The Sleeping Frying Pan

di HabbyandTsukiakari
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo, Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Prologo, Parte Seconda ***
Capitolo 3: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 5: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 8: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 9: *** AVVISO ***
Capitolo 10: *** Capitolo Settimo ***



Capitolo 1
*** Prologo, Parte Prima ***


The Sleeping Frying Pan

 
Prologo

Parte Prima


C’era una volta, caro Lettore, un regno lontano, le cui terre si estendevano fin dove il sole muore. Il regno era governato da un re e una regina innamorati e felici; i sudditi li amavano, perché erano buoni e giusti, e governavano nel nome del Signore portandone la Grazia come uno stendardo sollevato da un vento benefico.


Re Daniel era saggio e forte. Non esisteva ghigliottina nel suo regno, e le prigioni erano sguarnite – ma non perché egli fosse a favore dei criminali, bensì perché i banditi quasi non esistevano in quel luogo lieto, grazie alle sue leggi giuste e alla sua benevolenza verso la povera gente. Egli era in genere un uomo pacifico, ma era altresì un abilissimo combattente che non esitava a schierarsi contro chiunque osasse oltraggiare la sua gente e la sua amata regina.

La regina Angyalka era dolce e graziosa. Ella risplendeva di una rara bellezza e di una bontà d’animo ancor più unica che si rifletteva nei suoi modi gentili. La sua fama di dama caritatevole era giunta fin nelle Terre Norrene, ed era omaggiata e rispettata dai suoi sudditi come poche altre sovrane di quel tempo.


Ma torniamo a noi, Lettore! Devi sapere che da qualche tempo nel Regno si respirava un’aria di festa. Le bambine correvano per le strade seminandovi un tappeto di fiori, facendo tintinnare le cavigliere e i braccialetti e svolazzare il vestito buono; e le donne intrecciavano ghirlande floreali da appendere alle porte. Il clangore del martello del fabbro si era fatto più insistente. Era sempre più frequente il passar delle carrozze, tutte straripanti di stucchi e broccati. Le dame s’affacciavano dal finestrino, incuranti del galateo, per salutare graziosamente i bambini ed infilare i fiori che essi porgevano nelle loro elaborate acconciature, già intessute da perle e ornate da tiare scintillanti. Le carrozze sparivano poi nel portone principale del castello reale, agghindato come un’enorme nobildonna dagli occhi d’oro, la pelle diafana e i capelli raccolti da striscioni di raso verde e guglie slanciate dello stesso colore. Migliaia di fiori traboccavano dalle numerose finestre, e i canti e la musica si udivano fino ai confini del festoso reame. Una volta giunti a corte, le dame facevano frusciare le gonne damascate e incorniciate da pizzi traforati e lavorati dai migliori artigiani, i nobili si esibivano in ampi gesti cortesi e si arricciavano, non senza una punta di vanità, i baffi perfettamente curati; il tutto in un vorticoso ed eccentrico  gioco di inchini e riverenze, che defluiva poi nell’enorme sala del trono, davanti alla ragione di tutto quello sfarzo: una piccola culla dorata e fasciata in drappi verde prato, dell’esatto colore degli occhi della splendida neonata al suo interno. La regina sua madre le accarezzava il grazioso viso paffuto e giocava con l’acerbo e sottile ciuffetto di capelli dorati, mentre il re le rivolgeva un sorriso felice, con gli occhi lucidi di commozione, cingendo la mano della sua regina.


La danza dei nobili si arrestò poco a poco, sostituita presto da un mormorio concitato. I ventagli delle dame cominciarono a frullare nervosamente, causati più da una malcelata impazienza che da una vera e propria necessità di refrigerio. Dopo alcuni istanti che parvero secoli, il portone della sala del trono si aprì lentamente. Tre figure luminose fecero il loro teatrale ingresso, accecando quasi i nobili visitatori. Erano contraddistinte da tre colori: verde, indaco chiaro e rosso.

La prima di esse, che risplendeva di un verde leggermente più scuro di quello dei drappi che scorrevano per il castello, sembrava essere la più autorevole. I capelli biondi erano raccolti in due code alte, gli occhi dello stesso verde della luminescenza erano incorniciati da un paio di occhiali sottili. Procedeva decisa, incurante delle occhiate e dei commenti sussurrati alle sue spalle.

La seconda figura era leggermente indietro rispetto alla prima. Era certamente la più eterea delle tre misteriose dame: i capelli di un biondo chiarissimo, trattenuti da un lato grazie a un fermaglio a forma di croce d’oro, le sfioravano leggeri la schiena marmorea e le spalle candide, fatta eccezione per un ricciolo indipendente che sembrava fluttuare vicino alla chioma. I grandi occhi violetti illuminavano la pelle bianchissima, e riuscivano ad essere delicati e penetranti allo stesso tempo. Del resto, la dama stessa sembrava essere delicata come filigrana, ma contemporaneamente dava un senso di durezza e potenza. Un fascio di luce azzurro dalle inaspettate sfumature violette la circondava completamente.

L’ultima era la più giovane. A differenza delle prime due, sembrava allegra e alla mano: si guardava intorno con meraviglia, salutava con disinvoltura i nobili rivolgendo loro qualche svelto quanto grazioso cenno del capo, per non perdere il passo delle due compagne. Un bianchissimo sorriso, segnato da due canini un po’ troppo affilati, persisteva sul volto roseo e gioviale. Tutto in lei era cordiale e ispirava simpatia, pur essendo fuori del comune, dai capelli spettinati e dorati come il grano, decorati da un lato con una bombetta con tanto di nastrino legato in un fiocchetto, agli occhi color rosso sangue, fino all’aura scarlatta e cangiante che la illuminava.


Le tre fate – perché erano proprio questo, Lettore – si esibirono in un’aggraziata riverenza rivolti al re e alla regina, ignorando i nobili dietro di loro. –La regina ed io siamo profondamente onorati del fatto che abbiate cortesemente accettato il nostro invito, mie dame- esordì re Daniel, interrompendo il chiacchiericcio che aleggiava nella sala. –Liete siam noi di averlo ricevuto- stavolta fu la prima fata a parlare. –non potevamo mancare a questo glorioso evento…- la fata più giovane la interruppe, con gli occhi che brillavano d’emozione. –Voglio vedere la bimba! Scommetto che è bella come voi, signora regina!- l’altra le lanciò un’occhiata di disapprovazione. –Vi prego di perdonarla, gentili sovrani- disse poi, con un sorriso di scuse. Il re e la regina sorrisero a loro volta. –Non ne recate offesa, ma non vedo di cosa dovremmo perdonarla, signora fata- disse dolcemente la regina Angyalka. La fata rossa mostrò la lingua alla prima, che si passò una mano sulla faccia. La seconda fata, che fino ad allora era rimasta in silenzio, intervenne. La sua voce era bassa e sussurrante, seducente. –Come ringraziamento per il vostro assai gradito invito, vorremmo chiedervi di concederci di offrire alla neonata dei doni speciali.- -Non è necessario, la vostra presenza è più che sufficiente ad onorarci- replicò il re, senza abbandonare il sorriso. –Non se ne parla!- protestò la fata più giovane. –Siamo ospiti, e come tali vogliamo ricambiare il vostro invito. Vai, Rose- disse poi rivolta alla fata circondata dall’aura verde, con un cenno sbrigativo della mano. Quest’ultima le lanciò un’altra occhiata di rimprovero, mormorando a mezza bocca delle scuse, e si recò verso la culla coperta di verde e oro.
La bimba sgranò gli occhioni ed esibì un meraviglioso e dolcissimo sorriso. Rose, intenerita, abbandonò l’espressione inacidita che le segnava il volto ed estrasse una bacchetta di sambuco incisa d’oro da una piega del vestito verde smeraldo. –La principessa sarà bella e gentile. Sarà un dolce fiore rosa che sboccia nell’immensità della brughiera selvaggia, sarà un gentile usignolo che ridà vita ai rami rattrappiti e contorti del suo albero, sarà lo smeraldo che fa sfigurare tutte le gemme degli anelli più preziosi con la sua purezza e luminosità. Piccola Erzsébet, figlia di re Daniel il Giusto, accetta questo dono da Rose della Terra di Kirk.-. Un filamento rosa luminoso sbucò dalla punta della bacchetta, e andò a circondare il capo della piccola tramutandosi in un semplice e grazioso fiore rosa chiaro, che si poggiò sul suo minuscolo orecchio. La piccola cercò di afferrare la luminescenza, senza ovviamente riuscirci. Poi notò il fiore e sorrise, con gli occhi verdissimi che le brillavano.

Rose fece un cenno col capo verso la seconda fata, che si affacciò sulla culla e si sfilò il fermaglio a forma di croce, lasciando ricadere i capelli biondissimi sulle spalle di porcellana. Lo aprì a metà. –La piccola avrà un fine intelletto. Sarà decisa e intelligente, come un limpido lago che riflette le cime dei pini bagnati di pioggia. Sarà un’abile combattente, com’è giusto che sia, per farsi valere e per proteggere le persone che ama. Una tigre potente ed elegante, che attacca, sconfigge e torna indietro dai suoi cari. Dolce Erzsébet, figlia di re Daniel il Giusto, accogli il dono di Liv delle Eteree Terre Norrene.-. Dal fermaglio luccicante cadde una polvere viola chiaro brillante, che aleggiò sopra il visetto della neonata per poi dissolversi.

La terza fata saltellò pimpante a sostituire la seconda e cominciò: –La principessa sarà…- quando lo spalancarsi del portone la interruppe congelandole il sorriso sulle labbra.


Angolo dei pomodori lunatici

Hola! Ho deciso di cimentarmi nella mia prima long, e spero vivamente che vi piaccia ^^ non sarà molto lunga, rimarrò sui 9/10 capitoli, compresi il prologo e l'epilogo - ho suddiviso in due parti il prologo per lasciare un po' di suspence :3
Ho scelto l'AU della Bella Addormentata, ma ci saranno diverse differenze con la storia di Perrault e quella della Disney.
Ci sarà una brevissima comparsa di una mia OC: non è una nazione, giusto un nuovo personaggio da contorno.
Ho deciso di utilizzare i nomi Rose, Liv e Dana per il Nyo!Magic Trio, ma se avete qualcosa da proporre sono tutta orecchi (specialmente per Dana, che è decisamente provvisorio) ^^
Francamente non so bene come caratterizzare il personaggio di Fem!Romania, non essendo Romania stesso molto popolare. Se crediate che sia OOC informatemi, così aggiungerò l'avvertimento :3
Le varie pairing saranno het, e questo principalmente è dovuto al genderbend che ho applicato a vari personaggi, per esigenze nella storia. Gomenasai ^^"
Sarei felicissima se lasciaste un parere, anche per darmi dei consigli o per dirmi semplicemente che non vi piace ^^
Adios, churros y besos,
Tsukiakari

 

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Capitolo 2
*** Prologo, Parte Seconda ***


Prologo
 
Parte Seconda

 
 
