Le situazioni di lui e lei di Alina Alboran (/viewuser.php?uid=64415)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
SLL1
Le
situazioni di lui e lei
Capitolo
1
Lei
Mentre le note strade
di Civitavecchia
scorrevano veloci sotto i miei occhi, sbuffai per l’ennesima
volta non tanto
per la voglia di farlo quanto per infastidire mia madre.
«Puoi comportarti da ragazza grande e intelligente quale sei
e farti andare
bene questa cosa, oppure continuare ad agire come una bambina e venire
con me e
tuo padre in Sicilia».
Bambina?
Io?
«Ma mamma, non puoi pretendere che io accetti di vivere con
un totale
sconosciuto per ben due mesi!».
«Ma
tesoro», cominciò come a volermi
scimmiottare, «non è un totale sconosciuto,
è il tuo migliore amico».
«Ma
mamma», ripresi con lo stesso tono
certa che questa sfida, per come le cose si stavano mettendo,
l’avrei vinta io,
«a vivere con il mio migliore amico non ho alcun
problema».
«Bene. La questione è chiusa: condividerai la casa
con Marco per tutta
l’estate».
Come?
«Papà, di’ qualcosa pure tu. Non puoi
farti mettere
i piedi in testa
così».
Mio padre stava per replicare- vedevo chiaramente che nemmeno a lui
questa
situazione andava bene- ma una sola occhiata di mia madre
bastò a farlo
desistere dal rispondermi.
«È stato il mio migliore amico quando avevo nove
anni, ora come ora non lo
riconoscerei neppure. Perché non posso stare con i miei
amici? Perché non posso
stare con Dennis? Per la prima volta in tanti anni siamo riusciti ad
organizzare una vacanza tutti insieme e tu me la rovini in questo
modo?»,
ripresi il discorso precedente sperando che, facendole notare quanto
logica
fosse la mia osservazione, accettasse di avere
torto.
«Miranda, perché devi essere così
cocciuta?».
Nel dirlo si mise le mani nei capelli e per un secondo mi
sembrò che stesse
quasi per cedere.
Quando mio padre mi informò che mancavano solo pochi minuti
a destinazione, uno
strano nodo all’altezza dello stomaco cominciò a
infastidirmi.
Ansia?
Preoccupazione?
Eccitazione?
Passammo i restanti minuti in completo silenzio, ognuno perso nei suoi
pensieri.
Entrambi i miei genitori avevano gli occhi lucidi e mio padre strinse
con tanta
forza il volante che le nocche gli diventarono
bianche.
Che nessuno dei due si sentisse tranquillo a farmi vivere con quello
che, a
detta di mia madre, era il mio migliore amico era evidente, ma
perché essere
così ostinati?
Non sarei forse stata più al sicuro con Dennis che, e
stavolta veramente, era
il mio miglior amico?
∞∞∞
«Siamo
arrivati», annunciò mio padre dopo
aver parcheggiato con destrezza nel vialetto di
casa.
Ancora prima di scendere completamente dalla macchina mi incantai
qualche
secondo ad osservare quella che per anni è stata la mia
seconda
casa.
Tutto era esattamente come me lo ricordavo: le stesse rose
nell’angolo, la
stessa edera che, rigogliosa, spuntava tra un mattone e
l’altro e ricopriva di
verde buona parte della facciata laterale e, soprattutto, le stesse due
altalene su cui avevo passato i miei pomeriggi da
bambina.
Guardai con un pizzico di malinconia la vernice scrostata che aveva
perso tutta
la sua antica lucentezza e, con il nodo ancora allo stomaco, sfiorai le
sbarre
di ferro ricoperte ormai di
ruggine.
Prima di sentirmi richiamare da Angelica ricordai quelle parole che,
seppur
dette molti anni prima e con l’innocenza che solo un bambino
di otto anni può
avere, non avevo ancora dimenticato.
«Miri, mi prometti una
cosa?».
«Cosa?».
«Mi prometti che non mi dimenticherai
mai?».
«Me lo
prometti?».
«Sì».
«Miranda, come ti sei fatta grande»,
esclamò Angelica con sorpresa.
«E bella», continuò Giorgio
abbracciandomi.
Se la loro è stata per me come una seconda casa, loro sono
stati come dei
genitori. Non risposi perché la mia attenzione fu catturata
dalla presenza che,
dietro i due, si faceva abbracciare dai miei.
Non avevo mentito quando una ventina di minuti prima dissi a mia madre
che non
l’avrei più
riconosciuto.
Il viso tondo e grazioso aveva lasciato il posto ad una mascella
squadrata
ricoperta da una leggera barbetta bionda; e i capelli, di un biondo
molto più
scuro rispetto a quello che mi ricordavo, erano leggermente alzati con
un po’
di
gel.
Era un bel ragazzo, non potevo negarlo.
Rimasi ad osservarlo per qualche altro secondo e, se lui non avesse
attirato la
mia attenzione con una finta tosse, probabilmente sarei rimasta a
guardarlo per
ancora un
po’.
«Ciao», dissi imbarazzata dopo il calcio allo
stinco che mia madre, credendo di
passare inosservata, mi diede.
«Se continui così mi
consumi».
«Scusami?».
«Smettila di fissarmi, Miranda», rispose quasi
esasperato.
«Ragazzi, smettetela di fare i timidi e
abbracciatevi», esclamò mia madre
mentre io ancora cercavo di riprendermi dalla sua
sfacciataggine.
Inaspettatamente fece un altro passo in avanti, mi prese per mano e mi
attirò a
sé.
Il nodo allo stomaco, stranamente, sparì lasciando spazio a
una pace e
tranquillità che provavo solo in compagnia di poche
persone.
Nella consapevolezza che la convivenza non sarebbe stata
così tremenda come
l’avevo immaginata, afferrai i lembi della maglietta e lo
attirai ancora di più
a me.
Sentii chiaramente il mugolio di felicità di mia madre e
Angelica, ma non mi ci
concentrai troppo perché le parole di Marco attirarono la
mia attenzione
distraendomi.
«Pensavo che non fossi cambiata, speravo che fossi rimasta la
stessa».
Alzai lo sguardo per guardarlo, senza però staccarmi da lui.
La sua vicinanza
non mi metteva a disagio, anzi mi confortava e mi faceva
sentire protetta.
«E togliti, non vedi che con la tua bava mi stai
sporcando la maglietta?».
