Forever

di Fangirl97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Era una giornata piuttosto soleggiata per essere autunno, ma il freddo cominciava a farsi sentire. D’altronde Princeton era nota anche per le sue temperature non proprio calde.
In cielo ogni tanto si vedevano degli stormi di uccelli che emigravano verso zone più calde, come la vicina California.
Quella mattina nelle strade si sentiva un gran via vai di automobili, che avevano alla guida uomini o donne stanchi, ma che dovevano andare a lavoro. Le serrande dei negozi cominciavano ad alzarsi, i bambini andavano a scuola e gli studenti universitari ancora dormivano.

Intanto in un piccolo appartamento una giovane ragazza dai capelli rosso chiaro e gli occhi scuri e profondi si stava affaccendando per preparare la colazione in fretta, prima di correre all’università. Le maniche del suo giacchettino leggero le ricaddero giù per l’ennesima volta e così lei se le ritirò su con foga e cercò di posizionarle in maniera tale da tenerle su il più possibile. La temperatura di quei giorni le aveva fatto togliere dall’armadio tutti gli indumenti più estivi, o perlomeno quasi tutti.
La cucina era in un completo disordine, poiché la sera prima nessuno dei suoi coinquilini aveva pulito, né tantomeno rimesso in ordine, così la giovane aveva dovuto lavare vari piatti e padelle per poter preparare una colazione degna del suo nome. I pensili erano tutti aperti, mentre lei lavava, asciugava e rimetteva tutto al proprio posto. Non sapeva se avrebbe fatto in tempo, ma sperava proprio di riuscirci. Mentre lavava gli ultimi piatti cominciò a fissare i palazzi, che si vedevano fuori dalla finestra. Un po’ le mancavano i paesaggi che offriva la sua città, dove le persone si svegliavano presto, aprivano i loro negozi o andavano a lavorare la terra o a prendersi cura degli animali. Le mancavano un po’ i paesaggi tranquilli e pittoreschi, dove sembrava che il tempo si fosse fermato.

- Qualcuno ha visto le mie mutande? – urlò un ragazzo dal corridoio, sul quale si affacciavano tutte le camere da letto.
La ragazza ritornò alla realtà e finì di riordinare. Certo la sua città e la sua casa le mancavano, ma lì non aveva i suoi amici.

- No. – si sentì un coro generale da tutti gli altri suoi coinquilini.

- Lydia, le hai viste tu? – arrivò in accappatoio uno dei ragazzi. Aveva una chioma riccia e scuro sulla testa e degli occhi di un verde intenso.

- Prova a cercare tra la montagna delle vostre mutande. – sorrise Lydia, mentre metteva in tavola i piatti, aspettando che i toast fossero pronti.

Il ragazzo annuì e scomparve. La ragazza doveva combattere ogni giorno con quattro ragazzi, molto disordinati, ma sperava che quando l’unico laureato tra loro avesse trovato un lavoro se ne sarebbe andato. Giusto per avere un po’ di tregua. E poi avrebbe tanto voluto trovare una coinquilina, con cui potersi disperare.
Tornò vicino ai ripiani della cucina e afferrò al volo i toast, li mise su un piatto, afferrò la marmellata e il burro d’arachidi e li posò sul tavolo. Si avvicinò al frigo e ne tirò fuori una brocca di latte e una di succo di arancia.

- Ragazzi la colazione è a tavola! – disse Lydia, prima di sedersi. Scansò la sedia e ci scivolò sopra, per poi riposizionare gli occhiali sul suo naso.
Quattro ragazzi si precipitarono in cucina, pronti per mangiare. Ognuno di loro aveva qualcosa fuori posto. Chi i capelli arruffati, chi la maglia al contrario, chi era ancora in mutande e chi aveva il segno del cuscino sulla guancia.

- La mattina dovreste svegliarvi un po’ prima. – commentò Lydia, guardando i suoi amici e sorridendo. Afferrò un toast e se lo mise nel piatto, per poi cominciare a spalmarlo di marmellata alla ciliegia.

- Scherzi? E quanto dovrei dormire? Un’ora? – replicò uno dei giovani, quello con la maglia al contrario. Aveva i capelli molto corti, appena rasati e gli occhi azzurri, ma erano ancora spenti, per via del sonno.

- Dovreste giocare di meno ai videogiochi e andare a dormire prima, allora Michael. – sorrise la ragazza, osservandoli. Sembrava che fosse passato un treno merci su di loro. Erano così rintontiti, che non si sarebbero accorti se il palazzo fosse andato a fuoco. 

- Finché non si finisce il livello è proibito. – esclamò il giovane con il segno del cuscino sul volto, mentre teneva gli occhi così sgranati da ricordare un gufo. Era a pezzi, eppure quel giorno aveva delle lezioni all’università.

- Siete proprio dei nerd. – commentò sorridendo Lydia, per poi alzarsi da tavola. Posò il suo piatto e il suo bicchiere nel lavandino e poi corse a prendere la sua borsa in camera da letto. Era una stanza piuttosto piccola. Dentro ci entravano a malapena un letto singolo, un armadio e una scrivania. Sulla parete davanti alla porta c’era una piccola finestra, da dove entrava la luce. L’armadio era subito sulla destra, mentre sulla parete adiacente era appoggiato il letto. La scrivania si trovava sulla parete opposta.

