Requiem for a Dream

di Dihe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Lei... ***
Capitolo 2: *** 2. ...E loro ***
Capitolo 3: *** 3. Battuto su carta ***
Capitolo 4: *** 4. Come un boato ***
Capitolo 5: *** 5. Acqua e sale, acciaio ***
Capitolo 6: *** 6. Frank-N-Furter, e urla ***
Capitolo 7: *** 7. Sensibile ***



Capitolo 1
*** 1. Lei... ***


Capelli bruni

1. Lei...

Frances esaminò con occhio critico la doppia punta di un capello che teneva fra l’indice ed il pollice. Leonor si era sistemata fra le gambe del suo ragazzo, sullo gabellino di metallo ruvido e rosa dove il suddetto “Ciccio” – Frances aveva quasi temuto fosse il vero nome del ragazzo, dato che lo chiamavano tutti in quel modo – si era sistemato per guardare la lezione di danza. Proprio quel giorno in cui Frances era stata abbastanza sfrontata da presentarsi a lezione di modern con solo il body e le culottes, quando di solito optava per dei leggings neri e coprenti. Ma quel pomeriggio faceva davvero troppo caldo. La madre l’aveva pure convinta ad indossare un paio di shorts di jeans, quelli sfilacciati sull’orlo, che Frances progettava di lasciare a vita nell’armadio; e lei, in un moto di “ispirazione” vi aveva abbinato una maglietta che aveva rubato dal cassetto di suo fratello. Bianca con sopra la stampa di un teschio che portava dei Ray-Ban giganteschi con la bandiera americana sulle lenti. In alto c’era scritto American Way ed era di una o due taglie più larghe di ciò che la quindicenne indossava solitamente, cosicché avesse trovato un pretesto per infilare il bordo negli shorts e lasciarla vaporosa sul busto, buttandosi da una parte i capelli umidi di doccia. Davvero un look troppo aggressivo per chi è solita ad indossare leggings neri con abbinato un poncho e delle Dr Martens. Se avesse saputo che sarebbe venuto anche Ciccio ad assistere alla lezione – nonostante Leonor tentasse di costringerlo a partecipare – avrebbe avuto la decenza di radersi l’inguine, come minimo.     
    Mentre il discorso delle sue compagne di danza deviava, come al solito, sui piani sentimentali ed ormonali, Frances prestò tutta la propria attenzione a quella doppia punta che tentava di separare in due con la mano sinistra, seduta a gambe incrociate davanti allo specchio che rivestiva l’intera parete. Fidanzati stronzi, spacciatori eccitanti, ogni singola parola idiota di quel discorso le arrivava – ringraziando iddio – attutita dai suoi ragionamenti, non basati interamente su quel capello castano, che alla luce delle lampade prendeva una sfumatura ramata.  
    ‹‹ Aspettate, io vorrei un po’ sentire la situazione sentimentale di Frances! ›› esclamò Leonor sorridendo. Tra tutte le oche delle sue compagne di danza, lei era tra quelle che Frances sopportava di più, ma in quel momento la odiò.
    La ragazza si distrasse dal suo capello, notando gli sguardi dei presenti puntarsi su di lei. Abbassò lo sguardo sospirando sommessamente.
    ‹‹ Allora, nessun ragazzo? ››

  Frances rialzò il viso poggiandosi con la schiena allo specchio freddo, lasciandovi un alone opaco. No, nessun ragazzo. Era al suo primo anno di liceo e, nonostante fosse quasi la fine dell’anno, non aveva parlato con praticamente nessuno escluso il suo compagno delle medie che andava nella sua stessa classe. Era riuscita a trascinare la sua migliore amica, che andava all’Accademia Artistica, fuori una sera ed a procurarsi una birra in un minimarket gestito da dei tunisini, costringendo l’altra a berne un sorso. La sua vita sociale dall’esposizione della tesina per l’esame di terza media a quel momento si era limitata a ciò, ripetutosi quasi ogni sera.

    ‹ Per ora i miei amori sono quel corso di fotografia a cui sono riuscita ad iscrivermi con non poca fatica e la voce tremendamente ›› erotica ‹‹ indescrivibile di Brian Molko dei Placebo mentre canta Protège-Moi. ››
    Come previsto, le sue compagne la guardarono stranite. Probabilmente non sapevano nemmeno chi fossero i Placebo, nonostante ballassero su un loro pezzo, quel pezzo. L’insegnante, invece, sorrise complice alla quindicenne, accavallando le gambe magrissime e diafane. Per fortuna, la lezione finì poco dopo, non che avessero fatto molto, dato che di solito passavano quell’ora e mezza sedute a gambe incrociate a parlare o cantare a squarciagola Rolling In The Deep di Adele o One Day di Asaf Avidan. Frances raccolse la bottiglia d’acqua e si rivestì in fretta, lasciandosi il body sotto ed aspettando di essere uscita dalla palestra per infilarsi le All-Stars turchesi. Si guardò nello specchio del corridoio, dove vi era appiccicata con lo scotch una foto di Roberto Bolle in tutto il suo splendore da statua greca, constatando che, sì, sembrava una sgualdrina idiota vestita in quel modo. Uscì di corsa dalla scuola di danza, salutando fugacemente la Angy, dietro la sua scrivania da preside, e la Lilli, dietro la sua scrivania da segretaria. Frances s’infilò un auricolare nell’orecchio – l’altro era rotto – ricominciando ad ascoltare quelle canzoni che né le sue compagne di scuola né di danza avrebbero capito o apprezzato, il che un po’ la isolava dal mondo. Sospirò, era l’imbrunire e la skyline agitata di New York si stagliava netta e scura e spaventosa su un cielo che sfumava dall’ocra al bronzo, macchiato di nuvole di un giallo smorto. Frances tirò fuori la reflex dalla Musto di danza, forse non le prestava abbastanza cure ed attenzioni, ma la voleva tenere sempre con sé. Attraversò la strada trafficata correndo, cercando di non farsi investire, e scattò. Osservò la foto sul rullino, e la rifece. Voleva immortalare quella crudezza, quel cielo acido e quelle sagome enormi e nere, che riflettevano i baluginii del sole morente. 

    Frances abitava a Manhattan in un viale di villette a schiera in stile georgiano che si affacciava su una piccola area verde privata sulla sponda di un oleoso Hudson River, a sei isolati dalla scuola di danza, che si trovava non molto lontana da Central Park. Si appoggiò al casotto deserto della fermata deserta del bus, facendo scorrere le foto sullo schermo della reflex. Per lo più erano paesaggi urbani, vecchi pub fatiscenti dalle insegne al neon e marciapiedi ingombri di solo pochi fogli di giornali sfusi e mossi dal vento. In una foto un bambino stringeva le mani attorno al cancello del parco giochi, il suoi occhi verdissimi era l’unico particolare che Frances aveva deciso di lasciare colorato nella foto in bianco e nero.

    L’autobus arrivò con mezz’ora di ritardo e la scaricò poco distante dal vecchio gasometro – protagonista insolito di molte sue fotografie. Mentre la ragazza camminava a sguardo basso, notò qualcosa che solitamente non c’era. Alzò un cipiglio perplesso sulla struttura cilindrica e sussultò sommessamente, dalle finestrelle della sala di controllo provenivano baluginii violacei che proiettavano ombre oblunghe e deformi sul cemento del marciapiede. Strano, pensò, di solito non ci andava nessuno, sapeva che il gasometro veniva controllato a distanza con l’utilizzo di alcuni software. Si avvicinò titubante e si arrampicò su un cassonetto per la raccolta della carta nel tentativo di vedere attraverso le finestre annerite dalla polvere...

 


Angolo dell’Autrice

Buonsalve a tutti coloro che sono arrivati a leggere fin qui! Sì, lo so, me ne rendo conto, ne sono consapevole Severus. Non accade molto in questo capitolo, ma era principalmente per introdurre il personaggio. Quindi, spero che vi piaccia la mia Frances [esatto, si chiama come la figlia di Kurt Cobain J]. Premetto che era un sacco che volevo scrivere una fic sulle mie amate TMNT, nonostante io continui a preferire assolutamente la mitica serie del 2003, e alla fine eccoci qui!

Intanto, non potevo non mettere un riferimento ai Placebo <3, vi lascio il link della canzone qui:  https://www.youtube.com/watch?v=g0b3ctpZcFM.     

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Capitolo 2
*** 2. ...E loro ***


Piccole turtles

2. ...E loro

Raffaello infilzò un altro Kraang con i sai sprigionando una cascata di scintille, la carcassa metallica rovinò con un tonfo sordo a terra. Leonardo mozzò le teste a due androidi con un tondo della katana, si diede la spinta saltando contro la parete e ruotò in aria scaraventandosi poi su un altro gruppo di robot. Donatello e Michelangelo, guscio contro guscio, si avvicinarono al pannello di controllo del gasometro schivando i raggi laser violacei dei fucili dei Kraang e misero ko l’alieno intento a manomettere le funzioni del pannello.

    ‹‹ Ragazzi, il gasometro è pieno di metano. Cercate di ridurre al minimo i danni, o qui saltiamo in aria! ›› informò Donnie, togliendo la polvere e le ragnatele dai tasti rovinati e infilzando alcuni Kraang con la lama retrattile del suo bō.

    ‹‹ Non sarà facile, oggi i Kraang se le cercano ›› replicò Raph ansimando.  

