Appartamento 709

di Love_My_Spotless_Mind
(/viewuser.php?uid=174554)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The beginning ***
Capitolo 2: *** We are together ***
Capitolo 3: *** Why? ***
Capitolo 4: *** Now I know why ***
Capitolo 5: *** Leave me alone ***
Capitolo 6: *** Goodbye ***
Capitolo 7: *** The End ***



Capitolo 1
*** The beginning ***







Appartamento 709. Tutto aveva avuto inizio da lì, da un appartamento al secondo piano di un vecchio palazzo, abitato per lo più da giovani coppie che non potevano permettersi nulla di meglio che quel malandato complesso abitativo.
JoonJae era andato a vivere in quell’appartamento da solo già da cinque mesi, da quando aveva deciso di abbandonare gli studi e rintanarsi in un logo tranquillo dove poter decidere con calma ( o fingere di decidere) che cosa farne del proprio futuro. Proveniva da una famiglia benestante, non aveva bisogno di rimboccarsi le maniche e cercarsi immediatamente un lavoro, poteva attendere, lasciando che prima o poi la vita gli suggerisse che cosa fare e lo spronasse ad alzarsi dal divano, dandosi una mossa per costruire qualcosa di concreto. JoonJae era un tipo solitario, fedele alle proprie abitudini, amante del silenzio e della tranquillità. Vivere da solo gli piaceva, non doveva scusarsi con nessuno per il suo carattere, non doveva fare sforzi per apparire migliore agli occhi degli altri. A se stesso andava benissimo così com’era, questo era gratificante.



Tuttavia era pur sempre un ragazzo di ventitré anni e per forza di cose aveva trovato una fidanzata, Sujin, una ragazza poco più grande di lui, non troppo bella e di cui non si sentiva troppo attratto né fisicamente né  quantomeno caratterialmente. Semplicemente poteva chiamarla quando si sentiva solo, potevano trascorrere qualche ora in un hotel o in quell’appartamento 709, quasi senza parlare, solamente appagandosi ognuno del corpo dell’altra. Anche alla ragazza sembrava andar bene quel tipo di rapporto che forse mancava di spessore etico ma che corrispondeva perfettamente ad una relazione senza troppi impegni, un qualcosa che non nascesse per diventare più profondo o importante. JoonJae era di poche parole anche dopo aver condiviso momenti d’intimità, se ne stava sdraiato, immerso nei suoi pensieri, con le labbra carnose perfettamente sigillate. Quando lei lo guardava lunghi brividi le attraversavano la schiena, prima d’incontrarlo non aveva mai conosciuto un ragazzo così attraente, dal viso così bello da togliere il respiro.
A lui piaceva guardarla rivestirsi lentamente prima d’andar via, si salutavano con un bacio sulle labbra, non si sentivano più finché entrambi non ne avevano bisogno. Era una situazione strana che JoonJae credeva non si sarebbe mai trovato a vivere, alle volte la reputava ingiusta, altre credeva che fosse quella perfetta per lui.


Negli ultimi tempi, però, qualcosa iniziò a cambiare. JoonJae iniziò a dimenticare sempre più spesso le incombenze di ogni giorno, non pagò per tre mesi l’affitto, lasciò l’appartamento marcire sotto una coltre di sporcizia e disordine inimmaginabile. Tramutò il luogo dove abitava in un fedele modellino della sua mente, di quei pensieri affollati ed inspiegabili che gli rendeva così complicato vivere come facevano tutti gli altri.
La situazione era diventata troppo complessa da controllare, se lo avessero sfrattato avrebbe dovuto cercare un altro luogo dove stare ed a quel punto i suoi genitori avrebbero voluto che iniziasse a darsi una mossa perché stava letteralmente sprecando la sua vita. Fu così che JoonJae prese la decisione che gli avrebbe  trasformato la sua esistenza: mettere un’inserzione sulla rivista locale, descrivendo le caratteristiche del coinquilino che stava cercando. Specificò che si sarebbe dovuta trattare di una permanenza di poco tempo, non voleva impicci, semplicemente capiva di aver bisogno di un aiuto per qualche tempo.
Fu così che una mattina alla sua porta bussò Takuya, un ragazzo giapponese dai capelli tinti di biondo, che in quel periodo stava viaggiando per il mondo ed aveva deciso che Seoul sarebbe stata la sua ultima tappa prima di fare ritorno in patria. Takuya era intenzionato a restare per tre mesi, JoonJae non riuscì a rifiutare quando il ragazzo gli consegnò, ancor prima di presentarsi, la busta contenente i soldi necessari per l’affitto.


Da quel giorno ebbe inizio la loro coabitazione, Takuya era un ragazzo allegro che amava parlare, raccontare qualunque cosa, esprimere a voce alta i suoi pensieri. Caratterialmente era l’esatto opposto di JoonJae, però la sua compagnia era piacevole poiché si trattava di un ragazzo educato, con tanta voglia di darsi da fare e soprattutto di instaurare buoni rapporti. Già da quella sera iniziò a riordinare l’appartamento, grazie a lui il pavimento in parquet fu nuovamente visibile e non più sommerso da ogni sorta di scartoffia. JoonJae non ricordava di avere una casa talmente ordinata almeno da quando era adolescente e viveva ancora con sua madre, molto pignola nelle pulizie.
-Questa sera ti faccio assaggiare la cucina giapponese. – annunciò Takuya, gridando dalla cucina, in modo che JoonJae seduto in salotto potesse udirlo.
Aprì la credenza della cucina, esaminando le spezie e gli aromi di cui era rifornita. Poi dal frigorifero tirò fuori gli ingredienti necessari per preparare una zuppa di miso e del pesce in tempura. Sentendo il rumore dell’olio che sfrigolava nella pentola JoonJae si alzò dal divano, dirigendosi in cucina per vedere se il ragazzo se la stesse cavando bene.
Takuya aveva indossato il grembiule da cucina, allacciandoselo ben stretto in vita. Aveva movimenti esperti in cucina, sembrava che fosse abituato a cavarsela da solo, riusciva a tenere d’occhio tutto quanto, senza creare disordine o bruciare qualcosa. JoonJae si mise a sedere sul ripiano vicino alla tv, Takuya gli dava le spalle, tutto intento nel terminare la cena. Era un ragazzo davvero alto, forse di un paio di centimetri in più dello stesso JoonJae. Era molto magro e slanciato, con delle spalle ampie che facevano presupporre tenesse molto al suo aspetto fisico.


-Non ti ho ancora chiesto quanti anni hai, Takuya. – esordì JoonJae, sentendo l’odore di frittura invadere la cucina.


-Ah, è vero. – sentenziò Takuya, con un gran sorriso. Gli veniva spontaneo sorridere, qualsiasi cosa dicesse. E quando sorrideva tutto il viso sembrava sorridere con lui, la splendida dentatura bianca, inoltre, si faceva notare tra le labbra distese. – Ne ho ventuno e tu, JoonJae? –


-Ventitré. –


-Ahh, sei più grande di me, dovrò portare rispetto. –
Entrambi i ragazzi risero, il sorriso di JoonJae aveva qualcosa di misteriosamente affascinante, emanava una felicità composta che non si faceva notare spesso.
-Sai, è tanto che non cucinavo giapponese. Ho viaggiato molto per un anno intero, sono stato persino in Europa e chiunque conoscessi aveva dei pregiudizi sulla cucina giapponese, nessuno voleva assaggiarla. Così mi sono adattato ed ho imparato a cucinare come facevano in tutte le città in cui sono stato. Però la cucina giapponese mi è mancata sul serio. – mentre parlava Takuya sembrava che stesse dialogando con sé stesso. I due avevano apparecchiato la tavola ed ora sedevano condividendo quello che il ragazzo aveva cucinato. Era tutto delizioso, anche se non aveva proprio l’aspetto di cibo da ristorante. Ma JoonJae era ugualmente colpito, il  massimo che lui sapeva fare in cucina era mettere a scaldare i surgelati nel microonde. – Sono sorpreso che tu mi abbia accettato come coinquilino, devo ammetterlo. Qui in Corea evito di dire da dove provengo, se rivelo la mia nazionalità non mi guardano di buon occhio. Per fortuna ho un aspetto che tradisce abbastanza le mie origini, non credi? Non mi piace essere giudicato per il luogo da cui provengo, lo trovo ingiusto e soprattutto insopportabile. Prima di trovare questo appartamento ne ho contattati molti altri, però appena dicevo di essere giapponese mi chiudevano il telefono in faccia, credevo che lo avresti fatto anche tu. Mi sono presentato di persona cosicché ti fosse un po’ più difficile rifiutarmi, come tattica sembra aver funzionato. –


-Non mi importa molto da dove provieni. – ammise JoonJae sollevando leggermente le bacchette mentre parlava. – Hai tutte le caratteristiche che avevo richiesto nell’inserzione, questo basta. –


Allora Takuya sorrise di nuovo, aveva il sorriso limpido di un bambino. In quel momento JoonJae notò per la prima volta il neo che aveva poco sotto il lato destro del labbro, era abbastanza evidente, come aveva fatto  a non notarlo fino ad allora? Comunque lo caratterizzava, donava al suo viso qualcosa di contraddittorio che suscitava tutto il suo interesse e la sua curiosità.


-Beh, questo è un buon segno! Siamo fatti per essere amici, JoonJae. –


Il ragazzo annuì, lasciandosi convincere da quell’affermazione, in fondo non aveva nulla da obiettare.


