Another Sun Must Set To Rise

di velvetmachine
(/viewuser.php?uid=852298)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***



Capitolo 1
*** I. ***


I
Image and video hosting by TinyPic

«
and i see fire burn auburn on the
mountain side

—i see fire, ed sheeran +

»

 

 

 

 

 

Dicono che esistesse un tempo in cui i mendicanti siano diventati eroi e il deserto sia cresciuto in torreggianti città di vetro. Si dice che allora le persone potessero chiamare i draghi dalle montagne ai confini del mondo, e maneggiare il cielo stesso come arma.”

Harry osserva le labbra fini di Gemma pronunciare le parole delle Scritture, seguendo con il dito la pergamena macchiata d’inchiostro rosso come sangue; i fumi d’incenso che arrivano dagli angoli delle pareti di pietra gli rendono difficile respirare, ma ormai ne è abituato.

—Dicono che c’è stato un tempo in cui l’umanità ha portato gli dèi in ginocchio.” La ragazza si scosta appena il velo dal volto, facendo tintinnare le conchiglie perlacee ricamateci sopra: Harry non può fare a meno che lanciare, con la coda dell’occhio, un’occhiata a suo padre.

È seduto accanto al leggio, vicino alla statua di osso del dio Fato. Lo osserva, assorto: la scultura del dio è intenta a tenere un bilico tra due dita un coltello dalla lama affilata e ai suoi piedi due mortali, nella loro sofferenza, si combattono a vicenda, cercando di spingersi sotto la punta del coltello.

Chi colpirà, l’arma? Chi finirà per primo sotto la lama?

Nessuno può saperlo.

Ritorna con lo sguardo sulla ragazza.

Harry si chiede se suo padre abbia fatto una buona scelta a far indossare a Gemma il velo che una volta apparteneva a sua madre: un velo che aveva ricamato lei stessa, con piccoli ninnoli e pietre preziose e conchiglie provenienti da Est. 

Indossarlo significa entrare a far parte delle Sacerdotesse del tempio, un ruolo ambito da tante e raggiunto da poche.

Gemma deve esserne fiera come poche volte lo è stata nella sua vita.

Harry la osserva seguire con il dito l’ultima riga della pergamena, tentennando un attimo prima di pronunciarla.

—Ma questo era prima; e molto tempo fa.” Alza lo sguardo verso il padre, recitando a memoria l’ultima parte:“Ora la guerra logora la terra e i nostri popoli, ora gli dèi sognano per noi un esercito che crei soldati dal suo stesso sangue versato.”

Fa una pausa, prendendo una grossa boccata d’aria sporca d’incenso: “È così, che le recitano le Scritture.”

Lancia un’occhiata a Harry, agitata: quello gli sorride rassicurante e annuisce.

“Molto bene,” l’uomo, dall’altra parte della sala di pietra, si volta improvvisamente verso sua figlia, battendo le grosse e callose mani: “Molto bene, Gemma—dovresti leggere a voce più forte, in modo che anche gli anziani possano sentirti, questa sera.”

Harry sbuffa, sistemandosi meglio sullo sgabello intagliato finemente: “Penso che siano abbastanza anziani da averle imparate a memoria, le Scritture.”

Gemma tramuta una risata in un colpo di tosse appena scorge lo sguardo ammonitore del padre, fulminarla: “Non prendetevi gioco di loro. I vecchi saggi mi aiutano a governare e senza di loro—”

“—il nostro regno non esisterebbe. Sì, padre, lo sappiamo.” Gemma fa un gesto allusivo con la mano, prima di afferrare i bordi frastagliati del suo abito e scendere dal leggio d’alabastro.

“Allora—” comincia, togliendosi dal capo il velo e sistemandolo con grande cura dentro un cofanetto di legno ambrato: “—posso congedarmi per prepararmi alla cerimonia di ‘sta sera?”

Afferra da una piega della veste un cordoncino rosso scuro, al quale è appeso un anello di ferro lucido, e se lo risistema al collo, mettendolo ben in vista.

Il padre la osserva compiere il gesto, con le mani strette dietro la schiena e la fodera della spada che gli ricade morbidamente lungo il fianco.

“Certo, vai pure.” Le sorride: “Oggi sarà un grande giorno, con una grande festa” esclama, ridacchiando: “Oggi una novizia si unirà alle Sacerdotesse del tempio.”

“Uh.” Gemma si osserva l’anello appeso al collo, rigirandoselo tra le dita: “Se non altro potrò smettere di portare il simbolo delle Vergini al collo.”

Harry si alza, strascinando le gambe dello sgabello contro il pavimento ruvido. “Io penso che ti doni” la prende in giro, pizzicandole il gomito.

Quella emette un sibilo basso con la bocca: “Mai quanto a te, fratellino.”

Afferra l’anello sul collo dell’altro, ma il ragazzo è più svelto e le caccia via la mano.

Gemma gli lancia una smorfia accompagnata da un verso di scherno prima di voltarsi e dirigersi verso il portone di bronzo massiccio del tempio.

Harry e il padre osservano la sua figura ricoperta dalla veste smeraldo finché non scompare al di là del corridoio malamente illuminato dalle torce decorate col simbolo della casata Styles: un drago rampante con il muso schiacciato.

“Sta crescendo così in fretta.” Sente suo padre sospirare, dirigendosi a grandi passi verso la vetrata della parete, che mostra un cielo plumbeo e opaco.

“Mi sembra che fosse ieri quando la cullavo e—questa sera diventerà una Sacerdotessa” mormora, perso con lo sguardo e con la mente.

Harry annuisce tra sé e sé. “Spero di poterla raggiungere anch’io, altrettanto presto.”

L’uomo, a pochi metri di distanza da lui, si volta di scatto, facendo tintinnare la spada contro la sua cintura.

“Ne abbiamo già parlato, Harry” dice, con il tipico tono di voce di chi non ammette repliche: “Tu non diventerai Sacerdote. Non m’importa se ti ostini a tenere la collana delle Vergini al collo.”

Indica il ciondolo, con una smorfia contrariata sul volto: “Tu sarai un guerriero. Come ero io, e mio padre prima di me e mio nonno prima di mio padre.”

Harry si morde l’interno della guancia, auto-imponendosi di controllarsi per non scoppiare in una delle innumerevoli liti che hanno già dovuto affrontare negli ultimi due anni: “Ma, padre—Io non voglio diventare un soldat—”

“Non importa cosa vuoi o non vuoi!”

Il ragazzo s’azzittisce all’istante, osservando il padre alzare i palmi delle mani al soffitto alto e scuro, furioso: “È così che andrà! Importi non servirà a niente. Hai diciassette anni e, com’è sempre stato nella nostra famiglia, sceglierò uno dei guerrieri più anziani che ti farà da mentore e ti troverà un drago. Tu obbedirai a lui e a me.

Lo guarda, gli occhi ridotti in due fessure scure: “E che tu lo voglia o no, dovrai combattere e dovranno insegnarti a farlo, se vuoi sopravvivere alla guerra.”

“Gli dèi penseranno alla guerra!” sbotta Harry, esasperato, facendo un passo avanti: “Loro sistemeranno tutto, ci salveranno. Non c’è bisogno che io vada in aiuto, sulla Barriera!”

L’uomo, davanti a lui, abbassa lo sguardo sul pavimento: afferra con la mano libera l’elsa della spada e la stringe, senza fare altro.

Dopo un paio di secondi, alza lo sguardo, incrociando gli occhi verdi del figlio.

“Tu hai sangue di guerriero, nelle vene. Non importa per quanto tempo rinnegherai il tuo destino; tu sei nato per combattere, uccidere e vincere.”

Prende un profondo, rauco sospiro: non c’è rabbia nella sua voce, solo una sorta di amaro rancore.

“Diventerai un soldato, Harry. E questa è la mia ultima parola.”

 

 

 

 

            Harry ha sempre odiato i banchetti; troppo rumore, troppo vino, troppo caldo.

Non importa se stanno festeggiando il voto di Gemma come Sacerdotessa, non importa se ci sono decine e decine di persone sedute nell’enorme tavolata della sala principale, Harry non vorrebbe essere semplicemente lì.

Lancia un’occhiata di soppiatto alla sorella, seduta nel tavolo degli altri Sacerdoti, Sacerdotesse e Vergini: si sta portando una mano alla bocca, ridendo per qualche battuta che una compagna le ha sussurrato all’orecchio.

Ovviamente lui non può sentire di cosa si tratta. Dannazione. Il frastuono delle risate ubriache e dei canti e delle voci troppo potenti di tutti gli uomini, rendono quasi impossibile ascoltare anche i propri pensieri.

C’è da diventarne matti.

Abbassa lo sguardo, mogiamente, sul proprio piatto ricolmo di cibo intatto. E sul suo calice di vino rosso ancora perfettamente pieno; sospira.

Vorrebbe scappare in camera sua, mettere via i vestiti scuri di cuoio pesante con gli stemmi che è costretto ad indossare per l’occasione e—non lo sa.

È abbastanza sicuro che qualsiasi cosa sarebbe migliore che starsene lì.

Invece deve rimanere fermo, immobile, al tavolo principale mentre osserva suo padre ridere sguaiatamente e battere ripetutamente la grossa mano sulla spalla di uno dei guerrieri che ha invitato per la festa.

E che, ovviamente, ha scelto di far sedere proprio accanto a lui. Che idiozia.

Harry, stringendosi nelle spalle, li osserva: l’uomo—il ragazzo? Quanti anni potrebbe avere?—con cui suo padre sembra andare particolarmente d’accordo è ancora giovane.

Porta una cotta di maglia con fili d’argento intrecciati, lo stemma dell’Ovest appeso ben in vista sul petto; ha i polsi stretti da nastri di cuoio ricamati finemente, le mani piccole che stringono senza troppo entusiasmo il calice di ferro e bronzo ricolmo di vino.

Sorride, lanciando continue occhiate agli altri suoi tre compagni d’armi, sedutigli rispettivamente a fianco.

La sua bocca è tremendamente fine, pensa Harry, osservandolo ridere: la curva della mascella ricoperta radamente di un sottile strato di barba scura sembra non finire mai.

Esistono poche persone con tratti così aggraziati, nel loro regno.

Una di queste è Harry—tanto per dirne una—ed è sempre stato preso in giro per le sue forme poco virili, fin da quando era costretto a partecipare alle lezioni di spada, quand’era piccolo.

“La bocca troppo piena, gli occhi troppo verdi, la pelle troppo diafana, le gambe troppo lunghe. Nemmeno un accenno di barba; capelli troppo morbidi.”

Era una tortura sentire gli scherni degli altri bambini, del suo maestro d’armi, di suo padre.

Invece, nel soldato che sta osservando di nascosto dall’altra parte del tavolo, quei tratti delicati non stonano: gli zigomi alti e lisci nascondono due occhi azzurri ghiaccio, blu scuro e denso come le pietre che i mendicanti portano da Sud.

La fronte ampia è nascosta da ciuffi scomposti di capelli del colore della corteccia degli alberi più antichi, le sue orecchie sono fini, piccole.

Ma—Harry non è sicuro di saperlo spiegare, c’è qualcosa nella sua postura.

Le spalle muscolose e dritte che si stringono tra loro, i gomiti appoggiati al tavolo, lo sguardo che pare scrutare e fare attenzione ad ogni più piccolo movimento all’interno della sala, quasi sull’allerta.

Fa scorrere lo sguardo sul suo volto e—Harry si morde il labbro inferiore, deglutendo.

Un’enorme cicatrice spessa gli solca la parte visibile di clavicola che fuoriesce dalla cotta: come un verme lucido e perlaceo che striscia fuori dalla pelle.

È davvero questo ciò che suo padre vuole?

Sente la rabbia rimontare dentro di sé come fuoco; osserva ancora la cicatrice frastagliata, ricoperta in piccola parte da bruciature nere e rossastre.

Deve essere stato il suo drago.

Il suo drago deve averlo ferito, sicuramente; non c’è altra spiegazione. Sono creature potenti e malvagie, quelle: per quanto si possa tentare di educarle, risulterà sempre impossibile addomesticarle.

Che l’abbia ferito in battaglia? In combattimento? Mentre lo stava cavalcando? O—

Quando Harry alza appena lo sguardo, per seguire daccapo tutta la superficie chiara della ferita rimarginata, i suoi pensieri s’azzittiscono all’istante.

Il cavaliere lo sta fissando, con un sopracciglio alzato. Suo padre sta continuando a parlare con gli altri tre, ma lui sembra essersi di proposito estraniato dalla conversazione per girarsi e—fissarlo di rimando?

Oh. Da quanto tempo sapeva che Harry lo stava a sua volta guardando? Dèi, deve sembrare un perfetto idiota. Grandioso.

Le sue guance si colorano immediatamente, per la vergogna di essere stato colto sul fatto: appena riacquista un minimo di lucidità mentale, distoglie immediatamente gli occhi da quelli taglienti dell’altro e comincia a fissare insistentemente il proprio piatto.

Al suo fianco, due membri Saggi stanno discutendo vivamente (dopo aver bevuto decisamente troppo vino) sul prossimo acquedotto da costruire nella piazza principale.

Harry, ora, vorrebbe più che mai nascondersi nella sua camera. (Spera con tutto il cuore che le torce appese alle pareti di pietra coprano il suo rossore, diamine.)

Dèi, dèi. Non sa nemmeno chi diamine sia quel dannato cavaliere e già lo odia a morte; perché rappresenta tutto ciò che Harry odia a morte.

Perché suo padre preferirebbe mille e mille volte ancora avere lui come figlio, piuttosto di quello che gli dèi gli hanno dato.

Stringe i pugni, sotto il tavolo; sente l’anello del voto di castità pesare incredibilmente contro il suo petto, nascosto appena dai vestiti pesanti.

Alza appena gli occhi, giusto il tanto che basta per dare un’ultima occhiata a quel dannato guerriero, con i suoi compagni e suo padre, che ridacchia, felice come non è mai stato nella sua vita.

Il ragazzo dagli occhi azzurri lo sta ancora guardando da dietro il calice che s’è portato alle labbra; Harry sussulta.

Perché lo guarda? Cosa c’è?

Il suo sguardo sembra addirittura divertito; scommette che quel tipo se la starà spassando un mondo a metterlo a disagio.

In casa sua, oltretutto. Ma come si permette?

Questo è decisamente troppo.

Preso da un impeto d’irritazione, Harry si alza improvvisamente dal tavolo, lasciando che le gambe della sedia raschino contro il pavimento: uno stridio si diffonde, per un attimo, nella sala.

Nessuno sembra farci troppo caso, considerando il fatto che tutti i presenti sono o troppo ubriachi o troppo intenti a ridere e a parlare di guerre e di draghi.

Harry storce il naso, dirigendosi a gran passi verso il portone d’ottone che dà sul corridoio di palazzo; solo sua sorella gli lancia un’occhiata perplessa, alla quale il ragazzo dagli occhi verdi s’affretta a rispondere con un cenno del capo.

Me ne vado. Sono stanco.

Gemma annuisce.

Cammina nel corridoio fin quando il rumore del banchetto non s’affievolisce del tutto: delle torce illuminano fiocamente le pareti leggermente ricurve, creando tremolanti ombre sulla pietra.

Raggiunta la rampa di scale che porta al primo piano, si ferma di scatto; l’improvviso silenzio pare quasi stordirlo.

Che—che diamine sta facendo? È—scappato?

Scappato da una festa dedicata alla sua stessa sorella?

Si batte un palmo sulla fronte: non potrà mai essere un re, lui. Troppo immaturo, incapace di imporsi e con una soglia dell’attenzione decisamente troppo bassa. (E quella dell’irritazione troppo alta, uh.)

Sarà un pessimo re, un giorno. E il popolo lo odierà a morte. Incoraggiante. Ottimi pensieri per concludere la meravigliosa giornata appena svolta, come no.

Prende un profondo respiro, facendo scivolare fuori dal colletto della casacca l’anello di ferro, se lo rigira tra le dita, sospirando e dandosi ripetutamente dell’idiota: potrebbe recarsi al tempio fuori città per pregare un po’. Giusto per consolarsi.

No, no. Decisamente no.

Scuote la testa, fissando la rampa di gradini scuri di fronte a lui; ecco cosa farà, ora: ritornerà in quella sala e festeggerà con Gemma uno dei giorni più importanti della sua vita. All’inferno gli sguardi che quel tipo gli ha lanciato.

Prende un profondo respiro e si volta, facendo perno sui talloni: oh sì, pensa, tornerà in sala e—

“Ouch!”

Cade. Cade?

Forse sarebbe più corretto dire che è inciampato.

Non è sicuro esattamente su cosa, o perché stia cadendo ma il punto è: sta perdendo l’equilibrio mentre continua ad annaspare con le mani in aria e cercare un qualsiasi appiglio che non gli faccia sbattere il naso contro il pavimento.

Quando, però, la caduta si arresta improvvisamente, Harry decide di non aprire ancora gli occhi che aveva deciso di chiudere.

Bene. Ci sono due possibilità: o qualcosa lo ha bloccato in aria, o è già caduto e il pavimento è decisamente più caldo e morbido di quanto si sarebbe mai aspettato.

“Attento a dove metti i piedi.”

Il pavimento parla?

Harry spalanca improvvisamente gli occhi, e la prima cosa che vede è un intreccio infinito di fili argentati che risplendono sotto la luce del fuoco delle torce; alza appena lo sguardo.

Il cavaliere dagli occhi blu lo sta fissando, divertito.

Oh. Oh.

Harry c’è caduto sopra, e ora si trova ancora spalmato sopra di lui, tenendo stretta tra le dita la cotta di maglia con lo stemma. Dèi, potrebbe sembrare più goffo e stupido di così?

Si stacca improvvisamente, quasi scottato, dall’altro ed indietreggia di qualche passo fingendo di grattarsi una guancia per nascondere il rossore propagatosi sulle sue gote: il ragazzo di fonte a lui ridacchia, arcuando le fini sopracciglia.

“Dovresti fare più attenzione a dove cammini.”

Oh, grazie tante per il consiglio.

Se non fosse per il fatto che Harry si sta letteralmente mordendo l’interno della guancia per la vergogna, ora potrebbe uscirne con un incredibile sguardo sarcastico.

“Sei tu che—” si schiarisce la voce, cercando di darsi un tono: “—sei tu che mi stavi seguendo” scandisce, con un tono accusatorio nella voce.

Il cavaliere si scosta un ciuffo di capelli dalla fronte, per poi sistemarsi più strettamente i nastri di cuoio intorno ai polsi: senza volerlo, Harry si ritrova a seguirne il movimento.

“Non ti stavo seguendo” sbuffa quello: “Rilassati, ragazzino.”

L’espressione perplessa ed offesa di Harry bastano per farlo scoppiare a ridere rumorosamente.

Ragazzino? Sul serio? Ma chi diamine si crede di essere?

“Hai la minima idea di con chi tu stia parlando?” sbotta allora, raddrizzandosi nelle spalle e cercando di mantenere uno sguardo alto e sicuro; lui è il figlio del re, diamine. Dovrà pur contare qualcosa, no?

Le persone gli devono un po’ di rispetto. E dannazione.

Nonostante tutto, però, la reazione del ragazzo dagli occhi azzurri è tutto fuorché intimorita o spaventata. Anzi: tira su un sogghigno divertito, mentre corruga la fronte e si picchietta l’indice sul mento, fingendo di pensarci su.

“Il figlio del re, no?”

Oh, quindi lo sa e non gliene importa niente. Grandioso.

“Be’—” si avvicina fin quando non si trovano a distanza sufficiente perché Harry possa distinguere una ad una le pagliuzze dorate nei suoi occhi. Il cavaliere so squadra dalla testa ai piedi.

Pare trovare qualcosa di estremamente interessante, all’altezza del suo petto poiché allunga una mano, stringendo le labbra in una linea sottile: “Sei—un Vergine?”

Harry, per un attimo rimasto stordito, riafferra velocemente la propria lucidità: abbassa lo sguardo e vede il cavaliere stringere tra le dita l’anello di ferro, i suoi occhi azzurri, però, sono puntati contro quelli di Harry.

“Sei davvero un Vergine?” domanda ancora, senza scherno o derisione.

Solo—con stupore? È sempre piuttosto raro trovare un aspirante Sacerdote uomo, soprattutto di questi tempi.

Il ragazzo dagli occhi verdi s’affretta a scacciare la mano dell’altro dal suo ciondolo, prima di riporlo sbrigativamente dentro la casacca.

“Non sono affari tuoi” borbotta piccato.

II cavaliere davanti a lui rimane in silenzio ad osservarlo per secondi interi; nemmeno a dire che tutto ciò metta incredibilmente a disagio Harry. Grandioso.

Eccolo di nuovo: un perfetto estraneo lo sta mettendo a disagio dentro casa sua.

E lui non può fare niente se non fingere che la cosa non lo disturbi.

Ribadendo: sarà davvero un pessimo re, un giorno. (Un giorno molto, molto, molto lontano; si spera.)

“Louis?”

Una voce proviene da fondo al corridoio, una voce un po’ strascicata e brilla, ma comunque chiara e tonante: Harry—grazie agli dèi è arrivato qualcuno a tirarlo fuori da quella situazione. Lo sguardo penetrante e blu dell’altro stava davvero diventando impossibile da sopportare—e il cavaliere si voltano quasi contemporaneamente.

“Louis! Mi stavo chiedendo dove diamine fossi—” La voce si blocca nuovamente, mentre l’uomo emerge sotto la luce scoppiettante di una torcia: “Harry? H—che ci fai qui? Non, uhm, eri dentro alla sala?”

Harry ruota gli occhi all’ampio soffitto, stringendosi nelle spalle. “No, padre. Sono uscito prima per prendere un po’ d’aria.”

L’uomo rimane in silenzio, passandosi una mano sulla barba che ricopre gran parte del suo volto: la fodera della sua spada dondola sul suo fianco, seguendo ancora il ritmo dei suoi passi affrettati di poco prima.

Rimane un paio di secondi immobile strabuzzando e strizzando gli occhi, come se cercasse di mettere a fuoco una qualche figura lontana: poi si scuote improvvisamente.

“Be’—!” esclama, battendo una forte mano sulla spalla del cavaliere dagli occhi blu: Harry lo vede sussultare appena a quell’improvvisa botta, ma nemmeno per un secondo perde la sua compostezza.

“—vedo che hai conosciuto la Prima Sentinella delle montagne ad Ovest: Louis, dei Tomlinson.” 

Louis?

Dèi, che nome strano. Harry trattiene una smorfia mordendosi il labbro inferiore: non ha mai sentito un nome così delicato appiccicato addosso a qualcuno che non fosse una damigella di corte.

Louis. Louis Tomlinson. Non suona male, nell’insieme.

“Grande ragazzo, grande ragazzo, bravo ragazzo—” continua a sussurrare suo padre, nel frattempo, in una cantilena interrotta soltanto dai singhiozzi improvvisi dovuti al bere.

Harry non lo sta più ascoltando: il cavaliere, Louis, ha puntato nuovamente lo sguardo su di lui e ha un sorriso divertito stampato in faccia.

Che diamine ha da ridere?

Apparentemente, solo il fatto che il re lo stia facendo dondolare da una parte all’altra, a forza di trascinarselo dietro nel suo molleggiamento.

Va bene, forse la scena è piuttosto comica: poche volte ha visto suo padre così rilassato e ubriaco, ma. Non dovrebbe assolutamente mettersi a ridere, se non altro per non dare soddisfazioni a Louis Tomlinson.

“Vostra Altezza,” mormora improvvisamente quello, sgusciando via dalla presa dell’uomo: “vi ringrazio ancora infinitamente per avermi invitato a questa festa in onore della vostra bellissima figlia. E, uh, anche per avermi incaricato di un compito così sacro e importante.”

Bla, bla, bla. Che melenso; Harry gli lancia un’occhiataccia.

È davvero così che le persone si rivolgono ai più potenti per ottenere grazie e favori? Dovrà farci più caso, le prossime volte che qualcuno gli parlerà.

Ma il re suo padre, ovviamente, sembra più che contento delle moine del cavaliere; gli sorride apertamente, facendo passare lo sguardo da lui a suo figlio, da suo figlio a lui.

“Sarai perfetto, me lo sento” biascica, infine.

Perfetto?

“Perfetto per cosa?” domanda allora Harry, improvvisamente perplesso. Non sa esattamente il motivo, ma ha una brutta sensazione dentro lo stomaco: dettata principalmente dal fatto che quei due continuino a lanciarsi strane occhiate.

“Perfetto per cosa, padre?” domanda ancora, dopo poco, un po’ più forte.

Louis si volta verso si lui sorridendo lascivamente, ma aspetta che sia il re, a parlare.

“Harry—” comincia quello, avvicinandosi: “—Tra due giorni partirai per il confine ad Ovest. Ho—scelto Louis come tuo mentore guerriero.”

Il ragazzo dagli occhi verdi spalanca lo sguardo.

E no, no, no.

 

 

§

 

 

Harry stropiccia più volte gli occhi; l’alba non è ancora sorta e il freddo della notte è decisamente troppo poco allettante per tentare di uscire dalle coperte calde.

Si stringe le braccia al petto, imponendosi di tenere le palpebre serrate: finge di non sentire i continui colpi alla porta di legno. (Che ha saggiamente sigillato col chiavistello, la sera prima.) 

“Harry!”

Dannata Gemma. Che vuole, adesso?

Non dovrebbe essere al tempio a pregare? Ora che è diventata una Sacerdotessa ha dei compiti da svolgere. Harry pensa che lui sarebbe trecento volte meglio, come Sacerdote.

Se solo ne avesse la possibilità; se solo il padre gli lasciasse un minimo di margine di scelta.

“Harry hai intenzione di alzarti o no?”

La voce della ragazza lo strappa via dai suoi pensieri: risulta un po’ ovattata da dietro lo spesso strato di legno massiccio, ma non sufficientemente da renderla meno fastidiosa.

No. Non voglio, grazie tante per la domanda.

“No” grugnisce il secondo dopo, sperando di averlo detto troppo piano perché qualcun altro possa averlo sentito.

“Ti ho sentito!”

Ecco, appunto. Non gliene va mai una giusta, eh? Sbuffa, tirandosi le coperte fin sopra la testa e raggomitolandosi tra le lenzuola di lana ruvida e morbida.

“Nostro padre è furibondo! Ti stanno già aspettando fuori in cortile; se non esci immediatamente verranno a buttare giù la porta a spallate—Ti frusteranno, Harry!” Sente la sorella sospirare affranta, battendo un altro colpo: “Ti prego, apri questa dannata porta. Qual è il problema?”

Oh, vuole la lista? Potrebbe volerci di più di una mattinata, allora.

Harry ruotagli occhi all’ampio soffitto di pietra e, con grandissimo sforzo, si scosta le spesse coperte di dosso; immediatamente il freddo della notte lo attanaglia in una morsa dolorosa.

Per puro miracolo arriva a trascinarsi fino alla porta ed a sbloccare il cardine: sa già che Gemma gli salterà praticamente addosso e che il velo di cordini intrecciati che ora è costretta a portare intorno al capo gli finirà in bocca, ma. Quando percepisce le sue esili braccia stringersi intorno al suo collo in un abbraccio gentile, Harry non può fare altro che ricambiare.

Insomma, se tutto va come suo padre ha programmato, non tornerà a casa per un bel po’ di tempo; è normale che Gemma stia nascondendo il volto nell’incavo del suo collo, no?

“Ehi, ehi” Harry le batte gentilmente una mano sulla schiena: “stai piangendo?”

La ragazza tira su col naso e ridacchia: “Mi mancherai tantissimo—La vita qui sarà una noia tremenda, senza d te.”

“È solo per un paio di mesi.”

“O un anno.” Gemma si stacca per riuscire a guardarlo negli occhi: “O forse anche di più.”

Harry abbassa lo sguardo puntandolo sulle dita fredde delle sue mani, ora congiunte davanti a sé; dèi, non ci vuole nemmeno pensare. Un anno, un dannato anno.

Un anno del ciclo del Sole che dovrà passare in compagnia di quel cavaliere dalla cicatrice bianca.

“Tu non ci vuoi nemmeno andare.” È Gemma a parlare improvvisamente, in quasi un sussurro, mentre gli afferra le mani e le stringe delicatamente tra le sue: “Tu non ci vuoi nemmeno andare—Rimani qui. Con me. Potremmo, uh, potremmo diventare entrambi servi degli Dèi,” alza lo sguardo, guardando il fratello con aria speranzosa.

“—per piacere. Non andare a combattere; non andare in guerra. Non morire. Ti prego, ti prego, ti prego.”

Senza che Harry possa farci niente, gli occhi di Gemma sono diventati di nuovo lucidi; lo guarda come se aspettasse una risposta.

Come se l’ultima parola toccasse a lui. Come no.

Le scosta un ciuffo di capelli dietro l’orecchio e la guarda, alzando appena gli angoli della bocca: “Gem, ascolta. Io—Non puoi capire quanto vorrei non dover andare. Ma,” prende un profondo respiro: “io sarò re, un giorno. Per quanto non voglia, dovrò imparare a proteggere il mio popolo. Glielo devo, capisci?”

Cerca di sorriderle: “—Forse nostro padre ha ragione. Forse—sono solo destinato a combattere. Anche se è la cosa che più odio al mondo.”

“Uhm. Hai ragione,” la ragazza distoglie lo sguardo, improvvisamente mogia: “hai ragione, scusa. Non avrei nemmeno dovuto chiederti una cosa del genere—Che stupida. È il tuo dovere. Io non posso—”

“Ehi” la interrompe Harry, dandole un buffetto sulla guancia: “È tutto a posto, tranquilla. È bello vedere che mi tratti finalmente come un fratell—ouch!

Arriccia il naso, massaggiandosi il bicipite appena colpito: “Perché diamine l’hai fatto?!”

“Non è questo il momento di fare lo spiritoso!” Lo ammonisce la sorella, non riuscendo però a trattenere un sorriso: “Rovini ogni momento serio!”

Harry sorride, piegando la testa di lato: le sembra di vederla di nuovo crescere, sotto i suoi occhi. Da quand’era una bambina alla donna che è diventata, tutto in un attimo.

“Mi mancherai anche tu, Gem.”

 

Fuori dal castello, un’alba perlacea inonda le cime degli abeti scuri e delle montagne di pietra e terra: Harry respira profondamente, lasciando che una piccola nuvola di condensa fuoriesca dalle sue labbra.

Mentre cammina per il cortile, verso il portone d’ingresso, alza gli occhi al cielo imbrunito nel quale riesce ancora a distinguere le ultime stelle, prima che vengano spazzate via dalla luce del sole.

Vorrebbe fermarsi al tempio per un’ultima preghiera prima della partenza per le montagne ad Ovest.

Vorrebbe pregare un’ultima volta: ci sarà almeno un altare, dove sta andando? Dove potrà compiere i suoi sacrifici?

Gli dèi sono potenti e iracondi, non accetteranno che il figlio del re non compia i rituali a loro dedicati; sono esseri malvagi, più soggetti alle emozioni umane di quanto non lo siano gli umani stessi.

Sono anche benevoli, però. Caritatevoli; servizievoli. Le preghiere salvano le anime prima dell’oblio, le preghiere sbagliate possono portare alla morte.

«Il sangue innocente che verrà versato sarà ripagato con città intere trasformate in sale e polvere.»

O, almeno, è così che recitano le Scritture che Harry ha memorizzato già da molto, molto tempo: quando sua madre gliele leggeva prima di addormentarsi, quando le studiava da solo, la notte, cercando di nascondersi da suo padre.

Una guardia, appena accanto al portone d’ottone, gli fa un cenno di saluto: ricambia, stringendosi le spalle dentro il suo soprabito di stoffa pesante e scura, ricamata in cuoio.

Il prato fuori dal castello è ancora coperto di rugiada fresca e sente i fili d’erba solleticargli le caviglie, mentre si dirige a grandi passi verso le due figure che si stagliano contro il cielo porpora, a qualche decina di metri.

Il cavaliere con la cicatrice è accanto a suo padre, in piedi, appoggiato comodamente sull’elsa della sua spada che ha piantato al suolo, tra la terra morbida; dèi, i suoi occhi blu sono distinguibili chiaramente persino da lì.

Lo vede annuire, ascoltando ciò che il re gli sta dicendo, ha le braccia conserte, dondolando sui talloni.

Harry deglutisce, avvicinandosi.

“Guarda un po’ chi ci ha degnato della sua presenza.” È la prima cosa che gli dice il re, ruotando gli occhi scuri al cielo.

“Scusa, padre. Gemma mi ha trattenuto per i saluti.”

“Dovresti scusarti anche con Louis—” l’uomo indica il cavaliere, che si limita a ridacchiare lanciando a Harry un’occhiata eloquente.

“—è qui ad aspettarti da prima dell’alba.”

Be’, di certo non è stato lui a chiederglielo; grazie tante. Nessuno l’ha costretto a presentarsi al castello, quella mattina: dovrebbe persino chiedergli scusa? No, non crede proprio.

Si fissano, in completo silenzio; Harry non ha nessuna intenzione di abbassare lo sguardo e cedere, così si limita a contrarre la fronte e le labbra in una linea rigida.

Percepisce suo padre, accanto a lui, cominciare ad alterarsi.

“Allora?” domanda, con una punta d’asprezza nella voce: “Scusati con Tomlinson, Harry. Ti ho educato meglio di così.”

Oh, come no. Non importa se, così facendo, Harry stesso sta dimostrando l’infantilità e l’immaturità di cui suo padre l’ha sempre accusato: lui non chiederà scusa a quel ragazzo.

Non ha nessun motivo per farlo e non lo farà. Non importa se quello lo sta fissando, divertito, in attesa delle sue scuse, se sta inarcando le sopracciglia o sollevando gli angoli delle labbra sottili.

Non. Lo. Farà.

Il re si sta irritando; dopo un altro paio di secondi passati nel completo silenzio, batte improvvisamente un piede a terra e fa per ordinare nuovamente a suo figlio di scusarsi con il cavaliere.

Ma, qualcosa lo interrompe.

“Il principe non ha bisogno di scusarsi, vostra altezza.” Il ragazzo dagli occhi azzurri si raddrizza nella schiena e afferra l’elsa della spada, facendone uscire la punta dalla terra morbida.

Con un gesto veloce e pulito della mano le fa compiere una perfetta circonduzione e la riafferra, in aria, per poi sistemarla dentro la fodera di metallo lavorato appesa al suo fianco con un movimento secco del polso; Harry, nonostante tutto, non può fare altro che fissare incantato la scena.

(Cerca di nascondere la sua ammirazione.)

Certo, lui è bravo con la spada, molto bravo, grazie a tutte le lezioni che ha preso da ragazzo; ma non crede di essere in grado di compiere un movimento del genere.

“State pur certi che entro la fine del nostro percorso, il ragazzo avrà imparato la disciplina che gli manca” conclude, lanciandogli un’occhiata.

Harry viene preso alla sprovvista, mentre sente il padre ridacchiare con voce gutturale; quel tipo gli ha dato nuovamente del ragazzino, vero?

L’ha fatto nascondendolo sotto un mucchio di ciance, ma l’ha fatto, no? Gli ha appena dato dell’immaturo.

“Bene, ora direi che potete andare,” il re si volta verso il figlio: “cerca di imparare il più possibile: per l’oggi e per il domani, quando diventerai il sovrano di queste terre e dovrai riuscire a controllare la guerra contro i Barbari, al di là della Barriera.”

Gli batte una mano sulla spalla, stringendogliela: “Ti scriverò.”

Non è vero, non lo farà. Harry lo sa bene; ma forse ha qualche possibilità di ricevere dei telegrammi da Gemma, se le staffette non moriranno durante il viaggio per cercare di raggiungere le montagne ad Ovest.

Harry annuisce ed osserva il padre lanciare un’ultima occhiata a Louis, prima di voltargli le spalle e dirigersi verso le mura del castello. Quando si trova a una sufficiente distanza, il cavaliere—senza dire una parola—comincia a camminare in direzione opposta, verso il bosco di pini scuri, poco più in là.

È costretto a correre, per raggiungerlo.

“Dove stai andando?” gli domanda, seccamente, col fiatone a causa della piccola corsa che è stato costretto a fare per riuscire a stargli dietro. Sente l’anello al collo dondolargli ad ogni passo.

“All’accampamento delle Sentinelle, sulle montagne dell’Ovest. Mi pare ovvio.”

“E vuoi andarci a piedi?!”

Suo padre ha scelto per lui il mentore più squilibrato della storia; vuole che raggiungano le montagne camminando? Sarebbero giorni di percorsi brulli tra le rocce, dovrebbero attraversare pianure e steppe immense, per non parlare dei boschi.

Quel Louis deve essere completamente impazzito.

“Sei completamente impazzito” dice allora.

Il cavaliere si ferma d’improvviso, appena al limitare del bosco. (Harry va quasi a sbatterci sopra, ma riesce a trattenersi dall’inciampare all’ultimo minuto.)

Lo osserva voltarsi verso di lui, puntandogli gli occhi azzurri addosso, insistentemente: “Stai attento a come ti rivolgi a me, ragazzino. Non importa se sei il figlio del re; per i prossimi mesi sei sotto il mio comando e se non vuoi che ti faccia trasportare massi dalla mattina alla sera o non vuoi essere frustrato, sarà meglio che cominci a tenere a freno la lingua, ci siamo intesi?”

Il volto di Louis si piega in una smorfia strana, il secondo prima che scoppi a ridere.

Sicuramente Harry deve essersi perso qualche passaggio: l’attimo prima l’aveva fatto raggelare sul posto, minacciandolo, ed ora lo sta confondendo ridendogli in faccia.

“La parte della persona seria non mi riesce bene, scusa” lo sente ansimare, prendendo una grossa boccata d’aria gelida per placare le risate: “Comunque, uh, sul fatto dei massi e delle frustrate non scherzavo. Quindi attento.”

Harry annuisce, incapace di fare altro.

L’alba, all’orizzonte, si fa ogni secondo più rosea e brillante, rischiarendo un po’ il mondo dalle tenebre della notte.

Louis è ancora immobile, piantato sui suoi piedi, mentre osserva concentrato la cima degli alberi appena illuminati; che cosa sta aspettando?

È quasi tentato di domandarlo, Harry, ma non vorrebbe che l’altro riesplodesse in—be’, quello che è successo poco fa; è costretto a massaggiarsi coi palmi delle mani le braccia intorpidite dal freddo mattutino.

Aspettano, aspettano e aspettano.

Passano minuti interi prima che un lievissimo fruscio si faccia strada tra l’aria immobile del mattino; diventa sempre più forte, ogni secondo che passa.

Harry guarda Louis con le sopracciglia aggrottate in una taciturna domanda, ma quello si limita a sorridere sornione e fissare il cielo perlaceo.

“Che mi dici dell’equilibrio?” domanda improvvisamente il cavaliere dagli occhi azzurri, quasi urlando a causa del fruscio che è diventato un vero e proprio rombo.

Cosa?” grida in risposta l’altro, mentre un vento improvviso—probabilmente causato dal rumore del rombo—gli scuote i capelli e fa piegare i rami degli alberi.

“L’equilibrio!” Louis scoppia a ridere, scostandosi un ciuffo di capelli dal volto: “Con quelle gambe lunghe penso che tu non ne abbia molto!”

Harry fa davvero, davvero fatica a capire di che diamine stia parlando il ragazzo, soprattutto considerando il fatto che il vento è diventato almeno dieci volte più forte e un rumore fortissimo ed ovattato gli riempie i timpani.

Che diamine sta succedendo? Una tempesta? Un terremoto?

Un’ombra improvvisa oscura il sole.

Harry non fa in tempo ad alzare lo sguardo che già l’enorme figura scura come la pece è passata oltre, vorticando e scendendo in picchiata contro di loro; l’aria che l’ombra muove è sufficiente per far scaraventare Harry a terra, ma non abbastanza da fare lo stesso con Louis.

Il vento raschia l’erba soffice del prato; Harry riesce a malapena ad udire il cavaliere urlare qualcosa alla figura, euforico.

Poi, l’ombra compie un ultimo balzo e, placidamente, si accuccia a qualche metro di distanza da Louis, coprendolo interamente con la sua ombra.

Quando Harry riesce finalmente ad aprire gli occhi, è costretto a spalancarli.

Un drago.

C’è un drago ad appena qualche decina di metri di distanza da lui: ha il muso lungo, affusolato, le ali scure ripiegate mollemente sul suo corpo, lisce come pece fusa, unghiate da enormi artigli neri.

