La Malafemmina

di virgily
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


La Malafemmina
 
Ore 14:37, residenza privata famiglia Cavallone.
Sebbene il cielo fosse dolcemente accompagnato da nuvole candide e da un sole splendente, quello era tutt’altro che un bel giorno, non per Miu almeno. Convocata senza motivo, la giovane sostava seduta su di una poltrona di pelle marrone; le gambe seducentemente accavallate, messe in risalto da un paio di parigine a righe nere e bianche. Quasi a tempo con le lancette di un grande orologio a cucù, la giovane faceva battere ritmicamente il tacchetto del piede portante sul pavimento di marmo color avorio. Se c’era una cosa che odiava di più al mondo, era aspettare. Lasciò scorrere il suo sguardo nei meandri del salotto: pareti chiare, mobili classicheggianti... quello squallore mediocremente perfetto le dava la nausea ogni qual volta che doveva parlare con lui. Osservando con suo disgusto che erano passati più di venti minuti buoni, il suo respiro cominciò ad accelerare con l’aumentare dell’intensità della sua rabbia; sarebbe stata capace di spaccare qualcosa. Rimanendo immersa in quel silenzio fastidioso sbuffò cominciando a giocare con una ciocca dei suoi capelli castani, quella che era sfuggita dalla sua acconciatura: una coda di cavallo. Si passò lentamente la punta della lingua sulle labbra, le sentiva secche e stufe... già, stufe! Fece allora schioccare la lingua e finalmente decisa si sollevò dal suo comodo poggio e si sistemò appena la minigonna a balze scura; non tanto per farsi notare dalla donna che lentamente giungeva verso di lei, probabilmente una domestica, bensì per andarsene: se Dino insisteva così tanto a farla aspettare, doveva per forza essere qualcosa di futile.
-Il signorino è pronto a riceverla- con voce zuccherosa e impostata la signora la osservò squadrandola dal basso verso l’alto, chiedendosi come facesse una ragazza così giovane e dall'aria innocente a far parte della mala.
-Ditegli pure che me ne sono andata. Infatti, è proprio quello che sto per fare. Non ho tempo da perdere, ho del lavoro da sbrigare io- affermò la più piccola con autorità e stizza. No, non era quello il suo vero carattere, ma da qualche tempo non aveva più un motivo per ridere, e tanto meno per prendere la vita con calma.
-Suvvia signorina Miu. Il signorino Dino ha detto che era molto importante... - avvicinandosi appena la “domestica adorata” dal giovane boss tentò, com'era di sua abitudine, di persuaderla a rimanere; dopotutto non era la prima volta che si ritrovava a doverla pregare per restare.
-Se era importante non mi avrebbe fatto aspettare venticinque minuti, non credete?- l’angolo delle sue labbra si sollevò appena, dipingendo un finto sorriso sul suo bel visetto di porcellana. Intuendo che questa volta non sarebbe riuscita a fermarla, la badante apprese che, come minimo, doveva accompagnarla alla porta come di dovere, e sperare che subito dopo il signorino non l’avrebbe sgridata. Seguendo dunque la donna dal passo lento e incerto, la misteriosa e affascinante ragazza percorse i meandri della residenza, cercando di trovare qualche particolare di quella casa che lei non conoscesse già. Quanto tempo aveva passato in quella magione quando era ancora una bambina. un sorriso malinconico si spense ancora prima di dipingersi sul suo viso; i tempi dei giochi erano finiti da troppo tempo oramai. Giunsero assieme nell'ingresso principale in pochi minuti: il grande portone in legno e metallo raffinato era spalancato proprio dinanzi a lei, facendo sì che la luce del primo pomeriggio potesse illuminare l’interno e le scale marmoree che si affacciavano ad esso e che conducevano al piano superiore.
-Ahh la mia Miu, sempre indaffarata: tra la famiglia e la gente da eliminare non trovi mai pace, giusto?- quella voce, così fresca e allegra; quella risata genuina e melodica che riusciva a infastidirla giunse proprio dalla sommità di quelle scale. Purtroppo la luce non era riuscita a mettere in risalto la sua giovane figura, tuttavia a quella domanda il corpo della giovane donna s’irrigidì di colpo, convincendola a fare retro front. Facendosi chiudere la porta alle spalle allora, Miu osservò come a piedi scalzi il ragazzo scendeva lentamente dalle scale, esponendole un sorrisetto e uno sguardo tutt'altro che puro e casto.
-Hai perfettamente ragione Dino. Tranne che per un piccolo particolare... - affermò lasciandosi avvolgere da uno dei suoi abbracci, intossicandosi per qualche microsecondo del suo odore, suadente e tentatore, che svanì non appena riuscì ad allontanarlo da lei poggiandogli ambo i palmi sul suo petto prestante e forte
-Io non sono tua... -  sussurrò penetrandolo con lo sguardo. Dino non poté farne a meno, e si lascio cadere per qualche istante nel profondo di quelle iridi verdi e ardenti. Tuttavia, non appena riusci’ a riemergere da quella spirale eloquente, si lascio’ il tempo di riflettere, concedendosi anche qualche lieve, ma ben studiato, sguardo alle sue labbra: così fine e docili; al suo collo elegante e sobrio e al suo corpo, florido e prosperoso degno di una cultura mediterranea. Già, detestava ammetterlo, ma quella bellezza non era sua.
-Futili dettagli. Dunque se vuoi seguirmi, gradirei parlarti nel mio studio- “la camera da letto” per chi ancora non avesse compreso il linguaggio dei Cavallone. Miu ci era entrata parecchie volte in quella stanza: enorme e rivestita da pareti candide con ricami dorati, i mobili sontuosi e preziosi... quel letto che troppe volte l’aveva invitata ma che mai aveva osato sfiorare. Certo, tra i due c’era del feeling, ma la castana mai si sarebbe concessa a uno come lui, e mai lo avrebbe fatto con un uomo. Odiava gli uomini, perché ritenendosi i superiori potevano ottenere tutto quello che volevano... ed era proprio un “maschio” a essersi preso quello per cui era nata: il suo titolo.
-Ebbene? Per quale motivo mi trovo qui? Stai per caso cercando un’ennesima scusa per portarmi a letto?- quasi con un ghigno malvagio la ragazza si poggiò alla scrivania del biondino. Sapeva bene che poteva sedersi sulla sedia libera, dopotutto era li apposta, ma sapeva altrettanto bene che seduta con le gambe accavallate sul suo mobilio lo avrebbe “stimolato” ancora di più. Perché questo in realtà era il suo gioco: fare la preziosa, e far cadere la vittima ai suoi piedi. Si fissarono intensamente, e dopo aver dato uno scossone al capo, il giovane si avvicinò appena poggiando le mani agli angoli della scrivania in legno intagliato e laccato, costringendola ad una vicinanza seducentemente spaventosa
-Purtroppo no piccolina. Devo comunicarti il volere di Reborn- sussurrò sulle sue labbra, accontentandosi dell’odore della sua pelle che cominciava ad allettargli una dolce e folle visione: lui steso su quel tavolo baciando la più piccola con una foga incontrollabile.
-Reborn? Cos’è successo?- domando’ incuriosita, perdendo immediatamente la sua espressione tutt'altro che innocente sostituendola con una più seria e concentrata.
-Vuole che ti accompagni da lui. In Giappone. Per conoscere e fiancheggiare Tsuna- immediatamente sia le palpebre sia le labbra della castana si spalancarono a forma di una grande “O”. Non poteva, ma sopratutto non voleva crederci:
-Io? Con il decimo?! Io?! Reborn è un pazzo se pensa che io... - con un lieve “shh” il biondo le aveva tappato la bocca con l’indice destro, passandogli la mano sinistra sulla guancia, come per coccolarla e rassicurarla al tempo stesso.
-lo so, lo so... Ma non è male, io lo conosco. Posso dire che è una persona bellissima-
-Tze’... scommetto che sia un bamboccio buono a nulla- affermò spavalda scansandolo scocciata; quel contatto fisico cominciava a stufarla, a farle mancare l’aria e così la sua libertà.
-Tuttavia quel bamboccio, essendo più grande di te di soli due mesi, si è aggiudicato la nomina di Boss dei Vongola... Mentre tu rimarrai soltanto un semplice sicario- il tono che stava assumendo la voce del giovane boss dei Cavallone adesso non era più dolce o infantile. No, stavolta Dino era diventato un vero e proprio provocatore... e sapeva bene qual'era il suo punto debole. Sebbene non volesse darlo a vedere Miu stava trattenendo le lacrime, perché quel titolo era suo, lo aspettava da una vita. E invece era sbucato lui, quel Sawada...
-Sempre se non lo ammazzo prima... - sussurrò abbassando di colpo lo sguardo, cominciando a fissare il pavimento. Stentava a crederci ma lo sguardo pesante e asfissiante di Cavallone cominciava a pesarle veramente.
-Ma come... - cominciò afferrandole spavaldamente il mento, portando quel bel visetto da bambolina al suo, tuffandosi nei suoi occhietti fragili e incupiti.
-La “Malafemmina” dei Vongola tradirebbe in questo modo la sua amata famiglia? Non è molto nobile da parte tua... - ridacchiando e ammiccandole un sorrisetto beffardo, il ragazzo osò passarle una mano lenta e provocante sulla gamba, carezzandole piano la coscia prima di strattonarla a sé; petto contro petto.
-Hai ragione. Il mio scopo dopotutto è portare avanti la famiglia, e per fare questo non ho bisogno di esserne a capo. Non ancora almeno- gli sorrise, sfidandolo con lo sguardo:
-Tuttavia... - gli occhi di Miu avevano ripreso a brillare, proprio come la lama del tagliacarte che stringeva nella mano destra, lo stesso che abilmente aveva puntato contro il petto del biondo.
-Togli le tue manacce lussuriose dal mio corpo se ci tieni al cuore... -
-Questa è la Miu che voglio... - affermò allontanandosi quel tanto che gli bastava per afferrarle la mano armata nella sua, riuscendo a portargliela dietro la schiena con maestria ed eleganza
-Ma che non avrai mai, mio caro amico... - gli rispose velenosa, puntandogli con la mano sinistra un spesso e acuminato ago d'acciaio alla gola, proprio un decimo di secondo prima che il Boss riuscisse a strapparle un bacio focoso e proibito.

*Angolino di Virgy*

Questa é la mia prima Fic su Tutor Hitman Reborn.  L'ho cominciato tanto tempo fa e oggi ho deciso di riprenderla e modificarla per renderla piú scorrevole. Prima non avevo ancora in mente una trama ben definita, ma adesso che mi sento nel pieno delle forze, ho pensato di approfittarne. Spero che vi piaccia!
PS: In questa Fic il mio obbiettivo é quello di cercare di mantenere i personaggi il piú IC possibile, ma per sicurezza ho preferito inserire il tag OOC (purtroppo le scelte di autore spesso portano a stravolgere certi caratteri complicati). Grazie per la lettura! 
Un bacio
-V-

