KARYS • Shadows of time

di Kalheesi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. Prologo ***
Capitolo 2: *** Casa Hoffmann ***



Capitolo 1
*** 0. Prologo ***


Ciao a tutti!!!!
innanzi tutto devo dire che non vedevo l'ora di pubblicare questa mia storia, poiché ci tengo davvero molto. 
Chiaramente non voglio annoiarvi con inutili chiacchiere, quindi vi posso solo dire che con l'avanzata della trama il rating probabilmente diverrà arancione, ma tra veramente moooooolti capitolo, quindi non dovete preoccuparvi.
allora non mi resta che ringraziarvi e chiedervi in ginocchio di arrivare in fondo alla pagina e se avete tempo magari spendere qualche secondo per un velocissimo commento, così per sapere se continuare o no. 
Grazie mille a tutti e buona lettura



"Il solito?"
 
Le palpebre sono pesanti per la stanchezza, sono entrato da qualche secondo e già il mio naso è stato assalito da centinaia di odori ed aromi alquanto sgradevoli. Ma è proprio il profumo del sigaro spento riacceso più volte, quello del fumo stagnante che ormai impregna le pareti, quello leggermente agrodolce dell'unica birra totalmente artigianale entro diversi chilometri, che mi fanno sentire a casa; in un luogo dove so che posso essere il me stesso del passato, quello che sempre ricordo con nostalgia.
 
Per questo, quando sento queste parole, affiora sul mio viso un leggero sorriso; riconosco subito questa voce, poiché quel tono arrochito dagli anni ma dolce ha caratterizzato gli anni più felici della mia vita.
Erik, il proprietario del locale dove mi rifugio quasi ogni sera libera, mi rivolge puntualmente quelle parole, ogni qual volta mi lascio andare pigramente su uno sgabello in legno.
 
Sollevo leggermente la testa come fosse di piombo e, solo in quel momento, vedo che la taverna è come sempre strapiena: al limitare della periferia di Delft, è sempre stata il punto di ritrovo di tutti i viaggiatori squattrinati come me, che per caso passano da quelle parti. Inoltre questo piccolo borgo è anche uno degli ultimi superstiti che ancora è caratterizzato dal cibo artigianale. 
 
Faccio cadere nuovamente la testa sul bancone, per la sensazione di stordimento che mi provoca l'aria, già satura di alcool. Le risate e gli schiamazzi dei clienti radunati attorno ai tavoli da biliardo, o che tirano freccette, sono veramente infernali per le mie tempie già doloranti.
 
Alzo nuovamente di poco la testa e annuisco stancamente al barista, rivolgendogli appena un'occhiata assonnata.
Lui come sempre mi sorride, prendendo un bicchiere e riempiendolo della mia bibita preferita, una specialità della casa, anche se in realtà, in tutti questi anni, non ho mai capito di cosa sia fatta. Mi mette subito la bevanda sotto il naso: "Era un po' che non ti si vedeva da queste parti Caleb." 
Mi sottolinea, con un filo di preoccupazione che so voler nascondere.
"So che ti sai guardare le spalle da solo, ma sai che tuo fratello è impossibile da convincere, due giorni fa sembrava stesse per impazzire. Perlomeno quando sparisci avvertilo, mica posso fargli da babysitter eh!"
Faccio spallucce, anche se non riesco a trattenere un sorriso per quel piccolo scapestrato.
"Mi hanno affidato una missione più lunga del previsto…" -spiego mentre finisco il mio bicchiere-"di questi tempi il mio lavoro diventa sempre più strano; questa volta dovevo trovare un ricercato che si era infiltrato in una azienda, l'ho trovato ma…c'è voluto un po'…" intanto bevo un altro sorso del bicchiere che l'uomo mi ha appena offerto "…era veloce! Comunque adesso starà rimpiangendo di essere nato, non vorrei mai finire nelle mani di Jasper in quel frangente..." Al solo pensiero di subire un'interrogatorio da parte del mio collega, mi sento percorrere la schiena da un brivido.
Devo ammettere che quel ragazzo è seriamente inquietante, anzi terrificante! Non posso né voglio immaginarmi quello che quell'uomo starà passando. Meglio evitare, o rischio di rimettere sul bancone ad Erik e non sarebbe proprio il caso.
Intanto mi passa un secondo boccale di birra, uno dei suoi, di quelli all'antica, in vetro grezzo, come usava all'inizio del XXI secolo.
Mentre mi crogiolo nelle mie riflessioni da giovane appena brillo, Erik si appoggia al bancone, fissandomi divertito, accarezzandosi la barba grigia leggermente ispida, come se non fosse stata tagliata da qualche giorno, con una smorfia sul viso che ha un qualcosa tra il paterno e il compassionevole. Odio la compassione degli altri e lui lo sa, infatti ricomincia a riempirmi il boccale.
"Questo lo offre la casa vah" dice sempre con il sorriso sulle labbra. Quanto glielo invidio.
"Ah grazie, anche perché non avevo i soldi per pagartelo" 
"Non dirmi che hai già speso tutto il tuo stipendio"
"Ho dovuto usarlo tutto per pagare quella sanguisuga di Dustin!" Dico scolandomi il terzo giro, ormai già un po' ubriaco.
So di non esser mai stato capace di organizzare al meglio la mia vita finanziaria, ma perlomeno sto per finire di pagare tutti i miei debiti.
 
Mi lascio completamente andare sul bancone a peso morto, intanto sento i primi rumori della folla che inizia a circondare la piazza appena qui fuori. Stasera mio fratello si esibisce qui, se non mi vedesse darebbe di matto, lo conosco abbastanza; anche se la sola idea di dovergli dare delle spiegazioni in una delle mie poche serate libere, non mi entusiasma particolarmente.
Intanto, sentendomi fastidiosamente osservato, mi appoggio al bancone di schiena
"Erik chi è quello laggiù? Mi sta fissando da quando sono entrato e se continua a guardarmi così, credo di essere troppo ubriaco per frenarmi."
"Ah non lo so, ma non è molto che viene, saranno due settimane, ma tutte le sere è puntuale alle 21.30" 
"Cosa? Tu che non sai niente di un tuo cliente? Di solito sai anche il suo codice fiscale dopo 5 minuti?!?!"
Forse per la prima volta vedo Erik accigliato e pensieroso, così, con un viso davvero preoccupato, mi guarda negli occhi: "Sta attento Caleb, l'altra sera hanno provato a rubargli il portafoglio i soliti due balordi e, dopo ben cinque bicchieri di scotch, li ha mandati all'ospedale in poco più di un minuto ed era perfettamente lucido".
Mi volto verso il barista, sorpreso di sentire questo tono nelle sue parole; è serio e il suo viso è una maschera di preoccupazione. 
Chi sarebbe questo tipo per ottenerre questa reazione da Erik? Nemmeno quando gli ho incendiato il locale ha reagito così. Osservo preoccupato il mio amico e vedo nei suoi occhi un'ombra di ansia che riserva solo a me ed alle sue ricette segrete, così decido di capire meglio la situazione.
 