Doveva andare all’università con i mezzi, finché non sarebbe stata in grado di comprarsi una macchina sua. Ogni tanto i suoi amici le davano un passaggio, ma quel giorno sarebbero rimasti tutti a casa ancora per un po’.

- Non torno per pranzo. Cercate di non ordinare pizza. – disse Lydia, afferrando le chiavi e poi uscire dalla casa, chiudendosi dietro la porta. Sapeva che i ragazzi odiavano cucinare, ma non potevano mangiare sempre cibo spazzatura quando lei non poteva cucinare per loro.

Scese velocemente le scale e raggiunse correndo la fermata dell’autobus, proprio mentre quello partiva. La ragazza sospirò sconsolata, ma alla fine cominciò ad incamminarsi a piedi, sperando in un autobus successivo. Afferrò le cuffiette nella sua borsa e se le mise. Accese il walkman e si incamminò verso l’università.
Le strade erano percorse da macchine, che si dirigevano tutte in posti diversi. Le persone che camminavano per i marciapiedi erano genitori che portavano i figli a scuola, liceali che si dirigevano verso ore di torture e di persone che portavano a spasso i loro animali. Sembravano tutti così spensierati e felici, come se il sole di quella giornata avesse portato allegria nei loro cuori.
Per sua fortuna il sole non era troppo forte, quindi non le dava fastidio e il leggero venticello le faceva andare tutti i capelli davanti, così che ogni tanto doveva metterli dietro le orecchie. Dopo un po’ però si stufò e si fece un coda bassa e molto disordinata. Si prendeva così poco cura di se stessa, che spesso neanche li pettinava. Quelle volte sarebbe potuta passare tranquillamente per una barbona.. o per una studentessa sotto esame. Non amava curarsi di sé, quindi i suoi vestiti spesso le andavano un po’ larghi, i capelli erano spettinati o legati in malo modo e non si truccava mai, se non per andare a qualche festa. Persino gli occhiali le davano un’aria trasandata a volte, eppure non le importava. In tutta l’università si vedevano ragazze vestite di tutto punto, super truccate e ben pettinate, come se dovessero fare delle foto per una rivista di moda, mentre lei e poche altre, che erano davvero rare, si trascuravano.

All’improvviso vide l’autobus passarle accanto e cominciò a correre, cercando di non perdere la borsa. Riuscì ad arrivare appena in tempo e ci salì sopra, con il fiatone. Si ripromise di cominciare a fare un po’ di attività fisica il prima possibile. Suo padre l’aveva sempre spronata a fare dei corsi per l’autodifesa, ma lei era così pigra e preferiva così tanto leggere dei libri, che non li aveva mai fatti e neanche al liceo aveva fatto alcuno sport.
Il conducente chiuse le porte e lei trovò un posto libero. Si sedette e tirò fuori dalla borsa un libro. Lo aprì con il segnalibro e cominciò a leggere, per tutta la durata del tragitto. Lei studiava tutto il giorno, quasi tutti i giorni, ma amava leggere. Non poteva rinunciarci. Le piaceva vivere una vita che non era la sua, affrontare avventure, storie d’amore e avere delle sensazioni che nella vita reale non poteva avere.

Dopo dieci minuti, arrivata a fine capitolo, chiuse il libro e lo ripose. Guardò l’ora e scoprì di essere in ritardo. Quel giorno sarebbe andato un militare a parlare loro della sua esperienza in guerra e di come i suoi amici erano rimasti traumatizzati. Per lei che voleva diventare psicologa era un’esperienza imperdibile. Scoprire cosa accade in guerra, come ci si sente a combattere con un fucile in mano, sapere cosa si prova ad uccidere, a veder uccidere i propri compagni e a come si rimane irrimediabilmente scossi. L’aveva sempre affascinata quel mondo, ma era sempre stata consapevole di non poter entrare nell’esercito. Era troppo impressionabile e troppo sensibile. E poi era così goffa. Si sarebbe uccisa da sola. Ripose le cuffie nella borsa e aspettò impaziente che il conducente fermasse il veicolo, mentre vedeva scorrere alberi e qualche casa fuori dal finestrino.
Finalmente l’autobus si fermò e lei scese velocemente, per poi cominciare a correre verso l’entrata dell’università. Continuò a correre senza fermarsi, riuscendo a malapena a non andare a sbattere contro gli altri ragazzi, che invece camminavano tranquilli per il campus. Più di una volta corse il pericolo di inciampare, ma non poteva permetterselo. Doveva arrivare in tempo. Lo aveva sempre desiderato e ora non poteva arrivare in ritardo, non poteva perdere quell’opportunità. Sarebbe arrivata in tempo, se lo sentiva.

Gli alberi e le varie piante le passavano accanto, ma lei non si fermava ad osservarli, come le altre volte. Non si sarebbe fermata ad osservare i ragazzi che suonava la chitarra, o quelli che facevano battute o che cercavano di far colpo su una ragazza. Non si fermò ad osservare le targhe dedicate a studenti che erano diventati qualcuno, o a persone che avevano finanziato l’università. Non si fermò neanche a guardare i fiori che nascevano tra i cespugli, dei bellissimi fiori, di tutti i colori.