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Beep-bep. Beep-bep

-Il grande Lambo è sveglio!!- quella vocina, stridula e euforica portò, anche per quella mattina, un brusco risveglio per il poveretto ancora immerso tra le lenzuola del letto. Spesso la mattina, per qualche minuto, gli capitava di ripensare a tutto quello che stava vivendo: lui... il “Boss” di una famiglia mafiosa. Soltanto il pensarci gli procurava un sapore aspro e un forte mal di testa. Dopotutto “ImbranaTsuna” ancora non si era abituato del tutto alla sua nuova vita. Sbadigliò sommessamente prima di riemergere del tutto dal suo caldo e sicuro nascondiglio. Portò le mani al cielo e con un ennesimo mugugno finalmente si sollevò in piedi. Aveva il passo lento e assonnato, ma era certo che dopo una bella doccia si sarebbe ripreso da quella stanchezza che da giorni, ormai, si portava addosso. E fu proprio così: non appena si lasciò travolgere dal getto di acqua bollente gli sembrò quasi che il suo corpo si alleggerisse di tutto quello stress, quelle preoccupazioni e i dubbi che da un bel po’ cominciavano a dargli problemi. Non gli piaceva per niente l’idea, ma sembrava che non potesse ritirarsi; la famiglia doveva essere mandata avanti, e lui era l’unico che poteva farlo. Asciugatosi alla buona, infilò la divisa di tutta fretta, sentiva lo stomaco auto logorarsi per la fame, e conoscendo le persone che ormai si erano “stabilite” in casa sua, se non ti facevi furbo rischiavi di rimanere a bocca asciutta.
-Buongiorno Tsuna!- almeno il sorriso dolce e sempre allegro di sua madre riusciva ad addolcirgli già di prima mattina quella giornata, che supponeva, sarebbe stata faticosa
-Devo parlarti Tsu...- affermò il bimbo seduto sualla destra con addosso un enorme cappello nero. Quel bambinetto... Il suo peggior incubo dal faccino dolce e tenero era misteriosamente entrato nella sua vita, ed era stato proprio lui a cambiargliela totalmente.
-Che succede Reborn? Non dirmi che è già venuto qualcuno ad uccidermi...- quella frase gli uscì dalle labbra non più come uno scongiuro, ma bensì assunse un tono scocciato. Amava la sua vita palesemente tranquilla, quella dove poteva limitarsi ad essere se stesso per andare avanti, anche se non era considerato da nessuno. Con l’avvento del suo futuro destino, invece, la sua dolcemente monotona giornata tipo era stata del tutto modificata: gente in visita per ucciderlo, strambi tipi appartenenti alla mala e un sacco di guai che avrebbero dovuto farlo crescere “sano e forte”
-No Tsu ma Dino sta venendo qui in compagnia di un membro della famiglia che ti fiancheggerà assieme agli altri- con volto quasi inespressivo il piccolo moretto si fece imboccare dolcemente dalla donna al suo fianco, la quale, con occhi estasiati e nel contempo affascinati da quella tenerezza quasi innocente, svolgeva volentieri quella “materna/amorosa” faccenda
-Cosa intendi dire?- domandò il castano sedendosi al suo posto, riuscendo a malapena a ingogliare un morso del suo toast. Sawada oramai si era convinto che per la decima generazione dovesse costruirsi da solo una “famiglia di giovani mafiosi”. Mai avrebbe pensato che qualcuno dei Vongola avrebbe lasciato la sua florida patria per svolgere le sue funzioni in Giappone.
-Beh, considerala come una “cugina”-
-Cugina?! Mi stai dicendo che è una femmina?-
-Beh? E che problema ci sarebbe al riguardo?- la voce fredda e spietata dela donna dai lunghi capelli rosati era riuscita a far raggelare il sangue del giovane con poche parole; se c’era qualcosa che incuteva terrore a Tsuna apparte il “pericolo”... beh, era Bianchi, la sorellastra di Gokudera ovvero una degli “infiltrati” nella sua dimora
-N-Nessuno-fu tutto quello che riuscì a dire; sentiva il sudore freddo, quegli occhi profondi lo avevano impietrito
-E per la cronaca non è una femmina qualsiasi. Ma la “Malafemmina” dei Vongola- per quanto l’accento del piccolo Reborn potesse farlo sembrare sciocco o buffo, il giovane sapeva bene che non doveva per niente sottovalutare quel nomignolo.
-È una killer assai dotata Tsu, e se non fosse per la tua esistenza, adesso sarebbe lei il decimo boss della famiglia- “E allora perché non gli fate fare a lei il boss?” pensò il ragazzo senza badare al fatto che il “piccoletto” fosse in grado di leggergli nel pensiero:
-Non essere sciocco. Essere il capo della famiglia è un vero e proprio onore.  E se lei ti avesse sentito, probabilmente saresti già deceduto. Per tanto ti consiglio di sfruttare quest’occasione per emularla. Ti sarà molto utile.- con fare sciatto e perfettamente tranquillo, il tutor non fece neanche caso al colorito della pelle di Tsuna, la quale era scolorita di colpo. Okay, era ufficiale, doveva essere pericolosa.
Grazie al cielo sua madre non aveva sentito il discorso di Reborn, era troppo impegnata ad andare ad aprire alla porta. Qualcuno si era già presentato a casa sua, forse Gokudera, o forse Yamamoto... anche se doveva ammeterlo, di rado quei due trovavano il coraggio di presentarsi assieme alle otto del mattino:
-Tsuna! Da quanto tempo!- quella voce spensierata ed euforica, quella zazzera bionda e quelle iridi scure, non era sicuro di quello che stava vedendo, ma di certo conosceva quel ragazzo affascinante e slanciato che si era fatto avanti: Dino Cavallone, Boss della famiglia Cavallone e suo grande amico, nonché “ex allievo” di Reborn
-Dino! Sono appena venuto a conoscenza della tua imminente visita!- ridacchiò il giovane sollevandosi dal suo posto, senza fare caso all’agilità con cui il marmocchio travestito da mucca ne aveva approfittato per rubargli quel che rimaneva della sua misera colazione.
-Dunque ti ha detto della persona che vado a presentarti!- sorridendo, il biondo scompigliò appena la folta chioma di Sawada, costringendolo ad abbassare lo sguardo
-Beh sì, della mia cuginetta... - affermò il giovane boss non facendo caso alla figura graziosamente poggiata allo stipite della porta con le braccia incrociate. Indossava la divisa scolastica della Namimori e una borsa sulla spalla, una sacca per la precisione... eh già, probabilmente sarebbe rimasta piu’ del previsto
-Chiamami cuginetta ancora e sarò costretta a farti dei dispetti... - “chiamami ancora una volta cuginetta e ti ammazzo nel sonno” questa in realtà era la frase che stava per uscire da quelle sue fine e reosee labbra; purtroppo le parole le erano morte in gola, la signora Sawada era presente, e non poteva permettersi di destare sospetti.
-Miu! Cara! Ohh ma sei diventata grande! Eri appena in fasce quando ti ho visto l’ultima volta- la signora Sawada corse immediatamente in contro alla fanciulla che non vedeva da svariati anni. Era bella la piccola Miu, proprio come se l’era immaginata in quei momenti di cupa nostalgia in cui si rimetteva a pensare al passato. Ancora ricordava di averla tenuta tra le braccia, così piccina e fragile.   
-Oh grazie zia!- affermò lasciandosi avvolgere dalle braccia sottili e gracili della donna. Ricambiò l’abbraccio, assaporando il suo dolce profumo materno. Era piacevole, dopotutto, quella sensazione di calore, di amore. Sollevò appena lo sguardo, perdendosi in quell'ingenua docilità che colorava gli occhi della donna. Sciolse infine l’abbraccio, e gli occhi di Miu si puntarono una seconda volta sul “decimo”: aveva un’espressione contrita, stupita. Riusciva a leggervi l’imbarazzo impresso su di essa. Senza dire nulla Tsuna accennò un saluto con la mano. Era impacciato, timido, insicuro. Stentava a crederci ma era lui il boss.
- E noto con piacere che anche Tsuna è cresciuto parecchio!- aveva sorriso, e falsamente stava recitando una delle parti che gli venivano meglio: la “Miu docile e tenera”, l’angioletto che non avrebbe fatto mai del male neanche a una mosca. Ma in realtà non riusciva a fare a meno di provare una rabbia velenosa che le tormentava le membra. Dal canto suo, ignorando i veri sentimenti della ragazza, quello che sconvolse Tsuna non fu tanto il fatto che “la Mala Femmina” fosse una bellissima ragazza della sua età, bensì che sua madre si ricordasse di lei, e che si stesero parlando come se nulla fosse.
-Oh Tsu non fare quella faccia! Perdonalo tesoro…- affermò sua zia, carezzando amorevolmente la buffa chioma del figlio.
-Nessun problema! È comprensibile non ci vediamo da molto tempo. Fortunatamente però frequenterò l’istituto Namimori, come Tsuna. Perciò avremo molto tempo da passare assieme. Dino è stato così gentile da accompagnarmi a fare l’inscrizione questa mattina presto.- spiegò la giovane, volgendo un ultimo sguardo al giovane boss dei Cavallone, il quale immediatamente le sorrise languido.
-E dimmi, mia cara, dove starai per tutto questo tempo?- domandò la signora Sawada fiancheggiandola. Miu fece per rispondere ma fu immediatamente zittita dal giovane Dino, che circondandole le spalle con il braccio affermò:
-Può restare da me per tutto il periodo. Per me non è un peso- “Anzi, tutt’altro…” aveva un sorriso tirato e fastidioso. La sua affermazione era più maliziosa di quanto sperasse, e un brivido percorse immediatamente la colonna vertebrale della castana.
-Oh, peccato. Sarebbe stato bello averti qui con noi, volevo presentarti a tutti i nostri amici!- disse dispiaciuta la donna, indicandogli con lo sguardo la ragazza dai lunghi capelli rosati e i due piccoli bambini che restavano silenti in cucina: uno travestito da mucca, piuttosto irrequieto, e poi il piccolo Reborn. E fu proprio quando gli occhi della femmina s’incontrarono con quelli del killer neonato che Miu fu colta da un lampo di genio:
-Beh, in questo caso…- cominciò volgendosi verso il suo amico molesto, sfilandosi dalla sua presa
-Dino sei gentilissimo, però mi piacerebbe davvero restare con mia zia e mio cugino. Puoi perdonarmi?- eccola lì, la voce soffice, le ciglia lunghe che sbattevano ritmicamente. Ci era riuscita, lo aveva fregato, di nuovo. Dino sbuffò, facendo roteare gli occhi al cielo.
-Come posso negartelo?- rise, amaramente. Avrebbe voluto davvero che la ragazza fosse rimasta da lui, ma doveva ammettere che era stata più che abile nel rivoltare la situazione in suo favore, e non gli restava che accettare la bruciante sconfitta.
-Oh che meraviglia Miu! Non sai come mi rendi felice!- la donna l’abbracciò nuovamente, e la piccola sicaria si sciolse appena in quel secondo contatto.

