Il demone della Notte

di Letsneko_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


il demone della notte 1

Il demone della Notte

 

A Death, poiché mi soupporta da tanto tempo.

 

Capitolo I

Il silenzio della notte fu bruscamente interrotto da un urlo disperato.

Dalla foresta adiacente al tempio si alzò uno stormo di uccelli e le loro figure nere si stagliarono all'improvviso contro la luna.

All'interno del tempio, sede dell'oracolo di Raxum – il più importante del regno – una luce multicolore illuminava la selva di colonne del pronao. Proveniva dalla sala più interna del tempio ed era prodotta da un globo luminescente sospeso a mezz'aria.

In terra era disegnato un cerchio, in cui erano scritte parole in una lingua sconosciuta ai più; poco lontano da esso giaceva un corpo privo di sensi, mentre una figura femminile gli stava accanto. Quest'ultima teneva in mano il globo, accarezzandolo di tanto in tanto con le dita.

Il vestito nero, sfiorato da una leggera brezza, si alzava, rivelando la carnagione chiara della donna: su di essa, una catena di simboli si stava disegnando.

Quando il disegno fu completo, la donna se ne andò, lasciando l'uomo al suo destino.

Il globo luminoso la seguì e lei fu ben felice che s’insediasse nel suo corpo.

Iagei, questo il nome dell'uomo, l'aveva invocata ma non aveva ottenuto il suo aiuto. Inoltre, insieme ai suoi servigi, aveva perso anche i segreti degli evocatori.

L’uomo si alzò a fatica e, appoggiandosi al bastone, uscì dal tempio, fermandosi sulla scalinata.

Lo spettacolo che gli si presentò davanti agli occhi raggelò il sangue nelle vene.

La rigogliosa foresta si stava trasformando in un groviglio di rami secchi e riusciva già a vedere le fugaci figure di alcuni spiriti elementari. Fuoco, acqua, aria e ghiaccio iniziavano a spadroneggiare nella foresta.

Tornò indietro e vide che le scritte all'interno del cerchio erano cambiate.

Nascerà nella Notte colei che le terre di Iktali alla rovina condurrà.

Si portò una mano al petto, tastando la stoffa con ansia. Spalancò gli occhi, vedendo che il medaglione che soleva portare nascosto tra le vesti aveva cambiato colore: da rosso splendente era diventato nero.

Tempo cent'anni e le Terre di Iktali sarebbero sprofondate nell'oblio.

 

***

 

Nessuno aveva mai saputonoscenza di cosa fosse avvenuto nel tempio di Raxum: anno dopo anno, i pellegrini avevano cominciato a disertare l'oracolo e il tempio era stato dimenticato. Strane voci – leggende di spiriti e demoni – aleggiavano nell'aria e portate di bocca in bocca, di villaggio in villaggio, giunsero in ogni parte del regno. Dell'antico splendore rimanevano solo i segni che gli oggetti avevano lasciato sulle pareti.

Nessuno osava avventurarsi nella foresta: soltanto i tronchi – simili a scheletri – erano i guardiani di quel tempio diroccato, costruito al centro della foresta sacra.

 

Quando Tairan salì al trono, il regno era al culmine dello splendore.

Le fortunate campagne militari dei suoi predecessori avevano allargato i confini del regno, inglobando territori rinomati – e contesi – per la posizione strategica.

Tra questi, vi figurava anche il piccolo villaggio di Ysame.

Pacifico e tranquillo, arroccato su uno sperone roccioso e circondato da fertili campi, si era sempre tenuto lontano dai conflitti.

Tairan aveva scelto come governatore uno dei suoi migliori collaboratori.

Tuttavia, in quella zona così tranquilla, a ventiquattro anni dalla sua salita al trono, accade un evento che sconcertò buona parte della corte.

In un giorno d'inverno, un ararlo recapitò un messaggio del governatore di Ysame.

Un fiore, dai petali rosso sangue, era cresciuto improvvisamente nella piazza del villaggio.

Tairan volle recarsi di persona per vedere quel fiore: il lungo corteo di guardie attirava molte persone sul ciglio delle strade che percorreva, anticipato dagli stendardi che garrivano al vento.

Ysame era stretto in una morsa gelata ma nonostante il freddo, tutti si dettero da fare per accogliere al meglio il re.

La folla si era accalcata in piazza e le guardie riuscivano a stento a tenerla ferma.

«È normale, sire. Il clima è rigido in questa zona ma gli abitanti sono molto ospitali» spiegò il governatore.

«Anche troppo» borbottò poi fra sé l’uomo, rabbrividendo al ricordo della settimana costellata di banchetti interminabili che aveva seguito il suo arrivo e il suo insediamento a Ysame.

Tairan costatò quanto gli fosse mancata la presenza di quell’uomo che, nonostante la statura piuttosto bassa, riusciva a farsi obbedire. Non era cambiato dall’ultima volta che l’aveva visto: il capello castano chiaro erano sempre pettinati in modo perfetto. Soltanto le iridi verdi erano velate da una leggera malinconia.

Tairan, come tutti gli altri, era rimasto incantato dal fiore. I petali rossi contrastavano con l’azzurro del cielo mentre le foglie e lo stelo, di un verde acceso, ornavano le pietre del selciato.

Tutti concordavano sul fatto che, negli ultimi giorni, il fiore fosse cresciuto: tuttavia, alcuni dicevano che era un buon segno, simbolo di prosperità; altri che era un brutto segno, simbolo di sventura.

«Spesso coloro che sono ritenuti pazzi sono portori di una tragica verità».

Quando quella voce li raggiunse, Tairan e il governatore si girarono.

Un uomo, dai lunghi capelli bianchi e una barba incolta dello stesso colore, avanzava verso di loro, appoggiandosi a un bastone.

Al collo portava un amuleto, una pietra nera, che spiccava vistosamente sulla tunica verde chiaro.

Quando fu abbastanza vicino al sovrano, l'uomo s’inchinò.

«Chi siete?» domandò Tairan mentre gli tendeva una mano per farlo rialzare.

«Iagei, l'ultimo degli Evocatori. Un tempo, anche Sommo Sacerdote di Raxum».

Il re trasalì nel sentire quel nome. Troppe volte quel tempio maledetto aveva turbato i suoi sogni di bambino.

«Cosa ci fate qui?»

«Sono venuto ad avvertirvi».

«Di cosa?»

«Il regno corre un grave pericolo».

«È al massimo dello splendore» ribatté Tairan, non senza un pizzico di orgoglio nella voce.

Iagei sospirò, stringendo il bastone con entrambe le mani.

Gli spiriti l'avevano avvertito che quel re dai capelli color del ghiaccio sarebbe stato una testa dura.

«Per poco lo sarà. Addio, Maestà».

Tairan guardò stupito prima l'uomo poi il governatore, confuso quanto lui.

«Aspetti!» gridò il sovrano e l’uomo si fermò.

«Che cosa sa dirmi su questo fiore?»

«Nascerà nella Notte colei che le terre di Iktali alla rovina condurrà».

La voce di Iagei, lenta e maestosa, riecheggiò a lungo nella piazza.

«E con ciò? La conoscono tutti, quella profezia» borbottò Tairan.

Iagei si volse e, sorridendo, gli disse: «Recati al tempio di Raxum, da solo. Hai tempo fino alla prossima luna».