    ‹‹ Tu fa’ come ho detto! ››

    Mikey fu il primo ad accorgersi di lei, facendo roteare i nunchaku per stendere altri avversari, ‹‹ Hey, c’è qualcuno là fuori! ››

    Gli altri tre si voltarono, riuscendo a scorgere un viso fuggiasco, che si nascose oltre la finestra subito dopo.

    ‹‹ Aveva una macchina fotografica! ›› esclamò Donnie sconcertato.

    ‹‹ Kraang, i Kraang devono fermare l’umano con quello che le tartarughe hanno chiamato macchina fotografica. ›› gracchiò un robot, prima di venire infilzato da Raph, il cervello alieno sgusciò fuori dal ventre della carcassa con un verso stridulo.

    ‹‹ Non possiamo lasciarli prendere quella persona! ›› gridò Leo, correndo dietro alcuni androidi, fuori dall’edificio.

 

Frances corse a perdifiato, la maglietta che schioccava contro la sua pelle, la macchina fotografica che pendeva dal collo battendole sul petto. Voltò il viso e i capelli le scesero sul volto, trattenne a stento un urlo quando li vide: tre di quei robot. Trascinavano le gambe metalliche sul cemento, i visi inespressivi presentavano grandi occhi violacei ed una bocca spalancata che s’illuminava ad ogni loro parola. Una Frances capì, fra lo stridore metallico delle loro braccia che reggevano insoliti ed ingombranti fucili: “Eliminare”. Una raffica di raggi violacei la investì, facendola gridare dall’orrore, mentre una prima lacrima di paura le rigava il volto. Uno di quei laser centrò la sua spalla destra, facendola raggomitolare su sé stessa. Mentre continuava a correre, col fiato corto e versi strozzati, Frances poté sentire distintamente il sangue colarle lungo il braccio ed impregnarle la maglia, mentre il dolore della ferita le dava alla testa. Avvertì un tonfo sordo e metallico che le fece scappare nuovamente un grido, voltò il viso per vedere una di quelle tartarughe avventarsi sul primo robot e troncargli di netto il busto con una spada. La ragazza inciampò in un dislivello del marciapiede, battendo la fronte sul cemento. Per un momento la sua vista divenne opaca, poi tante gocce rosse andarono a disegnare arabeschi scottanti nei suoi occhi, infine ci fu posto solo per un dolore sordo.

 

Convincere Splinter ad aiutare la ragazza non era stato difficile, si era occupato personalmente di fasciarle la ferita sulla spalla e disinfettarle quella sulla fronte.

    Dopo un paio d’ore non si era ancora svegliata, sdraiata sul divano con la testa appoggiata al bracciolo e una coperta rimboccata appena sotto il seno. Il maestro le aveva cambiato la maglietta, vestendola con una sua vecchia camicia bianca, di quelle che usava quando era ancora umano, quando era ancora Hamato Yoshi. Mikey le saltellava intorno con una fetta di pizza in mano – la sua preferita, con acciughe e caramelle gommose – convinto di farla rinvenire con il suo “soave” profumo.

    ‹‹ Con tutte le schifezze che ci hai messo sopra, rischi solo di ammazzarla definitivamente ›› lo bloccò Raph seccato, afferrandolo per un braccio.

    ‹‹ Cosa?! Questa è la pizza più buona del mondo! ›› Mikey cullò la fetta vicino al volto guardando il fratello in tralice ‹‹ Non preoccuparti, piccola, lui non capisce niente. ›› la rassicurò, prendendo con la lingua una caramella gommosa al limone.

    ‹‹ Ragazzi, se non ve ne foste accorti, io sto cercando di guardare Eroi Spaziali. ›› esalò Leo, seduto a gambe incrociate davanti al televisore.

    ‹‹ Quella puntata l’avrai vista almeno trenta volte. ›› commentò Raffaello, alzandosi dal puff azzurro e stiracchiandosi ‹‹ E’ meglio che vada a tirare due pugni al punging-ball... ››

    Donnie uscì dal laboratorio con la reflex della ragazza in mano, passandosi una mano sul volto, era sfinito, ma il dubbio che dentro alla fotocamera potessero esserci testimonianze della loro esistenza e presenza a New York l’aveva turbato e tenuto sveglio. C’erano, effettivamente, e si era premurato di cancellarle.

    ‹‹ Allora? ›› domandò Leo, gli occhi allucinati fissi sullo schermo televisivo.

    ‹‹ Aveva scattato delle foto, le ho cancellate per sicurezza. ››

    Mikey uscì dalla cucina con un cartone della pizza semivuoto in mano e l’aria afflitta, ‹‹ Ragazzi, abbiamo quasi finito la scorta di pizza... Si sveglierà prima o poi? ››

    Anche Raffaello, sul disimpegno a soppalco che portava alle camere da letto al secondo piano, dove era impegnato ad allenarsi con il punging-ball fissato al soffitto, capì che il fratellino non era triste per la pizza, ma bensì per la ragazza. Avvertì un moto di tenerezza nei suoi confronti.

    ‹‹ Certo che si sveglierà, Mikey ›› lo rassicurò Donnie, poggiandogli una mano sulla spalla ‹‹ Ora è solo un po’ scossa e stanca, ma starà bene presto. ››

    Calò un attimo di silenzio, i tre fratelli sapevano che Mikey, nonostante fosse il più piccolo, il più ingenuo, non riuscisse a concentrarsi e talvolta non s’impegnava nemmeno, era migliore di loro. Nessuno aveva un cuore grande quanto il suo. Il loro piccolo, imbranato fratellino.

    Mugolii indistinti echeggiarono fra le pareti forti come tuoni, rafforzati dal silenzio pesante e greve d’ansia. Raph scese di corsa le scale e si sistemò accanto ai fratelli, unitisi attorno al divano in uno scatto repentino. Stringeva piano le palpebre, muovendo appena le labbra rosee che si stagliavano sulla pelle madida e diafana del viso. Alcune rughe d’espressione si solcarono appena mentre la ragazza aggrottava la fronte, poi battiti di ciglia. Repentini come un’ombra fuggiasca, o una nota breve e solitaria. Mosse appena le dita di una mano, stringendole sulla coperta leggera, accarezzando le fibre morbide che sfuggivano alla trama di cotone. Apparvero due occhi azzurri, slavati come diluiti dal tempo, che la luce avrebbe potuto rendere trasparenti. Occhi nemmeno così tanto belli, non erano sfumati e ricamati come quelli di April, brillanti ed entusiasti come quelli di Mikey, o intensi ed autoritari come quelli di Leo. Sembravano solo gocce sparute di un acquerello dov’era stata messa troppa acqua.

    ‹‹ Aaaaahhhh! ›› strillò la ragazza, sbracciando e scalciando, ingarbugliando le gambe nella coperta e serrando le palpebre.

    I quattro si chiesero come potesse un essere umano avere una voce tanto acuta, mente si tappavano le orecchie. Le urla s’interruppero quasi subito, scemando in gemiti di dolore mentre la ragazza stringeva le mani attorno alla spalla ferita, le labbra arricciate. Leonardo colse l’occasione per avvicinarsi, ma quella sussultò e gli diede un calcio in faccia, facendolo barcollare all’indietro.

    ‹‹ Allora, ›› sbraitò Raph ‹‹ vuoi chiudere quel forno?!››

    La ragazza si bloccò per un attimo, e lo guardò indispettita, assottigliando gli occhi e inarcando le sopracciglia. ‹‹ Senti, mi sono svegliata con quattro tartarughe giganti davanti, in una casa non mia e con un taglio sulla spalla, ho tutto il diritto di urlare! ››

    Quello rimase basito, sgranando gli occhi.

    ‹‹ Uhhh, ti ha spento ›› lo prese in giro Michelangelo, beccandosi un pugno in testa dal fratello.

     La ragazza si coprì il volto con le mani, inspirando e mormorando istericamente di calmarsi, ‹‹ Pariamo con le priorità... ›› sussurrò, alzando poi di scatto il viso ‹‹ Dov’è la mia macchina fotografica?! ››

    Donnie gliela porse tenendo a debita distanza, forse temeva potesse morderlo ‹‹ E’ qui, è qui. Calmati. ››

    Quella gliela strappò via dalle mani e la strinse al petto, ‹‹ Chi siete voi? ›› soffiò con un filo di voce, come rassicurata dalla presenza dell’oggetto.

    Mikey le si parò davanti con un largo sorrido, facendola arretrare di scatto ‹‹ Io sono Michelangelo, per gli amici Mikey. Loro sono Leo, Donnie e Raph. Siamo fratelli, ma il più bello sono io! ››

    La ragazza fece scorrere gli occhi tremanti sui volti delle tartarughe. Mikey... Occhi di un azzurro miracoloso e liquido, la pelle di un verde tenue tendente al menta, il colore dei germogli. Una benda arancione sul viso pingue da infante. Leo... Aria sicura e responsabile, occhi indaco. Era il secondo più alto dei quattro e dai suoi lineamenti si traeva una sincerità disarmante, ed un amore sconfinato. Indossava una benda blu. Donnie... Alto e dalla corporatura scarna. Sorrise, e la ragazza poté notare un margine fra gl’incisivi superiori; gli occhi erano dalla linea allungata e di un marrone dai riflessi ramati. La sua benda era viola. Raph... sul piastrone aveva una spaccatura a forma di saetta che fece sorridere la ragazza, che la paragonò alla cicatrice di Harry Potter. Sotto la benda cremisi spiccavano occhi di un verde fulgido e palpitante. Teneva le labbra serrate e le braccia incrociate sul petto.

