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Lista capitoli: Capitolo 1: *** 1# • Things you said at 1 am {ImaHana} *** Capitolo 2: *** 2# • Things you said through your teeth {ImaHana} *** Capitolo 3: *** 3# • Things you said too quietly {MidoTaka} *** Capitolo 4: *** 4# • Things you said over the phone {AoKaga} *** Capitolo 5: *** 5# • Things you didn’t say at all {HaiKise} *** Capitolo 6: *** 6# • Things you said under the stars and in the grass {AoKise} *** Capitolo 7: *** 7# • Things you said while we were driving {MuraAka} *** Capitolo 8: *** 8# • Things you said when you were crying {ImaHana} *** Capitolo 9: *** 9# • Things you said when I was crying {ImaHana} *** Capitolo 10: *** 10# • Things you said that made me feel like shit {Mibuchi Reo} *** Capitolo 11: *** 11# • Things you said when you were drunk {AoKagaKuro} *** Capitolo 12: *** 12# • Things you said when you thought I was asleep {HaiKise} *** Capitolo 13: *** 13# • Things you said at the kitchen table {SilverGold} *** Capitolo 14: *** 14# • Things you said after you kissed me {KagaKuro, AoKuro} *** Capitolo 15: *** 15# • Things you said with too many miles between us {KiyoHyuu} *** Capitolo 16: *** 16# • Things you said with no space between us {HimuNiji} *** Capitolo 17: *** 17# • Things you said that I wish you hadn’t {MidoTaka} *** Capitolo 18: *** 18# • Things you said when you were scared {ImaHana} *** Capitolo 19: *** 19# • Things you said when we were the happiest we ever were {MitoKoga} *** Capitolo 20: *** 20# • Things you said that I wasn’t meant to hear {MidoTaka, accennata} *** Capitolo 21: *** 21# • Things you said when we were on top of the world {MuraAka} *** Capitolo 22: *** 22# • Things you said after it was over {KiyoHyuuRiko} *** Capitolo 23: *** 23# • Things you said [make your own] » under the fireworks {AoMomo} ***
Capitolo 1 *** 1# • Things you said at 1 am {ImaHana} ***
Preambolo!
Questa challenge l’ho presa in prestito da
qua, ed è stato il mio modo di riavvicinarmi alla scrittura durante questi
mesi estivi. L’ultima volta che ho messo le mani sulla tastiera per comporre
qualcosa, prima di iniziare questa challenge
verso metà Giugno, è stato per gli inizi di Aprile – e siccome so quanto
stare in stallo così tanto possa nuocere alle mie già discutibili capacità, ho
ben pensato di dare ascolto a uno dei consigli che ho visto dare spesso per
sconfiggere il blocco dello scrittore: scrivi
anche quando non ne hai voglia.
E così ho
deciso di forzarmi più o meno ogni giorno su un foglio di word, imponendomi di
concludere questa avventura nel giro di un mese. In realtà ci ho messo giusto
un paio di giorni in più, ma alla fine ce l’ho fatta!
… e siccome mi dispiaceva lasciare il tutto a marcire, ho deciso anche di
postare il tutto da queste parti. Ho trattato di diverse ship
(anche magari che propriamente non amo alla follia, più
una certa prevalenza ImaHana che è un po’ la mia
coppia-jolly su cui scriverei sempre) e a volte anche di singoli personaggi,
cercando di mettermi il più possibile alla prova.
Ma
ciancio alle bande, taccio e vi lascio alla prima storia!
Genere: Introspettivo, un po’ angst, generale
Tipo di coppia: Shonen-ai
Personaggi: Hanamiya
Makoto, ImayoshiShoichi
Rating: Verde
Parole: 2400+
Note: Si basa tutto sull’idea che ho di una
coppia di genitori –quelli di Hanamiya- che con
il proprio figlio è infinitamente distante, così
distante che certe differenze sembrano non avere possibilità di essere
appianate. Ma forse c’è qualcuno, al di fuori di tutto
questo, che può alleviare un po’ una situazione tanto angosciante.
Scritta il: 13/06/2015
1# • Thingsyousaidat
1 am
Era decisamente
una cosa positiva che, nonostante fossero quasi le una di notte, Imayoshi fosse ancora sveglio.
Non che potesse fare
altrimenti, in ogni caso: con gli esami di ammissione dietro l’angolo, era più
che normale che la caffeina si sostituisse al sangue, e che le sessioni di
studio intensivo si protrassero ben oltre orari considerati sani. Fece dunque
poco caso all’orario in cima allo schermo del telefono quando lo sentì risuonare di una musichetta allegra che aveva
dimenticato di disattivare, domandandosi chi fosse a contattarlo proprio nel
cuore della notte.
“Hanamiya
Makoto”
Oh? Questa era una
sorpresa. Da quando avevano iniziato a vedersi già era
raro che fosse lui a cercarlo per primo, figuriamoci ad orari improbabili come
quelli! Sollevò le sopracciglia sopra un’espressione curiosa, esplorando il
contenuto di quell’inaspettato messaggio.
“Aprimi.”
Sarà stato pure un piccolo
genio, ma doveva smettere di abusare così tanto del suo dono della sintesi.
Sospirò, ma un sorrisetto malizioso gli increspò le
labbra mentre digitava la sua risposta.
“Di solito sei così
audace solo in camera da letto.”
“Idiota, aprimi la
porta, sono fuori dal dormitorio.”
Stava succedendo davvero, o
erano gli effetti del sonno, del troppo studio, dei troppi caffè bevuti per
mantenere il focus dell’attenzione? Distolse lo sguardo dallo schermo,
domandandosi per caso se fosse una sorta di allucinazione, ma quando tornò con
gli occhi sul rettangolo luminoso il messaggio era ancora lì.
Si precipitò fuori dalla
stanza quasi senza pensarci, senza nemmeno considerare che potesse trattarsi di
uno dei suoi tentativi di coglierlo alla sprovvista e
di giocargli così qualche brutto tiro. Non avrebbe avuto senso, d’altronde, o
no? Non avrebbe comunque potuto vederlo cadere inun’eventuale trappola, non avrebbe avuto nessuna
soddisfazione papabile da uno scherzo del genere… !
E infatti,
quando si ritrovò nel corridoio d’ingresso, la prima cosa che vide oltre la
porta vetro fu una figura stretta in una felpa troppo leggera per il clima
notturno ancora pungente, la testa incavata nelle spalle e le mani sprofondate
nelle tasche. Come era riuscito ad entrare nel plesso
senza farsi beccare? Attento a non far troppo rumore lasciò che varcasse quella
soglia, concedendogli qualche secondo per tornare ad
un’umana temperatura corporea prima di porgli qualsiasi domanda e limitandosi
dunque ad osservarlo con attenzione.
Era raro, davvero, vederlo
completamente sereno, quindi non si preoccupò neanche eccessivamente della
solita espressione accigliata che gli adornava il viso. C’era qualcos’altro a
catturare la sua attenzione - una specie di ombra scura a velargli gli occhi
puntati chissà dove, la schiena incurvata, e nessuna apparente volontà di
dargli contro in alcun modo. Da dove arrivava tutta quella mesta passività? Il
più grande si sistemò gli occhiali sul dorso del naso, decidendosi finalmente a
rompere il ghiaccio.
- Vogliamo rimanere qui
tutta la notte? - ad essere del tutto sinceri, di
battute anche più fastidiose ne aveva in serbo parecchie, ma l’atmosfera
pesante non aveva fatto tardi a suggerirgli di tenere tappata la bocca per
evitare rumorose ritorsioni. Hanamiya, infatti, si
limitò a tirargli una sempliceocchiataccia
mentre il moto tornava nelle sue gambe, e con passo deciso si avviava verso
quella stanza che ormai conosceva quasi meglio della propria, non aspettando
nemmeno il legittimo proprietario per fiondarcisi dentro e imbozzolarsi,
immobile e silenzioso, sul materasso.
… era venuto solo per un
posto letto? Che piccolo lunatico, era proprio incorreggibile! Gli si avvicinò con passo felpato e appena percettibile,
sperando che parlare con l’ostinata schiena che gli stava mostrando potesse
sortire qualche risultato.
- Come mai qua? Ti sei perso, Mako-chan? -
E sì che a
quell’appellativo reagiva sempre - ma non stavolta, se non per un irritato
sussulto. Ci sarebbe stato verso di cavare dalla sua bocca una qualsiasi
informazione? Non che gli pesasse avere quel ragnetto in giro per casa, ma
almeno uno spettro di motivazione sarebbe stato gradito…!
Sospirò per l’ennesima
volta, come arreso. Poteva vantarsi, era vero, di capirlo molto più di chiunque
altro - ma persino per lui, per quanto fosse difficile ammetterlo, a volte Hanamiya era un mistero. Non esprimeva mai i suoi veri
pensieri, quando aveva un problema preferiva tacerlo
piuttosto che parlarne; e per quanto riuscisse quasi sempre in un modo o
nell’altro a ricavare le informazioni che voleva, quando si trovava davanti ad
un silenzio più freddo e impenetrabile del solito sapeva che le cose che
potevano fare erano ben poche.
La prima,
fare finta di niente. Sarebbe potuto tornare alla sua scrivania e studiare,
aspettare che l’emergenza fosse rientrata da sola e proseguire quella serata
nell’esatto modo in cui era cominciata. Sarebbe stato sicuramente più facile,
ma altrettanto facile era prevedere le conseguenze:
come avrebbe potuto fronteggiare un offeso, imbronciato e particolarmente
manesco Hanamiya, poi?
La seconda, dunque, per
quanto dall’esito incerto, era senz’altro la più consigliabile: si defilò dalla
stanza per tornarne poco dopo con qualcosa in un bicchierino di plastica, il
cui odore si librò presto in quelle quattro mura. Vide chiaramente il naso
dell’ospite reagire al profumo, e subito il suo sguardo fu puntato su di
lui.
- Cioccolata calda della
macchinetta? - borbottò - Ti sei sprecato. -
- Eh, questo passa in
convento, lo sai. - se non altro, pensò, almeno aveva attirato la sua
attenzione.
Prese
posto sulla sua seggiola, scorrendo verso il letto e
porgendogli la bevanda calda. L’altro lo fissò come
una specie di bestiolina iraconda, prendendosi qualche secondo di esitazione
prima di accettare e allungare le mani verso di lui. Non poterono sfuggire,
agli occhi di Imayoshi, le nocche arrossate e a
tratti tumefatte, facendo un po’ di resistenza prima di consegnargli il
bicchiere per osservare ancora un po’ quelle ferite che proprio non si
aspettava. Era per quello che era così tanto sulla difensiva?
- Hai fatto a botte? -
domandò, sorpreso. L’altro schioccò, seccato, la lingua sul palato, tirandogli
via dalle mani il dannato bicchiere e accoccolandosi con la schiena contro il
muro.
- No, fatti i cazzi tuoi. -
soffiò, distogliendo immediatamente lo sguardo e poggiando le labbra sul
bicchierino. Shoichi incrociò le braccia.
- Vorrei, ma sei sbucato a
casa mia alle una di notte con un broncio lungo fino a terra e un’aria da
funerale! Sono preoccupato per te, lo sai? - … o forse era solo curioso, e il
suo animo un po’ pettegolo non voleva fare a meno di ficcanasare in certe
questioni. Hanamiya lo sapeva benissimo, e
l’occhiataccia che gli rivolse fu più che eloquente.
Non durò più di qualche
secondo, però. L’espressione sul suo viso parve rilassarsi, e la stretta sul
povero bicchiere divenne meno marcata. Tornò a guardare il vuoto davanti a sé,
le labbra leggermente dischiuse come a cercare le giuste parole.
- C’è davvero… un motivo,
uno solo, per cui io possa andare bene alla mia cazzo
di famiglia? -
Non era convinto che
fossero solo le tante piccole stranezze di quella serata a tenerlo così in
allerta.
Certo, era strano che suo
padre fosse in casa e per di più a cenare con loro, sempre lontano com’era per
il proprio lavoro. Era anche strano, in effetti, stare tutti seduti attorno al
tavolo, col solito silenzio riempito stavolta dalla tv accesa poco lontana da
loro.
Ma
non era solo questo, Makoto lo sapeva. Non era una persona ‘tranquilla’, ma
persino per lui quell’inquietudine di fondo era fuori
luogo. Voleva finire e defilarsi di lì alla svelta; voleva scongiurare
ogni ulteriore eventuale rottura di palle, voleva prendere le distanze
dall’indifferenza che permeava le relazioni di quella famiglia e non farsene
inquinare ancora più del necessario. Stava per succedere qualcosa da cui doveva
assolutamente sottrarsi, ma il fulmine che squarciò quell’apatica calma arrivò
prima di quanto pensasse.
- Riconoscere le unioni gay? - biascicò disgustosamente il padre con la bocca ancora
piena, commentando severamente le notizie del telegiornale - E poi cos’altro, si potranno sposare gli animali? -
- Certi politici sono
pronti a qualsiasi cosa per ottenere il consenso di certi deviati. - la
risposta della madre fu invece quasi un sussurro, maHanamiya sentì con tutta la forza possibile la cattiveria
di quelle due affermazioni. Non era solito lasciarsi turbare da simili frasi,
ma, per quanto per loro non nutrisse praticamente
alcun tipo di rispetto— erano i suoi genitori.
- … oi, non vi sembra di
esagerare? Siamo nel ventunesimo secolo. - di solito era quello che rimaneva in
silenzio, lui. Di solito non metteva bocca in quelle discussioni, soprattutto
da quando si era reso conto che il suo parere, in quella casa, valeva meno di
zero. Persino gli altri due parvero sorpresi da quell’intervento, e non
incontrando ostacoli continuò incoscientemente a parlare - Cosa
fareste se fossi io quello gay? -
Lo stupito silenzio si
protrasse ancora troppo, troppo a lungo, diventando sempre più pesante e gonfio
di biasimo. Si pentì di quelle parole, di aver deciso di irrompere nella
discussione senza che nessuno gliel’avesse richiesto, di essere andato così palesemente incontro al suo presentimento. Vide
il genitore aggrottare le sopracciglia, protraendosi minacciosamente verso di
lui.
- Un frocio in famiglia
sarebbe un disonore. - sentenziò duramente - Ti allontaneremmo da questa casa e
tu da noi non avresti più niente. -
Imayoshi
ascoltò senza proferir parola, lasciando che l’altro si sfogasse.
Conosceva anche fin troppo
bene che aria si respirava in casa Hanamiya. Lui mal
sopportava i suoi genitori e loro non avevano nessuna considerazione di lui, e
la situazione andava avanti in questo precario equilibrio da che ne avesse
memoria. Era pure normale che a volte le cose precipitassero così tanto che
tirare pugni al muro non bastasse più a sfogarsi, e che quelle mura domestiche
diventassero tanto opprimenti da voler solo scappare. Era la prima volta,
tuttavia, che succedeva così tardi - e che di tutte le
persone molto più fisicamente vicine a lui da cui poteva rifugiarsi almeno per
una notte, avesse deciso di fare tutta quella strada per andare proprio da lui.
Era quasi onorato!
… anche se non era certo il
momento di farne un vanto.
- E poi cos’è successo, hai risposto, o… - tentò di domandare, ma l’altro
gli parlò immediatamente sopra.
- Certo che no, non sono un
deficiente! Non che possa permettermi di farmi lasciare col culo
per terra, ho fatto finta di nulla! - ringhiò, accartocciando il bicchierino
adesso vuoto, prima di lasciarlo cadere e infilarsi le mani nei capelli - Non
ho un altro tetto sotto cui stare, ma non ce la faccio
più, non ce la faccio più a stare lì, cazzo… ! -
Poche, pochissime cose
riuscivano ad incrinare, nel bene o nel male, la sua
caratteristica apatia. E tutte le volte che vedeva
Makoto uscire così drammaticamente dal suo tipico personaggio, magari
riducendosi in uno stato del genere, non poteva fare a meno di ricordarsi che
al di là del Bad Boy, del ragazzaccio
violento contro cui nessuno voleva giocare, c’era una persona piena di
conflitti irrisolti, di problemi che andavano oltre a ciò che chi lo conosceva
solo superficialmente poteva immaginare.
Non stava cercando di
giustificarlo, sia chiaro - solo, voleva dire che anche lui meritava ascolto e
consolazione, laddove le sue azioni poco carine non c’entravano
nulla. Si sedette vicino a lui, invadendo quello spazio vitale che sapeva di
essersi duramente guadagnato, stringendogli un braccio attorno alle spalle e
tirandolo verso di sé.
Era l’unico, probabilmente,
a poterlo vedere in simili condizioni. E come tale, l’unico ad avere la
responsabilità, o il potere, di alleviare un po’
quell’angoscia.
- Ascolta… - cercò di
richiamare la sua attenzione - … è ovvio che non potrò stare in questo dormitorio
per sempre… quindi, magari quando troverò una casa dove stare quando inizierò
l’università, potresti venire a stare da me, no?
Avresti un tetto sotto cui stare E saresti lontano dai tuoi senza far nascere nessun sospetto. -
Quasi non ci sperava, ma
quella soluzione così poco pensata innescò un’immediata reazione nell’altro
ragazzo, che si riscosse come se stesse svegliandosi da un brutto sogno.
Guardò verso di lui, le
palpebre sgranate sugli occhi sorpresi. C’era di tutto, in quello sguardo - la
speranza che non fosse uno scherzo, il timore di non poter davvero fare
qualcosa del genere, la… gioia, segreta, appena percettibile, di avere una mano
a cui aggrapparsi per sfuggire a un destino avverso.
Durò poco più di qualche
secondo - quanto bastasse per far sì che la sua familiare espressione
strafottente tornasse a dominare incontrastata sul suo viso.
- Due ragazzi che non sono
neanche compagni di scuola che vivono insieme in un appartamento. Bello. Molto
etero, mi permetto di aggiungere. - uno sbuffo divertito lasciò traditore le
sue labbra - Scommetto che non sospetteranno niente. -
Imayoshi
scoppiò a ridere - Dettagli, dettagli, non che possano avere conferme ad eventuali sospetti! Meglio di niente, comunque, no?-
Era un’idea improvvisata,
qualcosa a cui stava pensando, sì, ma che non credeva
gli avrebbe proposto così presto. Non sapeva neanche se avrebbe potuto farlo, o
se una convivenza tra di loro potesse funzionare senza che non finissero per
uccidersi a vicenda… ma sapeva che era ciò che Hanamiya
aveva bisogno di sentirsi dire.
- Magari ci
penserò, hm. - lo sentì infatti mormorare. E non poteva vederlo, no, perché da
bravo furbo aveva di nuovo abbassato la testa.
Ma
sapeva benissimo che, almeno stavolta, era per concedersi un riservato e breve
sorriso.
Capitolo 2 *** 2# • Things you said through your teeth {ImaHana} ***
Genere: Commedia, slice of life
Tipo di coppia: Shonen-ai
Personaggi: Hanamiya
Makoto, ImayoshiShoichi
Rating: Verde
Parole: 500
Note: Avete presente quelle persone che
hanno sempre le mani fredde, anche se fuori fanno quaranta gradi all’ombra?
Combo ImaHana due volte di fila perché sono una brutta persona.
Scritta il: 14/06/2015
2# • Thingsyousaidthroughyourteeth
- Hanamiya,
la finisci? -
- No, non penso proprio. -
Ah, quante volte l’aveva
accusato di ‘troppa serietà’ o di essere ‘troppo musone’. Però, quando decideva
di divertirsi un pochino, non gli piaceva che fosse a sue spese, hm?
