Protector

di pandapattz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** SOLA ***
Capitolo 3: *** SALVATA ***
Capitolo 4: *** PROTETTORI ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Cara Robin, quasi sicuramente il giorno che leggerai questa lettera sarà il giorno del tuo diciottesimo compleanno, nel caso tu la stia leggendo prima di quella data, vuol dire che io non ci sono più. In quel caso ti prego di scusarmi se non ti ho parlato prima di tutto questo. Tesoro, ti scrivo per far luce su ciò che successe quel 25 Dicembre a tua madre.
È una cosa che a voce non potrei mai dirti. Quel giorno lei non fu vittima di un incidente stradale, ma fu vittima di qualcosa di ben più grosso, qualcosa a cui lei era preparata, qualcosa a cui lo sono anch'io e qualcosa a cui dovrai esserlo anche tu. La nostra famiglia ricopre un ruolo importante da generazioni e generazioni.
Noi siamo Protettori, Robin, noi cacciamo i Senz'anima. I Senz'anima sono uomini immortali, sono creature che hanno patteggiato con il Diavolo, e resteranno dannate per sempre. Non farti ingannare dal loro bell'aspetto, uccidono, senza pietà nè ritegno, chiunque intralci il loro cammino. Il nostro compito è quello di proteggere il mondo da loro. Non siamo soli, con noi ci sono altre cento famiglie rispettabili, che in tutto il mondo combattono ogni giorno contro i Senz'anima. Combatterli richiede molto allenamento, Robin, per questo dovrai mettercela tutta, ma tu sei nata per fare questo. Sai, ricordo di quando avevi sette anni e vedesti alla televisione un servizio su quanto accaduto alle Torri Gemelle, dicesti che da grande ti saresti voluta arruolare nell'esercito per non permettere più a nessuno di fare cose del genere, e so che tutt'ora è il tuo sogno più grande. Ora ne hai l'occasione tesoro, non è proprio quello che ti saresti aspettata, anzi è qualcosa di ancora più difficile, ma proteggerai le persone con tutte le tue forze, e so che tu puoi farcela. Dovunque tu sia in questo momento, se accanto a me, o sola da qualche altra parte, recati all'indirizzo che ti collocherò a piedi pagina, lì ci saranno delle persone come noi che ti spiegheranno il tuo ruolo al meglio. Sarò felice di accompagnarti se sarò ancora qui con te, in caso contrario veglierò comunque.
Ti chiedo ancora scusa, prenditi tutto il tempo per ragionarci su, ma so che infondo l'hai sempre saputo.
Buona fortuna, Robin.
Con affetto Papà

Avenue Monroe 102 Londra ( è un edificio in cemento armato, lo riconosci subito, all'entrata di il tuo nome e il tuo cognome e non avrai problemi )