Una figura apparve davanti al portone, in controluce, e schioccò le dita.
Le candele profumate dissolsero la loro fiamma: per un secondo, l’atmosfera si fece densa d’oscurità. Poi le accoglienti luci furono sostituite da fiamme viola elettrico, crepitanti e aggressive.
Brevi squittii femminili di terrore aleggiarono nell’aria, poi fu silenzio. La quiete fu seccamente spezzata dallo schiocco ritmico di un paio di tacchi, appartenenti alla figura appena giunta.
Il portone si richiuse con un lento cigolio agonizzante. Le strane fiamme svelarono la  misteriosa presenza: era una donna.
Una donna molto bella, ma di una bellezza stravagante, eccentrica. I suoi capelli biondo platino erano raccolti morbidamente in uno chignon – a cui sfuggivano alcuni chiari boccoli che si adagiavano sulle spalle – ornato da due rose viola. I suoi occhi color palissandro rilucevano di una strano bagliore, e illuminavano la pelle bianchissima, il naso dritto e leggermente all’insù, gli zigomi perfetti e le labbra tinte di rosso sangue arricciate con fare affettato e malizioso. Il suo fisico snello era fasciato in un vestito composto da un corpetto arancio inciso da righe viola, che le lasciava scoperte le spalle candide, e una gonna piuttosto stretta dello stesso colore. Quest’ultima sembrava essere strappata ad arte lungo gli orli che le sfioravano i piedi infilati in un paio di scarpe alte viola, abbinati ai guanti che le inguainavano buona parte delle lunghe braccia e le mani –  tra le quali era infilato una specie di sottile flauto traverso di ottone, da cui proveniva uno strano fumo che sapeva di zenzero, polvere e rose. La donna camminava con passo ritmato e disinvolto,  come se si trovasse nella propria abitazione. Giunse infine al cospetto dei sovrani e delle fate. Come se nulla fosse, si portò vezzosamente il piccolo flauto alla bocca e tirò un paio di boccate, inspirando ed espirando ad occhi chiusi – aveva delle lunghissime ciglia – lo strano fumo colorato che ne usciva. Quando staccò l’insolito strumento dalle labbra, esse si dischiusero in un sorrisetto di scherno. Parlò, e la sua voce era delicata e fluente come seta, distorta piacevolmente da un lieve accento francese ed incrinata da una sfumatura sarcastica.
–Ma che meraviglia, un nuovo nato... Curioso come il Fato ci conduca sempre ad incontrarci in momenti lieti e piacevoli, ma chère Rose.-.
La dama nominata si irrigidì e la sua bocca sottile si piegò in una smorfia di fastidio. Il ghigno della donna appena arrivata si ampliò, mettendo in mostra una splendente dentatura. Poi scomparve, per lasciare il posto a un’espressione di falso rammarico, la bocca corrucciata e gli occhi sgranati.
Oh la la, che sbadata, credo di aver tralasciato le buone maniere! Non la prendiate a male, miei adorati sovrani. C’è sempre tempo per porre rimedio, nevvero? Vi porgo i miei più sentiti omaggi e le mie più vive congratulazioni per il felice arrivo!-.
Detto questo, si esibì in un teatrale gesto col sinuoso braccio sinistro (quello con il quale non teneva il flauto). Tuttavia non accennò ad inchinarsi, e questo provocò scandalo e timore e sussurri tra i nobili: poteva essere una dama semplicemente irrispettosa del galateo, oppure molto, molto potente. E la seconda ipotesi era quella giusta, Lettore.
-Orsù dunque, vorrei annunciarmi ufficialmente- e qui i suoi occhi rotearono con insopportazione –e presentarmi a voi e a tutti gli invitati. Non sembrate conoscermi, visto che non ho ricevuto alcun invito- sottolineò, alzando le sopracciglia e abbandonando la sua aria melliflua per un istante. –Eppure, alcuni di voi mi conoscono già, e fin troppo bene. Non è vero, ma chère Rose?-. La smorfia di Rose dalla Terra di Kirk si tramutò in un ringhio poco rassicurante, e la bella pelle rosea della fata si colorò di un rosso rabbioso, i begli occhi verdi si ridussero fino a divenire fessure, le sue mani sottili si strinsero in due pugni. L’altra dama le rivolse un sorriso canzonatorio. Con uno schiocco delle dita, fece comparire nella sua mano un calice trasparente e affusolato, nel quale si poteva notare un liquido dorato e schiumante. Ne bevve un sorso con fare affettato, increspando appena le labbra color del sangue. Tirò una boccata dal flauto e continuò: -Il mio nome è Francine della corte di Marsiglia, miei sovrani. Mai ebbi in vita mia un onore paragonabile allo starvi in fronte. Anche se non con il vostro consenso, a quanto pare.-. Rose fece per scagliarsi contro di lei, un incantesimo già sulle labbra e la punta della bacchetta che dava i primi bagliori, ma Liv delle Terre Norrene la bloccò afferrandole un braccio. –Non qui, Rose- sibilò, e socchiuse le palpebre come per controllare l’elettricità e l’odio che le iridi viola sprigionavano.
Francine, imperterrita, si avviò lentamente verso la culla verde e oro. Si affacciò e scrutò la piccola con un sorrisetto che non prometteva nulla di buono. La piccola principessa sorrise e cercò di afferrare i boccoli chiari della fata. Quest’ultima si scostò con una smorfia, per poi riprendere il suo abituale sorriso mellifluo.
–Ma guarda, è una femminuccia! Una piccola damina, già così bella. Qual è il suo nome?- lesse l’incisione che scolpiva l’oro della culla. –Erzsébet? Le calza a pennello, ottima scelta. Ha i vostri stessi occhi, regina. Una principessa già tanto graziosa non necessita di doni, nevvero? Tuttavia avrei piacere nell’offrirle un piccolo regalo…- -No!- Rose si divincolò, e Liv la lasciò fare. Fece per scagliare un incantesimo contro la francese, ma si bloccò con il braccio a mezz’aria. Non riusciva a proseguire, era come se ci fosse una barriera invisibile che le impediva di lanciare anatemi contro Francine. Ed era proprio così, Lettore. I nobili sussultarono, e indietreggiarono di colpo, intuendo che stava per accadere qualcosa di spiacevole. Molto spiacevole. Il re cercò di alzarsi e di sguainare la sua spada, ma era come congelato. Poteva solo muovere gli occhi. La stessa cosa era capitata alla regina, che gemette terrorizzata, ma dalla gola non fuoriuscì alcun suono.
Francine ampliò il suo inquietante e ipnotico sorriso, e, con delicati movimenti del polso, disegnò nell’aria complicati ghirigori, servendosi del suo flauto fumante. Il suo sguardo rosso scuro viaggiò in fretta per tutto il salone, saettando, come in cerca di un’ispirazione. Si soffermò a scrutare le cucine, che si intravedevano da una porta socchiusa. Proprio in quel momento, la cuoca stava saltando delle verdure in una padella di rame annerita dalle bruciature. Francine tornò a puntare gli occhi sulla bimba.
Le volute di fumo, invece di dissolversi, si mossero e cominciarono a vorticare, dando origine a un forte vento che scompigliò i capelli e le gonne delle dame, e fece volare via i ventagli e qualche parrucchino; tuttavia non spense le fiamme magiche, anzi, le alimentò.
Le iridi della fata malvagia si dilatarono, e, quando pronunciò le seguenti parole, la sua voce si fece profonda, ipnotica.
-La principessa sarà bella, graziosa e gentile. Avrà un fine intelletto, sarà un’abile guerriera. Ma, prima che il sole tramonti sul giorno dei suoi sedici anni, toccherà una padella: sarà maledetta, e cadrà in un sonno simile alla morte, e il castello e la sua corte con lei. Nessun potere potrà mai sciogliere quest’anatema.-. Il vento cessò di colpo, e gli occhi di Francine tornarono normali – per quanto potessero definirsi normali. Tuttavia, la barriera che la proteggeva dalle altre fate persisteva, così come il blocco imposto ai sovrani. La fata malvagia si voltò verso i nobili e rivolse loro un ultimo sorriso falso. –Che la vostra vita sia prospera e gioiosa!-. Detto questo tirò una boccata dal flauto, schioccò le dita e, avvolta in una nuvola di fumo, scomparve mentre le sue ultime parole riecheggiavano nell’aria e le fiamme delle candele tornavano normali. Rose tentò invano di colpirla con un incantesimo prima che svanisse.
La regina, incurante dell’etichetta, scoppiò a piangere coprendosi il bel viso con le mani. Il re scattò in piedi, furibondo. –Toris! Eduard! Raivis!- gridò, facendo tremare le finestre e spezzando l’insostenibile silenzio che riempiva di vuoto la sala del trono. Tre paggi corsero fuori dalle cucine, dov’erano rimasti ad aiutare i cuochi. Erano visibilmente intimiditi dal re, non l’avevano mai visto tanto arrabbiato.
–Io, re Daniel il Giusto, proclamo che da oggi ogni singola padella del regno sarà dichiarata proprietà illecita e dovrà essere recata nell’antica segreta del castello entro sessanta giorni. Ogni suddito consapevole di questo bando in possesso di tali oggetti entro il tempo limite verrà punito con la segregazione a vita. Questo è tutto. Portate l’editto alla squadra di banditori, diffondetelo in tutto il regno, con ogni mezzo possibile.-. Il paggio più giovane, Raivis, scrisse in fretta il bando su un foglio di pergamena, bucandolo svariate volte per la foga. –Agli ordini V-vostra Maestà…- mormorarono in coro, per poi scappare fuori dalla sala del trono. La regina Angyalka nascose la testa nel petto del re, in cerca di conforto. Il consorte le accarezzò i capelli con fare protettivo e lanciò un’occhiata alle tre fate, che sapeva di rimorso, tristezza, paura.
La fata più giovane fece un passo avanti. –Io non ho ancora offerto il mio dono alla piccola.- la regina alzò la testa e la guardò con occhi lucidi e pieni di speranza. Il re scosse la testa. –Nessuno potrà sciogliere l’incantesimo...- ma la fata lo ignorò e si affacciò alla culla. Si portò l’indice alla bocca e lo morse – con quei canini che sembravano così adatti a mordere – facendone uscire una perla vermiglia. Stese la mano sopra la culla e proclamò: -Prima che il sole cali sul giorno del suo sedicesimo compleanno, la principessa toccherà una padella: sarà maledetta, e cadrà in un sonno profondo simile alla morte, e tutta la sua corte con lei. Ma- e qui i suoi occhi risplendettero di un viola intenso, e una minuscola fiamma di un viola identico stava consumando la goccia di sangue, appesa tremolante al dito della fata –la maledizione sarà spezzata, contro ogni previsione, dal bacio del Vero Amore.-. La sua voce era vibrante, ipnotica, così diversa eppure così simile a quella di Francine. –Tante pedine nel gioco contorto, tanti destini intrecciati d’accordo- cantilenò, lasciando ricadere la testa da un lato. –Puro, come un sorriso lucente; Nobile, di fatto e di cuore; Impavido, coraggioso e salvatore- continuò, concludendo la frase in un sussurro.
La sua mano tremò visibilmente. La goccia di sangue si staccò mollemente dall’indice della fata ma, prima che potesse toccare Erzsébet, bruciò nell’aria in una vampata viola poco sopra al nasino della piccola, che emise un gridolino di sorpresa. La fata fece appena in tempo a mormorare “principessa Erzsébet, figlia di re Daniel il Giusto, accetta questo dono da Dana di Transilvania” che cadde all’indietro, priva di sensi. Con un movimento tanto fulmineo quanto inaspettato, Liv delle Terre Norrene scattò verso Dana e la prese poco prima che toccasse terra. Alzò lo sguardo freddo verso i sovrani e poi verso Rose, facendole un cenno con il capo.
–Perché l’ha fatto?- imprecò la fata verde, accostandosi a Dana e sfiorandole la fronte con la mano. –Le contromaledizioni le fanno sempre questo effetto… non le aveva ancora perfezionate… le avevo detto di non…- -Nessuno aveva previsto l’arrivo di Francine, Rose. Ha fatto la cosa giusta- la interruppe Liv, con la sua voce avvolgente. –Avrei dovuto aspettarmelo io. Quella rana velenosa ha sempre avuto quel suo ridicolo orgoglio e quella sua smania di primeggiare- mormorò Rose. Poi guardò il re e la regina. –Voglio che sappiate che veglieremo sempre sulla principessa. Saremo al fianco del suo vero amore quando sarà il momento, per aiutarlo a raggiungerla. Non temete, noi ci saremo.-. I due sovrani annuirono, con sguardo riconoscente.
Le fate rivolsero loro un’ultima riverenza, Rose agitò la bacchetta e scomparvero.


Angolo dei pomodori lunatici
Hola! ^^
E finalmente è arrivata Malefica! Come si può dedurre dal suo aspetto (come no), è 2p!Fem!Francia... ehm... già.
Per il ruolo di Malefica tentennavo fra lei e Fem!Russia (o magari 2p!Fem!Russia che ci ho pensato proprio adesso a dir il vero), ma siccome mi devo complicare la vita a forza di scegliere personaggi improponibili, questo è il risultato ^^"
Devo dire la verità, non sapevo proprio come caratterizzarla. Sarebbe la versione più oscura di Fem!Francia, però non è una sciattona come 2p!Francia, anzi... è anche fin troppo eccentrica. E siccome adoro i personaggi eccentrici, non ho potuto non inserirla :3
Il liquido schiumante e dorato è lo champagne, ahah, visto che Fem!Francia gira con una bottiglia di vino perché no? :3
Vorrei ringraziare Tay66, Generale Capo di Urano e Princess Vanilla per aver recensito così gentilmente lo scorso capitolo!
Un ringraziamento di tutto cuore va anche a chi ha messo la storia tra le seguite/ricordate, e a te, Lettore silenzioso, che sei giunto fin qui ^^
E ora un piccolo sondaggio! Quale di questi nomi è il più adatto per Fem!Romania?
-Dana;
-Adeliana (proposto da Tay66);
-Tara (proposto da Princess Vanilla);
-Dalia (proposto da una mia amica);
-Xenia (proposto da una mia amica).
Fatemi sapere tramite recensioni o messaggio privato, grazie! ^^
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Adios, churros y besos,
Tsukiakari

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Capitolo 3
*** Capitolo Primo ***


Capitolo Primo

 
 
Un chiacchiericcio insistente proveniva dal corridoio lustro di cera e illuminato della vetrate, che profumava di fiori e pulito e sembrava ancora più enorme del solito.
Le quattro giovani dame di compagnia della principessa, le uniche presenti, ridacchiarono con fare divertito, emettendo di tanto in tanto squittii eccitati e sussurri destinati a restare un segreto frivolo che non scopriremo mai, Lettore. –Eccoli!- strepitò una di loro quando udirono uno scalpiccio di passi avvicinarsi a loro. Fu subito zittita dalle altre tre, che mostrarono automaticamente uno smagliante sorriso al passare dei tre giovani che erano entrati dall’austero portone principale. Essi risplendevano di gloria e bellezza, ognuno trasudante di fascino in una maniera tutta sua.

Il primo del trio, che sembrava esserne il capo, aveva una caratteristica molto particolare: era albino. Anche se molti lo guardavano con disprezzo mormorandogli dietro le larghe spalle “figlio delle streghe”, i suoi penetranti occhi rosso porpora catturavano l’attenzione di numerosissime dame, tutti i nobili gli invidiavano la pelle chiara e liscia, e i suoi capelli chiarissimi dai riflessi argentati, sapientemente spettinati, erano ritenuti affascinanti, per quanto insoliti. Lui ne era consapevolissimo. Lanciava occhiate maliziose alle dame, e poco mancò che una di loro svenisse. Indossava una cotta di maglia con sopra una veste bianca su cui spiccava una croce nera. Era il simbolo dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici, Lettore. Portava una spada legata alla cintura, ma era una spada opaca, spenta, che aveva visto molte più guerre che i tre giovani insieme, e sembrava stanca.
Seguiva un damerino elegantissimo, inguainato in una giacca azzurra con le maniche risvoltate e damascate d’oro, sotto una camicia di lino candido traforato e pantaloni violetti seminascosti da alti stivali secondo la moda del tempo. Portava i capelli dorati lunghi fino alle spalle, sempre secondo i dettami della moda, e i suoi occhi blu rilucevano di una luce frivola con una punta di vanità. Una barbetta appena accennata, ben curata, incorniciava il suo mento leggermente pronunciato, e s’addiceva ai suoi lineamenti perfetti e aristocratici. Quando passò davanti alle ragazze, fece loro il baciamano una ad una. Si sfilò teatralmente una rosa rossa che gli ornava la giacca e la porse con una strizzata d’occhio alla più piccola, che arrossì vistosamente e abbozzò un sorriso timido.
Ultimo veniva un allegro ragazzo, che quasi saltellava, tanto sembrava emozionato. Aveva la pelle abbronzata, cosa insolita per un nobile, capelli castani spettinati e grandi e splendidi occhi verdi. Aveva lineamenti mediterranei e una figura slanciata. Sorrideva di continuo, ma non era un sorriso di circostanza: anzi, era il sorriso più sincero e splendente che le giovani dame avessero mai visto – e sì che ne avevan visti parecchi, di sorrisi!
A differenza dei primi due nobili, quest’ultimo non sembrava essere consapevole del proprio fascino. Brillava d’innocenza e d’allegria, ed era vestito con i colori del sole.

Appena svoltato l’angolo e sottrattisi alla vista delle dame, l’albino gridò: -A chi arriva prima alla cucina!- e cominciò a correre, ridendo. Che risata strana aveva, Lettore! Ma gli calzava a pennello: era una specie di kesesesese, e faceva uno strano effetto pronunciata dalla sua voce gracchiante. Il terzo ragazzo scoppiò a ridere e seguì il primo. Il secondo, invece, protestò preoccupato: -Mais mes amis, mi rovinerò la pettinatura!-. Il terzo ragazzo ignorò le sue proteste e gli afferrò il polso per trascinarlo verso le cucine, facendolo inciampare e quasi inciampando a sua volta.