    ‹‹ Michelangelo Buonarroti, Leonardo da Vinci, Donato di Niccolò di Betto Bardi e Raffaello Sanzio? ›› mormorò lei come arricciò un angolo della bocca ‹‹ Ho preso il massimo dei voti in quella verifica. Mi chiamo Frances. ››

    ‹‹ Lieto che tu conosca l’origine dei nomi dei miei figli. Io sono Splinter. ››

    Frances sgranò gli occhi ed inspirò profondamente con la bocca aperta, voltando a scatti il volto dall’altra parte, ‹‹ Cazzo ›› si lasciò sfuggire.

    Splinter. Era. Un. Enorme. Topo.

 



Angolo Autrice

Ben ritrovati! Allora, come vi sembra come secondo capitolo? Spero che piaccia, e spero abbiate gradito le descrizioni delle quattro tartarughe. Questo cap è più lungo del primo, era ora. Quindi, ringrazio chi abbia deciso di leggere e vi auguro buon proseguimento di giornata.

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Capitolo 3
*** 3. Battuto su carta ***


april perplessa

3. Battuto su carta

Frances strinse nuovamente le dita attorno alla bretella dell’east-pack grigio, i palmi sudati. Chimica le piaceva, e come nelle altre materie era abbastanza brava da permettersi voti alti e regolari. Osservò April O’Neil entrare in classe, si passò le mani sul top grigio scuro a righe nere verticali e superò l’uscio. Solitamente si sarebbe diretta al suo solito banco accanto alla finestra – aperta – ma quella volta cambiò direzione come un automa parandosi davanti alla rossa. Indossava i suoi soliti abiti, una t-shirt gialla e bianca con la stampa cerchiata di un due sul petto, degli shorts di jeans sopra a dei leggings neri ed un paio di UGG appena sotto al ginocchio. Aveva un viso dai lineamenti dolci e torniti, grandi occhi azzurri incorniciati da ciglia flessuose e una spruzzata di efelidi sul naso all’insù.

    ‹‹ Ehm... questo posto è occupato? ›› borbottò Frances, indicando la sedia accanto ad April, che si riavviò una ciocca rossiccia sorridendole leggermente perplessa.

    ‹‹ No, no, fai pure. ››

    La bruna arricciò un angolo della bocca in un principio di sorriso e si sedette rigidamente accanto alla ragazza, posando lo zaino a terra e sistemando i libri sul banco. Durante le ore di chimica ci si sedeva due a due per utilizzare un microscopio per banco. Frances si era preparata il discorso da fare quella mattina. La sera precedente le tartarughe avevano accennato ad April e Casey Jones, e la ragazza desiderava saperne di più su quella faccenda dei robot – anzi, dei Kraang – e tutto il resto. Così, mentre April osservava al microscopio il minerale che la prof aveva consegnato ai banchi per identificarlo, Frances prese parola, forse con troppa schiettezza: ‹‹ Tu conosci le tartarughe, vero? ››

    La rossa sobbalzò, facendo dondolare la sedia, ‹‹ E-eh?! Tartarughe? Ma di che stai parl- ››

    ‹‹ Leonardo, Donatello, Raffaello e Michelangelo, April. Gli conosco, mi hanno salvato dai Kraang ieri sera. ›› la interruppe Frances, abbassandosi un poco la scollatura del top per mostrarle la garza della fasciatura.

    April sbarrò gli occhi e la sua espressione si fece truce ‹‹ Ho incontrato le tartarughe in modo simile, quei dannati robot avevano rapito me e mio padre e- ››

    ‹‹ Signorina O’Neil ›› scandì la prof, arricciando il naso ‹‹ invece di chiacchierare dovrebbe classificare il minerale che le è stato assegnato. ››

    ‹‹ Mi scusi, prof ›› intervenne Frances pacata ‹‹ sono io che ho fatto una domanda ad April. ››

    ‹‹ Rimanderete le domande a quando avrete classificato opportunamente il minerale. ››

    La bruna sbuffò piano alzando velocemente gli occhi al cielo. Lanciò uno sguardo alla pietra cristallizzata e poggio la guancia sul palmo della mano, ‹‹ E’ un sodanitro, della famiglia dei nitrati. La sua formula scientifica è NaNO3. Posso ascoltare la risposta di April alla mia domanda, ora? ››

    La professoressa rimase basita, osservando Frances con i suoi grandi occhi da insetto sbarrati, balbettandole di essere meno sfacciata. La ragazza sbuffò una risata in direzione della rossa, alzando le sopracciglia. ‹‹ April, io vorrei trovare un modo per ringraziarli. Ma non so molto di loro. Quindi... verresti da me dopo la scuola? ››

 

April restò a bocca aperta davanti a casa di Frances. Dietro una recinzione di ferro battuto a regola d’arte si srotolava un prato dall’erba rorida e curata, cosparsa di margherite selvatiche ed aiuole di papaveri. La casa era in mattoni grigi, ma non di un grigio piatto ed uniforme: non c’era una tegola o una piastrella della stessa sfumatura; ed era geometricamente e simmetricamente perfetta. Davanti alla porta d’ingresso si apriva un porticato dalle colonne bianche semplici, tornite e snelle. Erano aperte quattro finestre dalle tapparelle verdi su ognuna delle due ali laterali dell’edificio, mentre sul tegolato del tetto spiovente s’innalzavano due camini come pinnacoli di un castello. Altre due imposte si protendevano all’infuori dal tetto, illuminando la mansarda. Frances teneva le mani unite dietro la schiena mentre camminava a passo spedito sul vialetto di ghiaia che portava al porticato dell’ingresso, come se si vergognasse. In effetti, sembrava una nota stonata in tutto quel tradizionalismo che grondava dalle pareti della villetta, l’unica nota di colore nel suo abbigliamento erano un paio di parigine scarlatte. Il resto era dai toni cupi: un paio di Dr Martens di vernice nere, dei pantaloncini a vita alta del medesimo colore ed un top scuro con le maniche a tre quarti.

    ‹‹ Allora, vieni? ›› la spronò Frances, da dentro l’enorme atrio dalle pareti di pietra color crema ed il pavimento di legno scuro e lucido coperto in parte da un finemente ricamato tappeto persiano.

    April si riscosse ed annuì, correndo dentro, ritrovandosi circondata da muri spogli ed abbacinanti, dove talvolta alcune nicchie bordate di semplici stucchi e fregi dove spiccavano composizioni floreali dai colori decisi. Una scala curva dalle forme spiraleggianti girava attorno ad un complesso lampadario pieno di volute ed arabeschi di ferro battuto. Frances condusse April nella sua stanza, che si trovava nella mansarda, mentre la camera adiacente era impiegata come enorme cabina armadio.

    ‹‹ Wow! Ma i tuoi genitori che lavoro fanno? ›› esclamò la rossa ammirata, guardandosi attorno con gli occhi sgranati. Le pareti dell’ampia camera erano tinteggiate di un tenue color pesca, il letto ad una piazza e mezza era coperto da coltri stropicciate celesti e cuscini colorati ed effigiati con immagini della Tour Eiffel. La parete dietro la testiera era completamente coperta di foto e poster, ed attaccata al soffitto c’era una trama intricata di luci natalizie gialle.

    ‹‹ Sono due chirurgi estetici, ma lavorano sempre all’estero e tornano a casa solo il weekend, se tutto va bene. ›› rispose Frances scrollando le spalle, come se fosse la cosa più normale del mondo ‹‹ E tuo padre? Mi avevi detto che avevano catturato anche lui, i Kraang. ›› domandò leggermente apprensiva, buttandosi a peso morto sul materasso della grande amaca quadrata, affondando fra i cuscini.

    ‹‹ Oh, beh, in realtà siamo riusciti a liberarlo ›› balbettò April, sedendosi accanto alla bruna ‹‹ Però poi è entrato in contatto con del Mutageno e... ›› la ragazza tentò di trattenere il tremare nella sua voce.

    ‹‹ Mutageno? ››

    ‹‹ Ehm, sì. E’ una sostanza aliena che dà a chiunque lo tocchi le sembianze dell’ultima creatura con cui è stato in contatto. E’ così che sono nate le tartarughe e Splinter è diventato... Splinter. ››

    ‹‹ Ah ›› Frances si sedette a gambe incrociate mettendo le mani sui polpacci ‹‹ E, posso chiederti... insomma... tuo padre... ››

    ‹‹ Un pipistrello gigante ››

    La bruna ammutolì, abbassando il viso e mordendosi le labbra ‹‹ Mi spiace ››

    Calò il silenzio come una coltre di freddo grigiastro, pesante come un piumino e soffocante come la neve imbrattata di fango di una slavina. Frances si sentiva spiazzata, quella faccenda degli alieni e dei mutanti le era piombata addosso troppo velocemente, senza un pretesto, mancante di movente. Passò l’indice sulla stoffa liscia delle parigine tracciando disegni immaginari sulla trama liscia dei fili rossi.

