre il pacco di Sasuke: un libro “Nessun luogo è
lontano”, Richard Bach.
Villa Sabaku
Il salone della villa è splendido.
Pavimento in cotto, un largo camino scoppiettante ed
accogliente, due poltrone ed un divano di pelle invecchiata, lucida e
curatissima, una biblioteca che riveste un intero lato della stanza, un
impianto stereo Bang & Olufsen, un tavolino di cristallo e l’immancabile
mobiletto dei liquori.
Temari se ne sta acciambellata sulla poltrona più vicina al
camino, il tavolino davanti con sopra posacenere, bicchiere con ghiaccio ed una
bottiglia di scotch, avvolta in una morbida coperta di pile.
Ha addosso una felpa grigia, leggins blu notte e morbidi
calzettoni di lana bianca.
I capelli sono tutti in disordine.
Più o meno come i suoi pensieri in quel momento.
Versa svogliatamente lo scotch fino a riempire il
bicchiere, per finirlo tutto d’un sorso.
Strizza gli occhi, scossa dall’alcolico ingerito, tentando
di mettere a fuoco per bene.
La sua esistenza se ne sta andando via senza di lei
ultimamente.
La scuola è uno strazio: non riesce assolutamente a
concentrarsi, a studiare, ad applicarsi, nonostante manchi poco più di un mese
alla fine.
Il suo fisico è completamente sfiancato dalla vita
sedentaria che conduce.
Non riesce né ad uscire né a studiare.
L’unica cosa che riesce a fare è scrivere il suo diario,
affannosamente, e bere.
Ingozzarsi di liquori.
Accidia.
Temari sa che, per il suo stesso bene, dovrebbe dare il
massimo in questo ultimo periodo, e che per recuperare un po’ la forma dovrebbe
assolutamente andare in palestra.
Ma è come se qualcosa la trattenesse, le impedisse di
uscire, la tenesse legata a quella poltrona maledetta.
O forse è, più semplicemente, la sua volontà che è andata a
farsi benedire.
Fatto sta che lei vorrebbe poter ottenere risultati senza
lavorare.
Pigrizia dell’anima.
Eppure lei non era sempre stata così.
Lei era sempre stata una reazionaria, perciò perché
arrendersi così fiaccamente?
Perché darla vinta a chi la vorrebbe soppiantare?
Butta sul tavolino la coperta e si alza, con
determinazione: non è davvero disposta a cedere.
“Un ultimo giro di vite, Tem…E poi saremo a posto. Una cosa
per volta, noi ce la faremo.” Dice tra sé, sfoderando quel sorriso che lui
tanto ama.
Il sorriso della battaglia.
Il sorriso che, nonostante lei possa essere distrutta,
umiliata, amareggiata continua a rimanere sulle sue labbra.
Il sorriso di chi non può perdere, il sorriso di un ego
mastodontico ed incrollabile.
Spazio Cos: ok, oggi vi volevo lasciare con
un capitolo speranzoso, che guarda al futuro con ottimismo!
E lo dedico a me, ai miei momenti bui, ai miei molteplici
errori, alle cose che mi sono conquistata e a quelle che mi sono state tolte
con la forza, alle volte in cui ho saputo reagire e a quelle in cui mi sono
data per vinta.
Spero che da oggi mi si prospetti un periodo migliore di
quello passato, e ringrazio in particolar modo una certa (<3) persona
per le cose che mi ha detto sabato…E’ il mio modo per far sapere che io lo AMO
alla follia.
Arwen5786: ti ringrazio per avermi aiutata ad effettuare il
mio piano diabolico! Vedo che anche tu hai fatto altrettanto, perciò ora
bisogna parlare con Kishimoto affinché disegni il personaggio di Asuka! Grazie
per le belle parole…tvb oneesan ^^
Bambi88: volevo sorprenderti e, a quanto pare, ce l’ho
fatta! Presto sapremo com’è andato l’appuntamento tra i due…Mi farebbe piacere
poterti sentire, nel caso possiamo poi trovare un modo. Grazie dei complimenti
*O*
Talpina Pensierosa: tranquilla, era un momento passeggero
che fortunatamente è passato ben presto!
Lilithkyubi: ben presto rivedremo Gaara e Matsuri, anche se
ce ne vorrà un po’ affinché avvenga qualcosa tra i due: devo trovare un
pretesto…grazie per i complimenti!
Mansu95:mentre per quanto concerne TenTen mi trovi
completamente d’accordo, io non vedo Hinata come una traditrice, ma più che
altro come un’anima non completamente conscia e responsabile delle sue azioni…è
in balia degli eventi, trascinata dalla marea delle sue emozioni, ma presto si
troverà a dominarle.
Per il resto, ti ringrazio vivamente, sono sempre felice
quando le mie storie, che mi costano davvero molta fatica, vengono così
apprezzate! Un bacio forte!
Ballerinaclassica: mia cara! Grazie mille innanzitutto…e
comunque il momento è passato e ora sono viva e vitale stile Naruto XD!
Un bacio a tutti, recensite in tanti: ci vogliono al
massimo 2 minuti e mi farete felice per molto più tempo!
Che strano tornare in quella casa dopo essere stato tanto
tempo con Sakura-chan, a vegliarla in ospedale.
Quanto silenzio, quanta inquietudine celata da un’apparente
serenità.
Forse perché la solitudine ha sempre quel lato misterioso,
agevolato dalla consapevolezza di non avere altri che sé e lei.
Sakura è il suo vizio, la sua ancora, il suo peggior
difetto, la sua migliore amica.
Sasuke si è costruito un punto di riferimento su di lei,
una tana sicura, una situazione familiare che sa già come gestire e che, in
virtù di questo, gli permette di macchiarsi di qualunque colpa sapendo di
andare incontro al perdono di quella ragazza così accecata dalla gioia di
averlo.
La sua passione intramontabile resta comunque una sola.
L’unica che gli tenga testa con il vigore di un toro,
presuntuosa, indisponente, sicura di sé.
Troppo sicura di sé.
Sicuramente non bella quanto Sakura, né graziosa quanto
lei, né tantomeno così amabile e dolce.
No, non ha un aspetto particolarmente eclatante, ma ha quel
diavolo di stile che la rende unica.
Per non parlare del caratteraccio spigoloso e cinico.
Sgraziata e sgarbata, prepotente.
Tra loro due c’era sempre stata una relazione conflittuale
in eterno bilico tra l’odio più feroce e la passione sensualissima.
Karin, l’indomabile.
Gli dispiace pensare a lei, ma come evitarlo?
Come rinunciare al suo segretissimo oggetto del desiderio?
Si alza al suono del campanello e, aprendo la porta, non
può fare a meno di spalancare la bocca.
Perché davanti a lui c’è lei che lo guarda torva dagli
occhiali, con un sorrisetto sarcastico e compiaciuto sulle labbra e i capelli
rossicci scomposti.
“Mi sembri sorpreso, posso entrare?” dice spostandolo dalla
soglia con una manata in pieno petto, mentre avanza verso il salotto col solito
portamento mascolino.
“Lo sono, è da molto che non ci vediamo.” Risponde lui,
seguendola come ipnotizzato, senza sapere in realtà cosa lo aspetta.
“Mhm…”mugola lei sdraiandosi sul divano pervinca. “Quanti
ricordi Sasuke, stavo ripensando a quando abbiamo fatto quella ricerca di
scienze insieme. Eravamo qua, no?” lo guarda interrogativa.
“Vuoi dire quando HO fatto la ricerca di scienze mentre TU
te ne stavi sdraiata esattamente nella stessa posa in cui ti trovi ora.”
Si guardano con aria di sfida.
Karin alza il sopracciglio sinistro ed aspetta una mossa di
Sasuke.
Questi arriccia le labbra, pregustando già il gioco di
frecciatine che si apprestano a scambiarsi.
“Dimmi, come va con la fascinosissima piattola rosa?”
Silenzio. Uno a zero per Karin.
“Tu, piuttosto, vecchia mia, a quanti sfortunati lo hai
tagliato dopo esserteli portati a letto?”
Sasuke in rimonta con una battuta feroce.
“Mmm di solito faccio altro dopo essermeli portati a
letto. Vuoi vedere?”
Maledetta.
Ha la capacità di insinuarsi nei suoi pensieri come un
serpente, annidandosi nei più dolci ricordi di Sakura e andandoli a sostituire
con un bestiale, irrefrenabile desiderio di dominarla con tutta la rabbia che
ha in corpo, liberandosi dalla sofferenza che lo attanaglia nell’attesa di una
sua mossa.
E Karin non ama far aspettare le persone.
Fulminea, proprio come un aspide, lo attira a sé vigorosa,
lasciandosi cadere con Sasuke stretto al petto giù sul divano.
I loro occhi scuri si scrutano, temporeggiano.
Poi le labbra di lei contro le sue, piene di lussuria,
quelle mani sulla sua schiena liscia e le sue sul ventre piatto di Karin, che
risalgono verso le costole e ancora sopra.
Sasuke sente che ce la può fare.
Si trova ad un passo dal coronamento del suo più grande
sogno, quello più proibito e selvaggio.
Un attimo di esitazione, un ultimo pensiero a Sakura, e
quando i loro sguardi si incrociano nuovamente decide.
Karin si spoglia lentamente, in un sadico gioco di
prolungamento della sua “svestizione” che fa fremere di impazienza il
suo spettatore, per poi concedergli una panoramica del suo corpo, a partire dai
piedi piccoli, le caviglie sinuose, le gambe ed i fianchi burrosi,
iperfemminili, la schiena perfettamente articolata, l’addome levigato, le
braccia affusolate, il seno proporzionato.