Kesesesese! Ho vinto, mammolette!- -No es justo! Francis mi ha rallentato!- protestò il ragazzo vestito con i colori del sole, senza smettere di sorridere. –Siete fortunati che abbia dei capelli così naturalmente splendidi, mes amis.- -Mai come i miei, Freund- sogghignò l’albino. La cuoca lanciò loro un’occhiataccia. Entrare nelle cucine proprio mentre i preparativi giungevano al culmine non era stata una buona idea. Stavano bloccando il passaggio dei camerieri, e rischiavano di far fare una brutta fine alle squisitezze esposte sui vassoi d’oro e d’argento. –Bonjour, madame Rózsa. Vi trovo splendida, come sempre- commentò Francis, facendole il baciamano con fare vezzoso. La cuoca, una donna piazzata e accaldata dal vapore, con le mani piene di scottature e i capelli scuri raccolti malamente in una crocchia disordinata, squadrò dall’alto in basso il francese biondo e i suoi amici, con un sopracciglio alzato e i pugni puntati sui fianchi. –Sarete diventati più alti di me, ma è da quando avete tre anni che non vi cresce il cervello.- -Non dite così, Rózsa. So che avete una cotta per me- proclamò Francis, ammiccandole. –Sì, certo. E mio padre è il re.- -A proposito, señora Rósza, potreste gentilmente dirci dove si trova Sisi?- chiese cortesemente il ragazzo bruno, senza abbandonare neanche per un istante il suo sorriso. –Intendi dire la principessa Erzsébet? È nella sua camera, si sta preparando. Le ho mandato Mei per aiutarla, ma sicuramente alla fine l’ha fatto da sola.- -Infatti abbiamo visto Mei con le altre, vicino al portone- commentò il ragazzo. –Ah, quelle sciocche! Invece di impedire alla principessa di combinare un  disastro coi suoi capelli se ne stanno a spettegolare. Scommetto che stavano aspettando proprio voi tre.- -Oh, no, credo di no…- replicò l’altro arrossendo. –Sì, invece sì, Tonio- lo contraddisse l’albino ridacchiando. –Mi sembrate dodicenni, smettetela di fare i cretini. Forza, andate, tanto lo so che Gilbert vuole importunare la principessa e voialtri gli date come al solito manforte. Ma non ci provate a correre per i corridoi, che hanno appena pulito.- -Non vi preoccupate, señora Rózsa. Staremo attenti- la rassicurò Tonio, ampliando l’abbagliante sorriso.
–Antonio, ti dispiace dirmi una cosa?- -No, chiedete pure.- -Come diavolo hai fatto a trovarti degli amici così?- domandò la cuoca indicando con un mestolo Gilbert, che stava rubando della marmellata approfittando della sua temporanea distrazione.
–Siamo noi che abbiamo trovato lui, madame- spiegò Francis tentando di coprire l’amico.
–Me lo rovinerete. Perché non l’avete lasciato in pace?-
Antonio rise. Aveva una risata cristallina, gioiosa, sincera. Pareva uno scroscio d’acqua illuminato dalla luce calda del tramonto. –State tranquilla, non sono così male. Scusate, ma temo che siamo in ritardo… andiamo da Sisi, ragazzi.-
Gilbert si leccò le dita con fare non esattamente da nobile quale era, e chiese, con quella sua voce sgraziata: -Come sono i capelli?- -Bianchi, Gil.- l’albino sbuffò e diede una ravvivata con le dita alla chioma candida e spettinata. –Dite che… le piaceranno?- -No. Non le sono mai piaciuti- disse Francis, dandogli una pacca amichevole sulla schiena. –Avanti, Francis, non essere così duro- sorrise Antonio, incamminandosi. –Mais mon ami, è vero! Ha sempre preferito quelli di R…- Gilbert lo guardò ad occhi socchiusi, che riflettevano chiaramente un moto di stizza. -…ma anche i tuoi non sono male, Gil.- lo sguardò dell’albino si illuminò, e la sua voce aspra ridacchiò: -Sono irresistibile! Questa sarà sicuramente la volta buona!

Corsero per scale che parevan senza fine, con tanta fretta che, pur essendo abituati a una tale distanza, arrivarono alla porta della camera di Erzsébet con il fiatone e la milza dolorante. A nulla servì il tentativo di Francis di fermare l’amico per invitarlo a bussare decentemente come un gentiluomo degno di questo nome, perché Gilbert irruppe in modo sgraziato nella stanza (“Quando mai una persona Magnifica come me avrebbe bisogno di bussare?”) infrangendo un centinaio di regole del galateo basilare che teoricamente avrebbe dovuto imparare nella prima giovinezza.
La figurina presente nella stanza, davanti alla finestra, sobbalzò, colta di sorpresa. Voltò di scatto la testa, e i suoi lunghi capelli castano dorato accompagnarono rapidamente il movimento. Era evidentemente preparata per una grande festa: indossava uno splendido abito verde e bianco composto da un corpetto stretto trattenuto da nastri di raso dorato che si riunivano in un unico fiocco dietro la schiena, e un’ampia gonna con uno spacco – dal quale usciva del candido pizzo lavorato – che partiva dalla cintura dorata e arrivava fino al bordo dell’abito.
Diresse i grandi occhi verdi a fulminare il “gentiluomo”, mentre quest’ultimo se la rideva fino alle lacrime. La principessa Erzsébet si sistemò il semplice fiore rosa infilato tra i capelli, si puntò i pugni sui fianchi e sibilò: -In tutti questi anni, non sei riuscito mai ad entrare decentemente e con il mio permesso, Gilbert. Mi domando perché ti faccio ancora entrare nel castello.- -Buongiorno anche a voi, principessa- sghignazzò l’albino facendo un grossolano e sarcastico inchino. La principessa sospirò, accigliata. –Mi domando quando l’influenza di Lord Roderich riuscirà a portarti benefici comportamentali. Poveretto, lo fai dannare.- -Chi, quel damerino? Dovresti smetterla di pensare a lui, liebe, e accorgerti della magnificenza del sottoscritto.- -E tu non dovresti parlare in questo modo del tuo caro e galante cugino- replicò sprezzante Erzsébet. In quel momento, forse per rompere la tensione, Antonio fece capolino dalla porta, esclamò un “Hola, Sisi!” raggiante e corse ad abbracciare l’amica. –Ecco perché ti lascio entrare. Tonio, dove hai trovato un amico così?- disse lei sorridendo e ricambiando l’abbraccio. Poco dopo sbucò anche Francis, che le fece uno dei suoi soliti baciamano. –Siate clemente con questo rozzo plebeo, gentile principessa.- -Non c’è bisogno di tante smancerie, Francis, ci conosciamo da secoli!- replicò Erzsébet, ridacchiando. –Rozzo plebeo a chi, scusa?- la interruppe Gilbert scostando il francese. –Io sono un cavaliere teutonico, porta rispetto!- Francis soffocò una risatina. –Infatti i cavalieri teutonici possiedono un animale da compagnia nobile e virile- commentò indicando un piccolo bozzo che si muoveva sotto il mantello di Gilbert. –Gilbird è mille volte meglio di te!- bofonchiò l’albino estraendo dal mantello un piccolo ammasso di piume gialle da sotto il mantello. L’uccellino scosse la testolina e arruffò le piume, pigolando. –Povero piccolo, che razza di padrone ti è capitato- commentò Erzsébet intenerita passando gentilmente un dito affusolato sul capino di Gilbird. –Dovevo nasconderlo a Rózsa, sai che non vuole animali tra i piedi. Gilbird non ha mai fatto niente di male- si lagnò Gilbert accarezzando la bestiola. –Ma questo non è il momento di pensarci, amigos! Dimenticate che quest’oggi è un giorno speciale!- intervenne Antonio raggiante. Francis si schiarì la gola e si inchinò a Erzsébet. –Mia splendida principessa, questi tre leali amici vi porgono i loro migliori auguri di buon sedicesimo compleanno! Cento di questi giorni!- Antonio la abbracciò e Gilbert cercò di darle un bacio sulla guancia, fallendo miseramente per via dei riflessi della principessa che l’aveva preceduto con una manata ben assestata sulla sua faccia.
–Be’, vogliamo recarci nella sala del trono?- sorrise ella con ingenuità, sistemandosi i capelli, il fiore rosa e l’abito ammaccati dall’espansività dell’amico spagnolo. –Certamente! Mio fratello e quell’altro arriveranno tra poco. Noi li abbiamo preceduti perché volevamo rivederti e teniamo a te più di loro- approvò Gilbert, per nulla turbato dal segno rosso a forma di palmo della mano che gli segnava metà volto. Francis gli diede una gomitata. Il galateo stava andando a farsi benedire.
–Dai, vediamo se c’è qualcosa da mangiare!- propose Gilbert massaggiandosi il fianco. -Dato che c’è una festa di compleanno, ci sarà eccome!- esultò Francis. –Ma avete già mangiato la confettura speciale di Rózsa!- fece loro notare Antonio. –Sapete cos’è capace di fare se anche solo sfiorate i piatti da servire…- ma i due non gli prestavano la più minima attenzione, già incamminati allegramente verso le cucine. La principessa rise e tirò Tonio con sé.

-Non credo ai miei occhi… Rózsa ha dato il meglio di sé!- commentò Erzsébet con gli occhi che le brillavano, guardando i ricchi vassoi posti sullo sconfinato tavolo dove si sarebbe tenuto il banchetto, interrotti di tanto in tanto da centrotavola traboccanti di fiori e frutta. Gilbert fece per prendere uno dei dolci alle noci da un canestro di piccoli giunchi, ma Erzsébet gli diede uno schiaffo sulla mano. –Non toccare!- -Ma io credevo…- pigolò Gilbert increspando le labbra, deluso. –Andiamo in cucina, lì ci sarà sicuramente qualcosa che devono ancora portare in tavola- spiegò la principessa. –Non credo che madame Rózsa ci farà entrare, dopo che Gilbert ha attentato alla sua confiture- commentò Francis. –Perché invece non ci rechiamo in giardino? L’aria è fresca e il sole magnifico quest’oggi!- -Ottima idea!- disse Erzsébet, sorridendo.

Attraversarono il grande corridoio per arrivare al portone principale e, da lì, al giardino, ma furono bloccati da un rumore di carrozze. Gli ospiti scesero in una fila ordinata e composta.
Per primo veniva un altissimo uomo biondo, con lineamenti marcati, duri, tantoché sembravan di granito, pallidi occhi cerulei  e la carnagione candida come quella di un uomo del nord – come quella di Gilbert. Era robusto, ed era di certo un potente guerriero, che sovrastava la fila non permettendo di scorgere chi venisse dopo di lui. Si comprendeva che non era abituato ai vestiti eleganti che indossava, era impacciato dal mantello di broccato e dagli alti e scomodi stivali di camoscio. –Vest!- gridò Gilbert facendogli un cenno. –Sei uno splendore!- lui gli rivolse un’occhiataccia seguita da un sorriso benevolo, e salutò cortesemente i nobili rampolli che sorridevano e ricambiavano gli omaggi. Il suo nome era Ludwig della Corte Germanica, e proveniva da una nobile casata discendente dall’Impero Romano. Per quante sembrasse improbabile, era nientemeno che il fratello minore di Gilbert.
Seguivano due sorelle a braccetto, entrambe brillanti di un fascino mediterraneo, spigliate e alla mano. La ragazza alla loro sinistra era la sorella minore, Felicia. Ella era certamente più solare della maggiore, in quanto un ampio sorriso sbarazzino campeggiava permanentemente sul volto grazioso, e sembrava gareggiare per grandezza e luminosità con i suoi splendidi occhi d’ambra liquida. Aveva un nasino a patata estremamente grazioso, e la pelle era rosea e liscia. I capelli castano-rossicci erano raccolti in un’acconciatura complessa e intrecciata di topazi – in quanto la fanciulla vestiva di giallo – e sfuggiva a quella sfarzosa prigione un unico ricciolo ribelle vicino all’orecchio sinistro. Guardava allo sfarzo del castello con meraviglia, emozionandosi anche per una fremente farfalla che le sfiorava i capelli o la spalla innocentemente scoperta a mostrare il suo candore.
La sorella maggiore, Caterina, era assai diversa da Felicia, giacché esibiva una carnagione più dorata e mediterranea, e i suoi capelli erano di una tonalità più scura, sciolti lungo le spalle e trattenuti da una fascia dorata di seta che non serviva a granché se non per decorazione ai boccoli scuri. Tuttavia, c'era una certa somiglianza nei volti delle giovani, una specie di stampo grazioso e delicato. Inoltre anche Caterina presentava lo stesso ricciolo della sorella, essendo il contrassegno della famiglia Vargas, ma le partiva dalla scriminatura per arricciarsi con energia verso l’alto. Aveva grandi occhi del colore delle foglie in primo autunno, quando tendono a ingiallire pur conservando in parte il fresco verde della primavera; i suoi lineamenti erano sottili e dritti, ma non rigidi, smorzati dalla splendida carnagione, ch’era risaltata dal rosso carminio e dall’oro dell’ampio vestito.
Non sorrideva, a differenza della sorella, e la splendida bocca tinta di rosso era modellata in una smorfia di disapprovazione. Di tanto in tanto sgridava Felicia, che si abbandonava all’emozione saltellando sconvenientemente, o lanciava un’acida occhiata all’uomo che le precedeva. Sembrava odiarlo per qualche oscuro motivo.
Il legame strettissimo  tra le due era evidenziato proprio dai rimproveri di Caterina, perché “non mi far fare  figure indecenti”, “ti sporchi il vestito”, “così un fidanzato non te lo trovi manco se lo paghi” erano espressioni da cui trapelava un grande affetto. Infatti Felicia ingoiava tutto il per poi rivolgere uno sguardo ridente e di sfida alla sorella e riprendere la sua spensieratezza naturale, così in contrasto con la durezza dell’uomo che le precedeva e l’acidità di Caterina. Fecero una riverenza, e la maggiore ricevette uno splendido sorriso a trentadue denti da Antonio, ricambiato con un’occhiataccia e una smorfia di insofferenza.
Altre due figure camminavano dietro di loro, stavolta un giovane e una minuta fanciulla che si tenevano per mano.
Il ragazzo era basso rispetto a Ludwig, ma emanava una serietà che incuteva timore e rispetto. Era biondo, i capelli gli sfioravano il collo; anch’egli era del nord nonostante i lineamenti morbidi, da bambino cresciuto troppo in fretta, deformati dall’innaturale espressione cinica. Non era di brutto aspetto, anzi! Le dame lo guardavano languide, affascinate dalla sua imperturbabilità, e molte gli si erano dichiarate; puntualmente, lui le rifiutava. Presentava due grandi occhi verdi perennemente severi, che scrutavano minuziosamente ogni particolare del paesaggio circostante. Sembrava sospettoso, diffidente, e stringeva con fermezza la mano della giovane al suo fianco come per proteggerla.
Vash Zwingli era il suo nome, e veniva dalla Terra delle Montagne insieme alla sua amata sorellina, Lili.
Quest’ultima era poco più che una bambina, di una grazia straordinaria e di un’innocenza abbagliante, accentuata dai puri, lucenti occhi verde selva e dai fiori infilati nei capelli, che erano d’oro fino; sembravano tagliati dai lei stessa, poiché il taglio era impreciso e titubante in alcuni tratti. Sorrideva dolcemente, le labbra morbide e innocenti delicatamente chiuse, e faceva contrasto con la durezza fratello maggiore, ch’ella guardava con occhi traboccanti d’ammirazione e d’affetto. Era vestita di fiori, di lino bianco, di rosa e di fiocchi. Sembrava una di quelle splendide bambole di porcellana dalle gote rosee e gli occhi ipnotici, ma ella aveva più grazia, e mancava di quella prepotente abbondanza di merletti, perle e boccoli.
Vash accennò un inchino rispettoso e Lili fece un’adorabile riverenza. Gilbert le fece l’occhiolino, e Francis un baciamano; entrambi si beccarono un’occhiata assassina dal fratello maggiore della piccola.
Chiudeva la fila un giovanotto poco più alto di Vash. Appena lo vide, Erzsébet arrossì e iniziò a giocherellare con un sottile boccolo al lato del viso. Egli era castano, non un capello fuori posto, meno che per un piccolo ciuffetto che partiva dalla scriminatura tendente a destra. Aveva lineamenti aristocratici coronati da un piccolo neo a sinistra del mento, il naso dritto e regolare, gli occhi di lavanda dal taglio elegante e affascinante, la bocca lievemente piegata in un sorriso cortese. Indossava una giacca bianca dai bordi viola e blu, che lo fasciava quasi interamente e terminava a coda di rondine. Al collo portava del pizzo decorato vezzosamente da un piccolo fiocco viola. Due bassi e graziosi stivaletti blu gli guarnivano i piedi, e le mani raffinate, da musicista, erano infilate in un paio di affettati guanti candidi.
Egli dava a intendere di essere importante. La sua altezzosità era tuttavia raffinata, limitata, quasi soffice, Lettore. Era consapevole di essere nobile, e spesso non c’è male in questo, prendendo in considerazione Gilbert.
Appena si avvicinò alla principessa, le rivolse un profondo inchino e le baciò la mano. Le gote di lei s’infiammarono e i suoi occhioni verdi si spalancarono, brillando. –Mia principessa, concedetemi l’onore di porgervi i miei più sinceri auguri per il vostro sedicesimo compleanno. Siete più radiosa del solito, la vostra bellezza mi colpisce nel profondo- enunciò il nobile che rispondeva al nome di Roderich di Vienna, anche detto della Pietra Nobile, un’aristocratica casata strettamente imparentata con la Corte Germanica e anch’essa discendente dall’Impero Romano. –G-grazie di cuore, Herr Roderich… mi fareste il piacere di accompagnarmi all’interno?- balbettò Erzsébet abbozzando un sorriso. –Non chiederei di meglio, dolce principessa…- -Vi prego, chiamatemi Erzsébet.- -Ne sono onorato. Voi chiamatemi semplicemente Roderich, se è di vostro gradimento. Vogliamo accomodarci?- -Certamente- acconsentì la principessa, accettando il suo braccio. Conversando amabilmente e ridacchiando, i due entrarono nel castello, seguiti dai tre nobili amici di lei.
–“Non chiederei di meglio, dolce principessa”- scimmiottò Gilbert con una vocetta canzonatoria e una smorfia di fastidio che gli piegava la bocca. –E avete visto quei guanti? I guanti sono per le donne!- –Andiamo, mon ami, almeno sembra che la renda felice- commentò Francis dandogli una pacca amichevole sulla spalla. –Non è vero!- protestò l’albino lanciando un’occhiata alla coppia, che tubava e sorrideva con complicità. –Andiamo, ragazzi, dovreste almeno supportarmi!- -Mi dispiace Gil, ma è così ovvio- disse Antonio senza perdere di vista Caterina, che era impegnata a sibilare contro il fratello di Gilbert. Sembrava stesse cercando di contenersi, ma ogni tanto le scappava un “va’ all’inferno, mangiapatate!” un po’ troppo enfatizzato. Felicia cercava di difenderlo, con scarsi risultati.

