The truth behind the darkness

di Radagast99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fire and shadows ***
Capitolo 2: *** Under the sea ***
Capitolo 3: *** The red flower ***



Capitolo 1
*** Fire and shadows ***


Attenzione: tutti i personaggi di questa fanfic sono di proprietà della Walt Disney e di chiunque ne possieda i diritti. Questa storia non ha alcun fine di lucro, né intende infrangere alcuna legge su diritti di pubblicazione e copyright.

FIRE AND SHADOWS

Ade si incamminò lentamente, godendosi l'oscurità della notte; una fresca brezza soffiava da nord, scompigliandogli i lunghi capelli castani. Con un gesto annoiato della mano spostò una ciocca che gli oscurava la vista, sistemandola dietro l'orecchio. Le stelle rischiaravano il nero cielo invernale assieme ad una pallida falce di luna, che proiettava ombre argentee sul paesaggio che lo circondava. Non era altro che una pianura verde, disseminata di querce e salici ad intervalli regolari, ma ne era affascinato comunque. Aveva passato l' infanzia prigioniero dello stomaco di suo padre, Crono, sognando finalmente vedere il mondo con i suoi occhi; quando Zeus aveva liberato i suoi fratelli e sorelle era stato felice, felice di poter sentire il profumo dei fiori, felice del calore del sole che gli accarezzava la pelle e del lieve gorgoglio dell'acqua che scorreva placida nei ruscelli di montagna. Il mondo degli uomini era il luogo più bello che avesse mai visto, amava ogni sua parte e gli sembrava sempre di non riuscire a coglierne appieno la bellezza, nonostante tutto il tempo che aveva passato nello studiare ciò che lo componeva, dalle enormi montagne ai delicati steli d'erba su cui camminava. Intravide uno specchio d'acqua vicino ad una macchia più fitta di alberi e si diresse verso di esso, affascinato dal modo in cui i raggi della luna si riflettevano sulla limpida superficie trasparente. Sulla strada notò un piccolo narciso, insignificante macchia di colore in quel mare verde che sembrava volerlo soffocare. Tese delicatamente una mano e, con leggerezza, spezzò lo stelo del fiore per poterlo guardare più da vicino. I petali erano bianchi come la prima neve d'inverno mentre, al centro, un raggio di sole sembrava essersi solidificato nel creare quegli splendidi petali gialli. Prese una ciocca di capelli e vi intrecciò con disinvoltura il fiore, lievemente dispiaciuto dall'aver privato il mondo di quella purezza soltanto perché lo voleva. Raggiunse il laghetto e affondò le mani a coppa, raccogliendo l'acqua per potersi dissetare. Guardando in basso notò il suo riflesso attraversato da increspature, ma comunque sorprendente. Alcuni dicevano che fosse il più bello degli dei, forse anche più bello della stessa Afrodite; I lunghi capelli gli arrivavano oltre le spalle, in una cascata di diverse sfumature di castano. Aveva un fisico asciutto, ma comunque attraversato da muscoli guizzanti che, al minimo movimento, parevano animarsi di vita propria. La piccola bocca morbida sembrava un bocciolo di rosa, sempre pronto a schiudersi rivelando un sorriso allegro. Come suo fratello Zeus aveva la pelle ambrata, ma la sua era più luminosa, liscia al tatto e sempre profumata da oli aromatici. Ciò che però stupiva anche se stesso erano i suoi occhi, diversi da quelli dei mortali e degli stessi dei. Avevano il colore dell'oro liquido, attraversati da pagliuzze di diverse sfumature dello stesso colore, conferendogli uno sguardo ipnotico e seducente. Si alzò di scatto, spolverando la veste bianca per eliminare le tracce di polvere e continuò a camminare, diretto verso i suoi fratelli. La guerra contro i Titani ormai era finita da qualche anno, Zeus aveva provveduto personalmente ad imprigionarli con i suoi fulmini ed ora era arrivato il momento di decidere chi avrebbe regnato sull'universo al loro posto. Avevano passato quel tempo a rimediare ai disastri causati dalla terribile guerra combattuta, ma alla fine si erano resi conto che tergiversare sarebbe stato del tutto inutile. Avevano stabilito che l'universo sarebbe stato diviso in quattro parti: Il mondo degli uomini era stato scelto come terreno neutrale mentre i cieli, i mari e gli Inferi sarebbero stati divisi tra i tre figli maschi di Crono. Ade era stato contrario alla decisione di escludere le sue sorelle dalla possibilità di regnare assieme a loro ma Zeus era stato più furbo di lui. Già, Zeus, il preferito di sua madre, colui che era stato scelto per liberare gli dei e mettere così fine al regno dei mostruosi titani. Aveva sempre avuto una dote particolarmente sviluppata nel convincere gli altri a fare ciò che voleva e così, davanti al suo discorso tanto eloquente, le stesse dee avevano rinunciato ad avanzare qualunque pretesa al trono dell'Olimpo, il posto ovviamente più ambito. Sorrise leggermente mentre, da lontano, intravide due figure stagliarsi contro il cielo notturno; infondo lui era il fratello maggiore, di lì a pochi giorni avrebbe guardato il mondo dal suo trono dorato, portando pace e prosperità sotto i suoi domini.