***
Quasi andando in escandescenza, Tsuna si era accorto che erano in uno spaventoso ritardo, e correndo a perdifiato il decimo boss dei Vongola si fermava a riprendersi dallo sforzo compiuto ai cancelli dell’Istituto Namimori, e nel frattempo la mala femmina osservava suo cugino dall’alto in basso mentre quest’ultimo s’incurvava in se stesso con il fiato mozzato. Per dieci minuti di corsa il suo capo era stremato, al contrario suo che era ancora fresca, come una rosa. Si sentì presa in giro. Dopotutto si trattava dell’allievo di Reborn, e una figura del genere era a dir poco vergognosa.
-Ti sei ripreso?- domandò infine incrociando le braccia, guardandolo di sottecchi
-Sì, grazie…- rispose fiancheggiandola,
-Non ringraziarmi- disse secca, priva di alcuna emozione. Cominciarono ad aggirarsi per l’ingresso della scuola; nonostante i loro sforzi, le lezioni erano già cominciate e non c’era anima viva che potesse spiegargli in quale classe fosse stata assegnata Miu.
-Questo è un disastro, se Hibari ci scopre…- Tsuna non fece neanche in tempo di finire la frase che la castana se lo guardò infastidita
-Hai davvero paura di un professore?-
-Oh no, lui è il presidente del comitato disciplinare, che è molto peggio- confessò l’altro, cominciando a guardarsi intorno per evitare spiacevoli incontri. Ma a distogliere la sua attenzione, giunse la risatina beffarda della cugina, che al contrario non sapeva a cosa stavano andando in contro.
-Non essere ridicolo Tsu! Sicuramente sarà il solito ragazzo vissuto con atteggiamenti dispotici- rispose ignorando il fatto che qualcuno si stesse avvicinando ad ampie falcate dietro di loro. Sawada trattenne appena il fiato quando lo vide, pregando che non l’avesse sentita. Intuito il cadaverico pallore che stava sbiancando le gote del suo capo, la giovane si girò appena, scorgendolo al fondo del corridoio che si faceva pericolosamente vicino. Infatti, era proprio lui: con le spalle fasciate da una pesante giacca scura, lo sguardo serio e rovente.
-Voi due- ringhiò –Siete in ritardo. La campanella è suonata da un bel pezzo…- come da aspettarsi, si trattava di Sawada, ma con sua sorpresa si trovava con una ragazza. La guardò affondo, studiandole i lineamenti del viso, il colore degli occhi e il taglio di capelli, giungendo alla conclusione finale che non aveva mai visto quella giovane aggirarsi per la scuola. Strano, perché lui conosceva tutti gli studenti del suo istituto.
-Tu- disse burberamente rivolgendosi alla castana –Dimmi chi sei-
Alla sua domanda la giovane trattenne a stento un risolino divertito, inarcando il sopracciglio destro verso l’alto. Dunque quello che aveva davanti doveva essere quel fantomatico “Hibari” di cui il suo boss aveva tanta paura. Lineamenti affilati, occhi famelici. Come suo solito aveva indovinato: giovane con atteggiamenti dispotici, la sua definizione gli calzava a pennello.
-No- secca, spavalda, coraggiosa. Aveva persino incrociato le braccia al petto, e cosa peggiore osava guardarlo fissa negli occhi. Senza ritegno, indisponente.
-Cosa?- era stupito della sua compostezza. Doveva essere una nuova studentessa, perché nessuno aveva mai avuto la sfacciataggine di rispondergli in quel modo.
-Hai sentito bene. Chiedimelo per favore e forse ti risponderò- udite quelle parole Tsuna, che quasi tremava al suo fianco, deglutì cominciando seriamente a temere per la sua vita. Questa volta sua cugina stava esagerando. Inutile dirlo,  Kyoya Hibari stava per “azzannarle la gola”. Il giovane presidente carezzò i manici nascosti dei suoi tonfa, pronto a sfoderarli e farla finita. Dal canto suo, la femmina aveva intuito la sottile aria di violenza che cominciava a sorvolare su di loro, si avvicinò con un movimento impercettibile delle dita alla cintura che le incorniciava la gonna, la quale era la culla dei suoi piccoli “giocattoli”. Pensò che come primo giorno di scuola non sarebbe stato per nulla noioso, e che un po’ di “ginnastica” di prima mattina le avrebbe giovato. Tuttavia, proprio quando il giovane boss dei Vongola cominciava a temere il peggio, quel bambino che tutti amavano e odiavano al tempo stesso, fece il suo plateale ingresso ponendosi agilmente nel mezzo tra i due sfidanti, interrompendoli proprio sul più bello:
-Non è il momento adatto per i giochi, Miu- sebbene il suo aspetto e la rotondità paffuta delle sue guance rendessero quasi impossibile un’espressione seria sul suo viso tondo, la donna sapeva bene che al contrario gli avvisi di Reborn erano tutt’altro che da sottovalutare. Tsuna fece un sospiro di sollievo, mentre Hibari lasciò immediatamente la presa dalle sue armi. Se quel bambino, strano a dirlo ma suo valido rivale, li aveva interrotti doveva per forza esserci un motivo. Miu strinse forte i denti, e con disappunto si rivolse al suo potenziale avversario.
-Sono Miu Sawada. Ho fatto l’iscrizione questa mattina…- odiava doversi arrendere, ma Reborn glielo aveva espressamente ordinato, e non poteva disubbidirgli. Era rabbiosa, oltre che dal timbro secco della sua voce, Kyoya lo intuiva anche dal veleno rovente che le folgorava le iridi chiare.
-Secondo piano, terza classe, non puoi sbagliare. E adesso sparite- era serio, composto e inespressivo. Ma quando gli diede le spalle e fece per dileguarsi nella stessa maniera con cui era comparso, l’angolo sinistro delle sue labbra fine si sollevarono piano verso l’alto, disegnando un ghigno maligno che si scolpì indelebilmente sulle sue labbra: “Miu Sawada. Schedata”.     