E quei capelli fulvi, lisci e disordinati che fanno
risaltare la carnagione lattea.
Lui si sposta su di lei, mostrandosi a sua volta nudo in
tutta la sua elegante virilità: un fisico estremamente asciutto a differenza
della formosità di lei, muscoli articolati e sviluppati in modo atletico,
perfettamente aderenti alla sua struttura.
Il suo sguardo si posa sul viso intenerito della ragazza
che giace sotto di lui con gli occhi socchiusi, distratta dal piacere e dal
significato del loro gesto, qualcosa che tutti e due aspettavano, ma che erano
troppo insicuri per osare.
Improvvisamente gli appare quasi angelica, ancora più bella
senza occhiali, senza quell’aria feroce e intimidatoria perenne.
All'improvviso, nota che anche lei lo sta guardando.
Osserva quell’uomo così desiderato, gli si aggrappa alla
schiena per comunicargli che è solo suo, per fargli capire quanto siano
completi.
Studia il suo respiro, il tendersi dei muscoli del collo e
delle spalle ampie, il ritmo incalzante seppure affondi in modo estremamente
gentile, come contrae la mandibola e come si sfoga liberando delle soffocate
urla.
Un attimo solo, e accade.
Subito dopo si distendono l’uno accanto all’altra, senza
parlare.
Le parole sono semplici accessori con i quali adornare
gesti che, di per sé, sanno essere meravigliosi anche spogliati di esse.
Sasuke accarezza gentilmente il corpo di Karin,
raggomitolata contro di lui, inerme.
I suoi occhi castani hanno un bagliore così diverso.
“Sasuke, Sasuke. È una vita che ti amo, che ti inseguo, e
tu te ne accorgi solo ora…Mi hai deluso, piccolo genio.” Commenta sorridendo.
“Ti…Ti amo anche io. Com’è strano: è una vita che lo dico a
Sakura e scopro solo adesso, con te, piccola serpe, cosa voglia dire.”
La bacia con dolcezza sulle labbra carnose, cingendole la
vita con un braccio.
Chiudono gli occhi insieme, stremati, contenti, appagati.
Casa Yamanaka
Sdraiata sul letto, con posa da diva, sigaretta in bocca
ed addosso solo un paio di shorts e una vestaglietta di seta rosa cipria, se ne
sta Ino, drammaticamente annoiata.
Si specchia.
Cosa vedi, Ino?
Una bellissima ragazza, ma con gli occhi più tristi di
tutti.
Cosa sei, Ino?
Bella.
Bella, di quella bellezza traditrice che la fa
ritenere un’oca dalle sue nemiche, una puttanella dai suoi ex, un modello dalle
sue amiche, un sogno dai suoi spasimanti.
Di quella bellezza che fa pensare che rimarrà per sempre,
sulla quale uno basa la propria vita senza rendersi conto che non è così.
Di quella bellezza che la fa passare per una buona solo per
scopi meschini, troppo stupida per ragionare e capire.
Nient’altro?
Fragile ed instabile.
Per questo ama Kiba: quel modo con cui lui la fa sentire la
sua cucciola, un essere da proteggere, ma soprattutto il suo trattarla da pari.
Non come una bambina che non riesce a capire.
Come una persona vera, che non ha bisogno del disegno sul
tovagliolo al pub per capire un discorso elementare, né di sentirsi dire “Ma
che ne vuoi capire te, scema come sei.”
Ripensa, sorridendo con dolcezza, alle sue braccia calde e
rassicuranti, addirittura si abbraccia le spalle civettuola davanti allo
specchio a muro.
Sospira, scuotendo la testa: innamorata come una bambina,
che bello sentirsi di nuovo casta ed innocente.
Redenta da un amore che le da finalmente la possibilità di
riscattarsi.
Spegne la sigaretta nel posacenere sul comodino, poi
un’idea le balena in mente: se vuole davvero migliorare, l’unico modo per farlo
è cominciare a leggere.
Così, scruta gli scaffali della libreria per poi afferrare
un libro dalla copertina blu scuro.
Una stanza
tutta per sé – Virginia Woolf
Riuscirai ad emanciparti, Ino?
Prima che sia troppo tardi?
Sì,
bellezza traditrice.
Spazio Cos:
Miei cari lettori, scusate per il ritardo ma ci sono stati
un po’ di problemi ultimamente, tra i quali la scuola che mi tormenta e un
lungo lasso di tempo in cui la mia ispirazione è stata pari a zero. Chiedo
perdono!
Diciamo che il pezzo clue è la SasuKarin, che mi ha
davvero emozionata molto…Meno bella secondo me è la parte su Ino: l’ho
riscritta centinaia di volte, ma non vuole proprio quadrare, perciò la pubblico
così com’è uscita.
Volevo ringraziare Kurenai88(ce l’hai fatta! Spero
che ti piaccia anche questo, anche se penso di sì…hihi), Arwen5786(grazie
neesan, me commossissimissima!), Bambi88(sei l’unica che ha dato la
giusta lettura al biglietto di Sasuke: in questo capitolo c’è la spiegazione
alla sua “fobia” di perdere Sakura…bravissima Asuka!), littlemoonstar(ooh
una nuova fan! Che bello! Sarò onorata di “sopportarti” fino alla fine. Un
bacione!), mansu95(grazie mille dei complimenti, Tem si riprenderà
benissimo te lo garantisco: io la adoro!), Triadine(grazie Chibi-chan,
sei sempre dolcissima <3).
Inoltre ringrazio tutti coloro che hanno messo la mia
storia tra i preferiti: fatemi sapere cosa ne pensate tramite una recensione,
mi farebbe molto piacere!!!
TenTen cammina per strada, indossa un vestitino giallo pallido di seta,
con una cinta di vernice nera ed ha ai piedi un paio d
Lezioni
di Volo
TenTen cammina per strada, indossa un vestitino giallo
pallido di seta, con una cinta di vernice nera ed ha ai piedi un paio di all
star nere.
Non ce la fa a non pensare a lui.
Neji, così onnipresente ed invadente, quasi un tormento per
lei, che non ha tregua e non riesce a cancellarlo dalla sua vita.
Ma per fortuna che c’è Kankuro.
Lui la capisce, lui sì che la ama.
Così, TenTen decide di andarlo a trovare: lo vuole vedere,
vuole giacere tra le sue braccia, vuole sentire i suoi baci sulla sua pelle,
vuole sentire il suo peso addosso, vuole quel respiro vibrante sul collo,
quell’emozione unica che si fa viva quando le divarica le gambe…
Trova il portone di casa del ragazzo distrattamente aperto.
Entra, sorridente, andando verso le scale che portano al
piano superiore, dove sono le camere da letto.
“C’è nessuno? Kankuro, sono io, TenTen…” dice a voce alta.
“Hey, TenTen! Come stai?” grida Temari, uscendo dal bagno
ed afferrandola per il braccio.
La mora nota una strana espressione sul volto della
ragazza.
“Tutto bene, grazie, ero venuta per fare un saluto a
Kankuro, c’è?” domanda impaziente.
“A-aspetta s-solo un attimo c-che te lo c-chiamo…” risponde
quella, correndo poi verso la stanza del ragazzo.
TenTen aspetta nel corridoio, appoggiandosi al mancorrente.
Che diavolo sta succedendo in quella casa?
Dopo una decina di minuti, si dirige come una furia verso
quella maledetta porta e la spalanca, per trovarsi davanti uno spettacolo
sconvolgente: Temari in piedi, davanti al letto del fratello, nel quale sono
stesi Kankuro ed una biondina.
“TenTen?” dice stupito lui.
Non ha parole. Si porta le mani davanti alla bocca,
arrossendo, nel tentativo di soffocare un grido.
“Chi è lei, amore?” chiede la ragazza bionda, stretta nel
suo abbraccio, con voce assonnata.
“Nessuno, piccola, una vecchia amica, tutto qui.” Le
risponde con dolcezza, dandole un bacio sulla fronte e stringendola ancora più
forte.
TenTen scappa via dalla stanza e poi giù per le scale,
correndo lungo la strada fino allo sfinimento, senza alcun posto dove recarsi,
solo continuando ad andare, senza indugiare un attimo.
Sente la gola seccarsi e le gocce di sudore scendere lungo
l’incavo della schiena.
Si ritrova nel giardino comunale, la ghiaia le rende
difficile la corsa, il respiro affannoso la implora di fermarsi, i nervi la
obbligano ad accelerare ulteriormente.
Ad un tratto poggia il piede in malo modo a terra e cade,
sbattendo il viso sui ciottoli mentre grandi lacrime le scorrono lungo le
guance, inarrestabili.
Stringendo i pugni, fa forza sui palmi per rialzarsi, senza
però riuscirci.
Ha perso tutto.
Il suo Neji, l’amore di una vita.
Kankuro, la sua consolazione, il suo amico e confidente.
Non c’è più nulla per lei.
“Che ci fai sdraiata sul sentiero, Ten-chan?”
Una voce conosciuta la obbliga a spostarsi da quella
posizione e a rannicchiarsi, stringendo le ginocchia al petto.
“Nulla.”
Quel nulla che invece significa sto soffrendo,
che contiene un’implicita ma non per questo meno importante richiesta d’aiuto,
richiama l’attenzione del ragazzo che la osserva, incuriosito e dispiaciuto.