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Capitolo 2
*** SOLA ***


Continuavo a rileggere quella lettera. Non aveva senso, come poteva esistere una realtà diversa da quella in cui ero sempre vissuta? Come potevo sapere così poco sui miei genitori? La piegai accuratamente, come fosse una reliquia e la nascosi nel mio diario, dove nessuno avrebbe mai osato cercarla. Mio padre era morto da appena un mese, era stato assassinato, tre colpi di pistola in pieno petto, così mi avevano detto due agenti della polizia quando, dopo esser tornata a casa da scuola, l'avevo trovato coperto da un lenzuolo bianco. Da quel giorno niente e nessuno era riuscito a lenire il mio dolore. Mio padre era la mia famiglia, l'unico che mi fosse rimasto, dopo che mia madre era morta per un incidente stradale quando avevo appena cinque anni, e ora mi aveva lasciata anche lui. L'unico parente che mi era rimasto era uno zio di lontano grado che, controvoglia, si era fatto convincere dagli assistenti sociali a prendersi cura di me. Così ero stata obbligata a fare i bagagli e dare l'ultimo saluto alla casa dove ero cresciuta e quindi a mio padre nel giro di un giorno, ed ero stata trascinata nella periferia di Londra e costretta a frequentare una scuola nella quale non conoscevo nessuno.
Zio Trent non era sposato ed era un grande bevitore, la sera mi lasciava spesso sola e lo sentivo rientrare barcollando ad orari improponibili. Alle volte si dimenticava addirittura della mia esistenza ed ero costretta ad arrivare a scuola a piedi anche con il diluvio universale. Tutto questo serviva solo a ricordarmi quanto fossi sola in quel momento.
Mio padre era morto. Faticavo ancora a crederci. Era stato assassinato e da quanto mi aveva lasciato scritto, da qualcuno che non era umano. Inoltre sosteneva che anche mia madre fosse stata vittima della sua stessa sorte.
Nonostante mi sentissi confusa e persa, io ci credevo, così tutto aveva più senso. Mio padre mi aveva sempre protetta da qualcosa che fino ad allora non capivo. L'unica cosa che potevo fare per ringraziarlo e per onorarlo era andare all'indirizzo che mi aveva lasciato. Se solo fossi riuscita a convincere mio zio a lasciarmi uscire fuori l'orario scolastico.
Scostai le coperte dal letto e mi ci infilai dentro. Prima di addormentarmi pensai a quanto l'anno scorso desideravo compiere sedici anni, così mio padre mi avrebbe fatto iscrivere al corso di pugilato, eravamo così felici.
Ora posso soltanto desiderare di non aver compiuto mai sedici anni e di poter vivere altri quindici anni della mia vita insieme a lui



*spazio autrice*
Ringrazio tutti i lettori che hanno dato uno sguardo alla mia storia, o che l'hanno recensita, mi fa molto piacere sapere cosa ne pensate! Purtroppo fino a martedì non potrò pubblicare altri capitoli perchè sarò fuori città, quindi spero che questa prima presentazione del personaggio di Robin vi basti per qualche giorno ahah
Baci