A questo punto non sono più abbastanza lucido per pensare alla precauzione, così inizio spudoratamente a cercare con lo sguardo colui che per tutto il tempo mi ha fissato la schiena come a volermela trapassare.
Guardo verso un angolo del locale dove c'è un minore affollamento e vedo nuovamente quell'uomo, avvolto in un cappotto lungo e nero, dall'aspetto molto pesante. La luce fioca del luogo non mi permette di scrutarlo con molta attenzione, ma concentrandomi riesco a vederne alcuni particolari. Quello che indossa è un cappotto di ottima fattura, che solo un uomo facoltoso può permettersi, o un malavitoso ovviamente; ha dei capelli neri, scuri come i miei e la pelle leggermente più scura della mia. Mi accorgo di fissarlo solo quando sento i suoi occhi che rispondono al mio sguardo, allora mi giro di scatto verso il bancone. Sono sinceramente preoccupato, nessuno aveva mai scatenato i me una simile reazione; non ho nemmeno visto il colore dei suoi occhi, appena si è voltato ho sentito dei brividi percorrermi la schiena. Ebbene si, devo ammetterlo, quell'uomo è inquietante, ha qualcosa di strano, mi ha fatto quasi…paura.
 
Fingo di allungarmi sul bancone e, con filo di voce, cerco di ottenere più informazioni, tentando di farmi sentire solo da Erik:
"Sicuro che non posso batterlo? Non è che mi sottovaluti?" 
"Caleb non fare stupidaggini. Ci conosciamo da anni, non esagero ma IO."
Questa è una delle poche volte in cui lascio che la prudenza prevalga sul mio orgoglio, infatti l'uomo davanti a me, vedendomi rilassare sul banco, rimane sicuramente con un'espressione tra il sorpreso ed il sollevato. Poi sento nuovamente vibrare il legno sotto di me, segno che Erik è tornato nuovamente a servire gli altri clienti. Così decido di tornare al mio precedente stato catatonico.
 
Ad un tratto sobbalzo nel sentire una mano che pesantemente si appoggia sulla mia spalla destra, a causa della tensione quasi salto sullo sgabello e mi giro di scatto. Appena riconosco la persona dietro di me, si vedono molte emozioni scorrermi sul viso; passo dall'ansia, la paura, l'incredulità, la sorpresa, la felicità, e per ultima come sempre, l'irritazione. Con mio fratello finisce sempre così.
"Jayden se ti azzardi di nuovo a fare una cosa simile ti assicuro che finisci in ospedale!" Lo fulmino con il peggiore dei miei sguardi omicidi, che avrebbe fatto accapponare la pelle anche ad un criminale, ma mio fratello ormai c'è abituato.
Lo vedo indietreggiare con aria leggermente preoccupata: "ehi fratellone, sta calmo sei ubriaco…" -dice con un sorriso nervoso, spostandosi una ciocca riccia di capelli castani dietro all'orecchio .
"Dai Caleb non trattare così tuo fratello" mi dice Erik dandomi una gomitata tra le scapole. Sto per cadere dello sgabello che il suddetto ragazzino riacquista il suo solito cipiglio sfrontato: "Caleb devi assolutamente venire con me! Lo spettacolo ormai sta per finire e stasera dormiremo qui vicino." "Jayden ma cosa hai in mente, ma non vedi come sono messo?" "Eh dai Caleb! So che tre bicchieri non ti scalfiscono nemmeno! Oggi una parte del gruppo ci lascerà ed abbiamo deciso di prolungare lo spettacolo…" 
Vedo mio fratello con la sua espressione più entusiasta di sempre: gli occhi gli luccicano in modo preoccupante, le labbra formano un sorriso che parte da un orecchio e finisce all'altro, stile Joker per farsi capire, ed il costume circense gli conferisce un aspetto quasi spaventoso; se non fossi abituato al suo atteggiamento sono sicuro che mi sarei sentito male. Vista la sua espressione, sto iniziando a sospettare qualcosa, ma non voglio pensare che mio fratello sia veramente così stupido "…beh Caleb…cosa ci sarebbe di meglio se non l'esibizione del Barone Scarlatto?" Il viso di Jayden si illumina, mentre il mio diviene gradatamente una maschera di rabbia e biasimo. 
 
Mentre cerco di trattenermi dall'iniziare una rissa davanti a tutti con il mio cosiddetto consanguineo, rispondo: "Fratellino caro, ma hai forse perso la memoria? Lo spero perché altrimenti significa che sei seriamente stupido! Sai che non mi esibisco da anni!" "Fratellone ti prego!"
"Dai Caleb, ormai sono anni che aspettiamo questo momento" sento dalla sua voce che Erik sta cercando di trattenere le risate, anche se gli do le spalle; ma non ho il tempo di replicare, che vedo delle mani di qualche cliente abituale che mi afferra di peso e mi porta nella piazza. 
Sapevo che tutti coloro che mi conoscevano in quel locale avrebbero sempre voluto vedermi esibire; alcuni per la curiosità di assistere ad uno spettacolo che mi avrebbe mostrato in panni molto diversi da quelli che ormai indosso da quando mi conoscono; altri per il piacere di vedere all'opera il famoso Barone Scarlatto.
 
Ormai non posso fare nient'altro che accettare. Raggiungo i miei vecchi compagni del circo e respiro nuovamente quell'aria mistica, che solo uno spettacolo circense può darti. La compagnia è ormai molto più piccola, con il gruppo di artisti che sta per andarsene come pubblico, insieme a vari clienti del locale. 
"Va bene, va bene, lo faccio, siete contenti adesso?!" Dico esasperato. 
Intanto sento qualche fischio che mi accompagna mentre rimango a petto nudo, togliendomi la camicia bianca e la giacca grigia, purtroppo obbligatoria nel mio attuale lavoro. Rimango solo con dei pantaloni neri da ufficio e mio fratello sorride, con l'adrenalina e la soddisfazione a fior di pelle e ad illuminargli lo sguardo, ben sapendo cosa sto per fare.
Eh si, quel moccioso è sempre stato il mio punto debole e molto più di un fratello. 
 