Sorrise
nel buio, Hanamiya, tentando l’ennesima, scomodissima
manovra per infastidire il ragazzo sdraiato accanto a lui su quel letto fin troppo
piccolo. Non che ciò rappresentasse un problema, in ogni caso: per qualche
motivo, lo spazio limitato rendeva il tutto ancora più divertente. E mentre
piegava quasi innaturalmente le gambe per raggiungere coi
piedi la schiena di Imayoshi e piantarceli sopra, i lamenti infastiditi che emetteva ogni volta lo
ripagavano di qualsiasi contorsione.
Gliel’aveva detto mille
volte, d’altronde: era freddo.
Non
nel senso strettamente emotivo, ovviamente — il suo corpo era
dannatamente gelido. E non esagerava: era ben conscio,
d’altronde, di quell’ipotermia fisiologica che rappresentava tuttavia la sua
temperatura naturale, ma c’erano delle determinate controindicazioni a quella
condizione cronica.
Anche
se, chiaramente, più dannose per gli altri che per lui stesso.
Era un piccolo potere che
possedeva da sempre.
Avere le estremità degli
arti fredde, molto più fredde del normale, a prescindere dalla stagione o dal
clima, gli conferiva un senso di superiorità che quasi neppure l’incrinare e
distruggere l’animo di suoi avversari sul campo riusciva ad
eguagliare. Quanto poteva essere soddisfacente, d’altronde, avvicinarsi di
soppiatto alle sue “vittime”, cogliendole di sorpresa con una presa gelida
sulla pelle nuda e magari pure accaldata dagli allenamenti? L’aria si riempiva
immancabilmente di quei gridolini acuti che lo facevano sempre ridere come uno
stronzo, subito seguiti dagli inevitabili insulti che, in tutta sincerità, gli
scivolavano addosso come se neppure lo riguardassero.
Era pure ovvio che, tra le
sue usuali prede, figurasse anche quel maledetto quattrocchi. Erano poche le
soddisfazioni che poteva prendersi su di lui, quindi perché non approfittarne?
Ecco perché, da poggiargli
le piante dei piedi sulle gambe scoperte, era salito sempre più in alto,
finendo per premersi contro la sua schiena. Era stato un crescendo di reazioni
di cui non riusciva a saziarsi, non era poi così strano che non volesse
smettere!
… anche se, in effetti, si
trattava di una decisione estremamente incauta da
parte sua.
Già quando l’aveva chiamato
per cognome, e non affibbiandogli il solito nomignolo seguito dal più umiliante
degli onorifici, avrebbe dovuto capire che non era pronto a subire ancora.
Sentì le proprie caviglie
venir strette in una morsa irresistibile, bloccate adesso sotto le braccia
dell’infastidito ragazzo più grande. Grr… che palle!
E poi cos’era quel sussurrare soffiato, quel bofonchiare che sentiva
provenire come un ringhio da dietro i suoi denti stretti?
- Certe volte non ti fai proprio sopportare, hm? -
Inarcò le sopracciglia,
sbuffando beffardamente. Oh, ora solo perché gli stava dando le spalle, era
convinto di poter dire quello che voleva? Ghignò di nuovo, slanciandosi verso
di lui.
- Ti ho sentito,
quattrocchi. - sibilò, tetro, prima di far sgusciare le mani sotto la sua
maglietta e premerle contro i fianchi indifesi.
Capitolo 3 *** 3# • Things you said too quietly {MidoTaka} ***
Genere: Slice of life… sentimentale, credo?
Tipo di coppia: Shonen-ai
Personaggi: TakaoKazunari, MidorimaShintaro
Rating: Verde
Parole: 600+
Note: Ironico se si pensa quanto vociante e
allegro sia Takao durante il resto della sua vita.
Prima MidoTaka che io abbia mai scritto, credo, una cosina molto easy ~
Scritta il: 15/06/2015
3# • Thingsyousaidtooquietly
Tutto intorno regnava il
più incontrastato e rigido silenzio, maTakao proprio non riusciva a concentrarsi sui libri che
aveva davanti al naso.
E non era solo perché, in
fin dei conti, di quelle cose (e della necessità di prepararsi per il prossimo
compito in classe) non gli interessava quasi per niente; e neanche perché
l’ambiente quieto della biblioteca in cui si trovava lo annoiava terribilmente.
C’era un ben preciso motivo di distrazione proprio accanto a lui, proprio
seduto nella postazione adiacente alla sua.
Sospirò, sorridendo tra sé
e sé mentre una mano chiusa a pugno diventava l’appoggio perfetto per
perpetuare quella silenziosa contemplazione: davvero, l’unico motivo per cui aveva seguito Shin-chan
fino a lì era perché, ormai da un po’ di tempo a quella parte, i minuti che
poteva concedersi perso nell’osservare i suoi lineamenti perfetti erano un po’
come un anelato, settimanale angolo di paradiso.
Seguì con lo sguardo il
contorno del suo profilo, soffermandosi lungamente sulle sue labbra sottili,
eleganti, e poi salendo di nuovo fino agli occhi; le ciocche di capelli che
ricadevano davanti alla fronte non gli impedivano di osservare quei due
smeraldi attenti, incorniciati dalle lunghe ciglia che solo raramente vedeva
chiudersi su di essi. Non c’era niente di sbagliato in quella visione così
perfetta, non riusciva a trovare niente, neanche sforzandosi, che stonasse in
mezzo a quell’armonia.
Avevano la stessa età,
certo, ma certe volte era come se Midorima
fosse molto più grande di lui. Non solo in quell’aspetto maturo e deciso, in
quella statura ridicolmente titanica, o in quella serietà inflessibile che non
lo abbandonava mai: all’inizio, per lui, era come se vivesse su tutto un altro
piano, inarrivabile, imbattibile, immenso. Era il miracolo che con la sua
presenza aveva benedetto la loro squadra; e lui, un ragazzino talentuoso ma non
così tanto da essere ricordato negli annali, non poteva che percepirlo come…
lontano. Lontano mille miglia da qualsiasi punto di contatto.
Era stato orribilmente
difficile aprirsi un varco in quel muro invalicabile che aveva intorno, ma non
era mai stato un tipo prono all’arrendersi. Si era fatto beffe di quella
distanza e di quella sensazione di irraggiungibilità,
quasi imponendosi nella routine di quel musone indisponente che non andava
d’accordo con nessuno; aveva scoperto che sotto l’etichetta del “miracolo” si
nascondeva un ragazzo come gli altri, con le sue fisse, le sue -rare-
insicurezze e anche qualche debolezza, e pur non negandosi mai il piacere di
ridergli in faccia tutte le volte che il suo lato ridicolo sbocciava più
rigogliosamente del solito, a forza di stare con lo Shin-chanumano che nessuno, inizialmente, sospettava esistesse davvero… se ne era
innamorato perdutamente.
Che cosa patetica e cliché,
vero? E dire che di cotte e di fidanzatine varie ne
aveva avute, ai tempi delle medie — l’ultima persona per cui credeva di
poter perdere la testa era un ragazzo alto il doppio
di lui!
Ma non poteva, e non
voleva, negarsi i sentimenti che nutriva nei suoi
confronti. Al contrario, a costo di spingere mille volte quella dannata
carretta di legno, di seguirlo in qualsiasi noiosissima biblioteca nel mondo,
di assecondare ogni suo stupido rituale portafortuna, era deciso a lasciarli
crescere ancora e ancora, rimanendogli vicino senza mai lasciare il suo fianco.
- … e chissà se nel mentre ti accorgerai quanto mi piaci, Shin-chan… ? - si lasciò sfuggire, in un singolo e breve
sospiro. Vide l’altro distogliersi pacatamente dall’attenta lettura, voltando
gli occhi verso di lui.
- Hm? Hai detto qualcosa? -
Ah… eccome se l’aveva
detta. E non era neanche la prima volta, ma non era ancora il momento di dirgli la verità. Non certo così, non in un modo del genere.
- Hai le allucinazioni per
il troppo studio, Shin-chan? Facciamo pausa e andiamo
altrove, eheh~! -
In genere tutti (e io pure) vedono Kagami come un
angelo tontarello incapace di malizia ma ho deciso di
dargli un’accezione un po’ diversa dal solito.
Il prompt, se non
sbaglio, mi era stato più precisamente suggerito dalla Odu.
Scritta il: 16/06/2015
4# • Thingsyousaid over the phone
- Pronto… ? -
- Taiga? -
Ah… questo era male.
Non ci aveva nemmeno
pensato. Aveva sentito vibrare il telefono nella tasca, aveva visto il nome e,
pur razionalmente sapendo che non era il caso di rispondere, aveva comunque
lasciato scorrere il dito sullo schermo.
Poggiò la testa contro il
muro dietro di sé. Cretino, stupido, deficiente imbecille. IdioTaiga
era davvero il soprannome perfetto per uno come lui, pensò, anche se avrebbe
preferito morire piuttosto che ammetterlo ad alta voce.
Però sapeva che l’altro
non sarebbe stato molto tollerante.
Sentiva
già i suoi occhi addosso, crudeli, affamati.
- Non sei agli allenamenti?
Che fai, batti la fiacca? - lui, però, non doveva sospettare nulla.
Inghiottì l’inquietudine, l’eccitazione e il nervosismo, sperando che lo
statico del telefono riuscisse a mascherare le oscillazioni della sua voce.
Sbuffò, di un divertimento pateticamente falso, ma dall’altra parte non parve
arrivare nessun segno di dubbio.
- Come on, sai che
non potrei permettermelo. Sono in pausa e… avevo voglia di sentirti. -
Proprio
ora, pensò Kagami. E gli incisivi affondarono
sul labbro inferiore.
Solo qualche tempo fa non
si sarebbe mai nemmeno sognato di pensare una cosa del genere, ma forse era
ovvio che sarebbe finita così. Troppi sentimenti,
troppo alla svelta; una conciliazione così profondamente desiderata era sfociata con tutta la sua forza in un amore repentino e
bruciante, in una passione sconvolgente che, credeva, fosse ciò che aveva
sempre effettivamente provato.
Era l’amico della sua
infanzia. Si era quasi convinto anche lui che quella, in fondo, fosse solo una
naturale evoluzione degli eventi.
“E invece guardami, adesso,
mentre mi lamento del tuo pessimo tempismo.”
Pessimo davvero, ma non
perché fosse luiad essere nel torto. Come
poteva sapere, d’altronde, che l’altro aveva ben deciso di ignorare
quella telefonata, stringendo tra i denti la cerniera dei jeans mentre, lento,
gliela tirava giù?
Voleva fargliela pagare per
quell’interruzione, Kagami lo sapeva. Non gli serviva
nemmeno guardarlo per immaginarsi il ghigno soddisfatto che sicuramente aveva
stampato sulle labbra — e nemmeno voleva guardarlo, in realtà, cercando
di estraniarsi per il minimo indispensabile da quel contesto.
- Lo apprezzo,Tatsuya. -
Stavolta fu l’altro
a sbuffare divertito. E per poco non gli tirò un
calcio.
in un certo senso, sì,
apprezzava - ma quel sentimento di gioia che provava tutte le volte che gli faceva ‘sorprese’ del genere era presto andato a scemare.
Non voleva dire di essere arrivato al fastidio, ma al non necessario poco
ma sicuro.
Il fuoco aveva bruciato
tutto ciò che aveva a disposizione per alimentarsi, e la fiamma aveva iniziato
a diventare sempre più flebile, sempre più fredda. Le conseguenze erano ovvie.
Avrebbe dovuto sentirsi in
colpa, disprezzarsi, e pure farsi in quattro per fargli capire che quell’amore
travolgente era stata solo un’effimera illusione,
però…
Un singulto lo scosse e una
mano andò a premersi sulla bocca, evitando di lasciar trapelare ciò che non
sarebbe dovuto arrivare alle orecchie di un Himuro
che sembrava però troppo impegnato a raccontargli della sua giornata per
rendersene conto. Ogni filo di pensiero si ingarbugliò
su se stesso, diventando una confusa massa informe via via che sentiva una
certa lingua curiosa prima muoversi mediata dalla stoffa dei boxer, e poi
scivolare maliziosamente lungo un’erezione assolutamente imperturbata dalla
situazione.
… non ci riusciva, non ci riusciva a dirgli che era finita. Sapeva di stare
sbagliando, ma era come se una simile consapevolezza non facesse che rendere le
cose ancora più interessanti.
Lo appagava in modo malato
e contorto sapere di essere ancora legato a qualcuno in modo ‘ufficiale’ e,
allo stesso tempo, di concedersi di lasciarsi consumare da un amore tutt’altro
che sacro, fatto di incontri fuggevoli e clandestini,
di notti immerse in un misto velenoso di tentazione e lussuria che anche
adesso, anche in quel momento, stava iniziando a dargli alla testa.
Non sentiva più neanche la
sua voce al telefono.
Sentiva solo il cuore
pulsare come un tamburo impazzito, gli ansiti che rimanevano strozzati nella
gola, incapacitati ad uscire, il suono umido delle
labbra bagnate che frizionavano intorno alla sua eccitazione.
“… Aomine.”
Bastò quel singolo nome a
riscuoterlo, a fargli sgranare gli occhi nella penombra da cui era avvolto. La
mano, che intanto era scivolata tra i capelli dell’altro, si strinse su
quella presa ancora più forte.
- … come? -
- Sì, mi ha mandato un
messaggio ieri sera, qualcosa tipo… “io starei attento al tuo ragazzo, e che la
gente che frequenta non gli stia troppo intorno”, come se mi tradissi o roba
del genere. L’ho cancellato senza nemmeno pensarci,hahah! Chissà che gli è preso… -
Era la stessa domanda che
vorrebbe porgli, pensò, e per la prima volta dall’inizio di quella chiamata si
decise a guardare verso il basso.
Oh, sapeva benissimo che
stavano parlando di lui e di quello che aveva fatto, lo leggeva nel luccicare
orgoglioso di quelle iridi rigonfie di malizia. “Tanto ti piace, no?” sembrava
quasi volergli dire, e per rimarcare la sua posizione si spinse più avanti, più
a fondo, accogliendolo senza esitazione nella propria gola. E ogni barlume di
rancore svanì come se non fosse mai esistito
Cosa
era diventato?
Amava alla
follia tutto questo. Amava sentire la voce ignara di Himuro
risuonargli limpida nelle orecchie, e sotto la sua mano sentire la testa di
Aomine muoversi avanti e indietro, mentre le sue dita gli affondavano
possessive contro le natiche come se tutto ciò non appartenesse che a lui.
Aveva avuto un assaggio del
frutto più peccaminoso di tutti, e adesso non riusciva a farne a meno.
- Ah… pausa finita, devo
andare via. Devo andare, ci sentiamo più tardi, mh? -
- M-… mh-hm. -
- Ti amo. -
Stavolta non arrivò nessuna
risposta.
Il dito si era premuto
tremante sull’icona rossa, in un ultimo barlume di lucidità. E fu sicuramente
meglio così: neppure lui sarebbe riuscito a mentirgli, a dire che lo amava,
mentre un inevitabile, proibito orgasmo lo scuoteva senza pietà.
Capitolo 5 *** 5# • Things you didn’t say at all {HaiKise} ***
Genere: Generale, angst verso la fine
Tipo di coppia: Nessuna (se proprio proprio, shonen-ai)
Personaggi: Haizaki Shougo, Kise
Ryouta
Rating: Verde
Parole: 1700+
Note: Altro Headcanon altra corsa (yee…). È
stato il mio primo tentativo conquesti due, una specie di prova
per vedere un po’ come muovere Kise che è la mia grande incognita. E Haizaki è
un moccioso immaturo e gli voglio un mondo di bene. #apologist #notreally
Scritta il: 17/06/2015
5# • Things you didn’t say at all
- Non si leggono le riviste
senza comprarle. -
- Non sto leggendo, sto guardando le figure. -
Il negoziante gli tirò un’occhiata storta, ma Haizaki neppure ci fece
caso. Non poteva dirgli nulla, d’altronde, per una volta stava dicendo la verità!
Non che in una rivista di
consigli di bellezza per ragazzedella sua età ci fosse altro da vedere oltre le figure, in
ogni caso. Non erano certo gli articoli sulla moda mare
o sulla boutique del momento ad attirare la sua attenzione, quanto magari
l’idea rifarsi gli occhi con quelle bellezze che sembravano esistere solo tra
le pagine di quei giornali. Non che si lamentasse di tutte quelle che già
riusciva ad imbroccare, però… !
«L’intervista
con l’idol del momento!»
I suoi occhi notarono solo
distrattamente quel titoletto, ma fu abbastanza per
scatenare la sua curiosità: scorse indietro, ansioso di conoscere questa new
entry nel pantheon delle Dee delle pose carine e dei vestitini fruscianti al
limite del decente, ma tutte le sue aspettative si distrussero nel giro di
pochi secondi.
«È giovane e pieno di
energia, ma pur frequentando appena le superiori, il modello-…»
Modello?
Storse il naso,
insoddisfatto dalla piega che avevano preso quegli eventi. Non era quello che
stava cercando, cosa poteva interessargli di un modello delle superiori?
… modello delle
superiori?
Pur avendo già voltato pagina, bastò quel dubbio a farlo tornare sull’articolo
incriminato. I suoi occhi scivolarono immediatamente sul resto del sottotitolo,
spinti da una curiosità che neppure credeva di poter nutrire.
«… il modello delle
superiori Kise Ryouta è già estremamente popolare e
richiesto dalle più grandi marche. Come farà a conciliare studio, sport, lavoro
e vita privata? Siamo riusciti a farci svelare alcuni dei suoi segreti!»
E c’era davvero gente
disposta a farsi i cazzi suoi in modo così palese? Scosse il capo, ma
l’attenzione saltò sul resto dell’intervista prima ancora che potesse ordinarle
di soffermarsi altrove. Come previsto, comunque, l’articolo non diceva
assolutamente niente: la sua routine mattutina, il suo rapporto con i
professori, i fan, i compagni di squadra… la sua vita non aveva niente di
diverso da qualsiasi altro liceale, ma nessuno aveva mai dedicato la pagina
centrale di un magazine a Shougo Haizaki!
Aggrottò le sopracciglia,
facendosi cogliere da un profondo, bruciante, senso di fastidio… e forse di invidia. Non che ce ne fosse bisogno, davvero: a suo
sfavore, certo, ma ogni conto in sospeso tra di loro
ormai si era chiuso, e lui pure aveva per una volta cercato di farsi maturo e
di lasciarsi alle spalle una questione che non faceva altro che avvelenargli lo
stomaco; nonostante tutto questo, però, il fatto che quello esistesse e
che tramite la sua esistenza avesse tolto i riflettori che splendevano su di
lui per farli risplendere solo su di sé, ancora lo mandava in bestia.
Al diavolo ogni regolamento di conti- lui era per primo nel team che
sarebbe poi diventato la ‘Generazione dei Miracoli’, e se quel biondino
ossigenato non fosse mai sbucato ne avrebbe ancora fatto parte… !
Ecco, appunto, ci stava
cascando di nuovo. Fanculo a lui e fanculo a quell’articolo di merda!
«Questa è una domanda che
ci è arrivata da molte fan… c’è qualche storia particolare dietro
quell’orecchino?»
Stava per chiudere tutto e
andarsene, ma leggere quelle parole lo distolse dai suoi intenti. Alzò gli
occhi verso una delle tante foto che costellavano la pagina, adocchiando
immediatamente l’anellino argentato al suo orecchio sinistro.
Cazzo, certo che c’era una
storia dietro. Se la ricordava persino lui - forse perché era uno dei pochi
momenti della sua vita in cui aveva effettivamente fatto qualcosa per qualcuno;
o forse perché era anche uno dei pochi dialoghi che aveva avuto con quello là
senza ancora provare il desiderio di spaccargli la faccia.
