The secrets of the night

di Ali_di_pagine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le lacrime di una grifona ***
Capitolo 2: *** Hermione ***
Capitolo 3: *** L'ultima speranza di Draco ***
Capitolo 4: *** Passato ***
Capitolo 5: *** Verità ***
Capitolo 6: *** Fuoco e ghiaccio ***
Capitolo 7: *** Fuoco e ghiaccio pt. 2 ***
Capitolo 8: *** Domani ***
Capitolo 9: *** Impossibile ***
Capitolo 10: *** Scoperte ***
Capitolo 11: *** Altre chance ***
Capitolo 12: *** Come prima ***
Capitolo 13: *** Lo so e basta ***



Capitolo 1
*** Le lacrime di una grifona ***


Spazio autrice:
ATTENZIONE! 
In questa ff ci sono chiari riferimenti alla storia completa di Harry Potter, nonché ovviamente spoiler sui libri, visto che la storia é ambientata dopo la fine della guerra, togliendo l'ultimissima parte, ossia quella in cui veniamo a conoscenza del futuro dei personaggi, anni ed anni dopo la morte di voi-sapete-chi.
Consiglio vivamente di non leggere se non si hanno finiti tutti e sette i libri di J.K. Rowling, o almeno visto i film.
Non so quanto capireste, altrimenti.

È la prima dramione che scrivo, quindi siate clementi. Per favore!
Come ho già detto ho ambientato la storia dopo la fine della guerra e la sconfitta di Voldemort. 
Dato che praticamente tutta Hogwarts aveva avuto un anno pessimo nel quale l'insegnamento magico lasciava a desiderare, la McGranitt, in concordanza con tutti i professori, ha deciso di far ripetere l'anno a tutta quella che conosciamo come la migliore Scuola di Magia e Stregoneria d'Inghilterra.
Ma le cose saranno diverse? E come sarà la situazione con le case? I Serpeverde, famosi per prediligere le arti oscure, cosa faranno? Ma soprattutto, Draco Malfoy, cosa farà?

***

Draco Malfoy camminava a passo svelto verso la Foresta Proibita. Ogni tanto si guardava indietro, verso il castello, timoroso che qualcuno lo vedesse, e lo giudicasse. Si stringeva nel mantello nero e pesante, senza curarsi più di tanto del freddo invernale che raggiungeva persino Hogwarts.
Il suolo era ricoperto da uno strato di neve candida, della quale le suole delle scarpe del giovane uomo profanavano la purezza. Stava nevicando.
Oltrepassò la minuscola casa del guardiacaccia Hagrid, che una volta era stato un suo insegnante ma il quale dopo, durante la guerra, aveva visto subire cose orribili. Riusciva quasi ad immaginare il calore del fuoco che scoppiettava all'interno dell'abitacolo, dai tre metri di distanza. Dalle finestre sporche filtrava una luce calda e giallognola, così in risalto con l'oscurità che circondava la Foresta Proibita. 
Si addentrò tra gli alberi coperti di neve, tra l'umidità schiacciante.
Un tempo sarebbe stato spaventato dalle creature che vivevano nella foresta. Dai centauri particolarmente. Ancora ricordava la prima volta che c'era entrato, al primo anno. Era stato per una punizione, impostagli dalla professoressa McGranitt, ora preside. Aveva dovuto cercare un unicorno ferito con Potter.

Era tutto più complicato da quando la guerra era finita. Non aveva più le idee chiare come un tempo. Una volta tutto era diviso. Mezzosangue e purosangue. Traditori della propria razza, e maghi fedeli. Grifondoro e Serpeverde.
Ma adesso, era tutto più confuso. Non sapeva cosa pensare, e si aggrappava all'educazione che gli era stata imposta. Lui era un sangue puro, un Malfoy. Ed i Malfoy non mollano, non si spezzano. 
Così gli ripeteva il padre, quando lui stesso ancora non si era spezzato, sconfitto dalla paura e dal Signore Oscuro. 
Voldemort. Si disse che poteva chiamarlo così, adesso. Ora che tutto era cambiato. Ora che tutto era finito.

Ad un tratto si fermò. Aveva notato una cosa. Una cosa strana.
Poco distante da lui, c'era un'impronta. Si avvicinò, e vide che era notevolmente più piccola della sua scarpa, quindi doveva essere di una donna. 
Seguì i passi che sembravano così freschi nella neve, e si fermò di botto. Si affrettò a nascondersi dietro un albero, incredulo davanti allo spettacolo che si presentava davanti ai suoi occhi.

A qualche metro da lui, c'era una ragazza. Era rannicchiata contro un tronco, in uno spiazzo in mezzo alla Foresta Proibita. Indossava un mantello nero, pesante, esattamente come quelli delle uniformi di Hogwarts. 
Aveva dei lunghi boccoli ramati, che le coprivano il volto. Le spalle piccole erano scosse da dei singhiozzi.
Ma ciò che più lo lasciò allibito, fu che la riconobbe. Era la Granger. La Mezzosangue. La coraggiosa grifondoro, che ora stava davanti ai suoi occhi, fragile come non mai. 
Era incredibilmente composta ed elegante, persino in quel momento. Il suo era un pianto silenzioso, non si stupì di non averla sentita. 
La vide respirare, cercare di calmarsi, premere il capo contro il duro legno dell'albero contro cui si era rannicchiata, con le ginocchia strette al petto.
Draco non l'aveva mai vista così. Era fragile, eppure bellissima. Era una cosa nuova vederla perdere il controllo, vederla essere debole. Da quando si ricordava, mai la Mezzosangue si era mostrata così, con lui. Era sempre così altezzosa, fiera, arguta e irraggiungibile. Il fuoco che Draco sapeva arderle dentro, sembrava quasi smorzato adesso.

Notò come le sue mani affusolate erano rosse, come le labbra avessero assunto un colore violaceo. Da quanto era lì? Di sicuro non poco... Sarebbe congelata, di questo passo. Perché non se ne andava? 
Non si soffermò troppo sul motivo della sua preoccupazione. Restò solo a guardarla per quelle che gli parvero ore.

Quando, dopo tempo immemore, il respiro della Granger sembrò regolarizzarsi, la grifondoro si alzò. Si mise le mani sul viso, per poi cominciare a frugarsi nelle tasche della divisa. Riuscì a vedere che stringeva la mano intorno a qualcosa, e non ci mise molto a capire che doveva essere la sua bacchetta. Con la mano libera, quella sinistra, si asciugò gli occhi.
Draco non capiva cosa stava facendo, mentre si rimetteva composta, le spalle dritte e l'atteggiamento fiero che era abituato a vederle addosso, anche se leggermente crepato.

La Mezzosangue fece un paio di respiri profondi, prima di puntare la bacchetta dritta davanti a sè. 
Fu solo grazie alla lettura del labiale, che riuscì a capire l'incantesimo che pronunciò: la voce di Hermione uscì rotta, come un sussurro quasi impercettibile.

Expecto Patronum.

Dalla bacchetta della strega uscì una lieve spira di luce argentea. Essa illuminò la notte e il bel volto della ragazza, ma l'incanto si spezzò e la luce divenne sempre più lieve, fino a spegnersi tristemente prima di poter assumere una forma distinta.
La faccia della grifondoro era il ritratto della tristezza. 
Provò e riprovò a produrre un patronus, ma Draco vedeva. Non le riusciva. Cosa la frenava? Era sempre stata bravissima con gli incantesimi. Insomma, con qualsiasi cosa... Non era forse questa la cosa che trovava più irritante in lei?

La giovane strega sembrava distrutta, se non disperata, mentre si passava le mani tra i capelli. Altre lacrime scesero dai suoi occhi dorati, senza poter essere fermate.

Draco era letteralmente annullato. Non aveva idea di ciò a cui stava assistendo, non aveva idea del perché volesse consolare quella Mezzosangue che altro non era. 
Senza rendersene conto, fece un passo in avanti, uscendo dal buio che lo aveva nascosto.
Era sempre stato così, nell'oscurità riusciva a trovare rifugio. 
Un rumore di rami spezzati lo tradì, e la Granger alzò la testa di scatto.
Quando gli occhi della fanciulla incontrarono i suoi, vi lesse il panico, lo sconcerto, la rabbia, la fragilità. Ma c'era anche qualcos'altro. Era paura. 
Hermione non aveva paura. Non a caso la sua casa era Grifondoro. E Draco capì che non era per il buio della Foresta Proibita, non era per il rumore improvviso, e non era nemmeno per la sua presenza che era spaventata. Era qualcosa dentro di lei.

Le labbra piene le si socchiusero, il corpo si paràlizzò. Risucchiò un respiro.
Lui non si era accorto di aver avuto la stessa identica reazione.

«Io...» provò a dire qualcosa la ragazza. La voce le uscì poco più di un sussurro, roca per il pianto.
Improvvisamente, si girò. Se ne stette qualche secondo con le spalle rivolte al ragazzo, per poi parlare.

«Cosa ci fai qui, Malfoy?» il suo nome suonava pieno di disprezzo dalle sue labbra. Come una parola che non avrebbe voluto mai pronunciare. Non si era ancora girata.

«Potrei farti la stessa domanda, Mezzosangue.» la voce di lui fredda.

La grifondoro si girò un attimo, incontrando i suoi occhi. Tra loro c'era una tacita richiesta di tregua.
Poi la ragazza scappò via.

Le parole gli uscirono spontanee quanto indesiderate.
«Aspetta...» ma lei non si fermò.

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Capitolo 2
*** Hermione ***


Hermione Granger era una strega brillante. La più brillante della sua età. Era babbana di nascita, ma aveva dimostrato al mondo magico quanto il pregiudizio sui "Mezzosangue" fosse infondato.
Riusciva in incantesimi potentissimi, era conosciuta per il suo ruolo accanto al famoso Harry Potter, suo migliore amico, nella sconfitta del mago oscuro Voldemort. Aveva risolto innumerevoli enigmi, aiutato innumerevoli persone, inventato addirittura alcuni incantesimi. Ma era anche lei umana.

Da quando la guerra era finita, le cose non erano state le stesse. Stava con Ronald, il rosso di casa Weasley che si era dimostrato un vero grifondoro. Era la migliore amica di Ginevra Weasley ed Harry Potter, i due si amavano.
Hogwarts, sebbene con alcune difficoltà, si stava riprendendo da ciò che era accaduto solo sei mesi prima. 
Ma il cambiamento era radicato in lei. Non sapeva cosa era mutato, ma era sicura che qualcosa ci fosse. Nel frattempo, tentava di ignorarlo, almeno quando era possibile.

Era seduta vicino al Lago Nero, con Ron e Ginny. Le mani del grifondoro erano tra i suoi capelli, giocandoci e guardando come rilucevano sotto la fioca luce del Sole, coperto dalle nuvole. Appoggiata a lui, Hermione teneva gli occhi fissi sugli alberi della Foresta Proibita, oltre il lago. 
Non si spiegava ciò che era successo la notte prima. Non vedeva Draco Malfoy da quando, nel bel mezzo della battaglia di Hogwarts, era scappato insieme alla sua famiglia. 
Quando la scuola aveva riaperto i battenti, dire che i Serpeverde erano stati decimati, era poco. La McGranitt si era personalmente assicurata che il Cappello Parlante decidesse per ognuno della casa verde-argento se era il caso di farli restare. Inutile dire che il risultato era stato motivo di amarezza per la neo-preside, e tutte le altre case. Le classi della casata Serpeverde erano notevolmente diminuite, così come i suoi allievi. Non era per discriminazione, ma la paura che qualcosa di simile al passato potesse accadere di nuovo, era ancorata anche negli animi di chi più la combatteva.

Ma il giovane di famiglia Malfoy non si era visto allo smistamento avvenuto quell'anno. Non sapeva come sentirsi al riguardo. Probabilmente era sollevata, sì. Lo sputasentenze biondo platino era uscito dalla vita sua e di chi amava, impossibilitato a ferire di nuovo qualcuno di loro. 
Ma non poteva evitare di provare compassione per lui. Non solo per ciò che aveva fatto tempo prima, durante la guerra, chiaramente obbligato e combattuto. Non per la gratitudine e l'incredulità che aveva letto sul suo viso quando l'avevano salvato nella Stanza delle Necessità. Non per il modo in cui si aspettava che lo lasciassero morire.
Era per lo sguardo che la notte prima, nascosto dall'oscurità della Foresta, le aveva rivolto. Nei suoi occhi aveva letto qualcosa di indistinto, che le faceva venire i brividi lungo tutto il corpo. Era per la sua voce fintamente fredda, quella notte. Era per il modo in cui credeva di averlo sentito sussurrare "aspetta", dopo che scappasse via.

Cosa ci faceva lì, dopo tutto quel tempo? Cosa lo aveva fatto tornare? 
Probabilmente un nuovo tranello, oppure un qualche piano. Fatto stava che la famiglia Malfoy era nota per essersi data alla fuga, per paura del giudizio del Ministero della Magia, o di Merlino sapeva cosa.
Ma non poteva sapere quanto profondo fosse stato da allora il cambiamento in lui. 
Se lui era tornato ad Hogwarts, per qualsiasi motivo l'avesse fatto, i suoi genitori non potevano essere lontani. 
Istintivamente si portò la mano all'avambraccio sinistro. Le cicatrici che la marchiavano da quando Bellatrix Lestrange, zia di Draco, l'aveva torturata, sembravano bruciare ancora, quando ci ripensava. 
La scritta "Mudblood" era coperta dai vestiti, ma il ricordo di come la sua pelle fosse ruvida e permanentemente segnata, le infiammava l'orgoglio, chiaro nella sua mente come il vetro.

Non poteva credere che fosse tornato. Probabilmente era un'altro scherzo della sua mente, non sarebbe stata la prima volta... Ma non era il momento di pensarci. Permetteva ai pensieri di riaffiorare solo quando non aveva alcuna luce con cui combatterli. E adesso c'era Ron. C'era Ginny. La piccola di casa Weasley che si era dimostrata la più coraggiosa di tutti. 
Girò la testa, guardando la rossa che le aveva rivolto un sorriso caldo.

«Cos'hai, Hermione?» la voce gentile dell'amica le giunse alle orecchie preoccupata. Preoccupata per lei.

«Niente, davvero, Ginny... Stavo solo pensando.» sorrise radiosa lei, sperando che la sua espressione non apparisse falsa tanto quanto lo era. Non ne aveva parlato con nessuno, e sul serio non sapeva se poteva farlo.

«E a cosa pensi?» Ron si scostò per guardarla in faccia, con solo l'amore negli occhi azzurri. Amore per quella brillante giovane strega che, solo Merlino sapeva come, ricambiava i suoi sentimenti.

«A tante cose... Dov'è Harry?» domandò, cercando di distogliere l'attenzione da sè. Funzionò.

Ginevra si illuminò, pensando al suo ragazzo. Avevano avuto tantissimi ostacoli, tra cui proprio Ronald, ma finalmente potevano stare insieme.

«Non è qui.» disse ironico Ron.

«Ma non dirmi!» ribatté lei con un sorriso.

«Lo so io dov'é.» intervenne Ginny.

«Ovviamente.» disse Ron.

Lei alzò gli occhi al cielo, poi parlò. 
«È ad allenarsi.» disse semplicemente. Harry si allenava tutti i giorni. Era deciso più che mai a diventare un Auror, ed era sicuro che ce l'avrebbe fatta, lui era Harry Potter. Questo, però, non gli impediva di passare molto del suo tempo nell'aula dei duellanti ad esercitarsi negli incantesimi. 
Nel mondo magico tutti conoscevano il suo nome, tutti sapevano ciò che aveva fatto, tutti davano per scontato che riuscisse nelle cose, tutti tranne lui. Non era facile essere il bambino che è sopravvissuto, il prescelto. Ma ormai tutti erano decisi a lasciarsi gli anni bui alle spalle, quindi nemmeno ci facevano più caso. Semplicemente, gli ricordava troppo ciò che avevano perso.

«Parli del diavolo...» disse ironicamente Ron.

«...e spuntano le corna?» con un sorriso Harry completò la frase. Hermione non si era nemmeno accorta del fatto che il grifondoro stava camminando verso di loro, i capelli disordinati scompigliati dal vento invernale. 
Lui e la Granger avevano provveduto ad insegnare a Ron e Ginny alcuni detti babbani, tanto per farsi due risate, ma da allora il Weasley non faceva che metterli in mezzo. Che avesse preso dal suo babbanofilo padre?

Harry si chinò sul prato innevato, e diede un bacio dolce sulle labbra di Ginny. Ron ancora si irrigidiva ogni volta, quindi Hermione gli diede una gomitata scherzosa, per poi baciarlo sulla guancia.

«Com'è andata oggi?» chiese la rossa.

«Al solito... Sembra assurdo, ma ho delle difficoltà con gli incantesimi di base. Quelli un po' più avanzati mi riescono.» raccontò lui. Hermione, suo malgrado, pensò nuovamente alla notte prima.
Merlino, perché non poteva smetterla e basta?

«Ragazzi, ho trasfigurazione adesso...» disse.

«Anche io.» rispose Harry. La ragazza si alzò, attenta a non fare male a Ron, poi prese la mano del rosso per incitarlo a fare lo stesso. 
Dopo qualche lamento del grifondoro, il quale sosteneva che non si sarebbe mai più seduto sulla neve, o si sarebbe congelato il sedere, si separarono davanti alle scale.

«Ci vediamo dopo.» le sussurrò Ron, dopo averle dato un bacio a stampo.

«Sì, a dopo.» sorrise lei.

Mentre camminava lungo i corridoi di Hogwarts con l'amico, per andare nell'aula di trasfigurazione, Hermione non poté non pensare. Lei ed Harry camminavano in silenzio, l'uno vicino all'altra, quando lui ruppe il silenzio.

«Hermione, davvero, cos'hai? A me puoi dirlo.» Davvero, Harry? Posso dirtelo? pensò.
Non voleva dare altri pensieri a quel ragazzo. Era sempre stato il suo migliore amico, la capiva come nessuno. 
Si fermò, seguita a ruota da lui.

«Stavo solo pensando a quanto sia strano tutto questo. Noi, che camminiamo ancora in questi corridoi, come se nulla fosse cambiato. È solo che certe volte non posso fare a meno di sentirmi come se fossimo ancora a vagabondare in cerca degli horcrux, senza una vera meta e in situazioni estreme... Mi chiedo cosa sia successo ad alcune persone, oppure...» smise di parlare. Non poteva dire ad Harry di Malfoy. Oppure sì? Il fatto era che non parlavano mai della guerra. Stavano cercando di andare avanti, tanto era il sollievo che tutto fosse finito. Tutti si comportavano come se nulla fosse stato. Ma forse non bisognava ignorare.

«Oppure cosa?»

«No, niente...»

Hermione fece un passo avanti, ed abbracciò l'amico. Harry non esitò a ricambiare la stretta, facendola sentire sempre più al sicuro tra le sue braccia familiari.

«Credevo che fosse tutto passato.» le sussurrò all'orecchio.

«Ed è così... È così, davvero. Solo che...» non ne aveva mai parlato con nessuno.

«Shh. Basta adesso. Hermione, basta...»

«Scusa, Harry, io...»

«Non fa niente.»
Una ragazzina con delle lunghe trecce bionde rivolse loro un'occhiata curiosa, evidentemente era in ritardo anche lei. Sembrava del primo, massimo secondo anno, così piccola rispetto alla giovane donna che stava abbracciando Harry. Portava i colori della casa Tassorosso e, dopo aver distolto lo sguardo imbarazzata, si affrettò ad andare via. Questo ricordò ad Hermione una cosa.

«Oddio, Harry, siamo in ritardo!» si sciolse dall'abbraccio e tirò il grifondoro per un arto, nella direzione dell'aula.
Con una risata sommessa, il moro la seguì.

L'aula di Trasfigurazione era sempre la stessa. Sulla cattedra di legno scuro, sedeva un gatto grigio, con dei segni simili ad occhiali squadrati intorno agli occhi intelligenti. Quando Harry ed Hermione entrarono, il felino li puntò con lo sguardo.

«Scusi il ritardo, professoressa.» sussurrò Hermione verso di esso, prima di sedersi al secondo banco col compagno.

«Signorina Granger, si è persa? Eppure conosce la scuola perfettamente.» il tono della McGranitt, tuttavia, non era duro come un tempo. La strega si era abilmente trasformata da gatto ad umana, con l'esperienza da animagus che aveva da tempo, e che non stupiva più i suoi studenti come una volta.

«Aprite a pagina 479, oggi ripasseremo un tipo di trasfigurazione che dovreste conoscere a memoria, l'Evocazione.»
Hermione prese la bacchetta e il libro di testo, prima di guardarsi intorno. Condividevano quella lezione con Serpeverde. Inutile dire che il suo cervello le mandò altre immagini della serpe per eccellenza, Malfoy. Respinse quel pensiero. Non era il momento.
Lesse e rilesse l'incantesimo che aveva usato più e più volte, prima di metterlo in pratica. Evocò un calice d'argento.

«Si sforzi di più, signorina Granger. E, Potter, cos'è quello? Un lazo?» li riprese la professoressa McGranitt.

Hermione si sforzò più volte, ma oggi non era proprio giornata. Finì la lezione insoddisfatta e stanca. Voleva solo dormire, ma non riusciva a fare nemmeno quello. 
Dopo un'ultima lezione di Astronomia, la grifondoro andò dritta al suo dormitorio, senza nemmeno mangiare.

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Capitolo 3
*** L'ultima speranza di Draco ***


Non era stato facile, negli ultimi mesi. I Malfoy possedevano una casa sicura in Italia, ed era lì che avevano provato ad andare. Draco sapeva sin dall'inizio che la sua vita non era normale. Non lo era mai stata, a partire dalla sua educazione. Ma c'era qualcosa, dentro di lui, alla quale non era mai andato bene. 
La vita del giovane serpeverde era fatta di doveri, pregiudizi ed onore. Ma l'onore, lo sapeva, lo avevano perso ormai da tempo. Erano stati pochissimi a non abbandonare il Signore Oscuro, mesi prima, dopo la scoperta che Harry Potter non era morto e, sinceramente, era contento di essere stato tra quelli che se ne erano andati. Perché, seppur non valesse molto, alla sua vita ci teneva. Peccato che però fosse ugualmente in pericolo. 
Ora era solo. I suoi genitori lontani, qualsiasi suo conoscente irraggiungibile. Gli era venuto spontaneo tornare ad Hogwarts, erano giorni che si rifugiava nella Foresta Proibita, sperando di trovare il coraggio di fare ciò che doveva. O che voleva. Fatto stava, che era la sua ultima speranza.