Tutti ormai si sono disposti a semicerchio intorno ai resti della quasi smontata scenografia. La osservo per un attimo e mi accorgo che è proprio quella che solitamente usavo nelle esibizioni di qualche anno fa. Solo davanti a quelle fiamme di lustrini e paillette mi rendo conto che probabilmente mio fratello aveva già pianificato tutto. Quella piccola peste!
Allora mi avvicino a Jake, un vecchio amico, che mi passa un po' di ___________ per le mani, sfoggiando un sorriso malandrino che solo lui ha.
"Bentornato piccolo piromane" mi fa un inchino talmente esagerato che quasi tocca il suolo con la punta del naso.
"E pensare che ancora mi chiedono perché me ne sono andato" dico mettendo un perfetto broncio da finto offeso.
"Beh sappi che da quando tu non fai più fuoco alle cose, io non so più a chi dare la colpa quando faccio saltare in aria le cose con i miei esperimenti."
"Cosa?! Sei sempre stato tu?! Brutto-"
"Ehi ehi ehi, calma, sennò uccidi qualcuno con quelle. Dopotutto sei fuori allenamento…"
"Io non ho bisogno di "allenamento" sono il mago delle fiamme."
"Lo eri anche le tre volte in cui hai dato fuoco al ristor-"
"Si si ho capito, starò attento stasera. E comunque hai più paillette del solito, non ti donano quelle rosa, sembri una drag queen sovrappeso" scappo ridendo sotto i baffi, sapendo che per quanto desideri farlo non può mettersi a rincorrermi in mezzo al pubblico. 
Appena in tempo arrivo accanto a Jayden. Ama da sempre presentare la gente, e soprattutto fare le cose in grande, moooooolto in grande.
 
Qui davanti a tutti, mentre si avvicina posso osservarlo meglio e vedo che il problema drag queen sussiste. Possibile che sia rimbecillito così tanto? Io l'avevo detto! Ecco cosa succede quando il direttore artistico ha sotto mano una macchina da cucire professionale e una marea di paillette sbrilluccicanti. Tutti diventano degli addobbi natalizi umani!!!
"Signore e signori, questa sera ho l'onore di presentarvi, dopo anni di silenzio artistico, di nuovo tra noi, il Barone Scarlatto" 
Devo ammetterlo, Jayden è sempre stato bravo, ma sopratutto sono shockato dal constatare che tutti quei trucchi e lustrini lavanda e ribes gli donano davvero. Io sarei uno spettacolo raccapricciante.
"Beh, a questo punto miei cari amici, vi congedo, dopo tanti anni di collaborazione e successi, con questo ultimo spettacolo."
Guardo Jayden e fa un segno di assenso, allora afferro da terra due bastoni, ne appoggio le estremità sulle braci poste ai miei lati e inizio lo spettacolo.
 
Nell'istante in cui inizio a farli volteggiare con nostalgica maestria, sento nuovamente quella meravigliosa sensazione di potenza scorrermi nelle vene, quella crepitante energia incanalata nella mie mani, che come se fosse fuoco la disperdono nell'aria producendo ipnotici giochi di luce.
In questa mia danza con le fiamme sento il ritmo leggero di una musica tribale, perfettamente in tono con le ombre cupe che creo su ogni superficie, accentuata dal risplendere alternato delle superfici della scenografia, totalmente ricoperte da tendaggi cremisi.
Non so nemmeno io spiegarmi come, ma riesco a rammentare l'intera coreografia, anche se con qualche improvvisazione. Sono fiero del risultato. Anche se con la schiena completamente bagnata di sudore, riesco nuovamente a percepire quella sensazione di libertà e familiarità che sempre mi ha portato la manipolazione del fuoco. Eh si, ho sempre saputo che fosse il mio elemento.
 
Finito lo spettacolo immergo i bastoni nelle apposite catinelle d'acqua e mentre chiudo gli occhi per riabituarmi alle luci artificiali che stanno nuovamente facendo capolino, mi godo gli applausi. Oh si, questo mi sono mancati.
 
Subito mi dirigo verso Jake che mi porge un asciugamano ed ignoro bellamente il discorso di mio fratello. 
"Beh, devo dire che te la sei cavata moccioso" dice sogghignando il biondo mezzo stempiato.
"Pensa per te vecchietto. Io ormai sono un uomo!"
"Poveri noi, dove andrà a finire il mondo…"
"Smettila di parlare come una vecchia comari di paese..." Rispondo ormai sbollito, ma dopotutto ho sempre odiato chi mi dava del moccioso.
 
Pian piano il pubblico si disperde ma mentre mi asciugo i capelli ormai sudati e attaccati alla fronte, sento due occhi fissarmi come a trapassarmi il cranio. Mi girò lentamente, solo di qualche grado, come se la cosa fosse casuale. Così trovo l'uomo misterioso di una mezz'oretta fa ad agganciare i suoi occhi cobalto nei miei e un brivido mi scuote l'intera spina dorsale.
La situazione è in stallo, io ho ancora le braccia con l'asciugamano sospese in aria nell'atto di detergere, lui rimane immobile, mentre un'ombra di incertezza gli attraversa lo sguardo come un lampo, per poi lasciare nuovamente posto a quel luccichio spaventosamente determinato.
 
Faccio per allontanarmi che sento afferrarmi gentilmente il polso e la mia attenzione si posa su due occhioni grigi come i miei e supplicanti, anche se con uno sprazzo non abbastanza celato di divertimento.
Jayden mi guarda con quello sguardo da cucciolo bastonato come ogni volta in cui necessità di un piacere che sa che io sia riluttante a mettergli a disposizione.
Io non posso far altro che passarmi una mano sul viso esasperato chiudendo per un attimo le palpebre sperando sia solo un incubo.
"Adesso cosa vuoi guastafeste? Che diamine ti sei inventato stavolta?"
"Ma niente - brontola con un broncio talmente finto che nemmeno lui ci crede - cosa vuoi che abbia fatto."
"Jayden…"soffio sempre più irritato dal ritardarsi della richiesta.
"Eh va bene! Visto che per alcuni mesi non ci vedremo, avrei tanto voluto che tu raccontassi La Storia come facevi prima che la mamma ed il papà se ne andassero" finisce la frase con un leggero sussurro, così che io sia l'unico a poterlo sentire.
Come posso dire di no? Che qualcuno me lo dica! 
"Ma certo che lo faccio Jay, non c'è problema" confermo scompigliandogli i ricci sistemati all'indietro, con un sorriso appena velato di amarezza sulle labbra.
Appena prima di voltarsi ed annunciare ai pochi rimasti della mia ultima concessione non può evitare di sussurrarmi un "grazie ".
"Beh ragazzi, domani otto di voi lasceranno la compagnia, mentre noi altri pazzi vagabondi ci dirigeremo verso nord, come stabilito. Per molto tempo non vedremo il nostro egocentrico Barone ubriaco - riesce a dire nonostante il mio gomito già a sbattergli sullo sterno - così questa sera avremo l'onore di ascoltare La Storia proprio da lui." Una pausa enfatica per far capire la gravità della cosa per poi continuare "allora avvicinatevi compagni, qui vicini a queste braci dalle fiamme ardenti."
 
Come mio solito mi siedo su una poltrona malandata appositamente modificata per l'occasione con una vernice, tra l'altro semifresca di un vermiglio acceso. 
Tutti si avvicinano andando a formare una sottospecie di semicerchio e mi fissano già con bramoso desiderio delle parole che sanno usciranno dalla mia bocca in tutta la loro maestosità. Devo ammettere che mai riesco a calarmi nel mio personaggio di cantastorie come in questo casi.
 