Era la prima sera per Takuya in quell’appartamento, perciò non aveva ancora una sua stanza. Lasciarlo dormire sul pavimento sarebbe stato alquanto scortese, per questa motivazione JoonJae acconsentì all’idea di dormire nello stesso letto. JoonJae amava ogni sorta di confort, per questo il suo letto era ad una piazza e mezzo, spazioso e funzionale. Stare in due su quel materasso li avrebbe fatti stare comodi entrambi.
Takuya per la notte aveva tenuto in dosso i boxer, lunghi fin poco sopra il ginocchio, ed una t-shirt a maniche corte. JoonJae ,invece, aveva indossato i pantaloni della tuta ed una maglia accollata a righe bianche e nere. I due si sdraiarono l’uno di fianco all’altro, Takuya fu il primo ad augurare la buonanotte, prima in giapponese, poi in coreano, JoonJae rispose con un semplice “notte” poiché non era molto abituato a salutare qualcuno prima di addormentarsi.
Takuya aveva un buon profumo, persino i suoi capelli conservavano l’odore dello shampoo. JoonJae non era abituato a condividere il letto con qualcuno, non gli piaceva dormire assieme alle persone, nemmeno la sua fidanzata si era mai fermata per la notte. Dormire con qualcuno in una relazione sembrava mostrare il desiderio di farla diventare troppo seria e lui non voleva correre il rischio di far recepire un messaggio che non era intenzionato a comunicare.  Con quella ragazza selezionava il comportamento da adottare molto attentamente, per evitare di cadere in simili errori, se c’era qualcosa che non sopportava erano i fraintendimenti.
Nonostante entrambi si fossero augurati la buonanotte da diversi minuti, JoonJae non riusciva  ancora a chiudere occhio, aveva bisogno di qualche riflessione non troppo impegnativa per tenere occupata la mente e lasciarla assopire gradualmente. Provò, perciò,  a pensare ai luoghi che il ragazzo sdraiato al suo fianco aveva detto di aver visitato in completa solitudine, portandosi dietro una semplice valigia ed una borsa da campeggio. L’Europa JoonJae l’aveva vista solamente sulle enciclopedie e sulle riviste, non poteva nemmeno immaginare che odore si potesse respirare nelle capitali europee, quale potesse essere la loro reale atmosfera e che effetto facesse percorrere quelle strade, osservare  monumenti appartenenti ad una cultura tanto distante. Concentrandosi, però , riusciva ad immaginare persone che dialogavano in francese, riusciva persino a visualizzare l’interno di una pizzeria napoletana, sapeva lavorare molto con l’immaginazione, per sua fortuna. Non si era mai mosso dalla città in cui era nato, non aveva mai preso un aereo, non si era mai mostrato interessato all’estero o ai viaggi, solamente grazie alla sua fervida immaginazione poteva spingersi un po’ più oltre e non avere timore di allontanarsi da casa. La vicinanza di Takuya, però,  quell’incontro inaspettato, gli avevano trasmesso la curiosità di un’avventura simile, molto più somigliante alla trama di un romanzo che ad un progetto reale di vita. Un anno era un periodo davvero lungo, nel quale si può raggiungere qualsiasi luogo si voglia e Takuya ci era riuscito. Chissà che profumi aveva respirato, che cibo aveva assaggiato e quali lingue aveva appreso. Per di più chissà perché aveva scelto la Corea come ultima tappa del suo viaggio. Quella decisione del tutto casuale aveva permesso loro di incontrarsi, grazie a quella decisione ora un ragazzo di nome Takuya dormiva al suo fianco ed i suoi capelli dorati brillavano anche a luci spente.
Era così strano veder vivere una persona al suo fianco, sentire il suo respiro così vicino ed osservare le espressioni del suo viso mentre sognava. Takuya era lì con lui, chissà perché, chissà chi lo aveva deciso. E voleva essere suo amico, aveva detto che vi fossero tutte le caratteristiche per diventarlo.  Erano bastate quelle semplici parole, pronunciate con un enorme sorriso, per fargli capire che essere completamente solo non gli fosse mai piaciuto sul serio. Si era sempre sentito dimenticato dal mondo ed ora un pezzettino di mondo ce l’aveva di fianco. Non si sentiva più invisibile, capiva di star vivendo la sua vita, di non dover più soltanto sprecare tempo. Bastò una notte al suo fianco per apprendere tutte queste consapevolezze in un certo senso scontate ma che avrebbero tramutato il suo modo di vedere le cose, come se Takuya gli avesse trasmesso il potere di cambiare le lenti attraverso cui guardava la vita.
Quando si svegliò in piena notte i loro visi si erano fatti più vicini, il respiro di Takuya gli sfiorava la pelle, i suoi occhi erano pacificamente chiusi, le labbra rilassate. Era un bel ragazzo, dal carisma particolare. Aveva così tanta voglia di parlare e di farsi conoscere che in poco tempo aveva imparato il coreano, partendo dalle basi poiché non aveva mai saputo leggere nemmeno l’alfabeto. Era invidiabile tanta forza di volontà, JoonJae non l’aveva mai posseduta, sperava che Takuya potesse trasmettergliene almeno un po’.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** We are together ***






La loro convivenza era iniziata davvero bene e continuò anche meglio. In pochi giorni acquisirono più confidenza, giocavano insieme alla Play Station, facevano le pulizie di casa dividendosi i compiti, cucinavano a turni. JoonJae si impegnava per parlare un po’ di più e con Takuya gli argomenti non mancavano mai. Sapeva parlare perfettamente sia dei suoi progetti per il futuro, che dei programmi che aveva guardato in tv, che del suo piatto o colore preferito. Anche se alle volte non ricordava le parole esatte da utilizzare sapeva farsi comprendere, raggirando l’ostacolo. JoonJae non ricordava di condividere tanti momenti con qualcuno almeno da quando faceva le scuole medie e trascorreva l’intera giornata con gli amici di scuola.

-JoonJae, non hai un lavoro? – gli domandò dopo qualche giorno Takuya, tutto intento nel pulire per terra.

-No, non ce l’ho. Non so ancora che cosa mi piacerebbe fare.-

-Ahh… è perché vuoi decidere bene. E te ne stai tutto il giorno qui chiuso in casa? Non esci mai? –

-Non mi piace la confusione. –
Takuya sorrise ancora, anche se lo faceva così spesso era difficile abituarsi.

-Allora Tokyo non sarebbe proprio la città per te. È sempre affollata, non ti piacerebbe prendere la metropolitana alle ore di punta! –
JoonJae provò ad immaginarsi la scena, no, non gli sarebbe piaciuto affatto trovarsi tra tantissima gente, compresso tra una folla di persone sconosciute, tutte con il desiderio di allontanarsi frettolosamente ed impossibilitate a farlo. La sola idea gli faceva mancare il fiato.

-Hai ragione, non mi piacerebbe.-

Takuya era sdraiato a terra, intento nel passare lo straccio bagnato sul pavimento, voleva sempre farlo brillare, preferiva pulire in modo tradizionale, in modo da essere ancora più soddisfatto del risultato. Fin da ragazzino i genitori gli avevano insegnato a tenere in rodine la casa, ormai ci riusciva senza nemmeno pensarci, era diventata un’abitudine imprescindibile, quasi quanto mangiare o fare stretching appena sveglio .

-Io a Tokyo ho fatto parte di un gruppo per un po’ ma non era una cosa importante. Però suonare mi piace. A scuola avevo una band, facevamo una musica talmente brutta… eppure alle ragazze piaceva. –

-Immagino – disse JoonJae, anche se non riusciva a visualizzare Takuya da ragazzino. Di sicuro anche a quei tempi doveva avere molto successo con le ragazze.

-Tu a scuola com’eri JoonJae? –

-Normale… non avevo voti molto alti. –

-Dovevi essere un ragazzo solitario come adesso, non è vero? – mentre lo chiedeva rise ancora, per lui il carattere del coinquilino non era poi così male, si adattava ad ogni situazione e poi riusciva comunque a sostenere dei discorsi che gli piacevano, anche se l’altro non parlava molto. Inoltre aveva accettato subito di vivere insieme quindi non c’era motivazione di lamentarsi.

-Direi di si, non sono mai cambiato. –
Un pomeriggio i due uscirono per andare a fare al spesa insieme. In casa mancavano sempre le verdure, per trovare le migliori sarebbe stato meglio andare al mercato. JoonJae, come si poteva facilmente immaginare, non era abituato a quel genere di compere mentre Takuya era bravissimo nel contrattare i prezzi di qualsiasi cosa. I colori degli ortaggi erano splendidi e sgargianti, la strada era invasa dal buonissimo odore di frutta e verdura. Alcune bancarelle vendevano anche spremute di frutta fresca, Takuya continuava a guardarsi attorno con aria allegra, si elettrizzava anche per i momenti più semplici, per i dettagli apparentemente più insignificanti. Probabilmente non si trovava in un mercato come quello da tantissimo tempo, anche JoonJae si era lasciato trascinare dall’euforia del momento, guardandosi attorno come se non avesse mai ammirato una scena come quella.

-Guarda, JoonJae, il cibo di strada! – annunciò Takuya indicando una bancarella che vendeva teobboki piccante. I due si fermarono a mangiare, Takuya diceva di non aver ancora mai mangiato lo street food coreano e JoonJae voleva fargli assaggiare solamente il cibo più buono. Era così piccante e bollente che ad entrambi veniva da tossire, ma il pranzo non poteva essere completo se non con un sorso di soju, il tipico liquore coreano. Era davvero molto forte, soprattutto per chi non era abituato a bere liquori durante il pranzo.
-Takuya, questo devi berlo in un sol sorso. Mi raccomando, è tradizione! – spiegò JoonJae da grande esperto di bevute quale era.
-Ah… in un sorso solo…-
-Si, one shot. –
JoonJae gli riempì il bicchierino di liquore trasparente dall’odore molto forte che dal naso arrivava dritto al cervello, stordendo per qualche attimo il senso dell’olfatto.
-One shot. – disse a sua volta Takuya prima di mandare giù tutto d’un sorso quella quantità abbastanza consistente di liquore che immediatamente gli bruciò al centro del petto.
Il pomeriggio continuò al super mercato dove Takuya si mostrava entusiasta di fronte ad ogni sorta di merendina che non conoscesse. Alla fine ebbero riempito il carrello di schifezze, cibo liofilizzato e qualche biscotto giapponese, giusto quelli più venduti anche all’estero.
-JoonJae, guarda! Devi assolutamente provare la birra giapponese! – rise Takuya prendendo qualche lattina con i fiori di ciliegio disegnati sopra ed infilandole immediatamente nel carrello.

Quella stessa sera nell’appartamento 709 ci fu una festa improvvisata, con la tv accesa sui programmi comici della notte, i pacchetti di patatine e caramelle aperti e sparsi a terra e fiumi di birra giapponese. Era da molto passata la mezzanotte ed i due ragazzi non sembravano essere più molto sobri. Bevendo avevano chiacchierato del più e del meno, Takuya aveva parlato di come fosse il Giappone e di quanto fosse stato difficile apprendere il coreano, soprattutto all’inizio. JoonJae lo aveva  ascoltato attentamente, con un lieve sorriso sul volto, gli piaceva sentirlo raccontare, avrebbe lasciato parlare lui anche per tutta la notte. Quando Takuya si lanciava nella narrazione di eventi ed aneddoti, JoonJae sentiva di poterli visualizzare perfettamente, come se le sue parole avessero la capacità di plasmare immagini, odori ed atmosfere, non aveva mai incontrato nessuno con un talento simile, ogni volta ne restava profondamente colpito.
-Avevi ragione, è buona… - sentenziò JoonJae quando ormai non vi era rimasto nemmeno più un sorso di birra in casa. Aveva un’espressione stranamente allegra stampata sul volto, una che generalmente il suo viso sembrava non poter nemmeno emulare.
-JoonJae… mi fa male la testa. – si lamentò Takuya massaggiandosi la tempia. Entrambi erano inginocchiati sul tappeto, con la schiena contro il sofà. – Non sono abituato… - continuò a farfugliare, non aveva mai bevuto così tanto in vita sua e non aveva mai provato i sintomi della sbornia, ne aveva sempre sentito solamente parlare. Provò ad alzarsi, nelle sue intenzioni c’era quella di andare ad infilarsi il pigiama ma tutto quel che riuscì a fare fu ricadere in ginocchio, con la fronte contro la spalla del ragazzo.
-Takuya, ti senti bene? – borbottò JoonJae che non aveva mai avuto il ragazzo così vicino. Gli mise la mano sulla spalla, aveva seriamente timore che si addormentasse all’improvviso, facendosi male.
 -Ah… JoonJae… - continuò a lamentarsi il ragazzo, sfiorandosi nuovamente la fronte con le dita, scostando i folti capelli biondi dal viso.
-Abbiamo esagerato. Dai, ti accompagno a dormire. –
Il maggiore provò a prenderlo per le spalle, facendogli sollevare la schiena in modo che respirasse a fondo e si sentisse leggermente meglio. Takuya tirò la testa all’indietro, posando la nuca contro il cuscino del divano. Fortunatamente il salotto era una stanza abbastanza arieggiata il che avrebbe contribuito a farlo sentire un po’ meno stordito. Prese respiri profondi restando in silenzio, in realtà gli girava la testa e non riusciva a visualizzare bene nemmeno il lampadario sul soffitto. Aveva sempre avuto un esagerato autocontrollo, non era mai riuscito a bere fino a raggiungere il limite però questa volta era tutto preso da quei discorsi, non aveva nemmeno pensato alla necessità di trattenersi.
-Ti senti meglio? – continuò a domandare JoonJae che dal canto suo era abbastanza abituato a quel genere di bevute ed ormai non gli facevano particolare effetto.
Takuya per un po’ non rispose, le sue labbra restarono distese, le palpebre chiuse. Sembrava che stesse ragionando su qualcosa di molto importante ma JoonJae non era sicuro che fosse così davvero. Il pomeriggio trascorso insieme era stato divertente, la sua compagnia gli permetteva di allontanare il cattivo umore e di sentirsi improvvisamente pieno di energie. Non aveva un amico che potesse definirsi tale da molti anni, per varie ragioni molte persone avevano finito per allontanarsi da lui e sicuramente gran parte della colpa era stata sua. Ma Takuya sembrava rappresentare l’occasione giusta per modificare il corso degli eventi, per infondergli un po’ più di fiducia negli altri.
-JoonJae… perché oggi le persone non facevano altro che guardarci? Quando eravamo in giro… ci guardavano come se… facessimo qualcosa di sbagliato. – sussurrò Takuya dopo aver deglutito. – Siamo due ragazzi che abitano insieme… tanti lo fanno, no? –
JoonJae non aveva prestato attenzione  a quello che Takuya stava dicendo, non se ne era nemmeno accorto. Per tutto il tempo mentre facevano compere insieme era stato concentrato su un’unica persona, senza pensare minimamente ad altro.
-Ti sarai sbagliato, non preoccuparti. –
Takuya chiuse nuovamente gli occhi, sospirando leggermente.
-Meglio se vai a dormire, bere ti rende troppo pensieroso. Dai, dammi la mano. – JoonJae si alzò in piedi, lasciare il ragazzo farneticare in quel modo non era di certo la scelta migliore. In piedi di fronte a lui gli porse la mano in modo che potesse stringerla per alzarsi. Takuya aprì lentamente gli occhi, guardò la mano del suo amico, aveva delle belle dita, lunghe ed affusolate, anche le unghie avevano una bella forma e non erano troppo corte. Gli venne da sorridere. Alla fine si alzò da solo, posando le mani a terra per aiutarsi, poi camminò lentamente lungo il corridoio,  fino a scomparire all’interno della sua stanza. JoonJae infilò la mano in tasca, nessuno l’aveva stretta, il suo aiuto era stato evitato senza ulteriori spiegazioni. Non riuscì nemmeno a capire perché quell’atteggiamento lo avesse tanto colpito ed ora lo rendesse così malinconico.