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Proprio come aveva sospettato il ritorno a scuola era più noioso del previsto: compagni troppo tranquilli e ingenui, materie inutili, esercizi controproducenti. Fosse stato per il suo istinto primario e brutale, avrebbe fatto una strage e sarebbe scappata via, magari a fare una passeggiata. Era del parere che si apprendevano molte più cose nella vita concreta che sui libri. Respirava un’aria pesante, rarefatta. Oppressa da quelle quattro mura color pastello che limitavano la sua libertà. Rimase immobile, composta sulla sua seggiola, con lo sguardo rivolto di là della grande finestra che dava al cortile della scuola. C’era un bellissimo sole, e il vento trasportava con sé il dolce profumo dei fiori. Per qualche decimo di secondo, le venne la nostalgia dell’Italia, la sua terra, la sua casa. Nei ricordi d’infanzia, rammentava piuttosto bene che giornate stupende come quelle le trascorreva a giocare liberamente, senza allenamenti o missioni da compiere, semplicemente godendosi la sua tenera età. Sospirò sommessamente, tentando di dare attenzione a quell’insulsa lezione che disgustava il suo intelletto. Osservò con non curanza la lavagna che lentamente si macchiava di tanti piccoli numeri e lettere di gesso, e costatando che la maggior parte dei suoi colleghi la stesse osservando con gli stessi occhi di chi tenta di leggere in una lingua mai studiata prima, fece roteare le sue iridi verdognole volgendole al soffitto, esasperata. Doveva uscire da lì… E alla svelta. Ci pensò su giusto un paio di secondi, poi fece un respiro profondo. Trattenne il fiato tra i tre e i cinque minuti, giusto il tempo di permettere al suo cuore di accelerare il suo battito cardiaco, simulando un improvviso sbalzo di pressione. Sette minuti totali ed era fuori dalla classe come se niente fosse: “Dovresti riposarti un po’ nell’infermeria. Non hai una bella cera” le aveva detto il professore. Ghignò appena, compiaciuta del suo tentativo di evasione riuscito con successo. Vagò per qualche minuto poi per i lunghi corridoi dell’istituto, chiedendosi quale sarebbe stata la sua prossima mossa. S’imbatté, senza neanche rendersene conto, nelle scale che portavano direttamente al terrazzo della scuola, “Poco male” si disse “un po’ d’aria fresca non può farmi altro che bene”. A passo lento, gradino dopo gradino, giungendo alla piccola porta metallica che la separava dalla tanto desiderata libertà. Prese un sospiro di sollievo non appena le sue mani sfiorarono il pomello laccato di nero del portoncino, spalancandolo immediatamente dopo. I raggi del sole del primo pomeriggio scaldarono le sue spalle con un abbraccio gentile, e quell'agognata brezza, che aveva immaginato quando era ancora incastonata nel suo banco, sembrò una soffice carezza ristoratrice per le sue gote accaldate. Respirò a pieni polmoni, gustandosi quel piccolo attimo di libera perfezione. Poi, quando le sue palpebre si schiusero lentamente, i suoi occhi verdi, come fari si puntarono sulla figura distesa al suolo, con le spalle posate sulla ringhiera che circondava tutto il perimetro dell’ampio terrazzo. Gli occhi chiusi, l’espressione serena. I capelli corvini danzavano a ritmo con il vento, a circondargli le spalle una giacca scura. Era lui, il “presidente del comitato disciplinare”, il giovane che l’aveva fulminata appena aveva messo piede nell’istituto. Dormiva profondamente, cullato in chissà quale piacevole sogno. Stentava a crederci: lui, così austero e glaciale… “Eppure così fragile…”.
-Non è affatto fragile, mia cara- la corresse una vocina familiare che la colse alle spalle. Voltandosi di scatto, Miu riconobbe quel piccolo bambino dalle capacità sovraumane, l’unica persona che non avrebbe mai voluto come nemico:
-Hibari non perde mai la guardia. Soprattutto in momenti come questi. Ha il sonno molto leggero…- le confessò.
-Ah davvero?- l’angolo destro delle labbra rosee della castana si sollevò verso l’alto. Ora sapeva come spendere il suo tempo libero senza sprecarlo.
-Allora svegliamolo, il bell’addormentato- ridacchiò appena cominciando ad avviarsi in direzione del giovane ancora addormentato.
-A tuo rischio e pericolo Miu. Non è il tipo che ama essere svegliato- l’ammonì il piccolo arcobaleno. La giovane si arrestò di colpo, giusto il tempo di penetrarlo con lo sguardo. All'interno delle sue iridi chiare, Reborn poteva leggervi una luce rovente. Eccola lì: l’audacia spregiudicata della mala femmina dei Vongola.
-Questa volta resta ad ammirare lo spettacolo, Reborn. Sarà divertente te lo prometto- affermò spavalda, sfilandosi abilmente il fiocco rosso che le costringeva la camicetta allacciata attorno al collo. Poi, tenendo quel misero lembo di stoffa tra le mani, la ragazza lo lasciò andare alle grazie del vento. Questo, si lasciò trascinare in una sinuosa piroetta, che in pochi ma estenuanti istanti, lo portarono al suolo, emettendo un suono pressoché impossibile da percepire. Reborn rimase immobile in una stoica compostezza esteriore; gli occhi felini e agghiaccianti del giovane si spalancarono di colpo, famelici e rabbiosi proprio come quelli della più temibile delle furie. E fu in quel momento, quando le iridi polverizzatrici e spettrali di Kyoya si puntarono su quelle di Miu che quest’ultima, al contrario, gli sorrise.
-Sembra proprio che tu non voglia arrivare a fine giornata- costatò serio, sollevandosi pesantemente dal suo comodo poggio. Non le piaceva il modo in cui lo stava guardando: quegli occhi spavaldi, troppo sicuri di sé; quelle labbra, fine e inarcate in un cenno di sfida.
-Così pare…- rispose la giovane, incrociando le braccia al petto. Le lunghe onde brune fluttuavano appena con il fioco passare del vento, mettendo in risalto la forma del viso dolce ma tutt’altro che indifesa. Un silenzio asfissiante, caricato da un’elettricità palpabile e ardente, calò sopra i due giovani sfidanti. Prontamente, Hibari fece scivolare tra le sue mani le sue fidate armi, mostrando i due micidiali tonfa che non avevano mai risparmiato nessuna delle sue vittime. Osservando con attenzione il genere di sfidante che andava a combattere, Miu accentuò ulteriormente il suo sorriso audace. La sfida si prospettava più interessante di quanto pensasse. Fu un gesto difficile da mandar giù per il giovane presidente, che stringendo ulteriormente le sottili dita candide attorno ai manici della coppia di tonfa, serrò la mascella, quasi digrignando i denti
-Fossi in te, toglierei quel ghigno strafottente dalla faccia. Perché ora ti azzanno la gola…- disse, mettendosi in posizione. Un risolino sottile e divertito giunse canzonatorio all’orecchio del ragazzo.
-Non vedo l’ora…- lo stava incitando, e questo accresceva quel furore che gli logorava le membra. Era lei, quella Miu, ad accendere un così vasto fuoco dentro di lui. Lei, e quel suo maledetto atteggiamento che lo istigava a tirare fuori il peggio di sé. Si morse appena il labbro inferiore, decidendo infine che finalmente fosse giunta l’ora della resa dei conti. Partì in carica, pronto per sfoderare uno dei suoi potenti colpi. Ma a mano a mano che si avvicinava, con mente lucida e sangue freddo, pronto a esaminare ogni possibile mossa della sua avversaria, Kyoya si rese conto che la giovane, al contrario, rimaneva immobile, fissandolo mentre si avvicinava sempre più. Doveva aspettarsi qualcosa, deduceva che non si trattava di una strategia arrendevole o di un misero bluff. C’era un trucchetto sotto, e lui lo avrebbe svelato. Giunto a pochi passi da lei, con uno scatto fulmineo, attaccò direttamente a quel bel viso che tanto lo inorridiva. Uno schiocco dal suono metallico si propagò per l’intero terrazzo, infrangendo quella spessa barriera del silenzio che li aveva circondati. Senza minimamente scomporsi, infatti, Hibari osservò e studiò fin nei minimi particolari, il passaggio repentino delle sue mani, che brandendo due aghi spessi e aguzzi di acciaio pararono senza il suo colpo senza alcuna difficoltà. I loro occhi, gelidi e incandescenti al tempo stesso da un lato, e quelli ammalianti e audaci dall’altro, si mescolarono per la prima volta a una vicinanza tale che potevano quasi raggiungere le porte delle più intime segrete del loro stesso essere. Il moro si allontanò subito, lasciando spazio al contrattacco della piccola Sawada. Agile come un felino, la giovane avanzò sferrando tagli netti e precisi con i suoi lunghi senbon fendendo l’aria, squarciandola. Se non fosse stato in grado di schivarli, probabilmente Hibari avrebbe riportato gravi ferite al petto. Quasi a passo di danza, si destreggiò in un’elegante piroetta che terminò in una doppia stoccata. Un fruscio leggero accompagnò il braccio di Kyoya che arrestò uno dei due colpi, mentre il secondo ago aveva sfiorato di qualche millimetro il suo cranio. Languida e silenziosa, una solitaria gemma color cremisi solcò il volto asciutto e affilato del giovane. Un graffietto superficiale, quasi insignificante da punto di vista clinico. Ma per quanto riguardava il suo orgoglio, quella ferita era assai più profonda. Prese un respiro profondo, e cogliendola alla sorpresa, con un gancio destro colpì dritto lo stomaco della castana con l’estremità superiore del tonfa. Le si mozzò il fiato di colpo, e costretta a piegarsi contro il suo nemico, non poté evitare un secondo colpo che lasciò una lieve lesione sulla sua guancia destra. Miu assaporò appena quel sottile sapore amarognolo del suo sangue che fuoriuscì dall’angolo delle sue labbra. Hibari era molto forte, e quel dolore pareva malinconico, sublime. Scatenava in lei certi ricordi che la inondarono di una forza d’animo ancora più determinata. Si scagliò contro di lui, e sebbene fosse riuscito a bloccare nuovamente i suoi senbon, la breve distanza che separava i loro corpi permise a Miu, con un potente colpo di testa, di colpire in pieno la fronte dell’altro, costringendolo ad indietreggiare. E in quel breve intervallo, come due carezze, soffici e quasi impercettibili, gli aghi pericolosi della femmina trovarono nuovamente una breccia: una nuova ferita battezzò il perimetro della sua mascella, mentre un taglio netto e obliquo sfilacciava la camicia del moro proprio all’altezza del cuore. Era brava, non era un’avversaria da sottovalutare, e questo stimolò i tizzoni ardenti del suo essere combattivo. Con uno slancio, impulsivo e brutale, il giovane si scagliò come una furia su di lei, colpendole con forza lo sterno. Poi, spingendola violentemente contro la parete che li separava dall’ingresso all’istituto, Hibari la disarmò con maestria, immobilizzandola per poi porle un tonfa premuto sul collo e l’altro contro la bocca dello stomaco. La cassa toracica di Miu cominciò a sollevarsi freneticamente. Le sue armi erano a terra e lei era bloccata tra il corpo del presidente del consiglio disciplinare e la solida parete di cemento. Lo sguardo furioso e bramoso di sconfiggerla del giovane la penetrava da parte a parte, inchiodandola. Si era ritrovata in situazioni peggiori, eppure, in quel breve istante, il suo cuore perse un colpo. Nel profondo delle sue iridi crudeli e inespressive, la mala femmina riusciva a leggervi un certo amore per il combattimento che mai aveva visto prima.
-Arrenditi- le ordinò schietto e severo, premendo ulteriormente alla gola, facendola sussultare
-Mai- ringhiò a denti stretti, colpendolo all’improvviso con il pugno chiuso. Un vistoso rossore gli colorò il viso pallido, mentre con rabbia l’afferrava per le spalle, voltandola e stringendola con veemenza contro la parete, costringendole il braccio dietro la schiena. Faceva male, come una scossa elettrica lungo tutto il braccio, le spalle, e la schiena. Ma la giovane Miu era abituata a trattenere il dolore con il silenzio. Non disse una parola, neanche quando sentì le ossa scricchiolare sotto la sua possente presa, e la spalla slittare con irregolarità, facendole prendere l’uso del braccio destro. Trattenne il fiato, soffocando in un gemito l’urlo che stava per squarciarle la gola. Compiaciuto del suo lavoro, Hibari finalmente la lasciò andare dalla sua presa, osservandola cadere in ginocchio con l’arto a penzoloni. Il suo volto ora era mascherato dalla frangia bruna che gli impediva di guardare con sprezzo la sua espressione dolorante e mortificata.
-Sono stato magnanimo. Potevo finirti, ma non l’ho fatto…- osservandola dall’alto in basso, freddo e senza pietà, Hibari pensò che in fondo non era stato male. Il loro incontro era stato breve, intenso… quasi perfetto. E proprio per questo, proprio perché si era dimostrata valida in campo, aveva deciso di risparmiarla, limitandosi a lussarle il braccio. Tuttavia, un suono inconsulto e sgradevole giunse al suo udito, riportandolo con i piedi per terra. Uno scricchiolio macabro, inquietante. Immediatamente abbassò lo sguardo sulla giovane che aveva già reputato per sconfitta. Rideva, ma la sua voce era coperta dalla melodia prodotta dalla sua spalla, che rumorosamente tornò al suo posto. Una volta terminata la dolorosa pratica nella quale sembrava essere specializzata, gli occhi magnetici e velenosi della ragazza tornarono a sfidare il giovane che nel frattempo la torreggiava.
-Dovevi eliminarmi quando ne hai avuta la possibilità. Adesso facciamo sul serio- e rapida, notevolmente molto più svelta di quanto era stata finora, si gettò sul moro, completamente disarmata, affidandosi alle sole mani nude. Rispondendo con affondi secchi e aggressivi, Hibari costatò divertito che se messa sotto pressione, sicuramente in svantaggio, la giovane riusciva ad adoperarsi in maniera più efficace e saliente.
-Sei un’erbivora piena di sorprese tu- confessò il giovane. Cogliendo la sfumatura maligna di quell’appellativo “scomodo”, l’angolo destro delle labbra della ragazza s’inarcò verso l’alto, e un luccicore infervorante accecò il suo sguardo. Così, con l’adrenalina che pulsava veemente nelle sue vene, evitò l’ennesimo affondo, e con una grazia felina fece un balzo elegante e ben assestato che gli permise di “scalare” la schiena e le spalle del giovane, con le gambe legate attorno alla vita e le braccia serrate attorno al collo e alla testa in una presa strategica che gli permise, di passare in vantaggio. Avvinghiato dalla presa sensuale del suo corpo, Hibari si dimenò come una bestia selvatica appena catturata quando sentì la gola stringersi e chiudersi piano al volere della pressione esercitata dalle braccia apparentemente esili e gracili della fanciulla. E sbarrò gli occhi quando all’improvviso, cogliendolo di sorpresa, sentì la sua bocca morbida e vellutata sfiorargli il lobo dell’orecchio con la stessa delicatezza di un petalo che, staccatosi dalla sua corolla, cade al suolo.
-Io non sono un’insulsa erbivora- sussurrò piano, e il suo fiato dolce sembrò una languida carezza tentatrice
-Posso essere molto più pericolosa di così- quasi gli girava la testa, non tanto per il fatto che cominciasse a mancargli il sangue al cervello, più per il fatto che quella voce, bassa e suadente stesse cominciando ad entrargli in testa, a fargli il lavaggio del cervello. Era pericolosa, sì in tutti i sensi. Lasciò cadere le armi dalle sue mani, che cadendo al suolo produssero un suono metallico e sgradevole. Ma non si stava arrendendo al suo volere. In realtà si preparava per la sua liberazione. Infatti, diede un potente scossone alla testa, annullando e cancellando dalla mente ogni traccia di quel contatto che aveva rischiato di macchiare la sua interiorità. Poi, portò velocissimo le mani sulla sottile figura appollaiata sulle sue spalle, afferrandola di peso per scaraventarla al suolo. La situazione si capovolse tutta a un tratto, scandita dall’immediato impatto del corpo di Miu contro il pavimento, durante il quale sentì la colonna vertebrale fremere e una caviglia cedere. Ora Kyoya Hibari era sopra di lei, torreggiandola a cavalcioni sul suo grembo, tenendole le mani per i polsi saldamente premuti contro il pavimento. Le morbide ciocche color cioccolato formavano dei raggi tutti attorno al suo capo, le labbra secche e spaccate erano dischiuse, alla ricerca di aria; e i suoi occhi, i suoi grandi fari verdi erano imprigionati dentro quelli di lui, ma non mostravano alcun segno di resa.
Per il suo orgoglio, quella donna che finalmente teneva in pugno rappresentava una vera e propria minaccia, non solo a livello fisico, ma anche mentale. Era diversa. Sapeva come fare la guerra, e volendo sapeva pure come vincerla.
-Basta così…- affermò in fine, abbassando lo sguardo.
-Basta così?- domandò la giovane sotto di lui quasi indispettita. In quel momento poteva aspettarsi di tutto da uno come lui. Tutto tranne questo.
-Sì- disse smontando dal suo corpo. Sollevandosi a fatica sui gomiti, la ragazza lo osservò basita.
-E il “ti azzanno alla gola” che fine ha fatto?- domandò beffarda, canzonatoria. Non poteva essere tutto finito così, non voleva, non ora che erano entrati nel vivo della loro competizione. Hibari la fulminò con uno sguardo agghiacciante.
-Tranquillizzati donna. Non finisce qui…- Miu sospirò di sollievo. Quell’Hibari era interessante, dopotutto. E sebbene non lo avrebbe mai confessato a nessuno, lottare contro di lui si era mostrato più eccitante di quanto potesse immaginare
-Vieni…- disse poi, freddo e austero, porgendole la mano –Ti porto in infermeria- stupita da quell’inconsulto gesto di cortesia, la malafemmina si lasciò aiutare.
E Reborn, che nel frattempo era rimasto in disparte a osservarli, era assai compiaciuto da quello che aveva visto. Si chiese se tra quei due non sarebbe scaturito poi un qualcosa di diverso, un legame più profondo. Stentava a crederci, ma forse una svolta di questo tipo sarebbe risultata necessaria per il bene della famiglia.