Una fila di corna di bronzo piccole e tozze si fa strada dalla fronte della bestia—proprio tra gli occhi gialli—fino al retro della nuca.

Tiene le zampe piegate scompostamente, avvolte dalla sua enorme coda nera spinata, come il resto del corpo: due canini affilati e grandi quanto coltelli fuoriescono dal labbro inferiore e paiono brillare, sotto la luce tiepida del sole.

Harry percepisce il proprio sangue, dentro le vene, raggrumarsi e sciogliersi più volte: ha un drago davanti.

Non ne aveva mai visto uno dal vivo. Le sue enormi narici si allargano e si restringono e dalla sua gola pare provenire un riverbero profondo come una grotta.

Louis si avvicina alla bestia, accarezzandone le squame nere e lucide della gamba: continua a mormorargli qualcosa, sorridente.

Improvvisamente si volta verso Harry: “Questa è Masha,” ridacchia: “la mia dolce metà.”

Quella è—cosa? Harry è troppo confuso per pensare. Ed è ancora a terra. Dannazione.

Cerca di rialzarsi, ma si rende conto che le sue gambe stanno tremando. Un drago. C’è un drago davanti a lui. Dèi, sta per impazzire.

Louis pare non notarlo: “È una coccolona, non farti spaventare dagli artigli. Ma—uh. Non farla arrabbiare; e non graffiarle le ali.” Scuote la testa: “Puoi farlo solo una volta nella vita, prima che ti calci via di dosso, mentre siamo in volo.”

Mentre—Cosa?!

“Oh, no.” Harry ora ha riacquistato abbastanza lucidità da rispondere, affannato: “No, no, no, no. No. Non saliremo sopra quel coso.”

Il drago—Masha—emette un improvviso sbuffo dalle narici che fa rizzare i capelli di Harry.

Louis sbuffa: “È l’unico modo per raggiungere le montagne.”

“Possiamo—andare a piedi.”

“Come se io avessi tutto quel tempo da sprecare. Ho un compito da svolgere come Prima Sentinella, ragazzino.”

Il ragazzo dagli occhi verdi cerca diplomaticamente d’ignorare l’ultima frecciatina: “Non salirò su, uh, quel drag—”

“Masha.”

“Non salirò su Masha.”

“Cosa ti dicevo prima, sull’obbedirmi?”

Il drago piega improvvisamente il lungo collo verso il basso, fin quando i grandi occhi gialli non si trovano alla stessa altezza del volto di Louis; il ragazzo le accarezza il muso affilato.

“No, non parlavo con te, tranquilla” le sussurra e la bestia scrolla la testa, emettendo un forte sospiro dalle narici.

Harry sobbalza. “Non salirò lì sopra.”

Osserva l’altro invitare il drago ad allungare il collo; con un gesto fluido ci salta sopra, posizionandocisi.

L’animale emette un basso gemito, apparentemente soddisfatto di riavere il proprio padrone in sella.

“Parte fondamentale di essere un Guerriero sul Drago,” gli urla Louis, mentre il drago sotto lui comincia a stiracchiarsi le enormi ali per prendere il volo: “è saper cavalcare un drago.

Harry stringe i pugni, cercando di non prestare troppa attenzione alle enormi zampe di quella bestia; la sua enorme coda sbatte a destra e a manca, sollevando ciuffi d’erba e pezzi di terriccio scuro.

“Io non voglio nemmeno diventare un guerriero!” sputa, costretto ad urlare per sovrastare il rumore dei pesante passi del drago.

Louis, da lì sopra, scoppia a ridere: “Giusto, giusto, tu vuoi diventare un Sacerdote, verginello.”

Cosa?

“Come mi hai chiamato?!”

Il ragazzo dagli occhi azzurri gli lancia un’occhiata melliflua, piegando le labbra in una smorfia divertita; l’armatura di ferro leggero che indossa risplende per un attimo sotto la luce del sole.

“È quello che sei, no?” gli grida in risposta, afferrando saldamente con entrambe le mani un corno bronzeo del suo destriero: “Hai l’anello: sei un verginello.”

Un verginellMa come si permette?! E sarebbe Harry, quello che deve imparare un po’ di disciplina?

“Un Vergine” ringhia tra i denti, cercando di dare una controllata al tono della voce: “Sono un Vergine di mia scelta!”

Louis scoppia a ridere: “Certo, come no. Ora—monta su prima che il sole sorga completamente.”

Harry è quasi sicuro che possa uscirgli fumo dalle orecchie da un momento all’altro: come fa a parlarne così tranquillamente, quel tipo dagli occhi azzurri? Essere Vergini è una parte fondamentale dell’essere Sacerdoti: bisogna conservarsi agli dèi, è così che recitano le Scritture Sacre.

È una delle cose più nobili che un uomo o una donna possano fare per dimostrare l’amore che provano per i loro dèi e quel cavaliere si permette di riderne? Sul serio?

“Cosa intendi con certo, come no?” sbotta, con voce decisamente più stridula del dovuto: “Io un giorno diventerò Sacerdote e re, ed è per questo che indosso l’anello.”

“Non ti sto accusando di niente,” Louis cerca di nascondere un’ulteriore risata in un colpo di tosse, mentre borbotta un: “—verginello.”

Le mani di Harry pizzicano dalla voglia di afferrare una spada qualsiasi (che ovviamente non ha) e buttare giù quel dannato cavaliere sbruffone da quel coso nero; gli toglierebbe il risolino irritante dalla faccia a forza di schiaffi.

“Hai intenzione di montare su o no? Non ho tutto il giorno” gli grida improvvisamente Louis, passandosi una mano sopra la barba rada.

Masha, il drago, emette uno sbuffo spazientito ed è forse questo che fa decidere a Harry di darsi una mossa e raggiungere pacatamente l’altezza di Louis; quello sorride, soddisfatto, e gli tende una mano per aiutarlo a salire sull’enorme collo della bestia.

Gli occhi gialli del drago lo squadrano e Harry si sente incredibilmente a disagio.

“Tranquillo, è solo perché non ti ha mai visto prima. Non ti torcerà un capello.” Louis gli tende ancora la mano e il ragazzo dagli occhi verdi, nonostante tutto, si vede costretto a stringergliela. (Quando lo fa, distoglie lo sguardo.)

Louis dei Tomlinson deve avere decisamente molta più forza nelle braccia di quanto non sembri perché con un movimento fluido tira letteralmente su il corpo di Harry—che pigola, sorpreso—a sedere appena dietro di lui.

“Stringiti forte, Harry.”

Da quando si conoscono, questa è la prima volta che lo chiama per nome; il ragazzo dagli occhi verdi non può fare a meno di esserne sorpreso: sorpreso dal fatto che l’abbia pronunciato così semplicemente.

Arrotondando le erre finali, com’è d’uso nell’idioma dell’Ovest; suona piacevolmente bene, il suo nome, nella bocca dell’altro.

Oltre a Gemma e a suo padre, Louis deve essere il primo a non rivolgersi a lui con altezza o principe.

Ma la cosa non lo infastidisce. Sorprendentemente, nemmeno un po’.

Viene brutalmente strappato via dai suoi pensieri quando il cavaliere dà una piccola pacca sulle squame lisce del drago e tira un grido; improvvisamente, Masha sembra svegliarsi e si raddrizza, cominciando a spalancare le ali e a cercare appigli su cui aggrapparsi.

Muove il collo e la testa verso l’alto, guardando il cielo, e il movimento è tale che Harry per poco non casca giù a terra.

(Riesce ad evitare la sorte solo aggrappandosi alla vita di Louis, con entrambe le mani.)

(Forse chiude gli occhi e preme la fronte contro la sua schiena, pregando di non morire; è troppo giovane per tirare le cuoia! Che gli dèi lo aiutino.)

(Louis, in ogni caso, si limita a ridere.)

Le enormi ali scure come pece cominciano a fremere, mentre il drago indietreggia scompostamente e scrolla più volte l’affilata testa cornuta; poi, incomincia a correre.

O, almeno, comincia a fare qualcosa che assomiglia vagamente ad una corsa.

Le sue grandi zampe si aggrappano al terreno, il collo serpeggia tra l’erba alta al limitare del bosco e tutto il corpo si muove ondeggiando; la coda fa lo stesso.

Harry sente il cuore salirgli in gola mentre l’animale continua a prendere velocità e a sbuffare sempre più sonoramente.

Improvvisamente, il drago compie un balzo sbilenco ed altissimo; barcolla ancora per un paio di secondi e sembra addirittura che stiano per precipitare e schiantarsi al suolo quando quello spalanca le ali e arresta la caduta bruscamente.

Il sangue di Harry comincia lentamente a tornare a circolare, ma si rifiuta ancora di tenere gli occhi aperti.

Masha comincia lentamente a prendere quota e salire e salire e salire fin quando il sole non sembra improvvisamente più luminoso e l’aria molto più fredda.

Intorno a loro, c’è solo il rumore del vento.

“Ehi, ci sei?” È Louis a parlare, guardandolo con la coda dell’occhio.

Harry deglutisce rumorosamente: “S-sì—Mi serve un attimo, scusa.”

Il cavaliere dagli occhi azzurri scoppia a ridere. “Fa con calma, ma, uh, ti suggerirei di aprire gli occhi, se non vuoi perderti questo meraviglioso spettacolo.”

Oh, facile a dirsi: apri gli occhi, sali su un drago grande quanto una casa, lascia che un tipo squilibrato ti faccia quasi sfracellare al suolo. Semplicissimo.

“Sul serio, apri gli occhi!” Sente Louis ridere, sistemandosi meglio a cavalcioni sul collo del suo destriero alato.

Dopo aver preso un profondo respiro, Harry decide di socchiuderne uno.

Intravede malamente la terra, centinaia e centinaia di metri sotto di loro; lo richiude all’istante e aumenta la presa sulla vita di Louis.

Oh. No. No, no, no. Brutta faccenda” comincia a mormorare, strizzando le palpebre: “Voglio scendere. Ti prego, ti prego, fammi scendere.”

“Non credo che tu lo voglia davvero—non da questa altezza, almeno.”

Colpito e affondato.

Harry squittisce e arriccia il naso, percependo il vuoto assoluto, sotto le piante dei propri piedi.

“Non fare il bambino, apri gli occhi!”

E, va bene, potrebbe effettivamente pensare di aprirli ma non ne è poi così sicuro, nonostante tutto; prova a socchiuderne nuovamente uno, poi l’altro.

“Non ce la posso fare” borbotta, arrendevole.

Louis ridacchia: “Sei proprio un ragazzino.”

Harry ringhia, su tutte le furie: “Smettila di chiamarmi ragazz—”

Si blocca all’istante. Ha aperto gli occhi.

Ha aperto gli occhi.

Per tutti gli dèi del mondo. Gli ha letteralmente spalancati, preso dall’impeto della rabbia.

Si guarda intorno, con la bocca spalancata.

Neve, nuvole, montagne illuminate dal sole; foreste che vibrano sotto il vento, ruscelli che sgorgano e rotolano giù per le rocce sono solo alcune delle poche cose che Harry riesce a vedere, così chiaramente, da quell’altezza.

Il cielo ormai azzurro sta letteralmente spazzando via gli ultimi residui di notte stellata, mentre timidamente le cime brulle delle montagne più basse gettano ombre a valle; le nuvole rosate creano le più incredibili forme e l’aria fredda gli riempie i polmoni.

Il vento gli scosta i capelli, gli entra sotto i vestiti, gli avvolge il corpo e sembra stringerlo in una morsa incredibilmente piacevole.

Harry sbatte più volte le palpebre, guardandosi in basso e osservano le foreste che sembrano infinite, i serpeggianti letti dei fiumi.

“Che ti avevo detto?” esclama Louis.

Harry, semplicemente, non ha idea di cosa rispondere.

Ci sono parole per descrivere tutto il creato degli dèi? Le pianure vaste, le case dei villaggi sotto di loro, il sole che brilla.

C’è un senso d’immensità, in tutto questo.

Essere sulla cima del mondo, poter osservare ciò che non avrebbe mai creduto possibile vedere.

“È incredibile” mormora, forse più a se stesso che all’altro, ma comunque sufficientemente forte da farsi sentire.

“Goditelo finché puoi,” gli risponde Louis, sistemandosi meglio la fodera della spada sul fianco: “Ti aspetta un duro addestramento, quando arriveremo.”

Afferra più saldamente il corno e batte coi talloni sul fianco del collo del drago: “Ora scenderemo un po’” dice: “tieniti stretto.”

Harry non se lo fa ripetere due volte.

 

 

 

 

            Atterrano su una montagna particolarmente alta, dopo ore intere di viaggio; Harry percepisce le proprie gambe essere diventate molli a forza di tenerle nella stessa posizione, ma suppone sia tutta questione di abitudine.

Louis, infatti, è nel pieno delle sue forze, come sempre: ordina a Masha di cadere in picchiata sul fianco della montagna, aggrappandosi con gli artigli ad un altopiano che sembra scavato letteralmente nella roccia ed è a strapiombo sul vuoto.

Appena Harry poggia un piede a terra, una fitta di dolore lo colpisce proprio all’altezza dello stomaco: prima che possa effettivamente rendersene conto, s’è piegato su un cespuglio basso e sta vomitando l’anima.

Louis, poco più in là, non si degna nemmeno di voltarsi.

“Capita, le prime volte” spiega, accarezzando un’ultima volta il muso del drago: “all’inizio è difficile riabituarsi alla terra ferma. Poi migliora, col passare del tempo.”

Mormora qualcosa a Masha che Harry non è in grado si sentire, considerando il fatto che è letteralmente piegato sulle ginocchia a rimettere la cena della sera prima.

Se solo lo avessero lasciato portare le erbe medicinali di Gemma, dannazione, ora si sentirebbe molto meglio: ma no, ovviamente, “un guerriero deve affrontare il tirocinio senza nient’altro se non il suo coraggio.”

Stupido padre e stupida tradizione che costringe i poveri disgraziati come Harry a lasciare casa propria e i propri affetti per seguire uno squilibrato con un drago e una spada.

Dannati tutti. Soprattutto quello stupido drago. E il suo stupido cavaliere.

Un possente battito d’ali proviene da dietro di lui, producendo una ventata d’aria abbastanza forte da scuotergli i capelli: si volta giusto in tempo per osservare Masha diventare un puntino sempre più piccolo, nel cielo della tarda mattinata, fino a scomparire completamente, verso altre montagne.

“Come va, ragazzino?” domanda dopo poco Louis, voltandosi e lanciandogli un’occhiata divertita: “Ti conviene darti una sistemata se non vuoi che comincino a prenderti in giro dal primo giorno, all’accampamento.”

Harry si asciuga con il polso i residui di bava colatagli sul mento: arriccia il naso.

Disgustoso.

“Quale—” deglutisce, mandando giù un ulteriore bolo acido: “—accampamento?”

“Quelle delle Sentinelle dell’Ovest, duh?” Louis si massaggia il collo: “Abbiamo il compito di proteggere questo versante del regno da eventuali attacchi dei Barbari. Siamo circa una ventina—e sarai immediatamente il bersaglio di ognuno di loro, se non ti dài un po’ di tono.” Rimane un attimo in silenzio, riflettendo: “Salvo Liam, forse. Lui non potrebbe prendersi gioco di nessuno.”

Salvo chi?

Harry è decisamente troppo sottosopra per riuscire a mettere ordine nella sua mente; si raggomitola su se stesso, respirano affannosamente.

“Ehi, ehi” vede l’altro avvicinarsi improvvisamente, sedendosi suoi propri talloni per raggiungere la sua altezza: “Vuoi un po’ d’acqua?”

Ti prego.

Annuisce urgentemente.

Quando il ragazzo gli porge una borraccia di pelle che teneva nascosta da qualche parte sotto l’armatura leggera, Harry si ritrova a bere avidamente, sentendo la propria gola bruciare, acida.

“Respira profondamente; prova a metterti in piedi.” Percepisce delle mani forti afferrargli i fianchi, trascinandolo lentamente verso l’alto, aiutandolo a raddrizzarsi.

“Per questo ti ho chiesto se avevi equilibrio” Louis gli scosta un riccio dalla fronte sudata: “Per evitare qualcosa del, uh, genere.”

Harry sbatte più volte le palpebre, annuendo lentamente; non è esattamente sicuro di che cosa il ragazzo gli abbia appena detto ma si limita ad annuire comunque, incapace di fare altro.

Che c’entra l’equilibrio con il vomito, poi? Glielo chiederà quando si sentirà meglio; promemoria.

“Sei bianco come un fantasma.”

“Ho—uhm. Bisogno di un secondo.” Si appoggia su un masso, sedendocisi sopra. Prende la propria testa tra le mani e respira profondamente, lasciando che le fitte allo stomaco si affievoliscano.

Louis rimane al suo fianco per tutto il tempo, il volto piegato in una smorfia indescrivibile.

L’ombra dell’abete sotto il quale si è seduto è sufficiente per rinfrescare il suo volto sudato.

Dopo minuti interi, Harry improvvisamente decide di alzarsi: “Uhm, va bene ci son—”

Non riesce a finire la frase.

Smak.

Un sibilo improvviso e un dolore acuto alla guancia lo fanno raggelare sul posto: che cosa è successo? Il sangue gli si gela nelle vene.

Scosta leggermente gli occhi di lato e, proprio infilzato nella corteccia dell’abete dietro di lui, c’è una lancia.

Una lancia.

Qualcuno gli ha lanciato una lancia mirando alla sua testa; sente il taglio sulla sua guancia pulsare e il sangue colare fino al meno.

L’ha a malapena sfiorato. La punta di metallo finissima è macchiata del suo sangue scuro.

Louis, poco davanti a lui, è altrettanto sconvolto: si volta improvvisamente, brandendo la spada.

Qualcuno si sta nascondendo dietro a degli alberi, dall’altra parte dell’altopiano in cui si sono fermati: non c’è bisogno che il cavaliere si avvicini perché la figuta, un paio di secondi dopo, sbuca improvvisamente dai rami.

“O, dèi, sei tu!”

Una voce squillante riempie l’aria.

Harry fa fatica a sentirla chiaramente, a causa del fatto che le sue orecchie, ora, sono riempite dal suono martellante del suo cuore, che sta pompando a mille.

La voce, comunque, appartiene ad un ragazzo dai capelli chiari come il sole, il viso morbido e la pelle altrettanto pallida.

Ha lo stemma dell’Ovest appiccicato al petto con grosse corde di cuoio e nella mano tiene una nuova lancia uguale a quella che ha quasi ucciso Harry.

“Louis, mi hai fatto prendere un colpo!” esclama, con forte accento dell’Ovest. “Ho visto Masha volare via e ti ho aspettato all’accampamento, ma non ti facevi vivo così sono venuto a controllare di persona.”

Sbuffa, grattandosi una gota rosastra: “Pensavo che fosse un Barbaro.”

Harry vede il volto del cavaliere dagli occhi azzurri aprirsi—dopo un attimo—in un sorriso luminoso: “Niall, dannazione” strepita, indicando con il pollice il ragazzo dagli occhi verdi, ancora raggelato per l’improvvisa scarica d’adrenalina: “Lo hai spaventato a morte!”

“Non, uh, volevo ucciderlo.” Mormora il ragazzo biondo, a mo’ di scusa: “Se così fosse stato, la lancia gli sarebbe finita proprio in mezzo alla fronte” si picchietta con un dito affusolato la propria, di fronte, per poi ridacchiare.

“Io sono Niall, comunque. Piacere di consocerti—?” Si avvicina, tendendogli la mano libera dalla lancia.

Harry è decisamente troppo sconvolto per rispondergli; continua a fissargli la mano tesa, gli occhi spalancati.

Sono mani decisamente troppo piccole per sorreggere una spada, ma perfette per una lancia ben equilibrata; sono macchiate, sporche di terra e con varie piccole cicatrici all’altezza del polso.

Tutto sommato, sono incredibilmente aggraziate; non crede di aver mai visto delle mani così segnate e allo stesso tempo delicate, in tutta la sua vita.

“Harry,” lo precede improvvisamente Louis: “Lui è Harry degli Styles. Sono il suo mentore.”

Il cavaliere biondo—Niall—alza improvvisamente l’arcata sopraccigliare, scoppiando a ridere: “Abbiamo unnobile? Uao. Questo sarà molto divertente.”

“Così lo stai spaventando solo di più.” Louis ridacchia.

“Nah, scommetto che diventeremo grandi amici—Non sono irritante come sembro, tranquillo.” Gli lancia un occhiolino.

Harry sbatte le palpebre più volte, voltandosi lentamente verso Louis; quello si limita a mimargli, con le labbra, un Sì, che lo è.

“Dacci un taglio.” Niall lo ammonisce con la punta della lancia che tiene in mano: “Non lo sono, non fargli venire in mente strane idee. E—uhm” borbotta, passandosi una mano sul retro del collo: “Non volevo scagliarti la lancia, io—scusa. Credevo che—Niente, lascia stare.”

“Non, uh” il ragazzo dagli occhi verdi deglutisce, rendendosi conto che la sua gola è diventata secca: “Non fa niente, tranquillo.” Be’. Più o meno.

Il volto dell’altro si apre in un sorriso sinceramente felice: “Ottimo! Ora Liam e Zayn dovrebbero tornare a momenti dal giro di ricognizione, per quello del pomeriggio ci siamo io e Huton.”

Mentre sta parlando pragmaticamente, il ragazzo biondo s’avvicina all’albero dalla corteccia spessa dietro Harry e, con un gesto secco, stacca la lancia conficcata nel legno.

Col pollice pulisce la punta macchiata di sangue e alza lo sguardo verso Louis: “Ci vediamo ‘sta sera.”

Si avvicina pericolosamente alla parte d’altopiano a strapiombo; i suoi piedi camminano sul filo del burrone, poi, in un balzo preciso, si getta dall’altra parte.

Gli occhi di Harry si spalancano e nella sua gola s’intrappola un grido che non fa in tempo a liberarsi poiché, il secondo dopo, dal vuoto riemerge una figura dorata.

Niall, aggrappato ad essa, lancia un lungo fischio divertito.

“Quello è Huton, nel caso te lo fossi chiesto.” Louis gli si avvicina, ma Harry è ancora in balia dello shock iniziale per riuscire ad aprire bocca.

Il ragazzo indica il drago dorato sul quale il cavaliere biondo è balzato: le sue ali, decisamente più tozze di quelle di Masha, sono sfumate di bianco e oro, il suo corpo è piccolo e le sue forme risultano decisamente pacchiane.

“È un drago ancora molto giovane” spiega Louis, al suo fianco:

“Ma presto crescerà e diventerà meno—meno Huton” ridacchia: “È una tortura averlo in giro per l’accampamento; è talmente goffo che fa cascare sempre tutto con la coda.”

“Dove—dove stanno andando?” domanda Harry, osservando il drago e il suo cavaliere diventare un puntino luminoso sempre più lontano, nel cielo.

“A compiere il giro di ricognizione. Anche se la guerra vera e propria si sta svolgendo dietro la Barriera a Nord, non è detto che qualche orda di Barbari non possa passare di qui.”

Rimangono un attimo in silenzio; Harry ora si sente stranamente tranquillo. Il sangue ha ricominciato a pompare normalmente, dentro le sue vene, e i dolori alla pancia sono spariti del tutto.

Solo la ferita sulla guancia continua a bruciare un po’, ma non è niente di eccessivo.

Louis gli batte una mano sulla spalla, scuotendolo improvvisamente: “Ora diamoci una mossa. Siamo già in ritardo.”

Harry annuisce e lo segue, avviandosi per un sentiero tra gli arbusti e le rocce.

 

È costretto a seguire Louis per un lungo sentiero brullo, in salita; nemmeno a dire che è sicuro di aver consumato tre quarti dei suoi polmoni solo per compiere il primo tratto.

“Con quelle gambe lunghe pensavo che camminassi più velocemente” gli ride in faccia Louis, metri più avanti.

Harry si appoggia ad una roccia per prendere fiato: sente il petto stringersi in contrazioni dolorose.

E pensare che non ha nemmeno iniziato l’allenamento vero e proprio.

Potrebbe scoppiare a piangere da un momento all’altro, ne è sicuro.

“Non—” prende una profonda boccata d’aria: “Non sento più l’aria—nght.. Alla, umpf, testa.”

“Oh, andiamo. Manca davvero poco, credimi.” Il cavaliere indica avanti, oltre una siepe: “Vedi quel fumo? L’accampamento è lì, ci siamo quasi.”

Harry fa segno di no con la testa. “Non ce la posso fare.”

“Sì, che puoi. O—” Louis lancia un’occhiata derisoria: “potrei portarti in braccio, principessa.”

Ottimo, un altro nomignolo: si conoscono solo da poche ore e questo è già il terzo.

Dèi, se non fosse che i suoi polmoni stanno letteralmente bruciando dal dolore, ora si scaglierebbe contro di lui e lo farebbe cadere a terra, picchiandolo a sangue.

(Non è sicuro che ci riuscirebbe, soprattutto considerando il fatto che Louis dei Tomlinson deve avere molta più massa muscolare di lui, ma. Il pensiero, in ogni caso, è consolatorio.)

L’ultima frecciatina è sufficiente per far rinvigorire le membra di Harry, che si raddrizza, respirando pesantemente.

“Non osare mai più chiamarmi così” lo apostrofa, puntandogli un dito contro.

Vede Louis scoppiare a ridere, ricominciando a camminare verso l’accampamento: “Va bene, va bene, mi scusi, Maestà” poi aggiunge, borbottando: “—verginello.”

“Ti ho sentito!” sbraita Harry: “Io sono il figlio del re, dannazione! Dovresti portarmi un po’ di rispetto!”

Ma, ovviamente, le sue parole non scalfiscono nemmeno lontanamente il cavaliere, che si limita a sbuffare.

“Sei un bambino, Harry: ed io non ho paura dei bambini.”

Lui non è un bambino: ha quasi compiuto la soglia della maggiore età e quanti anni potrà mai avere di più, il ragazzo che lo sta guidando attraverso quella selva? Non molti. (È anche più basso di lui, a dirla tutta.)

Quindi potrebbe anche smetterla di trattarlo così.

Vorrebbe potergli rispondere a tono, con impertinenza, perché non può seriamente lasciare che un cittadino qualsiasi del regno si permetta di rivolgersi a lui così, ma s’azzittisce lo stesso istante in una scossa fortissima fa tremare la terra sotto di loro.

"Che cos—?!” esclama, barcollando per non cadere al suolo.

Vede un’ombra scura cadere sul volto di Louis, che gli fa segno di rimanere in silenzio: delle voci, come ordini, sembrano provenire da dove dovrebbe essere l’accampamento.

Il ragazzo dagli occhi azzurri si volta verso di lui. “Andiamo, sbrigati” gli ordina, urgentemente.

Cominciano a salire più velocemente, Harry pare completamente dimenticarsi della fatica.

Osserva Louis farsi spazio tra i rami bassi, lasciando che gli graffino il volto e le braccia; si ferma improvvisamente solo quando il sentiero comincia a farsi meno visibile, più nascosto dalla polvere della terra.

Harry si ferma a pochi passi dietro di lui, spalancando gli occhi dal terrore.

C’è un drago, davanti a lui.

Ma—non è questo il punto; insomma, in tutta la sua vita ne ha solo sentito parlare e in una sola mattinata è già il terzo, che vede.

La cosa che lo lascia raccapricciato è che, questo enorme drago—almeno due volte la taglia di Masha—, èaccasciato letteralmente al suolo.

Sembra esausto, come se fosse caduto in picchiata da un’altezza considerevole per sfracellarsi contro quella montagna: è piegato su un fianco, ansimante, e decine e decine di frecce sono incastrate dentro la sua carne squamosa per quasi metà della loro intera lunghezza.

Sangue nero e denso cola dalle ferite sulle squame blu notte, sul muso decisamente schiacciato, sui denti seghettati, sulle ali intrise di tagli.

Una nuvola di terra si alza tutto intorno a lui: deve essere stato quella la scossa di prima, pensa Harry.

Decine di altri cavalieri stanno accorrendo tutto intorno al corpo del drago: estraggono le frecce, inumidiscono e ferite con unguenti che Harry non riesce a riconoscere; portano tutto lo stemma dell’Ovest, sul petto.

Le spade dondolano ai loro fianchi, mentre corrono da una parte all’altra dell’accampamento tra le brande sistemate tutte intorno a loro, fatte di legno robusto, coperte di pelle di animali conciate.

Gli uomini entrano ed escono da quelle, prendendo bende di lino, acqua, chiodi di ferro riscaldati per ricucire la pelle, urlano ordini a destra e a manca.

“Calum!” È il grido di Louis a risvegliare Harry dallo stato di trance in cui era caduto: vede un ragazzo dalla pelle mulatta—quello che stava urlando un qualche ordine ad un ragazzo dai capelli biondo sporco—voltarsi improvvisamente.

Il cavaliere dagli occhi azzurri non perde un secondo di tempo e, con poche falcate, lo raggiunge; Harry lo segue, frastornato. Che altro potrebbe fare?

“Cosa—” Louis si guarda intorno, lanciando continue occhiate agghiacciate al corpo dell’enorme drago, ansante: “—cosa è successo? Dove sono Zayn e Liam?”

Il ragazzo dalla pelle abbronzata scuote la testa, afferrando una catasta di panni di lino da terra: “Non lo sappiamo, Louis. È tornato solo Urich, in questo stato” guarda il drago: “ma non aveva in sella Liam.”

Harry rimane immobile: c’è qualcosa di atroce nello sguardo che s’è fatto spazio sul volto di Louis, ma. È solo un istante. Un piccolo, veloce istante: il secondo dopo, i suoi occhi hanno riacquistato tutta la compostezza e la lucidità che una Prima Sentinella è tenuta ad avere.

Ci vuole solo un secondo perché Harry capisca cosa il cavaliere dagli occhi azzurri stia facendo e, quando lo realizza, ne viene destabilizzato: Louis sta facendo il suo lavoro.

Sta mettendo da parte il sentimentalismo e cerca di mantenere la mente lucida per impartire gli ordini di cui i suoi compagni necessitano, nient’altro.

Come fa?

Quando aveva otto anni e stava giocando in cortile, Harry ricorda di essersi tagliato parte del palmo con un ferro arrugginito: era scoppiato a piangere talmente forte che l’intera servitù era accorsa, Gemma per prima.

Gli aveva detto di calmarsi, che sarebbe dovuto correre alla fontana e pulirsi il taglio immediatamente, per evitare infezioni, al posto di piagnucolare; lo aveva detto gentilmente, però, con praticità, mentre gli bendava la mano con un panno umido.

Non è mai stato bravo nel prendere decisioni lucide, lui.

Forse è per questo che suo padre ha sempre cercato di spingerlo oltre i limiti, di fare uscire l’uomo che era in lui; forse per questo era così felice di mandarlo a vivere con un guerriero vero e proprio.

Harry non lo sa, e non può fare altro che osservare Louis, con una morsa di gelosia che gli attanaglia lo stomaco perché lui non possiederà mai il sangue freddo di quel ragazzo: non sarà mai quel ragazzo.

Non sarà mai un bravo guerriero.

Non sarà mai un bravo re.

“Okay, okay” la voce del cavaliere lo strappa bruscamente dai suoi pensieri: è incredibilmente pragmatica. “Tu, Michael, Greg a Stan badate a Urich e assicuratevi che il veleno delle frecce venga rimosso” ordina, sbrigativamente.

Vede Louis voltarsi verso il resto dei cavalieri, che improvvisamente hanno fermato i loro rispettivi compiti per ascoltare le parole del loro capo:

“Io, Ashton e Luke andiamo cercare Zayn e Liam—Non c’è tempo di avvisare Niall. E, Harry.” Quello sobbalza, sentendosi chiamato in causa: “Tu devi rimanere qui. Mi saresti solo d’intralcio.”

Il ragazzo annuisce: è quasi sollevato di non dover seguire Louis in qualsiasi posto lui voglia andare perché, a giudicare dalle condizioni del drago, deve essere un posto abbastanza pericoloso.

“Non credo ce ne sarà bisogno!”

Qualcuno, tra i cavalieri, punta un dito in alto: il resto degli altri, compreso Louis, segue con gli occhi il movimento, finché non vedono qualcosa muoversi nel cielo.

Una piccola striscia rosata che si muove ondeggiante tra le nuvole rade.

“È Neevae!” grida il ragazzo dalla carnagione opaca.

Harry è costretto a socchiudere gli occhi per riuscire a mettere a fuoco la forma indistinta nel cielo: è un altro drago, poco ma sicuro, rosa pallido, incredibilmente lungo, flessuoso.

Come se il suo intero corpo non fosse altro che un’enorme coda; ha un muso affilato e gli occhi viola sono distinguibili persino da lì—non ha ali.

Non ha ali? Come fa un drago a volare, senza ali? È forse un—Oh.

Harry spalanca gli occhi; è un drago dell’Est.

Deve avere letto qualche libro a riguardo: animali rari da quelle parti, riescono a mantenersi in aria grazie al movimento ondulatorio costante del loro corpo e—Cos’altro? Non se lo ricorda.

È passato decisamente troppo  tempo dall’ultima volta che ha aperto un libro sulle creature del loro regno.

“Zayn è lì sopra?” “Sta cavalcando Neevae?” Sono solo poche delle domande che Harry riesce a distinguere tra i mormorii, che si azzittiscono di colpo solo quando, con un movimento fluido ed elegante, il drago s’appoggia a terra.

L’istante dopo, una figura salta giù dal collo dell’animale e casca a terra, trascinandosi qualcosa di pesante dietro: Harry percepisce il proprio sangue raggrumarsi dall’orrore.

È un corpo.

Quello che si è trascinato dietro è un corpo; insanguinato e pulsante.

È Louis il primo a farsi strada verso le due figure: “Zayn!” esclama: “Zayn, cosa è success—” si blocca nello stesso istante in cui vede ciò che Harry ha già visto.

“È vivo?” domanda, con una palpabile tensione nella voce.

Il ragazzo appena sceso dal drago annuisce impercettibilmente con la testa e cerca di rimettersi in piedi, barcollando appena: ha una grossa ferita sulla spalla destra.

“I Barbari—” si schiarisce la voce, sputando tra la polvere: “Erano otto. Ci hanno sorpresi nella valle.”

Si piega verso il compagno incosciente, tirando su il suo corpo: “Liam ha perso molto sangue, ma—respira ancora. Urich—”

“Si stanno già occupando di lui.”

“Mi dispiace—Io—avrei dovuto essere più attento, io—” lascia la frase in sospeso.

Louis annuisce, senza aggiungere niente; si volta improvvisamente verso gli altri.

“Cambio di programma,” esclama, non riuscendo ad evitare nemmeno un secondo di staccare lo sguardo dal corpo martoriato del compagno.

“Io, Greg, Luke e Calum andiamo a controllare che non ci siano superstiti tra i Barbari. Voi altri prendetevi cura di Urich e Liam. Harry, prima lezione:—” Louis indica la branda nella quale due ragazzi stanno trasportando il corpo del cavaliere:

“—medicazione. Michael t’insegnerà a ricucire una ferita e sterilizzarla, hai capito? Nella vita di un guerriero è molto più utile di quanto sembri, l’abbiamo sperimentato tutti.”

Il ragazzo annuisce, preso completamente alla sprovvista; Louis pare non notarlo.

“Ottimo,” si volta verso gli altri: “Prendete le spade e chiamate i draghi! Dirigiamoci all’altopiano!”

“Vengo anch’io.” Il cavaliere con la ferita alla spalla cerca lentamente di mettere un piede dietro l’altro ma inevitabilmente barcolla, cadendo al suolo: comincia a tossire.

“Non se ne parla!” gli urla Louis, dall’altra parte dell’accampamento, mentre si dirige verso il sentiero: “Harry, puliscigli la ferita e mettilo a dormire!”

“Ma—”

“Fallo!”  

Harry ha bisogno di un paio di secondi prima di afferrare sotto braccio il cavaliere ferito e cercare di trasportarlo fino alla branda che gli ha indicato prima Louis: un ragazzo dalla carnagione chiara si sta già occupando di Liam.

Deve essere Michael.

Altri si stanno occupando di Urich e—Neevae? È così che si chiama, il drago dell’Est? Estraggono punta di bronzo dalle loro squame e versi disumani escono dalle bocche nere degli animali; un liquido scuro sporca la terra.

Harry continua a trascinarsi dietro il cavaliere: l’odore del sangue gli riempie le narici ed è quasi tentato di piegarsi e vomitare nuovamente.

Caccia via il pensiero, mandando giù un boccone amaro.

Prima lezione:, si ripete nella testa, facendo più stretta la presa intorno al corpo dell’altro.

Sopravvivere.

 

 

 

 

            Harry si asciuga una goccia di sudore che cola giù per la curva del collo.

Rilassati, pensa, prendendo un profondo respiro.

La notte ormai ha spazzato via l’intero pomeriggio, e la luce della candela sopra il tavolo è davvero troppo fioca per poter pretendere che Harry riesca ad infilare il filo dentro il foro dell’ago di ferro.

“Stai andando bene, ma—vuoi che faccia io?” Michael appoggia una sua mano sopra quelle tremanti di Harry, sorridendogli; gli sfila gentilmente dalle mani ago e filo e, con un movimento netto, li incastra perfettamente.

Si libera dell’eccesso di spago con un morso secco. “Ecco, qua” esclama, porgendoglielo nuovamente: “Non è male, come tua prima volta—Harry, giusto?”

Il ragazzo dagli occhi verdi annuisce, scostandosi i capelli dalla fronte sudata.

Oh, ma chi vuole prendere in giro? È una frana nella medicazione; e i lamenti che emette il ragazzo semicosciente sdraiato sul tavolo davanti a lui ne sono la prova.

“Anch’io ci ho messo tanto tempo, per imparare, non vergognartene.” Michael gli batte una mano sulla spalla, con fare incoraggiante.

Harry sospira e lascia che l’ago si riscaldi per un po’ sopra la cima della candela, per assicurarsi che non lasci ulteriori ferite aperte.

“Grazie per—uh, sai. Avermi insegnato” borbotta, scuotendo la testa: si sente un tale idiota.

È un pomeriggio intero che sta cercando di aiutare quel ragazzo a curare il malcapitato ed è quasi scoppiato a piangere due volte—quando è stato costretto a scavare nella pelle del cavaliere ferito per tirare via la punta di una freccia—e ha quasi vomitato tre.

Ha cucito stortamente cinque punti, due dei quali si sono già allentati e probabilmente dovrà ripassarci sopra: Michael è stato gentile a supportarlo e ad indicargli quali fossero gli unguenti adatti, le piante mediche da utilizzare, tirando fuori vasi di vetro soffiato da un mobile in fondo alla branda.

Ma la verità è che è negato, in queste cose: Gemma sarebbe trecento volte migliore, senza dubbio.

“Nessun problema, amico.” Il ragazzo dalla pelle chiara gli lancia un sorriso sbilenco prima di alzarsi dal tavolo di lavoro e stiracchiarsi: le fiamme della candela creano strane ombre, sulle pareti ricoperte di pelli.

“Ora, uh, credo che andrò a vedere come se la passa Zayn—E Urich, e Neevae” continua, lanciando un’occhiata alla notte scura, fuori: “Tu—cuci quelle due ultime ferite e per ‘sta sera hai fatto.”

Harry annuisce e saluta un’ultima volta il ragazzo prima di vederlo sparire oltre l’ingresso ricoperto da una pelliccia conciata; si volta nuovamente verso il ferito, assicurandosi che l’ago sia sufficientemente caldo.

“Questo farà un po’ male—scusa” mormora, infilando la punta bollente dentro un labbro frastagliato di pelle.

Gli occhi del cavaliere straiato sul tavolo si contraggono in una smorfia di dolore: “Dèi—” ringhia, tra i denti.

Harry s’appresta a dare il primo punto: “Lo so, lo so—scusa. Adesso passa. Io—” sospira: “Non ho idea di cosa dire, è la prima volta che mi trovo in una situazione del genere.

L’altro ridacchia appena, tremando per il dolore. “Lo sospettavo.”

“Come, uh, va la testa?”

“Dolorante, faccio fatica a mettere a fuoco le cose—Mi brucia la gola” tossicchia: “Cos’era la roba che mi ha dato Michael? Sapeva di terra.”

Era quella dentro il barattolo lungo e affusolato, vero? Quello che conteneva—Dannazione, non se lo ricorda; finge di concentrarsi particolarmente sull’ago che trapassa la carne.

“Qualcosa per il veleno della freccia, non so esattamente cosa.”

“Capito.”

Il cavaliere stringe le palpebre ad una nuova cucitura da parte di Harry: se non altro, adesso ha aperto gli occhi.