    ‹‹ Beh, io per ora penso di sapere solo che a Michelangelo piace mettere le caramelle gommose sulla pizza. ›› disse Frances, arricciando un angolo della bocca prima di aggiungere: ‹‹ Temo che durante la mutazione qualcosa sia andato storto. ››

    April scoppiò a ridere, una risata sguaiata, che la piegò in due facendole tenera la pancia con le mani. Una risata liberatoria, perché gli opposti si toccano e si attraggono, e Dio solo sapeva quanta voglia di piangere l’avesse attanagliata in quei momenti.

 

Ci stavano lavorando da una mezz’ora buona, da quando April aveva finito di ridere asciugandosi col dorso della mano una lacrima densa e fuggiasca reprimendo un singhiozzo. La rossa era sdraiata mollemente sull’amaca facendo dondolare le gambe accavallate e giocando con una palla da football di gommapiuma turchese, dettando a Frances ogni passione e passatempo dei quattro fratelli. Frances era seduta a gambe incrociate sulla poltroncina bianca da ufficio mobile e la seduta ruotabile, il gomito poggiato alla scrivania e la guancia al palmo, mentre nell’altra mano stringeva una penna chiusa dall’inchiostro blu elettrico che sbavava sul foglio riciclato viola aromatizzato alla lavanda. Faceva scorrere gli occhi sulla lista vergata da quella sua calligrafia quasi illeggibile, aguzza, minuscola ed accavallata. Pizza, allenamento, Giappone, videogiochi, Eroi Spaziali per Leo, elettronica per Donnie, azione per Raph, musica per Mikey... Infinite parole con significati agli antipodi.

    ‹‹ Beh, facciamo così: ›› si riscosse April, sedendosi a gambe incrociate, facendo ondeggiare l’amaca ‹‹ tu cosa sai fare bene? ››

    Frances fece pendere il labbro da una parte, in un moto di stizza ‹‹ Non so... Me la cavo abbastanza con le fotografie. ››  

    ‹‹ Uh, ho avuto un’idea! Facciamo un book fotografico: possiamo metterci immagini del Giappone, posso fare un disegno su Eroi Spaziali, cercare l’immagine di un combattimento... ››

    La bruna si spinse col piede per far girare la seduta della sedia, buttando la testa all’indietro ‹‹ Ottima idea April, solo una domanda: dove prendiamo foto del Giappone o di un combattimento. E ti prego non dire Google. ››

     L’altra ragazza si alzò in piedi con un salto, sorridendo con determinazione: ‹‹ Tu fidati di me, ci servono i soldi per un taxi però, e la tua macchina fotografica! ››

 


Angolo Autrice

Ciao belli! Allora, come vi sembra? Spero di non aver deluso le aspettative e spero anche che questa April vi piaccia J.

Un quesito: dove prenderanno le foto? Che contributo darà April nel regalo? Come reagiranno le turtles?

Rispondetemi cosa accadrà secondo voi, potrebbe essere un nuovo giochetto :D! Al prossimo cap!

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Capitolo 4
*** 4. Come un boato ***


cattivo shredder

4. Come un boato

Spirava una brezza serale leggera. April camminava a passo sicuro, gesticolando mentre raccontava di quella volta in cui Mikey sosteneva che la sua fetta di pizza parlasse e fosse malvagia, e di quell’altro episodio in cui erano stati costretti ad affrontare le proprie peggiori paure per colpa delle spore di alcuni funghi mutanti.

    ‹‹ E te, Frances, qual è la tua più grande paura? ›› domandò April, sorridendole.

    Lei alzò mestamente gli occhi sulla carcassa annerita di un grattacielo abbandonato e stracciato come un vecchio straccio. I vetri rotti e deformati rilucevano sinistri alla luce dei lampioni e delle insegne.

     ‹‹ ...Le altezze, direi. Sai, no? Il vuoto sotto i piedi, la sensazione di cadere da un momento       all’altro... ›› rispose Frances con voce assente, mentre percorreva il profilo dei tetti dei palazzi.

    Aveva avuto un amico, alle medie. Il che era strano: normalmente, nella loro scuola, un ragazzo non poteva essere il migliore amico di una ragazza. Ma tra loro era diverso. Si chiamava Richard, ed era più basso di lei, con una zazzera indomabile di capelli corvini e gli occhi grigi screziati di verde. Era davvero coraggioso, ed ogni anno la invitava al luna-park cercando di farle fare le giostre più alte insieme a lui e, se riusciva a convincerla, Frances tornava a terra con le gambe molli, il viso giallo ed un’irrefrenabile voglia di piangere. Ma non lo faceva, perché c’era lui e voleva mostrarsi coraggiosa, e Richard le diceva sempre che odiava vederla piangere.

    Lo disse ad April, che rise. ‹‹ Wow, sembra davvero un tipo in gamba! ›› commentò.

    Frances annuì sorridendo amaramente ‹‹ Già ››

    ‹‹ Viene nella nostra scuola? ››

    La bruna fece pendere il labbro inferiore da una parte, come era successo il pomeriggio precedente ‹‹ 1A dire la verità è morto. L’avevano detto all’altoparlante della scuola durante l’ora di algebra, era un paio di giorni che non veniva a scuola. Non ricordo molto, sennonché mio fratello era venuto a prendermi a scuola nell’ufficio del preside dicendomi di non piangere più. Un giorno a mensa ho sentito delle voci che dicevano si fosse sparato. ›› sorrise alzando gli occhi empi di lacrime al cielo senza vedere nulla, se non forme sfocate e baluginii tremanti e fuggiaschi. Si ricordò della sensazione che aveva provato salendo su quell’altissima montagna russa assieme a Richard. Quel buco scuro nello stomaco – appena sotto ai polmoni – della larghezza di una latta di mais, i brividi sulla schiena come lunghi aghi di una siringa, un urlo nel petto che la soffocava. ‹‹ Forse è stato da quel momento che ho smesso di farmi amici. ››

    April la guardò con gli occhi sgranati, ammutolendo, non riuscendo a trovare la voce nemmeno per un misero “Mi dispiace”. Continuarono a camminare in silenzio, e la rossa si accorse che Frances teneva le mani unite dietro la schiena, come sul vialetto di casa, il sacchetto dorato lucido che a volte le sbatacchiava contro le cosce. E intanto piangeva, non indossava il mascara, così le lacrime erano praticamente invisibili nella penombra serale, e non singhiozzava.

    La rossa indossava i vestiti del giorno precedente, ovvero i vestiti che era solita indossare. mentre Frances non andava mai a scuola con gli stessi abiti, aveva fretta di toglierseli, come se fossero infetti. La camicia floreale larga che le arrivava alle ginocchia – e che teneva del tutto sbottonata sugli abiti sottostanti – volteggiava quando qualcuno le passava accanto.   

     

Leo rinfoderò le katana.

    ‹‹ Allora, Donnie, dove sono questa volta? ›› domandò, assottigliando gli occhi.

    ‹‹ Ai resti della T.C.R.I. ›› rispose il viola ‹‹ Almeno secondo il localizzatore dei Kraang. ››

    ‹‹ D’accordo. Raph, Mikey, siete pronti? ››

    Michelangelo finì di fare rifornimento di fumogeni, sistemandoli nel cinturone di cuoio accanto ai nunchaku. Raffaello lasciò una foglia d’insalata nel piattino della sua tartaruga Spike dopo aver fatto ruotare i sai per rinfoderarli.

    ‹‹ Pronti. ›› 

    April entrò sorridendo entusiasta e salutandoli a grand voce. Seguita da Frances, la ragazza dell’altra sera, con gli occhi bassi e le mani unite dietro la schiena.

    ‹‹ Scusa April, ora dobbiamo proprio andare, il localizzatore dei Kraang li ha rilevati alla T.C.R.I. ›› disse Donnie mortificato.

    ‹‹ Hey, c’è anche Frances! ›› esclamò Mikey sorridendo ‹‹ Però Donnie ha ragione, magari ci vediamo più tardi! Non ci metteremo molto! ››

    La bruna era rimasta muta, indecisa su cosa fare o dire. Si limitò ad annuire.

    ‹‹ Hey, dov’è finita tutta la voce che avevi quando mi hai urlato contro? ››

    Frances alzò un cipiglio piccato su Raph ‹‹ Oh, per farmi giustizia la voce ti giuro che ce l’ho. Anzi, parlo il meno possibile così almeno sono sicura di non avere mal di gola, nel caso. ››

    ‹‹ Raph, piantala di dare fastidio a Frances e muoviti. ›› lo ammonì Leonardo, correndo fuori dal rifugio, i suo passi che echeggiavano tra i cunicoli delle fogne.

    ‹‹ Io?! ›› esclamò il rosso indignato, correndo dietro il fratello.

    ‹‹ Sei stato tu a cominciare! ›› gridò Frances, incorniciandosi la bocca con le mani.

    April ridacchiò e Mikey e Donnie raggiunsero gli altri due. La bruna si mise i pugni chiusi sulle anche sbuffando ‹‹ Ma da dove esce fuori quello lì? ››

    ‹‹ Ah, ti ci abituerai ›› la rassicurò l’altra, prima di sorridere maliziosamente.

    ‹‹ Tu hai fatto qualcosa ed ora me lo spiegherai ›› constatò Frances tutto d’un fiato.

    La rossa rise e si andò a buttare placidamente sul sofà, raggiunta subito dall’altra ragazza.