Era quasi arrivata all’entrata dell’edificio, quando andò a sbattere contro una persona. Era stata un’imbranata. Non avrebbe dovuto mettersi meglio gli occhiali proprio in quel momento. Sceglieva sempre i momenti meno opportuni.
Cadde all’indietro e la borsa si rovesciò, riversando sul terreno i suoi libri. Si strofinò la fronte e poi aprì gli occhi. Fece un sorriso timido e così imbarazzata per la sua goffaggine.

- Mi dispiace, non ti ho visto. – disse Lydia, rialzandosi a fatica, mentre riprendeva la sua borsa e ci rimetteva dentro il suo contenuto. Ora era in ritardo, in imbarazzo e si sentiva stupida.

- No, è stata colpa mia. Ero distratto. – replicò il giovane, aiutandola a riprendere i libri. Afferrò l’ultimo e si alzò, seguito dalla giovane. Lei si sistemò gli occhiali e arrossì. Era stata così maldestra.

Il giovane era un bel ragazzo. Atletico, occhi e capelli scuri e un bel sorriso. Sulle guance si formavano delle fossette quando sorrideva. Aveva un po’ di barba, ma era davvero rasa. Le fece un sorriso rassicurante, come per farle capire che non era successo nulla.

- Mi dispiace ancora. Ora devo scappare. Scusami. – disse Lydia, correndo verso l’entrata dell’edificio.

Il giovane rimase confuso e con il libro in mano. Cercò di richiamarla, ma non riuscì ad attirare la sua attenzione. Sospirò e abbassò il braccio con il libro in mano. Guardò l’ora e sospirò. Era in ritardo e doveva affrettarsi. Aveva un impegno e non era bello far aspettare. Pensò che avrebbe lasciato il libro alla segreteria dell’università, forse la ragazza sarebbe andata a riprenderlo lì e così si incamminò, salendo le scale. 


SPAZIO AUTRICE: ciao a tutti! spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto. Come avrete capito qui non è la stessa Lydia del telefilm, l'ho dovuta adattare alla storia, ma spero vi piaccia lo stesso. Se vi piace o non vi piace commentate per farmi sapere cosa ne pensate! Baci a tutti! :D