Domii

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Capitolo 3
*** SALVATA ***


Quella mattina furono i tuoni che annunciavano un forte temporale a svegliarmi. Mi stropicciai gli occhi e posai i piedi nudi sul pavimento freddo, dall'altra stanza sentii il respiro pesante dello zio Trent che dormiva ancora. Anche quel giorno sarei dovuta andare a scuola a piedi. Sbuffando andai in cucina in punta di piedi, attenta a non fare rumore, mi riempii un grosso bicchiere di latte e addentai un biscotto glassato che stava nel barattolo da troppo tempo. Quando papà era ancora vivo mi preparava sempre le frittelle per colazione e se non le mangiavo erano guai. Scacciai i ricordi con un sospiro e mi affrettai a prepararmi per la scuola. Dopo essermi vestita mi spazzolai i lunghi capelli neri che, come ogni mattina, sparavano da tutte le parti come se avessi appena preso la corrente. La scuola non era molto lontana da casa dello zio, ma con la pioggia ci avrei impiegato di sicuro più tempo. Mi misi il cappuccio e mi incamminai, cercando di evitare più pozzanghere possibili, onde evitare che i miei amati anfibi si bagnassero. Londra è una città enorme, tanto che perfino le periferie erano invase dal solito traffico mattutino. Passai davanti a un piccolo Starbucks e osservai attraverso le vetrine bagnate, la gente che sorseggiava di corsa le proprie bevande fumanti. Accanto a me passarono un gruppetto di ragazzi che indossavano la divisa di una scuola privata, sorridevano tra loro e si passavano un ombrello mezzo sgangherato, per tentare di coprirsi dalla pioggia. Un tempo avevo anche io degli amici, cioè, ce li avevo ancora, ma dopo il mio trasferimento ci sentivamo sempre di meno e nella nuova scuola sembrava impossibile fare amicizia con qualcuno, erano tutti piuttosto poco avversi ai nuovi arrivati. Quando fui a pochi passi dalla scuola la pioggia si affievolì. Ottimo tempismo, pensai sarcastica. Ero leggermente in ritardo, perciò il cortile era semideserto e intorno a me regnava un pacato silenzio, tranne che per la pioggerella sottile che picchiettava sull'asfalto. Percorsi gli ultimi metri correndo e, solo quando stavo per chiudere il portone della scuola dietro di me, vidi un ragazzo dal fisico imponente e i capelli lunghi, nascosto tra gli alberi e stava guardando me. Era troppo lontano per individuare altri tratti della sua figura, ma all'improvviso mi vennero in mente le parole di mio padre "i Senz'anima possono nascondersi ovunque" . Mi convinsi che magari era stata solo una mia illusione, tanto che quando mi girai il ragazzo era sparito. Scossi la testa e mi diressi nella mia classe, con il cuore a mille. - Robin, puoi portarmi una birra? - urlò mio zio dal salotto. Distolsi lo sguardo dal libro di trigonometria e alzai gli occhi al cielo. - Ora non posso, sto studiando! - risposi, sperando che se io non gliel'avessi presa lui avrebbe rinunciato a bere per una sera. - Avanti! Ci metti quattro secondi! - continuò. - Ho detto che non posso, zio! - Contai fino a dieci e poi sentii i suoi passi pesanti dirigersi in cucina e sbattere lo sportello del frigorifero. Quella era forse la decima birra della giornata. Quando mi avevano detto che mio zio aveva accettato di ospitarmi non ci diedi tanto peso, non lo conoscevo, ma speravo che mi avesse dato un minimo di conforto. Da quando ero lì invece non aveva fatto altro che ignorarmi, come fossi un semplice soprammobile scomodo lasciato incustodito da un fratello che non vedeva da anni. Era così