La cattiveria delle sue parole mi lasciò interdetta per
qualche secondo, incapace
di rispondere in alcun modo.
«Fanculo», replicai delusa e sciogliendo
l’abbraccio.
Voleva la guerra? Io non mi sarei di certo tirata
indietro.
Angelica, notando la mia improvvisa freddezza e malumore, ci propose di
entrare
in casa. Ma non sarei riuscita a fare buon viso a cattivo gioco e
perciò
guardai mia madre speranzosa che capisse, senza che ci fosse il bisogno
che le
chiedessi apertamente di farmi andare da
Dennis.
«Mamma…».
«E va bene».
«Grazie».
I presenti rimasti in ascolto guardavano me e mia madre curiosi,
evidentemente
non capendo di cosa stessimo
parlando.
«E rimani pure a dormire lì, ma vedi di tornare
domani appena spunta il sole
ché vogliamo salutarti prima di
partire».
«Vai da qualche parte, Miri?», mi chiese Angelica
sorpresa.
«Ho degli amici che hanno preso casa nelle vicinanze e volevo
vederli», risposi
leggermente scocciata, perché impaziente di rivederli dopo
più di un anno.
Dennis, più grande di me di tre anni, abitava nella mia
stessa città, ma gli
altri no e questa era una delle poche e rare opportunità di
passare più di
qualche giorno con loro.
Pur avendo instaurato rapporti di amicizia con Dennis a Pisa, lo
incontrai per
la prima volta, anche se inconsapevolmente, a casa di Marco in
occasione del
nono compleanno di
quest’ultimo.
Mi ero trasferita già da qualche mese e, in occasione del
compleanno del mio
migliore amico, i miei avevano deciso di ritornare per qualche giorno
nella mia
città natale.
Quella volta non lo
notai.
Il destino ci diede però una seconda opportunità
permettendoci di farci
rincontrare proprio a Pisa e, quando scoprimmo di essere nativi della
stessa
città, non potemmo fare a meno di fare
amicizia.
Entrambi ricordavamo con nostalgia i luoghi in cui, da bambini,
trascorrevamo
il nostro tempo: il mare, il parco accanto alla scuola,
l’edicola in cui
compravamo le figurine e altri posti che avevano fatto da spettatori ai
momenti
più significativi della nostra
infanzia.
«Marco, vedi di accompagnarla», ordinò
Angelica guardando il figlio
severamente.
Mi aspettai che rifiutasse ma, sebbene contrariato,
accettò.
La via in cui i ragazzi avevano affittato l’appartamento non
era molto lontana
e perciò la raggiungemmo in pochi
minuti.
Durante il tragitto nessuno dei due aveva provato a fare conversazione
e
l’imbarazzante silenzio che si era creato non faceva che
aumentare la mia
agitazione.
Approfittando del mutismo di Marco, mandai velocemente un messaggio a
Dennis,
avvisandolo del mio
arrivo.
Quando finalmente arrivammo mi aspettai che se ne andasse, invece mi
seguì per
le scale e anche
nell’appartamento.
Arrivata al terzo piano abbassai senza timore la maniglia della seconda
porta a
destra. La musica e le risate che provenivano non lasciavano spazio ai
dubbi:
in pochi attimi avrei riabbracciato le mie amiche.
Entrai di soppiatto, attenta a non farmi sentire da nessuno ma Marco, a
pochi
passi di distanza da me, non era sulla mia stessa lunghezza
d’onda e perciò si
girarono tutti nella nostra direzione, a causa dei fastidiosi rumori
che le sue
scarpe producevano a contatto con il pavimento.
Daniele e Alessandro furono i primi a venirmi incontro e a stritolarmi
in un
abbraccio che diventò collettivo quando si unirono anche le
ragazze.
Conobbi Martina qualche anno prima a Firenze quando Dennis, conoscendo
la mia
passione per l’arte, decise di portarmi alla Galleria degli
Uffizi.
Dopo più di due ore in cui lo avevo trascinato a destra e a
manca il mio amico,
ormai distrutto, mi disse che aveva bisogno di qualche attimo per
riposarsi.
Ma io, per niente stanca e presa dall’entusiasmo di tutte
quelle opere d’arte,
mi impuntai per rimanere ancora un altro po’ e decidemmo di
ritrovarci
all’uscita della Galleria entro
un’ora.
E fu proprio allora che incontrai
Martina.
Mesi dopo incontrai anche il suo ragazzo Alessandro, la sorella di
quest’ultimo, Ilaria, e per ultimo Daniele, migliore amico di
Ale.
«Dio, quanto sono contenta di
vederti».
«Tu
saresti?».
«Miri, ma mica è Mattia
questo?».
«Ma no che non lo è», affermò
Daniele convinto, pur non avendo mai visto
nemmeno una foto di Mattia.
Prima che tutti cominciassero a escogitare teorie varie, mi affrettai a
chiarire e spiegai loro che Marco non era altro che il mio nuovo
coinquilino.
«Cosa?», domandò Dennis sorpreso. Da
quando ero entrata non mi aveva rivolto la
parola –in fondo non ci vedevamo solo da qualche giorno
–e continuava a
guardare Marco in
cagnesco.
«Qualche problema?», chiese il biondo in tono di
sfida mentre io, man mano che
passavano i minuti, diventavo sempre più
sconcertata.
«A dire il vero, sì»,
cominciò il mio amico alzandosi dalla poltrona e
avvicinandosi minacciosamente a Marco, «non mi va a genio che
Miranda viva con
te».
«Interessante… E a me dovrebbe
importarmene?». Anche lui si stava adirando e la
discussione sarebbe sicuramente degenerata se Alessandro non fosse
intervenuto.
All’epoca non sapevo che cosa legava i due, ma già
cominciavo a capire che due
mesi erano davvero tanti e molto difficilmente, se nessuno dei due
avesse
allentato un po’ la corda, le cose tra di loro si sarebbe
sistemate.
«Marco, grazie per avermi accompagnata ma stanotte rimango a
dormire qui».
«Non ne dubitavo». Nel suo sguardo mi
sembrò di leggere delusione e forse
disgusto, ma invece che indagare preferii fare finta di nulla e
concentrarmi
sui miei amici.
Lui
Uscito da
quell’appartamento, invece che
andare subito a casa, preferii farmi una passeggiata per il lungomare,
sperando
di schiarirmi un poco le
idee.
