Tutta colpa di un sogno

di Conodioeamore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - E' un terribile delinquente ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Addio vacanze, è stato un piacere ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Ritorno alla quotidianità ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 IL GRANDE PROBLEMA DI LEI ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5 IL MIO STALKER È DIVENTATO UN INCUBO IN CARNE ED OSSA! ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 6 AMMETTERLO A SÉ STESSA ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - E' un terribile delinquente ***


Tutto ha avuto inizio il mio secondo anno di scuola superiore. Fino a quel momento, non avrei mai immaginato che la mia vita sarebbe cambiata così radicalmente. Eppure mi sono dovuta ricredere...

L'estate del mio primo anno di liceo avevo deciso di andare in vacanza a Parigi, per studiare meglio la lingua. Non mi sarei mai potuta immaginare che il mio splendido soggiorno sarebbe stato rovinato e, per giunta, il mio incubo mi avrebbe seguito sino a casa.

Ero nella mia stanza d'hotel che mi stavo facendo la doccia, perché ero stata tutto il giorno in giro a fare compere, quando sentii dei rumori provenire dalla mia stanza. Mi sbrigai ad uscire dalla doccia per andare a controllare se fosse entrato qualcuno nella camera.

Lì per lì non notai nessuno, anche se la porta d'entrata era accostata (anche se ero nettamente sicura di averla chiusa). Così andai a chiuderla di nuovo, e poi mi diressi a prendere i vestiti.

La moda francese mi aveva letteralmente contagiata, tant'è che avevo completamente rifatto il guardaroba. Non appena finii di allacciarmi la gonna, sentii un rumore proveniente da dietro la tenda che copre la finestra. Mi voltai di scatto, molto spaventata. Il cuore aveva iniziato ad aumentare i battiti. Sono una ragazza molto paranoica con manie di persecuzione, quindi ad ogni minimo rumore mi allarmo e mi faccio prendere dal panico.

Adesso ne ero sicura: qualcuno era entrato nella mia stanza. «C'è qualcuno?» domandai in francese. Feci qualche passo verso la tenda, però mi fermai quasi subito. «Vado a chiamare la sicurezza!»

Andai a grandi passi verso la porta, ma venni fermata per il braccio. Dalla forza che ci impiegò di sicuro non si trattava di una donna. Mi prese per la vita e mi tappò la bocca, facendomi aderire al suo petto. Non ci misi molto a capire che si trattava di un ragazzo e non di un adulto. La mia schiena era incollata contro il suo petto. La paura iniziò a prendere il sopravvento. Volevo urlare, cercare qualcuno che mi potesse aiutare; perché poteva essere un maniaco, ed io ero da sola con lui nella stanza.

«Se ti metti ad urlare ti uccido» mi sussurrò all'orecchio in un francese stentato. Ci mancavano anche le minacce, di bene in meglio. Il ragazzo allentò di poco la presa. «Mi prometti che non ti metterai ad urlare?»

Non potendo rispondere, feci cenno di sì con la testa. Molto delicatamente mi lasciò andare, così ebbi l'opportunità di voltarmi verso di lui. Appena mi girai per conoscere il volto del mio assalitore, venni immediatamente travolta da un paio d'occhi color nocciola. Il suo viso non era molto grande, anche se aveva un naso alquanto importante.

«C-che co-cosa vuoi da me?» riuscii finalmente a domandargli nella mia lingua. Il ragazzo abbozzò un sorriso divertito e fece qualche passo verso la mia direzione. «Noto che sei anche tu australiana. Non temere, non ho nessuna intenzione di ucciderti.»

«Nessuno mi può dare questa garanzia.»

«Ho davvero l'aria di uno che va ad uccidere le ragazzine di quattordici anni?» mi domandò con una punta di sarcasmo. Indietreggiai, fino ad arrivare a sbattere contro il materasso del letto.

«Beh, anche il più gentile dei ragazzi potrebbe rivelarsi un criminale» gli risposi. «Ti posso assicurare che io non ho nessuna intenzione di torcerti un capello.»

«Disse quello che mi minacciò di morte meno di cinque minuti prima» ribattei sarcastica. Il ragazzo abbozzò un sorriso. «E comunque, non mi hai detto che cosa ci facevi nella mia stanza a quest'ora tarda della sera...»

«Ecco... io ed i miei amici stavamo giocando a nascondino...» iniziò a dire.

Non so se mandarlo a fanculo, oppure mettermi a ridere. Questo ragazzo è ai limiti del degrado. «Ed utilizzate le stanze degli altri clienti come nascondiglio?» gli domandai un po' inacidita. «Quanti anni hai, dieci forse?»

«Veramente, quest'anno ne compirò quattordici.»

«Come?!» esortai sbalordita. Dovevo ammettere che era molto alto per avere quattordici anni. Come minimo gli avrei dato sedici o diciassette anni. Scoppiai improvvisamente a ridere, tant'è che di sicuro il ragazzo iniziò a dubitare della mia salute mentale.

«Tu invece? Scommetto che ne hai dodici» mi disse, inchinandosi verso di me. Okay, la differenza di altezza c'era e si notava anche. Ma dall'essere bassa a darmi della dodicenne ci passa un abisso. Raccolsi tutta la mia calma interiore per non mollargli un pugno in faccia. «Caro, ne ho già compiuti quindici.»

«Sei di un anno più grande di me, allora. Sai che non li dimostri per niente? Al contrario sembri una ragazzina, con quel visetto tondo...»

«Ehi! Ma chi diamine ti credi di essere?»

«Il ragazzo che verrà a letto con te, adorabile ragazzina dai capelli color caramello» mi sussurrò, toccandomi i capelli con la mano, portandoseli poi alla bocca. Ma chi cavolo si crede di essere?

Gli diedi uno schiaffo sulla mano, in modo da farlo allontanare un poco da me. «Allontanati immediatamente!»