Non che ne avesse davvero
motivo, all’epoca: era stato da poco cacciato dalla squadra, e non aveva ancora
deciso quanto grande fosse stato il ruolo di Kise nel proprio personale
fallimento. Senza contare che la fidanzata che gli aveva fregato se ne era
andata con un altro un paio di settimane dopo, motivo per cui
si sentiva quasi di avergli fatto un favore ad averlo liberato di quella
stronzetta vanesia: fu per quelle ragioni che la voglia di attaccar briga,
appena lo vide a curiosare nel negozietto del suo piercer di fiducia,
non si fece neppure sentire, limitandosi a rimanere in attesa del padrone del
posto. Anche se, di grazia, che diavolo ci faceva in un posto come quello?
- Se stai cercando degli
orecchini di perla per tua madre di certo non li
troverai qui, Ryota. -
Lo vide sobbalzare, e
subito dopo guardarsi intorno come se fosse stato scoperto a compere il più grave
delitto. Quanto poteva essere patetico?
Ci mise ben più di solo
qualche attimo ad individuare la fonte di
quell’annoiata provocazione. Shougo se lo ricordava ancora, quello sguardo da
perfetto imbecille, e pure il silenzio che intercorse fino a che non si decise
ad aprir bocca.
- Mi scusi, ma lei chi è? -
Cosa cazzo voleva dire?! Era serio?! Tutta l’ostilità che
aveva messo da parte per poco non salì di nuovo, e per
la precisione diretta verso i pugni che già stavano per chiudersi.
- Come ‘chi sono’? E poi che cazzo mi dai a fare del lei?! - sbottò, irritandosi ancora di più quando vide l’altro
rimanere sorpreso da quella reazione. Fortunatamente, un attimo dopo il lume
della ragione parve tornare in quella testa vuota.
- Shogo! - esclamò infatti - È che… i capelli! Non ti riconoscevo… -
Già, che aveva deciso di
tornare del suo colore di capelli naturale. In effetti poteva concedergli un margine di dubbio —
ma da lì a non riconoscerlo proprio?
Sospirò, facendo
sprofondare le mani nelle proprie tasche. Il discorso poteva pure chiudersi lì,
ma non appena distolse lo sguardo sentì che quello di Kise era ancora puntato
su di lui, un po’ incerto, un po’ severo. Beh, in effetti
non che lui fosse consapevole del favore implicito che aveva ricevuto quando
gli aveva soffiato la ragazza, non era strano che lo guardasse con così tanto
astio.
- Tu che ci fai qua,
invece?-
- Una rapina. -
- EH?!
-
- S-… sto scherzando, idiota! - si voltò verso di lui, solo per
vederlo già col cellulare in mano. Diavolo, ma non sapeva distinguere uno
scherzo dalla realtà?
- Voglio farmi bucare di
nuovo l’orecchio, che diavolo sarei venuto a fare
altrimenti? - borbottò, annoiato - Sei quasi più sospetto tu, scemo. -
- Ma
non è colpa mia! - si affrettò a replicare l’altro, aggrottando offeso le
sopracciglia - È solo che voglio farmi mettere un orecchino anche
io, ma non so scegliere quale… -
- E stai ancora scegliendo?
- lo fissò, incredulo - Da quanto sei qui? -
- Eh… da un po’. -
- ‘Un
po’’ quanto? -
- … un po’. -
Non voleva crederci. Perché
gli ci voleva così tanto a scegliere un dannato orecchino? Non
è che una volta messo, allora era definitivo!
Fortuna volle che la sua
attenzione fu proprio in quel momento attirata
direttamente dal negoziante, che non mancò di tirare un’occhiata impietosita
all’altro ragazzo presente (“Almeno è comprensivo e lascia passare avanti le
persone”, fu il suo unico commento) prima di condurre Haizaki via con sé.
Chissà se quando sarebbe uscito l’avrebbe trovato ancora impegnato a scegliere?
Probabilmente sì, e più se ne convinceva, più d’altro canto si rifiutava di
credere di essere stato silurato dalla squadra a favore di uno svampito come
quello.
Naturalmente, tutti i suoi
sospetti non furono che confermati: solite
raccomandazioni di routine, e non appena tornò nella parte normalmente agibile
del negozio quella testolina bionda era ancora riversa sugli scaffali, come
alla ricerca di chissà quale tesoro.
… che razza di scemo.
- Oi. - non sapeva neppure
lui da cosa era mosso. Anzi, lo sapeva benissimo: era pietà. Era pietà
quella che aveva nello sguardo quando Ryota si voltò verso di lui, ed era pietà
quella che lo spinse a mettergli una minuscola bustina di plastica tra le mani.
- Senti, non ce la faccio a
vederti qui. Mettiti questo e basta, lasci cicatrizzare il foro, nel mentre ti chiarisci le idee e poi torni qua a scegliere.
Ma per ora usa questo, Cristo. -
Kise lo
guardò sorpreso, per poi abbassare lo sguardo alla bustina. Dentro c’era un
piccolo anellino di metallo.
- … è usato? Che schifo… -
- No che non è usato,
cretino! Ma per chi mi hai preso? - ora ricordava
perché non era mai gentile con nessuno, se quelli erano i risultati! - L’avevo
comprato per farmelo mettere oggi ma alla fine ne ho scelto un altro. -
Lo ascoltò
a malapena in quel sorpreso ringraziamento che gli rivolse, e da lì in poi, dal
momento in cui mise piede fuor da quel posto, aveva sempre notato quello stesso
orecchino in ogni sua foto. Lo aveva perfino durante la loro partita, heh…
chissà che non si fosse ancora deciso con quale cambiarlo?
«Nessuna storia in
particolare, davvero… mi dispiace deludervi, ahah!»
Come— come no?!
E tutto quello che era successo se lo ricordava solo lui?!
Eppure era lì, quel dannato
orecchino. Era in tutte le foto, non poteva non essere lui! Se ne sarebbe
accorto se fosse stato diverso!
Ma
no, a quanto pare dietro non c’era nessuna storia. Neanche che magari fosse un “Regalo
di un suo ex compagno di squadra”, o qualche vaga stronzata del genere. Non
pretendeva di leggere nome e cognome, o magari la storia intera per filo e per segno, ma cazzo!
Non era niente di così
importante da essere citato, e questo, non poté negarlo, gli fece male. E
allora perché lo stava tenendo ancora? Non pensava che quelle poche parole in
fila sarebbero bastate a rivoltargli così tanto l’umore, chiudendo la rivista e
riponendola nello scaffale prima di dirigersi fuori di là come alla disperata
ricerca di una boccata d’aria.
Ma quando mise piede all’esterno,
in realtà, non era nemmeno arrabbiato, quasi neppure deluso od
offeso.
Perché avrebbe dovuto
esserlo? Ormai, tanto, c’era abituato. Era solo l’ultima di mille altre
situazioni simili a queste, in cui si era ritrovato senza nemmeno rendersene
conto ad essere l’ultima ruota del carro. Non che non
se lo meritasse, almeno la maggior parte delle volte…
Quindi perché mai Ryouta avrebbe dovuto valere la pena di tenere di conto di qualcuno
come lui?
Capitolo 6 *** 6# • Things you said under the stars and in the grass {AoKise} ***
Genere: Generale, slice of life
Tipo di coppia: Nessuna
Personaggi: Aomine Daiki, KiseRyouta
Rating: Verde
Parole: 1000+
Note: … la odio. È la storia dellachallenge che meno sopporto,
è piatta, banale, non succede niente, mi è uscita malissimo e mi dispiace per
questo. Purtroppo non posso semplicemente ‘non postarla’, per il bene della complettezzadellachallenge, e il fatto che sia così credo renda il mio
“esperimento” ancora più genuino (bello arrampicarsi sugli specchi…)
Comunque, prompt e ship mi sono state suggeriti—alla
fine non è uscito niente di particolarmente shipposo,
probabilmente sia perché l’AoKi non è esattamente tra
le mie OTP, sia perché non ho molta confidenza con scrivere di Kise, come menzionato nella ff
postata ieril’altro. Spero sia almenoleggible… !
… anche se dal
prompt iniziale ho deviato molto più che “solo un po’”.
Scritta il: 18/06/2015
6# • Thingsyousaid under the stars and in thegrass
- Aominecchi!
One on one? -
Era una voce così
squillante che per poco Aomine non credette di farsi sentire da tutto il dormitorio.
Allontanò il telefono dall’orecchio, aggrottando le sopracciglia. Chiaramente,
l’unico possibile proprietario di quella voce si era fatto di qualcosa di
pesante.
- Non ho sbatti, è tardi. -
- Daaaai
sono già di sotto! -
Uno sguardo fuori dalla finestra
ed eccolo lì, quello scemo biondo, appostato sotto un lampione come se si fosse
trattato del suo personale riflettore.
- Fammi capire. - borbottò
- Hai perso l’ultimo treno e sei venuto a rompere qui? -
- Beh… !
Forse! Però voglio sfidarti, qui, adesso! -
Ma
chi glielo faceva fare di essere così pieno di energia e per giunta così tardi
la sera? Roteò gli occhi verso il soffitto, annoiato.
- Te l’ho detto, non ho
sbatti. -
- E
io non mi tolgo di qua finché non scendi! -
- Ok, fai come ti pare. -
Gli aveva attaccato il
telefono in faccia, ma alla fine era sceso comunque. Maglietta leggera e
pantaloni comodi, era il vestiario perfetto per giocare una partitella
tranquilla alla luce di una notte piacevolmente calda; l’altro, invece, con
addosso ancora la camicia e i pantaloni dell’uniforme, rese ancora più palesi i
sospetti di poco fa.
Scemo.
- Oi. - gli
tirò la palla da basket addosso, attirando la sua attenzione - Lo sai che non
possiamo rimanere nel cortile, hai altre idee? -
- Intanto usciamo e vediamo
se troviamo qualcosa! -
Appunto, zero idee.
Non si lamentò oltre,
comunque, limitandosi a seguirlo: ormai era là, tanto valeva almeno fare
quattro passi.
- … sei sicuro di trovare
qualcosa, comunque? Anche il campetto comunitario a quest’ora sarà chiuso. -
- Quanto sei negativo! Se
non avevi voglia potevi rimanere chiuso in casa! -
- E rischiare di vederti
arrampicare sul tubo della grondaia per entrarmi in camera? -
Sorrise, però, mentre lo
diceva, e anche Ryouta rise con lui. L’iniziale e
fastidiosa cappa di noia si stava finalmente dissolvendo, al punto che l’idea
di uno one-on-one stava quasi iniziando a scaldarlo…
… sennonché, di nuovo, i
suoi sospetti si rivelarono fondati.
- Uffaaaaa…
- si lagnò Kise, strattonando la porta metallica
saldamente chiusa da una pesante catena. Il parco intorno a loro era deserto,
ogni potenziale avventore era sicuramente già a casa - il campo da basket,
dunque, non aveva motivo di essere lasciato aperto.
Il biondino, però, non
sembrava volersene fare una ragione.
- Volevo giocare… -
borbottò, accasciandosi arreso contro la grata. Aomine gli
si avvicinò, le mani in tasca e gli occhi puntati verso l’alto.
-… alto… -
- Eh? -
- Dicevo, non è così alto.
Non ci dovrebbe voler nulla a scavalcare. -
Non aspettò neanche di ricevere
risposta: si arrampicò su per la recinzione come fosse
la cosa più naturale del mondo, un Kise a metà tra
l’esterrefatto e il terrorizzato che lo fissava dal basso. Ma
non c’era nulla da temere: qualche secondo, ed eccolo già dall’altra parte.
- Passa la palla e vieni
pure te. Non muori, te lo prometto. -
- La fai facile, te… - un
broncio si dipinse sul suo viso corrucciato, ma le sue proteste morirono lì:
bravo com’era ad imitare le doti degli altri, neppure
per lui si trattò di una sfida così esageratamente insuperabile.
L’atmosfera si tese fin da
subito, non appena si ritrovarono faccia a faccia. Non
li stava guardando nessuno, erano solo loro e per di più in procinto di
sfidarsi in quello che doveva essere un ‘semplice’
one-on-one, ma era dalla sconfitta durante la loro prima Interhigh
che Kise era alla ricerca di una personale rivincita.
- Arriviamo a dieci. -
mormorò con un ghigno di sfida - Non ci andrò giù
leggero solo perché sei Aominecchi, sappilo. -
- Mi offendo se ci vai
leggero. - fu la risposta che ottenne, accompagnata da un sogghigno che era il
riflesso del suo - E quando vincerò mi offrirai il
pranzo. -
- Ah? E se vinco io cosa
ottengo? -
- Hmm… la gloria? -
Ryouta
sbuffò divertito. Sì… in effetti, pure quella poteva bastargli. Tenne la palla
tra le mani, non staccando mai gli occhi da quelli del proprio avversario.
- … uno, due… -
“Tre”, sarebbe stata la
logica conclusione, ma ciò che arrivò alle orecchie di
Aomine fu un urletto straziato. E, subito dopo, una sensazione fastidiosa di freddo
e di bagnato.
Si guardò intorno come se
non si ricordasse più nemmeno dove fosse, rendendosi ben presto conto
dell’origine del problema.
I dannati irrigatori
automatici, naturalmente, arrivavano pure lì.
Si diresse correndo verso
l’unico punto cieco della recinzione, iniziando a scalarla e urlando a Kise di fare altrettanto. Di nuovo, non fu difficile
giungere dall’altra parte - ma appena i suoi piedi toccarono terra, fece giusto
in tempo a sentire un acuto dolore alla testa, e tutto per qualche secondo
divenne nero.
Quando si riprese, sotto di
sé sentiva l’erba fresca, e sopra solo le stelle. Strano, come ci era arrivato
in quella posizione?
- Aominecchi!
Scusa, scusa!! Stai bene?! -
Kise
entrò di prepotenza nel suo campo visivo, prendendogli la testa tra le mani.
Testa che, per inciso, gli faceva ancora male: stai a vedere
che questo scemo…
- Mi hai tirato la palla in
testa? -
- Non l’ho fatto apposta!
Scusami! Scusa! -
Sospirò, Aomine, tirandosi
di nuovo su con la schiena. A volte era davvero capace di essere un imbranato, pft…
Non riuscì a non ridere,
spingendo quell’altro con una mano. Chissà come diavolo riusciva a passare da
idiota, a temibile avversario, a idiota un’altra
volta!
Aspettò che si riprese da
quella spinta, allungandosi verso di lui e
scompigliandogli un po’ i capelli. Era sempre stato divertente, ai tempi della Teiko, stuzzicarlo in quel modo, finire in situazioni
stupide per colpa sua… che gli mancassero, forse, quei momenti di
spensieratezza?
Possibile. L’unica cosa di
cui era certo, però, era che averne avuto un assaggio dopo così tanto tempo lo rallegrò più del previsto.
… nonostante la botta.
- Torniamo a casa che hai tutti i vestiti bagnati, idiota, ti presto qualcosa. -
commentò, divertito. Si rialzò in piedi, spolverandosi i pantaloni dei
rimasugli di erbetta.
- … e ah, dopo questa il pranzo me lo offri comunque. -
Capitolo 7 *** 7# • Things you said while we were driving {MuraAka} ***
Genere: Comico/demenziale… un po’ fluff alla
fine
Tipo di coppia: Shonen-ai
Personaggi: MurasakibaraAtsushi, Akashi Seijuro
Rating: Verde
Parole: 790
Note: Neanche questa in realtà ha nulla di
speciale, ed è un po’ sottotono rispetto ad altre, ma almeno scriverla è stato divertente---
Le prossime due però
saranno tra le mie preferite dellachallenge,
e non vedo l’ora di postarle!
Scritta il: 20/06/2015
7# • Things you saidwhileweweredriving
In tutti quegli anni al suo
fianco, come silenzioso e fidato osservatore, di cose su Aka-chin
ne aveva scoperte davvero tante, forse pure più di quante ne
conoscesse chiunque altro.
Nonostante, fortunatamente,
dopo gli avvenimenti della WinterCup il suo atteggiamento non
avesse mai avuto altri gravi sbalzi, non aveva mai smesso di eccellere in ogni
campo in cui metteva piede. Dopo le superiori era diventato un eccellente
studente universitario, e dopo ancora aveva preso in mano il business di
famiglia nel più responsabile e fruttuoso de modi; il tutto mantenendo salde le
sue relazioni sociali e i suoi hobby, facendo leva sul suo solito carisma
magnetico che aiutava laddove l’impegno, a volte, non riusciva ad arrivare.
Era davvero sorprendente
vedere come non avesse praticamente alcun tipo di
punto debole. Ogni volta che c’era una difficoltà o un
imprevisto non l’aveva mai visto fare un passo indietro, anzi, era più facile
vederlo continuare ad avanzare con la stessa sicurezza, fino a che l’ostacolo
non finiva definitivamente disintegrato.
Era per quello che,
nonostante fosse rimasto con lui da sempre, era strano perfino per lui vederlo
così. L’aria stravolta, il viso pallido, le mani che tremanti erano ancora
strette sul volante… Atsushi sbatté pigramente le
palpebre, sporgendosi verso di lui.
- Aka-chin…
ora stai meglio? -
Due iridi scarlatte si
puntarono verso di lui, e internamente non poté che sospirare di sollievo.
Nessuna variazione, nessunritorno
sospetto. Per fortuna.
Mai avrebbe pensato che
l’unica, assoluta debolezza di Seijuro Akashi,
l’unica cosa in cui non riuscisse ad eccellere, si
nascondesse in qualcosa che persino LUI era ormai capace di fare con una certa
decenza.
Guidare.
E sì che gliel’aveva detto,
con una punta di preoccupazione.
- Non è meglio chiamare il
tuo autista? - gli aveva infatti mormorato,
abbassandosi su di lui. Akashi aveva negato, tranquillo, sfoderando il suo
solito, affabile sorriso.
- Non ne vedo il motivo. Il
tragitto è breve e aspettare il suo arrivo sicuramente ci porterebbe via più
tempo di quanto ce ne metteremmo facendo da soli. -
- … vuoi che guidi io? -
- Non è
da te quest’apprensione, Atsushi. - sembrava davvero
tranquillo mentre lo diceva, concedendosi una risata tranquilla e allungando
una mano per carezzargli il viso - Cosa può andare storto? -
Tutto.
Appena si era messo al
volante, era come se non avesse mai guidato in vita sua. Era solito farsi
scarrozzare in giro dai suoi autisti, certo, ma il livello della sua guida era
pericolosamente pari a quello di un dilettante.
Si muoveva per le strade
come se non ne conoscesse minimamente i rischi, finendo sull’orlo del frontale
più di solo ‘qualche volta’. Chiunque, intorno a lui, non era
che un nemico, qualcuno pronto a mettere in discussione le sue capacità:
Murasakibara, sbirciando verso di lui, poteva vedere
il suo viso contrarsi sempre di più in un’espressione di pura e autentica
rabbia, e l’atmosfera nell’abitacolo diventare sempre più tesa. Morse
nervosamente la caramella che aveva in bocca, azzardandosi a prendere la
parola.
- Aka-chin,
credo che questa strada… -
- Ho tutto sotto controllo,
non devi preoccuparti. -
L’aveva liquidato con
quelle parole, ma fortunatamente ci pensò qualcun
altro a fermare la sua avanzata: un vigile a breve lontananza intimò loro di
fermarsi, e sebbene per un attimo la macchina accelerò, persino Akashi si
ritrovò costretto ad obbedire alla legge.
- Questa è una strada a
senso unico, dove crede di andare? -
- Come sarebbe a dire, dove
credo di andare? Non può rivolgermi queste parole, io sono ass-…
! -
- … ssolutamente
dispiaciuto. - Atsushi cercò di non soffermarsi sullo
sguardo iracondo che l’altro gli rivolse, mettendo da parte la sua solita
apatia e cercando di prendere la parola. Ehh… non che
fosse davvero troppo felice di farlo, ma prima di beccarsi una multa per affronto
a pubblico ufficiale… ! - … sono ore che giriamo a vuoto, sa, ci siamo persi…
eh… non è che potrebbe indicarci la strada? -
Quella piccola pausa fu
fondamentale. Murasakibara sapeva di star dicendo una
balla, ma quella bugia fu necessaria a dare a Seijuro la possibilità di calmarsi e di tornare in sé.
