A journey of a thousand miles

di Arcadia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 0 - Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 0 - Prologo ***


A journey of a thousand miles 


Don't you see?
I'm the narrator and this is just the prologue.
 
Osservai la palestra dall'alto delle tribune, guardando prima questa, poi quell'altra coppia danzare sulle note di una vecchia canzone degli anni Settanta.
Il ballo di Natale, una tradizione troppo americana per i miei gusti.
Mi appoggiai alla ringhiera colorata, guardando il mio professore di storia ballare con quella di astronomia sulle note di Johnny Be Good. Erano davvero una strana coppia.
Mi riscossi dai miei pensieri e scesi alla postazione audio, dove il mio accompagnatore stava parlando con il dj della serata.
«Davide, io esco a prendere una boccata d'aria, vieni con me?» chiesi, indossando la giacca nera sopra il mio vestito verde.
«Arrivo tra un attimo» mi disse sorridendo.
Uscii nella fresca brezza serale e andai a sedermi su una delle panchine del giardino interno. Cercai nella mia borsa qualcosa su cui scrivere, dato che, sicuramente, Davide sarebbe rimasto a chiacchierare per almeno altri venti minuti. Tanto valeva tenersi occupati.
Iniziai a scrivere qualche frase, che mi era venuta in mente durante la serata, che avrei potuto inserire nel racconto che stavo scrivendo. La penna scorreva riga dopo riga e, quando voltai pagina, Davide si sedette accanto a me.
«Hai finito di cianciare con il tuo amico? - chiesi voltandomi - Oh, scusi preside» esclamai, ritrovandomi vicino il preside del liceo.
«Non c'è problema, Jade. - disse, sistemandosi la lunga sciarpa a righe attorno al collo - Non sei dentro alla festa, posso sapere il perché?»
Alzai le spalle, «Sono venuta sotto inganno. - ammisi - Pensavo di andare a teatro e invece sono qui»
«Sì, nemmeno a me entusiasma molto il ballo di Natale. - concordò il preside - Ma il comitato studentesco ha insistito così tanto che non ho potuto dire di no. Vuoi un dolcetto, cara?» chiese, porgendomi un sacchetto pieno di caramelle.
Ne presi una, «Grazie. - dissi, scartandola - Allora come mai è qui stasera?»
«Devo vedere un amico. - mi spiegò vago - Ma è in ritardo, come sempre»
«Quindi non è qui per farmi la ramanzina giornaliera? - chiesi, sollevata - Mi risparmia almeno il giorno prima delle vacanze?»
«Assolutamente no. - disse lui ridendo - Il mio amico viene appunto per te. Lo conoscerai al ritorno dalle vacanze, sempre se si degna di arrivare»
«È uno psichiatra?»
«Un dottore» disse, accennando un sorriso divertito.
«A quest'ora? - chiesi scettica, controllando l'ora sul cellulare - Un po' tardi, non trova?»
«Mi deve un favore. - si mise all'erta e guardò verso il primo piano del liceo, dove c'erano alcune luci accese - Maledizione! Arini, su! Andiamo!» esclamò correndo all'interno della scuola.
Lo seguii un po' malferma sui tacchi alti e, quando lo raggiunsi nel corridoio, mi lanciò un deodorante spray e una mazza da baseball.
«Non fare domande, colpisci e basta» mi ordinò, attaccando una delle tante donne delle pulizie che si aggiravano nei corridoi.
«Ma preside. - cercai di fermarlo - Stanno solo facendo il loro lavoro»
«Sì, di distruggermi la scuola!» specificò, colpendo in pieno stomaco una seconda donna.
La guardia medica chiudeva sempre un occhio, ma si sapeva in tutta la città che il preside del liceo scientifico Ecclesi avesse qualche problema mentale. Ricorderò per sempre il discorso che fece il primo giorno del mio primo anno di liceo: parlò delle università su Marte che ancora nel trentacinquesimo secolo erano sotto la sua riforma scolastica, di come sul pianeta Xboso era considerato il miglior professore di astronomia terrestre e, se non ricordavo male, aveva anche accennato a un dottorato che aveva preso nella galassia Bicinque Theta in astrofantasticherie e affini.
Il medico lasciava passare e, negli ultimi tre anni, dava la colpa a me, dato che quei discorsi erano sicuramente influenzati da qualche serie tv che il preside si era messo a guardare negli ultimi tempi, come Doctor Who e Torchwood, su mio consiglio.
Feci comunque come richiesto, anche perché una donna stava cercando di strangolarmi. Puntai il deodorante spray al viso e spruzzai, rendendola cieca per qualche secondo, giusto il tempo di scappare e aiutare il preside con tre donne.
«Ma cosa sono?» urlai sopra i colpi di mazza che stavamo dando a destra e manca.
«Donne vuote che non sanno organizzare un attentato come si deve. - mi rispose il preside, afferrando un estintore e spruzzandolo su altre donne, che continuavano ad affluire dalle scale antincendio nel corridoio - Dobbiamo andare nel mio ufficio!»
«E perché diavolo è venuto qui se sapeva che c'erano dei guai?»
«Perché è l'unico modo per far arrivare quell'idiota del mio amico!» esclamò, prendendomi per mano e correndo verso la segreteria.
Chiuse a chiave la porta del suo ufficio e mise una sedia come blocco alla maniglia. Sprofondò nella sua poltrona rossa e si tolse la giacca, lasciandola sul tavolo.
«Sta bene, preside?» chiesi, sedendomi al mio solito posto sul divano nero della stanza, dove rimanevo sdraiata la maggior parte delle volte che venivo convocata per il mio comportamento anomalo. Non era di certo colpa mia se i miei professori si sentivano accidentalmente male proprio prima di una verifica o nell'esatto momento in cui dovevano chiamare gli interrogati del giorno.
«Mai stato meglio. Questo non è niente in confronto ai Dalek dell'epoca elisabettiana!»
«Dalek?» chiesi perplessa, ma non ricevetti risposta.
La porta iniziò a vibrare, accompagnata da dei rumori sinistri provenienti dal corridoio della segreteria. Appoggiai un orecchio al muro e cercai di capire qualcosa, ma tutto quello che riuscii a tradurre al preside fu «Unisciti al Quinto Potere», il resto era un miscuglio di inglese, francese, giapponese e qualche lingua straniera a me sconosciuta.
«Il loro circuito di traduzione deve essere andato in tilt. - constatò il preside spingendo la scrivania contro la porta - Dottore, dove diavolo sei?»
Sentii qualcosa vibrare nella tasca della giacca. Estrassi il cellulare e vidi che Davide mi stava chiamando, ma non risposi. Era già strana la pazzia del preside, figuriamoci se facevo uscire di testa anche il mio accompagnatore!
«Preside, Doctor Who è solo una serie tv. - gli feci notare - Lui non verrà» aggiunsi, incerta delle mie stesse parole. Insomma, fuori dalla porta c'erano delle donne che volevano ucciderci, ovviamente non umane, e io negavo l'esistenza dell'ultimo Signore del Tempo.
Mamma aveva ragione a considerarmi pazza.
«Arriverà, altrimenti lo ucciderò io! Altro che il Silenzio!» urlò il preside sopra il rumore assordante.
Guardai fuori dai vetri chiusi della finestra se c'era una possibile via di fuga, ma cinque donne della polizia controllavano l'unico cancello aperto della scuola e, scommisi con il preside, anche loro erano coinvolte.
«Ma cosa sono?» chiesi, assicurandomi che la finestra fosse ben chiusa.
«Umane riscritte da nanogeni idioti o, nella migliore delle ipotesi, alieni con sembianze umane» rispose.
La porta cedette e le donne entrarono. Rispetto a prima, erano armate di spazzoloni per pulire i pavimenti e flaconi di detersivo.
«Che cosa facciamo?» chiesi, brandendo la mazza da baseball.
«Attacchiamo?» suggerì, colpendo una donna in pieno petto.
Riuscimmo a mettere k.o. un paio di file di donne, ma il corridoio della segreteria ne era pieno.
«Non possiamo continuare in eterno. - esclamai, evitando uno schizzo di detersivo, che bruciò il tappeto dietro di me - Ma in palestra non si accorgono di niente?»
«Isolamento a raggi ultrafotonici di terza generazione. - mi rispose il preside prendendo l'estintore - Siamo soli»
Ragionai mentre le donne erano occupate a ripararsi dal getto dell'estintore. Cosa avrebbe fatto il Dottore in questo caso? Cosa avrei potuto fare io con un cacciavite sonico che fungeva solo da torcia?
«Preside!» esclamai, evitando che cadesse a terra rovinosamente. Era stato colpito ai capelli da una delle donne e stava perdendo i sensi.
«Dottore» ripeté ancora prima di chiudere gli occhi.
Mi rialzai velocemente, cercando il deodorante spray che avevo usato anche prima. Lo spruzzai in faccia alle donne della prima fila e quelle si disattivarono in un attimo, ma quelle dietro erano pronte a gettare acido nella stanza.
Guardai il preside a terra. I suoi capelli erano caduti nella parte laterale e ora sembrava uno di quei ragazzini che, per seguire la moda, si rasava mezza testa. Comunque stava bene, nonostante avesse quarantadue anni e indossasse un completo anni retrò abbinato a una sciarpa a righe.
Mi stavo perdendo troppo con i pensieri durante quell'attacco. Mi concentrai sulle donne davanti a me e iniziai a menar fendente, come mi aveva insegnato anni prima il mio maestro di karate.
«Troppe, dannazione!» esclamai ad alta voce, anche se effettivamente non c'era nessuno, nessun essere umano, ad ascoltarmi.