Non era mai stato il migliore dei maghi, nelle capacità quanto nello spirito. Ma forse non era colpa sua.
Una cosa, però, era certa: era un uomo alla deriva. 
Uomo, perché cresciuto come non mai in così poco tempo.
Alla deriva, perché la speranza non era più del suo mondo.
Non viveva, sopravviveva. Forse sarebbe dovuto andarsene, scappare e rifarsi una vita, ma dov'era che il suo nome non lo avrebbe preceduto? Ironico. Lui che era sempre stato abituato a giudicare solo attraverso il nome che qualcuno portava, adesso avrebbe voluto non possederne alcuno. Tanto, non avrebbe fatto differenza. 
Ripensò alle parole che il padre gli aveva rivolto, una volta che si era permesso di mostrarsi.

"Sii l'uomo che io non sono mai stato. Il mago che meriti di essere. La persona che tu vuoi diventare... E non crollare mai."

Lo aveva detto durante un momento di debolezza, sapeva che non lo avrebbe mai sentito di nuovo. L'orgoglio Malfoy, era quello il punto. Ma di quell'orgoglio Draco non vedeva nemmeno l'ombra, da quando il Signore Oscuro era tornato, e si era restaurato solo in parte quando era stato sconfitto. 
Una cosa era certa, c'era un motivo se era lì.

Con un verso di frustrazione, tirò un pugno ad un albero lì vicino. Era almeno un'ora che usciva e rientrava dall'ombra che gli offriva la Foresta Proibita, indeciso sul da farsi. No, non indeciso, timoroso. Si trovava al limitare degli alberi, ad una decina di metri dalla capanna del mezzogigante. 
Si guardò la pelle diafana della mano destra, ora arrossata sulle nocche per il colpo sferrato. La bacchetta giaceva a terra, non lontana da lui.
L'aveva presa ad un mago inesperto, incontrato in un paese babbano in Germania, dove era riuscito ad arrivare con la madre e il padre. L'aveva ottenuta disarmandolo, ma il legno di agrifoglio si addiceva poco a lui, tanto lontano dal biancospino. Il nucleo, che aveva scoperto essere di crine di unicorno, era diverso da quello della sua adorata, prima bacchetta. Certo, questa gli obbediva, ma non era la stessa cosa. 
Alla fine, si decise. Fece l'ennesimo, definitivo passo verso il castello, e si preparò a ciò che lo aspettava.

Ultimamente la McGranitt restava fino a tardi nel suo ufficio, quello che era stato di Silente e di tutti gli altri presidi prima di lui. Draco lo sapeva grazie ad ore di osservazione, quando pensava ai suoi propositi riguardanti la strega Minerva. 
Attento a non farsi vedere e con precauzioni ben superflue, dato che erano più o meno le 23:30 e il coprifuoco era già scattato, il biondo strisciò nel castello che tanto conosceva. Sembrava un fantasma, pallido e smunto com'era, mentre sgusciava nella notte di Hogwarts. 
Arrivato davanti alle porte, tentennò ancora. Non aveva incontrato nessuno, nei corridoi della scuola. Quasi aveva sperato che non fosse così, ma sapeva bene di non doversi far vedere, fino a che non sarebbe stato sicuro che avrebbe potuto. Impugnò la bacchetta, e strinse le dita attorno ad essa talmente forte che le nocche diventarono bianche. Doveva. Non c'era altra soluzione, era la sua ultima speranza. Merlino, tremava come una foglia per qualcosa che poteva apparire così semplice... Ma chiunque di lui avesse conosciuto più del nome, sapeva che non era così.

Udì delle voci attutite da dietro la porta, e raggelò, riconoscendone subito una.

«Minerva, davvero non trovo nulla che non vada.» disse Silente. La sua voce era molto pacata.

«No, Albus, lei non capisce... È tutto diverso.» rispose la McGranitt, la voce stanca.

Il giovane Malfoy, adesso, era il ritratto di uno spettro. La differenza era che se un fantasma doveva fare paura, lui era terrorizzato. Silente? Ma come? Era morto, deceduto, defunto. Da tempo. Una fitta di rimpianto lo attraversò quando ripensò al ruolo che aveva avuto nella morte del mago che aveva infestato molti dei suoi sogni tempo prima, a cosa fatta. 
Era impossibile, si costrinse a pensare. Assolutamente impossibile. La sua mente doveva avergli tirato un brutto tiro. 
Era lì ad interrogarsi sul perché il preside defunto stesse parlando, a dividerli solo una porta. Certo, il suo aguzzino non era propriamente Draco, e Silente aveva resa chiara la sua inclinazione al perdono, soprattutto nei confronti di chi non sapeva ciò che faceva. Era stato Piton, il suo vecchio insegnante, ad ucciderlo. Ma cosa avrebbe pensato Silente, vedendolo entrare lì? Cosa avrebbe fatto?
Queste e altre mille domande vorticavano nella mente del povero ragazzo, quando venne risvegliato dal suo stato dalle parole del vecchio mago.

«Minerva, c'é qualcuno per te. È impaurito, ma fallo entrare. Ricorda, Hogwarts offre sempre un aiuto.»

«Certo, Albus, io...»

A quel punto, Draco spinse le pensanti porte di legno dell'ufficio, la bacchetta ancora stretta nella mano sudata. 
Nello spazio illuminato da candele, si trovava la professoressa McGranitt, con il naso adunco sollevato all'insù, a guardare con interesse qualcosa alla parete. 
Il ragazzo si fermò sui suoi passi: era da sola. 
Fu allora, che la testa della preside scattò dal quadro di Albus Percival Wulfric Brian Silente, a lui. Draco capì in un momento. Nella tela del dipinto, c'era il vecchio mago, che lo guardava con aria curiosa e consapevole, da sotto gli occhiali a mezzaluna. Era con il quadro, che parlava la strega. 
Il ragazzo non poté sostenere quello sguardo azzurro e sincero, quindi lo riportò sulla McGranitt, che ora lo puntava con la bacchetta.

«Cosa ci fa qui, signorino Malfoy?» la voce della donna era dura, ma anche spaventata. Gli occhi verdi impercettibilmente sgranati, e la mano che teneva la bacchetta leggermente tremante. 
Draco la guardò sconvolto. Poteva davvero fare ciò che si era ripromesso?

«Risponda!» tuonò la McGranitt.

«Io...» tentò Draco, ma le parole gli morirono in gola. Solo allora si accorse di star a sua volta puntando la bacchetta contro la strega, le dita che stringevano convulsamente l'agrifoglio. La sua mano era bianca, come il suo volto, in netto risalto con gli abiti neri del ragazzo.

Riportò lo sguardo sulla professoressa. I suoi lineamenti erano severi, gli occhi ingranditi dagli occhiali squadrati sul naso. Lui notò che era molto più vecchia di quanto ricordasse, come se lo fosse diventata prima del tempo. Il verde dei suoi occhi era stanco, ma eterno come una forza inesauribile. 
Fece un passo, titubante, verso di lei.

«Signorino Malfoy! Cosa ci fa qui?!» lo sollecitò ancora una volta, spazientita, la donna.

«Io... Sono qui...» la sua abilità nell'assemblare le parole, sembrava averlo abbandonato.
«Devo...»

Terrorizzato, vide che la McGranitt sollevava impercettibilmente la bacchetta, come a volergli fare una fattura, o peggio. Allora il ragazzo fece l'unica cosa che gli venne in mente.
Cadde in ginocchio, le mani giunte in grembo, e il capo abbassato.

«No! La prego....» non osava alzare lo sguardo, ma sentì il sussulto della strega. Con un unico, lento gesto, come ad arrendersi e ad alzare le mani, allungò la mano destra, e gettò la bacchetta ai piedi della donna che, sconvolta e sulla difensiva, lo guardava dall'alto. 
Malfoy era sempre stato un ragazzo spregevole, non lo aveva mai sopportato, a dire il vero. Sin dal suo primo giorno ad Hogwarts, aveva riconosciuto in lui le vere doti di un serpeverde. E, detto da una grifondoro, non poteva denotare qualità.

Grato, Draco vide che la McGranitt raccoglieva dal pavimento freddo la bacchetta.

«La prego...» la guardò, le iridi che supplicavano «...deve ascoltarmi.»

-

Hermione si svegliò, urlando. Era tutta sudata, e piangeva. Non di nuovo...
Se non avesse fatto un incantesimo al proprio letto dalla prima notte che era successo, la sua compagna di stanza, la prefetta Camille Poreil, sarebbe stata già sveglia a dare l'allarme come era successo quella volta.
Si portò una mano alle guance bagnate, poi all'attaccatura del naso ed infine alle tempie. Prese un lungo respiro, poi si alzò, e andò alla finestra. La pallida luce della luna, che filtrava attraverso il vetro con decorazioni a forma di rombo, illuminava debolmente la stanza, occupata da due letti a baldacchino. In uno di quest'ultimi, dormiva Camille, che, a quanto pareva, poteva farlo beata. 
Poggiò una mano chiusa a pugno contro il vetro freddo, poi la fronte, tentando di fermare le lacrime. Il sollievo del freddo era futile contro il calore dentro di lei.

Con rinnovata rabbia, colpì il vetro e prese il mantello pesante. 
Sgattaiolò nella sala comune Grifondoro, facendo attenzione a non fare rumore, e, varcato il ritratto della Signora Grassa, prese a correre verso la Foresta Proibita.
Le lacrime le offuscavano la vista, mentre si dirigeva il più velocemente possibile verso il bosco. Arrivata allo spiazzo dove andava quasi sempre, si lasciò cadere a terra, contro il tronco che tante volte era stato testimone delle sue lacrime. 
Pianse, pianse ed urlò, non riuscendo a togliersi le immagini dalla testa. 
Si mise le mani tra i capelli, li strinse tra le dita quasi a volerli strappare, e pianse. Tra un singhiozzo e l'altro quasi non riusciva a respirare, ma non poteva smettere. Le lacrime scendevano copiose, bagnandole il volto e il collo, scendendole sul petto calde e soffocanti. 
Il peggio, però, era che era anche arrabbiata. Arrabbiata con se stessa per essere così debole, per cedere così facilmente, dopo tutto ciò che aveva affrontato.
Prese la bacchetta e, con un sussurro, pronunciò un incantesimo. A qualche centimetro da lei, su terreno coperto di neve, apparve un calice d'argento.

«A-aguamenti.» disse, e il calice si riempì di acqua. Lo prese in mano e bevve, ma questo non le portò il sollievo che aveva sperato.

Altre lacrime le bagnarono le guance, calde come non mai. Il peso nel petto sempre più schiacciante.
Ad un tratto, si alzò in piedi, e cominciò a camminare torcendosi le mani e facendo dei lunghi respiri. 
Calmati, calmati... È tutto finito... provò ad auto convincersi. Nulla.
Crollò di nuovo a terra, ormai sfinita e incapace di lottare ancora contro il suo essere umana. 
La stanchezza era tale, che la grifondoro chiuse gli occhi e si lasciò andare.

Si svegliò di soprassalto, la guancia gelata e il corpo che sentiva solo il freddo costante. Ci mise qualche secondo a ricordarsi dov'era, e a capire che il freddo era dovuto al fatto che era distesa sul suolo innevato.
Frenetica, si frugò in tasca, cercando la bacchetta. Nulla, non poteva avere nemmeno il sollievo di averla in mano. 
La sua angoscia crebbe e crebbe, più non la trovava. Ad un tratto, si fermò, rendendosi conto di una cosa.
Sulle sue spalle, oltre al suo solito mantello pesante, ce n'era un'altro, molto più grande, e nero. Odorava leggermente di muschio.

«Cerchi questa?» domandò una voce fredda e maschile, dall'ombra. Hermione trasalì, spaventata. Quella voce...

«C-chi parla? Vieni fuori!» disse.

«Non credo tu voglia.» la sua voce, ora, più dolce. Era convinta di conoscerlo.

«Come fai a sapere ciò che voglio?»

«Ti conosco, Granger.» non poteva essere...

«Chi sei?» disse, la voce più stridula del solito.

«Ha importanza?»

«Ma certo che ce l'ha!» disse lei, ovvia. La persona non rispose. Decise di cambiare approccio.
«Questo mantello...» strinse tra le dita il tessuto «...é tuo?»

«Si...»

«E come mai ce l'ho io?» domandò, perplessa.
Ci furono vari secondi di silenzio, prima che la voce le giungesse dall'ombra di nuovo.

«Saresti congelata.» rispose, semplicemente. Nella sua voce c'era una sfumatura indecifrabile.

«Oh. Io... Grazie.» disse in un sussurro. 
«Hai visto la mia bacchetta?» chiese retoricamente «non riesco a trovarla.»

«Si, be'... Forse perché ce l'ho io...» il tono vagamente ironico.

«Ridammela.» provò ad ordinare, ma ricevette solo una risatina.

«Dici che dovrei? Mah, non so...»

«Certo che si!» la sua voce echeggiò senza risposta, solo il silenzio.

«Perché non ti fai vedere?» chiese allora, un po' offesa.

«Perché non saresti contenta di sapere chi sono, Mezzosangue...» sussurrò l'insulto con la voce di chi é abituato a disprezzare. 
Hermione sgranò gli occhi e si irrigidì talmente che sarebbe potuta sembrare soggetta all'incantesimo Pietrificus Totalus. Ora sapeva perché quella voce era così familiare.

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Capitolo 4
*** Passato ***


Era a cercare di schiarirsi le idee, fuori dal castello, nella penombra. Non aveva idea di che ore si fossero fatte. Quello che era appena successo era assurdo. Non era possibile che la McGranitt avesse preso in considerazione la sua richiesta, ed ora che lo aveva fatto, aveva ancora più paura. E se, alla fine, non fosse cambiato poi così tanto?
Proprio mentre cercava di dare una risposta a questa domanda, Draco vide una figura tagliare l'oscurità della notte, a metri da lui. 
Avrebbe riconosciuto quei ricci ovunque: era la Granger. Senza nemmeno rendersi conto di cosa faceva, si ritrovò già a correre silenziosamente dietro alla strega, che era più veloce di quanto pensasse, ed andava a tutta burrobirra verso la Foresta Proibita. 
Quando la ragazza si fermò, notò che riconosceva il luogo: lo stesso dove l'aveva vista la notte prima. 
Era stato troppo preso a tenerle il passo per accorgersi del suo stato ma, ora che la grifondoro si accascia a a terra e tentava di respirare, vide le sue lacrime, il suo volto arrossato e la smorfia di dolore che indossava.
Senza che potesse fare nulla per fermarla, si ritrovò ad assistere alla medesima scena della notte prima. Si alzò, urlò, ma non riuscì a fermare le lacrime che, il ragazzo lo sapeva, la Granger odiava con tutta se stessa.
Ad un certo punto, la ragazza fece apparire un bicchiere che riempì d'acqua. Quando pronunciò l'incantesimo, Draco non poté sopportare come la sua voce suonasse spezzata. Cosa Merlino la rendeva così debole? Eppure lei era così forte... Passò ore o secondi a guardarla, poi si accorse che il suo respiro diveniva regolare e gli occhi si chiudevano, esausti. Non poteva credere che si fosse addormentata, eppure guardarla era così stranamente piacevole... Sembrava quasi che il mondo fosse in pace, quando lei dormiva, che tutto avesse un senso. Guardò le sue labbra socchiudersi, mentre cadeva tra le braccia di Morfeo.

Si sedette a terra, osservandola. Quando una delle sue mani toccò il suolo, si rese conto che si gelava. Guardò meglio, le guance della Mezzosangue erano notevolmente arrossate, le mani nella stessa condizione. Sarebbe congelata. Senza pensarci più di troppo, si tolse il mantello e fece qualche passo silenzioso verso di lei. Quando si fu avvicinato abbastanza, si sedette sui talloni e le appoggiò addosso l'indumento pesante. Le sue dita restarono forse qualche secondo di troppo sulle sue spalle, ma non gli interessava. 
Le passò le nocche sulla guancia, in una carezza silenziosa, poi notò che era distesa sulla sua bacchetta. Titubante, la prese: sapeva che se si fosse svegliata lo avrebbe affatturato di sicuro.
Tornò nell'ombra, da cui poteva guardarla indisturbato, senza la paura che lo vedesse.

La guardò ancora e ancora, fino a che non la vide muoversi ed alzare la testa riccioluta. Sembrava spaesata, sicuramente a prima vista non aveva riconosciuto la Foresta. 
Si portò una mano alla guancia arrossata, poi tra i capelli lunghi, cercando evidentemente di schiarirsi le idee. Ad un tratto, come resasi conto di qualcosa, cominciò a frugarsi in tasca, e Draco ringraziò il cielo di essere stato prudente. 
Non si era nemmeno accorta di avere addosso un indumento non suo, nella foga della ricerca della bacchetta, ma la vide notarlo quando si portò una mano sulle spalle, a toccare il tessuto nero del mantello, immobilizzandosi subito.
Era consapevole di starla guardando come se fosse una mandragola da vivisezionare per Erbologia, ma in quel momento a Draco non importava. Anche se probabilmente, pensò, una mandragola sarebbe stata più innocua di quella Mezzosangue...

«Cerchi questa?» le disse freddo, dimenticandosi che la strega non poteva vedere la sua mano sollevata con due bacchette chiuse nel pugno.

«C-chi parla?» la vide sgranare gli occhi. «Vieni fuori!» tentò.

«Non credo tu voglia.» non seppe perché, ma provò un senso di amarezza a quelle parole, le proprie.

«Come fai a sapere ciò che voglio?» domandò la Mezzosangue.
Draco per poco non rise. Non la conosceva certo bene, ma sapeva per certo, da tutti quegli anni, che lui era l'ultima persona che lei avrebbe voluto vedere. 
Decise di farglielo capire da sola.

«Ti conosco, Granger.» ghignò. La voce fredda; non Draco, Malfoy.
La vide aggrottare le sopracciglia nella sua direzione.

«Chi sei?» chiese.

«Ha importanza?» non sapeva se quella domanda la stava facendo a lei o a sé stesso.

«Ma certo che ce l'ha!» ecco il tono da sapientona che aveva sempre quando, in passato, la insultava. Sconcertato, superiore, chiaro come se stesse parlando con uno sciocco.
Non rispose, e il silenzio aleggiò tra loro come nebbia, fino a che le sue parole non lo ruppero.

«Questo mantello... É tuo?»

«Sì...» avrebbe dovuto dirglielo? Non lo sapeva, ma le rispose, quando glielo chiese, che semplicemente sarebbe congelata, senza del suo aiuto. Poi ancora le disse di avere la sua bacchetta.

«Ridammela.» quel suo tono saccente, l'atteggiamento fermo che pretendeva... Lo innervosì.

«Dici che dovrei? Mah, non so...» disse con voce tagliente che, nonostante le parole fossero ironiche, nascondeva intenzioni derisorie, come sempre.

«Certo che sì!» continuava a pretendere... Non con lui.
«Perché non ti fai vedere?» era esasperata ed offesa, come lui la voleva.

Ghignò, anche se lei non poteva vederlo pensò potesse avvertirlo dalle sue parole.

«Perché non saresti contenta di sapere chi sono...» sibilò «...Mezzosangue.»

La guardò spalancare gli occhi e irrigidirsi. Poi indietreggiare, ancora a terra. Infine, allungare la mano, cercando inconsciamente la bacchetta, solo per poi ricordarsi di essere senza.

«Tu...» sussurrò. Il suo tono carico di disprezzo.

«...io.» rispose divertito.

Senza rendersi conto di cosa stesse facendo finché non fu troppo tardi, vide la Granger afferrare un bastone e lanciarlo nella sua direzione, velocemente. Il problema era che non poteva vederlo.
Draco rise.

«Liscio... Bella mira.» e con un passo, uscì dall'oscurità che lo aveva celato fino ad allora dallo sguardo fiero della grifondoro.

-

Eccolo. Il volto che fino a poco prima era solo un ricordo, quello che avrebbe voluto e potuto non rivedere più. 
Draco Malfoy.
Avrebbe dovuto saperlo sin dall'inizio, quando l'aveva schernita chiedendole cosa cercasse. Avrebbe dovuto capirlo dalla sua voce, da qualsiasi cosa... Ma non l'aveva fatto, ed ora si trovava ad indietreggiare, senza nemmeno la sua bacchetta, potendo fare affidamento solo sulla sua buona mira.

Prese una roccia bagnata dalla neve, e la scagliò con forza contro il giovane biondo davanti a lei.

«Protego!» urlò il serpeverde. Tra loro si estese un muro invisibile, opera dell'incantesimo che lei stessa conosceva così bene... Se ne infischiò, e lanciò un'ultimo pezzo di legno verso di lui, con vani risultati: l'oggetto si infranse contro la superficie trasparente, senza scalfire Draco.

«Merlino, Granger, ti vuoi calmare?» disse lui.

«Neanche per sogno! Ridammi la mia bacchetta, Malfoy!»

«Sì, certo, così mi puoi affatturare? Non sono un'idiota.» ribatté Draco. 
Passò qualche secondo, poi Hermione chiese, con lo stesso tono bellicoso di prima:

«Cosa ci fai qui?» si era alzata, ed ora si guardavano alle due parti del muro invisibile eretto dall'incantesimo del giovane mago, a un metro e mezzo l'uno dall'altra, fissandosi in cagnesco. Non sembrava essere cambiato nulla da quando, al terzo anno, la grifondoro aveva scagliato un pugno al ragazzo, ma entrambi sapevano che non era affatto così, non erano più un bambino altezzoso ed una ragazza coraggiosa, a sfidarsi, bensì un giovane uomo ed una nuova donna, entrambi cresciuti.

Malfoy alzò gli occhi verso il cielo stellato, coperto dalle chiome degli alberi della Foresta Proibita.
«Sapete fare tutti la stessa domanda?» chiese retoricamente.
«Tu, piuttosto, cosa ci fai qui?» le rigirò la questione.

«Non sono affari tuoi.» rispose lei. 
Il ragazzo prese un lungo respiro.
«Perché mi hai preso la bacchetta?»

«Perché ti conosco e ci tengo alla testa, per Salazar.» rispose, ovvio. 
«Perché piangevi, Mezzosangue?»

«Non chiamarmi...» cominciò, poi si fermò. «Sai cosa? Fai come ti pare.»

«Rispondi.»

«Ti interessa?»

Draco fece spallucce.
«Sai com'é, un ragazzo non può farsi una passeggiata in una Foresta Proibita senza venir disturbato dai singhiozzi si una sudicia Mezzosangue... Sono curioso, tu non lo saresti?»

Hermione strinse la mascella.
«Non se si trattasse di te, Malfoy.»

«Giusto...»
La guardò negli occhi. Essi bruciavano fieri, di un marrone caldo, che sembrava consumarlo. Era uno sguardo che lo sfidava in continuazione, ed era l'esatto contrario del suo, chiaro e freddo.
Le iridi infuocate della grifondoro sembravano insistenti, intense e magnifiche. 
Senza distogliere lo sguardo dal suo, disfece l'incantesimo di protezione, aspettandosi che la ragazza gli saltasse addosso o riprendesse a lanciargli oggetti alla rinfusa, ma lei rimase immobile. 
Stava valutando cosa fare. Le formicolavano le dita della mano destra, ma la sua bacchetta le era stata privata. Poi, si ricordò di poter fare alcuni incantesimi senza di essa, ma nulla che potesse mettere a terra il ragazzo. 
Era sicura di poter afferrare un'altra roccia e lanciargliela, era molto veloce, ma non si rese conto di una cosa.
Anche se ne avesse avuta la possibilità, non avrebbe potuto farlo: era inchiodata allo sguardo di Draco. Quegli occhi chiari sembravano magnetici.