Il ragazzo assunse un'espressione corrucciata, poi si avviò verso la porta. Prima di uscire si girò nuovamente verso di me e mi disse: «Spero che ci incontreremo di nuovo, ragazzina.»

«Io invece pregherò perché ciò non accada» gli risposi.

Il misterioso ed inquietante ragazzo uscì dalla mia stanza sbattendo con forza la porta. Mi affrettai ad a chiuderla a chiave. Fortunatamente il giorno dopo avrei lasciato l'hotel. Non avrei sopportato un'altra visita indesiderata.

Me ne andai a dormire lasciando, però, l'abatjour accesa, poi una volta a letto presi immediatamente sonno.

La mattina seguente preparai le valigie e scesi a fare colazione nell'area ristoro. Quella mattina non c'era anima viva nell'hotel. Dato che mancava poco più di una settimana alla fine delle vacanze estive, molti dei ragazzi che soggiornavano se ne erano andati la mattina stessa e la sera prima, ed erano rientrati a casa. Anch'io quello stesso giorno me ne sarei dovuta andare. Finalmente sarei ritornata a casa dalla mia famiglia e dai miei amici. Le vacanze stavano per giungere al termine, purtroppo.

Per colazione presi una cioccolata calda ed un croissant ripieno di panna con gocce di cioccolato (alla faccia della dieta, insomma!)

Prima di andare all'aeroporto mi sarebbe piaciuto molto andare a visitare il museo dove era esposta la Monna Lisa di Leonardo Da Vinci, però non mi fu possibile farlo per via del brutto tempo che improvvisamente si era messo. Così dall'hotel andai direttamente a prendere il volo per tornare a casa.

Appena scesi dall'aereo trovai mia madre che mi aspettava con in mano un cartello. Sopra c'era scritto: "MINDY, FINALMENTE SEI RITORNATA". Che imbarazzo, Dio.

Corsi verso di lei e ci abbracciammo. «Tesoro, finalmente sei arrivata» esultò, stringendomi ancora di più a sé.

«Mamma, così non mi fai respirare» le feci notare. Si accorse che la mia voce era strozzata, al che mi lasciò subito andare tenendomi, però, ancora le mani sulle spalle.

«Scusami. Il fatto è che sei stata via per più di un mese, prova a capirmi, non sei mai stata così tanto fuori casa.»

«Sì, sì. Però adesso possiamo andare a casa? Il viaggio mi ha stancata» tagliai corto. Mia madre era fatta così, o la accettavi per com'era oppure facevi finta che non esistesse. In sostanza quello che facevo io. Mamma mi aiutò con una delle due valigie e ci incamminammo verso la macchina.

Appena tornammo a casa, la prima cosa che feci fu quella di andare in camera mia a buttarmi sul letto. Quanto mi era mancato. A dirla tutta, la mia intera stanza mi era mancata. I miei libri, il mio portatile, la mia scrivania. Successivamente andai in salotto a guardare un po' di tv. Avevo deciso che non avrei raccontato nulla di quello che mi era successo la sera prima della partenza. Mia madre sarebbe andata, sicuramente, su tutte le furie.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Addio vacanze, è stato un piacere ***