Poseidone lo salutò con un cenno del capo mentre Zeus, evidentemente spazientito, iniziò a protestare -Ade! Sono ore che ti aspettiamo, che fine avevi fatto sciagurato?- Ade allargò ancora di più il proprio sorriso, ripensando alla famiglia di lupi che aveva incontrato lungo il suo cammino e con cui aveva giocato a lungo. -Oh andiamo Zeusino, ora sono qui no? Insomma...- Scelse appositamente quel nome, sapendo che suo fratello si sarebbe infuriato e così fu -Non-chiamarmi-così, lo sai che lo odio. Comunque vedo che, a quanto pare, sei più interessato a raccogliere fiori piuttosto che prendere parte a questa riunione!- Il sorriso gli morì sul volto, sostituito da una cupa determinazione -Chiudiamo questa faccenda.-

Zeus tirò fuori un sacchetto di cuoio chiuso da due lacci, tenendolo sospeso tra i tre -Qui ci sono tre monete; su una è inciso il simbolo dell'Olimpo, su un'altra le onde del mare e, sulla terza, il teschio degli Inferi. Estrarremo a sorte le monete, in modo che non ci siano risentimenti tra di noi. Giureremo di rispettare la decisione del Fato, qualunque essa sia, ed abbandoneremo questo luogo in pace.- Ade squadrò il fratello con aria sospettosa, tentando di capire se ci fosse un tranello dietro tutto ciò; Zeus sembrava tranquillo nella sua posizione, dunque si limitò a sorridere dicendo -lo giuro.- Gli altri due parlarono subito dopo di lui e la tensione, che poco prima era quasi percepibile nell'aria, si allentò visibilmente. Zeus sciolse il nodo che chiudeva il sacchetto, avvicinandolo poi ad Ade -Tu sei il maggiore, dunque hai il diritto di pescare per primo.- Ade infilò la mano continuando a sorridere, certo che il Fato gli avrebbe sorriso. La sua mano entrò in contatto con il freddo metallo e, senza esitazione, tirò fuori la moneta senza guardarla. Subito dopo pescò Poseidone e, infine, Zeus. -Bene.-esordì Poseidone, mentre una goccia di sudore gli colava lungo la fronte. -Facciamo in fretta.- Voltò la sua moneta mostrando a tutti le onde che si scontravano sugli scogli. Ade fu contento, sapendo che ormai rimanevano soltanto l'Olimpo e gli Inferi. Lui e Zeus voltarono le monete allo stesso momento, osservandone il rilievo. Ade per poco non svenne mentre, fissando quel pezzo di metallo, perse il suo sguardo negli occhi di un teschio umano. Com'era possibile che lui, il maggiore tra i tre, il più bello tra gli dei, fosse stato preso in giro in tal modo dal Fato? Alzò lo sguardo, fissando Zeus che, sorridente, mostrava la nube sulla propria moneta. Il nuovo dio dei morti fissò il fratello il cui volto mostrava solo cieca determinazione e non gioia, come poteva sembrare ad un primo momento. Spostò il suo sguardo su Poseidone, fissandolo dritto negli occhi senza che potesse distogliere lo sguardo. E lì finalmente lo vide, annidato dietro le iridi verdi si nascondeva il senso di colpa. Lo sguardo di Ade si rabbuiò mentre, rivolgendosi ai fratelli, disse -Io vado.- scomparve in un lampo, riapparendo nel suo nuovo regno.

 