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Il ticchettio incessante dell’orologio appeso alla parete scandiva perfettamente il pesante silenzio che si era venuto a creare all’interno dell’infermeria non appena il giovane Kyoya Hibari aveva fatto il suo ingresso. Solitamente ci si aspettavano le sue povere vittime che erano state pestate a sangue e senza alcuna pietà, ma ritrovare il presidente del comitato disciplinare in persona, seguito a ruota da una bella ragazza, destava insoliti sospetti.
-Prego…- il giovane dottore dalle occhiate affabili immediatamente fece scivolare uno sguardo malizioso e attento lungo il corpo sinuoso della giovane studentessa, senza soffermarsi sul suo delicato ovale.
-Visitala. E sbrigati- gli ordinò il ragazzo riportandolo immediatamente con i piedi per terra.
-Non ne vedo il motivo. Sto bene- rispose con fare scocciato la giovane alle spalle del ragazzo. Era una voce squillante, vellutata e sotto certi versi familiare all’orecchio del dottore, che per la prima volta da quando erano entrati nel suo studio finalmente si decise a guardare il faccia quella bella ragazza di cui poco gli importava se non il fisico. E fu proprio in quel misero istante, quando mise bene a fuoco il suo sguardo su quel ghignetto roseo e quegli occhi felini che Shamal sbiancò di colpo. Era rimasto folgorato, e non necessariamente in modo positivo. Dal canto suo, la piccola Miu fin dal primo momento aveva ben osservato ogni movimento di quell’uomo dalle fattezze tanto familiari quanto disgustose, e non appena si rese conto che anche lui doveva averla riconosciuta, per lei fu piuttosto difficile trattenere un ghignetto divertito alla sua reazione.
-Tu stai zitta e fa come ti dico- senza neanche rivolgerle uno sguardo, Hibari l’aveva zittita con fare autoritario e dispotico, facendole salire i nervi a fior di pelle. Miu odiava essere comandata a bacchetta, soprattutto da lui. Quella sua voce fredda e inespressiva era un tormento per le sue orecchie, per non parlare della sua espressione perennemente sorniona e rigida. Lo detestava, in tutto il suo essere. Eppure, ancora non riusciva a darsi una spiegazione per cui lo trovasse così dannatamente affascinante. Sbuffò, roteando le iridi chiare contro il soffitto, superando il moro per andarsi a sedere sul ciglio del piccolo lettino per le visite. Il dottor Shamal immediatamente si alzò dalla sua scrivania e andò frettolosamente a serrare le candide tendine che gli avrebbero concesso un minimo di privacy. Sapeva che molto probabilmente Hibari sarebbe restato a fare la guardia, perciò doveva stare molto attento. Fronteggiò allora la sua giovane paziente, la quale gli sorrideva argutamente accavallando graziosamente le gambe l’una sull’altra, scrutandolo con degli occhi talmente grandi dai quali persino lui poteva intravedervi una rabbia repressa trasudargli da ogni dove.
-Allora, signorina …?-
-Sawada Miu- rispose lei con un ghigno eloquente
-Miu… Bene. Allora signorina Miu, mi dica cosa si sente- affermò il dottore, avvicinandosi appena, osservandola di sottecchi, in un vano tentativo di svolgere il suo lavoro.
-Nulla. Sono soltanto scivolata per le scale e Hibari è stato così gentile da accompagnarmi qui.- il sarcasmo palesava a ogni sua piccola parola, e mentre si approcciava a massaggiarle le spalle, Shamal lasciò che l’angolo destro delle sue labbra s’incurvasse appena verso l’alto. Le fece cenno di sbottonarsi appena la camicetta della divisa scolastica, quel tanto che le bastava per farla calare lungo le spalle, permettendogli di vederle la schiena maculata da piccole chiazze livide e vecchie cicatrici. Purtroppo la sua innata indole da donnaiolo stava cominciando a prendere il sopravvento, e restare calmo in una situazione del genere, con quella bella pelle nuda e vissuta, e le bretelline del sottile reggiseno di pizzo in bella vista, beh inutile dire che trattenersi per lui era assai difficile.
-Scivolata per le scale eh? Ma che maldestra signorina…- la provocò appena, lasciando scivolare le sue grandi mani esperte lungo tutta la sua schiena, costatando che il colpo subito al contrario doveva essere stato causato da un impatto ben più grave di un semplice scivolone.  Ma come al solito fece finta di niente. Quando si trattava di Kyoya Hibari tutti facevano finta di niente. Quasi in una frazione di secondo, la giovane si era voltata di scatto, e le sue dita sottili e agili avevano afferrato il morbido cravattino del dottore; e tirandolo con forza lo aveva costretto ad accorciare sensibilmente le distanze tra i loro corpi. Nascondendosi appena nell'incavo del suo collo, portandogli allora le labbra all'orecchio destro, la piccola Miu sussurrò piano con fare deciso e serio:
-Continua così e ti spezzo le mani, Shamal-
-Oh, anche tu mi sei mancata- ridacchiò bofonchiando appena a causa della pressione sul collo dovuta al nodo della cravatta che man mano si stringeva sempre di più tra le mani candide della ragazza.
-Fossi in te comunque, farei attenzione a quel tipo. Anche se so che non mi darai retta…-
-Perspicace il dottore…- concluse la giovane studentessa con un risolino divertito, lasciandolo finalmente andare. Con un leggero colpo di tosse, Shamal concesse un ultimo sguardo alla bella Mala Femmina dei Vongola, la stessa che aveva incontrato in missione qualche anno prima, la stessa ragazzina che un tempo stava per portargli via il cuore, letteralmente. Era affascinante, era pericolosa… e sicuramente se Reborn l’aveva fatta scomodare dall’Italia doveva esserci un motivo.
-Bene! Direi che ha soltanto un graffietto. Si riprenderà in fretta signorina!- esultò tornando nelle sue più consuete vesti da dottore, scostando appena la tenda per osservare che, come aveva previsto, Hibari era rimasto allo stipite della porta, con i suoi occhi agghiaccianti perennemente puntati su di loro, come un condor pronto per afferrare e trucidare le sue prede.
-Allora?- domandò infine il ragazzo, inchiodando il giovane dottore da parte a parte con il suo solo sguardo, facendolo quasi rabbrividire.
-Non riporta nulla di grave. Un bel sonno ristoratore e le passerà tutto. Fortunatamente è stato solo uno… scivolone- non gli piaceva il modo in cui il dottore aveva pronunciato quelle ultime parole. Si sentiva una leggera punta di sarcasmo mista a dell’insolenza, e Hibari sapeva bene che gliel'avrebbe fatta pagare per questa sorta di mancanza di rispetto. Sentitosi fulminare dai suoi occhi chiari e glaciali, il dottor Shamal fece un piccolo inchino con il capo, e senza dire nulla si congedò, lasciando i due ragazzi soli all’interno dell’infermeria. Miu si stava finendo di aggiustare la camicetta con tutta calma. Percepiva lo sguardo pesante e indagatore del moro dietro di lei, e intuiva che non doveva essere un tipo molto paziente. Proprio per questo motivo aveva deciso di spendere molto tempo nel ricomporsi. Voleva irritarlo, studiarlo. E sebbene ancora cercasse di comprendere per quale, motivo quello spocchioso le interessasse tanto, doveva ammettere che gli piaceva stuzzicarlo. Era il suo unico motivo per non detestare quell'insulsa scuola. Era la sua cavia, il suo avversario prediletto.
-Sai, non ti facevo così- affermò lei improvvisamente, voltandosi appena di tre quarti contro di lui. E Hibari la vide: con la camicia ancora sbottonata per una buona parte, il merletto dell’intimo chiaro che s’intravedeva appena dalla morbida stoffa appena sgualcita. Eppure rimase impassibile, non era certo una simile vista che lo avrebbe fatto fremere. Piuttosto ad attirare il suo sguardo, per un misero lasso di tempo, fu la sua pelle pallida macchiata da piccole chiazze violacee, e con sua sorpresa, anche da piccole cicatrici quasi trasparenti. Fu questo dettaglio ad attirare la sua completa attenzione, anche se ne ignorava completamente il perché.
-Così come?- domandò lui di rimando con tono ovviamente scocciato. Quella ragazzina gli stava facendo perdere molto tempo prezioso, anche se doveva ammettere che non tutto il periodo trascorso in sua compagnia poteva considerarsi come sprecato.
-Il tipo che resta in infermeria dopo uno scontro-
-E infatti non lo sono- rispose lui secco, -Di solito gli erbivori inutili li lascio marcire lì dove cadono. Ma con te voglio assicurarmi che ti riprende in fretta. Io e te non abbiamo ancora terminato il nostro duello- Hibari fece una piccola pausa, sollevandosi appena dallo stipite della porta, restando in piedi a osservarla, sempre tenendo le braccia conserte.
-Come vedi non ne avevo bisogno. Comunque grazie…- un leggero silenzio calò su di loro, e mentre la ragazza cominciava a sblusare leggermente la sua camicetta infilandola sgraziatamente all’interno della minigonna a quadri, Hibari non smise mai di tenerla d’occhio, osservandola in ogni sua piccola mossa.
-Prima ti sei riposizionata la spalla tempestivamente e senza alcuno sforzo. Come hai fatto?- le domandò improvvisamente il giovane presidente, spezzando quel breve silenzio che era piombato su di loro.
-Beh, come hai potuto notare, non sono una ragazza molto tranquilla- gli rispose lei con un sorrisino sincero, forse il primo che espose in tutta la giornata.
-Ho solo imparato a cavarmela- gli disse infine, finendo di abbottonarsi la divisa, osservando compiaciuta, che proprio come qualche istante prima, lui non faceva altro che guardarla. Come se anche lui stesse cercando di studiarla, di capire per quale motivo, pur detestandosi tanto, quei due non facevano altro che trovarsi interessanti a vicenda.
-Allora ti è piaciuto lo spettacolo?- domandò infine lei, beffarda, quasi facendogli un inchino appena terminò di rivestirsi a dovere.
-Mi interessa la tua personalità. Il tuo corpo non mi fa né caldo né freddo- mentì senza alcuno sforzo.
-Davvero?- la ragazza, dal canto suo, gli espose un sorrisetto malevolo e malizioso mentre a passo svelto accorciava piano piano le distanze tra loro, arrivando perfino a fiancheggiarlo. E allungandosi appena, quel tanto che gli bastava per potergli quasi soffiare in viso, la ragazza gli espose uno sguardo talmente incisivo che persino per Kyoya Hibari fu difficile da ignorare:
-Strano… eppure mi è parso di sentirti vibrare prima, quando ti avevo in pugno- ridacchiò lei quasi malevola e seducente, abbassando la guardia proprio perché si stava divertendo a stuzzicarlo, senza prevedere che come una furia, il corvino la afferrò per il collo, sbattendola violentemente contro il muro adiacente all’ingresso dell’infermeria. Inevitabilmente la bruna, a seguito del forte impatto contro la parte, aveva inarcato schiena contro il ragazzo, accorciando ulteriormente le distanze tra i loro petti.
 -Non avevi in pugno un bel niente, donna- ringhiò quasi famelico, aumentando la presa attorno al suo diafano collo. Un sussulto timido sgusciò appena dalle sue labbra quasi serrate, ma non appena sentì la fitta dolorosa attenuarsi, Miu espose nuovamente un ghignetto divertito dalla sua reazione.
-E allora p-perché ti scaldi tanto eh, Hibari?- sogghignò lei in un sussurro soffocato.
-Sei irritante-Quella ragazza era incredibile. Non la smetteva mai di provocare, anche quando era in svantaggio e senza alcuna via di fuga. Ma era proprio qui che si sbagliava, perché nel frattempo, mentre erano intenti a sfidarsi con parole audaci e sguardi roventi, Miu aveva portato una mano alla sua gonna, estraendo un senbon da una piccola giarrettiera nascosta sotto la divisa. Con agilità allora punse il polso del moro, il quale allentando la presa si ritrovò pochi istanti dopo, con la schiena perfettamente spalmata contro il muro, e la piccola Miu che gli sorrideva mentre gli puntava l’acuminato senbon di acciaio contro la gola. Era stata una mossa intelligente, e la messa in pratica era stata impeccabile, non poteva nasconderlo. Le espose uno sguardo compiaciuto mentre la bruna accorciò ulteriormente le distanze tra i loro visi:
-Non sarà anche per questo che ti piaccio tanto?- ridacchiò lei consapevole di aver toccato un tasto dolente. Era la provocazione suprema, e sapeva che probabilmente le avrebbe azzannato la gola per una tale audacia, ma per il momento, quella con il coltello dal lato del manico era proprio lei.
-Strafottente erbivora…-
-Ah-Ah- Miu sussurrò piano, premendogli appena l’ago nella morbida carne pallida del suo collo,
-Preferisco quando mi chiami donna- rise infine lei, sobbalzando per la sorpresa quando, con un gesto del tutto repentino e impulsivo, Kyoya l’afferrò per le spalle, e senza neanche disarmarla, la portò nuovamente con le spalle al muro, rischiando che lo penetrasse con il suo micidiale senbon.  Ma la giovane Miu aveva una piena padronanza delle sue armi, e non mosse un muscolo, dopotutto non avrebbe rischiato di uccidere il suo l’oggetto del suo divertimento.
-Facciamo così, donna: domani sera, al parco comunale alle otto- il moro fece una breve pausa, quel tanto che gli bastava per potersi inoltrare nella sua soffice chioma color cioccolato, portandole le labbra contro il lobo destro, facendola vibrare impercettibilmente sotto di lui:
-E questa volta ti azzanno alla gola- le soffiò con un tono di voce basso e roco, talmente graffiato che la bella Miu lo trovò piuttosto seducente per le sue orecchie.
-Oh ci sarò, puoi contarci Hibari- rispose lei, ridacchiando.