Non sono australiana, ma italo-americana. Ho vissuto in Italia per i primi cinque anni della mia vita. Mio padre è americano, aveva co-nosciuto la mamma durante un viaggio in Francia. Fu amore a prima vista, così senza troppe cerimonie si sposarono e si trasferirono in Italia. Dopo un paio d’anni nacqui io e così mia madre smise di fare l’hostess. Successivamente, a mio padre venne offerto lavoro a Sid-ney come direttore di un giornale propagandistico australiano, così fummo costretti a trasferirci nella capitale del surf. Non sono mai stata una cima nello studio di materie scientifiche, le uniche materie in cui mi sono sempre distinta in modo particolare erano l’epica cavalleresca e quella omerica. Mi piacevano molto i mi-ti greci e romani. Però la mia bravura in quelle due materie non mi salvò dalla bocciatura, il mio primo anno di scuola superiore. E nemmeno l’anno dopo, se vogliamo essere onesti. Però questo non avrei dovuto dirvelo. Comunque, dov’ero rimasta? Ah, sì! Allora, il primo anno delle superiori scoprii per puro caso di essere portata per la recitazione, così iniziai a frequentare il corso di improvvisazione teatrale del mio liceo. Ebbi addirittura una mezza infatuazione per uno dei ragazzi che frequentava il corso, però non successe nulla (per fortuna). Co-munque quella cotta durò anche i primi mesi del secondo anno, poi però incontrai un ragazzo che me lo fece dimenticare pian piano. Anche se spesso lo nominavo in sua presenza per godermi la sua reazione. Comunque, prima che accada questo, devo ancora rac-contarvi come incontrai questo ragazzo, o meglio rincontrai. Ma prima di passare alla storia, vorrei porvi una domanda: come può una sola persona diventare un incubo per un’altra? È questa la do-manda che mi assilla tutt’ora. Comunque… la mattina seguente al mio rientro da Parigi, avevo in programma di andare al mare con Charlotte, la mia amica che avevo conosciuto il primo anno alle superiori e con la quale condividevo le lezioni. Lei era stata promossa, mentre io no. Eravamo rimaste ugualmente in contatto, perché tra di noi si era instaurato un bel rapporto. Portava i capelli lunghi fino al coccige. Non essendo una ragazza tanto alta, le stavano benissimo. Capelli castani ed occhi marroni, grandi come quelli dei cerbiatti. Avevamo deciso di andare al mare insieme ai suoi genitori, sua nonna e le sorelle. Ne ha tre più piccole di lei. Due gemelle, Claude e Rachelle. La terza si chiama Lucy, che all’epoca aveva solo otto anni. Mi alzai che erano le sette e mezza, il che significava che avevo so-lo un’ora per prepararmi perché, avevano in programma di arrivare in spiaggia prima delle nove. Quale persona va al mare così presto?! Però, dato che era più di un mese che non vedevo la mia amica, de-cisi di sacrificarmi e di svegliarmi prima del solito. Mi sbrigai a prepa-rarmi e a fare la borsa per la spiaggia. Alle 8:35 mi arrivò un messag-gio su whatsapp di Charlotte che diceva: “Noi siamo fuori casa tua, sbrigati ad uscire oppure andremo senza di te.” Abbozzai un sorriso. «Messaggio di Charlotte?» mi domandò mia madre, seduta sulla pol-trona a giocare all’Ipad. «Sì, è qui fuori. Meglio che non la faccia aspettare ancora.» Presi il borsone e mi diressi verso la porta per uscire. «A che ora torni?» mi chiese improvvisamente mamma. Mi voltai verso di lei, ma senza guardarla in faccia, perché stavo rispondendo al messaggio di Char-lotte. «Nel tardo pomeriggio.» «A che ora?» insistette lei. «Non lo so! Per le cinque e mezza, credo» sbottai, sbuffando do-po aver finito la frase. Uscii dalla porta, impedendole così di aggiun-gere qualsiasi altra parola, e mi sbrigai a raggiungere l’auto di Nadja e Max, i genitori di Charlotte. Lo sguardo di quest’ultima era fisso nella mia direzione, e non appena mi vide iniziò a salutarmi con la mano dal finestrino. L’aprì non appena fui abbastanza vicina nel suo raggio d’azione, mi saltò addosso e mi strinse talmente forte da stri-tolarmi le ossa. «Tesoro, sono felicissima di rivederti» le dissi sorridendo. «Devi raccontarmi tutto. Quello che hai fatto, chi hai incontra-to…» Il suo tono lasciava benissimo intendere che voleva sapere se avevo conosciuto qualcuno e se avevo avuto delle “avventure”. Mi dispiacque dirle l’esatto contrario di quello che si aspettava. «Mindy e Charlotte, salite immediatamente in macchina» ci ordi-nò Nadja. Facemmo come ci aveva ordinato il Grande Capo (così la chiamava Charlotte la madre, per il fatto che era lei a casa a portare i pantaloni.) «Buongiorno» feci al resto della famiglia. «Ciao, Mindy» mi salutò Max, mettendo subito in moto la macchina. «Devi raccontarmi ogni singolo dettaglio della tua vacanza!» disse Charlotte, spronandomi le spalle. Abbozzai un sorriso imbarazzato. «Ti racconto i particolari piccan-ti dopo» le sussurrai all’orecchio. La ragazza fece cenno di assenso con la testa. «Allora… il giorno del mio arrivo non ho fatto nulla di speciale. Mi sono fatta il bagno nell’enorme piscina dell’hotel. Du-rante la settimana frequentavo dei corsi per migliorare la lingua in un campus vicino Parigi. Mentre i weekend…», non feci in tempo a terminare la frase che venni