All about that dress

di partyponies
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** All about that dress ***
Capitolo 2: *** Scarpe grosse e cervelli fini ***



Capitolo 1
*** All about that dress ***



All about that dress

R

aramente trova chi cerca in fretta.

Annabeth aveva probabilmente ripetuto quella frase nella sua mente  almeno un centinaio di volte, ma d’altronde non era sua la colpa se aveva dovuto lasciare incompiuto una cianografia iniziata pochi giorni prima per andare a caccia di un vestito. Ebbene sì, avete capito bene; Annabeth Chase, aspirante architetto e studentessa all’Università di New York con il massimo di voti, ragazza per niente alla moda, correva per le strade della Grande Mela come una forsennata, con i capelli raccolti in una crocchia alta dalla quale uscivano riccioli ribelli e con indosso un paio di pantaloncini sportivi e una maglia degli Yankee. Sperava che non ci fosse nessuno di sua conoscenza in circolazione, altrimenti l’avrebbero presa in giro per l’eternità; tuttavia, anche in quel caso, la sua preoccupazione più grande era un’altra.

Tutti coloro che la conoscevano potevano affermare quanto  intelligente, precisa e ambiziosa fosse; ovviamente anche lei aveva la sua dose di difetti e, tra questi, oltre la dislessia e l’iperattività, il deficit dell’attenzione  era in cima alla lista. Cercava di  contrastarlo avendo tutto in ordine, ma alcune volte non erano i vestiti buttati sul letto a distrarla; e nemmeno 1984, posato sul tavolo da caffè. No, capitava che fosse così assorta in ciò che faceva che non si accorgeva di quello che accadeva intorno a lei; quella volta era stata così presa dalla cianografia che non aveva sentito il telefono squillare nell’altra stanza, non aveva letto i messaggi che le erano arrivate nelle ultime due ore per avvisarla che la cena di lavoro era stata anticipata di un giorno.

Quindi, in sostanza, se non aveva un vestito decente per uscire, la colpa non era sua; dovevano incolpare il suo datore di lavoro, che aveva avuto la brillante idea di spostare l’incontro e di renderle quella serata un inferno.

 

 

Facendo un calcolo approssimativo, le restavano all’incirca un’ora, ventisette minuti e 30 secondi prima che iniziasse la cena.  Annabeth aveva lasciato alla rabbia di essere in ritardo e di non esser stata attenta al telefono una sensazione di pura disperazione; anche se fosse riuscita a trovare un negozio che non le facesse venir voglia di mettersi le mani nei capelli per i prezzi, ce l’avrebbe fatta a tornare a casa, fare una doccia, prendere la metro e arrivare puntuale alla cena? Preferì non pensarci e continuare la sua ricerca, ritenendo che l’ ansia avrebbe peggiorato tutto.

La strada era affollata di turisti che attaccavano la propria faccia alle vetrine per controllare il prezzo dei vestiti esposti ed Annabeth era costretta a muoversi con spintoni e gomitate; non aveva tempo da perdere, e non sarebbero certo stati  stupidi turisti a rovinarle ancora di più  la serata. Ogni negozio in cui metteva piede era o affollatissimo, o troppo caro per il suo budget; quando ormai sembrava aver perso le speranze, si accorse che c’era un piccolo negozio dietro l’angolo il cui nome era qualcosa come Manhattan Street, ma non ci fece troppo caso. Appena entrata, rimase sorpresa di trovarlo vuoto.

-Posso aiutarla?- una donna con capelli castani  e un sorriso amichevole le aveva parlato da dietro la cassa, dove sembrava molto impegnata a leggere un libro di cucina. In genere Annabeth non avrebbe chiesto l’aiuto di nessuno in nessuna circostanza, ma quella era una situazione disperata. I secondi passavano, e le  era rimasta un’ora e cinque minuti all’incirca.

Con un sorriso altrettanto gentile- o  almeno provò ad imitare quello della signora- annuì. – Mi servirebbe un vestito- spiegò, incrociando le braccia per nascondere il più possibile la maglietta spiegazzata.