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Lydia entrò correndo nell’edificio, dirigendosi verso la classe di psicologia. Appena ci si ritrovò davanti si fermò e fece un grosso respiro. Aprì la sua borsa per prendere il libro su cui aveva segnato delle domande da porre, ma non lo trovò.
- Oh, no. – mormorò tra sé la giovane. Si voltò e corse di nuovo, verso l’entrata. Aprì le porte dell’edificio, ma ovviamente fuori non c’era più nessuno. Fece un sospiro e tornò indietro. Doveva improvvisare.
Ripercorse i corridoi della facoltà, stando attenta a non andare a sbattere contro le persone, a non far cadere i busti che si trovavano nei corridoi.
Arrivò davanti all’aula a lei interessata ed entrò, facendo il meno rumore possibile. Non voleva distrarre nessuno. Aveva tanto sperato che il militare non fosse ancora arrivato, ma era lì, appoggiato alla cattedra del professore e stava parlando a tutta l’aula.
Lydia si avvicinò quanto più possibile, senza dar fastidio e poi si sedette su una delle sedie. Tornò a guardare verso il militare e rimase senza fiato.
- La parte più difficile, però, è tornare a casa, alla normalità senza uno dei tuoi compagni. – disse l’uomo, mentre tutti nella stanza tratteneva il fiato.
Il professore si voltò a guardare i suoi allievi e sorrise.
- E mi dica, com’è tornare a casa? – chiese l’insegnante, avvicinandosi al militare.
- Bello, ma difficile. Alcuni escono fuori di testa. Credono di essere ancora in guerra. – fece un sorriso triste il militare. Un sorriso molto diverso da quello che aveva visto poco prima Lydia.
- Bene.. avete domande? – chiese il professore, rivolgendosi alla classe. Molte mani si alzarono, alcune si agitarono anche, per catturare l’attenzione.
- L’addestramento è stato duro? – chiese una ragazza e Lydia si voltò verso di lei. Non era il tipo di ragazza che giudica gli altri, ma era abbastanza sicura che l’altra avesse fatto la domanda solo per attirare l’attenzione del militare su di sé. Con una maglia molto scollata solo si vuole avere solo attenzione.
- Si abbastanza. – rispose il ragazzo, tranquillo e semplicemente, per poi girarsi a cercare un’altra mano. Non le aveva dato molta confidenza.
- E com’è vivere senza tutti gli agi? – chiese un ragazzo, sventolando in mano un telefono.
- Ci si abitua. – sorrise il militare, come se fosse una cosa superflua. Ancora una volta cercò tra le mani alzate e diede il consenso ad alcuni ragazzi per porgli delle domande.
Alcuni gli domandarono com’è sparare, altri se era stato ferito, alcuni se aveva salvato qualcuno e altri ancora quante volte si potevano lavare lì.
- Avevi paura? – chiese una ragazza, mentre registrava il tutto con il suo telefono.
- Chi non ne ha? – rispose sorridente il militare.
Un’altra volta si alzarono delle mani e questa volta tra quelle, c’era anche quella di Lydia. Non si agitava, era calma, ma sperava che scegliesse lei. Non ricordava che quella fosse una delle domande che aveva scritto, ma poco le importava.
Dopo qualche secondo il militare la individuò, rimase per un po’ interdetto e poi le fece un segno, per darle la parola.
- Da quanto ho capito hai perso un compagno in combattimento. Come hai fatto a riprenderti? – chiese Lydia, abbassando il braccio e sistemandosi gli occhiali.
- Bella domanda.. – cominciò a rispondere il ragazzo, facendole un sorriso delicato.
- Con l’aiuto delle persone che mi stanno intorno. – completò la risposta il giovane. Lydia annuì e scrisse qualche parola sul suo quadernino.
Il professore ringraziò il militare e lo congedò, cosa che fece anche con i suoi alunni. Alcuni di loro uscirono subito dall’aula, altri indugiarono un po’, forse per cercare di parlare con il miliare, ma non ci riuscirono. Lydia ripose tutto nella sua borsa e si alzò, per poi uscire dall’aula.
- Ehi! – la chiamò qualcuno da dietro. Lydia non si voltò subito. Nessuna l’avrebbe mai chiamata. Non conosceva quasi nessuno lì e quella voce non le diceva molto.
Poi una mano le si poggiò sulla spalla e lei si fermò di scatto. Si voltò e vide il militare davanti a lei.
- Ciao. – le sorrise.
- Ciao. Bella risposta. – rispose la ragazza, facendo un timido sorriso e indicando con la testa l’aula.
- E’ la verità. Senti, prima ti è caduto il libro ed è rimasto a me. L’ho portato in segreteria. Se passi te lo ridanno. – sorrise il ragazzo e lei annuì, ancora in imbarazzo.
- Grazie. – rispose sorridente e poi si voltò, dirigendosi verso la segreteria per recuperare il suo libro.
Il ragazzo intanto era rimasto immobile a guardarla andare via. Le sembrava una brava e dolce ragazza e il suo sorriso le sembrava davvero sincero, non come quello di molte ragazze falso, che è solo per conquistare. Scosse la testa e uscì dall’edificio.
Lydia arrivò fino alla segreteria, che non era altro che un bancone di marmo con dietro una donna. Portava i capelli scuri raccolti in un’acconciatura particolare e i suoi occhi erano protetti dietro ad occhiali con una montatura molto fine.
- Posso fare qualcosa per te? – chiese la donna, con voce calma.
- Si, un ragazzo ha riportato qui un libro circa un’ora fa. È mio. – rispose Lydia, un po’ in imbarazzo.
Sapeva che quasi nessuno andava a depositare libri scomparsi alla segreteria, quindi era andata sul sicuro dicendo che era stato portato lì poco prima.
- Questo? – le chiese la donna, afferrando un libro dalla copertina blu scura.
- Si. – sorrise Lydia entusiasta. La donna glielo porse e lei lo afferrò. 
- Grazie. – sorrise e se ne andò.
Uscì dall’edificio e tornò alla fermata dell’autobus, per poter andare a lavoro. Mentre aspettava notò il cielo limpido, i pochi uccellini che volavano e le foglie degli alberi che si muovevano per il leggero vento. Sul marciapiede dove si trovava lei vide alcuni ragazzi passeggiare, con dei libri in mano, diretti verso le loro facoltà. Sul lato opposto invece non notò altro che macchine parcheggiate. La maggior parte di quelle persone appartenevano a famiglie ricche.
Dopo circa un quarto d’ora l’autobus arrivò e lei salì. Si mise seduta e afferrò il suo libro. Sorrise e lo aprì nel punto in qui era rimasta. Vicino al segnalibro c’era un foglietto strappato che non era suo. Lo lesse e sorrise. “Anche a me piace Sherlock Holmes”. Lydia pensò subito che l’unica persona che poteva averlo messo lì doveva essere quel ragazzo, il militare. Continuò a sorridere e riprese la sua lettura.
Amava l’odore dei libri e quello in particolare aveva un odore tutto suo. Non sapeva neanche lei il perché, ma sapeva che era il suo preferito. Le persone la potevano anche prendere per pazza, ma lei sapeva di esserlo. Ma sapeva anche che quelle persone non avevano mai provato una sensazione come la sua quando li annusava. I suoi coinquilini non le dicevano nulla perché facevano la stessa cosa anche loro, quando leggevano e non giocavano ai videogiochi.
Quando andava in libreria e comprava dei libri, appena tornava a casa li odorava. Lei amava avere i libri. Leggerli e basta non le piaceva. Doveva averli, per poterli rileggere se lo desiderava.
Dopo circa un’ora e mezza di lettura Lydia arrivò alla sua fermata e scese. Si diresse verso la caffetteria in cui doveva cominciare il suo turno di lavoro e ci entrò, facendo tintinnare il campanellino, che in alcune ore neanche si sentiva, per il gran chiacchiericcio che si verificava nella caffetteria. E di solito quelle ore erano quelle della pausa pranzo.
- Sei in anticipo. -  le disse una donna bionda, occhi verdi e formosa, da dietro il bancone, che portava una camicetta bianca, con sopra il logo della caffetteria.
- Se vuoi torno più tardi. -  sorrise amichevolmente Lydia, raggiungendo la sua collega dietro il bancone.
- Oh, no. Mi farai un po’ di compagnia. -  rispose la donna, seguendola nella parte posteriore del locale, dove avevano i loro armadietti.
- Cosa che tu non fai mai, invece. -  sorrise Lydia, scherzando un po’.
- Lo sai che ho una vita molto impegnativa. -  rispose la bionda, osservando la giovane mettersi  la camicetta e abbottonarla.
- Tra marito, figli e il libro non hai molto tempo, eh? -  sorrise Lydia, tirandosi su gli occhiali e poi sciogliendosi i capelli, per poterli legare meglio.
La donna annuì, mentre la giovane cercava di farsi una coda decente, che non l’avrebbe intralciata sul lavoro.
- Dovresti prenderti una pausa da tutto, ogni tanto. Sei stressata Eva. -  le disse semplicemente Lydia, mentre tornavano nel locale e la donna serviva un uomo, che aveva anticipato la sua pausa pranzo.
- Io stressata? Ma quando mai! -  rise Eva, per poi girandosi verso la sua collega.
- Tu piuttosto sei stanca. Non puoi correre dall’università fino a qui e dover anche studiare. -  le disse la donna, mentre il locale cominciava a riempirsi e loro dovevano iniziare a lavorare seriamente.
- Ma devo, Eva. Vorrei comprarmi una macchina prima o poi. -  le rispose Lydia, servendo con un sorriso una donna, che parlava al telefono.
- Sei comunque troppo stanca. -  scosse la testa Eva, andando a preparare un cappuccino.
Lydia sorrise, ma continuò a servire i clienti della sua fila con un sorriso in volto e con allegria. Era sempre stata una ragazza molto solare e piena di vita. Aveva solo troppi impegni, ma sarebbe riuscita a sopravvivere anche a quell’impresa.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