Il suo telefono improvvisamente vibrò, era posato sopra il tavolino di fronte al divano, la sua ragazza gli aveva mandato un messaggio dove gli proponeva di vedersi il giorno seguente ma lui non rispose, non aveva voglia di pensare a lei.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Why? ***






La stanza di Takuya non era molto grande poiché era stato ritagliato in una stanza che prima JoonJae utilizzava come studio. Però erano convinti che con un po’ di attenzione nell’arredarla sarebbe stata accogliente. Da qualche giorno avevano acquistato il letto e la cassettiera, ora non restava altro da fare che verniciare le pareti. Muniti di fogli di giornale, tintura e pennelli iniziarono a darsi da fare, anche se nessuno dei due aveva esperienza in questo genere di operazioni. Takuya aveva scelto un bianco per le pareti, in modo che l’intera stanza risultasse più luminosa. Si erano impegnati molto perché quel lavoro riuscisse alla perfezione, nel pomeriggio entrambi i ragazzi avevano macchie di vernice bianca sul viso, Takuya sulla guancia e JoonJae sul mento.

-JoonJae, ti sei macchiato! – rise Takuya, sedendosi a terra per ammirare il lavoro che aveva compiuto sulla parte bassa della parete, gli ci voleva una piccola pausa prima di proseguire.
JoonJae si voltò, sfiorandosi il viso con le dita. – Ridi solamente perché non ti sei visto. – scherzò a sua volta, avvicinandosi al ragazzo rimasto seduto. Con il pennello ancora stretto in mano, gli disegnò una sottile linea sulla punta del naso.
Gli occhi di Takuya erano fissi su di lui, il suo volto era illuminato da uno splendido sorriso che in  JoonJae era ancora capace di infondere sensazioni discordanti.
-JoonJae, devi avvicinarti, mi devo vendicare. – sussurrò Takuya, mentre il sorriso che fino a poco prima aveva indossato con disinvoltura si tramutava in un’espressione furba.
Neanche uno stupido si sarebbe avvicinato sapendo di star per ricevere una vendetta a suon di vernice eppure JoonJae si fece più vicino, inginocchiandosi proprio di fronte al coinquilino. Takuya lo osservò attentamente, come se stesse considerando diverse ipotesi prima di agire. Posò la mano contro il suo viso, le sue dita aderirono perfettamente alla guancia di JoonJae che sussultò con espressione confusa. Perché Takuya lo stava sfiorando in quel modo? Gli si strinse lo stomaco, alcuni brividi gli percorsero la schiena e si sentì così idiota a non avere reazioni, riuscì solamente a chiudere istintivamente gli occhi. Senza alcun preavviso sentì qualcosa di fresco sfiorargli il viso, adagiarsi contro la sua pelle, dalla guancia fino al mento. Quando riaprì gli occhi si accorse che Takuya gli stesse verniciando il viso, con espressione estremamente divertita. Intanto continuava ad avere le dita posate sull’altra guancia, il che impediva a JoonJae di rilassarsi e comportarsi come se nulla fosse.
-Ti dona la  vernice. –
JoonJae cercò di dissimulare le sue sensazioni sforzandosi di ridere, anche se in realtà si sentiva come se stesse per rimettere. Si alzò in piedi di scatto.
-Devo pulirmi… prima che si secchi. – disse solamente, prima di chiudersi in bagno.
 

Erano quasi due settimane e mezzo che i due vivevano insieme quando JoonJae iniziò a comprendere che la convivenza con Takuya stesse in qualche modo iniziando a scombussolare la sua esistenza. Erano stati piccoli segnali a farglielo comprendere, soprattutto dettati dal proprio organismo, che reagiva in maniera inusuale di fronte alle attenzioni del ragazzo. Però continuava a convincersi che fosse la sua proverbiale timidezza a rendergli difficile anche i rapporti più naturali. Per un po’ questa scusa sembrò bastargli, convinto di dover superare gli ostacoli imposti dal suo brutto carattere non diede ascolto alla voce dentro di lui che gli suggeriva messaggi che non riusciva a comprendere fino in fondo. Lui e Takuya continuarono a fare compere insieme, a condividere gran parte della loro giornata in maniera semplice. Non si parlavano solamente quando Takuya si ritirava nella sua stanza per studiare. Aveva lasciato l’università per intraprendere quei viaggi, ma aveva ancora molti esami da dare, una volta tornato a Tokyo avrebbe dovuto concludere quello che aveva lasciato a metà.
Studiava per diventare giudice, non aveva saputo ben spiegare a JoonJae da dove fosse nata quella passione per la legge, semplicemente era da sempre stata insita in lui ed una volta diventato adulto aveva deciso di intraprendere quella strada. Studiava dei libri molto spessi, nei quali parole giapponesi e ideogrammi si susseguivano in maniera quasi infinita, stampati fitti su tutte le pagine. Alle volte Takuya ripeteva a voce alta, peccato che JoonJae non riuscisse a comprendere nemmeno una parola. Però il suo modo di fare era convincente, riusciva ad attirare l’attenzione e a tenerla salda sulle sue labbra che si muovevano scandendo suoni complessi, addentrandosi nei meandri di una legislatura che JoonJae non riusciva nemmeno ad immaginare.
Si era portato in giro per il mondo tutti quei volumi, li aveva letti durante i viaggi più lunghi assimilando tutto quello che vi era scritto, come se si trattasse del romanzo più avvincente che avesse mai letto. Tanto interesse era sorprendente ed ammirevole, soprattutto agli occhi di JoonJae che all’università non ci si era nemmeno mai avvicinato. Non era un ragazzo stupido né trovava che lo studio fosse poco importante, semplicemente non si era mai sentito accettato o ben inserito nelle classi che aveva frequentato, queste brutte esperienze avevano condizionato le decisioni a proposito del suo futuro in maniera inevitabile. Prima o poi avrebbe capito per che cosa fosse portato ed avrebbe dato una svolta al suo modo di vivere, peccato che non fosse ancora arrivato il momento.

Appena sveglio era uscito per comprare qualche rivista all’edicola sotto casa ed aveva visto esposta una guida turistica per diverse località coreane ed anche qualcuna straniera, tra di esse vi era persino il Giappone. Non riuscì a resistere alla tentazione di acquistarlo, magari quello era il modo più adatto a lui per viaggiare, sfogliare pagine dense di fotografie di luoghi che probabilmente non avrebbe mai raggiunto sul serio.
Tornato a casa prese a sfogliarlo, ammirando i luoghi di cui si parlava. In quel momento dalla sua stanza uscì Takuya, con gli occhi leggermente arrossati per la troppa lettura e l’aria un po’ stanca, magari aveva proprio voglia di distrarsi.  Si versò un bicchier d’acqua e lo mandò giù di fretta, sentendosi immediatamente meglio, poi andò a sedersi di fianco a JoonJae.
-Takuya… mi dici quali sono i luoghi più belli di Tokyo? – gli domandò dopo avergli mostrato la guida che aveva da poco acquistato.
-Perché? Hai intenzione di andare a Tokyo, JoonJae? –
-No, no, l’hai detto anche tu che non è il posto per me. Però sono curioso. –
Takuya prese tra le mani la guida ed iniziò a sfogliarla incuriosito. Aveva viaggiato per il mondo, vedendo un numero incalcolabile di città, paesini sconosciuti. Ma Tokyo occupava sempre un posto speciale nel suo cuore e soprattutto nelle sue memorie. Era la città in cui era cresciuto, in cui aveva scoperto in che modo si diventa adulti. A Tokyo era venuto al mondo e sempre lì aveva iniziato a muovere i primi passi fino a saper correre per quegli immensi parchi d’erba meravigliosa. A Tokyo aveva imparato a leggere le insegne dei negozi, a contare gli Yen, aveva assaggiato per la prima volta il cibo piccante, aveva pianto per il primo amore e dato il suo primo bacio. Nessuna città, per quanto meravigliosa e suggestiva avrebbe potuto sostituirla.

-Hai mai sentito parlare di Odaiba? È un’isola artificiale, davvero meravigliosa. C’è un ponte gigantesco che tutti chiamano “il ponte arcobaleno” e… se di giorno è incantevole, di sera diventa speciale, illuminato da migliaia di luci. – mentre Takuya parlava della sua città gli si illuminavano gli occhi, il suo sguardo andava a focalizzarsi molto più lontano di dove si trovavano adesso, sembravano poter raggiungere qualsiasi luogo volesse semplicemente focalizzandolo, proprio di fronte a sé. JoonJae iniziò a non ascoltare più le sue parole ma a concentrare la sua attenzione solamente su quel modo di fare, su quel sorriso che nasceva sulle sue labbra mentre illustrava ogni singolo particolare di quell’isola. – E ad Odaiba c’è un posticino che cucina dell’okonomiyaki delizioso, mi piacerebbe davvero fartelo assaggiare. E mangiare mentre ci affacciamo dal ponte ed osserviamo l’acqua scura dove si specchia tutta la città. Non ti sembra favoloso, JoonJae? –
-Favoloso davvero. – ammise con un sorriso, osservando l’immagine sulla guida che ritraeva il ponte, bianco, altissimo. Non aveva nemmeno mai sentito parlare di quel luogo e prima di allora non ne conosceva nemmeno l’esistenza ma grazie alle parole di Takuya adesso riusciva ad immaginarselo in ogni particolare.
    