    ‹‹ L’altro giorno ho chiesto a Donnie se poteva prestarmi alcune delle sue microcamere, così, quando l’ho abbracciato poco fa, gliene ho sistemata una sul piastrone ›› accese la televisione, armeggiando poi con un differente telecomando, lo schermo fu attraversato da interruzioni e deformazioni crepitanti, poi le immagini si stabilizzarono ‹‹ Eeee... Eccoci qui! ››

    Frances strabuzzò gli occhi sorridendo vagamente, sullo schermo c’erano i tetti di New York, e la visuale saliva e scendeva a tempo dei salti di Donnie. ‹‹ Fico ›› appoggiò il sacchetto con il regalo ai piedi del divano, appoggiando i palmi sulle ginocchia e sporgendosi in avanti.

    ‹‹ Vedi ›› disse April, indicando un punto sullo schermo ‹‹ quello è ciò che resta della T.C.R.I. Pensa che i Kraang mi avevano rinchiuso lì, prima di portarmi sulla Nave Madre per fare... ehm... diciamo dei prelievi. ››

    Frances la guardò concertata.

    ‹‹ Aspetta, ma tu c’eri durante l’invasione dei Kraang? ››

    ‹‹ No, in realtà... insomma, dopo la morte di Richard ci siamo trasferiti in Germania per un paio d’anni. Però ne ho sentito parlare praticamente ovunque. ›› rispose la bruna, prima di alzarsi leggermente imbarazzata ‹‹ Secondo te scoccio se prendo qualcosa da mangiare? E’ da ieri pomeriggio che non tocco cibo ››

    ‹‹ Direi proprio di no. Ti accompagno? ››

    ‹‹ No, basta che mi dici dov’è il frigo. ››

    Frances seguì le indicazioni di April entrando nell’ampia cucina – chiedendosi come avessero fatto a trovare un posto così grande e vuoto nelle fogne – ed aprì lo sportello superiore del frigorifero. Arricciò le labbra in una smorfia corrugando le sopracciglia ‹‹ April, c’è un gatto di gelato nel frigo. Devo preoccuparmi? ››

    Sentì arrivare delle risate dall’altra stanza ed un “No” ovattato. La ragazza osservò ancora per un attimo l’animale – che aveva qualcosa di pressoché inquietante – che continuava a tirare fuori la lingua di caramello e facendo le fusa. Frances lo toccò con l’indice sul muso, che le sporcò il polpastrello di gelato alla crema. ‹‹ Ciao mio gelatoso amico ›› si mise l’indice in bocca e fece un verso indistinto ‹‹ Preferisco il cioccolato. ››

    ‹‹ Ciao Frances ››

    La ragazza si girò di scatto chiudendo lo sportello con un botto, come un ladro colto a rubare. Splinter era davanti a lei, avvolto in un kimono di un rosso cupo e smorzato, un bastone dal pomolo di giada stretto in pugno.

    ‹‹ Oh, uhm... Salve... Ehm, c’è un gatto di gelato nel frigo... ››

    Lui ridacchiò ‹‹ Lo so, pensa che una volta mi ha salvato la vita ››

    Poi un grido dal salotto attirò la loro attenzione: ‹‹ Frances, vieni! ››

    La ragazza si dileguò e corse in salotto, ‹‹ Che succede? ›› April sembrava sconvolta, stringendo spasmodicamente un cuscino al petto.

    Indicò lo schermo con la mano tremante ‹‹ Guarda là ››

    Frances assottigliò lo sguardo scrutando il televisore. Le immagini erano disturbate e le fecero saltare un battito. Non c’era volume. Un uomo alto avvolto in un’armatura giapponese e col viso coperto da un elmo teneva Leonardo per il collo, puntandogli le lame retrattili dei suoi guanti di ferro alla gola. Michelangelo era a terra accerchiato da una moltitudine di ninja dalle braccia meccaniche, Raffaello cercava di proteggerlo con l’ausilio di un solo sai, mentre l’altro giaceva in frammenti al suolo. Donatello era sul bordo del tetto, anche lui impegnato a combattere con un’orda di ninja. Fu come un boato, il segnale di partenza delle montagne russe. Chi era sopra non poteva più scendere. Frances osservò nuovamente lo schermo, il palazzo oltre quello dov’erano i quattro era la T.C.R.I. Splinter le raggiunse subito, sgranando gli occhi scuri.

    Frances fu la prima a correre fuori dal rifugio delle tartarughe, lasciando cadere la camicia a terra.

 


Angolo Autrice

Con un po’ di ritardo, ma ci siamo :). A dirla tutta volevo scrivere anche la parte successiva in questo capitolo, ma sarebbe diventato troppo lungo ed avrei dovuto rimandare la pubblicazione. Quindi lascio un po’ di suspense [seh, come no]. Quindi alla prossima, il gatto gelatoso vi saluta con un bacio alla crema!

1Riferimento ed omaggio a “The Perks of Being a Wallflower” ovvero “Noi Siamo Infinito”

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Capitolo 5
*** 5. Acqua e sale, acciaio ***


tipa che piange

5. Acqua e sale, acciaio

- Il linguaggio e le frasi potrebbero essere un po’ incasinate, è il mio tentativo di trasmettere le emozioni angosciose presenti in questo cap. Perdonatemi se non ci sono riuscita. -

 

Frances non sperava nemmeno di avere tutta quell’aria nei polmoni, mentre continuava a correre incessantemente. Aveva la gola chiusa, le narici ancora infettate dal tanfo delle fogne, il petto che non aveva nemmeno il tempo di riempirsi d’ossigeno. Man a mano che avanzava, le strade si facevano meno trafficate, come se la vicinanza ai resti della T.C.R.I. tenesse alla larga le persone con un’aura macabra. Cosa vera.

    Frances era partita solo per inerzia. Come ormai accadeva in tutto ciò che faceva. Aveva visto quelle immagini e la paura appena sotto ai polmoni si era diffusa adrenalinica nelle gambe, spingendola a correre. Ora, però, osservò i resti dell’immensa struttura stagliarsi neri sul cielo di un blu slavato e sfumato. Davanti, un palazzo abbandonato, sul tetto come una miriade di formiche nere attorno a piccoli punti verdi. Le finestre erano rotte, le tapparelle penzolavano come liane di un albero, le porte erano scardinate e la scala antincendio cigolante. Frances sapeva che solo mettere un piede sul terzo gradino le avrebbe fatto venire i giramenti di testa. Non arrestò la sua corsa, mentre ansimava come un cane dal respiro stridente come l’acciaio. Si fermò solo per un battito di ciglia sotto alla scala antincendio, riprendendo fiato, la paura che per l’ennesima volta si trasformava in adrenalina, e tutto che cominciava a vorticare quando mise il piede sul primo scalino, e non si fermò. Sentiva il suono dei suoi passi sul ferro delle scale e dei piccoli pianerottoli forte come tuoni, e mentre abbassava lo sguardo vedeva l’asfalto muoversi anche se non avrebbe dovuto, ed i connati di vomito la presero alla gola. Si appoggiò al muro scrostato con le gambe molli, scivolando a terra ed incapace di muoversi oltre.

 

‹‹ Richard... Rick non mi sento bene. Rick voglio scendere. ››

    ‹‹ Non possiamo, ormai siamo partiti ››

    ‹‹ No, Rick, ti prego, non ce la faccio... ››

    ‹‹ Fra’, non devi preoccuparti, ci sono io, non puoi cadere. Non piangere, Frances ››

    ‹‹ Non sto piangendo, Rick. P-però non ce la faccio. Rick non mi sento bene! Voglio scendere! ››

    ‹‹ Scusami, Fra’. E’ colpa mia, non ti ci faccio mai più salire, okay? Però ora devi essere coraggiosa, okay? Okay, Fra’? ››

   

Si alzò in piedi con uno sforzo incredibile, appoggiò una mano alla balaustra, ma si spezzò, lasciandole la sbarra di ferro nero ed arrugginito in mano. Strinse le dita sulla sbarra fino a farsi sanguinare i polpastrelli, e riprese a correre ondeggiando sulle gambe molli e rigide allo stesso tempo. Arrivò in cima che ogni cosa non era più al suo posto, come quando agli altoparlanti avevano annunciato che un loro compagno era venuto a mancare, e in mensa aveva sentito che si era sparato, e il consulente scolastico le aveva detto che forse non aveva nessuno con cui confidarsi sui suoi problemi. ‹‹ Poteva parlare con me! ›› aveva urlato, piangendo a dirotto ‹‹ Mi aveva portato sulle montagne russe e non ho pianto. Poteva parlare con me! ››

I palazzi di fianco le vorticavano pericolosamente attorno mentre avanzava sul tetto, tutto il corpo che tremava, dopo aver tirato una botta su quei ninja meccanici con la sbarra di metallo, facendo saltare loro la testa in una pioggia di scintille.

    Leo era steso a terra parando i fendenti dell’uomo in armatura con il mozzicone di una delle sue katana, Mikey era pieno di lividi e un rivolo di sangue gli inzuppava la maschera, Raph aveva il labbro rotto e un sacco di ferite sulle braccia, Donnie si teneva piegato al petto il braccio sinistro, gonfio e livido, mentre con l’altro stringeva il bō scheggiato. Tutto sembrò fermarsi, come in una fotografia. L’uomo in armatura si raddrizzò e i ninja robot fermarono per un attimo il loro assalto alle tartarughe. Gli sguardi si puntarono su Frances, che non aveva smesso di tremare, e il cemento non aveva smesso di scivolarle sotto i piedi. L’uomo era alto, altissimo e la ragazza pensò che raggiungesse la montagna russa che aveva fatto con Richard, la prima e l’ultima, e le rivolse uno sguardo di fuoco.