Gli Inferi si trovavano nel cuore della terra, lontano dalla luna e dalle stelle, ma sembravano essere pervasi da una luce propria. L'aria era satura di umidità e nebbia, che si levava in volute disinvolta da un grosso fiume che serpeggiava tra le rocce. Vicino alla riva una piccola imbarcazione in legno scuro lo attendeva assieme ad un vecchio scheletrico posto a prua. Mentre saliva su di essa il lembo della veste sfiorò l'acqua salmastra, facendone affiorare volti decomposti che tendevano le braccia verso di lui. Si voltò spaventato verso il traghettatore, cercando conforto negli occhi bui -Cosa sono? Cosa vogliono?- Quello si voltò verso di lui, il volto inespressivo come se fosse incapace di provare emozioni -Sono le anime dei dannati, cercano la redenzione dagli dei.- Ade rimase un secondo a riflettere, quindi proruppe in una fragorosa risata mentre avvicinava il suo volto a quello di una vecchia donna -Qui siamo tutti dannati, mettetevelo in testa.- Non seppe come, ma quando allungò la mano per scacciarla una lingua di fuoco si allungò verso l'acqua, lambendone la superficie e disintegrando ciò che rimaneva della donna. Fissò le sue mani, terrorizzato da quel potere così mostruoso cercando di capire come fosse stato capace di distruggere la vita, e la morte, con così tanta facilità. Mentre stavano per fermarsi, alla fine, comprese. Ora era il dio dei morti, non ci sarebbe più stato spazio nella sua vita per la bellezza e la gioia. Prese dai suoi capelli il narciso che aveva colto e che a contatto con l'aria malsana degli Inferi aveva iniziato a perdere tutta la propria bellezza. Con un lampo di luce fu avvolto dalle fiamme e, subito dopo, le sue ceneri volarono nell'aria, trasportate da una brezza invisibile. Scese a terra, capendo anche un'altra cosa; la sensazione del potere che lo pervadeva, attraversando la sua carne e bruciando tutto ciò che incontrava lo faceva sentire stranamente vivo, facendolo godere del potere che aveva appena acquisito. Percorse pochi passi quando, da un anfratto tra le rocce, gli giunse all'orecchio una voce -Ma che ci fa qui? Non è un po' troppo bello per questo posto?- Subito dopo un'altra voce, più bassa della precedente, rispose alla domanda -Idiota! Non vedi che è un dio? Le Moire avevano detto che sarebbe arrivato per governare sulle anime dei defunti.- Ade si avvicinò alla fonte delle voci, esibendo un'aria solenne -Fatevi avanti, voi due.- Ora era divenuto un sovrano, anche se detestava il suo regno più di qualunque altra cosa al mondo doveva adeguarsi e rispettare i suoi doveri. Quando i due si presentarono davanti a lui per poco non scoppiò a ridere. Erano entrambi molto bassi ed avevano le corna, ma le somiglianze finivano qui. Uno era molto magro e con la pelle color verde acqua, inoltre i suoi lineamenti erano spigolosi e sottili. Il suo compagno, invece aveva la pelle del colore del vino, assieme ad una prosperosa pancia. Parlarono assieme, confondendo le voci -Pena e Panico, al vostro servizio signore!-. Salì una ripida scalinata, seguito dai due che continuavano a parlottare costantemente a bassa voce tra di loro, facendo rimbombare le pareti con le loro voci. Ade passò varie ore a camminare per le ampie sale in pietra nera che costituivano il centro del suo regno, sempre accompagnato dai lamenti delle anime dei defunti in cerca di sollievo. Ad un certo punto, non seppe quando, i suoi servitori sparirono per sfamare il cane a tre teste, Cerbero, anche se non sembravano entusiasti all'idea. Raggiunse una piccola sala piena di ragnatele in cui sedevano le tre donne più brutte che avesse mai visto. Avevano ormai pochi capelli e due di esse erano prive di occhi, mentre la terza ne aveva uno solo al centro della fronte. Ogni cosa nella loro figura esprimeva vecchiaia e decadenza ma, in un certo senso, anche saggezza. Una di loro, la più magra, iniziò a parlare con voce arrochita -Ebbene, ecco il nuovo sovrano. Avevamo previsto il tuo arrivo, come sempre.- Un'altra delle tre la interruppe, senza smettere di fissare Ade -Noi vediamo tutto ciò che è, che è stato e che sarà!- Iniziarono a ridere assieme, evidentemente a conoscenza di qualcosa che gli sfuggiva. -Buonasera, signore, non ho avuto modo di presentarmi, ma pare che non ce ne sia bisogno. Voi dovete essere le Parche, a quanto vede; ebbene, vorrei porvi una domanda riguardo a...- La donna che aveva parlato per prima lo interruppe immediatamente, senza lasciargli il tempo di terminare la frase -Alt! Noi non riveliamo il futuro, è proibito.- La seconda sorella sbuffò, dicendo poi -Oh beh, forse potremmo fare un eccezione per lui, è così carino!- La donna al centro, bassa e in carne, parlò per la prima volta zittendo le altre che avevano iniziato a litigare -Oh, ma lui non vuole conoscere il futuro, vero? Io so tutto del futuro, so cosa sta per succedere e a cosa porteranno le parole che qui saranno pronunciate. Egli non vuole sapere cosa lo aspetta, ma perché lo aspetta.- Ade cambiò posizione, a disagio per le parole della vecchia che sembrava sapere su di lui molte più cose di quante ne avesse mai capito egli stesso. -Beh- disse la maggiore -Se vuole conoscere il passato, non ci sono problemi. Datemi l'occhio, forza- La sorella se lo tolse senza problemi, passandolo alla donna che lo tenne sollevato davanti a sé. Il dio represse un conato di vomito causato da quella scena, tentando di rimanere fermo nonostante l'ansia che continuava a tormentargli l'animo. La vecchia iniziò a parlare mentre le luci nella stanza si abbassavano

 

"Il più bello degli dei, dalla vita amato

nel buio degli Inferi è stato condannato,

dal fratello minore che aveva giurato.

Sull'Olimpo ora ammira il risultato

del tradimento, da lui perpetrato

ai danni del fratello, dalla vita amato."

 

Ade rimase in silenzio per molto tempo, tentando di capire il significato di quelle parole che continuava a sfuggirgli, come se stesse afferrando il fumo a mani nude. “Dal fratello minore che aveva giurato”, il senso della frase lo colpì come un maglio, facendolo accasciare a terra. Le tre donne scomparirono in un lampo, lasciandolo solo con la sua disperazione. Era stato tradito, tradito dal fratello che aveva amato. Certo, magari non poteva sembrare a prima vista, ma aveva sempre pensato di potersi fidare di Zeus, sempre pronto a ridere e scherzare con tutti. Rivide davanti a sé lo sguardo che gli aveva rivolto poche ore prima e capì di essere stato un illuso, capì di aver sottovalutato la meschinità del fratello, capì che non era l'amore a guidarlo, ma la sete di potere, e per questo pianse. Pianse tutte le lacrime che aveva e quelle che non pensava di avere; pianse la sua disperazione ed il suo dolore, sentendo il sapore salato delle lacrime che gli solleticavano le labbra. Non seppe quanto a lungo era rimasto a terra, piegato su se stesso e scosso da singhiozzi, ma quando alla fine aprì gli occhi aveva finito le lacrime, non aveva la forza di piangere e, anche se avesse voluto, non ci sarebbe più riuscito.

Aveva affrontato il dolore e l'aveva superato ma ora, ora veniva la rabbia. Rabbia contro Zeus, che lo aveva ingannato, contro Poseidone che lo aveva aiutato, contro gli dei, che in quel momento stavano festeggiando l'incoronazione del loro nuovo sovrano e contro i mortali, che consacravano templi in suo nome. Nessuno lo avrebbe mai pregato, nessuno l'avrebbe mai amato. Avrebbe passato il resto dell'eternità circondato dalla paura e dal dolore, e per questo si odiò; Zeus l'aveva abbindolato con i suoi discorsi gentili sulla necessità di decidere di comune accordo e lui era stato troppo stupido per far valere il suo diritto di fratello maggiore e prendersi ciò che gli spettava di diritto. Le fiamme scaturirono dal suo corpo, riducendo le sue vesti ad un mucchio di ceneri fumanti in un angolo. Le pietre delle pareti iniziarono a fondersi mentre, urlando contro il cielo, giurò di distruggerli tutti.