Si siede in terra accanto a lei e le porge un fazzoletto,
regalandole uno di quei suoi irresistibili sorrisi ottimistici.
“G-grazie…” dice lei, abbozzando a sua volta un sorriso e
asciugandosi i grandi occhi scuri.
Si limita a guardare dritto davanti a sé, assorta nei
frammenti di ricordi vari che le attraversano la mente come una serie di
diapositive.
Le lunghe ciglia cercano di ostacolare il raggio di sole
che, ostinato, le illumina prepotentemente il volto, generando uno splendido
gioco di luci ed ombre con i suoi lineamenti regolari e precisi.
“Sei molto carina, Ten-chan.” Commenta lui, tentando di
risollevarle il morale abbattuto.
“E tu sei molto gentile, Naruto-kun.” Risponde, indicando
una panchina dove sedersi.
Restano lì, sul ferro battuto freddo, in silenzio.
Naruto ha paura di chiederle come vada la sua storia con
Neji: e se fosse così triste proprio per colpa di un qualche problema con quel
ragazzo? Meglio evitare di fare figuracce.
TenTen non sa che cosa dire: da una parte teme di dargli
noia parlandogli dei suoi problemi, dall’altra non vuole assolutamente
intraprendere il tanto ostico discorso “Hinata”, sapendo bene che potrebbe
finire col dire qualcosa di sbagliato, mentre in quel frangente l’unica cosa
che desidera è stare serena.
“Ten-chan?”
“Naruto-kun?”
“Ti va di mangiare qualcosa insieme e parlare un po’ dei
tuoi problemi?”
Richiesta goffa.
Goffa ed azzardata.
Con altissima percentuale di rifiuto e, conseguentemente, di
umiliazione.
Ma per ogni 90%, esiste sempre un 10%.
E Naruto spera di rientrare in quella fortunata parte.
Nella vita lui è sempre stato l’eccezione, perché
non esserlo anche questa volta?
“Va bene.”
Si sorridono.
Improvvisamente, lei gli sembra talmente adorabile, con
quella sua espressione dolce: le labbra leggermente inarcate, gli occhi chiusi,
la frangetta castana che ondeggia sulla fronte minuta, le braccia dietro la
schiena.
Lui le appare così cambiato: più maturo, gentile,
simpatico, addirittura galante.
Sentono che qualcosa è cambiato tra loro due.
Prima si salutavano appena, ma ora…si è instaurata
un’affinità particolare, una sorta di atmosfera di confidenza, di quelle facili
da infrangere perlomeno quanto da approfondire.
Naruto la porta a casa sua.
E’ ancora disordinata dalla mattina, TenTen nasconde un
risolino nel vedere il ragazzo affaccendarsi per sistemare il sistemabile e va
dritta verso il frigo, dove trova quanto basta per preparare il piatto che le
riesce meglio: il ramen.
Glielo aveva insegnato la nonna e lei adorava prepararlo,
ma Neji non aveva mai apprezzato le varie versioni che gli aveva proposto più
volte.
“Di’, a te piace il ramen?” chiede al ragazzo, che si volta
assumendo un’espressione comica quanto gioiosa.
“Se mi piace? Ma io adoro il ramen!!! Ten-chan, non mi dire
che…”
“Perfetto, perché è l’unico piatto che so preparare!”
soggiunge lei, per poi scoppiare in una fragorosa risata, cui si accoda anche
lui.
Così, TenTen si mette a ripulire i ripiani ed il tavolo
della cucina prima di darsi da fare per preparare la cena, Naruto invece porta
giù la spazzatura e mette a posto il resto della casa spoglia.
Un appartamento piccolo, con poche suppellettili, qualche
foto sparsa intorno, costituito da un bagno, una cucina, un salottino ed una
camera da letto. Il tutto per un massimo di 60metri quadrati.
“E’ pronto!” annuncia con un sorriso soddisfatto lei.
Lui corre come un fulmine in cucina, inspirando a fondo
l’odore delizioso che si levava dalle ciotole messe a tavola, nelle quali
TenTen aveva servito elegantemente il ramen.
“Mmm…ha un profumino fantastico…” commenta Naruto, prima di
sedersi con lei.
“Allora, buon appetito!” dice la ragazza con fare allegro.
Cenano senza star troppo a pensare ai propri problemi,
quasi dimentichi di tutto.
Ed infine si siedono sul divano, rilassati, ed in quel
momento le sovviene il viso di Neji, che lei cerca di cacciare via scrollando
vigorosamente la testa.
Si guardano, prigionieri l’uno dell’incantesimo degli occhi
dell’altro, incapaci di fare altro che non sia osservarsi.
Oceano…mai visto nulla di così intenso e vivo come le
iridi del ragazzo davanti a lei: piene di pathos, comunicative, di quel colore
che ispira libertà e coraggio, dotate di uno sguardo determinato, coraggioso,
gentile e sensibile.
Un oceano in cui perdersi senza temere di soffrire,
semplicemente godendosi l’incanto del naufragio.
Cioccolata…gli occhi di lei gli ricordano
la cioccolata. Dolci ed espressivi come quelli di un cucciolo, pieni di
tenerezza e di bisogno di amore, troppo a lungo sottovalutati, stretti nella
morsa dell’indifferenza di Neji.
In grado di suscitare compassione in chiunque le si
trovasse davanti, ricchi di sfumature emozionanti.
“Devo andare, Naruto-kun…ci sentiamo presto!”
Si alza e gli lascia un bacio sulle labbra.
Leggero, come un fiore di buganvillea.
Caldo, come un soffio di scirocco.
Sfuggevole, come una farfalla.
E già lontano appena lui riesce a realizzare, come i passi
di lei.
***
Villa Uchiha
Karin si volta tra le lenzuola, tastando il letto alla
ricerca del corpo di Sasuke.
Lo individua ben presto e gli si avvicina, cominciando ad
accarezzargli la schiena con delicatezza, temendo di svegliarlo.
Lui, svegliatosi comunque, mugola un brontolio con la
faccia ancora immersa nel cuscino, prima di voltarsi verso di lei con un
broncio fittizio.
Le passa un braccio intorno alla vita, abbozzando un
sorriso nella penombra della camera.
“Buongiorno..”dice lei.
“Hmm…come stai?” chiede Sasuke.
“Non c’è male.” Risponde, baciandolo.
Si stringono più forte, scoppiando a ridere sottovoce,
fissandosi negli occhi.
Neri, ed ancora più neri.
Veloci, le mani di Karin scorrono sulla sua schiena,
spostandosi poi sulle anche e carezzandogli l’addome glabro.
Sasuke si fa strada tra le gambe di lei con estrema
delicatezza, quel suo fare raffinato ed elegante, essenziale, che non lascia
nulla al caso, gli permette di abbattere facilmente ogni qualsivoglia
resistenza e di giungere esattamente alla sua personale fonte di gioia.
La ragazza si lasci sfuggire un sospiro di sorpresa dalle
labbra sottili, accompagnando i desideri di lui, senza indugiare.
Perché farlo, dal momento che le sue stesse intenzioni sono
uguali?
Lascia che Sasuke scivoli su di lei e che la prenda di
colpo, soffermandosi solo ed esclusivamente sul piacere provocato da questo
gesto ripetuto, pieno di una grazia tutta sua, un fascino misterioso e
conturbante che li avvolge.
“Sei calda.” Dice lui, stringendola nel suo abbraccio
forte.
“No Sasuke. Sei tu che sei sempre freddo.”
“Allora devi tenermi stretto.”
Lo guarda, perplessa, per poi lasciare che lui affondi il
volto sul suo petto, inspirando a fondo il profumo della sua pelle.
Restano così, senza dire altro, senza muoversi, osando
appena respirare.
Poi, all’improvviso, Karin si solleva, scostando il braccio
di Sasuke.
“Devo andare.”commenta arida.
Scivola via dal letto disfatto e si inizia a rivestire
svogliatamente.
Lui non risponde.
Non dice nulla, non tenta di fermarla, la osserva e basta.
Ma questi sono i compromessi cui bisogna scendere, se si
vuole essere la compagna ideale per una persona come lui.
Apparentemente invulnerabile ed apatica, dotata di un
sarcasmo violento e deciso, inoppugnabile, insensibile.
Per stare con Sasuke vige una regola fondamentale: non
innamorarsene.
Per quanto lui possa essere coinvolto, non bisogna mai
mostrare il fianco scoperto: non esiterebbe un solo momento a trafiggerlo,
facendone il suo divertimento.
E Karin se ne va.
Con quell’amaro in gola che caratterizza ogni loro
incontro.
Sapere di essere amata da lui, ma di non amarlo
altrettanto.
Di non potersi permettere un solo secondo di debolezza per
potergli sopravvivere.
Dover continuamente dimostrarsi di essere diversa da
quella ragazzina fragile e assoggettata.
Tiene il viso basso mentre cammina per strada.
Davvero dovrà per sempre accettare quella realtà, fino ad
esserci assuefatta?
“Dove stai andando?”
Si volta di scatto, richiamata alla realtà così
bruscamente. Già, dove sta andando? A saperlo sarebbe già qualche cosa…
“Da nessuna parte, e tu, Suigetsu?”
“In giro. Passeggiamo?” chiede quello, porgendole il
braccio.
Lo guarda con occhi colpiti, poi accetta, aggrappandocisi.
Non sarebbe forse bello non dover nascondere il proprio
amore, la propria vera gioia, la semplice soddisfazione, senza dover sentire
costantemente il gravoso giudizio di Sasuke?senza dover pensare che l’amore
equivalga ad una debolezza?