Vedere Dennis sorridermi con cattiveria, per poi abbracciare
teneramente
Miranda, aveva fatto riemergere in me ricordi di cui credevo non me ne
importasse più nulla.
Non sapevo se mi infastidisse di più il tradimento di Dennis
oppure vedere con
quanta semplicità Miranda mi aveva
sostituito.
Dopo il suo trasferimento continuammo a sentirci per qualche altro
anno, ma la
distanza raffredda i rapporti e così era capitato anche a
noi.
Nei primi anni ogni occasione era buona per vederci, poi ci fu il
periodo della
malattia di mio padre e da allora ci perdemmo di
vista.
L’estate
del mio sedicesimo compleanno, il
mio vecchio amico d’infanzia Dennis venne a visitare i nonni,
e passammo
qualche giorno insieme.
E fu proprio allora, mentre stavamo parlando della sua nuova vita a
Pisa, che
mi fece vedere la foto della sua ragazza:
Miranda.
Fino a quel momento non avevo mai pensato che i due si trovassero nella
stessa
città e alla possibilità di potersi
conoscere.
Non capii –e non lo feci per molto tempo –quel
sentimento di gelosia che si era
insinuato in me e che mi fece vedere Dennis con altri
occhi.
L’affetto che Miranda e io provavamo l’uno per
l’altra era già diminuito a
causa della troppa distanza che ci divideva e poi, vedere che mi aveva
sostituito con Dennis, aveva spezzato il mio cuore da bambino
innamorato.
Già, perché io sognavo di sposarmela quella
bambina con le
trecce.
Tutto terminò l’estate successiva quando lui,
ritornato per qualche settimana a
Civitavecchia con la famiglia, tradì irrimediabilmente la
fiducia sia mia che
di Miranda.
∞∞∞
Quando ritornai a casa,
l’ora di cena era
passata già da tempo, ma i miei genitori e i loro amici non
sembrarono
accorgersene, continuando a chiacchierare davanti ad un bicchiere di
vino.
«Tesoro»,
esclamò mia madre quando mi vide, «hai
mangiato?».
«Mi sono
preso una pizza nel ritornare», mentii. Non avevo fame e
nemmeno la
forza di intrattenere una discussione, e tantomeno spiegarle il
perché della
mia mancanza di
appetito.
Senza aspettare
risposta mi diressi in camera mia e, dopo una doccia ghiacciata
viste le temperature tropicali, mi distesi supino sul
letto.
Nonostante pochi
giorni addietro avessi concluso l’esame di
maturità non avevo
la minima idea di cosa avrei fatto ad ottobre, e l’incertezza
continuava a
torturami incessantemente impedendomi di prendere
sonno.
Annoiato, e stanco
di pensare nuovamente all’abbraccio tra Miranda e Dennis,
chiamai Laura nella speranza che non fosse troppo tardi e non mi
mandasse a
quel paese per averla
svegliata.
«Pronto?»,
biascicò dopo un sonoro
sbadiglio.
«Dormivi?».
«Più
o meno», mi rispose subito dopo aver sbadigliato
nuovamente.
«Che
volevi?»,
continuò.
«Mi
annoiavo… Tuo fratello è in casa? L’ho
chiamato per uscire un’oretta fa, ma
non mi ha risposto».
«È
dalla sua ragazza. Vuoi che gli dica che hai chiamato?»,
domandò più
addormentata che
sveglia.
«Va beh,
non importa. Ci sentiamo
domani».
Laura, nonostante la
differenza di età e l’iniziale opposizione del
fratello,
era una delle persone a cui più ero legato e che, con la sua
pazza saggezza,
aveva evitato più di una volta che il nostro gruppo di amici
si sciogliesse a
causa di alcuni screzi interni; pur essendo la più piccola
la ragazza aveva le
palle ed era benvenuta da tutti.
Ancora una volta,
inevitabilmente, i miei pensieri ritornarono su quella dolce
bambina che da tanti anni prima popolava i miei
sogni.
“Fanculo
lei e pure Dennis”, pensai rigirandomi per
l’ennesima volta nel letto
e sentendo che, finalmente, la stanchezza riusciva ad avere la meglio
sui miei
pensieri da
depresso.
«Fanculo»,
sussurrai un’ultima volta prima di prendere definitivamente
sonno.
Note
Ho
scritto questo
capitolo più o meno un anno fa, ma avevo deciso che non
avrei pubblicato nulla
fino a quando non avrei finito con la maturità
perché sapevo che non sarei
stata capace di portare a termine gli impegni presi. Però la
maturità ora è
finita e spero che la voglia di scrivere non mi abbandoni e che io
riesca a
finire tutte quelle storie incomplete o mai pubblicate.
Questa storia è la versione di una storia che avevo
pubblicato ma che ho
cancellato perché non mi piaceva più e
perché non la sentivo più mia.
Ringrazio di cuore _Stranger_ che continua a sopportarmi e a
supportarmi da
così tanto tempo. Senza di te non avrei pubblicato
né questa né altre storie.
Grazie
Un
bacio,
Alina_95
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Le situazioni di lui e lei
Capitolo 2
Lui
Il giorno seguente mi svegliai con le risate di mia madre in sottofondo e questo non fece che aumentare il mio malumore. Conscio che non avrei più ripreso sonno mi alzai dal letto e, indossati velocemente dei pantaloni, scesi al piano di sotto. Come immaginavo mia madre stava sorseggiando il suo caffè e parlava in modo concitato con Veronica, la madre di Miranda. Quando mi videro arrivare le due si zittirono subito. La cosa mi insospettì, ma assonnato com’ero non ci diedi troppo peso. «Tesoro, vuoi che ti prepari qualcosa da mangiare?», alzai gli occhi al cielo. Non si faceva problemi a lasciarmi vivere da solo per due mesi e pensava che non fossi capace di prepararmi da solo la colazione?
«No. Non ho fame». «Quindi», riprese a parlare Veronica, «cosa andrai a studiare l’anno prossimo, Marco?». «Ancora non lo so», risposi sincero mentre mi versavo da bere una tazza di caffè. «Miranda andrà a studiare arte». «Buon per lei», risposi sbadigliando. «Marco!». «Papà e Luigi?». Ignorai volutamente mia madre che stava continuando a rimproverami per la mia sfacciataggine e maleducazione. «Sono fuori», mi rispose Veronica con un sorriso. Le sorrisi a mia volta, sentendomi un po’ in colpa per averle risposto malamente. E stavo per esprimerle il mio dispiacere a parole quando sentii la voce di Miranda che, dall’entrata, ci avvisava di essere ritornata.