Mi voltai verso la finestra, sicura di aver percepito un'arietta fredda sul collo, ma ovviamente mi ero sbagliata. Tornai a combattere con le donne, ma venni ferita alla mano da uno spazzolone che, a constatare dal polso rotto, era fatto di metallo super resistente.
Cambiai mano e colpii ancora una fila di donne con la mazza da baseball, ma combattere con la sinistra non era il mio forte.
Caddi a terra, tenendo ben salda la bomboletta spray davanti a me, dato che l'altra mia arma era volata fuori dalla finestra, rompendo il vetro.
«Vieni con noi. Il Quinto Potere ti attende» disse la prima donna davanti a me in giapponese, tendendomi la mano.
Desiderai con tutto il cuore che qualcuno intervenisse in quel preciso istante, perché non volevo morire a scuola.
«Passate sul mio cadavere, poi ne riparliamo» disse qualcuno alle mie spalle, puntando la mano contro le donne.
Le vidi spegnersi una ad una, cadendo miseramente a terra.
«E poi dicono che è buono solo a montare armadi. - borbottò il ragazzo sorpassandomi e andando in corridoio - Bene, cervello condiviso. Mi hanno risparmiato una fatica. - si voltò verso di me - Tutto bene?» chiese, aiutandomi ad alzarmi.
Lisciai la gonna con le mani e controllai di non avere nulla di rotto oltre al polso, «Sì, tutto bene. - mi voltai - Oh mio dio!» esclamai avvicinandomi al preside, che si stava riprendendo.
«Jade. - mi chiamò tenendosi una mano sulla fronte - Ho perso tutti i capelli?»
«Si preoccupa dei capelli ora? - chiesi alzando un sopracciglio, perplessa - La prossima volta che ingaggia un'agenzia di pulizie, controlli prima che non abbia precedenti penali o manie omicide! Potevano scioglierci nell'acido!», ma, ovviamente, il preside non stava ascoltando una sola parola di quello che gli stavo dicendo. Teneva gli occhi fissi su qualcosa dietro di me.
In un attimo si alzò e mise al muro il ragazzo che aveva disattivato le donne delle pulizie.
«Quattro anni che ti chiamo e hai la decenza di arrivare solo adesso? - urlò il preside infuriato - Ti rendi conto di quanti professori e bidelli mi sono dovuto occupare?!»
«Marco. - balbettò il ragazzo cercando di calmare il preside - Lasciami andare, non respiro»
Il preside si allontanò e così riuscii a guardare meglio il nuovo arrivato.
Portava un lungo trench marrone, un completo blu e un paio di Converse rosse. I capelli castani, non pettinati secondo una strana logica, sembravano quasi non interessare al proprietario. Il naso leggermente appuntito e le labbra sottili mi ricordarono la schermata di blocco del mio cellulare.
«Tennant! - esclamai battendo le mani - Sei identico a David Tennant quando ha interpretato il Dottore»
Il ragazzo mi guardò incuriosito, «Dottore chi?» mi chiese divertito.
«Non cambiate discorso. - ci rimproverò il preside - Dove sei stato? Perché non venivi?»
«Sinceramente? Non sapevo mi stessi chiamando, non ho ricevuto nessun messaggio d'aiuto. - si scusò il ragazzo - Ero in volo per le spiagge delle Hawaii del dodicesimo secolo e il TARDIS ha virato bruscamente in questa direzione, attirato da questo», cercò qualcosa nella tasca interna del trench e estrasse una custodia nera, che porse al preside.
«Non voglio morire a scuola. - lesse il preside ad alta voce, poi mi guardò - Arini!»
«Che c'è?» chiesi, ancora intenta a studiare il ragazzo, che da vicino dimostrava minimo trent'anni e aveva gli occhi verdi più brillanti che io avessi mai visto.
«C'è che questa è la tua scrittura. - mi lanciò il portadocumenti - Guarda»
«Sì, è mia. - alzai un sopracciglio - Quindi?» chiesi, ma non ricevetti risposta. Una fitta al torace mi fece piegare in due e dovetti appoggiarmi alla scrivania. Il ragazzo mi fu subito davanti e mi puntò una luce blu tra gli occhi. Un brivido corse lungo la spina dorsale.
«Cos'avevano come armi?» chiese, controllandomi gli occhi.
Non riuscii a dire niente, nemmeno allontanarmi. Vedevo solo i movimenti del ragazzo davanti a me come se si stessero svolgendo al di là di uno schermo.
«Acidi lunari e spranghe di metallo sycorassico, suppongo» rispose il preside, anche se non lo stava ascoltando nessuno.
L'improvvisato infermiere poggiò una mano sul mio stomaco. In quel momento riuscii a mormorare qualcosa per il male. Non mi ero accorta di essere stata colpita anche lì.
«Scusa, farà comunque male», schiacciò la mano contro il vestito e con l'altra mi colpì sulla schiena nello stesso punto.
Sentii l'aria uscire dai miei polmoni e per un momento non sentii il battito cardiaco. In compenso, la fitta al torace era sparita.
«Ora respira a fondo. - mi disse prendendo il mio polso e illuminandolo con la sua minitorcia blu - Ti ci vorrà un attimo per riprenderti»
«Come mai non reagisce?» chiese il preside passandomi una mano davanti agli occhi più volte.
«Ibernazione temporanea del sistema nervoso. - spiegò muovendo il mio polso circolarmente e lentamente - Spiacevole da subire, necessario per non sentire il dolore»
«Quando si riprenderà, lei ti ucciderà» lo avvertì il preside, ma il ragazzo non si scompose, se non per un piccolo sorriso.
Sentii un leggero crack e un attimo dopo il sosia di Tennant si tolse la cravatta e me l'avvolse molto stretta attorno al polso. Riprese la torcia e me la puntò tra gli occhi.
«Perciò ora devo scappare?» chiese allontanandosi di qualche passo da me, pronto a scattare dietro la scrivania.
«Oh, no. - rispose il preside divertito prendendolo per il colletto del trench - Continuavo a chiamarti giusto per lei»
Mi risvegliai, come dal classico dormiveglia dell'ora di filosofia, e la prima cosa che feci fu controllare la fasciatura rossa che mi avvolgeva il polso.
«Grazie. - dissi al ragazzo comodamente seduto al mio posto sul divano - Chi sei?»
«Non ringraziarmi. - alzò le spalle - E comunque sono il Dottore»
«Impossibile, assomigli a Tennant» risposi prontamente, dato che ormai con la serie tv eravamo alle porte dell'era Capaldi.
«E quindi? - rispose con un sorriso - Anche se assomiglio a un attore, sono comunque il Dottore. - guardò il preside - Nella vostra lingua Dottore e attore fanno rima, ah!»
«No, ora come attore c'è... - mi trattenni dal dire qualsiasi cosa - Come fai a sapere che Tennant è un attore?»
«Beh, dalla Terra qualche volta ci passo e sembra che io abbia lasciato qualche diario delle mie avventure indietro nel tempo. - sorrise e fece un mezzo inchino - Ecco davanti a te l'ideatore di Doctor Who. - guardò il preside di nuovo - Quelli della BBC devono aver fatto un successone con la mia vita»
«Sì, diciamo di sì. - rispose il preside - Ti sei rigenerato sei volte dall'ultima volta che ci siamo visti. - gli fece notare, un po' irritato - Almeno una telefonata la potevi fare»
«Ho avuto da fare. - concentrò nuovamente la sua attenzione su di me - Allora, come mai Marco aveva tanta fretta di chiamarmi? Ma soprattutto, tu cos'hai combinato per essere in presidenza la sera prima delle vacanze di Natale?»
«A dire il vero, sono sempre qui. - puntualizzai - Quindi tu sei il Dottore»
«Ancora non ne sei convinta?»
«Beh, per me sei una bellissima storia dietro allo schermo. - risposi, convinta - Non puoi essere reale»
Si alzò e mi porse la mano, «Vieni con me»
Accettai un po' perplessa e mi portò dietro la scrivania del preside, dove c'era parcheggiata una cabina blu che non avevo ancora notato, dato che era in penombra.
«Vuoi entrare?» mi chiese porgendomi la chiave per aprire la porta.
Indietreggiai, cercando qualcosa che tradisse quella messa in scena, ma non c'era niente: era tutto autentico.
«Andiamo, non ti mangia. - sembrò pensarci - Anche se con tua moglie aveva tentato, vero? A proposito, come sta la cara Loren?» chiese al preside.
«Abbiamo divorziato sei anni fa, è tornata sul suo pianeta»
«Oh, mi dispiace. - disse per niente coinvolto, poi guardò me, ancora intenta a fissare il cartello sulla porta sinistra - Forza, entra»
Guardai la chiave che avevo in mano e la inserii nella fessura, girando lentamente, quasi avendo paura di far del male al legno blu.
Spinsi leggermente e l'interno mi si presentò esattamente come l'avevo sempre visto nelle puntate: alti e sinuosi coralli arancioni, una grande piattaforma per la console e le grandi cose rotonde alle pareti.
Amavo le grandi cose rotonde.
«È davvero così sconvolgente vedere qualcosa più grande al suo interno?» mi chiese superandomi e gettando il trench su un corallo, ignorando volutamente l'appendiabiti all'ingresso.
«No, è sconvolgente vedere qualcosa più grande all'interno dal vivo. - corressi - Ok, Dottore, puoi darmi un secondo?»
Lui alzò le spalle e annuì. Ritornai nello studio del preside in completo silenzio e mi sedetti al mio solito posto. Mi sdraiai e chiusi gli occhi, respirando profondamente.
«Jade?» mi richiamò il preside, preoccupato.
«Shh, mi sto rilassando. - dissi coprendomi il viso con le mani - Le allucinazioni, di norma, spariscono dopo una breve pausa»
Rimanemmo in silenzio per circa un minuto, poi mi decisi e mi rialzai, ma il TARDIS, le donne robot disattivate, e soprattutto il Dottore, erano ancora lì.
 