 

 

Qualche anno dopo gli giunse la notizia del matrimonio tra suo fratello ed Era, e nulla lo allietò di più di tale notizia. In quegli anni era cambiato, il dolore l'aveva fortificato e la rabbia aveva dato uno scopo alla sua vita eterna mentre la sete di vendetta temprava il suo animo. Zeus si mostrò molto felice di poter incontrare di nuovo suo fratello in quel giorno tanto felice per lui, ma Ade non credette ad una parola di suo fratello. Oltrepassò i cancelli d'oro dell'Olimpo con passo altero, lasciando che le tenebre si spandessero verso l'esterno dalla sua veste, nera come la notte. Quando gli altri dei lo videro cambiarono espressione. Le muse smisero di cantare, sconvolte nel guardare un volto tanto diverso da quello per cui avevano composto molte canzoni in passato. Certo, la rabbia lo aveva reso forte, ma aveva anche mutato il suo aspetto. Gli occhi avevano assunto il colore dello zolfo, perdendo il fascino di un tempo. Poco a poco i bellissimi capelli che erano stati per lui motivo d'orgoglio si erano sfibrati, perdendo poco a poco la loro lucentezza fin quando, stanco di doversi portare dietro quel ricordo del passato, aveva dato loro fuoco, sostituendoli con una fiamma che simboleggiava la sua nuova forza. Persino la pelle, un tempo color del miele, era diventata sempre più pallida fino a diventare di un grigio malsano e decisamente meno attraente. Tutto ciò però non gli interessava. Ignorò lo sguardo colpevole di Poseidone e non ascoltò le parole scambiate da Afrodite ed Artemide, probabilmente poco lusinghiere. Tutta la sua attenzione era concentrata sul trono dorato su cui era seduto Zeus, affiancato dalla nuova sposa che gli teneva la mano. Il re degli dei sembrava essere l'unico che non si era curato del suo nuovo aspetto e, alzandosi in piedi, parlò ad alta voce -Ade, fratello mio, è molto tempo che non ci vediamo! Sono molto contento che tu sia venuto qui in occasione di questo giorno molto importante- Si volto versò Era e sorrise, subito ricambiato dalla sposa. Quando parlò di nuovo lo fece a voce più bassa, desideroso di non farsi sentire dagli altri. Aveva un'espressione preoccupata stampata in viso, e sembrava quasi essere davvero interessato a lui mentre diceva -Cosa ti ha ridotto così?- Ade sorrise, divertito per la prima volta da molti anni ormai. Quando parlò lo fece con tono distaccato, senza tralasciare di aggiungere una nota ironica -Ma come Zeusino, non te lo ricordi? Sei stato tu.-

/////////L'ANGOLO DELL'AUTORE///////////
Innanzitutto vi ringrazio per essere arrivati fino alla fine di questo primo capitolo, che magari (anche se spero di no) sarà stato uno strazio da leggere. Se non l'avevate già intuito ogni capitolo sarà incentrato su un personaggio diverso, e voglio anticipare che non seguirò la sotria di prequel e sequel vari ed eventuali, ma solo quella del cartone principale. Beh, grazie ancora, e ci vediamo (o forse dovrei dire leggiamo?!) al prossimo capitolo! :*

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Capitolo 2
*** Under the sea ***


Attenzione: tutti i personaggi di questa fanfic sono di proprietà della Walt Disney e di chiunque ne possieda i diritti. Questa storia non ha alcun fine di lucro, né intende infrangere alcuna legge su diritti di pubblicazione e copyright.