Michael aveva cercato tutto il pomeriggio di svegliarlo per assicurarsi le che il veleno non fosse già circolato al cervello, per un po’ aveva creduto il peggio: poi, lentamente, il ragazzo aveva cominciato a tossire, socchiudendo le palpebre.

La gioia che aveva provato Michael in quel momento aveva sorpreso persino Harry.

Se ci ripensa, non può fare a meno di osservare il ragazzo, di sottecchi: il cavaliere ferito non deve essere molto più vecchio di lui e sicuramente più giovane di Louis. Ha i capelli corti, marrone tenue come gli occhi; la carnagione è chiara e il petto ampio si alza e si abbassa, ricoperto di ferite e macchie violacee.

“Come stanno Urich—e Zayn?” domanda improvvisamente il ragazzo, borbottando.

Harry scuote la testa, sobbalzando: “Oh, sì, be’.” Cerca di fare mente locale: “Il drago non troppo male—da quanto ho capito sono riusciti ad estrargli tutte le frecce e a bloccare il veleno. Zayn, sta dormendo.”

“È ferito?”

“È messo meglio di te, questo è certo.”

L’altro ridacchia, per poi sibilare un verso di dolore quando Harry passa due volte sulla stessa cucitura.

Rimangono in silenzio per un paio di minuti, mentre l’ago continua a scorrere imperito sulla carne arrossata; Harry taglia il filo in eccesso con un coltello trovato su una mensola, e s’appresta a cominciare con la seconda ferita sulla spalla.

“Tu devi essere il ragazzino che il re ha affidato a Louis. Il figlio del re” mormora improvvisamente il ragazzo dagli occhi marroni, pensieroso: “Harry degli Styles, no?”

“Uh uh.” È troppo concentrato a scaldare la punta dell’ago per prestargli attenzione.

“Io sono Liam, comunque. Seconda Sentinella” tossisce, sorridendo appena: “Piacere di conoscerti.”

Harry alza lo sguardo, divertito: “Piacere tutto mio—Uhm, avrei preferito che le presentazioni fossero avvenute in un altro contesto, ma mi accontento.”

Il cavaliere, Liam, scoppia a ridere e poi si trova costretto a mugugnare per il dolore provocatosi: “A chi lo dici.”

“Beneee,” Harry infila la il filo nel foro dell’ago, al primo colpo: “adesso ti farò male di nuovo.”

“Posso resistere.”

“Non ne dubito.” Infila la punta di metallo in una nuova, slabbrata ferita: Liam si limita a stringere forte gli occhi, ma non emette un fiato.

“Come—” domanda, poco dopo, quasi come se stesse cercando di distrarsi dal dolore: “—stanno le ali di Urich? I Barbari gli hanno scagliato addosso tante frecce, ho avuto paura che non fosse mai più in grado di volare.”

“Bene,” ovviamente Harry non ne ha la più pallida idea, ma gli sembra giusto cercare di rassicurarlo: “vi hanno proprio colto di sorpresa, eh?” chiede poi, per sviare l’argomento.

I suoi occhi socchiusi continuano a seguire l’ago: deve cercare di non allentare il filo nemmeno per un secondo, altrimenti la ferita si riallargherebbe e sarebbe costretto a ricominciare tutto daccapo.

“Non ce l’aspettavamo.” Liam sospira, puntando lo sguardo sulle ombre proiettate dalla candela sulla parete opposta: “Eravamo scesi a controllare le grotte sulla fiancata Sud delle montagne. Avevamo lasciato i draghi sugli speroni di roccia ed improvvisamente...”

Non conclude la frase: sembra quasi perso nei suoi ricordi, ricordi che gli gettano un’ombra scura, sul volto.

Harry finge di non accorgersene, continuando a cucire, ma non può fare a meno di chiedersi a che cosa stia pensando quel ragazzo, cosa abbia provato quando i Barbari li hanno attaccati improvvisamente.

Confusione? Paura? No, le Sentinelle non sono addestrate sotto questi principi; forse aveva semplicemente provato la stessa sensazione di Louis quando lo avevano avvisato che due suoi compagni erano spariti: l’esigenza di mettere da parte la sfera emotiva per tenersi lucido e agire.

“È la prima volta che i Barbari vengono nell’Ovest?” domanda allora, poco dopo.

Percepisce Liam emettere un sibilo basso: “No, no. All’inizio della guerra era più comune vederli cercare di oltrepassare il confine del regno passando di qui, ma—erano anni che non ne arrivavano così tanti. Da quando il campo di battaglia vero e proprio s’è spostato alla Barriera a Nord, è molto raro vederne alcuni sugli altri tre versanti.”

Harry annuisce: “Io—” si morde il labbro inferiore, riflettendo su quello che vuole provare a dire: “non ho mai visto un Barbaro.” Tossicchia: “Sono, uh, davvero come raccontano le leggende?”

È una domanda piuttosto frivola, lo sa bene: ma la curiosità lo spinge a non curarsene.

“Be’” Liam alza gli occhi al soffitto della branda: “tu cosa hai sentito dire?”

“Uhm—Dicono che portino maschere nere e le loro armi siano fatte di ferro fuso con ossa. Che la loro pelle sia macchiata d’inchiostro e piena di crepe perché si nutrono di cenere.” Si ferma un attimo: “Che non venerano dèi, ma onorano la guerra come unica sovrana del mondo, che—praticano la magia e bruciano i cadaveri dei loro morti nel sangue bollente.”

I racconti che origliava durante le conversazioni dei cavalieri con suo padre sono molti di più; un giorno aveva addirittura sentito un uomo dire che il capo dei Barbari, Othrod il Nero, aveva fatto bruciare tutte le foreste delle loro terre solo per oscurare il sole con il fumo.

Fa una pausa, scacciando i ricordi: “È vero?”

Improvvisamente, Liam si tira su col busto, trattenendo mugugni di dolore e facendo scivolare l’ago di Harry dalle sue mani: la ferita, in ogni caso, ora è completamente cucita.

“Harry,” comincia, piegando appena la testa di lato: “credo che tutto ciò che tu abbia da chiedere,  dovresti chiederlo a Louis. Io, uhm. Io non sono il tuo mentore, non posso dirti niente.”

Il ragazzo dagli occhi verdi lo ignora: “È così, vero?! Sono creature che vivono sotto terra, non umani.” Sente le proprie spalle cominciare a tremare e la voce incrinarsi dalla paura.

Con un colpo secco stacca il filo in eccesso e getta il coltello lontano, sul pavimento, mentre si prende la testa tra le mani e spalanca gli occhi: il respiro gli viene meno, mentre terribili immagini si aprono nella sua mente.

Corpi squartati, lui fatto prigioniero dai Barbari, assassinato e morto.

“Mi uccideranno” sussurra, tremante: “Mi uccideranno, io non volevo nemmeno diventare un soldato, io non volevo, io non—”

“Ehi, ehi!” Due mani gli afferrano saldamente le spalle, immobilizzandolo.

I suoi occhi vitrei s’incontrano con quelli seri di Liam, che lo guarda con sguardo indecifrabile.

“Respira” gli ordina, cercando di calmarlo: “La guerra fa paura a tutti, cosa credi?”

Harry si costringe a calmarsi, ma non riesce a dire una parola; lentamente stacca le mani dalla testa e le tende, rigide, lungo il busto. Percepisce l’adrenalina della paura lasciare lentamente il suo sangue, tornando a farlo respirare normalmente.

“Mi dispiace” sussurra: “Non volevo, io—Non mi sento ancora pronto per tutto questo.”

Liam decide di rimanere in silenzio per un paio di secondi, osservandolo con sguardo indecifrabile. “È normale.”

Non è normale” sbotta, staccandosi rudemente dal corpo dell’altro: “Io un giorno dovrò governare su di te! Sulla tua famiglia” si passa una mano sul volto, coperto da un sottile strato di sudore: “Non posso riuscirci, non posso. Io non volevo questo.”

Rimangono un attimo in silenzio, il rumore dello sfrigolio della fiamma che riempie l’aria.

“La prima volta che ne ho incontrato uno—” la voce improvvisa dell’altro ragazzo è fredda e forte, come se cercasse di sovrastare gli stessi pensieri di Harry.

“—le mie gambe hanno smesso di muoversi” si ferma, osservandosi una mora violacea sull’avambraccio:

“Un Barbaro stava correndo verso di me, con l’ascia in aria, ed io non riuscivo a muovermi. Mi sembrava che il terreno avesse trasformato in pietra le mie gambe e che io non potessi farci niente.”

“Ti ha ferito?”

“No.” Rialza lo sguardo: “Mi ha salvato Zayn, che a quel tempo era il mio mentore. Gli ha piantato la spada nel collo e tutto il suo sangue mi è schizzato in faccia, accecandomi, quasi.”

Rimane in silenzio e prende un profondo respiro, prima di ricominciare: “Michael, la prima volta che ha dovuto aggiustare un osso rotto, s’è quasi messo a vomitare. Calum e Luke non sono usciti dalla branda per tre giorni interi, dopo aver visto un loro compagno morire. Non ti dico per quante ore di fila Stan ha preso a pugni una quercia, quando il suo drago è stato ucciso o per quando tempo ha tremato Niall, quando ha scoperto che il villaggio in cui abitava la sua famiglia era stato preso dai Barbari.”

Sospira: “La paura è normale. L’abilità di un guerriero sta nel saperla controllare.”

Harry abbassa gli occhi sul pavimento di legno, osservando delle gocce di cera colateci sopra.

“Io non posso controllarla.” Ne sono stato schiavo tutta la vita, vorrebbe aggiungere, perché è la verità; ma decide di rimanere in silenzio.

“Sì, che puoi. Prima o poi imparano tutti.”

Si guardano. Il secondo dopo, la tenda della porta viene aperta improvvisamente e Michael fa il suo ingresso, ansante.

“Louis e gli altri sono tornati” annuncia.

 

 

 

 

            Harry rifiuta l’ennesimo boccale di vino che gli viene offerto.

Lui non può bere vino, perché ha ancora l’anello appeso al collo e un voto che deve essere mantenuto, ma a quanto pare nessuno se ne accorge, in quel rude banchetto che stanno facendo intorno al falò, sotto le stelle.

Louis è seduto a terra, tra i compagni; ride, beve e stacca coi denti gli ultimi pezzi di carne abbrustolita da un osso di qualche animale che Harry non riesce a riconoscere: ha un sapore troppo forte, per lui. È sicuramente carne di selvaggina, cacciata e poi utilizzata come cena.

Essendo abituato ai sapori tenui della cucina del castello, quelli dell’Ovest gli sembrano fuoco, in bocca.

Calum e Luke—si chiama Luke, vero?—stanno intonando, abbastanza brilli, una qualche canzone sulle pietre runiche, di quelle che si cantano per addormentare i bambini nelle loro culle.

Ridono e festeggiano poiché, da quanto ha capito dal breve discorso che ha fatto Louis appena tornato all’accampamento, sono riusciti a stanare un’intera colonia di Barbari nascostasi dentro delle crepe ai piedi delle montagne.

Oltre ovviamente a quelli che avevano attaccato Liam e Zayn.

Harry lancia un’occhiata verso di loro: si sono appartati poco più lontano dal resto del gruppo e la luce del falò li illumina appena; da quanto ne può capire stanno parlando, e il ragazzo dalla carnagione più scura continua a fissare con aria preoccupata le ferite che s’intravedono dalla maglietta di lino dell’altro.

Appena sente intonare una nuova canzone da parte di quei due (al coro ora s’è aggiunto anche un altro ragazzo dai capelli marrone, Stan?—Dèi, non riuscirai mai a distinguerli tutti—) Harry capisce di averne abbastanza.

Si scrolla di dosso il piatto dove giace la sua cena ancora completamente intatta e si alza, in cerca di un posto tranquillo dove compiere le sue preghiere.

S’avvia oltre al sentiero, scendendo giù per la montagna, fin quando non arriva allo spiazzo dell’altopiano a strapiombo.

I canti e le risate sembrano lontane centinaia di metri.

Sospira, utilizzando l’unica luce della luna per trovare un masso abbastanza piatto sul quale sedersi.

Vorrebbe poter essere nel tempio di casa sua, nella reggia, poter pregare a dovere: con le candele, le Scritture e tutto il resto, ma si deve accontentare.

Un brontolio basso proviene alle sue spalle nello stesso istante in cui tira fuori l’anello di ferro sepolto sotto i suoi vestiti, appeso al collo; si gira di scatto.

“Oh, sei tu.”

Vede Huton emettere un nuovo brontolio e gli zampettargli a fianco, con un rumoroso pat pat delle sue grosse, goffe e tozze zampe.

Harry cerca di ignorarlo, congiungendo le mani davanti al volto e socchiudendo gli occhi, ma il drago ha cominciato a strusciare la sua enorme testa contro il suo fianco, facendolo dondolare.

“Che vuoi?” domanda allora, scocciato. L’animale sbuffa di nuovo e batte i piedi a terra, facendo alzare la polvere.

Il ragazzo si concede un istante per osservarlo: è molto meno spaventoso di Masha, questo è poco ma sicuro.

Sembra più che altro uno di quegli enormi cani da compagnia che giocano per le strade della sua città: la bocca perennemente socchiusa, ansante, gli occhi vivi che ruotano a destra e a manca per riuscire a trovare un nuovo oggetto per giocare.

Huton, oltretutto, continua a scrollare la testa e più di una volta i suoi piccoli corni rischiano di ferirgli la faccia; Harry si ritrova a dover appoggiare una mano sul suo viso giallo per allontanarlo di qualche centimetro.

“Ehi, calmati. Non ho voglia di giocare” gli mormora, percependo coi polpastrelli le scaglie lisce: lo accarezza e quello pare immediatamente tranquillizzarsi, chiudendo finalmente il muso e nascondendo i grossi denti appuntiti.

“Non posso credere che un giorno dovrò occuparmi di un coso ingombrante come te” borbotta, osservando il drago accucciarsi a qualche metro di distanza, avvolgendosi nelle sue piccole ali e aggrovigliandosi intorno alla propria coda.

L’animale sbadiglia, spalancando le enormi fauci, poi sbatte più volte le palpebre, prima di chiudere definitivamente i grossi occhi gialli; Harry—senza nemmeno accorgersene—alza gli angoli della bocca verso l’alto.

È proprio un cucciolo di drago: in confronto a Urich o Neevae sembra solo un fagotto.

“Sua Maestà il Principe sta sorridendo?”

Harry si volta verso il sentiero, giusto in tempo per vedere Louis avanzare verso di lui, con dei lunghi rami tra le braccia: lo sente ridacchiare, divertito.

“Pensavo che ci fossi nato, con quel muso lungo. Ed ora ti vedo addirittura sorridere. Potresti uccidermi, ragazzino.”

“La smetterai mai di chiamarmi così?” domanda esasperato, cercando di controllare il suono della voce per non svegliare il drago.

Il cavaliere dagli occhi azzurri getta la catasta di legna lì accanto, sedendosi poi al suo fianco:

Verginello è attualmente il mio preferito. Sua maestà preferisce questo?”

Harry vorrebbe davvero, davvero tanto poter rispondere a tono o se non altro farlo tacere, ma Louis non gli dà tempo nemmeno di replicare che già lo precede: “—Comunque, uh. Ho sentito che hai fatto un buon lavoro con Liam.”

“È stato Michael a fare quasi tutto” mormora, a mo’ di scuse, mentre abbassa lo sguardo sui propri piedi.

“Sicuro. Ma—un buon assistente può fare la differenza, Harry. Non dimenticarlo mai.” Louis rimane un attimo in silenzio, lasciando che il suono ovattato dei canti all’accampamento riempiano l’aria notturna.

Alza un dito, indicando i rami spessi appoggiati sulla terra: “A proposito di assistenti—Portami questi rami all’accampamento, bisogna ravvivare il fuoco per la notte.”

Oh, grandioso. Come no.

“Adesso devo pregare.” Harry incrocia le braccia, in un gesto che può essere facilmente tradotto con non ho intenzione di muovermi da qui.

Vede Louis alzare un sopracciglio: “Pensavo che avessimo messo in chiaro che devi fare tutto ciò che ti dico.”

“Non mi alzerò fin quando non avrò finito—Gli dèi sono irascibili, se non si fanno offerte e preghiere quotidianamente.”

Cerca di mantenere un’espressione seria e neutrale anche quando la risata del cavaliere gli riempie le orecchie: be’, deve ammettere che è piuttosto difficile così, dannazione.

“Che hai tanto da ridere?” domanda, schietto, cercando di nascondere la propria irritazione.

Louis si batte una mano sul petto, come se cercasse di riprendere il respiro: “Tu” esala. “Tu, Harry e i tuoi dèi—Pensi,” improvvisamente il suo volto diventa serio, si piega in una smorfia indecifrabile sotto i raggi tenui della luna: “davvero che ai tuoi dèi interessi qualcosa, di noi?”

“Gli dèi salvano chi li venera.” Non crede sia una risposta propriamente attinente alla domanda, ma più una nozione inculcatagli a forza, per tutta la sua vita; è ciò che gli hanno sempre ripetuto, se non altro.

Louis emette un sibilo basso, tagliente e divertito. “Sei proprio un ragazzino” c’è asprezza nella sua voce: “Impari le cose a memoria senza nemmeno capirle, lasci che due lettere scribacchiate su della pergamena condizionino tanto la tua vita da castigarla—”

Mentre il ragazzo parla, si avvicina a Harry e, prima che quest’ultimo possa anche solo accorgersene, gli ha afferrato la corda dell’anello che tiene al collo e l’ha tirato fuori dalla sua casacca di lino, guardando bieco.

Il ragazzo dagli occhi verdi sussulta, strappandogli via l’oggetto dalle mani e risistemandoselo sotto i vestiti; incrocia gli occhi di Louis che lo scrutano in silenzio, nella notte.

“Scegliere di essere un Vergine non è una castigazione—È. Uhm. Un’offerta.”

“Come ti pare, verginello.”

Louis si alza, facendo tintinnare la fodera della spada contro la sua cintola: si afferra entrambe le mani, stiracchiandosi verso l’alto ed emettendo un lungo mugugno appagato.

La stoffa della sua casacca pare modellarsi sopra i muscoli tonici della schiena, rendendoli visibili in parte: Harry incassa la testa tra le spalle, ma non può fare a meno di seguire i movimenti dell’altro—di soppiatto—chiedendosi ancora una volta dove sia la cicatrice.

Non è riuscito a pensare ad altro, nelle ultime ore: quella ferita perlacea che aveva intravisto sul corpo compatto di Louis, al banchetto, e che serpeggiava sulla sua pelle.

Inconsciamente, si domanda se la cicatrice arrivi fino alla sua schiena, gli avvolga il corpo come un marchio; se gli bruci ancora il ricordo di come se l’è procurata.

Potrebbe chiederglielo, ma è molto probabile che Louis lo cacci via con qualche commento aspro, quindi e meglio non sprecare fiato.

“Sei davvero inquietante quando mi fissi.” La voce divertita del cavaliere lo riporta bruscamente alla realtà; il ragazzo s’è voltato e lo sta squadrando con un sogghigno stampatogli sul volto.

Le guance di Harry si colorano immediatamente di rosso, mentre distoglie lo sguardo: finge di grattarsi la guancia mentre borbotta un: “Non ti stavo fissando.”

Ma deve sempre sembrare così impacciato? Dannazione.

“Oh, oh” Louis afferra la catasta di legna da terra, con uno sbuffo: “Sì, che lo stavi facendo. Come al banchetto; mi fissavi. Era—davvero divertente.”

Harry lo guarda, aggrottando un sopracciglio: “Divertente?” gli fa eco.

Cosa vuol dire divertente? Per lui, tutta questa situazione, è tutt’altro che divertente.

Harry ci prova, ce la sta mettendo tutta, ma proprio non lo capisce: quel ragazzo dagli occhi azzurri è incomprensibile.

Completamente squilibrato, eppure pratico ed affidabile. Con un umorismo discutibile, e allo stesso tempo premuroso e un combattente provetto, considerando che è la Prima Sentinella dell’Ovest.

Sempre vigile, eppure considera divertente qualcuno che lo fissa di soppiatto.

Harry ci rinuncia. Non ha idea di come sia messa la casata Tomlinson, ma se è questo l’erede, pregherà per loro. Senza dubbio.

Louis gli getta, senza troppe cerimonie, la catasta di rami sulle ginocchia, facendolo sobbalzare.

“Questi li porti te, principessa” esclama, per poi si avviarsi verso l’altro lato dell’altopiano con l’intento di raccogliere altra legna.

Le mani di Harry si muovono prima che il cervello abbia processato il tutto: afferra il primo bastone abbastanza lungo ed appuntito che i polpastrelli delle sue dita percepiscono e si alza di scatto, facendo cascare gli altri tra la terra, con un rumore secco.

Con un paio di falcate riesce a raggiungere Louis, piegato su un arbusto rinsecchito mentre cerca di staccarne i rami, e gli infilza la punta del suo bastone contro la schiena, giusto un po’.

Il cavaliere si raddrizza all’istante. Non sembra spaventato o sorpreso, nemmeno lontanamente, anzi; non si prende nemmeno la briga di voltarsi e guardare Harry negli occhi.

“Davvero?” domanda, divertito, mentre continua a smistare i propri rami: “Vuoi sfidarmi a duello?”

La mente di Harry è leggermente annebbiata e percepisce il proprio sangue pulsare sotto le tempie: che cosa sta facendo? Cosa gli è preso?

Ma, per quanto il buonsenso gli ripeta di abbassare quel dannato bastone ed eseguire semplicemente ciò che Louis gli ha ordinato di fare, il suo braccio non riesce proprio a piegarsi: rimane teso, in segno di sfida, e la punta del ramo continua a pizzicare la casacca dell’altro.

“Allora?” la voce di Louis è ancora divertita, ma è distinguibile una punta d’irritazione: “In un vero combattimento saresti morto nel giro di qualche secondo.”

“Sono bravo con la spada.” Harry si raddrizza nelle spalle: “Ho preso lezioni.”

“Non saranno sufficienti, in guerra.”

“Proviamo.”

Louis sbuffa, poi ridacchia: “Perché lo stai facendo?” domanda, cercando di lanciargli un’occhiata da sopra la spalla.

Harry si morde l’interno della guancia, riuscendo a sentire i propri muscoli tremare dalla voglia di combattere: è una sensazione nuova, eccitante e spaventosa. Lui odia combattere. Odia la spada, la guerra, i guerrieri.

Cos’è, allora, questo senso che gli ha intrappolato le spalle e la bocca dello stomaco? Si sente febbrile.

Scuote la testa: deve calmarsi.

“Voglio che cominci a portarmi più rispetto” sibila, rendendo più stretta la presa intorno al ramo.

Questa volta, Louis scoppia davvero a ridere, ma è giusto per un secondo: quello dopo, infatti, s’è già piegato sulle ginocchia e ha afferrato un nuovo bastone della stessa grandezza di quello di Harry.

Si volta, facendolo ruotare da una mano all’altra, e carica contro Harry, che, dopo un attimo di stordimento, riesce a frenare all’ultimo secondo il colpo di Louis, bloccando il bastone con il suo, di traverso.

Si guardano, ora improvvisamente vicini.

“Me la cavo bene” sibila.

Il cavaliere dagli occhi azzurri sbuffa: “Vedremo.”

Fa scorrere tutta la lunghezza del ramo contro quello dell’altro e poi si stacca improvvisamente, cercando di colpirlo un po’ più in basso: Harry, con un abile movimento di gambe, riesce a schivare il colpo ed indietreggia di qualche passo, prima di afferrare la propria arma con l’altra mano e cercare di colpire la parte scoperta di Louis.

Quello emette un gemito sorpreso, ma fa in tempo ad evitare la punta aguzza del pezzo di legno.

Riafferra velocemente l’equilibrio, caricando nuovamente: tende il bastone verso Harry con un affondo netto.

Il sibilo dell’aria precede il movimento, e in un battito di ciglia il ragazzo dagli occhi verde spalanca le palpebre, vedendo la punta del bastone avvicinarsi: piega il busto all’indietro e trattiene il fiato.

Sente il ramo sfiorargli appena il petto, per poi ritirarsi il secondo dopo: lui è più veloce.

Afferra con la mano libera l’estremità del proprio ramo e intrappola il polso di Louis ancora teso sopra di lui tra la morsa del bastone e il proprio petto; gli occhi azzurri dell’altro si spalancano per un attimo, prima che il suo intero corpo venga trascinato da Harry verso il basso.

Ruota il corpo, usando come perno il polso e facendolo cadere di schiena sulla polvere della terra: le palpebre di Louis si strizzano per un secondo, cercando di attutire il dolore per la caduta, ma le sue mani sono già in cerca dell’elsa della propria arma, per ribaltare la situazione.

Harry preme un ginocchio accanto al suo fianco e gli blocca il polso che regge il ramo lontano dal suo volto, con l’altro gomito gli blocca la spalla contro il suolo e con le gambe immobilizza le sue.

Guarda Louis, sotto di lui, ansante: percepisce il suo petto alzarsi e abbassarsi contro il suo, il suo respiro sulla pelle sudata.

“Sono bravo, ammettilo.” Sussurra, cercando di riprendere fiato.

Vede Louis alzare le sopracciglia, poi tutto avviene in un secondo.

Il pugno libero del cavaliere raccoglie una manciata di polvere e terriccio dal suolo, per poi gettarla contro il volto.

Harry sibila, sentendo gli occhi bruciargli improvvisamente. È costretto a chiuderli per il fastidio; Louis approfitta del momento per sgusciare via dalla sua presa e riafferrare il bastone saldamente.

Spinge il ragazzo al suolo con un calcio per assestato, bloccandogli le spalle contro l’erba rada e secca.

Quando gli occhi verdi di Harry si riaprono, ci mettono ancora un paio di secondi per mettere a fuoco il tutto: Louis è in piedi sopra di lui, con le gambe ben piantate ai lati del suo bacino e sorride sornione.

Preme la punta aguzza del ramo all’altezza della sua gola, con sincero entusiasmo. Probabilmente perché sa di aver vinto: l’arma di Harry è stata praticamente calciata via e lui lo sta tenendo sotto torchio con quel dannato bastone.

“Giochi sporco” mormora il ragazzo dagli occhi verdi, cercando di togliersi gli ultimi residui di polvere dagli occhi.

Sente l’altro ridere sommessamente, prima di allontanare l’arma e fare un passo indietro: alza gli occhi blu all’immenso cielo stellato e, portandosi due dita alla bocca, tira un lungo, vibrante fischio al vento.

Lascia che il suo sguardo ricada su Harry: “Preferisco il termine cercare di vincere.”

Harry sbuffa, cercando di rialzarsi, ma un’improvvisa folata di vento lo getta nuovamente con le spalle al suolo: un’enorme sagoma scura s’è appena materializzata sul fianco della montagna e sta sbattendo le sue gigantesche ali contro di loro, facendo addirittura muovere le cime degli alberi.

“Piccola!” sente Louis esclamare, per sovrastare il rumore delle foglie che sfregano tra di loro.

Harry stringe forte gli occhi e si morde l’interno della guancia per trattenere un qualsiasi commento possa fuoriuscire dalla sua bocca perché, davvero? Da quando un drago delle dimensioni di Masha può essere chiamato piccola?

Non importa il fatto che sia un nomignolo affettuoso. Non si può definirla piccola.

Socchiude a malapena una palpebra per riuscire a scorgere il cavaliere dagli occhi azzurri riuscire a montare sull’animale afferrando un corno alla base della nuca scura.

Masha scuote l’enorme testa ed emette un brontolio sommesso prima di continuare il suo volo.

Si alza verticalmente, quasi come se volesse puntare alla luna stessa, e si muove ruotando su se stessa: Harry è costretto ad alzare il naso verso l’alto per vedere la sagoma nera brillare contro la luce delle stelle.

Non crede che ce ne sia effettivo bisogno, poiché l’urlo prolungato ed entusiasta di Louis è udibile persino da lì, a terra.

Nonostante tutto, non può fare a meno di sorridere: Masha, quando arriva all’altezza ideale per essere illuminata dal cielo, esegue una perfetta giravolta e Louis si stringe più contro il corpo squamoso del destriero.

I suoi capelli sono sparati in tutte le direzioni, mentre seguono liberi il vento.

Harry cerca di rialzarsi da terra, scrollandosi la polvere dai pantaloni.

Masha emette un rauco verso, mostrando i denti bianchi: le ali si tendono nell’aria, diventando lucide come cuoio; l’istante dopo si ristringono contro il suo corpo, avvolgendolo.

Louis le urla qualcosa che Harry non riesce a distinguere chiaramente: vede però il drago lasciarsi cadere in aria, con la testa che punta dritto verso terra.

Cade in picchiata proprio verso Harry ad una velocità tale da farlo quasi terrorizzare: che diamine sta facendo? Perché quello stupido drago non vola?

Indietreggia, improvvisamente spaventato, quando vede le narici scure di Masha farsi ogni secondo più vicine: inciampa in una roccia e cade nuovamente a terra, parando una mano verso l’alto e stringendo gli occhi, quasi cercasse di proteggersi.

Piega il volto in una smorfia, trattenendo il respiro, mentre attende l’imminente schianto.

Che, però, non arriva.

Al contrario, Masha spalanca le ali a poche decine di metri dal suolo: Harry riesce a percepire la terra tremare, intorno a sé.

Un’enorme, liscia e squamosa coda gli avvolge il busto prima che possa accorgersene e in un batter d’occhio si ritrova trascinato in aria, dondolante.

Tira un grido fortissimo, ma che viene rimpiazzato l’istante dopo dalla risata di Louis.

“Tranquillo, principessa, Masha sa come prendersi cura dei nuovi arrivati!” lo sente gridare.

La presa intorno al suo corpo si fa un po’ più stretta, tanto che una sensazione di vertigini e vomito comincia a farsi strada all’interno del suo stomaco; osserva il terreno sotto di sé farsi sempre più distante e piccolo, rimpiazzato da nuvole rade.

Il rumore del vento che gli stordisce la mente.

Stanno salendo a velocità inimmaginabile. Sente che sta per vomitare. Sta sicuramente per vomitare.

(Butta giù un boccone amaro, costringesi a serrare gli occhi e ad aumentare la presa con entrambe le braccia intorno alla coda liscia di Masha.)

“Fammi scendere!” grida, col fiato corto.

Louis scoppia a ridere e: “Uh, afferrato!” gli risponde e il secondo dopo sussurra qualcosa al drago.

La coda, come un enorme serpente, prende a muoversi sinuosamente in aria, e il corpo di Harry viene letteralmente lanciato nel vuoto, molto più in alto di quanto non sia effettivamente Masha.

Harry trattiene il respiro, e si morde la guancia fino a farla sanguinare per riuscire a trattenere un altro urlo, costringendolo a rimanere intrappolato nella sua gola: le mani cercano disperatamente qualcosa, su cui potersi aggrappare, ma non incontrano altro se non la fredda aria notturna.

Passano secondi che sembrano ore, prima che riesca ad atterrare di schiena, con un tonfo sordo: il colpo è molto meno doloroso di quanto non si aspettasse.

È morto.

È sicuramente morto; sfracellato al suolo.

Dopo nemmeno un giorno di addestramento: deve aver battuto una qualche sorta di record per essere morto così in fretta.

“Apri gli occhi, principessa!”

Una risata cristallina gli riempie le orecchie: anche Louis è morto?

No, non è possibile.

Harry, molto lentamente, socchiude le palpebre, ritrovandosi accoccolato vicino al grembo del cavaliere dagli occhi azzurri.

Si raddrizza improvvisamente, squittendo.

Louis gli fa un cenno del capo: “Tieniti, adesso voliamo un po’.” E lo invita a stringere le braccia intorno alla sua vita.

La luce delle stelle è fioca, i puntini luminosi che intersecano il cielo si potrebbero unire a formare centinaia di costellazioni diverse: la luna sembra adagiata tra le schiumose nuvole scure, la sua luce è opaca, mentre filtra le nubi.

C’è odore di pino selvatico, nell’aria: Harry inspira a pieni polmoni, un misto d’eccitazione a scaldargli le vene dalla notte.

L’odore della pelle di Louis è a qualche centimetro di distanza dal suo naso, forte e dolce, e i suoi capelli profumano di sapone.

Socchiude gli occhi, cercando di mettere a fuoco il magnifico paesaggio, sotto di loro.

Un lago d’acqua grande come il mare intero riflette la luna come uno specchio, sembra uno spicchio di cielo incastrato tra le rocce: brillante e luminoso.

La superficie s’increspa quando Masha ci passa sopra, ad appena qualche decina di metri di distanza, e migliaia di onde piccole si formano per un istante rincorrendosi fino a scomparire; Harry allunga un poco il collo, giusto per vedere il suo riflesso essere deformato dalle onde.

La sagoma nera di Masha si alza il secondo dopo, sotto l’ordine divertito di Louis.

L’animale sbatte le enormi ali, e l’acqua schizza dappertutto, alzandosi per metri interi: bagna il volto di Harry e il ventre del drago e i capelli scuri del cavaliere.

“Ti stai divertendo?” È l’urlo di Louis, sopra il rumore del vento, che gli giunge alle orecchie.

Harry, in risposta, tira un grido forte misto ad una sincera risata, che va a riecheggiare tra le montagne, il lago e le foreste. Louis ride più forte e lo guarda da sopra la spalla:

“Lo prendo come un sì.”

E, , pensa Harry, dovrebbe prenderlo davvero.

Ma è troppo orgoglioso per ammetterlo.

 

Riatterrano poco dopo, i cavalieri ormai sono già tornati alle proprie brande per la notte: le ceneri del falò sono ancora calde e sparpagliate dappertutto, tra la legna bruciata e rinsecchita.

“Bentornati dalla passeggiata, eh.”

Harry riesce a scorgere, nella penombra, un ragazzo che si sta preoccupando di risistemare le ultime cataste di legno in una piccola fossa del terreno: si piega e si rialza, sollevando almeno venti rami massicci per volta.

Non può fare altro che spalancare gli occhi: è il ragazzo che cavalcava quel drago dell’Est, ne è sicuro. La sua ferita alla spalla sembra completamente guarita o, se non altro, cucita.

Diamine, quel Michael deve essere davvero bravo con ago e filo: la cicatrice si vede appena.

Harry si concede qualche secondo per osservarlo: è alto, molto magro, la pelle è dello stesso colore della terra.

I capelli corvini sono legati in una piccola coda dietro la nuca e i lati della sua testa sono completamente rasati: lasciano perfettamente intravedere sue paia di orecchie piccole, coi lobi solcati da piccoli pezzi di legno lavorato finemente.

È una tradizione dei popoli del Sud, giusto? Quella di bucare le orecchie con un coltello bollente ai bambini appena nati—Harry ne è sicuro. Deve aver letto qualcosa a riguardo, nella biblioteca del castello.

“E Liam?” domanda improvvisamente Louis, avvicinandosi al ragazzo ed aiutandolo a trasportare l’ultima catasta di legna.

“L’ho mandato in tenda e l’ho costretto al riposo forzato; dovrebbe rimettersi in fretta se si decidesse a seguire i consigli di Mich” sbuffa: “Ma ovviamente Liam è un dannato testardo” conclude il ragazzo corvino battendosi le mani per scrollare via la polvere e la terra.

Lui è il figlio del—uhm. Re?” continua, puntando un dito contro Harry.

Si schiarisce la voce: “Sono Harry.”

Zayn. Piacere.” Gli sorride, per poi voltarsi verso Louis: “Cerca di non ammazzarlo, intesi?”

Il cavaliere dagli occhi azzurri ridacchia: “Farò del mio meglio.” Poi si volta verso Harry, scuotendo la testa, divertito.

Gli passa accanto, battendogli una mano sulla spalla, e si preoccupa di sussurrargli un: “Non ho intenzione di farti uccidere fino alla terza settimana, okay?”

Harry socchiudendo le labbra, ma Louis l’ha già superato, ridendo bellamente.

“Andiamo ragazzino!” gli urla, poco più avanti: “È ora di andare a letto! Domani sarà una luuunga giornata!”

“Ed io—” Harry cerca di stargli al passo, mentre quello si dirige verso le brande: “Ed io dove dovrei dormire?”

Louis si volta di scatto, un sorrisetto sardonico stampato sul volto: “Oh, giusto.”

Si picchietta un indice sul mento, guardandosi intorno come alla ricerca di qualcosa mentre cerca di trattenere una smorfia divertita: questa situazione a Harry non piace per niente.

Niente, niente di buono può nascere da un sorrisetto del genere sul volto di Louis Tomlinson.

Oh,” il cavaliere, con un paio di falcate, raggiunge un agglomerato di casse di legno, rami secchi e utensili indistinti, tutti accatastati in un lato dell’accampamento.

Lo vede piagarsi, e tirarne fuori un oggetto che lascia cadere tra le mani di Harry; quello per poco non si ritrova a cadere al suolo, tirato giù dall’enorme peso di ciò che l’altro gli ha porto.

Gli lancia un’occhiata, afferrandone saldamente il manico: “Che ci dovrei fare con un martello?”

Louis emette un basso sibilo divertito. “Uh, non te l’ho detto? È uso che i nuovi arrivati si costruiscano la propria branda da soli.”

La mascella di Harry si spalanca prima che lui possa fare niente per fermarla, strizza più volte gli occhi.

“E,” aggrotta la fronte, furioso: “me lo dici solo ora?!”

L’altro scoppia a ridere: “Il legno lo troverai dall’altra parte dell’altopiano.” Schiocca la lingua, palesemente divertito. “Ci sentiamo quando hai finito, principessa.”

Harry non sa che fare se non mordersi la guancia per reprimere la propria voglia di fracassargli la testa, con quel dannato martello; ci metterà ore se non giorni per creare una stupida branda stabile e quell’idiota di Louis glielo dice solamente adesso?

Avrebbe potuto cominciare ore fa, se solo quello si fosse preso la briga di avvisarlo.

Invece deve lavorare adesso. Di notte. Ed è esausto.

Osserva, furente, la figura dell’altro allontanarsi ridacchiando.

 

 

§

 

 

Ci vogliono quasi due giorni per completare la branda: Harry si taglia con i chiodi di ferro appuntito almeno sedici volte ed è Michael, insieme a Calum, a doverlo disinfettare con un miscuglio di linfa di piante.

Harry non s’è mai sentito più umiliato in tutta la sua vita.

Niente è come vedere Louis passargli accanto—mentre lui sta cercando disperatamente di finire il dannato soffitto ricoprendolo di argilla e paglia—e tirargli lunghi fischi e qualche esclamazione che ha sempre a che vedere con principessa o ragazzino verginello.

Umiliante. Decisamente umiliante.

Lui cerca sistematicamente d’ignorarlo e si asciuga col dorso della mano il sudore che gli cola giù per la tempia, continuando a lavorare; non dà troppo peso alle ferite che gli si aprono come niente, nelle mani.

File e file di piccoli taglietti biancastri e rossi che intersecano ed intrecciano quella che una volta era una pelle liscia e impreziosita da sottili vene blu: tagli causati dai chiodi, dalle schegge, dai fili d’erba secca.

È Liam, quello che gli porta di pasti.

(Ovviamente lui non può lasciare il lavoro finché non è completato. “È così che vuole l’usanza!” gli grida Louis, divertito. Harry vorrebbe davvero picchiarlo a sangue.)

E, dietro a Liam, per la maggior parte del tempo c’è Zayn; il ragazzo non parla molto e si limita a mantenere le braccia incrociate, appoggiarsi a qualche tronco mozzato e assistere alle conversazioni degli altri due.

Brevi conversazioni, considerando il fatto che il corpo di Liam deve ancora riuscire ad espellere tutto il veleno entratogli a causa delle frecce dei Barbari e quindi fa molta più fatica del previsto a mantenersi in piedi o, se non altro, lucido.

 

La mattina del terzo giorno, Harry si sveglia improvvisamente, annaspando.

La luce soffusa del sole lo costringere a strizzare e a chiudere più volte gli occhi, respirando affannosamente;che cosa è successo?

Abbassa lo sguardo, percependo un’improvvisa ondata di brividi sulle braccia: la sua casacca sporca di terra è completamente fradicia, tanto che gli si è completamente appiccicata al petto e ai fianchi.

Altra acqua gli cola giù dalla punta del naso e gli bagna il collo, i capelli, fino a scendere sulla schiena: alza lo sguardo, spaesato.

Ci vogliono un paio di secondi per riuscire a mettere a fuoco le figure che si stagliano in piedi, davanti a lui, contro luce: una delle due tiene un secchio d’acqua vuoto, in mano.