Avrei voluto andarmene, ma in pochi attimi ci raggiunse in cucina, facendo fallire miseramente il mio piano di fuga. «Miranda». «Marco». «Dennis». «Dennis!». Dennis? «Ehm…». Fu solo allora che lo vidi. «Angelica, sono felice di rivederla», disse passandosi una mano tra i capelli scompigliati. Veronica si alzò dalla sedia e gli diede un bacio sulla guancia, dicendogli qualcosa che non afferrai dato che tutta la mia concentrazione era sulla sua mano destra, poggiata con nonchalance sul fianco di Miranda. Mi risvegliai dal mio stato di trance giusto in tempo per non farmi beccare dai due. Il mio sguardo però non passò inosservato all’occhio attento di mia madre che mi guardò dispiaciuta. Perché mai lo era? Io stavo bene. «Mi raccomando», stava dicendo Angelica, «non perdere di vista Miranda e chiamami se dovesse sentirsi male». In quel momento non capii, ma la preoccupazione e la serietà con cui pronunciò quelle parole mi inquietarono un poco. Dennis annuì e, stringendo tra le braccia Miranda, le chiese se prima di andarsene gli potesse prestare il suo cellulare per mandare un messaggio a una certa Sofia. Lei gli passò il telefono mentre io mi chiedevo quanto tempo le era servito per sostituirmi. Un tempo eravamo noi ad essere così tanto in sintonia, a parlare con gli sguardi. Eravamo solo dei bambini, la nostra non era vera amicizia. E anche se quelle parole sembravano solo una scusa patetica con cui celare la mia gelosia, in quel momento credetti veramente che la nostra era stata una storia senza importanza. “Magari”, pensai “anche se fossimo rimasti in contatto non avrebbe funzionato comunque tra di noi”. «Quando partite?», chiese Dennis restituendo il cellulare alla rossa. «Dopo pranzo». Forse avevo sottovalutato la loro relazione. Forse lui le aveva detto la verità e lei era riuscita a perdonarlo. O forse lui aveva continuato a mentirla per tutto quel tempo. «Perché non rimani a mangiare con noi? Mi farebbe piacere sentire come ti vanno le cose». Mi girai di scatto verso mia madre, cercando di trasmetterle tutto il disappunto che sentivo, ma lei mi rispose con una semplice alzata di spalle. «Grazie per l’invito, ma sono costretto a rifiutare. Purtroppo ho altri impegni per l’ora di pranzo, ma Miranda può raccontarle tutto». Dicendo queste ultime parole puntò gli occhi nei miei per accertassi che ricevessi il messaggio. «Aspetta un attimo», disse liberandosi dalla presa del biondo «voi due vi conoscete?». «Non sapevi tutto di lui? Oppure ti dice solo ciò che gli conviene?». Lo vidi incassare il colpo e, quando abbassò la testa colpevole, un sorriso di vittoria, incontrollato quanto spontaneo, nacque sul mio volto.
«Dennis?» «A quanto pare la vostra relazione non è tanto solida come pensavi». Sia mia madre che la sua non si intromisero, probabilmente avevano intuito che tra di noi c’erano cose non dette e preferivano rimanere fuori. «Tutto il contrario, non avrà voluto annoiarmi con dettagli insignificanti». Questa volta fui io ad incassare il colpo e, infastidito, uscii in balcone a prendere un po’ d’aria. Sarebbero stati i due mesi più lunghi della mia vita.
Lei «Non è come pensi», cominciò non appena mi richiusi la porta alle mie spalle. Mi girai di scatto, nervosa e delusa. «È esattamente come penso», scandii bene le parole, affinché capisse che, contrariamente a tutte le altre volte in cui avevamo litigato, questa volta ero furiosa. «Fammi spiegare». Indietreggiò di qualche passo quando mi avvicinai a lui, colpendogli ripetutamente il petto con l’indice. «Cosa c’è da spiegare, Dennis? Il mio migliore amico mi ha preso in giro per anni. Sai cosa si prova? Sai come ci si sente quando uno sconosciuto ti fa mettere in dubbio la relazione più duratura che tu abbia mai avuto? Sai cosa ho provato quando mi sono resa conto che lui mi ha detto la verità? Mi hai mentito, Dennis». «Miranda», sussurrò, ma lo sentii comunque. Mi allontani da lui e mi sedetti sul letto. Per la prima volta mi guardai intorno: una scrivania ben ordinata, vestiti che traboccavano dall’armadio e dalla cassettiera, e moltissime foto appese a un filo invisibile che andava da una parte all’altra della parete. Dennis mi si avvicinò, si lasciò cadere a terra e, prendendo le mie mani tra le sue, mi chiese scusa. «Ti ho parlato molte volte di lui», presi fiato «perché non mi hai mai detto che lo conoscevi?». Senza alzare lo sguardo da terra, mi disse che non sapeva bene cosa era successo tra loro due. «Ti ricordi quando sono tornato perché mia nonna stava male?», annuii. Non avrei mai dimenticato quell’estate. «Ho conosciuto una ragazza. Era carina –aveva più o meno la tua età – e ci sono uscito per qualche settimana. I miei rapporti con Marco si erano già raffreddati l’estate prima, e quell’anno peggiorarono a tal punto che arrivammo alle mani. Mi aveva accusato di approfittarmi di te, mi ha detto che non sapevo apprezzarti e che alla fine ti avrei fatta soffrire». Una lacrima sfuggì al suo controllo, ma entrambi fingemmo di non averla notata. «Qualche settimana prima tu… ». Le lacrime diventarono due, poi tre, poi quattro. «Non è stata colpa tua», dissi seria. Dennis era il mio migliore amico, lo amavo con tutta me stessa e non gli avrei permesso che si colpevolizzasse senza motivo. «Grazie, ma sappiamo entrambi che è vero». Scivolai dal letto e mi misi alla sua altezza. Lo abbracciai stretto, sperando di trasmettergli tutto l’affetto che provavo nei suoi confronti. Fu così che, qualche minuto dopo, Marco ci trovò. «Avete già fatto pace», constatò amaramente. Avrebbe forse preferito che io e Dennis non ci rivolgessimo più la parola? «Non rompere», risposi cercando di coprire il viso del mio amico con il mio corpo: non avrei permesso a Marco di deriderlo per una cosa che lo faceva soffrire così tanto. «Che vuoi?». «Siete in camera mia. Andatevene». Guardai Dennis per assicurarmi che stesse bene e uscimmo dalla stanza tenendoci per mano. Prima di chiudermi la porta alle spalle detti un’ultima occhiata a Marco. Ora che pensava di non essere visto, tutta la spavalderia di pochi attimi prima era sparita. Sembrava… spossato. Scacciai quell’immagine dalla testa: avevo fin troppi problemi e non volevo addossarmi anche quelli di Marco.