Sorride di nascosto, Karin. Con lui è stato bello, non c’è
che dire.
Però…
“Sakura
Haruno…a stare con lui sei senz’altro più brava di me…i miei complimenti.”
***
Villa Sabaku
Temari si fionda ad aprire il portone prima ancora che
Shikamaru abbia il tempo di suonare il campanello, ritrovandoselo così davanti
con una faccia fra il perplesso e lo stupito, l’indice ad un centimetro dal
pulsante in ottone ed un sorrisetto inebetito.
Senza dargli il tempo materiale di salutarla, lo bacia
fulminea sulle labbra e lo attira a sé, divertita.
“Ciao piccola!” dice lui, con un tono forzatamente
seducente che su di lui risulta goffo e caricaturale, tanto da causare
un’allegra e sincera risata nella ragazza, che lo osserva a mo’ di pantera.
“Ciao…vieni.” Risponde lei, prendendolo per le mani e
portandolo su per le scale in una corsa infantile ed estremamente tenera.
Si sdraiano sul letto di lei, guardandosi negli occhi per
qualche istante, pronti a scattare e a fare quello che tanto desiderano.
Temari si acquatta sul piumone, avvicinandosi a Shikamaru,
evidentemente già preparato a quello che li aspetta.
Tre…
Due…
Uno…
Le braccia della ragazza scattano lungo i fianchi di lui,
e le sue dita affusolate e minute vanno premendo sulle costole del fidanzato
che si contorce dalle risate, tentando in vano di ostacolare quella dolce
sevizia.
“Hahaha…dai a-amore smettila! Hahaha!!!” implora, guardando
il suo viso soddisfatto con gli occhi appena socchiusi.
“No!”
Temari si porta sopra di lui, abbandonandosi sul suo corpo,
e lo bacia una volta. E ancora, e ancora, fino a non separarsi più, ma ad
avvincersi l’uno all’altra.
Shikamaru decide, quindi, di prendere il controllo della
situazione, e ribalta improvvisamente le posizioni.
Lei assume un’aria molto più dimessa, seppure continui a
mantenere quella sua usuale vena di sfida nel sorriso fiero.
Naturalmente, lui non può fare a meno di cogliere l’occasione,
e cattura immediatamente quelle labbra tra le sue, per poi spostarsi lungo la
mascella, la nuca, il collo sinuoso, causandole ripetuti brividi di piacere ed
un impeto di voluttà.
Ed ancora baci, e improvviso calore, e desiderio, e
tenerezza, e sospiri profondi lussuriosi si susseguono ininterrotti.
Si cercano spasmodicamente, come se non fosse mai
abbastanza; le loro dita si stringono sul corpo dell’altro, quasi ci fosse da
temere di essere strappati lontano ineluttabilmente; le loro labbra si intrecciano
in un gioco di estasi nel quale lui insegue e lei scappa divertita.
Di colpo Temari si rende conto che in quel frangente
qualcosa è cambiato.
Quello non è il ragazzino tremendamente impacciato che ha
conosciuto.
Quello che ha davanti…è l’uomo che ha sempre desiderato, ed
ora che lo ha finalmente con sé vorrebbe dilungarsi in uno dei suoi ingorghi di
parole, ma non riesce a spiccicare nemmeno una sillaba.
In fondo, non c’è nulla da dire.
Quella gioia è così completa e così intima che, anche se
tentasse di renderlo partecipe alla sua eccitazione, riuscirebbe a farlo solo a
metà, quindi scegli di godersela momentaneamente da sola, compiaciuta, per poi
parlargliene in un altro momento.
Con il dorso della mano passa, lieve, sulla guancia di lui,
ora disteso supino con lei raggomitolata a fianco.
Reclina la testa sul suo petto caldo, sente il suo braccio
che le cinge le spalle con infinita tenerezza, e a sua volta lo stringe
delicatamente.
Shikamaru le bacia sulla fronte, affettuoso, senza riuscire
a trattenere un sorriso alla vista della sua leonessa addormentata alla
stregua di una gattina. Impossibile descrivere l’adorazione che prova
per quella ragazza.
La sua “tiranna” e allo stesso tempo la sua “piccola”.
E forse è proprio di questo che si è innamorato, di quelle
mille contraddizioni che la rendono un essere unico nel suo genere, di quel
modo in cui riesce ad essere benissimo tutto e il contrario di tutto, di
quell’energia quasi inesauribile e di quella calma così adatta a lui.
“M-mi sono addormentata?” domanda lei, leggermente
imbarazzata.
“Sì. Eri bellissima con gli occhi chiusi, così
rilassata.”risponde Shikamaru, dandole un ennesimo bacio sulla punta del naso.
Per tutta risposta Temari nasconde il viso sul suo collo,
sentendo il buonissimo profumo del ragazzo inebriarla, e vi segna un cerchietto
con la lingua, cosa che lo fa sobbalzare e tirare un sospiro piacevolmente
sorpreso.
Dopodiché lei torna col viso rivolto verso di lui.
“Cosa c’è?”
L’inarrestabile curiosità di Temari compie un nuovo tentativo
si annidarsi nei pensieri di Shikamaru.
“Nulla…mi chiedevo quando fosse stata l’ultima volta in cui
sono stato così felice.”
Sorride soddisfatta, strusciando il naso sulla sua guancia.
“Probabilmente questa è la prima.”
“Sì. Immagino di sì.”
La tiene stretta, impaurito che, un giorno, come è
arrivata, se ne possa andare. Shikamaru, invece, la vuole sua per sempre.
“Ti amo, Temari.”
“Non dirle troppo spesso frasi importanti come queste, che
poi ti dimentichi cosa vogliano realmente dire.”
“No, non posso dimenticarmelo…non con te.”conclude lui
questa digressione, senza darle alcuna possibilità di replicare.
La prende tra le braccia, per la vita, e la guarda nei
profondi occhi verde scuro.
Con quella ragazza la sua vita così assuefatta dalla consuetudine
ha finalmente cominciato a prendere delle fantastiche lezioni di volo.
Spazio Cos:
Questo capitolo l’ho adorato dall’inizio alla fine, devo
dire.
Ho pareggiato i conti con TenTen, in primo luogo, ed ho
tentato l’esperimento NaruTen: secondo me lo si può portare avanti, ma
naturalmente poi sta a voi lettori farmi sapere che ne pensate.
La storia SasuKarin, come vedete, va a creparsi, puntando
sempre più verso una SuiKarin…vedremo successivi sviluppi!
In ultimo, la ShikaTema. Allora, questa parte è
semplicemente la descrizione di un pomeriggio con il mio Shikamaru, il quale si
è prestato per conferirmi l’ispirazione giusta. Ergo, gli eventi narrati e le
frasi riportate sono reali ^^’.
Ballerinaclassica:mmm…effettivamente non so cosa
dica esattamente Karin nel manga, ma se così fosse…beh, eccola accontentata!
LOL!
Arwen5786:grazie mille neesan <3, sono
sempre felicissima delle tue recensioni positive! Karin è Karin, mi ha fatto
gioco per progetti futuri riguardanti la storia e che scoprirete in seguito…
Bambi88:grazie tante mia cara! Dai, da questo capitolo si
dovrebbe essere capito com’è finito quel famoso appuntamento, no?
Talpina Pensierosa:°___________________° oh
Baby-chan, grazie grazie grazie *bacino*
Triadine:*gongola nell’angoletto* Chibi,
grazie tante, ti voglio bene (e w Deidy-chan).
littlemoonstar:purtroppo non sono brava ad
aggiornare presto, è un mio grande, grandissimo limite! Spero potrai perdonarmi
T_Tun bacione!
lilithkyubi:guarda anche io sono per Temari e
Shikamaru (se non si fosse notato XD), ma secondo me Ino non dev’essere
penalizzata per questo…E’ un personaggio che amo molto, devo ammetterlo! Grazie
mille!
Kurenai88:grazie mille! E grazie anche al
cell, ovviamente! Si devo ammettere che ero piuttosto ispirata quel giorno! Bacini!
Premessa: il capitolo che vi apprestate a
leggere è a contenuto decisamente hot.
Quindi bimbi, bimbe, vecchiette di chiesa, cardiopatici eccetera eccetera ALTOLà!!!
Sweat, baby, Sweat!
Casa Yamanaka
A Ino piace sorprendere Kiba. Le piace farlo per il puro
gusto di vederne l’espressione stupita ed eccitata passare a quella furbetta ed
eccitata. Soprattutto, le piace essere l’artefice delle mille emozioni
contrastanti che si scatenano in lui.
Così, lo ha invitato in casa sua.
L’Inuzuka sa perfettamente che quello non sarà un
pomeriggio tranquillo.
E così, con la pelle sollevata, varca la porta socchiusa,
restando stordito dai mille profumi che lo investono.
“Ino?” non risponde nessuno, neanche a chiederlo.
I suoi occhi ricadono a terra, dove scorge, nella penombra,
un pasticcino con la glassa rosa.
Mmm…fragola…
Andando avanti, ne trova un altro, stavolta conla glassa verde.
Pistacchio…
Ed un altro, con la glassa lilla.
Mirtillo…delizioso.
Uno con la glassa leggermente aranciata.
Pesca…
Uno con la glassa bianca.
Uvaspina…
Uno con la glassa arancione intenso.
Mandarino e cannella…
Uno con la glassa magenta.
Lampone…
Uno con la glassa viola.
Mora del gelso…fantastico…
Uno con la glassa gialla.