La coppia si sedette su uno dei divanetti di velluto posti nel salone delle cerimonie, per conversare in pace. –Gli altri ospiti non sono ancora arrivati… sono lieta che siate in anticipo- sorrise Erzsébet guardando timidamente il suo accompagnatore. –Tenevo molto a rivedervi. Spero che mio cugino non vi importuni più di tanto. Il suo comportamento è al pari di quello di un villano, e le sue buone maniere hanno delle lacune impressionanti- rispose Roderich con la sua voce delicata, ricambiando il sorriso. –Non importa, ci sono abituata. Mi chiedo come possa essere così irrispettoso, con un fratello tanto gentile e un cugino tanto galante.- -Voi mi lusingate, Erzsébet.-.
La principessa fece per replicare cortesemente, quando qualcosa dietro di loro cadde con un fragore assordante e si frantumò in mille, preziosi cocci. Era un enorme vaso di porcellana bianca dipinta di verde e oro, posto sopra un piccolo tavolino che ora era a terra.
Tre teste familiari cercarono di nascondersi dietro di esso, ma ormai era troppo tardi. –Io volevo solo parlare con Caterina!- -Gilbert, è tutta colpa tua!- -Basta!- gridò Erzsébet furiosa scattando in piedi, i pugni stretti, il bel viso oscurato dalla rabbia. –Siete degli idioti! Gilbert, non mi aspettavo arrivassi a tanto, ma a quanto pare mi sbagliavo! Mi hai molto delusa, e non è la prima volta!- -Ma Erzsébet…- -Sta’ zitto! Ti avverto: un altro passo falso, uno solo, che possa rovinare la mia festa o infastidire me e Roderich e ti butterò fuori a calci! Mi hai sentito?- l’albino annuì lentamente, evitando di guardarla.
Roderich si alzò e pose una mano sulla spalla della principessa, come per calmarla. Lei fece un respiro profondo e, tremante di collera, sibilò: -Lasciate immediatamente questa stanza.-. Antonio aprì la bocca per scusarsi, ma lei lo zittì. –Lasciate immediatamente questa stanza. Ora.-.
I tre uscirono a testa bassa, trascinando i piedi.
La ragazza si lasciò cadere sul divanetto. Roderich le prese gentilmente la mano. –Stanno esagerando. Non so più cosa fare, come comportarmi.- sospirò lei, portandosi l’altra mano alla fronte e chinando la testa. –Credete che sia stata troppo dura?- -Non direi, Erzsébet. Sono sicuro che non commetteranno altre sciocchezze durante la festa, non preoccupatevi. Vi prego di perdonarli, sono ancora immaturi, solo voi potete aiutarli a crescere.- -Siete così magnanimo, Roderich. Siete degno di guidare il casato di Vienna, ne sono certa.- -Vi ringrazio, ma credo che non possa esistere una futura sovrana migliore di voi.-. La principessa arrossì, lieta. –Sono lusingata, siete troppo gentile… vorrei chiedervi un favore. So che è un poco improvviso, ma… vi andrebbe di suonare il pianoforte per me?- -Con immenso piacere. Qualunque cosa per voi.-.
Stavano per recarsi allo strumento, quando un sommesso rumore di chiacchiere penetrò nel salone, annunciando la presenza di nuovi ospiti.
–Che peccato, credo che sarà per un’altra volta… anzi, che ne dite di esibirvi davanti agli invitati?- -Se questa è la vostra volontà, ne sarò lieto.-. Erzsébet sorrise di nuovo. –Grazie di cuore.




Angolo dei pomodori lunatici

Eccomi qui! ^^
Scusate il ritardo, gli aggiornamenti possono essere un tantino irregolari... ^^"
Ma andiamo al dunque! Questo capitolo è lunghissimo rispetto agli altri :3 spero che non vi abbia annoiati con le descrizioni e di aver reso i personaggi abbastanza IC - quest'ambientazione è spinosa, argh!
Ed ecco che qui si nota la prima, grande differenza con la storia originale: Erzsébet non è mai stata affidata alle fate, sebbene fosse la cosa più sicura da fare. Perché? Questo si spiegherà in uno dei prossimi capitoli ^^ (inoltre avrebbe reso la situazione molto complicata per me, insomma, come avrebbe fatto a conoscere il Bad Touch Trio e Roderich? Be', avrei potuto trovare una soluzione, ma il vero problema è: come avrebbe fatto a sopravvivere con quelle tre e la pessima cucina di Rose? La cattiva non ha un buon cuore, qui D: )
Oh, e c'è il primo accenno al triangolo: lui ama lei, ma lei ama un altro, e l'altro amerà lei? Peggio di Beautiful.
Ed ecco a voi Rózsa, la cuoca tosta! Che ve ne pare? :3 Questo sarà l'unico capitolo in cui apparirà, credo. Rózsa è un nome ungherese molto comune, l'equivalente del nostro Rosa, probabilmente.
Vi giuro che all'inizio volevo inserire solo Roddy e Luddy, ma niente da fare, le mie dita non mi danno retta. In pratica ho finito per stipare mezzo mondo nel castello, e mica sono solo questi! (Tranquilli, non ci saranno troppe altre descrizioni... non troppe ^^")
Be'... non so cos'altro dire, se non ringraziare le fantastiche ragazze che hanno recensito i due scorsi capitoli: Princess Vanilla, Tay66 e Generale Capo di Urano! <3
Grazie anche a chi dà una sbirciatina e soprattutto a chi arriva in fondo ^^
Al prossimo capitolo!
Adios, churros y abrazos,
Tsukiakari

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Capitolo 4
*** Capitolo Secondo ***


Capitolo Secondo

 

Il salone delle cerimonie raramente era stato tanto affollato. Nobili da ogni angolo del mondo erano riuniti lì per festeggiare la bella principessa, che rideva, conversava, rivolgeva sorrisi a ciascun invitato. In cuor suo preferiva le feste intime, ma l’etichetta le imponeva di comportarsi a modo, e la sua natura di ragazza dolce – anche se non sempre era stato così, Lettore – la incitava a seguire quelle regole. Era una festa davvero sfarzosa: una grande orchestra era posta in un angolo. Gli strumenti erano lucidi e profumavano di legno.

Per quanto riguarda i tre mascalzoni, Lettore, essi si stavano dedicando a compiti mondani: Francis discuteva di vini e dolci con un nobile orientale, salutando languidamente con gli immancabili baciamano qualche nobildonna che gli passava accanto; Antonio chiacchierava allegramente con la bella e scontrosa Caterina. Ella non l’avrebbe mai ammesso, ma le faceva piacere la compagnia del giovane; tuttavia aveva prudenza nel non darlo a vedere, temendo di rovinarsi la reputazione di dama non influenzabile. Gilbert era seduto vicino al tavolo del buffet, e lanciava occhiate di fuoco a Roderich, ma per nessun motivo al mondo avrebbe ammesso di esser geloso. Ogni tanto, pescava qualcosa dal tavolo e lo divorava nervosamente.

Per quanto riguarda gli altri ospiti, Felicia era emozionatissima. Si serviva di ogni tipo di dolce, incurante degli insistenti commenti di Ludwig, che la accompagnava, sul fatto che più tardi sarebbe potuta sentirsi male. Lei rideva e ribatteva gesticolando e puntando l’indice a mo’ di ammonimento che il bel tedesco stava sottovalutando le sue capacità digestive. In effetti aveva un corpo snello e flessuoso, evidenziato dallo stretto corpetto giallo che le fasciava il busto.
La piccola Lili chiacchierava amabilmente con il più giovane dei paggi, Raivis Junior (figlio dell'omonimo paggio che servì la corte sedici anni prima), il quale era era rosso in volto e sorridente.
Il fratello maggiore della fanciulla se ne stava in un angolino lanciandogli occhiate tutt’altro che amichevoli, mentre rispondeva a monosillabi a qualche graziosa dama che tentava invano di iniziare una conversazione.
Lettore, credo di star dimenticando qualcuno... Ma sì, Gilbird! Il pulcino era al sicuro sotto il mantello candido del padrone, e stava soffrendo tremendamente il caldo. Non poteva trovare refrigerio all’esterno, poiché grande era il timore di Gilbert per Rózsa, che lo teneva a vista d’occhio.

Venne il momento delle danze, e il nostro albino era più furioso che mai. Divorava uno dopo l’altro i morbidi dolci alla crema, mentre i suoi occhi scarlatti andavano scurendosi ad ogni morso. Inutili erano state le preghiere di Antonio e Francis, che lo spronavano a divertirsi. Gilbert scuoteva la testa, indicando muto la coppia formata dalla principessa e Roderich, che volteggiavano graziosamente. Aveva aperto bocca solo per mugugnare un “tanto io faccio schifo nel valzer” pieno di risentimento.
Francis si era arreso ed aveva chiesto una danza ad una dama, mentre Antonio, dopo un po’ di insistenza, era andato a cercare Caterina per prenotare un ballo.

L’albino sospirò, scoraggiato. Neanche fece caso all’elegante figura che gli si stava avvicinando.
Mon cher, voi non ballate?- domandò una voce suadente dal forte accento francese dietro di lui. Gilbert drizzò il capo e si voltò di scatto verso la donna. Non l’aveva mai vista prima d’allora, ma era certo di aver incontrato poche altre dame di bellezza pari a quella di lei. Inoltre, aveva qualcosa di stranamente familiare. Aveva capelli di un luminoso castano chiaro, raccolti in un morbido chignon e decorati da una graziosa tiara, che incorniciavano il viso illuminato da grandi occhi del blu più ipnotico e profondo che avesse mai visto. Aveva un grazioso naso a patata, e una bocca rossa e carnosa.
–No…- mormorò, tornando a guardare la coppia. –La mia dama è già impegnata. Non avrà mai tempo per me.- -Oh, che tristezza- commentò lei, corrucciando la splendida bocca. –mi dispiace davvero molto. Monsieur Roderich è un nobile di indubbio fascino, non è facile reggere il confronto. Neanche per un baldo giovanotto come voi.- -Lo so bene, grazie- bofonchiò Gilbert, abbassando lo sguardo. –Oh, non intendevo ferirvi- cinguettò lei -ne siete certamente all’altezza. Forse è la principessa che ha altri gusti, capite, il galateo eccetera. Siete davvero sicuro di non voler ballare? Potreste invitare me, ho rifiutato tutte le proposte.- -Sarebbe un onore,- articolò faticosamente Gilbert, in difficoltà –ma non è proprio il momento, mi dispiace. Sarà per un’altra volta.- -Certo, capisco- commentò la donna, per nulla offesa. –Be’, vorrà dire che chiederò a monsieur Wang di ignorare il mio rifiuto. Je souhaite que nous nous reverrons*, monsieur Gilbert. Au revoir!- e si avviò verso gli altri nobili.
–Aspettate!- gridò Gilbert. –Come fate a sapere il mio nome?...-
Ma la donna era già scomparsa tra la folla.


-Miei nobili ospiti, vogliate concedermi un attimo di attenzione!- esordì Erzsébet battendo le mani, al termine delle danze. –Herr Roderich di Vienna sarebbe lieto di farci ascoltare un brano al pianoforte, composto nientemeno che da lui stesso!- un mormorio concitato e un applauso accompagnarono queste parole.
Il galante nobile prese posto allo strumento, si tolse i guanti candidi e pose le mani raffinate sui tasti: da lì iniziò la sua magia.
Note delicate e arpeggi lievi si diffusero per l’immenso salone, arrivando fino al cuore di ogni ospite e della principessa stessa, che aveva in volto un’espressione estatica e commossa.
Persino Gilbert alzò lo sguardo verso il cugino, sentendosi dispiaciuto per i suoi continui dispetti e per non aver riconosciuto il suo enorme talento. Si morse un labbro e si alzò per avvicinarsi e complimentarsi e… scusarsi con lui a fine brano.
Stava per dirigersi verso il resto del pubblico, quando il brano fu bruscamente interrotto da un lieve tonfo. Qualcosa aveva colpito Roderich in pieno viso. Lui, stupito, raccolse l’innocuo proiettile che era rimbalzato a terra. Erzsébet corse da lui, spalancò la bocca e alzò lentamente gli occhi verso… Gilbert.