“Scusa, amico.” È la voce di Niall. È decisamente la voce di Niall quella che ha appena parlato, mentre il ragazzo getta lontano il secchio.

“Mi ha costretto Louis a svegliarti così.”

L’altra figura—Harry ruota gli occhi al cielo e sbuffa perché è ovviamente di Louis quella risatina irritante—batte le mani:

“Il sole è già sorto, principessa. Il che vuol dire che avresti già dovuto essere in piedi, scattante” schiocca la lingua: “Invece stai dormendo.”

“Ho dovuto passare tutta la notte a finire la mia dannata brand—!” Non gli dà il tempo nemmeno di protestare che immediatamente il cavaliere dagli occhi azzurri lo azzittisce con un gesto brusco della mano.

“D’ora in poi, ti alzerai all’alba, come tutti. Altrimenti Niall sarà costretto a gettarti altri secchi d’acqua in testa.”

“Ma—”

Eh!” Louis alza un dito in aria: “Niente ma.”

Harry cerca di lanciare un’occhiata a Niall, ma quello si limita a scrollare le spalle e mormorare divertito qualcosa come: “Louis è così.”

Il ragazzo si morde l’interno della guancia, trattenendo un urlo d’esasperazione e cerca di scrollarsi le ultime goccioline d’acqua rimastegli impigliate tra i capelli.

“Dài, su. Alzati.”

Alza lo sguardo e vede Louis tendergli una mano, per aiutarlo a mettersi in piedi; controvoglia, Harry l’afferra e l’altro lo trascina su facilmente, quasi come se non pesasse niente.

“Ti vado a prendere dei panni con cui asciugarti, va bene?”

Harry abbassa lo sguardo e non risponde; deve essere sicuramente arrossito perché il suo orgoglio non gli permetterebbe mai di annuire freneticamente a una domanda così banale, insomma.

Anche se quella mattina tira un po’ di vento e lui sta praticamente gelando.

“Ehi, Harry.” L’indice di Louis gli picchietta sulla fronte aggrottata: “È buona educazione rispondere alle domande.”

Harry prende un profondo respiro. Fino a qualche giorni fa, sembrava impossibile che qualcuno potesse rivolgersi con quel tono al figlio del re; qui, invece, viene trattato esattamente al pari di qualunque altro, se non un gradino inferiore.

Si scosta un riccio bagnato dalla fronte e sente Louis ridacchiare. “Sto aspettando” lo canzona: “Credimi, l’orgoglio serve ben poco in battaglia, dovrai imparare a liberartene.”

Harry si morde il labbro inferiore: “Sì, Louis. Vorrei un panno con cui asciugarmi.”

L’altro lo guarda, alzando le sopracciglia.

Harry sbuffa: “—Per piacere.”

“Bravo ragazzo!” Gli stringe tra le dita la guancia rosea e bagnata, mentre l’altro scuote la testa, affranto, ma non può fare a meno di alzare gli angoli della bocca verso l’alto: “Puoi trovare dei panni asciutti dentro la mia branda.”

La indica con un dito: “Ti aspetto sull’altopiano appena hai finito di asciugarti” lo avvisa poco dopo: “Cerca di metterci meno tempo possibile.”

Harry ruota gli occhi al cielo. Sospira.

Sissignore.”

 

 

 

 

            Salire su Masha sta diventando sempre meno traumatico, o almeno è quello di cui si convince Harry, appena l’enorme drago prende quota e scivola tra i banchi di nebbia e nuvole.

Stringe maggiormente la presa intorno alla vita di Louis, cercando di scorgere l’orizzonte oltre la spalla dell’altro: “Dove stiamo andando?” gli domanda.

Il cavaliere non volta nemmeno la testa, troppo impegnato a mantenere la posizione sul collo dell’animale e lanciare continue occhiate intorno.

“Sulle montagne” risponde, sbrigativamente: “Da oggi comincia il tuo ufficiale addestramento per diventare un soldato.”

“Uh.”

Rimangono in silenzio, aspettando che Masha viri la rotta piegando appena le ali.

“So che non vuoi.” Louis emette un sibilo basso.

Harry alza le sopracciglia: “Cosa?”

“So che non vuoi diventare un soldato. Tu—hai quell’anello al collo e tutto, uh.”

“Devo diventarlo” il ragazzo sospira, osservando uno stormo d’uccelli, poco sotto di loro, volare tranquillamente: “per il mio—nostro popolo.” Fa una pausa: “È un dovere.”

Già. Diventare re e tutte quelle stronzate.”

Harry ride amaramente: “Già.”

“Quando ero piccolo sentivo sempre parlare di quanto tuo padre fosse un grande guerriero, sai?”

“Sì.” Harry distoglie lo sguardo, abbassandolo ed intravedendo le grandi zampe di Masha dondolare nel vuoto: “Lo so—Lui dice che io ho il suo sangue, nelle vene. Che sono un combattente almeno tanto quanto lo è lui.”

“E tu?”

“Io cosa?”

Louis gli lancia un’occhiata da sopra la spalla: “Tu ci credi?”

Oh. Questa è un’ottima domanda.

Harry rimane in silenzio, con le labbra screpolate dal freddo socchiuse, quasi come se si stessero già preparando alla risposta: risposta che lui non ha.

Non crede nemmeno di essersi mai chiesto, in cosa crede; nozioni ripetutegli e ripetutegli da suo padre per tutta la sua vita non gli hanno mai concesso nemmeno un istante per fermasi—lontano dal castello, dai banchetti, da sua sorella, dalla confusione, dalla lapide sbiadita di sua madre—e domandarsi in cosa crede realmente.

Domandarsi se suo padre abbia ragione su di lui.

Se farsi Sacerdote non sia soltanto una scusa per rimanere ossessivamente attaccato a sua sorella, per aggrapparsi al ricordo effimero di sua madre e non vederlo scomparire.

Percepisce l’anello, intorno al collo, diventare piombo contro la pelle. Scuote la testa.

“Non lo so se ci credo—” deglutisce, alzando lo sguardo: “C-come si fa a crederci? Tu come hai fatto a diventare—questo? Come hai fatto a svegliarti una mattina e dirti bene, per il resto dei miei anni voglio mettere a rischio la mia vita e cavalcare un drago nero?”

Louis espira una risata, scuotendo la testa: “Masha. Non è un drago nero qualsiasi, è Masha.”

“Non hai risposto.”

“Non è che—” Il cavaliere abbassa lo sguardo sulla pelle scura del drago, cominciandola ad accarezzare distrattamente: “Non è che ti svegli una mattina e lo sai—”

Harry aggrotta le sopracciglia; la voce dell’altro è diventata improvvisamente dura.

“—Io ho sempre voluto fare questo.” C’è una punta di rabbia, nel suo tono. “Combattere. Combattere per vincere. Per vendicarsi. Per la gloria.”

Il ragazzo dagli occhi verdi emette un sibilo basso, derisorio. “Per morire.”

“La morte non è niente, Harry. Tu credi ai tuoi dèi e alle Scritture e alle rune che non fanno altro che ripetere quanto sarà piena di dolore la vita dopo la morte.”

Rimane in silenzio per qualche secondo, e il battito delle ali di Masha diventa l’unico suono che riempie le loro orecchie.

“—Ma la morte non fa paura. Vivere fa paura.”

“Pensavo che i cavalieri dovessero imparare a controllare la paura.” La voce di Liam gli rimbomba nella testa, insieme alle parole che gli aveva detto la prima volta che si sono incontrati.

Ci ripensa, mentre la sua mente è completamente in balia delle parole di Louis, della sua cadenza dalle sillabe dure, esattamente come l’idioma dell’Ovest.

“Infatti.” Il cavaliere sorride: “È quello che facciamo: la ignoriamo. La schiviamo. Prendiamo la felicità dove possiamo trovarla: da uno sguardo, un boccale di vino. Un corpo caldo, una risata—” batte una mano sulla pelle squamosa di Masha, guardandola assorto: “Anche dalla compagnia di qualcuno che non capisce nemmeno la tua lingua.”

Le enormi narici del naso del drago si dilatano un attimo e il labbro superiore si alza, mostrando una fila di denti affilati come coltelli e delle dimensioni di un avambraccio.

Scherzo, scherzo.” Louis scoppia a ridere, ricominciando ad accarezzare l’animale: “Mash, sto scherzando. Sai benissimo che non potrei vivere senza la mia ragazza preferita, no?”

Il drago pare tranquillizzarsi e comincia una lenta planata verso un bosco nebbioso di cipressi e abeti, su un versante male illuminato di una montagna particolarmente alta.

Nella testa di Harry pensieri su pensieri stanno rotolando tra di loro, come a cercare di raggiungere il podio, per emergere sopra gli altri: non vuole ascoltarli.

Non vuole nemmeno provare a metterli in ordine, a capire a chi a cosa si stanno riferendo; è un lusso che non s’è concesso in una vita intera, e non comincerà di certo ora.

Quando era piccolo, generalmente si rinchiudeva in biblioteca quando doveva azzittire le domande che si porgeva.

Si rinchiudeva quando i compagni d’armi lo prendevano in giro, quando suo padre lo costringeva a tenere una spada in mano: “È parte di te” diceva, “Non lascerai quest’elsa fin quando non la maneggerai come se fosse parte del tuo braccio.”

E la neve cadeva, sul cortile: Harry guardava le mani—paffute e bluastre per il freddo—che stringevano una spada che non riusciva nemmeno a sollevare da terra.

Mentre i fiocchi di neve s’intrappolavano tra le sue ciglia, ricacciava le lacrime indietro e vedeva Gemma, appoggiata ad una colonna del portico, portarsi una mano alla bocca ed osservare la scena, timorosa.

Harry prendeva un profondo respiro, cercando di mettere a fuoco la figura paterna, poco davanti a lui, con un’altra spada tra le mani.

“Tu sei uno Styles. La sete di vittoria scorre nel tuo sangue, si attacca alla vita che hai.”

Alzava la spada, tirava i colpi, cercava di pararli, ma la maggior parte delle volte si limitava a cadere a terra, con le ginocchia sbucciate, sul pavimento lastricato del cortile; il rumore della lama che gli sfuggiva dalle mani e tintinnava lontano infesta ancora i suoi sogni.

“Quand’è che avrò un drago?”

La domanda improvvisa fa sobbalzare un poco Louis, che fino a quel momento era concentrato nella planata di Masha.

“Che intendi?”

Harry si schiarisce la voce: “Uhm—Se io devo diventare un guerriero, si presuppone che abbia un drago, no?”

Sente Louis ridacchiare. “Non sei tu a scegliere il drago—”

Masha sta planando tanto che ormai mancano pochi minuti all’atterraggio; Harry percepisce il vento fischiargli nelle orecchie.

“—È il drago che sceglierà te, al momento giusto. Sarà lui a possedere te, non viceversa.”

 

 

 

 

            “Quando sarai nella Barriera, lontano da tutto e da tutti—”

La voce di Louis continua a rimbombare tra le cortecce degli alberi, mentre Harry s’affretta a seguirlo, girando per il bosco fitto: Masha, poco dietro di loro, cerca di farsi spazio con le enormi zampe, spaccando tronchi interi e schiacciando l’erba alta.

“—Probabilmente penserai che morirai perché ti uccideranno a sangue freddo. Be’. Sbagli.”

Harry alza un sopracciglio, col fiato corto, e aspetta che Louis continui: “È molto più probabile che un guerriero muoia per infezioni o avvelenamento da cibo, piuttosto che da una spada.”

Scalcia via un pezzo di legno muschiato e, con la spada, taglia i rami bassi di un abete; dopo un’ultima serie di colpi di lama ben assestati, Louis si ferma improvvisamente, lasciando che Harry quasi gli caschi addosso.

(Dietro, Masha è troppo impegnata a masticare una qualche sorta di pianta che ha sradicato dal terreno per prestare loro attenzione.)

“E questa,” il cavaliere dagli occhi azzurri si sposta di lato, grattandosi pigramente il lieve accenno di barba sulla mascella: “è la tua prima lezione: imparare a non morire per causa naturale.”

“Sembra promettente” borbotta Harry, facendo qualche passo avanti per superare Louis e raggiungere quella che pare una radura, circondata da cespugli scuri e alberi; ciuffi d’erba di diverso colore e forma spuntano dal terreno morbido e umido.

Tanti tipi di fiori diversi e bacche s’intravedono tra i rami.

Si blocca sul posto, gli occhi spalancati per riuscire a cogliere tutta la bellezza di quel luogo sconosciuto che sembra pulsare di vita.

Louis lo raggiunge alle spalle, dandogli un pizzicotto su un fianco: “Andiamo, verginello. Entro ‘sta sera dovrai avere imparato almeno trenta diversi tipi di bacche ed erbe, chiaro?”

Harry annuisce mogiamente, seguendolo. Sbuffa. “Chiaro, chiaro.” Ha imparato libri interi della biblioteca reale, può farlo anche con un paio di nomi, ne è sicuro; la sfida non lo spaventa.

Può farcela.

Il cavaliere si dirige fino l’altro lato della radura, accanto ad un’enorme pianta dai colori opachi, dai quali rami cadono grossi e gonfi frutti bluastri; Louis ne stacca uno con un repentino movimento della spada, facendolo rotolare fino ai piedi di Harry.

“Che cos’è, questa?” domanda, appoggiandosi con la schiena contro il tronco dell’albero.

Harry raccoglie il frutto, e se lo passa da una mano all’altra, tastandolo: la superficie è screpolata, ricoperta di sottili filamenti viola.

“Una bacca della notte. Le mangiavo, al castello, quando ero piccolo—Ora le coltivazioni sono scomparse.”

Alza lo sguardo: Louis sta annuendo. “Me la passi?” gli domanda.

Harry gliela lancia e l’altro l’afferra al volo: si siede su una roccia ricoperta di muschio e fa segno al ragazzo dagli occhi verdi di avvicinarsi.

Estrae con un movimento secco un piccolo pugnale seghettato dalla cinghia dei pantaloni e comincia a lavorare sul frutto con la lama; passa la punta su una delle screpolature più profonde, poi esercita una leggera pressione e l’involucro ruvido della bacca si spacca a metà.

Harry non può fare a meno che seguire, con gli occhi, i movimenti di quelle mani.

Quelle mani piccole, ricoperte di piccole cicatrici invisibili, baciate dal sole; esperte in grado di manovrare perfettamente una qualsiasi lama, eppure capaci di accarezzare un drago.

Potrebbe essere sicuro che, se Harry le toccasse, sarebbero ruvide. Ruvide ma gentili e attente. Prima che sia troppo tardi si ritrova a pensare che potrebbe fissarle per sempre, incantato da quei movimenti tanto precisi.

Si morde il labbro inferiore l’istante dopo, per cercare di fermare il rossore di vergogna che sicuramente gli ha già tinto le gote; scuote la testa, cercando di pensare ad altro.

Vede Louis afferrare le due parti separate del frutto e imprimerci, su ciascuna di esse, un foro all’estremità: dalla polpa densa e rosso sangue all’interno di esse comincia a fiottare un liquido scuro, che cola sull’erba, sporcandola.

Alza la testa, sorridendo: “Dammi la mano, principessa.”

Titubante, Harry gliela porge e lascia che Louis l’afferri e la rigiri in modo che il palmo sia rivolto verso i rami degli alberi.

Louis afferra il frutto e lascia che alcune gocce cadano sulle piccole ferite ancora aperte che ha sulla mano.

Ah.”

Harry stringe gli occhi, mordendosi il labbro per cercare di trattenere la voglia di allontanare la mano: una sensazione di bruciore seguita da un piacevole brivido di fresco gli s’insinua giù per le ferite, e sembra quasi raggiungergli le ossa.

Guarda Louis, gli occhi spalancati dalla meraviglia: l’altro gli sorride, arcuando le sopracciglia.

Bacche della notte. Ottimi frutti, certo—Ma non tutti sanno che il loro succo ha poteri curativi incredibilmente potenti. Sono molto rari da trovare.”

Afferra le due metà del frutto, porgendone una a Harry: “Assaggia.”

Il ragazzo afferra l’enorme bacca bluastra, avvicinandosela lentamente alla bocca; lancia un’ultima occhiata all’altro prima di affondare i denti nella polpa scura; la sua gola viene immediatamente inondata da nettare zuccherato e succoso.

Si lascia sfuggire un miagolio di piacere quando comincia a masticare il contenuto molle, sembra quasi che il palato stia danzando dalla gioia di quei sapori che sprigionano ricordi su ricordi, della sua infanzia.

Louis si alza, scompigliandogli i ricci con una mano e ride.

(Harry potrebbe arrossire leggermente poiché sì, ha emesso un suono decisamente imbarazzante. E abbastanza equivoco.) (E Louis continua a ridere, dannazione.)

Harry utilizza la manica della propria casacca scura per pulirsi il succo colatogli giù per il mento, distogliendo lo sguardo; quando lo rialza—dopo aver gettato via il frutto ormai spolpato—Louis ha già in mano un’altra piccola pianticella che ha strappato da un punto ombroso sotto un cespuglio.

“E questo?” domanda, sventolandola in aria: “Sai dirmi cos’è questo?”

No, sinceramente Harry non ne ha la più pallida idea.

Strizza gli occhi per cercare di mettere meglio a fuoco il tutto: sembra un ramoscello d’ulivo, se non fosse per il fatto che le foglie tendono all’azzurro chiaro e la forma è decisamente più lineare.

Scuote la testa.

“È una passa selvatica.” Louis fa qualche passo, avvicinandola al volto dell’altro: “Che odore ha?”

“Di—terra bruciata.” Il ragazzo dagli occhi verdi arriccia il naso: “Sa decisamente di terra bruciata.”

Già. E indovina un po’? Mischiata con il succo delle bacche crea un veleno abbastanza forte da stordire un drago delle dimensioni di Masha.”

Harry spalanca gli occhi, passando lo sguardo velocemente dalla pianta a Louis, da Louis alla pianta: “Mi prendi in giro?” esclama: “È minuscola! Come può creare abbastanza veleno per un drago di—uh. Di quelledimensioni?!”

“Può farlo, credimi—non ti consiglierei di metterla alla prova.”

Il ragazzo dagli occhi verdi ruota le iridi al cielo e non ribatte; non oserebbe mai toccare Masha.

Non solo per il fatto che se le succedesse qualcosa Louis probabilmente lo farebbe frustare fino alla morte e poi buttare la sua carcassa giù per la fiancata della montagna, ma principalmente perché quell’animale gli fa davvero, davvero paura.

I denti, soprattutto.

E quell’aria da tu sarai la mia prossima cena che ha sempre stampata sul muso. Davvero intimidatoria, senza dubbi.

“Quindi—” Louis lo sorpassa, lanciando un’occhiata divertita alla sagoma del suo destriero (che s’intravede da sopra le cime degli alberi) mentre quella pare aver trovato un bel cervo con cui trastullarsi.

“—cosa hai imparato, fin ora?”

Harry fa finta di pensarci, picchiettando l’indice sul mento: “Be’—succo delle bacche, uguale buono. Succo delle bacche più passa selvatica, uguale cattivo.”

Louis lo guarda un attimo, ridacchiando. “Okay, okay” sbuffa: “posso dartela per buona, principessa—ora diamoci una mossa, abbiamo tipo. Altre trenta piante da imparare prima di questa sera.”

“Mi chiamerai sempre così?”

Il cavaliere gli lancia un’occhiata interrogativa, apprestandosi a prendere il proprio pugnale per tagliare altre piante: “Così come?”

Harry fa una smorfia irritata, è incredibile che lo costringa addirittura a dire quella dannata parola. “Principessa.”

Louis sibila una risata. “Oh. Quello.” Scuote la testa, divertito: “Mi piace troppo vederti arrossire dalla rabbia quindi credo che andrò avanti ancora per un bel po’ di tempo—”

Le guance di Harry sembrano ardere come fuoco.

“—Esattamente così!” ride il cavaliere.

Il ragazzo dagli occhi verdi si morde l’interno della guancia per frenare la propria voglia di rispondere a tono e si limita a sbuffare sonoramente.

 

Passano l’intera giornata a catalogare, sminuzzare e classificare piante; la testa di Harry sembra addirittura dolergli a causa di tutte le informazioni che sta cercando disperatamente di assimilare senza perdersene alcuna.

Per pranzo Louis gli ha mostrato come accendere un fuoco e far bollire quattro tipi di erbe diverse per formare un miscuglio in grado di curare emorragie interne, e quali piante sono consigliabili da mangiare durante carestie.

Troppe. Decisamente troppe. (E troppi nomi complicati.)

Harry è piegato sullo stesso arbusto da almeno mezz’ora, cercando pateticamente di riuscire a distinguerequel fiore che Louis gli ha dato ordine di raccogliere—dannazione, come si chiamava?

Sbuffa. Non se lo ricorda. Diamine.

Oltretutto, il fatto che il sole stia calando giù oltre le cime innevate delle montagne lontane, non rende il compito per niente più facile; Harry si raddrizza.

“È troppo buio” esclama, massaggiandosi la schiena dolorante a forza di starsene nella stessa posizione: “Non vedo niente.”

Louis—da qualche parte più in là a raccogliere altri frutti e piante—ridacchia. “Smettila di lamentarti per ogni singola cosa.”

Harry sibila, irritato. Lui non si sta lamentando; il fatto che il buio non gli faccia distinguere nemmeno una foglia dall’altra non vuol dire che effettivamente si stia lamentando.

Sta facendo delle constatazioni: è buio, quindi non si vede niente.

Probabilmente potrebbe raccogliere una pianta velenosa al posto di quello stupido fiore e non sarebbe assolutamente colpa sua.

Be’—Più o meno.

“Quand’è che ritorneremo all’accampamento?” domanda allora, godendosi mentalmente il momento in cui si siederà accanto al fuoco e andrà a dormire nella branda che ha appena costruito; ammettendo che quella sia rimasta ancora in piedi.

“Sei già stanco, verginello?” La voce di Louis risuona lontana, anche se attualmente a dividerli ci sono solo pochi alberi e tanti cespugli.

“Dacci un taglio, capito?”

Ode fiocamente l’altro ridere. “Nah. Non credo. Uh—non torneremo finché non sarai riuscito a trovare quel fiore di mandragora.”

Oh, ecco cosa stava cercando. Mandragora. Be’, buon a sapersi.

Harry si alza e passa definitivamente ad un altro cespuglio dai rami fitti e le foglie scure: “A cosa serve, esattamente?”

“Il succo di mandragora è un elisir di lunga vita.”

Davvero?”

Louis scoppia a ridere, dall’altra parte della radura. “No.” sogghigna, divertito: “Ti stavo prendendo in giro, ragazzino—Serve per curare le infezioni nelle ferite.”

“Oh.” Harry ritorna in silenzio, non troppo concentrato a cercare quel fiore che è letteralmente impossibile da trovare, tra tutte quelle piante; non riesce a concentrarsi.

“Louis?” prova allora, mordendosi l’interno della guancia.

“Sì?” Il cavaliere non alza nemmeno lo sguardo, troppo impegnato a perlustrare il terreno sotto di lui: la radura ormai è diventata silenziosa e l’oscurità li avvolge.

Solo il rumore dei grilli e il lento e pigro respiro di Masha—che s’è addormentata e ora riposa rannicchiata all’entrata della radura—riescono a spezzare il silenzio degli alberi; Harry si concede lunghi istanti prima di riaprire la bocca.

“Posso farti una domanda?”

Louis alza improvvisamente gli occhi da terra, arcuando le sopracciglia: “Certo.”

Harry deglutisce non riuscendo a staccare nemmeno un minuto gli occhi da—da ciò che sta fissando così ossessivamente da almeno dieci minuti; alza un dito, indicando il breve tratto di clavicola esposta del cavaliere.

“Come ti sei fatto quella, uh, cicatrice?”

Si sente in perfetto idiota nello stesso istante in cui richiude bocca.

Insomma, lui non è il tipo da mettere naso negli affari degli altri o fare loro domande poco opportune, ma. La curiosità lo sta uccidendo; pensare che la pelle liscia e marmorea di Louis abbia mai incontrato qualcosa in grado di ferirla, lasciandogli un marchio che chissà fin dove arriva, lo disorienta.

E ormai è sicuro che non sia stata Masha, a procurargliela: è troppo ben addestrata.

Abbassa lo sguardo: probabilmente lui non ne vuole nemmeno parlare. Non che abbiano ancora tutta questa confidenza.

Stupido, stupido, stupido. Come gli è saltato in mente di chiedere una cosa del genere?

Louis rimane in silenzio e si limita ad avvicinarsi lentamente—passo dopo passo che frusciano sull’erba—a Harry.

S’è portato una mano all’altezza della clavicola e sta accarezzando la parte visibile della cicatrice con le punte dei polpastrelli, pensieroso.

“Perché lo vuoi sapere?”

“Be’—Io. Non sei costretto a parlarne s—” prende un profondo respiro. Perché diamine si sta agitando così tanto? “—Se non vuoi.”

Louis piega appena la testa di lato, sorridendo gentilmente: “Non è una risposta alla mia domanda.”

Harry rimane in silenzio, mordendosi il labbro inferiore. Percepisce gli occhi blu di Louis su di lui, passareattraverso di lui; come se fosse un corpo cavo, e quegli occhi fossero in grado di guardarci attraverso.

“Curiosità” borbotta infine.

Louis si avvicina di un altro passo. “È per questo che mi fissavi, al banchetto di tuo padre? Solo per—curiosità?”

Il ragazzo dagli occhi verdi annuisce freneticamente, non sapendo che altro fare; il cavaliere si avvicina ancora, prima sedersi a terra, accanto alle gambe dell’altro: gli fa segno di seguirlo.

Harry si accovaccia lì affianco, talmente vicini che le loro spalle si sfiorano, le loro cosce si sfregano; davanti a loro, solo la radura blu scuro, illuminata mogiamente dai raggi di una timida luna.

“Hai diciassette anni, vero?” La voce di Louis spezza improvvisamente il silenzio creatosi.

“Sì.” Cosa c’entra, adesso, l’età?

“Uhm.” Vede il cavaliere passarsi una mano sul retro del collo: “E secondo te io quanti ne ho?”

“Non saprei—Diciannove? Venti? Forse...” Dà un’occhiata all’accenno di barba sul suo mento: “Ventuno?”

Louis ride, ma pacatamente, appoggiando i gomiti sulle sue ginocchia piegate e lasciando ciondolare la testa avanti per qualche secondo, sorridendo; la rialza lentamente, prendendo un profondo respiro.

“Ne ho ventotto.”

Harry lascia andare improvvisamente il filo d’erba con cui giocherellava—stava giocherellando con un filo d’erba?—e la mascella gli si spalanca senza che possa fermarla: sgrana gli occhi mentre osserva l’altro scoppiare a ridere a causa della sua esagerata reazione.

“Stupito, eh?” ridacchia.

Stupito si avvicina solo lontanamente a ciò che è Harry ora: ventotto?! Sul serio? Come può avere già ventotto anni un ragazzo che sembra più giovane di Gemma?

Come—Come è possibile?

Harry si sforza, davvero, sta cercando di mettercela tutta ma proprio non riesce a capire dove quagli anni abbiano lasciato una traccia, sul corpo di Louis.

La pelle è ancora perfettamente liscia, gli occhi vividi e allegri come un bambino, la muscolatura e la stazza fisica praticamente perfetti.

(Siamo sicuri che la mandragora non sia un elisir di lunga vita? Avrebbe funzionato alla grande, sul corpo del cavaliere.)

Vorrebbe poter dire qualcosa, o se non altro chiudere la bocca che sta ancora tenendo spalancata; darsi un minimo di contengo—dannazione—ma l’altro è più veloce e lo precede, sbuffando: la sua faccia è tornata improvvisamente seria.

“Quando avevo dieci anni—tu non eri ancora nato” abbassa lo sguardo sull’erba che gli incornicia le caviglie: “Esistevano dei villaggi, al di là di queste montagne. Uno di questi era il mio.”

Fa una pausa, alzando lo sguardo e proiettandolo in un punto indefinito, davanti a lui, perso nel vuoto:

“Una mattina arrivarono i Barbari. Avevo due sorelle più piccole e—mi ricordo,” sospira: “di quanto urlassero, mi ricordo—mi ricordo di averle sentite implorare, piangere, mentre qualcuno cercava di buttare giù la porta della loro camera. Fuori le case bruciavano e bruciavano, appiccavano loro fuoco, capisci? Non si preoccupavano se dentro era rimasto qualcuno, loro—loro.”

Le sue nocche sono diventate del colore della neve, mentre le dita continuano a stringersi tra di loro, quasi cercando di calmarsi a vicenda.

Harry trattiene il respiro, avvertendo l’esigenza di allungare una mano, passare un dito su quei muscoli tesi finché non si rilassino.

Fare calmare il battito accelerato del suo cuore che riesce quasi a percepire da qui: ma non ci riesce. Rimane immobile, e le sue orecchie sembrano fremere in attesa che la voce di Louis le riempia di nuovo.

La cicatrice sembra brillare, sotto la luce della luna.

Louis inala l’aria fredda lentamente.

“—Mi nascosi sotto un tavolo. Non riuscivo nemmeno a piangere, sai? Non riuscivo a fare altro che rimanere immobile e pensare e adesso? Adesso, come morirò? La paura mi sembrava attanagliare le braccia. La porta si aprì di schianto, come un tuono. Un Barbaro con un’ascia in mano entrò e cominciò a dirigersi verso di me, i suoi occhi rossi continuavano a fissarmi e prima che potessi accorgermene aveva scaraventato via il tavolo che era sopra di me e aveva alzato l’ascia, pronto a colpirmi—Ricordo di aver pensato che fosse la fine, mentre stringevo forte gli occhi e aspettavo la lama.”

Sbatte le palpebre una, due, tre volte, quasi cercasse di mettere a fuoco un’immagine lontana, un ricordo.

“Non arrivò. La lama, intendo, non arrivò; mio padre si contrappose tra me e quell’ascia, scansandola. Mi sfiorò appena, lasciandomi questa cicatrice.” Picchietta con un dito sulla ferita biancastra sulla sua clavicola.

Harry rimane immobile, con le gambe piegate e le ginocchia sotto il mento; aspetta che Louis ricominci a parlare ma, quando vede che non il cavaliere non ha nessuna intenzione di riaprire bocca, si raddrizza nelle spalle.

Non ha idea di cosa dire; aveva immaginato centinaia di storie diverse, dietro quella cicatrice, ma nessuna di esse includeva uno scontro con i Barbari.

Faccia a faccia.

Rabbrividisce solo al pensiero. “Come hai fatto a scappare?” domanda fiocamente, interi minuti dopo.

Louis lo guarda, come se improvvisamente ricordasse di non essere solo.

Oh, be’. Sono scappato dalla finestra e ho visto i guerrieri del nostro regno accorrere in soccorso—Poi. Poi sono montato sul primo cavallo che ho trovato e sono scappato via. Non credo—” sospira: “Non credo riuscirò mai a liberarmi dell’immagine di quel Barbaro mentre si voltava per afferrare mio padre, che mi aveva salvato la vita.”

Harry si morde il labbro inferiore: “È per questo che sei diventato cavaliere? Per proteggere le persone che ami?”

Il ragazzo dagli occhi azzurri si volta, sorridendo amaramente. “Per vendetta. Per uccidere abbastanza Barbari da vendicarmi.”

Harry deglutisce e rimane in silenzio.

“Ti fa paura?” domanda Louis mentre lo fissa, ed è come se i suoi occhi cercassero di tranquillizzarlo e la sua voce si fosse fatta improvvisamente più dolce.

“Cosa?”

“Quello, uh, che ho detto; quello che ti ho raccontato. Ti ha spaventato?”

“Un po’.” Ed è sincero.

Louis gli sorride. “Va bene, tranquillo.”

Rimangono in silenzio per un paio di minuti, ascoltando i grilli frinire; le dita di Harry continuano, quasi ipnotizzate a giocherellare con i lacci di cuoio della sua casacca, mentre il suo sguardo è perso tra gli alberi neri pece che circondano la radura.

Improvvisamente, un piccolo bagliore aranciato bazzica per un istante tra i fili d’erba, per poi scomparire il secondo dopo: Harry lo osserva, ma è talmente immerso nei propri pensieri da non farci troppo caso.

Poi il bagliore si ripresenta, più duraturo e luminoso di prima: la piccola luce si muove freneticamente, alzando e abbassandosi, schivando gli arbusti e le radici sporgenti degli alberi.

Harry spalanca gli occhi; ora sono due, le lucine. Due, tre, quattro.

Nove. E continuano ad aumentare.

Sembrano spuntare improvvisamente da dietro ogni fiore, ogni foglia; illuminano la radura creando giochi di ombre e luci, ad intermittenza.

“Cosa—?” Harry è troppo impegnato a sgranare gli occhi e spalancare la mascella dalla meraviglia per riuscire a concludere la domanda.

Louis, spalla contro la sua, ridacchia, stupito dalla reazione dell’altro: “Sono lucciole.”

Oh.”

Lucciole; da quanto tempo non le vedeva, a palazzo?

Saranno passi inverni interi dall’ultima volta che lui e sua sorella le rincorrevano, di notte, cercando di intrappolarle dentro le ampolle di vetro, per poi liberarle.

Nemmeno nei ricordi quegli insetti luminosi sembrano così belli come in questo momento: emettono una luce calda, che fa rispendere ogni cosa di un arancione soffuso.

Sono centinaia e centinaia e si accendono una dietro alle altre, come candele di cera e miele.

Harry alza il naso al cielo, meravigliato, e ne osserva una posarsi ad un ramo poco lontano da lui: allunga una mano cercando di catturarla, ma quella è più veloce e vola via, seguendone un’altra.

Louis, lì accanto, si sdraia sull’erba, puntellandosi con i gomiti per continuare ad osservare quel meraviglioso spettacolo.

“Non avevi mai visto delle lucciole?”

“Be’—” Harry si morde il labbro inferiore, voltandosi per guardarlo negli occhi; le sue guance sono leggermente arrossate per l’emozione del momento e i suoi occhi—illuminati dalla luce degli insetti—sembrano decisamente più verdi e vitrei.

“—quand’ero piccolo c’erano, nel cortile del mio palazzo. Poi è arrivato un inverno particolarmente rigido e credo siano morte tutte.”

Il cavaliere ridacchia: “Forse sono solo scappate.”

“Le lucciole non scappano.”

“Sì, invece. Se hanno paura scappano.”

“Loro non avevano paura di me.” Harry alza il mento, in tono difensivo: “Ci giocavo. Le acchiappavo e poi le liberavo. Non facevo loro del male.”

Le sopracciglia fini di Louis s’inarcano e la bocca fine si piega in una smorfia divertita: “Acchiappavi le lucciole? Davvero?”

“Uh uh.”

Louis lo osserva un attimo. “Fa’ vedere” esclama, divertito.

Harry gli lancia un’occhiata: “Cosa?”

“Voglio vedere come le prendi.”

“Stai scherzando?”

“No—no. Davvero, sono curioso; voglio che m’insegni a catturarle.”

“E perché mai?”

Il ragazzo dagli occhi azzurri sbatte le palpebre, lasciando che le lunghe ciglia proiettino ombre scure sulle gote.

“Solo curiosità” esclama infine, cercando di imitare la cadenza nella parlata dell’altro; Harry ruota le iridi al cielo scuro, parando le mani in aria. 

“Okay, okay.” Non può fare a meno di ridacchiare, però.

Si alza dall’erba molto lentamente, scrollandosi i pantaloni con i palmi delle mani; ci sono talmente tante lucciole in quella radura che è praticamente impossibile focalizzarsi su una e una soltanto.

Si picchietta un indice sulla guancia, guardandosi intorno, tra i bagliori.

Ce n’è una, in particolare, appoggiata su una foglia di quercia: è immobile e le sue piccole ali fremono. La sua luce è meno regolare rispetto a quella delle sue compagne, ma più vivida.

Fa segno a Louis di avvicinarsi al ramo, posizionandosi accanto a lui.

“Devi mettere le mani a coppa—così.” Harry afferra le mani di Louis, mostrandogli la posizione corretta: la sua pelle è ruvida ma morbida, arrossata e inspessita a forza di manovrare spade, trasportare legna a destra e a manca.

Gli sta tenendo le mani.

Harry si raggela per un secondo: non lo aveva realizzato completamente fin quando non si era trovato talmente attacco al corpo del cavaliere da poter sentire l’odore della sua pelle.

Odore di pino, sapone e terra: un profumo tenue ma abbastanza forte da essere sentito da quella piccola distanza.

Louis, però, sembra essere troppo concentrato a fissare la piccola lucciola per notare l’esitazione di Harry, o il fatto che—pur non sentendosi a proprio agio—non riesce proprio a lasciarle andare, quelle mani.

Alza lo sguardo, osservando il profilo di Louis, illuminato da quella luce calda che li circonda: la curva del suo collo o la linea netta della mascella sembrano essere state disegnate da un miniaturista di corte, tanto sono nette e precise.

Le sue labbra sono socchiuse, c’è una piccola ruga di concentrazione tra le sopracciglia scure e curate: Harry si sente intontito.

“Allora?” il sussurro di Louis lo fa svegliare di sorpassarlo dalla trance in cui era caduto.

Scuote la testa, sentendo il rossore ricoprirgli le guance e bruciargliele: le loro mani si toccano ancora.

“Aspetta—” cerca di schiarirsi la voce, tornando a concentrarsi sulla lucciola: “Adesso devi solo avvicinarti piano e—” le mani si avvicinano al ramo silenziosamente. L’insetto pare essere ignaro di tutto ciò che sta succedendo.

“—ora.”

Le mani di Harry—sopra quelle di Louis—si chiudo a scatto, rinchiudendo il piccolo esserino in una prigione di dita intrecciate.

Il cavaliere sorride, piacevolmente divertito; osserva la luce dell’insetto filtrare tra le fessure della prigione.

“È stato facile.”

Harry non risponde: un formicolio continua a riempiergli le estremità del corpo dalle orecchie, fino al naso, ai piedi.

Louis lo guarda, alzando un sopracciglio; tiene i pugni delicatamente serrati proprio sotto il suo mento: il ronzio del piccolo insetto spaventato è quasi udibile, nella notte.

Sono così vicini. I loro corpi, i loro respiri sembrano fondersi.

Il cavaliere lo guarda, lo osserva immobile; il battito del cuore di Harry duplica, triplica di velocità. Sente il sangue pompagli nelle orecchie.

Cosa sta succedendo?

Louis l’ha già guardato, prima di adesso; i suoi occhi non sono cambiati. Perché allora, in questo istante, sente il proprio stomaco stringersi sotto le sue iridi blu?

C’è un’intensità che Harry non ha mai visto, nel suo sguardo. O forse se lo sta solamente immaginando.

Rimangono in silenzio; Louis sembra in attesa.

Di cosa? Cosa sta succedendo? Niente. Rimangono ancora immobili.

Sono così vicini.

La gola di Harry è talmente secca che, quando deglutisce, riesce a sentirne il suono ovattato; quando si muove, sembra un salto nel vuoto.

Non sa cosa accadrà fino all’ultimo secondo, fin quando il suo cuore continuerà a battere così forte e Louis continuerà a guardarlo in quel modo.

È come buttarsi giù da una cascata, aspettando il tonfo nell’acqua. Non ha idea di cosa stia facendo fin quando non accade.

Le sue labbra incontrano quelle di Louis goffamente, atterrandoci sopra come una lucciola assetata ed inebriata dal polline: le loro bocche si scontrano, morbide. Le labbra del cavaliere sanno di zucchero e dei dolci frutti che hanno mangiato per pranzo.

Percepisce il proprio stomaco rigirarsi, stringesi e allargarsi in una morsa di voglia, desiderio; qualcosa che non ha mai, mai, provato prima.

Ancora—È un grido che gli si propaga sotto la pelle.

Spalanca gli occhi, si ritrae sussultando il secondo dopo: cosa ha fatto?! Cosa gli è saltato in mente?

Louis è davanti a lui, immobile, gli occhi inespressivi e le labbra socchiuse ancora protese nella smorfia di un bacio; il suo sguardo è indecifrabile, quegli occhi inchiodano Harry a terra, facendogli congelare in bocca una qualsiasi possibilità di spiegazione.

Le mani del cavaliere sono lunghe e rigide per i fianchi. La lucciola è scappata.

Harry vorrebbe mettersi a piangere. Dèi, cosa ha fatto?

Ma non ci riesce: le sue guance bruciano ancora e il cuore non ha smesso nemmeno un istante di battere come impazzito. Sta aspettando una qualsiasi, dannazione qualsiasi, reazione da parte del cavaliere.