Limone…
Seguendo questo goloso e dolce percorso, accompagnato dagli
incensi che bruciavano sulle suppellettili, arriva nella camera di Ino, dove
trova la ragazza distesa sul letto, con le gambe leggermente piegate e
divaricate, i capelli sciolti e lo sguardo malizioso.
Coperta sul sesso e sui seni con le leggere carte dei
pasticcini lasciati sul parquet.
Kiba si morde il labbro inferiore, pieno di bramosia. Sente
il sangue ribollirgli nelle vene alla sola vista di lei in quello stato.
Si sorridono reciprocamente con intesa.
Il ragazzo si toglie di dosso con un sol colpo la camicia,
rivelandole il suo corpo tonico e la pelle ambrata.
Poi cala i jeans ed toglie le scarpe, per raggiungerla sul
letto.
Si inoltra tra le cosce sottili e lisce della ragazza ed
toglie la prima carta, brandendola con i denti e gettandola in terra.
Inspira profondamente l’odore caldo ed acre del sesso di
lei e l’accarezza con la punta della lingua, facendola sussultare. Sente le
dita di lei stringergli la pelle della schiena.
Con i palmi delle mani, scosta le altre carte dai suoi
piccoli seni e si porta su di lei.
Studia per qualche momento il suo viso da bambola di
porcellana.
Ino protende il viso verso Kiba, ad occhi chiusi,
stringendo tra le labbra rosse una fragola che lui non esita ad addentare.
Lo bacia dolcemente per qualche minuto, per poi allungargli
il contraccettivo, che il ragazzo indossa con qualche titubanza, prima di
penetrarla. Ino lancia un gridolino di dolore, stringendosi forte al corpo di
lui.
“Tranquilla, ok?” le bisbiglia Kiba, passandole una mano
tra i capelli soffici, con fare paterno.
“Mhm…” annuisce Ino, guardandolo con devozione.
Gli si concede, arrendevole, accompagnando i movimenti
secchi di Kiba, che affonda con forza nel suo ventre gracile.
La desidera. La vuole sentire solo sua. Ogni gemito di Ino
lo soddisfa, moltiplica il suo piacere, lo fa vibrare di voluttà.
Adora stringerla mentre la possiede. Poterla avere avvinta
a sé nel momento in cui si libera è la sua più grande soddisfazione.
Sudato, le si sdraia accanto.
Ino si raggomitola accanto a lui, accarezzandogli il petto
con delicatezza.
Kiba la guarda e la stringe a sé, baciandole le labbra.
“Stai bene?” le chiede.
“Sì, grazie.” risponde lei, sorridendo. Poi si porta una
mano tra le gambe. Si sente bagnata, troppo bagnata.
“Ehi, che c’è?” Kiba le si avvicina e la guarda,
interrogativo.
“No, nulla…pfff…per fortuna era solo sudore.”
Si butta all’indietro, atterrando sui suoi cuscini soffici.
Non può farci niente, teme sempre che qualcosa possa essere
andato storto.
Ed infatti, l’ansia le è montata con una ferocia inaudita,
tanto da essere infastidita anche solo dalla stessa presenza di Kiba accanto a
sé. In quei momenti vorrebbe solo stare da sola.
Ironia della sorte, ogni qualvolta esca, le si
materializzano davanti dozzine di donne incinte o con pargoli.
Alla vista del faccino contrito della sua principessa, Kiba
decide di farla divertire un po’ con una delle sue trovate folli.
Quindi, si alza, tornando nell’ingresso, dove aveva
lasciato la giacca di pelle.
“Aspettami lì, bambina!” le grida.
“Uh? Ok…”
Ino nel frattempo va a recuperare i leggeri slip di raso
celeste e le sua abituale vestaglia rosa cipria.
Si accende una sigaretta e torna a sdraiarsi sul letto, in
posa “Paolina Borghese”.
Dopo qualche minuto, torna Kiba, rivestito di tutto punto,
ed inserisce un cd nello stereo della ragazza.
Lei riconosce si dalle prime note, e non riesce a
trattenere le risa quando lo vede iniziare a cantare ed improvvisare uno
spogliarello.
“Sweat, baby, sweat,
baby, sex is a Texas drought, me and you do the kind of stuff that only Prince
would sing about…”
Il fumo le va di traverso tra una risata e l’altra, tanto
da dover spegnere la Lucky Strike e restarlo a guardare.
A metà strada tra il ridicolo ed il sexy, Kiba continua col
suo spettacolo, perfettamente soddisfatto dell’effetto sortito su di
lei.
Vederla sorridere…vederla felice…intrattenerla, portarla
via dalle sue preoccupazione.
Questo è tutto quel che conta.
Le si avvicina e la prende per le spalle, sussurrandole in
un orecchio con fare lascivo.
“You and me, baby, ain’t
nothing but mammals, so let’s do it like they do on the Discovery Channel!”
“Kiba! Sei un porco!” lo rimprovera allegramente lei,
dandogli uno schiaffo leggero sulla guancia.
“Come se la cosa ti dispiacesse, eh Ino-porcellina? Non sei
forse la mia degna compagna?”
“Ahahah…sembri Sakura con queste battutine sul mio nome!”
soggiunge Ino, fingendosi imbronciata.
“Mmm…io scommetto che Sakura queste cose non le faceva con
te…” risponde Kiba, leccandole il collo e mordendole il lobo dell’orecchio.
“No..direi di no.” Replica lei, prima di trascinarselo sul
letto.
***
Villa Hyuuga
“Hinata…prima che tu vada via, avrei piacere a parlarti.”
Quella voce. Quei passi. Il suo indelebile peccato.
Hinata se ne sta dritta come un fuso davanti alla valigia fatta ed adagiata sul
letto.
Inizia a tremare, voltandosi di scatto.
“Neji…” mormora, portandosi una mano alle labbra.
“Hinata, devo dirti una cosa molto importante prima che tu
te ne vada.” Le si avvicina con la stessa lentezza con cui un cacciatore si
avvicina ad un cerbiatto.
“Non…non c’è b-bisogno, i-io…posso…posso c-capirti se non
m-mi vuoi p-più v-vedere dopo…dopo…”
I suoi timori erano dunque fondati? Davvero lui l’avrebbe
accantonata, buttata via, come aveva fatto con tutte le altre?
Nii-san, dimmi che non è così…Dimmi che non mi abbandonerai…
Senza riuscire a controllarsi, inizia a piangere, cadendo
in ginocchio davanti a lui, le mani sugli occhi, come a nascondere una vergogna
inconfessabile.
Neji la guarda sconcertato.
Si inginocchia a sua volta, attirandola a sé nel suo
abbraccio.
Le bacia il capo, teneramente.
Sente le piccole mani di Hinata stringersi sul suo costato
armonico.
Lei alza il viso umido e resta incantata ad osservare la
bellezza di suo cugino.
E Neji perde ogni controllo alla vista di quegli occhioni
puri, di quel viso da bambina, di quelle labbra piccole e carnose, turgide dal
pianto, di quell’espressione innocente…di quel corpo.
Lo percorre idealmente, riuscendo a stento a trattenere un
sospiro eccitato.
La bacia sulla guancia. La bacia sulle labbra. La bacia,
corrisposto. La bacia mentre la spoglia freneticamente.
La bacia
ovunque.
Hinata lo inizia a spogliare, lentamente, studiando
accuratamente ogni movimento, stupendosi di nuovo della bellezza di Neji, tanto
conturbante e sensuale. Esitante, tocca il suo torace scultoreo.
Quasi rompendo quell’incantesimo, Neji la prende per le
spalle e la aiuta a rialzarsi.
Si stende sul letto ampio di Hinata e lascia che lei si
sdrai su di lui.
Accarezza la sua schiena sinuosa, le gambe tornite e
burrose, si perde nelle curve di quel corpo virgineo.
Oops, no, non più…Non dopo quella volta con me, vero,
Hinata-chan? Pensa soddisfatto Neji.
Impacciatamene, Hinata sfiora il membro caldo di Neji,
arrossendo violentemente, prima di essere lentamente presa.
Incredibile come quel piacere sia nuovo per entrambi.
Neji si meraviglia di come, ogni volta, con lei sia
diverso.
Lui si adopera per farla stare bene, per soddisfarla, per
non farla stare a disagio, per farle sentire quanto, realmente, la ami.
Hinata, che aveva sempre pensato all’amore come ad un gesto
peccaminoso e istintivo, si stupisce di quanto sia in realtà fantastico.
Del piacere e della gioia che si possano provare.
Di quanto l’amore sia tangibile.
Di quanto possano essere compatibili sentimento e lussuria.
Di quanto ciò che viene venduto per erroneo e contaminante
sia in realtà l’apologia dei sensi e dell’anima.
La bacia con dolcezza nel momento di massima libidine.
Neji le accarezza i capelli, come con una bambola, quando Hinata
si abbandona su di lui.
Sente il respiro affannoso farsi più regolare.
“Neji?”
“Sì?”
“Cos’era che volevi dirmi prima?”
“Che…che, anche se devi andartene, tu non sarai mai sola.
Perché io ti amo, Hinata-chan.”
“Ti amo anche io…Neji-kun…”
Hinata sorride, aggrappandosi a Neji quasi come se con quel
gesto possa fermare il tempo in quell’attimo così perfetto, tra sogno e realtà,
eros e agape *.
Spazio Cos: Sembrava impossibile, eh? E
invece ce-l’ho-fatta! Ebbene sì, signore e signori, ho a-g-g-i-o-r-n-a-t-o con
un capitolo dalle note decisamente piccanti…Il
problema è che anche a non volerlo, con queste due coppie mi escono sempre
scene hot niente male XD.