«Sicuro di non voler rimanere a pranzo?», chiese nuovamente mia madre a Dennis. Lui rispose di no e Angelica tirò un sospiro di sollievo. Un poco mi infastidì il suo comportamento, ma la capivo perfettamente. Suo figlio lo odiava, e di certo non avrebbe mai visto Dennis di buon occhio. «Ci vediamo stasera», mi salutò baciandomi di sfuggita la guancia. Lo sguardo indagatore di Angelica mi fece sentire a disagio e allontanai velocemente Dennis da me. Quando rimanemmo sole, mia madre mi chiese se potessimo parlare. Il suo sguardo era serio e quello di Angelica altrettanto. «Va bene». No che non andava bene. Il disagio di prima aumentò ancora, facendomi sudare notevolmente mentre il respiro diventava sempre più affannoso. Come se ciò non bastasse, trovammo in cucina Marco intento a mangiare una pesca. Mia madre prese posto accanto ad Angelica e l’unica sedia libera era quella accanto a Marco. Non avendo altra scelta mi sedetti, pentendomi immediatamente. Non faceva altro che sbuffare, senza però avere intenzione di allontanarsi di un solo millimetro, incrementando a questo modo la mia agitazione. «Voglio veramente tanto che questa convivenza sia produttiva per entrambi». Sentendosi tirato in causa, Marco posò sul tavolo la pesca morsicchiata. Produttiva? «Se per caso dovessi sentirti…», si interruppe incapace di trovare le parole più adatte. «Se dovessi sentirti male, non esitare a chiamare». Alle parole di mamma Marco alzò un sopracciglio, sorridendo beffardamente. «Di questo ne abbiamo già parlato a sufficienza a casa, non ho intenzione di approfondire il discorso adesso, soprattutto in presenza di estranei». Forse Angelica ci era rimasta male, ma non avevo intenzione di farmi deridere dal figlio. «Miranda!», tuonò mia madre. «È così, mamma. Mi dispiace ma non puoi pretendere che mi senta a mio agio con persone che non vedo da dieci anni! Sono tuoi amici, mamma. Non miei». Socchiuse le labbra, pronta a ribattere. «Marco potrà anche essere stato il mio migliore amico quando eravamo bambini, ma ora non sa nulla di me, mamma. Come del resto nemmeno io non so nulla di lui. Non sono stupida, ho capito quali sono le tue intenzioni, ma non credo che funzionerà». «Miranda». «Però va bene. Farò come volete voi. Ora però vado da Martina e Ilaria, ci vediamo a pranzo». Mi alzai facendo appositamente strusciare la sedia sulle mattonelle. Solo quando uscii dall’abitacolo il mio respiro tornò a essere regolare. Se mia madre pensava che mi sarebbero bastate poche ore affinché mi abituassi all’idea di condividere la casa con un estraneo, evidentemente mi conosceva meno di quanto pensasse. Avevo detto che mi sarei incontrata con le ragazze, ma in realtà volevo solo stare da sola. Andai in spiaggia con la speranza che la sabbia tra i piedi e il profumo del mare avessero su di me lo stesso effetto di tanti anni fa. Nonostante fossero già le dieci del mattino, la spiaggia era pressoché vuota, permettendomi quindi di avere quei minuti di tranquillità e pace di cui necessitavo. Guardare l’orizzonte, non accorgersi dove finiva il mare e dove cominciava il cielo, mi aveva affascinata sin da bambina. Chiusi gli occhi, beandomi delle onde che, dispettose, mi bagnavano le dita dei piedi. Rimasi seduta per più di quaranta minuti, incurante della confusione che nel frattempo si era formata intorno a me. Solo quando uscii dalla mia bolla di serenità, mi accorsi delle grida dei bambini che, felici, si schizzavano con l’acqua. Ricordai con nostalgia che Marco ed io eravamo soliti fare altrettanto; ricordai l’esasperazione di mia madre e la rabbia di Angelica, il divertimento di mio padre e quello di Giorgio. Avrei voluto avere nuovamente otto anni, essere spensierata e passeggiare mano nella mano con il mio migliore amico. Tuttavia, riflettei, se non mi fossi trasferita non avrei mai conosciuto tutte le persone meravigliose che amavo e che mi amavano. Se penso all’infanzia penso ai grandi occhi di Marco e ai suoi capelli biondi. Al suo volto, però, si contrappone quello più spigoloso e maturo di Dennis. Mi incamminai verso casa solo quando arrivò l’ora di pranzo. E se da una parte non vedevo l’ora che i miei genitori partissero, dall’altra temevo che lo facessero.