che mi sentivo, inutile. Dopo qualche ora passata sui libri senza concludere niente, sentii un leggero brontolio allo stomaco, così chiusi tutto e andai in cucina a racimolare un po' di cibo. - Che si mangia? - chiesi allo zio, che era ancora appollaiato sul divano. Alzò la testa e mi guardò con fare interrogativo. - Non è affar mio quello che mangi tu! - Rimasi di sasso. Aveva bevuto così tanto da dimenticarsi che era lui che si occupava di me? - Ma io credevo... - - Credevi cosa, mocciosa? Che io avrei speso il mio denaro per te? Se ora sei qui è solo perché non volevo avere problemi con la polizia. Ringrazia di avere un tetto! - sbraitò. Sentii le lacrime pungermi gli occhi, ma mi costrinsi a non piangere. Inutile. - Giusto perchè tutto il tuo denaro devi spenderlo nelle tue amate birre! - urlai, prendendo una bottiglia mezza vuota sul tavolo e spaccandola a terra. Capii la gravità del mio gesto solo quando lui si alzò e venne verso di me puntandomi un dito contro. - Pulisci subito! - ringhiò. Puntai i piedi e lo guardai con aria di sfida, non avevo paura di lui. Con mio padre una cosa del genere non sarebbe mai successa. Ma lui non era come mio padre e lo capii troppo tardi. Mi si fiondò addosso e mi buttò sul pavimento, uno dei pezzi di vetro della bottiglia mi si andò a conficcare in una mano. Urlai di dolore, ma a lui non bastava. Mi sferrò uno schiaffo mentre io tentavo di divincolarmi, con le lacrime agli occhi. Avevo fatto diverse risse nel corso della mia adolescenza, ma sempre con ragazze della mia stessa statura, contro di lui che era il doppio di me non avrei avuto speranze. Mi schiaccio con tutto il suo peso al pavimento. - Sei solo una sgualdrinella, come tua madre! - sibilò. Andai su tutte le furie. - Non osare parlare di lei, brutto stronzo! Tu non la conoscevi! - Tentai di sferrargli un calcio negli stinchi, ma lui mi bloccò con una ginocchiata nello stomaco che mi tolse il respiro. Sentivo il sangue copioso colare dalla mano e mi si annebbiò per un attimo la vista. Ero forte, non dovevo lasciarmi fare del male. Ma cosa potevo fare? - Questo è per avermi disubbidito! - ringhiò, scagliandomi un pugno in pieno viso. - E questo è per non avermi portato la birra! - Quando mi scagliò anche il terzo pugno sentii il sapore del sangue nella bocca e urlai, urlai perchè sapevo che mi avrebbe uccisa. Era ubriaco e non ragionava. Mi guardava e rideva, sentivo la puzza dell'alcol e vidi il piacere di fare del male nei suoi occhi. Poi sentii che venivo liberata dal suo peso. Mi sembrò di vedere mio padre, ma era solo nella mia testa. Eppure qualcuno mi aveva tolto di dosso quel bastardo e ora lo stava tempestando di pugni. Strisciai verso la porta e mi poggiai al muro, incapace di muovermi. Vidi un ragazzo dai capelli lunghi color miele e alto quasi due metri che aveva inchiodato lo zio al muro e lo teneva per le spalle. Era lo stesso ragazzo che avevo visto a scuola. All'improvviso ebbi ancora più paura. Eppure lui mi aveva salvato la vita. - Prova solo a toccarla o a cercarla un'altra volta e ti giuro che ti uccido! - ringhiò il ragazzo, lasciando andare zio Trent, che si accasciò a terra, inerme. Quando si girò verso di me fu come se tutto il dolore fosse sparito per un secondo. Era il ragazzo più bello che avessi mai visto. Senza dire una parole mi prese tra le braccia forti e corse fuori da quella casa. L'ultima cosa che vidi prima di perdere conoscenza fu il suo viso che mi spostava una ciocca di capelli dal viso. Poi niente.
 