L’ora di punta era finita da dieci minuti, ma uomini d’affari, avvocati, giudici e medici continuavano ad arrivare alla caffetteria. Alcuni di loro anche solo per prendere un caffè con i colleghi o per riposarsi. Era una giornata molto impegnativa un po’ per tutti.


All’improvviso entrarono nel locale dei bambini, che le due donne accolsero con un sorriso. Dietro di loro due maestre cercavano di farsi largo e raggiungere la cassa.


- Scusateci, la gita li ha esaltati troppo. – sorrise una di loro e poi cominciarono a far elencare dagli alunni ciò che volessero e poi ordinarono. Alla fine delle ordinazioni le due donne dietro il bancone erano impazzite. Cercavano di portare sul bancone tutte le ordinazioni nel minor tempo possibile, anche se tutto quello provocava loro un ulteriore stress.


Dopo cinque minuti tutti i bambini erano seduti ai tavolini a mangiare e chiacchierare tra di loro, portando un atmosfera serena e gioiosa nel locale, da cui, però, i lavoratori scappavano via. Le maestre ordinarono due caffè per loro e poi pagarono tutto il conto.


Fuori dalla caffetteria c’erano dei ragazzi che tornavano dalla scuola, adulti che facevano shopping e donne anziane, che portavano per mano i nipotini. Il cielo era sereno e il sole regnava su tutta la città. Non era una giornata particolarmente calda, ma bastava un giacchetto e si stava bene anche all’aria aperta.


Lydia ed Eva si misero a ripulire il bancone e la macchina per fare i caffè. Dopo dieci minuti i bambini con le loro maestre uscirono dal locale salutando e ringraziando le due donne, che li salutarono a loro volta con dei sorrisi sui volti stanchi, ma contenti.


- Non è stata una giornata monotona. – sorrise Eva, asciugandosi le mani su un panno.


- Direi proprio di no. – annuì Lydia, finendo di pulire il bancone.


Eva andò verso i tavolini e cominciò a passarci un panno e a togliere tutto quello che ci era rimasto sopra. Spostava le sedie, per rimetterle bene e buttava tutto quello che era da cestinare.


Lydia l’andò ad aiutare, proprio quando un uomo uscì dalla caffetteria. La ragazza andò verso il tavolo lasciato libero e buttò la carta dello zucchero, poi afferrò la tazzina del caffè e la portò dietro il bancone, dove la lavò e la ripose.


Il campanello della porta suonò e Lydia tornò a servire il nuovo cliente. Quando si ritrovò faccia a faccia con l’uomo sorrise.



- E’ la terza volta. Deve essere destino questo. – sorrise il ragazzo, osservando Lydia, come se non la vedesse da molto tempo.


- Forse. – alzò le spalle la ragazza, continuando a sorridere.


- Allora forse dovremmo presentarci. Stiles. – le porse una mano il militare, che lei strinse, presentandosi a sua volta.


- Cosa ti posso servire, Stiles? – chiese Lydia, indicando il menù posto sul bancone.


- Un semplice caffè macchiato. – rispose Stiles, sorridendo. La ragazza annuì e si mise a lavoro, mentre il ragazzo la osservava attentamente. Eva intanto era tornata dietro il bancone e li osservava con aria sospettosa, ma felice.