Lui
Durante il pranzo sia Miranda che io cercammo di andare d’accordo il più possibile per fare in modo che i nostri genitori cambiassero idea sul farci rimanere da soli. Più di una volta avevo ricevuto dei calci negli stinchi talmente forti da farmi mordere le labbra per evitare di gridare, e più di una volta le avevo mandato sguardi omicidi in risposta alle sue frecciatine. Quando i nostri genitori partirono erano già le tre del pomeriggio e, con tutto quello che avevo mangiato, non volevo fare altro che stendermi sul divano e dormire un poco. Peccato che l’universo ce l’avesse con me, e giusto qualche minuto dopo essermi addormentato qualcuno cominciò a suonare ripetutamente al campanello. Svogliatamente mi alzai per andare ad aprire, ma prima che potessi arrivare al citofono, Miranda aveva già aperto la porta. Si fece da parte per far entrare l’ospite inatteso, e la testa bionda di Laura fece la sua comparsa nell’ingresso. I suoi occhi si posarono per qualche secondo sulla mia figura, per poi concentrare tutte le sue attenzioni sulla rossa. «Io sono Laura, piacere». Miranda guardò dubbiosa la mano tesa di Laura. Dopo qualche attimo di sgomento – la capivo, Laura era talmente vivace che ci voleva un poco ad abituarsi ai suoi modi – Miranda le sorrise radiosa e le strinse la mano. «Il piacere è tutto mio», sorrise. «Io sono Miranda». «Lo so». Ed ecco arrivato il momento in cui avrei voluto sotterrarmi. Altro che tre metri sopra il cielo, in quel momento desiderai ardentemente di scavarmi una fossa tre metri sotto terra. «Laura!». Sbuffò scocciata dopo il mio ringhio. Sorrisi tra me e me nel vedere la sua faccia delusa e imbronciata: voleva conoscere Miranda. «Va bene», alzai gli occhi al cielo quando cominciò a saltellare e si aggrappò al mio collo contenta. Durante tutto questo tempo, Miranda non aveva aperto bocca, spostando lo sguardo tra me e Laura. La bionda era più piccola di me, non eravamo mai usciti da soli, però avevamo una grande intesa e nell’ultimo periodo avevamo approfondito molto la nostra amicizia. Era un tipo assai curioso e quando mi feci scappare che durante l’estate avrei condiviso la casa con una mia vecchia amica d’infanzia, cominciò a tartassarmi di domande. «Lo so che non mi conosci e che molto probabilmente adesso starai pensando a come scappare perché ti faccio paura». Non avevo mai conosciuto qualcuno con una vitalità e un’allegria più contagiosa di quella di Laura. Il modo in cui imponeva la sua presenza, finendo inevitabilmente per farsi amare era qualcosa di unico. Sperai che Miranda lo comprendesse e che non si soffermasse troppo sulla sua indiscrezione. Non mi andava molto a genio che le due diventassero amiche – attraverso il fratello Laura era venuta a conoscenza di diverse cose riguardanti il mio conto – però non mi dispiaceva l’idea che si tenessero impegnate l’un l’altra, evitando di infastidire me. Non seguii il resto del discorso perché il cellulare vibrò incessantemente nella mia tasca. Evidentemente l’universo non volveva farmi riposare. Avevo finito gli esami da nemmeno una settimana, avevo diritto a qualche giorno di riposo, no? I miei amici non sembravano pensarla allo stesso modo. Quando dissi a Stefano, un ragazzo della mia comitiva di amici, che per quel giorno non avevo intenzione di uscire, rispose che sarebbe venuto lui stesso da me. Finita la telefonata imprecai sottovoce, notando solo in quel momento che le ragazze se ne erano andate. Mi diressi in soggiorno, ma le voci che arrivavano dalla cucina attirarono troppo la mia attenzione. Mi vergogno ad ammetterlo, però mi nascosi dietro il muro e ascoltai un poco della loro conversazione. «Da quanto tempo conosci Marco?» E così Miranda era interessata a me… «Da sempre, ma siamo diventati amici solo da poco. È un amico di mio fratello, e prima mi consideravano troppo piccola per farmi stare con loro. Il che è alquanto scortese, considerando che ho solo due anni in meno, non credi?». «Certo», la rossa le sorrise comprensiva. Era girata di spalle, e perciò non potei vedere il suo volto, ma dal tono di voce, ipotizzai che stesse sorridendo. Laura diede un occhio sopra la spalla dell’altra e mi vide. Le feci segno di stare in silenzio e lei, con un sorriso malizioso che mi fece paura, annuì impercettibilmente con il capo. «Che ne pensi di Marco?». Quasi mi strozzai con la mia stessa saliva. «Non so… Quando sono arrivata mi è sembrato di essere ritornata indietro nel tempo, ma appena ha aperto bocca mi sono ricreduta sul suo conto». Pensai a quello che le dissi quando le nostre mamme ci obbligarono ad abbracciarci, e dovetti ammettere di aver esagerato un tantino. «È una brava persona», Laura alzò velocemente lo sguardo verso di me prima di riportare tutta l’attenzione su Miranda. «Dagli un po’ di tempo e ti accorgerai tu stessa di quanto è meraviglioso».
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Le situazioni di lui e lei
Capitolo 3
Lei
Laura se ne era andata da qualche minuto – si era defilata dicendo di dover fare qualche commissione per la madre – lasciandomi in cucina a riflettere sulle sue parole. Il modo in cui aveva descritto Marco, gli aggettivi che gli attribuiva e gli aneddoti che mi aveva raccontato mi ricordavano così tanto il bambino biondo con cui ero cresciuta… Anche se è durata per pochi anni, la sua amicizia è stata talmente importante per me che in quegli anni più di una volta avevo sfogliato il vecchio album di fotografie che la mamma custodiva gelosamente nella cassettiera in camera sua. Un giorno, quando la nostalgia ebbe la meglio, presi una foto dall’album e la misi nella bacheca di sughero in camera mia. Con il tempo quella foto è stata ricoperta da tanti post-it, fogli e disegni, ma sapere che era lì, che mi sarebbe bastato alzare lo sguardo per intravederla, mi ha sempre tranquillizzata in qualche modo. Quando quella maledetta sera la paura mi impediva anche di gridare, quella foto mi ha dato la forza di divincolarmi e di scappare. Una lacrima sfuggì al mio controllo quando i ricordi diventarono sempre più vividi. Non mi accorsi nemmeno di Marco che mi stava fissando, seduto dall’altra parte del tavolo. «Perché piangi?», mi chiese aprendosi una lattina di birra e offrendomi un sorso. Rifiutai con un sorriso timido prima di scrollare le spalle. «Ricordi di una notte spiacevole». Parlare con lui era così facile. Se solo avesse smesso di essermi così ostile, di volermi continuamente deridere… «Non