 

Tairan era rimasto a Ysame, incuriosito da quell’invito: aveva congedato metà delle guardie, tenendo solo una piccola scorta per il viaggio verso Raxum. Aveva ordinato di prepararsi alla partenza la sera stessa: voleva percorrere il prima possibile la distanza che lo separava dal tempio.

Quando Tairan disse che sarebbero partiti all'alba del giorno successivo, Isgar dovette trattenersi dal maledire il sovrano per la sua avventatezza.

Per tutta la notte, il governatore non aveva fatto altro che scongiurarlo di tornare nella capitale.

Tairan, all’ennesima preghiera, aveva sorriso, scuotendo la mano come per scacciare una mosca.

«Ma via, mio buon amico. Come potete dire che quell'uomo stesse mentendo?»

«Da quando è nato quel fiore, la situazione è cambiata. Molti avvertono sensazioni ostili. Ed io non sopporto la magia. È un'inutile perdita di tempo» sbottò il  governatore, sedendosi su un rozzo sgabello.

«Eppure tempo fa, non sembravi disdegnare quell’arte» gli disse Tairan alzando un sopracciglio. Il governatore si limitò a scrollare le spalle, borbottando qualcosa che fece sorridere il sovrano.

 

La mattina seguente, Tairan uscì da Ysame con una piccola scorta.

Cavalcava in testa al drappello e il mantello blu notte ricamato d'oro si agitava, seguendo i movimenti del cavaliere. Il destriero, un cavallo purosangue nero – compagno del re da molti anni – sbuffava, scuotendo la testa. Davanti a loro, si estendevano solo campi coperti da un manto bianco e i capelli di Tairan sembravano scomparire in quella candida copertura.

Faceva freddo ma il re non se ne curava: ogni tanto spingeva in avanti la sua cavalcatura al galoppo per poi tornare indietro. Ai richiami delle guardie rispondeva alzando le spalle e ridendo.

La sua ennesima risata cristallina fu spezzata dall'apparizione di una luce, poco distante da loro.

Il cavallo di Tairan s’impennò, nitrendo spaventato. Il re perse la presa sulle staffe e sulle briglie per poi cadere nella neve con un tonfo sordo.

Una guardia si precipitò a calmare il destriero mentre Tairan si avvicinava alla luce. Man mano che avanzava a fatica nella neve, notò che non era un globo luminoso, come aveva creduto all'inizio, ma uno spirito del fuoco. Aveva visto alcune rappresentazioni in un libro di magia ma non sapeva altro di loro: il precettore gli aveva sempre ricordato quanto esercitare la magia – in particolar modo l'evocazione di spiriti – fosse pericoloso per un re. Tuttavia, quel vecchio scorbutico non pareva ricordarsi che era stato proprio grazie all'aiuto degli evocatori che suo nonno, molti anni prima, aveva vinto una lunghissima guerra.

«Tairan?»

«Sono io» rispose il re.

«Seguitemi, maestà».

Tairan fece cenno alle guardie di tornare indietro e si avviò verso la foresta che circondava Raxum: gli scheletri neri degli alberi cominciavano già ad apparire in lontananza.

Dopo qualche ora di cammino, Tairan non poté più tenersi dentro una domanda che gli agitava l'animo dal momento in cui Iagei aveva pronunciato la profezia.

«Cos'è la Notte?»

Lo spirito continuò ad andare avanti, brillando nella distesa bianca.

«Cent'anni orsono, le terre di Iktali vivevano in un'estrema povertà; solo il tempio di Raxum continuava a splendere. Così, sollecitato dalle preghiere della popolazione, Iagei invocò un demone, nella speranza che aiutasse la popolazione. Ma tutto fu vano. Il demone invocato rubò a Iagei tutte le sue conoscenze: la foresta fu la prima a morire. Come vedi, di tutti gli alberi rimangono solo gli scheletri. Poi, i pellegrini cominciarono a non chiedere più vaticini all'oracolo e il tempio cadde in disgrazia. Giorno dopo giorno, arrivavano notizie macabre: tutti gli evocatori, ad eccezione di Iagei, erano morti. Così si è trovato a passare anni di sofferenza, solo, in quel tempio dimenticato da tutti».

Lo spirito si fermò un attimo, indicando la foresta ormai completamente visibile.

«Ciò che ha scoperto con il tempo è che quel demone l'ha maledetto, costringendolo a vivere per altri cento anni. Quanto bastava per vedere la tragica conclusione del suo gesto. Quando ha saputo della tua salita al trono e della nascita di quel fiore a Ysame – eventi posti a ventiquattro anni di distanza l’uno dall’altro – ha annunciato che la Notte era vicina e che il caos avrebbe presto regnato».

«Perché io?»

La domanda si perse nel silenzio e Tairan scelse di non chiedere più niente.

Un canto lugubre si fece sentire poco dopo che furono entrati nella foresta e il re si bloccò sul posto.

«Chi osa oltrepassare i confini sacri del regno di Nyris?»

Lo spirito del fuoco si voltò verso Tairan, guardandolo terrorizzato.

«Vattene, scappa lontano! Ormai ora come ora non puoi fare niente! Giungerà un tempo migliore in cui la giustizia prevarrà!»

Tairan si guardò intorno spaventato, facendo poi come gli era stato detto.

Nel correre, inciampò in una radice, cadendo rovinosamente a terra.

Le vesti si strapparono e alcuni brandelli di stoffa blu rimasero incastrati nei rami.

Si trascinò a stento fuori dalla foresta, inginocchiandosi poi nella neve.

Si portò una mano sul braccio: i graffi non erano profondi ma producevano un dolore tale da immobilizzare l'arto.

Guardò con occhi colmi di paura la foresta: chiunque fosse quella Nyris, era certo che il suo potere fosse molto grande. Tra gli alberi aveva intravisto innumerevoli creature, dagli aspetti più vari. Creature che, inevitabilmente, erano state evocate.

Tairan sentì le forze venirgli meno non appena qualcosa lo colpì al petto. Cadde riverso nella neve e le vesti si sporcarono di sangue. Una donna dai lunghi capelli neri uscì dalla foresta e, con passo lento, si diresse verso Tairan.

Si abbassò ad accarezzargli una guancia ma quel gesto di tenerezza fu stroncato dal ghigno che le tagliò in due il volto. Lo guardò con disprezzo, allontanandosi poi in direzione di Ysame, accompagnata da uno spirito di nero vestito. Sopra la sua testa, il globo multicolore emetteva bagliori di varie tonalità. Questi, accompagnati da antiche formule rituali pronunciate dalla donna, non appena toccavano la distesa nevosa, facevano nascere nuovi spiriti e famigli, pronti a servire colei che gli aveva evocati.

Quando la sua esile figura scomparve dietro una collinetta, Iagei si precipitò a soccorrere Tairan.

Indossava una veste bianca e si confondeva con la neve; dal fianco pendeva un fodero rozzo, formato da pelli. Al contrario, l’elsa della spada era riccamente decorata: fili d’oro e d’argento si univano in uno stretto e complicato reticolo.

Iagei estrasse la spada dal fodero e la lama brillò, colpita dai raggi del sole. La posò delicatamente sul petto del sovrano, indugiando poi a lungo con la mano sopra l’arma.

«Avrei voluto spiegarti tutto, Tairan. Dirti cosa sta succedendo nel tuo regno e chi sono veramente le persone cui tieni di più. Purtroppo, Nyris me l’ha impedito. Confido in te, Tairan. Adesso sei l’unico che può salvare le Terre di Iktali».