anticipata da Claude. «Hai visitato Parigi e hai fatto shopping, vero?» Mi lasciai sfuggire una breve risata, prima di risponderle: «Esattamente!» Poco dopo arrivammo alla spiaggia, dove c’erano a malapena una decina di persone ed erano tutti anziani. Posammo le borse sotto gli ombrelloni e noi ragazze andammo immediatamente a farci il bagno. Non mi sembrava vero di tuffarmi nel mio amato Oceano Pacifico. L’acqua era un poco fredda, tant’è che al primo impatto rabbrividii. Iniziammo quasi subito a schizzarci come delle bambine. Cavolo, mi era mancato tantissimo farmi il ba-gno. Parigi era molto bella e movimentata, lo ammetto. Avevo addi-rittura pensato di iniziare lì i miei studi, però niente era come Sidney e le sue spiagge. Uscite dall’acqua io e Charlotte decidemmo di andarci a fare una passeggiata lungo la riva, passando per le altre spiagge. «Allora, cos’è successo durante la permanenza a Parigi? Hai tro-vato l’amore?» Nel sentire quelle parole, scoppiai immediatamente a ridere, diventando poi rossa sulle guance. «Beh, più che aver trovato l’amore, ho trovato l’incubo della mia vita.» Charlotte si girò a fissarmi, sorpresa dalla mia risposta. «Raccon-ta» mi spronò, prendendomi poi sotto braccio. «L’ultima sera, un ragazzo è entrato dentro la mia camera da letto e poco ci mancava che mi venisse un infarto.» La mia amica scoppia a ridere come una pazza. «Non ridere! Io mi ero spaventata. Poteva essere un maniaco.» «Cosa è successo, poi?» «Questa è la parte che preferisco. Praticamente si era venuto a nascondere nella mia stanza perché stava giocando a nascondino.» «Ma quanti anni aveva?» «Quattordici.» «Tu hai permesso ad un ragazzino di quattordici anni di entrare nella tua camera e di nascondersi?» «Beh, non proprio. A parte il fatto che non dimostrava per niente quattordici anni. Era molto alto e per di più da quello che ho potuto sentire stando a contatto con il suo petto, ha anche un fisico niente male» le feci notare con tono malizioso. «Non dirmi che avete…» Non le diedi il tempo di finire la frase, che le tappai subito la bocca con le mani. Non volevo che pensasse male, ci mancava solo che andasse in giro a dire che avevo perso la vergini-tà con uno sconosciuto. «Ma ti pare?! L’ho minacciato di chiamare la sicurezza. Il fatto è che prima mi aveva sorpresa alle spalle e mi aveva tappato la bocca per non farmi urlare. Lo stronzo mi ha anche minacciato di uccider-mi!» le risposi, corrucciando la fronte. «Ma almeno era bello?» mi domandò, togliendosi le mie mani dal-la bocca. Feci un lungo respiro, prima di risponderle. Il vento iniziò a soffiare, facendo muovere violentemente i capelli contro i nostri vol-ti. «Era fattibile.» «Fattibile?» fece eco, come se avessi sbagliato parola. «Non hai nessun altro aggettivo per descriverlo?» «Charlotte, cosa importa con quali aggettivi te lo descrivo? Tanto non lo rivedrò mai più!» La mia amica mi mise un braccio intorno al collo, come per ab-bracciarmi. «Mai dire mai, Mindy. Non sai cosa può rivelarti il desti-no!», detto ciò mi fece l’occhiolino e andò di nuovo a tuffarsi in ac-qua. La giornata volò tanto velocemente che quasi non me accorsi. Vennero le cinque di sera e la Nadja mi accompagnò con la macchina a casa. Durante il tragitto da casa di Charlotte alla mia, scoprii che la mia amica durante la mia assenza si era trovata un ragazzo, alquan-to in carne. Sembrava simpatico dalle foto che mi aveva fatto vede-re. Si chiamava Manuel, ma successivamente io e Letitia (amica di vecchia data di Charlotte) lo avremmo soprannominato Salcio Pan-za. Nello scoprire la novità che prima mi aveva tenuto celata, la ab-bracciai stritolandola fortissimo. Arrivai a casa che ero completamente distrutta. Mi affrettai a farmi la doccia e a portare giù il cane. Rex, Siberian Husky di dodici anni, mi aveva tenuto compagnia sin dall’età di tre anni e mezzo. Era stato un regalo (forzato) del cugino di mia madre. Eravamo andati a casa sua e avevo visto questo cucciolo. Ci avevo giocato tutto il gior-no e alla fine mi ci ero affezionata. Quando alla fine lo doveva dare ad un ragazzo, per venderlo, ero scoppiata a piangere perché lo vo-levo tenere con me. Per non sentire il pianto di una bambina dispe-rata, mio zio mi regalò il cane. Ero più affezionata al cane che al mio fratellino minore, Rick. Lui era l’ultimo di casa, con quattordici anni di differenza capirete che non era colpa mia se non morivo dalla voglia di giocare con un bam-bino di nemmeno un anno. La cosa triste è che piangeva per ogni co-sa. Le notti erano diventate quasi insopportabili e alcune volte mia madre mi chiedeva di badare a lui. Per tutta risposta le rispondevo che il figlio era il suo, ergo poteva benissimo guardarselo. Aveva vo-luto la bicicletta? Allora doveva pedalare. Comunque, la fine delle vacanze estive volò immediatamente tant’è che mi domandai se realmente fosse il primo giorno di scuola. I giorni seguenti mi domandai anche perché avevo deciso di rimane-re in quella maledettissima scuola. Dato che il mio stalker era diven-tato un incubo in carne ed ossa!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Ritorno alla quotidianità ***