Si allontanarono
ringraziando, ma appena fu possibile, il giovane uomo coi
capelli rossi parcheggiò e si abbandonò in un lungo silenzio, spezzato solo
dalla frase preoccupata che l’altro gli rivolse.
- Sto… sto
meglio. - mormorò, annuendo, edAtsushi
gli rivolse un mezzo sorriso.
- Per un attimo mi sono
preoccupato, hm… la prossima volta fai più attenzione.
-
Sorrise anche Akashi,
sporgendosi verso di lui. Lasciò che questi si appoggiasse contro la propria
spalla, e di riflesso fece riposare la testa sulla sua, strusciando la guancia
contro i suoi capelli.
Capitolo 8 *** 8# • Things you said when you were crying {ImaHana} ***
Genere: Angst, introspettvo
Tipo di coppia: Shonen-ai
(… ?)
Personaggi: Makoto Hanamiya, ImayoshiShouichi
Rating: Verde
Parole: 960+
Note: Torniamo alle origini con la mia
coppia del kokoro. Ammetto che l’idea per questa ff l’ho avuta sin dal momento in cui ho visto Imayoshi con gli occhi arrossati dopo la sconfitta della Touou alla Wintercup, ma alla fine l’ho stesa solo durante questa challenge.
Scritta il: 21/06/2015
8# • Thingsyousaidwhenyouwerecrying
Non era da lui esitare così
tanto.
Con le mani infilate nelle
tasche dell’uniforme e l’aria immancabilmente accigliata, Hanamiya
Makoto si aggirava lentamente tra i corridoi deserti di un palazzetto dello
sport in fermento. Da quanto in qua si faceva così
tanti scrupoli ad andare a porgere i suoi irrispettosi omaggi alla parte
perdente?
L’idea non gli aveva
neppure solcato la mente, all’inizio. Si era limitato ad avviarsi verso
l’uscita non appena le due squadre in gioco si erano salutate, con grande
sorpresa dei suoi compagni di squadra che l’avevano subito fermato.
- … e al tuo senpai non vai a dire nulla? -
Era come se dessero per
scontato che non vedesse l’ora di rigirare il coltello nella piaga della
sconfitta di Imayoshi e della sua squadra - e,
realisticamente, sarebbe stato qualcosa che si sarebbe fiondato a fare appena
ne avrebbe avuto la possibilità. Ma perché aveva
opposto quella specie di passiva resistenza (“Non mi va, si è già umiliato
abbastanza da solo”, aveva detto), e anche dopo essere stato convinto dagli
sguardi di quei dannati avvoltoi sentiva quella
brutta, antipatica sensazione premergli nel mezzo del petto?
Cos’era, senso di colpa? E
per cosa, di grazia?! Non aveva ancora fatto nulla,
una volta tanto!
Era più una sorta di…
brutto presentimento, a cui per altro aveva già dato voce.
“Si è già umiliato da solo”, o meglio, “Sta’ a vedere
che una volta nella vita non è neanche il caso di fare lo stronzo?”
Ma
aveva deciso di non darvi importanza, cercando di individuare lo spogliatoio
della Touou. Adocchiò in breve lontananza il nome
scritto vicino ad una porta, ma, mentre la
raggiungeva, un suono sommesso, una specie di singhiozzo soffocato, attirò la
sua attenzione.
Si paralizzò in mezzo al
crocevia tra due corridoi, voltandosi lentamente nella direzione di quel
rumore. Non poteva sapere con certezza di cosa si trattasse e chi fosse il
proprietario di quei lamenti, ma in un certo senso era come se la risposta
fosse, inevitabilmente, una sola.
I gomiti che si
sorreggevano sulle ginocchia stanche; il viso affondato e nascosto tra le mani,
la schiena scossa da occasionali e disperati singulti. Non lo vedeva bene in
faccia e, sebbene la sua disperazione fosse così forzatamente contenuta, era decisamente ovvio che lui— ImayoshiShouichi, stava piangendo.
Hanamiyalo guardò in silenzio, a qualche passo di distanza da lui,
completamente disorientato davanti a quello spettacolo. Da quando lo conosceva non aveva mai visto in lui un attimo di debolezza
o di instabilità; e averlo davanti in quello stato, in quelle condizioni, era
una scena di cui forse non voleva neppure essere testimone. Per quale motivo,
poi? Non era lui il primo a bearsi delle lacrime dei suoi avversari, della
disperazione dolce come miele?
Era arrabbiato perché sapeva di non essere la causa di quella tristezza?
… o perché in fondo, in una
specie di egoistica e infantile convinzione, non voleva accettare l’esistenza
di un vero punto debole in una persona come lui?
Incerto se rimanere
estraneo a tutto ciò, fingendo magari di non aver visto nulla, oppure se
provare ad avvicinarsi, ci mise parecchio a muovere i primi, lenti passi verso
di lui. Sperò con tutto il suo cuore che quello alzasse la testa, che gli
rivolgesse una delle sue solite battute pungenti, ma non successe neppure
quando senza pensarci si accovacciò davanti a lui, il profilo alzato come alla
ricerca del suo sguardo.
- … sei qui per ridermi in
faccia? -
Sussultò, Makoto,
mordendosi l’interno della bocca. Dunque si era
accorto di lui, e chissà quanto tempo fa, hmpf…
- Dovrei? - borbottò,
aggrottando le sopracciglia. L’altro, in tutta risposta, sbuffò di un amaro
divertimento.
- Perché non dovresti, piuttosto? Guardami. -
rimarcò, con la voce ancora rotta - Sconfitto all’ultimo momento
nella mia ultima partita. Non fa già abbastanza ridere così? -
“La sua ultima partita”,
giusto. Tendeva a non soffermarcisi troppo spesso, ma Imayoshi
aveva un anno più di lui. Dopo quella partita finita a suo svantaggio, avrebbe
dovuto lasciare il titolo di capitano e l’intero team nelle mani di qualcun
altro. Era davvero tanto orgoglioso della sua posizione e della sua squadra, al
punto di prendersela così sia per l’idea di dover lasciarli, sia per quella del
fallimento di cui avevano dato sfoggio? Non aveva mai preso in considerazione
questo lato della sua persona, e di nuovo non seppe cosa pensare.
- … non avete giocato così
male. -
- E non è da te cercare di
consolarmi. - Hanamiya corrugò irritato la fronte a
quel commento, ma non replicò, lasciandolo finire - … vorrei che potesse
funzionare concentrarmi su questo, ma ora come ora
cosa importa come abbiamo giocato? Abbiamo perso. È tutto finito. -
Ancora, quelle parole lo
lasciarono in un instupidito e doloroso silenzio.
Aveva ragione, non aveva
nessun senso dire il contrario. Eppure sapeva-sapeva
di non star facendo la cosa giusta, ad ostinarsi in quel silenzio.
Non era una brava persona,
lui. Per quanto negli anni essere un ‘bravo ragazzo’
anche solo di facciata gli fosse sempre ben riuscito, quella era solo una
maschera, un espediente per confondere i propri nemici. Non aveva mai imparato ad essere comprensivo ed empatico, a trovare le giuste
parole per consolare qualcuno invece che attaccarlo ed abbatterlo. L’avevano
sempre definito un genio, sì, ma chiaramente non lo era fino a quel punto,
Poteva solo tacere e
contemplare la sua inettitudine, conscio di non poter
fare niente per la persona che aveva davanti, l’unica persona che almeno quella
volta non avrebbe voluto vedere sprofondare nella più amara rassegnazione. E in
un disperato, patetico tentativo di smentirsi per l’unica occasione nella sua
velenosa e astiosa esistenza, poggiò una mano sulle ginocchia di Imayoshi, sperando che quello stupido contatto potesse in
qualche miracoloso modo trasmettergli ciò che a parole non riusciva ad
articolare.
Capitolo 9 *** 9# • Things you said when I was crying {ImaHana} ***
Genere: Angst, introspettvo
Tipo di coppia: Shonen-ai (… ?)
Personaggi: Makoto Hanamiya, Imayoshi
Shouichi
Rating: Verde
Parole: 900+
Note: Praticamente,
l’altra faccia della medaglia – ovvero la stessa ff di ieri, ma da un
diverso POV.
Scrivere di Imayoshi
in modo approfondito per me non è molto facile, quindi
è stato un buon esercizio ~
Scritta il: 22/06/2015
9# • Things you said when I was crying
Ahh… questo era male, molto
male.
E dire che aveva pure preso
la precauzione di prendersi dieci minuti prima di
entrare in quello spogliatoio, onde evitare qualsiasi incidente del genere. Non
che provasse davvero vergogna o chissà cosa davanti ai suoi compagni di
squadra, ma non avrebbe certo fatto bene ai loro spiriti vedere il loro
capitano in quello stato, giusto?
Ecco perché tutto voleva
meno che sentire quei passi avvicinarsi, e fermarsi giusto a qualche metro da
lui. Che fosse qualcuno che era sfuggito alla sua attenzione, e non era ancora
ad aspettare dietro quella porta? O forse qualche altro coetaneo - Susa, per
esempio - più o meno nelle sue stesse, penose
condizioni?
Per un attimo pensò quasi
di sforzarsi e di smetterla con quel piagnisteo, ma i singhiozzi furono ben più
forti di ogni intento. Si limitò a sbirciare oltre le lenti degli occhiali, la
vista ulteriormente appannata dall’umida coltre di lacrime, riconoscendo
piuttosto bene quella sagoma vestita di scuro voltata,
sconvolta, verso di lui.
Mai avrebbe pensato di
desiderare così tanto di non averlo intorno. Era sempre il primo a cercarlo, a
punzecchiarlo, a stargli addosso quando poteva, ma adesso il suo caro
kohai era l’ultima persona che voleva nel raggio di una ventina di metri. Quale
occasione migliore, d’altronde, per Hanamiya Makoto, per sfotterlo e prendersi
una sostanziosa fetta di soddisfazione personale?
Non si mosse, tuttavia, e
non gli fece capire di essersi accorto della sua presenza. Lasciò che si
avvicinasse, comprendendo che allontanarsi proprio adesso l’avrebbe messo in
una posizione ancora più sfavorevole; lo intravide accovacciarsi davanti a lui,
ma prima che potesse dire qualsiasi cosa fu lui a
prendere la parola e a intuire le sue intenzioni.
- … sei qui per ridermi in
faccia? -
Lo disse senza mezzi
termini, senza neppure fare in modo che la tristezza non trasparisse
eccessivamente da quella manciata di parole. Fu sorpreso, tuttavia, di non
sentire la sua caratteristica risata risuonare nel corridoio deserto.
- Dovrei? -
Stava forse portando il suo
sfottere ad un livello successivo? Imayoshi sentì un
moto di rancore sorgergli nel mezzo del petto, e la sua voce si permeò di
un’ironia velenosa.
- Perché non dovresti,
piuttosto? Guardami. - più parlava, più sentiva la gola seccarsi e gli occhi
bruciare. Era davvero umiliante, mostrarsi davanti a lui in quel modo -
Sconfitto all’ultimo momento nella mia ultima partita.
Non fa già abbastanza ridere così? -
Eccome se faceva ridere. Se
fosse successo sotto i suoi- sotto i loro occhi,
si sarebbero entrambi fatti beffe della squadra sconfitta, etichettandola senza
troppi complimenti come patetica, misera perdente. Era a dir poco ironico dover
riservare lo stesso trattamento a se stesso.
- … non avete giocato così
male. -
Cos’era quel mormorio
indistinto, quel borbottare così sterile e inemozionale da sembrar provenire da
un robot più che da una persona? Era così strano sentire quelle parole
provenire proprio dalla sua bocca, ed evidentemente lo era pure per lui.
- E non è da te cercare di
consolarmi. - rispose, anche se forse avrebbe semplicemente dovuto dire che non
importava, che non aveva senso che si sforzasse così tanto per una cosa del
genere - … vorrei che potesse funzionare concentrarmi su questo, ma ora come ora cosa importa come abbiamo giocato? Abbiamo perso. È
tutto finito. -
Aveva recepito
il messaggio, chiaramente, perché tutto intorno tornò a regnare il silenzio.
Non è che non voleva essere consolato, o ricevere parole di incoraggiamento;
era solo che non ne trovava il motivo.
… e poi, realisticamente,
sapeva benissimo quanto Hanamiya fosse pessimo in questo genere di cose. Lui
non consolava, lui non era mai sinceramente dispiaciuto- tutto ciò che sapeva
fare era fingere e mortificare. Era pure ovvio che il silenzio fosse la
reazione più opportuna, e Imayoshi glielo impose, forse, anche per evitare pure
a lui l’imbarazzo di calarsi in una parte che non gli era mai appartenuta (e
che mai gli sarebbe appartenuta, per inciso).
Per un momento, quasi, si
sentì un po’ meno patetico. Da una parte c’era un capitano che non accettava
l’inevitabilità della fine, e dall’altra un pessimo individuo che non era
apparentemente capace di bontà alcuna; lo scenario di quei due penosi esseri
umani così vicini e così immersi nella loro rispettiva inettitudine gli fu
quasi di consolazione, lo fece sentire meno solo, meno stupido.
Che la sua presenza lo stesse consolando seriamente, sciogliendo anche solo in
superficie quell’imbarazzante patina di radicata insufficienza? Così pareva.
Sorrise segretamente, il
viso ancora raccolto dalle mani tremanti. Erano entrambi due fastidiosi,
trascurabili omuncoli, e paradossalmente, più le loro lacune si manifestavano,
più l’un l’altro riuscivano ad appianarle e a renderle meno distruttive. Lo sentiva
in sé, nel senso di disperazione profonda che si alleviava a favore della… tenerezza,
o forse della pietà, che quel ragazzo gli infondeva, e lo sentiva in
lui, in quella mano che si appoggiò sulla sua gamba, sconfiggendo in una
battaglia silenziosa la sua incapacità di proferir parola.
Era adorabile, ma non aveva
alcuna voglia di deriderlo. Non anche questa volta.
Una mano scivolò verso il
basso, svelando metà del viso ancora intriso di quel pianto di frustrazione.
Gli avrebbe fatto capire che pure lui, ogni tanto, aveva bisogno di qualcosa -
nello specifico, aveva bisogno della sua incapacità,
del suo impaccio.
Non usò parole, ma gli sorrise appena. E le dita si strinsero attorno al suo
palmo pallido, aggrappate come al più sicuro degli appigli.
Capitolo 10 *** 10# • Things you said that made me feel like shit {Mibuchi Reo} ***
Genere: Angst, introspettvo
Tipo di coppia: //
Personaggi: Mibuchi
Reo
Rating: Verde… ?
Giallo per la tematica?
Parole: 760+
Note: Credo possa catalogarsi come “tematica delicata”—comunque, stavolta non c’è nessuna ship.
Non ho mai
approfondito particolarmente il personaggio di Reo, ma appena lessi il prompt
non ho potuto figurarmi niente di diverso da questa
OS.
Scritta il: 24/06/2015
10# • Thingsyousaidthat made me feellikeshit
Le dita pallide tremavano
sull’occhiello delle forbici splendenti, una ciocca di capelli neri già pronta ad essere giustiziata dalle due ghigliottine che non
aspettavano altro che chiudersi su di lei.
Non aveva neanche il
coraggio di guardarsi allo specchio, conscio dello spettacolo pietoso a cui contribuivano non solo quella patetica incertezza, ma
anche gli occhi arrossati e le guance rigate di lacrime. Come ci era arrivato a
quel punto, com’era possibile che quello che lo faceva sentire a suo agio era
ciò a cui gli altri si attaccavano per deriderlo,
mortificarlo e schernirlo?
Non era colpa sua se Madre
Natura gli aveva donato, fin da quando era piccolo, quei lineamenti eleganti e
raffinati. Le ciglia lunghe e lo sguardo gentile, i capelli che aveva sempre amato lasciar crescere un po’ più dei suoi
compagni maschietti, l’atteggiamento educato che tutte le mamme invidiavano e
avrebbero voluto vedere nei loro pargoli… quante volte aveva sentito dire
“Dovresti prendere esempio dal piccolo Reo, lui sì che sa come ci si comporta”?
Era un continuo di lodi e
di apprezzamenti, almeno nei primi anni della sua vita. Così tanto, così
spesso, che quei tratti caratteristici erano diventati il suo più grande motivo
di orgoglio.
Si piaceva, Reo, e sapeva
di piacere anche agli altri. Era un bambino intelligente, anche anni fa, e
sapeva perfettamente di essere, in un modo o nell’altro, diverso; sapeva
che mentre i suoi amici si interessavano a passatempi
sempre più rudi e rumorosi, lui preferiva la calma di attività che i suoi
coetanei appellavano come da femminucce. Eppure non ci vedeva niente di
male nell’avere interessi più simili a quelli delle ragazze, o anche, a volte,
essere scambiato per una di loro, così come testimoniavano le dichiarazioni che
gli capitava di ricevere da spasimanti ignari e un po’
confusi.
Quelle attività, quel modo
di fare e di presentarsi — era ciò che lo definiva, e continuava
ad andarnefiero.
Almeno finché l’opinione
degli altri non si fece ancora più invadente, e gli stereotipi che per la norma
avrebbe dovuto seguire non iniziarono a pressare su di
lui.
“Eh… ma come mai ti diverti
a fare l’ambiguo e a spacciarti per donna?”
Fino a che non gli furono
rivolte queste parole, mai aveva pensato a come gli altri, effettivamente, lo
vedessero. Si era sempre concentrato sull’essere se stesso, abituato a tutti i
giudizi positivi che avevano accompagnato ogni sua scelta, e non credeva che
qualcuno pensasse davvero che quella era una sorta di
finzione.
Non voleva ingannare
nessuno, non era sua intenzione “spacciarsi” per qualcosa di diverso da ciò che
era; gli avevano sempre detto che era un esempio da seguire, da quando era
diventato ambiguo?
Era come se improvvisamente
avesse aperto gli occhi, e la dolce favola in cui aveva vissuto fino a quel
momento si fosse disgregata come un castello di carte al fronte di un uragano.
Anche le persone che lo acclamavano e si complimentavano con lui, via via che
il tempo passava, avevano iniziato a cambiare la loro opinione, invalidando
tutto quello che avevano sempre apprezzato.
“Non potresti iniziare a
comportarti un po’ più come gli altri ragazzi della tua età?”
Certo che avrebbe potuto,
ma questo non significava che avrebbe voluto! Nessuno
si può sentire a suo agio recitando una parte quasi totalmente opposta a quella
in cui ci si sente più in pace con se stessi, perché mai per lui sarebbe dovuto
essere diverso?
Eppure non faceva niente di
offensivo. Non si reputava una persona fastidiosa, molesta, o in qualsiasi altro modo problematica… o forse lo era, e non se ne era mai
reso conto? Cose del genere iniziarono a farlo dubitare di ogni sua azione
passata e presente; neppure il maturare del suo aspetto in quello di un giovane
adulto bastò a scollarsi di dosso quelle affermazioni.
Anzi, se è possibile,
diventarono ancora più ignoranti e crudeli.
“Senti… stammi lontano.”
“Io te lo devo dire, averti
intorno mi mette a disagio.”
“Sei inquietante, non farti
più vedere.”
Tutte gocce che lente e
inesorabili finirono per far traboccare il vaso.
Non aveva mai smesso di
apprezzare ciò che era. Lui amava il suo aspetto curato e il suo atteggiamento
un po’ altezzoso a volte, certo, ma sempre signorile. Ma
quando il suo essere era così insopportabile per il prossimo, allora, cosa
avrebbe dovuto fare?