Una mattina JoonJae ricevette un messaggio dalla sua fidanzata, chiedeva insistentemente di incontrarlo, il ragazzo si era persino dimenticando che si stesse avvicinando il suo compleanno, il giorno seguente avrebbe compiuto ventiquattro anni. Acconsentì questa volta, si sarebbero visti in centro, di sera, passata l’ora di cena. Takuya era chiuso nella sua stanza a studiare, diceva che la mattina gli riuscisse molto meglio memorizzare tanti concetti. Allora il ragazzo ne approfittò per fare la doccia e successivamente per preparare il pranzo.
-Mh, JoonJae, oggi hai cucinato bene, sai? – si complimentò Takuya, bevendo qualche sorso d’acqua.
-Perché era semplice da preparare. –
-Sarà… però mi piace. Ma come mai mangi così poco? In confronto mi sento un vero ingordo. Non hai fame?  -
Non si aspettava una domanda simile, non aveva nemmeno fatto caso al fatto che in vista dell’incontro di quella sera sentisse l’appetito scemare. Non sapeva nemmeno del perché di quella reazione, ultimamente non riusciva più a comprendere il suo corpo, sembrava che agisse di volontà propria.
-Non c’è un motivo… sto bene così. –
Rispose semplicemente, accennando un sorriso per evitare che l’amico si preoccupasse.

Nel pomeriggio JoonJae decise di sdraiarsi un po’ sul divano, cercando qualcosa da comprare su internet. Su quei siti dove vendono ogni sorta di cianfrusaglia poteva perdersi anche per ore, non sapeva nemmeno da che cosa dipendesse quell’attrazione per gli oggetti inutili. Taukya era seduto a terra con la schiena contro il divano, stava sfogliando una rivista, di quelle che distribuiscono gratuitamente alla stazione. Per un po’ non si parlarono, concentrati in quel che stavano facendo. Verso le cinque Takuya si alzò per andare in cucina. Non era una stanza molto grande, era stata ritagliata in un angolo del salotto ed era composta dagli elettrodomestici essenziali, non proprio di ultima generazione ma piuttosto datati di almeno tre o quattro anni, però aveva il vantaggio di essere a suo modo accogliente. Aprì l’anta della dispensa, dopo una minuziosa ricerca sembrò non trovare quello che gli servisse.
-JoonJae, il ginseng è finito? – domandò continuando a cercare, gli capitava spesso di non trovare qualcosa anche se era proprio di fronte ai suoi occhi e voleva evitare che anche in questa circostanza fosse così.
-Si, non lo compro da un bel po’. – ammise JoonJae sollevando lo sguardo dallo schermo del suo cellulare, parlando a voce un po’ più alta del normale in modo che l’altro potesse sentirlo. – Ma a che ti serve? –
Nonostante fosse una produzione nazionale il ginseng era comunque piuttosto costoso e JoonJae evitava di comprarlo, a meno che non fosse strettamente necessario. Takuya si massaggiò leggermente la tempia, stringendo le labbra.
-Non importa… esco a comprarlo. – dissimulò con il suo immancabile sorriso. Quando il ragazzo tornò in salotto per potersi infilare le scarpe, JoonJae approfittò dell’occasione per osservarlo più attentamente e verificare che stesse bene. In effetti era un po’ pallido ed aveva gli occhi leggermente lucidi, questo dimostrava che le sue condizioni fisiche non fossero al massimo.
-Lascia stare, vado io, tanto non ho nulla da fare. Siediti un po’. – gli disse alzandosi immediatamente in piedi, prima che Takuya potesse in qualche modo ribattere. Aveva i vestiti da casa in dosso e fra poco sarebbe stato meglio iniziare a prepararsi per la serata ma non diede importanza a nessuna delle due cose, si infilò scarpe e giubbotto ed uscì di casa.

La primavera si stava lasciando attendere, per strada la temperatura era ancora piuttosto bassa, andare in giro senza qualcosa con cui proteggersi dalle follate di vento era l’ottimo modo per prendersi un malanno. Stretto nel suo giubbotto JoonJae raggiunse l’erboristeria a tre isolati di distanza, un genere di negozi che generalmente non frequentava ed in cui non si sentiva particolarmente a proprio agio. Comprò una scatola di ginseng, la più costosa in negozio, in modo che Takuya l’avesse a disposizione ogni volta che ne avesse bisogno. Si era istintivamente preoccupato per le sue condizioni di salute anche se certamente si trattava di qualcosa di banale come un raffreddore. Non aveva mai comprato qualcosa di tanto importante per qualcuno, non voleva correre il rischio per fare errori, quindi continuò a fare domande alla commessa, sia sull’efficacia della radice, che sul modo in cui somministrarla. Quando ebbe appreso tutto quello che c’era da sapere sul ginseng, fece ritorno a casa, camminando piuttosto in fretta per evitare di ritardare.

Nel frattempo Takuya si era sdraiato sul divano, proprio come JoonJae gli aveva detto di fare. Non gli capitava spesso di ammalarsi poiché aveva delle difese immunitarie piuttosto forti, perciò quelle poche volte in cui accadeva si sentiva molto debole e  non sapeva bene che cosa fare per sentirsi meglio. Si distrasse osservando il soffitto, pensando che nei prossimi giorni sarebbe stato meglio telefonare ai suoi genitori per dire loro che stava bene e avrebbe fatto ritorno a casa nel giro di un paio di mesi.
Era assorto nei suoi pensieri quando sentì un rumore piuttosto strano, si voltò e capì che il telefono di JoonJae stesse squillando, era uscito così di fretta da averlo lasciato sul tavolino del salotto. Il ragazzo si sporse un po’, pensando a che cosa poter fare, ormai il coinquilino era via da un po’, sarebbe tornato piuttosto presto. Fu in quel momento che vide campeggiare sullo schermo del telefonino la scritta “Tesoro” ed il messaggio “ Sono impaziente per questa sera”. Takuya non avrebbe voluto impicciarsi in questo modo negli affari dell’amico, non era colpa sua se una volta arrivato l’anteprima del messaggio lo mostrava per intero. Dovette ammettere, però, che fosse rimasto piuttosto sorpreso nello scoprire che JoonJae avesse una ragazza e non gliene avesse mai parlato. Al posto suo lo avrebbe detto senza problemi, non capiva perché tenerlo nascosto, iniziò a pensare che la motivazione fosse che era estremamente riservato.

Trascorsero dieci minuti prima che JoonJae facesse ritorno, tra le dita divenute insensibili per il freddo teneva stretta la bustina con all’interno il ginseng. Takuya si alzò immediatamente in piedi appena lo vide arrivare, ma JoonJae non perse tempo nemmeno nel salutarlo, entrò in cucina ed iniziò a preparare un bel thè caldo, esattamente come la commessa dell’erboristeria gli aveva consigliato di fare. Mentre l’acqua bolliva si sfregò le mani, cercando di riscaldarle prima di mettersi a tagliare a fettine la radice.
-JoonJae, tranquillo, ci penso io. – provò a proporre il ragazzo biondo ma tale proposta non venne nemmeno ascoltata dall’altro che continuò la sua operazione senza distrarsi nemmeno per un istante.
-Ti piace forte il thé? Ci riesci a berlo? –
-Si… -
-Bene, mettiti a sedere. –
Takuya annuì leggermente, scostando la sedia per accomodarcisi sopra. Da quella posizione poteva guardare la schiena ampia del ragazzo, mentre continuava a tagliare a fettine quello che aveva comprato. Fin da molto piccolo si era abituato a prendersi cura di se stesso da solo, la sua famiglia lo adorava ma i suoi genitori avevano sempre avuto molto lavoro, per questo aveva imparato molto presto ad essere indipendente. Adesso quel ragazzo si stava impegnando per farlo sentire meglio, anche se c’era una ragazza che lo stava aspettando e chissà che programmi avevano per la serata.
-JoonJae… hai una ragazza, non è vero? –
Sentendo quella domanda la schiena del ragazzo si fece rigida, si voltò piano verso l’altro, senza sapere bene che cosa rispondere. Non sapeva la motivazione ma non voleva parlargli di lei, non voleva renderlo partecipe di quella relazione che di giusto aveva ben poco e di cui, in fondo, si vergognava. Perché Takuya aveva sempre avuto una buona idea di lui ed invece nella realtà non era un bravo ragazzo come tanto voleva dare a vedere, aveva mandato a monte tutti i suoi principi.
-Ah fai il timido anche su queste cose! – rise Takuya, alzandosi in piedi per toccargli la spalla. – Su, vai a prepararti, sto bene. L’acqua sta quasi per bollire, posso finire io. Devi farti bello per questa sera, non vuoi mica farti vedere tutto spettinato! – cercò di convincerlo con l’espressione più allegra che gli riuscisse. Siccome JoonJae non dava idea di volersi muovere di un passo, Takuya lo strinse per il polso, trascinandolo in camera da letto. Aprì l’anta dell’armadio dell’amico ed iniziò a rovistare alla ricerca di qualcosa di adatto per un appuntamento.
-Devi vestirti bene, alle ragazze piace. Sai, anche se state insieme mica puoi tralasciare certe cose! – continuò Takuya, ispezionando i vestiti singolarmente per poter selezionare i più adatti. Alla fine scelse  un paio di jeans aderenti ed una felpa bianca. – Ecco, JoonJae! Questi sono perfetti! – disse con entusiasmo, porgendoglieli.
JoonJae prese quegli indumenti tra le mani mentre Takuya lo trascinava verso il bagno. – Aspetta! – disse ancora, prima di porgergli un paio di boxer grigi. – Devi curare ogni dettaglio! – concluse prima di tornare in cucina.
JoonJae chiuso in bagno osservò i vestiti che Takuya aveva scelto per lui e per quell’appuntamento che avrebbe tanto voluto evitare. Chissà che storia romantica si immaginava, e lui si sentiva in colpa per non aver mai prestato tante attenzione a nessuna di quelle operazioni, né a come potesse apparire agli occhi di quella ragazza, non gliene era mai importato un accidenti. Fece una doccia e si infilò quegli abiti che gli donavano molto, facevano risaltare le sue gambe slanciate e sottili, le spalle ampie. Continuò a guardarsi riflesso nello specchio, sentendosi agitato come se stesse per recarsi in un luogo pericoloso, non capiva nemmeno perché reagisse in quel modo. Quasi si vergognava a dover guardare Takuya negli occhi prima di uscire.
Takuya era seduto al tavolo della cucina, con il suo thè al ginseng fumante di fronte. Aveva un’espressione assorta, come se stesse riflettendo su qualcosa di primaria importanza.
-Torno questa sera. – si limitò ad annunciare JoonJae, mentre infilava le scarpe.
-Stai molto bene vestito così, JoonJae. – si complimentò Takuya dopo averlo osservato attentamente. –Però abbottonala bene quella giacca! – si alzò in piedi, avvicinandosi al ragazzo che stava in piedi all’ingresso dell’appartamento. – L’hai abbottonata tutta storta. Sei così emozionato? – sul suo viso si andò a formare quel sorriso splendido, pieno di allegria e grazia, sorriso che fece sentire JoonJae ancora più strano. Sistemò i bottoni, allacciandoli per bene fin sotto al collo. JoonJae in quel breve lasso di tempo osservò il movimento delicato ed attento delle sue mani, quelle bellissime dita dall’aspetto curato. E poi c’era lo sguardo del ragazzo, completamente puntato su di lui. – Passa una bella serata, JoonJae. –
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Now I know why ***






Fuori faceva ancora più freddo, rispetto al pomeriggio la temperatura si era abbassata di almeno quattro gradi, quindi JoonJae impiegò parecchio tempo per raggiungere la stazione della metropolitana. Non aveva voglia di pensare, tenne la sua mente concentrata sul rumore dei suoi passi sull’asfalto, pur di non tornare a ripetersi nella mente i gesti e le parole di Takuya. Mentre attendeva la metropolitana respirò quell’aria bollente all’interno della stazione, domandandosi perché non avesse rifiutato quell’appuntamento che lo rendeva tanto nervoso. Forse quello era il suo modo di auto punirsi, per giustificare i sensi di colpa. Ecco perché non concludeva tutto, ecco perché semplicemente non diceva “ non voglio più continuare la nostra relazione”. Avrebbe dovuto capire che non ci si può punire per sempre, che prima o poi bisogna accettare i propri errori e porvi rimedio. Perché era così difficile per lui accettarlo?