so che dirti, io mi diverto sempre la notte». Ed ecco che aveva ancora una volta rovinato tutto. Stavo per ribattere quando mi resi conto che non aveva senso. Voleva prendersi gioco di me? Che lo facesse pure, non me ne importava. Il cellulare squillò proprio in quel momento, ma prima che potessi anche solo pensare di prenderlo, Marco lo afferrò e rispose al posto mio. «Miranda? No, non conosco nessuna Miranda». Il sorriso di scherno sul suo volto mi fece infuriare ancora di più. «Dammi quel telefono, Marco! E smettila di giocare, non hai dieci anni». «Pronto?». Nella foga nemmeno controllai chi mi avesse chiamata. «Miranda, chi era quello?». Di bene in meglio. «Era Marco, il mio nuovo coinquilino». «Ah. Il tuo amico d’infanzia». «Già». Chiusi gli occhi qualche secondo, cercando di recuperare la calma che Marco mi aveva fatto perdere. Mattia era il mio ragazzo, e mi sentivo davvero in colpa ad essere così fredda con lui, ma già da tempo i rapporti si erano raffreddati. Eravamo una coppia, ma entrambi eravamo consapevoli che i sentimenti che provavamo l’uno per l’altra non erano duratori o veritieri. Lui voleva una ragazza, io volevo dimostrare che avevo sconfitto i fantasmi del mio passato, e perciò decidemmo di metterci insieme. Da qualche tempo però Mattia era cambiato e io non sapevo come prenderlo. Era diventato geloso, quasi possessivo e alcune volte mi faceva paura. Non ne avevo mai parlato con nessuno, neppure con Dennis, perché pensavo che fossero solo paranoie, che vedessi cose che in realtà non esistevano. Perciò quando mi disse che prima o poi sarebbe venuto qui per vedere Marco, pensai che la sua fosse semplice preoccupazione. Il biondo non si era mosso di un millimetro per tutta la durata della conversazione, anzi sembrava teso e pronto a scattare da un momento all’altro. «Chi è Mattia?». Non gli risposi, decisa a ignorarlo completamente. Se inizialmente volevo almeno che riuscissimo a convivere civilmente, il suo comportamento mi aveva fatto capire che sarebbe stato impossibile, era troppo prevenuto e io non avevo intenzione di sforzarmi oltre per fargli cambiare idea. Uscii di casa senza dirgli dove stessi andando o quando avessi intenzione di tornare, violando una delle poche regole che le nostre madri ci avevano imposto: essere sempre, sempre, a conoscenza di dove fosse l’altro. Raggiunsi i miei amici in spiaggia, ma erano tutti a farsi il bagno. Tutti eccetto Daniele che mi guardava abbattuto. Senza che ci fosse alcun bisogno che mi spiegasse, capii subito cosa era successo. «Andiamo a bere qualcosa, Dani?», annuì, alzandosi e scrollandosi di dosso la sabbia che gli si era attaccata ai vestiti. Sabbia che, ovviamente, mi investì in pieno. «Cosa ha fatto questa volta?». Ilaria era una delle mie più care amiche, ma ero più che sicura che fosse stata lei ad aver causato il litigio. «Non la capisco più. E mi sono stancata di lei e delle sue reazioni esagerate». Daniele è calmo e pacato, ma in quel momento potevo percepire tutta la rabbia e il dolore che stava trattenendo con difficoltà. «È gelosa. Quando le ho detto che mi piaceva, mi ha risposto che per lei ero solo un amico, e ora si permette di essere gelosa e di comportarsi da pazza isterica?». Si passò una mano tra i capelli umidi, imbrattandoli di sabbia. Daniele era un bel ragazzo, gentile e affettuoso, ma si era innamorato della persona sbagliata. Ilaria non cercava una relazione seria, voleva divertirsi senza rendere conto a nessuno. Sapevo che non le era completamente indifferente, ma la paura di farlo soffrire, che la sua sarebbe stata solo una cotta passeggera, le impediva di godersi appieno questa relazione. Perciò, pur sapendo che non poteva avere alcun tipo di pretesa su Daniele, non la biasimavo. Più di una volta sia io che Martina avevamo cercato di aiutarla a superare questo ostacolo, ma ogni volta ci aveva risposto malamente e si era allontanata imbronciata. Ilaria è difficile, scorbutica e incapace di esternare i propri sentimenti. «Dalle tempo e capirà di amarti». Non ero l’unica a conoscenza di quello che provava la mia amica. Daniele era sì ingenuo, ma non stupido e capiva perfettamente che dietro alle risposte malevole di Ilaria e ai suoi capricci si nascondeva un segreto che ancora non era riuscita ad ammettere nemmeno con se stessa ma che tutti avevamo intuito. «Non è detto che quando lo capirà io sarò ancora disposto ad ascoltarla». Non risposi: aveva perfettamente ragione e non c’era altro che io potessi aggiungere. Non potemmo continuare la nostra conversazione perché gli altri ci raggiunsero in pochi minuti. Dennis era diventato rossissimo e non potei trattenermi dal ridere quando vidi una porzione di pelle più bianca del resto del corpo. Martina mi raccontò che si era addormentato con la mano sulla pancia, e quando loro se ne sono accorti era già troppo tardi. «Ridi pure, stronza, vuoi che ti ricordi di quando ti sei addormentata con gli occhiali sul naso?». Smisi di ridere mentre i miei amici scoppiarono in una fragorosa risata.
Lui
«Sì! Sì! Goal!». Abbandonai lo joystick per terra, esultando e pavoneggiandomi della mia bravura. «Vaffanculo». Emanuele era un tipo permaloso e non mi meravigliai quando si alzò e uscii sbattendo la porta di casa. Rimasto solo – e poiché mancava ancora qualche ora prima del falò – accesi il computer e misi a caricare la nuova puntata di Hannibal. Mentre aspettavo che lo streaming partisse, ripensai alla conversazione di Miranda con quel Mattia. L’avevo vista irrigidirsi sul posto e stringere con forza il telefono. Credo che lei non se ne fosse nemmeno accorta, ma dopo qualche secondo il suo respiro si era accelerato notevolmente e la voce le tremava un poco. Non conoscevo niente di quel tipo, ma per aver suscitato quelle reazioni non doveva essere stato molto garbato. Quando l’avevo vista piangere il senso di colpa per averla trattata male divenne sempre più opprimente, ma era bastato ripensare a come mi aveva deriso insieme a Dennis per permettermi di risponderle a modo. Non riuscivo a spiegare nemmeno a me stesso cose sentissi per quella ragazza. Da una parte la odiavo perché anche adesso mi ingannava con il suo comportamento – voleva passare per la vittima, quando in realtà ero l’unico per aver sofferto in tutta quella situazione – dall’altra il suo volto rosso per il sole e i suoi occhi chiari mi ricordavano troppo la bambina di cui – ingenuamente come solo un bambino sa fare –mi ero