    ‹‹ LEO! Sei o non sei il maggiore dei tuoi fratelli, come puoi permettere a quei ninja di fare loro questo?! RAPH! La forza la usi solo quando devi litigare con me? Usala contro quei dannatissimi robot! MIKEY! A cosa ti servono quei nunchaku? A suonare la batteria? Usali, Cristo Santo! DONNIE! Sei il più intelligente dei tuoi fratelli, pensa a qualcosa! Insomma, fategli vedere di cosa siete capaci! ›› la gola le doleva, gli occhi le bruciavano e quell’urlo che l’aveva soffocata sulle montagne russe venne fuori. Li aveva visti combattere contro i Kraang, sembravano invincibili come gli eroi dei fumetti.

    ‹‹ Tu, lurida mocciosa ›› sibilò l’uomo stillando in ogni lettera del veleno, alzando poi il braccio, le lame dei guanti di metallo baluginarono in modo macabro ‹‹ T’insegno io a non essere impertinente, ora ››

    Frances, chiuse stretti gli occhi, il cuore che batteva troppo forte mentre l’aria sibilava vicino – troppo – al suo volto. Cadde rovinosamente a terra, il petto che pulsava ed aprì gli occhi come se fosse stata in apnea per ore. Raffaello l’aveva spinta a terra, intercettando il fendente con il suo sai. Frances poteva vedere le sue braccia tremare e contrarsi.

    ‹‹ Allora, che aspetti? ›› ansimò, in un gemito di fatica, lui ‹‹ Vuoi metterti a correre? ››

    La ragazza si riscosse ed afferrò la sbarra di metallo che le era scivolata via dalle mani, mentre tutt’intorno a lei la lotta rincominciava ad infuriare, ed incominciò a piangere a dirotto mentre si alzava e sorrideva. Caricò il colpo e spezzò gli artigli dell’uomo, ammaccando profondamente la sbarra. ‹‹ Sono sopra, Raph. Ora non si può più scendere. ››

    Leo aveva recuperato la katana ancora integra e si era avventato con forza sull’uomo, urlando. Raffaello prese Frances per mano ed infilzò la testa metallica dei robot. La ragazza piangeva ancora, e sorrideva, e non capiva nemmeno lei come fosse possibile, e piegò la sbarra sul torso di quei ninja.

    Ci fu uno spostamento repentino d’aria, e Splinter atterrò silenziosamente sul tetto cominciando a scontrarsi contro l’uomo che chiamò “Shredder”, e allora Leonardo si voltò a combatté anche lui contro i ninja. Mikey si era ripreso, anche se sanguinava, stava avendo la meglio sugli avversari. Frances cercò Donnie con lo sguardo e vide che c’era anche April, e stringeva tra le dita un ventaglio di metallo affilato.

    Passarono ore, non sapeva dirlo. Poi le tartarughe, lei, April e Splinter si aggrupparono vicino al bordo del palazzo e Mikey scaraventò a terra tre fumogeni. Frances sentì gli occhi pizzicarle ed i polmoni stringersi, ma non emise un suono, mentre i fratelli li conducevano fuori pericolo.

 

Nel rifugio c’era un’atmosfera indefinibile. Frances si accorse solo allora di essere piena di tagli. Se li disinfettò e fasciò da sola, perché Donnie si era rotto un polso, Mikey aveva dovuto mettersi i punti sulla fronte e Raph sul labbro, mentre  Leo aveva un lungo taglio sulla gamba.

    April aveva spiegato come avessero fatto a trovarli, e alla fine esclamò che era stata, infondo, un’ottima idea riprenderli. Anche se non sembrava felice mentre lo diceva, solo spaventata, mentre teneva una borsa del ghiaccio sul braccio di Donnie. Mikey si era avvicinato a Frances dicendole che l’avrebbe volentieri abbracciata, sennonché gli facesse male tutto il corpo. Lei gli aveva sorriso ‹‹ Non preoccuparti ›› e gli aveva stretto la mano delicatamente sulla spalla ‹‹ E’ tuo il gatto di gelato? ››

    Lui si è messo a ridere, poi ha tirato un colpo di tosse ed ha riso ancora più forte. A quel punto Leonardo si era alzato in piedi ed aveva sorriso: ‹‹ Volevamo ringraziarti perché ci hai davvero cazziati, e, infondo, era ciò di cui avevamo bisogno. ››

     Frances ha sorriso e Raph ha mugugnato un “Già”, con gli occhi chiusi e la testa appoggiata fra le braccia sul tavolo. Splinter sorrideva intenerito. Allora le due ragazze si sono ricordate di non aver ancora dato loro il regalo, ed April è andata a prenderlo in salotto. L’hanno mostrato agli altri, sistemandolo al centro del tavolo e Frances è diventata paonazza dall’imbarazzo, ‹‹ Ehm... siamo andate a China Town. Forse non c’entra molto col Giappone ma non sapevamo in che altro modo fare le foto. ›› poi ne indicò una rappresentante un uomo travestito da Capitano Ryan di Eroi Spaziali ‹‹ Qui eravamo ad una fiera del fumetto, e siamo state attaccate da un tizio travestito da Spider Man. Qui invece eravamo alla sala giochi, e ho fotografato un tipo che giocava a Mortal Kombat. Non so, pensavo potesse piacere sia a Mikey che Raph. E invece qui eravamo ad una mostra sui droni ed gli automi, per Donnie. La copertina l’ha fatta a mano April. ››  

    Raph aveva alzato il viso dal tavolo e sfogliava l’album assieme ai fratelli con sguardo ammirato e sorridendo, ‹‹ E questo? ›› ha chiesto ad un certo punto Donnie, indicando una foto. Ritraeva una di quelle giostre del luna-park, quella a caduta libera, che ti metti l’imbracatura e i seggi salgono più su dei tetti delle case, e poi, all’improvviso, ti fanno volare giù fermandosi a pochi metri da terra. Ricordava che dalle casse dello stereo – perché al luna-park c’è sempre un sacco di musica – usciva See You Again a tutto volume. Era la giostra, l’unica, che aveva fatto con Richard, e non sapeva nemmeno perché l’avesse fotografata. Frances cominciò a respirare velocemente e si rese conto di non riuscire a dire una bugia, così raccontò loro tutto. Disse che Richard era innamorato di lei, ma non era ricambiato, allora era rimasto il suo migliore amico. Raccontò di quando era andata a dormire da lui e aveva conosciuto sua madre, che era davvero fantastica, e il suo fratellino, che le rimase attaccato al braccio per tutta la sera. Parlò di come fosse arrivata la notizia della sua morte, con quale crudele velocità, e disse che la madre di Richard le chiese piangendo di cantare See You Again al suo funerale. ‹‹ Il che è strano, dato che non sono molto intonata e Rick, tutte le volte che cantavo, mi ordinava di stare zitta, e io non lo facevo mai. ›› ora Frances piangeva a dirotto, da far paura. April si alzò e andò ad abbracciarla, e alla fine la bruna si ritrovò circondata da cinque paia di braccia, mentre Splinter nascondeva una lacrima.

 

Angolo Autrice

Uff ‘__’*! Finalmente è finito anche questo cap, l’ho scritto con foga quindi spero perdoniate eventuali errori :d. Vi mando un bacio di fretta perché non cos’altro scrivere e devo rivedermi Fast and Furious 7 e piangere ancora ;_(. Quindi alla prossima! <3               

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Capitolo 6
*** 6. Frank-N-Furter, e urla ***


Patrik

6. Frank-N-Furter, e urla

- Nella foto, il ragazzo che faceva Frank-N-Furter al talent -

Frances non si fece più viva per un po’. A scuola, nell’atrio, faticava a salutare April. Solo, sperava si dimenticassero tutto ciò che aveva detto, moriva d’imbarazzo, aveva le guance accaldate sapendo di essere stata così debole. E adesso tutti sapevano ciò che nemmeno lei era riuscita a capire, ciò a cui non era riuscita a dare una spiegazione. E ciò che più le stava a cuore e più odiava. Forse, se Richard avesse lasciato un biglietto, le sarebbe stato più facile accettare la cosa, pensò, rannicchiata sulle coperte stropicciate. C’era chi se la passa peggio. Se lo diceva sempre, anche durante il funerale di Rick, ma ora non riusciva più a crederci. Non che non credesse che in Mongolia ci fosse qualcuno che fosse più triste di lei, no. Non riusciva a spiegarlo, solo non riusciva a credere più a nulla, in quegli ultimi giorni, e la sua stessa voce in testa era insopportabile. Continuava a cantare quella canzone, e a volare su quella giostra. E lei non voleva. Avrebbe voluto dormire per duemila anni, era un’idea morbosa, ma era ciò che stava passando in quel momento. Stava rincominciando, proprio come allora. E se ogni cosa non avesse smesso di girare, sarebbe dovuta tornare dal dottore.

    I suoi genitori arrivarono il venerdì pomeriggio, e lei si dovette coprire i tagli con il cerone, ma si vedevano lo stesso, così disse che era stato il gatto di una sua compagna a graffiarla. Erano seduti a tavola, e i suoi genitori s’illuminarono: ‹‹ Ah, hai conosciuto qualcuno di simpatico, allora? ›› domandò sua madre, sorridendo. Probabilmente era la prima volta che parlava di qualcuno al di fuori di quella casa, dalla morte di Richard.