Si allontanò di pochi passi, stringendo tra le mani il bastone mentre osservava il sole splendere nel cielo.

Iagei chiuse gli occhi mentre il suo corpo era avvolto da un fumo nero.

 

Tairan aprì gli occhi a fatica: cercò di mettere a fuoco il luogo dove si trovava ma vedeva solo immagini distorte sulle pareti.

Lasciò vagare lo sguardo sul soffitto, osservando alcune crepe.

Ricadde ben presto addormentato, ma il sonno fu agitato da incubi e immagini. Si svegliò di soprassalto e cercò di mettersi a sedere. Una mano, la stessa che l'aveva svegliato, glielo impedì.

«Calmati, Tairan. Nelle tue condizioni, agitarti così ti fa solo peggio».

«Dove sono?»

«A Ysame. È stata una fortuna che quel drappello ti abbia trovato».

«Cos'è successo?»

Il governatore scosse la testa.

«Questo lo sai solo tu. Avevi questa spada sul petto».

Tairan sfiorò appena la lama con un dito.

«Non sembra forgiata da mano mortale».

«No, infatti. È stata prodotta dagli spiriti».

Il governatore sospirò vedendo l’espressione confusa del sovrano.

«Lo sai che conosco le basi dell'arte dell'evocazione. È tutto ciò che ricordo del tempo in cui vivevo a Raxum».

«Immagino quindi che anche il nome con cui ti conosco non sia lo stesso».

«No, maestà. Isgar è sempre stato il mio nome».

«Almeno questo».

«Mi spiace avervi mentito per così tanto tempo ma...»

«Non preoccuparti. E ti prego, non mantenere quel tono formale anche ora».

«Grazie, Tairan. Adesso riposa. Le ferite si stanno rimarginando. Fortunatamente, non sono profonde e soprattutto non hai perso molto sangue. Penso che Iagei ti abbia trovato in poco tempo e che ti abbia soccorso nel miglior modo possibile. Spesso, gli evocatori hanno conoscenze ottime anche nel campo della medicina».

«Dov'è Iagei?»

«Non lo so: i cavalieri hanno trovato solo un medaglione nella neve. Immagino che il suo tempo sia finito e la Notte sia vicina. Inoltre, imminente è anche il momento della nostra battaglia contro il male».

 

Nelle ore successive, Tairan chiese spesso spiegazioni a Isgar sul significato delle ultime parole che lo spirito gli aveva rivolto.

Soltanto la sera, il governatore si decise a parlare, convinto più dalla spada che il sovrano gli stava puntando alla gola che dalle sue parole.

«Maestà, siete certo che…»

«Sì. Voglio capire cosa sta succedendo nel mio regno e sembra che tu sappia una verità che io ignoro».

Isgar si fermò davanti alla finestra, osservando le colline innevate che si estendevano intorno a Ysame.

«È colpa di quel demone… ha fatto in modo di accumulare più potere possibile prima di scatenare la peggiore delle sciagure. L’ho intravista di sfuggita una sola volta: ha l’aspetto di una donna bellissima – occhi color dell’oro e lunghi capelli corvini. Nessuno può resisterle: se uno non cade tra le sue braccia, cade colpito dalle creature da lei evocate. Sei in pericolo, Tairan. E Ysame non è un posto sicuro per te».

«Isgar…»

Il governatore si portò le mani tra i capelli, mormorando parole di scuse.

Tairan abbassò la testa, sospirando sconsolato.

«E cosa possiamo fare?»

«O aspettare e morire o prepararci e combattere».

«Isgar. Calmati. Combatteremo. Ho giurato di donare a questo regno anche la mia vita, non sarà un demone a fermarmi».

Isgar fece per aprire bocca ma un improvviso boato fece sobbalzare entrambi.

Tairan guardò il governatore: Isgar sembrava pietrificato sul posto mentre la terra tremava.

Non era la prima vola che un terremoto scuoteva le Terre di Iktali – Isgar e Tairan ne era ben consapevoli – ma quella volta sembrava diversa dalle precedenti. Mai nessuna cronaca aveva riportato un tale boato o una tale violenza della terra nel tremare.

Nelle strade si scatenò il caos: le persone, in preda al panico e incapaci di capire ciò che stava succedendo, correvano di qua e di là, urlando per la paura. Ovunque si vedevano le case crollare: quegli ammassi di pietre e fango non resistettero alla violenza del terremoto. Nessuno seppe mai quale fu il numero di vittime: le cronache riportarono che il terremoto si sentì in ogni parte del regno, facendo crollare interi villaggi e alcune città – tra cui la capitale, amatissima da Tairan – riportarono seri danni.

Lo splendore delle Terre di Iktali era stato ferito nel profondo.

Isgar si riprese all’improvviso: afferrò il polso di Tairan e lo trascinò lungo i corridoi, cercando di evitare la servitù che correva qua e là all’impazzata.

Non appena uscirono all’aperto, Tairan rabbrividì: indossava solo una leggera veste bianca e il freddo si era fatto più pungente. Isgar lo coprì con il proprio mantello, facendogli segno di seguirlo.

Il re strinse la mano sul fodero della spada. Era riuscito ad afferrare l’arma un attimo prima di correre fuori.

«Isgar, guarda là» mormorò Tairan con voce tramante.

Il governatore notò con orrore che tutt’intorno a Ysame vi erano degli spiriti. Isgar estrasse la propria spada, dicendo a Tairan di correre il più lontano possibile.

Le urla spaventate che si levavano da ogni parte del paese accompagnarono la fuga di Tairan a lungo finché il silenzio della neve non ebbe il sopravvento: guardò Ysame, ormai un cumolo di sassi e fango, un’ultima volta prima di inoltrarsi lungo la neve.

Osservò sconsolato come lui, il re, si ritrovasse a vagare tra le nevi, in compagnia di una spada e senza indumenti per proteggersi dal freddo, se non il mantello di Isgar. Si fermò ansimante accanto a un albero: il dolore al petto gli impediva di continuare la fuga. Si sedette, appoggiando la schiena al tronco e stringendosi nel mantello. Ben presto, complici il dolore e la fatica, cadde in un sonno profondo.

 

Tairan aprì con fatica gli occhi: le ultime parole di Isgar gli tornavano in mente. Il sovrano lasciò vagare lo sguardo tra le fronde degli alberi poi cercò di alzarsi ma un dolore lancinante gli artigliò il petto: la ferita continuava a fargli male.

Ripensò a cosa fosse successo la sera prima: aveva visto Isgar combattere con tutte le sue forze contro quegli spiriti per dargli una minima possibilità di sopravvivenza. Lui era scappato, piangendo la sorte dell'amico e aveva trovato rifugio nella foresta di Rakat, a poca distanza da Ysame.

Sapeva che gli spiriti lo stavano cercando: appena sveglio, aveva sentito i loro lugubri lamenti e in lontananza aveva visto le loro figure muoversi leggiadre. Inoltre, sogni popolati di demoni e strane profezie avevano tormentato il suo sonno.

Isgar...

Non aveva la minima idea di dove fosse in quel momento l’amico: molto probabilmente era caduto combattendo o era prigioniero di quel demone. Si sentiva solo e vulnerabile: si stringe di più nel mantello, cercando protezione in esso.