Non seppe quanto restarono a fissarsi, ma il cuore di Hermione batteva, forte. E, quando parlò, lo fece in un sussurro.

«Credevo fossi scappato.»

«Era così.»

«Dove sono i tuoi genitori?»

«Lontani.»

«Co... Perché?»

«Per Salazar, Mezzosangue, cosa te ne importa?»

«Sai com'è, una ragazza non può farsi una passeggiata in una Foresta Proibita senza venir disturbata dalle cattive maniere di un arrogante Malferret, sono curiosa...» gli disse, inarcando un sopracciglio.

Draco ghignò.
«Sei così stupida da non poter usare parole tue?»

«Continua a crederci, Malfoy.»

Continuarono a guardarsi con aria di sfida per quelli che parvero anni, finché lui non le lanciò qualcosa, che lei prese al volo in un raro momento di agilità. 
Tutti i suoi nervi si rilassarono notevolmente, seppur fosse impossibile sotto lo sguardo di Malfoy, quando le sue dita strinsero il familiare legno di vite della sua bacchetta. Ora era più sicura. 
Con uno strano, incredibile sforzo spostò gli occhi da quelli del ragazzo alle proprie mani, dove era stretto il legno. Dire che era rimasta interdetta, sarebbe poco.

«Tu... Perché?» chiese, senza guardarlo ancora.
Draco non rispose e, quando la grifondoro alzò gli occhi per ringraziarlo e forse dirgli qualcos'altro, si ritrovò nuovamente sola, nella Foresta Proibita, il giovane uomo con cui parlava prima scomparso.
Si girò per cercarlo di nuovo, ma era l'unica ad essere ancora lì. Non scorse capelli biondi, pelle pallida o vestiti neri. Non vide occhi di ghiaccio né ghigni attorno a sé. Era sola, con la sola sgradevole sensazione al petto a farle compagnia nella notte fredda e silenziosa.

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Capitolo 5
*** Verità ***


Hermione guardò il succo di zucca nel suo bicchiere, la Sala Grande quel giorno era peggio della bottega di Mielanda durante le gita ad Hogsmeade che capitavano di domenica: un bordello.
Il motivo era semplice, quanto scontato: quello era il giorno del Quidditch. La partita che si sarebbe svolta di lì a un'ora trovava avversari Serpeverde e Grifondoro, per cui il fermento era doppio.
Vicino alla fine del tavolo Grifondoro, non lontano dall'ingresso alla Sala, c'erano alcuni studenti che si lanciavano una vecchia pluffa, mentre Luna Lovegood li osservava interessata, il suo solito sorriso le aleggiava sulle labbra. 
Un paio di suoi coetanei Serpeverde, invece, li guardavano con astio.

Hermione ebbe un tuffo al cuore quando, per sbaglio, confuse il colore dei capelli del primo. Aveva sgranato gli occhi e si era impercettibilmente alzata dalla panca, impietrita. Ma no, non erano biondo platino i capelli del giovane accanto alla scopa nimbusduemilauno del cercatore Serpeverde, erano un semplice biondo scuro, ben diverso da quello di Malfoy.
Che stupida era stata. Ma, ora che ci pensava, era tutto il giorno che il suo cervello non si spostava di troppo dall'argomento. 
La scorsa notte era stata strana, sconvolgente. Non riusciva a trovare una spiegazione logica per tutto. Per la presenza di Malfoy ad Hogwarts. Per il suo gesto di darle il mantello, e poi successivamente restituirle la bacchetta. Per il proprio interesse verso la questione. Una spiegazione, per tutto.
Diede un'altra occhiata al calice, pieno come prima. Non aveva proprio voglia di mangiare o bere, se solo pensava al sapore fin troppo dolce del succo di zucca in gola, le veniva la nausea. 
Non era la prima volta che le capitava... I primi giorni dopo la guerra era stato così. Aveva semplicemente lo stomaco chiuso.

Sollevò lo sguardo. Ron le stava accanto, rimpinzandosi di cibo come al solito. Le venne da ridere, e cercò di trattenersi. 
Lui la guardò da sopra il suo bacon.

«Tranquilla, non mangio troppo.» alzò gli occhi al cielo. Lei sorrise. Erano innumerevoli le volte che gli aveva raccomandato di non esagerare col cibo prima di una partita...

Hermione scosse la testa e guardò difronte a lei Harry, che a sua volta osservava i movimenti del boccino d'oro che gli volava intorno. Non se ne era mai separato, da quando Silente glielo aveva lasciato nel testamento, e la ragazza conosceva il valore che aveva per lui.
Sciolse le braccia, prima incrociate sul tavolo, e mise le mani in quelle di Harry e Ron. Poi, appoggiò la testa sulla spalla di quest'ultimo, respirando l'odore familiare con gli occhi chiusi. Si sistemò meglio nell'incavo del suo collo, mentre lui cominciava ad abbandonare il cibo e la guardava. A dire il vero, anche Harry aveva afferrato il boccino e dato tutta la sua attenzione alla grifondoro.
Hermione non li guardò a lungo. Voleva solo dimenticarsi di tutte le domande che la assillavano su quel biondo serpeverde. 
Vide Harry aprire la bocca e fare come a dire qualcosa, ma lo precedette.

«Harry, sto bene. Sono solo stanca.» gli fece un sorriso tirato, che sperò sembrasse sincero. Non poteva dire loro di Malfoy, aveva deciso, non senza spiegare il motivo per cui si era trovata a notte fonda nella Foresta Proibita... E, sinceramente, non voleva affatto raccontare come fosse debole. Certo, Harry e Ron l'avevano vista in momenti ben peggiori, ma non voleva farli preoccupare per qualcosa che non si poteva cambiare... Avevano appena cominciato ad andare avanti.

«Hermione, sul serio, é da ieri che sei strana... Cosa é successo?» disse Harry.
Da ieriPensò lei. Era stata brava a nascondere tutto, finché non l'aveva incontrato. Prima si era abituata, ma lui aveva sconvolto di nuovo tutto, lasciandola con troppi punti interrogativi. Malfoy...

«Sono solo... esausta. Sono due notti che non dormo bene.»

«Dovresti andare da Madama Chips, allora.» le suggerì Ron. Quando spostò gli occhi su di lui, non fu sorpresa di trovare un solco sulla sua fronte, causato dalle sue sopracciglia aggrottate. Era proprio questo che voleva evitare, la loro preoccupazione.

«D'accordo, dopo la partita ci vado.» disse, allungandosi per dare un bacio sulla guancia di Ron. Avvertì un accenno di barbetta sul suo mento, e ridacchiò.
Quando rialzò gli occhi, vide la ruga sulla fronte di Ronald scomparsa, anche se Harry non sembrava del tutto convinto. Per evitare dubbi, gli sorrise calorosamente.

-

Draco Malfoy era un ragazzo davvero strano. Non perché fosse dotato di poteri magici, non perché avesse i capelli praticamente bianchi, non perché aveva un passato travagliato. Semplicemente perché faceva cose o prendeva decisioni che certe volte stupivano anche lui.
In una tra le notti fredde e solitarie, le uniche che aveva avuto da lungo tempo, era sicuro che si sarebbe pentito di aver ceduto il suo mantello alla Granger. Cosa ci aveva fatto, poi? Avrebbe potuto farselo ridare, prima di scappare. 
No. Si disse. Lui non era scappato, i Malfoy non scappano. Piuttosto si congedano velocemente.
La sera prima, quando la Mezzosangue lo aveva guardato in quel modo, sapeva che qualcosa non andava, ma non lo avrebbe mai ammesso a sé stesso. 
In un gesto che avrebbe deriso solo qualche tempo prima, se fatto da un'altro, le aveva ridato la bacchetta, che lui stesso le aveva tolto. 
Lo stupore sul volto della Granger gli aveva fatto quasi male. Chi credeva di poter prendere in giro? Era davvero cambiato come credeva, o forse era sempre stato così?

Camminò ancora, vedendo l'albero che si dava spesso come riferimento. Sapeva di essere ritornato dove aveva incontrato la Granger, ore prima. 
Da lontano, scorse qualcosa di strano, lievitare in mezzo allo spiazzo... Si avvicinò, studiando l'oggetto. 
Il sole era alto nel cielo, e Draco aveva visto tutti gli studenti della scuola recarsi al campo da Quidditch, doveva esserci una partita... Da quanto non ne vedeva una? Molto.
Nonostante fosse giorno, la chioma degli alberi rendeva la luminosità bassa, per cui, quando credette di aver compreso l'oggetto, pensò di aver visto male. Poi, appurato che non si era sbagliato, gli venne da ridere, ma questo suo sentimento fu stroncato sul nascere da un'altro. 
Glielo aveva lasciato. Com'era strano.

Questi pensieri, però, furono presto sostituiti da altri, sospettosi.
Sicuramente lo avrebbe affatturato. Era molto probabile che la Mezzosangue avesse lanciato un'incantesimo, su di esso.
Ciò nonostante, rimase a fissare il tessuto nero del mantello pesante, lo stesso che aveva dato alla Granger, sospeso in aria sotto l'effetto di un'incantesimo di levitazione. Le ombre giocavano sulla superficie nera, ed anche per questo non riusciva a capire cosa fosse, all'inizio. 
Il mantello era all'altezza dei suoi occhi, al centro dello spazio, e sembrava abbandonato.
Con cautela, avvicinò una mano, fino a toccarlo. Non appena le sue dita sfiorarono il tessuto, l'incantesimo si sciolse e lo fece cadere nelle sue mani, innocuo.

Lo indossò e si sedette a terra, restando così per non sapeva quanto tempo.

-

Qualche ora dopo, sudati e totalmente in disordine, Harry e Ron erano raggianti. 
Il portiere della squadra Grifondoro non faceva che elencare le parate migliori che aveva fatto durante la partita, facendo delle smorfie per far passare per insignificanti, invece, i punti che aveva preso.
La ragazza invece, che camminava tra loro due verso il castello, si tratteneva dal ridere. Harry scuoteva la testa sorridendo, senza prendersi i propri meriti, nonostante fosse grazie alla sua cattura del boccino, che Grifondoro aveva vinto.

«Harry, diglielo un po' che non é facile volare e fare altre cose contemporaneamente!» protestò Ron, quando Hermione non riuscì più a trattenersi e rise del suo ragazzo fomentato.

«Ron, lo sa benissimo.» rispose Harry con un sorriso.

«Io non credo, altrimenti riconoscerebbe che l'ultima l'ho parata da Merlino! Nemmeno quell'energumeno di Cormac sarebbe stato capace.» ribatté lui, mentre Hermione non riusciva a trattenere le risate.

«Cormac? Sul serio?» la ragazza rise più forte, al ricordo del biondino membro del Lumaclub che, al sesto anno, si era preso una "cottarella" a detta di Ron, per lei.

«Dai, sto scherzando.» disse con tono più dolce, quando vide che Ronald cominciava a mettere su il broncio.

«Sei stato bravissimo.» gli diede un bacio sulle labbra, che fece sorridere il grifondoro, dimentico del rancore di prima.

«Avete finito voi due?» si intromise Harry, prima di venir assalito da qualcosa, o meglio qualcuno.

«Quante... volte... ti... ho... detto...» lo rimproverò Ginny Weasley tra un bacio e l'altro
«... che devi stare più attento?» concluse, dandogli uno schiaffo sul petto.

Lui, per tutta risposta, rise.

«Harry! Non c'é niente da ridere! Mi hai fatto venire un infarto, per Godric!» 
Durante gli ultimi minuti della partita, quando Harry aveva catturato il boccino, era schizzato in alto verso il cielo plumbeo, per poi ricadere in picchiata, all'inseguimento di un lampo d'oro. C'era mancato pochissimo che non si schiantasse a terra, e, se Hermione si era tranquillizzata dopo le scuse del Cercatore, Ginny era tutta rossa.

«Ginny... calmati.» provò a sedarla lui, ma la Weasley era ancora davanti a lui, con le braccia incrociate e lo sguardo testardo.

«Sto bene, dai...» si erano fermati. Hermione e Ron, irrigidito, l'uno vicino all'altra, guardavano quei due.

Ad un tratto, Ginevra si buttò tra le braccia di Harry. Hermione sorrise e trascinò Ron lontano da loro, verso il castello.

«Ma... Aspettiamoli, no?» protestò il rosso.

«Dai, diamo loro un po' di privacy.» rispose, guadagnandosi uno sbuffo di lui.

Una volta nella sala comune, si misero davanti al camino: quel giorno non c'erano le lezioni. 
Appoggiata a lui, Hermione guardava il fuoco, seduta sul divano. Ron, invece, aveva le mani tra i suoi capelli, e li accarezzava lentamente.

«Herm...?»

«Mmh?»

«Davvero non hai nulla? Oppure... Oppure non me lo vuoi dire?» le chiese lui, titubante. Non era mai stato il migliore a leggere le emozioni delle persone, tantomeno a starci attento o capirle... Ma questo suo lato gli dava fastidio solo quando si trattava di lei. Il pensiero che non potesse fidarsi di ciò che gli diceva era impensabile.

Hermione deglutì, e tacque per un po'. Cosa avrebbe dovuto dirgli, scartata l'opzione "verità"?

«Si, Ron, davvero. Sono veramente, veramente stanca...»

«Okay...» le accarezzò una guancia, facendole alzare il viso.

Quando i loro occhi si incontrarono, posò le labbra sulle sue. Ogni volta che la baciava, ogni volta che le faceva una piccola dimostrazione d'affetto, chiedeva sempre silenziosamente il suo permesso, per continuare.
Così, quando Hermione sorrise sulle sue labbra, approfondì il bacio, più sicuro. 
La sua lingua accolse quella di lui, e la ragazza sentì il sapore familiare della sua bocca. Era un bacio gentile, dolce e silenzioso. Ron era sempre così... Ron. Non sapeva come descriverlo, era lui e basta. 
C'era sempre quando ne aveva bisogno, la trattava in modo stupendo... Riusciva a farla ridere, anche quando non lo credeva più possibile.

Il grifondoro portò una mano sul suo collo, ad accarezzarle la pelle chiara, mentre quelle di lei andarono tra i suoi capelli rossi, ad attorcigliarli con le dita affusolate. 
Schiuse leggermente gli occhi, e trovò quelli di lui chiusi, le ciglia chiare a proiettare ombre sulle guance.
Ad un tratto, Ron si allontanò.

«Hermione!» disse.

«Cosa?» chiese lei, confusa per l'improvviso distacco.

«Madama Chips!»

«Cosa le é successo?»

«Merlino... Non a lei, a te!»

«Ancora? Ti ho detto che...»

«No, Hermione... Dovevi andare a chiederle qualcosa per dormire, no?» le ricordò.

«Ah... Si, poi ci vado.»

«Basta che non te lo dimentichi!»

«Si, certo Ron. Io ora vado a riposare un po', okay?»

«Okay...» rispose lui.

Hermione gli sorrise, per poi salire le scale che portavano al dormitori femminili. Sulla porta, incontrò Camille, che le fece un breve cenno col capo, prima di scendere nella sala comune. Non era mai stata una ragazza socievole... Ma, d'altronde, Hermione cosa ci poteva fare?
Si stese sul letto, il materasso morbido la accolse, comodo ed invitante. Voleva dormire.
Guardò il baldacchino sopra di lei: il tessuto rosso faceva da sfondo a ricami dorati, che sembravano rincorrersi in una danza dinamica così simile a quella delle fiamme. 
Pensò a quella notte. Era rientrata verso le quattro del mattino. Nonostante avesse pensato seriamente di lasciare il mantello di Malfoy a terra o passeggiarci sopra, per sicurezza, aveva deciso di renderglielo come lui aveva fatto con la sua bacchetta. Con uno dei molti incantesimi che conosceva, aveva fatto in modo che solo lui potesse riprenderlo... Aveva deciso di considerarlo un bel gesto, e al suo orgoglio la pensata era piaciuta.
L'aveva trovato? Recuperato? Aveva provato a tornare il quel luogo, o l'aveva evitato come la spruzzolosi?
Tra queste domande, si addormentò, i suoi sogni invasi da occhi chiari e capelli biondi.

...

C'erano molti tipi di persone. Quelle che davanti ai problemi scappavano, quelle che si facevano consigliare. Hermione non apparteneva a nessuno di quei gruppi. Lei, quando c'era qualcosa da affrontare, lo faceva a testa alta, da sola e senza tentennare. Era per questo che, quella sera, aveva deciso di ottenere la verità.

Quando si era svegliata dal suo sonno popolato da intrusi, si era già fatto buio. Dovevano essere state le sei di pomeriggio... Non ricordava quand'era l'ultima volta che aveva dormito così tanto. Aveva saltato il pranzo, e difatti sentiva fame, così era andata a mangiare in Sala Grande. 
Ora era a due passi dall'ingresso di quest'ultima. Poteva sentire il brusio dei ragazzi che chiacchieravano in massa, e, solo al pensiero di tutto quel rumore, considerò di tornare indietro... Ma poi si ricordò di ciò che doveva fare, e si rese conto che le sarebbero servite forze.
Così fece un bel respiro, e varcò la soglia della Sala Grande, andando verso i suoi amici, che l'aspettavano col sorriso sulle labbra.

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Capitolo 6
*** Fuoco e ghiaccio ***


Era sul letto malmesso, le lenzuola erano verdi. La magia rendeva quella tenda, minuscola all'esterno, delle dimensioni di un'appartamento... 
C'era una cucina, un salotto, tre camere da letto matrimoniali, un bagno, e un paio di altre stanze. Tutto era decorato dai colori argento, verde e nero, che rendevano l'abitacolo leggermente più cupo. 
C'erano almeno due lanterne a fargli luce, nella sua camera, ma la fioca fiamma delle candele sembrava volersi spegnere dalla disperazione.

Disteso supino, Draco Malfoy guardava un punto indefinito sopra di sé, tentando di auto convincersi che ciò che gli frullava nella mente già da qualche ora, non era affatto una buona idea. Non l'avrebbe portato a nulla, non aveva la ben che minima utilità... Ma voleva farlo con tutte le sue forze.
La McGranitt gli aveva detto che avrebbe dovuto pensare molto alla sua richiesta, consultare molte persone... Non poteva biasimarla. Certo, non sapeva come avrebbe fatto la preside a non fare rumore, con quella faccenda.
Avrebbe dovuto mettere in mezzo innumerevoli persone, e Draco si stava pentendo di aver anche solo pensato che fosse stata una cosa fattibile, seppur lontanamente.

Se c'era una cosa che Draco Malfoy non sopportava, era l'attesa. Se poi quest'ultima era condannata ad essere vissuta nell'ignoranza di ciò che accadeva, la sua irritazione era duplice. 
I segreti... La sua vita ne era fatta, era intessuta in un groviglio di fili troppo spessi per essere tagliati, neri come il nulla, che si espandevano ogni secondo che ne trovavano l'occasione. Eppure li odiava. Era forse perché sapeva cosa portavano? Una tempesta, o una carestia. Una battaglia civile, oppure una guerra fredda. Una luce che accecava, o un'oscurità che ti avvolgeva... Era questo che era successo a lui. 
Luce, ombra... Alla fine non faceva differenza. Per lui la luce era troppo accecante, e l'ombra troppo nera.
Era terribile, a parer suo, quando non potevi avere il controllo di ogni situazione... Eri costretto ad affidarti agli altri, a credere in loro, a fidarti del loro giudizio e, per una persona che aveva sempre dovuto e potuto contare solo su sé stessa, era inconcepibile. La fiducia era qualcosa che non faceva parte della sua vita. Qualcosa che non capiva. 
La fiducia é come un bocciolo, che nasce in chi la sa accudire e gestire. Gli sembrava fosse così che recitava un proverbio antico come la Gringott... Be', lui non aveva mai avuto il pollice verde.
L'ultima volta che si era fidato di qualcuno, si era ritrovato un tatuaggio sul braccio, simbolo di tenebra... aveva imparato la lezione.
Aveva capito che quando c'era una scelta, era sempre meglio fidarsi solo ed esclusivamente di se stessi. Almeno, se sbagliavi, avevi qualcuno da poter incolpare, capivi perché era successo, avevi una scusa.
Nessuno aveva mai avuto fiducia in lui... Perché lui avrebbe dovuto averne nelle persone, nel mondo? 
No. Fidarsi della gente dava troppo da perdere.
Le persone mentivano, sempre. Lui stesso sembrava aver sviluppato una dipendenza dal farlo... Conosceva la menzogna e il suo intricato mondo come le proprie tasche.

Ecco. Era per questo che non sopportava l'attesa. L'ignoranza di ciò che accadeva lo portava a fare ipotesi, le ipotesi a convinzioni, le convinzioni ad azioni, e le azioni a catastrofi annunciate. Ma quella volta non poteva mandare tutto all'aria. Non poteva.
Si alzò, cominciò a camminare per la stanza. Doveva pensare ad altro, ma l'unica alternativa a quei tormenti sembrava essere la Granger, e si era reso conto che verso di lei non aveva più pensieri chiari, precisi, immutabili. Era tutto confuso, ed un'altra cosa che odiava era la confusione.
Ma era fatta, oramai ci stava pensando. Merlino, che cosa insopportabile. Non aveva più controllo nemmeno dei suoi pensieri?

Prima che potesse fermarsi o affatturarsi per non compiere l'azione che si era vietato per tutto il pomeriggio, fu fuori dalla tenda, a camminare nella Foresta Proibita con una meta precisa in mente.
Con falcate veloci, guardò alberi, rocce... Tutto ciò che poteva dirgli dov'era il posto che voleva raggiungere, nonostante avesse già memorizzato dove si trovasse.
Si ritrovò ben presto con il respiro accelerato, si appoggiò ad un tronco per riprendere fiato qualche secondo... Ed eccolo. Il luogo che voleva raggiungere.
Prima di uscire, aveva guardato l'ora che segnava l'orologio in legno nella tenda: mezzanotte. 
Era notte fonda, e lo spiazzo dove aveva incontrato la Granger sembrava sempre lo stesso, alla luce chiara della luna. Gli sembrava di essere stato lontano da quel posto una vita, quando erano nemmeno ventiquattr'ore... Ogni cosa era come la ricordava: la roccia coperta di muschio e neve ad un lato, le buche vicino ad essa e le radici degli alberi che sbucavano nel terreno irregolare, coperte da un leggero strato di bianco. Tutto uguale alla notte prima, gli alberi, l'atmosfera... persino la Mezzosangue, che camminava avanti e indietro nella piccola radura, le braccia incrociate e la bacchetta in mano.