“Oh mio dio…” Pensò il giovane Tsuna senza riuscire a tenere a freno quella marea di pensieri sconclusionati che come dei flash cominciarono a mostrargli nella mente immagini di sua cugina e Hibari. Immagini che mai si sarebbe sognato di poter anche solo pensare nell’anticamera del suo cervello. Ecco il fatto: Tsuna era stato avvertito che sua cugina era stata mandata in infermeria per un malore, e sinceramente preoccupato della sua condizione, aveva ben pensato di andare a trovarla, e magari di recarle un po’ di conforto. Non la conosceva bene, anzi era più giusto dire che non la conosceva per niente, ma sperava nel profondo del suo cuore che sarebbero riusciti a legare. Certo, non era una ragazza facile: era fredda, sfrontata, ma sentiva quasi a pelle che in realtà sotto la corazza della malafemmina della famiglia Vongola, Miu non era altro che una ragazza buona, sensibile, e chissà magari anche dolce. Tuttavia, non appena aveva svoltato l’angolo con il corridoio che portava all'infermeria, il giovane Sawada aveva sentito un rumore inconsulto, un boato piuttosto forte. Così si era avvicinato di soppiatto e quasi affacciandosi dallo spiraglio aperto della piccola porticina socchiusa della sala, i suoi occhi ingenui osservarono come sua cugina fosse stata letteralmente braccata proprio dal peggiore dei suoi incubi: Kyoya Hibari. Tsunayoshi sapeva che quella mattina Miu si era messa nei guai sfidando in quel modo il presidente del comitato disciplinare, e sapeva che lui non gliel’avrebbe fatta passare liscia. Pensò che forse dovesse fare qualcosa, da quel poco che vedeva almeno, Miu gli sembrò inerme e disarmata.  Hibari era di spalle e la teneva compressa contro il muro. Poi, quasi trattenendo il fiato per la sorpresa, Tsuna riuscì ad ascoltare qualcosa:
-Facciamo così, donna: domani sera, al parco comunale alle otto- osservandolo poi mentre si cucciava pericolosamente contro il collo di sua cugina, non riuscendo a capire quale fosse il suo intento, ma quasi meccanicamente il suo buon senso gli suggerì che forse le voleva sussurrare qualcosa… o forse le stava baciando il collo:  “oh mio dio” pensò, “Hibari le ha chiesto un appuntamento…No, no IMPOSSIBILE!”. Quasi sgranando gli occhi, osservò appena sua cugina sollevare le labbra in un piccolo sorriso, e aguzzando bene l’udito gli parve di sentirla dire:
-Oh ci saró, puoi contarci Hibari- ridacchiando contenta. “Oh Dio” pensò nuovamente, “Non sta succedendo per davvero!”.
 
*Angolino di Virgy*

Dopo secoli, e secoli e secoli, tra peripezie varie e blocchi dello scrittore ho finalmente capito che razza di trama dare a questa storia che avevo accantonato per un po', alla ricerca della musa ispiratrice. Ho apportato qualche piccola modifica hai capitoli precedenti giusto per rendere la storia piú scorrevole. Per quanto riguarda il capitolo, non so se sia venuto proprio come lo volevo, ma spero solo che abbiate capito le mie buone intenzioni. Voglio scrivere dei capitoli piuttosto intensi, non solo per quanto riguarda la lotta continua tra Hibari e Miu, ma anche sul suo effettivo ruolo in tutta la storia. Non mi resta altro che sperare che il capitolo vi sia piaciuto, e mi auguro che lascerete qualche recensione, giusto per farmi sapere se la storia vi piace o se c'é qualcosa da migliorare. Sono aperta a qualsiasi genere di commento o critica costruttiva, chi mi conosce poi lo sa, amo complicarmi la vita e spesso ho bisogno di qualche consiglio. Grazie mille per aver letto il capitolo.
Buona notte, un bacio!
-V-
  
 
   

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Il suono della campanella aveva finalmente sancito la fine delle lezioni, e per tutta la giornata Tsuna non aveva avuto alcuna notizia di Miu, a parte per quel piccolo “imprevisto” in cui era incappato durante la pausa pranzo. A dire il vero ne era ancora turbato. Non riusciva a capacitarsi di un evento così fuori dal comune: certo non poteva assolutamente permettersi di affermare di conoscere sua cugina, ma da quel poco che aveva potuto notare quella stessa mattina, il suo temperamento audace e sprezzante del pericolo mai gli avrebbero fatto pensare che fossero qualità che potessero “andare a genio” al temibile presidente del comitato disciplinare della Namimori.
-Beh, però pensandoci bene ha senso quello che avete visto, decimo- affermò nel bel mezzo del corridoio Gokudera, quasi leggendogli nel pensiero.
-Che intendi dire?-   Tsunayoshi non capì il senso delle sue parole, tanto che dovette aggrottare le sopracciglia in attesa di una sua ulteriore spiegazione:
-Non conosco di persona vostra cugina decimo, ma trattandosi della Malafemmina dei Vongola, una delle donne più spietate, se non la più spietata e astuta della malavita italiana, mi pare piuttosto scontato che sia riuscita ad affascinare anche quello psicopatico di Hibari, per quanto anche io faccia fatica a credere che quel misantropo possa provare un interesse “di quel tipo” nei confronti di un’altra persona al di fuori di sé stesso-
-Ma magari hanno soltanto fatto amicizia! Che ne sai? Dopotutto poverina è nuova, doveva sentirsi molto sola oggi! - ridacchiò di rimando Yamamoto con il suo intramontabile sorriso a trentadue denti, ovviamente ignorando tutto il discorso fatto dal suo compagno dai capelli argentei. Però il discorso di Hayato dopotutto non faceva una piega: il suo piccolo e fastidioso tutor non si era risparmiato di elogiare le sue doti; tuttavia il giovane boss non riusciva proprio a non pensare a quanto tutto ciò fosse assurdo, e che ci fosse qualcosa che certamente non andava. Se lo sentiva, e doveva scoprirlo. Sebbene Reborn confidasse nelle sue potenzialità da killer, Tsuna non riusciva a non essere preoccupato per lei. In fondo era pur sempre un membro della sua famiglia che stava letteralmente giocando con il fuoco.
-Spietata?- ripeté appena il castano –No, Miu non sembra affatto spietata…- lo corresse il decimo boss, esponendo un piccolo e timido sorriso. Stava ripensando a come sua madre l’aveva accolta a casa, al barlume dolcissimo che aveva visto accendersi nei sui grandi occhi chiari quando la sua genitrice l’abbracciò per la prima volta.
“Oh, come ti sbagli piccolo Imbranatsuna” Miu non aveva perso tempo. Appena udita la campanella si era immediatamente avviata alla ricerca del suo boss, giungendo alle spalle dei tre ragazzi proprio nel bel mezzo della conversazione e senza che loro se ne accorgessero. Solo il fatto che suo cugino pensasse una cosa del genere le fece immediatamente capire quanto Tsuna fosse di buon cuore, ma ancora troppo debole e innocente per il suo ruolo. Un ghignetto divertito e languido si scolpì sulle labbra fine della giovane, prima che accelerando potesse fiancheggiare i tre ragazzi.
-Tsuna!- anche Gokudera e Yamamoto si voltarono di scatto udita quella voce squillante e gioiosa, osservando la giovane con uno sguardo attonito e sorpreso: il moro immediatamente le sorrise, porgendole la mano e presentandosi a dovere. Miu era molto sorridente, e pur mostrando una spensierata aria tranquilla e innocua, del tutto conforme al ruolo di adolescente “normale”, Gokudera percepì immediatamente l’aura scura e combattiva che l’avvolgeva. Sentì una tempra fuori misura, ma certo non poteva stupirsi: finalmente aveva davanti la famosa Mala Femmina, ed era certo che lei fosse una carta vincente per la costituzione della famiglia e per la protezione del suo prezioso decimo. Quasi le porse un inchino riverente, presentandosi a dovere. E agli occhi della fanciulla, nel frattempo, la vista dei due accompagnatori di suo cugino fece quasi tirare un sospiro di sollievo. Era brava a capire l’indole di una persona alla prima occhiata: sembravano piuttosto forti, e certamente in grado di poter proteggere il suo boss in una potenziale situazione di disagio, e raramente Miu sbagliava le sue impressioni.
-Che dici andiamo? - domandò a suo cugino, accennando un timido sorriso
-C-Certo!-
-Allora a domani Decimo! Faccia attenzione! - affermò Gokudera salutandoli poco prima di uscire dall’edificio, perennemente in pensiero per il suo giovane boss. Volse poi lo sguardo contro le grandi iridi chiare della ragazza al suo fianco, sollevando piano l’angolo delle labbra, cinico:
-È stato un piacere, signorina Miu-
-Anche per me…- rispose lei, osservandolo sorniona. E fu in quello sguardo così distaccato e impassibile che Hayato sentì un piccolo brivido freddo percorrergli la colonna vertebrale.
-Ciao Tsuna! Ciao Miu! - ridacchiò a sua volta anche Yamamoto per poi avviarsi verso l’uscio assieme al suo compagno dinamitardo. Miu rispose alla freschezza del moro con un cenno gentile della mano, sorridendogli ampiamente. I due cugini osservarono per qualche istante i ragazzi uscire dal cancello principale, bisticciando sotto una leggera brezza primaverile proprio come due migliori amici che in realtà si conoscevano da tutta una vita. Fu in quel breve istante di silenzio che Tsunayoshi pensò a quanto fosse fortunato ad avere due compagni come loro.
-Fanno parte della famiglia, non è vero? - domandò improvvisamente la castana al suo fianco; rispetto a qualche secondo prima, il sorriso dolcissimo che restava impresso sulla sua bocca si era spento in un battito di ciglia, lasciando il posto a un’espressione seria e concentrata, e questo suo mutamento improvviso lo fece quasi sbiancare.
-S-Sì…- le rispose lui, abbassando appena lo sguardo, quasi intimidito dalla sua occhiata austera.
-E ti fidi di loro?-
-Ovviamente, sono i miei amici…- alla sua affermazione genuina e spontanea, Miu quasi si lasciò sgusciare un risolino divertito.
-Bene- disse lei, secca, cominciando ad uscire dall’istituto, invitando suo cugino a seguirla di fuori, nel cortile:
-Ne avrai bisogno di persone come loro. Gente fidata, ma soprattutto che sia disposta a dare la vita per te. Tieniteli stretti finché puoi, Tsunayoshi- gli occhi grandi e indagatori dell’enigmatica Miu si voltarono alla ricerca di quelli scuri e docili del suo giovane boss, ma proprio quando i loro sguardi stavano per incrociarsi, qualcosa attirò l’attenzione della Malafemmina: un brillio grigiastro provenire dai piani più alti dell’edificio; due occhi spietati e glaciali che la fissavano da una finestra remota della scuola media Naminori. Eccolo lì, il suo cacciatore. Ancora una volta la stava guardando con un’accezione di una sfida fatale intrisa nelle sue iridi chiare. E come una calamita lei si sentì inesorabilmente attratta da un tale pericolo. Ci fu un nuovo attimo in cui un pesantissimo silenziò calò su di loro, e inarcando elegantemente il sopracciglio, la piccola Sawada si portò lentamente una mano alle labbra, lasciando sulle sue stesse dita l’impronta di un soffice bacio a fior di pelle. Soffiò poi quel provocante “guanto di sfida” in direzione di quella finestra lontana. Istigare Hibari era pericoloso, ma oramai la giovane era talmente coinvolta da quell’intrigante situazione che quasi non poteva farne a meno. Era diventata l’audace preda di un famelico predatore, e questo gioco probabilmente era l’unica cosa che riusciva a farla sentire veramente viva in un mondo in cui lei non era altro che un misero sottoposto. Dal canto suo Tsuna aveva osservato tutta la scena, basito. Era rimasto letteralmente senza parole: Miu aveva lanciato un bacio a Kyoya Hibari proprio lì, sotto i suoi occhi; e questo lo fece quasi inorridire. Fissò con i suoi grandi occhi scuri la sottile figura affacciata alla finestra del penultimo piano della scuola, osservandolo sparire nell’oscurità con uno sguardo feroce e rovente. Una risatina acuta scoppiò tra le labbra fine di sua cugina, cogliendolo alla sprovvista e riportandolo con i piedi per terra:
-Andiamo via Tsuna, per oggi mi sono divertita abbastanza…- affermò la castana voltandogli le spalle, tornando seria. Cominciò a seguirla, senza proferire alcuna parola. Detestava ammetterlo, ma quella ragazza era veramente strana. Sfidava l’impossibile, incurante delle conseguenze. Come se nulla potesse toccarla. Le parole di Hayato allora gli rimbombarono nuovamente nella testa, e forse per la prima volta il decimo boss della famiglia Vongola si chiese chi diavolo fosse davvero la sua piccola Miu.

