Guardami negli occhi

di Sky and July
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Staremo bene. E saremo soli. -parte I ***
Capitolo 2: *** Staremo bene. E saremo soli. (parte II) ***
Capitolo 3: *** Staremo bene. E saremo soli. -parte III ***
Capitolo 4: *** Le chiavi di un mondo - parte I ***
Capitolo 5: *** Le chiavi di un mondo - parte II ***
Capitolo 6: *** Le chiavi di un mondo - parte III ***
Capitolo 7: *** Le chiavi di un mondo - parte IV ***



Capitolo 1
*** Staremo bene. E saremo soli. -parte I ***


-1-
Staremo bene. E saremo soli. (parte I)


Kimimaro Kaguya


Col taxi che sfrecciava sulla strada gli dava una strana impressione averlo lì, seduto di fianco a lui, senza che il tassista sapesse niente di loro, senza che il mondo intero ne sapesse niente.
E quando il taxi si fermò davanti al complesso di edifici della scuola, si domandò se dopotutto sarebbe cambiato qualcosa oppure sarebbe rimasto tutto come prima. Ma era leggero adesso, più rilassato del solito; non doveva guardare in viso suo padre o sua madre, o suo zio o sua zia. Non doveva pensare alla persona inutile che pensava di essere, né aveva tempo per crogiolarsi nell'indifferenza che gli altri manifestavano per lui.
Adesso non era più così inutile, dopotutto. Non si sentiva nemmeno ignorato, perchè se Juugo era lì era grazie a lui, se poteva studiare o se poteva anche solo vivere come si conviene a una persona, era grazie a lui.
Tirò giù le valigie dal taxi e dal bagagliaio, con l'aiuto del conducente, al quale rivolse appena qualche occhiata con le sue iridi verdi contornate da borse arrossate. Non gli parlò, neanche per un grazie, e trascinò sul marciapiede tutti suoi effetti dentro i valigioni neri tondeggianti.
Inclinò appena la testa per cercare quell'espressione sempre un po' intimidita sul volto dell'altro ragazzo.
Neanche a lui rivolse la parola, ma questo perchè non ce n'era bisogno. Né sapeva cosa dire. Non occorreva aiutarlo coi bagagli, che erano più piccoli dei suoi e lui non aveva problemi di forza fisica. Non sapeva se provare a sorridere, ma già sapeva di essere capace solo di qualche smorfia stentata.
Non sapeva parecchie cose, a dir la verità, a cominciare da quello che sarebbe stata la sua vita da quel momento in poi.
Ci si può provare, si disse. Ci si può sempre provare.


Juugo Tendou



La scuola era imponente, o semplicemente più grande delle villette che si intravedevano dalla finestra dell'ospedale.
Juugo guardò il cortile gremito di ragazzi e inspirò appena: finché Kimimaro era al suo fianco non era un pericolo per nessuno.
Doveva controllarsi e vivere quella nuova opportunità.
Seguì il ragazzo a passi lenti, cercò d'orientarsi, pur tenendo sotto controllo la schiena del suo compagno, osservò le costruzioni e tutto ciò che presto avrebbe chiamato casa.


Kimimaro Kaguya



Prese in spalla uno zaino pieno, quasi strabordante di libri, libri da leggere, libri di fiori, libri di scuola. Spuntava da un lato la forma di una bottiglietta d'acqua, giusto per le evenienze. Caricò sull'altro braccio un borsone, simile a quelli della palestra, agganciò al polso un cofanetto coi bagnoschiumi e le cose per il bagno e, alla fine, già col fiatone e sperando che i suoi polmoni fossero abbastanza clementi con lui da non farlo tossire, afferrò per il manico l'ultima valigia, quella rigida, stracolma dei suoi vestiti. Poteva chiedere aiuto, ma non intendeva farlo. Non intendeva appoggiarsi a qualcuno chiedendo di essere aiutato. Forse avrebbe potuto lasciare lo zaino, o magari il borsone, a Juugo ma, no, non voleva dare nulla da portare a lui. E magari si sarebbe offerto da solo, se solo avesse saputo che era così malato.
Non ricordava di avergli parlato del suo cuore difettoso. Gli aveva accennato dell'anemia, quello lo ricordava, ma non del suo cuore.
Voltò gli occhi verdi all'indietro, verso il viso del suo compagno e vi scorse del nervosismo. Era comprensibile. Dopotutto non era probabilmente mai stato tra così tante persone a così stretto contatto.
«Rilassati. E' solo un po' di gente» lo richiamò con la voce tranquilla, talmente tranquilla da sembrare senza inflessione. Ma così avrebbe sentito la sua voce, probabilmente sarebbe apparso più presente.
I dottori avevano controllato bene in che modo riuscisse a controllare gli impulsi di Juugo e gli avevano fatto lunghe e identiche raccomandazioni su come comportarsi. Senza sapere che non aveva bisogno di quelle raccomandazioni.
Quando erano assieme Juugo non accennava a scatenarsi, né si presentavano quelle emergenze che i medici avevano ipotizzato. L'altro si rilassava, in sua presenza, e lui si sentiva un po' meno inutile.
«La nostra stanza è al secondo piano, credo. Anche se siamo di anni diversi dovrebbero averci messi nello stesso dormitorio». Anche perché, se così non era, non sarebbero potuti restare. Lui non aveva grossi problemi a dividere la stanza con altri: li avrebbe quasi sicuramente ignorati e basta, trattandoli gelidamente e tenendo le distanze. Ma Juugo poteva stare solo con lui.
Con lui e con nessun altro.


Juugo Tendou



Rilassarsi. Era facile da pensare per uno che non aveva vissuto gli ultimi due anni auto considerandosi un mostro.
In fondo doveva solamente inquadrare le persone intorno a sé come comuni mortali e non come possibili vittime.
Sistemò meglio la piccola gabbietta sotto il braccio, attento a non scuoterla troppo e lanciò un piccolo sorriso alla piccola palla di pelo bianca che, con occhietti attenti, squadrava l'ambiente circostante.
Juugo sperò di poter tenere il piccolo amico nel dormitorio perchè ormai accudirlo era diventato uno dei suoi pochissimi hobby che gli rallegravano la giornata.
Sì, pensò, sarebbe stato un enorme dispiacere lasciarlo.

Il ragazzo ascoltò l'albino con attenzione, ma ad un certo punto arrestò immediatamente i suoi pensieri, shoccato.

«Kimimaro» alzò leggermente il suo consueto tono di voce «Cosa significa dovrebbero?!».
L'ultima parola gli raschiò la gola improvvisamente secca.

«Non possono dividerci. Io non posso...non».









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Ecco il primo capitolo della long-fic KimiJuu. *___*

Come già detto da altre parti, è scritta a quattro mani da SkyEventide (che sarei io) e Cira, qui July. Il POV di Kimimaro è scritto da me, quello di Juugo da lei.
Per precisare di nuovo: il cognome di Juugo è inventato, la famiglia di Kimimaro è viva per necessità di copione e Kimi non ha mai incontrato Orochimaru. I due hanno rispettivamente diciassette (Kimi) e diciotto (Juugo) anni. L'ambientazione è chiaramente scolastica, e loro si sono appena trasferiti. =ç= Se volete saperne altro leggetevi il prologo (in questo account), e al massimo anche le schede dei due personaggi, nelle note dell'autore nell'account.