Tairan estrasse la spada dal fodero, osservandola attentamente. Sulla lama vi erano incise delle lettere: tracciandone il contorno, scoprì che formavano una frase.

La speranza della luce offuscata dalle tenebre del male presto risorgerà.

Tairan appoggiò la schiena contro il tronco di un albero: lui era un uomo di corte, educato fin dalla nascita a governare e tutte quelle profezie lo facevano andare impazzire.

«Fossi almeno un evocatore...» si disse fra sé, non del tutto convinto della veridicità della profezia mentre rinfoderava la spada

«Cosa farai adesso, grande Tairan? Aspetterai qui la morte o combatterai?»

L’uomo sobbalzò.

«Non temere, sono qui per aiutarti».

«Chi sei?»

Uno spirito del fuoco fece capolino da un albero lì vicino e si avvicinò lentamente a Tairan.

«Sono evocato dall’unico discendente di Iagei. Mi ha pregato di aiutarti».

«Qual è il tuo nome?»

«Noi spiriti non abbiamo nomi, sempre che non ci sia dato da chi ci ha evocati».

«Posso chiamarti Tait?»

Lo spirito inclinò la testa, sorridendo appena.

«Conosci la lingua degli spiriti, grande Tairan?»

«Appena».

«Perché mi avete assegnato il nome che significa lealtà?»

«Perché la lealtà è ciò che ha contraddistinto fino alla fine la persona a me più cara».

«Non preoccupatevi, vi sarò fedele fino alla fine, maestà».

«Parli come alcuni dei miei cortigiani».

«Vi manca la corte?»

«Un po’… più che altro quest’evento è giunto inaspettato eppure, a questa faccenda di spiriti e demoni ci credo, anche se ho sempre disprezzato la magia».

Tait sorrise.

«So che devo spiegarti molte cose. Ma adesso andiamo, gli spiriti di Nyris non ci metteranno molto a trovarti».

«Ho sempre sentito il suo nome... Chi è Nyris?»

«È colei che ti accingi a combattere, il demone che minaccia il tuo regno. E quella spada è l’unica arma in grado di sconfiggerla. Ma da sola non funzionerà: solo se la mano che la impugna è salda nella forza della giustizia, sarà sconfitta».

Tairan annuì e Tait continuò.

«È stata la spada a proteggerti dagli spiriti stanotte: fu forgiata in tempi lontanissimi nel mondo degli spiriti ed è in grado di tenere lontano dal suo possessore gli spiriti legati al male. Tuttavia non potrà proteggerti per sempre: dovrai imparare a usarla e a difenderti dal Male. L’eterna lotta tra Bene e Male dilania ogni luogo in ogni tempo: nessun regno può dirsi tale se tale conflitto non lo lacera almeno una volta. Ricordati di coloro che ti sono stati vicino in tempo di guerra, che hanno condiviso con te il dolore delle sconfitte e la gioia delle vittorie. La forza più grande per combattere il futuro sta nell’imparare dal passato».

«Posso fidarmi completamente di una sola persona».

«Ne sei certo?»

«Ho visto molte persone nude nelle loro debolezze».

«E cosa hai capito?»

«Che solo una, mentendo pur di salvarmi, ha mostrato la sua vera natura».

Tait annuì.
«Non temere, allora. Va’ per la tua strada: io ti accompagnerò ovunque».

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


il demone della notte 2

Capitolo II

 

 

Dalla cima di una collina poco distante da Ysame, stagliata contro la luce rossa del tramonto, una donna aveva osservato il villaggio crollare pietra dopo pietra.

Era rimasta impassibile quando le avevano annunciato la fuga di Tairan: ovunque quello si andasse a nascondere, lei lo avrebbe trovato.

Aveva mutato espressione solo per un attimo quando uno spirito del ghiaccio le aveva portato come prigioniero il governatore di Ysame.

Non appena quello aveva accennato alla resistenza dell'uomo, lei era andata su tutte le furie, facendo scomparire lo spirito.

Notò con piacere che Isgar, inginocchiato davanti a lei con le mani legate dietro la schiena, tremava.

Si abbassò per accarezzargli una guancia ma l'uomo si ritrasse, guardandola con aria truce.

«Non sei in grado di nuocermi, Isgar. Lasciati coccolare un po'» gli disse la donna scoppiando poi a ridere.

Isgar abbassò lo sguardo: la sua unica speranza di salvezza l'aveva riposta in Tairan e pregò gli dei che il sovrano si fosse messo in salvo.

Si pentì immediatamente della preghiera: osservò inorridito e impotente come una moltitudine di spiriti appena evocati si lanciasse alla ricerca di Tairan. Solo allora, si ricordò che i demoni avevano la facoltà di leggere nella mente.

«Sei stato allevato da Iagei, vero?»

Isgar annuì.

«E cosa sai dell'arte dell'evocazione?»

«Poco, a dire il vero. Anni fa ero in grado di evocare gli spiriti di base, la classe più debole. Ma con il passare degli anni ho preferito dare più spazio alla politica, seguendo la strada che mio padre aveva tracciato per-».

«Non mentirmi! – la donna lo colpì con forza al volto – Ti sei nascosto dietro una pila di fogli, per rimpinzarti ai banchetti e per fare una vita comoda, lontana dalle forze del male. Voi umani siete così stupidi!»

Isgar abbassò lo sguardo.

«Brucia sapere la verità. Vero, Isgar, figlio di Iagei? Tuo padre volle tenerti lontano da me ma ha fallito nella sua impresa: guardati. Sei qui, ferito e sottomesso a me. Per quanto tempo avevi intenzione di nasconderti da me?»

La donna lo costrinse ad alzare il viso.

«Ignorava il fatto che avessi lanciato una maledizione anche su di te: lui sarebbe vissuto fino alla Notte. Al contrario, per te, il tempo di cent'anni sarebbe equivalso a trenta. Pensavi che non mi fossi accorta di quel goffo bambino che correva attraverso la foresta mentre questa moriva?»

Isgar scosse la testa.

«Ti do la possibilità di aiutare Tairan. Puoi evocare un solo spirito che lo soccorra».

L'uomo alzò la testa, spalancando gli occhi.

«Non... Non evoco uno spirito da anni...»

La donna rise.

«Sarà un bello spettacolo vederti fallire».

«Se si tratta di aiutare Tairan non fallirò».

La donna lo slegò mentre un ghigno le tagliava in due il volto.

«Ricordi il mio nome?»

«Nyris, la distruttrice».

Quella annuì.

Era rimasta uguale alla prima volta che Isgar l'aveva vista: lunghi capelli neri incorniciavano il viso, di un candore troppo irreale per essere umano. Rabbrividì, ripensando a come si era sentito osservato da quegli occhi gialli mentre correva attraverso la foresta.

Si rivide bambino: ogni notte si addormentava tra le lacrime, pregando che quel segno nero che aveva sul braccio – una catena di anelli concentrici – sparisse per sempre, liberandolo da quel legame.

Chiedeva insistentemente ai maghi corte di aiutarlo ma loro si limitavano a scacciarlo come un insetto: soltanto un vecchio generale venne in suo aiuto, consigliandogli di non ribellarsi al potere che aveva in sé.

Ripensò anche al suo primo incontro con Tairan: il giovane principe l’aveva scambiato per una ragazzina, invitandolo a ballare. Ignorando che fosse l’erede al trono, Isgar, in preda all’imbarazzo, gli aveva scagliato contro uno spirito del fuoco, suscitando l’ilarità dei presenti. Tairan non si era scomposto più di tanto, facendo solo un commento sconsolato sul fatto che gli aveva appena bruciacchiato il vestito preferito.