Non avrei mai immaginato di ritrovarmi l'incubo in classe. Se qualcuno me lo avrebbe detto qualche giorno prima, gli sarei scoppiata a ridere in faccia. Eppure dovevo farci i conti per il resto dell'anno scolastico. Ormai conoscevo tutti i professori della mia sezione. Sapevo anticipatamente quello che avrebbero detto, il programma che avrebbero seguito. Addirittura come si sarebbero presentati. La nostra coordinatrice di classe era la professoressa di matematica, l'anno prima avevo avuto il prof di fisica. Come lo scorso anno, fu lei che ci guidò nell'aula dove avremmo dovuto svolgere le lezioni. Ammetto che non facevo i salti di gioia quando la vedevo, perché era veramente odiosa. Le seconde classi avrebbero iniziato il giorno dopo, quindi per tutta la durata delle lezioni non avrei visto Charlotte. Ammetto che ero nervosa, però fortunatamente non ero l'unica ripetente in quella sezione. Il mio amico Simon era stato anche lui bocciato. Così il primo giorno, e anche quelli successivi, decidemmo di metterci al banco insieme. Sembrava irreale ritrovarmi di nuovo in quella scuola. Dirò che ero divisa in due. Una parte era felice di ritornarvici, perché avrei rivisto la mia amica, ma l'altra... avrebbe voluto trovarsi altrove. Avrei voluto dare ascolto alla mia professoressa delle medie, sarei dovuta andare ad un classico oppure a scienze umane, ma non ad un informatico che al posto di latino, si studia informatica ad un livello impressionante. Il primo giorno ero davvero agitata, perché non sapevo proprio come comportarmi con i miei nuovi compagni di classe. A parte Simon, tutti gli altri erano più piccoli di me di uno o addirittura due anni. Mi sedetti al primo banco della fila accanto alla finestra, in modo da potermi appoggiare con la schiena al muro. Dato che faceva molto caldo, mi sarei rinfrescata con l'aria che passava. Per fortuna che l'aula era abbastanza grande da ospitare venticinque ragazzi senza soffrire di caldo. La professoressa di algebra e geometria, appena entrata, si tolse la giacca e la poggiò sulla sedia. «Sedetevi ragazzi.» Dal tono di voce che usò, fece dedurre sia me che Simon, che non era tanto felice di ricominciare le lezioni. «Quanti di voi sono ripetenti in questa classe?» domandò. Io e Simon alzammo le mani. La professoressa si girò verso di noi e sorrise. «Bene... ci ritroviamo... Lee e Campbell. Perché non illuminate i vostri nuovi compagni su quanto sia difficile questa scuola?» Io ero in totale imbarazzo, infatti non spiccicai parola. Simon parlò anche per me. «Beh... ecco... dato che questa è una scuola scientifica gli studi sono molto diversi da quelli nelle altre scuole. Soprattutto la matematica, viene spiegata diversamente.» Mi accorsi che stava farneticando parole quasi prive di senso. Era molto agitato. «In pratica o si studia oppure si finisce bocciati» tagliai corto. «Esattamente, Campbell.» Una ragazza con i capelli rossi, che era seduta al secondo banco della fila centrale mi chiese: «Perché sei stata bocciata?» Mi portai una mano all'altezza del collo. «Come ha detto prima Simon, è una scuola molto difficile. Io l'ho un pochino sottovalutata.» Mentre dicevo l'ultima frase il mio sguardo si è spostato verso la professoressa. «Beh, spero che quest'anno sarà diverso» esorta sorridendomi. Per qualche strano motivo, il suo sorriso mi metteva molta ansia. La ragazza che mi aveva fatto quella domanda ritornò a guardare la professoressa. Non mi piaceva molto quella ragazza. Aveva la classica aria di quella che sta sempre al centro dell'attenzione e che è abituata a comandare. Beh, la povera illusa non aveva ancora avuto modo di conoscermi bene. Ero io la regina lì dentro, e presto se ne sarebbe accorta. Tirai fuori dalla borsa, il quaderno ad anelli. Avevo deciso di usare quello per tutte le materie, era molto comodo. Lo aprii ed iniziai a sfogliarlo in modo insensato, insomma alla rinfusa. La professoressa Cox ci fece notare che aveva intenzione di fare l'appello, così in classe piombò il totale silenzio. Cavolo lei era veramente incredibile. Durante le interrogazioni riusciva a metterti in uno stato completo di angoscia e sotto pressione. Roba dell'altro mondo. Le lezioni con la professoressa Cox erano sempre una scocciatura assurda. Finivo sempre per fare altro, perché proprio non riuscivo a concentrarmi. Non era proprio capace a spiegare. Quando la professoressa chiamò il cognome: «Derrick Morris», tutta la classe si girò perché non aveva sentito il dire: «Presente.» Se c'era una cosa che avevo imparato, era che alla professoressa Cox, non piacevano quelli che non si presentavano a scuola. «Già assente dal primo giorno di scuola, bene» esordì con aria di sufficienza. Beh, il ragazzo si sarebbe trovato in dei grossi guai. In quel momento fui tanto curiosa di vedere il volto del tizio che aveva osato non presentarsi il primo giorno. Ve lo dico già in partenza, me ne sarei pentita amaramente. Sarei potuta scappare, invece no. Essendo una ragazza che non molla alla prima sconfitta, sono rimasta ed ho affrontato tutta la guerra. Nelle ore successive, scoprii che quasi la metà degli insegnanti che avevo l'anno prima, non ce li avevo più. Erano rimasti, oltre ad algebra, il professor Henderson, che insegnava fisica, la professoressa Young di educazione fisica e il professore di storia dell'arte, Perry. Tutto il resto era cambiato. Del resto, anche la preside che avevo l'anno precedente si era trasferita in un altro istituto. Al suo posto era venuto un uomo, al quale gli sarebbe morta la moglie l'estate di quell'anno. La campanella della ricreazione suonò e, come una mandria di pecore, i miei nuovi compagni si precipitarono verso di me. Cavolo, sarei potuta morire soffocata. Se devo dirla tutta, non mi sono mai affezionata a nessuna di loro. Erano troppo ipocrite per me, prima facevano le amiche ma non appena mi voltavo dall'altra parte, sparlavano male di me. «Ciao, piacere sono Charlotte» si presentò una ragazza bionda con gli occhi azzurri. Oddio, la ragazza non era un fior di fanciullezza. Mi faceva morir dal ridere, si atteggiava con la sua fantastica goffaggine. Accanto a lei, c'era la tizia che prima mi aveva rivolto la domanda. Occhi marroni e lunghi capelli rossi. La faccia era un qualcosa di improporzionale e schiacciato, tant'è che pensai che qualcuno le avesse chiuso la porta in faccia. «Piacere, sono Mindy» dissi, sforzandomi di sorridere. Se avessi potuto le avrei già soppresse. Riesco a capire a prima vista le persone inutili, e loro lo erano di certo. «Io sono Susan.» Mi alzo dal mio banco e le divido perché m'intralciavano la strada verso il bagno. Oddio, che soggette. «Sono comode quelle scarpe?» mi domandò una terza ragazza. Lei era la più decente che avessi visto sino a quel momento. Capelli castano scuro, legati da uno chignon. I suoi grandi occhioni marroni erano coperti da un paio di Ray Ban con la montatura a tartaruga, completamente neri. Non esagero se dico che somigliava ad un cerbiatto. Cavolo era carinissima. Mi voltai verso di lei e le risposi: «Sì, sono comodissime.» «Piacere, sono Beatrix» mi disse, porgendomi la mano. La presi e strinsi la presa. Quel giorno feci la conoscenza di quasi tutti i miei compagni di classe. Scoprii, guardando dal registro, che in totale eravamo cinque ragazze e ventuno ragazzi. Sarei voluta morire in quello stesso istante. Uno dei ragazzi che mi avevano particolarmente colpita, e che non perse occasione per mostrarsi il secchione della classe, era Edward. Un ragazzo anche abbastanza carino, di circa cinque centimetri più basso di me. Finalmente avevo conosciuto qualcuno che era meno alto di me. Legai quasi subito con quel ragazzo. Aveva un'aria molto simpatica. Scoprii che suo fratello frequentava il quarto anno, nella stessa scuola. Doveva essere una cosa di famiglia. La prima giornata di scuola volò così in fretta che nemmeno me ne accorsi. Appena uscita da scuola, chiamai immediatamente la mia amica Charlotte per raccontarle come era andata la giornata. Parlai con lei per tutto il tragitto da scuola fino a casa. «Mindy, finalmente!» mi urlò Charlotte appena rispose al telefono. «Perdonami cara, è che a scuola prende maluccio.» «Allora, com'è andata?» «Abbastanza bene. La professoressa Cox rompi palle come sempre.» La mia amica, dall'altro capo del telefono, scoppio in una risata sonora. «Ho conosciuto una in classe che ha il tuo stesso nome.» «Davvero? Com'è?» «Il tuo esatto contrario. Bionda con occhi azzurri. O meglio, orrendamente bionda» le risposi, provandola ad imitare. «Che schifo... le bionde sono tutte zoccole.» Scoppiai immediatamente a ridere. «Chloe non è una zoccola, e lei è bionda.» «Hai capito perfettamente cosa intendevo» ribatté lei. «Ovviamente.» «Ragazzi carini?» «Ma... più che carini, la parola giusta sarebbe decenti. Nessuno di loro ha risvegliato i miei ormoni adolescenziali. Però sto aspettando ancora di conoscerli tutti, così potrò fare la top ten dei più belli.» «Qualcuno non si è presentato?» mi domandò. «Già, un certo Derrick a quanto ho capito. La professoressa Cox ha fatto una faccia che diceva: io a questo lo boccio.» «La maledetta colpisce ancora!» esclamò. Arrivai davanti la porta di casa. «Tesoro, ora devo andare. Mi devo mettere a cercare le chiavi di casa. Ci sentiamo su whatsapp?» «Certo! Ciao.» «Ciao.» Attaccai e mi misi il cellulare in tasca. Al che iniziai subito a cercare le chiavi nella cartella. Chissà dove diamine si erano andate a disperdere?! Quando finalmente riuscii a ripescarle dalla borsa di Mary Poppins, aprii ed entrai in casa. Inciampai sul tappeto che mia madre aveva messo proprio all'ingresso. «Cazzo» imprecai, non appena caddi a terra. Non avrei mai potuto dire di aver vissuto la giornata a pieno se non cadevo o non intruppavo almeno una volta. Era il karma, non potevo farci nulla. Andai nella mia stanza e mi affrettai a togliermi i vestiti. Entrai in doccia, perché sentivo veramente caldo. Cavolo, ero sicura che mi sarei sciolta da un momento all'altro. Non appena entrai in doccia, chiusi gli occhi per non farmi entrare l'acqua negli occhi. In quel momento... comparve difronte a me. I suoi occhi color nocciola. Le sue labbra, i suoi capelli. Mi stava sorridendo. Era il ragazzo che avevo incontrato a Parigi, il mio stalker. Mi accorsi che non conoscevo nemmeno il suo nome. Beh, era molto meglio così!