Draco sgranò gli occhi. Cosa Merlino ci faceva lì? Non doveva esserci... Ma, a dire il vero, nemmeno lui capiva perché avesse avuto il desiderio di tornarci.
Lei indossava un cappello dai colori rossi ed oro, con una sciarpa coordinata. I colori Grifondoro. I capelli ricci spuntavano, e le andavano ad incorniciare il viso.
Sembrava nervosa o arrabbiata, concentrata o determinata. 
In un primo momento, credette che stesse piangendo ma, quando la Mezzosangue si girò, vide che i suoi occhi erano asciutti e limpidi, persino da quella distanza poteva avvertirne il fuoco... Esso lo bruciava, facendogli sentire la sensazione dell'oro fuso che gli scendeva giù per la schiena.

La vide trattenere il respiro, anche se era sicuro di esserle invisibile, celato dall'ombra che li divideva. Eppure lei sembrava averlo avvertito, infatti sguainò la bacchetta.

«Malfoy.» disse, la voce ferma. Lui fece un passo avanti.

«Ma che sorpresa, Mezzosangue. Anche tu da queste parti?» un sorriso freddo si fece spazio sul volto del serpeverde, abituato com'era ad esserci.

«Devo chiederti una cosa.»

«E credi che ti risponderò, perché...?»

La ragazza scrollò le spalle.

«So essere convincente.»
Draco ghignò, un ghigno profondo e beffardo.

«Ah, certo, lo so...» 
Restarono ancora a guardarsi, lei determinata lui divertito. Il fuoco contro il ghiaccio.

«Cosa ci fai qui?» chiese Hermione, alla fine. Il suo tono era incalzante.

«Merlino, Mezzosangue, sei pedante.» alzò gli occhi al cielo lui.

«Perché sei tornato?»

«Perché secondo te io vengo a dirlo ad una sudicia come te?» disse con tono freddo e derisorio. Hermione strinse la mascella, si stava arrabbiando, e a Draco divertiva un mondo.

Senza più filtri, sputò:
«Non sono io quella che é scappata. Non sono io la codarda. Non ti vedo da quando te la sei data a gambe...» e fu troppo, per Draco. Sentire esplicitati in quel modo i suoi pensieri, fu troppo. 
La Granger venne interrotta da una figura alta e scura, che la afferrava e la sbatteva contro un tronco d'albero. Dapprima spaesata per il colpo, riuscì infine a vedere un paio di iridi color ghiaccio, iraconde e vicine. 
Draco Malfoy l'aveva spinta contro un albero, riusciva a sentire la corteccia dura contro la schiena e le braccia forti di lui, che la tenevano ferma. La bacchetta della grifondoro era incastrata tra i loro corpi, stretta nella mano destra della strega, che aveva le braccia raccolte al petto. 
Il serpeverde tratteneva a stento la rabbia. Hermione sentì un l'odore muschiato della sua pelle: la vicinanza era troppa.

«Non ti azzardare mai più...» sibilò Draco, la voce cattiva, ma non fu in grado si finire la frase.

«Stupeficium!» dalla bacchetta della Granger provenne un lampo rosso, che colpì direttamente il petto di Malfoy, data la vicinanza. Il ragazzo volò all'indietro e sbatté contro una roccia con la schiena.

Hermione si sistemò e puntò la bacchetta contro il corpo che si contorceva davanti a lei, tra lamenti e imprecazioni.

«Non ti azzardare tu! Non toccarmi!» urlò. Ma se lei era alterata, il biondo era fuori di sè. Quella sfrontata, stupida Mezzosangue... Credeva di sapere tutto, eppure non sapeva nulla. Soprattutto di lui.

«Come osi...»
Si alzò e, con un incantesimo non-verbale, fece uscire un'altro lampo dalla propria bacchetta... Un colpo che lei prontamente parò. A questo ne seguirono altri e altri ancora, da entrambe le parti.

«Cos'é, non piangi, stasera, Mezzosangue? Che strano... Una debole come te.» ghignò ad un certo punto il serpeverde, cattivo.

Hermione si fermò e si irrigidì a tal punto che sarebbe potuta sembrare una statua. Sbarrò gli occhi e socchiuse la bocca poi, nei suoi occhi comparve qualcosa di diverso. Draco lo capì: non era più la solita rabbia, era molto peggio.
Non fece in tempo a parare il colpo, questa volta, perché arrivò più forte e più veloce, aggressivo come la strega l'aveva lanciato.

«STUPEFICIUM!» lo urlò. Dalla sua bacchetta uscì un fiotto di luce accecante, più vivida del solito, più pericolosa.

Draco venne letteralmente scaraventato in aria, la bacchetta gli volò via di mano, e fu solo grazie a Merlino sapeva cosa, che non svenne sul colpo. 
La Granger si avvicinò lentamente e, quando la bacchetta di Draco le fu vicina, ci mise un piede sopra, puntando la propria con mano ferma contro di lui. Il giovane, intanto, stava cercando di riprendersi dall'incantesimo.
Aveva un male terribile alla testa, e gli si era mozzato il respiro quando aveva colpito il suolo. Un dolore si irradiò per tutto il suo petto e la sua schiena, arrivandogli fino al cervello e rendendogli difficile aprire gli occhi.
Quando ci riuscì, era steso a terra, con la Mezzosangue che lo guardava dall'alto. La sua presa sulla bacchetta era talmente ferrea, il suo sguardo talmente duro, che Draco nemmeno si preoccupò di dove poteva essere la sua unica arma, prima di vederla sotto le suole della strega.

«Tu... Piccolo, spregevole, altezzoso deficiente...» lo disse con un tono sprezzante. 
«Non provare mai più a dire una cosa del genere.» alzò la bacchetta, e quel momento si dilatò.

Draco vide tutto lentamente, come se non fosse bastato il tempo, ed ebbe davvero paura. Non per sé stesso, non perché sapeva che la Granger era pericolosa se voleva... Perché ora, in quel momento, c'era qualcosa di diverso in lei. Non l'aveva mai vista così, nemmeno quando litigavano gli anni precedenti o durante la battaglia di Hogwarts. 
Ebbe paura perché non riusciva a prevedere cosa sarebbe successo.
Senza pensarci, si portò le braccia davanti al volto, in un mero tentativo di proteggersi. Chiuse gli occhi, aspettandosi un'altro schiantesimo o qualcosa del genere, ma il silenzio della Foresta Proibita, rotto solo dai respiri pesanti dei due, si protrasse per più tempo di ciò che avrebbe pensato.

-

Cosa le era venuto in mente, quando era venuta lì? Lo sapeva benissimo. Voleva delle risposte, chiunque sapeva che lei non era una che amava essere all'oscuro delle cose. Voleva la verità, perché non sapere era mille volte peggio. 
Voleva capire perché Draco Malfoy era tornato. 
Una domanda semplice, che credeva fosse ovvia.

Era venuta lì con uno scopo, un'obiettivo. Ma adesso, che guardava Malfoy coprirsi il volto e serrare gli occhi sotto il suo sguardo, evidentemente impaurito, vedeva lo stesso ragazzo arrogante quanto falso che frequentava Hogwarts con lei, anni addietro. 
Lo ammetteva, aveva perso il controllo. Quando Malfoy le aveva ricordato la sua debolezza, si era trasformata in una serpe, voleva solo ferirlo quanto lui aveva fatto con lei, facendo quel commento. 
Non aveva programmato di usare la bacchetta per attaccarlo, voleva semplicemente cercare di parlargli da persone adulte, ma quando l'aveva "aggredita" si era messa immediatamente sulla difensiva, forse perché se lo aspettava. E poi, seriamente, cosa era andato secondo programma, da quando l'aveva rincontrato? 
Malfoy era un codardo, e quasi si diede della stupida, per i suoi pensieri precedenti: forse non meritava nemmeno qualcuno che lo compatisse. 
Ritirò tutto, però, quando vide che aveva paura. Paura di lei? 
, pensò, le faceva pena.

Le venne un'idea e, sapendo che probabilmente avrebbe sbagliato a metterla in pratica, sollevò la bacchetta, per pronunciare un incantesimo che le ricordava una pessima serata.

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Capitolo 7
*** Fuoco e ghiaccio pt. 2 ***


Una serata pessima. Una serata di lacrime. I grifondoro avevano appena vinto una partita, e Ronald si era affermato come portiere: era stato bravissimo. 
Una serata di gelosia, di solitudine ma anche di amicizia... Un anno terribile.

«Avis» Hermione pronunciò l'incantesimo, e dalla sua bacchetta uscirono una decina di uccellini gialli. Erano piccoli, cinguettavano e le volavano intorno.

Lei, però, non distolse lo sguardo da Malfoy, che era ancora a terra.
Il giovane si tolse le braccia dal viso, e guardò meravigliato e spaventato prima gli uccelli, poi lei. Si stava sicuramente chiedendo il perché di ciò che vedeva. Come mai non l'aveva attaccato? Nemmeno lei aveva una risposta.
La grifondoro si allontanò leggermente da lui.

«Perché non l'hai fatto? Infondo sono anni che lo aspetti, ammettilo.» sputò il ragazzo verso la strega.

«Non sono come te.» rispose semplicemente lei.
«Te lo chiedo di nuovo.» disse poi, la bacchetta ancora puntata verso di lui.
«Perché sei tornato?»

«Non vedo perché dovrei dare spiegazioni a te.» disse, con voce leggermente incerta.

«Ancora? Davvero non mi vuoi rispondere?»

«Credi che qualche uccellino mi farà spaventare?»

Hermione fece un sorriso finto. Nel frattempo, i suddetti volatili le svolazzavano intorno, cinguettando e tenendosi alla larga da Malfoy.

«Non mi sottovalutare, Malferret.»

Draco la guardò con sguardo duro.
«Non ho paura di te.»

«Non é la tua paura che cerco. I tuoi ti hanno lasciato?»

Malfoy rise.
«Cosa te ne importa?» il tono sprezzante, ma curioso.

Hermione sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
Strinse di più la presa sulla bacchetta.
«Oppugno

Un paio degli uccellini si staccarono dal gruppo con un verso acuto e, veloci come boccini d'oro, si scagliarono contro il ragazzo. Lui trasalì, ed ebbe il tempo di vedere solo un ammasso di piume gialle, prima che esso si scagliasse al suolo, ad un paio di centimetri dal suo volto, vicino alla spalla sinistra. Degli uccelli rimase solo qualche piuma, che scomparve per magia.

«Ma sei totalmente pazza, Mezzosangue?!» urlò dopo lui.

«Dove é la tua famiglia?» Hermione scandì bene le parole, ricevendo solo un'occhiata truce e un silenzio prolungato.
«Ascolta Malfoy, devo sapere perché sei qui. So che probabilmente sei troppo stupido per capirlo, ma non posso fare semplicemente come se non ti avessi mai visto, due notti fa. Devo decidere se dirlo a qualcuno o meno, anche se tu mi stai rendendo la scelta molto facile, ti avverto.»

«Non l'hai detto a nessuno?» chiese lui, incredulo. Come risposta ricevette solo uno sbuffo affermativo.
«Perché?»

Hermione rimase interdetta. Già... Perché? Non voleva far preoccupare i suoi amici, ecco perché... Vero?
Non voleva pensarci ora, quindi non rispose.

«Sai, non mi sembra corretto...»

«Tu, che parli di correttezza?» inarcò un sopracciglio la grifondoro, ricevendo per risposta un'occhiataccia.

«Non mi sembra corretto, dicevo... Tu che pretendi risposte ma non ne dai a me.»
Hermione lo guardò con aria di sfida.

«Non sapevo a chi dirlo, ecco.» disse poi.

«Come? Potter non era un perfetto candidato? Oppure il tuo fidanzatino... Weasley.» ghignò.
Hermione restò a guardarlo e basta, senza rispondere alle sue provocazioni, anche se la lingua le pizzicava. Ron non é il mio "fidanzatino", avrebbe voluto dire, ma rimase zitta, d'altronde era così, ma detto da lui e in quel modo la faceva sembrare una cosa imbarazzante. Si fissarono ancora, ed ogni volta era uguale e diverso. La ragazza ebbe ancora quella sensazione, come se le scendesse dell'acqua ghiacciata giù per la schiena.

«Non vedo i miei genitori da mesi.» sussurrò infine lui. Gli occhi che non lasciavano quelli di lei, in cui si poteva leggere la tristezza quanto la sfida.

«Com'é possibile?»

«Che diamine di domanda é?»

«Una semplice.» rispose lei. La sua curiosità di grifondoro era a mille, superava addirittura l'astio, mentre Malfoy restava ancora in silenzio.

-

Draco la guardò a lungo. Riusciva a vederla smaniare per delle risposte. Poteva sentire il suo cervelletto da so-tutto-io lavorare per trovare delle spiegazioni logiche, ma la verità era che di logico, nella sua storia, non c'era nulla. 
Era vero, sapeva essere convincente. Quello stupido orgoglio e quel coraggio... Lei ne era un concentrato. 
All'improvviso, gli venne un'idea. Un'idea folle, irrazionale e assolutamente priva di utilità. Avrebbe dovuto togliersela di torno, in qualche modo... No?

«Domani.»

«Come?» chiese lei, confusa.

«Torna domani.» spiegò allora lui.

«No, Malfoy. Non sono stupida.» replicò la Mezzosangue. Ma riusciva a vedere l'incertezza nel linguaggio del suo corpo.

«Torna domani.» ripeté, più forte. Si alzò, prese la bacchetta da terra e la guardò, facendo una piccola smorfia quando il dolore alla schiena si rifece vivo, da in piedi.

«Perché?» chiese lei, tenendo bene d'occhio i suoi movimenti. Draco vide i suoi occhi posarsi sulla mano sua, dove c'era la bacchetta, e le sue dita stringere meglio la sua. Dopo che l'ebbe scrutato ancora qualche millesimo di secondo, come a controllare che non facesse movimenti bruschi, la Mezzosangue riportò gli occhi nei suoi, ed il fuoco tornò.

«Perché é una storia lunga da raccontare, e faresti meglio ad andare a dormire ora come ora.» rispose.

«Tu?»

«Io?» Draco non capiva cosa intendesse.

«Dove dormi?» esplicitò.

«Preoccupata?» sorrise il serpeverde.

Hermione sbarrò gli occhi e rispose in fretta.
«Assolutamente no!»

«Come pensavo...» ghignò.

«Be', Mezzosangue... A domani.» si girò.

«Aspetta!» disse la Granger. Draco si girò.

«Cosa?»

«Vieni. Altrimenti dovrò dire ciò che so, e a determinate persone non serviranno a molto le risposte che cerco io.» Draco pressò le labbra. Davvero voleva essere minacciosa?

«Ma certo. Ti do la mia parola.»

«Ah, ecco, allora sono a posto.» la sua voce grondava sarcasmo, e al serpeverde non piacque.

«Mantengo le promesse, Mezzosangue.» disse lui. Il tono era notevolmente più duro. Cosa voleva insinuare?

Detto questo, fece un paio di passi per andarsene, quando venne richiamato ancora dalla Granger.

«Aspetta!» ripeté.

«Per Salazar, che cosa?» voltò la testa, di nuovo verso di lei. Che cosa voleva ancora?

«Non mi hai detto quando.»

«Tu non ti preoccupare.» e con questo, se ne andò, lasciando la Granger con mille dubbi e qualche uccellino cinguettante.

...

La luce filtrava dalla finestra, illuminando i letti di Camille Poreil ed Hermione Granger. La polvere svolazzava in circolo, resa evidente dai raggi deboli del sole che, di prima mattina, sembravano timidi nell'entrare nella stanza rossa ed oro.
Camille era una ragazza bionda, aveva gli occhi azzurri e un carattere particolare. Dormiva beatamente nel suo letto, le spalle rivolte alla strega con cui condivideva la camera... Quest'ultima si rigirava nel letto, avvolta dalle coperte.
Nei sogni di Hermione c'erano occhi di ghiaccio, domande irrisolte e tanto buio. 
Ad un certo punto, la ragazza si girò, ritrovandosi un raggio di sole sul volto.
Lentamente, aprì gli occhi, e si portò le mani al volto, per poi lasciarle ricadere lungo i fianchi. Ora era distesa supina, e guardava insistentemente un punto indistinto sopra di lei. Cercò di mettere insieme le idee. Quella sera avrebbe ottenuto delle risposte, avrebbe ottenuto la verità.

Questo, ovviamente, se Malfoy avesse mantenuto la sua promessa... Represse il pensiero che fece immediatamente capolino nella sua testa. Sei solo una stupida, a fidarti di lui
No. C'era qualcosa che le diceva che il serpeverde sarebbe stato lì, quel giorno. Magari non le avrebbe dato le spiegazioni che necessitava, ma sarebbe stato lì.

Osservò Camille, che dormiva indisturbata. Era una ragazza bellissima, l'esatto contrario di lei. 
Capelli biondissimi e lisci, come lei avrebbe sempre voluto averli, occhi chiari come lei non avrebbe mai potuto possederne. L'aveva conosciuta quell'anno, e si era sorpresa di non averla mai vista prima... Ma Camille era una ragazza solitaria, per questo non si era fatta notare, fino al giorno in cui aveva deciso di far parte della squadra di Grifondoro. Giocava come Cacciatrice, ed era anche brava.
Peccato che però non fosse di molte parole: quando la incontrava, a stento si scambiavano battute di rito, giornaliere.

Guardò l'orologio da polso che i suoi genitori le avevano regalato anni prima. Era un modello semplice, babbano. Segnava le 11:00 di mattina. 
Per fortuna era domenica: niente lezioni, quel giorno... 
Si alzò, e decise di andare a fare colazione in Sala Grande, prima di iniziare la giornata. Dopo, avrebbe fatto una passeggiata.

Attenta a non fare rumore, si vestì e scese in sala comune, dove trovò Ron che parlottava con Harry.

«Buongiorno, ragazzi.»

«Hermione! 'Giorno.» la salutò Harry.

«Ti sei svegliata tardi, oggi.» constatò invece Ron «Sei andata da Madama Chips, vero?»

«Sì, Ron... Ma credo fosse solo un problema futile.» mentì Hermione. 
Già... pensò, un problema futile.

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Capitolo 8
*** Domani ***


Domani. Torna domani.
Come gli era venuto in mente? Certo, doveva levaresela dai piedi, ma ora sarebbe stato peggio.
La Mezzosangue di sicuro non avrebbe demorso, anche se lui non si fosse presentato. Sarebbe stata capace di cercarlo per tutta la Foresta Proibita, oppure di tornare tutti i santi giorni in quella dannata radura. E lui sapeva che avrebbe voluto ritornarci, più prima che poi.
Durante quelle ore, gli era balenata in mente un'idea folle, malsana, stupida e da vigliacco. Non avrebbe avuto il coraggio di metterla in pratica, e non sapeva nemmeno perché desiderasse così ardentemente farlo. 
Domani. Una promessa. Lui manteneva la parola data... O almeno si era imposto di farlo. E poi... Non era solo quello. Aveva un debito con la Granger. Un debito enorme.

Quasi gli salì la bile in gola, quando ripensò all'episodio avvenuto quasi un anno prima. Se chiudeva gli occhi, riusciva quasi a sentire ancora il bruciore del fuoco sulla pelle, l'odore di bruciato e di magia oscura... la mancanza di ossigeno. Riusciva quasi a riprovare la paura che aveva avuto quel giorno, nella Stanza delle Necessità. 
Goyle era stato un emerito imbecille, ad appiccare un fuoco che non poteva controllare. Li aveva messi tutti in pericolo. Ricordò il terrore e la morsa al petto, quando Tiger era precipitato giù, tra le fiamme, che ardevano feroci e l'avevano inghiottito.
Non gli era mai stato chissà quanto simpatico, non lo aveva mai reputato nemmeno intelligente, ma ad onore di Vincent Tiger si poteva dire che lo aveva seguito ovunque, senza nemmeno fargli domande... Addirittura, al sesto anno, aveva accettato sulla fiducia, insieme a Goyle, di essere tramutato in una ragazzina, per fare la guardia quando gli serviva, davanti alla stessa Stanza dove poi era morto. Era stato un amico fedele, e Draco rimpiangeva il suo destino... Ma erano morte tante persone, nella guerra. Tiger era solo uno dei tanti, l'importante era che lui fosse vivo e vegeto, questo gli aveva detto il padre. Ecco, forse sul "vegeto" non ci avrebbe scommesso, ma faceva lo stesso.

Quel giorno, la Mezzosangue gli aveva salvato la vita. Certo, insieme a Potter e Weasley, ma comunque non lo aveva lasciato morire... Quel debito era enorme, e ancora se ne stupiva.
Perché Merlino non lo avevano lasciato lì? Lui l'avrebbe fatto, senza esitazione.
Ripensò alla Granger. Il suo carattereraccio, la sua sfrontataggine, il suo dannato orgoglio. Pensò a tutto di lei, dalla gentilezza che era capace di mostrare alla sua saccenza, dalla sua divisa rossa e oro ai suoi capelli disordinati. Dal suo odioso coraggio grifondoro alla sua perenne ed incrollabile lealtà.
Lui l'avrebbe fatto, senza esitazione, prima. Ora, qualcosa era cambiato, e non poteva più negarlo.

«Engorgio» disse, e la fiamma della candela crebbe a dismisura, bruciando lo stoppino. Della cera sciolta scivolò verso il tavolo di legno.

Era almeno un'ora che perdeva tempo ad ingrandire e rimpicciolire oggetti a caso, cercando di occupare il tempo. Era seduto su una sedia, davanti al tavolo, con una candela accesa che si stava consumando in fretta. Passò la mano sulla fiamma, ritirandola subito, avvertendo troppo calore.

«Reducio» disse, e la fiamma ritornò di dimensioni normali.

Gli tornò in mente due notti prima. Ora capiva perché era rimasto così sconvolto nel vedere la Mezzosangue in quella radura. Quella notte, per la prima volta, aveva visto quanto in realtà fossero similiNella Granger aveva riconosciuto la stessa crepa che c'era in lui. Un qualcosa di distrutto, di perso. Gli aveva ricordato uno dei periodi più brutti della sua vita, aveva visto la stessa fragilità, la stessa disperazione che aveva provato lui, quasi due anni prima. Aveva visto quanto entrambi fossero rotti
Quella era una crepa delle peggiori. Si creava alla base della tua anima, là dove la persona nasce così come é, pura. Era una spaccatura nell'angolo più profondo della tua mente, ti cambiava ed era quasi impossibile da riparare.
Ma no. Sicuramente si era immaginato tutto. Sicuramente stava solo cercando di vedere fragilità anche dove non c'era, per potersi permettere di accettare la propria, di debolezza. Merlino. Da quando si faceva tutti quei ragionamenti solo per decidere cosa doveva pensare? Quasi rise, ma poi gli venne in mente che una volta c'era stata...
Respinse il pensiero. Quella era stata solo innocente, fanciullesca ingenuità.

Aveva preso una decisione, quel giorno. Forse una decisione molto stupida, e sicuramente molto non alla lui. Il fatto era che, anche se inconsciamente, sapeva di aver bisogno di parlare con qualcuno... Solo che era pericoloso. Ma, d'altronde, non é che avesse molto da perdere e poi... Aveva imparato come fare degli incantesimi di memoria, giusto nel caso servisse.