Quanto
ancora avrebbe potuto sopportare quelle parole di
astio, quelle occhiate schifate, quel continuo isolamento in cui era costretto
a rimanere relegato?
Sbatté le palpebre, una
lacrima che scivolò silenziosa sulla ceramica del lavandino.
E, con essa, il primo della
pioggia di ciuffi corvini che la seguirono subito dopo.
Però non potevo non dedicare almeno una storiellina scema alla mia
amata OT3 ~
Scritta il: 26/06/2015
11# • Thingsyousaidwhenyouweredrunk
- IdioTaiga,
porta sulle spalle anche me… -
- Scordatelo,
scemo. Kuroko è leggero, tu mi spaccheresti la
schiena… e soprattutto abbassa la voce! -
Come parole al vento. La
risata di Aomine risuonò presto nelle rampe di scale del condominio
addormentato, immerso nel buio di una notte calata
ormai da diverse ore.
Taiga soffiò tra i denti
non solo per quella stilla di buon senso che gli impose di non dar retta alla
sua testa calda, ma anche perché, onestamente, l’energia di rivoltarglisi
contro proprio non ce l’aveva. Dopo una giornata
lunghissima e una festa caotica in mezzo a decine di altre persone, di certo
avrebbe potuto tollerare l’idea di trovarsi davanti il
cartello “guasto” sulla porta dell’ascensore; questo se solo il suo
appartamento non fosse stato all’ultimo, dannato piano e non avesse dovuto non
solo sostenere la propria stanchezza, ma anche un Daiki
che a malapena si teneva in piedi da solo e un Tetsuya
quasi completamente collassato. E menomale che almeno uno dei tre era rimasto
sobrio!
- … l’hai sentito, fai
piano… - dalle spalle di Taiga arrivò un lamento ritardatario e mugugnato, e il
ragazzo dai capelli rossi poté chiaramente sentire la mano di Kuroko sollevarsi, agitarsi e cercare di colpire la testa
di un Aomine che, per evitare il colpo, per poco non si capovolse oltre la
ringhiera delle scale.
- Come se potessi prendermi…
Tetsu! L’unico che può battermi sono solo io! - di
nuovo la sua voce fu l’unica cosa che riecheggiò ovunque, e Kagami
si vide costretto ad afferrarlo per il polso e allungare rapidamente il passo.
Non ci teneva ad incontrare l’ennesimo inquilino
incazzato di turno!
La corsa fino alla porta
d’ingresso fu quasi frenetica, e buttarsi esausto dentro l’appagamento deserto
fu praticamente un sollievo. Neppure si trascinò fino
in camera, limitandosi a schiantarsi, stanco, sul divano, e portare gli altri
due con sé.
- Questa non è la camera da letto… - bisbigliò Kuroko,
staccandosi quasi di malincuore dalla salda e forte schiena di Kagami. Questi sospirò, ma prima che potesse dire qualsiasi
cosa sentì il peso di Aomine riversarsi completamente sulla sua spalla mentre
si sporgeva verso Tetsuya per rispondergli.
- Scusa, se vuoi andare in camera vai in camera, sennò usiamo Kagami
come cuscino, no? -
Da quando in qua era stato
relegato a ‘cuscino’? Sentì la palpebra scattare, mentre quel bizzarro dialogo
continuava come se lui non avesse il minimo diritto di parola. Stropicciandosi
gli occhi celesti, intanto, Kuroko cercò di articolare
una risposta.
- Hm… in
effetti voglio rimanere con Kagami. - mormorò,
prima di buttarsi a peso morto sulle ginocchia del padrone di casa - … vi
voglio tutti e due vicini a me… sempre… non voglio mai
più dormire da solo. -
Davanti a quella sorta di
dichiarazione, Taiga rimase pressoché senza parole. Accolse senza commenti
questa ennesima invasione del suo spazio personale, sorridendo segretamente nel
buio solo appena illuminato dalle luci della città.
Non c’era dubbio che ciò
che fosse uscito da quelle labbra ancora alterate dal sapore dell’alcol fosse
anche ciò che passava per la mente di tutti. C’erano state alcune difficoltà
per combinare quella relazione che molti avevano
definito come assurda o addirittura malata, ma adesso, in faccia a tutti quelli
che gli avevano remato contro, non poteva assolutamente pensare di fare a meno
di quella luce e di quell’ombra che erano entrate a far parte della sua vita e
del suo cuore.
… ecco perché, a conti
fatti, poteva ben tollerare due scemi ubriachi fino al collo che gli dormivano
addosso.
- … però quasi quasi preferirei dormire sul culo
di Kagami, è sodo e comodo. -
- Oh, hai sentito Tetsu, no? Girati. -
- Chiudete quelle fogne o
giuro che dormite in terrazza. -
Capitolo 12 *** 12# • Things you said when you thought I was asleep {HaiKise} ***
Genere: Sentimentale
Tipo di coppia: Shonen-ai
Personaggi: KiseRyouta, HaizakiShogo
Rating: … giallo?
Parole: 1100+
Note: La mia prima HaiKise
seria! Visto il mio inguaribile romanticismo, l’angst
l’ho dimenticato a casa e ho cercato di dare ai due una relazione un po’ più
sana di quanto da questa ship ci si aspetterebbe (e
perdonate l’eventuale OOC, anche se in questa ff
tratto di un Ryouta e di uno Shougo
più maturi e quindi ragionevolmente diversi).
Contiene un cenno
vago alle vicende di “Nella
stanza ventisei”, fic che la zia Odu mi scrisse tempo fa <3
Scritta il: 27/06/2015
12# • Thingsyousaidwhenyouthought I wasasleep
Immobile su un fianco, le
palpebre presto appesantite dalla stanchezza e calate sugli occhi ancora
lucidi, Ryouta sembrava davvero immerso nel sonno più
profondo. Solo un respiro leggero e silenzioso muoveva dolcemente il suo petto,
interrompendo la altrimenti perfetta staticità; ma la sua testa era un
turbinare incessante di pensieri che, quasi crudelmente, sembravano imporgli
che non era ancora arrivato, per lui, il momento di
dormire.
Il familiare odore di fumo
delle sue sigarette gli arrivò alle narici, suggerendogli che, a quanto
pareva, non era l’unico ad essere ancora troppo
sveglio per anche solo pensare di sprofondare nel mondo dei sogni. Era ovvio,
però, che quello fosse del tutto ignaro di avere accanto una persona ancora
vigile, o mai nella vita si sarebbe permesso di fumare accanto a lui.
Kise
sorrise di nascosto, conscio che, dandogli le spalle, non avrebbe
mai potuto vederlo. Odiava, odiava terribilmente il
suo tabagismo, odiava il sapore del catrame e del tabacco che si mischiava con
quello dei suoi baci, ma stavolta avrebbe fatto finta di nulla. Non che, in
realtà, sarebbe stato in diritto di criticarlo o di dire qualcosa contro le sue
abitudini: loro, ancora, non erano niente.
Compagni di sesso, scopamici,
forse era questo l’unico modo per definirli — anche se, di fatto, di amicizia
almeno all’inizio ce n’era stata ben poca. Anzi, inutile ricorrere ad ipocrisie, perché tra di loro non ce n’era proprio mai
stata: da quando si erano visti la prima volta alle medie fino ai risentiti, fuggevoli
incontri forzati delle partite che li mettevano l’uno contro l’altro ai tempi
delle superiori, l’unico sentimento che c’era tra i due era come di profondo,
inestimabile rancore. L’ultima cosa che si aspettava, in tutta sincerità, era
di arrivare a finire così spesso nella sua camera da letto,
i vestiti ammassati in un angolo della stanza, le mani di lui che toccavano
avidamente quel corpo come se appartenesse a lui e a lui solamente.
Il tutto era arrivato a
quel punto così velocemente che quasi faticava a ricordare come
era effettivamente iniziato, forse penalizzato anche da quella
stanchezza di fondo che non poteva permettersi di negare: c’era stata una serie
di ridicole coincidenze, di incontri improvvisi fatti prima di sguardi
fuggevoli e risentiti, poi anche di parole, alle volte piene di sfida, altre
di… malizia; una frustrazione segreta, nascosta dietro una maschera che a
quanto pare entrambi erano costretti a portare, un bisogno folle di rendere
appagante un’intimità che troppo a lungo era rimasta soddisfatta solo per metà;
e poi, infine, l’aver deciso di mettere piede nello stesso posto la stessa
sera, essersi ritrovati entrambi nell’angolo di quel locale rumoroso e pieno di
persone, aver ceduto ad una libido così ansiosa di essere sfogata che ormai era
del tutto incontenibile.
Se fosse mancato anche solo
uno di quei fattori, probabilmente, adesso lui e HaizakiShougosarebbero rimasti
esattamente ciò che erano alle medie e alle superiori: due conoscenti in
pessimi rapporti, due persone che non sarebbero mai riuscite a compiere lo
sforzo necessario per capirsi e venirsi incontro.
Ma il
destino aveva preso una piega inaspettata, e dagli incontri fugaci in alberghi
di dubbia morale fissati con messaggi ermetici e distaccati, erano passati a
qualcosa di più. Non esistevano più, ormai, quelle sveltine insipide e fredde,
non esistevano quelle stanza sconosciute e anonime,
non regnava più alcun silenzio incontrastato e incontrastabile tra il tempo che
intercorreva tra un appuntamento a l’altro.
Era lentamente subentrata
una passione più ricca, più intensa, più… dolce. Certo, Shougo
non si era comunque mai negato nessun tipo di irruenza,
le sue mani si stringevano ancora crudeli, possessive, sulle sue ciocche
dorate, scivolavano ancora ossessivamente sulle sue forme armoniose come
rivendicandone la proprietà; ma al di fuori di quello, al di fuori della follia
lussuriosa che li rapiva in quei momenti, era sempre più facile indugiare nella
ricerca reciproca del piacere, nello scambiarsi calore e stille di celata
tenerezza. La sentiva sulle sue labbra ad ogni bacio, Ryouta, la coglieva nelle sue azzardate carezze, la vedeva,
ben nascosta, nel luccicare dei suoi occhi d’argento.
E quando lo guardava in
quel modo, allora era tutto ciò che poteva desiderare. Non ricordava più
nemmeno quando un’altra persona gli aveva lanciato occhiate di così silenzioso
ma sincero sentimento, senza nascondere nessun desiderio, ma lasciando
trasparire quasi inequivocabilmente quel bisogno di saperlo vicino e saperlo suo.
Quasi.
Perché nonostante tutto
ciò, ancora non sapeva se la sua fosse solo una visione della realtà che si era
impuntato di voler avere. Certe cose difficilmente sarebbe riuscito a fraintenderle, ma altre volte Shougo era lo stesso di sempre: fuggevole, distante, a
tratti insensibile. E si domandava se fosse semplicemente quello il suo vero e
unico modo di comportarsi, o se anche lui avesse i suoi stessi dubbi sul loro
essere “loro”, e cercasse di alleviarli atteggiandosi in quella maniera.
Chi avrebbe dovuto fare il primo passo, chi avrebbe dovuto dire per primo le
cose come stavano? E soprattutto, chi avrebbe dato la certezza che anche l’altro stesse provando i medesimi sentimenti? Erano domande
che gli frullavano in testa ogni volta che lo vedeva, ogni volta
che gli arrivava un suo messaggio, ogni volta che anche solo per un attimo si
ritrovava a pensare a lui.
- Ryouta.
-
Basso, vibrante, quel
richiamo si infilò prepotentemente nelle sue
percezioni, zittendo per un attimo ogni pensiero. Non si mosse, il biondino, e
neppure gli rispose: rimase immobile in quel finto torpore, ricordandosi solo
allora che il ragazzo al suo fianco era sveglio come lui. L’odore del fumo
stava iniziando a dissiparsi, e i secondi passavano, silenziosi, inesorabili.
- Pft…
certo che dormi, non sei scemo come me. - lo sentì mormorare, con quella voce a metà tra lo scherno e
una vaga gentilezza, mentre gli si sdraiava di nuovo accanto - … e quando
domani mi sveglierò il tuo lato di letto sarà già vuoto, e come un cretino
tornerò a chiedermi… “Ma arriverà il giorno in cui aprirò gli occhi e quello là
sarà ancora accanto a me?” -
Nel buio, Kise sgranò gli occhi.
Sentiva il cuore scoppiare,
battere così forte che per poco non temette che persino l’altro potesse
sentirlo. Non era una dichiarazione, certo, ma era ciò di cui entrambi avevano
bisogno per uscire da quella situazione di stallo e non era sicuro, stavolta,
di riuscire a stare in silenzio e di perdere così un’occasione del genere.
Strinse una mano sulle lenzuola, sforzandosi di scacciare ogni ronzante e
rumoroso pensiero che già stava tornando a perseguitarlo. Non era ciò di cui
aveva bisogno, non adesso, non ora in cui l’unica cosa che contava era ciò che
sarebbe riuscito a far uscire dalle labbra improvvisamente tremanti e secche.
- Allora, magari… da
domattina potrei rimanere un po’ di più, no? Nel tuo letto… - pausa. Si voltò
appena, quanto bastò per incontrare lo sguardo sconvolto che Shougo gli stava rivolgendo. Era arrabbiato? Oh, sì che lo
era. Ma sperò, in cuor suo, che ciò che stava per
aggiungere basasse a calmarlo, e gli angoli della bocca si piegarono in un
sorriso leggero.
Capitolo 13 *** 13# • Things you said at the kitchen table {SilverGold} ***
Genere: Non ne ho la più pallida idea
Tipo di coppia: Shonen-ai
Personaggi: Nash Gold
Jr., Jason Silver
Rating: Credo giallo
Parole: 740+
Note: Ma c’è qualcuno che si degna ‘sti due
al mondo, o… ?
Comunque, ho un po’ sconvolto le carte in tavola. Non
è proprio un ‘kitchentable’ quello in cui si svolgono le vicende.
… ed è pure più “on”
che “at”. Ma
comunque…
Contiene linguaggio
colorito!
Scritta il: 28/06/2015
13# • Thingsyousaidat
the kitchentable
- Almeno qualche cosa la fanno giusta, allora, ‘sti giapponesi. -
- Ti immaginavi
se ci toccava pure a noi dormire per terra come degli animali? Che razza di
paese… -
Jason rise sguaiato accanto
a lui, e Nash non poté che rispondere a quella velenosa ilarità con un sorriso
altrettanto maligno. Erano nella terra del Sol Levante da solo poche ore, ma
erano bastate eccome per rendere più forte il disprezzo che avevano
per quella genia. Pft… come la loro prima partita
aveva ampiamente confermato, di certo non erano qualificati per tenere in mano
una palla - meglio che rimanessero relegati alla
posizione di servitori, quello sì che gli riusciva bene!
La prova più palese era
quella camera d’albergo così linda e pulita da essere quasi luccicante,
fortunatamente in uno stile che rispecchiava le più classiche camere
occidentali. Con tutti i soldi che erano stati investiti su quel viaggio, tra
l’altro, ci mancava solo che li rifilassero ad una
bettola!
- L’unico problema è che mi
tocca condividere la stanza con un biondino del cazzo… - quel sarcastico
rimarco raggiunse presto le sue orecchie, e il giovane capitano sbuffò
divertito. Come se, se lui fosse finito in camera con qualcun altro, a quello
avrebbe fatto piacere… si sarebbe lamentato come un moccioso pur di saperlo tra
le sue stesse mura!
- Che c’è, hai paura che ti
rovini le scappatelle notturne? Da quando in qua ti piace la figa asiatica? -
ribatté prontamente, continuando ad esplorare
l’ambiente. Non era esattamente una suite (vabbè che di soldi ne avevano, ma
non fino a quel punto) ma i lussi c’erano un po’ ovunque; adocchiò anche un
tavolino imbandito davanti alla porta-finestra che dava sul bancone, con
qualche stuzzichino di benvenuto per gli ospiti. Ugh,
non osava nemmeno provare a toccare quella roba…
Intanto, Jason gli si era
avvicinato. Quasi incombeva su di lui, fissandolo intensamente dopo il commento
acido che gli aveva lanciato. Si era offeso? Nah,
tutta scena. Ormai lo conosceva.
- Chissà? Magari la provo e
non riesco a farne a meno. -
- Ah? Penso di essere
meglio di qualsiasi giapponesina imbecille. - sogghignò, incrociando le
braccia. L’altro, in tutta risposta, allungò una mano dietro di lui, afferrando
uno di quegli snack lasciati sul tavolo.
- Non è detta l’ultima
parola. -
- Io non la mangerei quella roba, te lo dico. -
- Stai cercando di sviare
il discorso? -
- No, sul serio, non lo
mangiare. -
Parole al vento. Qualsiasi
cosa fosse quel cosino rotondo e bianchiccio finì alla svelta tra le labbra del
più alto, che masticò lungamente e in silenzio. L’altro, in tutta risposta, lo fissò divertito.
- … che merda. -
- Te l’avevo detto. -
Si sentì spingere da una
parte, e la cosa che sentì immediatamente dopo fu il suono di tutti i piatti e
le stoviglie che finivano rovinosamente a terra. Il solito spaccone, era quello
l’unico modo che conosceva per esprimere il suo dissenso? Fece roteare gli
occhi, ancora con quel sorrisetto saputello stampato in faccia, ma non poté
dire niente: non fece in tempo, perché due mani forti si strinsero attorno alla
sua vita e lo piazzarono a sedere sul tavolino adesso vuoto.
- Mhh?
E adesso? - sogghignò, trovandosi il viso di Jason direttamente davanti al suo.
Sentì le sue mani rimanere aggrappate su di lui, possessive, e per non esser da
meno cinse le gambe intorno al suo corpo per portarselo più vicino
ancora.
- E adesso ti tolgo quel
sorrisetto del cazzo dalle labbra. - gli sibilò in
risposta, affondando le labbra nell’incavo del suo collo. Nash fremette,
appagato, allungando una mano e aggrappandosi alla stoffa della maglietta che
gli copriva la schiena. Senza se e senza ma aveva già iniziato a servirsi di
lui, toccandolo ovunque, marchiandolo come suo… non c’era verso di farlo
ragionare, quando era in quello stato, e onestamente non ne trovava il bisogno.
Se il suo desiderio era quello di farlo smetterlo di
sorridere, allora, ci stava riuscendo proprio male.
- E come pensi di
riuscirci? -
- Semplice. - tornò nel suo
campo visivo, sporgendosi su di lui così tanto da doversi sorreggere sul piano
con una mano. Nash indietreggiò con la schiena, ma né il contatto visivo né la
sua espressione si turbarono per un solo secondo, neppure quando si sentì
afferrare per il viso tra pollice e indice, e le labbra di Jason farsi così
vicine.
- … invece di quella
robaccia, adesso mi mangerò te. -
Capitolo 14 *** 14# • Things you said after you kissed me {KagaKuro, AoKuro} ***
Genere: Sentimentale, angst?
Tipo di coppia: Shonen-ai
Personaggi: Kagami
Taiga, KurokoTetsuya
Rating: Verde
Parole: 450
Note: Ho deciso di segnare entrambe le ship perché per quanto sia fondamentalmente KagaKuro, c’è anche un cenno non indifferente all’AoKuro.
… eeee boh, enjoy?
Scritta il: 29/06/2015
14# • Thingsyousaid after youkissed me
“Vaniglia.”
Una singola parola.
Una
manciata di sillabe carezzevoli, frementi, che con la
stessa delicatezza di una piuma scivolarono dalle labbra di Kagami
alle orecchie di Kuroko. Era un sussurro leggero,
innocuo; un commento quasi ingenuo nella sua spontaneità.