 
 
Angolo autrice:
Buongiorno e buona domenica a tutti, whovians!
Mi presento, sono Arcadia_, anche se molti ormai mi chiamano Jade, come la protagonista di quasi tutte le mie fanfiction. E' la prima volta in assoluto che scrivo nel fandom di Doctor Who, pur seguendo la serie da qualche annetto e avendola impressa sulla pelle.
Vorrei rubarvi ancora un paio di minuti, giusto per spiegarvi alcune cose del capitolo/prologo:
-Compilando il modulo della storia, ho inserito anche "Nuovo Personaggio", ovviamente mi riferisco non solo a Jade e Marco (vecchio compagno del Dottore, inventato da me, nella sua quarta rigenerazione), ma anche ad altri personaggi che compariranno più avanti nella storia e che copriranno un ruolo importante. Questo non vuol dire che non vedrete vecchie conoscenze #spoiler
-Ho inserito qualche citazione (io amo le citazioni!) per richiamare due Dottori che ho amato alla follia: il Quarto (vedi la sciarpa e "vuoi un dolcetto?", ovviamente riadattato) e il Nono (ho giocato sul cognome di Christopher per il nome del liceo)
-Anche se David Tennant ha gli occhi scuri, ho voluto inserire una piccola differenza tra lui e il Dottore "vero e proprio". E poi, lo ammetto, mi piaceva da impazzire Tennant con gli occhi chiari in Casanova.
-Vi lascio il link della canzone citata all'inizio, classico intramontabile di Chuck Berry, presente anche in Ritorno Al Futuro. Per la serie "perchè il TARDIS non ci bastava, volevamo anche una Delorian per viaggiare nel tempo". Inoltre, il "titolo" del capitolo è una frase di un'altra canzone, stavolta dei Panic! At The Disco, che si intitola The Only Difference Between Martyrdom And Suicide Is Press Coverage.

Bene, direi che posso smetterla di rompervi le scatole e chiudere qui l'angolo autrice, anche perchè potrebbe risultare più lungo del capitolo stesso! Un'ultima cosa: molto probabilmente aggiornerò ogni due/tre settimane, dipende dalle idee che mi frullano nella testa. Intanto vi mando un grande bacio, un grazie enorme per aver letto il capitolo e, se vi va, fatemi sapere che ne pensate con una bella recensione, ok?

Con la speranza che abbiate ventilatori e aria condizionata,
Jade

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


But if you close your eyes,
does it almost feel like nothing changed at all?
 