A presto, fateci sapere. *__*

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Capitolo 2
*** Staremo bene. E saremo soli. (parte II) ***


-2-
Staremo bene. E saremo soli. (parte II)


Kimimaro Kaguya


Sentire pronunciare il suo nome con quel tono lo scosse e lo indusse a voltarsi verso Juugo, che sembrava terrorizzato davanti alla prospettiva di stare in camera con qualcun altro. Dopotutto lo capiva. E, di certo, non sarebbe voluto essere nei panni di quel "qualcun altro".
Mosse un paio di passi veloci all'indietro, raggiungendolo. Juugo sembrava sul punto di voler indietreggiare verso il taxi, che ormai era già ripartito sulla strada trafficata.
«Vuol dire che siamo assieme» rettificò con la voce ferma.
E se così non fosse stato sarebe bastato andare in presidenza e mettere sotto il naso del dirigente i fogli dell'ospedale. In tal caso non pensava che ci sarebbero state obiezioni sul loro dividere la stanza o stare nella stessa classe al secondo anno. Ammenoché non ci tenessero ad avere un più che potenziale killer libero dentro la scuola.
«Avanti» aggiunse, tendendo il braccio per non far scivolare zaino e borsone dalle sue spalle, decisamente più piccole rispetto a quelle dell'altro.
A quanto pareva doveva far attenzione anche a ciò che diceva, non solo a dove si trovava rispetto all'altro.
«Credo che il nostro sia il lato ovest» commentò. «In ogni caso prima bisogna chiedere le chiavi in segreteria».
Riprese a camminare, trascinando sulle lastre del cortile le rotelle della valigia rigida. «E se hai qualcosa dimmelo» lo tranquillizzò, senza guardare lui o uno qualunque dei ragazzi in zona; puntava dritto alla porta d'entrata, con la testa alta ed i capelli che si muovevano appena.
Sarebbe stato abbastanza veloce da lasciar cadere tutti i bagagli e correre da Juugo immediatamente, si domandò, se avesse avuto "qualcosa"?
Una volta ne era capace. Nemmeno un secondo per far un tragitto così corto e così pochi movimenti. Storse il labbro superiore impercettibilmente, temendo di essere tradito dal suo stesso corpo.


Juugo Tendou



Non sapeva se era per le varie borse che gli appesantivano il corpo magro oppure per quell'atteggiamento troppo distaccato, ma percepiva che Kimimaro non stesse nei migliori dei modi quel giorno.
L'aveva visto voltarsi solo una volta nell'intero tragitto, per tranquillizzarlo, e aveva trovato quelle gemme color smeraldo meno vive del solito.
S'appuntò che era solo la stanchezza, non doveva preoccuparsi.
Pensò alla stanza del dormitorio, a come sarebbe potuta essere: magari era un buco con due letti e un armadio per il minimo indispensabile oppure una suite a cinque stelle con tanto di idromassaggio.
Accennò un sorriso,producendo soltanto una smorfia all'angolo della bocca, scosse leggermente gli spettinati capelli arancioni quasi ad annullare quella ridicola immagine dalla mente... infondo con tutte le valigie che aveva gli bastava solo un cassetto.

«Ho sentito che in questa scuola dividono gli studenti in due sezioni» prese un piccolo movimento del capo di Kimimaro come conferma d'ascolto «noi in quale siamo?»


Kimimaro Kaguya



Aveva la conferma che i dottori parlavano per parlare e che non conoscevano veramente Juugo come asserivano. "Tieniti a portata di mano dei sedativi", gli avevano detto, "non lo devi far agitare", avevano ribadito. E invece gli bastava parlare o guardarlo in viso per tenerlo tranquillo, come aveva capito nelle innumerevoli volte in cui l'aveva incontrato nell'ospedale.
Ogni volta che l'altro si rilassava lui si diceva che qualcosa ancora sapeva farlo.
«Al telefono mi hanno detto che siamo nella sezione Luna. Che nome strano» gli rispose, mentre finalmente sorpassava la zona assolata e tagliata da un venticello fastidioso ed entrava nella zona riparata dal tettuccio sull'entrata.
Tirò i bagagli sopra gli scalini, ed in cima aveva già il fiatone.
L'espressione sul viso liscio si incupì appena quando si schiarì la gola e deglutì subito dopo. Lasciò la maniglia della sua valigia in equilibrio sull'ultimo degli scalini ed aprì il portone, entrando nel corridoio.
Non era una brutta scuola. Era di certo meglio di quell'anonimo edificio che frequentava prima. E sicuramente, per Juugo, era meglio dell'ospedale dove, da che lui sapesse, stava da lungo tempo.
Gli sembrava di avere un bambino da accudire, con lui. Un bambino che gli si attaccava alle sottane e che temeva più di ogni altra cosa di doverlo lasciare.
Anche se, in quel caso, la situazione era ben più complicata.
Ma gli dava responsabilità. Era tutto in mano sua, i medici gliel'avevano ripetuto fino alla nausea, sempre troppo timorosi per lasciar andare il loro paziente. Ma aveva anche lui il diritto di vivere come voleva, no?
La sua espressione piatta si concentrò verso una cartina appesa a parete. Era anche grande, la scuola, avrebbe osato dire labirintica. Un evidenziatore giallo lo aiutò ad individuare la segreteria, che stava a sinistra rispetto a loro; non chiese nemmeno all'altro se veniva con lui o aspettava lì.
«Ti piace?» gli chiese riferendosi al complesso dove si trovavano con un cenno della testa, mentre proseguiva lungo i corridoi e riassestava i bagagli che portava sempre più frequentemente.


Juugo Tendou



«Ogni posto è meglio di un ospedale» schioccò la lingua sul palato « Non mi faccio molti scrupoli»

A dir la verità i corridoi della scuola gli apparivano tutti uguali: solito pavimento, solito legno che ricopriva in parte i muri e soprattutto era circondato dalla pittura bianca che gli ricordava vagamente l'ambiente antisettico e pulito in ogni punto della sua precedente dimora.
Sembravano infiniti, pronti a serpeggiare senza meta all'interno della scuola e a dissuaderli dal continuare la loro avventura.
Juugo si ricordò delle brevi lezioni di letteratura con il professore volontario, che lo veniva a trovare ogni mercoledì dopo un misero pranzo, e si convinse: quel poeta italiano, osannato dall'uomo per la sua bravura, aveva ragione e un "Lasciate ogni speranza voi ch'entrate" non poteva non fondersi a pennello sulla porta principale per impaurire gli eterni insicuri come lui.
Ripassò mentalmente la cartina che aveva controllato poco prima, in buona fede, e sperò di avvistare al più presto la segreteria o quanto meno una via d'uscita.









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Secondo capitolo!
Come vi sembra? Vi piace? eh?Eh? EH?!
Ricordo che i pezzi di Kimimaro li scrive la puccia Sky e quelli di Juu me medesima.
Se date un'occhiatina al profilo di codesto account troverete uno schema a grandi linee dei due personaggi, non c'è scritto molto... l'indispensabile, ecco.
Non so davvero che dire ho una linea piatta che mi attraversa il cranio e per ora non da segni vitali, ergo aspetto commenti,letture e preferiti.
Ma ora passiamo alla nostra adorata cdm: CaVa ragazza, tu non lo sai, o forse sì, ma sia io che Sky ti adoriamo quindi è stato un immenso piacere trovare una tua recensione!
Siamo anche d'accordo sul fatto che di JuuKimi/KimiJuu ce ne siano dannatamente poche, parlo per me, ma so che Sky ne vorrebbe a tonnellate, e quindi ci siamo prese la briga di diffondere in lungo ed in largo questo adorabile pairings.
Come siamo generose.
Il punto di vista alternato fa molto chic, ma non era proprio una cosa voluta: la fic è tratta da un GdR e non poteva essere altrimenti, perciò questo complimento ce lo meritiamo a metà XD
Spero che questo capitolo sia di tuo gradimento!
Un bacio, July. (Sì, anche da Sky)

P.S= Essendo io la beta di Sky vi posso assicurare che Eredi del Sangue sta andando avanti, non disperate.

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Capitolo 3
*** Staremo bene. E saremo soli. -parte III ***


-3-
Staremo bene. E saremo soli. (parte III)