Anche la donna fece un cenno d’assenso con la testa prima di condurla  nella parte del negozio adibita a quel genere di abbigliamento; prese un vestito semplice bianco e glielo mostrò. – Penso che questo ti stia bene, con quella pelle abbronzata che ti ritrovi. Posso vedere se ho la tua taglia in magazzino, sei così magra!  Sai che è importante mangiare?

Annabeth si fissò per un momento nello specchio ed aggrottò le sopracciglia, cercando di non dare peso alle parole della commessa, ritenendo che non fosse compito suo giudicare il suo fisico. Era assorta in quei pensieri quando la donna tornò con la taglia adatta  del vestito.

-Grazie- mormorò Annabeth prima di infilarsi nel camerino, dove cominciò l’impresa per indossare l’indumento, divincolandosi e imprecando per alzare la zip dietro la schiena- non poteva essere al lato??? Quando finalmente  ci riuscì, ammirò la sua silhouette nello specchio e si asciugò il sudore dalla fronte; dire che le stava male sarebbe stata una grande bugia, perché l’abito le metteva in risalto la carnagione e gli occhi chiari sembravano ancora più minacciosi.

Considerando che ormai non aveva molto tempo,  decise che avrebbe comprato quel vestito.

Sempre che fosse riuscita a sfilarselo prima della cena.

Infatti, se prima era riuscita a indossarlo in – più o meno- quattro e quattr’otto, toglierselo sembrava una missione ancora più difficile, forse perché il tempo scorreva come l’acqua di un rubinetto, o perché non riusciva a raggiungere la zip sulla schiena; fatto sta che, consapevole delle lancette del suo orologio che scorrevano sempre più velocemente, uscì dal camerino per chiedere alla gentile commessa di darle una mano. La sfortuna pareva essere dalla sua parte quel giorno, perché la donna sembrava esser scomparsa e, al suo posto, era apparso  un ragazzo moro, che piegava i vestiti e li riponeva al ritmo della canzone riprodotta alla radio, Uptwon Funk.

Annabeth arrossì al solo pensiero di porre  la stessa domanda a quel tipo che, ehy, non era poi così male; sentì le  guance arrossarsi, ma prese coraggio e si schiarì la gola.

Il ragazzo sembrava che fosse caduto dalle nuvole quando si girò verso di lei. Aggrottò le sopracciglia e posò la pila di camice che teneva in mano in cassa, prima di fare la tipica domanda: - Posso aiutarla?

La bionda annuì  e gli fece cenno di avvicinarsi con le dita. Quando furono abbastanza vicini, Annabeth si prese un momento per ammirare le sue fattezze, il naso dritto, i capelli neri come carbone, le labbra carnose e, infine, gli occhi verdemare. Cercando di apparire il più sicura possibile, disse tutto d’un fiato: - Devi abbassarmi la zip.

-Cosa?

L’espressione sul volto del ragazzo la  fece sentire ridicola. Abbassò lo sguardo e, schiarendosi la voce, cercò di essere più cortese. – Non riesco a sfilare il vestito. Per favore, potresti essere così gentile da abbassarmi la zip?

La maschera di confusione sul volto del commesso si trasformò presto in una di malizia, che mise a disagio la ragazza.

-Vuoi che ti spoglia- rispose infine quello con un sorriso sghembo.

-Pensala come ti pare- Annabeth fece un gesto di stizza con la mano, convinta che fosse inutile discutere con un tipo del genere-  ma fai in fretta.

Sentì il tipo ridere e realizzò che ciò che aveva detto poteva essere frainteso. – Non… non intendevo…

-Neanche ci conosciamo a già pensi a portarmi nel letto.

Annabeth sbuffò e incrociò le braccia al petto, in attesa che il commesso esaudisse il suo unico desiderio. Sentì che il ragazzo posarle una mano sulla spalla,mentre con l’altra abbassava leggermente la zip; dalla lentezza con cui lo faceva, la bionda intuì il suo nervosismo e si chiese se mai alcuno avesse mai fatto una proposta del genere in un negozio- e si rispose: probabilmente no.

Il punto in cui lui aveva poggiato la mano sembrava bruciarle, come se fosse stato impresso col fuoco.