Quindi, dedico il capitolo a tutti i pervertiti come me che
seguono la long-fic ^_^.
Ringrazio al volo (perché devo uscire :P ) Arwen5786,
bambi88, lilithkyubi, littlemoonstar, Talpina Pensierosa,
Kurenai88 e Triadine.
Sakura era arrivata quel mattino stesso nel centro di
riabilitazione.
Si guardava attorno, spaesata, nella sua stanza,
inspiegabilmente felice di trovarsi lì.
“Signorina Haruno?” la porta si era aperta, facendo entrare
una donna in camice bianco, con una fluente chioma bionda ed occhi nocciola,
dal corpo formoso.
“Sì?” aveva chiesto, accennando un sorriso.
“Buongiorno, sono la dottoressa Tsunade, direttrice del
centro. Volevo darti il benvenuto personalmente e dirti che, per qualsiasi
necessità, io sono disponibile. Il mio ufficio è al secondo piano, vieni quando
vuoi. Stanza 202.”
“G-grazie…”
Non sapeva perché, ma aveva tanta voglia di piangere. Non
aveva nemmeno visto sua madre, e ne sentiva talmente tanto il bisogno.
Sakura era sola.
Sola,
sola, sola.
“Nel mobiletto del bagno troverai tutto ciò di cui
necessiterai per l’igiene personale. C’è un sacchetto nel quale potrai
sistemare la biancheria e gli indumenti da mandare in lavanderia. L’infermiere
cui farai riferimento è Sai, riceverai le visite familiari- a Sakura sfuggì un
singhiozzo –tre volte a settimana secondo una tabella oraria ben precisa.
Abbiamo già comunicato alla tua famiglia l’accaduto, perciò ora puoi
semplicemente accomodarti nella stanza e prenderti il tuo tempo per adattarti.”
La donna aveva rivolto alla ragazza un sorriso benevolo,
poi si era avvicinata alle sue valigie ed aveva iniziato, ordinatamente, a
riporre gli effetti personali della sua giovane spettatrice.
Si era accasciata sul letto, i grandi occhi verdi rivolti
alla lampada al neon sul soffitto.
Il pensiero tornava a Sasuke, tanto, troppo lontano da lei.
“Posso fare una telefonata?” aveva chiesto, a bruciapelo.
E ora mi dirà di no, si era risposta.
“Sì, troverai dei telefoni pubblici nella sala ricreativa.
Si trova al piano inferiore, quinta porta sul corridoio di sinistra. Non puoi
sbagliare.”La dottoressa si era gettata di nuovo a capofitto nel suo lavoro.
“Allora…io…andrei a chiamare.”aveva sentenziato Sakura, prendendo
la chiave magnetica della stanza e chiudendo la porta dietro di sé.
Scendeva i gradini lentamente, lasciando che l’eco dei suoi
passi si perdesse nella penombra delle scale. Le piaceva il suono dei tacchi
sottili contro il marmo, le ricordava quello che sentiva, da bambina, quando
sua madre era in casa e camminava velocemente per le varie stanze svolgendo le
faccende di casa una volta uscita dal lavoro. A Sakura piaceva sentirsi un po’
come sua madre, avere delle caratteristiche che le accomunassero.
Cercava freneticamente in sé stessa degli indizi che le
permettessero di costruire una sua identità, e nei momenti di maggiore
sconforto emulava suoni, profumi, gesti tramite i quali rispecchiarsi in una
persona che stimava ed amava. Sua madre.
Aveva aperto timidamente la porta della stanza indicatale
dalla dottoressa Tsunade, e si era piazzata davanti ad un telefono.
Ne aveva sollevata la cornetta ed aveva inserito qualche
spicciolo recuperato rovistando nelle tasche nella fessura per le monete.
Poi, le sue dita avevano percorso velocemente i freddi
tasti, componendo il numero di casa di Sasuke.
Ed ora non le restava che attendere che lui rispondesse.
“Pronto?” la voce intensa di Sasuke l’aveva sommersa con la
sua bellezza.
“…” non aveva avuto la forza di rispondere.
“Pronto…?”
“S…Sasuke-kun?” aveva mormorato.
“Oh Cristo” aveva esclamato sottovoce “Sakura, ma dove
sei?”
“Sono a casa.”mentì lei.
“Non raccontarmi cazzate. Dove sei?”Si era immobilizzata,
la presa improvvisamente tremolante intorno alla cornetta.
“Sono in centro di riabilitazione.”Silenzio, imbarazzo,
gelo.
“Come stai?”
“Bene.”mentì di nuovo. I punti stringevano e tiravano sui
lembi dei tagli sulle braccia, sotto le garze, e le crosticine che
cicatrizzavano le prudevano in maniera pazzesca. “E tu?” gli chiese.
“Sakura…sono stato con Karin. Abbiamo fatto sesso.” Secco e
diretto al cuore della ragazza, Sasuke aveva pronunciato la dolorosa verità ed
ora attendeva impazientemente una reazione.
“E’ stato bello?” la domanda lo aveva travolto, senza
lasciargli il tempo di inventare una dolce, ovattata bugia.
“Molto. E poi mi sei mancata.”
“Vi siete addormentati abbracciandovi?”
“Sì. E le ho detto che la amavo. E l’ho pensato davvero in
quel momento.”
Sakura aveva sorriso amaramente.
“Sakura, perché, perché non è rimasta con me dopo?
Perché se n’è andata via, lasciandomi solo?”
La ragazza aveva sentito tutto il dolore di Sasuke, e si
era accorta di amarlo ancora di più.
“Sei troppo sincero, Sasuke-kun, e ciò fa paura. E’
difficile amare una persona come te, ci vuole tanto coraggio. Non puoi né
meravigliarti né fargliene una colpa se lei non ce l’ha fatta. Ma io…io sì. E
voglio che tu lo sappia: in ogni circostanza, ricambiata o meno, io continuerò
ad amarti e a volerti altrettanto bene. Puoi contare su di me, Sasuke-kun.”
Aveva filosofato lei, materna.
“Sakura-chan io…”
La comunicazione era caduta, lei aveva terminato le
monetine, così si era voltata ed aveva ripercorso isuoi passi al contrario, in un triste rewind che la lasciava,
tuttavia, soddisfatta della sua ennesima vittoria nel cuore di Sasuke.
Alla fin fine, lui aveva scelto di nuovo lei, e questo le
bastava.
Era entrata nella stanzetta fredda, e a tastoni, cercando
sul muro l’interruttore, aveva acceso la luce.
Le cose erano state tutte disposte in un perfetto ordine
dalla dottoressa, e c’era un delicato odore di deodorante per ambienti.
Si era seduta sul bordo del letto ed aveva fatto cadere a
terra con fragore le scarpe con i tacchi vertiginosi, poi aveva sbottonato il
vestitino di seta rosso cupo, che si era accasciato intorno alle sue caviglie
snelle.
Aveva aperto due o tre cassetti prima di trovare la sua
camicia da notte, che aveva indossato provando la strana sensazione di essere a
casa, e si era gettata sotto le coperte di lana. La pioggia cadeva silenziosa
sul vetro della finestra, ma Sakura era addormentata profondamente, troppo per
potersene accorgere.
Il mattino seguente era stata svegliata da un tuono
fragoroso.
Aveva guardato la sveglia, erano le sei.
Si era voltata dall’altro lato ma non era riuscita a
riprendere sonno, era semplicemente rimasta ad occhi chiusi, ed aveva
aspettato.
Alle sette e mezza era entrata nella camera una ragazza
castana.
“Buongiorno, signorina Haruno! Mi spiace informarla che è
proprio una pessima giornata di pioggia, ma nulla è negativo quando c’è
l’amore, non trova?” Le aveva sorriso, cinguettante, mentre Sakura continuava a
fissarla assonnata e sbalordita.
“Mi scusi, ma credo di non capire…” aveva ammesso
umilmente.
“Oh, mi scusi lei, intanto mi presento: io sono Matsuri,
reparto rosso*. Le devo consegnare un presente del signor…hmmm- aveva sbirciato
su un bigliettino che aveva estratto dalla tasca –Uchiha, Sasuke Uchiha, che mi
ha pregata di consegnarle questo regalo e di dirle che la adora…sì,
proprio così.” Matsuri aveva sorriso soddisfatta di aver svolto bene il suo
compito di galeotta, ed aveva allungato a Sakura una scatola piccola, in
velluto blu.
La paziente aveva guardato l’infermiera indugiando prima di
prendere l’oggetto dalle sue mani.
Mordendosi un angolo del labbro inferiore, Sakura aveva
aperto la scatola raffinata, ed aveva scampato un infarto per un pelo vedendo
il contenuto.
Un anello d’argento con un rubino tagliato secondo la forma
di un cuore ed incastonato nella montatura, che riproduceva due mani che lo
sorreggevano idealmente.
Aveva aperto il bigliettino, al centro del quale
campeggiava la grafia ordinata di Sasuke. Inchiostro rosso vinaccia.
“Il mio
cuore,
lo
consacro a te.”
***
R.H.C.C. Stanza n°302
Gaara si era appena svegliato, secondo la solita routine:
Matsuri era arrivata alle sette e quarantacinque, gli aveva servito la
colazione a letto, aveva aspettato che terminasse di mangiare, aveva riposto il
vassoio sul carrello e lo aveva accompagnato in bagno per lavarlo.
Aveva notato che la sua infermiera era felice, quella
mattina.