***

Il mattino seguente, per il giovane Tsuna un’ennesima giornata all’insegna della follia stava per avere inizio, e questo lo intuì dal fatto che ad accogliere lui e sua cugina all’ingresso dell’istituto Namimori ci fosse il corteo completo dei sottoposti di Kyoya Hibari, con il loro presidente dallo sguardo severo e composto proprio in mezzo ai suoi sottoposti. E mentre tutti gli altri studenti si sentirono altamente in soggezione al dover sfilare innanzi a così tante persone dallo sguardo truce, per la prima volta Tsuna al contrario loro si sentì ignorato da quegli occhi glaciali ed inquietanti. Effettivamente quel paio di iridi feroci avevano ben altro da scrutare: un fisico asciutto e slanciato fasciato dalla divisa scolastica; degli occhi verdi dal colore rovente e un ghigno audace stampato sulle labbra rosee. E mano a mano che la giovane Sawada si avvicinava a lui, più il suo sorrisetto soddisfatto e divertito sembrava dilatarsi sul suo morbido ovale. Si sentiva quasi lusingata da una tale premura, e questo non riuscì a nasconderlo neanche a sé stessa. La castana stava lentamente rallentando il suo passo, quel tanto che le serviva per potersi arrestare proprio davanti al suo cacciatore prediletto, portandosi le braccia conserte al petto senza mai annullare la pericolosa connessione tra i loro sguardi. E in quel breve lasso di tempo non soltanto Tsuna, ma anche tutti gli studenti della scuola media Namimori sembravano aver perso un battito nel ritrovarsi spettatori di una scena così atipica, e per forza di cose anche spaventosa:
-Carini i tuoi bambolotti…- constatò senza neanche degnarli di uno sguardo. D’altronde erano del tutto superflui quelle insulse marionette dal suo punto di vista. Era lui l’unica persona che valesse il suo tempo all’interno di quella scuola.
-Ma se stavi cercando un modo per compiacermi bastava anche che mi porgessi un fiore…- affermò infine, portandosi una mano alle labbra per nascondere un risolino divertito e provocatorio.
-Questa ragazza si sta prendendo gioco di noi! -
-Dovremmo darle una lezione per la sua impudenza di fronte a Hibari! - i suoi sottoposti avevano cominciato a vociferare chiassosamente, allettando ulteriormente lo stimolo del riso sulla bocca della ragazza. E sebbene si percepisse in maniera evidente che l’atmosfera stava cominciando a surriscaldarsi, il giovane presidente, dal canto suo, mantenendo il suo intramontabile atteggiamento stoico e composto si limitò a sollevare una mano segnalando a tutti i suoi sottoposti di fare silenzio (se davvero ci tenevano alla vita). E non appena un silenzio tombale e quasi monastico calò sull’intero corpo studentesco della scuola media Namimori, ecco che i suoi occhi felini e roventi si puntarono come un’arma letale contro quelli della bella castana: immobile davanti a lui, ansiosa di ricevere una sua risposta.
-Ti sopravvaluti un po’ troppo per pensare a una cosa così insulsa- cominciò il moro mantenendo un’espressione fredda e distaccata nei suoi confronti. Poi accorciò pericolosamente le distanze con la giovane, superando di qualche centimetro la normale soglia di intimità umana. E si fissarono ancora: occhi verdi e furbi da una parte, iridi grigie e impassibili dall’altra. In realtà, era quasi come se riuscissero a parlarsi con quegli sguardi, destreggiandosi all’infinito in una lotta per la conquista della supremazia, del pieno controllo dell'altro. Dopotutto avevano cominciato quello strano e malsano gioco nel momento stesso in cui quelle due anime maledette si erano incontrate per la primissima volta nei corridoi di quella stessa scuola, e a giudicare da quelle occhiate, a volte furtive, altre volte fin troppo esplicite, nessuno dei due aveva intenzione di terminare la partita troppo presto.
-Volevo soltanto assicurarmi di persona che non avessi cambiato improvvisamente idea riguardo al nostro incontro di questa sera…- riprese poi a parlare il corvino, lasciando che una risata sgusciasse, non del tutto inconsapevolmente dall’autocontrollo della sua audace avversaria.
-Adesso chi è quello che si sta sopravvalutando eh, Hibari?- sogghignò lei facendo un piccolo passo in avanti, rendendo di pochi centimetri il distacco tra i loro giovani corpi:
-Rasserenati, mio caro. Ci sarò questa sera. Anzi, quasi non vedo l’ora- lo sfidò lanciandogli un’occhiata astuta e ammaliante, esponendo un dolce sorriso che tuttavia di innocente significava ben poco alla vista del presidente del comitato disciplinare. E mentre queste esatte parole uscivano dalla bocca della piccola Sawada, un misero frammento di quella medesima conversazione era diventato ormai il cuore pulsante di una preoccupazione collettiva tra i vari studenti della Namimori : “incontro”. E per una mente normale, priva di alcun preconcetto bellico o conflittuale, tale termine poteva essere facilmente correlato al concetto di “appuntamento”, intenso nella sua particolare accezione sentimentale ed emotiva. E fu proprio da questo piccolo, insignificante e innocuo fraintendimento che tutti gli occhi del microcosmo Naminori si puntarono sulla giovane coppia. Oh sì… “Coppia”.
-Allora vedi di essere puntuale, non ho intenzione di perdere tempo, piccola erbivora-
-Questo non posso promettertelo…- rispose lei sorridendogli prima di riprendere a camminare verso l’ingresso della scuola, voltandosi di tre quarti non appena lo sorpassò di qualche passo, attirando la sua attenzione:
-Dopotutto non si può mettere fretta alla perfezione, no?- terminò così la sua ennesima provocazione, ammiccandogli dispettosamente prima di riprendere a camminare, lasciandosi un Kyoya Hibari più irritato, e al tempo stesso allettato, del solito. Ed erano in momenti come questi che lui stesso si detestava: che cos’aveva quella maledetta erbivora di così diabolico da riuscire a tormentagli i pensieri in modo così provocante e sfacciato? Certo non poteva negare che Miu Sawada fosse la ragazza più coraggiosa che avesse mai osato relazionarsi a lui, ma soprattutto che possedesse anche delle eccezionali doti combattive; il che la rendeva affascinante, e questo lo inquietò al quanto. Non poté far a meno di chiedersi chi fosse davvero quella ragazza: chissà, probabilmente non era una di quegli insulsi erbivori che lo infastidivano tanto. Ma questo Hibari non lo avrebbe mai confessato ad anima viva.

*Angolino di Virgy*
Finalmente sono in vacanza, e piano piano voglio godermi questi giorni così caldi ed estenuanti concedendomi alla scrittura di tutte le mie fic che mi sono lasciata indietro (detto da una ritardataria patologica suona piuttosto strano) comunque, so che in questo capitolo non succede moltissimo, o almeno a livello di trama questo episodio potrebbe essere considerata una mera virgola, ma spero vivamente che vi piaccia! Fatemi sapere che cosa ne pensate! 
Un bacio
-V-

 

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


A scuola tutti non avevano fatto altro che parlare di ciò che era successo quella stessa mattina, poco prima che suonasse la campanella. Le voci erano girate talmente in fretta che tutti gli studenti non avevano vociferato di altro anche durante le lezioni, e qualche curiosone si era perfino azzardato di indagare se durante le ricreazioni e le pause si fossero verificate delle novità piccanti a riguardo. Tuttavia, mentre nessuno aveva il coraggio di andare a disturbare i nuovi piccioncini dell’istituto Naminori, la piccola Miu aveva deciso di mantenere un basso profilo per tutta la durata della sua giornata, e anche se aveva sentito delle sue compagne sogghignare di tanto in tanto, non gli aveva dato alcun peso: “tz… figurati. Dovranno passare altri cento anni prima che io possa pensare a un ragazzo in quel modo” aveva pensato. Eppure, non riusciva a negare a sé stessa che quei brevi attimi di pericolosa provocazione le avevano recato un certo interesse. Certo, le conveniva credere che fosse dovuto al fatto di aver incontrato un avversario di livello con cui passare del tempo a fare ciò che sapeva fare meglio; ma c’era una piccola voce, talmente flebile che pareva sussurrarle qualcosa all’orecchio: “c’è dell’altro”. Non sapeva di cosa si trattasse, e forse fu proprio questa la ragione per cui la malafemmina dei Vongola restò quasi tutto il giorno barricata dietro il suo banco, in silenzio, a meditare. Forse doveva cominciare a pianificare una strategia d’attacco da effettuare quella stessa sera… al suo “appuntamento”, come lo avevano descritto le voci di corridoio. Ripensò al loro primo duello, e quasi le venne la pelle d’oca. Aveva sentito l’adrenalina scorrerle nelle vene, il cuore accelerare di colpo. Le sembrò di essere in missione. Cominciò allora a rivivere, istante per istante, quell’incontro tanto apprezzato, studiando accuratamente tutti i singoli movimenti del suo rivale: Kyoya Hibari era un avversario che non andava sottovalutato. Era veloce, estremante agile, e con quei tonfa sapeva essere micidiale. Socchiuse gli occhi e memorizzò i suoi affondi, i suoi contrattacchi e la sua posizione di difesa, cercando di individuare delle possibili vie offensive per poterlo battere. Soltanto pochissimi eletti appartenenti alla malavita italiana conoscevano questa peculiare abilità della ragazza: la sua memoria fotografica particolarmente sviluppata fin dalla tenera età fu proprio la firma che la condannò ad abbandonare la sua vita normale per intraprendere la sua carriera all’interno della famiglia Vongola. Rubare informazioni e uccidere erano diventate le sue uniche valvole di sfogo per ambire al titolo di boss… Ma questo ormai non era più il suo obiettivo. Con suo cugino fra i piedi, Miu aveva abbandonato tutte le sue missioni e tutt’ora non riusciva a capacitarsi di come Tsunayoshi Sawada sarebbe riuscito a guidare la sua famiglia; lui, così debole e infantile.