    Frances avrebbe voluto dire di no, ma ormai non poteva più, ‹‹ Sì, è una mia compagna di chimica... Si chiama April ›› dirlo le fece male, forse April non lo aveva nemmeno un gatto, ed era da giorni che non le rivolgeva la parola. Le venne in mente il gatto di gelato, e si sentì ancora peggio, ma cercò di non darlo a vedere.

    ‹‹ E com’è questa April? ›› domandò suo padre.

    Frances scrollò le spalle ‹‹ Boh, normale. Ha i capelli rossi. ››

    Il discorso morì lì, perché la ragazza non sembrava predisposta a rispondere ad altre domande. Quindi se ne tornò in casa sua, a passare il sabato pomeriggio a guardare i compiti di algebra aperti sulla scrivania ed ascoltare la musica. Quando doveva seguire la lezione, o fare degli esercizi, almeno per i primi tempi, non riusciva a pensare ad altro che a Richard, e cominciava a respirare velocemente. Ma poi aveva imparato a concentrarsi solo sui calcoli, sul bianco del gesso e sul nero della lavagna. Ora, però, temeva che sarebbe scoppiata a piangere se avesse visto quei calcoli, e la voce dell’altoparlante avrebbe crepitato di nuovo.
    ‹‹ Ci sto pensando troppo ››

    Allora s’inginocchiò davanti alla finestra, e guardò il suo riflesso, e dietro le case del viale. Rimase così per ore, forse c’era davvero qualcosa che non andava in lei. Alla fine le case divennero più alte e la sua immagine si accartocciò, e Frances ebbe una paura folle. Scese al piano di sotto e vide suo fratello aprirsi una lattina di birra. Lui era magrissimo, con capelli neri come la pece e lisci come spaghetti legati in un codino, e una barba accennata sul viso pallido e incavato e leggermente lentigginoso. Aveva messo uno dei suoi cd di Metal, e il cantante urlava a squarciagola, facendo dei versi strani. A Frances non era mai piaciuta quella musica, e decise di discutere con suo fratello per evitare di pensare. ‹‹ Scusa, puoi dirmi quali emozioni trai ascoltando questi stramazzi? ››

    Lui a serrato la mascella ‹‹ Ci sono, stanne certa, di emozioni. ››

    ‹‹ Ti ho chiesto quali, non se ci sono. Insomma, che genere di sensazioni può dare una canzone intitolata Raped With a Knife? ››

    ‹‹ Sono emozioni, non posso spiegartele. ›› ha controbattuto lui, e prima che Frances potesse replicare, ha aggiunto: ‹‹ Insomma, che cazzo di emozioni trovi nelle nenie che ascolti tu? Come fa a piacerti tanto una canzone come See You Again? ›› si pentì subito di quello che aveva detto, perché sapeva che era stata dedicata alla morte di Paul Walker di Fast and Furious, che piaceva anche a lui, e che Frances l’aveva cantata al funerale di Richard come elogio funebre.

    Lei ha stretto i pugni e ha tentato di restare calma, ‹‹ Un senso di nostalgia, come quando rivedi un tuo caro amico dopo tanto tempo, che è venuto da te per dirti che si dovrebbe trasferire per il resto della vita, e allora bevete qualcosa sulla spiaggia. Questo è quello che pensavo di questa canzone, oltre alla scena in cui Brian e Dominic percorrono quell’ultimo tratto di strada insieme, prima che Brian cambi direzione. ›› poi esplose, diventando paonazza ‹‹ MA POI IL MIO CAZZO DI MIGLIORE AMICO SI E’ SUICIDATO! ››

    Allora sua madre corse in cucina. Era una bella donna, avrebbe potuto fare la modella se non fosse stata così minuta. Aveva lunghi capelli neri striati di castano che disegnavano ampie volute, gambe snelle e caviglie sottili. Cercò di calmare Frances, che però corse nel giardino sul retro respirando forte, poi cominciò ad inveire contro il fratello, Thomas. E Frances si tappò le orecchie come le mani fino a farsi male, e si chiuse nel casotto degli attrezzi.

    Uscì molto dopo, quando sua madre le disse che c’era una chiamata per lei. Era April. Onestamente, Frances non sapeva come avesse fatto ad avere il suo numero, ma non le importava, perché, comunque, non aveva voglia di parlarle. ‹‹ Pronto? Oh, ciao April... Sono stata un po’ occupata, forse distratta... No... Beh, mi ha lasciato un po’ scossa... No... Niente, è solo che non ne ho voglia... Sì, sul serio... ›› poi April le disse che le tartarughe erano preoccupate per lei, e Frances si arrabbiò un sacco, perché le conosceva da solo due giorni e già pretendevano di fare gli amiconi. Ma non lo disse alla rossa, si limitò a restare per un po’ in silenzio ‹‹ Non devono, perché io sto bene. ››

    ‹‹ Ci sei al Talent della scuola? ››

    Frances se n’era quasi dimenticata, e ricordarselo le tirò un po’ su il morale ‹‹ Ci sarò, ma non tra il pubblico... Sì... Sì. Ciao, ciao... Ciao. ›› riattaccò e decise che non poteva più restare in casa. Allora se ne andò a mangiare le patatine al McDonald’s, anche se erano le due di pomeriggio.

                                                                                                                          

Il Talent della scuola si svolgeva nell’auditorium al pian terreno, dove si tenevano le lezioni di Recitazione e le conferenze scolastiche. Era davvero un posto enorme, e il palco era spazioso davanti alla lunga platea – stipata – di sedie di plastica blu. Il chiacchiericcio che aleggiava scemò quando calarono le luci, e venne eseguita la prima esibizione. April si raddrizzò sul sedile, quando fu il momento del gruppo di teatro, nel quale era inclusa Frances. Avrebbero messo in scena The Rocky Horror Picture Show. Il pubblico ne fu entusiasta, anche chi aveva già visto una replica al cinema o in teatro. La rossa aspettò con impazienza la comparsa di Frances; aveva le labbra laccate di rosso ed il viso coperto di cerone, indossava un corsetto di pailette dorate, degli slip neri e dei calzettoni azzurri appena sotto al ginocchio sotto ad un paio di scarpe da tiptap. E nient’altro, a parte un cilindro, anche quello di pailette dorate! Sembrava divertirsi un mondo a saltare in braccio al ragazzo che faceva Eddie – che sembrava essere stato tirato fuori direttamente da un servizio fotografico – e tirare quelle urla acute mente ballava ed alzava le gambe. Il ragazzo che interpretava Frank-N-Furter era davvero fantastico, ed era sceso tra il pubblico per sedersi fra le gambe di qualcuno o passargli il boa di struzzo sul volto. April rise ed applaudì un sacco, come tutti i presenti, persino il prof di Biologia che era stato preso di mira da Frank-N-Furter. A fine esibizione si riunirono tutti i ragazzi del Laboratorio Teatrale per inchinarsi, e vinsero il secondo premio, saltando ed esultando nelle loro calze a rete e scarpe col tacco. Frances baciò sulle labbra tutti i compagni, sia maschi che femmine, ma era un bacio amichevole. Invece si baciò sul serio con il ragazzo che faceva Frank, fino a che non si scambiarono il rossetto a vicenda per poi scoppiare a ridere. April sgranò gli occhi e smise di applaudire. Nel suo inconscio, forse quando le aveva parlato di Richard, aveva pensato di fare parte del mondo di Frances, e invece aveva altri amici, magari da più tempo, ed anche un ragazzo. E se non era il suo fidanzato, era un tipo con cui si baciava, sul serio. Forse non la conosceva per nulla. Sì, sul palco, con un po’ di rossetto – forse del tipo che faceva Frank – sull’incisivo bianco mentre sorrideva e reggeva la coppa d’ “argento” e con i calzettoni azzurri, sembrava proprio un’altra persona.

    April si alzò dal suo posto durante l’intervallo per andare a cercarla, e la trovò fuori, avvolta in un cappotto lungo fino alle ginocchia dall’aria costosa, e si stava baciando con il tipo di prima. Lui era davvero bello, senza il trucco e le calze a rete. Un tipo affascinante, ma non di una bellezza convenzionale, più quella che potresti trovare nei vecchi annuari in bianco e nero, dove i ragazzi avevano i tratti marcarti e gli occhi ardenti. E lui ce li aveva, piccoli occhi scuri come carboni attizzati, gli zigomi alti e sporgenti, le labbra ben disegnate e rosee ed i capelli corvini mossi che gli arrivavano appena sotto la mascella.

    Frances sorrise sulle labbra del tipo, ed aprì gli occhi. E vide April, che non se n’era ancora andata. Si staccò piano dal ragazzo e le inviò uno sguardo carico di sott’intesi, e la rossa avvampò tornando nell’auditorium. Un tipo corpulento coi capelli marroni stava cantando un pezzo western, e Frances ed il tipo si erano diretti alla macchina di lui per ascoltare un po’ di buona musica. Si baciarono ancora, non fecero altro e la cosa non durò più molto. Si limitarono ad ascoltare, dopo.

    ‹‹ Hey, Pel di Carota, qualcosa non va? ›› Casey Jones.

    April scosse la testa e tornò al suo posto.