- Quindi non sei solo una studentessa universitaria che ama Sherlock Holmes. – ipotizzò il ragazzo, porgendo sul bancone il denaro per pagare il suo ordine.


- No. – sorrise Lydia, porgendogli la tazzina e prendendo i soldi.


- Magari sei anche un’agente dei servizi segreti. – replicò Stiles, facendo un sorriso, che imbarazzò molto la ragazza.


- Temo di dover deludere le tue aspettative. – rispose con tono dolce Lydia.


- Che disgrazia. – ridacchiò il giovane e la stessa cosa fece Lydia, arrossendo violentemente.


- Scusi, vorrei ordinare. – disse un uomo dietro Stiles. Il ragazzo si scusò e si andò a sedere ad un tavolino, mentre Lydia serviva l’uomo.


Mentre Stiles si gustava il suo caffè, Lydia era costretta a ripulire la macchina del caffè, che aveva rovesciato parte del suo miscuglio fuori da essa e aveva sporcato tutto il bancone intorno.


Eva si avvicinò alla ragazza con fare disinvolto, come se volesse aiutarla.


- Chi è quel bel fustone? - le chiese, facendo un lieve cenno con la testa verso il soldato.


- Un ragazzo. - rispose semplicemente Lydia, arrossendo tutta in un secondo.


- Oh si, l'ho notato. È anche ben formato. Ma chi è? - continuò ad investigare la donna, mentre la ragazza diventava sempre più rossa e cominciava a balbettare.


- Il tuo ragazzo? - le chiese ancora Eva, facendole l'occhiolino, come se sapesse perfettamente di cosa stava parlando.


- Oh, no. No, l'ho conosciuto solo questa mattina. - balbettò un po' Lydia, prima di guardarla.


- Oh be, se non lo è, lo diventerà. - sorrise Eva, per poi staccare la ragazza dal bancone e spingerla verso il soldato.


- Che stai facendo? - le domandò Lydia, arrossendo e cercando di fermare la sua collega, che invece sembrava molto determinata.


- Formo una coppia. Fate amicizia. - le sorrise, prima di darle un'ultima spinta. Lydia venne buttata verso il tavolino di Stiles. Era tutta rossa in viso e sorrideva imbarazzata. Era un cliente e ne stavano arrivando altri, doveva rimanere professionale.


- È poco diplomatica, non trovi? - le sorrise Stiles, facendole segno di sedersi davanti a lui.


- Già. È una sua dote. - ridacchiò sempre più imbarazzata Lydia, ma dovette rifiutare la sua proposta. Se fossero arrivati altri clienti avrebbe dovuto tornare a lavorare e non poteva conversare troppo con la clientela. Erano le regole.


- Ora devo andare. Grazie del caffè. - continuò Stiles, dopo aver avuto un rifiuto da parte della ragazza. Si alzò con calma, lasciando tutto sul tavolo. La salutò e uscì dal locale. Lydia rimase immobile a guardarlo andare via. Aveva un sorriso imbarazzato sul volto ed era ancora rossa, ma stava un po’ meglio. Si sentiva sempre agitata quando doveva parlare con degli sconosciuti, in particolare se erano ragazzi.


Sospirò e poi cominciò a ripulire il tavolino. Portò la tazzina al bancone e buttò la bustina dello zucchero e un tovagliolo. Solo dopo averlo gettato nella spazzatura si rese conto che c’era scritto qualcosa sopra, così cercò di riprenderlo. Quando ci riuscì lo spiegò e lesse: “Potremmo parlare un po’ di Sherlock Holmes” e proprio sotto alla scritta c’era un numero di telefono. Lydia sorrise e arrossì violentemente.


- Quando vi rivedrete? – le chiese Eva, avvicinandosi a lei, mentre si asciugava le mani sopra ad un panno.


- Ehm… - provò a dire Lydia. Non l’avrebbe rivisto perché lei non lo avrebbe chiamato. Era troppo imbarazzante e timida per poterlo fare. Ma Eva le prese dalle mani il tovagliolo e lesse quello che c’era scritto.


- Quando hai intenzione di chiamarlo? – le domandò sorridendo la donna. Lydia scosse la testa, tornando dietro il bancone.


- Non lo chiamerò. – scosse la testa. Non era sua intenzione disturbare le persone e quel ragazzo le aveva lasciato il biglietto solo per gioco. Era sicura che non volesse sul serio che lei lo chiamasse.



- Si che lo farai. – esclamò Eva, andando nel retro del locale con fare disinvolto e sicura di sé. Lydia cercò di seguirla, ma un cliente entrò e lei dovette rimanere per poterlo servire.


Prese i soldi e gli fece una tazza di caffè aromatizzato, poi corse dietro la porta che separava il locale dal retro.


- Eva! – esclamò Lydia, afferrando il biglietto e il cellulare della donna, per poi chiuderlo immediatamente.


- Non dirmi che stavi facendo quello che penso. – sospirò la ragazza, ma il sorriso della donna era una risposta chiara.


- Perché? – le domandò Lydia, sedendosi su una sedia e guardando la donna.