I grandi occhi celesti si
schiusero appena, e un sorriso gentile gli piegò le
labbra ancora così vicine alle sue. Poteva ancora sentirne il sapore,
nonostante il cuore gli pulsasse così forte da nascondere ogni altra
sensazione, e la mente fosse vuota, emozionata, leggera come una nuvola.
O quasi.
Le dita sottili si
strinsero più forte sulla sua maglietta. Non voleva pensarci, non adesso, non
in questo momento… ma i ricordi arrivarono da soli, imponendogli quello
spietato parallelismo con qualcosa che era successo anni fa - neanche così
tantianni fa, ma così lontano, nella sua testa,
da sembrare un avvenimento tanto remoto da essere accaduto in un’altra vita.
“Vaniglia. Sai di vaniglia,
Tetsu.”
L’aveva detto con la stessa
semplicità, con la stessa naturale schiettezza.
Ricordava come aveva sorriso, a quelle parole, e come trovasse buffo che dopo
un bacio - il loro primo bacio - fosse quella
l’unica cosa che aveva da dirgli.
Però, nonostante le pacate parole di ammonimento che gli aveva rivolto,
nonostante il broncio leggero che aveva tirato su… era felice.
E pensare proprio adesso a
quella felicità gli faceva male, così male da chiudergli la gola in una morsa,
da impedirgli di respirare.
Abbassò la testa,
nascondendola nell’incavo del collo di Kagami.
Era sicuro di essersi
lasciato alle spalle tutto questo. Di aver aperto abbastanza il proprio cuore
da impedirsi di soffrire ancora per ferite che dovevano ormai essersi
rimarginate, di essere in grado di sorridere ancora, di amare ancora, senza più provare alcuna remora; ma era ovvio che gli
spettri di quei tempi che furono continuavano a gravare sulla sua anima come il
più pesante dei rimpianti.
La stretta si fece più forte.
Sentì le braccia di Kagami cingersi intorno a lui, e
internamente lo pregò di non lasciarlo per nessuna
ragione. Stava sentendosi spingere verso la deriva, e quell’appiglio era tutto
ciò di cui aveva bisogno.
“Oi-… stai bene?”
Se rimarrai, starò bene.
Non glielo disse, non a
parole.
Si limitò ad alzare la
testa, guardandolo dritto negli occhi scarlatti. Chissà cosa avrebbe pensato,
se avesse potuto sapere cosa gli passava per la testa? Si sarebbe reso conto
quanto pessima fosse la sua persona, intenta com’era a pensare a qualcun altro
proprio in un momento così speciale?
“Perdonami.”
Una singola parola.
Una
manciata di sillabe carezzevoli, frementi, che con la
stessa delicatezza di una piuma scivolarono dalle labbra di Kuroko
alle orecchie di Kagami; una scusa tutt’altro che
innocente, che senza possibilità di replica fu suggellata dal bacio disperato
che seguì subito dopo.
Capitolo 15 *** 15# • Things you said with too many miles between us {KiyoHyuu} ***
Genere: Non ne ho idea… ??
Generale?
Tipo di coppia: Nessuno, se proprio shonen-ai accennato.
Personaggi: TeppeiKiyoshi, HyuugaJunpei
Rating: Verde
Parole: 780+
Note: Non ho letto il manga di Kurobas, ma anche prima che la serie animata finisse sapevo già a grandi linee tutti i grandi punti di
trama fondamentali.
… sì, insomma, tutti
tranne quello di Teppei che se ne va in America a
farsi curare. Una cosuccia che mi ha preso un po’ alla sprovvista.
Scritta il: 1/07/2015
15# • Thingsyousaid with toomany miles betweenus
Era infinitamente grato di
poter essere lì, davvero.
Era grato di aver potuto
approfittare di un’opportunità così rara, di aver potuto dare un futuro
concreto, vero, alla propria carriera come giocatore. L’intervento era andato
straordinariamente bene e la riabilitazione stava procedendo lenta ma senza
ostacoli, il tutto in un continente lontano che l’aveva sì accolto con
gentilezza, però…
Eh, sì, c’era per forza un
però.
Aveva fatto voto di non
lamentarsi mai durante questo periodo, ma gli succedeva spesso, quando si
svegliava al mattino, di sentire più pesante del solito la consapevolezza di
essere solo. La lingua era ancora un problema, non aveva praticamente
fatto conoscenze (non che nelle sue condizioni potesse permettersi troppo di
andare in giro… !) e, soprattutto, gli mancavano tutti.
Non era un mistero che KiyoshiTeppei fosse un ragazzo
che amava essere circondato dalle persone a cui voleva
bene, e saperle tutte così lontane non era sempre un pensiero semplice da
buttare giù. Chissà se i suoi nonni stavano bene? E la sua squadra,
la suaSeirin?
Kuroko, Kagami, Izuki, Mitobe, Koganei, e gli altri? E Riko?
… e Hyuuga?
Sospirò, tirandosi a sedere
sul letto e stiracchiandosi. Hyuuga era decisamente quello che stava risentendo più di tutti di
quell’assenza, per quanto non volesse ammetterlo nemmeno a lui. Ormai era
abituato a riconoscere le sue vere intenzioni celate dietro pareti di indisponenza e, in tutta
sincerità, non era certo il solo a starci così male. Magari avrebbe potuto telefonargli, hm… che ore erano in Giappone? Probabilmente
era notte inoltrata, o qualcosa del genere.
Allungò una mano per
raggiungere il cellulare sul comodino. Lo schermo brillava già di notifiche,
tra le quali scorse con gli occhi ancora impigriti.
“Youhave10missedcalls and 13 unreadmessages.”
E che diavolo era successo?
Deglutì, un po’ nervoso, sentendosi gelare il sangue. Erano tutte chiamate di Hyuuga… e i messaggi erano tutti vocali!
Provò a selezionare il
primo, non esattamente sicuro di cosa aspettarsi.
“Ehi! Sono ore che cerco
di chiamarti, vuoi tirare su quel telefono sì o no?!Che diavolo stai facendo, hm?”
“Per una volta che
chiamo un po’ più tardi del solito già smetti di
rispondermi! Che hai, l’amante?! “
“Vuoi tirare su quella
cornetta sì o no?! Idiota! Sto
iniziando a preoccuparmi!”
“… uh… lascia perdere, ho realizzato che da te sono tipo le tre di
notte. Inutili, stupidi fusi orari… e tu non osare ridere! Scavalco l’oceano se
scopro che ti sei messo a ridere!”
“… comunque qua tutto
bene, scusa se non ho telefonato prima ma Riko ci ha ucciso con la pratica, oggi. Stavo seriamente
pensando di morire. Tu… tutto bene, sì? Ginocchio a posto, tutto il resto a
posto… se non ti sei fatto sentire per primo la prendo
come una cosa positiva, quindi va bene. Volevo solo chiamare
pe-“
“… stupido limite di
tempo. Dicevo, volevo chiamare per… boh? Dirti come vanno le cose qua? A parte
la stanchezza stiamo tutti bene. Stiamo iniziando ad organizzare le prime partite amichevoli, e ci hanno già
detto che tra qualche mese verranno da queste parti dei tizi americani. Ne hai
sentito parlare, lì? Gente che fa street basket, ti-“
“… tipo. C’è chi dice
che siano più forti della generazione, ma tu ci credi? Bah… in ogni caso magari
vedi di rimetterti per allora, così vieni anche te a
vedere se sono così fighi come pensano. Comunque, se senti parlare di tali Jabberwock, sono loro. Non fartici appassionare troppo, però! Giuro che se scopro c-“
“Se scopro che ti sei
messo a giocare laggiù invece che stare a riposo ti
spezzo personalmente anche l’altra gamba. Stai. Giù. È un ordine, ok? Anche il coach ti direbbe lo stesso quindi stai. GIÙ.”
“… il resto della
squadra è particolarmente vitale, intanto, anche se, boh…”
“… si sente che manca
qualcosa. Si sentiva quando non c’eri prima e si sente pure di più adesso. Non
faccio che dire a tutti che non starai via per così tanto, e che se volessimo
potremmo raggiungerti facilmente, però…”
“Ci manchi.”
“E MI manchi,
un sacco.”
“Fatti sentire, ok?”
Sentire la sua voce, e sentire che quel sentimento di nostalgia era reciproco, fece
sorgere sulle sue labbra un sorriso indelebile. Non pretendeva che gli dicesse
sempre e comunque come stava, sapeva benissimo quanto fosse difficile fargli
ammettere di star provando certi sentimenti… ma era bello, ogni tanto, sentirlo
mettere da parte l’orgoglio per dirgli le cose come stavano.
Non ci
pensò nemmeno quando selezionò il suo nome sullo schermo, portandosi il
cellulare all’orecchio.
- … oi, hai idea di che ore
siano qui?! -
Ridacchiò, sereno. Lo
sapeva benissimo, eppure chissà come mai aveva risposto subito.
Capitolo 16 *** 16# • Things you said with no space between us {HimuNiji} ***
Genere: Commedia
Tipo di coppia: Shonen-ai
Personaggi: NijimuraShuuzou, HimuroTatsuya
Rating: Verde
Parole: 1200+
Note: Non è un segreto che Himuro proprio non mi piaccia, ma questa ship mi ha conquistato il cuore prima che potessi
rendermene conto. Dannata novel e dannato Nijimura palesemente infatuato (no, serio, cercate il
capitolo della Replace V in cui si conoscono e ditemi
voi).
… Nijimura è difficile da scrivere. Terribilmente. E dopo il
titolo dovrebbe esserci un “that I didn’tlistenat all”. ... e ovviamente so che Nijimura non è proprio basso, sta solo esagerando.
Scritta il: 2/07/2015
16# • Thingsyousaid with no space betweenus
Ormai, era lì da abbastanza
tempo per dire che il Giappone e gli Stati Uniti non
erano così radicalmente differenti.
Ovviamente non poteva dire
che fossero esattamente
la stessa cosa. Le abitudini erano totalmente diverse, gli atteggiamenti
quasi opposti rispetto a quelli in mezzo ai quali era cresciuto e la cultura a
tratti ancora incomprensibile; ma c’erano certi elementi che, chiaramente, non
potevano che essere uguali per tutti.
La vita era frenetica lì
come nella sua terra natale, il caldo dell’estate era
afoso lì tanto quanto laggiù e le metropolitane, nelle ore di punta, erano
tassativamente così piene da risultare praticamente invivibili. Tutti elementi
che, ne era piuttosto sicuro, avrebbe potuto ritrovare
in qualsiasi altro angolo di mondo in cui avrebbe potuto mettere piede.
Shuuzou
sospirò, allungando a fatica una mano nel marasma di persone per aggrapparsi al
palo sopra di lui. Ecco, probabilmente una cosa alla quale non si sarebbe mai
abituato era il fatto che, mentre in Giappone era
considerabile più alto della media, lì era quasi “basso” — tanto che
persino un ambiente così “familiare” come la metro lo metteva a disagio.
Ovunque si voltasse,
c’erano ragazzi (e ragazze!) che lo superavano così tanto che, compressato come una sardina in quel vagone sovraffollato,
non poteva che sentirsi piccolo e insignificante.
E irritato, per
altro. Quante volte, in situazioni simili, gli si erano praticamente
addossati in massa perché totalmente nascosto dalle mura invalicabili
rappresentate dalla popolazione media di quella città? Cosa che, per inciso,
stava succedendo in quel momento: vedeva le persone forzarsi di violenza oltre
le porte e imporre alle persone di andare avanti, che ‘tanto c’era spazio’, del tutto ignare che quel vuoto che vedevano era occupato dalle poche altre persone che come lui
finivano celate dal resto del mondo.
- Ah, I’msorry!
-
“Sorry
un corno”, avrebbe voluto rispondere. Non era che la conferma di tutti quei
pensieri: qualcuno, pressato con violenza nella sua direzione, gli era finito praticamente addosso, facendo dei suoi alluci
il punto d’appoggio perfetto per le suole delle sue scarpe. Si appellò a tutto
il suo autocontrollo per non lasciar parlare prima la testa calda che era
capace di essere in certe situazioni, limitandosi a voltarsi verso il
colpevole.
- No pr-…
Tatsuya?! -
- Shuu…
?! -
Seguì un attimo di silenzio
perfetto, durante il quale i due si scrutarono da capo a piedi (per quel che
l’eccessiva vicinanza gli permise di fare). Si stavano incontrando davvero, o
era un’allucinazione dovuta dal caldo? Nijimura si
passò una mano sugli occhi, ma quando la rimosse
l’altro era ancora là davanti.
In tutta la sua bellezza,
per inciso.
- Non avrei mai pensato di
incontrarti proprio qui, proprio adesso! - lo sentì
esclamare, appoggiandogli una mano sulla spalla. Lui inarcò le sopracciglia,
lasciando sporgere il labbro superiore così come gli veniva spontaneo fare ogni
volta che qualcosa lo contrariava.
- Io nemmeno! - borbottò -
Non mi avevi detto che saresti tornato, brutto-… ! -
- Scusami! Volevo provare a
farti una sorpresa, ma immagino che sia tutto vanificato, hm? - ridacchiò,
sistemandosi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio. E come diavolo poteva non
perdonarlo?
Era stato una delle sue prime conoscenze una volta arrivato oltreoceano, e
il loro rapporto si era stretto molto rapidamente. Non importava che Himuro avesse poi deciso di tornare a studiare in Giappone:
non era raro vederlo tornare da quelle parti ogni volta che poteva, e, in
generale, si tenevano comunque perennemente in contatto.
Era davvero un valido
alleato, un grandioso avversario e un ottimo amico.
Amico,
giusto.
Annuì vagamente col capo
mentre lo vedeva parlare, ma la verità fu che non prestò neppure la minima attenzione
alle sue parole. Il suo pensiero stava divagando su tutt’altro, sulle sue
labbra perfette piegate da quel suo immancabile, stoico sorriso; sull’unico
occhio visibile, brillante di gioia nell’aver ritrovato un amico così presto,
sui lineamenti perfetti, sui loro corpi tragicamente premuti l’uno contro
l’altro.
Odiava,
odiava come poche altre cose sentirsi così vulnerabile rispetto ai propri
medesimi sentimenti; ma era dal primo momento in cui l’aveva visto che aveva sentito
qualcosa di ben più di un semplice interesse amicale o
sportivo ad attrarlo a lui. E mentre prima di allora era sempre stato ben in
grado di tenere a bada certi istinti e certe pulsioni, quasi non voleva
accettare di come fosse finito per morire dietro a quella manifestazione
concreta di bellezza divina.
Alla luce di questo, era
quasi un sollievo saperlo lontano chilometri e chilometri.
Intratteneva volentieri chiacchierate con lui via chat o al telefono, faceva
sempre in modo di farsi sentire spesso e di rispondere per tempo ai suoi
messaggi — ma quando ce l’aveva davanti, e
soprattutto così appiccicato, perdeva ogni facoltà di intendere e di
volere.
Ma la
cosa peggiore, forse, e che in realtà avrebbe dovuto consolarlo, era che lui
non sembrava accorgersi di nulla. Non sapeva se lo facesse per rispetto o per
una qualche ingenuità di fondo che l’aveva reso
totalmente cieco davanti a certe manifestazioni così palesi di impaccio, ma
anche in quel momento, mentre Shuuzou sentiva la
propria faccia andare a fuoco e la punta delle orecchie diventare così rossa da
sembrare un semaforo, quello continuava tranquillamente a chiacchierare del suo viaggio di ritorno o di qualsiasi altra cosa stesse
parlando.
Tante, troppe volte avrebbe voluto spezzare quel clima ignaro e dirgli in faccia
tutto quello che pensava. Quanto fosse felice di aver potuto legare con una
persona come lui, quanto fosse maledettamente forte la cotta che si era preso
nei suoi confronti e quanto gli fregasse solo relativamente delle turbolenze incontrate
durante il viaggio: tutto quello che voleva era finire
definitivamente di premere il proprio corpo sopra il suo e di attaccarsi alle
sue labbra come se fossero state l’unica esistente fonte di salvezza per la sua
discutibile e inopportuna perdizione.
Da lì in poi sarebbe stato
tutto più facile, no? Sia che le cose si fossero
risolte nel peggiore o nel migliore dei modi, avrebbe avuto finalmente un
briciolo di tregua da quel perpetuo imbarazzo.
… chissà se avrebbe potuto portare
a suo vantaggio quel momento?
Strinse la mano libera in
un pugno, deglutendo nervoso. Avrebbe potuto fare finta che si trattasse di un
incidente, approfittarsi magari di una frenata per spiaccicarglisi addosso e
servirsi della sua statura trascurabile per rendere la cosa ancora meno visibile
agli occhi degli altri. Sì, sì, esatto— se non lo faceva ora, quando
avrebbe potuto farlo?!
- Ah, io mi fermo qui! Mi
raccomando, chiamami più tardi così magari fissiamo per uscire! A dopo, Shuu! -
Una
manciata di parole, e l’obiettivo del suo slancio era già
sparito da davanti alla sua faccia. Si sbilanciò, sì, Nijimura,
ma l’unica persona su cui finì per spalmarsi non fu certo Himuro
- bensì un tizio alto e grosso verso il quel non riuscì ad alzare nemmeno il
viso per colpa della vergogna che iniziò a prendere possesso di ogni sua
capacità e percezione.
- I’msorry… -
aveva mugugnato, rimanendo immobile mentre con la coda dell’occhio vedeva
l’altro ragazzo allontanarsi definitivamente dal suo campo d’azione. Un’altra
occasione era andata sprecata, e come al solito
l’unico motivo era la sua inutile inettitudine ad esprimere le cose come
stavano.
Capitolo 17 *** 17# • Things you said that I wish you hadn’t {MidoTaka} ***
Genere: Commedia
Tipo di coppia: Shonen-ai
Personaggi: TakaoKazunari, MidorimaShintaro
Rating: Giallo?
Parole: 400+
Note: Ergo, “come trasformare un prompt angst nell’esatto opposto e vivere felici”
Scritta il: 3/07/2015
17# • Thingsyousaidthat I wishyouhadn’t
In quel momento, KazunariTakao si rese conto del
vero significato dell’espressione “un secondo che dura più di un’eternità”. Era
come se il tempo si fosse fermato, dando occasione ad
ogni sua percezione di farsi più viva che ma.
Sentiva il sangue gelarsi
nelle vene, e una piccola goccia di sudore scivolargli lungo la tempia. La
presa sulle bacchette si era affievolita, e il piccolo ticchettio che produssero scivolando sul tavolo fu l’unica cosa che
raggiunse le sue orecchie. Per il resto, c’era solo silenzio.
Tutta l’attenzione era
rivolta a lui, come fosse il protagonista di chissà quale spettacolo.
Generalmente avrebbe adorato una situazione del genere: amava essere il
protagonista, avere gli sguardi degli altri su di sé e mettersi in mostra sotto
le luci di chissà quale immaginario riflettore, ma ora
come ora l’unica cosa che desiderava era una botola che magari si aprisse
proprio sotto la sua sedia.
Doveva imparare a pensare
prima di parlare, Shin-chan glielo diceva sempre
— e doveva immaginare che ci sarebbe stata almeno una volta su un milione
in cui un consiglio del genere doveva essere la prima cosa a risuonargli in
testa. Perché non ci aveva proprio pensato, gli era venuto spontaneo dire
quelle tre o quattro parole!
D’accordo che ormai i suoi
genitori sapevano che frequentava il loro unico figlio maschio non
esattamente solo come un amico. D’accordo che, per quanto un po’ rigidamente,
avevano comunque accettato la cosa, al punto da invitarlo a volte a rimanere a
cena da loro così come era successo quella sera.
… ma
questo non voleva dire che fosse automaticamente autorizzato a farsi cogliere
dalla demenza!