 


Angolo Autrice

Allora, questo capitolo non è magari così utile ai fini della trama, ma volevo un po’ mostrarvi la vita di Frances, introdurvi nel suo mondo di corsetti di pailette e ragazzi col rossetto XD. Spero vi sia piaciuto, il prossimo sarà utile, lo giuro :).


P.S. [Importante] The Rocky Horror Picture Show è il mio film e spettacolo preferito, è un messaggio perché la gente capisca che, quando si prova piacere, non si commette un reato. Ed io sono grande sostenitrice dell’Amore Libero. Ognuno è libero di innamorarsi di chi vuole, anche se è qualcuno del suo stesso sesso. Spero siate d’accordo con me :).        
  


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Capitolo 7
*** 7. Sensibile ***


cover

7. Sensibile

Frances boccheggiò in preda al panico. Tentava di socchiudere gli occhi, ma le palpebre ricadevano pesantemente ad oscurarle la vista mentre i polmoni venivano compressi rendendole impossibile respirare. Avvertiva le gambe insensibili penzolare nel vuoto, e la gravita oscillare su di lei, facendosi a tratti insostenibile e a tratti indistinta. Voci si accartocciavano gracchiando, ferendole le orecchie in uno stridere aggrovigliato ed incomprensibile. Sarebbe morta, lo sapeva. Alzò con fatica un braccio pulsante di spasmi a tastarsi il petto, eppure non riusciva a sentire nulla, se non la sua carne e la stoffa stropicciata dei vestiti. Abbandonò il braccio lungo il fianco, alzando il volto e spalancando la bocca, riuscendo a malapena ad aprire gli occhi su un cielo compatto ed indistinto, che scivolava velocemente su se stesso.

 

«-es? Frances?»diecimila parole!!!!!

    La ragazza si riscosse. La fronte madida di sudore luccicò sotto le lampade al neon, la schiena s’incurvò leggermente in avanti sulle gambe incrociate. Respirò avidamente. Stava bene. Era viva.

    ...Ma allora perché avvertiva quel senso di ansia, di oppressione di quando qualcosa presto andrà male?

    «Frances, stai bene?» ripeté Mara, l’insegnante di modern, osservandola con gli occhi chiari ed enormi sul viso diafano e affilato dagli zigomi sporgenti.

    Le ciglia di Frances sfarfallarono fulmineamente, «Sì, scusami. Mi sono incantata per un attimo»

    «Sei pallida» insisté la donna.

    «Sto bene, sul serio. Ho solo avuto una sensazione...» assicurò la quindicenne, con un movimento vago della mano.

    Restarono in silenzio fino a che Anna non chiese se dovessero fare anche i grand jeté en tournant, con la disapprovazione generale. «Che c’è? Chiedevo!» esclamò quella. Infatti, lo ricordò a Mara, che mise la musica. Frances si tirò in piedi aggrappandosi ad una delle sbarre da muro, e si sistemò nell’angolo dietro le compagne.

    Era bello sudare. Avvertire i muscoli bruciare e pulsare sotto la pelle madida, il petto alzarsi ed abbassarsi furiosamente, ogni profondo respiro vorticare nei polmoni. E per un po’ Frances non si concentrò su altro, solo sulla sua fatica, e la rara sicurezza di esserci e di essere viva. Non assorbì la musica come faceva di solito, quando diventava un essere indistinto e fragile e denso si fumo impalpabile. La voce di Florence mentre cantava Ship To Wreck voleva farla piangere, perché le ricordava di come ci si sentisse ad essere sul punto di rovinare tutto ciò che più ci sta caro. Ma Frances non volle ascoltarla, quel giorno, e non chiuse gli occhi per cacciare le lacrime a fine lezione, ma si avvicinò ansante all’insegnante. Era una donna bella, Mara, magra e ossuta, dai tratti sibillini e la pelle sottile come carta, lunghi capelli d’ebano dalle punte più chiare dritti come spaghetti e le labbra sottili e ben disegnate. Suo padre sosteneva che fosse inquietante, ma Frances non pensava di aver mai visto una donna più bella, una donna più forte da aver sostenuto sue matrimoni distrutti e due figli in grembo, una donna più vera.

    «Mara, posso parlarti un attimo?»

    E la cosa più bella era che capiva, sul serio.

    «Dimmi tesoro.»

    La quindicenne non sapeva da dove cominciare, si grattò una guancia, «Beh, in questi ultimi giorni ho fatto conoscenza con quattro ragazzi... E una ragazza... E, un giorno che andavo a casa dei ragazzi ho raccontato a tutti di Rick. Cioè, non stavo molto bene quei giorni, così avevo preso quei calmanti che mi ha detto il dottore... E, boh, ora non so proprio perché l’ho detto loro. Il punto è che sono le uniche persone con cui ho parlato al di fuori della mia famiglia da quando ho iniziato il liceo, ma ora non me la sento più di vederli...»

    Mara sembrò pensarci su, annuendo, «Ti senti in imbarazzo?»

    «Sì, e loro si preoccupano per me ma io non voglio perché ci conosciamo da poco. Vorrei solo seppellirmi, ora.»

    «Beh, se si preoccupano vuol dire che ci tengono a te. Magari devi lasciarti un po’ di tempo, ma secondo me non dovresti tagliare ogni contatto con loro. Col tempo capiranno.»

    Frances abbassò lo sguardo annuendo piano e mordendosi le labbra.

    «Ma dimmi» l’insegnante trattenne a stento un sorrisino malizioso «c’è mica qualcuno di loro che ti piace?»

    La ragazza avvampò «No! No, no. No, insomma, no, non credo, no. Forse, probabilmente no.»

    Mara arricciò le labbra screpolate, «Peccato, è la mia parte preferita sentire le vostre storie sentimentali...»

    Il telefono di Frances vibrò per terra accanto alla bottiglietta d’acqua ormai vuota. La quindicenne lo sbloccò perplessa, sotto lo sguardo attento della donna.

 

Numero sconosciuto - Raffaello Hamato

Buongiorno principessa, sei ancora viva? Ad April sta venendo un esaurimento nervoso, sai?

 

Frances sbarrò gli occhi. Come faceva ad essere irritante anche nei messaggi? Com’è che aveva il suo numero? Voltò lo schermo del telefono verso Mara, «No, ma io devo tenermeli cari questi, scusa?» esclamò sardonica.

    La donna esaminò lo schermo, sorrise e lo prese delicatamente dalle mani di Frances, rispondendo al messaggio.

 

Frances Canvernon so se le ho già dato un cognome, nel caso non me lo ricordo più °_°*

Cos’è, ti manco?

 

    «Ahh, che scrivi Mara!!!!» strillò la ragazza, in preda al panico.

    «Shh, lascia fare a me» la rassicurò l’insegnante, ridacchiando.

    La ragazza si fece disperata «Ma quello mi sta pure antipatico!»

    «Chi detesta compra.»

    «Mara!!»

 

Numero sconosciutoRaffaello Hamato

Non ti fai sentire per giorni e fai anche la preziosa?

 

Frances Canver

Danza. E i miei problemi.

 

Numero sconosciutoRaffaello Hamato

..Potevi almeno avvisare.

 

Frances Canver

Alcune cose non si possono dire a voce

 

     Raph osservò il telefono sconcertato. Non sapeva che rispondere.

 

Raffaello Hamato

Sai com’è, di solito tendi a cacciarti nei casini, non si poteva sapere...

 

Numero sconosciutoFrances Canver

..Beh, grazie della fiducia

 

    «Tendi a cacciarti nei guai Frances? Non mi sembravi il tipo»

    La ragazza ridacchiò, «Non do a vedere molte cose...»

    «Beh, come ti ho detto tempo fa io so che sei una che se vuole mangia la faccia alle persone. Ma non credevo che lo facessi sul serio» rise Mara.

 

Numero sconosciutoRaffaello Hamato

Va be’, la prossima volta cerca di farti sentire, però

 

Frances Canver

Vedrò...

 

    «April, mi ha risposto. A me sembra non stia poi così male...» commentò Raph, trattenendo un sorrisetto.

    La rossa si sporse sullo schermo del suo T-Phone – Tarta-Phone – con sguardo apprensivo, «Non so, avresti dovuto sentirla l’altro giorno... quando mi ha parlato al telefono sembrava davvero distrutta...»

    «Magari è perché ci ha raccontato del suo amico» osservò Leo, spegnendo la televisione.

    «Probabilmente... secondo me non dovremmo parlarne quando la rivedremo»

    «Se la rivedremo»

    «Non portare sfortuna Raffaello!»

 

    Mara riconsegnò il telefono a Frances «Mah, a me sto Raffaello non sembra così male. Si è preoccupato in fondo»

    Frances abbassò lo sguardo sullo schermo, dandosi tempo per rispondere, «...Magari hai ragione te...»

 

Frances Canver

Grazie, comunque.

 


Angolo Autrice

Lo so, biblico ritardo ç_ç!!!! Perdonatemi, ma avevo un blocco, ho riscritto il cap tre volte e nemmeno questa mi convince appieno, ma è meglio di quelli che avevo provato prima... Sì, fa abbastanza pena ma non dateci peso °_°* comunque siamo arrivati a diecimila parole in questo cap! *applausi vari*

Mi scuso ancora per il ritardo, cercherò di pubblicare il prossimo più in fretta e risponderò alle recensioni – cosa che non ho fatto in questo mese, sorry T.T!

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