UNDER THE SEA

Tentò di nuotare più velocemente, ma i tentacoli avevano già iniziato a farle male e del mazzo di coralli che aveva appena raccolto erano svaniti tra le onde, portati chissà dove dalla corrente. Uno dei suoi servitori l'aveva raggiunta tra i suoi scogli preferiti, dove i coralli possedevano mille sfumature diverse e la luce del sole filtrava attraverso le acque. Suo padre stava male da molto tempo, ma era riuscita ad aiutarlo molte volte grazie alla sua magia. Ora però la situazione era precipitata e, se non fosse arrivata in tempo, se non avesse dato a Poseidone la sua pozione... beh, meglio non pensarci. Con un ultimo slancio superò un gruppo di rocce ed arrivò in vista di Atlantide, le cui pareti scintillavano come di luce propria. Le sirene ed i tritoni si spostarono al suo passaggio, evidentemente spaventati dalla furia con la quale sferzava l'acqua per acquisire maggiore velocità. Fluttuò attraverso i portali aperti e, prima che potesse raggiungere la sua stanza segreta, la voce di suo fratello la raggiunse dal fondo del corridoio -Ursula, vieni, nostro padre vuole vederci assieme.- Si fermò di colpo e, evidentemente a malincuore, raggiunse Tritone dietro i grandi portali di bronzo degli appartamenti privati del re. Suo padre era disteso su un morbido letto, circondato da ancelle che continuavano a sventolargli il viso con alghe e ad offrirgli inutilmente qualcosa da mangiare. Poseidone aprì gli occhi avvertendo lo spostamento dell'acqua e, con voce ferma, si rivolse alle servitrice -Uscite, lasciatemi solo con i miei figli.- Le sirene chinarono rispettosamente il capo e si diressero in corridoio, dove iniziarono a parlottare con le guardie. Il sovrano degli oceani chiuse i pesanti battenti della porta con un gesto della mano, quindi tentò di mettersi a sedere ma ricadde subito sui cuscini. -Padre, non affaticarti ulteriormente, presto guarirai ne sono sicura...- Poseidone la guardò negli occhi, intravedendo dietro di essi le lacrime che minacciavano di sgorgare di lì a poco -Figlia mia, non vedi come sono ridotto? Il grande dio dei mari costretto a letto come un mollusco- rise per pochi secondi prima che la tosse gli togliesse il respiro, lasciandolo ancora più stremato di prima. -Figli miei, è inutile negarlo; presto io lascerò questo oceano, e qualcuno dovrà comandarlo. Ursula, a te affido le acque del Sud e dell'Ovest mentre tuo fratello comanderà il Nord e l'Est. Voglio anche lasciargli qualcos'altro...- Le sue parole furono nuovamente interrotte da un accesso di tosse, così ursula gli avvicinò alle labbra un bicchiere con del succo d'alghe per rinfrescare la sua bocca riarsa. Poseidone prese il suo tridente e, dopo averlo guardato per un momento, tese le braccia verso Tritone. Questo si fece indietro, come intimorito dal potere che suo padre gli stava donando -Forza, prendilo idiota! Le mie braccia non riescono più a tenerlo sollevato tanto a lungo. Con questo avrai il controllo completo sulle acque e sarai in grado di governarle come meglio credi. -Tu invece, mia amata figlia, avvicinati- Ursula si ravviò i capelli, evidentemente imbarazzata dalle attenzioni che il padre le rivolgeva. Era sempre stato così, suo fratello veniva spedito ad allenarsi con le guardie di palazzo e lei poteva giocare per ore con Poseidone, fingendo di essere la sua regina. Tuttavia, ora che aveva la possibilità di diventare una vera regina, e non una sciocca bambina con una corona di corallo, aveva il terrore di governare. Vedendo lo sguardo insistente del padre si chinò verso di lui, pregando che dopo quell'incontro avesse fatto in tempo a guarirlo. Dalle pieghe delle coperte prese Nautilus, la bellissima conchiglia che normalmente teneva sulla sua corona, e che ora era stata legata ad un filo. Chinò la testa per aiutare suo padre e, quando sentì la pelle raffreddarsi a contatto con quell'oggetto, una lacrima le sfuggì dagli occhi. -A te, Ursula, lascio questa conchiglia. Non potrà mai uguagliare la tua bellezza, ma con essa avrai il dominio sui venti che guidano le navi degli uomini.- Ursula iniziò a piangere come se fosse stata una bambina e, prima che qualcuno la vedesse in quello stato, disse -Sc.. scusate, io... devo prendere una boccata d'acqua fresca- Aprì il portone con un potente colpo di tentacoli e si gettò a capofitto nei labirintici corridoi del palazzo, addentrandosi sempre più nella parte antica di Atlantide. Entrò nella sua stanza di slancio, ignorando il contenuto del calderone che tentava di attirare la sua attenzione emettendo volute di fumo rosa. Aprì una credenza e ne tirò fuori una splendida bottiglia di cristallo, iniziando a sorridere mentre tornava da suo padre. Raggiunse suo fratello ma, prima che potesse rallegrarsi di essere arrivata in tempo, notò la mano di Poseidone distesa lungo il fianco e lo sguardo sconvolto di suo fratello. La bottiglia cadde sul pavimento di pietra che mandò in frantumi il delicato cristallo, colorando l'acqua di verde man mano che il contenuto della bottiglia si levava in spirali verso il soffitto. Ursula cadde in ginocchio davanti al letto, urlando contro suo padre affinché si svegliasse, affinché smettesse di giocare e, come quando lei era bambina, aprisse gli occhi iniziando a ridere per la sua espressione, ma Poseidone non si svegliò. Non seppe quando né come, ma ad un certo punto suo fratello l'abbandonò e lei rimase sola nella stanza del padre, riempiendo le mura di urla e lamenti. Quando aprì gli occhi non seppe quanto tempo aveva dormito sul pavimento, ma il sole era già tramontato nel mondo degli uomini e la luce aveva smesso i raggiungere Atlantide. Abbandonò il palazzo nuotando lentamente, lasciando che la lieve corrente causata dai portali aperti la spingesse fuori senza dover fare alcun movimento. Si fermò su un gruppo di scogli e qui si accasciò, iniziando di nuovo a piangere. Un lieve colpo sul braccio le fece alzare lo sguardo, rivelandole la presenza di due piccole murene, evidentemente appena nate. Si accoccolarono sui suoi tentacoli, mandando piccole scosse di elettricità che le facevano il solletico. -Oh, siete così carini, ma niente in questo momento potrebbe farmi sentire meglio. È tutta colpa mia, se non fossi uscita per raccogliere quegli stupidi coralli, rimanendo a casa come mi aveva consigliato Tritone, in questo momento starei cenando con mio padre- Una nuova serie di singhiozzi le attraversò il petto, impedendole di parlare oltre. Una delle due murene sembrò avere un'idea e, nuotando verso il suo petto, diede un colpo con la coda a Nautilus. Ursula strinse la conchiglia tra le mani, colta da un lampo di genio. Strinse al petto le due murene e, iniziando a nuotare velocemente, si recò a palazzo. Era stata colpa sua se suo padre era morto, e lei lo avrebbe riportato in vita, anche se avesse dovuto usare ogni briciolo di magia che le rimaneva. Raggiunse in fretta il suo nascondiglio e strinse tra le mani il grande libro che le aveva regalato sua madre. Ecate era stata la prima moglie di suo padre, ma era scomparsa senza lasciare traccia subito dopo aver lasciato quel regalo a sua figlia. All'epoca era troppo piccola per capire, ma crescendo aveva scoperto che era l'unica in grado di trovare alcune svolte nei corridoi o di superare determinate porte e, seguendo la pista lasciata da sua madre, aveva raggiunto quella stanza. Il libro aveva la copertina incrostata di conchiglie e piccoli molluschi e le sue pagine traboccavano con tutta la conoscenza raccolta da Ecate e dalle sue antenate, che da millenni erano note come le “streghe del mare”. Aprì a metà il grosso volume mentre iniziava a sfogliarlo febbrilmente, in cerca del filtro di cui aveva letto soltanto una volta poiché la sola idea di prepararlo era fin troppo spaventosa. Lesse velocemente la ricetta e tornò di nuovo all'aperto, raccogliendo tutto ciò di cui aveva bisogno. Iniziò a lavorare quella notte stessa, ben sapendo che la pozione sarebbe stata pronta solo un anno dopo.