Appena un attimo prima di cominciare vedo con la coda dell'occhio quello sguardo che ancora mi scruta come a volermi leggere l'anima, ma troppo orgoglioso e un po' brillo, non demordo ed inizio il mio racconto:"amici…compagni…iniziate ad osservare questi dardi fiammeggianti e perdetevi nel loro scoppiettare ovattato e nel sinuoso allungarsi e ritrarsi delle sue mortali lingue. Perdetevi nella loro armonia ipnotica.
Adesso mostrerò alle vostre menti come la storia ed il destino del nostro mondo sia stato irrimediabilmente cambiato a causa del semplice capriccio di un essere superiore e come si sia svolta la più machiavellica delle guerre, il cui vincitore ancora ci è ignoto.
Beh per prima cosa direi di partire dall'inizio, dal giorno invii tutto cambiò, 10 luglio 2010.

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Capitolo 2
*** Casa Hoffmann ***


ciao! Eccomi di nuovo quì con tutti voi! 
Innanzi tutto vorrei dirvi che non aggiornerò von grande regolarità, quindi abbiate pazienza per favore, che tanto il momento giusto per prendere i forconi e venirmi a linciare ci sarà comunque. Vabbè a parte questa sottospecie di spoiler (?!) posso solamente chiedervi di segnalarmi eventuali errori (sai alle 2 di notte con un cellulare, sotto le cop- lenzuolo…) e se avete un po' di clemenza è tempo magari anche una recensione piccina picciò.
allora buona lettura a tutti e grazie.

baci



1. Casa Hoffmann 
 
Lo studio era pieno dell'odore di camelie, fragranza delicata ma sempre distinguibile, e quando il leggero venticello di Giugno entrava dalla grande finestra e sollevava leggermente le tende bianche, diffondeva questo aroma nell'intera stanza.
 
Odore d'estate, un'odore che porta con se mille promesse e alimenta le speranze di ogni bambino.
 
Dall'angolo destro del divano in lucida pelle testa di moro, consultando per la settima volta le cartelle cliniche che aveva davanti, e cercando di dissipare il leggero fumo di sigaretta che si era immancabilmente aggrumato davanti a lui, riusciva a malapena a vedere l'espressione preoccupata dell'uomo che lo aveva convocato con la solita tempestività, e lo stava facendo attendere già da ben venti minuti.
Il Dott. Klein ormai era abituato a quel genere di situazioni, sopratutto da parte del suo grande amico Landolf Hoffmann che, quel pomeriggio d'estate, stava come sempre guardando un punto imprecisato de muro di fronte al dottore. Ormai nessuno si meravigliava più di quei momenti di straniamento ,che lo colpivano sempre più spesso negli ultimi mesi; tutti sapevano che fissava il punto in cui un tempo c'era la foto di una stupenda giovane donna dai capelli ramati, sua moglie.
 
Ad un tratto Landolf si alzò di scatto, con un impeto tale che il dottore si meravigliò dell'equilibrio ancora presente nella poltrona in pelle nera.
La sigaretta era stata immediatamente messa nel posacenere, ma un po' di residui di mozzicone ormai bruciato si erano ugualmente  sparsi sulla scrivania.
Landolf, sempre fissando il vuoto, anche se adesso davanti a se, esordì:"Andrew cosa devo fare?"-aveva i pugni che stringevano con una forza tale da far sbiancare le nocche-"ho bisogno di qualcuno che mi possa aiutare a reggere questo peso. Sai che non sono famoso per il mio carattere collaborativo ma stavolta si. Ti sto chiedendo aiuto."
 
Andrew Klein era sempre stato considerato un uomo riservato, tranquillo e molto ordinario; proprio per queste sue qualità era conosciuto ed apprezzato da molti uomini facoltosi, dei quali custodiva gelosamente i più infidi segreti. Una tra queste brillanti personalità che teneva in pugno, però, non era Landolf Hoffmann, con lui tutto era diverso; erano sempre stati amici, si conoscevano da così tanti anni che nemmeno ricordava quanti, avevano sempre condiviso tutto, avevano aperto i loro cuori, si erano messi a nudo, e quello era uno di quei momenti.
Landolf Hoffmann stava per scoppiare, lo sapeva, perché era solo la terza volta che lo sentiva parlare così, e, viste le precedenti occasioni, il dottore fu percorso da un brivido.
 
"Landolf, sai che non devi preoccuparti dei formalismi con me, non c'è nessuno che ci ascolti e non ci siamo mai fatti problemi a parlarci, qualsiasi fosse l'argomento." Lo esortò il dottore con un sorriso dolce e comprensivo sul volto.
"Grazie Andrew…" lo sguardo abbassato, come dimostrazione tangibile della barriera di orgoglio che stava cercando di abbassare per esprimersi.
"Landolf sai che non ti giudicherei mai" fece il dottore come a rassicurare il suo interlocutore preferito, così l'altro riprese il suo coraggio.
"Innanzi tutto desidero che tu scambi quelle cartelle che ti ho mostrato. Non chiedermi il motivo, per favore. L'unica cosa che ti chiedo, da amico, è che tu mi riferisca per filo e per segno tutto quello che sei riuscito a scoprire riguardo a quelle analisi. Anzi, mandami direttamente i resoconti; non voglio distoglierti dal tuo lavoro. E se il materiale non è sufficiente puoi richiedermelo direttamente; avrai tutto quello che vuoi, ma scopri la verità; ad ogni costo." Il volto, contratto in una smorfia così dura e impassibile, fece affiorare nuovamente un lato dell'imprenditore che Klein aveva scoperto solo alcuni anni prima, ma che comunque mai avrebbe potuto accettare. Quello sguardo freddo, così incolore, fermo; non riusciva a capacitarsi di questo odio e risentimento che l'uomo davanti a sé riusciva a mostrare in quel frangente. La prima volta che lo vide ebbe realmente timore. Non aveva mai visto un tale distacco, nella sua vita, riguardo ad un essere umano.
"Landolf…"- una nota di preoccupazione si era affacciata sul volto del dottore-"sappi che non abbiamo fatto alcun progresso dalla scorsa settimana. Davvero, non so che cosa significhi tutto ciò."
Vedendo la delusione in volto all'imprenditore, Andrew Klein non poté evitare di esprimergli un pensiero che a lungo lo attanagliava.
"Però, indipendentemente da tutto questo, ti prego di non trattare quella povera bambina come una cavia da laboratorio, è solo una ragazzina. Landolf ho sentito molte voci in giro e non sono lusinghiere. Quella bambina è così malinconica e sola…capisco tu sia preoccupato per tutta questa storia e per tua figlia ma-"
"Cosa? Cosa credi che dovrei fare? Non osi più parlare in questo modo dott. Klein! Se ne vada immediatamente!"
"Landolf ti prego ascoltami…"
Il medico sapeva che in quei momenti era sbagliato e inutile continuare ad intestardirsi, ma sopratutto si era reso conto troppo tardi di aver sbagliato a toccare quella nota dolente, alzandosi così con aria delusa e sconfitta.
"Scusami Landolf, so che non avrei…"
"Vattene. Vattene immediatamente!"
L'ormai 65 enne imprenditore era oltremodo alterato, i muscoli contratti del viso che gli conferivano un'espressione mostruosa, i capelli argentati lunghi sempre perfetti riportati all'indietro, adesso gli ricadevano in ciocche disordinate sulla fronte imperlata di sudore freddo.
 