Miu rimase in un inquietante silenzio per tutto il giorno, anche quando lei e suo cugino tornarono a casa. E sebbene mostrasse un viso apparentemente sereno e spensierato, Tsuna, osservandola di tanto in tanto di sottecchi per non recarle fastidio, vedeva che in realtà sua cugina era assai pensierosa. Che stesse pensando a Hibari? Forse, anche se i suoi non gli sembravano affatto gli occhi di una persona che stesse pensando al suo innamorato.
-Puoi avvicinarti, Tsuna. Non mordo- lo chiamò piano, e al castano venne un brivido. Lei era in salotto, e osservandola mentre era di spalle il ragazzo non si era minimamente reso conto di cosa sua cugina stesse facendo nel frattempo: aveva degli aghi di acciaio spessi e acuminati posizionati ordinatamente in fila l’uno accanto all’altro, e con una delicatezza quasi maniacale la giovane stava intingendo la punta di un’altra di queste armi, nello specifico un senbon di acciaio nero, all’interno di una piccola boccetta contenente del liquido trasparente. Tsuna si avvicinò piano, fiancheggiandola con il cuore in gola. A giudicare dalla sua espressione seria e totalmente concentrata, il giovane boss dei Vongola pensò che la ragazza, piuttosto che pensare al suo imminente appuntamento, si stesse preparando per uno scontro…
-Oh…- sussurrò piano, sgranando gli occhi per la sorpresa, come se fosse stato colto da una rivelazione improvvisa:
-Tu non vai un appuntamento… Tu vai a un duello!- senza dire nulla, Miu sollevò lo sguardo contro di lui, e non appena i loro occhi s’incontrarono lei gli sorrise tranquillamente.
-Finalmente qualcuno l’ha capito…-
-M-Ma tu non puoi batterlo Miu!- affermò impulsivamente suo cugino, alzando la voce di qualche tono, lasciando palesemente intuire il suo sconforto.
-Scusami?- Inarcando il sopracciglio, la castana seduta al suo fianco lo fulminò con un tono di sfida, stringendo la sua arma tra le mani mentre si sollevava lentamente dalla sua seggiola.
-Con quale coraggio osi mettere in dubbio le mie capacità? - aveva parlato pianissimo, a denti stretti. I suoi occhi sembravano essersi dilatati, sprigionando un barlume rovente e inquietante. La ragazza sembrava pronta ad aggredirlo, e Tsuna percepì quello sguardo entrargli dentro, penetrarlo da parte a parte come una lama affilata e letale. Fu una sensazione familiare per il ragazzo. Paura e angoscia… proprio come quei giorni in cui si ritrovava davanti un Kyoya Hibari di cattivo umore. “Dio…” si disse, “Ora capisco molte cose…”
-Rilassati Miu…- una vocina squillante s’intromise nel bel mezzo della conversazione, forse risparmiando al giovane boss una morte lenta e dolorosa. Reborn aveva fatto il suo ingresso improvviso quasi planando dal soffitto, atterrando sul tavolo con un sorriso distaccato sul suo piccolo volto paffuto.
-Tsuna ancora non ti ha mai visto combattere, e sono sicuro che lui è soltanto preoccupato per la tua incolumità da bravo cugino quale è- camminando a passi lenti sulla liscia superficie del tavolo da pranzo il bambino passeggiò tra le armi della ragazza, accorciando le distanze quel tanto che gli bastava per osservare accuratamente il contenuto trasparente e inodore contenuto in quella boccetta con il quale aveva macchiato il suo senbon speciale:
-Pensi di riuscire a battere Hibari con quel veleno? - domandò poi, spezzando quel sottile silenzio che si era creato fra i tre. Udite quelle parole, gli occhi castani del giovane boss si sgranarono ulteriormente:
-V-Veleno?!- domandò Tsuna senza fiato, osservando Miu che di rimando espose un risolino divertito osservando quasi con dolcezza l’arma che teneva tra le mani.
-Io non voglio batterlo…- e il suo sorriso si ampliò ulteriormente, acquistando un connotato malevolo e dispettoso.
-Voglio solo che resti fermo e buono per un po’…-
-Un paralizzante, e perché mai? - domandò il killer bambino sollevando tra le mani quel siero che in alte dosi avrebbe potuto assicurare alla malafemmina una vittoria schiacciante. Intuiva che la giovane avesse già memorizzato tutte le mosse il suo rivale, quindi perché sviluppare in questa maniera fin troppo benevola la sua strategia?
-Soltanto per rendere il gioco più interessante- rispose semplicemente la castana facendogli spallucce. Poi volse nuovamente lo sguardo al ragazzo al suo fianco, osservandolo sorniona prima di sorpassarlo con freddezza, avviandosi lungo il corridoio per raggiungere il pano superiore.
-Miu…- il ragazzo la chiamò piano, sentendo uno strano nodo allo stomaco. Facevano parte della stessa famiglia, sì, esisteva un legame di sangue tra loro… eppure per lui non era difficile capire perché ci fosse dell’astio da parte della giovane nei suoi confronti.
-Non preoccuparti per lei Tsuna…- lo rassicurò Reborn
-La sua è solo una corazza. Quando si fiderà di te si ammorbidirà un po’…- un timido sorriso si sollevò appena sulla bocca del decimo,
-Sì, forse hai ragione Reborn- fece una piccola pausa, sospirando sommesso, dandogli le spalle e cercando di scorgere la schiena di sua cugina che mano a mano si allontanava da lui,
 –Spero solo che faccia attenzione con Hibari…-
-Non temere… con Hibari, Miu è in buone mani-Reborn attirò la sua attenzione esponendo un soffice ghignetto diabolico sulle labbra.
-In che senso? - gli domandò il castano. Silenzio. E quando si voltò nuovamente in direzione di Reborn, questo era letteralmente sparito nel nulla, lasciandogli ben intendere che in realtà il suo piccolo tutor sapeva più cose di quanto lui stesso potesse solo immaginare. Che fosse un bene tutto ciò? A dire il vero, Tsuna non ne era affatto sicuro.

***

Dopo aver mangiato in un austero silenzio, quasi come se si stesse svolgendo una sorta di rituale che permettesse alla giovane Malafemmina dei Vongola di trovare la concentrazione necessaria prima dello scontro, Miu si era rinchiusa in camera sua. Zia Nana le aveva sistemato una piccola cameretta, umile e spartana. Solo toni pastello e mobili semplici, giusto quello che le serviva per poter avere un suo piccolo spazio privato in quella casa caotica ventiquattro ore su ventiquattro. Aveva indossato un abitino nero dalle bretelline sottili e una morbida gonna a ruota con una stampa floreale; l’ideale per nascondere tutte le sue armi. Con un leggero velo di trucco sugli occhi la ragazza aveva cominciato ad acconciarsi i capelli, fissandoli un lato del capo così che poi come soffici onde le ciocche castane potessero incorniciargli il viso, riversandosi lungo la spalla destra. Immobile davanti allo specchio, la giovane si fissava intensamente, quasi perdendosi nel suo stesso sguardo. C’era dello sconforto nei suoi grandi occhi verdi: una brutta sensazione. Probabilmente si trattava solo di un po’ d’ansia, eppure Miu sentiva che in fondo quell’inquietudine si portava dentro un grigiore appartenente al suo passato. Non sapeva spiegarselo, ma da quando aveva messo piede in Giappone, la ragazza immediatamente aveva percepito qualcosa che non andava. Come una presenza che aleggiava su di lei. Ed era proprio per questa ragione che Kyoya Hibari era diventata la sua unica via di fuga. Dal loro primo incontro si era sentita libera, leggera. Senza neanche rendersene conto, al solo pensiero del presidente del comitato disciplinare sulle sue labbra rosee si era dipinto un piccolo sorriso. Stentava a crederci, ma quel ragazzo che detestava tanto era la causa del suo primo sorriso vero durante tutta la sua permanenza. Un sospiro ironico e canzonatorio sgusciò dalla sua bocca, e sgranchendosi appena le spalle osservò compiaciuta che era quasi ora di andare. Decise allora di darsi un’ultima ricontrollata allo specchio: sembrava veramente una tipica adolescente pronta per il suo primo appuntamento, e per qualche decimo di secondo pensò all’espressione che avrebbe fatto il corvino non appena si sarebbero incontrati. Ridacchiò sarcastica “come se a uno come lui possa interessare quello che indosso!” pensò, “dopo tutto non è neanche un vero appuntamento”. Uno schiocco, un colpetto secco contro un vetro colse immediatamente la sua attenzione contro la finestra della sua cameretta. Come richiamata da una forza curiosa più grande di lei, la giovane vi si avviò lentamente, chiedendosi chi potesse essere a richiedere la sua attenzione così all’improvviso. “Dino?” pensò in un primo momento, probabilmente perché lanciare un sassolino contro la finestra di una ragazza la vedeva molto come una potenziale pretesa da parte sua. Poi però, posando ambo le mani contro il cornicione della piccola apertura, gli occhi verdi della Malafemmina di spalancarono di colpo, e un brivido gelido le percosse la colonna vertebrale, scuotendola come una gracile foglia alla mercé del vento autunnale. Non era il boss dei Cavallone ad aspettarla, ma al contrario c’era un bambino, in mezzo alla strada: aveva circa dieci anni, e indossava gli stessi abiti sgualciti di quel giorno lontano di cinque anni prima. Non era cambiato affatto, e questo le fece raggelare il sangue. Aveva i capelli scuri, con una folta frangia che di pari passo con la brezzolina della sera metteva in risalto quel paio di occhi enigmatici e spietati, che come una stilettata la stavano trapassando da parte a parte, proprio come se la notevole distanza tra i due si fosse completamente annullata. Li aveva sempre trovati belli quegli occhi eterocromatici, sin da bambina. Eppure non poteva far a meno di provare una certa inquietudine nel fissarli: mentre l’occhio sinistro mostrava un’iride di una sfumatura intensa di blu, il suo occhio destro, al contrario brillava di un rosso cremisi, marcato da un numero uno scritto in kanji. Miu stentò a crederci, ma perse un battito quando i loro sguardi s’incontrarono, proprio come il giorno del loro primo e ultimo incontro. In tutto quel tempo, lei quel bambino non lo aveva mai dimenticato; non conosceva il suo nome, ma quegli occhi, no quelli le erano inesorabilmente rimasti impressi nella sua memoria. Avrebbe voluto darsi uno schiaffetto, quasi a voler ritornare alla realtà; erano passati anni… non poteva essere ancora un bambino! Eppure quel ragazzo sotto alla finestra pareva così reale. Si morse piano il labbro inferiore, e senza pensarci ulteriormente la castana si lanciò in una folle corsa fino al piano inferiore. Doveva raggiungerlo, capire se fosse tutto un sogno o se realmente lui era lì. Con ampie falcate allora, Miu sfrecciò lungo le scale quasi buttandosi contro la parete lignea della porta d’ingresso, spalancandola con forza. A illuminare la strada vi erano tre lampioni, e un silenzio inquietante si abbatté su di lei: di quello strano bambino non vi era più alcuna traccia. Ecco allora che lo sconforto prese nuovamente possesso di lei. Tuttavia, Miu non poté far a meno di chiedersi se quella strana sensazione che stava patendo non fosse dovuta a quel ragazzino… a quello che era successo tra di loro svariati anni prima.
-Miu tutto bene?- la voce squillante di Reborn la invitò a rientrare in casa, e sebbene l’idea di mentirgli l’allettasse al quanto, la malafemmina sapeva bene che con lui era meglio non correre alcun rischio.
-Mi è sembrato di aver visto una persona…- rispose semplicemente, chiudendosi nuovamente la porta alle spalle, mantenendo lo sguardo basso e schivo. Non voleva che quel moccioso cominciasse a leggerla come un libro aperto.
-Chi?- Silenzio. E la castana rimase per qualche attimo interminabile con la schiena addossata alla porta, pensierosa...
-Nemico o amico?- le chiese nuovamente:
-Nessuno dei due, credo…- fu tutto quello che Miu riuscì a rispondergli, finalmente sollevando lo sguardo. Nei suoi grandi occhi verdi, Reborn vide per la prima volta una incertezza che se trascurata probabilmente sarebbe potuta diventare fatale, e questo il piccolo tutor non poteva permetterlo:
-Fai attenzione Miu. Sai che in molti bramano la tua capacità di memorizzare tutto quello che vedi. Non esiteranno a ricorrere a insulsi giochetti per averti…- e mentre il giovane killer parlava, uno sbuffo uscì rumoroso tra le labbra della giovane.
-Te l’ho detto Reborn. Né amico, né nemico. E inoltre devo essermelo pure sognato, perché non c’era nessuno fuori…- e alla sua affermazione, i due grandi pozzi neri del bambino la scrutarono attentamente, ponderando sulle informazioni che gli erano state riportate. E c’era proprio un piccolissimo e pericoloso pensiero che aleggiava da tempo nella sua mente. Una preoccupazione che lo aveva spinto a far trasferire la bella malafemmina dalla sua amata Italia.
 -Resta sempre con i piedi per terra Miu. Le illusioni spesso sono ancor più pericolose della realtà stessa- disse improvvisamente l’arcobaleno come suo ultimo consiglio, facendola arrestare di colpo. Un piccolo cenno di un sorriso spuntò amaro sulla bocca sottile della ragazza, che cominciando a far ritorno nella sua camera, senza neanche degnarlo di uno sguardo, gli rispose:
-Sono stata addestrata anche a questo, Reborn- E anche se apparentemente non doveva aver alcun motivo per preoccuparsi dell’incolumità del sicario più prezioso dell’intera famiglia Vongola, Reborn non riusciva a fare a meno di pensare a cosa sarebbe potuto succederle se un rivale potente avesse fatto il suo ingresso, e se i giovani membri della nuova generazione non fossero stati in grado di fermarlo.
 


*Angolino di Virgy*
Finalmente passiamo a una piccola, ma intensa, svolta all'interno di questa fic. Spero vivamente che vi piaccia!
Un bacio.
-V-

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