- Perché hai bisogno di uscire e divertirti. – le rispose Eva, con fare materno. Le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.


- Ma io sto bene così. – le rispose Lydia, voltandosi verso la donna, che le sorrideva in modo dolce.


- Oh tesoro. Hai ventitré anni, è questo il tuo momento. – esclamò Eva, per poi voltarsi e togliersi la camicetta bianca. La ripose nel suo armadietto e poi afferrò la sua borsa, chiudendo lo sportello.


- Cosa vi siete detti? – domandò allora Lydia, sperando che la donna non si fosse spinta troppo oltre. Si alzò in piedi e afferrò una scopa, per poter ripulire il pavimento una volta chiusa la caffetteria.


- Dopodomani dopo l’ora di pranzo. – le sorrise Eva, uscendo e facendole l’occhiolino.


- Dove? – chiese la ragazza, seguendola e girando il cartellino sulla porta d’entrata, che diceva che avevano chiuso.


- Qui. Buona serata Ceci. – rispose la donna, la salutò ed uscì dal locale.


Lydia rimase per qualche secondo interdetta. Avrebbe dovuto disdire, dopotutto non era stata lei a prendere l’appuntamento, ma poi avrebbe fatto una brutta figura. Avrebbe almeno dovuto richiamare Stiles per scusarsi del comportamento di Eva.


Sospirò e cominciò a ripulire la caffetteria, per poterla lasciare pulita per il giorno successivo. Si sentiva molto in imbarazzo per quello che era accaduto e il comportamento di Eva non l’aveva certo aiutata. Si sistemò meglio gli occhiali sul naso e continuò a passare la scopa, per poi abbassare tutte le tendine del locale.

 

SPAZIO AUTRICE: ciao a tutti e benvenuti al nuovo capitolo! Allora vi è piaciuto? Spero proprio di sì. Devo rivelarvi che quando ho scritto dell'incontro stavo saltando di gioia (eh si, come una bambina eheh) quindi se ci sono degli errori perdonatemi :D 

Bene... spero che vi sia piaciuto e se c'è qualche domanda che vorreste farmi sono a vostra disposizione :D

Ciao a tutti e al prossimo capitolo!! :)

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


- Sono tornata! – esclamò Lydia, rientrando dentro casa. Si chiuse la porta dietro e posò le chiavi sull’apposito armadietto, in cui tenevano tutte le loro copie.


Avanzò verso il salotto, dove tutti i ragazzi erano impegnati in una partita ad un videogioco. Lydia scosse la testa con un sorriso e poi avanzò ancora.


- Ben tornata. Com’è andata? – le chiese Michael, uno dei ragazzi, con i capelli neri e leggermente ricci e gli occhi verdi.


- Bene. – rispose semplicemente Lydia, andandosi a sedere sulla poltrona, aspettando che finissero di giocare, per poter parlare un po’. Dopo cinque minuti vide che era tutto inutile e andò in camera sua. Posò la borsa e prese il suo computer, accendendolo e sedendosi sul puff.


Cominciò a navigare un po’ su internet, finché non si stufò e lasciò perdere. Chiuse il computer e afferrò il cellulare e il tovagliolo su cui c’era scritto il numero di telefono di Stiles. Fece un sospiro e ci pensò su. Non sapeva se richiamarlo oppure no. Non sapeva davvero cosa dirgli. Non sapeva neanche se sarebbe dovuta andare a quell’appuntamento, che era stato organizzato a sua insaputa. Guardò per l’ultima volta il foglietto e sospirò. Si alzò dal suo puff e andò in salone, dove tutti gli altri ragazzi stavano giocando. Entrò in silenzio e si sedette a terra, vicino ad una poltrona.


Si rigirò per un po’ il tovagliolo tra le dita, pensando al da farsi. Sperava che le venisse un’illuminazione, finché tutti i ragazzi non bloccarono il gioco e si voltarono a guardarla.


- Che succede? – le chiese il ragazzo dagli occhi verdi.


- Dovrebbe succedere qualcosa, Andy? – domandò a sua volta Lydia, in modo alquanto strano, poiché tutti gli altri ragazzi si misero seduti accanto a lei sul pavimento.


- Direi di si. – rispose sorridendo il giovane.


- Eva mi ha organizzato un appuntamento. – sospirò la ragazza, raddrizzandosi gli occhiali sul naso e guardando i suoi amici.


- E c’è un problema? – chiese Michael, non capendo la preoccupazione di Lydia.


- E com’è? – domandò Tristan, interrompendo e facendo cadere la domanda del suo amico.


- Si che c’è, Mike! L’ho visto tre volte per puro caso e so a malapena il suo nome! – rispose Lydia, cercando di evitare la domanda di Tristan.


- E allora? È un appuntamento al buio! Quando? – chiese Devon, facendo un sorriso da chi la sa lunga. Voleva aiutare la sua amica. Si meritava un appuntamento.


- Dopodomani dopo pranzo. – sospirò la rossa, dando ad Andy il tovagliolo con la scritta e il numero di telefono di Stiles.


- Allora? Com’è? – chiese ancora Tristan, avvicinandosi sempre di più alla sua amica.