innamorato. Scrollai la testa nella speranza che con quel semplice gesto sparissero tutti quei pensieri che mi stavano facendo venire il mal di testa. Non mi resi conto quando, ma dovetti essermi addormentato durante la puntata perché quando mi svegliai era già notte inoltrata. Quando qualcuno accese la luce in soggiorno mi girai dall’altra parte. Infastidito. Chi altro poteva essere se non Miranda? Fingendo di essere ancora profondamente addormentato, mi misi in ascolto. Mi sentivo stupido a fare una cosa del genere, ma nessuno mi avrebbe mai scoperto quindi… «Rimani a dormire con me?». Stava veramente proponendo a uno sconosciuto di passare la notte con lei in casa mia? «Non credo che Marco sarebbe d’accordo». Quando riconobbi la voce di Dennis tutto divenne un poco più chiaro. «Come se me ne potesse importare». Evidentemente nessuno dei due si era accorto della mia presenza. «Si comporta male con te?». Nella sua voce potevo chiaramente percepire rabbia e apprensione. «No, tranquillo». «Posso parlare con tua madre se vuoi, sai che mi darebbe ascolto e potresti trasferiti con noi già da domani». Perché mai avrebbe dovuto? Non è che la stavo maltrattando o altro. E perché mai la madre avrebbe dato ascolto al fidanzatino della figlia? «Anche se odio questa situazione – non poter trascorre ogni istante con voi ragazzi – capisco quello che mamma vuole fare». La voce cominciò a tremarle un poco, e da come la sentii tirare col naso qualche istante dopo, capii che stava piangendo. Non dissero più nulla, sentii solo il sospiro sconsolato di Dennis. Fui tentato di aprire gli occhi per vedere chiaramente cosa stava succedendo nel mio ingresso, ma la paura di essere scoperto mi fece desistere. «Devo imparare a non avere più paura. E Marco è l’unico che mi possa aiutare». Aiutare a fare cosa? «Non sei a disagio con lui?». «Sì, ma non so come spiegartelo… Le sue parole mi feriscono, ma sento che mi posso fidare». Dennis sbuffò ancor una volta: non doveva essere piacevole sapere che la propria ragazza preferiva abitare con un altro. Il biondo, dopo averla salutata, se ne andò. Miranda rimase invece qualche altro minuto in cucina prima di salire le scale e andare in camera sua. Io rimasi in soggiorno, pensando ancora e ancora alle sue parole. Si fidava. Si fidava di me. Non avevo capito niente del suo discorso, ma non riuscivo a togliermelo dalla testa.
∞∞∞
Il giorno seguente mi svegliati con la schiena e il collo talmente doloranti che a malapena riuscii a mettermi seduto. Miranda, seduta su una poltrona, mi stava fissando. «Che hai da guardare?». Di prima mattina ero sempre scorbutico, e il non riuscire neppure ad alzarmi non migliorava di certo il mio umore. «Pensavo che mi sei più simpatico quando dormi». «Ha ha. Ma quanto sei spiritosa?». La smorfia di dolore sul mio viso la dovette far impietosire perché si offrì di farmi un massaggio e di spalmarmi una crema che secondo lei mi avrebbe fatto passare il dolore in pochi minuti. Ero riluttante ad accettare, ma alla fine cedetti al suo sguardo determinato. «Sia chiaro, non lo faccio perché mi stai simpatico, ma perché mi fai pena». Sorrisi, attento però a non farmi vedere da lei. Non volevo che si facesse venire strane idee in mente. «Spero davvero che tu sappia cosa fai». «Tranquillo, quando Dennis ha avuto l’incidente con la moto l’ho accompagnato a ogni seduta di fisioterapia e ho imparato qualcosa». Quando si rese conto di avermi confidato troppe cose, si tappò la mano con la bocca e senza aggiungere altro mi aiutò a stendermi. «Dovresti toglierti la maglietta». «Perché non me la togli tu?». La mia era solo una battuta, non mi sarei mai immaginato che se la prendesse tanto. Accadde tutto così velocemente che quasi non me ne accorsi. Solo quando sentii una porta sbattere capii che si era chiusa in camera sua. Mi alzai a fatica – mi ci vollero più di cinque minuti – e la raggiunsi, intenzionato a fare chiarezza sul suo comportamento. In quei tre giorni non avevo dato il massimo, e certe volte mi ero comportato da stronzo, ma questa volta ero sicuro di non aver fatto niente di male. «Miranda, apri la porta». «Vattene!». Qualcosa non andava, lo sentivo dal suo tono di voce. «Maledizione, apri questa porta e smettila di comportarti come una bambina». Non sentire alcuna risposta mi fece preoccupare. Non sapevo cosa stesse succedendo, ma Miranda mi stava nascondendo un segreto e io ero intenzionato a scoprirlo. Pensai agli avvenimenti dei giorni precedenti, alla quasi litigata di Miranda con sua madre prima della partenza… «Miri, apri la porta, ti prego». Sentii il rumore della chiave che girava nella toppa e vidi la maniglia che leggermente si abbassava. Il suo volto era solcato dalle lacrime, gli occhi erano rossi e gonfi. Ad ogni passo nella sua direzione, lei ne faceva un altro all’indietro, allontanandosi da me. «Miranda…». «Va tutto bene. Ho avuto un incubo questa notte e sono ancora un po’scossa». Quando mi si avvicinò pensai che volesse parlare, confidarsi. Senza che io potessi fare niente per fermarla, prese il cellulare dal letto e scappò ancora una volta da me. Mi buttai a peso morto sul letto, dimenticandomi per un momento del mal di schiena che ancora mi tormentava. Avrei dovuto indagare, ma ero così sicuro che mi stesse solo prendendo in giro che finii per dimenticarmene e archiviare quel episodio come un sogno, come qualcosa che non fosse successo veramente.
Lei
Non avrei dovuto andarmene a quel modo, non avrei dovuto ignorare i suoi occhi che chiedevano una spiegazione, ma era troppo per me. Quella notte avevo deciso di avvicinarmi a lui, come avevo detto a Dennis, Marco era la persona più adatta ad aiutarmi a superare le mie paure. Parlare con lui era facile, confidargli le cose era spontaneo, e questo mi faceva paura. Volevo instaurare un rapporto di amicizia, non fidarmi ciecamente di lui. Sembra assurdo, ma la sicurezza che mi trasmetteva mi terrorizzava. Le persone non sono sempre quello che fanno vedere, l’avevo capito sulla mia pelle con Michele, e sebbene una parte di me sapeva che quelle erano solo inutili paranoie, temevo che anche Marco in un modo o nell’altro mi deludesse. Mi erano bastato sentire la sua voce preoccupata per capire che non era cambiato affatto – era diventato più sfrontato e egocentrico – ma sentivo che da qualche parte c’era ancora il bambino di dieci anni prima. Io, però, non ero rimasta la stessa. |
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