*Spazio autrice* 
Eccomi tornata con un nuovo capitolo! Ringrazio Leyla che segue la mia storia e la recensisce sempre! Ringrazio anche i cosiddetti lettori silenziosi, lo so che ci siete (spero ahah) 
Vi lascio al capitolo che spero vi piacerà.
Domi

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Capitolo 4
*** PROTETTORI ***


Il posto in cui mi svegliai somigliava in tutto e per tutto a un'ospedale, solo più silenzioso.
Focalizzai un punto di fronte a me, nel tentativo di riacquistare al meglio la vista, ancora appannata. I ricordi della sera prima mi balenarono in mente, facendomi sudare freddo. Di istinto mi guardai la mano, era avvolta da una fascia bianca, sporca di sangue nel punto in cui il vetro mi aveva tagliata.
- Per fortuna il vetro non ha reciso il muscolo, ti riprenderai velocemente. - disse qualcuno.
Il ragazzo che mi aveva salvata fece il suo ingresso nella grande stanza bianca e si mise accanto al mio letto, costringendomi a mettermi seduta per guardarlo negli occhi.
- Tu chi sei? - chiesi, tentando di sembrare il meno confusa possibile.
Mi rivolse un sorriso sbilenco. - Sono quello che ti ha salvata da quel bastardo. -
- Fin qui c'ero arrivata, e ti ringrazio. Vorrei solo sapere come facevi a sapere chi ero? -
- Conoscevo tuo padre. Lui mi aveva detto che se gli fosse mai successo qualcosa avrei dovuto farti recapitare la sua lettera e proteggerti fino a quando tu non fossi stata capace di farlo da sola. - concluse, giocherellando con il passante dei suoi jeans scuri.
Le sue parole mi lasciarono a bocca aperta. La lettera. Allora tutto quello che c'era scritto era vero.
Lo guardai dritto negli occhi. - Quindi tu sei come mio padre? Cacci i Senz'anima? -
- Si. Noi ci definiamo Protettori, perché proteggiamo il mondo dalle loro minacce. -
Scossi la testa. - E' tutto così complicato! -
- Ti ci abituerai non appena comincerai il tuo addestramento. -
Addestramento. Chissà se sarebbe stato come quello dell'esercito. Ci speravo in un certo senso.
Mi ero talmente persa nei miei pensieri che a malapena mi accorsi di un uomo sulla mezz'età che stava dicendo qualcosa al ragazzo, ancora accanto al mio letto. Lui annuì sommessamente e l'uomo, dopo avermi rivolto un cenno che ricambiai, uscì dalla stanza.
- Ora devo andare, Robin. Passerò appena posso per comunicarti tutto quello che serve sapere. - disse.
Il suo tono era autoritario, sembrava quello di un leader, uno a cui tutti avrebbero obbedito. Incuteva timore in un certo senso e sembrava un tipo che amava starsene sulle sue, eppure mi incuriosiva. Non aspettò la mia risposta e si incamminò verso la porta.
- Aspetta! - lo chiamai, prima che uscisse. - Non mi hai detto il tuo nome. -
Si girò a malapena, mostrandomi il suo profilo perfetto. - Mi chiamo Dallas. -
Senza aggiungere altro mi lasciò sola con i miei pensieri.