Appena Landolf rimase solo, si lasciò sprofondare sulla poltrona dello studio, cercando di farsi avvolgere dal tepore estivo.
Con gli occhi chiusi per lo stress prese nuovamente una sigaretta, in un movimento ormai meccanico. Si fece cullare dal venticello che entrava dalla finestra, mentre ascoltava l'ipnotico suono delle lancette che, come ogni giorno, scandivano le ore che passava nel suo lussuoso ufficio.
 
Ad un tratto sentì un suono delicato ma al contempo deciso provenire dalla porta; Maximilian stava bussando, eppure non era ancora l'ora della consultazione. Si ricompose alla sua scrivania in noce trattato, aprì una delle cartelle finanziarie che aveva davanti ed impugnò la sua fidata penna stilografica; era ancora un'uomo molto all'antica.
"Entra pure Maximilian, ma sbrigati, sono moto occupato." Aveva nuovamente indossato la sua maschera di severità, che da sempre si era imposto di mostrare al mondo.
"Mi scusi signore per l'interruzione, mi rendo conto che non è ancora il momento della consultazione, ma il signor Klein ha lasciato una cartella per lei." 
Il maggiordomo era entrato come sempre con il capo rivolto verso il basso, ma appena i suoi occhi si puntarono in quelli del signor Hoffmann, mostrarono una freddezza quasi pari a quella del padrone della villa.
Solo in quel momento Landolf si accorse dell'involucro in cartoncino color ocra che il maggiordomo teneva fra le mani, come una reliquia. 
"Bene, posala sulla scrivania, quando avrò tempo la consulterò." Disse con fasullo disinteresse, fingendo di continuare a firmare dei documenti.
"Come vuole signore. Se non le sono utile in altro modo, mi congedo." Così facendo il maggiordomo si ritirò con il suo solito fare assurdamente servizievole.
L'imprenditore, alzando appena gli occhi per assicurarsi dell'uscita del servitore, prese immediatamente tra le mani il documento, trovandolo estremamente leggero. Lo aprì.
Dentro vi era un solo foglio, scritto interamente a mano; quella calligrafia così metodica l'avrebbe riconosciuta ovunque. Il dottor Klein era in vena di scherzi probabilmente.
 
Iniziò la lettura con furia, tenendo tra le mani il foglio come volesse tranciarlo da un momento all'altro.
Dopo pochi minuti sbatté la lettera sul tavolo con una tale rabbia da far tremare la superficie della scrivania. Era furioso, ma rileggendola e facendo svanire con calma la rabbia, si rese conto che l'amico lo conosceva davvero molto bene, fin troppo, ma dopo tutto ci deve pur essere qualcuno che ci conosca abbastanza per proteggerci da noi stessi. Ma questo Landolf Hoffmann non poteva accettarlo.
Solo quando si risedette sulla poltrona si accorse di un post-it sul fondo della cartella.
 
 
Solo una persona come Andrew Klein sarebbe riuscito a scrivere tutto questo in un semplice post-it e renderlo comprensibile. Ma la cosa che forse dava più fastidio al signor Hoffmann non era l'affronto e l'ardore di quelle parole; Andrew era sempre stato molto sincero con lui; ma il fatto che il dottore andasse, per continuare a seguire una pista di ricerche, fino nella città di Birmingam. Aveva sempre saputo che la ricerca sarebbe, prima o poi, passata da quella metropoli, ma si sa, in un uomo testardo niente è più prezioso di una speranza mascherata da sentenza o convinzione.
 
L'uomo trascorse il resto del pomeriggio firmando documenti e cercando di riempire lacune finanziarie, finché alle ore 18.20 in punto, le mani esperte di Maximilian tornarono a bussare alla porta in palissandro finemente intagliato.
Quella porta scorrevole rimase chiusa a chiave per circa quaranta minuti come ogni settimana.
 
 
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Al secondo piano della lussuosa villa Hoffmann, immersa nel verde di uno splendido giardino all'Inglese attentamente curato fin nel minimo dettaglio, circondata da abitazioni del medesimo stile architettonico, nella ricca zona di Zehlendorf, la futura erede del grandioso impero industriale degli Hoffmann, si trovava  quasi nascosta in una soffitta all'ultimo piano, davanti ad una finestra che si affacciava sul retro. 
Era seduta su uno sgabello in legno  consumato dal tempo, scrivendo assorta è concentrata su un foglio appena consunto dal tempo.
 
Alexia Swan aveva in quel momento un piccolo sorriso che ormai da tre giorni aveva contagiato anche i suoi occhi, che già di prima mattina scintillavano di gioia per l'imminente viaggio.
Per l'ennesima volta guardava le parole che dalla penna fuoriuscivano come se la mente non comandasse i movimenti delle dita, e avesse bisogno di leggere quello che scrivevano. Ogni tanto alzava lo sguardo e osservava il giardino che si estendeva fuori dalla finestra; abbassando subito dopo gli occhi, poiché di un grigio così chiaro che al minimo contatto con un raggio di luce sentivano l'urgenza di ritrarsi.
 
Ad un tratto, sentendo il rombo di una macchina, seppe che il dott. Klein aveva appena lasciato l'ufficio di suo nonno; così si affrettò a sporgersi dalla finestra per salutarlo, ricevendo subito un movimento della mano dal medico, con il suo solito sorriso così dolce. 
 
'Peccato che ultimamente non ci raggiunga più molto spesso. Probabilmente è per il caratteraccio di mio nonno. Chissà come fa un uomo come il dott. Klein a sopportare mio nonno. Non riesco proprio a spiegarmelo."
 
Ad un tratto fu destata dai suoi pensieri dal suono di passi leggeri che salivano le scale, così si affrettò a nascondere il quaderno nel cassetto.
La porta si aprì con delicatezza e da dietro ne affiorò solo il volto di una giovane ragazza di 24 anni, incorniciato da morbide e corte ciocche di capelli estremamente scuri, che facevano risaltare i suoi occhi color pece. 
"È permesso Alexia?" Disse con dolcezza.
"Entra pure Ev . Non preoccuparti, la valigia è quasi completa."
"Va bene - disse la cameriera con un filo di comprensione nella voce, avvertendo la leggera tensione nei modi della ragazza - io intanto la aspetto qua fuori, quando è pronta la aiuto a portare tutto in macchina e partiamo." Evelyn se ne andò con la stessa leggerezza che da sempre la contraddistingueva.
 