- Alto, moro, occhi scuri e muscoloso. – sospirò Lydia, facendo un sorriso dolce, mentre al suo amico si illuminavano gli occhi.
- E ha le fossette. – continuò la ragazza.


- Lo voglio. – disse Tristan e dopo le sue parole Devon gli diede una piccola spinta.


- E’ di Lydia. – sorrise Devon, mentre Michael chiedeva il nome del fortunato.


- Stiles. – rispose Lydia, per poi riprendersi il suo tovagliolo, sistemarsi gli occhiali e alzarsi dal pavimento.


- Ti aiuteremo a prepararti. – esclamò Andy. 
Tutti annuirono e sorrisero a quelle parole. Volevano tutti aiutare la loro amica. Era da tanto che desideravano che avesse un appuntamento, ma Lydia era troppo timida, troppo presa dallo studio e dal suo lavoro per potersi cercare un ragazzo. Molte volte ci avevano provato loro per conto suo, ma era stato tutto inutile. Ogni loro tentativo veniva declinato con gentilezza dalla ragazza. Era come se non volesse impegnarsi.


- Ma io non.. – provò a dire la giovane, ma fu interrotta da tutti gli altri che le dissero di andare a cucinare, o avrebbero ordinato pizza e lei, sbuffando, si diresse in cucina.


Avrebbe tanto voluto poter decidere da sola del suo futuro e specialmente della sua vita sentimentale, ma era come se tutti intorno a lei cercassero di sistemarla. Come se pensassero che non si sarebbe mai fidanzata. Persino i suoi genitori le avevano organizzato degli appuntamenti, che però erano andati male. Non era proprio per lei. Si sentiva sempre a disagio con i ragazzi, non sapeva come comportarsi. Non si riteneva abbastanza bella per poter essere presa in considerazione da neanche un ragazzo. Non aveva fiducia in se stessa per queste cose.


Si mise ai fornelli, pensando a l’appuntamento che avrebbe avuto a breve e si sentiva sotto pressione. Non sapeva come vestirsi, come truccarsi, non sapeva se doveva mettere le lenti a contatto, come legarsi i capelli e come comportarsi. Cominciò a farsi molti problemi. Provò persino ad immaginarsi dei discorsi con Stiles, ma ogni volta finivano male nella sua mente. Non si riteneva all’altezza.


- Lydia? – la richiamò Devon, dopo un po’. La ragazza tornò alla realtà e notò il cibo che bruciava nella pentola. Spense subito il fuoco e cercò di far sparire il fuoco, mentre il suo amico apriva la finestra.


- Forse dovremmo ordinare la pizza. – sorrise imbarazzata.


- So a cosa stavi pensando. Andrà tutto bene. Vedrai. – le sorrise il ragazzo, mentre le dava un bacio sulla fronte e usciva dalla cucina. Per lei erano tutti come dei fratelli e lei la loro sorellina da proteggere. O almeno così credeva.


Lydia rimase per un po’ in cucina, cercando di scacciare il fumo e poi andò in salone, dove i ragazzi continuavano a giocare imperterriti.


- Che pizza ordino? – chiese, prendendo un blocco di carta e cominciando a scrivere le loro ordinazioni.


Quando ebbe finito, strappò il foglietto e andò in camera sua per prendere la borsa. Tornò dagli altri e li salutò, pronta per andare in pizzeria, ma Devon la fermò, chiedendole di aspettare altri due minuti. Lydia sospirò, scuotendo la testa, ma fece come le aveva chiesto.


- Ok, andiamo! – esclamò Devon, poco dopo. Si alzò dal divano, buttandoci sopra un joystick e afferrò le chiavi della macchina.


- Mi accompagni? – chiese dubbiosa Lydia, non credendo ai suoi occhi.


- Certamente. Altrimenti la pizza si raffredda. – le fece l’occhiolino Devon, dirigendosi verso la porta. Lydia fece un debole sorriso e lo seguì. Aprirono la porta e se la richiusero dietro, per poi uscire dal palazzo e dirigersi verso l’auto del giovane.


- Devi stare tranquilla. Sarà solo un appuntamento. – le disse Devon, salendo in auto e accendendo il motore, per poi partire.


- Lo so, ma ogni appuntamento che ho avuto è andato male. – sospirò la ragazza, stringendo tra le dita la borsa. Si raddrizzò gli occhi e si sciolse i capelli, passandoci una mano attraverso, come se li volesse pettinare.


- Questa sarà la volta giusta. – le sorrise il giovane, mettendo una mano su quella della ragazza. Lydia alzò lo sguardo su di lui e sorrise. Era forse il suo migliore amico in assoluto. Si trattavano come sorella e fratello. Si proteggevano a vicenda.


Lydia sospirò, ma rimase in silenzio. Rimasero in silenzio per tutto il resto del tragitto, finché dieci minuti dopo Devon non fermò la macchina davanti alla pizzeria.


SPAZIO AUTRICE: ciao a tutti!! Spero che questo capitolo, benchè sia più corto di quelli precedenti (perdonatemi), vi piaccia. Se avete domande o considerazioni o qualsiasi altra cosa non esitate a dirmele :D Grazie a tutti!! :D

Al prossimo capitolo!! :)

 

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