Anche uno schiaffo, anche un urlo; il suo silenzio lo sta uccidendo.

La mascella di Louis sembra rigida, ma i suoi occhi non esprimono rabbia quando apre bocca: prende un grosso respiro.

“Dobbiamo—” si ferma, posa lo sguardo a terra, poi lo rialza su Harry: “—Tornare all’accampamento; dobbiamo svegliare Masha.”

Il ragazzo più giovane annuisce lentamente, seguendolo quando l’altro comincia ad avviarsi verso il bosco fitto.

Ha ancora il sapore di zucchero, sulle labbra.

 

 

§

 

 

Non ne parlano. Non ne parlano mai.

Durante le settimane—che piano piano si trasformano in mesi—che passano, Louis cerca di fare l’inimmaginabile pur di non dover ritirare fuori l’argomento; c’è una parte di Harry che ne è estremamente grata.

Il loro rapporto è tornato quello di sempre: Louis non sembra cambiato, continua ad addestrarlo compiendo il suo dovere, fingendo che non sia mai accaduto niente.

Gli ordina di trasportare almeno cinque fasci di rami al giorno dai piedi della montagna fino all’accampamento, per poi aiutare gli altri ad accendere un fuoco per la notte.

Se Harry non ci riesce, Louis gli punzecchia un fianco e lo chiama ragazzino, verginello o il suo preferito:principessa. Harry ruota gli occhi al cielo, percependo i muscoli tirare sotto l’epidermide e il sudore colargli giù tra i ricci.

Ma continua, continua sempre finché non riesce in ciò che Louis gli ha ordinato di fare.

Più di una volta ha dovuto passare intere notti dentro la branda dell’infermeria, con Michael o Calum che cercavano di risistemagli un ginocchio slogato o un taglio fatto mentre si esercitava con arco e frecce.

Quando Louis deve compiere i suoi giri di ricognizione con Masha, Harry rimane al campo: Niall gli insegna a ricucire e a conciare le pelli d’animali per creare tende e coperte, mentre Liam passa i pomeriggi a farlo esercitare nel combattimento corpo a corpo.

“La spada” gli dice in un giorno nuvoloso, mentre Louis è andato con Stan e Luke sulle montagne per i loro giri: “è la prima cosa che tenteranno di strapparti via, quando sarai in battaglia.”

Sono entrambi sull’altopiano vicino all’accampamento e si stanno esercitando da almeno un paio d’ore: Harry ha le nocche violastre a forza di colpire il volto è il petto di Liam, mentre del sangue gli cola giù per il naso, fino a impiastricciargli la bocca.

Il cavaliere dai capelli marrone è davanti a lui e si porta un pugno chiuso sul naso per asciugare il sudore, mentre sputa via dell’altro sangue.

Prende un profondo respiro, portandosi i pugni stretti davanti al petto sudato; si avvicina nuovamente all’altro, con passo lento. Il suo respiro è pesante, ma controllato.

“Per questo devi essere in grado di saper lottare a mani nude, capito?” gli sussurra, socchiudendo gli occhi.

Harry non ce la fa, dannazione, riesce a percepire i propri muscoli cedere sotto la fatica: gli occhi—uno dei quali è stato pestato malamente—fanno fatica a mettere a fuoco la figura di Liam; il suo petto nudo sembra scolpito nel legno.

I tendini vibrano quando sta per sganciare un altro pugno; Harry non lo vede arrivare.

E immediatamente cade a terra, per la trecentesima volta, con un nuovo, fortissimo dolore allo zigomo destro.

Cade a carponi, tra la polvere, e tante goccioline di sangue e sudore si mischiano al suolo:

“Non ce la faccio” implora, esausto, osservandosi le mani martoriate.

Liam è davanti a lui. “In piedi, dài. Devi rispondere ai miei colpi.”

“Non ce la faccio.” Le sue nocche sono violacee, blu e marroni per la terra; i capillari si sono allargati e frantumati, lasciando intravedere centinaia di sfumature di rosso sangue.

Sente Liam sbuffare. Una mano gli afferra rudemente la base del collo, spingendolo a far collidere la schiena col suolo in un colpo solo: è un dolore atroce.

Il cavaliere è ad appena qualche centimetro dal suo volto, sopra di lui: gli blocca completamente braccia e gambe con il proprio corpo e la mano è ancora stretta alla sua trachea.

Harry annaspa e boccheggia, in cerca di aria. Cerca di contorcersi, facendo cozzare il proprio petto contro quello dell’altro.

“Andiamo,” gli dice allora Liam, guardandolo negli occhi: “reagisci! Fermami! Fa’ qualcosa, dannazione.”

Harry stringe gli occhi, forte: delle lacrime di dolore e di rabbia gli si accumulano agli angoli degli occhi.

Non ce la faccio—Lo pensa, poiché non ha abbastanza aria per poter parlare.

“Lee?”

Una voce proviene dal sentiero in fondo all’altopiano.

Liam stacca la mano dalla presa e si volta, non curante del fatto che Harry stia tossendo raucamente, voltandosi su un fianco per essere in grado di sputare tutto il sangue che aveva in bocca.

Zayn lo guarda, dall’inizio del sentiero, alzando un sopracciglio; non dice niente.

Non che quel ragazzo parli molto, effettivamente.

Lo vede voltarsi verso Liam. “Mi chiedevo—” lancia un’occhiata impercettibile al corpo dell’altro, nudo, sudato e ricoperto di polvere e sangue: “—dove fossi finito.”

Liam gli sorride, passandosi una mano dietro il collo: “Be’, adesso mi hai trovato.”

Zayn annuisce, non smettendo un attimo di guardarlo.

“Avevi, uh, bisogno di qualcosa?” domanda allora Liam.

L’altro scuote la testa. “No—Volevo sapere dove fossi” si schiarisce appena la voce, come ricordandosi improvvisamente che anche Harry è lì: “E dirti che Urich s’è ripreso completamente. Greg gli ha dato un’occhiata e—sì, le ali sono completamente guarite.”

Liam tira un sospiro, non riuscendo a smettere di sorridergli. “Dèi, grazie.”

Li osserva un attimo: è incredibile come Liam sia praticamente l’unica persona con cui Zayn scambi più di due parole al giorno.

O al quale sorrida.

Harry, pur non facendoci eccessivamente caso—dato che sembra una cosa normalissima per tutte le altre Sentinelle dell’accampamento—, deve ammettere che non può non vedere come si comportino quei due, l’uno nei confronti dell’altro.

Sembra che abbiamo una sorta di linguaggio segreto unicamente tra di loro, con il quale riescono a comunicare semplicemente stando seduti spalla a spalla, durante tutte le cene, ogni sera, un po’ più in disparte rispetto agli altri.

Liam è quello che più partecipa alle conversazioni, mentre Zayn si limita a sorridergli e a stare in silenzio, al suo fianco.

Quando un pomeriggio, insieme a Niall, cerca di cucire una coperta con delle pelli di animali cacciati (la carneovviamente l’hanno data a Huton, che si trastulla divertito lì affianco, affondando i denti nella carcassa d’animale) glielo domanda.

Gli domanda come mai Liam pare sia l’unico con il quale Zayn voglia condividere i suoi pensieri.

Niall ridacchia: “Sinceramente, non ne ho la più pallida idea.”

Lancia un’occhiata al cielo: “Loro sono due delle Sentinelle più vecchie, qui. Quando sono arrivato, loro si comportavano già così—Non lo so. Nessuno ha mai fatto domande.” Rimane un attimo in silenzio, pensando.

“Sì,” dice infine: “Loro hanno sempre dormito nella stessa branda, da quanto mi ricordo.”

Prima che se ne renda conto, Harry riesce a percepire il proprio cuore cominciare a battere dentro al petto.Veloce.

Niall pare non accorgersene; eppure—Eppure ha appena detto che due membri del corpo armato del regno... Dormono insieme.

Due uomini. Nello stesso letto.

Una parte di lui cerca disperatamente di ricacciare indietro, negli abissi della sua mente, la sera in cui ha posato disperatamente le sue labbra su quelle di Louis: non è nemmeno un ricordo nitido.

Non è chiaro.

Riesce solo a ricordarsi il sapore della bocca del cavaliere, il suo corpo che urlava ancora e poi lo sguardo di Louis; i suoi occhi blu che lo fissavano, gelidi. La sua cicatrice che sembrava brillare.

Il suo tocco e le sue mani, i suoi capelli. Il sussurro della sua voce quando erano talmente vicini da sfiorarsi.

Harry abbassa lo sguardo, lo stomaco chiuso in un nodo talmente doloroso da togliergli il fiato.

“Ma—” sussurra, pochi attimi dopo. Niall alza lo sguardo dal proprio ago.

“—Liam e Zayn. Loro—Sono due uomini.

Il cavaliere biondo pare non capire, e lancia un’occhiata a Huton. (Il drago si sta accoccolando all’ombra di una quercia.)

Harry si costringe a non abbassare lo sguardo, anche se le sue guance stanno letteralmente bruciando e il cuore continua a battere veloce: “Non è—sbagliato?”

Niall piega appena la testa di lato, prendendo un profondo respiro e posando via il proprio ago e filo.

“Sai cos’è davvero sbagliato, Harry?” domanda senza aspettarsi una vera e propria risposta; c’è una punta d’insolenza nella sua voce.

“—Che mandino ragazzi giovani come te—come noi, a combattere una guerra che non è nostra solo perché non sanno chi altri sacrificare.”

Si ferma, assottigliando gli occhi: “Come bestie da macello” sibila tra i denti. “Ad aspettare ogni secondo che qualche generale arrivi e ci trasferisca sulla Barriera a Nord, a morire. Pensi—pensi davvero che io possa giudicare Liam per aver scelto un altro uomo con cui passare ciò che rimane della sua vita?”

I suoi occhi azzurri sono spalancati, accusatori; tagliano Harry in due come lame di ghiaccio.

“Liam, Zayn—Io stesso. Potremmo tutti morire da un momento all’altro e l’unica cosa di cui sinceramente ti preoccupi è che sono entrambi uomini? Sul serio?”

Harry deglutisce, e la sua gola è talmente secca che il suono riecheggia nell’aria; Niall continua a fissarlo.

“Io—” Cosa dire? “La nostra religione—” prova allora il ragazzo dagli occhi verdi, perché è l’unica cosa che gli viene in mente; la più stupida, forse.

Niall lo blocca immediatamente. “La religione non ci tocca, non qui sulle montagne.”

“Ma—gli dèi—”

Niall sbuffa ed alza una mano, interrompendolo bruscamente; lo guarda.

Gli dèi ci devono solo delle scuse.”

L’ultima sillaba galleggia nell’aria silenziosa di quel pomeriggio freddo; il cavaliere rimane immobile, per poi afferrare nuovamente la sua pelliccia e ricominciare a conciarla.

Harry lo imita, non riuscendo a fare altro.

“Si prende la felicità dove è possibile trovarla” lo sente sussurrare, concentrato ad inserire il filo nell’ago.

 

 

§

 

 

Harry si rigira dentro le coperte calde della sua branda.

Il cielo è ancora del colore della pece, ma ben presto si tingerà d’arancio, e lui si dovrà alzare; dèi, non ci vuole nemmeno pensare.

I palmi delle mani gli fanno ancora male da ieri, quando s’è ferito con le squame di Urich mentre Louis cercava d’insegnarli a montare su un dannatissimo drago; a guidarlo.

Prova a ributtarsi sul cuscino riempito di lana morbida, mentre si tira su le coperte: ormai l’inverno è alle porte e l’aria si fa ogni mattina più umida e fredda.

Stringe forte gli occhi.

Non perderà un altro minuto di sonno; deve assolutamente addormentarsi prima dell’alba se vuole avere il minimo ed indispensabile di facoltà mentali e fisiche per affrontare un nuovo giorno d’addestramento.

Sbuffa. Sa perché s’è svegliato.

E no, non c’entra la lettera che, appena due giorni fa, una sentinella gli ha dato, salendo su fin sopra la montagna: Harry lancia un’occhiata al tavolino di legno appoggiato contro la parete.

Sopra, accanto alla casacca, i pantaloni, la giacca di cuoio, una candela, varie erbe e la borraccia di pelle, c’è il piccolo foglio di pergamena ripiegato in quattro; è da parte di Gemma.

Non c’è bisogno nemmeno di alzarsi per ricontrollarla, Harry ha sempre letto tutte le lettere che lei gli ha inviato almeno quattro volte, potrebbe ripeterle a memoria, se qualcuno glielo chiedesse.

Quest’ultima, in particolare, crede di averla letta almeno il doppio: problemi ai confini.

O almeno è quello che sua sorella dice di aver origliando dalle conversazioni di suo padre e altri generali del fronte.

 

I Barbari hanno preso il posto di blocco oltre la Barriera,

 

Recita la lettera:

 

Non hanno lasciato superstiti; si parla circa di cento o duecento uomini.

Tutti morti, ora. I loro corpi ricoperti dalla neve e il sangue che si mischia sulla terra.

Nostro padre insiste per tornare sul campo di battaglia; ho cercato di farlo ragionare, dicendogli che è decisamente troppo vecchio per tornare a guidare un esercito.

Potrebbe venire ucciso immediatamente.

Lui non mi ha voluto ascoltare.

È determinato a tornare in campo e credo che niente riuscirà a fermarlo.

Vorrei che fossi qui per aiutarmi a farlo ragionare.

Aspetto con ansia una tua lettera.

 

Sempre tua devota,

 

Gemma

 

Harry non s’è concesso tempo sufficiente per pensare, non vuole pensare.

L’unica persona mai stata in grado di fare ragionare il re è morta anni fa e, dopo di quello, niente è più stato lo stesso nella casata Styles.

Harry non fermerà suo padre, se quello è il suo volere: morire in guerra è l’unico motivo per cui un guerriero viene addestrato.

Per l’onore. La gloria. La vendetta.

Scuote la testa, sono tutte stronzate; non ha intenzione di soffermarsi troppo a preoccuparsi di suo padre e non perderà di certo il sonno per questo.

Infatti non è questo il motivo per cui non riesce a riprendere sonno, lo sa bene; afferra il proprio anello che dondola ancora inerme sul suo petto.

Mentre è puntellato su un gomito, se lo rigira tra le dita, osservandolo nel buio della stanza.

Lui è un Vergine, lui deve diventare Sacerdote, o—almeno è quello che ha sempre creduto; ora—Scuote la testa.

Ora ci sono delle complicazioni.

Complicazioni che hanno occhi blu ghiaccio e pelle che odora di sale e terra.

Ora Harry non riesce a smettere di avere dubbi.

Dubbi sulla propria fede, su di sé.

Dopo quella chiacchierata con Niall—giorni prima—Harry non ha potuto fare a meno di osservare più attentamente Zayn e Liam, accorgendosi di piccoli gesti che prima erano sembrati del tutto privi d’importanza.

Come siano sempre insieme, dovunque vadano, come Zayn sembri iperprotettivo nei confronti dell’altro e raramente lascia che vada in ricognizione da solo; come si guardano, lanciandosi brevi, sinceri sorrisi.

Per tutto il tempo.

Durante le cene, passano la maggior parte del tempo appartati, parlando e ridendo sommessamente, o rimanendo in totale silenzio, guardandosi di tanto in tanto.

Harry cerca, prova, a non interessarsene, ma. Non ci riesce.

Quando guarda loro, gli sembra di sporgersi su un nuovo mondo che gli avevano proibito fino a quel momento: uno scorcio, una fessura che gli è sufficiente. Non chiede altro.

Si ricorda, quando ancora aveva tredici anni appena, delle conversazioni che aveva con i figli della servitù e altri principi di altri regni o delle contee: si radunavano la sera dietro le cucine, provando a bere il vino avanzato dai banchetti.

Harry odiava con tutta l’anima quel sapore acre, ma non si permetteva di lasciarlo trasparire per non passare per un rammollito; li sentiva parlare, entusiasti, delle serve e delle cameriere.

O, più generalmente, delle donne.

Delle esperienze che avevano avuto con loro.

Sono morbide come la panna” diceva uno, tutto rosso in viso al solo ricordo: “E, be’—sanno di panna.”

Quando—stringono le cosce intorno a te, ti dimentichi persino il colore del sole.” Un altro.

I loro capelli lunghi si sparpagliano dappertutto, se non stai attento.”

E, quando era il turno di Harry di parlare, un silenzio imbarazzato si diffondeva per l’aria: quei discorsi non lo stuzzicavano, non lo intrigavano o eccitavano.

Lo mettevano solo in un lungo, penetrante stato di disagio ed imbarazzo: non provava nemmeno la voglia di concedere lunghe occhiate alle cameriere della servitù, non ci pensava nemmeno.

Forse era perché lui era destinato a diventare Sacerdote—era quello che si ripeteva sempre; era sensato, dopotutto.

Gli dèi non gli permettevano di interessarsi alle donne perché doveva preservarsi e diventare Sacerdote: aveva completamente senso.

Da quel momento aveva cominciato a portare l’anello. Da quel momento, ogni volta che toccava a lui parlare, se ne usciva con un semplice “Io diventerò Sacerdote” e gli altri tacevano.

Era così semplice; era semplice fingere di non interessarsi agli atti carnali.

Ora, però, quando guarda Zayn e Liam mentre si allenano a duello con le spade, non può fare a meno di sentire le domande venire a galla nella sua mente.

Domande inopportune ad ogni secondo, persino ieri, quando stava aiutando il resto delle Sentinelle a pulire la coda sporca di Neevae.

Bagna un panno nel secchio d’acqua gelida, poi alza lo sguardo su i due cavalieri—impegnati a lavare il muso mentre l’animale sbuffa—e deglutisce.

Come si stringono, due uomini? Come dormono insieme?

Passa lo strofinaccio sulle scaglie rosate del drago.

Com’è toccare un petto liscio, accarezzare una schiena intrisa di cicatrici?

Cerca di non pensarci, continuando a pulire e non facendo troppo caso all’acqua che cola giù per i suoi gomiti: sente Niall ridere con qualcuno, dall’altro lato di Neevae.

Stringere le cosce intorno ad un bacino asciutto e muscoloso. Infilare le mani tra i capelli corti che ti pizzicano i polpastrelli.

Harry alza lo sguardo e Louis è accanto a lui che gli sorride, dandogli una mano nel lavoro: il suo petto è nudo, abbronzato e la cicatrice è ben visibile sotto la luce opaca del sole.

Le sue braccia sollevano secchi pieni d’acqua, i suoi muscoli si tendono e si gonfiano, la sua mascella si stringe: Harry non riesce a distogliere lo sguardo quando vede il cavaliere voltargli le spalle e lasciare che la sua schiena venga esposta completamente al sole.

Non può non guardare il solco della spina dorsale tra le scapole, la linea netta del suo collo. La sua cicatrice rosata.

Com’è baciare una pelle che sa di sale, piuttosto che di panna?  


to be continued.




Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II. ***


I
Image and video hosting by TinyPic

«

parte II

»

Harry si rigira nel letto, abbandonando l’anello contro il suo petto: sente le guance andargli a fuoco al solo pensiero.

Complicazioni, si ripete mentalmente. Non è pronto a rinunciare al suo voto, questo è certo—Ma non è nemmeno pronto a prendersene completamente atto.

Si massaggia la radice del naso, percependo già i primi raggi di sole brillare timidamente sulle cime degli alberi.

È tutta colpa di Louis, dannazione. Se solo quel cavaliere non avesse—

Non riesce a terminare la frase.

C’è un rumore ovattato e tremendamente forte che si spegne il secondo dopo: Harry aggrotta le sopracciglia e, in un attimo, ha già afferrato i propri stivali e sta uscendo dalla sua baracca.

Appena scosta la tenda di pelli, un raggio di sole aranciato gli colpisce gli occhi, costringendolo a pararseli con le mani: sente altri correre intorno a lui, muoversi velocemente, borbottando.

L’aria fredda gli colpisce il petto nudo, ma lui non se ne preoccupa e cerca di mettere a fuoco ciò che sta succedendo al centro dell’accampamento: c’è un drago.

Un drago marrone chiaro, spinato, dagli occhi rosso sangue; è completamente immobile, ad ali conserte, mentre osserva le Sentinelle accorrere intorno a lui.

Davanti, un uomo.

Harry ha bisogno di un altro paio di secondi prima di riuscire a metterlo completamente a fuoco: indossa sul petto un’armatura di bronzo.

Ha guanti di cuoio sulle mani, e tiene saldamente un rotolo di pergamena su cui—C’è il marchio Styles.

Harry spalanca gli occhi, preso alla sprovvista: suo padre ha mandato un messaggero? Per quale motivo avrebbe mai dovuto farlo?

Decide di unirsi alla piccola folla di Sentinelle riunitesi a qualche metro di distanza dall’uomo, che pare osservare tutti con una glaciale professionalità.

Quando i borbottii sono cessati, quello si schiarisce la voce in un verso rauco.

“Chi è?” domanda solo allora Harry, a chiunque ci sia al suo fianco. (Non che abbia controllato, è troppo impegnato ad osservare la strana scena presentatagli davanti.)

“Simon Cowell” gli risponde in un sussurro—Luke? Sì, è decisamente Luke. “Come—” borbotta poi, lanciandogli un’occhiata bieca: “Come fai a non conoscerlo? È uno dei maggiori generali dei nostri eserciti—praticamente passa tre quarti del suo tempo con tuo padre per decidere le sorti della guerra.”

Harry corruga la fronte: non si ricorda di aver mai visto quel viso, in giro per il palazzo.

Ma c’è una grandissima possibilità che l’abbia effettivamente visto e poi dimenticato: troppi cavalieri e generali girano per casa sua per poterli memorizzare tutti.

Il generale—Cowell—lancia uno sguardo intorno a sé.

“Vengo da parte di sua Maestà il Re—” annuncia con voce ferma e mascella contratta; il suo tono possente riecheggia per qualche secondo.

“—In vista degli ultimi fatti avvenuti sulla Barriera a Nord del regno, mi trovo qui oggi per chiamare alcuni di voi a compiere il vostro mestiere e seguirmi in prima linea.”

Harry sente il proprio cuore perdere un battito; è quello di cui parlava Niall, è quello che ha reso ogni secondo passato in questo accampamento un inferno.

No, non si sta preoccupando per se stesso—è ancora troppo inesperto perché possano mandarlo a lottare—ma...

Si guarda intorno.

Per gli altri. È preoccupato per gli altri.

I loro volti sono contratti, ansiosi, ma non lasciano trasparire segni di paura.

Il generale Cowell srotola lentamente la pergamena, rompendo il sigillo della casata: contro luce, è possibile scorgere delle ombre d’inchiostro sulla carta.

“Sentinelle dell’Ovest; Ashton Irwin, Stan Lucas, Calum Hood e—” Si ferma un secondo, alzando gli occhi dalla pergamena.

“—Louis Tomlinson. Vi aspetteremo alla Barriera domani all’alba.” L’uomo chiude il pugno della mano destra e, con il gomito stretto al fianco, se lo batte sul cuore come il saluto che è d’uso del loro regno.

I ragazzi dell’accampamento lo imitano e rimangono rigidi nelle loro posizioni fin quando Cowell non rimonta sul proprio drago e, con enormi battiti d’ali che fanno vibrare la terra, sparisce oltre le nubi grigie.

Harry si sente confuso, sul fondo di un lago mentre cerca disperatamente di vedere il sole.

Si fa spazio tra gli altri, quasi sgomitando, finché non riesce a scorgere la figura di Louis in piedi, a fissare il punto nel quale qualche secondo fa c’era Cowell e il suo drago.

Il suo volto è inespressivo.

Qualcuno, da dietro, gli urla di andare a prepararsi perché il viaggio verso la Barriera dall’altra parte del regno è lungo e dovranno mettersi in marcia subito, coi loro draghi, se vogliono arrivare in tempo.

(Probabilmente lo sta urlando Stan, già corso a recuperare la fodera della propria spada.)

“Harry” sussurra Louis sorpreso, una volta che quello gli si è avvicinando sufficientemente.

Il ragazzo dagli occhi verdi non ha intenzioni di perdere tempo in convenevoli.

“Cosa vuol dire?” domanda, urgentemente, guardandolo.

Louis aggrotta un sopracciglio: “Come, scusa?”

“Cosa vuol dire che dovrai andare alla Barriera? Dovrai combattere? Dovrai—” Non sa cosa dire; non riesce a formulare una frase completa senza immaginare Louis trucidato dai Barbari, morto, sulla neve.

Il pensiero lo fa rabbrividire fino a fargli salire la nausea.

“Credo che mi metteranno a capo di un dipartimento sulla frontiera.”

“Non puoi andare” ringhia Harry; è costretto a stringere i pugni fino a diventare le nocche biancastre per tenere a freno la voglia di afferrargli le spalle e scuoterlo, svegliarlo, fargli capire che è follia pura.

“È tutta la vita che mi preparo per questo momento, Harry.” Non c’è rabbia nella sua voce, solo una rigida consapevolezza.

Harry lo odia.

Lo odia come non ha mai fatto nella sua vita; come—come può dire una cosa del genere?!

Lui non è una bestia mandata al macello, non è stato addestrato tutta la vita per andare a morire.

“Non sei stato preparato per andare a morire” sibila allora fissandolo con gli occhi socchiusi.

Louis rimane un attimo in silenzio. “Infatti sono stato preparato per vincere.”

I suoi occhi azzurri si sono fatti più taglienti mentre fissa Harry; c’è così tanta determinazione, lì dentro, da fare paura.

Louis vuole vendicarsi.

Il pensiero colpisce Harry come un lampo a ciel sereno.

Louis vuole vendicarsi per tutto ciò che i Barbari gli hanno fatto.

Per la cicatrice. Per la sua famiglia.

Harry rimane immobile, la mascella contratta: la rabbia che prova dentro di sé è a malapena contenibile.

Non vuole che Louis se ne vada, non vuole che vada a morire.

Ma il cavaliere s’è già voltato e sta seguendo Calum.

§

Il suo addestramento va avanti con il resto delle Sentinelle.

Per settimane, mesi interi, non riesce ad avere più notizie da parte di Louis o dei suoi dipartimenti sulla Barriera: l’unico contatto con il mondo esterno che ha sono le continue lettere di Gemma e i messaggeri che riportano i fatti che accadono a Nord.

Harry ha smesso addirittura di sperarci; preferisce impiegare il proprio tempo a concentrarsi sull’allenamento piuttosto che preoccuparsi del regno, di Louis.

Non riesce nemmeno a pensare il suo nome che immediatamente percepisce il proprio stomaco contorcesi in una morsa dolorosa; non ne capisce nemmeno il motivo.

Ma—ha altro su cui concentrarsi.

L’addestramento ha il ritmo di sempre, ma questa volta Harry svolge i propri compiti in maniera più rigida e attenta, e la sera non è così stanco come lo era una volta; la mattina scende dal letto ancora prima dell’alba e si va a lavare nella fonte più in cima alla montagna.

Dopo settimane passate ad allenarsi ora, quando si specchia sulla superficie del ruscello, a malapena riesce a riconoscersi.

Ha abbandonato da tempo le forme ancora paffute della sua adolescenza, lasciando spazio a degli zigomi affilati e ricoperti di macchie violacee per le troppe cadute, i suoi capelli sono cresciuti insieme alle sopracciglia che ora gli conferiscono un’aria eccessivamente seria.

Il suo petto s’è ampliato, le sue spalle si sono definite: le braccia sottili si sono gonfiate, lasciando spazio a bicipiti formati a causa di continui dolorosi sollevamenti.

Le sue gambe sono più lunghe, la schiena più larga.

Centinaia di piccole cicatrici e segni sbiaditi di tagli gli impreziosiscono il corpo, rendendo la sua pelle più ruvida e spessa.

Mentre si toglie la casacca e si sciacqua nella corrente fredda, il suo riflesso rimanda un’immagine di sé a cui Harry non è abituato; non è abituato a quella mascella così definita o al suo collo decisamente più lungo e le sue spalle più larghe.

C’è qualcosa persino nel suo sguardo—qualcosa che è cambiato: sarà che ora sembra addirittura più scuro, attento.

Uno sguardo che osserva attentamente quando è il momento giusto per scoccare la freccia e centrare perfettamente la preda che Zayn gli ha ordinato di cacciare; un tipo di sguardo abituato a rimanere immobile nella stessa posizione, nell’erba alta, per ore di fila, aspettando il momento giusto per agire.

Il suo allenamento, giorno dopo giorno dopo giorno, continua.

Niall gli insegna a guidare un drago, Liam a combattere con la spada; Harry ora riesce addirittura a vincere, quando si scontrano corpo a corpo.

Riesce ad avere abbastanza forza per afferrarlo di peso dal bacino e gettarlo a terra e bloccarlo, assestandogli le nocche contro la mascella ricoperta da un sottile strato di barba; Liam generalmente riesce a rialzarsi, ma ci sono giorni in cui la presa di Harry è talmente stretta e dolorosa, che proprio non ce la fa.

Allora il ragazzo dagli occhi verdi gli sorride—sputando via un altro grumo di sangue—e gli tende una mano per aiutarlo a tirarsi su.

Un giorno, addirittura, Luke lo porta con sé durante un giro di ricognizione: gli fa vedere le grotte dove si nascondono solitamente i Barbari, i boschi più a Sud—ora quasi completamente ricoperti di neve candida.

Durante le cene, tutti continuano a complimentarsi per i progressi che lui sta facendo; Harry li ringrazia con un cenno del capo e continua a mangiare in silenzio, stringendosi intorno al fuoco per cercare di allontanare il freddo invernale che gli attanaglia le ossa.

Il giorno passa, su questo non c’è dubbio; passa piuttosto velocemente.

È sempre la notte a causargli dei problemi.

È sempre la notte a tenerlo sveglio, con gli occhi sbarrati nel buio, mentre si chiede quante persone stiano morendo, proprio in quell’istante, trafitte da una spada.

E, proprio quando—dopo ore—riesce a cadere in un agognato dormiveglia, allora gli sembra di udire il suono delle lame che sbattono sugli scudi, delle urla; gli sembra di sentire l’odore del sangue.

Si sveglia di soprassalto. Si guarda intorno: non c’è niente. Non c’è Louis.

Allora si rimette sdraiato e si porta due dita alle labbra, accarezzandosele; se si concentra, riesce ancora a ricordare la sensazione delle loro bocche che si sfioravano.

§

Niall e Zayn lo portano con sé durante uno dei loro giri di ricognizione, una mattina, quando smette di nevicare; Harry sale in groppa a Neevae solo perché sembra tremendamente più sicuro, rispetto a Huton e alle sue ali corte e goffe.

È completamente diverso rispetto a cavalcare Masha o Urich—Neevae è così sottile.

Deve tenersi disperatamente aggrappato alle spalle di Zayn e stringere le cosce fino a quando quelle stesse non gli fanno tremendamente male, pur di non cadere.

La mancanza completa di ali e la lunga coda che continua ad ondeggiare paurosamente rendono il viaggio decisamente scomodo. E pauroso.

Nonostante tutto, crede che avrebbe fatto meglio a montare su Huton.

Volano fino alle Montagne Rocciose, dove poi atterrano; quando Harry scende dal drago, le sue gambe protestano per il dolore.

Zayn, dietro di lui, scende in un movimento elegante e si stringe dentro le vesti scure e pesanti; sulla sua schiena, incrociate, ci sono due spade foderate ed uno scudo pende dalla sua spalla.

(Il modo in cui lo porta addosso suggerisce che pesi poco o niente, ma. Harry lo sa: ci vogliono settimane e settimane di allenamento per portarselo dietro senza che il suo peso ti travolga.)

Huton atterra poco lontano da loro, tra i sassi, con un capitombolo; Niall salta giù appena un tempo, ridacchiando ed accarezzando il muso giallo dell’animale.

“Come mai ci siamo fermati?” domanda solo allora Harry.

Zayn lancia un’occhiata all’altro cavaliere, poi si passa una mano tra i capelli corvini:

“Michael, Will e Greg ieri hanno fatto il loro giro da queste parti e hanno trovato un Barbaro solitario che tentava di sorpassare il confine.”

Con un movimento netto e pulito, afferra entrambe le spade dietro la sua schiena; un sibilo metallico riempie l’aria.

Ne lancia una Harry e lui l’afferra al volo, senza esitare.

“Quindi?”

“È dentro quella grotta.” La figura di Niall sbuca dietro a quella di Zayn e il suo dito alzato in aria punta ad una rientranza nella roccia nuda.

Harry si volta, osservando l’oscurità in cui è immersa la grotta; è costretto a socchiudere gli occhi perché un’improvvisa folata di vento ha alzato una nuvola di terra.

“Cosa volete che faccia?”

“È una delle ultime prove di una recluta” gli dice Zayn, passandogli lo scudo: “Sconfiggere un nemico.”

Harry lo afferra. “E con sconfiggere intendete—?”

Uccidere.” Niall lo guarda: “Credi di poterlo fare? Credi di riuscire ad uccidere senza esitare?”

Harry è quasi spaventato dalla rapidità e dalla profonda convinzione della sua risposta: “Sì.”

Non c’è tentennamento né dubbio; Niall e Zayn annuiscono, quasi all’unisono.

“Noi staremo lì dietro—” lo avvisa poi il cavaliere corvino, indicando un masso particolarmente grande, qualche decina di metri più in là:

“—Se vediamo che le cose cominciano a mettersi male, veniamo ad aiutarti, chiaro?” Fa roteare l’altra spada in aria; Harry annuisce.

Entrambi fanno per rimontare sul proprio drago e volare poco lontano, quando improvvisamente Huton emette un basso gorgheggio spaventato; allunga il collo e comincia a sbatacchiare le ali tozze, emettendo piccoli versi striduli.

Niall gli accarezza le squame sulla fronte per farlo calmare: “Ha fiutato l’odore del nemico.”

Qualche secondo dopo Harry è solo, in mezzo a sassi e neve sporca; afferra più saldamente l’elsa della propria spada e prende un profondo respiro, esalando.

Una nuvola di condensa esce dalle sue labbra, oscurandogli per un secondo la vista.

Anche da quella distanza è in grado di percepire gli occhi degli altri cavalieri, osservarlo.

Cammina piano, i sassolini sotto le sue scarpe scricchiolano passo dopo passo; entra nella grotta che sembra più che altro un enorme squarcio scuro sul fianco della montagna, scuro come la pece.

Appena supera la frastagliata entrata, il silenzio pare avvolgerlo: ora i suoi passi sono diventati un eco che continua a rimbalzare sulla roccia.

La luce è flebile, ma sufficiente perché riesca a vedere dove sta mettendo i piedi.

Gli sembra di camminare per minuti interi, lì dentro, nel silenzio completo: più volte si ferma per controllare che non ci sia nessuno nascosto dietro ai massi o alle piccole stalagmiti, ma tutto sembra completamente immobile.

Abbassa l’arma; forse Michael s’è sbagliato. Forse il Barbaro è già scappato via, durante la nott—

Un grido.

Un grido agghiacciante proviene da un punto indefinito sopra la sua testa.

Harry alza il mento di scatto, stringendo la spada, e riesce a vedere una figura gettarsi sopra di lui con ferocia, tenendo stretto tra le mani un pugnare che risplende alla luce soffusa della grotta.

Delle braccia ruvide e viscide gli stringono il collo, delle ginocchia ossute e bitorzolute gli circondano i fianchi, stringendolo.

Gli manca l’aria: annaspa, cercando disperatamente di scuotersi via di dosso quell’essere mostruoso che continua ad alitargli sul collo.

Vede il pugnale brillare davanti a sé: riesce giusto in tempo ad afferrare il polso della creatura ed arrestare l’affondo, prima di gettarsi rudemente contro una parete della grotta, schiacciando il Barbaro.

Quello emette un verso agonizzante, lasciando andare la presa stritolante contro il corpo dell’altro; Harry si volta, respirando pesantemente per riprendere fiato.

Non si concede più di pochi secondi per osservare il suo avversario e per realizzare—più che colpito che impaurito—che, effettivamente, i Barbari sono uguali alle leggende che ha sempre sentito raccontare a palazzo.

Creature dalla pelle pallida, screpolata e ruvida, con una bocca famelica e squadrata incorniciata da un paio di labbra grigiastre, e riempita da appuntiti denti sbeccati; gli occhi sono piccoli, completamente neri, il muso schiacciato e piegato in una smorfia perenne.

Le loro armature sono nere come il carbone, ricoperte di cinghie e fodere di cuoio scuro.

Harry rialza lo sguardo, puntando la cima della sua spada contro di lui; tiene ben alto lo scudo davanti al petto, reggendolo con l’avambraccio piegato.

Carica, ma l’altro è più veloce.

Salta via all’ultimo secondo, ponendosi alle spalle di Harry e alzando nuovamente il pugnale, emettendo un rauco verso: il ragazzo riesce a scorgerne il riflesso nell’interno del proprio scudo e schiva la lama, voltandosi su un fianco con un movimento di gambe.

I piedi, per riuscire nuovamente ad ancorarsi al suolo, compiono una strisciata che fa alzare della polvere dal terreno.

Harry non ci bada.

Costringendosi ad ignorare la spalla che comincia a dare i primi segni di spossatezza a causa dello scudo pesante, stringe i denti e ruota la spada in aria emettendo un sibilo acuto.

Carica contro il Barbaro, ma quello para col suo pugnale; il ragazzo ritira la spada e affonda, la ritira e affonda, schivano colpi su colpi.

Riesce a fare indietreggiare la creatura fino a metterla contro le spalle al muro: i suoi occhietti scuri brillano nell’oscurità completa.

L’ha a portata di mano.

Il cuore gli batte forte nelle tempie, e il sangue corre veloce dentro il suo corpo, come un mare in subbuglio.

Allontana appena la spada e si concede un unico, glorioso momento per sentire la sete di vittoria inebriargli la mente—La lama affonda.

Affonda nella carne morbida del collo del Barbaro, proprio tra la clavicola e la spalla; affonda con una facilità estrema, lasciando uscire fiotti di sangue scuro e denso che gli vanno a macchiare il volto.

Lo sguardo del suo avversario è una maschera di pura rabbia e paura, i suoi occhi sbattono ancora una, due, tre volte prima che la testa gli ricada inerme sul petto e il suo corpo cominci a scivolare lentamente contro la parete, fino ad accasciarsi al suolo.

Una scia di sangue viene lasciata sulla roccia alle sue spalle.

Harry non toglie la spada dalla carne dell’altro per ancora qualche secondo: si limita ad osservarlo, l’adrenalina che scorre nelle sue vene e lo inebria.

Quando sfila la lama, altro sangue esce e sporca la terra.

“Harry?” La voce di Niall gli arriva riecheggiando dall’entrata della grotta; “Tutto bene?”

Mai sentito meglio.

“Sì, è—” si asciuga una goccia di sudore dalla fronte con il dorso della mano: “—morto. L’ho ucciso.”

L’ho fatto davvero—ha appena ucciso un essere vivente e non ha esitato nemmeno un secondo.

Nemmeno un attimo la sua mano ha tremato, nemmeno quando la lama ha cominciato a squarciargli la pelle.

Gli sembra quasi che la voce di suo padre riecheggi in quella grotta, insieme ai passi di Niall e Zayn che si stanno avvicinando.

«Tu sei uno Styles. La sete di vittoria scorre nel tuo sangue—Tu hai sangue di guerriero, nelle vene. Non importa per quanto tempo rinnegherai il tuo destino; tu sei nato per combattere, uccidere e vincere.»

Non riesce a staccare gli occhi dal corpo esangue del suo nemico.

Percepisce Zayn, al suo fianco. “Tutto bene, sicuro?” gli domanda, guardandolo.

Harry annuisce lentamente; una profonda consapevolezza gli attanaglia lo stomaco, rallenta l’adrenalina nel sangue, costringe la sua mente a tornare lucida.

Vorrebbe farlo ancora.

Ucciderebbe ancora.

Harry alza lo sguardo verso i due compagni.

Suo padre aveva ragione.

§

Greg getta una catasta di rami secchi contro la fiancata di una branda; Harry si morde l’interno di una guancia per riuscire a sopportare l’ultimo sforzo prima di gettare anche la sua, di catasta, lì accanto.

Sbuffa, raddrizzandosi con la schiena: osserva per un attimo la punta dei propri stivali imbottiti ricoperta di neve grigiastra; alza lo sguardo, voltandosi.

“Ehi, Nì!” urla al ragazzo dall’altra parte dell’accampamento: “Io e Greg dobbiamo andare a prendere altra legna o questa era l’ultima?”