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 IL GRANDE PROBLEMA DI LEI ***


Il giorno dopo, la sveglia del cellulare aveva deciso che sarei dovuta arrivare tardi alle lezioni. A dire il vero era stato il destino a far sì che io arrivassi tardi a scuola, altrimenti non sarebbe potuto accadere quello che sto per raccontarvi. Quando arrivai davanti il cancello dell'istituto, era ormai già tutto chiuso. Le lezioni sarebbero iniziate a breve ed io non ero nemmeno riuscita a varcare il cancello principale. «Cavolo, sono in ritardo per l'assemblea che ha indetto ieri il preside!» Se non sarei entrata, quel giorno, non avrei mai perso la testa per quel ragazzo. Se non mi sarei arrampicata, non avrei poi scatenato una serie di eventi che ricordandoli ancora oggi, mi fanno morire dalle risate. Decisi di scavalcare il cancello, infischiandomene del regolamento. Speravo solamente che nessuno mi avrebbe vista. O per lo meno che nessuno passasse lì sotto. Quel giorno, avevo deciso di mettermi una gonna. Quindi le mie grazie erano esposte al mondo intero! «Anche se non dovrei farlo...» Mi arrampicai e riuscii a scavalcare il cancello. Sfortuna volle, però, che misi male un piede e quindi scivolai. Lanciai un urlo rapido e quasi acuto. Fu proprio durante la caduta che lo vidi per la seconda volta. Il tizio che avevo incontrato a Parigi. Lo travolsi completamente cadendogli sulla faccia. Non potevo iniziare la mattinata in modo migliore! Mi scansai immediatamente da lui, in modo molto impacciato. Arrossii immediatamente, abbassandomi subito la gonna. «M-mi dispiace» gli dissi, guardando verso il basso. Il ragazzo alzò un sopracciglio, guardandomi un po' perplesso. «Non ti vuoi spostare? Sono in ritardo!» mi ammonì, guardandomi accigliato. Nell'imbarazzo più totale, mi affrettai ad alzarmi da lui. «Cerca di fare più attenzione, mi hai fatto male!» concluse scocciato. Si alzò in piedi e si diresse verso l'entrata della segreteria. La scuola aveva due entrate: quella principale, dove solitamente entravano tutti gli studenti, e quella secondaria, che porta alla presidenza e all'aula magna. Il ragazzo passò per quest'ultima, mentre io decisi di prendere quella principale, anche perché era più facile arrivare alla mia classe. Che sfortuna, tra tutti i posti dove lo avrei potuto incontrare una seconda volta, proprio a scuola? Ma perché il destino è così crudele? Entrai in classe e mi andai a sedere al mio solito posto, primo banco, fila accanto alla finestra. Dietro di me c'erano due ragazzi che portavano lo stesso nome: Matthew. Ironia della sorte. Solo che uno aveva gli occhi marroni, i capelli neri ed un incarnato abbronzato, mentre l'altro era l'esatto contrario. Capelli chiari, occhi verdi e pelle molto chiara. Era di qualche centimetro più basso del suo compagno di banco. «Come mai sei arrivata in ritardo?» mi domandò Simon, appena mi sedetti. «Ho avuto un imprevisto giù in cortile. Poi dopo ti spiego meglio» dissi, poco prima che entrò la professoressa di letteratura. Al suo seguito c'era anche un ragazzo. Il ragazzo che avevo investito poco prima, lo stalker di Parigi. Mi alzai immediatamente in piedi, strusciando la sedia e facendo girare tutti i presenti nella mia direzione. La professoressa mi guardò per perplessa, mentre lo stalker abbozzò un sorriso. «Qualcosa non va, Mindy?» mi domandò. «Ecco...» Non sapendo come giustificare il mio comportamento, le rifilai l'unica domanda che mi venne in mente in quel momento. Perché, dopotutto, non le potevo dire che conoscevo quel ragazzo e che si era intrufolato nella mia camera a Parigi. «Potrei andare in bagno?» «Ma è appena la prima ora. È vietato andare in bagno.» «Lo so, però è urgente.» La professoressa sospirò, esasperata mi disse: «D'accordo, però sbrigati.» Mi affrettai ad andare in bagno e non appena fui lì, scrissi un messaggio a Charlotte. Lo stalker di Parigi è in classe con me! Premetti il tasto di invio e mi andai a sciacquare le mani. «Non è possibile! Deve essere un incubo...» Chiusi il rubinetto e sgrullai le mani per far cadere le gocce d'acqua, poi me ne tornai in classe. Sperando di essere pronta ad affrontare lo stalker.