L’albino sussultò, sorpreso. Mai aveva ricevuto un’occhiata come quella in vita sua. Si sentì scosso da quello sguardo furioso, fulminante.
Perché proprio lui?
La principessa gli marciò incontro come una furia, stringendo convulsamente l’oggetto. Glielo piazzò davanti alla faccia. Era un dolce alla crema. Gilbert, lentamente, girò il capo verso il piccolo, unico canestro dove erano posti i dolci di quel tipo.
Era sul tavolo, alla sua destra.
E lui ne stava mangiando fino a poco prima.

L’albino si irrigidì, e puntò lentamente gli occhi verso Erzsébet. L’espressione della principessa preannunciava tempesta, ma c’era quel bagliore in fondo ai suoi occhi… cos’era? Delusione? Dispiacere?
Gilbert non si era mai sentito tanto mortificato, pur sapendo che non era colpa sua. Ma allora chi?… -Vattene- sibilò la principessa, indicando la porta. Lui la fissò, spiazzato, confuso. –Ho detto vattene!- ordinò lei con voce rotta.
Gilbert non provò neanche a giustificarsi.
Lentamente, trascinando i piedi, si avviò verso il portone principale. Non si udì altro rumore che quello delle sue suole contro il freddo pavimento di marmo lucido.

Quando arrivò all’esterno, si lasciò cadere in ginocchio sul selciato.
Sentì la sua bocca piegarsi in una strana smorfia, le labbra tremanti, e i suoi occhi albini riempirsi di… acqua?
Lui, il magnifico cavaliere teutonico, eroe di tante imprese, famoso per la sua spavalderia, stava
piangendo.
Mentre stringeva i denti per soffocare i singhiozzi, una mano candida e forte si appoggiò sulla sua spalla. Non aveva bisogno di alzare gli occhi lacrimanti per sapere che si trattava di Francis. Antonio gli si accovacciò vicino e gli accarezzò la schiena.
–Tornate lì- mormorò Gilbert scostandosi. –lei non vuole che manchiate alla sua festa.-
-Mai e poi mai. Sei il nostro migliore amico, Gil- si oppose il moro. –Un cretino, ma sempre il nostro migliore amico- continuò Francis, sorridendo e porgendogli una mano
Gilbert la accettò, si alzò e li abbracciò. –S… scusate, ragazzi- borbottò, impacciato. –perdonatemi per quello che vi faccio passare, sono il peggiore amico che potesse capitarvi. Siete magnifici, non… non vi merito.- -Questo vuol dire che sei più idiota di quanto pensassi, mon cher- sghignazzò Francis, dandogli un pugno amichevole sulla spalla. –Esatto! Secondo te, non  ti avremmo piantato in asso da un pezzo se avessimo avuto il buon senso di farlo?- commentò Antonio, sorridendo. –Gilbert, tu ci piaci perché con te non ci si annoia mai. E non è vero che sei un pessimo amico, rimangiatelo subito, altrimenti chiamo Caterina e ti faccio fare un discorsetto da lei.- -Per carità!- sobbalzò l’albino. –Ritiro tutto quello che ho detto!- gli altri due scoppiarono a ridere. Anche Gilbert si unì al coro di risate, ma il suo kesesesese gli morì in gola.
Davanti a loro c’era la donna che lo aveva invitato a ballare, e aveva una strana luce negli occhi.
Francis si bloccò, e sgranò gli occhi, straordinariamente simili a quelli della dama (Ecco chi mi ricordava!, pensò Gilbert, incredulo).
–Marianne? Pourquoi es-tu ici**?-.
Lei sogghignò. I suoi occhi cambiarono colore in una vampata, e divennero rossi, rossi come le rose di bosco, rossi come il sangue. I lineamenti non mutarono, preservando la stessa raffinata bellezza, e la pelle si fece bianca come il mantello di Gilbert. I capelli schiarirono diventando color biondo pallido.
Francis era sconvolto. –Francine de Marseille…- mormorò, mentre i suoi occhi blu si riempivano di terrore.
–Che piacere rivedervi, monsieur Francis- trillò Francine con un sorriso falso. Schioccò le dita, e un curioso flauto di ottone fumante le apparve nella mano destra. Lo scosse e lo fece roteare abilmente tra le dita affusolate rivestite dai guanti viola.
–Mi dispiace aver rovinato questo quadretto idilliaco, ma temo che non possiate restare più qui, trésors- annunciò, corrucciando la bocca tinta di rosso. Poi la riaprì in un sorriso malvagio e soffiò verso i tre amici il fumo che si era accumulato durante la rotazione del flauto. Le volute cominciarono a vorticar loro intorno mentre il paesaggio cambiava…


Erzsébet si diresse verso Roderich e gli porse le sue più sentite scuse, trattenendo le lacrime. Lui sorrise e la rassicurò. –Non preoccupatevi, ci sono abituato. Vorrei soltanto usufruire dei servizi igienici, cara Erzsébet. Sarebbe un sollievo poter pulirmi da questa crema.-.
Lei gli indicò la via per il bagno, e, appena sparì dalla sua vista, corse via in lacrime, sotto lo sguardo attonito e preoccupato degli invitati.
Felicia cercò di seguirla per rassicurarla, ma la sorella le posò una mano sulla spalla per trattenerla, mormorando un “meglio di no” appena percettibile. Un pesante silenzio si impossessò della sala.







Angolo dei pomodori lunatici

*Je souhaite que nous nous reverrons: Spero/mi auguro che ci rivedremo
**Pourquoi es-tu ici?: Perché sei qui?


Guardate un po’ chi si rivede! Quella è proprio Francine, che è riuscita ad intrufolarsi alla festa! (Oh noooo)
È un po’ contorto, sì. In pratica Francine, ovvero 2p!Fem!Francia, si è travestita da Marianne, ovvero Fem!Francia. Ho pensato che Francis dovesse conoscerle entrambe, specie Fem!Francia, la quale non è stata invitata alla festa: perciò Franny si stupisce della sua presenza.
Ovviamente è stata quell’orribile donna ad incastrare Gilbert! Credo che metterò la nota OOC per causa sua, eheh.
Oh, e vi piace la mia OTP crack? Lettonia x Liechtenstein *-* sono così pucci!
Ma le vere domande sono: dove sarà finita Erzsébet? Dov'è invece il Bad Touch Trio? Austria riuscirà a togliersi la crema? E Svizzera ucciderà il povero piccolo pusciolo Lettonia? E io riuscirò a non farmi venire i complessi di inferiorità a causa dei bimbetti superdotati appena reduci dalla quinta elementare che vengono al campus di danza con me? E chi se ne frega? Si scoprirà nel prossimo capitolo! (Se ci arrivo senza depressione tagliavene aiut- non sono aiutata dal mio cellulare, che ha decisa di creparsi ma di brutto proprio quando devo smaltire i complessi con qualche fanfiction)
Un caldabbraccio a Tay66, Princess Vanilla e Generale Capo di Urano per le loro bellissime recensioni!
Alla prossima!
Adios, churros y besos,
Tsukiakawi :3

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Capitolo 5
*** Capitolo Terzo ***


Capitolo Terzo

 
 
Erzsébet si fermò, senza fiato.
Da quanto stava correndo?
Non ne aveva idea, Lettore, sapeva solo che si sentiva malissimo.
Una specie di nodo le stringeva lo stomaco, e le lacrime non accennavano ad asciugarsi.
Tuttavia, riuscì a prendere coscienza del fatto che non sapeva dove fosse. Le poche finestre presenti erano ricoperte di polvere, e facevano filtrare pochissima luce.
Quando si fu abituata alla scarsa luminosità, la principessa si guardò intorno. Non era mai stata in quella zona del castello, prima d’allora.
Notò che il corridoio terminava con un’enorme porta di ferro arrugginito, piena di chiavistelli e di ragnatele.
Di fianco alla porta c’era un antico specchio, incorniciato da un filo d’argento segnato dal tempo. Non rifletteva alcuna immagine.
D’istinto, tornò a fissare l’immensa porta.
Fu presa improvvisamente da una struggente curiosità, e poggiò una mano sul portone, che inaspettatamente cedette con un gemito sotto il suo lieve tocco.
Entrò impaziente – perché era così impaziente? – e quello che vide la fece sussultare: migliaia e migliaia di strani oggetti formati da una specie di scodella bassa e un manico sottile erano ammassati in grossi cumuli, che riempivano gli angoli dell’immensa stanza. Solo uno di quegli strani oggetti era separato dagli altri, Lettore. Era in mezzo alla stanza, proprio davanti ai piedi della principessa. Non sembrava un oggetto prezioso né interessante in alcun modo: era di rame, polveroso e leggermente bruciacchiato sul retro… ma Erzsébet lo desiderava, con tutte le sue forze, sentiva che doveva averlo! Si lasciò cadere vicino all’ oggetto, con gli occhi che le brillavano di una strana luce e le dita che si protendevano verso di esso, tremanti per l’impazienza.
E poi successe, Lettore.
Appena entrò in contatto con il freddo metallo, il suo corpo fu squassato da una scossa elettrica che le gelò il sangue, privandola di forze. Sentì la sua mente annebbiarsi, le palpebre farsi pesanti e un insopportabile dolore al petto…



Era buio. Antonio non vedeva nulla, assolutamente nulla. Tastò il terreno intorno a sé, e sussultò quando avvertì dei morbidi capelli  sotto la sua mano. Il proprietario della chioma sobbalzò, e gli afferrò la mano facendogli emettere un gridolino di terrore. –Qui êtes-vous?- domandò nervosamente una voce familiare, e quella domanda lo fece sospirare di sollievo.
–Francis!-
-Tonio?-
-Ragazzi?-
-Gilbert!-
-Meno male che siamo insieme…-
-Il problema è dove siamo- precisò Francis, tremando.
Un fascio di luce piovve dall’alto e li illuminò spietatamente. Gilbert sbatté le palpebre. Quella luce faceva male agli occhi, soprattutto ai suoi che erano albini. Dovette tenerli ben chiusi, coprendoseli con le mani.
–Dove siamo, ragazzi?-
-Qui non c’è nulla- mormorò Antonio, scioccato.
–O perlomeno, non si vede nulla- disse Francis cercando di cogliere qualche particolare, senza successo.
Lo spazio sembrava finire nei limiti di quel cono di luce.
Una risatina malefica li fece sussultare. –Come siete divertenti, mes petits!- trillò la voce di Francine di Marsiglia, facendo rabbrividire Francis. –Davvero adorabili- continuò allegramente la voce. –Controlliamo se siamo tutti… allora, l’Impavido c’è. Poi viene il Nobile, e infine il Puro. Oh, sembra che manchi la pedina più importante… senza di lui non possiamo giocare! Sarebbe un peccato!- si sentì uno schiocco e un altro fascio di luce piovve dall’alto a poca distanza da loro, illuminando una figura familiare.
–Roderich?- mormorò Gilbert, riconoscendo il cugino.
–Oh no, trésor, lui è il Vero Amore- lo corresse Francine, divertita. –Il… Vero Amore?- chiese Antonio, confuso. –Oui, monsieur Antoine. Suppongo che siate tutti a conoscenza della maledizione che ruota intorno alla principessa Erzsébet.-.
Roderich sussultò. –Ora che ci penso… ce l’hanno raccontata quand’eravamo bambini. Francamente non mi è più tornata alla mente. È come se l’avessi dimenticata…- -È vero!- concordò Antonio. -Come se fosse una cosa di poca importanza... non ci ho più pensato!-. Gli altri due annuirono.
–Questo perché ho fatto in modo che fosse così- spiegò Francine, con una punta di orgoglio nella voce. –Persino i genitori della principessa non ne hanno memoria. Cominciarono a dimenticarla quando l’editto contro le padelle terminò. Capite, non avremmo potuto giocare se i sovrani avessero affidato Erzsébet alle fate…-
-Cosa sono le… padelle?- la interruppe Antonio.
La donna emise uno squittio di fastidio per essere stata interrotta.
–Non sono nulla di pericoloso in sé, ma sono fatali per la principessa, che ora giace in un sonno simile alla morte grazie ad esse, e vi ha trascinato anche gli invitati al suo compleanno e tutti gli abitanti del castello.- -Dobbiamo risvegliarla- ringhiò Gilbert, furioso, –e te la faremo pagare per tutto questo.- -Oh, l’Impavido- ridacchiò la voce di Francine –sei la pedina più interessante, ma non riuscirai a crearmi problemi. Comunque, ho deciso di darvi una possibilità per risvegliare la dolce Erzsébet e tutti i vostri nobili amici. Dovrete superare tre prove, e non vi garantisco che ne uscirete insieme. Due di voi potrebbero rimanervi intrappolati, e se non vi dimostrerete all’altezza, vi costeranno la vita. Ci vorranno gentilezza, intelligenza, sacrificio e coraggio. Se tenterete di evitare le prove, morirete. Volete cimentarvi in quest’impresa? Volete riavere la vostra cara Erzsébet?-.
I ragazzi si guardarono, cercando coraggio e approvazione negli occhi degli altri.
–Sì- rispose Roderich, a nome di tutti.
Un fuoco viola divampò intorno a loro, mentre una risata malefica riecheggiava nell’oscurità. –Bonne chance!

 
I quattro giovani nobili fremevano di determinazione, mentre il paesaggio intorno a loro cambiava.
Una pesante afa li assalì di colpo, e sentirono il terreno cedere sotto di loro.
L’aria sembrava tremare per il terribile calore, deformando il cielo azzurro falso.
Erano in un deserto.
Gilbert si tolse immediatamente la cotta di maglia e il mantello, lasciandosi la candida veste decorata dalla croce nera e la spada; Gilbird gli si poggiò su una spalla, arruffando le piume e pigolando. Anche gli altri alleggerirono i proprio vestiti.
–E ora? Cosa dovremmo fare?- chiese Francis, asciugandosi le goccioline di sudore che gli imperlavano la fronte.
Antonio sussultò, sgranando gli occhioni verdi.
–Ragazzi, ho come una specie di istinto…- mormorò Antonio, voltandosi in modo da dar loro le spalle. -…da questa parte- concluse, incamminandosi.
Gli altri tre si guardarono e, in silenzio, seguirono lo spagnolo.

Gilbert era confuso. La cosa che lo inquietava di più era la disarmante sicurezza di Antonio e l’assoluta fiducia che sentiva di dover riporre in lui.