Molte persone sul treno a quell’ora erano di ritorno a casa, indossavano completi da lavoro e ne approfittavano per chiudere gli occhi e riposare durante il tragitto. JoonJae pensava al ginseng, al fatto che avesse un odore strano e si chiedeva se avesse un sapore troppo cattivo. Chissà come si sentiva Takuya. E come aveva fatto a capire che quella sera si sarebbe incontrato con la sua ragazza?
Accompagnato da tutti questi interrogativi raggiunse l’hotel sede dell’incontro. Il realtà si trattava di un albergo a ore, costruito appositamente per quel tipo di incontri. Infatti non aveva un’atmosfera suggestiva o romantica, semplicemente era funzionale. All’ingresso JoonJae scelse la solita la stanza, prese le chiavi e salì fino al secondo piano con l’ascensore. Una volta in camera si tolse il giubbotto di dosso ed andò a rinfrescarsi il viso, passandosi l’acqua fredda sulle guance. Era ancora all’interno del bagno quando sentì la porta aprirsi.

-JoonJae, sei qui? – domandò la ragazza, entrando dentro la stanza, togliendosi a sua volta il giubbotto pesante di dosso.
-Si, si, sono arrivato da poco. – rispose lui con una voce che non gli sembrava nemmeno la sua.
Quando uscì dal bagno la ragazza si stava sistemando gli orecchini, minuscoli, di perle, che facevano appena brillare i lobi. Si era truccata in maniera pesante quella sera, sebbene indossasse ancora gli abiti che utilizzava per andare in università. Doveva essersi trattenuta a lezione fino a tardi questa volta e doveva essersi truccata in fretta e furia nel bagno prima di prendere la metropolitana. JoonJae pensava a figurarsi tutta la scena, piuttosto che a sfiorarla o a iniziare a spogliarsi.
-Perché mi guardi così? – domandò lei iniziando a sfilarsi di dosso il cardigan.
-Perché ti trovo molto bella. –
Lei sorrise maliziosamente e JoonJae pensò che sapesse mentire molto bene. In realtà non riusciva nemmeno a focalizzare il suo sguardo su di lei, sul suo corpo asciutto che lentamente andava scoprendosi. Aveva la testa da un’altra parte, il corpo insensibile al suo modo di sfiorarlo. Era alla deriva di se stesso, a migliaia di metri di lontananza dalla spiaggia, si stava perdendo su una zattera minuscola che alla prima mareggiata avrebbe ceduto. E lui sarebbe affondato, andando sempre più giù, facendo scivolare il suo corpo tra l’acqua gelida che non aveva più nemmeno il potere di farlo rabbrividire.
Le mani di lei erano sui suoi fianchi, il letto era scomodo, persino a starci seduto sentiva male alla schiena. Odiava quelle coperte, intrise dell’odore di qualche altro corpo, di persone che si erano unite segretamente, a luci soffuse. E lui per la prima volta si sentiva soffocare in quella stanza d’albergo dove fino ad allora non gli era importato un bel nulla di tutti quegli squallidi dettagli. Aveva pensato solamente a ciò di cui aveva bisogno nell’immediato, aveva riversato quei desideri carnali in una ragazza che conosceva a malapena e con cui non aveva mai neanche provato a parlare. Sapeva come funzionava il suo corpo, conosceva le espressioni del suo viso ma non sapeva nulla di lei, di ciò che albergava nella sua mente. Non sapeva nemmeno se fosse una persona con cui valesse la pena sostenere un discorso o se con lei ci si annoiava a morte. Non lo sapeva e si sentiva una pessima persona per questo.
-Per il tuo regalo di compleanno dovremmo aspettare la mezzanotte o lo vuoi adesso, eh? –
La sua voce gli arrivò a malapena alle orecchie, lo sguardo era fisso verso la finestra, fuori deboli fiocchi di neve iniziavano a cadere, nel giro di due ore si sarebbero completamente sciolti senza lasciare traccia. Uno spettacolo così bello aveva il potere di sparire davvero molto in fretta, che peccato. Chissà se Takuya aveva bevuto tutto il suo thè e se con quel freddo si stava coprendo. Chissà se gli era salita la febbre, poteva anche avere l’influenza ed allora era meglio prendere qualche medicina. Di sera la febbre è sempre più alta, non bisogna sottovalutarla. A quel pensiero chiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo.
-Scusami ma… mi sono ricordato di dover fare una cosa importante. – riuscì finalmente a tramutare i suoi pensieri in parole ma lei non sembrò avere intenzione di allontanarsi. Allora la scostò, non l’avrebbe convinto a restare, non così. Osservò la propria maglia scivolata a terra, pensò al momento in cui Takuya l’aveva stretta tra le mani ed ora era riversa su una moquette piena di fori di sigarette, lasciati da persone sconosciute e di cui non valeva la pena apprendere il vissuto. Continuò a pensare a quelle mani dalle dita sottili, a quei gesti delicati  e innocenti, sentiva come se avesse avuto il potere di sporcare ogni cosa, di contaminare il bianco candido di quel maglione con la propria sporcizia interiore. Rinfilò la maglia in fretta, indossò il giubbotto senza abbottonarlo.
-Hai intenzione di andartene così ? – gridò lei, sollevando la coperta fino al petto per ripararsi da uno sguardo che la conosceva fin troppo bene.
-Il regalo di compleanno… un’altra volta. Adesso non è ancora arrivato il momento... –
Si giustificò senza attendere oltre, scendendo in fretta le scale di quello squallido albergo da quattro soldi, correndo per le strade imbiancate da una neve destinata a restare per la durata di un sogno. L’ultimo treno della giornata stava per partire e JoonJae non aveva intenzione di perderlo. Adesso la carrozza era vuota e solamente lui poteva godersi quel rumore  provocato dal mezzo che con la sua corsa infrange l’aria, raggiungendo distanze che altrimenti lo avrebbero portato a trascorrere l’intera notte a correre, senza probabilmente riuscire a tornare a destinazione in tempo per essere salvato.

Era scoccata la mezzanotte, era il suo compleanno e JoonJae stava iniziando quella giornata che commemorava la sua venuta al mondo correndo da Takuya perché aveva capito di essere innamorato di lui, perché una sensazione inspiegabile gli premeva nel petto, aveva solamente tanta voglia di abbracciarlo e dirgli di essere diverso. Anzi, probabilmente non avrebbe detto nulla, avrebbe lasciato che il ragazzo non si accorgesse del cambiamento ma lui lo avrebbe respirato a fondo, ci si sarebbe tuffato dentro.  Appartamento 709, al suo interno un ragazzo si era appena addormentato, madido di sudore, sul divano del salotto, dopo aver cercato invano di convincersi di stare meglio. JoonJae varcò la soglia, si era fermato a comprare un termometro, una tachipirina, dello sciroppo, qualche vitamina. Si inginocchiò di fronte al divano, cercando di svegliare il ragazzo delicatamente. Le ombre avvolgevano il suo viso, solo una fievole luce proveniente dalla finestra rischiarava le sue palpebre serrate, facendo brillare le ciglia nerissime.
-Takuya, ti è salita la febbre, non è vero? – domandò sfilandosi il giubbotto, lasciandolo scivolare a terra.
-JoonJae? – borbottò l’altro, aprendo appena gli occhi, rinvenendo dal suo sonno. – Ma… che ore sono? –
-Sono… le quattro del mattino, sono appena tornato. – mentì JoonJae per farlo stare tranquillo.
Takuya accennò un sorriso, dandogli una leggera pacca sulla spalla.
-Ahh, te la sei presa comoda. –
JoonJae sorrise, adesso tutto quel nervosismo era svanito, sentiva solamente di essere nel luogo giusto, nella sua casa, con una persona speciale, per motivi che a se stesso doveva ancora spiegare. Era appena scoccata la mezzanotte e lui era fuggito da quello che fino ad allora era stato, lasciando scivolare in secondo piano ciò in cui credeva, cercando di non ascoltare i suoi reali principi ed i veri bisogni. Però quello era un nuovo giorno, era appena iniziato, aveva la possibilità di rimediare.
La temperatura di Takuya era salita  a trentotto gradi, JoonJae gli fece prendere la tachipirina e poi lo accompagnò nella sua stanza che a distanza di giorni profumava ancora di vernice.
-JoonJae, è andata bene la tua serata? – gli domandò il ragazzo con un filo di voce, con la guancia contro il cuscino, lo sguardo rivolto verso l’altro.
-Si, molto bene. –
Takuya accennò un breve sorriso, poteva sembrare così allegro anche se le sue condizioni fisiche non erano al massimo.
-Takuya, non te l’ho detto ma… oggi è il mio compleanno. – sussurrò JoonJae, aveva pronunciato quelle parole senza uno scopo preciso.
-Ahh JoonJae, domani ti preparo qualcosa di buono! Tanti auguri. – prima di cadere addormentato Takuya continuò a guardarlo, disse “Tanti auguri” anche in giapponese, continuò a ripeterlo finché la medicina non fece effetto, infondendogli una sonnolenza senza eguali.

“Buon compleanno, stronzo” diceva il messaggio della sua ragazza e JoonJae continuò a pensare che come compleanno fosse iniziato davvero in maniera singolare. Prima di addormentarsi le parole di Takuya continuarono a ripetersi nella sua mente esausta:

- 誕生日おめでとう – aveva continuato a ripetere Takuya con la sua voce flebile, come se la sua coscienza stesse scivolando in un altro universo.

-Tanjoubi Omedetou – continuò a dire a se stesso JoonJae, promettendosi che tutto sarebbe andato per il verso giusto, almeno voleva crederci.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Leave me alone ***






Era seriamente arrivato il momento di iniziare a cercare un lavoro come si deve, JoonJae non poteva continuare a poltrire sul divano come se nulla fosse, i ventitré anni erano passati, adesso che si trovava faccia a faccia con i ventiquattro capiva di dover iniziare a costruirsi qualcosa di concreto. In quella mattina aveva un colloquio con un negozio di cd, non aveva un curriculum da presentare, semplicemente avrebbe detto il suo nome senza poter aggiungere molto altro. Aveva infilato l’unico completo elegante che avesse nell’armadio e fu sorpreso nell’apprendere che gli stesse ancora bene, infatti risaliva ai tempi del diploma. Abbinò una camicia bianca, non era abituato a quel tipo di vestiario, non si sentiva molto a proprio agio ma confidava nel fatto che potesse servirgli per apparire più credibile nelle vesti di lavoratore. Quando entrò in salotto per potersi specchiare, Takuya era seduto sul divano e guardava la tv.

-Dove vai così elegante? – domandò sorpreso nel vedere l’amico in un abbigliamento che non fosse composto da tuta e felpa.

-Ho un colloquio di lavoro oggi. – annunciò JoonJae senza credere troppo alle proprie parole, non gli era mai capitato di pronunciare una frase simile.

-Ma che meraviglia! – sorrise Takuya voltandosi verso il ragazzo che era intento nell’allacciarsi la cravatta, senza riuscirci sul serio. Non avendo mai avuto un lavoro non era nemmeno un esperto di nodi alla cravatta, persino quando era a scuola evitava sempre di indossarla con la divisa.