“Fai più piano.” l’aveva
ammonito Midorima, alludendo ovviamente alla fame
vorace che lo stava portando a spazzolare le portate davanti al suo naso come
se l’ultima volta in cui il cibo aveva toccato il suo palato fosse risalita a qualche millennio prima. Ed era talmente assorbito
dall’atto di mangiare, così estraniato dal resto del mondo, che aveva risposto
come avrebbe fatto in qualsiasi altra situazione.
“Non è quello che mi hai
detto l’altra notte!”
Sbem.
Silenzio.
Il signor Midorima alzò le sopracciglia dietro gli spessi occhiali da
vista, e la signora Midorima spalancò leggermente le
labbra, come attaccata dalla peggiore offesa. E Shin-chan?
Shin-chan
era diventato di tutti i colori. Era passato dal bianco candido, al rosso
scarlatto al nero pece. E già lo sentiva, quel lamento che da leggero diventava
sempre più forte, quel “Takaaaaaaaoooooooooo…”
che aumentava di volume come una sorta di borbottare minaccioso di tuoni prima della tempesta.
- … magari… vado in bagno,
eh? - esclamò, tirandosi su dalla sedia. Almeno lì sapeva che c’era una
finestra… chissà se sarebbe riuscito a scappare per sottrarsi all’ira funesta
di Shin-chan?
Capitolo 18 *** 18# • Things you said when you were scared {ImaHana} ***
Genere: Commedia
Tipo di coppia: Vvvagamenteshonen-ai
Personaggi: Hanamiya
Makoto, ImayoshiShouichi
Rating: Verde
Parole: 800+
Note: Torno sul mio fido cavallo di
battaglia, la mia amata ImaHana, seppur con una ff che di “ship” ha ben poco.
… però adoro metterli in situazioni del genere, uffa.
Scritta il: 5/07/2015
18# • Thingsyousaidwhenyouwerescared
- Ti sei perso o cosa,
idiota? -
Non è certo il buio a
spaventare Hanamiya Makoto, e nemmeno quelle
sfilacciose ragnatele finte che pendono dal soffitto e che non ingannerebbero
neppure un moccioso. Anzi, a dirla tutta trova il setting
di quella ‘casa infestata’ poco credibile e decisamente
patetico: passa oltre ai “mostri” che sbucano da ogni angolo come se non
esistessero proprio, guardandosi intorno con silenziosa circospezione.
Un
altro vicolo cieco, un altro angolo fatto solo di specchi deformanti.
Non sono neanche i riflessi distorti a mettergli suggestione, o le
registrazioni scricchiolanti che sente provenire da
quello che con un po’ di attenzione riesce ad individuare come un chiarissimo
amplificatore; l’unico motivo della tensione che gli sta facendo venire la
pelle d’oca è il fatto che là dentro, prima, ci sono entrati in due.
Lui, e quel quattrocchi del
cazzo.
- Non fare l’antipatico,
siamo al luna park e non andiamo alla casa infestata? Che, hai paura? -
- No che non ho paura, come
potrei quando frequento direttamente qualcuno mette il
“tu” in “disturbante”? -
- Allora il problema non si
pone, no? Andiamo, andiamo ~! -
E, naturalmente, la prima
cosa che quello ha fatto è stato sparire alla prima svolta.
Stringe i pugni, ancora
nascosti nelle tasche della felpa. Come già detto, non sono gli elementi in sé
di quell’atmosfera mal costruita a farlo tendere come una corda di violino; è
la consapevolezza che lui è la fuori, pronto ad attaccare. E così, ogni
strascicare registrato diventa un possibile indizio
del suo avvicinarsi; ogni spiffero d’aria diventa il suo respiro che gli alita
sul collo; ogni ombra, ogni riflesso, diventa il suo spettro minaccioso che
incombe su di lui. Che poi, anche se fosse, cosa potrebbe fargli?
È totalmente irrazionale e
più forte di lui, ma sebbene ormai stiano innegabilmente insieme
(ammetterlo è sempre più inquietante di qualsiasi
fobia inutile) non ha mai smesso di provare quel terrore di fondo nei suoi
confronti. Perché?!Cosa potrebbe
fargli quel mostro di tanto terribile?! Strangolarlo, accoltellarlo,
spaccargli la testa? Sono tutte cose che gli farebbe
più volentieri lui!
Deglutisce a vuoto,
avanzando oltre una stanza di sole pareti riflettenti. Vedere il proprio stesso
riflesso, anche se distorto, quasi lo rassicura: è il modo migliore per avere
la completa certezza di essere solo, senza nessuno ad attentare alla sua sanità
fisica e mentale.
Ma
basta una fugace ombra fuori posto, e tutti i suoi sensi si allertano come folli.
Un singulto strozzato esce dalla sua gola secca, le
palpebre si sgranano, le pupille cercano furiosamente in ogni angolo l’origine
di quella suggestione.
- Se sei tu smettila, sei
patetico. - la voce si incrina leggermente sull’ultima
parola, ma spera che non se ne sia accorto - Esco senza di te, chiaro? -
Silenzio. Nessuna risposta,
nessun movimento. Adocchia vagamente un cartello
“EXIT” in breve lontananza, e senza più esitare si
dirige verso quella luce di salvezza: una volta fuori non potrà fargli più
nulla, anzi, nel migliore dei casi sarà lui a perdersi in una casa infestata
vuota!
Ma
ogni barlume di speranza si spegne appena sente il vibrare minaccioso di un
passo proprio dietro di sé. Un brivido di terrore si fa
strada lungo la sua spina dorsale, e il gelo della paura a malapena lo fa
voltare quel poco che basta per sbirciare oltre la propria spalla.
Una sagoma emerge
dall’ombra, e due lenti rettangolari sono l’unica cosa che luccica in quella
manifestazione di pura oscurità malefica.
- Dove credi di andare, Hanamiyaaaaaa… ?! -
Un grido incontrollato si fa strada su per la gola secca, dilaniandola mentre le gambe
si muovono da sole verso quella che sembra l’unica possibilità di uscire vivo
da quell’inferno. Sente già il sapore della libertà, la freschezza dell’aria
sulla pelle…
… il dolore lancinante del
proprio muso che si sfracella contro qualcosa… ?
Indietreggia barcollando,
sentendo la coscienza farsi leggera e fluttuante. Eh… ora capisce perché
all’ingresso gli hanno detto di camminare piano e tenere le mani avanti, pensa,
mentre il cervello gli si spegne per qualche secondo.
- Smettila di ridere. Sono
serio, smettila di ridere o ti
ammazzo. -
Parole al vento, visto che sente ancora quel bastardo sogghignare come uno
stronzo.
Sente,
perché quello giustamente si è messo al di fuori dal suo campo visivo. Tenendo
la testa alzata e le dita strette sul setto nasale per impedirsi di morire
dissanguato, d’altronde, non può permettersi di guardarsi intorno più di tanto.
E non è
che gli abbia chiesto scusa, assolutamente. Da dopo quei dieci secondi
di blackout totale in poi, tutto quello che ha raggiunto le sue orecchie è stato il suono insopportabile della sua risata.
Lo trova così divertente? È
sempre stato quello il suo obiettivo della serata, o cosa? Volta gli occhi da
una parte, vedendo finalmente la sua brutta faccia tornare a far parte delle
sue percezioni.
- Dai, mi voglio far
perdonare, vado a prenderti qualcmpphff—… -
Oh, poco furbo da parte sua
mettersi proprio dalla parte della mano ancora libera.
Il pugno è un po’ debole, visto che con la sinistra
non è la sua mano dominante, ma il rumore del naso di Imayoshi
che scricchiola sotto le sue nocche quasi lo distrae dall’umiliazione e dal
dolore.
- Gentilissimo da parte tua
ma no, preferisco fare pari, pezzo di merda. -
Capitolo 19 *** 19# • Things you said when we were the happiest we ever were {MitoKoga} ***
Genere: Sentimentale, romantico
Tipo di coppia: Shonen-ai
Personaggi: KoganeiShinji, MitobeRinnosuke
Rating: Verde
Parole: 1000+
Note: … ma ship
comuni io proprio no eh…
A parte tutto, credo
che il potenziale romantico di questi due sia un po’ sottovalutato, quindi ho
pensato di provare ad esplorare anche loro. Ne ho
approfittato anche per infilare uno dei miei headanon
su Mitobe che coltivo da più tempo -?- e che tengo
più a cuore.
Scritta il: 9/07/2015
19# • Thingsyousaidwhenwewere the happiestweeverwere
Quando gli dicevano che
ormai, a forza di stare insieme, era come se fossero la stessa persona, Shinji ci rideva su, rimarcando quanto le loro differenze
fossero così infinite e radicali che non sarebbe mai stato possibile,
per lui e Rinnosuke, coincidere al punto da essere
“la stessa cosa”. Madre Natura aveva dato loro doni
totalmente diversi, da una parte mantenendo intatti e solidi gli svariati
centimetri d’altezza che li dividevano fin dalla loro prima adolescenza,
dall’altra regalandogli in sovrabbondanza tutto ciò che il più alto non aveva
mai potuto avere.
Ah, non che questa cosa
avesse mai influito sulla loro relazione! Aveva imparato presto che, a
differenza dei suoi sensi un po’ animaleschi, quelli di Mitobe
- anzi, uno in particolare - fossero decisamente meno
attivi; aveva capito quasi subito che le sue orecchie non erano mai state molto
buone, e che in un modo o nell’altro questo si era ripercosso in alcuni ambiti
della sua vita ma, nonostante la sorpresa iniziale, non aveva mai permesso a
questo dettaglio di influire in qualche modo sul loro legame. Certo, lì per lì
si era sorpreso - ma solo perché non se ne era mai minimamente accorto!
E proprio per questo
motivo, smettere di pensare eccessivamente a quel dettaglio nelle loro
interazioni di tutti i giorni era diventato più semplice che respirare. Non che
questo significasse ignorarne l’esistenza: anche tutti quei piccoli
accorgimenti fatti di parole articolate con la certezza che lui potesse vederlo
e di intuizioni provvidenziali avute per comunicare
agli altri le sue intenzioni senza forzarlo ad un linguaggio parlato (che,
sapeva bene, per lui era ancora fonte di un certo imbarazzo visto la poca
dimestichezza che aveva con esso) divennero presto una componente naturale e
spontanea del loro relazionarsi, così tanto che sarebbe stato strano farne a
meno.
E più stavano insieme, più
le loro differenze venivano a galla. Non c’erano solo quelle ovvie, quelle che
tutti quanti potevano vedere anche ad una singola
occhiata: i loro caratteri risiedevano in due poli opposti, e Shinji si era spesso domandato se questo, ipoteticamente,
non avrebbe dovuto concretizzarsi in un possibile limite al loro relazionarsi.
Sarebbe pure stato naturale, no? Lui era sempre stato una persona iperattiva,
incapace di star ferma e di fare la stessa cosa per più di qualche minuto; Mitobe, al contrario, viveva la vita con un ritmo placido e
tranquillo, prendendo ogni cosa con l’intensità che lui decideva di dedicargli.
“Tu che hai sempre bisogno
di stimoli, non ti stancherai di stare con uno del genere?”, “Un ragazzo
tranquillo come lui finirà per non sopportare più una molla come te!”: non era
buffo che le stesse persone che prima gli dicevano queste cose, erano le stesse
che erano finiti per dire che stavano diventando la stessa cosa? Perché,
nonostante tutto ciò che li distingueva, erano
arrivati al punto in cui non potevano fare a meno l’uno delle differenze
dell’altro.
Gliel’aveva fatto capire Rinnosuke, dicendogli che senza di lui forse non avrebbe
avuto il coraggio di entrare in una squadra di basket persino alle superiori, e
che la sua vitalità gli aveva permesso di essere un po’ meno riservato e un po’
più sicuro di sé. L’aveva capito lui stesso, guardando come era
cambiato e maturato, comprendendo che forse, ben più che solo “un pochino”, il
rafforzarsi di tutta quella determinazione nel perseguire i propri obiettivi
era nato proprio dall’avere vicino una persona così speciale.
Sorrise, intrecciando le
dita tra le sue, più grandi, ma tremati ed emozionate
esattamente come le proprie. Erano passati così tanti anni, avevano condiviso
così tanti momenti — erano arrivati fino a quel punto, ma ancora non se
la sentiva di dire che fossero la “stessa cosa”. Non era il modo corretto per
definirli, perché ognuno di loro aveva la proprie
individualità, le proprie caratteristiche imprescindibili, le proprie doti e le
proprie lacune. Non sarebbero mai potuti coincidere
completamente nella stessa figura… ma non erano neanche degli sconosciuti che
non avevano niente da spartire.
Non era mai stato un gran
pensatore, ma alla fine pure lui era giunto alla sua conclusione. Cosa potevano essere, se non due parti distinte della stessa
figura, due segmenti complementari di una singola, nuova, ancora più bella
immagine? Avrebbero potuto vivere come singoli individui, ma era solo stando
insieme che avrebbero potuto essere davvero felici e completi. Sapeva che anche
lui lo pensava, lo leggeva nel suo sorriso emozionato, lo vedeva chiaramente nei
suoi occhi, in quel momento voltati verso l’uomo che solennemente leggeva i
giuramenti per non perderne neanche una singola parola.
Era ciò a
cui sarebbero arrivati inevitabilmente, prima o poi, come se fosse una
tappa certa della loro relazione; ma nonostante questo non riusciva a smettere
di fremere per la felicità. Si stava aprendo davanti a loro una nuova vita, che
sarebbe stata allo stesso tempo uguale e ancora più bella di quella che avevano
vissuto fino a quel momento… ma fu difficile lasciare la sicurezza delle sue
mani quando l’uomo in uniforme tacque per lasciargli la parola, le dita e le
labbra che tremavano pericolosamente mentre un “Sì, lo voglio” lasciava la sua
gola guidato dai gesti che negli anni aveva imparato propriamente ad usare.
Andava bene? L’aveva
guardato negli occhi mentre lo diceva, aveva usato i segni giusti? Un mare di
stupidi interrogativi gli riempì la testa, mentre Rinnosuke, sorridendo tranquillo, tornava a stringere le
mani attorno sue. Perché lo stava facendo, pensò, fissando le loro dita
intrecciate? Adesso era il suo turno di rispondere, non era il caso di stare a
consolare il suo compagno scemo… !
- Sì… lo voglio. -
Koganei
alzò di scatto la testa, come non credendo a ciò che le sue orecchie avevano
appena sentito.Persino lui aveva
sentito rarissimamente la voce di Mitobe, sapeva che
non amava parlare, eppure…
… eppure si era sforzato di
mettere insieme quelle parole per coronare al meglio il loro momento speciale,
per lasciare che le sue mani fossero ancora l’appiglio di cui aveva
disperatamente bisogno in quell’istante. Sentì qualcosa pizzicargli gli occhi,
mentre il suo entusiasmo si sovrappose persino alle parole dell’ufficiale
accanto a loro.
- Scemo, non ce n’era
bisogno… ! - esclamò, gettandosi contro il suo petto e lasciandosi stringere
dalle sue braccia. Forse chi li guardava non poteva capire cosa ci fosse di
così speciale in tutto questo, in uno scambio di parole così improvviso e
insolito da sembrare incomprensibile. Ma che
importava? Era qualcosa che apparteneva a loro e a loro
solamente, e mai nella vita potevano dire di essere stati più felici di così.
Capitolo 20 *** 20# • Things you said that I wasn’t meant to hear {MidoTaka, accennata} ***
Genere: … ?
Generale?
Tipo di coppia: In realtà nessuno
Personaggi: MidorimaShintaro, TakaoKazunari
Rating: Verde
Parole: 1100+
Note: … è vero che quando l’ho scritta ero
comunque in ritardo, mashhh,
il 10 non è così lontano dal 7. Warning: Midorima estremamente passivo aggressivo incoming.
Scritta il: 10/07/2015
20# • Thingsyousaidthat I wasn’tmeant
to hear
“… ma
ricordatevi che anche se questo è il mese di voi Cancro, non tutto potrebbe
filare come previsto! Fate attenzione: e se qualcuno di molto vicino a voi
stesse nascondendo qualcosa?”
Per una persona che
dell’oroscopo ne aveva fatto il suo più grande punto di riferimento, era ovvio
che parole del genere non potessero semplicemente essere ignorate. Seduto in
silenzio in fondo alla solita, scricchiolante carretta, Midorima
se ne stava con le braccia incrociate e lo sguardo diretto chissà dove, immerso
nelle reminiscenze di una giornata trascorsa all’insegna del sospetto e di un
briciolo di fastidioso sentimento di tradimento.
Era abituato alle persone
che sussurravano alle sue spalle, davvero. Era abituato alle persone che lo
guardavano e si voltavano a parlare con la persona accanto, fissandolo e
indicandolo di nascosto, ed era anche abituato agli epiteti che di tanto in
tanto raggiungevano le sue orecchie. Non che la cosa lo tangesse, in ogni caso:
le loro insignificanti opinioni non erano che aria,
flebile e trascurabile. Verbavolant, soleva dirsi tra sé e sé, e la sua vita
continuava esattamente come al solito.
L’ultima cosa che si
aspettava era di sentire, però, un certo qualcuno
sussurrare alle proprie spalle. Di cose poco gentili Takao
gliene aveva sempre dette anche in faccia, senza
problemi a sbottargli a ridere direttamente davanti al naso tutte le volte che
qualche sua abitudine veniva a galla, ma questo suo atteggiamento
inequivocabile era ciò che glielo faceva, dopotutto, sopportare. Quindi perché, all’improvviso, aveva sentito il bisogno di
sussurrare qualcosa e di citare anche lui nel mezzo, per poi fingere di non
aver fatto nulla l’attimo immediatamente successivo?
Shintaro
aveva provato a dirsi che non poteva che essere un errore di valutazione, un
caso sporadico, o addirittura una strana e sfortunata coincidenza in cui
qualche suo omonimo poteva essere coinvolto. Eppure ormai il tarlo del dubbio
si era infiltrato nella sua testa, e di occasioni per confermare che sotto ci
fosse qualcosa a danno suo ne aveva avute ben più di
solo qualcuna.
Mentre da una parte Takao si comportava esattamente come al
solito, dall’altra era quasi più… riservato. Ed era davvero insolito associare
una parola del genere a qualcuno come lui, che faceva dell’espansività uno dei
suoi punti di forza!
Tuttavia, tutte le volte
che gli si approcciava sembrava quasi complottare con
il compagno di turno presente vicino a lui, il quale veniva prontamente
liquidato non appena i suoi occhi di falco captavano la propria presenza
all’interno di un range
troppo rischioso per continuare la discussione. Era palese che stesse parlando
di qualcosa di cui lui non doveva sapere nulla!
E ormai non c’era più
spazio per fraintendimenti: a coronare il tutto era riuscito a captare un
frammento di una conversazione telefonica proprio qualche minuto prima di
partire verso casa, in cui rimarcava quanto “gli sarebbe
bastato tenere Shin-chan all’oscuro di tutto ancora
per qualche minuto e finalmente sarebbe stato libero”.
Sospirò, sistemandosi gli
occhiali. Era giusto che un ragazzo come lui avesse interessi completamente
diversi e passatempi altrettanto opposti ai suoi, ma cos’era quella
determinazione a tenerlo fuori dalla sua vita, dai suoi hobby? Lo conosceva,
ormai, non si sarebbe certo infiltrato nella sua vita privata senza che lui lo
desiderasse! Da quanto tempo lo considerava un intralcio così pesante per la
sua esistenza?
- Shin-chan,
cos’era quel sospirone? Tutto bene, là dietro? -
Ah, allora anche lui aveva
iniziato a sentire cose che non avrebbe dovuto. Si prese qualche attimo di
silenzio, sbattendo lentamente le palpebre e calibrando attentamente le proprie
parole.