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 5 IL MIO STALKER È DIVENTATO UN INCUBO IN CARNE ED OSSA! ***


Ero un tipo strano. Lo dicevano tutti. Dev'essere perché, mentre le altre quindicenni parlano della miglior borsa e di quale attore del cinema sia più carino, io preferivo rannicchiarmi sul letto con un libro. Seriamente: se a quei tempi si visitavano i licei, c'era il rischio di rinchiudersi in un manicomio. Perché mai una persona sana di mente dovrebbe voler interagire con dei giocatori di football che si comportano come dei cavernicoli, o passare tra due ali di ragazze maligne appoggiate agli armadietti come poliziotte alla moda, pronte a giudicare senza appello i gusti degli altri studenti? No, grazie. Preferivo fingere di essere da qualche altra parte, e ogni volta che aprivo le pagine di un libro succedeva proprio questo. Mia madre si preoccupava per me perché stavo sempre da sola. Ma non era del tutto vero. La mia migliore amica, Loraine, stava quasi tutti i giorni a casa mia. Non ero mai sola, anche quando lo ero. Appena varcai la porta della classe, mi ritrovai tutti gli occhi dei miei compagni addosso. La professoressa aveva iniziato già a spiegare. Che meraviglia, l'imbarazzo più totale. Lo stalker di Parigi mi stava fissando, ancora. Cavolo, ma non potrebbe volgere le sue attenzioni altrove? Se potessi lo prenderei a pugni. Mi affrettai ad andarmi a sedere al mio posto. Il ragazzo si era seduto all'ultimo banco della mia fila, accanto ad un ragazzo che aveva la faccia da bradipo e che ricordava molto vagamente Sid di L'Era Glaciale. Mi girai per vedere se mi stesse ancora fissando. Fortunatamente no. Ero al sicuro, per un brevissimo momento. I suoi occhi incontrarono i miei. Merda, ancora? Arrossii e mi sbrigai a girarmi, tornando a guardare il quadernone ad anelli. Decisi che non mi sarei più voltata. E così feci. Durante la ricreazione venne nella mia classe Charlotte, che non perse occasione per vedere il volto dello stalker di Parigi. «Però è carino» mi bisbigliò all'orecchio. «Carino?» le chiesi esterrefatta, fingendo subito dopo un conato di vomito. La ragazza abbozzò un sorriso. Lo stalker era diventato un incubo. Un incubo in carne ed ossa. «Piacere, io sono Derrick» esordì lo stalker, che si trovava a qualche metro di distanza. Si stava presentando al resto della classe. Iniziai a fissarlo dalla testa ai piedi. C'era qualcosa in lui che non mi convinceva. Qualcosa di strano. Capii che si era accorto che lo stavo fissando, quando vidi che si avvicinava verso me e Charlotte. «Vuoi un autografo?» mi domandò, sorridendo malizioso. Charlotte scoppiò a ridere, mentre io lo fulminai con lo sguardo. Se avessi avuto la folgore di Zeus non avrei esitato a scagliargliela contro, giuro. «Imbecille» gli dissi secca. Lo stalker abbozzò un sorriso. «Sono Derrick.» Mi porse la mano ma non gliela strinsi. «Lo so» gli risposi. Gli guardai la mano e poi commentai con: «Germofobica.» Derrick accennò un altro sorrisetto divertito. Avrei voluto mollargli un pugno in faccia, se solo fossi stata poco più alta. «Durante il nostro primo incontro non me lo avevi detto.» «E tu non mi avevi detto di essere così petulante» detto questo, presi Charlotte per il braccio e scesi giù in giardino dai nostri amici. Ci incamminammo giù per le scale. Mi girai per essere certa che Lui non fosse nel mio raggio d'azione. Avrei potuto ucciderlo anche senza un'arma... ma, fortunatamente, era già rientrato in classe.

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 6 AMMETTERLO A SÉ STESSA ***