-Ah, JoonJae, fa fare a me. – Takuya si alzò in piedi, andando di fronte al ragazzo. Lui, invece, con le cravatte era bravissimo, gli era sempre piaciuto essere perfettamente in ordine, soprattutto nelle occasioni importanti. Si fece più vicino, sistemando i due capi della cravatta, muovendosi con estrema attenzione, per un’occasione tanto speciale voleva che venisse bene.
I capelli di Takuya quella mattina brillavano più del solito, il suo biondo era caldo, ricco di sfumature, i suoi capelli odoravano sempre ci shampoo come se fossero stati appena lavati. JoonJae respirò quel profumo così delicato, il suo sguardo andò a cadere sulle labbra del ragazzo, perfettamente allineate. Sentì la schiena attraversata da brividi, provò ad alzare lo sguardo per controllarsi, non voleva lasciar trasparire alcuna emozione dal suo viso. Takuya lo guardò, con i suoi occhi scuri ed intensi, che sapevano comunicargli chissà quante sensazioni, significati che le parole non sapevano trasmettere in egual modo.
JoonJae aveva istintivamente trattenuto il respiro, sentendo di non riuscire a resistere a stargli così vicino. Takuya fu il primo ad allontanarsi, una volta che il nodo fu completato, ma questa volta fu JoonJae a trattenerlo, afferrandolo per il polso e spingendolo contro la parete. I due continuarono a guardarsi, negli occhi di Takuya ora era distinguibile un certo timore.

-JoonJae… che scherzo è questo? – domandò con un filo di voce mentre JoonJae non riusciva a pensare ad altro che al desiderio che provava di baciarlo, forse ispirato da quella brezza primaverile che filtrava dalla finestra, o da quella nuova luce attraverso cui ora osservava il ragazzo. Le sue labbra vennero scosse da un tremito, come se avesse voluto pronunciare qualcosa, ma non riuscì a dire niente, restò in silenzio, con quell’espressione scossa sul volto.
JoonJae si divise, dicendo che rischiava di far tardi al colloquio e non avrebbe fatto proprio una bella impressione in quel caso. Takuya restò con la schiena contro la parete, scivolò fino a terra, chiudendo gli occhi e prendendo un respiro profondo. Quel modo di scherzare non gli era piaciuto, strinse le labbra sentendosi quasi preso in giro, ma non disse nulla, si prese solamente qualche momento per respirare a fondo.

Il treno era affollato, pieno di persone che si recavano a scuola o a lavoro, JoonJae non riusciva quasi a muoversi compresso tra quella folla. Continuava a pensare a quelle labbra, al volto di Takuya, al fremito che lo aveva scosso. Chissà se davvero avrebbe voluto dire qualcosa, JoonJae non riusciva a spiegarlo, però il suo modo di agire era stato stupido.
Era giù di corda, abbandonò il programma della giornata e si fermò ad una stazione prima di quella dove si trovava il negozio di dischi in cui avrebbe dovuto fare il colloquio. Si fermò in un bar, ordinò un caffè nero e quando gli venne portato il bicchiere iniziò a berlo a grossi sorsi, realizzando solamente in seguito che così si sarebbe sentito ancora più agitato.
Quando fece ritorno a casa Takuya stava preparando il pranzo ed era ancora in pigiama. Aveva i capelli leggermente spettinati ed il solito sorriso tranquillo sul volto.

-Bentornato JoonJae! Com’è andato il colloquio? – gli domandò con voce squillante, mentre sistemava nel piatto quello che aveva preparato.

-Non so, hanno detto che mi faranno sapere. –

-Vedrai che ti prenderanno! Soprattutto vestito così nessuno ti lascerebbe sfuggire. –
 



Era sera tarda e Takuya aveva sparso i libri dell’università sul pavimento del salotto, osservando con aria sconsolata quelle pagine fitte di parole complesse e di ideogrammi che non aveva mai visto in vita propria. Iniziava a sentire la voglia di arrendersi, la faccenda si stava facendo troppo complicata, iniziava a pensare di non possedere le capacità necessarie per poter prendere quella laurea. Forse si era lasciato trascinare da sogni impossibili, non ci sarebbe mai riuscito a diventare un giudice. Che cosa avrebbe dovuto aspettarsi? Non era semplice come aveva ipotizzato, non bastava un po’ di buona volontà e di impegno, si aveva bisogno di qualcosa in più che probabilmente lui non avrebbe mai avuto. Si massaggiò le tempie sentendo la stanchezza pervadergli tutto il corpo. La stanchezza mentale è qualcosa che immobilizza completamente, non basta stendersi per sentirsi un po’ meglio, nessun rimedio funziona.
Se avesse rimandato ancora la laurea i suoi genitori avrebbero sicuramente avuto da ridire, non poteva pensare di andarsene in giro per il mondo come voleva senza realizzare nulla, il loro ragionamento era anche giusto. Però pensare di abbandonare il suo desiderio lo rendeva ancora più triste, lo faceva sentire sconfitto, come se tutte le certezze che aveva avuto fino ad allora crollassero improvvisamente. Era sempre stato uno dei ragazzi con i voti più alti della classe, era sempre stato sicuro di poter riuscire, in qualsiasi cosa avesse realmente desiderato, ora era talmente stanco da non esserne più così certo.
JoonJae entrò in quel momento nel salotto, con indosso i pantaloncini della tuta ed una canottiera, la pelle ed i capelli ancora leggermente umidi per via della doccia appena conclusa. Restò colpito dalla quantità di libri lasciati a terra e si avvicinò a Takuya, inginocchiato di fronte ad essi. Aveva gli occhi lucidi, sembrava essere sul punto di non riuscire più a trattenere le lacrime e JoonJae non riusciva ad immaginarsi quale potesse mai essere la ragione.

-JoonJae… - borbottò il ragazzo biondo abbassando lo sguardo, tentando di trattenersi, sarebbe stato infantile iniziare a piangere così. – JoonJae, ti senti mai come se fossi tornato ad essere un bambino? Un bambino stupido che non fa altro che piangere. –
JoonJae non credeva che avrebbe mai sentito qualcosa del genere da Takuya, così sicuro di sé, pronto a dare in ogni momento dimostrazione della sua forza di volontà. Dargli una pacca sulla spalla e dirgli “non c’è ragione di sentirsi così” non sarebbe servito proprio a nulla, c’era bisogno di rallegrarlo in qualche altro modo.

-Sai, Takuya, so che ai bambini il gelato faccia tornare in fretta di buon umore. Penso che possa funzionare anche in questo caso, andiamo? –
In fondo alla strada vi era una gelateria non troppo conosciuta e neanche troppo frequentata, infatti il gelato aveva un gusto realmente orrendo, somigliava molto più ad acqua colorata che ad altro. Però appena Takuya ricevette il suo cono a gusti che si ipotizzava fossero cioccolato  e pistacchio, tornò istantaneamente a sorridere. JoonJae scelse fragola e menta, li trovò davvero ripugnanti però vedere Takuya così allegro fece sentire bene anche lui, come se non avesse mai desiderato niente di più importante se non vederlo sorridere così. Sentiva di aver fatto la cosa giusta, sensazione che non gli capitava spesso di provare ma che ora lo faceva sentire estremamente gratificato, come se tutto acquistasse un senso, improvvisamente.
Non aveva mai amato qualcuno, era una sensazione del tutto nuova che non credeva di poter conoscere a ventiquattro anni, quando ormai credeva di essere al corrente di tutto. Sentiva di star scivolando sempre più a fondo, di amare ogni giorno in maniera diversa, sempre più intensamente. Era una caduta inesorabile, che lo trascinava verso una galassia di emozioni sconosciute, che aveva semplicemente potuto immaginare per tutta la sua esistenza, senza mai provarle sul serio. Lo amava senza aspettarsi chissà che, per il momento bastava questo, era già difficile convivere con quell’amore, non sarebbe proprio riuscito a figurarsi di più anche perché sapeva fosse impossibile. Visse nell’illusione di poter tenere nascosto il suo sentimento in eterno, di poter continuare quella convivenza giorno dopo giorno senza mai dover pensare alla parola “addio”. Peccato che tali illusioni, però, andarono ad infrangersi poco dopo, facendo comprendere a JoonJae che anche l’amore più profondo e sincero ha il suo prezzo e non vi è la possibilità di ricevere sconti.
JoonJae era seduto sul divano, Takuya era di fronte allo specchio, posizionato sulla parete tra la cucina ed il salotto, e stava provando alcune felpe semplicemente adagiandosele contro il corpo, decidendo quali gli stessero ancora bene e quali fossero assolutamente da buttar via. Il campanello squillò ed il viso di Takuya si illuminò, era convinto che fosse arrivato il corriere che gli avrebbe consegnato gli ultimi acquisti fatti su internet. Ma appena aprì la porta si trovò di fronte una ragazza sconosciuta che appena lo vide iniziò a gridare, spingendolo oltre, pretendendo di entrare.

-Chi diavolo sei? Dov’è JoonJae? – sentendo quella voce il ragazzo seduto sul divano si sentì rabbrividire, si alzò in piedi, non riusciva nemmeno a pensare, quando si trovò la sua ragazza di fronte. Indossava dei jeans sgualciti, una maglia che le lasciava scoperto il ventre, non doveva essere andata all’università in quella giornata, altrimenti non si sarebbe mai presentata vestita in quel modo.

-Devo entrare in casa tua con la forza per vederti? – continuò a gridare, il viso adirato come non l’aveva mai visto.

-Sujin, andiamo a parlare fuori. – cercò di dire lui, con espressione tranquilla, per quanto gli riuscisse.

-No, parliamo qui! JoonJae, brutto stronzo che non sei altro, perché non rispondi alle mie telefonate, non visualizzi i miei messaggi? Ti stai sentendo con un’altra, eh? Sei un bastardo! Con quante ragazze ti frequenti? Devi dirmelo! –
Mentre continuava a gridare, lo spinse, colpì con i pugni contro il suo petto, dimostrando tutta l’ira che aveva accumulato in quei giorni in cui era stata completamente ignorata, in cui si era sentita come se non valesse assolutamente niente.
Takuya era rimasto all’ingresso, quella scena lo aveva lasciato perplesso, non riusciva nemmeno a reagire, non sapeva che cosa fare, non si era mai trovato di fronte ad un litigio così efferato. Però decise che doveva fare qualcosa, non poteva restare a guardare come se nulla fosse.

-JoonJae non si sta frequentando con nessun altro, è sempre stato qui a casa. – provò a dire Takuya, avvicinandosi ai due, mentre JoonJae cercava di bloccare i polsi di lei poiché iniziava a fargli male.

-E questo qui chi diavolo è? Eh, JoonJae? Adesso te la fai pure con i maschi? –

Quella frase colpì JoonJae come se si fosse trattato di un forte pugno allo stomaco, per brevi istanti non riuscì a respirare, il suo sguardo semplicemente si spostò verso l’espressione di Takuya, era irritato, sorpreso, non riusciva a spiccicare parola. Perché lo stava trattando così? Come si permetteva?

-Sono soltanto il suo coinquilino. Aiuto JoonJae con l’affitto, nulla di più. JoonJae non ha fatto niente, davvero, non ha nessun’altra ragazza. –
A quel punto Sujin si divise dal suo ragazzo, continuando a guardare stranita quel tipo che non aveva mai visto e di cui non aveva nemmeno mai sentito parlare. I capelli le cadevano spettinati sul viso, mettendo in risalto le labbra sottili e gli zigomi dai tratti fin troppo delineati. Takuya si chiedeva perché JoonJae avesse scelto proprio una ragazza come lei, che si era espressa in maniera così volgare, che aveva intrapreso quella scenata senza senso. Mentre tutti quei pensieri attraversavano la sua mente lo sguardo di lei lo fulminava, era vittima di un odio di cui non riusciva a comprendere l’origine, di cui non percepiva il senso.

-Non lo sai che nel nostro paese è molto maleducato ficcare il naso nelle faccende altrui? Nessuna guida turistica te l’ha insegnato? Nemmeno quel santo di JoonJae te ne ha mai parlato? –
Questo era troppo da sopportare, impossibile lasciar correre. JoonJae tirò la ragazza per il braccio, lo fece talmente forte da farla rabbrividire, negli occhi le sorse del timore.