- Cosa
farai stasera? Tranquillo, non ho intenzione di metterti i bastoni tra
le ruote. Vorrei solo sapere il perché di tutta questa segretezza. -
La carretta seguì un brusco
arresto, e per poco Takao non cadde dalla bici per
voltarsi verso di lui. Cos’era quell’espressione? L’aveva dunque colto sul
fatto?
- … ma che stai dicendo,Shin-chan… -
- Non ho forse ragione? -
incalzò, senza batter ciglio - Voglio dire, so di non essere la persona più
adatta al divertimento, ma da qui a chiudermi fuori dalla tua vita… -
Non completò neppure la
frase, interrotto dalla risata divertita di Takao che
si librò rapidamente nell’aria attorno a loro.
- Pfft…
non posso crederci che tu sia arrivato a pensare una cosa del genere! Sei… sei
incredibile, Shin-chan, davvero! -
Stava… negando?
Sgranò gli occhi, sorpreso,
cercando in qualche modo di riallacciare la conversazione; ma Takao si era messo a pedalare ancor più di buona lena,
fischiettando e canticchiando tra sé nel mentre. Aveva
tutte le prove possibili contro di lui, non poteva semplicemente scrollarselo
di dosso con una fischiettata! Ma le orecchie del suo
compagno di squadra si dovevano per forza improvvisamente essere foderate di
cemento, perché qualsiasi richiamo tentasse di intentare nei suoi confronti,
questo non faceva che rimbalzargli addosso e rimanere del tutto inascoltato.
Continuarono così finché la
carretta non si fermò davanti a casa sua, ma quando Midorima
scese dal veicolo per entrare nell’appartamento Takao
non procedette come al solito: lo seguì, mani in tasca
e un sorrisetto scemo stampato in viso.
- … cosa staresti cercando
di fare? -
- Prendo un po’ d’aria?
Riposo le gambe? - rimarcò, con un sarcasmo del tutto fuori luogo. Il più alto
fece roteare gli occhi, desiderando solo di porre fine al più presto a quella
giornata, ma appena spinse stanco la porta vide tutte le luci accendersi
davanti alla sua faccia, e un gruppetto di persone allegre iniziare a
lanciargli addosso coriandoli.
- Buon compleanno! - sentì
esclamare, e la sua testa si confuse ancora di più.
- … ma
non è… il mio compleanno. - mugugnò, sentendo Takao
aggrapparsi alle sue spalle. Questi ridacchiò, divertito, scuotendo il capo.
- Andiamo, era due giorni
fa, lo so che siamo in ritardo! - esclamò - Ma purtroppo abbiamo potuto
organizzare qualcosa solo ora. E tu che pensavi che volevamo
lasciarti fuori da chissà cosa, heh! -
E mentre gli altri compagni
della squadra di basket lo trascinavano dentro casa,
intenti a sommergerlo di regali, auguri, pezzi di torta e frutta, un sorriso
leggero non poté che dipingersi sulle sue labbra. Non si poteva dire che
l’oroscopo avesse sbagliato — era stato lui, con la sua eterna sfiducia,
a pensare male di tutti coloro che si erano impegnati
così tanto per dedicare a lui e a lui solamente quella bella serata.
- Anche se festeggiare il
compleanno in anticipo porta, a dirla tutta, sfortuna.
-
- In anticipo? Ma, Shin-chan, siamo in ritardo,
casomai! -
- E in anticipo sull’anno
prossimo. -
- … m-mangia la torta, che vedo già Miyaji-senpai armato di
ananas. -
Capitolo 21 *** 21# • Things you said when we were on top of the world {MuraAka} ***
Genere: Introspettivo, drammatico
Tipo di coppia: Shonen-ai
Personaggi: Akashi Seijuro,
Murasakibara Atsushi
Rating: Giallo?
Parole: 500+
Note: Questa è l’unica storia della
challenge che non è esattamente da intendersi come inclusa nella linea
temporale canon della trama di KnB – la definirei piuttosto ambientata in
un’AU distopica fine a se stessa (molto fine a se stessa), quindi tenete questo
in mente~
Inoltre il titolo è
un po’ preso in senso figurato, ma, come disse il saggio, e vbb.
Scritta il: 13/07/2015
21# • Things you said when we were on top of the world
Era così piccolo, tra le
sue braccia. Così piccolo e indifeso.
Una visione del genere era
dedicata solo a lui, nelle ore più tarde della notte, quando persino quegli
occhi che tutto vedevano avevano bisogno di riposo. Erano gli unici momenti in
cui Akashi Seijuro sembrava quasi una persona normale, e non un maniaco del
controllo, un monarca assoluto al capo della potenza più forte e più crudele.
Era un semplice umano
stretto contro il suo corpo, e Atsushi, carezzandogli distrattamente i capelli
corti con le lunghe dita affusolate, ricordava con nostalgia i tempi in cui era
sempre in quel modo. Un ragazzo come tanti, con uno sguardo che andava
ben oltre a ciò che gli altri potevano vedere, ma comunque coi piedi a terra e
con la consapevolezza che le persone intorno a lui erano - appunto - persone.
Quanti anni erano passati?
Quanto tempo aveva passato al suo fianco, vedendolo sprofondare sempre di più
in quella ricerca ossessiva di perfezione e controllo totale?
Quante cose erano cambiate,
da un incidente tanto ridicolmente banale, da una frase pronunciata in un
attimo di frustrazione e stanchezza?
Forse sarebbe successo
comunque; forse le pressioni che gli arrivavano da tutte le parti l’avrebbero
fatto cambiare in ogni caso. Ma Atsushi non poteva fare a meno di sentirsi
responsabile di tutto questo, mentre come sperando di poter prima o poi
rimediare a quel danno si era associato a lui alla ricerca di quell’Aka-chin
che sembrava essere rimasto sotterrato dietro una maschera di impenetrabile,
freddissimo stoicismo.
Non era morto, sapeva
che c’era ancora. Lo vedeva celato dietro alcuni suoi sguardi, si muoveva di
nascosto assieme ad alcuni suoi gesti, chiamava aiuto, impercettibilmente, nel
profondo delle sue parole.
“Perché tu non mi
tradirai, vero?”
Quelle frecce gialle e
rosse lo scrutavano senza pietà alcuna ogni volta che glielo ripeteva, ma
sapeva che a parlare non era altro che colui che con fatica estrema riusciva ad
arrivare a galla di una coscienza che, ogni volta, lo rispediva sempre più in
fondo nei meandri di un inconscio oscuro e torbido.
Non era morto, ma ormai non
poteva neppure tornare a vivere. “Non tradirmi, non tradirmi, non tradirmi” -
non era che il suo disperato appello, un grido straziato che lo implorava, se
non di poter essere riportato alla luce, almeno di non lasciar prevalere
l’altro.
Era un obbligo troppo
grande per lui, troppo insostenibile. Perché lui non era mai cambiato, non era
che un bambino nel corpo di un gigante, un essere umano troppo poco pronto ad
affrontare faccia a faccia certi aspetti della vita, e che nonostante questo sentiva
il forte gravare della colpa che lo affliggeva con crudeltà. Era l’unico, senza
possibilità di tirarsi indietro, che poteva cambiare le cose.
Non riuscì neppure a
guardare il viso addormentato di colui che teneva tra le braccia, mentre le
lacrime gli annebbiavano la vista già affaticata dal buio della notte. Era
l’ultima volta che poteva vedere l’Aka-chin che amava, l’ultima volta in
assoluto che avrebbe potuto porre le proprie labbra sulla sua fronte in quel
tenero, quasi infantile, gesto d’affetto.
Lo tenne ancora a sé mentre
la mano libera si stringeva tremante sul manico della lama che aveva nascosto
sotto il cuscino, conscio che quel fendente avrebbe finalmente portato a
termine quella lunga, insopportabile agonia.
Note: … perché più si avvicina la fine più procrastino per postare le ultime storie?
Comunque, non ho
resistito a chiamare in causa un’altra delle mie OT3,
anche se in realtà la storia è tutta incentrata su Hyuuga.
Che è orribilmente difficile, come al solito, da scrivere.
Di nuovo il prompt
suggeriva angst da tutti i pori, ma l’ho plasmato a
mio volere.
(… comunque, la
sindrome della covata esiste davvero.)
Scritta il: 14/07/2015
22# • Thingsyousaid after it was over
Quando gli avevano detto
che esisteva una cosa come la sindrome della covata non ci aveva voluto
credere. Una cosa così stupida, con un nome così imbecille, non poteva essere
una condizione reale, no? Non importava se appena avevano scoperto che Riko era incinta era stato lui quello a sentire
tutti i dolori, dal mal di schiena al mal di reni alle nausee mattutine, non
importava se, sebbene lui desse la colpa a qualche
virus stagionale, sia lei che Kiyoshi erano sani come
pesci. HyuugaJunpei
non si era preso niente che avesse un nome come quello.
E sì che la gente non
faceva altro che dirgli che era una cosa positiva, che dimostrava quanto fosse
attaccato alla madre e al nascituro. No che non era una cosa positiva! In
nessun pianeta essere paragonato ad una gallina era
una cosa positiva; in nessuna dimensione esistente essere riverso su un lettino
di un ospedale mentre la propria moglie partoriva nella stanza accanto era una
cosa positiva!
Si accoccolò su se stesso,
le mani premute sul ventre dilaniato dai peggiori dolori che avesse memoria di
aver mai provato. Lì per lì credeva che fosse solo suggestione, o al limite
ansia - le contrazioni, la rottura delle acque, la corsa verso l’ospedale si erano susseguite con una velocità tale da sembrare surreali,
ed era normalissimo sentirsi un po’ tesi, no?
Evidentemente no, perché
mentre persino Riko si era tranquillizzata alla
svelta nonostante i dolori e la situazione e Kiyoshi
era rimasto fedelmente al suo fianco, tenendole stretta la mano e beccandosi
diligentemente gli insulti che volavano nell’aria quando la suddetta
tranquillità barcollava e veniva comprensibilmente meno, lui era passato da ‘dolorino trascurabile’ a ‘penso di stare per morire’, con
tanto di infermiera che lo sorreggeva mentre lo portava fino al giaciglio su
cui era rimasto a soffrire fino a quel momento.
Non era una scenetta
patetica? A volte aveva quasi idea di essere lui la donna di casa,
quando la sua stupida emotività di fondo faceva a
spintoni col suo desiderio di mantenere la sua solita facciata seriosa e ne
emergeva inevitabilmente vincitrice. Chissà quanto se la stavano ridendo i
dottori alle sue spalle? Chissà quanto avrebbe riso la sua prole, quando questo aneddoto sarebbe sbucato fuori?
Era tanto immerso in quel
vortice di autobiasimo e vergogna che perse tanto la
cognizione del tempo quando quella del dolore, che si riacutizzò solo quando
sentì qualcuno scrollarlo leggermente da quel pietoso torpore. Alzò lo sguardo,
solo per mettere a fuoco il viso sorridente di Kiyoshi
rivolto verso di lui.
- … è finita? -
- Sì, è andato tutto bene.
Vuoi venire di là, ti senti meglio? -
Non gli rispose nemmeno,
mentre aggrappandosi a lui lo istigava a muoversi e a
trascinarlo via da quel buco. Sentiva il cuore battergli così forte che
qualsiasi altra percezione divenne inutile e insignificante, totalmente
incentrato sull’idea di poter finalmente vedere quella creaturina che avevano atteso per così tanto e a cui potevano finalmente
regalare tutto l’amore di cui erano dotati. Davvero tutti quei dolori idioti
che aveva passato erano segno di un legame che era
destinato a instaurarsi fin da subito? Sarebbe riuscito ad
essere un buon padre, sarebbe stato adatto a ricoprire un ruolo come quello?
Ormai non c’era più tempo per prepararsi, l’attesa era finita; doveva prepararsi a fare i conti con la realtà.
Deglutì quando Kiyoshi spinse la porta della stanza dove si trovava Riko, che subito si voltò stanca ma sorridente verso di
loro. Un fagottino riposava tranquillo tra le sue braccia, così piccolo che
quasi non sembrava reale.
- Non è bellissima? La
nostra bimba… -
Junpei
barcollò verso di loro, totalmente estasiato. Era sì bellissima, di più, era un
miracolo. Era così perfetta che la
sua mente si svuotò completamente di ogni pensiero e preoccupazione,
lasciandolo finalmente libero da quell’angoscia insopportabile che l’aveva
angustiato nei mesi passati. Era pronto ad
intraprendere quella nuova vita, già immerso in una felicità che lo faceva
sentire leggero come una piuma.
Così tanto, che l’ultima
cosa che sentì furono le due persone che tanto amava
che gli urlavano impanicate di non svenire.
Capitolo 23 *** 23# • Things you said [make your own] » under the fireworks {AoMomo} ***
Genere: Sentimentale
Tipo di coppia: Het
(incredibile ma vero)
Personaggi: Aomine Daiki, MomoiSatsuki
Rating: Verde
Parole: 800+
Note: Ultima storia! Ma
i vari fronzoli li metto alla fine-
Anche questa OS è il risultato di una sfida che mi è stata
lanciata, ma a differenza dell’AoKise questa credo mi
sia venuta un po’ meglio. Per i convenevoli, ci risentiamo alla fine della
storia!
Scritta il: 15/07/2015
23# • Thingsyousaid [makeyourown] » under the fireworks
Sopra di loro imperversava
una tempesta di fuochi d’artificio, e fu proprio in quel momento, mentre il
naso di tutti era perso per aria, che Aomine si ritrovò più che mai coi piedi per terra, i pensieri che si accendevano di
un’unica, sfavillante rivelazione. Lo spettacolo di luci sopra di sé aveva
perso ogni significato, mentre gli occhi si fissavano forse con un’indiscreta
insistenza su un viso gioioso illuminato di mille colori, su quelle labbra di
pesca così lucide, così invitanti, su quei capelli sottili come fili di seta
che si muovevano gentilmente, scossi dai rari soffi di vento di quella sera
d’estate.
Esattamente dove aveva
guardato, fino a quel momento, per non rendersi conto della meraviglia che
aveva accanto?
Era come se in tanti anni
che le era stata vicino, non si fosse mai accorto che Satsuki
non era più l’amichetta della porta accanto, quella bambina che si spaventava
continuamente davanti ai suoi scherzi e finiva in lacrime ancora più spesso.
Stava diventando una donna, una magnifica donna, ed
era come se solo in quell’istante la realizzazione di ciò avesse colpito la sua
mente. Quando era successo? Ed era stato solo lui a non accorgersene, a non
realizzare quanto il tempo li avesse cambiati? E perché era tutto accaduto in
modo così improvviso, tanto che quasi provava vergogna
a starle vicino mentre tutto intorno coppiette innamorate si tenevano per mano
al lampeggiare gioioso dello spettacolo che solcava il cielo?
Si passò una mano sul viso,
la testa che diventava pesante per tutti i pensieri che la attraversavano. Cosa
diavolo era, quello, una specie di colpo di fulmine? Non succedeva solo con le
persone appena incontrate, o roba del genere?
No, no, no… per quanto
improvvisa quella realizzazione fosse, non si trattava di un semplice “colpo di
fulmine”. Era più come se, sotto sotto, avesse sempre
saputo che Satsuki non era mai stata solo un’amica -
per quanto fosse solito negare ogni insinuazione a riguardo! -, ma che non avesse mai avuto idea di come catalogare ciò che
provava nei suoi confronti. Si preoccupava per lei, teneva forse più di
chiunque altro alla sua felicità e al suo benessere… e forse, forse, questo
anche al di là di quel limite sottile che c’è tra
l’amicizia e un sentimento più tenero e profondo. Non che adesso, comunque, fosse in condizioni tanto più chiare: era la prima volta che
si ritrovava a pensare certe cose, ma per la prima volta si rese anche conto
che, in effetti, non gli sarebbe dispiaciuto rimanere al suo fianco in modo più
concreto dal solito.
… o stava correndo troppo
con le idee, si stava facendo troppe seghe mentali solo per una cosa del
genere? Scosse la testa, ormai così intontito dai suoi stessi pensieri che a
malapena si accorse che lo spettacolo di fuochi d’artificio era appena finito,
e che Momoi si era aggrappata a lui per richiamare la
sua attenzione.
- Terra chiama Dai-chan? Ehi? -
Sbatté le palpebre,
tornando quasi del tutto in mezzo ai comuni mortali. Satsuki
lo guardava dal basso, con aria quasi preoccupata, ma sorrise subito quando
vide che Aomine era uscito da quello stato pseudo-catatonico in cui sembrava
immerso.
- Hai visto che belli, Dai-chan? - esclamò, contenta - Grazie di avermi accompagnato,
venire da sola sarebbe stato troppo triste! -
- Sì, uh… - quasi del
tutto, perché la sua testa continuava intanto a spaziare a destra e a
sinistra. Che gliene fregava dei fuochi d’artificio? Non li aveva guardati
nemmeno per mezzo secondo, ma non è che poteva
semplicemente dirgli una cosa del genere - o peggio, tacere completamente!
- … penso che sia
bellissima. -
Certo, almeno aveva detto
qualcosa. Ma non sarebbe stato meglio filtrare le
proprie parole ed evitare di lasciar trasparire immediatamente ciò che stava
pensando?
Sentì una vampata di calore
salirgli fino al viso, e anche le guance di lei si
erano colorate di un rosso vivace.
- … cioè, intendo… -
- … la serata, giusto? Trovi che la serata sia bellissima… eheh, lo è davvero… -
Non ebbe nemmeno la forza
di risponderle, lasciando che distogliesse lo sguardo e facendo altrettanto. Si
fregava da solo e le permetteva pure di salvargli la pelle? Quanto poteva
essere idioticamente inetto coi
propri sentimenti?
Sospirò, passandosi una
mano dietro la testa e sbirciando, quasi intimidito, verso di lei. Vedeva
ancora un rossore allegro sulle sue gote, e due occhi emozionati brillare
subito sopra… aveva capito già tutto, vero? E chissà da quanto, pure,
conoscendolo molto più di quanto lui conoscesse se
stesso. L’unico motivo per cui l’aveva corretto è
perché sapeva benissimo che non si sarebbe perdonato una dichiarazione (o
presunta tale) così impulsiva e traballante, ancora non del tutto certa della
propria intensità. L’aveva detto - teneva a lei più di ogni altro, e l’ultima
cosa che avrebbe voluto darle era, eventualmente, una simile falsa verità.
Dio, se lei non si meritava
uno scemo come lui. Sorrise impercettibilmente, guardandola ora con tenerezza:
era ora che anche lui ripagasse tutta quella pazienza, e con la silenziosa,
impercettibile promessa di fare chiarezza nei propri pensieri richiamò la sua
attenzione, prendendola per mano mentre la
accompagnava nuovamente verso casa.
Insomma, eccoci qua.
Quando ho iniziato a
postare questa challenge su
EFP ammetto che non mi aspettavo un eccessivo riscontro, soprattutto perché so
bene che le raccolte disomogenee non sono poi così tanto attraenti.
Nonostante questo, però,
non posso dire di essere infelice. Perché mi sono arrivate letture, seguiti,
segni piccoli e grandi d’apprezzamento, recensioni… insomma, tutti feedback di
cui un po’ egoisticamente avevo bisogno per risollevare un po’ quella volontà
di scrivere che ultimamente si era affievolita. So di non aver prodotto niente
di così speciale o innovativo, ma alla fine sono felice, perché ho potuto
dimostrarmi che se voglio arrivare alla fine di qualcosa basta un po’ di
disciplina e al proprio traguardo si arriva sempre. Anche quando questo è solo
una raccolta di ventitré storielle.
Insomma, grazie davvero a
tutti quelli che hanno deciso di leggere, seguire e/o recensire queste storie.
Alla prossima!