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Ursula si avvicinò al calderone, il cui contenuto era finalmente divenuto blu. Da uno scrigno chiuso a chiave trasse gli ultimi due ingredienti. Qualcosa a cui teneva e qualcosa di suo padre. Con un gesto speranzoso gettò la perla che Poseidone le aveva regalato a dieci anni ed il corno del padre nella pozione, che divenne immediatamente limpida come l'acqua di superficie. Lacrime di gioia le colarono lungo il viso mentre iniziava a leggere dal suo libro le parole dell'incantesimo. Poco a poco la sua collana si sollevò dal petto ed iniziò a sprigionare il potere dei venti, mandando bottiglie e barattoli a sbattere contro i muri. Terminato l'incantesimo riempì una delle poche fiale ancora integre con il liquido divenuto dorato, recandosi subito dopo fuori dal palazzo. Ben presto raggiunse lo splendido giardino costruito in memoria di suo padre e si fermò solo davanti alla sua tomba. Cadde in ginocchio sulla nuda terra, piangendo di gioia e tristezza allo stesso tempo prima di iniziare a parlare -Padre, padre ci sono riuscita! Non pensavo che sarei stata in grado di scagliare un incantesimo tanto potente eppure ha funzionato” Finalmente potrò abbracciarti di nuovo, e assieme rideremo di quest'anno appena passato!- Stappò con forza la fiala, versandone il contenuto sulla terra che bevve avidamente. Flotsam e Jetsam nuotavano placidamente attorno a lei, tenendo lo sguardo fisso sulla terra immobile. Dopo più di mezz'ora Ursula capì la verità e si abbandonò di nuovo al pianto. Era stata davvero così stupida da credere che sarebbe stata in grado di resuscitare suo padre con le sue forze. Ah, se sua madre avesse potuto vedendola si sarebbe sicuramente fatta una gran risata. Iniziò a nuotare verso una macchia di coralli e, dopo aver raccolto un piccolo mazzo, lo depositò sul sepolcro e cominciò ad allontanarsi. Le lacrime continuavano a scenderle lungo le guance, a tratti spinte dalla rabbia, a tratti dalla tristezza. I due sentimenti si scontravano costantemente, sfruttando il suo cuore come campo di battaglia per decretare quale dei due l'avrebbe sopraffatta. Infine un nuovo sentimento riuscì a prendere possesso della sua mente, scacciando gli altri due. La delusione si impadronì di lei sommergendo qualsiasi altro pensiero come faceva l'alta marea con la spiaggia. Nuotò verso l'alto, in modo da poter osservare il tramonto fuori dall'acqua. Poseidone l'aveva portata molte volte sugli scogli, facendola giocare con i granchi e indossando le collane di conchiglie che tanto le piacevano. I colori del sole che scomparivano dietro l'orizzonte erano estranei al suo mondo abituale, costituito da colori più spenti e opachi; sulla spiaggia invece tutto sembrava così nitido, il rosso e l'arancione erano così vividi da incutere quasi timore mentre il rosa che li precedeva sarebbe stato capace di rilassare anche l'animo più irrequieto. Raggiunse un piccolo gruppo di scogli vicino alla spiaggia, mettendosi a raccogliere le conchiglie più belle che vedeva sul fondale. Sorrise al pensiero che l'ultimo dono di suoi padre era stata proprio una conchiglia, così come quelle che ora stringeva tra le mani. Inoltre era stata proprio Nautilus a darle la speranza di... Si alzò dagli scogli con un gesto repentino, folgorata dal pensiero che l'aveva raggiunta. Si tuffò in mare sollevando un ventaglio di spruzzi mentre il velo della notte iniziava a coprire il cielo. Il suo sangue era impuro, non era una vera strega del mare come sua madre, dunque non aveva il potere di creare quella pozione. Pensava che Nautilus l'avrebbe aiutata e l'aveva fatto, certo, ma le serviva più potere, e quel potere in quel momento era tra le mani di Tritone. Se avesse ottenuto il tridente avrebbe potuto scagliare di nuovo l'incantesimo e risvegliare suo padre, tornando ad osservare il tramonto con lui. Quanto aveva odiato quei doni i primi giorni dopo la morte di Poseidone, ogni volta che si ritrovava a sfiorarli con lo sguardo il ricordo di suo padre le offuscava la vista e la mente, ma ora tutto aveva un senso. Attraversò i portali del palazzo dirigendosi negli appartamenti di suo fratello, che ultimamente erano diventati molto più sontuosi del solito. Il letto era intonso, e non c'era nulla nella stanza che facesse presagire la presenza di qualcuno. Chiuse gli occhi, lasciando che la corrente marina guidasse i suoi sensi fino a scovare Tritone. Con un sorriso si diresse verso la sala del trono, irrompendo senza neanche aver salutato le guardie. Suo fratello era sul suo trono ed osservava il tridente, rigirandoselo tra le mani con aria assorta. -Tritone, fratello mio! Devo assolutamente parlarti. Guardie, fuori di qui, ora.