Angolo dei pomodori lunatici
Hola!
Mi scuso per il ritardo, ma ho avuto molti impegni (è meglio non ricordarli per evitare il complesso di Romano XD)
Dovrei anche essere in punizione, forse.
Ordunque! Questo capitolo è un po' più corto rispetto agli altri, ma era necessario, anche per aumentare la suspence (non odiatemi!)
Breve ma abbastanza intenso, direi. Quella str... strega antipancake di Francine ha radunato tutti i nostri baldi giovanotti! Ora il senso della filastrocca di Dana ha un senso, nevvero?...
Be', in poche parole ciascuno dei nostri pollastrelli eroi ha un ruolo fondamentale, nel salvataggio di Sisi. Ed ecco un'altra, grande differenza con la fiaba originale: le tre prove! *nona sinfonia di Beethoven in sottofondo*
Ce la faranno a uscirne tutti interi? Mah. Personalmente, io ne dubito.
Tanti churros alle grandiose Lettrici che recensiscono questa umile storia, ovvero Generale Capo di Urano, Tay66 e Princess Vanilla!
Un grazie anche a chi ha messo la storia nelle seguite/ricordate <3
Concludo lo spazio autrice con un annuncio: da domenica fino alla prossima domenica sarò in un paesino sperduto tra gli Appennini, in un bungalow, completamente isolata dal resto del mondo T^T quindi, se non aggiornerò domenica mattina, vi lascerò con il fiato sospeso per otto assurdi giorni! Gomenasai, gomenasai! (/T^T)/
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Adios, churros y besos,
Tsukiakari

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Capitolo 6
*** Capitolo Quarto ***


Capitolo Quarto

 
 
Camminarono per un tempo che sembrò loro un unico giorno interminabile, tra giornate di caldo insostenibile e notti gelide e oscure.
Non sentivano il bisogno di mangiare né di bere, ma quello che più li stupiva era che non se ne stupivano affatto.
Avvertivano solo una pesante stanchezza, che appesantiva le loro membra fino a farle diventare di piombo, che non permetteva loro di dormire.
La sabbia si insinuava nei loro abiti, facendo loro digrignare i denti di fastidio.
Gilbert era quello che stava peggio: era costretto a coprirsi col suo mantello per non scottarsi, il sole lo accecava e il caldo lo estenuava, essendo abituato al clima rigido del nord.
Aveva avuto persino dei miraggi, ma erano stati fulminei, ed era tanto confuso che non avrebbe saputo dire se stesse dormendo o fossero allucinazioni.
Scambiava con gli altri solo poche parole, le uniche necessarie. Una strana atmosfera regnava in quell’inferno arido, e c’era tensione sotto l’aria tremante, la sabbia ruvida e gli improvvisi venti caldi. Era come essere intrappolati in un incubo, che appesantisce le membra e confonde la mente.


E poi, un giorno, sentirono uno strano, confortante rumore.
Fecero un po’ di fatica a capire cosa fosse, ma si diressero verso la direzione da cui proveniva.
Quando arrivarono, rimasero sconcertati: il luogo traboccava di verde, piante altissime e fiori sgargianti che, dopo la monotonia del deserto, facevano male agli occhi.
Ed ecco da cosa proveniva il rumore: un fiumiciattolo scorreva in mezzo a quel paradiso, allietando le loro orecchie e confortando il loro spirito.
Si addentrarono in mezzo alle palme, meravigliati, quando udirono un altro rumore.
Non era piacevole, era un suono frammentato, strozzato, acuto.
Antonio corse inseguendo quel suono, d’istinto.
Gli altri si guardarono, muti, e lo seguirono preoccupati.
Lo trovarono seduto vicino a una minuta fanciulla dalla pelle scura, di cui non si scorgeva il viso per via delle manine che lo coprivano. I suoi capelli d’ebano erano raccolti in due codine fermate da due fiocchi rossi, ed era vestita di foglie e di fiori. Ella stava piangendo, le spalle squassate dai singulti. Davanti a lei c’erano due tubi di rame che sbucavano dal terreno, attorcigliati su se stessi in modo da formare strane forme intricate.
Antonio accarezzava la schiena della bambina, cercando di confortarla. Lei scostò appena le mani, mostrando gli splendidi ed enormi occhi nocciola. Un rossore sfumato vicino alle palpebre deturpava la loro bellezza. Erano lucidi, traboccanti di lacrime. Antonio le sorrise, rassicurante, e lei scoprì completamente il viso.
Era estremamente graziosa, ma la sua bocca era corrucciata in una smorfia di tristezza, e i suoi grandi occhi trasmettevano una terribile desolazione. Faceva male al cuore vederla piangere. Appoggiò la testolina al petto di Antonio, che ne fu un po’ sorpreso, ma continuò a sorridere e le accarezzò i capelli.

Un’improvvisa vampata di fuoco scarlatto fece sobbalzare i quattro amici. Una strana figura si fece largo tra le fiamme. Aveva lunghi capelli biondo grano spettinati, una bombetta da un lato della testa e occhi color rosso sangue. La ragazza aveva caratteristiche piuttosto insolite, ma ciò che li colpì di più furono i  suoi canini eccessivamente accentuati e l’aura rosso cangiante che la circondava.
Tu la conosci già, Lettore.
Roderich fu il primo a parlare. –Chi siete?- -Un’amica- rispose sbrigativa la fata, rivolgendogli un breve sorriso. Si sedette vicino alla bimba, ancora tra le braccia di Antonio.
–Roderich, Francis, Gilbert, dovete andare. Antonio dovrà portare a termine il compito che si è assegnato- annunciò. –Vedete questa bambina? Le sue lacrime evaporano a causa del calore del deserto, e il vapore viene risucchiato da questi tubi- e qui indicò gli strani oggetti di rame contorti davanti alla fanciulla, -che lo portano fino alla principessa e alimentano la maledizione, facendola espandere fino al di fuori del castello. Antonio dovrà ascoltare la sua storia, consolarla e farla smettere di piangere. Di norma ci vuole il sangue per alimentare le maledizioni, ma Francine di Marsiglia è una strega dagli immensi poteri, capace di adattarsi a qualunque situazione. Inoltre, questa fanciulla è protetta da Rose della Terra di Kirk, e non potrà subire alcun male fisico finché ella non interromperà la sua magia di protezione.-. Alzò gli occhi rosso sangue verso i tre giovani. –Antonio sarà al sicuro. Lo riporterò indietro quando il suo compito sarà finito, non vi preoccupate. Ma ora andate.-.
Gli altri guardarono Antonio, combattuti. Lui annuì, con un sorriso rassicurante.
–E se… Francine vi attaccasse?- chiese Francis, preoccupato. –Ci sarò io a difenderlo- assicurò Dana, posando una mano sulla spalla dello spagnolo. Gli amici tirarono un sospiro di sollievo.
–Tra poco dovreste passare al prossimo scenario…- annunciò la fata, ma non fece in tempo a finire la frase che un forte vento cominciò a spirare, sollevando sabbia e scompigliando le loro vesti e i loro capelli.
Con gli infidi granelli che gli graffiavano i delicati occhi, Gilbert gridò, cercando di sovrastare il frastuono del vento nelle sue orecchie. Se ne pentì, perché dovette tossire e sputare la sabbia che gli era entrata in bocca. Si lasciò cadere a terra in ginocchio, proteggendo Gilbird con il suo corpo.
Credendo di soffocare, fece per arrendersi al suo destino, quando il vento cessò di colpo.

 
Puro e gentile come un sorriso lucente.




 


 Angolo dei pomodori lunatici

Ave a voi, Lettori!
Questo capitolo a dire il vero non mi piace molto. Sembra un po'... costretto. Ed è pure corto! (La verità è che non avevo ispirazione per la prova di Tonio, e me la sono dovuta cavare a forza -.-)

Avete riconosciuto la bambina? :3 E' Seychelles, ed è di un OOC stratosferico! Gomenasai! T^T
La seconda prova sarà simile a questa, mentre la terza completamente differente.
Comunque, visto che ce l'ho fatta ad aggiornare! :3
Purtroppo dovrete aspettare altri otto giorni prima di scoprire la seconda prova! Sarò praticamente assente dal sito T^T
Be', fatemi sapere che ne pensate, se vi va!
Grazie infinite alle meravigliose Lettrici che mi supportano e sopportano, ovvero Tay66, Princess Vanilla e Generale Capo di Urano! *3*
Grazie anche a chi da un'occhiata e a chi arriva fino in fondo!
Inoltre, festeggiamo con tanti churros: il primo capitolo ha raggiunto 109 visite! ^o^ *lancia churros al cioccolato*
Aspettatemi, otto giorni e son di nuovo qui!
Adios, churros y besos,
Tsuki-chan <3

PS: per Princess Vanilla e Tay66, scusate se vi ho stressato con tutti questi aggiornamenti (anche con August the Sixth)!

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Capitolo 7
*** Capitolo Quinto ***


Capitolo Quinto

 
 
“Acqua”, pensò Gilbert, ancora a terra.
Ce ne doveva essere molta, dato che gli scrosci gli riecheggiavano nelle orecchie.
Si sentì sollevare da due paia di braccia forti.
La patina di sabbia che lo ricopriva interamente fino a pochi secondi prima sembrava essersi volatilizzata.
Tentò di aprire gli occhi, ma, non appena li schiuse, migliaia di puntini multicolore ostacolarono fastidiosamente il suo campo visivo. Strinse istintivamente le palpebre.
Quando riuscì faticosamente ad aprire gli occhi, rimase senza fiato (forse per la prima e unica volta nella sua vita): decine di cascate di ogni altezza li circondavano, spruzzandoli d’acqua fresca e cantando loro nelle orecchie.
L’albino si sentiva come rigenerato da quell’acqua e da quel suono, dopo la lunga tortura del deserto.
Sentiva la pelle pizzicare e bruciare oltre a uno strano indolenzimento. Sicuramente si era scottato. Alzò lo sguardo verso l’alto per ammirare l’origine delle cascate, ma si accorse con stupore che provenivano direttamente da un soffitto. Non era una grotta, o qualcosa di simile. Era proprio un soffitto, e affrescato con angioletti e stucchi dorati, per di più. Erano all’interno di un’enorme stanza.
–Grazie, ragazzi- gracchiò, divincolandosi dai due amici. –Dove siamo?- -Non ne ho la più pallida idea…- mormorò Roderich, sconcertato. -…ma il problema è: come faremo ad uscire?-. La domanda dell’austriaco fece rabbrividire gli altri due. Si guardarono intorno, e constatarono di essere completamente circondati dalle cascate.
Non c’era apparente via d’uscita. –Ci ha fregati!- Gilbert imprecò, furioso. –Siamo in trappola!- –No- lo interruppe Francis, sussultando. –No… le cascate. Dietro le cascate. Dobbiamo passare lì.- -E tu come fai a sapere…- iniziò Gilbert, ma fu interrotto dal cugino. –Ha senso. Dietro le cascate ci possono essere delle grotte. Proviamo, è certo meglio che restare qui senza far niente…-.
I tre si incamminarono verso una delle numerose cascate che li circondava.
–E come facciamo a sapere che questa ci porterà all’uscita?- borbottò Gilbert, scettico. –Da qualche parte porterà- commentò Francis. –Ma come facciamo a passare attraverso la cascata?- chiese di nuovo l’albino.  Roderich infilò una mano nel getto d’acqua, che la respinse violentemente. –È troppo forte…- commentò, deluso. –Che ti aspettavi? È una cascata!- ridacchiò il cugino. –Ma questa ha qualcosa di strano. È come se mi respingesse di sua spontanea volontà.- -Come no! Una cascata animata, e poi cos’altro?-.
Mentre i due battibeccavano, Francis prese la spada antica che Gilbert teneva al suo fianco appesa a un cinturone, e ne osservò il piatto opaco.
Era davvero larga, più o meno come la sua bianca e raffinata mano.
Emanava uno strano calore. Una specie di istinto lo assalì.
Senza proferir parola, la infilzò nel getto d’acqua.
La cascata si pietrificò, ed esplose.
Miliardi di pezzettini piovvero sui tre giovani, che si protessero istintivamente il capo con le braccia.
Quando la pioggia terminò, i due cugini alzarono la testa, scioccati. -…e poi una cascata che si pietrifica ed esplode- mormorò Gilbert guardando incredulo l’amico francese, di spalle rispetto a lui.
Davanti a lui si ergeva un’enorme grotta, completamente buia.
Francis mise un piede all’interno della cavità, e una piccola pallina di luce verde apparve dal nulla davanti a lui. Un altro passo, e la lucina si mosse in avanti, come a indicargli la strada. Fece un cenno agli altri due, che lo raggiunsero, ancora increduli. Si incamminarono, di nuovo in religioso silenzio, nella grotta, seguendo quella strana luce.