Mi rigirai nel letto, scalciando le coperte in fondo al materasso e guardando il soffitto bianco. Com'ero arrivata in camera mia? Chi mi aveva messo il pigiama? Ma soprattutto, chi c'era in soggiorno a chiacchierare con mia mamma di domenica mattina?
Misi la vestaglia da camera e cercai gli occhiali a tentoni, dato che la luce non si accendeva. Presi la torcia a forma di cacciavite sonico e la puntai sul comodino, trovando finalmente quello che cercavo.
Percorsi il corridoio il più silenziosamente possibile e arrivai alla porta del soggiorno, controllando chi c'era dal riflesso nello specchio. Vidi il preside seduto accanto a mia madre e sull'altro divano intravidi mio padre intento ad accendere il fuoco.
«Lasci, faccio io» disse una voce e in un attimo nel camino vidi uno scoppiettante fuocherello.
Non mi sporsi maggiormente e rimasi in corridoio a origliare.
«Signori, capite la situazione, spero. - disse il preside - Non possiamo fare altrimenti»
«La terrà al sicuro?» chiese papà.
«Garantisco io. - rispose il preside - Non è pericoloso, parlo per esperienza»
«Ma tutto quello che si vede nella serie tv...» provò a dire mamma.
«Oh, pura fantascienza. È molto più pericoloso» rispose la voce, quasi divertita.
«Allora facciamolo. - mormorò papà - Non vedo altre soluzioni»
«Devo svegliarla o può cancellarle la mente anche mentre dorme?» chiese mamma.
Sbarrai gli occhi. Cancellare la memoria? Per cosa? Per un brutto incubo sul preside, il Decimo Dottore e una mandria di donne delle pulizie assassine?
Mi alzai di scatto, salvando all'ultimo un vaso che stava per cadere. Lo rimisi a posto e stavo per rientrare in camera mia, ma una mano si posò sulla mia spalla, trattenendomi.
«Ciao. - mi salutò la voce che avevo sentito prima - Dormito bene?»
Mi voltai e trovai davanti a me il Dottore.
«Non di nuovo. - mormorai esasperata - Come mi libero di te?»
«Semplice, non puoi. - mi sorrise - Fa ancora male il polso?» chiese prendendo la mia mano e slegando la fasciatura rossa.
«Non tanto. - lo guardai e gli diedi uno schiaffo - Ma allora sei vero»
«Già, e indovina? Provo anche dolore» borbottò massaggiandosi la guancia.
«Oh, quanto sei noioso. - mormorai - La tua quarta reincarnazione era più simpatica»
«Mi ritengo ufficialmente offeso» disse con aria solenne e alzando il mento.
«Io no, anche se volevi cancellarmi la memoria»
Il pavimento cigolò e dopo un attimo ci fu una scossa di terremoto.
«Ah, mamma! - chiamai aggrappandomi al Dottore - Mamma! Papà!»
«Siamo qui!» mi rispose lei dal salotto.
«Dottore! Ci hanno trovati!» esclamò il preside, che era riuscito ad arrivare alla finestra che dava sulla strada.
A tentoni ed evitando i soprammobili, lo raggiungemmo e guardammo anche noi. La strada principale che portava al mio paese era piena di donne delle pulizie che marciavano in file ordinate.
«Per il momento non ti hanno ancora individuato. - mormorò il preside, ma non capii se stesse parlando a me o al Dottore - Che facciamo?»
Il Dottore si voltò verso i miei genitori, che si erano riparati sotto il tavolo, «Signori Arini, vi fidate di vostra figlia?»
«Più o meno. - disse mio papà - L'altro giorno mi ha distrutto il generatore di corrente che avevo appena costruito»
«Ehi, sei stato tu ad alzare troppo il voltaggio» mi difesi.
«Per favore. - ci interruppe il Dottore - Se quelle donne la trovano, è la fine. È meglio per voi se Jade se ne va all'istante»
«E dove?»
«Di sotto ho il TARDIS, può venire con me per qualche giorno. - propose il Dottore - Vi do la mia parola che tornerà per Natale»
«Dottore, si stanno dividendo. - urlò il preside - Hanno svoltato in questa via. Due minuti e saranno qui»
Successe tutto velocemente. Mamma mi incitava ad andare, il preside blaterava di umanoidi attratti da tecnologia aliena e il Dottore riusciva a dirmi solo una parola.
«Corri»
Lo seguii al piano inferiore e in un attimo mi ritrovai nella sala di comando del TARDIS, parcheggiato proprio in fondo alle scale.
«Partenza!» esclamò il Dottore tirando un po' di leve e facendo vibrare tutto.
Mi aggrappai a una barra metallica e raggiunsi la postazione di comando traballando e cercando di non perdere gli occhiali.
«E arrivati. - schiacciò un pulsante e la nave si stabilizzò - Che ci fai per terra?» mi chiese, dato che ero praticamente sdraiata per terra sotto la console.
«Sto misurando l'energia che emette il TARDIS basandomi sulla vibrazione impercettibile del pavimento. - mi rialzai - Ma che razza di domande fai? La patente non potevi prenderla?»
«Tu mi ricordi tanto una mia vecchia amica» mormorò prendendo uno strano arnese e osservando i miei occhi.
«Che diavolo stai facendo? Smettila di analizzarmi»
«Ho come l'impressione che tu sia una lontana parente di Donna Noble» borbottò evitando un altro schiaffo.
«Già, volevi cancellarmi la memoria» dissi sarcastica.
«Cosa?»
«Come? - lo guardai un po' perplessa, poi capii - Dottore, chi è stata la tua ultima compagna fissa?» chiesi, già intuendo la risposta.
«Martha Jones, perché?»
Trattenni il fiato, «Oh mio dio. - mi aggrappai alla ringhiera - Io conosco il tuo futuro. Io so quello che ti accadrà»
«Jade, guardami. - mi prese le mani tra le sue - Va tutto bene, ok? Lo so che sai qualcosa di me che io non so, il che risulta strano. - scosse la testa - Ma non ti preoccupare»
Annuii e mi ripresi, «Cercherò di non spoilerarti niente» mormorai.
«Grazie. - mi fece sedere sulla poltroncina gialla e lui si appoggiò alla console - Sei sempre così razionale?»
Scrollai le spalle, «Non vedo perché dovrei farmi prendere dal panico. Abbiamo chiarito questa cosa, non c'è altro da fare»
«Sei strana, lo sai?»
«Non sei il primo a dirmelo. - mi guardai attorno - Quindi questo è il TARDIS»
«Già, e io amo quando la gente nota la sua principale caratteristica»
«Scordatelo. - lo fermai subito alzandomi e andando verso un grande arco di corallo - Non lo dirò mai» e filai lungo un corridoio arancione.
In pochi secondi, il Dottore mi raggiunse e camminammo insieme per un po', senza parlare.