Kimimaro Kaguya



Sì, poteva immaginare che stare lì piuttosto che in un'asettica stanza bianca piena dell'odore del disinfettante doveva essere mille volte meglio. Non lo metteva in dubbio. Anche a lui gli ospedali non piacevano; le cartelle cliniche gli ricordavano troppo spesso e con troppa freddezza delle sue malattie.
«Ci sono scuole peggiori» gli rispose, senza che l'altro avesse richiesto una simile constatazione. Magari lo diceva a se stesso, per volersi ricordare che voler venire lì e lasciare casa sua era stata una buona scelta.
Arrivò alla segreteria, delineata da un cartellino sulla porta e da fogli appesi con scotch e puntine da disegno, dove gli orari delle lezioni, le comunicazioni e le riunioni erano sottolineate con la penna blu e con l'evidenziatore.
Bussò un paio di volte, prima che una voce lo chiamasse all'interno, ovattata dalle pareti. I muri erano piuttosto spessi, si accorse, più spessi degli standard di un liceo. Doveva essere un edificio vecchio. Ma non che la datazione di quel posto lo interessasse granchè.
Aprì la porta e si ritrovò davanti al tavolo pieno di fogli, pratiche, oggetti da scrivania della segreteria, dietro al quale sedeva un uomo con occhiali tondi.
Prima di entrare lasciò borsone e valigia all'esterno e soffermò, per la prima volta nella mattinata, i suoi occhi verdi sul viso di Juugo. Aveva un'aria... spaesata? Forse intimorita.
Kimimaro si sentì colpire al petto dalla consapevolezza che solo lui poteva dissipargli quel disagio, solo la sua presenza poteva farlo.
Lo sapeva già da prima, certo, ma ora era come se si vedesse dall'esterno. Lui e Juugo, che contavano su qualcosa che l'altro aveva per poter vivere. Dopotutto avrebbe potuto lasciare l'altro nell'ospedale e continuare come aveva sempre fatto... ma aveva voluto agire diversamente, per sentirsi ancora utile in qualcosa, adatto a quella vita e alle altre persone.
Lo scaldava un po' quella sensazione.
«Vieni» lo chiamò con la voce calma, tirando l'angolo della bocca in quello che non era un sorriso ma qualcosa che vi aveva vagamente a che fare.
L'uomo dietro al tavolo li salutò e Kimimaro partì immediatamente con le spiegazioni, senza perdersi in convenevoli. «Siamo i due studenti appena trasferiti» gli disse. «Kimimaro Kaguya e Juugo Tendou. Siamo nella stessa camera» aggiunse immediatamente dopo, un po' per evitare inutili problemi e domande sul dormitorio in cui sistemarsi, un po' per cacciare dalla mente dell'altro ragazzo qualunque timore e dubbio.


Juugo Tendou



Quando l'uomo della segreteria, rintanato tra le librerie e la scrivania, consegnò le chiavi al compagno si lasciò ad un lieve sospiro di sollievo: quei due pezzi di metallo argenteo potevano aprirgli un mondo.
Osservò la linea curva spezzettarsi verso la fine in piccoli quadrati di varie dimensioni, l'incisione, a capo della chiave, afferrò la sua attenzione e vi lesse un "151", il numero della loro stanza.
Kimimaro, notò, parlava velocemente diminuendo le pause tra una parola ed un'altra come se l'ossigeno fosse una materia preziosa da consumare il meno possibile; anche le spalle, ora libere dallo zaino e dal borsone, si contraevano dallo sforzo più del solito.

Juugo lo tenne sott'occhio per tutta la conversazione.
Sapeva che l'albino sentiva il suo sguardo lungo la schiena, ma non gli diede importanza.
C'era qualcosa che gli sfuggiva.

Quando uscirono dalla segreteria, con le chiavi tintinnanti tra le mani, prima che prendesse le sue cose cercò i suoi occhi.

«Sicuro di stare bene?».


Kimimaro Kaguya



Agganciò al dito le chiavi preparandosi a riprendere in spalla gli opprimenti pesi dei bagagli. Magari era meglio cambiare il braccio che portava lo zaino e quello che portava il borsone, per bilanciare i fardelli rispetto a quando era entrato e non affaticare un solo arto.
Mentre chinava la schiena socchiudendo gli occhi e buttando fuori aria per sollevare la borsa e sistemarla al meglio sulle sue spalle coperte dal maglione blu, incontrò gli occhi arancio di Juugo. Quegli occhi che aveva visto bruciare di smania omicida e pazzia e che ora lo guardavano preoccupati, sospettosi.
Fece un movimento e caricò il peso del borsone addosso a sé, riafferrando poi il manico della valigia. Ringraziò che almeno quella avesse le rotelle per poterla trascinare.
«E' solo l'anemia» gli rispose a voce bassa, fermandosi per un momento a riprendere fiato. Teneva gli occhi socchiusi, come se fosse troppo stanco anche per sollevare le palpebre.
Era tanto che non faceva certi sforzi. Ma alla fine si era abituato anche ad avere sempre il fiatone, a non poter correre per lunghe distanze, a doversi fermare con frequenza. Era ormai abituato anche agli squassanti attacchi di tosse che ogni tanto lo coglievano dopo uno di quegli sforzi.
Sperava solo che quella tosse che lo piegava e gli toglieva il respiro non lo cogliesse proprio mentre era con Juugo. Si sarebbe preoccupato troppo per lui, che, oramai, era l'unica sua ancora per una vita più o meno normale.
Si avviò lungo il corridoio già attraversato all'andata verso le scale che aveva intravisto nella direzione opposta senza più rivolgersi all'altro. Camminava davanti a lui tirando il trolley sul marmo, sentendo il rumore dello scivolare delle rotelle di plastica. Ora che nella mano che nascondeva le chiavi sentiva quel pezzo di metallo dentellato aveva la sensazione che il peggio fosse passato.
Sperava solamente che, oltre alle scale, ci fosse un ascensore, lì nella scuola. Non sarebbe mai riuscito a fare due piani con quelle valigie, su per quegli impietosi scalini.
Mi verrà un infarto se ci provo, pensò. E, purtroppo, per lui non si trattava di un modo di dire.


Juugo Tendou



Arrivati davanti alla rampa di scale che doveva portare al primo piano vide il ragazzo esitare un attimo prima di lottare con il primo gradino e le varie borse.
Si guardò intorno per cercare un minimo di tecnologia che facilitasse il loro viaggio e trovo la porta d'acciaio proprio sulla destra nascosta in parte dal muro.

«C'è un ascensore».

Camminò a larghe falcate verso i due bottoni e richiamò la gabbia di ferro aspettando che Kimimaro lo raggiungesse.

All'interno dell'abitacolo si stava un po' stretti anche a causa della sua massa corporea un po' troppo muscolosa e dei vari borsoni che riempivano lo spazio restante.
Un sonoro "Dlin" li avvisò che erano sul secondo piano; fece passare prima Kimimaro, guardando sempre di disappunto i suoi bagagli, per poi puntare le porte alla sua sinistra.













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Buongiorno, pampine e pampini.

Avete infine l’aggiornamento col terzo capitolo, che poi è solo la continuazione di quelli precedenti. Il prossimo sarà un aggiornamento serio, tranquille. XD Perlomeno il capitolo cambia titolo. XD
Quei due pimpi, comunque, hanno bisogno di spazio e mi sento profondamente in dovere di dover scrivere questa fic, come ha detto la caVa July nel capitolo due.
E ricordatevi che i “pampina”, “caVa” e cose così sono mmmiei e non di July che me li copia. L’ho contagiata con le mie espressioni (e mi sa che lei nemmeno se n’è accorta XD).
In riferimento a questo nuovo pezzo, tanto per fare un commento serio (e sarebbe anche il caso), posso solo dire che muovere Kimimaro con una visuale in quasi prima persona ma togliendogli o cambiandogli alcune caratteristiche canon (come la famiglia morta che qui è viva) è piuttosto difficile. ò_ò Devo tener conto del suo carattere modificandolo secondo il mancato accadimento avvenimento cruciale che è l’incontro con Orochimaru, che ha formato la persona che Kimimaro diventa nel manga, ma nonostante ciò non lo devo portare eccessivamente OOC, tenendo conto di certe cose più che di altre… Insomma, è un po’ un casotto. E inoltre… e inoltre non mi viene altro da dire. ò_ò

Passiamo ai ringraziamenti, che sono sempre dovuti.

cdm, caVa ragazza, lo sai che tutte le volte che leggo il tuo nick mi viene in mente il C.v.d. di matematica? XD Sì, so che questo non c’entra niente. In ogni caso un ringraziamento personale per leggere questa fic e commentarla, mi fa pensare che il giorno in cui ho mandato un mp sclerotico a July dicendole “ommioddio, ommioddio ho un’idea omgsjsdffhhjasrgjhfl!” e proponendole di seguito di pubblicare una fic tratta da una role (scoprendo poi che ci aveva pensato pure lei), non è stato poi un così brutto giorno. Ribecchiamoci presto. =ç=
enry9, non ci hai commentate qui ma hai commentato il prologo ed infilato tutto nei preferiti, ergo menzionarti mi pare giusto e dovuto. Grazie infinite da parte mia e di July, che anche se non può rispondere direttamente ringrazia lo stesso (e se vuoi sapere perché, la risposta è che le leggo nella mente e quindi so tutto °ç°). Poi, parlando solo per la sottoscritta, posso dire che le caratteristiche non canon che ha Kimi (come la famiglia viva), ma anche Juugo, sono problematiche da gestire, e se ti piace come si comportano i due personaggi, ti piace il loro incontro e tutto il resto… non posso che esserne contentissima. *-* (Approposito, July è rimasta estasiata dalle coppie che shippi. E’ una povera fissata con il KakaAnko anche lei. Ma la convertirò). Spero di risentirti presto, pimpa. *-*

Un grazie anche ad iceriel che ci ha messe negli autori preferiti (assieme a cdm).