-

Guardò ancora il letto di Camille, prima di infilarsi il mantello. Lo aveva preso ad Harry, lui non lo usava da tempo, ormai. Si guardò sparire nello specchio, e fece un respiro: ancora le faceva soggezione mettere il mantello dell'invisibilità. 
Doveva ammetterlo, era nervosa. Quella notte, o avrebbe ottenuto delle risposte, oppure sarebbe stato un fiasco totale... E tutti sapevano che lei odiava i fallimenti. 
La sua mente, in quel momento, era divisa in tre parti. 
La prima, quella più grande, le diceva che era un fallimento già in partenza... Davvero credeva si sarebbe presentato?
La seconda, anch'essa notevolmente estesa, voleva che Malfoy si presentasse perché non poteva mai e poi mai ammettere di essere stata tanto stupida da fidarsi di una serpe così ciecamente. Quella parte era abbastanza orgogliosa.
La terza ed ultima parte, quella più piccola, sperava davvero che lui si presentasse. Perché in cuor suo voleva non essersi sbagliata, ma non per lei... Per Malfoy. Perché voleva credere a ciò che pensava di aver letto nei suoi occhi.

Oltrepassò la sala comune, il quadro della Signora Grassa e l'ingresso principale del castello. I quadri dormivano, e gli unici ad essere svegli borbottavano frasi sconnesse tra di loro.
Quando arrivò alla casa di Hagrid, la trovò del tutto spenta, e quasi si preoccupò... Ma poi udì il mezzogigante russare, e si tranquillizzò. 
Avanzava silenziosa, nella notte avrebbe potuto anche non esserci. Quando arrivò nella radura, trattenne il respiro, intravedendo solo una figura nera, di spalle. Quando poi si accorse che era proprio Malfoy, per poco non le cadde la mascella. Era lì. Aveva mantenuto la promessa.
Una gioia inattesa si fece spazio in lei. Non sapeva perché ma era felice. Finalmente avrebbe ottenuto delle risposte. Frenò il suo entusiasmo: era meglio non cantare vittoria troppo presto... Non aveva ancora nulla in mano. Si avvicinò lentamente al ragazzo. Ora era seduto sui talloni, e guardava un punto non definito a terra, la bacchetta in mano.

Hermione non aveva calcolato una cosa: la neve c'era ancora a terra e, anche se era invisibile, le sue impronte non si risparviavano... Vide Malfoy sgranare gli occhi, guardando il punto dove c'erano i suoi piedi. Poi, li socchiuse, con sospetto... Il suo sguardo salì lungo il corpo di Hermione, e lei si sentì come scorrere dell'acqua ghiacciata lungo la schiena, quando i loro occhi si incrociarono. Com'era possibile? Lei era invisibile, in quel momento.
In quello che parve meno di un secondo, il ragazzo fu in piedi, la bacchetta puntata contro di lei.

«Granger?» chiese.

Lei si tolse il mantello, rivelando la sua figura coperta dalla divisa di Hogwarts. La sua bacchetta era sguainata, ma solo per un'eventuale difesa.

«Sei venuto.» disse lei, in risposta. Nella sua voce si poteva leggere lo stupore, nonostante la durezza.

«Che cosa credevi? Che ti avrei permesso di sbandierare tutto al vento?» disse lui «Ti ho addirittura aspettato.»

«Bene.» sputò Hermione, con gli occhi socchiusi in segno di sfida.

«Bene.» ripeté Malfoy, con la sua stessa postura.

Passò qualche secondo.

«Be'? Te lo devo chiedere di nuovo?» sbottò la riccia.

«Che cosa?» chiese ingenuamente lui, anche se, Hermione ne era sicura, sapeva a cosa si riferisse.

«Cosa ci fai qui! Perché sei tornato?»

«Ah... É vero. Ti ho detto che ti avrei risposto?»

«Malfoy...»

«Mezzosangue...»

«Per favore! Per Godric, mi sono fidata di te!» a quelle parole, il serpeverde sgranò gli occhi.

«No, Mezzosangue. Tu ti sei fidata della tua curiosità, della tua sete di risposte, ma non di me.» disse, e per Hermione fu come una secchiata di acqua gelida.

«Be', sono qui e non dalla McGranitt, non ho detto nulla a nessuno, nemmeno ad Harry e Ron... Perché credi sia così?» ribatté lei.

Malfoy smise di puntare la sua bacchetta contro di lei, e si passò le dita tra i capelli. Si girò, le mani in testa, la schiena tesa.

«Merlino, Mezzosangue, già mi stai facendo pentire di essere qui... Ma come diamine fai?»

Hermione si allontanò, sedendosi a terra, appoggiando la schiena contro un'albero.

Sospirò «Il problema non sono io, Malferret, ma tu.» disse.

Lui si girò in fretta, e la squadrò.

«Se ti faccio una domanda, rispondimi sinceramente.» disse poi.

Hermione non capiva quella richiesta, ma annuì semplicemente. "Io sono sempre onesta" avrebbe voluto aggiungere, ma non lo fece.
Malfoy si avvicinò, e si sedette anche lui a terra, ad un paio di metri da lei. Hermione girò la testa verso sinistra, ed incontrò i suoi occhi. Alla fievole luce della luna, le sue iridi sembravano di un azzurro-grigio quasi trasparente. Quello era il colore del cielo, appena aveva piovuto.
In quel momento, si guardarono per la prima volta. Hermione osservò la sua postura, il modo in cui sembrava mordersi l'interno del labbro. Guardò le sue sopracciglia lievemente aggrottate, il modo in cui lui stesso là guardava a sua volta. Cercava il suo sguardo, e quando lo trovava era insistente, sembrava cercare di scoprire qualcosa. Quella notte Hermione non vide più il ragazzino purosangue e serpeverde che non perdeva occasione per insultarla. Non vide più il ragazzo sprezzante che aveva imparato ad ignorare. Non sapeva chi vedeva, e questo la spaventò non poco.

«Perché non hai detto a nessuno di avermi visto?» chiese lui infine.

Hermione deglutì. Già, perché l'aveva fatto? 
«Io... Te l'ho già detto...» annaspò con le parole. 
«Non sapevo se farlo, e volevo darti il beneficio del dubbio... Volevo che almeno provassi a spiegarti. Ma questa parte si é rivelata più difficile del previsto.» rispose, inarcando leggermente un sopracciglio.

Malfoy annuì, più volte e lentamente, distogliendo lo sguardo. Restò qualche secondo a fissare la neve, poi rigirò di scatto la testa verso la ragazza, che non aveva smesso di guardarlo in attesa.

«Mezzosangue... Ti racconto una storia. Ti va?» se ne uscì improvvisamente.

«Ma... Tu dovevi...» cominciò Hermione. Tu dovevi darmi delle risposte. Non capiva.

«Per Salazar, fammici arrivare, Granger.» esclamò lui, interrompendola.

La ragazza socchiuse gli occhi. Odiava chi la interrompeva mentre stava parlando. Incrociò le braccia e si appoggiò meglio al tronco, guardandolo come a dire "Be', allora sentiamo".

«Prometti che prima di andare a spifferare tutto, mi ascolterai. Fino alla fine.»

«Okay.» disse solo, ed aspettò che lui cominciasse.

-

Draco prese un bel respiro. E ora da dove cominciava? Cercò di riordinare i pensieri, di fare il punto della situazione. Se era lì, quella notte, c'era un motivo preciso. Era lì per mettere in pratica quell'idea stupida che gli era venuta... Ultimamente, si rese conto, era molto più impulsivo del solito.

«Okay... Okay.» borbottò. Si passò una mano tra i capelli e si appoggiò alla roccia con la schiena, le braccia distese sulle ginocchia piegate.

«Questa storia inizia il 2 maggio del 1998.» cominciò, e vide, con la coda dell'occhio, la Granger sgranare gli occhi e trattenere il fiato. Aveva capito... D'altronde, nessun mago avrebbe scordato la data della Battaglia di Hogwarts, lei in particolare.
«Quando i Mangiamorte videro che il famoso Harry Potter era ancora vivo, fuggirono in massa. Io, mio padre, e mia madre, eravamo tra questi. Decidemmo di voltare le spalle a tutto ciò che ci aveva portato solo guai e sofferenza, decidemmo di scappare. Sapevamo, o meglio i miei genitori sapevano, che se Potter era ancora vivo, dopo che loro stessi l'avevano visto decedere, tutto era possibile... Il Signore Oscuro avrebbe perso, e allora non ci sarebbe stato nulla che avesse impedito al Ministero di sbatterci ad Azkaban... E mio padre sapeva quanto fosse terribile quel luogo. Per prima cosa, andammo a Malfoy Manor, prendemmo tutto ciò che riuscimmo e che ci potesse servire per darci alla fuga. Tutto ciò che abbiamo lasciato, ora, é nelle mani del Ministero, ne sono sicuro. Quanto prima possibile, scappammo via. Avevamo una destinazione ben precisa.
Mio padre quasi non parlava, era mia madre a prendere la maggior parte delle decisioni. Quando siamo scappati, lei non mi aveva dato nemmeno il tempo di chiederle dove eravamo diretti, sapeva cosa fare. 
I primi giorni sono stati i più duri... Quel giorno stesso, ci smaterializzammo in un paesino a sud della Scozia. Era prevalentemente babbano, fummo costretti a chiedere aiuto persino a loro...» si fermò, e guardò la Mezzosangue. Lei lo osservava con la bocca socchiusa e gli occhi spalancati. Aveva lasciato ricadere le braccia lungo i fianchi, abbandonando quella posizione fiera ed altezzosa, le sue guance erano colorite e gli occhi lucidi. Doveva avere freddo...

«Che cosa c'é?!» chiese brusco. Quell'espressione lo metteva a disagio. Lei si passò una mano tra i capelli, abbassando lo sguardo.

«Nulla, é che... Io...» lo guardò negli occhi, e Draco si sentì come scendere oro fuso giù per la schiena. «Davvero mi stai raccontando queste cose?»

Draco si irrigidì. 
«Non ti montare la testa, Mezzosangue.» il suo tono duro «Sei tu che me lo hai chiesto.»

Lei abbassò di nuovo gli occhi, e a lui ricordò quando, all'inizio, la chiamava Sanguesporco e lei invece di ribattere, abbassava la testa. Era successo solo poche volte, e questa stranamente non gli diede la stessa soddisfazione che gli dava in passato.

«Posso continuare? Già ci vorrà più di una notte, ma in questo modo non finirò più.»

La Granger annuì, poi, socchiuse gli occhi, concentrandosi sulla prima parte delle sue parole.

«"Più di una notte"? Che intendi dire, Malfoy?» chiese con sospetto.

«Be', Granger, questa storia é interessante certo, ma soprattutto lunga. Sarai costretta a concedermi altro del tuo tempo, se vuoi davvero delle risposte.»

«Non hai una versione breve del racconto?» chiese, incontentabile. Davvero non sapeva il perché delle sue proteste.

«Continui a pretendere? No. Se vuoi sapere perché sono tornato, lo farai a modo mio, e non parlerai a nessuno di questa storia, se non prima di aver ascoltato tutto ciò che ho da dirti. Chiaro?»

La Granger si morse un labbro... Poteva sentire il suo cervello valutare i pro e i contro della sua "proposta".

«Cristallino.» sbuffò alla fine.

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Capitolo 9
*** Impossibile ***


Impossibile.
Una sola parola ronzava nella mente di Hermione, quella mattina. Impossibile.
Era in riga nell'aula di Difesa Contro le Arti Oscure, il professor Cornelio Blind stava spiegando (di nuovo) gli incantesimi nonverbali nella Difesa Contro le Arti Oscure, in particolare quelli esplosivi, che potevano essere usati contro molte creature... Per esempio il Tranello del Diavolo. Hermione sapeva già farli quasi perfettamente, ed era brava anche nella pratica. Durante la guerra le erano serviti parecchio... Ma stava decisamente pensando ad altro.

Impossibile.
La notte prima, Malfoy le aveva raccontato cosa gli era successo dopo che era scappato, quel lontano 2 maggio. Lei era sempre stata curiosa, e sapeva dai giornali che la famiglia Malfoy era tra i principali ricercati da mesi, ma non si era mai spinta più in là dell'immaginazione. Non poteva sapere cosa aveva atteso Draco Malfoy e la sua famiglia, e il solo fatto che lui glielo stesse raccontando, sembrava impossibile. Cosa aveva fatto per indurlo a confidarsi? Lei aveva sempre sperato di farlo parlare, ma sapeva che sarebbe stato difficile... Alla fine, era stato più semplice di quanto avrebbe mai pensato. Era sicura che fosse dovuto al fatto che la guerra aveva cambiato un po' tutti... Ma fino a quel punto?

Ripensò a quando, il sesto anno ad Hogwarts, Harry le aveva raccontato di aver visto Malfoy piangere nel bagno di Mirtilla Malcontenta. Era anche la prima volta che il suo amico aveva usato il Sectumsempra, e non era stato un evento positivo. Era da quel giorno, che Hermione aveva cominciato ad avere dei dubbi... Ma era assurdo che Malfoy si stesse fidando di lei a tal punto da raccontarle cosa gli era successo... A meno che qualcosa non fosse mutato.
Ma no. Sicuramente si era immaginata tutto. Sicuramente stava solo cercando di vedere un cambiamento anche dove non c'era, per potersi permettere di accettare la propria, di mutazione. Per Gordic... Doveva smetterla. 
Non era cambiata, non così tanto. Lei era sempre la stessa coraggiosa ed intelligente grifondoro che il Cappello Parlante voleva assegnare a Corvonero. Ma ci sarà stato un motivo, se ora la sua appartenenza andava alla Casa rosso-oro, no? Lei era forte. Non era debole.

Comunque fosse, inganno o non inganno, immaginazione o non immaginazione, lei sarebbe andata fino in fondo. La sua innata curiosità non poteva che spingerla a sapere di più, e anche se avesse dovuto aspettare per avere sempre più dettagli, l'avrebbe fatto. Malfoy avrebbe onorato la promessa, doveva farlo.
La cosa che più le lasciava l'amaro in bocca era che non poteva parlarne con nessuno. Sin da quando aveva undici anni, era sempre stata abituata a confidarsi con Harry e Ron... Per qualsiasi cosa. Anche quando il rosso non era il suo ragazzo, erano sempre stati particolarmente legati. Per non parlare di Harry, il suo migliore amico. Lui l'aveva sempre appoggiata, tirata su quando cadeva, era sempre stato il migliore, con e per lei. Per questo le sembrava inconcepibile di non potersi confrontare con loro, per una cosa di quella portata.

La notte prima, lei e Malfoy erano stati nella Foresta Proibita per almeno quattro ore. Lui le aveva raccontato i primi giorni dalla fine della guerra. Quando aveva cominciato ad albeggiare, Hermione aveva dovuto andarsene, anzi era stato proprio il ragazzo a suggerirglielo. 
Stranamente, lei non ne aveva la minima voglia, così si era avviata verso il castello solo quando Malfoy le aveva promesso, ancora una volta, che si sarebbero rivisti il giorno dopo per continuare la narrazione della "storia". 
L'ora sarebbe stata sempre la stessa, quindi verso mezzanotte.

Era distrutta. Le sue occhiaie si potevano ancora vedere, nonostante gli incantesimi che aveva provato, che le avevano solo alleviate. Tempo prima, era andata da Madama Chips per chiederle aiuto. Quella santa strega, dopo aver borbottato, con tono di disapprovazione, qualcosa su quanto fosse sbagliato usare quel medicinale senza aver dormito almeno un po', le aveva dato una bottiglia con dentro un liquido dorato. In pratica, era una pozione contro la sonnolenza, o la stanchezza. Avrebbe dovuto essere usata solo in casi gravi, quando il sonno mancava e dovevi restare in piedi a tutti i costi, non potendo dormire. Era una pozione che in pochi sapevano preparare, complicata oltre ogni dire... E lei si era ritrovata ad adoperarla tutte le mattine. 
Ma, quel giorno, la stanchezza era davvero troppa, e persino quel rimedio cominciava a non darle il sollievo necessario. Proprio quando si stava per addormentare in piedi, si sentì chiamare da una voce profonda e roca.

Il professor Blind era un mago relativamente giovane, Hermione avrebbe detto fosse sui trenta-quaranta anni. Aveva capelli rossi e un'accento vagamente nordico. Quando, il suo primo giorno, si era presentato agli studenti di Hogwarts, tutti l'avevano messo in forse... Ma lui si era rivelato un buon professore.
Aveva degli occhi blu e una lunga cicatrice sulla tempia che, a detta sua, era stata provocata da un dorsorugoso che aveva incontrato in Svezia, in uno dei suoi tanti viaggi.
Hermione si risvegliò.

«Sì, professore?»

«Vorrebbe farci una dimostrazione?» chiese, inarcando un sopracciglio.

«Ah... Uhm, certo.»

La piccola folla di studenti si allargò davanti a lei per farla passare. Lei avanzò e si posizionò davanti al manichino accanto il quale c'era il professore. Tirò fuori la bacchetta e la puntò. 
Il "bersaglio" aveva una testa di legno calva, e sul volto un chiaro tentativo di renderlo più somigliante ad un mago. Incisi, c'erano dei segni che assomigliavano ai lineamenti di un volto: una bocca tutta storta, delle sopracciglia aggrottate e due punti a fare gli occhi. 
Quello era il manichino che utilizzavano più persone, si poteva dire fosse di seconda mano. Uno dei bracci era sollevato come in guardia, e portava una bacchetta.

Hermione si concentrò e, con naturalezza, si mise in posizione. Poi, quando le sembrò fosse arrivato il momento, pensò: Confringo.
Dalla sua bacchetta uscì un fascio di luce che andò a colpire direttamente il centro del manichino. Quest'ultimo esplose sotto i suoi occhi, in un trionfo di luce bianca e gialla. 
Quando l'effetto dell'incantesimo fu terminato, e il manichino fu scomparso grazie alla magia con cui era fatto, la ragazza abbassò la bacchetta e si guardò intorno. 
Il suo sguardo passò su tutti gli studenti della sua classe. In prima fila, c'era Ron, che la guardava con un sorrisetto per niente sorpreso sul volto. Poi, i suoi occhi trovavano le reazioni più disparate. Passavano dallo stupore, all'indignazione, alla noia. Tutti, dal primo all'ultimo, si erano ritratti quando il manichino era esploso, così si trovavano ad almeno quattro metri da lei... Compreso il professor Blind, che stava borbottando qualcosa.

«Bene, Granger... Bene. Torna al posto.» disse. Aveva un'aria tra lo stupito e lo scocciato. Sicuramente si aspettava che Hermione non avesse seguito né capito molto, e che avrebbe sbagliato, ma non aveva fatto i conti col fatto che era di lei, che si trattava. Hermione aveva imparato quell'incantesimo almeno un anno e mezzo prima.

La grifondoro tornò accanto a Ron, che le diede il cinque di nascosto, strizzandole l'occhio. Hermione non poté reprimere un mezzo sorriso. Oh, Ron.

La lezione proseguì per un'altro quarto d'ora, e questa volta lei si sforzò di seguire... Ma ancora non ci riuscì.
Continuava a tornargli in mente quel ragazzo dai capelli chiari e gli occhi indecifrabili... Era insopportabile.
Sin dalla prima volta che l'aveva visto, Malfoy non le era piaciuto granché. 
Quando aveva ricevuto la lettera che la informava che avrebbe potuto frequentare Hogwarts, era stata felicissima. La sua felicità era però stata attutita presto dal suo incubo: l'ansia. 
Sin da quando ne aveva memoria, Hermione aveva sempre avuto paura di non essere all'altezza, di qualsiasi cosa. Era stata onorata di aver ricevuto quella lettera, ma allo stesso tempo aveva avuto il timore che, essendo dopotutto solo una babbana, non avrebbe potuto stare al passo con gli altri. Era così che si era messa a studiare, e studiare, e studiare, arrivando all'inizio delle lezioni con una conoscenza basica dell'arte della magia che avrebbe lasciato stupito qualsiasi mago. L'avevano considerata una secchiona, ma era anche per il suo desiderio di essere sempre la migliore, che il Cappello Parlante l'aveva assegnata a Grifondoro, la casa dei forti e dei coraggiosi.

Sin dalla prima volta che Malfoy le aveva parlato, aveva provato subito un'antipatia, per lui. Detestava il modo in cui qualsiasi cosa dicesse sembrasse piena di disprezzo, detestava il modo in cui il suo sguardo fosse superiore a tutti. 
La prima volta che l'aveva chiamata Mezzosangue, non l'avrebbe mai scordata. Ricordò come si era sentita umiliata, piccola e insignificante... Proprio come lui volava a che si sentisse. Era dopo quell'episodio, che aveva deciso che qualsiasi cosa quell'odioso ragazzo pensasse di lei, non avrebbe dovuto importarle.
Sapeva che magari non era colpa sua, che era la sua educazione da spocchioso Sanguepuro a renderlo così, ma non le importava. Le persone avevano una scelta, qualsiasi persona, nonostante la famiglia che avevano. 
Il disprezzo che provava per lui, l'astio, e addirittura l'odio, si erano trasformati in indifferenza, compassione e rassegnazione... Per quello era stato sconvolgente rincontrarlo. Era stato come aprire un baule trovato in soffitta, vecchio e polveroso e dimenticato. Era stato come vedere il fantasma di una persona odiata, che si era chiusa da una parte, lasciata a morire.

Draco Malfoy era stato una parte della su vita, non lo negava. Se passavi sette anni con una persona, vedendola tutti i giorni, ad un certo punto ci fa l'abitudine, ma lei non aveva mai sentito la mancanza di Malferret, anzi era stata felice di non aver più lui a farle pesare anche solo il sangue che scorreva nelle sue vene. Ma, a dire il vero, non era proprio l'insulto in sè, Mezzosangue, a farla arrabbiare. Erano i significati che vi erano celati. 
Malfoy pensava che una persona come lei, una Sanguesporco, non potesse essere intelligente, una maga degna di questo nome, non meritasse di esistere per come era, una strega... Era questo che la toccava. Ma si sbagliava. Si sbagliava di grosso.

Hermione passò il viaggio dall'aula di Difesa Contro le Arti Oscure a quella di Storia della Magia in silenzio, con Ron che le parlava di come fosse stata grandiosa con quell'incantesimo, poco prima.

«Cosa pensava Blind, di farla in barba a te? Miseriaccia, chiunque sa che sei la strega più brillante di Hogwarts!» disse ancora il rosso, guardando la con occhi che brillavano di divertimento, ammirazione e amore.

«Ehi, Ron! Hermione, come va?» Luna Lovegood li affiancò nel corridoio ghermito di studenti dalle divise nere.

«Ciao Luna. Hermione, di' la verità, ti sei divertita anche te, vero?» le chiese Ron.