“Oh Gaara lascia che ti racconti di una cosa bellissima
accadutami oggi! Sai, ieri pomeriggio è arrivata una nuova paziente, reparto
suicidi, si chiama Sakura Haruno, ha più o meno la tua età ed è davvero carina.
Beh, senti qui: stamattina sono stata convocata alle sei precise nell’ufficio
della dottoressa Godaime, dove ho trovato un ragazzo molto molto affascinante
–aveva sospirato sognante- un tale Sasuke Uchiha, che mi ha consegnato una
scatolina di velluto ed un bigliettino da dare a questa Sakura, e che si è
raccomandato che io le dicessi che lui la adora. Insomma, per fartela breve,
alle sette e mezza sono andata nella camera di Sakura e le ho dato quella
scatolina…non sai che meraviglia quando l’ha aperta! C’era l’anello più bello
del mondo, con un rubino a forma di cuore e due mani intrecciate. E’ stato
davvero fantastico vedere quanto fosse contenta quella povera ragazza. Adesso
da lei c’è Sai, che la sta assistendo. Vedessi che tagli che si è fatta sugli
avambracci nel tentativo di suicidarsi, fanno così paura.”
Matsuri si era interrotta per darsi da fare sfregando più
energicamente sulla schiena sudata dalla notte del ragazzo.
“L’amore vi fa tanto belle, a voi ragazzine.” Aveva
sentenziato lui.
“L’amore fa tutti belli, perché è la più grande
benedizione.” Gli aveva risposto Matsuri, avvicinando il suo viso a quello di
Gaara.
E lui aveva sentito scattare un impulso irrefrenabile,
perdendo il controllo di sé e della sua stessa mente.
“No, Matsuri, tu sei la più grande benedizione.”
L’aveva baciata, trascinandola nella vasca che andava via
via raffreddandosi, ed avevano finito per fare l’amore con una passione, un
coinvolgimento, una disperazione, una potenza incredibile, arrivando
alla fine sfiniti, esausti, e magicamente appagati da quella follia.
Perché è vero, l’amore è la più grande benedizione.
“Sei così bella per me…” aveva sospirato, Gaara, brandendo
i fianchi gracili della ragazza.
Studiavaattentamente il corpo di lei, osservandolo attraverso l’acqua e la
schiuma, era incuriosito dalla carnosità soda delle sue curve appena
accentuate, i seni piccoli ed alti, le cosce lisce, armoniose, morbide. Era
così curiosa: magra, ma non nervosa, né asciutta come una modella, ma burrosa e
seducente.
Sarebbe stato ad accarezzare la sua pelle liscia per
sempre, a baciarle il petto candido, a serrare le dita sulle sue cosce per ore
ancora, ed avrebbe voluto continuare a trattenerla stretta a sé.
Ma ciò non era stato possibile.
Presto, troppo presto per loro due, Matsuri aveva dovuto
sgattaiolare via, nascondendo in un sacco gli indumenti bagnati e correndo
nella sua stanza per cambiarsi con solo una maglia di Gaara addosso, prima di
riprendere il servizio di routine.
Era letteralmente galvanizzata, ed al tempo stesso
dispiaciuta per averlo dovuto abbandonare così repentinamente, così alla prima
opportunità era sgattaiolata da Gaara.
Ne voleva sentire di nuovo la forza, il calore, la voce.
“Gaara!” gli si era buttata al collo, baciandolo
delicatamente.
“Non sai avere mezze misure, vero?” la aveva rimproverata
lui, guardandola altezzoso.
Matsuri aveva sostenuto un poco quello sguardo gelido con
espressione leggermente imbronciata, prima di aprirsi ad un ampio sorriso
pacificatore.
“Avanti, non fingere indifferenza.” Aveva detto gentilmente
lei.
Erano rimasti nella stanza per ore, stesi sul letto a
fantasticare, finché lei non aveva ripreso il servizio, alle otto di sera, e
lui non era andato a ricevere la visita dei fratelli.
Ma nessuno dei due pensava realmente a quello che gli stava
accadendo.
Erano entrambi rimasti col pensiero aggrappati agli
avvenimenti di quella giornata stupefacente, e li ripercorrevano, a volte più
velocemente, a volte con maniacale lentezza, assicurandosi di non dimenticare
nessun particolare.
Perché è vero, l’amore lo fanno i dettagli, e non si può
restare indifferenti.
.:Spazio Cos:.
Mini-capitolo, con solo due storie che procedono.
Volevo avvertire tutti i lettori ed i recensori che da
questo momento in poi si apre una nuova parte della storia, ovvero quella che
si ambienta nella clinica e che vedrà come protagonisti più i ricoverati che
gli altri personaggi (che tuttavia compariranno ugualmente).
Spero che gradiate tutti il capitolo, oggi mi ci sono
davvero impegnata nella produzione per offrirvi il meglio!
Da quando aveva varcato,con
rassegnazione, la porta del centro di riabilitazione, aveva deciso che si
sarebbe limitata ad esistere, ad essere un nome ed un cognome,e niente più.
Doveva sembrare una persona normale,
tranquilla, finita lì per una fortuita casualità.
I suoi pensieri erano due: placare il
maledettissimo bisogno di una pasticca ,e riuscire a vedere Neji.
L'ultima volta che avevano fatto
l'amore le era rimasta addosso una sensazione di pesantezza sul ventre e di
sudiciume.
Lei sapeva.
L'unica cosa che tradiva la sua
irrequietezza era la sua maniacale pulizia: si lavava anche dieci volte al
giorno,a volte ci si addormentava pure, nella vasca.
L'infermiere che lo assisteva, Shino,
era costretto in quei casi a prenderla in braccio,asciugarla e metterla a
letto.
Spesso cercava di fermare la sua
assistita con delle scuse.
La portava a spasso per il corridoio e
giù nel giardinetto del centro, oppure le leggeva dei libri, altre volte ancora
le portava un film da vedere insieme. Conosceva i suoi gusti: sapeva che le
piacevano i libri di poesia e quelli molto descrittivi, mentre per i film
sapeva che quelli romantici la facevano sognare, ma quelli drammatici la
innervosivano. La vedeva strapparsi le cuticole dalle mani con ferocia, mentre
capiva che Hinata agognava fino all'ultimo che tutto si risolvesse con un lieto
fine,che non arrivava mai.
E allora i suoi occhi si allagavano e
lei li asciugava, con le dita sozze di sangue.
Shino non sorrideva mai.
Una volta Hinata glielo aveva chiesto
perché, ma lui aveva finto di non sentire.
Una volta Shino glielo aveva chiesto,
perché si drogasse, e lei aveva risposto: "Perché piuttosto che vivere da
stronza, vivo da drogata."
"Chi ti ha...- si era interrotto,
schiarendosi la gola -insomma, immagino che non serva che io specifici."
"Mio cugino, Neji. Come te ne sei
accorto?"gli aveva domandato lei con la sua solita tristezza dolce.
Shino aveva fatto un cenno col capo
verso un armadietto, che conteneva oltre che le medicine, i tamponi.
"Non ne hai usato nemmeno uno da
più di due mesi che sei qui."
Hinata si era coperta gli occhi con le
mani.
"N-non voglio...non voglio che me
lo portino via...io lo difenderò davanti a tutto e tutti!" si era
raggomitolata sul letto, addormentandosi.
Hinata si era vestita ed aveva
percorso a piccoli passi la distanza tra la sua camera e l'ufficio della
dottoressa Tsunade.
Aveva bussato educatamente, prima di
entrare.
"Sì?" aveva domandato
svogliatamente la signora, seduta scomposta alla scrivania.
"Sono Hinata Hyuuga. È
permesso?"
"Prego, vieni. Siediti pure,
Hinata. Allora, come ti trovi?"
"Bene, bene, non ho di che
lamentarmi."
Ad un certo punto aveva avuto
l'impressione di aver fatto una cazzata colossale. Non le andava proprio di
parlare degli affari suoi.
Non le andava di dirle di essere
incinta.
L'avrebbe presa per una stupidella
ingenua, che si era fatta fregare alla prima botta.
Ma che ne sapeva lei?
Che ne poteva sapere, che era un atto premeditato?
"Allora, qual'è il motivo delle
tua visita?" incalzava la dottoressa.
O la va o la spacca, si era riproposta
Hinata all'ultimo.
"Ho una gravidanza di due mesi in
corso."
"Hai assunto sostanze
stupefacenti dopo il concepimento o in stretta prossimità con esso?"
"No, mi sono...mi sono preparata
bene."
"Uhm...quindi era un evento, come
dire, previsto?" alzò un sopracciglio chiaro, interrogativa: la ragazza
sembrava essere molto più sveglia di quanto pensasse.
Nascondeva un cervello calcolatore al
massimo, dietro quella faccia da suorina.
E ciò compiacque molto le aspettative
di Tsunade.
"Certo. Dovevo trovare qualcosa
che mi tenesse costantemente unita a Neji. Dovevo trovare qualcuno cui
salvare la vita, e per cui valesse la pena salvare la mia."
Le due donne si erano guardate a lungo
negli occhi, dopodiché da dietro la scrivania la bionda tuonò: "Shizune!
Portami la cartella clinica della signorina Hyuuga!".
Dopo un paio di minuti la segretaria
era arrivata con una cartellina di cartoncino azzurro sbiadito.
La dottoressa aveva girato i fogli con
fare assorto, leggendo la composizione dei farmaci, ed era arrivata alla voce
del metadone, storcendo la bocca.