Ora vi saluto (e, no, non vi stresserò coi miei soliti avvisi dicendo che sto continuando la mia long-fic e che non è interrotta. Anche se, praticamente, è quel che ho appena fatto).

Kupò.

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Capitolo 4
*** Le chiavi di un mondo - parte I ***


-4-
Le chiavi di un mondo - parte I


Kimimaro Kaguya


Ringraziò che Juugo avesse un occhio migliore del suo, o forse semplicemente un po' di pazienza per cercare un ascensore. Salì all'interno della cabina rincuorato dal non dover risalire faticosamente i due piani di gradini, fino alla loro camera.
Finché le porte di metallo non si aprirono su una saletta con divani rossi, libri e arredamento degno della sala comune di un'università, sentì la stessa sensazione vaga e ovattata che aveva percepito nel taxi, prima di scendere nel cortile. Era così strano stare vicino a lui, ora che avevano in mano le chiavi di un futuro e di una vita diversi da come, prima del loro incontro, probabilmente si prospettavano.
Confidava tanto nel pezzo di metallo che teneva in mano.
Uscì dall'ascensore portando fuori tutti i bagagli, mettendo fine a quella pausa in cui aveva posato tutto sul pavimento lucido e aveva rilassato la schiena contro la parete a specchio della cabina. Tirò la valigia con le rotelle e gli altri bagagli per il corridoio che si allungava alla loro destra, leggendo con gli occhi arrossati le targhette coi numeri sopra le porte.
C'erano porte pulitissime, porte con degli adesivi attaccati in giro, porte con scritte indelebili, inchiostro nero sul legno. Tracce di vita che, per un attimo, incrinarono la sua espressione atona con tracce di gelosia per quello che quei ragazzi avevano ancora o avevano avuto e che a lui non era stata data la possibilità di provare.
Si fermò all'improvviso davanti ad una delle porte, una di quelle pulite, senza segni di passaggio.
151
Quella era la loro porta.
Prima di sollevare la mano, lasciando cadere il borsone per terra e abbandonando la valigia, per infilare la chiave nella toppa, si voltò per un attimo verso Juugo, guardandolo in volto con un'espressione più profonda delle precedenti.
Poi girò con uno scatto ed aprì su una normalissima stanza con un mobilio semplice, legno scuro e pareti bianche con un zoccolo di legno in basso.
Era molto più modesta rispetto a quello che aveva lui a casa. Ma gli bastava. Tutto era meglio di casa sua.


Juugo Tendou



Quando vide la stanza ancora spoglia dai loro oggetti e ricordi sorrise.
Sorrise veramente, certo non a trentadue denti, ma pur sempre pieno di emozione.
Seguì con un dito la linea semplice dei mobili lignei privi di polvere, adocchiò una finestra posta proprio prima di una porta che doveva far accedere al bagno, lì posò la gabbietta di Jiro tanto per fargli godere un po' di panorama.
Era una stanza luminosa, grande abbastanza per entrambi, ma soprattutto era loro.

«Casa nostra, eh?»

Aspettò la risposta dell'amico ancora indaffarato con i bagagli, pensò di dargli una mano, ma lo scatto della porta gli fece capire che aveva finito.
Cercò i letti e li trovo tutti e due nell'angolo attaccati.
Dovevano dormire insieme? pensò un poco imbarazzato.
«Kimimaro» tossicchiò piano, portandosi una mano davanti alla bocca, per ricevere la sua attenzione «I letti... è un problema per te?»


Kimimaro Kaguya



Trascinò dentro la stanza tutti i bagagli, lasciandoli nel corridoietto prima che si arrivasse nella camera vera e propria, sotto dei gancini per attaccare i cappotti.
La stanza dava sul cortile interno, si vedeva l'entrata della scuola e tutto lo spazio aperto che avevano traversato col cuore in gola perchè ormai erano arivati a quel punto tanto agognato per mesi, per cui la sua famiglia aveva firmato fogli e fogli, e lui ugualmente aveva letto e approvato fatture, discusso con dottori, parenti, psicologi.
Adesso erano arrivati, e gli sembrava quasi surreale stare lì dentro.
Le sopracciglia si aggrottarono appena, nello sforzo di delineare uno stato d'animo, nel capire se davvero quella era la meta per cui avevano lottato e cercato durante sedici anni di vita.
Ma quand Juugo parlò, Kimimaro si voltò verso di lui con una velocità superiore rispetto a tutta la mattinata, scosso e svegliato dalle sue parole, appena stupito dal sorriso che per un attimo aveva visto sul suo viso.
Socchiuse la bocca per rispondere a quella domanda che domanda non era, ma poi dalle sue labbra non uscì nessun suono. Sembrava così contento e così sicuro, Juugo. Si sentiva più spaesato del suo compagno, forse perchè quello che lui cercava in quel "casa nostra" era più complicato di quanto credeva.
Desiderava uno scopo per vivere, e ora l'aveva nella sua capacità di placare gli sdoppiamenti di personalità dell'altro, cercava un senso di utilità in se stesso, e aveva anche quello. Cos'altro cercava, ancora?
Lasciò catturare la propria attenzione dal richiamo di Juugo e spostò gli occhi verdi sui letti. Rimase appena sorpreso dal vederli uniti, poi, lanciando un'occhiata veloce verso l'altro ragazzo, si avvicinò ai materassi e sollevò il piumino.
Nel mezzo c'era un'incavatura.
«Sono due letti accostati» spiegò, per poi sollevarsi e torcere la braccia piegate all'indietro per aiutare le articolazioni a mandar via l'indolenzimento, dopo aver portato i suoi anche troppo pesanti bagagli.
«Se per te non lo è, va bene così» gli rispose poi, pensando che, dopotutto, sarebbe stata la medesima cosa che dormire da soli; lui, d'altro canto, non aveva mai manifestato la malizia propria di qualcuno della sua età, forse complice la consapevolezza della sua malattia, forse quella dell'essere ignorato da tante, troppe persone.
Magari così Juugo si sarebbe sentito più... al sicuro. Più vicino alla sua unica garanzia di non cedere alla parte selvaggia e letale della sua mente.
Si accostò di nuovo alle proprie valigie, attraversando la camera, così somigliante a quella di un albergo, preparandosi al lungo lavoro di disfarle e sistemare ogni cosa al posto che avrebbe occupato per l'anno a venire.


Juugo Tendou



Juugo imitò il compagno afferrando un paio di cassetti dal mobile di fianco alla scrivania. Non ritenne necessario altro spazio visto i due piccoli zaini che aveva con se ed i pochi vestiti; in casi estremi si sarebbe fatto accompagnare da Kimimaro in qualche negozio. Ripose anche gli amati libri di biologia nella libreria, scegliendo il ripiano più alto e più ottimale per la sua altezza.
In pochi minuti aveva sistemato diciotto anni di vita, un poco infelice come cosa - constatò.
Diede uno sguardo al ragazzo che era ancora immerso nei lavori, sembrava che danzasse tra la borsa e i vari mobili.
Sorrise, era strano come la sua vicinanza lo portasse a sorridere così spesso, come lo migliorasse.
Puntò il bagno indeciso se darsi una rinfrescata per inaugurarlo o no... a conti fatti non aveva di meglio da fare e il sole che l'aveva riscaldato fino a pochi minuti prima era tremendamente caldo.
«Inauguro la doccia»
Aveva sempre amato le docce gelide, ristoratrici, preferendole a quelle cascate d'acqua bollente che gli cuocevano lentamente il cervello.
Anche in ospedale l'acqua calda era un lusso per pochi, soprattutto per uno che doveva essere controllato a vista e allontanato in fretta per non creare stati d'emergenza.
Sbuffò, incontrando le piastrelle fredde con la fronte, per quanto ringraziasse ogni giorno Kimimaro per averlo salvato da quel letamaio si chiedeva se il compagno avrebbe vissuto meglio senza di lui, se sarebbe stato più libero.
Di sicuro non avrebbe avuto un peso come lui a cui pensare.
Chiuse gli occhi per un attimo prima di serrare la manopola dell'acqua.
Scivolò via dall'abitacolo, afferrando l'accappatoio grigio che aveva agganciato prima vicino alla porta.
Lo indossò e asciugandosi i capelli arancioni ribelli con un asciugamano tornò nella stanza lasciandosi alle spalle una scia di vapore acqueo.