Il cavaliere biondo lancia un’occhiata ai rami. “Così dovrebbe bastare per questa notte!” gli grida in risposta.

Harry gli fa un segno d’assenso con il capo e si scrolla altra neve intrappolata tra le ciglia.

“Sto cominciando ad odiare l’inverno” borbotta, passandosi una mano tra i capelli ora molto più lunghi.

Greg annuisce, stringendosi di più nei suoi vestiti pesanti: “Immagina come sarà al Nord, in questo periodo.”

“Immagino come sarà alla Barriera.”

Il compagno gli lancia un’occhiata, prima di dargli una pacca sulla spalla: “Se la caveranno, tranquillo.”

Una parte di Harry vorrebbe tanto credere alle sue parole; vorrebbe non dover prestare attenzione alle lettere di Gemma—sempre più rare a causa della stagione burrascosa—che lo informano delle ultime vicende della guerra, di come i loro eserciti abbiano finalmente cominciato ad avanzare in territorio nemico.

Di suo padre che è partito per combattere e gli dèi solo sanno quanto potrà resistere.

Harry si costringe a scuotere la testa ed a non pensarci; la notte sta ormai arrivando ed oggi è il suo turno di mantenere il falò acceso fino all’alba, in modo da scaldare i draghi e non lasciarli morire di freddo.

Lascia Greg per andare a riposarsi un paio d’ore, prima che il sole cali.

Le riconosce tutte, le costellazioni.

Harry si stringe più vicino al grande falò, ravvivandolo con dei rami secchi; percepisce il respiro del drago di Michael scaldargli parte del corpo, mentre quello cerca di accoccolarsi meglio contro Huton, intrecciando i rispettivi lunghissimi colli.

Li guarda, uno per uno: draghi di forme, colori e dimensioni diversissime dormono accanto al fuoco, pelle contro pelle per riscaldarsi; si avvolgono nelle loro immense ali e cercando di mantenere il proprio sangue caldo, per non morire a causa dell’inverno.

Harry vede le ombre proiettate dal fuoco allungarsi per metri e metri, sotto di loro.

Il cielo è talmente buio da lasciare vedere chiaramente ogni stella ed ogni costellazione.

Le riconosce tutte; Louis gliel’ha insegnate una notte d’autunno, qualche mese prima: gli ha indicato ogni stella, il suo nome, e a che costellazione appartenesse.

Harry le guarda, col naso al cielo e le mani tese al fuoco scoppiettante.

Respira la brezza gelida e, quando fa per espirare—la vede.

È una macchia che per un secondo oscura la luce della luna per poi scomparire via, veloce com’è apparsa: Harry si alza, strizzando gli occhi per riuscire a mettere a fuoco l’oggetto che vorticosamente sta cadendo in picchiata verso l’accampamento.

Sfila dalla fodera alla cintola la spada e lascia ricadere il cappuccio che gli copriva la fronte, sulle spalle; spalanca leggermente le gambe e si prepara ad un eventuale scontro.

La macchiolina scura continua a farsi ogni secondo più vicina, ingrandendosi ed oscurando ogni secondo la luce brillante delle stelle.

Harry asspetta, in attesa, coi muscoli tesi e pronti a scattare.

Quando ormai mancano poche decine di metri prima che quella cosa si schianti letteralmente al suolo—due enormi ali di cuoio si spalancano, arrestando la caduta finale ed adagiandosi lentamente al suolo, pochi più in là rispetto all’accampamento.

Harry non riesce a muoversi, un solo nome urla dentro la sua testa ed è abbastanza potente da gelargli il sangue nelle gambe.

Masha.

Quelle ali—sono di Masha.

Ne è sicuro.

Riconoscerebbe gli artigli appuntiti e la forma squadrata anche a miglia di distanza; la consapevolezza gli stringe lo stomaco in una morsa.

Masha, non vedeva quel drago da... Mesi. Mesi interi.

E—e se c’è Masha, allora c’è anche—

Harry spalanca gli occhi, il sangue comincia a circolargli nuovamente dentro il corpo ad una velocità tale che gli fa quasi male; il cuore gli martella all’interno del petto e il freddo sparisce improvvisamente, lasciando posto ad un’agitazione ed un’eccitazione tale da farlo cominciare a sudare.

Abbandona la spada a terra, cominciando a correre più veloce che può.

Louis!”

È un grido che gli si sprigiona in gola più forte di quanto non vorrebbe e riecheggia tra gli alberi spogli; a forza di correre tra la neve rischia di scivolare più di una volta, ma non gli importa.

“Louis!” urla ancora, più forte che può, mentre continua ad avvicinarsi alla sagoma ansante del Masha.

Si ferma di scatto, solo per un secondo, il tempo sufficiente per osservare il corpo del drago completamente ferito, martoriato, bagnato.

Molte scaglie sono state strappate via, lasciando spazio a ferite dentro la carne; ferite che sanguinano e pulsano.

Gli occhi di Masha sono chiusi, le fauci semi aperte in un respiro affannato e dolorante. Il suo corpo è attorcigliato su se stesso in una posa innaturale e visibilmente dolorosa; tra le zampe—

Il sangue di Harry si raggela per un attimo, prima di cominciare a scorrere più velocemente che mai.

“Louis, Louis, Louis.” Accorre, s’avvicina, districando gli artigli di Masha uno ad uno dal corpo del cavaliere dagli occhi azzurri.

La sua pelle è gelida come la neve, i suoi vestiti e i suoi capelli completamente bagnati: tiene gli occhi chiusi e le labbra sembrano quasi diventategli viola.

Harry gli scuote il volto, lo schiaffeggia, cerca di farlo svegliare. Niente.

Non respira—è il primo pensiero che gli salta alla mente, quando posa una mano davanti alla sua bocca violacea.

“Resisti, resisti, ti prego.”

È una preghiera stretta tra i denti, sussurrata al vento, mentre afferra il suo corpo e se lo carica in spalla, ritornando più velocemente possibile all’accampamento.

Resisti, Louis.

Stringe gli occhi e si costringe a non lasciare—per almeno questa volta—che le emozioni abbiano la meglio su di lui; deve mantenersi lucido, agire. Non lascerà che Louis lo abbandoni.

Resisti, ti prego.

“Michael!” grida, quando raggiunge le brande.

Parte delle Sentinelle sono già in piedi, con le rispettive torce in mano: forse il rumore di Masha che cadeva al suolo deve avergli svegliati.

Si voltano tutti verso di lui, quando lo vedono arrivare.

Nei loro volti si legge confusione, domandandosi che cosa Harry stia tenendo in mano.

Poi, più si avvicina, più le loro espressioni si sgranano, impallidiscono, le loro mascelle si spalancano: gli corrono incontro, aiutandolo a trasportare il corpo di Louis fino ad un tavolo improvvisato.

Nessuno fa domande; per ora la priorità e badare a Louis.

Michael è l’unico a toccare quel corpo di ghiaccio, una volta posatolo sulla lastra di legno grezzo: Harry, lì accanto, non riesce a staccarne gli occhi di dosso.

“Cosa è successo?” gli domanda Liam, occhi sgranati dal terrore, lì accanto.

“Io—” Harry deglutisce a vuoto, cercando di rimettere in ordine le idee: “—Non lo so. Masha l’ha portato qui—Qualcuno deve badare a lei, s-sta morendo.”

“Dove si trova?”

“Appena fuori dall’accampamento.”

Liam annuisce e si trascina dietro anche Zayn, Greg e Luke, correndo verso il punto indicatoli.

Harry li vede scomparire lontano, nella notte, poi torna con lo sguardo su Louis.

La paura gli divora le ossa, gli stringe la gola fino a rendergli difficile respirare.

“Perché non respira?” domanda a Michael, urgentemente, come se si aspettasse che lui risolvesse ogni problema, con la sua medicina.

Il compagno non gli risponde e continua a far vagare le dita da una parte all’altra della pelle bluastra di Louis, premendo e tastando ovunque.

Il silenzio è tale da riuscire a sentire i battiti accelerati del proprio cuore.

Dopo un tempo che pare infinito, tenuto sulle spine fino alla nausea, Michael sussurra un: “È vivo.”

Harry si lascia esalare un respiro che non sapeva di aver trattenuto.

“È in ipotermia—” continua il cavaliere, rivolgendosi ai compagni intorno: “—deve essere caduto nell’acqua ghiacciata o qualcosa del genere” fa una pausa: “È troppo debole.”

“Cosa facciamo?” domanda qualcuno, poco più in là.

Michael tira fuori il proprio pugnale dalla cintola dei pantaloni; con un gesto secco taglia la casacca bagnata di Louis e gliela strappa lontano; il suo petto è così pallido da sembrare un fantasma.

“Dobbiamo riscaldarlo—dargli dei vestiti asciutti. Farlo riposare nella sua branda.”

“Sto io con lui.” La voce di Harry è ferma quando lo dice, attirando su di sé lo sguardo di Michael.

“Sicuro?” domanda: “Non hai dormito per tutta la notte e—”

Harry lo guarda intensamente. “Sto io con lui” ribadisce, scandendo le parole.

Michael annuisce: “Va bene. Assicurati che stia al caldo e che continui a respirare regolarmente.”

“Quando si riprenderà?”

“Non dipende da noi.”

Le Sentinelle rimangono in silenzio.

Trasportano il corpo di Louis dentro la sua vecchia branda, assicurandosi di accendere abbastanza ceri e candele da rendere l’ambiente sufficientemente caldo.

Harry lancia occhiate dubbiose ai vestiti pesanti con i quali hanno ricoperto Louis; non è sicuro che saranno sufficienti per tenerlo al caldo.

È inverno, dannazione.

Nemmeno tutte le coperte di pelliccia e i vestiti del mondo potranno mai dargli il calore di cui necessita; Harry si siede in fondo alla brada, su uno sgabello, osservandolo.

Sembra così diverso, dopo tutto quel tempo passato senza poterlo guardare: la sua barba è più lunga, tanto che pare coprirgli completamente il mento e le gote.

Sembra addirittura dimagrito, lasciando posto a muscoli ancora più definiti: le sue spalle paiono più larghe, la linea del collo più netta.

Il suo corpo trema, trema in maniera tanto violenta da fare quasi paura: trema per cercare di scaldarsi, inconsciamente.

Harry si morde il labbro inferiore; non può lasciarlo così.

Non può passare tutta la notte ad osservare Louis scosso da fremiti, mentre la sua pelle diventa più blu e i suoi occhi continuano a non aprirsi.

Non è abbastanza caldo, dannazione!

Scalcia una sedia con rabbia, e il movimento fa ondeggiare pericolosamente le fiamme delle lucerne intorno a loro, proiettando ombre sulle pareti.

Non può lasciare Louis così: non passerà la notte a guardarlo morire.

Prende un profondo respiro, cominciando a slacciarsi i lacci di cuoio della casacca pesante fin quando non rimane completamente a petto nudo. Rabbrividisce appena.

Appoggia l’indumento sullo sgabello e si toglie gli stivali ricoperti di neve, avvicinandosi al letto di Louis; si concede un secondo per osservarlo, poi alza il lembo di una coperta e si sistema accanto a lui, sfilandogli lentamente la maglia di lana pesante.

Gliel’ha insegnato Gemma, quand’era piccolo.

Sistema Louis su un fianco, coprendolo poi attentamente con delle coperte: la sua schiena pallida pare brillare come la luna, sotto la luce delle candele e la cicatrice sembra una scia di stelle luminose.

Si sdraia anche lui, sistemando il suo petto contro la sua schiena: immediatamente, il freddo che emana Louis sembra contagiarlo come un morbo doloroso, tanto che è costretto a stringere i denti per scacciare l’istinto d’allontanarsi.

Quando si abitua alla sensazione, stringe accuratamente le braccia intorno al busto dell’altro, spingendoselo contro. Intreccia le gambe con le sue.

Gliel’ha insegnato Gemma— il calore umano è uno dei fuochi più caldi della terra.

Affonda il naso tra i capelli—leggermente più lunghi di quanto si ricordasse—di Louis, mentre cerca di cedergli tutto il calore del suo corpo.

Petto contro schiena, Harry riesce a percepire molto molto piano il battito del cuore del cavaliere; veloce e silenzioso, mentre cerca con tutte le sue forze di non fermarsi e mantenersi in vita. Sembra un uccellino in gabbia che muove freneticamente le ali.

Harry aumenta la presa, incastrando il mento nell’incavo del collo di Louis e chiudendo gli occhi; deve dormire.

In gesto involontario, posa le labbra sulla sua pelle, sopra la cicatrice.

Sa di sale.

È un rumore improvviso e forte a svegliarlo.

Harry spalanca gli occhi, nell’oscurità completa—deve essere ancora notte.

Per un infinito secondo di puro terrore i ricordi della sera prima gli colpiscono la mente con una forza tale da stordirlo.

La prima reazione è quella di cercare il corpo di Louis, assicurarsi che stia bene, controllare che respiri ancora; è una reazione irragionevole e completamente dettata dall’istinto, considerando il fatto che il rumore che l’ha appena svegliato—l’ha prodotto Louis.

Harry sgrana gli occhi, osservando il ragazzo—ancora tra le sue braccia—tossire forte, fortissimo; percepisce la sua schiena contrarsi ad ogni boccata d’aria, ogni volta che cerca di prendere respiro.

Sono colpi di tosse improvvisi e violenti che lo fanno fremere e rigirarsi tra le coperte.

Harry fa per allentare la presa delle sue braccia strette intorno al corpo dell’altro, per farlo respirare liberamente ma. Non ci riesce.

Una mano gli va a stringere il polso, bloccandoglielo.

“Non allontanarti” la voce di Louis è sospirata, sembra quasi un sussurro: “Ho—ho ancora freddo.”

Harry si ritrova a chiedersi da quanto tempo non sentiva quella voce: da quanto tempo non udiva quella cadenza strascicata dell’Ovest, quel timbro limpido? Troppo, decisamente troppo tempo.

Non si era reso conto di quanto gli fosse mancata.

Rimane un attimo immobile, stordito dalle dita del cavaliere che premono contro la sua pelle, poi annuisce; non è sicuro che Louis possa effettivamente vederlo dato che è ancora sdraiato e gli volta le spalle, ma.

Harry che gli si risistema contro e lo stringe tra le braccia dovrebbe essere una risposta più che sufficiente.

Rimangono immobili, in silenzio, per altri minuti: la pelle del cavaliere contro il suo petto ora non sembra più ghiaccio, il suo cuore ha ricominciato a battere normalmente.

“Ci hanno fatto un agguato, di notte—Hanno preso tutto il mio dipartimento.”

La voce di Louis è talmente flebile che potrebbe essere scambiata per il fischio del vento: non sembra si stia rivolgendo a Harry quanto piuttosto a se stesso, come se cercasse di rimettere in ordine le idee, i pensieri. Per dare loro senso.

Harry rimane in silenzio, ascoltandolo; non vuole chiedergli cosa sia successo, non vuole forzarlo a parlare.

“Li hanno uccisi tutti.” Il cavaliere deglutisce, nella semioscurità degli ultimi ceri accesi: “Li ho visti morire tutti. Anche Cowell è morto. I rinforzi ci hanno messo una vita ad arrivare a causa della tempesta di neve e i Barbari hanno avuto tutto il tempo del mondo per uccidere tutti.”

Prende un respiro. “Tutti” ripete poi.

Il suo corpo è ancora troppo debole; infatti, quando cerca di rigirarsi dentro le braccia di Harry fin quando non si ritrovano faccia a faccia, il suo volto si piega in una smorfia di dolore.

Harry si sente così impacciato, non sa nemmeno dove posare le mani, dove stringere quel corpo martoriato.

Louis lo guarda, gli occhi enormi, stanchi e blu come non li ha mai visti.

“Masha mi ha preso tra le zampe e mi ha portato via. Eravamo—eravamo all’altezza del lago quando—” stringe forte le palpebre, prima di riaprirle.

“Non devi raccontarmelo, se non vuoi” s’affretta a sussurrargli Harry, ad appena qualche centimetro dal suo volto.

Ma l’altro sembra determinato a proseguire: “Eravamo all’altezza del lago quando delle frecce si sono scagliate addosso a Masha—lei ha lasciato la presa. Io—Sono caduto. Sono caduto per metri e metri, capisci? Ho spaccato la superficie ghiacciata del lago e ho cominciato ad affondare. Lentamente.”

Fa una piccola pausa, mordendosi il labbro inferiore; i suoi occhi sono puntati in basso, lontano, come se cercassero di non incrociare quelli di Harry.

“—Così lentamente da sembrare una tortura; ogni metro che percorrevo sentivo il sangue ghiacciarsi in una parte del corpo diversa. Ho guardato in alto e c’era il riflesso della luna che dondolava sull’acqua. C’era così tanto silenzio—Io. Io riuscivo a sentire solo—me stesso mentre affondavo.”

Alza improvvisamente lo sguardo, incontrando un paio di occhi verdi fissarlo, immobili.

“—Ho pregato gli dèi.” Ridacchia appena, senza umorismo: “Per la prima volta nella mia vita ho pregato, sai? Dovresti essere fiero di me.”

“Cosa—per cosa hai pregato?” tenta l’altro.

Louis prende un profondo respiro prima di rispondere, come se la sensazione dell’acqua che gli ostruiva la gola fossa ancora presente.

“Di morire.” Sputa, velocemente; come una miccia che si accende. Il secondo dopo, è ancora in silenzio.

“—Non ce la facevo più. Ero stanco per aver combattuto, spossato, impaurito e ora—ora stavo affogando. Ho pregato così intensamente di morire che per un attimo ho creduto che stessi urlando, ma—c’era ancora tutto quel silenzio. Roba da perderci la testa, sul serio. Poi Masha mi ha afferrato. Non—non ho idea di come abbia fatto ma mi ha tirato fuori dall’acqua—e ora sono qui.”

Spalanca improvvisamente gli occhi: “Dov’è Masha?” domanda, urgentemente.

Fa per alzarsi ma non ci riesce e ricade nel letto in un tono sordido, gemendo piano di dolore. Il sangue che ricomincia a circolare normalmente dentro il suo corpo deve provocargli fitte di dolore incredibili.

Harry cerca di tranquillizzarlo: “Si stanno occupando di lei, è viva. Non ti preoccupare.”

Il volto del cavaliere si distende. “Dèi, grazie” sussurra a nessuno in particolare.

Questa volta Louis smette per davvero di parlare; stringe le labbra in una linea dura e punta lo sguardo oltre la spalla di Harry, molto più lontano: rimane in silenzio.

I battiti dei loro cuori sono a contatto, petto contro petto: il corpo del cavaliere è ancora freddo, ma molto meno di quanto non lo fosse ore fa.

La sua barba decisamente più lunga gli ricopre le gote e le labbra sottili; i polpastrelli delle dita di Harry sembrano quasi bruciare dalla voglia di accarezzarla, accarezzare tutta la sua pelle e i suoi capelli scuri.

Louis lo guarda, lo squadra, sorridendo: “Per quanto tempo sono stato via?”

Harry si morde l’interno della guancia. “Quasi cinque mesi.”

“Sei cambiato così tanto” gli sussurra, passandogli un indice sulla guancia e lo zigomo ora affilato: “Sei diventato un uomo, ormai.”

Il suo respiro s’infrange contro le labbra di Harry, stordendolo: non è sicuro di poter contenere tutto quello che sta provando in questo momento, non è sicuro di essere in grado di controllarsi.

Louis, che era sparito per giorni e settimane e mesi interi, adesso è davanti a lui, adesso gli sta parlando; sembra così assurdo che gli viene quasi da ridere.

Louis è davanti a lui.

Louis.

Il dito contro la pelle della sua guancia sembra diventato di fuoco, ma è una sensazione piacevole: vorrebbe non smettesse mai.

Le sue labbra sono socchiuse, rosa pallido e Harry non riesce a staccarne gli occhi nemmeno un secondo, si sente un idiota: si ricorda perfettamente dell’espressione con cui l’aveva guardato Louis dopo quella sorta di bacio nella radura.

Benché Harry voglia, voglia con tutta l’anima, baciarlo in questo preciso istante, sa di non poterlo fare; perché gli sta fissando la bocca? È solo un’ulteriore tortura.

Prima che il suo cervello possa definitivamente rendersene conto, la mano di Louis s’è chiusa a coppa a lato del suo viso, delicatamente: lo sta guardando, gli occhi blu socchiusi.

Quando si avvicina, Harry è costretto a trattenere il fiato: non ha idea di cosa stia accadendo.

Non ha idea di cosa Louis abbia intenzione di fare fino all’ultimo, agognato secondo.

Le loro labbra si scontrano.

Sono più delicate e meno goffe della prima volta: quelle di Louis si muovono con dolcezza sopra quelle di Harry, massaggiandole, tastandole come un animale in un nuovo territorio.

Schiocca uno, due, tre, dieci baci sulle labbra socchiuse di Harry, sugli angoli della sua bocca, sulla piccola arcata del labbro superiore; lo bacia, lo accarezza.

La sua mano si muove tra i ricci, tirandoglieli piano, massaggiandoglieli.

La lingua di Louis non trova nessun tipo d’ostacolo quando preme gentilmente per entrare; quando gli accarezza piano il palato, qualcosa, nel cervello di Harry, si sblocca improvvisamente.

Si stanno baciando.

Le sue mani, fino ad adesso immobili, corrono su per il corpo di Louis, toccandolo urgentemente, mentre quello si sdraia con la schiena contro il materasso morbido e si trascina il corpo di Harry sopra di lui, facendolo sistemare a cavalcioni sul suo bacino.

Le pellicce e le coperte scivolano via, ma i loro respiri e le loro pelli sono troppo accaldate per curarsene.

Si baciano, si mordono, le loro lingue di mischiano, si assaggiando.

Le dita, prima timide poi sempre più sicure, cominciano a tastare tutta la pelle che riescono a trovare.

Il petto, le aureole morbide dei capezzoli, la linea netta delle clavicole e della mascella; Harry ridacchia appena, contro le sue labbra, quando percepisce la barba di Louis graffiargli le dita.

Il cavaliere si concede giusto il tempo di sussurrare un: “Domani me la taglio, giuro” prima di riattaccare la sua bocca a quella dell’altro, in un bacio caotico.

Ogni carezza della lingua di Louis corrisponde ad una scossa di brividi nel corpo del ragazzo più piccolo: un’ondata di fuoco che gli vibra nelle vene.

Quando si staccano, minuti interi dopo, non si allontanano più del dovuto dalle rispettive facce: continuano a respirarsi addosso; le mani di Louis sono strette ai fianchi di Harry, mentre quelle di quest’ultimo stanno ancora accarezzando i capelli cioccolato dell’altro.

Cosa è successo?

Scosse di eccitazione prendono possesso del suo corpo.

“Pensavo mi odiassi” sospira, mentre cerca di riprendere fiato; le sue guance saranno diventate sicuramente scarlatte.

Louis lo guarda, scostandogli un riccio dalla fronte; aggrotta le sopracciglia. “Odiarti?”

“Per—per quel bacio che ti ho dato alla radura. Pensavo mi odiassi” deglutisce, la gola improvvisamente secca: “Pensavo fossi disgustato da me.”

Il cavaliere arriccia appena le labbra, prima di lasciargli un bacio leggero sul mento, poi sul collo e sulle clavicole.

Dèi—pensa Harry, mordendosi il labbro inferiore e socchiudendo gli occhi—Fa che non si fermi mai.

“Odiarti?” lo sente sussurrare: “Non ti ho mai odiato Harry. Io ero—” si ferma un attimo, staccandosi per riuscirlo a guardare negli occhi: “—spaventato.”

“Da cosa?”

“Dal—Dal fatto che siamo entrambi guerrieri. Che, uh, potrei dormire una notte con te e il pomeriggio trovarti morto in un campo di battaglia.” Prende un respiro profondo: “Tu sei così giovane, Harry. Non hai idea di che cosa voglia dire aspettare ogni secondo che qualcuno ti mandi a morire.”

“Pensavo che i guerrieri dovessero imparare a controllare la paura.”

“Questa non è paura.”

“E allora cos’è?”

Louis rimane in silenzio, guardandolo; apre la bocca un paio di volte, ma la richiude sempre.

Si passa una mano sul volto, sospirando: “È la voglia di baciarti, di toccarti, di parlarti, di accarezzarti. Di tenerti al sicuro. Non—so cosa sia ma è più forte. Provo qualcosa per te e sento che è più forte della paura.”

Harry lo guarda e non sa cosa dire; tutti i libri, tutte le parole che ha sempre conosciuto sembrano improvvisamente state rimosse dalla sua testa, lasciandolo stordito.

“Da quanto?” si ritrova a domandare.

Louis ridacchia: “Dal banchetto per tua sorella—Quando eri uscito dalla sala pensavo che fosse un invito a seguirti, pensavo—” nasconde il volto dietro una mano: “pensavo che fosse per quel motivo che mi avevi guardato tutta la sera. Poi ho capito che in realtà eri solo un ragazzino irritante e che avevo interpretato male il messaggio.”

Harry scoppia a ridere, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo. “Pensavi che ti stessi invitando a seguirmi in camera?” domanda, ridacchiando e percorrendo con la punta del naso la curva della spalla.

Louis ruota gli occhi al soffitto, massaggiandogli coi pollici i fianchi. “Ci speravo.”

“Dèi, Louis. Sei proprio—” ci pensa un attimo: “carnale.”

Lo sente ridere. “Che avrei dovuto pensare? Tu mi fissavi, arrossivi—Prima di uscire dalla stanza mi hai anche lanciato un’occhiata, che devo aver frainteso.”

Harry posa un bacio soffice sulla sua pelle, proprio sopra la cicatrice: “Ripeto” altro bacio, altro schiocco: “Sei proprio” un altro sulla clavicola: “carnale.”

Si allontana un attimo, giusto quanto basta per guardarlo nelle iridi blu.

“Ho paura che domani mattina mi sveglierò e scoprirò che è tutto un sogno. Che tu sei ancora alla Barriera.”

“Ti sono mancato così tanto?” lo schernisce dolcemente l’altro.

Harry si morde l’interno della guancia, distogliendo lo sguardo; non si era reso conto di quanto tenesse davvero a Louis fino alla mattina in cui era andato.

Fin quando non si era dovuto svegliare ogni giorno e non vederlo più girare per il campo.

“Tutto bene?” domanda poco dopo il cavaliere, guardandolo con le sopracciglia aggrottate.

Il ragazzo dagli occhi verdi annuisce. “Io non—” sospira, allentando i muscoli delle spalle: “C’è una parte di me che ancora non riesce a crederci. Un’altra che è spaventata da tutto questo. Una terza che vorrebbe rimanere a baciarti per sempre—Un’altra, uhm. Un’altra che mi ricorda che un giorno dovrò diventare re e sposare una donna per mandare avanti la dinastia e poi—Poi c’è l’anello che tengo appeso al collo.”

Posa lo sguardo sull’oggetto: piccolo, risplendente e tondo mentre dondola sul suo petto; vorrebbe strapparlo via a morsi, urgentemente, ma c’è una parte di lui che glielo impedisce.

“—Mi sembra di scoppiare” ammette poi.

Louis lo accarezza dolcemente, passandogli le mani sui muscoli della schiena per aiutalo a scioglierli dalla tensione; rimane in silenzio per poco prima di mormorargli contro il padiglione dell’orecchio:

“Sei mai stato con un uomo, Harry?” C’è un pizzico d’insolenza, nel suo timbro.

L’altro deglutisce rumorosamente e fa segno di no con la testa, dimenticandosi un attimo di tutti i suoi problemi e lasciando che il tocco gentile del cavaliere lo distragga.

Si morde il labbro inferiore: “Tu?”

“Oh, sì” ridacchia appena e preme piano il palmo della mano contro il suo fianco, ribaltando le posizioni e aiutandolo a sdraiarsi contro il materasso; Harry esegue tutto come un cucciolo ammaestrato, non staccando nemmeno un secondo gli occhi da quelli di Louis.

Le sue guance sono diventate ancora più scarlatte. “Louis, non so se sono pront—”

L’altro lo azzittisce immediatamente con un’occhiata particolarmente seria: “Harry, non ho intenzione di fare niente che entrambi non vogliamo. Solo—” gli accarezza il basso ventre nudo con l’indice, facendolo rabbrividire: “—rilassati.”

Harry prende un profondo respiro, socchiudendo gli occhi: la voce, il tocco, la presenza di Louis lo stanno mandando fuori di testa.

Lo confondono, lo eccitano.

Quando percepisce delle dita cominciare lentamente a slacciare i lacci di cuoio dei pantaloni, trattiene il respiro e sibila tra i denti.

“È la prima volta?” La voce di Louis è calda e rassicurante, contro la sua pelle increspata e sensibile.

“Sì. No.”

“Sì o no?”

Harry si morde il labbro inferiore a sangue, osservando Louis giocherellare con il bordo dei suoi pantaloni: “Non così.”

“Non con un uomo?”

“Non con—qualcun altro.”

Louis ci mette un secondo a metabolizzare ciò che Harry gli ha appena rivelato e, quando lo fa, si lascia scappare un gemito eccitato e sorpreso.

Gli bacia l’inguine, premendogli un palmo contro la protuberanza tra le gambe; Harry sussulta immediatamente, lasciandosi scappare un gemito strozzato: non si era reso conto di essere già eccitato.

Louis lo sta guardando, con la mano immobile sui suoi pantaloni: “Vuoi che ti tocchi?” domanda, inumidendosi con la lingua il labbro inferiore.

Harry ansima appena perché dèi, non si era assolutamente reso conto di essere così tanto eccitato: percepire la sensazione di una mano diversa dalla sua che lo tocca e l’accarezza è qualcosa di nuovo e—terribilmente piacevole.

“Sì—” emette un verso strozzato: “Per piacere.”

Louis gli massaggia dolcemente la zona interna della coscia. “Prendiamoci il nostro tempo, okay?” Applica sempre maggiore pressione sul membro coperto di Harry: “Se è la tua prima volta con qualcun altro—voglio che sia importante. Uhm, va bene?”

Harry annuisce freneticamente, lasciando che i propri ricci gli ricoprano il volto accaldato: “Va bene, va bene, va bene tutto.”

Socchiude le labbra: “Louiss” sibila o forse sarebbe più corretto dire ansima; Harry sta letteralmenteansimando in veloci e piccoli respiri che fanno arrossire le guance del cavaliere sopra di lui.

Harry lo guarda, gli occhi leggermente lucidi: “Ti prego, ti prego, ti prego. Fa’—qualcosa.”

Louis deglutisce rumorosamente e—sì, anche lui è decisamente eccitato.

Si puntella sulle ginocchia e si sporge quel tanto che basta per raggiungere il volto dell’altro, stampandogli sopra un bacio languido; dopodiché si stacca appena.

“Voglio assicurarmi che tu sia—” si morde al labbro inferiore: “—al limite, prima di cominciare a toccarti. Per te va bene?”

“Uhm.” Harry è troppo preso dalla sensazione ruvida della mano di Louis accarezzargli il ventre, per poter rispondere; la sua pelle sfrega contro la sua, graffiandola appena.

Quando i polpastrelli raggiungono i suoi capezzoli, trattiene un gemito acuto, miagolando. Louis gli sorride, imprimendo una serie di baci lungo la linea della mascella:

Oh, abbiamo trovato un punto sensibile?” domanda in un sussurro contro la sua pelle, mentre stringe il nocciolo duro tra le dita: “È sensibile qui—” lo stringe appena, lasciando che Harry getti il capo indietro e trattenga un nuovo gemito: “—vero?”

C’è un pizzico di maliziosità, nella sua voce; sfrega più velocemente i polpastrelli contro le aureole morbide, mentre le sue labbra continuano a baciare ogni centimetro di pelle, leccarlo, assaporarlo finché non incontrano quegli stessi capezzoli rosati.

Ci posa sopra i denti, tirandoli appena, succhiandoli con un suono ovattato e giocandoci con la lingua: Harry stringe forte la coperta di lana tra le dita, mordendosi il labbro inferiore a sangue per trattenere i gemiti.

Louis gli punta le iridi contro. “Non devi trattenerti, piccolo.”

Piccolo, oh.

Questo è nuovo; è sempre stato “verginello” o “ragazzino” o ancora “principessa”. Harry lo guarda, rigirandosi la parola sulla punta della lingua. Piccolo. Gli piace. Gli piace davvero.

Socchiude le labbra, lasciando finalmente fuoriuscire un gemito rumoroso dovuto ai suoi capezzoli così sensibili e al fatto che il ginocchio dell’altro contini a premere contro il cavallo dei suoi pantaloni, insistentemente.

Sente il ragazzo dagli occhi azzurri ridacchiare. “Piano, piano. Così sveglierai tutti.”

Harry arrossisce, premendosi i palmi delle mani sugli occhi: “Scusa, scusa. Io—So di essere un disastro—è la prima volta che—”

Louis lo azzittisce immediatamente con un bacio sul collo, poi uno sulle labbra lucide: “Non scusarti—sei perfetto” gli sussurra sulla pelle increspata: “È tutto perfetto.”

La sua mano continua a vagare per il petto liscio dell’altro, torturandolo in lente e dolci carezze e leggere pressioni nei punti in assoluto più sensibili: Harry è costretto a trattenere il fiato e pigolare affannato, in un evidente richiesta d’attenzione.

“Louis, ti prego.” È sicuro di essere arrivato al limite di sopportazione; ne è maledettamente sicuro.

Stringe i capelli del cavaliere tra le dita, tirandoli appena per riuscire a guardarlo negli occhi.

Anche se non riesce a vederle, è sicuro che le proprie guance siano rosse come fuoco; in parte per l’eccitazione, in parte per l’imbarazzo.

Dèi,” sospira Louis contro la sua pelle leggermente sudata: “sei al limite, vero?”

Harry annuisce, quasi al margine del piagnisteo, e si morde il labbro inferiore.

Il ragazzo dagli occhi azzurri si concede giusto un secondo per osservare ogni sfumatura di quel volto contorto dal bisogno, prima di sistemarsi meglio tra le sue gambe e tirare giù i pantaloni dell’altro, spingendoli via in un angolo della propria branda.

Posa un altro bacio sul ventre di Harry, poi accarezza piano il suo membro rosso e ricurvo, prima di circondarlo completamente con un palmo.

Harry alza il bacino di scatto, sibilando e gemendo per l’improvviso contatto; percepisce il proprio battito accelerare.

“Ti piace, piccolo?” Louis comincia a pompare piano con la mano, dalla base all’altezza, con movimenti lenti ed agognanti.

“Sì, sì—” La voce di Harry è un sospiro inaudibile, mentre getta il capo all’indietro e si lascia in balia di quella mano esperta.

“—O, dèi, Louis. Nght, Io—uhm.” Non riesce a pensare lucidamente, non è in grado di pronunciare altro se non suoni sconnessi che fuoriescono autonomamente dalle sue labbra martoriate dai morsi.

Non riesce nemmeno a vedere chiaramente perché le sue pupille sono allargate, gli occhi lucidi per l’eccitazione; sente il proprio corpo tremare dalla tensione e dal piacere.

La mano di Louis è troppo lenta per essere un ritmo sufficientemente soddisfacente, sembra quasi ci stia giocando, come se volesse torturarlo dolcemente.

Emette un lamento affannato: “Più—veloce. T-ti prego.”

In risposta, sente l’altro ridacchiare piano, con il respiro pesante. “Piano, piccolo. Va bene anche se andiamo lenti—senza forzare niente, okay?”

Harry vorrebbe rispondere, dire qualsiasi cosa, ma semplicemente non riesce a mettere in fila più di due parole senza che vengano interrotte da una sessione di gemiti e brividi.

Chiude le mani a coppa intorno al volto dell’altro e se lo trascina contro, baciandolo a labbra aperte; i loro bacini si scontrano appena e Louis trattiene un gemito tra le labbra.

“Ti dispiace—” la sua voce è improvvisamente roca: “—se adesso continui da solo, uh? Vorrei—vorrei guardarti.”

Harry arriccia le labbra e no, no, ti prego non togliere quella mano, ti prego ma Louis l’ha già fatto, lasciando il membro dell’altro ancora insoddisfatto e più rosso e sensibile che mai.

Emette un verso contrariato che si spegne in un gemito appena osserva la mano di Louis—quella che fino a poco prima stava stringendo la sua lunghezza—insinuarsi oltre l’orlo dei propri pantaloni.

Lo osserva, incantato.

Louis si sta toccando, davanti a lui; i suoi occhi blu sono socchiusi e lucidi, gli zigomi affilati sono tinti di rosso e le labbra sono socchiuse e lucide.

Il suo polso dà stoccate nette alla sua lunghezza ripiegata sullo stomaco e lui geme sommessamente ogni volta che il palmo raggiunge l’altezza.

La mano di Harry, inconsciamente, si allaccia al proprio membro perché quella visione è semplicementetroppo.

Comincia a pompare piano, sentendo il proprio stomaco restringersi ad ogni nuova stoccata; percepire il corpo caldo di Louis sopra di lui che si sta dando piacere da solo lo eccita ancora di più.

Aumenta il ritmo, sentendo i propri muscoli contrarsi. Ansima piano, a bocca aperta, mordendosi il labbro inferiore; osserva il cavaliere guardarlo e sorridergli.

“Sei—nhgt. Bellissimo.”

Harry non risponde e l’altro continua. “Bello, bello, bello.” Sembra non voglia smetterla più; mentre parla gli lascia una scia di baci per il collo teso, il petto arrossato.

Ed è tutto così terribilmente piacevole, ipnotico, che Harry non è nemmeno più sicuro saper pensare chiaramente. Non riesce a formulare un pensiero coerente perché le labbra dell’altro lo distraggono ogni secondo.

“Louis—oh dèi—Lou.” Pigola affannato, il polso dolorante mentre cerca di aumentare ancora di più il ritmo.

“Sto per—sto per—” deglutisce a vuoto.

La sua mano viene scacciata via da quella di Louis, che prende repentinamente il suo posto: Harry ansima, forte, a bocca aperta e strizza le palpebre.

Il nuovo ritmo che l’altro detta è qualcosa di nuovo: lento, sempre dalla base all’altezza, ma adesso, ogni volta che raggiunge la cappella arrossata, applica ancora più pressione.

Goccioline bianche di liquido pre-orgasmico fuoriescono ad ogni piccola strizzata, bagnandogli la mano.

Harry inarca ancora di più il bacino, gemendo incontrollatamente perché—riesce a percepirlo—sta superando il limite.

Non il limite della sopportazione, ma il limite fisico del suo corpo. Ogni centimetro di pelle sembra andargli a fuoco dal piacere, mentre la mano di Louis continua a muoversi sempre più velocemente, ansimandogli nell’orecchio e sulle labbra.

E baciandolo, baciandolo, baciandolo.

“Sto—” gli manca aria alla gola: “Per—”

Percepisce l’istante prima dell’orgasmo come la corda tesa di una freccia che scocca: i suoi muscoli tremano incontrollatamente, la sua bocca non riesce a trattenere i miagolii affannati e gli ansimi, e in un colpo solo sente tutto il piacere rovesciarsi via.

Allontanarsi dal suo corpo in un’unica, grande e violenta ondata.

La mano di Louis rallenta, rallenta sempre di più, fin quando non si stacca completamente.

Harry lo guarda, mentre cerca di riprendere fiato: l’altra mano di Louis—quella che non stava toccando il membro di Harry—continua a muoversi sulla propria lunghezza, anch’essa ormai spompata.

Liquido bianco è sparso sui loro ventri e sulle coperte.

Louis puntella i gomiti ai lati del collo ancora tremante di Harry e si piega per scoccargli un bacio sulle labbra; la barba pizzica contro la sua pelle.

“Come è andata?” domanda, sorridendogli dolcemente.

In risposta, Harry attacca le loro labbra in un ultimo bacio caotico, mentre ancora cerca di riprendere fiato.

Lo guarda negli occhi intensamente.

“Mi sei mancato da morire.”

§

Harry costringe Louis a rimanere a riposarsi nel campo per tutto il tempo necessario.

Non importa se il cavaliere effettivamente stia bene e vorrebbe solo tornare alla Barriera per vedere se Calum o Ashton o Stan siano ancora vivi nei loro rispettivi dipartimenti; Harry lo costringe ad un riposo forzato.

Non vuole che Louis se ne vada di nuovo. Non riuscirebbe a sopportarlo.

Passano i successivi giorni a compiere le loro solite mansioni, come ai vecchi tempi, e le successive notti a stringersi tra le coperte e baciarsi, toccarsi ed abbracciarsi.