«Dove stiamo andando?» chiese quando superammo la grande porta con la scritta piscina.
«Non ho ancora fatto colazione e una cucina da queste parti dovresti averla. - nel passare davanti a una stanza, notai la porta aperta - Posso entrare?» ma non aspettai risposta e mi fiondai alla grande finestra che occupava un'intera parete.
«Benvenuta nello spazio» mi disse sedendosi sul rientro e invitandomi a fare lo stesso.
«Dove siamo? E soprattutto, quando?»
«Settantasei anni nel futuro e qualche anno luce più a sud della Terra. - rispose - Quelle donne robot saranno già sparite, o almeno spero»
«Tu sai cosa vogliono da me?»
«Ho qualche teoria. - mi guardò - Girando la ruota della sorte, hanno scelto te come umana da rapire per i loro esperimenti»
«Confortante, ma il preside ha detto che ci stanno provando da cinque anni a prendermi. Io avrei cambiato obiettivo già dopo due mesi»
«Perché non hai la pazienza di un cervello ibernato e controllato. - borbottò evitando un altro schiaffo - La seconda teoria è che il loro capo è morto e tu sei la prima ragazza che hanno trovato sulla loro strada. Sarai la nuova imperatrice delle donne delle pulizie spaziali»
«Di solito sei più intelligente. - mormorai, ma mi sentì comunque e mi puntò il cacciavite sonico spento contro - Che cosa vuoi fare? Costruire un armadio? È uno strumento scientifico, non un'arma»
«Davvero? Non lo sapevo. - ammise con un tono sarcastico - Ho una terza teoria, che sicuramente si rivelerà vera e allora saremo in un bel mare di guai. - si avvicinò ancora a me - Sei una Nacro»
«No, sono umana al cento per cento. - risposi – Beh, per metà sono irlandese e metà italiana, ma mamma e papà possono confermare che non discendo da nessun tipo di razza aliena»
Lui scosse la testa, «Chiunque può essere un Nacro, anche un semplice umano. - spiegò - Per dirla con le parole che usate voi, un Nacro è un telepate»
«E allora perché non hai detto telepate?» chiesi, osservando un paio di stelle bruciare a miglia di distanza da noi.
«Perché c'è una differenza abissale. - disse, come se fosse ovvio - Un Nacro ha dentro di sé il processore Woand. - lo guardai senza capire - La capacità di interferenza energetica? La macchina di Kulanksij? Le frecce di Bilbao? Niente?»
«Io vivo nel ventunesimo secolo. - gli ricordai - E l'ultima scoperta in campo scientifico è stata il calcolo differenziale nelle galassie prossime al collasso»
«Oh, dannazione. - disse rassegnato, prendendo il cacciavite sonico e giocherellandoci - Allora hai presente quando voi umani pensate talmente tanto a una cosa e poi quella si avvera?»
«Sì, ho quella sensazione quasi sempre»
«Ecco, il processore Woand funziona con lo stesso principio. - mi spiegò - È un modo di trasmettere con gli oggetti e le persone che ci circondano»
«Come un telepate, ma hai detto che non è la stessa cosa. - mi corressi - E allora come funziona?»
«Hai presente la teoria del merluzzo? No, troppo presto per la tua epoca. - si scusò subito - La legge di August Milanovic? No, è del ventiseiesimo secolo. - all'improvviso si ricordò qualcosa - Tu hai fatto un liceo scientifico!» esclamò.
«Sì, cosa c'entra?» chiesi alzando un sopracciglio.
«Hai fatto fisica. - mi fece notare - Quindi sai come si muove un messaggio in un circuito elettrico immerso in un campo gravitazionale»
«L'impulso viaggia alla velocità della luce anche se gli elettroni si muovono a velocità molto bassa. - recitai a memoria - Ancora non capisco»
«Supponiamo che nella tua testa ci sia un generatore di energia e questo alimenti una resistenza, che è la cosa a cui stai pensando. - iniziò a dire, gesticolando - Il tuo pensiero si forma lentamente, come lo spostamento degli elettroni, mentre l'intenzione finale, ovvero il messaggio, viaggia veloce fino all'oggetto o alla persona. Questo è quello di cui è capace un Nacro. - ci pensò un attimo - Capisci?»
«Perciò io penso una cosa e questa si realizza in contemporanea?»
«Non esattamente nello stesso istante, ma quasi. - mi corresse - Non è la velocità della luce, ma la velocità di allineamento galattico FKT. - si rese conto di aver detto ancora qualcosa a me sconosciuto - È la velocità più elevata mai calcolata nell'intero universo»
«Perciò quelle cose che succedevano a scuola? - chiesi, ricordando tutti i motivi per cui il preside mi chiamava nel suo ufficio un giorno sì e l'altro anche - L'allarme antincendio che suona durante la verifica di filosofia? Il professore di matematica che si sente male durante la ricreazione per il caffè scadente e non può interrogare? La bocciatura di metà della mia classe?»
«Tutta colpa tua, già! Ritieniti responsabile, Arini» disse, facendo una faccia seria, ma tradendosi con un sorrisetto compiaciuto.
«Oh, questo spiega tante cose. - dissi - E dici che quelle donne mi cercavano per questa mia stranezza?» chiesi.
Annuì, «Molto probabilmente sì. - mi guardò - Ho parlato con Marco e mi ha detto che le donne parlavano del Quinto Potere, me lo confermi?»
«Sì. - ci pensai un attimo - Non è mai comparso nelle puntate che ho visto, lo conosci?»
«È un'organizzazione che tenta di bloccare l'universo da un sacco d'anni ormai, ma puntualmente fallisce. Le donne delle pulizie sono solo una valida copertura, perché possono infiltrarsi ovunque e passare inosservate»
«Oh, e io sarei un'arma perfetta per loro. - conclusi da sola - Dottore, cosa devo fare? Insomma, non posso stare sul TARDIS in eterno»
«Già. - guardò un punto indefinito davanti a sé - Jade, non lo so. - si passò le mani tra i capelli - Possiamo fare degli esperimenti innanzitutto per capire se è veramente un processore Woand»
«Escludo categoricamente che mi vogliano analizzare. Ci sono altre sette miliardi di persone sulla Terra e io non ho niente di speciale in più di un'altra ragazza di diciotto anni»
«Oh, Jade. Quasi mille anni di viaggi nel tempo e nello spazio e devo trovare ancora qualcuno che non sia speciale. - si alzò e mi porse la mano - Andiamo a far colazione?»
Lo seguii per i lunghi e tortuosi corridoi del TARDIS, fino alla sala di comando.