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Siamo a secco di commenti ç_ç Male. Spero che l'immagine di Juugo nudo sotto la doccia v'ispiri qualche considerazione sulla storia OççO
Ammettetelo che è un gran bel ragazzo, su é_é
Comunque, come ha detto anche Sky nello scorso capitolo, muovere questi personaggi è faticoso e io ho sempre timore di andare OOC, o di farlo troppo pazzo, o troppo normale oppure persino troppo riluttante e sottomesso XD
Le solite paranoie di una fanwriter insomma.
Se sarete pazienti vedrete che già nel prossimo capitolo qualcosa inizia a muoversi, ma non posso fare spoiler se no so già che Sky mi trucida ò_ò
Fateci sapere!
Un bacio, July.

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Capitolo 5
*** Le chiavi di un mondo - parte II ***


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Le chiavi di un mondo - parte II


Kimimaro Kaguya



Adesso arrivava la parte complicata. O forse quella faticosa, per meglio dire.
Organizzarsi, scegliere dove sistemare cosa, occupare i ripiani dell'armadio e dei cassetti, ordinare gli oggetti sulla scrivania.
Decise che per adesso avrebbe messo al proprio posto solo gli abiti nella valigia rigida.
Guardò solo di sfuggita Juugo mentre entrava nel bagno, pensando che, magari, la solitudine accompagnata dal rumore ovattato dell'acqua nella doccia gli avrebbe fatto bene. Tutto quel contatto, così intimo, così amichevole per i suoi standard, lo confondeva. Lo confondeva tutta quella considerazione.
E così occupò il tempo in cui l'altro era chiuso in bagno con un silenzio surreale, un'espressione che sapeva di affranto quando non avrebbe dovuto provare simili sentimenti, non in quella circostanza. Insicuro, indeciso, colmava la propria anima con una sorta di freddezza disumana, un'indifferenza che gli appiattiva la voce fino a renderla metallica e metodica.
I movimenti del suo corpo erano fluidi, precisi e armonici, come aveva imparato a farli con le arti marziali. Il minimo di energia sprecata a causa quelle malattie che lo facevano sentire danneggiato, incapace.
Quando l'acqua nel bagno si spense il livello dei vestiti nella valigia era drasticamente sceso. I cassetti in giro per la stanza erano aperti, le ante dell'armadio spalancate ed i vestiti sistemati. Nel borsone non restavano che dei calzini ed una tuta sportiva. Non sapeva dove metterla, quella. Soprattutto, non sapeva se l'avrebbe mai usata.
Alle sue spalle Juugo uscì dal bagno e, quando Kimimaro si voltò, lo scoprì più disinibito di quel che pensava. Forse era la sua presenza che lo rilassava, forse era l'ambiente, che ormai sarebbe dovuto essere il loro, a togliergli il nervosismo opprimente dell'ospedale.
E se Juugo era più tranquillo, Kimimaro si accorse di essere più pudico di quel che pensava. Le sopracciglia si corrucciarono impercettibilmente, gli occhi verdi fissarono l'altro, ancora coi capelli bagnati, con qualcosa di indefinito nell'espressione.
Juugo sembrava comportarsi come se assieme in quella stanza ci vivessero da sempre. L'aveva visto sorridere mentre osservava l'ambiente, posare la sua bestiola sotto la finestra come se quello fosse il suo posto senza ombra di dubbio. Ora faceva la doccia ed usciva in accappatoio.
Sentì una vaga sensazione offesa per quelle libertà così fresche, prive di pensieri.
Gli sembrò che Juugo, alla fin fine, fosse una persona meno complicata di lui. Dopotutto, tralasciando il suo problema di personalità, era un ragazzo di piacevole compagnia, inteneriva con la sua paura per gli altri.
Kimimaro si sentì torbido appurando queste verità, si sentì quasi arrabbiato, e dal suo viso sparì quel vago pudore, per tornare all'espressione sterile che c'era sempre. Gli occhi verdi divennero vacui.
«Vuoi mangiare qualcosa prima di cena?» gli domandò, voltandosi automaticamente verso il proprio zaino abbandonato nel corridoietto appena dopo la porta. Si era portato qualcosa da mangiare assieme alla bottiglia d'acqua, dei tramezzini con tonno e maionese, se non ricordava male.

Juugo Tendou



«Ti sei portato anche da mangiare?».

Spalancò un poco gli occhi e pensò che avrebbe fatto prima a chiedergli cosa non c'era in quegli zaini.
S'accostò ai letti prendendo di boxer neri ed un paio di jeans indossandoli velocemente.
Si tolse l'accappatoio umido subito dopo restando a petto nudo.

«Tanto per sapere se verrò avvelenato o meno: hai cucinato te?».

Kimimaro Kaguya



Chinandosi, aprì la cerniera dello zaino e frugò tra i libri, estraendone un paio per arrivare ad un sacchettino nascosto sul fondo. Dentro, chiusi in un bento, c'erano i suoi tramezzini.
Estrasse la scatoletta dal sacchetto, voltandosi appena per mostrarla a Juugo in risposta alla sua domanda. Poi si alzò da terra con un leggero sospiro, testimonianza del movimento fisico fatto per mettere al suo posto ogni abito nel luogo dove si sarebbe trovato per i prossimi anni, dove avrebbe imparato a ripescarlo tra gli altri vestiti senza rifletterci. Ci avrebbe vissuto lì dentro. Ancora non aveva fatto l'abitudine ad un simile pensiero.
Esattamente come non aveva ancora fatto l'abitudine a vedere Juugo fuori dai panni della tenuta da ospedale, fuori dalle quelle pareti chiare e sterilizzate, e soprattutto con quell'atteggiamento quasi estroverso, avrebbe osato dire.
Si bloccò per un momento nel vederlo ora senza maglia, colto alla sprovvista come quando era uscito in accappatoio. Si era disabituato a simili intimità. Non ne aveva mai ricevute, più precisamente. Adesso tutto ciò lo lasciava sorpreso e manifestava quella sorpresa attraverso la bocca appena arricciata e gli occhi che guardavano con le sopracciglia appena sollevate.
Colto alla sprovvista, si fermò per un momento prima di mostrare all'altro i tramezzini e tornare a rilassare il volto in quell'espressione identica e perennemente congelata in una fredda indifferenza.
«No, ha cucinato mia madre» gli rispose, tutto sommato con un accenno di divertimento. E poi pensò di nuovo all'altro che si sedeva con tranquillità sul letto restando a petto nudo e come invece lui pronunciava la parola "madre", come se parlasse di una sconosciuta, come evitasse ogni calore umano nel dire quelle lettere in quel preciso ordine.
Si chiese, con una sorta di risentimento verso se stesso, se davvero ancora gli importasse di sua madre.
Si accostò al letto e si sedette sul materasso, sprofondando appena di fianco a Juugo. «Sono dei tramezzini con...» aprì la scatoletta di plastica sollevando il coperchio che la teneva sottovuoto. «Sì» confermò «con tonno e maionese».
Le sue sopracciglia si corrugarono appena, con una punta di disappunto e dispiacere. Non conosceva i gusti di Juugo, in quanto al cibo.
Conosceva poco e niente di lui. L'unica cosa che, egoisticamente, sapeva era che in qualche modo aveva bisogno di lui. Era per quello che erano lì, assieme, altrimenti, era sicuro, non l'avrebbe mai preso in considerazione. L'avrebbe visto solo come uno dei pazienti di quell'ospedale, uno come gli altri, uno a cui di lui non interessava nulla.
La sua strada, temeva, era più lunga di quella del suo compagno di stanza. Più complicata. Dopotutto si trovava lì perchè voleva che qualcuno avesse bisogno di lui.
«Ti piace?» gli chiese con la voce disinteressata, riferendosi al loro spuntino ed al suo condimento.

Juugo Tendou



Afferrò il tramezzino aprendolo a metà per controllare la farcitura.
Fece una leggera smorfia quando vide i pezzetti di tonno insieme alla crema giallognola, ma non era il momento di calarsi nella parte del ragazzino viziato; e poi, esisteva di peggio.
Intinse la punta dell'indice nella salsa e se lo portò alle labbra.
Non era male.