Isgar sorrise: da quel giorno, si era completamente affidato a Tairan e pian piano si era dimenticato il mondo carico di magia di Raxum. Tuttavia, la catena di anelli continuava a esistere, facendo in modo che la maledizione si attuasse.

Nonostante avesse giurato a Tairan completa fedeltà e la sua lealtà verso il principe non fosse messa in discussione da nessuno, Isgar non aveva mai trovato il coraggio di raccontare a Tairan per quale motivo era arrivato malconcio nella capitale.

Isgar si asciugò una lacrima che non era riuscito a trattenere mentre ripensava a quel tempo.

Mormorò qualcosa, tenendo le mani a forma  di coppa. Una luce rossa nacque tra esse, continuando a ingrandirsi. Isgar la lasciò libera di fluttuare nell’aria e pian piano prese la forma di un giovane.

«Va da Tairan, dimostragli che la mia lealtà non conosce confini!» gli gridò mentre quello si allontanava.

«Un esempio patetico di lealtà. Non ti servirà a nulla: i miei spiriti sono molto più forti del tuo».

«Hai rubato il potere a mio padre».

Nyris rise, guardandolo con disprezzo.

«Sarà un piacere torturarti e rubarti la vita».

 

Isgar riaprì gli occhi a fatica: provò a portarsi una mano alla testa – quel dolore non gli dava tregua – ma notò con orrore che era legato a una colonna.

Sentiva freddo: per quanto tempo era rimasto svenuto nella neve dopo che era stato colpito alla testa? Tanto, poiché i vestiti erano ancora bagnati.

Si guardò intorno, riconoscendo a tratti la sala in cui tante volte aveva giocato o ascoltato le lezioni del padre che cercava di insegnargli l’arte dell’evocazione.

Sorrise mesto vedendo che il braciere tanto amato da Iagei campeggiava ancora sul fondo della sala: la stessa sfera multicolore vi trovava posto, lanciando bagliori sulla parete vicina. L’unica cosa che era cambiata era la tonalità dei colori: se li ricordava brillanti, portatori di luce; in quel momento, invece, apparivano cupi, come se il Male li avesse corrotti con le sue tenebre.

La fissò a lungo, ripensando ai tempi in cui ogni così sembrava così tranquilla: quella calma apparente nascondeva eventi terribili da cui Iagei voleva tenere lontano il figlio, nella speranza che potesse un giorno occupare il posto del padre.

Ma le circostanze gli avevano portati a vedere i loro progetti sgretolarsi giorno dopo giorno: Iagei aveva fallito nello sconfiggere Nyris, Isgar aveva abbandonato gli studi dell’evocazione per dedicarsi alla politica, ritenendola un’attività più sicura. Entrambi si erano affidati a Tairan, convinti che il re potesse cambiare la situazione: tuttavia Isgar sentiva le sue convinzioni vacillare, come se neanche la speranza riposta nel sovrano potesse cambiare la situazione.

«Le Terre di Iktali sono destinate a sprofondare nelle tenebre, non lo pensi anche tu, Isgar?»

«Non la penserò mai come te».

«Usi quel tono sprezzante ma non puoi fare assolutamente niente per fermarmi: il tuo sovrano se l’è data a gambe, abbandonandoti a Ysame. E tu sei qui, prigioniero nel luogo che era la tua casa».

Isgar non rispose, continuando a guardare male Nyris.

Quella donna, nella sua malvagità, aveva un fascino cui era quasi impossibile resistere e l’ormai decaduto governatore di Ysame doveva appellarsi a tutte le sue forze per non esserne sopraffatto.

«Lo so che mi desideri, Isgar. Leggo i tuoi pensieri contrastanti però, se ci rifletti bene, arriverai alla conclusione che sarebbe molto più vantaggioso per te lasciarti andare».

«E tradire la parola data a Tairan? Mai».

«Pensaci: ti lascio un giorno di tempo. Domani mi darai una risposta».

 

Isgar passò una notte insonne, combattuto tra due pensieri contrastanti. Temeva la morte e il concedersi a Nyris l’avrebbe salvato da essa. Tuttavia, non voleva tradire la parola data a Tairan: lui, che gli aveva posto la corona sul capo, che l’aveva sostenuto in ogni decisione non poteva mettersi gettare via così la parola data!

Tormentato nell’animo, Isgar lasciò che le lacrime sgorgassero. In lontananza sentiva l’orologio ad acqua segnare il tempo: ogni cosa lì lo riportava al passato, impedendogli di fermare il pianto.

«Patetici. Siete una razza patetica. Così legati al passato da non riuscire a cambiare radicalmente il futuro. Chiamate noi demoni nella speranza che le vostre menti siano liberate dai lacci del passato…»

«Basta! Vattene! Mi hai dato tempo fino a domani!» urlò Isgar.

Nyris parve interdetta: non si aspettava una tale reazione da parte dell’uomo.

Si allontanò in silenzio e il fruscio dell’abito fu l’unico rumore che Isgar sentì prima di cadere in un sonno agitato.

Frammenti di ricordi popolarono i suoi incubi e la mattina seguente, Isgar si svegliò più tormentato che mai.

La catena che spiriti e famigli formavano intorno alla colonna si ruppe solo per lasciar passare Nyris e lo spirito della Morte.

Isgar osservò con disgusto la dimostrazione di potere che Nyris gli stava offrendo: riconobbe alcuni spiriti che erano stati evocati dal padre e ciò contribuì solo a far aumentare la sua rabbia.

«Qual è la tua decisione, Isgar, figlio di Iagei?»

L’uomo alzò la testa e alcune ciocche gli ricaddero scomposte sulla fronte.

«Resterò fedele a Tairan. Fino alla morte».

Nyris strinse i pugni: quell’uomo – così come suo padre – rischiava di farle perdere la pazienza.

«Con il fuoco hai aiutato Tairan. Per mezzo del fuoco morirai».

Rivolse a Isgar uno sguardo di sfida e si sentì sollevata nel vedere la paura farsi strada nell’animo del prigioniero.

«Le tue ultime urla risuoneranno nel cratere di Kecycira. Là dove si dice che sia scomparso L'Ultimo Drago tu perirai».

Isgar ascoltò con il terrore negli occhi il canto intonato dagli spiriti. La sentenza pronunciata da Nyris portava con sé una morte atroce: ricordava ancora le urla disperate di un uomo gettato vivo in quel vulcano. Quanti pensavo che quella fosse una morte indolore e rapida si sbagliavano: una lunga sofferenza precedeva il momento in cui – solo se uno era fortunato – prendeva fuoco e bruciava fino alla morte.

«Non avrò il piacere di strapparti la vita con le mie stesse mani ma vederti tormentato dall’elemento cui sei più legato sarà soddisfacente lo stesso».

La risata con cui Nyris finì il discorso fece gelare il sangue nelle vene a Isgar che abbassò il capo, lasciando che una lacrima gli rigasse il viso.

«Perdonami, Tairan…»

«Sei patetico».

 

Kecycira era l'unico vulcano delle Terre di Iktali: da tempo immemorabile faceva da scenario a svariate leggende, la più famosa delle quali riguardava l'Ultimo Drago. Si diceva che quello avesse scelto Kecycira come dimora nel sonno eterno.