Erano passate diverse ore da quando Dallas era venuto a trovarmi e non ero riuscita a chiudere occhio, non appena tentavo di prendere sonno il ricordo dello zio Trent che mi si buttava contro mi balenava nella mente. Avevo voglia di urlare.
Non so per quanto tempo rimasi rannicchiata sul mio letto con le gambe strette al petto, come a farmi da scudo. So solo che quando mi decisi ad alzarmi, dalla piccola finestrella che affacciava su un enorme cortile, la luce del sole arrivava fioca, quindi dedussi che fosse pomeriggio inoltrato.
Ero scalza e indossavo gli stessi vestiti del giorno prima, un paio di leggins sdruciti che usavo per stare a casa e una vecchia maglia di papà che però era stata strappata sul braccio, dove ora, al posto della manica, c'era una una spessa fasciatura bianca che partiva dalla mano. Mi passai una mano tra i capelli e cercai di districare qualche nodo alla buona e meglio.
Nella stanza c'era un piccolo specchio addossato al muro, mi avvicinai e mi specchiai con un gemito, sotto l'occhio avevo un grosso livido viola e il labbro era spaccato sulla parte inferiore. Mi girai di scatto e mi convinsi che a giorni sarebbe passato, trattenni di nuovo a stento le lacrime.
Avevo bisogno di uscire da quella stanza, mi sentivo spaesata. A piedi nudi mi avviai verso la grossa porta di legno bianco e l'aprii con uno spintone, mi ritrovai in un lungo corridoio semideserto.
Alcune donne vestite con un'uniforme verde spingevano annoiate un carrello e ogni tanto sparivano nelle stanze, alcune di loro mi guardarono confuse, ma nessuna mi rivolse la parola.
- Signorina, è in piedi finalmente! - canzonò una donna vestita di tutto punto, con una targhetta all'altezza della tasca del camice bianco. Miss Shepard.
- Sa dirmi esattamente dove mi trovo? - le chiesi, guardandomi intorno.
Lei mi sorrise dolcemente. - Dallas sarà stato molto vago con lei, tuttavia non è di mia competenza spiegarle dove si trova e qual è il suo compito, sono solo la dottoressa di turno. Andrò a vedere se riesco a rintracciarlo e farlo venire da lei. -
- Lui mi aveva detto che sarebbe venuto appena si fosse liberato, magari non può. - Avevo solo bisogno di fare una bella doccia.
- Certo. Allora andrò a chiamare la signora Verdant, la madre di Dallas, lei comanda tutto qui, vedo se è libera. -
Stava già per avviarsi sui suoi tacchi vertiginosi, ma la richiamai supplicante. - Vorrei solo fare una doccia, il resto può aspettare per ora! -
Lei mi guardò con più attenzione e il suo sguardo si addolcì, parve capire. - Ma certo tesoro, che stupida. Ti accompagno negli spogliatoi, e ti porto dei vestiti puliti, così potrai darti una sistemata. - disse, mettendomi una mano sulla spalla e scortandomi lungo il corridoio.
Davanti agli spogliatoi c'era una targhetta con scritto 'riservato al personale' , ma miss Shepard mi fece ugualmente segno di entrare.
- Non posso farla salire agli spogliatoi dei Protettori fino a quando Dallas non avrà chiarito questa faccenda, ma posso fare uno strappo alla regola su quelli del personale infermieristico! - disse, strizzando l'occhio.
La ringraziai con un sorriso e lei mi indicò le docce. - Ti porto subito i vestiti, fa con calma. - detto questo uscì frettolosamente dalla porta.
Mi guardai intorno e cominciai a sfilarmi i vestiti di dosso, mi sentivo sporca, violata. Con una smorfia mi sfilai anche la maglietta e tentai alla buona e meglio di coprire la fasciatura della mano con una bustina di plastica, per non bagnarla.
L'acqua della doccia era tiepida e quando mi ci infilai dentro provai subito un grande sollievo. Mi poggiai al muro e cominciai finalmente a piangere, un pianto liberatorio, per tutto quello che mi era successo nell'arco di due mesi, non potevo sopportarlo. Non avevo più nessuno. Non sapevo più chi era. E cosa più brutta, non sapevo più chi erano davvero i miei genitori.
Quando Miss Shepard tornò con i vestiti puliti, ero appena uscita dalla doccia e mi stringevo all'accappatoio bianco usa e getta.
- Questi sono gli unici della tua taglia che ho trovato, per oggi dovrai arrangiarti così, sei alta, ma sei molto magra e qui le ragazze sono tutte più muscolose di te, senza offesa. - disse, passandomi una pila di vestiti neri.
- La ringrazio, è molto gentile! - Aveva ragione sul fatto che ero molto magra, non ero mai stata grassa, ma prima della morte di papà avevo qualche chilo in più.
Lei alzò le spalle. - La signora Verdant ti aspetta qui fuori, appena sei pronta và da lei. -
Annuii e subito dopo Miss Shepard uscì di nuovo. Tra la pila di vestiti c'erano un paio di jeans neri strappati sulle ginocchia e una canottiera dello stesso colore, non molto diversi da quelli che indossavo di solito. Indossai i miei soliti anfibi e dopo essermi asciugata i capelli raggiunsi la signora Verdant.
Era seduta su un divanetto della sala d'aspetto, ed era una donna incredibilmente giovane, anche se aveva uno sguardo molto triste. Indossava una tenuta sportiva, ma restava comunque bellissima nei suoi capelli biondo platino e gli occhi azzurri.
Appena mi vide distolse lo sguardo da una rivista che stava sfogliando e mi venne incontro. - Robin! Sono contenta che tu stia bene. Quando Dallas ti ha portata qui eravamo seriamente molto preoccupati per la tua incolumità! - disse, accarezzandomi un braccio.
Eravamo? Quindi voleva dire che anche Dallas era preoccupato per me. Nonostante i suoi modi scontrosi?
- Vi sono molto grata, mi avete salvato la vita. Ma, so di poter sembrare impaziente, vorrei sapere tutta la verità. La lettera di mio padre era molto vaga. -
Lei abbassò lo sguardo addolorata, sentendomi parlare di mio padre. - Vaugh, tuo padre, è venuto a mancare troppo presto, lui voleva aspettare che tu compissi diciotto anni per cominciare ad allenarti, non che non ti ritenesse all'altezza, ma solo perché aveva troppa paura di perderti, anche se alla fine ti ha persa lo stesso. -
Gli occhi cominciarono a riempirsi di lacrime che trattenni a stento. - Suppongo che questo sia tutto quello di vero che mi sia rimasto di mio padre, oltre ai ricordi. -
- Noi siamo felicissimi di accoglierti tra noi, tu sei la figlia di un grande Protettore. Tuttavia l'unica persona che può davvero spiegarti tutto è mio figlio Dallas, Vaugh aveva incaricato lui di farlo. - dichiarò, dispiaciuta.
Odiavo tutti quei misteri, volevo sapere la verità al più presto.
- D'accordo. - dissi, guardando la signora Verdant nei suoi profondi occhi azzurri, così limpidi eppure così tristi.
- Allora ti porto subito da lui! - annunciò, sorridendomi con trasporto.
Cominciai a seguirla sù per una scalinata d'acciaio che conduceva a un'ascensore bianca come tutto il resto lì intorno.
- Dallas è il capo di tutto questo? - le chiesi, mentre aspettavamo.
Lei sorrise orgogliosa. - Non proprio. Ma è davvero in gamba. Lo vedrai! -

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