Arrivarono davanti ad una porta bianca, finemente decorata da numerosi cristalli che scintillavano nella penombra.
La luce si dissolse nell’aria pesante che regnava nella grotta.
–Cosa diavolo ci fa una porta in una grotta?- borbottò Gilbert scettico, accarezzando Gilbird con un dito.
–Non lo so, ma dobbiamo entrare- affermò Francis, poggiando la mano sulla maniglia d’argento, che cedette.
Entrarono timorosi, aspettandosi il peggio da un momento all’altro… ma non successe niente.
Erano in una stanza ben illuminata e stravagante, degna di un posto come quello. Il soffitto era una specie di cupola azzurra senza finestre. Eppure era tutto ben illuminato... la luce proveniva dal basso. Uno strano labirinto alto pochi centimetri, riempito di uno strano liquido trasparente e luminescente, costituiva il pavimento.
Tutte le strade del suddetto labirinto defluivano attorno ad una specie di padiglione circolare, dove sorgeva un alto acero rigoglioso. Un enorme drappo di stoffa ricamato era appeso accanto ad esso da fili invisibili. Le lavorazioni della stoffa raccontavano di una storia d’amore e di sofferenza. Erano i ricami più belli che i giovani avessero mai visto, ma le scene si interrompevano bruscamente... sembravano incompleti. Solo allora si accorsero di una piccola figurina bionda seduta a terra. Francis pose un piede sul minuscolo labirinto e si avviò verso la fanciulla, cercando di non inciampare nelle rientranze. I due cugini lo seguirono, titubanti. La piccola fanciulla alzò il viso verso di loro. Assomigliava incredibilmente alla bambina del deserto, ma i suoi grandi occhi erano color lavanda ed incorniciati da un sottile paio di occhiali argentati, la sua pelle pareva di porcellana e i suoi lunghi capelli, raccolti in due codine basse fermate da due fiocchi azzurri, erano d’oro pallido. Inoltre, aveva un piccolo e morbido basco azzurro che sembrava stesse per scivolarle via da un momento all’altro. Si limitò ad osservare i nuovi arrivati, la testolina graziosamente inclinata da un lato. In una mano stringeva un sottile ago. Francis le si avvicinò e le porse la mano. Lei lo guardò incerta, ma decise di poggiare la candida e fresca manina con cui non teneva l’ago su quella grande e calda del francese, che l’aiutò ad alzarsi. Francis le voltò la mano. Numerosissime, piccole ferite campeggiavano sulla pelle candida, arrossandola e deturpandola. Il ragazzo lasciò un piccolo bacio su quel palmo martoriato e le accarezzò i capelli biondi con fare rassicurante. Sentiva un forte senso di paternità verso quell’indifesa fanciulla. Fece per chiederle qualcosa, ma un rumore simile ad uno sgraziato crac lo bloccò. –Era ora!- sbuffò una voce femminile, acida e leggermente nasale dietro di lui. Francis si voltò. La voce apparteneva ad una donna dai capelli biondi raccolti in due code alte, illuminata da una luminescenza color verde smeraldo. Il francese non poté fare a meno di notare che aveva degli splendidi occhi dello stesso identico colore della luminescenza, che illuminavano il viso roseo e sottile. Trovò che fosse incredibilmente bella. –Hai finito di fissarmi?- disse lei, lanciandogli un’occhiataccia. La bocca di Francis si atteggiò in un sorrisetto, mentre i suoi occhi blu cercavano gli amici, sbalorditi dall’improvvisa apparizione. –Chi siete?- domandò il francese, dato che gli altri due non accennavano a proferir parola. La donna scosse la testa.  –Non ha importanza chi sono, quanto piuttosto perché sono qui. Questa bambina deve ricamare tutta la stoffa, ma non può farlo perché, pur essendo piena di talento, è altresì inesperta e si è ferita con l’ago. Voi certo sapete che le maledizioni si alimentano col sangue, e non ho potuto proteggere questa bambina per via della pesante influenza che Francine ha su di lei. Il suo sangue finisce nell’acqua…- e qui indicò il basso labirinto -…che lo porta al castello, espandendo la maledizione. Uno di voi deve restare qui, ed aiutare la bambina con il ricamo in modo che non si ferisca più.-. A malapena finì la frase: Francis si era già offerto per restare. –Sei sicuro?- la fata alzò un sopracciglio.  –Non si sa mai cosa può riservarci la rana, intendo Francine. Inoltre non credo che tu sappia ricamare…- -Non importa. Sento che devo proteggerla- disse l’altro, deciso. –Non sarà difficile, se con me c’è Rose della Terra di Kirk.-. La fata sussultò. –Credevo non mi conoscessi…- -Semplice intuito- sorrise il francese. –Francis, non lasciarmi solo con questo damerino da strapazzo!- protestò Gilbert, mentre Roderich gli lanciava un’occhiataccia. –Francis… non possiamo sapere se Francine vi farà qualcosa mentre noi siamo via. Chi ci dice che non sia una trappola?- intervenne l’austriaco. –Non possiamo permettere che la maledizione si espanda. Il popolo non ha colpa. Perché metterli in pericolo? E se poi non ce la facessimo a tornare?...- la voce del francese si incrinò leggermente, nel pronunciare quest’ultima frase. –Non dirlo neanche per scherzo!- scattò Gilbert. –Noi sveglieremo Erzsébet e gli altri, e tu e Tonio tornerete! Vero?...- mormorò, guardando Rose. Lei annuì. –Farò il possibile per portarlo indietro. Lo aiuterò con la sua missione, anche se non potrò intervenire direttamente. Potrò dargli dei consigli, me la cavo piuttosto bene in queste cose.- -Allora è deciso- annunciò Francis, irremovibile.  –Salutatemi Erzsébet, ci vediamo più tardi!-. I due cugini lo salutarono con l’amaro in bocca, mentre lo vedevano svanire insieme alla bambina e a Rose della Terra di Kirk.


 
Nobile, di fatto e di cuore.







Angolo dei pomodori lunatici
Guardate un po' chi si è fatta viva! :')
Habby: Fiorella Mannoia. Ha un concerto a Macerata, il 27. Allo Sferisterio.
...sob.
Comunque, vi sono mancata? ^^

Habby: Perché, eri partita?
Ignoriamo Habby come lei fa con me u.u
Bueno chicas! Questa prova è simile a quella di Tonio ma sono riuscita a scrivere un po' di più, grazie a Dio :')
Questo è un capitolo pieno di misteri: come ha fatto Franny a riconoscere Rose? Perché la spada di Gilbert è riuscita a distruggere (letteralmente) la cascata? Francine si farà viva? E chi è quella biondina?

Francis: Ehm, è Fem!Canada.
Ah, giusto! Franny, se non ci fossi tu...
Ok, almeno una risposta l'abbiamo trovata subito! Sì, la bimba è Fem!Can... Cand... Fem!Canadia. Chiunque lei sia.
Per quanto riguarda le altre domande, sto seriamente pensando di buttar giù una specie di prequel che dà loro risposta. Mi mancano un paio di sciocchezzuole, qualcoasa tipo l'ispirazione e la voglia. Ma cosa volete che siano! (I suggerimenti sono ben accolti! Ho già qualcosina in testa d'altronde)

Tonio: E poi c'è un'altra cosa!
Francis: Mais oui!
ZeAwesomeGilbert: Tanti ritardatari ma Magnifici auguri alla gentilissima Princess Vanilla, che il 14 agosto (correggimi se sbaglio) ha compiuto gli anni! Kesesesese! Se non ci fossi io che faccio gli auguri così Magnificamente...
Tonio: Ti canteremmo la canzone di buon compleanno, ma c'è il copyright e non abbiamo abbastanza soldi per questo!
Francis: Vorrei vedere! I (pochi) soldi di Tonio probabilmente se li ha fregati Lovino...
Ehi, cos'è questo razzismo?
Francis: ...io ho speso i miei per una cena con Angleterre, e Gilbert... Gilbert manco dovrebbe esistere honhon
ZeAwesomeGilbert: Come ti permetti? Sono troppo Magnifico per non esistere!

Lasciamoli a litigare u.u scusa per il ritardo, Beatrice-sama! E ancora auguri!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Il prossimo è quasi finito e cercherò di aggiornare regolarmente (sigh... ci provo, ma ho millemila compleanni questa settimana, tra cui il mio)
Adios, churros y abrazos,
Tsukiakari

PS: Avviso riguardante August the Sixth! Il terzo (e ultimo T^T) capitolo non è ancora pronto, ma l'ho già chiaro in testa! Spero di aggiornare presto...

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Capitolo 8
*** Capitolo Sesto ***


 
Capitolo Sesto

 
 
Gilbert riaprì gli occhi, frastornato. Il terzo scenario gli era dannatamente familiare: un corridoio, un pavimento e delle finestre che aveva già visto. La luce filtrava debolmente dalle finestre in questione, essendo sporche ed antiche. –Roderich…- mormorò, cercando con lo sguardo il cugino. Egli era poco distante da lui, al termine del corridoio, davanti ad un enorme portone di ferro arrugginito. Un antico specchio stava al suo fianco, ma non rifletteva alcuna immagine, essendo forse troppo opaco. –Gilbert- sussurrò l’austriaco, facendogli un cenno con la mano. –Siamo nel castello di Erzsébet.- -Ma non avevo mai visto questa zona- disse l’albino, spalancando gli occhi scarlatti. –Lo so, probabilmente è stata chiusa agli ospiti. O magari…- e qui i suoi occhi violetti si illuminarono -…Gilbert, Erzsébet è qui!- -E tu come fai a saperlo?- -Per quanto ne so, può essere che qui dentro siano richiuse tutte le… padelle sequestrate. Ecco perché tu non sei mai stato in questa zona, anche se conosci il castello da quando eri un bambino. Perché è stata chiusa in qualche modo. La principessa deve averla trovata e…- -Ma che intuito!- trillò una voce familiare, proveniente da chissà dove. I due ragazzi sussultarono. –Erzsébet?- boccheggiò Gilbert incredulo guardandosi intorno. Si udì una risatina femminile inquietante, che trapassò le loro orecchie. –Non esattamente, Impavido!- precisò la voce, divertita. Roderich drizzò le orecchie. Un brivido gelato gli scosse la schiena. –Gilbert! La voce viene dallo specchio!-. Gli occhi cremisi dell’albino saettarono verso l’antichissimo oggetto. Una figura femminile si stava delineando su quella superficie opaca, delineandosi sempre meglio , fino ad uscire dallo specchio.
Era Erzsébet e non lo era. Tanto simile quanto differente, tanto che dava alla testa. Aveva i capelli più chiari rispetto alla principessa, color del grano, raccolti in una coda alta trattenuta da un fiocco rosa scuro. Indossava lo stesso vestito di Erzsébet, ma era anch’esso rosa scuro, ed era strappato lungo il bordo. Sembrava antico, ricoperto di polvere. I due cugini non potevano guardarla in viso, perché faceva male al cuore: era quello della loro amata Sisi, ma lo sguardo era rosso elettrico e distorto dalla follia. Nella mano sinistra teneva per il manico una specie di scodella di rame, abbastanza piatta, e nella mano destra stringeva l’elsa di una spada. Una spada identica a quella di Gilbert.
-C-chi siete?- balbettò Gilbert, con la bocca asciutta. La donna rise, in modo sguaiato e acuto. Non accennò a rispondere. Con un isterico ringhio, la sua bocca si chiuse in un ghigno intriso di insana malvagità. La mano destra intanto faceva roteare in modo fluido l’antica spada come se fosse un laccio. Dato che non accennava a muoversi, Roderich fece un incerto passo in avanti. La donna scattò verso di lui con la spada alzata, ma Gilbert, in un disperato riflesso, riuscì a precederla e parò il colpo. Le due spade gemelle cozzarono malamente, assordando i cugini. L’albino indietreggiò a causa del contraccolpo, al contrario della donna – nonostante ella fosse decisamente più gracile di lui. Doveva avere una forza sovrumana. C’era lo zampino di Francine, senza alcun dubbio.
La dama vestita di rosa scostò malamente Gilbert, e fissò Roderich con quel suo sguardo stravolto e quel sorrisetto isterico. L’austriaco scostò del tutto il cugino. –Vuole me.-. Niente più di un sussurro, la voce atona, piatta. Socchiuse le iridi di lavanda, impenetrabile. –Lascia fare a me.-. Gilbert scosse la testa, serrando le dita intorno all’elsa della spada. –Mai.-. –Infatti, mai- precisò una voce dietro le loro spalle, ed era avvolgente, vibrante e incredibilmente inespressiva. Gilbert e Roderich si voltarono di scatto, strabuzzando gli occhi per cogliere la provenienza della voce nella penombra. Il corridoio era vuoto, più enorme che mai. La guardia della porta sembrava nervosa. Il suo sorrisetto era scomparso. Aveva alzato la spada, stringendo l’elsa tanto convulsamente che le sue nocche si decolorarono, e anche la scodella col manico, in una posizione difensiva. Gli occhi elettrici si erano fatti sfuggenti, e cercavano anch’essi la fonte della voce.
Sembrava avere paura.
-Indietro- aggiunse la voce, e la donna squittì, puro terrore si stagliò nei suoi occhi. Indietreggiò.
Enorme fu lo stupore dei due nobili quando, dal nulla più completo, emerse una bellissima dama. Per un istante, si incantarono a guardare la pelle di marmo bianco, i lineamenti assolutamente perfetti, gli occhi grandi ed oscuri, i capelli simili a fili d’oro pallido. La magia finì quando lei alzò un sopracciglio e tossicchiò. Roderich distolse educatamente lo sguardo, e Gilbert lo abbassò borbottando delle scuse, mentre un rossore acceso si estendeva sulle sue guance bianche e scavate e sulla punta delle sue orecchie. –Avete ragione, Roderich- esordì la fata, -vuole voi. Perché siete il Vero Amore, e deve impedirvi di arrivare alla principessa. Ma posso rimediare.-. Mostrò un lungo mantello argentato, splendido. Si diresse verso Roderich e lo poggiò sulle sue spalle e quelle di lui. L’austriaco abbassò lo sguardo per osservarlo, ma con orrore e stupore vide che non c’era niente da osservare! Solo il pavimento di marmo del corridoio. Eppure lui sentiva ancora le sue gambe, il suo busto, le sue mani… -È un mantello speciale, rende invisibili- spiegò la fata, mentre alzava il cappuccio sulle loro teste. –Lei non ci vedrà, e deciderà di affrontare Gilbert per primo- sussurrò, facendo rabbrividire Roderich – che tuttavia riuscì a mantenere la voce salda per mormorare: -No. Io non voglio lasciarlo da solo.- -Lui è l’Impavido, Lord Roderich di Vienna. Non accetterebbe, e questo è il suo ruolo. Lascia che le cose scorrano come furono scritte da Dana di Transilvania, tentare di modificarle non avrebbe senso né speranza di riuscita.-. Roderich chiuse gli occhi, trasse un profondo sospiro ed annuì.
Gilbert capì. Comprese, a contrario della “guardia”, che la fata e Roderich dovevano recarsi a salvare Sisi e per farlo avevano ricorso all’invisibilità. La sua avversaria fece scattare gli occhi a perlustrare la stanza. Non vedendo Roderich né la fata, tornò a sogghignare e rivolse completamente la sua attenzione a Gilbert. Attaccò senza alcun preavviso, con agilità spietata e letale ferocia, menando fendenti quasi invisibili. Gilbert si protesse da singolo colpo, parandoli con il piatto della spada, ma la furia della donna non gli permetteva di capovoltare la situazione. Annaspò, mentre quel gioco di lame antiche continuava, Gilbird che svolazzava intorno a loro come impazzito, il sudore, e l’aria che sembrava mancare. Ma non si fermava. Con la coda dell’occhio, scorse di sfuggita il portone che si stava aprendo lentamente ed esultò internamente: ce l’avevano quasi fatta, Sisi era salva, qualche istante solo e Sisi si sarebbe svegliata...
Quell’attimo di distrazione fu fatale.
Avvertì un dolore lancinante alla spalla sinistra, e subito dopo di nuovo quella risata incontrollata ed acuta. L’aveva colpito! La donna l’aveva colpito!
Sentì la sua mente annebbiarsi quando vide il rosso scuro del suo sangue che tingeva le sue vesti. Ma doveva continuare. Non poteva fermarsi. Rapido, si passò la spada nella mano destra. Cercò di mantenersi dritto nonostante la sua spalla fosse inutilizzabile e lanciò uno sguardo rabbioso all’avversaria, che fece una smorfia e riprese ad attaccare.
 
La fata socchiuse il portone. Roderich di Vienna rimase esterrefatto dall’enorme quantità di strani oggetti presenti nella sala: mucchi, montagne di padelle ammassate lì dentro. E al centro Erzsébet, la bellissima e dolce Erzsébet. Era splendida, abbandonata a terra, i capelli sparsi intorno al capo come un’aureola e l’espressione serena. Stringeva in una mano la padella maledetta. –Avanti- mormorò la fata, posandogli una mano sulla spalla. Lui annuì, e si chinò su di lei. Si fermò per un istante, per osservarla ancora una volta dormiente, e poggiò le labbra sulle sue.