Ma Isgar sembrava completamente dimentico di quella leggenda: pensava solo alla morte imminente.

Il terrore gli attanagliava le membra e solo la salda presa dello spirito della Morte sul braccio gli impediva di cadere a terra quando, ad ogni passo, sentiva le gambe cedere.

Isgar aveva paura.

E lo spirito della Morte lo sapeva.

Aveva torturato il suo prigioniero a lungo prima di costringerlo a prendere la via più impervia, in modo da aumentare il tempo che lo separava dalla morte. Lo spirito si fermò solo quando giunse sulla vetta del vulcano.

Fece cenno a Isgar di avvicinarsi: quello, tremando, lo raggiunse sul bordo al cratere.

«Osserva il panorama: guarda a cosa hanno portato le tue azioni e quelle di tuo padre!»

Isgar osservò inorridito la piana che si estendeva a Nord del vulcano, campo di una sanguinosa battaglia.

Aguzzando la vista, vedeva interi villaggi e città in rovina: tra essi, riconobbe il cumolo di pietre che una volta era Ysame.

Il tempio di Raxum, una macchia bianca nel mezzo della foresta, era ben visibile.

Un improvviso alito di vento scompigliò i capelli a Isgar, facendolo tornare alla realtà. Non poté trattenere una lacrima: lo splendore di quelle terre era ormai un ricordo lontano.

Guardò in basso, scrutando la lava che ribolliva nel cratere; istintivamente, fece un passo indietro, cadendo rovinosamente a terra.

«Hai paura della morte, Isgar?»

«Sì» ammise l'uomo.

Lo spirito ghignò.

«È più piacevole vedere spirare coloro che mi temono. Hanno espressioni così terrorizzate che ripagano tutti gli anni che ho dovuto aspettare per strappare loro la vita!»

Isgar non rispose, limitandosi a guardare le pietre. Un singhiozzo gli scosse le spalle e ben presto l'uomo era diventato preda del pianto.

Lo spirito lo guardò con disprezzo, alzandolo poi di peso. Lo trascinò fin sull'orlo del cratere, nonostante quello si dimenasse cercando di scappare.

«Hai segnato il tuo destino, Isgar! Non puoi più sfuggirmi!»

Lo spirito lasciò la presa sul braccio e Isgar si rannicchiò, rimanendo chiuso nel suo silenzio.

«Hai un ultimo desiderio?»

«Sì».

«Allora parla».

«Al momento della sua morte... Vorrei che Tairan diventasse uno spirito. So che avete quest'intenzione per me».

Lo spirito parve divertito e poco dopo scoppiò a ridere.

«Cosa c'è di tanto divertente?»

«È impressionante quanto voi umani siate stupidi: voler continuare un legame anche oltre la morte è un modo per soffrire in eterno. Ma adesso basta! È ora che il tuo destino si compia!»

Isgar si trascinò a fatica sull'orlo del cratere: la lava ribolliva, formando grosse bolle incandescenti che esplodevano in pochi secondi.

Si voltò verso lo spirito: teneva la testa china e le mani congiunte. Mormorava una preghiera, indubbiamente rivolta a Nyris.

Vedendo la reticenza di Isgar, gli si avvicinò con aria minacciosa, facendolo arretrare finché all'uomo non mancò la terra sotto i piedi.

Isgar si aggrappò a una roccia, in un ultimo, disperato tentativo di salvarsi dalla morte.

Lo spirito gli rivolse un’occhiataccia. Incurante delle sue preghiere e delle sue lacrime, lo costrinse a precipitare nel vuoto.

L’uomo chiuse gli occhi, precipitando nel vuoto. Chiese un’ultima volta aiuto prima di cadere nella lava.

Lo spirito rimase immobile, in piedi sul bordo, ascoltando le urla di dolore di Isgar e osservandolo agitarsi.

Seguiva con lo sguardo i suoi disperati movimenti: Isgar si contorceva, invocando la morte. Sicuramente il dolore per l’uomo era insopportabile: quella razza così debole non poteva sopravvivere a tanto!

Quando lo raggiunse l’ennesimo urlo, lo spirito voltò le spalle, scendendo lungo il sentiero.

«Addio, Tairan. Spero che tu possa perdonarmi…» riuscì a mormorare Isgar prima che le fiamme avvolgessero il suo corpo, ponendo fine alle sue sofferenze.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


il demone della notte 3

Capitolo III – epilogo

 

Dopo che il terremoto ebbe scosso le Terre di Iktali nella Notte, il regno era precipitato nel caos: all’inizio, il malcontento popolare sfociò in piccoli conflitti tra villaggi e città vicine per la supremazia in una determinata regione. Con il passare del tempo, le scaramucce divennero una guerra civile.

Girava la voce che Tairan fosse morto e alcuni nobili, approfittando dell’occasione, si autoproclamarono re: i loro regni duravano, però, poco. C’era sempre qualcuno più spietato e scaltro di loro che pretendeva il trono.

La capitale divenne ben presto un campo di battaglia per una guerra senza quartiere: fazioni opposte si scontravano nelle vie e le stragi di civili erano all’ordine del giorno.

Nessuno sembrava in grado di cambiare la situazione: da ogni parte del regno giungevano notizie di nuove battaglie, carneficine e rivolte.

Alla situazione già compromessa sul piano politico e sociale, si aggiunse il dilagare di carestie e pestilenze e la popolazione delle Terre di Iktali ben presto fu dimezzata.

 

La foresta intorno a Raxum era sempre uguale: una moltitudine di scheletri di alberi morti che cingeva un tempio abbandonato.

Tairan rabbrividì, stringendo la mano sull'elsa della spada.

Appellarsi al passato per vincere il futuro.

Non era sicuro che ciò, insegnatoli da Tait nei mesi precedenti, potesse aiutarlo a vincere.

Da quando era avvenuta la Notte, esattamente un anno prima, il sole non aveva più accarezzato le terre di Iktali con i suoi raggi caldi: una sola, perpetua notte le aveva avvolte, creando a una situazione di guerre civili in cui l'autorità del sovrano non era più riconosciuta come tale.

Tairan aveva vagato a lungo, disprezzato dai sudditi e abbandonato da chi chiamava amici.

Tait era la sua sola compagnia: lui e il ricordo di Isgar lo spingevano ad andare avanti, impedendogli di capitolare davanti a Nyris.

Era sfuggito ai suoi stacchi già molte volte, sempre salvatosi, talvolta in extremis, grazie al potere della spada.

«Che cosa devo fare adesso?» aveva chiesto una sera a Tait.

«Combattere».

Combattere, per guadagnarsi un futuro di luce e giustizia.

Combattere, per salvare il regno.

«Nessuno potrà aiutarti all'intero della foresta. Sarai da solo e la tua forza risiede nella spada: essa contiene la speranza della giustizia. Il destino dello scontro tra bene e male dipende da te».

Così Tait l'aveva ammonito prima che entrasse nella foresta.

Ma in quel momento, solo nell'oscurità, Tairan si sentiva fin troppo vulnerabile: quei canti lugubri, che accompagnavano i suoi passi verso Raxum, gli facevano gelare il sangue nelle vene. Figure etere di spiriti vagavano tra i rami: i loro colori cupi spezzavano a tratti l'oscurità della foresta.