"Hinata, parliamoci chiaro. Qua
ci vuole un sforzo di volontà: questo qua, il metadone, che ti calma il bisogno
di ecstasy, non lo devi prendere più. So che ti fa stare bene, però..."
Hinata l'aveva interrotta: "Ma
io, quello, non l'ho mai preso."
Tsunade sorrise, compiaciuta e
stupefatta.
“Capisco…in questo caso, suppongo che
lo terrai.”
Ed aveva aggiunto: “Vuoi che avverta
la tua famiglia?”
“No. Chi deve sapere, già sa. Vorrei
solo potergli parlare, anche solo dieci minuti, faccia a faccia.”
Aveva trattenuto il fiato tra parola e
parola, inquieta e titubante di quale sarebbe stata la reazione della dottoressa.
“Ne parlerò con i medici del tuo
reparto e con lo psicologo. Non ti prometto niente, ma se vuoi, adesso, puoi
telefonargli dal mio studio.”
Le porse la cornetta, e la ragazza
digitò velocemente il numero della linea telefonica secondaria, che usava solo
Neji.
Tuuuu…tuuuu…tuuuu…
“Pronto?” aveva mormorato, sorridendo,
Hinata sentendo la sua voce.
***
Shikamaru proprio non ci voleva
andare, in discoteca.
Gli piaceva passare il sabato sera con
la sua Temari, spalmati sul divano, a vedere un film del quale nessuno dei
dueavrebbe mai conosciuto la fine.
Però lei aveva insistito tanto, e lo
aveva costrett..ehm, convinto ad andarci con lei.
Erano entrati, e la musica lo aveva immediatamente
assordato: la sua espressione si era fatta ancora più seccata. Prima che Temari
potesse in qualche modo pronunciarsi, lui l'aveva presa per il polso e la aveva
trascinata verso un tavolo in disparte: "Prima beviamo qualcosa."
lamentò.
"Va bene"aveva risposto lei,
seguendolo.
E non c'era voluto molto prima che la
serata prendesse una brutta piega.
Dopo qualche minuto erano piombati al
loro tavolo Ino e Kiba, già sudati. Li avevano notati dalla pista, ed Ino aveva
insistito per andare a salutarli.
Per vedere se conservava ancora quel
certo ascendente su Shikamaru.
Temari non era stata felice di quella
new entry, nonostante la divertisse vedere Kiba intento a catturare
l'attenzione di quella ragazza, che non gliene forniva, davanti agli altri, più
del necessario, giusto per fingere di aver ancora in mano la situazione.
E al tempo stesso, Temari era gelosa
all'inverosimile, e sentiva lo stomaco contrarsi, lasciandole un sapore amaro
nella bocca.
Ino sapeva quanto Shikamaru fosse
innamorato di Temari, e anche lei amava moltissimo Kiba.
Però..voleva rivendicare la sua autorità
su di lui, pisciargli addosso come una gatta che marca il territorio, e
lasciargli l'inconfondibile odore del suo sesso.
Ed ora erano lì, le due bionde più
guerrafondaie mai viste a L.A., una di fronte all'altra, sedute ad un tavolo
con i loro ragazzi, apparentemente avresti detto che sembravano fatte per
essere migliori amiche.
E invece no.
Col cazzo che lo erano.
Dopo due tequile, Ino era
trotterellata in pista.
"Shikaaa! Vieni, ci
divertiamo!" l'aveva tirato giocosamente per il braccio, e lui era andato.
Temari sentì lo stomaco rantolare,
mentre buttava giù tutto d'un fiato i rimasugli della Guinness.
Kiba sorrideva, imbarazzato.
"Allora, come va con
l'università?" gli aveva chiesto Temari.
"Insomma..la facoltà mi piace, ma
certi esami sono proprio insostenibili."
Aveva preso Scienze Veterinarie per
l'amore per i cani, eppure lui era più per il lavoro sul campo, non per lo
studio, che gli appariva così improduttivo.
Intanto, Shikamaru cercava di seguire
Ino con lo sguardo tre la gente.
Non riuscì a trattenere il pensiero,
che slittava sul corpo di Ino, così perfetto, così tentatore.
Non ne vedi molte in giro, di ragazze
così.
Un po' penalizzata dalla magrezza,
rifletteva lui, ma davvero mozzafiato.
E poi Ino sapeva come muoversi,
addosso alla gente, ancora di più quando era ubriaca. Tipo allora.
Così avvenne: un ragazzo sulla ventina
le aveva allungate, le mani, dove non avrebbe proprio dovuto.
Il cervello annebbiato di lei non
rispose.
In compenso, rispose Shikamaru.
Gli era scattato qualcosa,
direttamente dalle viscere, senza passare per la testa, ma dritto al braccio.
Gli aveva dato un pugno in bocca, ed
una ginocchiata tra le gambe.
Mentre quello si accasciava a terra,
sputando sangue e saliva, tutti i presenti si erano voltati verso di lui, come
se la sua violenza avesse spento la musica.
Ino aveva realizzato e, portandosi le
,ani alla bocca, aveva abbracciato Shikamaru, col viso sul suo petto, ed aveva
mugolato un grazie.
Lui, rivolgendosi all'altro, aveva
detto: "La mia amica non è una puttana! Questa volta sei cascato proprio
male, spero che ti sia di lezione."
Kiba e Temari erano accorsi a vedere
la scena, e se il ragazzo era rimasto felice di avere un amico che si
preoccupasse tanto per la sua fidanzata e che lei fosse sempre protetta, la
bionda invece aveva perso ogni freno ed aveva iniziato a piangere
disperatamente.
Perché succedeva sempre così: lui
andava a soccorrere la povera Ino, e lei ci restava sempre con un pugno
di polvere in mano.
E sempre così sarebbe stato, perché lei
e l’altra erano divise da una fondamentale differenza: Ino era un collant di
seta, mentre lei era un collant di microfibra.
Con i collant di seta, si sa, bisogna
avere pazienza, ed essere gentili, pieni di accortezze, ché si smagliano da un
momento all’altro.
Invece con quelli di microfibra poi
tranquillamente indulgere con strattoni e urti, tanto hanno una resistenza
meccanica nettamente superiore.
Solo che, a volte, anche un collant di
microfibra desidera le attenzioni riservate ad un collant di seta.
“Perché essere più forte non vuol dire che puoi maltrattarmi!”
Shikamaru aveva affidato Ino
all'abbraccio del suo amico, ed aveva seguito la sua, di donna, fuori dal
locale.
La aveva inseguita, più che altro.
"Che cazzo c'è adesso, eh?"
le aveva urlato dietro.
Lei si era fermata, e si era voltata.
"Ma con che faccia me lo chiedi?
C'è che io sono sempre il numero 2, nella tua scala di priorità. Vengo sempre
dopo quella...troia!- aveva scandito bene lo stridio della t contro la
r, e quella i che tagliava la parola a mo’ di una j -Chenon sa fare altro che ubriacarsi e
strusciarsi addosso al primo uomo che vede! Tu incluso! Non hai proprio nessuna
vergogna, non lo nascondi nemmeno!
Tu..tu parti dal principio che tanto
io sono più grande, quindi ho più giudizio, e che sono una persona forte e che
mi so difendere, e ti dimentichi del mio lato fragile, che ha bisogno di essere
assecondato e coccolato, e del fatto che non puoi per questo sottopormi alle
tue negligenze!"
Lui l'aveva guardata, attonito e dispiaciuto.
"Shikamaru...ho bisogno anche io
di te! Ho bisogno anche io della tua protezione, perché...prima ancora di
essere Temari, io sono una ragazza come le altre. Una ragazza che ti implora di
amarla."
Temari si era asciugata gli occhi, ed
aveva fatto per andarsene a casa. Era finita.
Ma almeno aveva avuto la soddisfazione
di riuscirgli finalmente a dire la verità, il suo segreto amaro.
"Io ti amo" aveva
bisbigliato Shikamaru, aspettandosi che le l'udisse.
"Io..ti amo!" aveva detto,
stavolta più forte.
"Razza di seccatura,
IO-TI-AMO!!!" aveva urlato, facendola voltare ancora.
Le era corso incontro, e l'aveva
stretta forte, tra le braccia, baciandole i capelli chiari.
"Tu non hai capito proprio
niente. Io, prima di fare qualunque cosa, penso se questa può farti male o no.
Mi dispiace per questa sera, ti prometto che non farò più l'imbecille. Devo
sempre ricordarmi che anche le leonesse come te, per quanto crudeli, hanno un
lato scocciante!"
Si era sentito gli occhi verdi,
indagatori, di lei puntati addosso.
E le aveva accarezzato il viso,
intenerito.
“…Scherzo!”
.:Spazio Cos:.
Prima cosa: tanti auguri Baby chan! Questo capitolo te lo
avevo promesso come anticipo di altri regalini…perciò preparati!
Spero che, miei cari lettori, voi
apprezziate, e che le recensioni salgano un pochino di più…poi ci credo che ci
metto una vita ad aggiornare!
Voi dovete dirmelo, che ne pensate!
Non siate timidi!!
Venghino signori venghino, più
recensioni entrano più capitoli si vedono!!!
Detto ciò…
Un ringraziamento speciale va a Bambi88,
mansu95 e, insieme agli auguri, a Talpina Pensierosa.
P.S. Tutti coloro che si fossero
interessati alla storia tra Kankuro e Asuka (personaggio
inventato da me per questa fanfiction) possono leggere la one-shot
“L’ispirazione miagola”, che racconta proprio di loro due!