-Adesso la smetti. Ti presenti a casa mia ed insulti chi ti pare? Smettila, non te lo permetto. –

-Non importa JoonJae, la tua ragazza ha ragione, vado nella mia stanza, vi lascio parlare tranquilli. –

Quando Takuya si fu allontanato scomparendo nel corridoio buio JoonJae sentì un brivido percorrergli il corpo, come se avesse l’improvviso bisogno di vomitare. Voleva chiedere scusa a Takuya, voleva cancellare quel brutto momento, non sapeva che cosa fare. Iniziò a piangere, inaspettatamente, in una maniera talmente sofferta da lasciare anche la ragazza di stucco.

-JoonJae, voglio la verità. – balbettò a quel punto lei, rivolgendo lo sguardo verso quel ragazzo che si accorse di non aver mai conosciuto sul serio.

-Sono… innamorato di un’altra persona. – provò a spiegare allora lui, non riusciva nemmeno a riconoscere la propria voce tanto era scosso, non aveva mai pianto di fronte a qualcuno, si sentiva indifeso, messo ingiustamente a nudo. – Si tratta di una storia impossibile, non potremo mai uscire insieme, non potrò mai confessarglielo. Però sono innamorato. –
A quel punto lei avrebbe potuto utilizzare qualsiasi appellativo negativo, avrebbe voluto farlo ma comprese che fosse inutile, si aspettava come il discorso sarebbe continuato e già si preparava a quella frase, stringendo i denti, odiando tutto quanto.

-Lasciamoci, la nostra non è mai stata una vera relazione. –


Qualcun altro aveva udito quel discorso, qualcuno che ne aveva recepito il significato più profondo ed ora non riusciva a smettere di tremare. Seduto sul suo letto, in quella stanza che avevano arredato insieme, le cui pareti parlavano della loro convivenza, si sentì completamente perduto. Udì i singhiozzi di JoonJae, rimasto solo in salotto, finalmente libero di sfogare quello che aveva dentro e che per la prima volta aveva riportato a galla, in maniera tanto violenta che ora lo faceva stare così male.
Era rimasto immobile, con il cuscino contro la pancia, la mente completamente svuotata e la gola in fiamme poiché non era nemmeno capace di piangere, non riusciva a far nulla, nemmeno a provare pena per se stesso, quando la porta della sua stanza si aprì e JoonJae con gli occhi arrossati lo guardò, restando per lunghissimi istanti in silenzio.

-Scusa per prima, Takuya. –  sussurrò, scusandosi per qualcosa che non aveva fatto lui, poiché del resto non c’era modo di chiedere perdono.

-JoonJae, vorrei restare da solo. –
La porta si chiuse, lentamente, dopo una breve esitazione. Adesso erano definitivamente divisi, forse per sempre irraggiungibili.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Goodbye ***







Takuya trascorse la notte ripiegando le sue cose, sistemandole nella valigia e nell’unico borsone che aveva portato con sé, in tutti i viaggi che aveva fatto. Però, non si era mai sentito distante da se stesso come faceva adesso, mentre desiderava di tramutare ogni cosa, di rendere tutto molto meno complicato. Non sarebbe bastato esprimere un desiderio, per quanto intensamente lo avesse fatto, al mattino seguente non avrebbe trovato il mondo trasformato a suo piacimento, questo lo sapeva, aveva imparato ad accettarlo.
Intendeva andarsene di soppiatto, muovendo piccoli passi in silenzio, allontanarsi dalla vita di JoonJae senza far troppo rumore, come se non fosse mai esistito, come se non fosse mai arrivato a sconvolgerla. Era in piedi di fronte all’ingresso, sicuro che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe rivisto. Quell’appartamento, il 709, nascondeva in sé un segreto impronunciabile, un amore irrealizzabile.
JoonJae era dietro di lui, gli occhi ancora arrossati e gonfi, doveva non aver chiuso occhio per tutta la notte.

-Takuya, dove stai andando? – chiese con la voce che gli tremava, conosceva benissimo la risposta, avrebbe fatto ancora più male sentirla pronunciare.

-Ti sono grato di tutto, JoonJae, veramente di tutto. – riuscì solamente a dire, anche se non bastava. Però solamente in quel modo poteva riuscire a non far rumore, ad allontanarsi in silenzio come se nulla fosse mai avvenuto. Forse JoonJae l’avrebbe dimenticato, continuava a sperarlo.
 

Takuya era lontano, la sua presenza sembrava restare sospesa in quel silenzio asfissiante, JoonJae credeva di stare per soffocare. Perché l’amore era stato così crudele con lui? Perdere la persona che amava era l’unica soluzione, vederlo così distante, osservare la sua schiena mentre percorreva sempre più passi che lo allontanavano da lui. Era incapace di muoversi, restò immobile, anche per giornate intere, osservando il soffitto, sperando che prima o poi la sua coscienza decidesse di dileguarsi. Voleva restare vuoto, senza più nulla dentro, un guscio senza sostanza. Quella si, sarebbe stata la sensazione perfetta, quella che stava ricercando da troppo tempo. Se solo non avesse provato dei sentimenti magari Takuya sarebbe stato ancora lì, però lui non avrebbe saputo osservare i suoi sorrisi allo stesso modo, probabilmente non avrebbe neanche saputo gioire della sua presenza. Però almeno sarebbe rimasto.
Mandava giù bevande alcoliche dal sentore così leggero, che scivolavano facilmente, che bruciavano al centro del petto e poi lo stordivano, un po’ come l’amore. Ed almeno così JoonJae, che non si era mai allontanato dalla sua casa, riusciva ad allontanarsi da se stesso. A complicare la situazione fu un mandato di sfratto: aveva un mese di tempo per andar via e cercare una nuova collocazione, poiché il complesso abitativo stava per essere demolito, per decisione improrogabile del proprietario. E così anche l’ultima traccia della loro coabitazione sarebbe andata perduta, non sarebbe rimasto nulla a testimoniare i bei giorni trascorsi insieme e ben presto JoonJae avrebbe iniziato a pensare di aver vissuto tutto nella propria mente.
L’appartamento si era trasformato in una specie di discarica, dove bottiglie e lattine erano lasciate a terra e la polvere si accumulava fitta sui mobili. La vita del ragazzo era diventata passiva, inutile e lui si lasciava dominare solamente dalla tristezza. I pasti erano diventati sempre più sporadici, composti per lo più da cibi non proprio salutari. Non aveva nemmeno voglia di accendere la televisione per ascoltare altre voci, conversazioni di cui non gli importava un accidenti. Era scivolato in un punto di non ritorno e non aveva la minima idea di come avrebbe fatto a rialzarsi, probabilmente non ci sarebbe riuscito. Si trattava di un punto di svolta, peccato che non fosse un cambiamento positivo ma un passo in più verso una vita che non gli apparteneva.
Iniziò a pensare che una felicità fatta su misura per lui non esistesse, indossandola l’avrebbe sempre trovata o un po’ troppo larga o troppo stretta, avrebbe sempre fatto difetto in qualche punto, di questo ormai ne era certo. Eppure per un po’ era stato così felice, aveva persino creduto che quell’allegria non si sarebbe mai allontanata da lui. Era stata solamente un’illusione, aveva dovuto apprendere che la felicità, proprio come le persone, ad un certo punto si volta dandoti di spalle e se ne va via. Magari aveva anche potuto sussurrare “ti sono grata di tutto, JoonJae, mi piaceva essere la tua di felicità” ma era pur sempre lontana, adesso.

JoonJae era riverso sul letto, gli occhi serrati e la sensazione di stomaco vuoto lo stava attanagliando, ma lui cercava di combattere tutto dormendo. Improvvisamente si sentì sfiorare il viso, come una specie di carezza, calda e rassicurante, proprio sulla guancia. Aprì gli occhi, cercando di capire di che cosa si trattasse e si trovò di fronte il viso di Takuya che lo osservava con aria preoccupata. Doveva essere un’allucinazione davvero grave, eppure quella mattina non aveva ancora fatto nulla che potesse manipolare il suo senso di percezione. Che bello rivedere Takuya, anche se si trattava di un sogno, aveva così tanto voluto vederlo in quei giorni, ed ora che ci riusciva era spaventato, si sentiva confuso. Era troppo doloroso pensare a lui adesso, concentrarsi sui tratti del suo volto e sentire riaffiorare ogni singolo ricordo che lo riguardava, ogni parola detta ed anche quelle tenute segrete.

-Perché mi guardi così? – disse Takuya ancora in piedi, immobile, di fronte a lui.
JoonJae si tirò su, si stropicciò gli occhi, andando poi a sfiorare la guancia del ragazzo per capire fin dove la sua immaginazione poteva spingersi. Ma quella che andò ad accarezzare fu davvero la guancia di Takuya, quella pelle morbida e liscia, leggermente accaldata, non poteva far parte di un sogno né di un’allucinazione.

-Sei tu? – cercò di dire anche se gli mancavano le parole, gli si fermavano in gola, andavano a morire dentro di lui.
Takuya si mise a sedere sul bordo del letto, di fianco a lui e gli sorrise. – Aspettavi qualcun altro? – scherzò con un’espressione che JoonJae trovò rassicurante.
Restarono a guardarsi così per un po’, JoonJae non riusciva a credere che quel ragazzo fosse proprio Takuya e che potesse guardarlo così, che potesse addirittura sfiorarlo e parlargli. Sembrava uno di quei sogni troppo belli, aveva timore di svegliarsi all’improvviso e trovarsi nuovamente solo come troppe volte era accaduto in quelle notti. Ed allora strinse forte la coperta tra le dita, voleva credere di poter restare ben saldo alla propria realtà, quella che più gli piaceva, senza più ritrovare il mondo triste da cui credeva di essersi allontanato dormendo.

-Che cosa è successo a questo appartamento? È davvero un disastro! – si domandò Takuya guardandosi attorno, JoonJae era sempre stato molto ordinato nel periodo in cui avevano vissuto insieme. JoonJae non rispose, non aveva giustificazioni.

-Sembra che tu non abbia nemmeno mangiato, devi essere impazzito. Magari qualcosa di buono potrà farti tornare la ragione. – Takuya scomparve oltre il corridoio, JoonJae tornò a sdraiarsi, si assopì un po’ e mentre dormiva poteva sentire i rumori provenienti dalla cucina, l’odore di qualcosa di delizioso che cuoceva. Poco dopo Takuya gli portò una bella scodella di ramen in brodo, di quelli preparati sul momento, con l’uovo sodo in cima e le verdure fresche tagliate finemente. Non si fece troppe domande ed iniziò a mangiare in silenzio, con Takuya che continuava ad osservarlo restando in silenzio, sorrise appena quando notò quanta fame avesse, forse con un po’ di amarezza.
Quando la cena fu terminata Takuya lavò quello che aveva utilizzato per cucinare, JoonJae ne approfittò per alzarsi e fare una doccia, indossando degli indumenti puliti. Fece persino la barba, per giorni interi non aveva riconosciuto il suo volto ed adesso iniziava a sentirsi decisamente meglio.


Scese la sera ed i due si sdraiarono l’uno di fianco all’altro, sul letto di JoonJae. Gli occhi di Takuya erano così brillanti, ritrovarselo davanti, poter osservare nuovamente il suo viso lo aveva fatto sentire immediatamente più tranquillo.

-Credevo che fossi partito. – ammise JoonJae con un filo di voce.

-Avrei dovuto… ma non potevo farlo così. –
Aveva creduto che tutto fosse già perduto ed invece Takuya era rimasto a Seoul, probabilmente aveva alloggiato a pochi metri lontano da lui e JoonJae non aveva fatto altro che piangersi addosso, senza cercarlo. Adesso se ne vergognava, si sentiva stupido.  