«Buoni» annuì prima di richiudere il suo pranzo ed azzannare un angolo «Ringrazia tua madre... se mai la rivedrai ancora».

Kimimaro era un ragazzo molto chiuso quando si toccava l'argomento genitori, le poche volte che Juugo era riuscito a farlo parlare si era liquidato con pochi fatti, ma era sottinteso che i legami familiari erano quasi svaniti nel nulla.
Certe volte il maggiore non lo riusciva a comprendere, non capiva come il compagno potesse lasciar andare via così i suoi parenti, deridendo quei principi ritenuti sacri.
L'ultima immagine che Juugo aveva dei suoi genitori era incorniciata dagli infissi delle finestre ospedaliere e dal calore dei sedativi che iniziavano a circolare in corpo.

«Hai finito con i bagagli?».













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E giungeeeeee! =ççç=

Personalmente non ho nulla da dire su questo capitolo, se non che adoro le KimiJuu e che Orochimaru è Dio (anche se questo non c'entra nulla).
Puntualizzo solo cosa sono i bento. Si tratta di scatoline di plastica sottovuoto dove il cibo viene chiuso e disposto ad arte (spesso dai genitori, o comunque da chi cucina) creando anche piccole composizioni di cibi (generalmente freddi) di ogni genere, e che poi viene consegnato ai ragazzi, i quali lo portano a scuola o in gite scolastiche come pranzo al posto dei classici panini. In Giappone preparare bento per i figli e mariti o per se stessi è una pratica comunissima.

Detto ciò, ringraziamo le prave pimpe che recensiscono. *__*

cdm, che ci sei sempre e comunque. =ç= I letti uniti sono una malefica idea di July, perché quella ragazza è perversa e noi lo sappiamo. Comunque non penare, non ti chiamerò mai cvd. XD Se c'è una materia che eliminerei da questa terra, è la matematica. Davvero, sono contentissima delle teu recensioni, e sono anche contentissima che ti piaccia l'opera. *_*
sushiprecotto-chan, che mi hai commentato il prologo ed hai inserito tutto quanto nei preferiti... speravo tantissimo che tu trovassi questa fic, considerato che ti piace la coppia. *_* E sono contenta che tu l'abbia gradita. Mi raccomando, di' anche alla tua amica di dare un'occhiata. XD Per il loro passato... forse scriveremo qualche flashback, oppure non so. °*° Magari una spin-off/one-shot che possa stare anche come fic a sé stante. A presto, fatti risentire. *_*

Vi saluto con tanta felicità, pampine, che c'è una pizza che mi aspetta. OçO

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Capitolo 6
*** Le chiavi di un mondo - parte III ***


-6-
Le chiavi di un mondo - parte III)


Kimimaro Kaguya


Morse un angolo del tramezzino, senza sentire poi tutta questa fame, senza che il sapore salato del tonno e della maoinese lo tentasse poi così tanto.
Aveva sempre preferito di gran lunga le cose che si cucinava da solo rispetto a quelle che gli preparava la madre, sebbene le sue doti culinarie fossero nella media di qualunque ragazzo della sua età. Non era certamente un cuoco. Solo che mangiare i piatti che sua madre preparava con tanta cura in cucina lo aveva tempo addietro illuso che un po' di bene glielo volessero. E quando lei gli metteva davanti il piatto pieno come se avesse a che fare con un cane che si avventa sugli avanzi allora capiva quanto di falso c'era in quei sapori che gustava sulla lingua.
Di malavoglia aveva portato con se quei tramezzini, mettendoli nello zaino solo perchè glieli avevano preparati. Si era chiesto, quando era in taxi, se dandogli il pranzo gli avesero fatto semplicemente il regalo d'addio con un biglietto di sola andata e gli auguri di non ritonare annessi.
«No» disse, guardando la merenda che mangiava lentamente. «No, non penso che la rivedrò» concluse, tagliando il discorso con un profondo silenzio che nascondeva un vecchio rancore, un'antica tristezza.
«Sì, ho sistemato tutto quanto» gli rispose, mentre buttava giù gli ultimi bocconi del morbido tramezzino. Gli occhi verdi scivolarono piano sulla camera, vedendo come già la loro identità sembrava essersi fusa con quei mobili. Come le poche volte che era andato in vacanza, in diciassette anni, faticava a sentire proprio l'ambiente nuovo in cui avrebbe dormito, mangiato, aspettato. Solo che ora la differenza stava nel fatto che lì avrebbe dovuti viverci.
Ci avrebbe vissuto, tra quei muri. Sarebbero diventati la culla della sua vita, forse una vita finalmente come la desiderava, anche se quel suo desiderio era ormai sfocato, disilluso.
Pian piano avrebbe cominciato a sentire l'essenza sua in quelle pareti, avrebbe cominciato a sentirsi al sicuro guardando quei mobili. Ci avrebbe sentito qualcosa di sé, e forse non solo di sé, forse non solo di un'unica persona, ma avrebbe cominciato ad avvertirlo suo e di Juugo. Di due persone, non una sola.
Di fianco all'altro, si lasciò cadere all'indietro sui due letti accostatia formarne uno. Sentì il materasso morbido, piacevole.
Le braccia erano tirate all'indietro e le sue pupille verdi e sempre perse e disinteressate fissavano il soffitto bianco; e lì a fianco c'era Juugo, ancora in jeans. Non sapeva che avrebbe pensato guardandolo abbandonato così sul letto, come se, stanco, avesse abbandonato le forze, senza guardarlo e semplicemente respirando.
«Non c'è molto da fare fino a cena» commentò con un'aria atona, quasi disinteressata, annoiata.
Aveva solo voglia di stare lì e rilassarsi, ambientarsi. Di scambiare tutte quelle parole che all'ospedale non avevano mai accennato per la presenza dei medici, degli psicologi, delle infermiere. Solo di scambiare delle parole.


Juugo Tendou



«Su un articolo ho letto che “ci sono posti che ti cambiano la vita" sembrerà anche ovvia come cosa, ma certe volte mi chiedo cosa sarebbe successo se tu non fossi stato in quel corridoio e in quel preciso istante.» Juugo torturò il fazzoletto tra le mani e lanciò uno sguardo sopra la spalla al ragazzo ancora disteso sul letto «Forse anche questa stanza ci cambierà»

Abbassò il capo leggermente imbarazzato ripetendosi mentalmente che quella frase trovata su un giornale di seconda mano era anche stupida.
Non avevano molto da fare per occupare il tempo, lui la noia la conosceva perfettamente, di solito in ospedale leggeva, dormiva, osservava le persone passare tra i corridoi. Una volta aveva anche tentato di giocare a scacchi da solo, ma alla fine aveva fatto vincere i neri, muovendo volontariamente in modo errato le pedine bianche.
Tutti i modi che conosceva per combatterla, la noia, si servivano solo di un giocatore.

Si gettò anche lui sul materasso morbido, facendo sollevare appena il corpo di Kimimaro, che era ancora in silenzio, per il contraccolpo.
«Ci pensi mai a una vita diversa?»