Ma Tairan, sebbene non lo vedesse, era certo che lo spirito della Morte - compagno inseparabile di Nyris - lo stesse seguendo.

Qualsiasi richiamo degli animali notturni che lì abitavano lo faceva rabbrividire: ognuno di essi gli appariva come un preannuncio della fine.

Poi, all'improvviso, ogni rumore cessò: Tairan avanzò lentamente mentre la paura cresceva nel suo animo.

Lo scricchiolare dei rametti caduti a terra lo accompagnò fino alla scalinata del tempio.

Tairan si fermò: sentiva la mano tremare sull'elsa e si disse che mai era stato così impaurito prima di un combattimento.

Il tempio, corrotto dal tempo e dalla potenza maligna, si erigeva maestoso davanti a lui.

Le colonne erano avvolte da piante rampicanti e solo a tratti si poteva scorgere la policromia del marmo.

Salendo i tre gradini della scalinata, Tairan notò che sui muri si vedeva ancora l'annerimento causato dalle fiaccole.

Si fermò davanti a una colonna, allungando una mano per toccare la pianta che la ricopriva. Le foglie che sfiorava cadevano a terra polverizzate.

Ogni cosa, in quel tempio, aveva il sapore della morte: il tempo sembrava essersi fermato, lasciando che il male s’impossessasse del luogo.

Tuttavia, Tairan si sentiva messo in soggezione da quelle colonne.

C'erano molte leggende su Raxum: una di queste riguardava la sua costruzione.

Dopo aver ascoltato quella leggenda, Tairan aveva passato molte notti a fantasticare sulle creature che l'avevano costruito.

Quegli strani esseri - ghoul, spiriti elementari e famigli - avevano popolato i suoi sogni di bambino. Alcuni dicevano che su alcune colonne si vedessero i segni lasciati dagli artigli dell'Ultimo Drago.

Tairan accarezzò un'ultima volta il fusto della colonna prima di avanzare nel pronao.

Continuava a guardarsi stupito intorno, certo di essere uno dei pochi sovrani di Terre di Iktali a mettere piede in quel tempo così antico e maledetto.

«Cosa vi succede, maestà?»

Tairan alzò gli occhi, fissando un famiglio che lo guardava con aria di scherno.

«Avete forse paura, maestà?» aggiunse un altro, arrampicandosi velocemente su una colonna.

«Guardate, guardate, sua altezza va alla morte: alla corte lugubri canti intonare voi possiate» cantilenò uno spirito del fuoco, volteggiando sopra la sua testa.

Tairan. alzando la testa, notò che aveva un colore diverso da quello di Tait: le sue fiamme erano d'un rosso cupo, quasi nero.

«Venite a offrirvi in sacrificio a colei che regnerà sulle terre di Iktali?» gli chiese un piccolo famiglio posandosi sulla sua spalla.

Tairan lo scacciò con un gesto stizzito della mano, avanzando più velocemente.

Il coraggio gli veniva meno a ogni passo: si sentiva impaurito quanto un contadino la prima volta che si presentava al suo cospetto.

Tante volte aveva visto il terrore negli occhi mentre, inginocchiati davanti al trono, balbettavano le loro suppliche. E in quel momento era certo di avere lo stesso terrore dipinto sul viso intanto che si accingeva a varcare l'ingresso di Raxum.

La presenta di spiriti e famigli sopra la sua testa lo irritava abbastanza: fece per estrarre la spada ma, allarmato dallo sfrigolio prodotto dalla lama sul fodero, uno spirito gli fermò la mano.

Persuaso dalle sue parole, Tairan rinfoderò la spada e, accompagnato dal coro di voci non troppo rassicurante del gruppo di spiriti e famigli, varcò la soglia del tempio.

L'edificio era composto di una sola, grande sala e spessi muri la circondavano.

Sul pavimento c'era una scritta di colore rosso sangue: la profezia che gli aveva cambiato la vita si stagliava minacciosa davanti ai suoi occhi. Un ammonimento per il futuro o un richiamo del passato?

Tairan non seppe dirlo.

 

Estrasse la spada dal fodero, ripetendo tra sé il giuramento di venticinque anni prima, il giorno della sua incoronazione.

Nel ricordarsi della cerimonia, non riuscì a non pensare a Isgar. Quel giorno, fu lui a posargli la corona sul capo; quel giorno, gli giurò fedeltà.

Tairan si avvicinò con cautela al braciere posto sul fondo della sala, tenendo avanti a sé la spada: all'interno di esso vi era il globo luminoso. Lo toccò con la punta della spada e quello si agitò. Tairan non nascose un sorriso vedendo che il globo si muoveva all'impazzata quando era toccato dalla spada.

Tairan osservò la sala del tempio: sembrava che anche in essa il tempo si fosse fermato. Le statue degli antichi idoli, poste nelle nicchie alle pareti, fissavano Tairan con lo stesso sguardo di pietra con cui, anni addietro, avevano scrutato i fedeli.

Avanzò fino al centro della sala, fermandosi davanti a un trono coperto da un drappo nero con ricami dorati.

Accanto a esso, notò una spada: probabilmente, Nyris avrebbe usato quella nello scontro.

«Sei venuto a morire, Tairan?»

«Sono qui per riportare l'ordine nelle Terre di Iktali. È troppo tempo ormai che i tuoi spiriti dilagano nel regno portando morte e distruzione!»

«È passato un anno dalla Notte. In questo giorno si deciderà la sorte di queste terre».

Tairan, nel sentire quelle parole, sussultò e la spada gli cadde di mano. Dalla penombra, vide venire avanti uno spirito.

«Isgar...»

Nyris rise, spezzando il silenzio che si era formato.

«Vedo che nel tuo animo si mescolano paura e incertezza: ma ciò può essere un bene. Per me» disse sprezzante Nyris sedendosi sul trono. Rivolse a Tairan un'occhiata di sfida, subito ricambiata da quello.

«La vostra spada, maestà».

Isgar teneva la spada tra le mani e Tairan la prese, senza mai staccare gli occhi da lui. Lo spirito indugiò a lungo con la mano sopra quella di Tairan.

«Isgar... Cosa ti è successo?»

«Credo sia giunto il momento di spiegargli alcune cose. Non lo credi anche tu, Isgar, figlio di Iagei?»

Isgar strinse i pugni, rivolgendo uno sguardo carico d'odio a Nyris. Sospirò, allottandosi da Tairan e posando una mano sul bordo del braciere.

«Kecycira ha divorato il mio corpo. Ti ho aiutato con il fuoco e per mezzo del fuoco sono perito. Ahimè! Quanto dolore rivederti adesso!»

«Tait... Allora l'hai evocato tu?»

Isgar lo guardò, annuendo poi con la testa.

«Era l'unico modo che avessi per salvarti: riesco... riuscivo ad evocare solo spiriti elementari».

«Capisco. L'unica cosa che posso fare è ringraziarti. Tait mi ha aiutato in questo anno».

«Perché l'hai chiamato lealtà?»

Tairan sorrise.

«Perché tu sei l'unico che mi sei rimasto fedele in ogni momento: ho visto persone abbandonarmi nel momento del bisogno».

«È stata anche la prima parola che hai imparato nella lingua degli spiriti».

Sorrisero entrambi e poi Isgar riprese a parlare.

«Immagino che tu abbia molti dubbi».

«È così, infatti».