Al campo ormai è chiaro che Harry non ha intenzione di ritornare nel suo vecchio letto; di dormire nel suo vecchio letto.

Nessuno sembra preoccuparsene, però, e solo occasionalmente Niall e Liam gli lanciano occhiate divertite ogni mattina, quando Harry esce dalla branda di Louis e si stiracchia.

Zayn si limita sorridergli, di tanto in tanto.

Solo una volta Louis ha deciso di parlare davanti alle altre Sentinelle di ciò che è successo quando è scappato via dal suo dipartimento, alla Barriera; perché—dice—quelle persone sono la sua famiglia e hanno il diritto di sapere.

Harry lo osserva, seduto intorno al fuoco, mentre Louis parla e racconta agli altri quello che ha già raccontato a lui; cerca di non farli preoccupare troppo, ripete che i rinforzi sono arrivati e hanno ucciso tutti i Barbari che avevano osato entrare nel suo dipartimento.

“Volevi vendicarti, vero?” domanda una notte Harry, sdraiato sul letto e accoccolato contro il suo petto. “Volevi vendicarti di chi ha ucciso la tua famiglia? Volevi uccidere più Barbari possibili?”

Louis ci mette un paio di secondi prima di rispondere, per poi smettere di accarezzare i ricci di dell’altro: “Sì.” Sospira. “Volevo farlo.”

Harry non fa altre domande.

Masha, con la gioia di tutti, si sta riprendendo.

Michael ha fatto un ottimo lavoro. (Quel ragazzo dovrebbe diventare medico di corte, sul serio.)

È Harry il primo ad andare a trovarla, ogni mattina; lei passa molto del suo tempo a dormire per riprendere le forze e Harry si limita ad accarezzarla, per la maggior parte del tempo.

Solitamente, accanto a lui c’è anche Huton, che, a forza di vedere il grande drago nero in quelle condizioni, non può fare a meno di essere mogio e meno saltellante.

Niall gli dà una pacca sulla testa, accarezzandogli un corno smussato: “Gli manca mamma drago” borbotta, ricominciando ad intagliare un bastoncino di legno per farne delle frecce.

Harry si sistema meglio contro l’albero di pino; ridacchia appena al commento del compagno: “Masha è un po’ la mamma di tutti, qui.”

“Sappi che sarà molto arrabbiata quando si riprenderà.”

“Perché?”

Il ragazzo biondo gli lancia un’occhiata maliziosa: “Lei è molto gelosa di Louis. Quando scoprirà che lui ha un nuovo compagno preferito, ti divorerà in un sol boccone.”

Harry gli dà un pugno sul braccio, senza vera intenzione di fargli male. “Dacci un taglio. Possiamo sempre—uhm. Dividercelo.”

“Tipo. Tu ti prendi la parte sotto e lei la parte sopra?”

Scoppia a ridere, scuotendo la testa. “Sarà difficile per Louis cavalcare il suo drago senza l’utilizzo delle gambe.”

Niall emette un sibilo basso per trattenere una risata: “Effettivamente mi domando se lui sia più bravo a cavalcare te o Masha.”

Harry si volta di scatto, con le guance scarlatte: “Niall!”

Il compagno ride più forte, coprendosi la bocca con la mano: “Scusa, scusa—mi è sfuggita.”

Per quanto possa provarci, Harry non è sicuro di poter trattenere una risata: “Non puoi fare queste battute! Non le hai mai fatto con Liam e Zayn. È ingiusto!”

“Sì—perché Liam e Zayn hanno il triplo della massa muscolare che avete te e Louis. E poi—” cerca di riprendere fiato dalla risata: “Dico, hai visto Zayn? È in grado d’incenerirti con un solo sguardo. Mi mette troppa soggezione.”

Harry ruota gli occhi al cielo e non commenta ulteriormente; fa per voltarsi nuovamente verso Masha quando un improvviso gemito da parte di quest’ultima attira la sua attenzione.

Sia lui che Niall si dirigono velocemente vicino all’animale, per vedere cosa non va: Masha continua a muovere l’ala malconcia, come se cercasse di spostarla.

Huton, lì accanto, si muove freneticamente, agitato.

“Cos’ha?” gli domanda Niall.

“Credo—uh, che voglia spostare l’ala. Forse le fa male.”

Il punto è: Masha ha delle ali enormi.

Harry guarda il compagno un attimo, prima che—con un tacito accordo—comincino piano ad afferrare gli estremi e a spostarla: la consistenza di quelle enormi è ali è molto simile a quella di una qualsiasi pelle, se non per il fatto che è decisamente più liscia e sottile.

Basta muoverla di appena qualche metro, lasciandola adagiare lungo il corpo del drago, che improvvisamente qualcosa rotola via da sotto di essa, cadendo nella terra.

Harry spalanca gli occhi.

“E questo da dove esce fuori?” È Niall a dare voce ai suoi pensieri.

Huton, dietro di loro, osserva la scena coi piccoli occhi sgranati e le fauci semiaperte: Harry fa qualche passo verso l’oggetto che ora giace immobile—è rotondo.

Lucido, sporco di terra, ovale; Harry si piega sulle ginocchia per osservarlo meglio ma non ha il coraggio di prenderlo in mano.

“Deve averlo tenuto nascosto sotto l’ala per tutto questo tempo” commenta, pensieroso.

“E perché mai avrebbe dovuto farlo?” Niall fa qualche passo nella sua direzione.

Improvvisamente, osservandolo, Harry nota una piccola crepa formarsi a lato di quella pietra liscia; all’inizio è quasi invisibile ma, subito dopo ne compare una seconda e una terza.

Sono piccole e sembrano partire tutte da uno stesso punto come se—come se qualcuno stesse picchiettando dall’interno.

Harry fa un salto indietro, sorpreso: le crepe continuano a formarsi, seguite da un secco suono di rottura.

“È un uovo.” Lo sussurra più a se stesso che ad altri, continuando a fissare l’oggetto.

“Doveva tenerlo al caldo perché è un uovo” dice, più forte, in modo che il compagno possa sentirlo.

Niall spalanca gli occhi, rimanendo immobile.

Rimangono in perfetto silenzio, in attesa, mentre le crepe sulla superficie si duplicano, triplicano; nel giro di qualche minuto, scaglie cadono dall’uovo, lasciando intravedere solo oscurità, all’interno di esso.

Poi, proprio quando cominciano a credere che non ci sia niente dentro quell’uovo, un piccolo musino verde fa capolino da uno dei fori; poi una testolina, degli occhietti scuri che sbattono confusi alla vista del sole, un collo sottile.

Un cucciolo di drago verde cerca di liberarsi dagli ultimi residui di uovo per cominciare a zampettare scompostamente sul terreno; Harry lo osserva cercare di aprire le piccole ali ancora sporche dell’albume denso, senza riuscirci.

Scuote il piccolo muso, guardandosi intorno affannosamente, come a chiedere aiuto.

Niall affianca Harry, indicando con un dito l’enorme drago nero che sta osservando la scena, impassibile: “Non è un cucciolo di Masha.”

“Come puoi dirlo?”

Il ragazzo schiocca la lingua, sorridendo alla vista di Huton che cerca di annusare il nuovo arrivato: “Quando il piccolo nasce, la mamma ha il compito di leccare via quel liquido; così s’instaura un legame forte, tra i due. Masha non lo sta facendo, quindi il cucciolo non è suo.”

Harry si morde l’interno della guancia: “Allora di chi è?”

“Non saprei—forse l’ha preso quando lei e Louis hanno sorvolato il lago, oppure l’ha racimolato prima che i Barbari distruggessero l’accampamento e uccidessero tutti gli altri draghi.”

Niall rimane immobile, osservando il piccolo cucciolo cercare disperatamente di liberarsi da quella specie di colla trasparente che gli impedisce di stendere le ali: dà una piccola spallata a Harry, come cercasse di spingerlo avanti.

“Dài, togligliela” lo invita, sorridendo.

Il ragazzo dagli occhi verdi spalanca le palpebre: “C-cosa?”

“Be’, mi sembra più che palese che ti stia guardando per chiedere aiuto.”

Effettivamente, l’unica persona alla quale sembra che il cucciolo si stia rivolgendo è Harry; quello scuote la testa, improvvisamente agitato.

“Ma se lo faccio—Dopo crederà che sia la madre.”

“Già.” Niall ridacchia: “E avrai il tuo drago. Il tuo compagno per la vita.”

Il cucciolo zampetta disperato verso Harry, trascinandosi dietro la coda. Il cavaliere biondo sorride: “Vedi? Ti ha scelto. Ormai sei destinato.”

L’altro deglutisce, emozionato: afferra un lembo della propria casacca e la strappa via, si avvicina poi lentamente all’animaletto, quasi come se avesse paura di farlo scappare.

Ma quello, al contrario, sembra felice che finalmente qualcuno gli stia donando attenzioni; cammina ancora verso di lui, andando incontro alle sue mani tese.

Harry utilizza il pezzo di stoffa per avvolgere il cucciolo come se fosse un fagotto e tamponargli via quel liquido denso e appiccicoso. L’animaletto scuote la testa soddisfatto, spalancando la piccola bocca.

È una sensazione estasiante tenere quella piccola creatura tra le mani; Harry percepisce il proprio cuore battere forte, dentro al petto.

Gli sfrega via l’albume, lasciandolo pulito e asciutto: gli passa la stoffa sulla testa, tra le zampette e—

“Niall?” dice, ridacchiando appena.

L’altro alza un sopracciglio: “Sì?”

“Credo che sia una femmina.”

La piccola cucciola, per ringraziare Harry, comincia a sfregare la testa contro la sua mano, felice.

Niall ridacchia: “Dovresti sceglierle un bel nome allora.”

Harry l’accarezza sulla testa per qualche minuto, sorridendo, e ci pensa un po’. “Sheen.”

Poi si rivolge all’animale. “Ti piace?” Quella continua a sfregare energicamente la testolina cornuta contro il suo palmo; Harry decide di prenderlo come un sì.

Sheen,” sente il compagno rigirarsi la parola tra le labbra: “significa qualcosa nell’idioma delle rune, vero?”

Il ragazzo dagli occhi verdi ridacchia, annuendo.

“Sheen” ripete: “Colei che sorride.”

§

I successivi giorni, all’accampamento, sono giorni che Harry non viveva da anni interi.

Tutti sono tranquilli, svolgono felicemente le loro mansioni di giorno, e la sera mangiano e si siedono intorno al fuoco, mentre Niall tira fuori un vecchio strumento che Harry non ha mai visto, ma che—a quanto dice il compagno—è tipico del suo villaggio, nell’Est.

È uno strumento a corde, che il cavaliere biondo suona divinamente, premendo e facendo vibrare quei crini intrecciati al metallo con perfetta precisione e accompagnandolo, di tanto in tanto, con testi di canzoni popolari che parlano degli dèi, delle guerre passate e dei grandi re.

Harry si accoccola tra le gambe di Louis, seduti per terra, e ascoltano incantati la voce del compagno, insieme dallo scoppiettio del fuoco.

C’è una canzone, in particolare, che Harry preferisce: parla di un’epoca passata, in cui un drago rosso bruciò il più grande villaggio del Sud, e si rintanò sotto la montagna.

Ogni volta che l’ascolta, gli sembra di vedere le fiamme alzarsi davanti ai suoi occhi.

La notte, invece, si ritirano nella branda di Louis dando la buonanotte a tutte le altre Sentinelle, poi si sdraiano nel loro letto, si baciano, parlano, ridono, si accarezzano e si toccano, senza andare oltre: per Harry è ancora tutto così nuovo, così bello.

Non gli importa che Louis abbia quasi il doppio dei suoi anni—anche se, da quando s’è tagliato la barba, sembra quasi della sua stessa età—o se le sue mani siano molto più esperte delle sue; tutto è perfetto.

C’è una parte di lui che ogni tanto si domanda ancora cosa succederà quando dovrà tornare alla reggia, ma è una parte che viene facilmente messa a tacere ogni volta che le labbra di Louis si appoggiano sulle sue.

Lì, sulle montagne e tra la neve che comincia a sciogliersi, sembra che niente e nessuno possa toccarli: la realtà, il dovere sembrano lontani ed incapaci di scalfirli.

Passa tantissimo tempo a curare ed addestrare Sheen insieme all’aiuto di tutti: da Louis a Zayn a Liam a Will, Michael, Greg e chiunque sia disposto a farlo. Con i loro rispettivi draghi, ovviamente.

Quella dragonessa è ancora troppo piccola per saper volare, così passa la maggior parte del tempo appollaiata sulla sua spalla, o sul suo braccio; Harry ha segni di morsi sparsi per tutte le mani, ma non gli danno troppo fastidio.

Più di una volta Louis ha cercato di farla giocare con Masha, ma il drago nero sembra ancora troppo stanco per riuscire a muoversi come un tempo, anche se si sta visibilmente riprendendo.

Michael stima che, in un paio di settimane, dovrebbe tornare come nuova. (A quanto pare il veleno della freccia conteneva della passa selvatica.)

Le notizie che arrivano dalla Barriera avvisano che i Barbari stanno retrocedendo verso i loro territori e che,sì, Calum, Ashton e Stan sono vivi e vegeti nei loro rispettivi dipartimenti; la notizia fa tirare un sospiro di sollievo a tutti, nell’accampamento.

Nessun generale chiede di Louis, nessuno domanda il suo immediato ritorno sul campo di battaglia,.

Harry cerca sempre di persuaderlo a lasciare passare un po’ di tempo prima di inviare una qualche sorta di staffetta ai superiori. (Perché Louis vuole tornare in battaglia; purtroppo, la sua sete di vendetta non s’è appianata.)

Ma, sembra ancora debole; è una cosa che Harry nota una mattina, mentre lo vede fare incredibilmente fatica per piegarsi e raccogliere la propria spada.

Michael dice che, quando è caduto nel lago, è stato in ipotermia per ore intere; il freddo deve avergli giocato un brutto scherzo alle articolazioni. Ma potrebbe riprendersi. Stando a lui, è un miracolo che sia ancora vivo.

Questa è una scusa sufficiente per trattenerlo al campo.

Da quel momento, Harry ritorna a pregare. Non lo faceva da settimane e settimane.

Torna ad accendere bastoncini d’incenso e recitare i testi delle Scritture; principalmente ringrazia che sia andato tutto bene, e ringrazia gli dèi di aver trovato qualcuno come Louis.

Sembra che tutto vada per il meglio, durante i giorni quieti che trascorrono felicemente.

Una sera, mentre Harry sta appoggiando una catasta di legni sull’altopiano, gli sembra addirittura di scorgere Liam e Zayn allenarsi nel combattimento a corpo libero.

Rimane un attimo ad osservarli incantato, di nascosto: sono due combattenti provetti.

Se Liam ha la forza fisica, Zayn ha l’astuzia e la precisione dei movimenti; sembra quasi che si completino.

I loro busti nudi e sudati si muovono sinuosamente, schivandosi e attaccando.

Dopo un paio di minuti, Liam riesce a bloccare l’altro sotto il peso del suo corpo, a terra: gli tiene i polsi alti sopra la testa e le cosce sono ben piantate al lato del suo bacino.

Zayn borbotta qualcosa, infastidito, mentre cerca di divincolarsi e Liam ridacchia, guardandolo dolcemente:

“Non ho barato” sussurra.

Harry non ne è sicuro, ma gli sembra di udire Zayn bofonchiare qualcosa come: “Sì, invece. Perché ti piacetroppo dimostrarmi che sei più forte di me.”

Liam ride ancora e si piega col busto fino a che le sue labbra non si attaccano a quelle sottili e leggermente sporche di sangue dell’altro.

Harry arrossisce furiosamente; non li aveva mai visti baciarsi.

Non sono esattamente il tipo di persone che amano scambiarsi effusioni in pubblico, quindi c’è qualcosa di strano nel vederli così tranquilli e—vicini.

Decide di fare retromarcia, più silenziosamente possibile, e tornare all’accampamento.

Avranno da fare per un bel po’—ridacchia. E, sì—pensa, alzando il volto al cielo imbrunito—, tutto va bene.

§

Ovviamente le cose non possono andare sempre il verso giusto.

Harry lo realizza amaramente una mattina all’alba, quando, uscito dalla branda di Louis per andare a controllare Sheen, vede un drago atterrare proprio lì davanti; a cavalcarlo, oltre che un corriere con il marchio degli Styles appeso al petto, c’è anche—

Spalanca gli occhi.

Gemma.

Gemma. Sua sorella Gemma. Quasi non riesce a crederci; sbatte le palpebre una, due, tre volte per cercare di mettere a fuoco la figura che scivola dolcemente giù dall’animale, appoggiandosi coi piedi a terra.

Sembra così diversa, dall’ultima volta che l’ha vista—mesi e mesi fa.

Gemma.

Gemma con il suo vestito lungo rosso scuro e il velo delle Sacerdotesse a ricoprirgli i capelli dorati.

Rimane immobile, raggelato sul posto: vorrebbe correre ad abbracciala, stringerla ed affondare il naso tra i suoi capelli profumati ma. Qualcosa glielo impedisce.

Gli occhi di sua sorella, glielo impediscono.

Sono scuri, piegati in una smorfia di dolore e frustrazione, talmente taglienti da gelargli il sangue nelle vene.

Le cose non possono andare sempre per il verso giusto.

Lo capisce dall’espressione della ragazza.

Lei comincia a correre, passo dopo passo, alzando piccole nuvole di polvere; la veste si muove sinuosa intorno alle sue gambe e alle caviglie sottili.

Prima che possa effettivamente accorgersene, Gemma gli ha stretto due braccia intorno al collo, nascondendo il volto nell’incavo: il suo profumo lo stordisce.

“Harry” sospira lei: “Non ti riconoscevo nemmeno.”

Si stacca appena, giusto quanto basta per guardarlo negli occhi; i suoi, di occhi, sono lucidi, le iridi più brillanti che mai. Gli sembra di rivedere sua madre, in quegli occhi.

Gemma socchiude le labbra screpolate: “Nostro padre è morto.”

Louis porge loro due tazze d’infuso fumante che ha preparato Greg; Gemma ringrazia, attorcigliando le lunghe dita intorno alla ceramica grezza per riscaldarsi.

La luce del sole filtra appena dalla finestra della vecchia branda di Harry; dove ora il letto è stato tolto e sostituito da un tavolo con alcune sedie di legno.

Louis, in piedi dietro di lui, è in silenzio e sta appoggiato alla parete, con le braccia incrociate.

Gemma, dopo un paio di sorsi, alza il volto, lanciando al fratello un’occhiata confusa.

Harry fa un cenno sbrigativo col capo: “Lui è Louis, dei Tomlinson—È la prima Sentinella dell’Ovest.”

“Era uno dei cavalieri invitati al pranzo della mia iniziazione?” domanda la ragazza, cordialmente.

Louis si schiarisce la voce: “Sì, è stato un onore potervi partecipare, vostra altezza.”

Gemma gli sorride, per poi rivolgersi a Harry: “Parteciperà alla nostra conversazione?”

Il ragazzo dagli occhi verdi annuisce. “Mi fido di lui.”

La sorella non aggiunge altro e abbassa lo sguardo sulla propria tazza ricolma di liquido scuro alle erbe: sembra persa nei suoi pensieri, con un’ombra che le vela il volto delicato.

Dopo un paio di minuti, Harry si sporge sopra il tavolo per afferrarle la mano e stringerla tra le sue. “Cosa è successo?” domanda.

Lei emette un sibilo basso, derisorio ed arrabbiato: “Cosa credi che sia successo? È andato in guerra, senza ascoltarmi, ed è stato ucciso.” Distoglie lo sguardo: “Gliel’avevo detto. Gli avevo detto che sarebbe morto.”

“Sono stati i Barbari?”

“No. Una valanga ha distrutto il loro accampamento, una settimana fa—Il messaggio è arrivato solo ieri e ho cercato di trovare il primo drago disponibile per dirtelo di persona.”

Alza lo sguardo e fissa intensamente Harry. “Lo so che non riesci a dispiacerti, per la sua morte. Lo leggo nei tuoi occhi.”

L’altro espira, ingobbendosi nelle spalle.

Può forse biasimarlo? Il ragazzo scuote la testa, mordendosi l’interno della guancia; è quasi più disgustato dal fatto che non stia provando dolore, piuttosto che dall’effettiva morte del re.

Ma come potrebbe provarlo, dopo tutto ciò che è stato?

Forse, adesso che ci pensa, per lui suo padre è morto anni e anni fa, forse lo stesso giorno in cui sua madre lasciò le terre del regno per sempre.

La voce flebile di Gemma lo strappa lentamente via dai suoi pensieri: “Non sono venuta qui per rinfacciartelo.” Si scosta il velo dalla fronte: “Sono venuta qui per compiere il mio dovere e dirti che—”

Si ferma un attimo, sospira: “—ora tu sei re. Devi tornare con me a palazzo.”

Harry spalanca gli occhi, un’improvvisa folata di vento lo fa rabbrividire: lui sarà re. Non—non ci aveva nemmeno pensato.

Re.

E dovrà tornare alla reggia, con Gemma, e governare il suo popolo e—Trattiene faticosamente l’istinto di voltarsi verso Louis.

Non vedrà mai più Louis.

Sente la propria gola stringersi in una morsa al solo pensiero.

Non può farlo. Non può.

Percepisce la voce di Gemma continuare a parlare, completamente ignara della reazione scioccata del fratello:

“—I giorni funebri dedicati a nostro padre cominceranno domani, con la cerimonia del Passaggio. La tua incoronazione avverrà cinque giorni dopo, come usanza, se non ci saranno inconvenienti.”

Harry sbatte le palpebre una , due, tre volte. “Lo dici come se ce ne saranno.”

Gemma non risponde immediatamente; continua a fissare il proprio infuso, che si sta già raffreddando. Sembra sul punto di scoppiare a urlare o a piangere, o tutte e due le cose: ma, come sempre, riesce a tirare fuori il suo lato pratico in ogni occasione.

Fa sparire una mano tra la veste e il mantello che la ricopre, tirandone poi fuori una lettera con un marchio che Harry non riesce a riconoscere.

Dietro di lui, sente Louis raddrizzarsi e muoversi contro la parete, agitato.

Afferra la lettera che la ragazza gli porge: è scritta nell’idioma comune del Nord, risale a due giorni fa.

A piè pagina, sono riportate delle firme; sono dei maggiori cavalieri e combattenti dell’esercito e dei Saggi, e c'è anche quella di Gemma; sul retro, scritte che non riesce a comprendere, di una lingua a lui sconosciuta.

“Cos’è?” domanda, aggrottando le sopracciglia.

La ragazza lo guarda, gli occhi stanchi che segnano il suo volto gentile. “Ha chiesto una cessazione provvisoria dei conflitti. Un armistizio; vuole incontrare il re del nostro regno al confine della Barriera per porre fine alla guerra, tra due giorni. Vuole incontrare te.”

Harry alza lo sguardo dalla carta ruvida della lettera: “Chi? Chi mi vuole incontrare?”

Gemma lancia un’occhiata dietro la sua spalla, verso Louis, poi lascia ricadere gli occhi sul fratello: “Othrod. Il re dei Barbari.”

§

Il rito funebre del Passaggio deve cominciare all’alba, come usanza.

Harry si sveglia improvvisamente nella sua vecchia camera da letto, nel castello; rivede i suoi vecchi mobili di legno scuro, i suoi tappeti decorati, i candelabri di bronzo.

Non gli sembrano cose familiari.

Il giorno prima, quando Gemma l’ha costretto a prepararsi in fretta e furia e montare su un drago qualsiasi per volare fino a Nord, alla sua casa, Harry credeva che gli avrebbe fatto piacere tornarci.

Ora che è qui, invece, si rende conto di quante vuote e piene di ricordi spiacevoli siano quelle pareti di mattoni, quei corridoi illuminati dalle torce consumate.

Sheen, appollaiata su uno dei candelabri spenti, zampetta fino al letto, utilizzando le piccole ali per afferrare le lenzuola e salendoci sopra, fino ad accoccolarsi sul ventre di Harry.

Lui l’accarezza; non poteva mica lasciare Sheen all’accampamento. L’ha tenuta sotto braccio per tutto il viaggio, fin quando non sono atterrati alla reggia, poi l’ha portata in camera sua.

Forse non il posto più raccomandabile.

Prima che il drago di suo padre fosse ucciso—anni e anni e anni prima—veniva accudito in una delle stalle nell’ala Est del castello: dei magazzini di pietra e legna enormi, alti il triplo di un tempio e larghi il quadruplo.

Dormiva e veniva addomesticato lì; Harry però ha preferito lasciare quelle stalle per i draghi degli altri importanti cavalieri venuti per partecipare al funerale del padre, come ospiti.

Tra i quali, per fortuna, c’è Louis.

Lasciare i compagni conosciuti sulle montagne dell’Ovest è stata la cosa forse più dura, Harry ne è sicuro.

Ma il fatto che Louis abbia potuto seguirlo, e sapere che adesso probabilmente starà dormendo nelle sale degli ospiti, ha reso la partenza molto meno dolorosa di quando non fosse.

Non sa quando il cavaliere sarà costretto a ripartire. Non lo vuole sapere.

Prende un profondo respiro, accarezzando il muso di Sheen.

Non ha idea di che ore siano, ma il buio pesto e la luce soffusa della luna che entra dalla finestra gli suggeriscono che sia notte fonda.

Non capisce perché si sia svegliato—ha il battito veloce e sta sudando.

Probabilmente ha fatto solo un brutto sogno.

Le sorti della guerra e del suo popolo dipendono esclusivamente da lui.

Tra due giorni, a questa stessa ora, Harry avrà già incontrato il suo più temuto nemico.

Chiude gli occhi un attimo, smettendo di accarezzare la bestiolina; prende un nuovo, profondo respiro.

Scende giù dal letto, infilandosi velocemente gli stivali e la prima giacca pesante che trova.

Lancia un’ultima occhiata a Sheen, che lo osserva curiosa da sopra il letto, poi si chiude la porta della stanza alle spalle e afferra una delle torce ancora accese appese al muro.

Comincia a camminare.

Cammina, cammina, cammina, svoltando, scegliendo le porte d’aprire con sicurezza, fin quando non si ritrova nel cortile del castello; l’aria fredda della notte lo fa rabbrividire e trasforma ogni respiro in una nuvola biancastra che fuoriesce dalle sue labbra.

Si concede un momento per osservare ogni pianta, ogni fontana di pietra che lo decorano, poi si dirige al portone principale e, premendo forte con entrambe le mani—ha gettato la torcia via, la luce naturale è più che sufficiente—cerca di aprirsi uno spiraglio per passare.

Si stringe dentro il suo cappotto e incassa la testa tra le spalle.

L’erba alta di quel prato fuori dal castello gli fa rallentare appena l’andatura, e la rugiada incastrata tra i fili gli bagna i calzoni.

C’è un piccolo cortile recintato, a qualche centinaio di metri dalle mura della reggia, chiuso da un grosso cancello in ottone tenuto sempre aperto: è un piccolo spazio rettangolare dall’erba soffice e regolare, e pieno di cespugli profumati.

Al centro, non più grande di un paio di metri, svetta una piccola cappella dedicata alla dea della terra e della fertilità: ha le pareti di mattone rosato e il tetto intrecciato con rami di edera.

Harry si concede giusto un secondo per osservare lo stemma delle casata—il drago rampante—appena sotto la runa del dio Wyrd, custode della vita; entra.

Incastrate sulle pareti, lastre di granito con incisi i nomi dei suoi più importanti antenati, illuminati fiocamente nella notte; fa qualche passo.

Davanti all’ultima lastra di granito, Harry decide di sedersi a terra, sul pavimento freddo, per osservarla un poco.

“È buffo che venga qui ogni volta che c’è un problema, eh?” sussurra, inarcando appena gli angoli della bocca.

Il nome di sua madre si trova proprio al centro del granito, intagliato profondamente.

Harry si morde l’interno della guancia. “Vorrei solo dirti che—” abbassa lo sguardo: “—non so cosa succederà domani, ma qualsiasi cosa sia, spero solo che lui riesca finalmente a trovare la pace, accanto a te.”

Rimane un attimo in silenzio: “Gli mancavi tantissimo. Non è stato più lo stesso da quando te ne sei andata.”

Socchiude gli occhi, prendendo un profondo respiro: “Spero che ti abbia trovato, e che sia felice. Credo—credo che si meriti un po’ di tranquillità, dopo tutto.”

Appoggia una mano sulla lastra fredda, accarezzando il nome impressogli sopra: “Stammi vicino domani. Te ne prego. Stammi vicino.”

Al funerale è presente chiunque si possa permettere di venire.

Il cortile, la sala cerimoniale, i corridoi e le stanze sono gremite di gente silenziosa, dagli abiti scuri, che portano doni e offerte da appoggiare sopra la bara di marmo, nella sala principale.

Dai cittadini, ai combattenti, alle donne ai bambini; sembrano esserci tutti.

Durante il rito, è uno dei Sacerdoti più anziani a spargere sale e vino, a ripetere le Scritture, ad accendere candele di incenso e sandalo; Harry e Gemma sono in prima fila, ad osservare il sarcofago ricolmo di pezzidel padre, perché ovviamente è stato impossibile ritrovare il corpo integro.

Dietro di loro ci sono i Saggi, i generali, poi le prime Sentinelle di ogni versante del regno, poi i cittadini.

Louis tiene la testa alta, la schiena dritta anche se l’armatura e la spada devono pesare tantissimo; lancia basse occhiate a Harry, di tanto in tanto, solo per assicurarsi che stia bene.

Il funerale scorre, in una maniera o nell’altra, ma Harry non è sicuro di essere effettivamente partecipe di quello che sta accadendo; sente il Sacerdote parlare, sente l’odore forte dell’incenso, la pioggia che batte sulle vetrate, il calore delle altre centinaia di persone presenti lì dentro, ma—è come se osservasse la scena da dietro un velo.

Un velo che gli ovatta la vista e l’udito. Non si sente parte di quel dolore, non riesce a capirlo.

“Che hai intenzione di fare?”

Harry non si volta immediatamente: è in camera sua, il rito del Passaggio è appena terminato e il sarcofago del padre è stato collocato esattamente nello stesso tempietto in cui lui s’era rifugiato la notte stessa.

In qualche modo è riuscito a superare la barricata di uomini e cittadini che gli si sono avvicinati per rivolgere a lui le condoglianze e offrire doni, e s’è trascinato pesantemente in camera, strappandosi via di dosso quei vestiti cerimoniali e soffocanti.

Dopo essersi sfilato la cotta di maglia d’argento, si volta lentamente: Louis è entrato, chiudendo la porta alle spalle, indossa ancora l'armatura, ma la spada non si trova più al proprio posto; deve averla posata da qualche parte.

Harry lo guarda con occhi stanchi ma attenti: “A che proposito?”

“Al fatto che domani devi incontrarti con Othrod per discutere di un’ipotetica trattativa di pace.”

Il ragazzo dagli occhi verdi si siede sul bordo del letto, massaggiandosi la radice del naso. “Andrò da lui, ovviamente.”

“Sei impazzito?”

“Ho altra scelta?!” sbotta, guardandolo.

Louis espira, frustrato, prima di sfilarsi con un gesto secco l’armatura che gli ricopre il busto, appoggiandola poi in un angolo; si avvicina a Harry, osservandolo con le sopracciglia aggrottate.

S’inginocchia per terra, in modo da raggiunge l’altezza del suo volto. “Tu sai che lui ti ucciderà, vero? Non verrà da solo, porterà un esercito con lui.”

“Lo so, lo so. Gemma ha già mandato dei telegrammi per avvertire tutti sulla Barriera che domani dovranno farmi da scorta per l’incontro—e dovranno essere pronti a combattere, se necessario.”

Harry fa cadere lo sguardo sulle proprie mani abbandonate sulle ginocchia; le mani dell’altro, il secondo dopo, si stringono dolcemente intorno alle sue:

Ehi.” La voce gentile di Louis lo costringe ad alzare lo sguardo, incontrando i suoi occhi blu: “Non andare, ti prego. Non andare a morire.”

“Questa conversazione mi sembra familiare.”

Il cavaliere ride amaramente, appoggiando la fronte contro quella dell’altro: le sue mani sono ancora chiuse intorno a quelle di Harry e le massaggiano delicatamente. “Manda me. Tu sei ancora troppo giovane per questo—per tutto questo.”

Harry strofina la punta del naso contro il suo zigomo, percependo il forte odore di Louis riempirgli le narici: prende un profondo respiro, godendosi quell’aroma di pino, sapone e sale.

“Non ti lascerei mai andare al posto mio, lo sai bene.”

“Allora verrò con te—non puoi fermarmi. Masha è nelle tue stalle e niente m’impedirà di prenderla per seguirti.”

“Louis—”

“Pensa a Sheen.” Il ragazzo dagli occhi azzurri lo guarda e pare disperato, di una disperazione frustrata e dolorosa. Lancia un’occhiata al cucciolo di drago verde che dorme tranquillamente in fondo alla stanza: “Pensa a Gemma, pensa al tuo popolo—Se muori tu, finisce il mondo. Se io muoio, non se ne accorge nessuno.”

Harry sfila dolcemente le mani dalla presa dell’altro e gliele posa intorno al viso, accarezzandogli gli zigomi con i pollici: “Non dire mai più una cosa del genere, hai capito? Giuralo. Giuralo sulla mia vita.”

“Io non—”

Giuralo.” Harry è ad un respiro dalle sue labbra: “Giuralo, ti prego. Se—se tu morissi oggi—”

Si avvicina ancora di più, ora le loro labbra si sfiorano appena, lasciandosi maree di brividi le une sulle altre: percepisce Louis socchiudere gli occhi, il suo battito aumenta, le labbra si protraggono dal desiderio.

“Cosa?” La domanda è quasi inudibile: “Cosa faresti se io morissi oggi?”

La voce di Harry è un sussurro di brividi: “Morirei domani.”

Preme le sue labbra contro quelle di Louis e tutti gli argini improvvisamente si sgretolano, lasciando fuoriuscire un sentimento forte ed inebriante.

Le loro bocche sono morbide, calde, s’incastrano perfettamente tra loro; Harry piega la testa di lato e incrocia i polsi dietro il collo del cavaliere, lasciandosi completamente al suo tocco.

Socchiude gli occhi. Percepisce quelle labbra fini imprimergli baci sulla mascella, sul mento, poi giù, sempre più giù, fino a posarsi sulla pelle sensibile del collo, delle clavicole.

Le dita di Louis gli stringono i fianchi, la schiena, come se si stessero aggrappando all’ultimo scoglio in mezzo ad una tempesta: la sua bocca imprime piccoli baci veloci, poi voraci morsi possessivi.

Harry ansima appena, mordendosi a sangue il labbro inferiore quando l’altro lo preme delicatamente contro il materasso, facendo combaciare la sua schiena col letto morbido; sale sopra di lui a cavalcioni, continuando a torturare il suo collo sensibile.

Incastra le dita tra i capelli alla base della sua nuca e li tira appena, trattenendo un gemito quando sente i denti di Louis tirargli appena la pelle arrossata.

“Amo le tue labbra” dice, sconnessamente, preso dall’eccitazione del momento.

Louis ridacchia contro di lui: “Dovresti vedere le tue, in questo momento.”

“Per—uhgmn. Perché?”

“Gli dèi devono aver colto tutte le rose più rosse della terra e tutta la lussuria del mondo per aver fatto quelle labbra.”

Harry sorride, arrossendo. “Credo che sia la cosa più romantica che qualcuno mi abbia mai detto.”

Osserva l’altro aggrottare le sopracciglia: “Vuoi forse dire che non ti ho mai detto quanto mi piaccia la tua bocca?”

“Uhm, no?”

Louis distende le sopracciglia, passando una mano sul petto di Harry. “Ma—questo ti ho detto quanto mi piaccia, vero?”

“Questo sì.”

“E questo?”

La sua mano continua a scendere, accarezzandogli il ventre, insinuandosi sotto l’orlo dei pantaloni; il ragazzo dagli occhi verdi getta il capo all’indietro e trattiene un sibilo di piacere.

“—Non dirmi che mi sono dimenticato di dirti questo. Non posso averlo dimenticato.” C’è un sorriso da gatto, sul volto di Louis, mentre modella il corpo dell’altro sotto le sue mani.

“Allora,” domanda, lasciandogli una scia di baci sul collo: “te l’ho detto o no?”

Harry non crede di avere abbastanza lucidità per rispondere coerentemente, così si limita ad aggrapparsi alle spalle di Louis e baciarlo con forza.

“Sì” ansima: “M-me l’hai detto—dimmelo ancora.”

Un improvviso rumore contro la porta di legno della camera li fa raggelare sul colpo, bloccandoli.

Harry?”

È Gemma.

Dannazione, non adesso.

Louis lo guarda, in parte divertito, in parte scocciato e—con un lungo e basso lamento di disapprovazione da parte dell’altro—sfila la mano dai suoi pantaloni.

Harry, ci sei? Dobbiamo parlare.”

“S-sì—” cerca di rialzarsi e di sistemarsi i capelli in disordine più velocemente possibile, mentre si riallaccia i pantaloni scesi appena oltre l’inguine.

“—puoi entrare.”

L’attimo dopo, la porta è spalancata e la figura sinuosa della principessa del regno svetta contro l’oscurità del corridoio: guarda stupita Louis, appoggiato al tavolo di legno in fondo alla stanza.

Passa lo sguardo da lui al fratello, dal fratello a lui.

(Harry si ritrova a sperare che le sue guance rosse d’eccitazione e le sue labbra color sangue siano tornate ad un colorito naturale, se non altro per non destare sospetti, ma. Non ci giurerebbe.)

“Io—uh.” La ragazza si schiarisce la voce, scostando una ciocca di capelli fuoriuscitale dal velo: “Ti chiederei di seguirmi nei sotterranei, i Saggi vogliono parlare privatamente con te.”

“È per nostro padre?”

“No, no. È per ciò che accadrà domani.”

Harry annuisce e lascia la stanza, seguendo la sorella: prima di uscire lancia un’ultima occhiata a Louis.

Quello gli risponde con un sorriso forzato e uno sguardo dolce.

§

Sorge un sole rosso e acquoso, oltre le montagne.

Harry prende un profondo respiro d’aria gelida, costringendosi a rilassare le spalle.

La sua spada è saldamente legata al suo fianco, sull’armatura, e lo scudo giace a terra, tra l’erba ricoperta di rugiada. Il drago che lo scorterà fino alla Barriera è qualche centinaio di metri più in là, che si sta stiracchiando le enormi ali grigiastre.

Non sa bene a chi effettivamente appartenga, Gemma ha accennato qualcosa—forse è di un generale o qualcosa di simile.

Non che gli importi eccessivamente; ha già una scorta di ufficiali che lo guideranno fino al confine e da lì in poi ci sarà l’esercito.

È il giorno. È arrivato il fatidico giorno.

Dopo oggi, una guerra che è durata per anni e decenni, potrebbe finire.

Il suo popolo potrebbe tornare a splendere come un tempo.

Tutto dipende da lui—è agitato, ma. Il ragazzo che si lasciava trasportare dalle emozioni fino al punto in cui la lucidità era completamente perduta, è sparito settimane e settimane fa.

Se c’è una cosa che ha imparato, negli ultimi mesi, a causa di tutti questi repentini cambiamenti, è saper sopprimere quella parte di sé che non riesce ad avere controllo, nei momenti più cruciali, almeno.

“Maestà, siete pronto?” gli domanda un uomo accanto a lui.

Harry guarda il cielo limpido, poi lascia cadere lo sguardo su Masha, insieme ai draghi degli altri, e su Louis, intento ad accarezzarla e a fissare l’orizzonte.

Annuisce e l’uomo fa un cenno agli altri presenti, invitandoli a prepararsi per partire; abbraccia un’ultima volta Gemma, promettendole che andrà tutto bene.

Lei non gli fa pressioni, si limita a sorridergli con gli occhi piegati in una smorfia di preoccupazione.

Lei sarebbe una grande regina—pensa Harry, dirigendosi verso il proprio drago, non può fare a meno di pensarlo.

Appena riesce a cavalcarci sopra—le lezioni di Liam e Niall si sono rivelate molto più utili del previsto, in merito—dà una piccola pacca alla schiena rugosa e squamosa dell’animale, lanciando un’occhiata alle sue grosse ali grigie, ancora strette intorno al corpo.

Si sistema meglio la spada contro un fianco, facendola tintinnare, poi lo scudo sulla schiena. Si volta, prendendo un profondo respiro, per indicare al seguito che sono pronti a partire.

Ma, si ferma.