Appena fu sola Alexia mise il diario nella valigia, ben nascosto e si posizionò davanti allo specchio intero accanto all'armadio.
Quella soffitta era un po' come il suo rifugio dal mondo. Era un po vecchia e appena trasandata, ma così calda e accogliente. 
 
Perse solo un attimo davanti allo specchio un po' rovinato per essere sicura di non essersi sgualcita la camicetta, per poi scendere. Fin da piccola aveva sempre odiato perdere tempo nel cambiarsi continuamente di abito, ma in quelle occasioni sapeva perfettamente perché si sistemasse così attentamente:  in fondo sperava ancora che a suo nonno importasse anche solo minimamente della sua presenza, ma ormai erano anni che aveva avuto la prova della sua totale indifferenza.
Ma in fondo per una persona così giovane che ha sempre ricevuto delusioni, la speranza rimane sempre, anche se ben nascosta.
 
"Alexia! Siete pronta signorina?" La voce un po arrochita di Anna le ricordava che se non avesse fatto in fretta avrebbe ritardato, e questo avrebbe fatto infuriare ancora di più  suo nonno.
"Eccomi! Sto arrivando!" Disse con un piccolo sorriso e la piccola valigia.
" signorina posso aiutarla? Mi lasci portare la valigia."
"Non preoccuparti, ce la faccio." Soffiò cercando di nascondere il piccolo fastidio del peso.
"Signorina è stupenda, come sempre. Johannes è già in macchina che la aspetta. Le auguro di trascorrere delle ottime vacanze." Disse una voce in fondo alle scale in un tono che esprimeva un affetto smisurato.
"_________ grazie mille! Ti prego non chiamarmi signorina, mio nonno non si trova nei paraggi, non sopporto che tu mi chiami così"
"Ma sign-" non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che Alexia l'aveva abbracciata saltandole quasi al collo con le braccia. Il volto della donna si stirò in un'espressione piena di affetto; quella giovane ragazzina per lei era sempre stata come una figlia, Alexia non aveva mai voluto essere trattata come la padrona di casa e, vista la sua dolcezza, era impossibile dirle di no.
Quell'abbraccio era uno dei più sinceri che avesse mai dato a qualcuno.
"Sign-fu fermata da un'occhiata fintamente offesa della ragazza-Alexia goditi le vacanze il più possibile e non preoccuparti di tuo nonno, né di nessun altro, capito? Si diverta!" Finì con un'espressione falsamente imperiosa.
"Agli ordini signora!" Scherzò, finalmente facendo una risata e correndo fuori dal portone di casa, lasciandosi alle spalle, aperte le ante del portone in ciliegio.
La portiera dell'auto le fu aperta da Johannes, con i riccioli biondi che gli uscivano a piccole ciocche dal cappello da autista.
"Prego signorina" le sorrise con estrema pomposità
"La ringrazio signore" fece un inchino cercando di trattenere le risate e salì velocemente in auto, conscia del ritardo.
Mentre usciva dal parcheggio diede un ultimo sguardo alla villa.
Dalle porte ancora aperte si intravedeva il salone, con lo snodarsi di due scalinate in marmo carrarino e vari tappeti persiani, le avrebbe sempre messo soggezione quella casa.
"Signorina andrò un po' più velocemente del solito, la avverto." Disse con il suo solito sorriso smagliante l'improvvisato autista, guardando il passeggero nello specchietto.
"Procedi pure Johannes."
 
Alexia come sempre si perse nell'osservare le ville che passavano davanti ai suoi occhi, fantasticando sul tipo di vita che probabilmente vi si conduceva, cerando però di dimenticare le persone che in realtà sapeva abitarci, e che aveva imparato a detestare fin da piccola.
 
 
 Amava viaggiare in auto, soprattutto se comode come quelle di suo nonno. L' unico inconveniente di tutto quel lusso era che immancabilmente si addormentava , ogni singola volta. 
Per fortuna questa volta non c'era fretta, ci sarebbero volute alcune ore, e poi sarebbe finalmente stata nuovamente con sua mamma. Era certa che sarebbe stata una vacanza fantastica.
 
 
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Aveva dormito per buona parte del viaggio e le doleva appena il collo, ma era troppo felice per badarci.
"Johannes dove siamo?"
"Manca pochissimo non preoccuparti"
"Che bello!"
"Sei felice vero?"
"Ma certo!" - troppo tardi si accorse del sorriso amaro che si era appena formato sul viso dell'amico.
"Scusa non volevo dire quello…"cercò pateticamente di snocciolare delle scuse decenti. "Sai che mi mancherete da morire, vero Tommy?"
"Questo è sleale! Non il mio secondo nome!"
A questo punto nessuno dei due riuscì a trattenersi da una risata perlomeno se fatta sotto i baffi.
"Ahahah per fortuna almeno ora sorridi! Però scusami davvero. Sai cosa intendevo. Mi mancherete sempre, lo sai."
"Ma certo che lo so ragazzina. Solo mi mancherai anche tu."
"Johannes-" 
"Siamo arrivati!" Per l'ennesima volta aveva cambiato discorso.
"Guarda che bellezza! È una figata assurda questo posto! Guarda che mare!!! adesso si che ti invidio"
Alexia non poté evitare di guardare fuori dal finestrino. Era davvero stupendo cavolo!
Che mare!
 
Solo in quel momento si accorse che la macchina era ferma.
Lanciò un ultima occhiata allo specchietto è come sempre seppe di avere ragione, purtroppo gli occhi di Tommy erano tutto un velo di tristezza.
"Dai andiamo Alex, scendi. Altrimenti facciamo preoccupare Hingrid." Soffiò cercando di nascondere l'amarezza, senza ovviamente riuscirci.
Però meglio non infierire, così abbassò gli occhi "ok, andiamo…"
 
Scesi dall'auto, Johannes non ebbe il tempo di dire niente che si ritrovò il collo imprigionato in una stretta caldissima.
"Ti voglio bene." Un sussurro che non si rendeva conto come avesse fatto a sentire, ma che lo riempiva di gioia.
Mentre se la scrollava di dosso con un sorriso divertito "anche io piccola ti- oh cacchio!"
"Eh? Che c'è? Cosa hai visto" quasi saltò per l'urletto improvviso.
"V-vo-voltati"
"Devo preoccuparmi?" Sussurò ancora con le sue mani strette sulle spalle.
"Solo se fossi una cameriera…"
Così si staccò dalla leggera presa del biondo e finalmente vide la meravigliosa villa che la avrebbe ospitata per le successive quattro settimane.
"Wow, questo è veramente incredibile" commentò con aria imbambolata.
 L'edificio non era definibile in altro modo, preceduto da quel piazzale che poi calava a picco fino alla costa, il tutto immerso nel verde più incontaminato. Cosa desiderare di più?
"Finalmente siete arrivati, stavo per preoccuparmi!" Furono riscossi dal loro stato di contemplazione solo da una voce femminile proveniente dalla loro destra.
"Mamma!" Squillò appena prima di correre tra le braccia della madre, che da diverso tempo non aveva più visto. "Come stai? Qui è stupendo! Sapevo che avresti scelto bene, ma questo addirittura!" 
 