La sua ragazza alzò la testa e incontrò lo sguardo di lui, la confusione chiara negli occhi marroni.

«Sai, non credo che ti stia ascoltando, Ron.» disse Luna con tono dolce, e Hermione le rivolse uno sguardo di gratitudine. Immersa nei suoi pensieri, aveva smesso di ascoltare il suo ragazzo da un pezzo, e non sapeva cosa rispondergli.

«Co... Davvero, Hermione?» chiese retoricamente, in un attimo di consapevolezza «...be', potevi anche dirmelo che ti stavo rompendo!» esclamò poi con tono risentito.

«Ron» intervenne Luna «...può capitare di perdersi nei propri pensieri, a me succede sempre. L'importante é ritrovare la strada, non trovi?» domandò, con il tono candido che tutti erano abituati ad attribuirle.

Ron borbottò qualcosa che suonava come "sì, sì certo...". Hermione stava per scusarsi, mortificata, quando qualcuno la interruppe.

«Luna! Ti ho cercata ovunque! Dovevamo vederci in cortile!» disse Neville. La ragazza si girò, e guardò quello che era il suo fidanzato con un sorriso.

«Scusami, mi sono distratta... C'erano dei Gorgosprizzi non lontano dalla Torre di Astronomia, poi ho incontrato Ron ed Hermione e...»

«Lascia stare, Luna, lascia stare.» Hermione guardò Neville. Sembrava irritato... Era raro vederlo così.

«Va bene.» Luna si limitò a guardarlo, mentre loro se ne stavano fermi in corridoio. Le persone cominciavano a diminuire, mano a mano che il cambio ora finiva.

«Andiamo?» disse Ron alla sua ragazza, a disagio. In effetti, notò Hermione, persino lui doveva aver notato la tensione nella postura di Neville... Mentre invece Luna continuava a guardarlo con un mezzo sorriso e il suo solito sguardo vacuo.

«Sì... Andiamo.» e così fecero quell'ultimo pezzo di strada per l'aula di Storia della Magia, lasciando Neville e Luna a parlare. Mentre si allontanava, Hermione vide le spalle rigide di Paciock e, sebbene avesse molti problemi anche di suo, non poté fare a meno di preoccuparsi per il suo amico.

...

La notte era umida, e le stelle brillavano in cielo, quando Hermione corse verso la Foresta Proibita avvolta nel mantello dell'invisibilità. Era quasi mezzanotte.
Quando arrivò alla sua meta, Draco Malfoy la aspettava lì, come il giorno prima. Si rigirava la sua bacchetta tra le mani, e quando lei mise piede nella radura semplicemente disse:

«Mezzosangue.» il tono di voce era sempre lo stesso. Freddo, distaccato... Divertito.
«Sei puntutale.»
Hermione si tolse il mantello, e il suo corpo comparve davanti a Malfoy, che fece un piccolo ghigno.

«Anche tu, se é per questo.» rispose lei, lasciando cadere il mantello per terra.

«Be', la tua avidità di informazioni vince su tutto, non é vero?»

«Io non sono avida.» disse lei, il tono vagamente offeso.

«Oh, no, certo, sei solo curiosa... La curiosità dei Grifondoro.» disse l'ultima parola come se fosse un insulto. Lei non ribatté. 
«Hai detto niente a nessuno?» chiese poi lui socchiudendo gli occhi, sospettoso.

Hermione alzò gli occhi al cielo. Come poteva non fidarsi? Così come tu non ti fidi di lui, pensò. Si diede mentalmente ragione.
«No.» disse, lasciando trasparire dal tono quanto fosse ovvio che una grifondoro mantenesse la parola data.

«Bene.» disse solo lui.

Indicò con una mano il punto dove erano stati seduti la notte prima, lei sul masso e lui a volte in piedi, a volte a terra.

«Dov'ero rimasto?».

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Capitolo 10
*** Scoperte ***


Era davvero strano. Era strano, come le cose sembrassero normali, semplicemente se ci facevi l'abitudine. Era strano come il tempo passasse lentamente, se accumulavi tante cose da ricordare.
Sei giorni
Erano passati sei giorni, da quando Malfoy aveva deciso che le avrebbe raccontato ciò che gli era successo dopo la guerra. Mano a mano che le raccontava, la sua storia cominciava a diventare sempre più interessante... Era come un puzzle babbano. Più pezzi trovavi, più il quadro si completava. 
Molto spesso si era fermata a chiedersi cosa aveva atteso altri, dopo la caduta di Voldemort... Ma non avrebbe potuto immaginare qualcosa del genere. Pensava che la fuga dei Malfoy fosse stata simile a quella di Harry, Ron e sua, quando cercavano gli horcrux... Si sbagliava.

Il primo luogo dove Malfoy e i suoi genitori erano fuggiti dopo la battaglia di Hogwarts, era stato una paesino di babbani. Malfoy ci aveva tenuto a precisare quanto gli fosse costato rifugiarsi tra quella gente, e in tutta risposta lei gli aveva lanciato un'occhiata a dir poco truce. Lui aveva ghignato, e continuato con la sua storia. 
Avevano potuto lasciare il paese da latitanti, solo perché il Ministero non aveva ancora attivato il Blocco Magico sui Mangiamorte ricercati, tanto era stato il trambusto dopo la caduta del Signore Oscuro.
Dopo nemmeno una settimana, erano andati in Irlanda, da una vecchia conoscenza che reputavano sicura. Era un mago che conosceva la loro famiglia da generazioni, credevano sarebbero stati protetti lì, almeno per un po'. Ma questa supposizione si era rivelata sbagliata perché, dopo quattro giorni di vita in un fienile, erano stati traditi... Gli uomini del Ministero avevano circondato il fienile e cominciato a schiantare ad altezza d'uomo. Erano riusciti a scappare materializzandosi in una foresta a nord, ma la madre si era spaccata. Aveva ferite lungo l'anca, e ci era voluto molto prima che riuscisse a camminare. Capendo che non ce l'avrebbero potuta fare da soli, l'avevano portata in un rifugio per fuggiaschi, dove l'avevano curata in un batter d'occhio. Questa volta, non avevano dato il tempo a qualcun altro di tradirli, e se ne erano andati il giorno dopo, all'alba, sotto ordine di Narcissa stessa.

Tramite gufi sempre diversi e messaggi criptati, erano riusciti a mettersi in contatto con una lontana cugina della madre di Malfoy, che viveva in Italia, dove possedevano una casa non dichiarata, ai confini con la Svizzera. 
Avuta la conferma che il Ministero non era arrivato a quella abitazione, era cominciato il loro viaggio verso l'Italia. Non potevano smaterializzarsi direttamente nel piccolo paese dov'erano diretti, era troppo rischioso: viaggi così lunghi possono uccidere, se si é già deboli, le aveva spiegato Malfoy. 
Hermione gli aveva detto che, ovviamente, lei già lo sapeva.
Si erano spostati di Stato in Stato, di foresta in foresta, stando bene attenti a non incrociare grandi quantità di maghi: chiunque sapeva ciò che era successo tempo prima. C'erano stati i Paesi Bassi, poi il Belgio e la Germania... Si spostavano spesso, avvicinandosi sempre di più. 
Il fattore più difficile da affrontare, aveva ammesso il ragazzo, era stato quello dell'alimentazione. Molte volte saltavano dei pasti, altre non mangiavano per niente. Dovevano prendere del cibo dalle cittadine vicine e, non avendo soldi babbani, non potevano comprarlo, quindi quando serviva lo rubavano, facendo dimenticare poi tutto con gli incantesimi che servivano.
Le cose erano molto migliorate quando, in una foresta ai confini della Germania, avevano incontrato Kyla. Era una notte buia, e avevano sentito delle urla acute e sofferenti. Si erano avvicinati per controllare, ed avevano trovato un ammasso di stracci sanguinante, che si contorceva a ridosso di una pietra. 
Guardando meglio, avevano capito che era una giovane elfa domestica, gli occhi blu, le orecchie appuntite e il corpo pallido e magro. Quando si erano avvicinati, stava piangendo.
Malfoy e suo padre si erano già voltati per tornare alla tenda, incuranti della sofferenza di uno stupido elfo domestico...

Che barbari!, era intervenuta allora Hermione, a metà del racconto. 
Malfoy l'aveva fulminata con lo sguardo. Cosa mi potevo aspettare da una sciocca come te, Mezzosangue. Ovvio che pensi che siamo stati barbari, non saresti stata degna nemmeno tu del nostro soccorso, le aveva detto. 
Dopo un'altro po' di battibecchi, Malfoy aveva continuato.

Lui e suo padre si erano già voltati, ma poi Narcissa li aveva fermati. Anche al buio, si capiva che nei suoi occhi brillava la luce di un'idea. Gli aveva detto di portare l'elfo nella tenda, e Draco l'aveva fatto, mentre lei e il padre discutevano. Quando l'aveva presa in braccio, si era messa a strillare e supplicare, ma una volta essere caduta su una branda, era svenuta. Una volta lì, l'avevano curata, scoprendo che non si trattava che di un incantesimo abbastanza semplice, ma che l'avrebbe potuta uccidere. 
Quando si era svegliata, Kyla si era messa ancora a piangere, soffiandosi il naso nello straccio, che una volta doveva essere stato blu, che indossava. Li aveva ringraziati fino allo sfinimento, aveva persino cercato di abbracciarli, ma ovviamente i Malfoy si erano ritratti, disgustati. Dopo essersi calmata, Kyla aveva raccontato loro la sua storia, dicendo che apparteneva ad una famiglia di maghi nobili tedesca che l'aveva sempre maltrattata, come si faceva con quelli della sua razza. I padroni avevano un figlio e una figlia molto malata, che sembrava quasi trasparente... Lei era l'unica a trattarla bene. 
Prima di morire, la ragazza l'aveva chiamata al suo cospetto, e Kyla aveva fatto di tutto per tenerla in vita ma, quando si era spenta e i padroni l'avevano trovata nella sua stanza, l'avevano ritenuta responsabile. 
La padrona aveva ordinato al figlio di portarla nel bosco a est, e di ucciderla... Era quella l'usanza, in Germania. Quando erano arrivati, però, il ragazzo quattordicenne non se l'era sentita di usare l'Anatema che Uccide, e l'aveva semplicemente ferita e lasciata lì a morire.

Hermione aveva represso molti insulti a quei maghi crudeli, per far continuare Malfoy, a quel punto.

Kyla aveva giurato servizio ai Malfoy, cosa che Narcissa aveva previsto, per ringraziarli a vita di averla salvata. Grazie a lei, ora potevano procurarsi del cibo. Non avrebbero potuto usare uno dei tanti elfi di Malfoy Manor, le aveva detto Draco. Loro erano tenuti sotto sorveglianza dal Ministero della Magia, proprio nel caso li avessero appellati... Hermione l'aveva immaginato. 
Kyla si smaterializzava ovunque, portando loro tutto ciò che gli era necessario... Cucinando, addirittura, a volte, anche se le sue doti culinarie non erano il massimo.
Grazie all'elfo, le cose erano migliorate, nonostante il loro stato di latitanti. 
Dopo averla salvata, si erano spostati quasi subito. Erano scesi verso sud, stazionando in varie foreste e cittadine babbane... dove sapevano che non sarebbero stati trovati. 
Quando erano giunti al meridione di Berlino, erano stati intercettati, per la prima volta. Fortunatamente, erano riusciti a scappare...

...E poi Draco si era fermato. Hermione era andata via, questa volta con un'aspettativa più grande. 
Ripensò alla notte prima.

L'atmosfera era umida, il cielo limpido e pieno di stelle. Era un po' che non nevicava. Hermione sedeva appoggiata al masso nella radura nella Foresta Proibita, Draco a un metro e mezzo da lei. Le stava raccontando di un'agguato del Ministero a sud di Berlino. 
Hermione non l'avrebbe mai pensato, ma aveva notato molte cose in comune tra lei e Draco... Quelli erano stati mesi difficili anche per lui. 
Ad un tratto, Draco si fermò, cambiando impercettibilmente espressione. Hermione aveva notato che quella sera era più pallido del solito, per quanto fosse possibile, e non la guardava negli occhi come invece faceva spesso le notti precedenti.

«C'é qualcosa che ti turba?»

«Granger...» disse lui, alzando, per la prima volta in quella sera, lo sguardo su di lei.

«Sì?»

«É tardi.» disse lui. Hermione si rabbuiò, guardando in quelle iridi chiare e indecifrabili. Alla fine, avevano fatto le ore più piccole, solo il giorno prima.

Hermione si alzò, spolverandosi e lisciandosi le pieghe inesistenti della gonna. Era sempre così, da un po' di tempo: ci metteva sempre di più ad andarsene. 
Quando ebbe perso ormai troppo tempo, si girò in silenzio. Fece per mettersi il Mantello dell'Invisibilità, ma poi si girò di scatto e si avvicinò a Draco. Lui la stava osservando e, quando i loro sguardi si incrociarono, Hermione sentì freddo.
L'oro nelle sue iridi era incastrato nel ghiaccio delle sue, gli occhi di lui sembravano congelarla, sempre. La grifondoro lo osservò bene, come a voler fugare un dubbio, o un sospetto.

«Mi dirai mai davvero cosa ci fai qui?» chiese alla fine. Il tono, però, non le uscì stizzito come l'aveva immaginato... Era più un sussurro.

«Domani.» rispose lui.

Hermione abbozzò un sorriso.
«L'ho già sentita questa.»

Draco non sorrise.
«Domani sera. Domani sera scoprirai ciò che vuoi sapere... Domani sera saprai perché sono tornato.» disse, e ad Hermione bastò leggere la sincerità quanto il turbamento sul suo volto. 
Si vide uno sfarfallio di stoffa e, con un unico fluido gesto, la grifondoro sparì.

Hermione diede un'altra occhiata fuori dalla spessa finestra con le decorazioni a rombi. Era una serata bellissima, le stelle brillavano in cielo, ancora più luminose della notte precedente. Non poteva crederci.
Di lì a poche ore, Draco le avrebbe raccontato finalmente perché era tornato. Era più di una settimana che se lo chiedeva, e tutto ciò che aveva atteso era semplicemente concentrato in ciò che il ragazzo le avrebbe detto quella sera, all'ombra degli alberi della Foresta Proibita.
Era tutto incentrato sulla fine del racconto, e finalmente era giunto, dopo tanto aspettare. A mezzanotte avrebbe avuto delle risposte.

Ma non si riusciva a spiegare quella punta di amarezza che si trovava negli angoli della sua mente. Cosa avrebbe fatto, dopo? Una volta scoperto ciò che voleva, cosa avrebbe fatto? 
La verità era che quella settimana era stata come sospesa nel tempo, congelata e immune allo scorrere dei secondi, delle ore, dei minuti. Tutte le sue giornate erano state solo un modo per arrivare alla sera, ed incontrarlo. Per sapere di più. Ironicamente, pensò Hermione, quella sete di conoscenza doveva venire dalla parte di sé Corvonero. 
E adesso? Era così che finiva tutto?
Non essere stupida, pensò. Finire, cosa?

Si guardò ancora allo specchio. I suoi capelli quel giorno erano più crespi del solito, le guance più arrossate. Pensò che aveva un aspetto orrendo. Sbuffò. Da quando si faceva quei problemi?

Ron era nella Sala Comune, che l'aspettava per andare a cena. Erano più o meno le otto. 
Quando la vide, si illuminò com'era solito fare in sua presenza.

«Andiamo?» chiese, ma dal suo tono era più un "tutto bene?". Oggi ci aveva messo molto a scendere.

«Andiamo.» rispose lei, come al solito.

Arrivarono nella Sala Grande che già quasi tutti erano seduti. Intravidero Harry e Ginny seduti vicino a Neville, la rossa con la testa sulla spalla del suo ragazzo. Si avvicinarono, e si sedettero con loro.
Il banchetto cominciò. Hermione era affamata, probabilmente era dovuto all'aspettative per quella sera: fremeva di curiosità, la sprizzava da tutti i pori. 
Il chiacchiericcio della Sala Grande era sempre lo stesso. Non c'era studente che non parlasse, ridesse o facesse baccano in qualche modo. Hermione si servì una buona porzione di roast beaf all'inglese, e cominciò a mangiare. 
Ad un certo punto, si sentì, forte come se riecheggiato nel silenzio, il rumore di qualcosa di metallo che cozzava contro un bicchiere di cristallo. Il suono proveniva, inutile dirlo, dal tavolo dei professori. 
Ad un tratto, la Sala tacque: avevano tutti capito l'antifona. Da una delle porte secondarie ai lati del tavolo dei professori, uscì di gran carriera la McGranitt, con qualcuno al seguito. Non appena quest'ultimo fece il suo ingresso, dai tavoli partì un mormorio fitto fitto.
Tutti si sporsero, alcuni si alzarono per vedere chi fosse. Anche Hermione lo fece, curiosa, ma bizzeffe di studenti grifondoro le coprivano la vista. Quando la preside li richiamò all'ordine e tutti si risedettero, però, la persona era dietro le spalle della strega, celata ancora una volta alla sua vista. La preside, che invece vedeva chiaramente, sembrava stanca e nervosa, ma determinata come lo sarebbe stata la grifondoro che era un tempo. Hermione l'aveva vista così solo durante la guerra.
Dopo essersi schiarita la voce, la McGranitt cominciò a parlare.

«Buona sera, ragazzi. Tutti voi sapete ciò che è successo, qualche mese fa. Non c'é bisogno di rammentarlo. Le conseguenze sono state dure, devo ammetterlo, ma non c'era altra scelta. Io sono qui, oggi, perché credevo nell'ideale che il professor Silente tanto predicava: ad Hogwarts sarà sempre offerto un'aiuto a chi lo chiederà, e lo meriterà.
Ora, però, errare é umano. Il giudizio di alcuni potrebbe non essere quello giusto, ma in quanto al merito noi sappiamo come fare.» la strega tirò fuori, dal nulla, il Cappello Parlante.

Hermione trattenne il fiato. Un'altro Smistamento?

«...Spero che, qualsiasi sarà l'esito di questa serata, voi confidiate in me, quando dico che so quel che faccio... ma che non me la sento di decidere per una cosa del genere. Il Cappello Parlante lo farà per me.» detto questo, la preside si fece da parte, e ad Hermione si gelò il sangue nelle vene.

Tutto ciò che prima era curiosità, ora si era trasformato in orrore. Era tutto sbagliato. Non era possibile.
Domani saprai perché sono tornato...
La grifondoro era immobile, rigida, con gli occhi sbarrati e la bocca socchiusa, e sembrava aver visto un fantasma: dietro la McGranitt, impassibile come sempre, c'era Draco Malfoy.

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Capitolo 11
*** Altre chance ***


"Le persone vogliono avere una scelta, ma non vogliono davvero scegliere."

C'erano volte che, semplicemente, andavi nella confusione più totale. In quei momenti, Hermione aveva due reazioni. 
La prima, cominciava a muoversi, faceva domande su domande, cercava in tutti i modi di capire ciò che stava succedendo. La seconda, cominciava a ragionare senza dire una parola.
Ma era davvero raro, se non quasi impossibile, che fosse tanto sconvolta da non riuscire a fare nulla. Ma nulla davvero.
In quel momento, seduta nella Sala Grande, mentre tutti, compresi Ron, Harry e Ginny, mormoravano indignati o arrabbiati, lei non riusciva nemmeno a pensare. Lei.
Fissava basita un punto ben preciso, lontano dal tavolo Grifondoro. Aveva lasciato cadere forchetta e coltello già da un pezzo, e credeva di aver anche rotto il bicchiere, ma non le importava. Stava fissando Draco Malfoy, che se ne stava in piedi al centro dello spazio per i discorsi del preside.

Nel suo cervello, sembrava essersi formato un buco nero. In quel momento, le uniche parole a rimbombarle nella mente, erano quelle che proprio quel ragazzo le aveva detto la notte prima.
Domani sera. Domani sera scoprirai ciò che vuoi sapere... 
Non sapeva nemmeno perché, proprio quelle parole. Doveva esserci un'altra spiegazione. Una qualsiasi.
Domani sera saprai perché sono tornato. NoSi rifiutava di crederci.

Ad un tratto, l'aria si era fatta insufficiente. Non riusciva a respirare, si sentiva un freddo peso all'altezza del petto, e i suoi occhi si erano fatti lucidi. Com'era possibile? Lei aveva valutato tantissime opzioni... Si era scervellata un sacco di volte... Ma mai avrebbe pensato ad una cosa del genere.
Insomma, Malfoy era Malfoy. Odiava quella scuola gli anni precedenti. Perché Merlino avrebbe dovuto rientrarci? Cercò di ragionare. Il fatto che lui fosse lì, con il Cappello Parlante, proprio nel punto dove si facevano gli Smistamenti, poteva non voler dire niente. Magari non era come lei si stava immaginando... Poteva essere, vero? Sì, certo.
Nella sua mente regnava la confusione... Sembrava essersi assentata dalla realtà, ripudiandola. Non voleva quella realtà.
Fu un attimo.
Draco la guardò. I loro occhi si incrociarono, e la sensazione del ghiaccio giù per la schiena, ormai familiare per Hermione, si fece viva, forte come sempre. Ora come ora, non riusciva nemmeno ad immaginare di leggere gli occhi di Draco ma se l'avesse fatto, avrebbe visto l'insistenza in quelle iridi chiare che la spingevano a capire. Ma per lei non c'era comprensione, solo consapevolezza, e queste erano cose completamente diverse. E fu quella, la cosa a farla scattare.

Socchiuse gli occhi fino a farli diventare due fessure, la bocca era una linea dura. Un fuoco si accese nello sguardo della grifondoro. Un fuoco che la infiammò, l'accese e la portò a fare degli enormi respiri incontrollati. La rabbia montò dentro di lei come una furia, sostituendo l'incredulità e il desiderio che ci fosse stato un malinteso. Sostituendo qualsiasi pensiero, eccetto uno.
Le aveva mentito. Dopo tutta la fiducia che gli aveva dato, le aveva mentito. Si é preso gioco di me, e io gliel'ho lasciato fare.
Era una rabbia cieca, enorme, che le offuscò la vista e la capacità di giudizio. Riempì il vuoto che quella scoperta le aveva lasciato, facendole venire voglia di alzarsi, urlare, affatturare la causa della sua ira. 
Bastardo, pensò. Brutto figlio di puttana. Raramente ricorreva a un linguaggio del genere, ma non si stupì nemmeno un po' di sé stessa. Stronzo.

Draco si doveva essere accorto che qualcosa non andava, lui capiva sempre ciò che Hermione pensava, perché distolse lo sguardo e contrasse la mascella, guardando dritto davanti a sé. 
La McGranitt si avvicinò, e, con un movimento incerto, gli posò il Cappello Parlante sul capo. Esso prese subito vita, lanciando una risata amara e profonda.