Louis, a cavallo di Masha, è accanto a lui e indica con una mano guantata un punto nel cielo, sopra di loro.

“Cosa—?” Harry si volta, zittendosi.

Ci sono—ci sono dei draghi che stanno viaggiando verso di loro.

Cosa? Chi sono? Da dove escono fuori?

Si volta verso il cavaliere dagli occhi azzurri, che si limita a sorridergli: “Sapevo che sarebbero arrivati.”

“Louis, di che cosa stai parland—?”

E, oh. Oh.

Harry sgrana gli occhi, poi li assottiglia per vedere più chiaramente, perché quello è decisamente—Urich.

Dèi, riconoscerebbe quel drago a metri e metri di distanza ed è super sicuro che sia effettivamente Urich; con dietro—Neevae, Huton e tutti i draghi delle Sentinelle dell’Ovest.

Con a cavallo i rispettivi padroni.

Il ragazzo dagli occhi verdi trattiene il fiato, esterrefatto, fin quando Michael e il rispettivo drago non atterrano al suo fianco, seguito da tutti gli altri.

I cavalieri nel cortile fuori dalla reggia si guardano intorno, curiosi e confusi, ma Harry non li nota; è troppo impegnato a riconoscere quei volti, che non vedeva da appena qualche giorno ma che gli sono mancati tanto, troppo.

Niall si fa spazio tra gli altri, su Huton che sbatacchia la grande e tozza coda da una parte all’altra. All’occhiata che gli riserva Harry, risponde con una scrollata di spalle e un sorriso divertito.

“Non avremmo mai potuto lasciarti da solo, andiamo—Se stai andando a morire il minimo che possiamo fare è starti dietro per raccogliere la tua carcassa, no?”

Liam gli lancia un’occhiataccia: “Intende dire che staremo al tuo fianco. Sempre.”

Harry non riesce a togliersi il sorriso dalla faccia, vorrebbe scendere da quel drago ed abbracciare tutti, uno per uno. E ringraziarli, ringraziarli di essere diventati parte fondamentale della sua vita e per averlo aiutato a maturare e diventare la persona che è adesso.

Invece, si limita a voltarsi verso Louis.

“Lo sapevi?” domanda.

Quello scuote le spalle, mordendosi l’interno della guancia: “Conoscendoli, sapevo che sarebbero venuti.”

Harry gli sorride e si ruota nuovamente verso gli altri; cerca di guardarli uno per uno, sorridendo incoraggiante e grato.

“Grazie.” Non crede di essere stato più sincero in tutta la sua vita.

Fa cenno al resto del seguito che ora, davvero, è pronto a partire verso la Barriera.

I draghi prendono la rincorsa e si librano su nel cielo rosso sangue, proiettando ombre gigantesche su chi è rimasto a terra.

Prende un nuovo respiro d’aria fredda, socchiudendo gli occhi e stringendo più forte il corno del drago al quale s’è aggrappato: il vento gli spinge indietro i capelli, sulle spalle.

Con la coda dell’occhio si guarda indietro e li vede tutti.

Vede i generali amici di suo padre, e vede Will, Greg, Jeff, Liam e Zayn, e tutti gli altri; sotto di lui, poco lontano, Louis.

Benché l’ansia e la paura gli stiano ancora divorando le ossa, sente i suoi nervi allentarsi un po’, la realizzazione che s’impadronisce lentamente di ogni fibra del suo corpo.

Ci siamo. Si morde il labbro inferiore.

Ci siamo.

Ci vogliono ore intere per arrivare alla Barriera.

Un enorme confine sulle montagne innevate che si estende fin dove la vista può vedere; accampamenti di soldati, muri fatti con tronchi d’alberi segati ed appuntiti, odore di legna bruciata e terra.

Atterrano su un altopiano scavato nella roccia ricoperta da un sottile strato di neve, proprio davanti all’accampamento principale delle Sentinelle del Nord: ad aspettarli, all’ingresso, c’è un uomo dalla folta barba bruna, con il suo seguito.

Si presenta come Tom, e guida Harry e gli altri attraverso dei tunnel scavati nella montagna, illuminati malamente da un paio di torce.

Louis riconosce quei luoghi, e la sua tensione è percepibile da chiunque. I ricordi del tempo passato lì devono riaffiorargli dolorosamente.

Harry gli sorride e l’altro pare tranquillizzarsi.

Camminano per un tempo che pare infinito, tra cunicoli e strettoie e quell’odore di umido e stantio.

Harry è in cima alla lunga fila, seguito immediatamente da Louis, che tiene alta una torcia alta per illuminargli la strada e gli stringe la mano e gli pizzica il gomito.

La tensione è letteralmente palpabile, nell’aria. Ci provano—ci stanno provando tutti—a non pensarci, a non pensare che tra poco incontreranno Othrod in persona.

Quello di cui tutte le leggende parlano, e che tutti segretamente temono.

Ma, è difficile non pensarci. Insomma.

Questo giorno, comunque vada, farà la storia; ci scriveranno canzoni e ci cuciranno arazzi e dipingeranno pareti.

Harry si obbliga a non pensarci; seguirlo in questa missione non è stato solo un atto d’affetto, ma d’incredibile coraggio e audacia. Se oggi le cose non andranno per il meglio, tutti i nomi di tutte le persone presenti con lui verranno irrimediabilmente infangati.

Famiglie intere disonorate, compresa la sua.

Viene strappato via dai suoi pensieri quando Tom, davanti a lui, si blocca di colpo, proprio davanti ad una porta chiusa dalla quale fessura esce uno spiraglio di luce biancastra.

“Abbiamo attraversato la montagna da lato a lato” annuncia, col suo tono possente: “Othrod, questa notte, ha mandato una lettera. Dice che v’incontrerete alla Rupe dei Falchi; è uno sperone di roccia a poche miglia da qui.”

Harry annuisce, lasciandolo continuare.

“—Ha scritto che dovrete andare lassù da solo, scontrandovi con lui. I nostri rispettivi eserciti combatteranno in un’ultima, decisiva battaglia nel passo proprio sotto la Rupe.”

Fruga sotto l’armatura, estraendone una pergamena con lo stesso marchio di quella che Gemma, giorni prima, gli aveva dato: la lingua è ancora a lui sconosciuta, ma dietro al foglio la traduzione è scarabocchiata.

Le dà un’occhiata, poi alza gli occhi: “Io ho un esercito?”

L’uomo lo guarda, ghignando dietro la folta barba; preme una grossa e ruvida mano contro la porta di legno, spalancandola in un colpo solo.

La luce accecante del giorno costringe tutti i presenti dentro il tunnel a serrare per un attimo gli occhi; Harry è il primo ad aprirne uno. Poi l’altro.

Fa qualche passo in avanti, oltrepassando Tom e la porta, fino ad uno spiazzo di pietra che assomiglia molto ad un balcone.

Appoggia i palmi delle mani sulla pietra fredda del cornicione, mettendo a fuoco lo spettacolo che gli è presentato davanti.

File e file e file di uomini sotto di lui, perfettamente allineati ed armati; centinaia di teste ricoperte da elmi che brillano sotto la luce del sole, armature che sembrano prendere fuoco.

Il suo respiro sembra scivolargli via dai polmoni, mentre osserva quello che è il suo esercito.

Le punte delle lance e delle spade sembrano allungarsi all’infinito, sopra gli uomini, mentre i loro capi sono rivolti a lui in attesa di rendergli servizio.

Tom lo affianca, insieme a tutti gli altri. Nessuno non riesce a spalancare la bocca, davanti ad uno spettacolo del genere, salvo Louis, che probabilmente ne è già abituato.

“Avete il migliore esercito che si possa desiderare, vostra altezza.” L’uomo batte una mano sul cornicione di pietra: “E sono pronti a morire per voi e per il nostro regno.”

Harry annuisce, lentamente. Ci siamo. Una voce dentro di lui glielo ricorda, ma non lo spaventa.

Sa che arrivato il momento, sente una tranquillità ed una convinzione disarmanti prendere possesso del suo corpo.

Ci sono. E sono pronto. È nato per combattere.

“Non lotteranno invano.”

Viene dato un cavallo, a Harry, per raggiungere la Rupe; nel tempo che ci impiegherà per farlo, tutti i soldati si dirigeranno al passo per prepararsi all’ultimo scontro.

“Mettila così,” Liam gli dà una pacca sulla spalla: “mentre tu cercherai di ucciderlo, noi saremo qualche centinaia di metri sotto di te a cercare di non farci trafiggere. Sarà—molto epico.”

Harry abbozza un sorriso. “Non fatevi uccidere, okay? Davvero.”

Michael scoppia a ridere: “Se succederà, sta pur certo che non sarà per nostro volere.”

Si allontanano tutti, seguendo uno dei generali e le sue truppe; accanto a Harry, rimane solo Louis.

Guarda il cavallo, qualche metro più in là, legato ad un palo di legno, poi lascia ricadere lo sguardo sul ragazzo dagli occhi verdi.

“Sai che—” comincia, grattandosi il retro del collo: “—ho incontrato Calum, Ashton e Stan prima, mentre stavi parlando con quei generali? Sono in mezzo all’esercito anche loro.”

Harry spalanca gli occhi, piacevolmente sorpreso. “D-davvero?” esclama: “Dove sono?”

“Con le loro truppe, ma ti mandano i loro saluti, avrebbero voluto incontrati ma il tempo non ci è amico.”

Il ragazzo dagli occhi verdi non risponde; una parte di lui è davvero, davvero felice di sapere che dei compagni che non vedeva da mesi interi stiano bene, un’altra è terrorizzata dall’idea che altre persone stiano effettivamente andando a combattere la sua battaglia.

Rimangono in silenzio per qualche minuto.

“Se adesso ti prego in ginocchio di mandare me, al posto tuo, avrò qualche possibilità?” sussurra in fine Louis, avvicinandosi ancora di più.

Harry ridacchia. “Non credo proprio—Insomma, non vuoi andare in battaglia per vendicarti e uccidere più Barbari che puoi?”

Louis alza lo sguardo al cielo. “Sai cosa? Ho sempre creduto che, una volta arrivato alla Barriera, l’unico mio pensiero sarebbe stato uccidere e uccidere e uccidere. Ma—quando ero davvero qui, l’unica cosa a cui riuscivo pensare era—”

Lo guarda, si morde l’interno della guancia: “—era: vi prego, lasciatemi vedere un’ultima volta le persone che amo.

Harry sospira avvicinandosi a lui: “Spero che, alla fine di questa giornata, io possa rivederti.”

Louis posa una mano sul suo petto, sull’armatura. “Tu sei un grande combattente, Harry.” Lo guarda dritto negli occhi, scavandoci dentro: “Non ho mai visto qualcuno più abile e veloce di te, con la spada—Io so che tu puoi riuscirci. So che puoi farlo. So che puoi salvarci tutti. Ma—”

Distoglie lo sguardo: “—qualsiasi cosa succederà oggi—uhm. Sappi, sappi che—Io non ho mai creduto agli dèi o alla vita dopo la morte, ma—Spero che esista solo per rincontrarti, per rivederti.”

Harry se lo trascina contro, affondando il naso nei suoi capelli.

È cresciuto tantissimo dalla prima volta in cui l’ha incontrato ed ora è un’intera spanna a dividerli; l’armatura rende l’abbraccio più goffo di quanto in realtà non sia, ma va bene comunque.

Dopo qualche minuto, Louis si stacca, ma solo per posare delicatamente le labbra sulle sue.

“Ho così tanta paura per te, Harry.”

“Io credo che le ginocchia si rifiuteranno di camminare, una volta arrivato lì.”

Louis ridacchia appena. “Non mi dire che sei terrorizzato anche te.”

“Da morire. Ma, sai, una volta una persona mi ha detto una cosa che non credo dimenticherò mai.”

“Ah, sì? E cos’era?”

Harry gli posa un altro bacio sulle labbra. “Che non devo lasciare che le mie paure si prendano la parte migliore di me. O qualcosa del genere.”

Louis rimane in silenzio: “Era Liam, vero?” sbotta infine.

L’altro annuisce, ridacchiando appena.

Il cavaliere dagli occhi azzurri emette un sibilo basso: “Lo sapevo—Lui è esattamente il tipo di persona da dare questi consigli.”

C’è un ultimo grido di richiamata, per l’esercito; Louis si trova costretto a lasciare Harry.

“Promettimi di non morire. Promettilo.”

“Lo prometto.” E lo pensa davvero, mentre vede Louis allontanarsi, di spalle.

Gli zoccoli del cavallo producono un rumore secco contro la pietra, mentre percorre il sentiero che Tom gli ha indicato per raggiungere la Rupe.

Le rocce sono grigie e spigolose, ricoperte da neve sciolta.

Se si sporge appena, riesce a scorgere—centinaia di metri sotto di lui—i soldati camminare in fila per il passo tra le montagne.

Anche se sa perfettamente che è impossibile riuscire a riconoscere una singola persona da quell’altezza, non può fare a meno di cercare disperatamente di trovare qualche sagoma familiare, tra tutti quei soldati e quegli uomini.

Distoglie lo sguardo. Deve concentrarsi, solo su se stesso.

Stringe le ginocchia intorno al ventre dell’animale e, prese più saldamente le briglie in mano, lo intima ad accelerare.

Riesce a scorgere la Rupe da lì: un enorme sperone di roccia appuntita, orizzontale e liscia, che svetta dalla montagna come il prolungamento di un arto.

Lo scudo, la spada, l’armatura e il pugnale pesano, ma non è niente in confronto alla forza che gli stringe il petto e gli blocca il cuore.

Per un attimo gli manca l’aria e sente il suo corpo iniziare a scivolare via dalla sella.

Si riprende il secondo successivo; socchiudendo gli occhi per costringersi a ricacciare indietro la paura.

Respira.

Se volta lo sguardo a destra, riesce a scorgere tutte le montagne e, ancora più in là, le foreste, i laghi, le colline che formano il suo regno; è così bello.

Suo padre, e il padre prima di lui, e quello prima ancora hanno governato su tutte quelle terre: dal versante Sud al Nord, dall’Est all’Ovest, passando per ogni pianura, fiume e bosco.

E poi le città, i villaggi che sono sorti e hanno proliferato, crescendo ed acquistando potere.

Sembra tutto immobile e tranquillo, da lì. Immortale e statico.

La Rupe si avvicina, ogni metro di più.

Scosta appena lo sguardo a sinistra, e il cuore gli sale in gola: da lì, riesce a scorgere una massa nera, scura, muoversi come un’unica onda.

Non perde nemmeno tempo a chiedersi cosa sia, perché sa che quelli sono Barbari, e si stanno dirigendo proprio contro il suo esercito, per combattere.

Indossano le loro armature nere e le lance svettano dai loro capi, scendono il pendio con vorace frenesia, quasi non vedessero l’ora di scontrarsi coi loro nemici: Harry è sicuro che, sotto si lui, nessuno dei suoi li abbia ancora visti.

Ci sono troppi speroni e rocce a dividerli, ma presto si scontreranno. Poco ma sicuro.

Prende un altro profondo respiro, fin quando non decide di fermare il cavallo; scende dalla sella con un movimento fluido.

Dà una pacca sulla coscia dell’animale, facendolo allontanare nel verso opposto: si gode per un attimo la vista di quel bellissimo destriero correre per il sentiero e sparire, in lontananza.

Decide di voltarsi, respirando lentamente. È ai piedi della Rupe dei Falchi, il sole è alto nel cielo, ma ricoperto da nuvole grigie che ne oscurano la luce.

Passo dopo passo, comincia ad arrampicarsi su quella salita di roccia brulla, per arrivare allo sperone; sente i sassi scricchiolare sotto i suoi piedi, e ode vagamente il rumore del vento tra le fessure della pietra.

Il suo corpo si muove con rigidità e precisione, non tentenna nemmeno un secondo.

Quando, dopo quelle che sembrano ore intere, riesce finalmente a raggiungere lo sperone di roccia; si concede un paio di secondi per riprendere fiato e guardarsi intorno.

Ad una prima occhiata, gli sembra di essere solo.

La roccia è liscia e prosegue orizzontale e dritta, fin dove l’occhio riesce a vedere; non c’è un arbusto, o un albero. È spoglia e brulla, nemmeno la neve sembra essersi posata su di essa.

Sente un fruscio provenire dalla sua destra ed, automaticamente, afferra l’elsa della propria spada, voltandosi.

Harry non sa cosa aspettarsi.

Non che l’abbia mai effettivamente saputo, ma. Non aveva mai nemmeno perso tempo ad immaginare come fosse effettivamente il rivale: le leggende non sono mai state attendibili.

Ora che lo vede, però,—ora che Othrod è davanti a lui—può confermare che, dietro a tutte quelle storie, dietro a tutte quelle parole, forse qualcosa di vero c’è.

Harry fa un passo indietro, come se il suo nemico, il re dei Barbari, non riuscisse ad entrare completamente nella sua visuale; cosa che, almeno in parte, è vera.

La prima cosa che nota è che lui è molto più umano di quando non fosse quel Barbaro che aveva ucciso dentro la grotta: la sua pelle grigia è liscia e tesa, sopra i muscoli delle braccia e delle gambe.

Cicatrici profonde gli solcano ogni parte del corpo, creando reticoli di linee biancastre: è alto e possente, tanto che Harry è costretto ad alzare di molto lo sguardo, per riuscire a scorgere la sua intera figura.

Il suo corpo è quasi completamente ricoperto dall’armatura nera e graffiata e solo il capo è lasciato libero: il volto è schiacciato e, in mezzo, sono incastrati due occhi più neri della pece.

Poco più giù, una bocca frastagliata e scura, riempita di denti affilati come lame, piegata in una smorfia indecifrabile.

Non è umano, non è la sua razza, Harry lo sa—ma c’è qualcosa nel suo portamento fiero, nelle sue spalle ben piantate, nella postura, che in qualche modo ricorda l’orgoglio spregiudicato tipico degli essere umani.

Le sue mani, enormi e gonfie, tengono tra le mani una spada lunga e seghettata, dal manico d’osso.

Harry alza nuovamente lo sguardo, incrociando i suoi occhi; scintillano di una luce incomprensibile.

“Non credevo saresti venuto, Styles.” Il suono della sua voce è un falco che gratta gli artigli contro la pietra: un rauco, basso e stridulo suono da far ghiacciare il sangue nelle vene.

Utilizza l’idioma del Nord, per parlare, ma è stentato è molto gutturale.

Harry si raddrizza nelle spalle, aumentando la presa sulla spada e sullo scudo: “Ho finalmente davanti Othrod il Nero, di cui parlano tanto le leggende, nel mio popolo.”

La sua voce è ferma e rilassata, in contrapposizione al suo corpo teso e attento, pronto a scattare al minimo movimento.

Il Barbaro davanti a lui emette una risata simile ad un latrato agognante, e ruota in aria la spada, con un sibilo:

“Il tuo popolo parlerà anche di questo giorno” gorgheggia, facendo un passo indietro: “Avranno altre leggende da raccontare.”

“Perché oggi? Perché questo incontro? Cosa speri d’ottenere?” Harry pianta saldamente i piedi al suolo, la voce che gli fuoriesce dalle labbra è netta e pulita; non ha potuto fare a meno di domandarlo, domandarsi ilperché tutto questo è perché proprio ora.

Othrod, davanti a lui, rimane immobile per un attimo.

“I nostri popoli hanno lottato troppo a lungo” ringhia poi, con voce pensante: “Li senti? Li senti combattere sotto di noi?”

Harry non ha idea a cosa si stia riferendo il suo nemico fin quando, con una folata di vento freddo, non giungono alle sue orecchie suoni lontani di una battaglia: urla, scudi che battono su scudi, spade che sibilano, lance e frecce che vengono scagliate.

La battaglia, sotto di loro, è cominciata.

Spalanca gli occhi, e Othrod coglie l’espressione all’istante.

“—Li senti, vero?” Rimane in silenzio per un attimo e altre urla riempiono l’aria, urla di dolore e di incitamento: “Per troppi anni del sangue è stato versato inutilmente. È il momento di finire ciò che è iniziato con il re prima di te e che ora la montagna ha inghiottito.”

Fa una pausa, prima di continuare. “Questi sono i nostri eserciti” urla al vento: “I nostri unici eserciti. Oggi non ci saranno superstiti. Fino all’ultima goccia di sangue, combatteremo. Fin quando non ci sarà un vincitore.”

Harry deglutisce, e sente la sua gola bruciare.

Solo vincitori e vinti.

“Ma—” Il Barbaro davanti a lui alza la lama seghettata in aria: “—volevo essere io ad uccidere il mio nemico con le mie stesse mani. Per questo ti ho chiamato qui. Per combattere, fino alla morte—Se in questo giorno vincerò, le tue terre saranno mie.”

“E se vincerò io, voi non verrete mai più a minacciare i miei confini.”

C’è tensione nell’aria.

La lama di Othrod gli si scaglia contro prima che Harry sia in grado di rendersene conto; la riesce a bloccare all’ultimo secondo, con la propria.

L’altro la ritira immediatamente indietro, e la affonda nuovamente, l’istante dopo: Harry si ruota su un fianco ma non abbastanza velocemente. Sente la lama dell’altro squarciargli la guancia, in una ferita.

Si getta a terra, cercando di utilizzare lo scudo per parare i colpi che Othrod cerca di infliggergli pesantemente: la lama seghettata più di una volta s’incastra nel legno e nel ferro dello scudo, quasi spezzandolo a metà.

Harry sente la roccia e la polvere appiccicarsi al suo corpo sudato ed entrargli nelle narici.

Si alza con un movimento fluido affonda con la spada proprio nello spesso istante in cui il Barbaro alza la sua arma per un ulteriore colpo: il ragazzo riesce ad aprire una ferita scura sul fianco dell’altro, proprio tra le giunture dell’armatura.

Poi si ruota e si allontana appena, saltando su una serie di piccoli massi per riuscire a raggiungere l’altezza ideale per scagliare un colpo, cercando di mirare alla spalla spoglia del suo nemico; quello, però, è troppo veloce.

Con un braccio possente gli si scaglia contro, spingendolo indietro con una forza tale da fargli compiere un volo di qualche metro.

Harry cade a terra, di schiena, con un tonfo sordo: un dolore lancinante gli si propaga per tutta la schiena e le spalle, rendendogli impossibile respirare per qualche secondo.

Sente i passi pesanti di Othrod avvicinarsi: “Ma non capisci?” gli ringhia, passando la spada da una mano all’altra: “Siete già tutti morti.”

La alza, scagliandola con quanta più forza ha nel corpo contro la testa del ragazzo dagli occhi verdi; quello riesce a rotolarsi via, in modo da schivarlo e la lama finisce per incastrarsi tra la terra.

Harry si alza, e decide di che lo scudo non gli è più d’utilità: lo afferra saldamente, buttandolo con violenza contro il costato del suo nemico.

Quello emette un gemito basso, dolorante: la forza di quel colpo deve sicuramente avergli fratturato qualche osso, anche se è protetto dall’armatura.

I suoi occhi, se possibile, sembrano diventare ancora più neri: libera la spada con un ultimo gesto secco e comincia ad affondare colpi netti e precisi contro Harry.

Quello schiva e para, contrattaccando di tanto in tanto, quando non è troppo impegnato a retrocedere, sotto la spinta dei colpi dell’altro.

Per quando ci provi, non riesce a non pensare agli urli e ai suoi di spada che sente provenire dal passo sotto lo sperone: ogni minuto che perde in questo stupido combattimento, sono centinaia e centinaia di uomini uccisi in battaglia, proprio sotto di lui.

E ci potrebbe essere Louis, lì in mezzo.

Il pensiero lo terrorizza a tal punto che per un attimo perde la concentrazione e rischia d’inciampare su una roccia: per fortuna il riflesso è veloce e riesce a riprendersi prima di cadere.

Lascia la propria lama scivolare con uno stridio acuto contro tutta la lunghezza di quello dell’altro, sentendo i propri muscoli tendersi e pompare sangue più velocemente possibile; il sudore gli cola giù per il volto e sotto l’armatura.

Riesce a respingerlo, affondando la lama contro il suo braccio, ma lo graffia appena.

Othrod lo colpisce a mani nude, con un pugno chiuso, facendogli compiere con la testa una rotazione di novanta gradi, repentina e dolorosa; i denti squarciano l’interno della guancia, lasciando che un fiotto di sangue gli impasti la lingua.

Indietreggia di qualche passo, sputando grumi su grumi. Una massa di puntini bianchi gli acceca per un attimo la vista.

“Stupido.” Othrod si lancia un’occhiata spregiudicata alla ferita sul fianco, senza battere ciglio: “Li stai portando tutti alla morte, sai? Uno per uno—Li senti? Stanno tutti morendo per te.”

“Non è vero” borbotta Harry, tra uno sputo e l’altro.

Il Barbaro lo guarda. “No?”

“Non—non stanno combattendo per me.” Alza lo sguardo, una smorfia divertita gli piega il volto: “Non stanno morendo per me.”

Othrod rimane immobile, la spada stretta tra le mani; osserva il ragazzo. “E per chi, allora?”

Harry sorride, anche se prova talmente dolore che potrebbe mettersi a vomitare da un momento all’altro: “Lottano perché domani i loro figli non vengano mandati alla Barriera, lottano per avere un futuro—e per sconfiggere chi glielo sta negando.”

Percepisce fuoco, scorrergli nelle vene; perché lo pensa, lo pensa davvero.

Lui non è re, adesso, nessuno sta combattendo perché lui gliel’ha ordinato.

Tutti, da primo all’ultimo, stanno lottando perché sono stanchi di questa guerra e vogliono solo che finisca.

E se deve succedere oggi, che succeda nel migliore dei modi.

Harry ruota la spada in aria e la punta proprio contro il suo nemico: con una rincorsa, si getta contro di lui, affondando la lama.

Quello la para malamente, preso alla sprovvista, ed indietreggia. Il rumore secco e metallico dei colpi che si stanno infliggendo e parando uno dietro l’altro, a velocità stupefacente.

La precisione di Harry nello scagliare i colpi, lascia il nemico esterrefatto per qualche secondo.

Othrod si limita ad indietreggiare, cercando di non lasciare che la lama del ragazzo si avvicini troppo al suo corpo.

Dopo qualche secondo di confusione, riesce a riacquistare lucidità e a parare più nettamente ai colpi: spinge indietro Harry, affondando e colpendo con più forza possibile.

Il ragazzo comincia indietreggiare, ma non perde speranza: i suoi colpi sono ancora puliti e netti, mentre cerca di colpire per scalfire il suo nemico.

Passano minuti interi, in una continua lotta disperata, in continui affondi parati o schivati.

Solo dopo tutto ciò, improvvisamente, un’ombra oscura il sole per qualche istante; entrambi alzano la testa al cielo vedendo—draghi.

Draghi su draghi che volano sopra di loro, lasciando cadere le rocce che tengono tra le zampe, sui Barbari: emettono ruggiti bassi che fanno vibrare la terra stessa.

Stanno partecipando alla battaglia—È il primo pensiero che colpisce la mente di Harry, mentre osserva esterrefatto i loro ventri volare sopra la sua testa.

E questo è strano, perché i draghi non potrebbero partecipare a questo tipo di battaglia: sono creature troppo preziose e grandi per combattere in luoghi così angusti, sulle montagne.

Eppure—eppure sembra che adesso loro vogliano essere lì. Vogliano dare una mano.

Harry riabbassa lo sguardo, sorridendo inconsciamente; vinceranno, ne è sicuro.

Riesce a leggere la rabbia e la frustrazione negli occhi del nemico, l’istante prima che quello, con tutta l’ira che ha nel corpo, si scagli sopra di lui e lo blocchi a terra, sotto il peso del suo corpo.

Il ragazzo dagli occhi azzurri non riesce a metabolizzare ciò che sta accadendo fin quando non scorge la lama di Othrod alzarsi nel cielo e cadere pesantemente contro di lui.

La punta scava nella carne della sua spalla, proprio vicino al collo, trapassandolo di netto.

Urla, forte, fortissimo. Un grido agghiacciante.

Sbatte le palpebre, piegando la testa per osservare tutto—tutto quel sangue fuoriuscire dalla ferita, sporcando la lama dell’altro.

Non credeva fosse possibile perdere tutto quel sangue. Non sapeva che dentro il suo corpo ci fosse così tanto sangue.

Bagna la terra, la sua armatura, gli cola fino al collo, gli sporca le braccia.

Il dolore è talmente forte da non permettergli di pensare lucidamente; un unico urlo gli rimbomba dentro la testa, ed è quello che lo avverte che la fine è vicina.

Che è finita.

Anche se vinceranno, Harry non vivrà abbastanza a lungo per godersi la vittoria.

Sta per morire. Ne è consapevole.

Il volto di Othrod, sudato e sconvolto dalla rabbia, è a poca distanza dal suo: lo guarda, gli occhi neri spalancati.

“Tu morirai, oggi” gli ringhia: “E sarò io ad ucciderti—qualsiasi cosa accada.”

Con un movimento secco, estrae la spada dalla ferita, afferrandola con entrambe le mani e puntandola proprio al centro della fronte di Harry.

Quello urla, il dolore diventa insopportabile.

È finita.

Ma—nella sua mano destra è ancora stretta la spada.

Una nuova, sconosciuta voce si fa largo dentro di lui.

No, non ancora.

Con la mano libera afferra una manciata di terriccio da suolo e lo getta contro gli occhi di Othrod, facendolo vacillare per un attimo.

Un attimo più che sufficiente.

Harry afferra la propria spada, facendo ricorso a tutte le sue ultime forze, e la spinge contro il suo collo scoperto: la lama affonda nella carne, del sangue nero cola dappertutto, sporcandogli anche il volto.

La preme più forte, più forte ancora fin quando non percepisce l’altra estremità della lama passare oltre il collo, trapassandolo.

Gli occhi di Othrod sono spalancati, lo guardano.

Apre la bocca, esce del sangue ad ogni pulsazione.

C’è un silenzio assordante.

Dopo un paio di gorgoglii incomprensibili, Harry riesce ad udire un flebile: “Giochi sporco.”

Poi il suo corpo cade, lentamente, su un fianco: il suo sangue sporca tutta la terra intorno a loro.

E non ci sono urla, non ci sono tonfi né botti: tutto si ferma.

Tutto è finito così, in un lamento gorgogliato.

Respira pesantemente, ributtandosi a terra con la schiena e cercando di strisciare lontano dalla carcassa del Barbaro: il dolore lo colpisce come un colpo in testa.

Boccheggia, mentre brividi di freddo s’impossessano del suo corpo.

Non riesce a smettere di sorridere; stanno vincendo.

Finalmente, stanno vincendo. Gli viene quasi da ridere al pensiero.

Prende un’ultima boccata d’aria, già percependo il suo corpo abbandonare le forze e cadere nell’oblio.

“Preferisco il termine—” la sua voce è un sussurro dolorante, inudibile: “cercare di vincere.”

Sorride ancora, chiude gli occhi.

E lascia che l’oscurità l’avvolga.

§

Le palpebre gli si spalancano di scatto, insieme alle labbra, che cercano disperatamente ossigeno con cui riempirsi i polmoni.

È buio, buio pesto. E—non ha idea di dove si trovi.

Una finestra illumina vagamente la stanza—e il letto su cui è sdraiato.

Cerca di voltare la testa ma un dolore lancinante gli blocca il movimento. La ferita alla base del suo collo pulsa di dolore, sotto le—bendature?

Sbatte più volte le palpebre, la testa sembra esplodergli di dolore.

“Shh, fa piano.” Una voce proviene alla sua destra: si volta appena.

È Michael.

Michael che gli sorride.

“Sono felice di vedere che ti sei svegliato, hai dormito per quasi due giorni—Ora sta’ buono, devo cambiarti le bende.”

Le sue dita esperte cominciano a tagliare vie le bende vecchie dalla sua pelle; Harry vorrebbe poter parlare, dire qualcosa, ma la sua gola è talmente secca e lui si sente così debole da non riuscirci.

Alzando appena la testa, riesce a scorgere una sagoma, seduta scompostamente su uno sgabello, accanto al letto: spalanca gli occhi, un calore pare invadergli improvvisamente le membra.

Louis.

Vorrebbe urlarlo, ma non ci riesce.

Michael sembra capire i suoi pensieri: “È stato lui a trovarti—pensava fossi morto. È stato qui accanto a te per tutto il tempo” ridacchia appena, cominciando ad applicare le bende pulite sulla sua pelle: “L’ho costretto a dormire un po’—non lo svegliare.”

Harry annuisce e lascia ricadere la propria testa sul cuscino. Rimane in silenzio.

“Dove siamo?”

“All’accampamento a Nord.”

“Abbiamo vinto?” La sua voce risulterebbe completamente inudibile, se non fosse per il silenzio e per il fatto che Michael è ad appena qualche spanna dal suo volto.

Lo guarda, sorride, ha gli occhi lucidi.

“Abbiamo vinto.”

§

Ripartono per tornare al castello tre giorni più tardi, quando tutti sembrano essersi ripresi dalle ferite che si sono procurati in battaglia.

Harry fa ancora fatica a reggersi in piedi perché, stando ai medici dell’accampamento Nord, ha perso quantità di sangue disumane.

Hanno avuto molte perdite, Harry costata nei giorni successivi: ma nessuna delle Sentinelle dell’Ovest è stata fatalmente colpito.

Louis riporta solo una ferita, su un fianco, piuttosto profonda, ma curabile.

Quando Harry lo rivede per la prima volta, gli si fionda praticamente addosso, abbracciandolo: Louis gli racconta di come, una volta terminata la battaglia, lo fosse andato a cercare e di come aveva trovato i suoi corpo—accanto a quello di Othrod—completamente esangue.

“Credevo fossi morto—Dèi, non puoi capire quanta paura avessi in quel momento” gli rivela con la voce tremante, dentro l’abbraccio.

“—Ma io sapevo—sapevo che non potevi essere morto. Mi avevi promesso che non saresti morto.”

Harry lo guarda. Lo guarda e gli sembra di vederlo sotto una luce molto più splendente di quanto non sia: i suoi occhi sono più blu e limpidi.

Si baciano, si baciando anche se entrambi sono ancora deboli e anche quando gli manca l’aria, si baciano perché ancora tutto sembra troppo bello per essere vero.

Festeggiano con grandi banchetti, tutti elogiano Harry e gli chiedono di raccontare per filo e per segno cosa sia accaduto sulla Rupe.

Harry lo fa, e tutti pendono dalle sue labbra.

Ritornano al castello coi draghi (solo alcuni sono rimasti gravemente feriti, durante l’attacco e gli altri sono perfettamente in grado di volare), pochi giorni dopo, e Harry si aggrappa tutto il tempo alla vita di Louis, su Masha, col mento appoggiato alla sua spalla.

Lancia occhiate a Niall, Greg, Calum e Asthon, a Liam e Zayn che volano vicini, un po’ ammaccati, ma salvi.

Quando atterra nel cortile della reggia è Gemma la prima ad andargli incontro—subito prima di Sheen, che si appollaia sul suo braccio—; lo abbraccia, quasi scoppiando in lacrime e lo ringrazia centinaia e centinaia di volte perché è tutto davvero finito.

Una volta per tutte.

Quando si stacca, gli bacia le guance e gli sorride come se lo vedesse per la prima volta.

“Il nostro popolo sarà fiero di avere un re come te.”

Harry la guarda: “Gemma, io—io ho preso una decisione che spero tu accetterai.”

Prende un profondo respiro, guardandola dritta negli occhi.

“Voglio sia che sia tu a governare questo regno.”

Sale un sussulto generale da tutti i presenti, dalle Sentinelle ai cavalieri alla sorella stessa, che spalanca gli occhi:

“C-cosa—?”

“Ascoltami,” Harry le sorride: “io ho avuto tanta, troppa fortuna ultimamente. Non sono forte né potente come sembro. Non ho né il carattere né la volontà di governare su un regno come questo, ma—tu sì.”

Le afferra le spalle, scuotendola piano: “Tu sei—realista, pragmatica. Riesci sempre a controllare tutto e assicurarti che tutti stiano bene. Sei intelligente, istruita, brava con la spada. Io non sono così; andrei in panico al primo problema e non riuscirei a risolverlo.” Prende un profondo respiro: “Voglio che tu diventi la nuova sovrana di questo regno e non accetterò un no come risposta.”

Gemma lo guarda; gli angoli dei suoi occhi sono ricolmi di lacrime di gioia.

“E tu dove andrai?” domanda dopo minuti interi: “Pensavo che saresti rimasto qui—e saremmo diventanti entrambi Sacerdoti—Non vuoi più esserlo?”

Harry sorride, e si sfila dal collo l’anello di ferro dal collo, posandolo tra le mani della sorella.

“Io non ne ho più bisogno.” Lancia uno sguardo a Louis: “Credo—Credo che tornerò all’accampamento all’Ovest. Credo che tutto vada bene così. È quella la mia casa, adesso.”

Louis gli sorride di rimando, dolcemente.

Harry si volta verso la sorella, che sta facendo passare lo sguardo su entrambi, come se avesse già capito tutto; lei ha sempre capito tutto. Harry l’adora per questo.

“Prometti che mi verrai a trovare. Spesso—molto spesso” gli sussurra.

Harry l’abbraccia, la stringe forte e si gode il suo profumo dolce per qualche attimo.

“Lo prometto.”

Ritornare all’accampamento riempie il cuore di Harry di gioia.

È ormai l’ora del tramonto, quando i draghi raggiungono l’altopiano e planano; Harry riappoggia i piedi su quel suolo tanto familiare e si gode l’aria fresca della sera.

Sheen saltella giù dalla sua spalla ed emette uno sbadiglio gutturale, prima di zampettare verso Huton per giocare un po’.

La luce del sole illumina gli alberi, creando giochi di luce e ombra incredibili.

Tutti, silenziosamente, si dirigono alle baracche: sono stanchi e vogliono solo riposarsi dopo tutto quel viaggio e tutto quello che è successo.

Liam ha un braccio stretto intorno alla vita di Zayn e si dirigono dentro la stessa branda, in silenzio.

“Sai che un giorno li ho visti baciarsi?” sussurra Harry a Louis, appena fuori dalla loro, di branda.

Il cavaliere dagli occhi azzurri trattiene uno sbadiglio contro il palmo della mano: “Io una volta li ho visti fare di peggio—credimi.”

Harry ridacchia. “Non dirmi che sei già stanco, uh.”

Ehi, io—” gli punta un dito contro, aggrottando le sopracciglia in un’aria fintamente offesa; l’espressione, però, casca qualche secondo dopo, appena si perde negli occhi verdi dell’altro.

Alza gli angoli della bocca. “Sei così—maturato, Harry. Quasi non mi ricordo di come eri, la prima volta che ti ho incontrato” dice, dolcemente.

Harry gli posa una mano sul volto, accarezzandolo. “Irritante? Infantile?”

“Non essere così duro con te stesso. È solo che—mi sembra che tu sia sbocciato. E ora—ora sei davvero stupendo.”

"Per quanto possa dirne, non—credo sia stato tu a cambiarmi, Louis." Gli sorride: "Penso di essere cresciuto da solo."

"Sono fiero di averti aiutato in questo." Louis gli preme un bacio leggero sulla mascella, facendolo ridacchiare.

"Suppongo che dovrai continuare ad aiutarmi ancora per un po'."

Harry si stacca improvvisamente dal suo corpo, osservandolo con una smorfia indecifrabile sul volto; Louis aggrotta le sopracciglia:

"Cosa intendi dire?"

"Be'—” il dito di Harry scorre sulla sua spalla, leggero, prima che il ragazzo sopprima una risata e si diriga verso la loro branda.

"Forse domani potrei svegliarmi e non essere più un Vergine—chi lo sa?"

Ci vogliono un paio di secondi prima che il cervello di Louis riesca ad assorbire l'informazione.

Si volta di scatto, gli occhi spalancati e un misto di eccitazione ed adrenalina a riempirgli le vene, il sonno completamente abbandonato: osserva Harry lanciargli un'ultima occhiata maliziosa, prima di scomparire definitivamente dentro la tenda e fargli segno di seguirlo sul loro letto.

Louis inspira rumorosamente, mentre si libera già dei primi pezzi dell’armatura e si avvia dietro l’altro.

Harry—Harry domani potrebbe non essere più vergine? Intende che—?

"Oh.” deglutisce: “Ooh.

Image and video hosting by TinyPic

“So comes snow after fire, and even dragons have their endings.

― J.R.R. Tolkien

+++


*enter, fase sclero*

((se non ne avete ancora abbastanza di questa storia, cliccate qui e morite con me))

*exit, fase sclero*

~




Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3195686