«Mi spiace averti nascosto per così tanto tempo verità forse importanti. Cent'anni prima della notte, Iagei - mio padre - evocò un demone dell'abbondanza: questa zona era molto povera e molte persone chiedevano insistentemente aiuto all'oracolo di Raxum. Sollecitato da tali richieste, mio padre evocò un demone con la convinzione che avrebbe cambiato la situazione. Purtroppo la situazione gli sfuggì di mano: evocò un demone troppo potente che-».

Nyris lo interruppe.

«Non appena ebbi l'occasione, gli tutte le sue conoscenze sull'arte dell'evocazione. Da quel momento in poi, Iagei non poté evocare più uno spirito. A causa di ciò, il medaglione che portava al collo diventò nero. Alcuni spiriti li rimasero fedeli nonostante tutto: ne hai avuto la prova, Tairan, quando ti invitò a Raxum e quello spirito ti condusse fino al limitare della foresta. Altri, invece, passarono sotto il mio comando e l'oscurità macchiò il loro splendore. Da quel giorno in poi, gli spiriti vagarono nella foresta, aspettando il momento in cui sarei giunta al massimo del potere e avrei potuto impadronirmi del potere. Ci sarebbero voluti cent'anni.

In ogni caso, volli premiare chi mi aveva permesso di portare a buon fine questo: feci in modo che Iagei vivesse fino alla Notte, in modo da vedere a cosa aveva portato il suo gesto».

«Ma la sua crudeltà non finì qui» Isgar riprese a parlare.

«Avevo osservato tutto, nascosto dietro una colonna e, non appena ne ebbi la possibilità, scappai dal tempio attraverso la foresta. Per tutto il tempo, sentivo gli occhi di Nyris addosso. Per tutto il tempo della fuga, uno spirito del tempo mi volteggiò intorno. Non appena uscii, notai che sul braccio avevo una catena di anelli concentrici: era il simbolo della maledizione. Per me, ogni cinque anni equivalevano a uno».

«Capisco...»

«Arrivai nella capitale dopo giorni di cammino e mi rifugiai presso un vecchio amico di mio padre. Rimasi presso di lui per otto anni: quando ne compii sedici, lui fu chiamato a corte per insegnare al principe. Mi portò con sé e come ci siamo incontrati lo sai. Quello che ti ho nascosto è il perché avessi quel vestito».

Tairan gli si avvicinò, facendo poi intrecciare le loro mani.

«Dimmelo...»

«Votia aveva una figlia che purtroppo morì in tenera età. Straziato dal dolore, mi pregò di prendere il suo posto visto che nessuno sapeva della mia presenza nella capitale. Accettai e quando fummo invitati al ballo fui costretto a indossare quel vestito. Rimasi in terrazza tutto il tempo per la paura che, ballando, qualcuno avrebbe scoperto la verità».

«L'hanno scoperta tutti grazie a te» gli disse Tairan alzando un sopracciglio e Isgar sospirò.

«Isgar!» urlò Nyris e quello fu costretto a lasciare la mano di Tairan per avvicinarsi a lei; prese la spada che il demone teneva tra le mani e si avvicinò nuovamente a Tairan, fermandoglisi davanti.

«Combattete!» ordinò ai due.

«Isgar... Cosa cu succederà?»

«È semplice: se vinci tu, io scomparirò per sempre e di me resterà solo il ricordo. Se vinco io...»

Isgar si voltò verso Nyris, implorandola con lo sguardo.

«E va bene: farò in modo che l'ultimo desiderio espresso da Isgar si compia».

«Cos'hai desiderato?» chiese Tairan incuriosito.

«Che al momento della morte, tu diventassi uno spirito. Così saremmo rimasti insieme per sempre...»

Tairan sorrise, accarezzandogli il volto.

«Non potrei chiedere di meglio...»

«Pensaci bene, Tairan. Sconfiggendomi, avresti la possibilità di portare nuovamente questo regno allo splendore».

«È vero, non lo nego. In ogni caso, anche se ti vinco, dovrei scontrarmi con lei. E non sono sicuro di riuscirci. In quel caso, rimarrei con il dolore di averti perso per sempre e la consapevolezza di essere stato la causa della rovina definitiva delle Terre di Ikatli. Lo capisci, Isgar, che ormai non possiamo fare più niente? È troppo tempo che il male spadroneggia!»

«Lo so, Tairan. Ma...»

«Ma, cosa, Isgar? Abbiamo fatto il possibile, ogni tentativo è vano!»

«Sei il solito idiota! Preferisci arrenderti adesso e non provare nemmeno a salvare il tuo regno?»

Tairan scosse la testa.

«Non è questo: so già che la mia mano vacillerebbe nel colpirti. Non riuscirei mai a convivere con la consapevolezza di avere fatto scomparire la persona che amo».

Isgar sussultò.

«Tutto... Tutto ciò che Tait ha cercato di insegnarti in questi mesi non è servito a nulla?»

«Io volevo solo ritrovarti, Isgar. Volevo vederti un'ultima volta prima di morire. E ciò che Tait mi ha insegnato, è servito a far prendere forma al mio progetto di rivederti. Sei stato l'unico che mi ha sempre sostenuto e senza di te io non sapevo che fare...»

«Tai...»

«Da quant'è che non mi chiami così?»

«Dal giorno della tua salita al trono».

Tairan, sorridendo, gettò la spada lontano e il rumore metallico risuonò nella stanza.

«Fai ciò che devi fare, Isgar!»

Lo spirito si voltò verso Nyris, annuendo poi con la testa.

Il demone si accarezzò il mento, osservando compiaciuta la scena: il suo piano stava finalmente per giungere a compimento.

«Non è per volontà mia se adesso questa spada ti darà la morte...» mormorò Isgar mentre, con mano tremante, affondava la spada nel petto di Tairan.

Il sangue macchiò subito le sue vesti e il sovrano cadde a terra, tenendosi una mano sulla ferita.

Isgar gli si inginocchiò accanto, prendendogli una mano e stringendo a sé il corpo dell'altro. Tairan cercava di tenere gli occhi aperti ma sentiva le forze venirgli meno. Isgar iniziò a cantare, accarezzandogli dolcemente i capelli e Tairan sorrise appena nel riconoscere la canzone che aveva rallegrato la notte in cui si erano conosciuti.

Nyris si avvicinò ai due e fece segno a Isgar di spostarsi: quello ubbidì, raccogliendo la spada e allontanandosi di pochi passi.

Nyris pronunciò alcune formule rituali e Isgar osservò con apprensione tutta la scena.

Non appena Nyris ebbe finito, Isgar si avvicinò al corpo di Tairan, rimandando immobile accanto ad esso.

Nyris, intanto, era giunta sulla scalinata: si voltò indietro un'ultima volta, osservando Tairan e Isgar che si abbracciavano, piangendo la loro sorte.

Ghignò e iniziò a camminare attraverso la foresta: man mano che avanzava, gli spiriti formavano un corteggio dietro di lei. Accanto al demone camminava lo spirito della Morte.

 

Narrano le cronache che a distanza di un anno e otto giorni dalla Notte, Nyris prese il potere.
Molti ricordano che la cerimonia fu solenne e sfarzosa.
A partire da quel giorno, interi villaggi furono rasi al suolo e gli spiriti, corrotti dal male, portavano la rovina in ogni parte del regno.
Dicono anche che solo due spiriti, eterni prigionieri delle colonne di Raxum, si siano salvati dalla violenza e dalla furia del demone.

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