Kimimaro Kaguya



Quando si stendeva sui materassi il suo respiro era più regolare, più profondo, più cadenzato. L'imbottitura, nonostante fosse una scuola, era morbida, comoda, e assicurava un buon riposo per la notte.
Non si capacitava di come, nonostante i toni ed il mobilio rassicuranti di quella stanza, si sentisse così estraneo, così sospeso in una situazione confusa. E si ripeteva che "ora sono qui", ma oltre... oltre non riusciva a vedere.
Spostò i suoi occhi smeraldini su quelli di quello strano colore arancione che aveva Juugo incastonati nel suo viso, notando i segni del nervosismo nella sua espressione. Scorse del pudore mentre diceva frasi così inconsuete, frasi che di certo non dovrebbero stare sulla bocca di un diciottenne, frasi adatte ad un malinconico uomo di mezz'età che ha vissuto già troppo o troppo poco.
Loro avevano vissuto poco. Juugo, soprattutto, non poteva forse dire di aver vissuto come ognuno si merita. E a lui... la vita nell'accezione pura e giusta del termine era stata negata e tolta.
«Se io non fossi passato da quel corridoio...» gli rispose, la voce bassa e gli occhi persi «Probabilmente avresti ucciso quell'infermiera e ora saresti ancora là, a vivere chiuso tra quattro mura. Ed io...». Ed io, pensò, io non avrei una vita, perchè quella che avevo non era tale. Era solo trascinarsi avanti tra sguardi di indifferenza e un cuore malato che gli faceva sperare si fermasse per sottrarlo a tutto quanto una volta per tutte. E non completò la frase che stava incominciando. Sempre molto capace di far notare agli altri con una freddezza crudele il punto della situazione, ma reticente a mostrare qualcosa di se stesso.
Si chiese se davvero quella stanza li avrebbe cambiati e ripensò a quei nomi, quegli adesivi, quelle incisioni, quei poster, quelle scritte che infestavano le porte di molte stanze lì su quel piano dell'edificio. Le sopracciglia si corrugarono appena nell'immaginare se, prima o poi, sulla loro porta qualcosa ci sarebbe stato scritto, come testimonianza che qualcosa, nella calma piatta, nell'asettica solitudine, era mutato.
Sentì un sobbalzo delle proprie membra abbandonate quando Juugo si lasciò cadere di fianco a lui, sul materasso, con quell'atteggiamento così libero che la presenza di un dottore o una stanza d'ospedale aveva represso in una maschera di rassegnazione che sfiorava la depressione.
Ruotò il collo nella sua direzione, guardò il punto in cui si sarebbero trovati i suoi occhi, avvertendo una scossa nella propria mente. Una vita diversa era quella che aveva desiderato a lungo ed in cui aveva smesso di sperare da altrettanto. Gli era stata negata per troppo tempo, una vita diversa.
E, infine, era ciò che cercava lì, nella camera 151, era forse ciò che cercavano tutti e due.
«Non penso a niente di diverso» gli rispose, lapidario e probabilmente inaspettato.
Si sollevò sul letto, voltando la schiena verso l'altro e guardando il sole del pomeriggio morente e la lunga ombra della scuola sull'asfalto atraverso la finestra.
E la sua bocca si mosse in un sussurro leggero, impercettibile, quasi pudico. «Prima non avevo niente».
No, non aveva niente con cui fare paragoni.
Da quel che ne sapeva la sua anima così giovane e già così stanca ed affranta non c'era una vita prima, non c'era una base per immaginare. Prima di quel giorno, sì, di quel fortuito giorno che Juugo aveva nominato con tanta enfasi, aveva scordato come si desiderava. Solo allora aveva pensato alla vita e cambiarla.
Per quanto ne sapeva, la sua vita cominciava ora.
Ora, lì con l'altro ragazzo, davanti al quale, dopotutto, la sua di vita poteva apparire quasi piacevole, quantomeno degna di essere vissuta.


Juugo Tendou



Si accigliò leggermente vedendo la schiena del compagno al bordo del letto. Fece uscire tutta l'aria presente nei polmoni in un sonoro sbuffo, non lo capiva per l'ennesima volta.
E come sempre si chiese come facevano a sembrare così simili se in realtà le diversità c'erano. Eccome se erano presenti.
La solitudine era il loro collante.

«No, non ci credo» Juugo incrociò le mani sotto il capo, sempre tenendo quel leggero cipiglio insolito per le sue solite espressioni neutre e caute. «Tutti sperano, o perlomeno immaginano, una vita migliore.
Se non avessi sperato nei medicinali, se non avessi immaginato una via di fuga da quella non vita, se non mi fossi fidato di te, io mi sarei ucciso all'istante.»

Sembrava surreale come situazione: l'ombra più scura di una sera imminente, il materasso che accoglieva quelle parole taglienti, l'espressione di Kimimaro celata dalla sua stessa schiena.
La coscienza di un assassino che trapelava da quelle semplici confessioni.








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Sabato sera e io mi ritrovo senza sigarette e Sky con una caviglia rotta; come ha fatto lo sa solo lei: l'unica cosa da sapere è che si è fatta tutto da sola il che sottolinea la sua idiozia.
Seconda cosa, entrambe siamo pressate tra contest e varie cose quindi ci scusiamo per il ritardo, o meglio mi scuso perchè dovevo postare io.
Terza cosa, 13d08c81, ragazza dal nick impronunciabile ti adoVo.
Grazie della recensione: è sempre bello trovare altri fan di 'sti due complessati *___* E poi i complimenti fan sempre piacere, (però non farne troppi se no Sky si gasa e la perdiamo), speriamo di non averti deluso con questo capitoletto, facci sapere.

Devo perdere sta mania di iniziare a parlare al singolare e poi di finire al plurale, è sneravante come cosa >_<

Un bacio, July.

PS: Ah, se fate confronti tra i pezzi non sono io pigra a scrivere e Kupòcchan che non sa fermarsi XDDDDD

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Capitolo 7
*** Le chiavi di un mondo - parte IV ***


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Le chiavi di un mondo - parte IV

Kimimaro Kaguya



Corrugò le sopracciglia sul suo viso, la maschera di indifferenza si ruppe, mostrando un'emozione complicata, terribilmente difficile da definire.
Sembrava turbamento, sembrava irritazione, sembrava una sorda sofferenza che mutava in rabbia. Sembrava molte cose, la sua espressione nascosta, ma che cosa era effettivamente era arduo da dire. E dentro... dentro di sé avvertiva un turbamento che si trasformava in un tono freddo, che costruiva la sua armatura.
«Dopo un po' si smette di sperare che le cose cambino» ribatté, con le labbra increspate ed un tono lapidario che chiudeva il suo spirito in una corazza.
Sapeva di essersi arreso molto prima di quanto avesse fatto Juugo, sapeva di aver ceduto all'indifferenza e proseguito a vivere con un'ostinazione che sopravviveva per forza d'inerzia. Chiudere l'anima agli sguardi che non riceveva da chi avrebbe dovuto amarlo era stata l'unica maniera che aveva trovato per salvarsi da una pressante disperazione; e presto aveva cancellato tutte le illusioni dalla propria mente.
Juugo qualcosa a cui aggrapparsi l'aveva avuto.
Aveva potuto credere di trovare una cura, una salvezza. Lui aveva una cura che poteva salvarlo. Ma c'era solo per le malattie che ammorbavano il suo tempo addietro perfetto corpo, e tuttavia quei farmaci non erano mai riusciti a farlo sentire meno inutile.
Una sorta di spina si infiltrò nella sua coscienza, un qualcosa che gli diceva, con invidia e un certo astio represso dal tempo, che, dopotutto, era stato lui quello a passare la vita peggiore tra i due.
Ma, sempre lì in quella stessa coscienza, si sentiva restio a provare simili sentimenti nei confronti di Juugo. Perchè l'altro si era fidato di lui. In quello stesso momento gli aveva detto che era stato lui, Kimimaro, a salvare la sua vita che stava cadendo a pezzi, o forse che non c'era mai stata, affogata nella paura del proprio stesso io e del timore di un futuro che non c'era.
Juugo si era fidato, aggrappandosi a lui con una personalità che, alla normalità, era più debole di quanto apparisse.
In un istante, per solo quell'istante, pensò che alle volte anche lui si sarebbe tolto la vita volentieri. Si domandò cosa gli avesse fatto scegliere di andare avanti; se la sua freddezza, il pensiero di tentare di andarsene da quel luogo che non era una casa una volta raggiunta la maggiore età, o che altro.
Le sopracciglia persero quell'aria corrucciata che possedeva una rabbia così controllata da sembrare minacciosa. Tornarono a fargli assumere quell'espressione apatica con una punta di pensierosa malinconia.
Si voltò di nuovo, senza più guardare fuori dalla finestra le nuvole macchiate dal rosso del sole morente.
Quando i suoi occhi arrossati videro il cipiglio sul volto dell'altro, pensò che, se da lì dovevano ricominciare assieme tutto quanto, non avrebbe dovuto trattarlo così. Il cinismo impietoso che spesso sfoggiava finiva per ferire il suo compagno oppure per irritarlo, ormai l'aveva compreso dalle innumerevoli ore passate nell'ospedale a parlare, dove però non avevano mai toccato argomenti eccessivamente intimi.
Piegò le gambe sul letto, tenendo fuori le scarpe, e fissò l'altro coi suoi occhi verdi contornati da pelle appena irritata.
«Ma ti sei fidato» gli rispose con la voce molto più calma, molto più nei suoi standard, e la consapevolezza delle sue stesse parole lo scaldò appena, sorprendendolo. «Ora puoi avere la vita che volevi».
Nonostante avesse sentenziato che aveva smesso di sperare da tanto, desiderò che quel che stava dicendo a Juugo valesse anche per lui. A sperare aveva ricominciato, supponeva, da quando aveva chiesto a quel dottore il nome dell'altro, nel corridoio, o forse già quando era scattato in avanti per bloccarlo e aveva salvato per la prima volta la sua mente dalla pazzia.
Da quando l'aveva guardato negli occhi arancioni animati dalla follia, da quando quello psicologo gli aveva detto "si chiama Juugo".
Forse era da allora che un po' la sua anima aveva imparato di nuovo cos'era la speranza.