«Hai detto colazione. - mormorai, guardandomi attorno - Stai facendo cuocere dei biscotti nei venti spazio temporali?»
«Ma come ti vengono certe idee? - mi chiese ridendo - Anche se, devo ammettere, è un ottimo modo per cucinare il tacchino. - tirò un paio di leve e la colonna centrale iniziò a alzarsi ed abbassarsi - Sì, ho detto colazione, ma non ho detto in cucina» e la sala cominciò a vibrare.
Dopo interminabili secondi di urla, cadute e leve che facevano suoni assurdi, il TARDIS atterrò e tutto tacque.
«Spero ti piaccia la cucina francese del trentatreesimo secolo» disse, recuperando il suo trench e porgendomi la mano.
Mi alzai, «Non avresti qualcosa da prestarmi? - mi guardai - Insomma, va bene stravagante, ma non esco in pigiama nemmeno per prendere la posta»
Lui roteò gli occhi, «Corridoio a sinistra, terza porta sulla destra»
«Grazie» risposi sorridendo e correndo nella cabina armadio del TARDIS.
Cercai qualcosa di più pratico, ma, quando trovai un paio di jeans e una maglietta della mia taglia, mi venne un dubbio. Pensai di chiamare il Dottore, ma poi notai una finestra tonda su uno dei numerosi soppalchi. Salii i gradini a due a due fino a raggiungerla e sbirciai fuori. L'erba era rosso pallido e la gente andava in giro vestita come nel ventunesimo secolo.
Mi cambiai e, messa una felpa e trovate un paio di Converse del mio numero, raggiunsi il Dottore nella sala di comando.
«Ti sei persa?» mi chiese, sorridendo.
«Sei vanitoso, lo sai? Hai troppi vestiti»
«Me lo diceva sempre anche Martha. - alzò le spalle - Quelle sono mie!» esclamò, indicando le mie scarpe blu.
«Hai due cuori, non due paia di piedi» e lo superai, aprendo la porta del TARDIS e inoltrandomi nel futuro.
«Jade, aspetta! - esclamò seguendomi, ma scontrandosi subito contro la mia schiena - Ahio! Regola numero due: mai sostare davanti alla porta del TARDIS»
«Scusa. - risposi, dandogli spazio per chiudere la cabina - Allora, quando e dove siamo e da che parte andiamo?» chiesi, allacciandomi la cerniera della felpa. C'era un leggero venticello di inizio autunno.
«Dunque. - annusò un attimo l'aria e poi misurò da che parte soffiava il vento - Ventinove luglio, siamo nell'emisfero georgiano del pianeta Ynor e verso sera pioverà. - mi guardò e mi offrì il braccio - Dato che siamo in inverno, possiamo andare alla pasticceria reale o al pub del marito della principessa»
«Vada per la pasticceria reale. - scelsi - Ventinove luglio ed è inverno? Con questo clima?»
«Non è la Terra. - mi fece notare, percorrendo il gigantesco parco in cui eravamo atterrati - Anzi, siamo molto lontani dalla Terra»
«Quanto, più o meno?»
«Cento tre anni e quindici minuti luce. - mi fece fare un giro su me stessa - Questa è una nuova Terra, anche se gli abitanti di questo posto si ritengono discendenti dei marziani, che altri non sono che terrestri»
«Colonizzeremo Marte? Quando?» chiesi entusiasta.
«Un giorno te lo mostrerò. - mi promise aprendo un cancellino di metallo tutto colorato - Non puoi conoscere gli avvenimenti del tuo futuro prossimo» aggiunse, conscio di avermi dato un prezioso indizio.
«Va bene, aspetterò. Allora, dov'è la pasticceria? Muoio di fame!»
«Da questa parte. - mi fece strada - Ah, stavo per dimenticarmene. - frugò all'interno di una delle tasche del suo trench e trovò un piccolo anello - Tieni» disse, mettendomelo.
«Cos'è? Un bioeliminatore? Un sensore ottico? Un delocalizzatore? - chiesi osservando da vicino il piccolo cerchietto dorato - No, aspetta! Ci sono! È un collegamento con il TARDIS che ti avvisa del pericolo e ti smaterializza automaticamente nella sala comando. Ho ragione, vero?»
«Quasi, è una fede» disse aprendo una grande porta a vetri rossi e facendomi entrare per prima.
«Come?» provai a chiedere, ma un ragazzo, forse ventenne, si presentò davanti a noi sorridendo e mostrando una dentatura perfetta.
«Benvenuti. - ci accolse stringendo la mano al Dottore e facendomi un piccolo inchino - Se volete seguirmi, vi accompagno al vostro tavolo», fece una piroetta e si diresse verso una sala.
«È possibile che io l'abbia già incontrato? Ha un'aria così familiare» chiesi a bassa voce al Dottore, mentre passavamo in mezzo a tavoli pieni di giovani coppie.
«È il principe ereditario Klaus. - mi spiegò lui - Le pubblicità della pasticceria reale hanno la sua faccia. - mi vennero in mente le duecentoquindici, le avevo contate, pubblicità che avevamo incontrato arrivando alla pasticceria - Questo posto è suo»
«Eccoci qui. - esclamò il principe facendoci accomodare - Allora, da dove venite?» chiese, guardandomi negli occhi e accennando un sorriso. Aveva gli occhi di un azzurro quasi irreale, intensi e magnetici.
Sembrava un angelo.
«Veniamo da Calliope Alpha. - disse il Dottore richiamando la mia attenzione - Siamo in viaggio di nozze» aggiunse subito, notando che l'attenzione del principe era focalizzata tutta su di me.
«Oh, congratulazioni. – disse il principe Klaus, indietreggiando subito di qualche passo e guardando il Dottore - Cosa posso portarvi?»
«Un po' di tutto, grazie. - ordinò lui per entrambi, poi, quando fummo soli, mi guardò e sorrise - Allora, ti piace come posto?»
«Davvero carino, un punto per te. - lo guardai - Come mai qui sono i reali a servire i cittadini?»
Lui alzò le spalle, «Si pensa che rafforzi il legame tra governatore e suddito. - mi spiegò il Dottore - Il principe qui in pasticceria, il marito della principessa ha un pub molto stile irlandese, il re e la regina possiedono un piccolo mulino e producono il miglior pane di questa galassia, certificato dal Consorzio Interstellare»
«E quando si occupano degli affari di stato?» chiesi interessata.
«Durante l'estate ci sono le sedute legislative, ma d'inverno tutto è sospeso e ci si dedica al lavoro. - vide arrivare un cameriere con la nostra ordinazione - Questo mondo si regge sullo stesso schema da quasi seicento anni. Niente guerre, niente invasioni, solo una famiglia reale un po' fuori dagli schemi»
Annuii, «Che posto è Calliope Alpha?»