-Takuya… non andartene più. –
Takuya accennò un ennesimo sorriso, così bello, i suoi occhi erano leggermente lucidi ma lui non avrebbe pianto, non avrebbe mai ceduto alle lacrime. Aveva davvero creduto di poter partire così, di potersi allontanare da JoonJae senza dire una parola e di poter tornare in Giappone, riprendendo la vita di sempre come se nulla fosse. Peccato che non fosse stato così, per quanto avesse potuto illudersi aveva compreso di non poter dimenticare le parole di quello che voleva convincersi essere un semplice caro amico. Provava qualcosa per lui, fin dal principio, fin dal primo giorno  in cui si erano incontrati però non aveva mai voluto ammetterlo, aveva sempre voluto credere che non fosse così. E la sua dichiarazione non aveva fatto altro che risvegliare quella consapevolezza, mostrandogli la realtà dei fatti.

-Ho paura JoonJae. – ammise Takuya, stringendo la sua mano, facendo combaciare le loro dita. Le osservò unite e provò uno straordinario senso di pace interiore. – Ho paura di essermi innamorato di te. –
Credeva che non si sarebbe mai sentito pronto a rivelare qualcosa del genere eppure ci era riuscito. Ma gli altri non avrebbero compreso,  le altre persone avrebbero rovinato ogni cosa, avrebbero reso tutto complicato, avrebbero sporcato quel sentimento con le loro parole, con i loro giudizi. E lui non voleva che ciò accadesse, sapeva che persino i suoi genitori non avrebbero compreso. Nessuno oltre loro avrebbe capito la profondità del loro amore. Pensava che solamente stando lontani potesse proteggerlo da ogni minaccia, solamente rinunciando alla sua effettiva realizzazione potesse non distruggerlo. Ma si trattava di un sacrificio enorme, una richiesta crudele.
JoonJae lo guardava, non riusciva a credere che lo avesse detto davvero. Forse faceva ancora tutto parte di uno dei suoi sogni, in quel caso non aveva l’intenzione di svegliarsi.
Adagiò le proprie labbra su quelle di Takuya, chiuse gli occhi, si fece più vicino a lui. Le dita di Takuya accarezzarono la sua nuca, andarono a perdersi tra i capelli scuri, ancora leggermente umidi. Aveva desiderato quelle labbra così intensamente, aveva represso quel desiderio, lo aveva nascosto in un angolo sperando di non vederlo più venir fuori. Ed invece adesso poteva realizzarlo, gli serviva solamente un po’ di coraggio, quello che aveva sempre creduto di non possedere. Aveva male allo stomaco per quando si sentiva nervoso, aveva perso coscienza di sé nel modo più bello in cui possa accadere, ritrovandosi improvvisamente a far parte di un momento che fino ad allora aveva avuto vita solamente nelle sue immaginazioni.  I loro respiri si unirono, i loro corpi ricercarono un contatto sempre più vero, più intimo, più deciso. Takuya fu il primo a spingere la lingua fra le sue labbra, per poter incontrare quella dell’altro, per poter gustare il sapore della persona che aveva scoperto ( o più semplicemente accettato) di amare.
Quella notte ogni barriera si dissolse, la vicinanza fu sempre più netta e loro furono liberi di stringersi, rinchiusi nell’intimità di quell’appartamento che custodiva tutta la loro storia, tutto il percorso che avevano affrontato prima di ritrovarsi finalmente a divenire una cosa sola. JoonJae non aveva mai vissuto un rapporto in un modo così vero, non aveva mai desiderato di far parte di un simile momento non solamente con il proprio corpo ma con tutto se stesso. Ed ora si ritrovava a desiderare di trasmettere a Takuya tutto quello che anche lui voleva provare, non lo faceva più per egoismo, non pensava solamente a soddisfare una piccola voce dentro di sé, era tutto diverso. La pelle di Takuya era fresca, liscia, le sue braccia erano attorno al suo collo e quegli occhi profondi erano ancora puntati contro di lui. Lo guardava in un modo in cui nessun altro aveva mai fatto, e persino quando socchiuse le palpebre, rapito da una sensazione nuova e per lui totalmente sconosciuta, riuscì a trasmettere a JoonJae tutto il suo sentimento.
JoonJae aveva sprecato la sua prima esperienza in una sudicia camera d’albergo di quart’ordine, frettolosamente, in segreto, trattenendo i sussurri e sospiri, pensando a controllarsi, senza mostrare il reale se stesso. Per Takuya doveva essere diverso, era diverso. Ed era proprio grazie a lui che con la sua innocenza, con la sua purezza, aveva donato significato ad ogni gesto, ad ogni traguardo. La trasformazione era completata, JoonJae comprese di essere una persona diversa, gli fu ancora più chiaro quando, ad amplesso finito, non utilizzò le sue ultime forze per rivestirsi ed andar via ma restò lì, ben saldo a Takuya, respirando il profumo dei suoi capelli e della sua pelle, ascoltando la frequenza del suo respiro come se si trattasse di una melodia meravigliosa.

Il sole era sorto ed illuminava con i suoi raggi brillanti la camera da letto, donava luce persino a quel posto lasciato vuoto, all’impronta sul cuscino, lasciata da una persona ormai lontana. Quando JoonJae aprì gli occhi Takuya si era dissolto, come il più bello dei sogni, impalpabile, leggero, forse irreale. Se non avesse conservato sulla pelle la sensazione dei suoi baci avrebbe realmente creduto di aver immaginato tutto e non l’avrebbe trovato nemmeno troppo strano, solamente molto crudele.
Si voltò, sul comodino era stato lasciato un biglietto, scritto in giapponese. JoonJae lo strinse tra le mani, esitante, sentì il cuore in gola, probabilmente quello era l’addio definitivo.

“Addio, sogno di una notte”
Vi era scritto.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** The End ***







In sole due settimane JoonJae aveva dovuto occuparsi di raccogliere tutte le sue cose e ricercare un nuovo alloggio, almeno provvisorio. Non aveva il reddito necessario per cercare un nuovo appartamento, sapeva che sarebbe stato difficile trovarne uno economico quanto quello. Per questo si arrese all’idea di dover alloggiare per un certo periodo in un dormitorio, quindi aveva dovuto disfarsi della maggior parte dei suoi oggetti personali, almeno quelli più inutili. Aveva venduto anche ogni singolo elettrodomestico ed aveva portato nelle botteghe dell’usato alcuni dei suoi mobili.
Era stato molto triste sgomberare quell’appartamento che ora era costretto ad abbandonare per sempre. Avrebbe tanto voluto restare rintanato in quel luogo a lui famigliare, pensando ai pochi bei ricordi che aveva collezionato nella sua vita ma non gli era stato possibile scegliere. Per un paio di notti dormì nel sacco a pelo, sdraiato al centro del salotto ormai completamente sgombro, cercando di rifigurarsi nella mente il vecchio aspetto della sua casa. Sentiva la mancanza di ogni singolo particolare, provava la sensazione di essere costretto a restare in una città abbandonata nella quale si sentiva infinitamente solo.

La mattina in cui avrebbe dovuto lasciare l’appartamento gli venne consegnato un pacco contente gli indumenti che Takuya aveva acquistato su internet qualche settimana prima, il corriere spiegò che avessero ritardato la consegna per via di alcuni scioperi ma di tutte quelle giustificazioni non poteva importargliene di meno. Dopo aver firmato JoonJae portò lo scatolone dentro casa, lo osservò a lungo prima di trovare il coraggio di aprirlo. Takuya continuava involontariamente a lasciare tracce di sé, costringendolo a pensare ancora lui, anche se, in realtà, a prescindere da quell’avvenimento non era mai riuscito a smettere. Al suo interno vi erano due maglioni caldi di colore grigio, esattamente identici, differenti solamente per la taglia; fu grazie a questo particolare che JoonJae comprese che Takuya gli avesse acquistati per entrambi, chissà per quale motivazione. Pianse in silenzio, stringendosi contro il petto i due maglioni dal tessuto soffice, arrivati troppo tardi, quando ormai la temperatura era troppo alta per permettere loro di indossarli. I bei regali lo raggiungevano sempre troppo tardi, era inevitabile.  JoonJae pianse senza trattenere i singhiozzi, seduto in quella casa vuota, come una conchiglia abbandonata sulla spiaggia. Pianse finché non ebbe esaurito tutte le lacrime, poi si asciugò le guance, alzandosi in piedi e radunando gli ultimi bagagli che gli erano rimasti.
Quando JoonJae ebbe chiuso la porta dell’appartamento 709 alle sue spalle comprese che un altro periodo della sua vita era inesorabilmente finito, ora restava solamente a lui il potere di decidere come dare inizio al seguente. Pensò istintivamente ad Odaiba,  allo sguardo che Takuya aveva assunto quando gli aveva parlato di quel ponte dall’aspetto ultraterreno e provò ad immaginarsi lì sopra al suo fianco, mentre mangiavano ikonomiyaki ed osservavano l’acqua cristallina dove tutta la città poteva specchiarsi.  Una porta si era chiusa alle sue spalle, la 709, ed ora quale avrebbe aperto?
Appena il giorno seguente l’appartamento venne demolito, crollando al suolo facendo un gran rumore, trasformandosi solamente in un cumolo di polvere e macerie. La stanza imbiancata insieme si era dissolta, così come il salotto, la camera da letto di JoonJae, il terrazzo. L’appartamento nel quale avevano vissuto felicemente non era altro che un ricordo, un luogo unico che non esisteva più nemmeno sulla terra.  
 
 
Takuya aveva gli occhi arrossati per lo studio, stava facendo una breve pausa preparandosi del caffè nero. In quel periodo si stava concentrando intensamente sullo studio per non pensare a tutto il resto, per non lasciarsi sopraffare dalla tristezza che altrimenti lo avrebbe dominato. Era stato un periodo difficile che probabilmente non si sarebbe concluso facilmente, forse non si sarebbe concluso mai. Non avrebbe potuto passare tutta la sua esistenza sui libri, prima o poi avrebbe dovuto distrarsi ed allora qualcosa lo avrebbe sopraffatto, qualcosa che difficilmente avrebbe sconfitto perché era troppo doloroso.
Sentì suonare il campanello, sperò che non si trattasse di qualche scocciatura, non sarebbe mai riuscito a sopportarla. Dal canto suo non attendeva nessuna visita, era anche vestito malamente, come gli capitava di rado. Mosse i suoi passi lungo il corridoio fino a raggiungere la porta d’ingresso. Avrebbe almeno voluto indossare un paio di pantaloni lunghi ma non c’era tempo, di qualsiasi cosa si trattasse non gli importava più come fosse vestito. La aprì senza guardare attraverso lo spioncino e quello che si trovò di fronte lo lasciò senza respiro.

-Salve, il mio nome è JoonJae, per caso è alla ricerca di un coinquilino? – disse il ragazzo di fronte a lui, in giapponese stentato.

-JoonJae… - riuscì solamente a sussurrare Takuya, incredulo nel trovarsi di fronte proprio lui, l’amore da cui non avrebbe mai più fare l’errore di fuggire.
Non gli diede nemmeno il tempo di entrare, lo abbracciò con tutta la forza che avesse, premendo il viso contro il suo petto, cingendo con le braccia la sua vita. Avrebbe voluto piangere per la commozione ma si sentiva persino troppo felice per farlo, voleva solamente sorridere, nel modo più limpido e sincero che avesse mai fatto.

Il loro amore non era un sogno, non era perfetto ma piuttosto attraversato da numerosissime difficoltà, eppure sarebbe durato per tutta la vita.
 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3199858