Juugo Tendou



«Possiamo, Kimimaro, possiamo avere la vita che volevamo.»

Stranamente vedere l'albino così fragile, così simile a lui nelle sue tante ore cupe, gli faceva salire una strana rabbia su per il corpo.
Juugo non si illudeva di essersi totalmente salvato dalla sua pazzia, quel ronzio continuo lo assordava ogni santa ora del giorno, ma non voleva sprecare un solo secondo di quella libertà. Juugo si detestava per essersi rialzato solo grazie a Kimimaro, per avergli complicato la vita, anche se questo continuava a ripetere che in fondo non aveva nulla; odiava ancor di più vederlo così perso nei suoi pensieri, rinchiuso in una bolla di sapone su cui tutti gli avvenimenti schizzavano via, si infrangevano come piccole gocce di pioggia contro l'asfalto.
Una remota parte del maggiore invidiava la sua indipendenza e non comprendeva come non potesse immaginare un futuro più prospero per sfruttarla al meglio.

Sollevò la testa dai palmi delle mani, appoggiandola sulla spalla destra: un leggero formicolio si presentò alla base del collo, a sinistra, dove delle macchie color caffellatte raggiungevano il mento. Soffiò infastidito, ben consapevole di quel piccolo avvertimento che il corpo gli spediva puntualmente ogni volta che si scaldava oltre il limite.
Cercò le sue gemme smeraldine respirando appena:
doveva restare calmo.

Kimimaro Kaguya



E nonostante tutto... nonostante tutto quelle parole così fiduciose che Juugo pronunciava con quel tono sicuro, un tono che sapeva di sicurezza, sembrarono annidarglisi nel centro del petto, e lì restare con un tiepido calore.
Deglutì saliva e gli occhi si illuminarono per un attimo sotto le sue sopracciglia corrugate. Stranamente, quasi irrealmente, non aveva risposta da dargli per quella sua frase. Lui, così tendenzialmente realista, in quel momento non voleva rispondergli con un commento cinico; non sentiva il consueto, torbido astio che gli strappava di bocca parole di un'insensibilità eccessiva.
Le iridi verdi fissavano il vuoto della stanza, i muri ancora spogli, le ante dell'armadio ed i cassetti aperti da cui sporgevano tutti i suoi vestiti, tutti quelli che era riuscito a portare con sé. Ed il suo sguardo aveva qualcosa di morbido nella propria costante malinconia.
Solo allo sbuffo che uscì dalle labbra dell'altro raddrizzò la schiena e alzò su di lui lo sguardo. L'espressione che gli scorse in viso la conosceva molto bene, troppo bene per restare indifferente. Il suo viso parve prendere improvvisamente vitalità, ed il suo corpo si mosse più velocemente di quanto avesse fatto fino a quel momento.
Gli si accostò, rapido, sedendosi di nuovo sul bordo del materasso, ed incontrò gli occhi arancioni che lo cercavano, febbrili, allarmati, tesi ed impauriti di fronte alla possibilità di cedere.
«Rilassati» gli disse, con quella voce così calma da avere un che di atono, di piatto. «Ci siamo solo noi due».
Era consapevole che una delle paure più grandi di Juugo era quella di impazzire e rischiare di uccidere qualcuno tra la gente, come forse aveva fatto in passato, Kimimaro questo non lo sapeva. Il fatto che fossero soli e che lui fosse pronto a calmarlo come faceva sempre, senza bisogno di nient'altro che non fossero i suoi occhi, era rassicurante per il compagno di stanza.
Le pupille gli scivolrono per un momento sulla carta dei tramezzini col tonno e la maionese. Avevano quasi fatto merenda all'ora di cena, ora non gli restava che di sistemare i rimanenti effetti personali sulla scrivania e comodini. Juugo, al contrario, non aveva più nulla da fare, considerati quanti pochi oggetti aveva portato con sé dall'ospedale. Più semplicemente, considerato quanti pochi oggetti possedeva al suo confronto.
Lui ne aveva tanti, sì. Ma non gli ricordavano nulla della sua vita, non erano legati a nessun buon ricordo e non teneva abbastanza a nessuna delle cose che aveva con sé. Per l'altro, pensava, ciò che aveva era l'unica ancora alle memorie di una frammentaria esistenza.
«Domani dovremo anche prendere l'orario delle lezioni» disse ad un certo punto, interrompendo il silenzio che spesso si impossessava del suo viso, e provando a trascinare gli argomenti di conversazione in acque più calme.
Juugo era ancora nervoso. Forse, dopo tutti quei repentini cambiamenti, dopo tutte quelle novità, non era ancora il caso di affrontare l'etica della loro vita o i desideri che, perlomeno lui, a stento aveva portato avanti.

Juugo Tendou



Per Juugo lo studio non era né un dramma né un nemico insormontabile.
Gli piaceva conoscere,ampliare i suoi orizzonti, farsi una cultura sempre più elaborata.
Comprendere attentamente una trentina di pagine al volo non gli era difficile, ma non era un fatto di intelligenza, solamente non aveva niente di meglio da fare e i libri erano sempre ben accetti per accorciare le ore e far vorticare più freneticamente i secondi.
Se c'era una cosa che amava particolarmente questa era la biologia e le varie materie ad essa associate, mosso dalla sua passione per gli animali e i loro vari habitat.
Spesso ai bordi delle pagine si appuntava varie note, con la sua grafia piccola e veloce che ironicamente assomigliava ad una rappresentazione di un convulso battito cardiaco , su quello che lo circondava: scriveva i nomi dei fiori di plastica che rallegravano l'ambiente, falsi, sì, ma fortunatamente uguali agli originali.
Quando si accostava alla finestra studiava gli alti alberi, ammirandoli d'estate e rimpiangendoli d'inverno, oppure qualche animale intrepido che, non si sa come, riusciva ad entrare furtivamente nella camera.
Almeno loro non avevano paura di lui.

Juugo lo guardò facendo un cenno d'assenso, non gli andava di parlare molto dopo quel breve allarme: se nelle ultime ore insieme a Kimimaro si era tranquillizzato non doveva abbassare quella purtroppo bassa barriera.
Scrutò il soffitto per qualche attimo, gustandosi le lente pause che spesso si infiltravano nelle loro discussioni.
Non erano silenzi imbarazzanti o pressanti, gli argomenti non mancavano di certo, erano i loro silenzi, le loro pause, i loro tempi, i loro sprazzi di solitudine.

«Già ed io devo rimediare gran parte dei libri di testo».















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Chi non muore si rivede. °O°

Ce ne ho messo assai di tempo per postare il capitolo, ma date la colpa ad un bel po' di casini (dicasi fottuta scuola) che mi hanno tolto il pc per un bel periodo.
Comunque. A me i capitoli sembrano corti da impazzire, non so voi. ò_ò Semmai esprimetevi che li allunghiamo. XD Anche perchè, in codesta maniera, non è che accadano molte cose. Vabbè, semmai divideremo la fic in più parti. =ç=
Le KimiJuu a me flippano. =ç= Ne ho già in testa un'altra assai più angst di questa qui, una roba da diventarci emo e tagliarsi le vene. XDD Vabbè, a parte questo, tra poco accadranno cose fighe. =ç= July confermerà, buhuahuauha. OçO

Ringraziamenti:

13d08c81, che ha un nick impronunciabile e che mi ha appena fatto venire una sincope nel tentativo di scriverlo. Alla fine ho usato il caro vecchio copia-incolla. XD Grazie per metterti a leggere i capitoli all'una di notte. Mi ha fatto un immenso piacere la tua recensione, davvero, mi rendo conto che non potevi dire granchè, ma solo il tuo pensiero mi ha gasata. =ç= Quindi, grazie e continua a seguirci. *_*

Grazie anche ai preferiti e alle seguite. Kimiamro e Juugo sono fighi, FUCK yeah [cit.]!

Kupò.

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