Il Dottore sorrise, «È il pianeta d'origine della regina. Un visitatore da quel mondo è considerato come un abitante di Ynor. - prese un bicchiere di quello che sembrava succo di frutta - Sono alleati da moltissimi anni»
«E perché la fede?» chiesi ancora a bassa voce, prendendo un biscotto dalla forma strana.
«Il principe è in cerca di moglie. - mi rispose ridacchiando - Ci aveva provato anche con Susan, ma con scarsi risultati. - mi guardò - Penso che i tuoi genitori diventerebbero più pericolosi di due Dalek se ti lasciassi qui a regnare un pianeta»
«Suppongo di sì, ma è un ragazzo così carino» commentai guardandolo mentre si aggirava per i tavoli.
«Tsk, ma hai visto i miei capelli? - borbottò il Dottore - Sono mille volte più bello di lui»
«Certamente, maritino. - sorrisi - Conosco giusto un paio di donne che mi taglierebbero la testa per questo e una potrebbe anche farlo»
«Elisabetta I era una donna deliziosa. - mormorò lui - E non siamo in Inghilterra»
«Parlando d’altro. – dissi, prendendo un pasticcino alla fragola – Cosa c’è di interessante su questo pianeta?»
«Beh, ti potrei far visitare Esperide, è un luogo incantevole»
«C’entra qualcosa la mitologia greca?» chiesi, osservando una coppia entrare nel locale. All’apparenza, sembravano due esseri umani, comuni cittadini come gli altri ospiti della pasticceria, ma, quando si sedettero al tavolo di fronte al nostro, la mia attenzione venne catturata dalle loro braccia. Erano tinte di un leggero tono violastro con dei bizzarri disegni in rilievo neri.
«Non guardarli troppo. – mi intimò il Dottore – Se usi la scusa del “pensavo fossero le maniche della maglietta” ti uccidono»
«Che specie sono?»
«Althamusta. – rispose, continuando a imburrare una fetta biscottata – Non guardarli» mi invitò ancora una volta.
«D’accordo. – borbottai – Allora, tornando al discorso di prima»
«Sì, c’entra la mitologia greca. – riprese entusiasta – Quando la prima colonia di abitanti approdò su questo pianeta durante la Grande Notte, che non aveva nulla di speciale, furono talmente fortunati da trovare subito un bacino idrico potabile. – mi raccontò – Insediarono un accampamento e da lì cominciarono l’espansione sul pianeta»
«Mi piace il nome, l’acqua paragonata al Pomo d’Oro, il dono ambito da tutti gli dèi. – commentai – Oh, non ci sono più pasticcini alla frutta» dissi, guardando il vassoio sconsolata.
In quel momento, il principe Klaus poggiò sul tavolo un altro vassoio ricolmo di dolcetti alla frutta.
«Offre la casa. – disse sorridendomi molto dolcemente – Pensate di trattenervi tanto sul nostro pianeta?» chiese cordiale.
«Forse qualche giorno. – risposi – Grazie, sono buonissimi» mi complimentai, assaggiando un bignè rosa.
«Appena preparati»
«Davvero molto buoni. – commentò il Dottore, mangiando un dolcetto alla banana – Ditemi, principe Klaus, com’è la situazione da queste parti?»
«In che senso, signore?»
«È tutto sotto controllo? Niente disordini o bisticci con altri pianeti del Sistema?»
«Il nostro mondo vive in completa pace da cinquecentottantasei anni. – disse orgoglioso – Dopodomani festeggeremo il Giorno della Luce, sono invitati anche gli abitanti di altri pianeti. – ci lasciò un biglietto verde che emanava un dolce profumo simile al miele – Speriamo di avervi tra gli ospiti»
«Senz’altro. – guardai il biglietto mentre il principe passava ad altri tavoli – Non ho idea di cosa sia il Giorno della Luce, tu lo sai?»
Annuì, finendo di bere il thè, «Ogni anno, esattamente il trentadue luglio, se dall’ultimo Giorno della Luce non ci sono stati disordini o guerre, si festeggia. – mi spiegò – Addobbano le città, ci sono bancarelle e ogni città di Ynor è in festa»
«Trentadue luglio? – chiesi perplessa, poi guardai il volantino – Dottore, come funzionano i calendari su questo pianeta?» chiesi, sempre più confusa.
Cercò una penna nel trench, poi voltò il foglietto e iniziò a scrivere, «Hanno adottato il sistema della Repubblica Galattica. – mi spiegò – Un giorno è composto da ventiquattr’ore, come sulla Terra. Cinquanta giorni fanno un mese e due mesi fanno una stagione e quattro stagioni fanno un anno, ci sei?»
Annuii, «Quindi hanno solo otto mesi?»
«Esattamente. – iniziò a contare con le dita – In ordine, marzo, aprile, luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre e dicembre. Ignoro il motivo per cui hanno eliminato gli altri. – continuò a scrivere – Quindi quattrocento giorni fanno un anno, moltiplica per cinquecentottantasei e ottieni…»
«Duecentotrentaquattromilaquattrocento giorni»
«Hai mangiato patatine fritte ultimamente?» chiese stupito.
Alzai le spalle, «Sono solo veloce nei calcoli. - mormorai, prendendo il mio bicchiere di thè al gelsomino, o almeno quello era il gusto che percepivo – Posso chiederti una cosa?»
«Anche due»
«Perché non è successo niente di quello che viene raccontato nella serie tv?» chiesi perplessa.
«È stata un’idea degli sceneggiatori impostare la storia nel vostro secolo. – si leccò le dita sporche di cioccolato verde – Ad esempio, ho conosciuto Sarah Jane nel venticinquesimo secolo e Rose nel quarantaduesimo»
«Questo non spiega perché non abbiamo tue notizie dal passato. – come un lampo, mi venne in mente la puntata del manicomio dei Dalek – Oh, niente, lascia perdere. – mi guardò interrogativo – Spoiler»
Per qualche minuto restammo in silenzio, spiluccando ancora qualcosa dai vari vassoi e osservando la gente passare accanto alle vetrate della pasticceria.
«Troppa calma. – borbottò il Dottore – Andiamo a fare un giretto?»
Annuii e, dopo aver pagato il conto con un semplice bigliettino colorato, uscimmo dal locale e seguimmo le indicazioni per Esperide.
«Cos’hai consegnato alla cassa?» chiesi perplessa.
«Una banconota da cento huntes. – mi spiegò – Ehi, qualche volta anche io ho la valuta di qualche pianeta in tasca» borbottò, rispondendo al mio sorrisetto divertito.
Stavo per ribattere, ma un forte boato attirò la nostra attenzione.
«L’avevo detto io. – esclamò eccitato il Dottore – Troppa calma!»