Mentre le due si abbracciavano calorosamente un'ombra passò nuovamente sul viso pallido dell'improvvisato autista.
Subito la donna se ne accorse, era sempre stata un'ottima osservatrice:"Johannes, entra pure in casa. Non vorrai rimanere fuori con questo sole. Su venite." Esortò Hingrid con un sorriso non così caldo come ci si sarebbe aspettati da una madre.
Mentre lei si faceva da parte sulla metà della scalinata in pietra per permettere ai due di entrare, Johannes poté osservarla nuovamente dopo fin troppi mesi.
Non era cambiata di una virgola, se non per la freddezza dei suoi occhi, che ad ogni incontro trovava sempre più profonda.
No appena si accorse del suo sguardo dubbioso su di lui si affrettò ad entrare nella villa ligure.
 
 
 
Alexia fu la prima ad varcare la soglia di quel l'edificio arroccato e non poté evitare di aprirsi in un sorriso di gioia che coinvolse perfino i suoi occhi plumbei.
"Signorina dove devo portarvi le valigie?" Sentì domandare dalll'amico in un tono fastidiosamente piatto e formale.
'Che sia arrabbiato? Eppure non è successo niente di così grave. Dopotutto anche io sentirò la sua mancanza, cosa crede? È da sempre come un fratello per me.'
"Lasciale nella sua camera per favore, li andrà bene. È la seconda stanza a destra al piano superiore. Va pure Johannes." Ordinò subito Hingrid.
"Certo signora. Vado immediatamente." Ancora con quel tono così distaccato. Ma che stava succedendo? Provò ad intervenire 
"non preoccuparti Johann-"
"Lascialo andare Alexia, potrai disfare i bagagli questa sera."
"Ma-"
"Non preoccupatevi signorina, questo è il mio compito dopotutto." La interruppe tagliente il ragazzo. 
"Su figliola vai sul retro, c'è una splendida terrazza sul mare. Sarà un posto perfetto per rilassarti dopo il viaggio." 
Nonostante le parole fossero così interessate, purtroppo avevano un tono stranamente perentorio, così non poté far altro che avviarsi, senza però negarsi uno sguardo interrogativo verso il biondino.
'Ma cosa diamine è successo ora? Possibile che non ci sia un attimo di pace?! Mah!'
 
 
 
 
 
Intanto lo scambio significativo di occhiate più o meno indagatori e non era ancora terminato nell'atrio della villa. Ad un tratto Johannes si rese conto dell'assurdità della situazione e provò ad allontanarsi 
"Signora se non avete ulteriori ordini allora vado a posare le cose della signorina nella sua camera." 
Così fu il primo a distogliere lo sguardo, eliminando l'ultima nota dolce dalle sue parole e dal suo viso, che riservava solo alla sua piccola 'sorellina'. Purtroppo non ebbe il tempo di fare qualche passo che sentì afferrarsi il polso da una delle curatissime e smaltate mani della donna. Subito avvertì il suo volto avvicinarsi minacciosamente alle sue spalle e gli anelli che rendevano la presa appena più scomoda, se non un po' dolorosa.
"Johannes sta' bene attento a te, ma soprattutto rammenta qual'è il tuo posto." Senti soffiarsi direttamente nell'orecchio con una freddezza da sembrare una stilettata.
Quanto odiava quelle parole! Niente aveva il potere di fargli ribollire il sangue come dover mentire a quella ragazza, così non riuscì ad evitare di staccarsi da quella morsa in modo fin troppo brusco.
"Non preoccupatevi, conosco perfettamente il mio ruolo ed i miei compiti. Ma anche voi rammentate i vostri, non lo dico per me, ma anche per voi e lo sapete che ho ragione. Lo avete sempre saputo." Appena prima di sputare quasi con rabbia quelle parole ed avviarsi verso il piano superiore, non poté frenarsi dal lanciare un'ultima significativa occhiata ad Hingrid.
 
Nessuno in quel momento avrebbe potuto riconoscerlo come il solare e generoso Johannes, con i suoi occhi così limpidi da sembrare specchi d'acqua di montagna, con il volto sempre sorridente; non avrebbero mai potuto credere che quegli occhi potessero divenire così duri e freddi.
 
 
 
 
Appena Alexia riuscì a trovare la terrazza, cosa affatto semplice visto il numero esorbitante di stanze presenti, arrivò ad una semplice conclusione: quello era il paradiso. Era certa che ci sarebbe potuta rimanere tutta la vita. Su quel comodo divanetto imbottito, all'ombra di un gazebo e con l'aria salmastra del mare e quella dolce dell'estate a cullarla. Tutto sarebbe stato perfetto se non fosse che la mente della suddetta ragazza continuava ad arrovellarsi costantemente per capire cosa fosse successo a Johannes.
'Ok, va bene, davvero lo capisco che sia dispiaciuto, ma mica vado al patibolo eh. Non può essere solo per questo. E poi in macchina era triste, ma su per le scale era propriamente infuriato. Ma non ha senso. Diamine mica l'ho rifiutato o insultato. Poi quel cambiamento appena è arrivata mia mamma. Vabbè che non la adora ma da qui a comportarsi come fosse una sconosciuta! E poi quella complessata sono io. Da che pulpito fra tutti! Però anche mia mamma ci ha messo del suo! Sa che non mi piace che Johannes venga trattata to così. Sa che per me è com- no! No no no no! Non può essere! Non sarà mica arrabbiata per il rapporto che ho con lui?! Però spiegherebbe tutto! Non l'ha mai visto di buon occhio in quel-'
 
Si riscosse dalle sue elucubrazioni non appena si accorse delle mani di sua madre sulle spalle.
"Ah mamma, mi hai spaventata"
"Ah scusa tesoro, non ne avevo intenzione."
"Dov'è Johannes?"
"A posare le tue valigie ovviamente." O era la migliore attrice del mondo oppure questa volta il suo tono sembrava davvero noncurante. Bene, allora magari si era sbagliata. Magari.
"Magari potrebbe rimanere almeno a pranzo, ha guidato moltissimo!"
"La servitù non mangerà con noi Alexia" 
"Cosa?-era seriamente rimasta shockata dall'assurda somiglianza con suo nonno-sai perfettamente che lui per me non è un domestico!" Sapeva di non dover perdere la pazienza così, ma quello non aveva mai accettato nemmeno di sentirlo ipotizzare. Cavolo era Johannes!
Purtroppo il temperamento focoso non era nemmeno lontanamente irascibile come quello della madre, la quale infatti aveva già ritratto le mani e si ergeva nel suo metro e settantadue come una furia davanti alla figlia.
"E pensare che credevo che la vicinanza di tuo nonno ti avesse insegnato l'unica cosa utile che potesse offrire. Ma dopotutto quel cameriere è sempre stato fin troppo furbo, meglio farlo presente a tuo-"ormai stava quasi urlando tutta una rabbia che doveva aver represso da tempo.
Alexia sapeva riconoscere una partita persa quando la vedeva, così abbassò lo sguardo e mise su l'espressione più dispiaciuta che potesse.
"Mamma si si, davvero mi rendo conto che lui sia solo un cameriere, solo che non è così cattivo come pensi. Davvero! Per favore non dire niente al nonno." Sicuramente avrebbe funzionato, dopotutto anni di esperienza con suo nonno dovevano pur servire a qualcosa no? 'Non capirò mai il perché ma ormai con gli adulti ho capito che la miglior tecnica è fingersi un stupida ragazzina ingenua. Eppure non sospettano mai che non pensi davvero quello che dico. Possibile che mai nessuno li abbia mai ingannati? Mah, meglio accettare così, sennò ce ne sarà a lungo di questa litania'.
"Va bene, adesso vado a prepararmi per andare a pranzo in paese. Tu tra poco avviati nella tua camera e datti una rinfrescata, poi scendi velocemente. Ci siamo intesi?" Disse con tono fermo ma perlomeno più rilassato di prima.
"Ma certo mamma. Sarò pronta tra poco"
"Perfetto. Va' appena sara sceso Johannes"
"Ovviamente" rispose cercando di essere il meno sarcastica possibile, ma per fortuna le parole uscirono quasi noncuranti.
 