- Osservò i tritoni che uscivano, lanciandosi sguardi allarmati e curiosi. Tritone si alzò con aria quasi annoiata, avvicinandosi a lei -Cosa c'è, Ursula? Non vedi che sono occupato?- Ursula cercò di non ridere pensando a come suo fratello aveva definito l'ozio, ma riuscì a trattenersi -Questo è più importante, credimi. Io so come far tornare nostro padre, basta che tu mi dia il tuo tridente e poi...- Tritone si allontanò da lei, divenendo improvvisamente sospettoso -Darti il tridente? Far tornare nostro padre? Ursula, cosa vai blaterando?!- Ursula tentò di calmare l'eccitazione, iniziando a scandire meglio le parole -Mia madre era la strega del mare, Tritone, io sono la strega del mare. Ho già provato a riportare in vita nostro padre, ma ho fallito perché non sono abbastanza potente da compiere un simile portento! Ma se avessi per un momento il comando degli oceani, se potessi sfruttare il potere del tridente allora sono certa che riuscirei nel mio scopo!- Il viso del fratello si adombrò di colpo mentre cominciava a girarle attorno -E così tu vorresti praticare magia nera nel mio palazzo? Ho sempre saputo che c'era qualcosa di sbagliato nel tuo aspetto, pensavo fosse qualche problema di salute, ero convinto che fosse questo il motivo dell'affetto smisurato di nostro padre verso di te, ma la magia... Non fraintendermi, ma io sono il figlio maschio, io sono bello e forte, ed eccello in praticamente qualsiasi cosa mentre tu...- Lasciò la frase in sospeso, come se la fine di quell'affermazione fosse scontata -Tritone, cosa vuoi dire? Aspetta, tu sei geloso di me!- Improvvisamente rivide tutti i regali che aveva fatto a suo fratello, i gioielli di perline e persino quella magnifica cintura di madreperla che aveva commissionato per la sua maggiore età, e che stranamente non gli aveva mai visto indossare. -Geloso di te? E di cosa, se posso permettermi; dei tuoi viscidi tentacoli neri? O forse delle tue disgustose abilità sovrannaturali? Tu vieni qui, mentre siedo sul mio trono, ed osi infangare la memoria di nostro padre parlando di magia nera ed hai anche il coraggio di dire a me, il tuo re, che sono geloso?- Ursula indietreggiò, spaventata dalla reazione del fratello -Magia nera? Io voglio solo poter abbracciare di nuovo Poseidone! E poi tu non sei il mio re, nostro padre ci ha lasciato egual potere e...- Tritone scoppiò in una fragorosa risata, suscitando lo stupore di Ursula -Strega del mare, con l'accusa di negromanzia io ti spoglio di qualsiasi titolo e privilegio. D'ora in poi vivrai lontano dal palazzo e da Atlantide dove nessuno, tritone o sirena che sia, dovrà mai rivolgerti la parola.- Scagliò il tridente contro il secondo trono, riducendolo in un cumulo di polvere. -E ti giuro che, se dovessi di nuovo sentire il tuo nome, ti distruggerei così come ho fatto con quel pezzo di roccia. Ed ora dammi Nautilus.- Ursula si allontanò, stringendosi la conchiglia al petto mentre la rabbia le deformava il volto -Potrai infangare il mio nome e quello di nostro padre, potrai esiliarmi sotto false accuse, ma mai, mai avrai questa conchiglia. Saeva procella voco!- Un violento spostamento d'aria inchiodò suo fratello contro il muro mentre lei abbandonava il palazzo. Quando era ormai lontana da Atlantide Flotsam e Jetsam la raggiunsero, portandole il libro altre provviste. Non importava quante sirene avrebbe dovuto distruggere, si sarebbe servita di ogni briciolo di magia in suo possesso e, alla fine, avrebbe stretto in pugno il tridente, distruggendo suo fratello e riportando finalmente in vita suo padre.