«Draco Malfoy.» disse il Cappello, fugando qualsiasi dubbio: era lui. 
«Sono anni che non mi trovo sulla tua testa. So benissimo cosa mi ci ha portato di nuovo.» continuò «...Mmh, che confusione, che c'é qui... Nella tua mente. Lo sai, é difficile scegliere. Vedo... Vedo tutto ciò che hai fatto, c'ero anch'io. Sono passati più di sette anni. Sai, non ebbi dubbi ad assegnarti a Serpeverde. Nemmeno uno, e forse ciò in cui sei stato immischiato mi da manforte... O forse no. Quanta confusione!» aggiunse poi, in un urlo.

Hermione non riusciva a staccare gli occhi da lui. Le parole del Cappello Parlante le sentiva e non le sentiva, come qualcuno che ti parla in un incubo. C'erano solo loro due e la sua voglia di ucciderlo.

«Oh, che storia tragica. Un ragazzo portato sulla brutta via, o forse natoci proprio. Nella tua mente é chiaro cosa sei, ma i fatti dimostrano altro...»

Oh, eccome. Hermione non riusciva a pensare. Quel falso... 
Le parole del Cappello Parlante erano come un brusio, alternato da lampi di parole comprensibili. Sentiva i mormorii, i borbottii... I piccoli rumori che sembravano come amplificati nella sua testa. 
Era lontanamente consapevole che Harry stesse per fare una strage, trattenuto solo da Ginny, mentre Ron cercava di parlarle o farla reagire in qualche modo. Sentiva il tocco caldo del ragazzo sulle sue spalle... Sin troppo caldo, lei in quel momento era fuoco, e ciò che le serviva non era che ghiaccio. 
Quella serpe... Proprio mentre pensava queste cose, come a volersi prendere gioco di lei, il Cappello Parlante disse:

«Sai, credo che potrei metterti anche a Grifondoro.» e a quel punto ci fu una reazione incredibile.

Tutti. Dal primo all'ultimo studente di Hogwarts, compresi i Serpeverde, contestarono.

«Che cosa?!» Harry era scattato in piedi. Ginny lo fece risedere velocemente, ma si vedeva che anche lei a stento si controllava. 
In effetti, tutto il tavolo Grifondoro era il ritratto dell'indignazione, mentre Hermione era sempre chiusa in quello stato di statica furia, che, in realtà, era peggio di quella di tutti gli altri.

Ron abbandonò i tentativi di farla parlare e cominciò a farneticare cose senza senso, rosso come un peperone. Neville, che di solito era più pacato, stringeva un coltello, con le nocche bianche. Persino Luna, che quella sera aveva cenato con loro, aveva una faccia sorpresa.
Harry aveva assunto un colore bordeaux, ma sicuramente era lei, quella che stava facendo nevicare. 
Sopra il loro gruppo di amici infatti, c'era una leggera cascata di neve.

«Silenzio, silenzio!» la McGranitt provò inutilmente a far tacere gli studenti. Essi ormai discutevano senza ritegno, fregandosene altamente di qualsiasi richiamo.

«SILENZIO! Toglierò punti ad ogni Casa se non la smettete!» questa volta la voce della preside risuonò forte nella Sala, amplificata dall'incantesimo Sonorus. Anche se con qualche resistenza, tutti tacquero.

«Grazie, professoressa, ma credo che qui abbiamo finito.» disse il Cappello Parlante.

Hermione non l'avrebbe mai detto, ma lo Smistamento di Draco era durato ben otto minuti. La parola Testurbante [*] balenò nella mente della grifondoro, mentre nella Sala risuonava un silenzio sospeso.
Ci fu una pausa che sembrò lunga secoli. Tutti erano in attesa, e la McGranitt sembrava la più nervosa di tutti, mentre Draco semplicemente se ne stava dritto, rigido, con i pugni chiusi a fissare dritto davanti a sé. Era inespressivo, ma nella sua postura si notava lontano un miglio la determinazione.

«Gri... Non Grifondoro, dici?» chiese retorico il Cappello. Sembrava si stesse prendendo gioco di tutti loro. «... Allora d'accordo... sarà meglio... SERPEVERDE!» rettificò, e non ci fu nulla.

Nessun applauso, nessun incitamento, niente di niente. Solo un pesante, afoso silenzio, che denotava la portata di quella situazione, la sua serietà. Probabilmente, nessuno si capacitava di una cosa del genere. 
Durante lo Smistamento di quell'anno, tanti giovani ex-Mangiamorte o figli di quest'ultimi, erano stati esaminati dal Cappello. La differenza era, però, che solo un paio erano stati salvati: ragazzi che non avevano partecipato seriamente, alla causa di Voldemort.
Ma Draco Malfoy era conosciuto, e la sua non era una bella fama.
Persino i serpeverde superstiti disapprovavano. Per cui che proprio lui, l'ultimo erede dei Malfoy, avesse un'altra chance, era inaudito. 
Ed Hermione non poteva che essere d'accordo.

-

Distolse lo sguardo da Hermione. Quando l'aveva visto, era restata basita, lo sapeva. La notte prima, si era tormentato per prevedere l'eventuale reazione della ragazza, quando l'avrebbe visto lì. 
Quando il patronus della McGranitt lo aveva convocato e lui era venuto a sapere che i professori avevano deciso di far scegliere al Cappello Parlante il giorno dopo, lui aveva subito deciso di non dirlo ad Hermione. Conoscendola, era sicuro che sarebbe stata capace di mandare tutto all'aria, magari parlandone con Potter e divulgando la notizia.
Le aveva solo dato un'indizio, facendole credere che le avrebbe raccontato tutto il giorno dopo.

Ed ora era lì, a sentirsi calare in testa il Cappello Parlante per la seconda volta nella sua vita. Distrattamente, Draco notò con ironia come, adesso, non ci cascasse dentro con la testa.
Sentì una risata, e capì che proveniva dal Cappello. Lo derideva pure?

«Draco Malfoy. Sono anni che non mi trovo sulla tua testa. So benissimo cosa mi ci ha portato di nuovo.» disse. 
E allora perché ci giri intorno, pensò Draco. 
«Impertinente come sempre, noto...» Il Cappello parlò nella sua mente.

«...Mmh, che confusione, che c'é qui... Nella tua mente.» continuò, ad alta voce «Lo sai, é difficile scegliere. Vedo... Vedo tutto ciò che hai fatto, c'ero anch'io. Sono passati più di sette anni. Sai, non ebbi dubbi ad assegnarti a Serpeverde. Nemmeno uno, e forse ciò in cui sei stato immischiato mi da manforte... O forse no. Quanta confusione!» parlava alla Sala Grande.

«Sei sicuro della tua scelta? Non sarebbe una passeggiata, giovane Malfoy. Io vedo davvero, capisco, ma nella tua mente é pieno di barriere che tu non sai nemmeno di aver creato. Il fatto è, giovane Malfoy... Tu sei sicuro di sapere adesso chi sei, diverso da come gli altri ti credevano. Ma sei proprio certo che non sia falsa anche l'identità che credi di avere ora? Io lo so. Io posso darti un'altra possibilità. Ma se tu non sei sicuro che é ciò che vuoi, ti distruggerai. Perché sono le scelte a fare di noi ciò che siamo, ma le scelte hanno delle conseguenze, dei prezzi, talvolta molto alti. Questa scelta potrebbe costarti tantissimo, se non la fai cosciente di ciò a cui vai incontro. Decidi chi vuoi essere.» disse il Cappello nella sua mente. Draco rimase interdetto.

Decidi chi vuoi essere. Non aveva mai avuto scelta su chi volesse diventare, e adesso che ne aveva una, si rendeva effettivamente conto che non sapeva con precisione chi era.

"Io..." Stava per rispondere al Cappello, quando lui parlò ad alta voce, alla Sala.

«Oh, che storia tragica. Un ragazzo portato sulla brutta via, o forse natoci proprio. Nella tua mente é chiaro cosa sei, ma i fatti dimostrano altro...»

Come? Ma venne ancora interrotto dal Cappello, che a quel punto sembrava ragionare a voce alta e divertirsi un mondo.

«Sai, credo che potrei metterti anche a Grifondoro.» buttò lì poi, come se nulla fosse. Draco si irrigidì.

"Che COSA?!" Pensò. "Io tra quei grifoni senza cervello? Mai. Scordatelo." 
Udì una risatina, ma capì che era risuonata solo nella sua testa, dato che tutta la Sala era intenta ad indignarsi per l'oltraggio a Grifondoro e la McGranitt cercava di mantenere l'ordine. Che ipocrita, pensò lui. Pensava che non l'avesse vista nessuno impallidire quando il Cappello aveva preso in considerazione di assegnarlo alla sua Casa?

«Be', perché no... Sei stato più coraggioso di quanto pensi, Draco. Solo il fatto che tu sia qui, lo dimostra.» gli disse nella mente il Cappello.

"Questa, é un'altra storia. Io non sono un grifondoro e mai lo sarò. Sono certo almeno di questo e ne sono felice."

La McGranitt, nel frattempo, era riuscita a riportare l'ordine. Sicuramente li aveva minacciati. 
Il Cappello Parlante la ringraziò, dicendole che "avevano finito". Draco si morse l'interno del labbro, ed avvertì il sapore metallico del sangue solleticargli il senso del gusto.

«Gri...» 
NO! pensò Draco, ora furente. Il Cappello ridacchiò nella sua testa.
«Non Grifondoro, dici?» lo scherno chiaro nella voce.
«Allora d'accordo...» c'era quasi...
«...sarà meglio...» forse tutto quel che aveva fatto sarebbe servito a qualcosa...
«...SERPEVERDE!» finì, e Draco chiuse per un attimo gli occhi, cercando di metabolizzare.

Quando li riaprì, ogni studente di Hogwarts lo guardava sbigottito. Nella Sala Grande regnava un silenzio rumoroso, rumoroso di tutti i giudizi inespressi. Serrò la mascella. Ovviamente nessuno si aspettava quell'esito. 
Si girò verso il tavolo dei professori, mentre la McGranitt gli toglieva il Cappello dalla testa con irritante lentezza, e questo tornava ad essere apparentemente senza vita. Guardando meglio, la mano della preside tremava leggermente, ed era pallida come un cencio. Draco si irritò a quella vista, ma provò anche una punta di soddisfazione.
Tutti i professori che conosceva, invece, avevano la stessa espressione. La postura rigida, la bocca chiusa, gli occhi indagatori e indecisi... Vide il barlume rosso che talvolta il ricordo della guerra portava anche nei suoi, di occhi. In quel momento, ripensò a Piton.
C'erano alcuni professori che non aveva mai visto. Si guardavano tra loro, dato che non avevano conosciuto personalmente Draco.

Si soffermò per un tempo sufficientemente lungo negli occhi verdi della McGranitt, poi si avviò verso il tavolo al quale tante volte si era seduto. Molti serpeverde si scansarono quando si sedette, così che c'era posto ad entrambi i lati del giovane. Dopo che ebbe guardato uno ad uno le persone che lo giudicavano con lo sguardo, decise di ignorarli. 
Ad un tratto, sentì un movimento alla sua destra, e una mano posarsi sulla sua spalla. Voltò lo sguardo, confuso, per poi vedere degli occhi blu che avrebbe riconosciuto ovunque.

Lo sguardo del vecchio amico era serio quando annuì leggermente e gli diede una cosa che doveva essere a metà tra una pacca sulla spalla e una carezza. Blaise.
Un'altro movimento, e alla sua sinistra si ritrovò Daphne Greengrass e Theodore Nott. Anche loro, senza una parola, lo sostennero solo con lo sguardo.
Osservò gli amici d'infanzia ancora qualche secondo, e in quel momento Draco si ricordò che non era l'unico a sapere com'era essere come lui. Alzò la testa come solo un vero Malfoy sa fare, e si disse che quella era davvero la volta che doveva ricominciare.

...

Uscì dalla Sala Grande con Blaise, Theodore e Daphne. Appena varcato il grande portone, come se fosse stato qualcosa di naturale, Draco si accorse subito della presenza di Hermione, in un angolo dove passava poca gente. 
Si girò. Lo aspettava in piedi, appoggiata al muro, con le braccia incrociate e gli occhi che lo puntavano come se fosse stato un bersaglio e lei avesse avuto un pugnale da tiro, in mano.
Fece segno ai suoi amici di precederlo e aspettarlo, poi si avvicinò a quella donna che, si vedeva, fumava rabbia.

-

Quando la cena fu finita, Hermione non aveva toccato cibo ed era ancora furente. Era stato un pasto rumoroso. Tutti dicevano la loro sul ritorno di Draco Malfoy. 
Harry era sconvolto. Non aveva fatto altro che borbottare discorsi rabbiosi, mentre il viso di Ron non aveva abbandonato lo stesso colore dei suoi capelli. Lei, dal canto suo, non aveva detto niente. Nemmeno una parola. Continuava a fissare con placida furia la testa del biondo, che gli dava le spalle. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, pensava, Draco sarebbe stato già a terra, agonizzante.
Quando uscirono, Hermione disse ad Harry e Ron di andare avanti, ma i due le avevano badato poco: erano troppo presi in discorsi contro Malfoy.

Aspettò Draco in un angolo, le braccia incrociate, cercando di far scemare la rabbia, inutilmente. Dopo pochi minuti, il ragazzo la raggiunse, staccandosi da un gruppo di tre persone. Si avvicinò lentamente, lo sguardo freddo ma l'atteggiamento circospetto.

«Her... Granger, posso fare qualcosa per te?» le disse.

Hermione notò come gli fosse venuto subito da chiamarla col suo nome... L'aveva fatto solo poche volte, nelle notti precedenti. A lei, in quei momenti, era sembrata una cosa naturale, ma adesso la fece arrabbiare ancora di più. 
Strinse gli occhi in due fessure, e si avvicinò al biondo senza dire nulla. Quando gli fu più o meno ad un metro, ripensò ai suoi propositi omicidi prima, in Sala Grande.
Il suo pugno si mosse più in fretta della sua mente, ed andò a connettersi con la faccia di Draco in un impatto forte. 
La scena del terzo anno si ripeté, con la differenza della reazione del ragazzo. Lui, infatti, una volta ricevuto il pugno restò fermo, la testa girata verso destra e la mascella tesa, a fare dei profondi respiri per cercare di mantenere la calma. La ragazza notò come i suoi pugni fossero serrati, le nocche bianche e gli occhi chiusi... Stava davvero cercando di trattenersi. In quel momento non si chiese perché, troppo impegnata ad ucciderlo con lo sguardo... Ma in un angolino della sua mente la domanda non era stata ignorata.

Hermione fece per andarsene di gran carriera, troppo furiosa anche per parlare con lui, quando Draco la prese di peso e la trascinò in un angolo, strattonandole i vestiti e guardandosi velocemente intorno.
All'impatto col muro, Hermione trattenne il fiato, ma più per lo stupore. 
Era faccia a faccia con Draco, a dividerli solo pochi centimetri... Quando commise l'errore di incrociare il suo sguardo. Le iridi grigie del ragazzo erano azzurrognole, e sembravano bruciare di una fiamma blu. Era arrabbiato, ma Hermione lo era di più... Lo era talmente tanto che quasi non sentì l'odore leggermente muschiato che le invase i sensi.

Si guardarono negli occhi per qualche secondo, le facce tese e i lineamenti duri, ed Hermione si sentì ghiacciare, un ghiaccio che riusciva a competere addirittura col fuoco che le ardeva dentro in quel momento. 
Prese fiato per dire qualcosa che sicuramente non sarebbe stato un complimento, quando Draco la precedette.

«Mezzanotte.» le disse a denti stretti, il respiro ad arrivarle sul volto «Foresta Proibita. Vieni.» e con questo la lasciò andare.

«Che diritto hai tu di darmi ordini o anche di chiedermi qualcosa? Non verrò.» lo aggredì: respirava velocemente a poca distanza da lui. Il battito del suo cuore le martellava nelle orecchie, veloce ed assordante come lo era stato poche volte.

«Oh, tu verrai. Anche solo per insultarmi, ma tu verrai.» sputò lui, per poi andarsene e lasciare Hermione sola, il respiro accelerato e l'orgoglio intaccato per non aver avuto l'ultima parola, l'occasione di mandare quel furetto dove sapeva lei. 
No, non ci sarebbe andata. Non ci sarebbe andata mai.

***

Nota autrice:

[*] Testurbante: é il termine che si usa per indicare uno studente il cui Smistamento sia durato più di cinque minuti. É una cosa molto rara, capita più o meno ogni cinquant'anni. La principale causa é l'indecisione del Cappello Parlante tra due Case, ma in questo caso ci si mette in mezzo anche il dubbio riguardo il riammettere Draco nella scuola o meno.
Minerva McGranitt é stata una Testurbante, Hermione quasi, ma non é sicuro che lo sappia.

PS: l'ho scritto perché magari non tutti lo sanno, e se userò altri termini specifici come questo, farò lo stesso.

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Capitolo 12
*** Come prima ***


No, non ci sarebbe venuta. Non ci sarebbe venuta mai.
Mentre la consapevolezza si faceva strada nella mente di Draco, un'ombra si appropriava del suo viso man mano che ne diventava sicuro: Hermione non sarebbe venuta.
Era nella radura della Foresta Proibita, ed era l'una e mezza. Lo sapeva dall'orologio di Hogwarts, che aveva appena fatto i suoi rintocchi. 
Un'ora e mezzo? Un'ora e mezzo di ritardo? No, non sarebbe venuta, e lui non sapeva come reagire. Magari se lo ripeteva ancora, sarebbe sembrato più reale, l'avrebbe accettato. Era così sicuro, prima...

Quella stupida, altezzosa e cocciuta grifondoro... Non sarebbe venuta. Non ne aveva mai avuta l'intenzione.
D'altronde, non sapeva perché aveva creduto che l'avrebbe fatto. Non erano delle risposte che cercava, sin dall'inizio? L'unico motivo per cui l'aveva ascoltato, era che voleva sapere perché era tornato, e quella sera l'aveva scoperto. Non c'era più nulla da dire, nulla da aggiungere o spiegare... per lei.
Ma lui lo sapeva. Sapeva che quella orgogliosa, impulsiva ragazza era arrabbiata perché non glielo aveva detto. E lui, per quanto fosse assurdo, voleva spiegare perché l'aveva fatto. Lui, che non dava spiegazioni a nessuno, mai. Lui, che non si preoccupava di cosa gli altri pensassero di lui. Lui, semplicemente lui che per la prima volta voleva non lasciare la ragazza fare conclusioni affrettate. Ma a quanto pare era lei ad aver scelto per entrambi, non voleva più parlargli. Draco rifiutò l'amarezza che seguì quel pensiero, nella sua mente.

Si passò una mano sul viso, ancora dolorante. Certo che picchiava duro, la Mezzosangue. Sicuramente gli sarebbe venuto un livido, se non l'avesse curato. Rivide la scena. Hermione che gli si avvicinava guardandolo negli occhi, il calore che aveva avvertito, ad un certo punto sin troppo forte. Nelle iridi della grifondoro aveva letto indignazione, determinazione, delusione, e tanta, tanta rabbia. Era davvero furiosa, e lui l'aveva capito...
Dopo che gli aveva dato il pugno, lo era stato anche lui. Come si era permessa? Si era sforzato di mantenere il controllo. Se al terzo anno, quando si era ripetuta la stessa scena, lui era stato spaventato e se ne era andato con la coda tra le gambe, quella sera si era indignato. Come poteva quella stupida ragazzina pensare di poterlo picchiare così, a buffo? Aveva cercato di trattenersi, però. Non sapeva nemmeno perché. Avrebbe dovuto metterla al suo posto lì.
Non aveva quasi controllato la sua lingua, quando aveva le aveva detto di rincontrarsi. Doveva spiegare. Quando era tornato nel dormitorio dove non dormiva da quelli che sembravano anni, non era riuscito a fare nient'altro se non pensare a cosa dirle. Aveva smontato la tenda nella Foresta Proibita quella mattina e, dopo tanti mesi di vita di stenti, per così dire, la sua camera singola sembrava stoica, asettica... Estranea.

Guardò ancora nella direzione da cui di solito veniva Hermione, e digrignò i denti quando ancora non vide nulla... Andava avanti così dalle undici e mezza. Sgattaiolare fuori dal castello era stato semplice... Sin troppo. Non gli sembrava vera quella situazione, e non era una cosa del tutto positiva. Si sentiva come se, da un momento all'altro, si sarebbe svegliato dal sogno. 
Si passò la mano destra tra i capelli biondi, in un chiaro segno di frustrazione. Merlino... Non sapeva come sentirsi. I momenti di furia si alternavano a quelli di confusione, e tutto per lei. Da quando Hermione era diventata parte dei suoi pensieri?

Restò ancora mezz'ora a fare avanti e indietro in quella radura maledetta. Mezz'ora di pensieri, congetture, imprecazioni... Alla fine, quando l'orologio di Hogwarts segnò le due di notte se ne andò, deluso e con la voglia di affatturare qualcuno, possibilmente riccia e grifondoro.

-

Hermione si svegliò in lacrime. Aveva urlato, ne era certa. Sentiva il cuore batterle nelle orecchie, nella testa. Non capiva se il martellare della sua testa fosse solo il battito cardiaco o qualcos'altro, ma le si insinuava nella mente e le stordiva la facoltà di pensiero. Il sudore le scorreva sulle tempie, si mischiava alle lacrime e le scendeva sul petto. Si portò i pugni davanti alla fronte, e premette con forza il capo contro il materasso morbido del suo letto a baldacchino, nei dormitori femminili della Torre Grifondoro. Gridò contro la stoffa, prese a pugni le lenzuola, arrabbiata ancora una volta con sé stessa. Merlino, non era possibile!

Si alzò, la rabbia chiara in ogni suo movimento secco e brusco. Prese la bacchetta, il mantello pesante e la sciarpa, poi uscì velocemente dalla sua camera.
Quando scorse i profili familiari degli alberi che delimitavano lo spiazzo nella Foresta Proibita, accelerò il passo. Stava già trottando, quindi i il risultato fu che si mise a correre, finché le ginocchia non le cedettero e lei non cadde stremata a terra. Mise le mani sul terreno gelido, non avvertendone davvero la freddezza. Tutto ciò che la sua mente riusciva ad elaborare erano le immagini vivide che si rincorrevano e la facevano vergognare di essere così debole. 
Non aveva smesso di singhiozzare da quando si era svegliata. Premette la testa contro il legno del tronco su cui si era rannicchiata, strizzò gli occhi e si asciugò le lacrime. Era vagamente consapevole di star borbottando qualcosa che assomigliava ad una supplica, ma non riusciva a controllarsi. Strinse meglio la presa sulla bacchetta, respirò a lungo. 
Si tolse la sciarpa e la gettò a terra dall'altro lato dello spiazzo. Si passò entrambe le mani tra i capelli e le lasciò lì, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Il suo volto era una smorfia, gli occhi sicuramente rossi.

Quando, dopo mezz'ora, le immagini cominciarono a scemare, si guardò davvero intorno per la prima volta in quella sera. Guardò il masso alla sua sinistra, e trasalì.

«Oh, Gesù!» metà gridò, metà sussurrò.