Angolo Autrice:
Buongiorno a tutti! Eccomi con il secondo capitolo.
Mi scuso fin da subito se vi è risultato un po' scarno o privo di trama, ma era l'introduzione per la prima avventura del Dottore assieme a Jade. Dunque eccoci qui, sul pianeta Ynor, con tutte le sue stramberie e particolarità. Alcune cose, come il Sistema e la Repubblica verranno affrontate più avanti, quando nostri due protagonisti entreranno in contatto proprio con i dirigenti di queste due associazioni, per il momento non dico altro #spoiler.

Quando parlo delle patatine fritte, ovviamente mi riferisco all'episodio 2x03 School Reunion, dove compare anche la mia amata Sarah Jane (tra l'altro, avevo una maestra di italiano alle elementari identica a Elisabeth Sladen che io adoravo), mentre per quando riguarda le avventure non registrate nel passato del Dottore mi riferisco all'episodio 7x01 Asylum of the Daleks, espandendo il potere di Oswin a tutti i sistemi di registrazione, anche terrestri, contententi informazioni sul Dottore.
Il "titolo" del capitolo è un estratto di una canzone dei Bastille, un gruppo che adoro, e vi invito ad ascoltarla, s'intitola Pompeii.
Inoltre, vi chiedo di riporre un po' di fiducia nei pezzi scientifici che inserisco nei capitoli. In quanto aspirante fisica, so di cosa sto parlando e, credetemi, la spiegazione sul circuito elettrico in un campo gravitazionale non me la sono inventata. Ovviamente le cose che dice il Dottore, ad esempio la velocità FKT o le varie teorie che avanza, non essendo ancora state scoperte, sono frutto della mia subdola immaginazione.

Detto questo, vi auguro una buona giornata, spero di avervi tenuto compagnia almeno una decina di minuti con questo capitolo e, se vi va, fatemi sapere il vostro parere con una piccola recensione!

Jade

 

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