Dopo che non senti più i passi di Hingrid salire le scale rimase qualche attimo a finire di contemplare il paesaggio. Solo in quel momento si accorse che proprio sotto di loro si trovava un piccolo paesino. 
Era certa che avrebbero mangiato molto bene, però era anche la prima volta che andava a trovare la madre in quella villa. Anzi, riflettendoci non rammentava di aver mai trascorso con la madre una vare vacanza. 
'Non si può certo dire che sia iniziata nel migliore dei modi. Mah speriamo che vada tutto bene  e che non succeda nient'altro. Almeno per una settimana.' Una tranquilla vacanza lontana da tutto lo stress di Berlino era proprio quello che ci voleva. Infatti c'era un perché se appena ne aveva la possibilità fuggiva da quella caotica e pretenziosa città. 
Odiava dover stare attenta ad ogni singola parola detta e doversi guardare attorno ad ogni passo. Era uno strazio tutta quella etichetta è tutta quella gente pronta a giudicarti.
 
Appena sentì scendere dei passi non ticchettanti per i tacchi, corse nell'atrio.
"Johannes! Fermati, per favore!" Intanto gli afferrò un braccio cercando di trattenerlo.
"Signorina lasciatemi, devo tornare indietro. Non avete sentito vostra madre? Dopotutto sono solo un domestico."
Possibile che fosse così offeso? Di certo però non sarebbero bastate un paio di parole intrise di rabbia per farla desistere.
"Johannes che diamine stai dicendo?! Sai che non ho mai pensato tutto questo. Guardami."
"Signorina devo andare, spostatevi." Il suo tono purtroppo non cambiava, ma lei avrebbe provato fino a spezzarlo.
"Ho detto guardami!" Questa volta gli era uscito fin troppo esasperato, tanto che per un attimo si accorse di un piccolo fremito del braccio che aveva afferrato.
"Signorina, mi lasci andare…" finalmente si stava calmando.
"Johannes guardami…non ci credo minimamente che tu stia così perché non ti ho difeso. E poi ci ho provato! Cosa è successo?" Ormai aveva abbassato così tanto l voce da ridurla ad un sussurro, come se le pareti potessero origliare.
Finalmente il ragazzo cedette, si voltò e davanti al volto della sua 'sorellina' così preoccupato, capì che era stato un emerito stupido. Lei non c'entrava nulla e probabilmente tra qualche anno sarebbe cambiato tutto. Eccome se sarebbe cambiato. 
Così la abbracciò, lasciandola parecchio interdetta per quel repentino cambiamento.
 
'Mah, magari è anche un po lunatico. Spiegherebbe molte cose dopotutto' si ritrovò a pensare la tredicenne.
"Dai Tommy -non poté trattenersi dal sogghignare impertinente- dimmi la verità. Sai che puoi dirmi tutto. Non mi arrabbierò, davvero!"
Passarono alcuni istanti in silenzio, ma poi la tensione fu dissolta dal sorriso caldo che piegò le labbra di Johannes all'insù.
"Sono solo un cuoco/autista un po' geloso, non preoccuparti. Ma questo lo sapevi già, nn è vero piccoletta ?" E con un'occhiolino si avviò verso la porta.
"Allora ciao Piccolo Tommy!" Rispose con il broncio più dolce possibile.
 
 
Dopo un attimo Johannes tornò alla sua auto, indossò il cappello da autista ed aprì la portiera. Appena prima di accendere il motore dette un'ultimo sguardo alla casa ed alla ragazzina che sbucava appena da dietro alla porta, pensando di non essere vista.
 
'Eccome se ti saresti arrabbiata piccola, quando si è ingannati cambia sempre tutto, in modo irreparabile. Ma è anche vero che probabilmente è il nostro attuale rapporto ad essere tutta una finzione.'
Appena ebbe passato la ripida discesa compose un numero. Attese quietamente, finché al terzo squillo una voce maschile rispose.
"Ehi Johannes, è molto che non ci sentiamo vero?"
"Ciao Elias! Come va? Ma questo non è il numero di Dimitri?"
"Ahahah grazie per l'interessamento! Comunque si, questo è il cell di Dimitri, ma lui è letteralmente sparito da tempo."
"Cosa?! Che stai dicendo?!" Aveva quasi inchiodato. Per fortuna non c'era nessuno in quella zona.
"Ma come, non lo sapevi? Comunque non preoccuparti troppo, sai che se la cava benissimo anche da solo. Ha detto che andava a risolvere quella questione della Verità "
"Madonna Elias! Mi hai quasi fatto prendere un infarto! Dirlo prima no eh?! Comunque sono felice per lui. Appena torna digli di raccontarmi tutto eh!"
"Magari la prossima volta anche tu chiama prima di diventare un decrepito vecchietto lasciato in un ospizio! Ci sono anche io qui abbandonato come un cane! Ahahah!"
"Mi spiace davvero! Prometto che chiamerò più spesso! Alla prossima allora, ora devo andare!" 
"Ciao Johnny!"
"Pensa per te Rufus!"
 
'È un peccato che proprio adesso non ci sia. Avrei tanto avuto bisogno di un consiglio. Ma dopotutto so già cosa mi avrebbe detto. Peccato che non sono mai stato deciso come lui. Sono ancora troppo agitato per le possibili conseguenze. Cazzo Johannes! Non sei mica un'adolescente complessata!
Appena la rivedrò seguirò il motto di Dimitri: "le condizioni esistenti a causa di menzogne sono solo un elaborato castello di carte costruito sulle pendici del monte Alyndor"'
 
 
E pensare che mai nessuno gli aveva chiesto dove si trovasse quel monte.
 
 

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