Si portò una mano alla bocca, poi si diede uno schiaffo sulla testa, con l'unico risultato di farsi male. Merda. Si era dimenticata... Draco. Doveva incontrarlo. 
D'un tratto in quella piccola radura ci furono solo ricordi di loro due che parlavano, in quella settimana. Poi ne venne un'altro, molto più recente. Draco nella Sala Grande. Draco che praticamente le ordinava di farsi trovare lì, a mezzanotte. Aveva sentito l'orologio, prima. Era uscita dal castello alle due e mezza. 
La rabbia tornò. Come si permetteva quell'insulso serpeverde di pretendere qualcosa da lei? Ricordò perché fosse così determinata a non andarci. Si morse le labbra, adirata con sé stessa per un nuovo motivo, stavolta. Perché sapeva che, se quella sera non si fosse addormentata, ci sarebbe andata, a mezzanotte. Che patetica, stupida ragazzina. 
Quando era tornata al suo dormitorio, era fuori di sé. Non aveva nemmeno parlato con Harry e Ron dell'accaduto, se ne era solo andata in camera sua borbottando insulti verso Draco, dove una sconcertata Camille Poreil l'aveva fissata come a chiederle se andasse tutto bene. Camille aveva un'anno in meno di lei, ma era molto matura per la sua età.
Dopo un quarto d'ora di andare avanti e indietro tra il suo letto e la porta, Camille dormiva e lei si era placata, anche se in parte. Non sapeva se andare o meno, voleva insultare ed affrontare Draco ma anche dimostrargli che non bastava che lui le ordinasse qualcosa che lei lo faceva. Alla fine, si era addormentata, dimentica del fatto che avrebbe dovuto prendere una decisione. Voleva solo dormire, ed era crollata.

Sbuffò... Chissà se l'aveva aspettata. Non essere idiota, pensò. É di lui che si tratta. Già. Sicuramente se ne era andato immediatamente. 
Richiuse gli occhi e le immagini tornarono. No... No. Le lacrime avevano appena smesso di scorrere.
Si alzò, impugnando la bacchetta. Cominciò ad andare su e giù, tirandosi indietro i capelli e lasciandoli poi ricadere sulla schiena. Respirò a lungo, poi decise che era il momento. Si fermò perfettamente al centro della radura e puntò la bacchetta davanti a sé. Pensò al suo scenario più felice. Vide nella mente i sorrisi dei suoi genitori e di Ron. Una luce calda che ammantava le sensazioni serene, un calore all'altezza del petto e la luce negli occhi di Ronald. Sentì, nel retro della sua mente, un pensiero che spingeva per intrufolarsi in quello scenario. Lo respinse, concentrandosi solo ed esclusivamente sulle reminiscenze di una felicità lontana, dimenticata. Chiuse gli occhi un solo attimo, poi pronunciò le parole.

«Expecto Patronum.» sussurrò. Aveva smesso da tempo di pronunciare verbalmente tutti gli incantesimi, ma con alcuni lo faceva ancora.

Socchiuse gli occhi mentre la luce argentea usciva dalla punta della sua bacchetta. Mantenne salda la presa, mentre la sua mano sudata tremava impercettibilmente. La luce danzò davanti a lei in spire luminose, illuminando la notte ma non essendo abbastanza luminosa, Hermione lo sapeva. Proprio quando la strega credeva di avercela fatta, di esserci riuscita finalmente, dopo tanto tempo, le spire cominciarono a diradarsi, a scendere verso terra e a diventare più fioche, fino a spegnersi del tutto insieme alla pallida speranza nel cuore della grifondoro. 
Crollò di nuovo a terra, lasciò cadere la bacchetta e si mise le mani tra i capelli. Una sola lacrima questa volta, solitaria e derisoria, le scese sulla guancia. Le sembrava che fosse fatta di fuoco, che le imprimesse un solco nella pelle, indelebile come un marchio a fiamme. Gli occhi le si stavano chiudendo, non poteva sopportare oltre il supplizio di quell'ennesima delusione. Provò dell'amarezza, rifiutandosi di accettare ciò che, ad un certo punto, sarebbe diventato palese. Non era più la stessa. 
Non era più Hermione Granger, la strega più brillante della sua età. La strega che era coraggiosa nel profondo. Era solo una ragazza persa, che forse era più corvonero che grifondoro, perché la sua forza d'animo si era perduta con lei.
Nella sua mente si figurò un'immagine ben precisa. Vagava nel buio, provava ad illuminarsi il cammino ma la sua bacchetta si rifiutava di obbedirle. Lei che si metteva a correre, alla cieca. Poi, d'un tratto, nella sua terribile autocommiserazione si immischiarono un paio d'occhi color del ghiaccio, che la pugnalarono e la fecero cadere.
Riaprì gli occhi. Era ancora lì. Era ancora lì... Era ancora lì, ancora viva. E finché eri vivo, c'era speranza. Finché eri vivo potevi rialzarti, e lei l'avrebbe fatto come la grifondoro che sapeva di essere. Basta lacrime, basta fallimenti.

Si alzò, sapendo bene cosa fare, come d'altronde era sempre stato. Avrebbe recuperato la sua identità, basta confusione. Basta pensieri ambigui. 
Mentre tornava nel suo dormitorio, però, non seppe se si riferisse a lei, o a Draco.

...

Giorni. Erano passati giorni. Non gli aveva più parlato, non aveva più incontrato il suo sguardo se non per qualche secondo, lui la ignorava. D'altronde, era quello ciò che voleva, quando aveva deciso di non incontrarlo, quel giorno a mezzanotte. Continuava a ripeterselo, a ricordarselo. 
Nonostante corresse ancora ogni notte in quella radura, non l'aveva più visto. In alcuni momenti, si pentiva di non averlo incontrato... Ma poi l'orgoglio aveva la meglio. Perché pensava che quel Mangiamorte che altro non era si meritasse di avere un'altra possibilità? La risposta era semplice quanto terribile. Ci era cascata. Era cascata nell'apparenza, e cioè che lui si era pentito, che non aveva mai voluto fare tutto ciò di cui era accusato. Cazzate
Proprio quando lei stava pensando di dargli un'altra occasione, anzi diciamolo, l'aveva fatto, lui le aveva mentito su una cosa così importante. E poi aveva anche avuto il coraggio di ordinarle di incontrarsi! Roba da non credere.
Fatto stava, che non riusciva a toglierselo dalla testa. Era ridicolo, era ancora smaniosa di risposte, nonostante in apparenza non ci fossero domande. Ma lei ne aveva, eccome. 
La più importante tra queste era il motivo per cui non riusciva a smettere di pensarlo. Perché ha scelto me? Perché ha scelto di raccontarmi la sua storia? 
E lei, la strega più brillante della sua età, quella che aveva e otteneva sempre le risposte, non sapeva come rispondere a quel quesito. E i minuti passavano, insieme alle notti e ai giorni, senza che lei riuscisse a non scervellarsi. Lo vedeva in poche lezioni, ma lui faceva sempre in modo di uscire o entrare prima di lei. La evitava, e le poche volte che i suoi occhi incontravano i suoi, la trafiggevano come pugnali, carichi di rancore.

Adesso basta, si disse il quinto giorno. Gli avrebbe parlato. Gli avrebbe chiesto tutto. Lo avrebbe anche insultato, certamente, ma doveva farlo. Non riusciva a togliersi quel pallino... Se l'avesse incontrato un'ultima volta per mettere in chiaro le cose, sarebbe finita lì. E lei sarebbe tornata a rimettere insieme i pezzi della sua vita.
Una frase che Harry le aveva detto tempo prima le affiorò nella mente, ma lei la respinse. Sapeva gestire un furetto platinato.

Mentre tornava al dormitorio quella sera perfezionando il piano, però, la frase la seguì anche nei sogni.
Quando mai uno dei nostri piani funziona, Hermione?

-

Giorni. Erano passati giorni. Non le aveva più parlato, non aveva più incontrato quegli occhi ambrati se non per trasmetterle odio, lei lo ignorava come lui faceva con lei. Era stato bravo. Non aveva lasciato trasparire nessuno dei suoi pensieri. Ogni volta che la vedeva, aveva voglia di trascinarla da qualche parte per urlarle contro o stare a fissarla come faceva quelle notti nella Foresta Proibita. Quel pensiero, però, veniva disturbato puntualmente da un'altro. 
Lei non era venuta. Dopo tutto ciò che lui aveva fatto, lei non era venuta. Le aveva raccontato la sua storia, per Merlino! Quando mai aveva fatto una cosa del genere? Avrebbe dovuto ringraziarlo, non piantarlo in asso così. 
Era tornato in quella radura ogni notte, a mezzanotte. Si sentiva ridicolo, davvero, ma non riusciva a togliersela dalla testa. Era diventata un pallino fisso. Una domanda gli ronzava in mente da giorni. Perché non l'aveva detto a Potter e Weasley? Perché aveva tenuto un segreto non suo, con tutto ciò che questo comportava? Perché aveva fatto questo per lui?
Era stato strano, tornare a scuola. Si era talmente abituato a stare da solo, che la moltitudine di studenti lo metteva in soggezione. Come se non bastasse, poi, doveva studiare sodo, perché la sua persona era parecchio in forse, di quei tempi. La incontrava poche volte. 
Aveva deciso, però, che le avrebbe parlato. Che le avrebbe detto qualcosa. Non sapeva bene cosa, precisamente, ma non poteva restare a pensare e basta, gli sarebbe scoppiata la testa.

Blaise, Daphne e Theo stavano sempre con lui. Non avevano fatto domande, e lui gliene era stato grato. Era cresciuto con Blaise e Daphne, aveva conosciuto Theo dopo. Avevano tutti legami con la sua famiglia. Li legava una profonda amicizia... Non li vedeva né sentiva da quella che sembrava una vita. Non parlavano spesso, stavano semplicemente insieme, consapevoli tutti che qualcosa era cambiato, e serviva del tempo per riaggiustare tutto. Serviva sempre tempo.

Blaise era un ragazzo alto, moro e con gli occhi blu. Spesso, prima, insieme prendevano in giro i coetanei o si difendevano a vicenda. Era un dongiovanni, proprio come Daphne era una rubacuori. Snella, bionda e intelligente, Daphne era ritenuta la ragazza più bella di Hogwarts. Essendo ammirata quanto irraggiungibile, non sapevano avesse avuto ragazzi seri, ma le voci giravano. Era una delle poche ragazze che Draco non solo tollerava, ma anche apprezzava. Gli sapeva tenere testa, sapeva essere stronza e, come se non fosse abbastanza, non si era mai mostrata come una ragazzina svenevole e oca, anzi sapeva essere dura e un'amica eccezionale. Era forse quella con cui riusciva più a parlare, perché lo capiva anche se non parlavano da tempo... Al suo sesto anno, gli era stata vicina.
E poi c'era Theo. Piuttosto taciturno, era astuto come pochi. Suo padre era un ex-Mangiamorte, uno di quelli più vicini a Voldemort, ma Draco non credeva anche lui avesse il Marchio. Era un tipo ambiguo, ma un grande amico. Pensavano avesse avuto una storia con Daphne, ma ancora una volta non c'era nulla di certo. 
Quando gli avevano esplicitato il loro appoggio, Draco era stato pieno di riconoscenza. Non l'aveva detto, ovviamente, ma loro avevano capito. Lo facevano sempre.

Mentre tornava nei sotterranei, quella sera, Hermione non aveva ancora lasciato i suoi pensieri. Stava cominciando ad odiarla davvero, gli impediva di concentrarsi. Era irritante, era insopportabile. Doveva mettere fine a quella seccatura.

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Capitolo 13
*** Lo so e basta ***


L'aria era pesante, la notte scura dava un'atmosfera sospesa nel tempo, ed Hermione cercava il coraggio di lasciare quel gufo andare. Era nella sua stanza, la civetta bruna attendeva che aprisse la finestra per recapitare il messaggio da lei scritto. 
Camille non era ancora rientrata, ma l'avrebbe fatto da un momento all'altro... Sarebbe dovuta andare in Guferia per la sua battaglia interna d'intenzioni. 
Era almeno mezz'ora che faceva un dibattito interiore per decidere se mandare o meno quel messaggio a Malfoy. Più o meno a cena, le era venuta quella brillante idea. Solo che, una volta salita in stanza subito dopo aver mangiato, non aveva avuto il coraggio di inviare le "istruzioni". 
Voleva farlo. Voleva incontrare Malfoy un'ultima volta per chiarire le cose, poi quella fissazione sarebbe passata in un batter d'occhio. Ripensò a quei giorni... Lui non l'aveva più guardata come aveva fatto quelle notti. Persino quando litigavano, il suo sguardo era stato diverso da quello che le aveva riservato dopo. Aggrottò la fronte, rendendosi conto di voler ancora sentire il ghiaccio di quelle iridi nelle sue, voleva ancora quelle sensazioni che non avrebbe dovuto provare per un semplice scambio di sguardi.

La civetta picchiava con il becco sul vetro della finestra chiusa, producendo un suono al limite del sopportabile, ed aveva un'aria scocciata. Sicuramente si stava chiedendo perché mai la ragazza l'avesse chiamata ma non volesse che uscisse per recapitare la lettera. Proprio mentre si stava avvicinando alla finestra, la porta della sua stanza si aprì.
Camille entrò in tutto il suo splendore, con il capelli biondi che le ricadevano morbidi sulle spalle e gli occhi celesti che la puntarono subito.

«Ciao, Camille.» le disse Hermione.

«Hermione, ti devo dire una cosa.» le rispose lei.

«Certo, dimmi.»

«La McGranitt ti vuole nel suo ufficio.» disse Camille senza batter ciglio.

«Cosa? E perché?» Hermione si voltò immediatamente verso la ragazza che, intanto, si era andata a sedere sul suo letto. Se c'era una cosa che allo stesso tempo invidiava e che la sconcertava di Camille, era la sua schiettezza.

«Speravo che questo me lo dicessi tu. Hai fatto qualcosa?» le chiese.

«No, lo sai che non é quello di sicuro.»

«Probabilmente é per il fatto che esci spesso di notte. Non può essere sempre passato inosservato, non credi?»

Hermione non fece in tempo a rispondere che sentì di nuovo un picchiettare sul vetro. Le tornò in mente Malfoy e la lettera. Si girò, e restò sorpresa guardando un gufo nero che aspettava pazientemente che aprisse la finestra, da fuori. Nel becco aveva una lettera.
Andò ad aprire il vetro, ma non fece in tempo a far entrare il gufo nero che la civetta con il suo messaggio per Malfoy si inoltrò nella notte, sicuramente diretta dal biondo serpeverde.

«Merda!» corse alla finestra ma era troppo tardi. Non c'era traccia del messaggero. Non doveva andare a recapitare quel messaggio... Non doveva... O doveva? Non sapeva se il fatto che non avesse avuto scelta fosse un bene o un male.
In quel momento, l'orologio di Hogwarts fece i suoi rintocchi. Erano le nove.

«Tutto bene?» le chiese Camille.

Hermione staccò la testa dal muro, dove l'aveva premuta prima, e spostò lo sguardo sul gufo nero, che aspettava pazientemente sul suo baule. Senza rispondere alla compagna di stanza che la guardava stranita, raggiunse il volatile e si sedette anche lei sul baule. 
Gli prese la lettera dal becco e gli accarezzò distrattamente la testa, cercando di aprire la busta con una mano sola. Non riuscendoci, lo fece con due.
Una volta aperto il foglio, riconobbe subito l'inchiostro verde con cui scriveva la McGranitt. Lesse la lettera velocemente, cambiando espressione ad ogni parola. Arrivata alla fine, era bianca come un cencio.

«Tutto bene?» ripeté Camille, che ora si era alzata dal letto e aveva una faccia più preoccupata.

Hermione posò la lettera lentamente, fissando un punto indefinito a terra. Si passò una mano tra i capelli, tirandoli e sgranando gli occhi. Si alzò.

«Hermione, forse é meglio se ti siedi.» disse calma Camille. Si era avvicinata. La ragazza la guardò negli occhi soffermandosi in quelle iridi celesti e meravigliose, poi corse alla porta.

Attraversò correndo tutta la Sala Comune e le scale, evitando le poche persone che non erano ancora andate in dormitorio. I capelli le arrivavano in faccia e lei li spostava scuotendo la testa. In quel momento, le parole scritte nella lettera le rimbombavano in mente, unendosi in un vortice di informazioni che le dava alla testa... non sapeva come sentirsi. Sarebbe dovuta essere felice. Sì, era così. Ma il brutto presentimento che le attanagliava lo stomaco non le dava pace. Perché dopo tutto questo tempo?, si chiedeva.
Quando giunse all'ufficio della McGranitt, la preside non parve sorpresa. Quando tuttavia lesse il volto della ragazza, avanzò un po'.

«Oh, signorina Granger...»

«Sto bene.» tagliò corto Hermione. Si avvicinò alla donna, i quali occhi verdi la guardavano preoccupati, e si torse le mani.

«Mi dica tutto.» disse con un profondo respiro e, dopo qualche tentennamento, la McGranitt sospirò e cominciò a parlare.

-

L'aria quella sera era pesante. Draco aveva un pessimo presentimento, come se qualcosa stesse per arrivare. La sua stanza era di media grandezza, eppure certe volte lo spazio gli sembrava troppo poco per contenere i suoi pensieri. 
Guardò dalla finestra la scuola.

Da quando la guerra era finita, tutto gli era sembrato sospeso nel tempo. Tutto era come se non fosse veramente presente, come se lo stesse sognando. Le sensazioni erano smorzate, i pensieri offuscati... Eppure non se ne era reso conto se non dopo aver rincontrato la Granger. In quei giorni, l'unica cosa che riuscisse davvero a sentire era il fuoco che lei emanava, e questo lo spaventava a morte. 
Probabilmente non sapeva davvero più chi era. Anzi... Probabilmente non l'aveva mai saputo. Sapeva solamente che ciò che più gli mancava era uno scopo. Persino quando le prospettive erano sembrate sempre più buie nella sua vita, aveva avuto una parvenza di motivo, per rimanere ancora in vita. Eppure, adesso che quel dopo era arrivato, si rendeva conto che gli mancava un progetto. E questa era la grande, enorme differenza tra lui e la Granger, tra lui e chiunque altro. Lui non sapeva cosa fare della sua vita, e buttarla via dopo tutti quelli sforzi per preservarla sarebbe sembrato un grosso spreco... Eppure la tentazione era stata forte, a volte.

Ogni volta che camminava per i corridoi di Hogwarts, da quando era tornato, i bisbigli lo seguivano come un'ombra. Persone che sparlavano. Ma la cosa che più lo disturbava non era che lo giudicassero, ma che nessuno di loro sapesse davvero come fossero andare le cose. Nessuno aveva il diritto di giudicarlo sulla base di stupidissime e mutevoli voci, quando ciò che era successo e il ruolo che lui aveva avuto, erano noti a poche persone.
Blaise, Daphne e Theo gli erano stati vicini, scherzando e facendo come se nulla fosse.
Osservò le quattro mura in cui era chiuso con aria critica, scannerizzando tutto il verde e l'argento che gli saltava agli occhi, tanto falimiare. La sua stanza era singola, non solo perché l'avevano dovuto sistemare più tardi, ma perché la McGranitt aveva pensato fosse meglio così. Quella stupida ipocrita.

Sentì bussare. Si allontanò lentamente dalla finestra, per andare ad aprire, e spalancò la porta senza indugio, quando vide chi era. Si andò a sedere sul letto, guardando pazientemente la persona che stava entrando.
Bella e forte come sempre, Daphne lo guardava mentre avanzava nella stanza, la porta lasciata a chiudersi.

«Ehilà.» disse, buttandosi a peso morto sul letto, accanto a lui.

«Ehilà.» rispose Draco, imitandola e stendendosi accanto a lei sul materasso.

«Sai, una ragazzina del primo anno stamattina mi ha chiesto se era vero che avevi ucciso un ippogrifo a mani nude.» disse Daphne dopo un po', con una risatina leggera. «Aveva uno sguardo tra l'ammirato e l'intimorito.»
Draco alzò gli occhi al cielo e si voltò verso di lei, trovandosi il suo viso a dieci centimetri dal proprio, i suoi occhi verdi fissati in quelli color del ghiaccio di lui. Daphne sbatté le lunghe ciglia bionde, con aria innocente, e fu come tuffarsi in un ricordo di quando erano piccoli e innocenti per davvero.

«Io le ho detto che, in realtà, gli ippogrifi erano tre.» 
Si stava mordendo un labbro tentando di non ridere, ma fallì miseramente quando il biondo alzò un sopracciglio.
Daphne esplose in un'enorme risata che fece sorridere anche lui. Si portò le mani alla pancia, reggendosela in preda alle risa. Poi, dopo qualche secondo, si passò le mani sul viso e lo sbirciò da sotto le ciglia, tentando di darsi un contegno.

«Scusa, scusa é che...» fece poi, in un'ultimo risolino «... é solo che questa situazione mi sembra così assurda.»

«A chi lo dici...» sussurrò Draco, tornando a guardare verso l'alto. Ci fu qualche secondo di silenzio, in cui l'orologio di Hogwarts fece i rintocchi. Erano le nove. 
Daphne gli diede una spallata.

«Veramente io mi riferivo al fatto che se quei pettegoli ti conoscessero come ti conosco io, saprebbero che l'unica volta che ti sei avvicinato abbastanza ad un ippogrifo, un minuto dopo te ne sei scappato urlante, per un taglietto sul braccio.»

«Ero solo un ragazzino.»

«Quante cose sono cambiate...» sospirò lei.
«Lasciali parlare, Draco. Si stancheranno.» disse poi dopo qualche secondo di silenzio. Lui non disse nulla per un po', ripensando alle parole di Daphne. Si stancheranno. E se si fosse stancato prima lui, cosa sarebbe accaduto?

«E se dovesse non succedere?» domandò, quasi in un sussurro. Daphne non rispose, semplicemente appoggiò la testa sulla sua spalla, facendoglisi più vicina. Gli prese una mano pallida, e vi intrecciò le sue.

«Ehi.» gli sussurrò. Draco non fece alcun cenno. Poteva sentire quelle iridi sincere scrutarlo con insistenza, ma non osava ricambiare lo sguardo.
«Ehi.» ripeté lei allora, più bruscamente. Draco a quel punto si voltò, trovandola seria e vicina. 
«Andrà tutto bene.» gli disse, con decisione.

«Come fai a saperlo?» le domandò lui in un sussurro. In un'angolo della sua mente, era consapevole della civetta bruna che stava picchiettando contro la finestra, con una lettera con sé, ma in quel momento tutto di lui era concentrato su Daphne. Aveva questa capacità, se voleva l'attenzione di qualcuno l'otteneva, a prescindere da chi fosse l'interessato.

Lei fece spallucce.
«Lo so e basta.» rispose semplicemente, e Draco avrebbe potuto giurare che le sue labbra si erano leggermente incurvate verso l'alto.

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