 


Angolo dei pomodori lunatici
GOMENASAI! GOMENASAI! *si prostra a terra*
Scusate, io, i-io, problemi di connessione, e ispirazione, e poi combattimento e compleanno e ALTRO compleanno, e cena, e poi…
Perdono! T^T Sono in un ritardo megagalattico e gli scusanti che ho fanno pena! S-spero che il capitolo vi sia piaciuto, perché l’ho scritto d’un fiato tutto oggi pomeriggio, tra gli inviti da mandare e le previsioni del tempo e oh cielo! *ingoia una tisana calmante*
So che vorrete linciarmi :’( comunque, ci sono un paio di cose da spiegare:
Punto uno! La tipa pazza è 2p!Ungheria – che amo chiamare Margaréta Hédervàry – e pensate che riesco a farla andare OOC nonostante sia una 2p: infatti, 2p!Eliza è descritta come una damigella delicata che non ha tendenze violente, è psichicamente stabile e dolcissima e femminile fino all’assurdo. Che talento che ho, nello sbattere i personaggi OOC! D’altro canto, qui abbiamo un’Ungheria matura, dolce e psichicamente stabile, che diamine! E poi ho sempre pensato che Ungheria sia saggia e che sia una brava ragazza (anche la narratrice – che io credo sia proprio Madre Terra! – lo afferma, nell’anime), allora perché non affibbiarle una pazza psicopatica come 2p?
Punto due: la fata ovviamente è Liv, che per un attimo abbaglia Roddy e Gil con il suo incredibile sex appeal. E il mantello è il Mantello dell’Invisibilità, plagiato spudoratamente da Harry Potter (la Rowling verrà a cercarmi! Prima la Bacchetta di Sambuco di Rose, poi sempre Rose che si Smaterializza per arrivare alla prova di Franny, adesso questo…)
Punto tre: queste cavolo di spade! Sento un’ispirazione incredibile che mi esce dalle orecchie, è solo leggerissimamente priva di logica ma vabbè. Finita la long, scriverò una One-shot su quest’affare delle spade, delle rivalità e delle conoscenze, lo prometto! Contenti? (Come no)
Punto quattro! Ho un headcanon assolutamente privo di senso: Gilbert è mancino. Mi piace immaginarlo mentre beve birra con la sinistra (il perché mi è completamente ignoto)! Pensate che su tumblr ho trovato l’headcanon secondo cui Danimarca in realtà è castano ma si è fatto la tinta… o.o (Quando Tsuki blatera)
E poi, il bacio! (So che una certa persona – ma chissà chi? – avrà apprezzato molto questa parte, magari un Generale Capo, probabilmente di Urano o giù di lì, guarda se mi sforzo riesco anche a ricordare il Grado: ventisettesimo)
Sembra che finalmente siamo giunti al termine delle torture per i nostri valorosi eroi, e invece FERMI TUTTI! La storia non è ancora finita! Francis e Antonio riusciranno a tornare indietro? La corte si risveglierà? Cosa farà Francine? Lo scoprirete pazientando perché l’autrice è un’inetta e non riesce a trovare il tempo per scrivere! Sowwy! Cercherò senz’altro di essere più veloce!
¡Adiós, churros y abrazos!
Tsukiakari
PS: Per le lettrici di August the Sixth! Vi scongiuro, perdonate il ritardo T^T ma sto scrivendo l’ultimo capitolo e se riesco domani lo finisco! ^^

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Capitolo 9
*** AVVISO ***


¡Hola! Questo è un avviso a tutti i gentili Lettori di questa storia: la Tsuki si scusa profondamente per l'abominevole e increscioso ritardo dell'aggiornamento (scuse doppie per August the Sixth!). Il caro, vecchio, rimbambito computer che l'ha accompagnata fin ora è purtroppo mezzo morto, ricoverato da un sapiente sciamano con i jeans martoriati e l'acne. La Tsuki è in lutto ed è per lei impossibile aggiornare, causa appunto l'assenza del povero Asus per la sua cura. La Tsuki avrebbe potuto avvertirvi prima, ma il suo cellulare non ha certo migliorato la situazione, facendo lo scemo venticinque ore al giorno e permettendole a malapena di recensire. La Tsuki ora vive nel tormento, perché avverte la dolorosa mancanza del caro Susy (Asus) e teme di aver deluso i carissimi Lettori che si aspettano indubbiamente un seguito. Ma non disperate! Pare che la cura di Susy sia quasi al termine, e che presto potrà tornare a prosperare. Ora, la Tsuki vorrebbe far qualcosa per non farsi odiare, ma purtroppo è in difficoltà economiche e mentali; pertanto, non ha niente da offrirvi se non un caldabbraccio, churros avanzati e un armadio IKEA (gentilmente forniti da un tal B'rw'ld Ox'st'erna e dalla sua graziosa moglie). Speriamo che siano di vostro gradimento e che non vogliate farle la ceretta a strappo con il mastice. Mangiate tanta pasta, Prussia è uke e VARSAVIA tipo POWA. ¡Adiós, churros, abrazos y armadios!

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Capitolo 10
*** Capitolo Settimo ***


Capitolo Settimo



 

Con un lieve schiocco, Roderich separò le sue labbra da quelle della principessa. Sbatté le palpebre. Fissò insistentemente gli occhi di lei dolcemente chiusi, aspettando che si aprissero per dare vita al verde gentile che tanto ammirava.

Liv era in piedi dietro di loro, immobile ed eterea.
Avvertendo il suo sguardo gelido puntato sulla sua nuca, il nobile si voltò lentamente per rivolgerle uno sguardo ansioso dal basso.
Lei non diede segno d’impazienza.
Il silenzio era tale che gli unici suoni che si avvertivano erano il cozzare delle spade gemelle e i respiri pesanti di Gilbert, oltre al pigolio incessante emesso da Gilbird.


 

Fu in quel momento che Roderich mandò al diavolo la sua usuale compostezza.
–Non è possibile- sbottò, battendo un pugno a terra.
–Non è possibile. Ci ha ingannati. Ci ha ingannati tutti.-.

Liv delle Terre Norrene annuì, molto lentamente.

–Erzsébet non si sveglierà.-.
La sua voce s’incrinò.
–Mio cugino Ludwig non si sveglierà. Vash, la piccola Lili, Caterina, Felicia. Tutta la corte. Nessuno di loro tornerà a vivere.-.
Liv non rispose, e mantenne lo sguardo. Roderich continuò, l’ombra di un singhiozzo nella sua voce ormai rotta.
–Francis e Antonio non torneranno indietro. E se per miracolo le fate riuscissero a riportarli qui, be’, non so… non so se Antonio riuscirebbe a vivere ancora senza Caterina né Erzsébet. Non so se Francis sopporterebbe la rovina completa dei suoi amici. Non so nemmeno se Gilbert accetterebbe questo fallimento, e la perdita di Erzsébet. Se solo lei si fosse resa conto…-
Liv sbatté le palpebre. –Vuoi dire- iniziò, senza smettere di fissarlo –vuoi dire che Gilbert l’amava?-
-Non era ovvio?- disse Roderich, esasperato.
–Ah, ma certo che no. Tanto l’amore è galanteria, è sdolcinatezza, è falsità. Sia io che Gilbert amavamo Erzsébet. Ma lui, ecco, non è mai stato bravo in queste cose. E sapete che vi dico, Liv? Aveva ragione lui. Lui è sempre rimasto se stesso. Lui meritava l’amore e l’attenzione di Erzsébet.-.
Sbatté di nuovo il pugno a terra, rabbiosamente.
Si alzò, lanciando un ultimo sguardo alla principessa dormiente. –E dato che non è stato così, e dato che quella strega ci ha ingannati, vado ad aiutarlo. Perché è mio cugino, e gli voglio bene.-.
Aprì l’enorme portone di quell’orrenda stanza.
Fece per uscire, quando gli giunse la voce atona di Liv.
–Roderich. L’Impavido sei tu.


 

Gilbert era allo stremo delle forze. Tutto il suo corpo era svuotato di ogni singola goccia d’energia, e avvertiva un dolore acuto, stridente, in ogni suo arto.
Gli sembrava che la spalla sinistra stesse andando a fuoco. Il fatto che fosse costretto a combattere con la mano destra non gli era certo d’aiuto.
Schivò a fatica l’ennesimo affondo della guardia, che al contrario sembrava ancora in forze e sorrideva più che mai, la follia aleggiava sul suo volto.
Gilbert cercò di impegnarle la spada per disarmarla, senza successo. La furia della guardia era instancabile. Stava per accasciarsi a terra e rassegnarsi al suo destino, ormai sfinito, quando la voce del cugino lo ridestò.
–Gilbert!- urlò Roderich correndo verso di lui, seguito a ruota da Liv.
Lo sguardo scarlatto dell’albino s’illuminò, speranzoso.
–Erzsébet è sveglia?- chiese ansiosamente, mentre la guardia aveva smesso all’improvviso di attaccare, tremante di rabbia e terrore.
Roderich scosse la testa.
–Corri, Gilbert.-
-Cosa? Dove?- gracchiò il cugino confuso.
–Da Erzsébet! Corri!- gridò Roderich, schivando un improvviso fendente della guardia.
Gilbert gli passò frettolosamente la spada e corse verso il portone, senza nemmeno preoccuparsi di infilarsi il mantello: la donna sembrava avere occhi solo per Roderich, e sembrava più infuriata che mai.
Gilbert li guardò con la coda dell’occhio, e Roderich sembrava avere decisamente la peggio.
Si bloccò di colpo e fece per tornare indietro, ma la fata lo fermò, mettendogli una mano sulla spalla. Aveva una presa spaventosamente ferrea e gelida.
–Prima Erzsébet. La guardia smetterà di darci problemi non appena l’incantesimo sarà spezzato.-.
Gilbert lanciò un’ultima occhiata al cugino, che arrancava sotto i colpi dell’avversaria e per il peso della spada. Poi annuì, e corse verso il portone, seguito dalla fata.


 

La sensazione di Gilbert in quel momento era indescrivibile. Un dolore mescolato a sordità, incredulità. Un dolore ovattato, addolcito dai lineamenti rilassati della bellissima principessa. Guardava Erzsébet e il suo cuore sussultava, ed era in tormento, e la preoccupazione lo assaliva. E se non si fosse svegliata? E se davvero quella donna avesse ingannato tutti?

-Non c’è tempo- disse Liv, con voce insopportabilmente piatta. –Così mi aiutate proprio- borbottò Gilbert, stringendo i denti. Si accasciò vicino alla principessa, e le scostò i capelli lievemente ondulati dal viso.
Strinse istintivamente le palpebre mentre si abbassava, quasi a temere una reazione da parte di lei.
E poi la baciò.


 

La lama della guardia cozzava in modo assordante su quella di Roderich, che la respingeva pesantemente e con fatica. La donna rideva, e per il nobile austriaco era tutto come un incubo. Udiva a malapena i colpi secchi e metallici delle lame, e nella sua mente turbinavano i pensieri più distaccati.

Stava pensando a Vati.
 

Quando era bambino, egli aveva addestrato lui e i suoi cugini nel combattimento. Era incredibile l’abilità di spadaccini dei due fratelli della corte Germanica. Ludwig eccelleva anche nel corpo a corpo, sebbene quella forma di sfida non fosse quasi più in uso, mentre Gilbert manipolava qualsiasi tipo di lama, fosse anche un coltellino, con destrezza e velocità, tanto da meritarsi – essendo anche il maggiore, del resto – la preziosa spada di Vati.

Che lui stava stringendo in quel momento.

Vash si era dimostrato piuttosto bravo con qualsiasi tipo di arma. Era versatile, ed ombroso. Di certo sarebbe diventato un temibile guerriero.

E poi c’era lui.

Che era fragile, slanciato, che non vedeva bene. Ricordò ancora quando Vati gli mise sul naso il suo primo paio di occhiali, con un’espressione che lui aveva interpretato come disprezzo. Si era sentito crollare il mondo addosso, e non avrebbe mai scoperto che il grande re in realtà era soltanto enormemente preoccupato perché si facesse male. Fatto sta che Roderich tentò di ripagare quell’insoddisfazione, come se fosse stata colpa sua. Si impegnò moltissimo, arrivando a raggiungere un ottimo livello con lo spadino, ma non reggeva le armi pesanti; Vati gli accarezzava orgogliosamente i capelli scuri – così diversi da quelli di tutti gli altri – e diceva che alcuni nobili sono nati per tenere una spada, altri per tenere la mano di una fanciulla. E infatti era stato così. Si dedicò alla musica e allo studio, affascinò decine e decine di dame inconsapevolmente.

E poi era arrivata Erzsébet.

Sin dal primo momento era rimasto colpito dalla sua bellezza. I lunghi capelli ondulati, i grandi occhi verde erba dal taglio unico e le ciglia lunghe, i lineamenti aggraziati, la pelle chiara e il fisico slanciato. Ma non era stato solo l'aspetto a colpirlo e affascinarlo. Il carattere della principessa era forse la cosa che più gli piaceva. Era così decisa, così forte. Testarda ma incredibilmente dolce al momento giusto.

E lei sembrò interessarsi a lui, di un interesse tenero e sincero.

 

Un colpo particolarmente violento fece sprizzare alcune scintille dalla lama.

 

Ma c'era un problema: Gilbert. Era palese che l'albino provasse qualcosa per la bella principessa. Ed all'apparenza, non era ricambiato.

 

All'apparenza.

 

Roderich si sentì stringere il cuore, mentre le stoccate lo spingevano verso l'umido muro del corridoio abbandonato e l'insana risata della donna rimbombava.

 

All'apparenza.

 

E se Erzsébet in realtà si fosse nascosta dietro uno scudo di insopportazione per rinnegare i propri sentimenti?

E se...

 

Toccò la parete con la schiena e una sola lacrima scivolò pesantemente lungo i suoi raffinati lineamenti.

 

Non aveva importanza.

 

Schivò un affondo.

 

Non aveva importanza.

 

Erzsébet si sarebbe svegliata.

 

Un altro affondo.

 

Lento.

 

Un'altra lacrima, stavolta di gioia amara, gli rigò la guancia.

Fece in tempo a staccarsi mollemente dal suo mento per andare a mescolarsi col sangue ed un fievole gemito, che contrastava con l'immensità del dolore.

Cercò di impedire al buio di sopraffare i suoi occhi. Percepì un urlo soffocato e la figura della donna che si sgretolava. Erano occhi verdi quelli pieni di lacrime che lo stavano fissando?

Che stanchezza.

Basta, basta così.


 

 

 

Angolo dei pomodori lunatici

OH MIO DIO SI'. GRAZIE AL CIELO.

CE L'HO FATTA!!

Da quant'è che non aggiorno? Oddio, perdonatemi! Credetemi, la scuola è un incubo! T^T Devo ancora recensire un sacco di splendide storie che ho ingiustamente accantonato. Ci tenevo a farvi sapere che ero ancora viva ;-;

E be', pare che dovrete perdonarmi anche per qualcos'altro.

...è stato difficile e qualche lacrimuccia ce l'ho messa pure io :''

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate gradito gli armadi! Devo correre via, sorry ;-; risponderò di certo alle vostre recensioni e spero di essermi fatta perdonare!

Per quanto riguarda il prossimo aggiornamento, uhm, be'... spero di riuscire a scrivere un po' questi giorni. Ho già tutto in mente, giusto un paio di punti da sistemare ^w^

¡Adiós, churros y abrazos!

Tsukiakari :3

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