La ricreazione, fortunatamente, non risultò del tutto noiosa. Io e Charlotte incontrammo un nostro compagno di classe dell'anno precedente, Alexander. Mi abbracciò calorosamente ed iniziammo a chiacchierare del più e del meno. A fine ricreazione, mi aspettava il test d'ingresso di algebra e geometria. Le materie che odiavo di più al mondo, perché la professoressa che le insegnava non era in grado di spiegare bene. «Iniziamo con lo spostarvi di posti» esordì quella vecchia isterica, non appena posò il proprio registro sulla cattedra. Così ognuno di noi iniziò a spostarsi in base a come volle la professoressa. Fortuna volle che capitai in ultima fila, accanto allo stalker di nome Derrik. Il ragazzo mi accennò un sorriso. Io per tutta risposta lo fulminai con lo sguardo e mi misi a guardare di fronte a me. Alcuni nostri compagni di classe, che avevano visto la scena, si erano messi a sghignazzare. Perfetto, non c'era niente di meglio che farsi prendere in giro da quelli più piccoli. La professoressa passò a distribuirci il foglio del compito ed iniziammo. Cavolo, la maggior parte delle cose non le ricordavo. La fine del compito arrivò prima di quanto mi aspettassi; la professoressa incaricò uno dei ragazzi di passare a ritirare i compiti e a consegnarglieli. A fine lezioni, trovai fuori alla porta della classe Charlotte, che non appena fui nel suo raggio d'azione, mi saltò immediatamente al collo per abbracciarmi. «Oggi abbiamo finito prima» esultò tutta felice. «Fantastico! Che ne dici se andiamo a pranzare da qualche parte?» le domandai. Mentre discutevamo sul luogo del nostro pranzo, ci ritrovammo già fuori scuola. Mano a mano che la folla di studenti si disperdeva, iniziò a semplificarsi vedere la strada davanti ai nostri occhi. Charlotte mi diede una gomitata all'altezza del fianco destro, facendomi così sobbalzare. «Ehi, ma cos...?» Mi tappò immediatamente la bocca per non farmi urlare. «Shhh. Stai zitta, cretina!» mi sussurrò all'orecchio. «Guarda.» Feci come mi aveva appena detto. Proprio difronte a noi, c'era Derrik, anche rinominato lo stalker di Parigi. Doveva abitare da quelle parti, se faceva la nostra stessa strada. «Lo seguiamo?» mi domandò Charlotte, facendomi gli occhi da cerbiatta. «Assolutamente no!» le risposi, corrucciando la fronte. Ma che cosa le passava per la testa? «E dai, non sei nemmeno un tantino curiosa di scoprire qualcosa in più su questo ragazzo? Sembra così... misterioso.» Non mi diede il tempo di risponderle che partì in quarta correndo verso di lui. «Charlotte!» urlai. Non ebbi molta scelta, così le corsi dietro. «Derrik!» lo chiamò la ragazza. Notai che aveva le cuffie nelle orecchie e la musica era a palla. Ma come faceva a tenerla a tutto volume? La mia amica gli diede una bottarella sul braccio, quindi lui si girò e con mio grande stupore non la mandò a quel paese. Davvero molto strano, dato che la maggior parte dei ragazzi avrebbero risposto con un: «Ma cosa cazzo vuoi?» «Ehi ciao, Charlotte... giusto?» le chiese abbastanza incerto. «Sì, giusto. Abiti qui vicino?» Mi ero scordata di dirlo, Charlotte non aveva peli sulla lingua. Appena la raggiunsi non potei fare a meno di dirle: «Fammi correre un'altra volta in questo modo, e giuro su Dio che ti farò mettere sotto da una macchina.» «Mindy, ciao anche a te.» Per tutta risposta, gli lanciai un'occhiataccia, che stava per dire: «Non aprire bocca, idiota!» Mi metteva ancora un certo imbarazzo ricordare quella sera in hotel. Se ripensavo a quando mi aveva messo le mani addosso, mi veniva da arrossire. In quel momento non feci certo eccezione. «Hai la febbre, per caso?» mi domandò Derrik. Mi voltai nella direzione della mia amica, balbettando: «N-no.» Questa proprio non ci voleva. Mi stavo comportando da ragazzina. Va beh, era proprio ciò che ero. Una ragazzina. Non potevo giudicarmi un'adulta a soli quindici anni. «Dove stavi andando?» riprese Charlotte. «A casa, sai com'è le lezioni sono finite» le fece notare il ragazzo. Ma come siamo perspicaci, pensai. Cavolo, senza di lui non ce ne saremmo sicuramente accorte. Dovevo ammettere che la sua risposta mi diede molto fastidio. Mi fece salire il nervosismo dalla bocca dello stomaco. «Cavolo, vedo che la perspicacia non ti manca!» esordii ironica. Entrambi i ragazzi sbottarono a ridere. «Effettivamente...» commentò. «Anche voi state andando a casa?» «No, stiamo andando a pranzo fuori» gli rispose Charlotte. Ti prego, fa che non gli propone di unirsi a noi. «Vuoi unirti a noi? Ecco, appunto. «Mi piacerebbe, ma purtroppo ho da fare questo pomeriggio; e poi non credo che alla tua amichetta piaccia avermi nei paraggi.» Ma allora lo aveva capito! Eravamo arrivati ad un bivio. A quanto avevo capito, Derrik doveva andare a sinistra, mentre io e Charlotte saremmo dovute andare a destra. «Beh, se vuoi venire non sarò di certo io a fermarti, tesoro.» Derrik accennò un sorriso divertito. Oddio, mi istigava l'omicidio di massa. «Magari un'altra volta» mi disse lui, avvicinandosi al mio orecchio. Accennò un piccolo inchino accompagnato da uno sguardo malizioso. Senza aggiungere nient'altro, svoltò nella direzione in cui sarebbe dovuto andare. ......................................................................................................................................................... Cucciolotti, Finalmente ho terminato anche questo capitolo. Mi scuso se esce con due giorni di ritardo, ma mi sono resa conto che in una giornata avrei dovuto pubblicare ben 3 capitoli di diverse storie. Per me diventa letteralmente impossibile fare una cosa del genere, capitemi! Devo finire di scrivere anche il secondo libro de la regina guardiana. Bando alle ciance, come vi sembra questo nuovo capitolo? Vi sta piacendo la storia? Oddio, mi sto rendendo sempre più conto che faccio sempre le solite domande! *in imbarazzo* Anyway, fatemi sapere nei commenti cosa ne pensate, e non dimenticate di mettere una stellina se vi è piaciuto il capitolo! ;p Un abbraccio, Dark Dreamer :3

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