/////////L'ANGOLO DELL'AUTORE///////////
Ed eccoci qui ad un nuovo capitolo! Ho preso un po' d'ispirazione dal musical della Sirenetta prodotto dalla Disney per il background di Ursula, ma l'ho reso un po' più oscuro. Ovviamente vi invito a recensire la storia e, magari, ad aggiungerla alle seguite, sempre ammesso che vi piaccia. Nel caso abbiate qualche richiesta speciale per quanto riguarda il personaggio del prossimo capitolo non esitate a chiedere, siamo qui per scoprire la verità...

 

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Capitolo 3
*** The red flower ***


THE RED FLOWER

La giungla era stranamente silenziosa quel giorno, come sotto l'influsso di qualche strano incantesimo. Sugli alberi le scimmie che erano solite scherzare con tutti erano nascoste nelle loro tane e persino il ronzio degli insetti pareva più pacato del solito. Un tuono risuonò in lontananza, spingendolo ad affrettare il passo mentre le prime gocce d'acqua gli inumidivano il folto pelo. Girò attorno ad un tronco caduto, iniziando a correre mentre le grandi foglie che lo circondavano si piegavano sotto le pesanti gocce che cadevano dal cielo. Trovò riparo in una piccola grotta, poco più di una rientranza in una parete rocciosa ad essere onesti. Attraverso la cortina di pioggia i colori della giungla solitamente sgargianti e vivaci sembravano più spenti e smorti. Con la stessa velocità con la quale si era scatenato il temporale tornò il sole, rivelando la vegetazione rinvigorita dal nutrimento appena ricevuto e ciò che rimaneva della strada, ormai ridotta a poco più di un pantano. Si scrollò per eliminare le ultime tracce d'acqua dal pelo e ricominciò a camminare, sperando che Akhila non si arrabbiasse troppo per il suo ritardo. La trovò nella radura in cui si erano incontrati molto tempo prima, in un giorno di pioggia proprio come quello. Era distesa sotto i rami di un enorme albero d'ebano, stranamente asciutta nonostante il diluvio di poco prima. Lo raggiunse con un agile balzo felino e gli passò accanto, strusciando lievemente il suo corpo contro il suo.-Shere Khan, mi hai fatto aspettare, e questo non mi piace...- Gli morse giocosamente la coda, lanciandogli una scarica di brividi lungo il corpo; fece per parlare, ma venne subito interrotto dalla compagnia -Tuttavia ti perdono questa tua terribile mancanza e, per dimostrartelo, ti permetto di darmi un bacio, sempre ammesso che prima riesca a prendermi!- Rimase a guardare i suoi occhi, neri come la notte, e per poco non si accorse del fatto che stava scappando via, veloce come il vento. Partì all'inseguimento, evitando radici sporgenti e massi appuntiti con agili balzi, tentando di recuperare il vantaggio che la sua compagna aveva guadagnato. Poco a poco gli alberi iniziarono a farsi più radi ed i sentieri più larghi, segno evidente che si stavano allontanando dal cuore della giungla per avvicinarsi al villaggio degli uomini. Ah, gli uomini, creature così insignificanti quanto temibili. Quando era solo un cucciolo i cuccioli d'uomo, senza farsi vedere, si avventuravano tra gli alberi per giocare con lui e portargli gli avanzi del loro pasto, spesso rubato spudoratamente ai genitori. Tuttavia la fanciullezza era passata e, man mano che le sue zanne crescevano, la diffidenza dei suoi amici era aumentata e alla fine non erano più venuti. Si era preoccupato per la loro incolumità ed aveva raggiunto il villaggio, desideroso di rincorrerli come facevano una volta, ridendo e scherzando. Il suo arrivo tuttavia era stato celebrato con lance e massi appuntiti, causandogli una lieve ferita alla zampa destra. Gli uomini erano così stupidi, pensavano di essere le uniche creature al mondo capaci di pensare, le uniche in grado di comprendere sentimenti quali l'odio, l'amicizia, l'amore... Con un ultimo balzo superò un piccolo torrente, poco più di un rigagnolo d'acqua in effetti, e afferrò Akhila gettandola a terra -Non sottovalutarmi mai, mia cara...- fece per darle un colpetto sul muso, ma quella si liberò dalla sua stretta e corse via, tra gli alberi -Neanche tu!- la sua risata riecheggiò nella giungla, più dolce del canto degli uccelli al mattino. Si avviò lungo la scia lasciata dal suo odore, ma una brutta sensazione lo fece fermare di colpo, e poi lo sentì. BUM. Gli uomini li avevano trovati, erano stati degli stolti pensando di poter giocare come quando erano poco più che cuccioli, arrivando fin sul confine con il villaggio. Si slanciò in avanti, sfruttando tutta la potenza dei muscoli per arrivare in tempo prima che... Giunse in una piccola radura cosparsa di foglie secche e rami caduti; un manipolo di uomini rideva e scherzava, guardando il frutto della loro caccia. E poi lì, a terra, Akhila si muoveva debolmente, respirando a fatica. Uno degli uomini, un grasso funzionario britannico con un arnese in bocca, lo avvistò e per poco non saltò in aria per il terrore. Shere Khan emise un basso ringhio, più per avvertirli di andarsene che per minacciarli. Uno degli indigeni sollevò la sua arma, una di quelle appena arrivate dall'Inghilterra di cui si parlava tanto nella giungla. Prima che potesse scagliare nuovamente fuoco e tuoni si abbatté su uno degli uomini, facendogli sbattere la testa su un grosso masso. Era la prima volta che uccideva un uomo, ma non provò alcuna sensazione, doveva correre prima che... Uno strano odore attirò la sua attenzione, facendolo voltare. Dove era caduto l'oggetto che aveva in bocca l'uomo era sbocciato un bellissimo fiore rosso che si muoveva in una danza vorticosa e selvaggia, divenendo poco a poco più grande. Si avvicinò per guardarlo da vicino, ma subito si accorse che il calore aumentava sempre di più, divenendo quasi doloroso. Si tirò indietro con un balzo, mentre gli uomini cominciavano a scappare urlando. Una voce interna, primordiale, gli urlò di scappare senza voltarsi indietro, prima che il fiore rosso lo raggiungesse. Si avviò a gran velocità, ma un lamento attirò la sua attenzione; afferrò Akhila con i denti, iniziando a trascinarla verso il folto degli alberi. Nonostante tutto non era abbastanza forte per trasportare Akhila a peso morto; provò a sussurrarle all'orecchio e ad urlare contro con rabbia, ma non provò neanche ad alzarsi. Nel frattempo il fiore era diventato enorme e li stava raggiungendo, come se volesse divorare prima loro e poi il resto del mondo, in una spirale di distruzione e dolore. Stava per ricominciare a trascinarla quando una sola parola -Vai.- Quell'unica parola, così semplice eppure così densa di significato le strappò le ultime forze e, con un ultimo fremito, le palpebre si abbassarono a coprire gli occhi. Shere Khan iniziò a correre, allontanandosi dal fiore, da Akhila e dai resti dei suoi sogni infranti. Quando si ritrovò nel cuore della giungla si abbandonò al pianto, ricordando che Akhila voleva dirgli qualcosa. Proprio allora capì; gli uomini non solo avevano ucciso Akhila, ma anche il suo futuro cucciolo, e per questo li avrebbe uccisi, se solo avesse imparato i segreti del fiore rosso...

///////////////////////L'ANGOLO DELL'AUTORE////////////////////////
Ed eccoci qui con un nuovo capitolo, molto in stile Bambi in effetti....
Mi rendo conto che sia immensamente più corto dei primi due, ma questa è la seconda versione. Inizialmente lo avevo fatto molto più lungo ma, non so, non rendeva bene l'idea, quindi ho deciso di concetrare tutto il dramma in meno parole. Ebbene, come sempre sono aperto a nuove richieste (purché non siano su Scar, VI PREGO non fatemi fare Scar, è già perfetto così com'è) Dunque, beh, ci leggiamo alla prossima Disneyani!

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