-Fatto- borbottò il moro.

Tra i due calò un silenzio imbarazzante, ma Annabeth cercò di spezzarlo; quel tipo di situazioni non le erano mai piaciute. – Grazie- disse-  Comunque lo prendo.

Il moro annuì e si diresse in cassa, probabilmente a mettere i vestiti in ordine, mentre Annabeth si diresse nel camerino per cambiarsi. Il tempo a disposizione era sempre meno ormai, eppure quei secondi in cui aveva parlato con il commesso sembravano aver fermato il tempo, o  almeno era quella l’impressione di Annabeth.

Uscì dal camerino diretta verso la cassa dove il commesso faceva finta di tenersi impegnato con il cappuccio di una penna. Appena la vide, le regalò un sorriso che fece fermare per un istante il cuore di Annabeth.

-Sono arrivato ad un conclusione,sai- disse, mentre le infilava il vestito in una busta.

-Illuminami.

Il ragazzo – Percy, o almeno così diceva la targa sulla maglia arancione -  le porse la busta. – Se prima sei riuscita ad infilarti il vestito, l’unico motivo che c’è per averti spinto a chiedermi di toglierlo è che volevi che ti spogliassi.

-Certo- gli rispose Annabeth roteando gli occhi grigi ed evitando di arrossire. L’orologio l’avvertiva che ormai le mancava all’incirca mezz’ora, eppure quanto diavolo avrebbe voluto rimanere lì a parlare con quel ragazzo, invece di andare a quella noiosa cena.

- Allora, mi domandavo se…- deglutì. – Se magari ti andasse di andare a mangiare qualcosa questa sera, sai, solo così per...- si grattò la nuca con fare imbarazzato e sembrò essere improvvisamente molto interessato al bancone.

- No- rispose Annabeth, forse troppo freddamente. – No, intendo… stasera sono già impegnata.

Lo sguardo sul volto del commesso diceva tutto; la bionda poteva vedere il dispiacere nei suoi bellissimi occhi, e sentì lo stomaco annodarsi. – Capisco.

L’altra sospirò e si grattò la nuca imbarazzato. – Però, emh, Percy… hanno aperto un locale vicino casa mia a Manhattan… se vuoi, Venerdì possiamo…

-Ne sarei felicissimo- rispose il ragazzo con entusiasmo, come se fosse riuscito a riacquistare tutta la sua felicità da un momento all’altro.

- Io mi chiamo Annabeth- rispose la bionda, porgendogli la mano; si girò per andarsene ma, proprio mentre stava per uscire, la voce di Percy la richiamò dietro.

-Indossa qualcosa che lasci scoperta la tua schiena. Mi piace- disse maliziosamente.

Annabeth cercò di nascondere il sorriso che piano piano si andava insidiando sul suo volto.

 

Percy la spogliò altre volte in futuro, per l’immensa gioia di Annabeth.

 

 

 

 

sera

probabilmente vi starete chiedendo che fine ho fatto

-no.

non vi starò ad annoiare con la mia indaffarata routine- e le chiamano VACANZE.

anyway, come potete vedere, un’altra percabeth- e te pareva- perché a quanto pare non posso fare a meno di scrivere qualcosa su questi due testoni :/

non ho veramente molto da dire, se non ‘ recensite per favore?’

probabilemente vi lascerò in pace per il compleanno di perce; non ho molta fantasia al momento ufff

inoltre

ho deciso di revisitare tutte le mie os e probabilmente farò la stessa cosa con questa più in là

ancora, poi giuro che vi lascio stare

su consiglio di una mia amica mi sono rifatta tumblr appena questa sera, se volete essere i primi a seguirmi cliccate qui 

dove potete darmi consigliarmi prompts o fare solo domande in generale

come sempre, grazie a tutti colore che hanno commentato,aggiunto tra le preferite e cose varie le mie ultime os

-partyponies

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Capitolo 2
*** Scarpe grosse e cervelli fini ***


A/N: ho continuato la os su consiglio di Annabeth_Granger yeye ( scusa per l'immenso ritardo btw) ️ quindi, per vostro piacere/dispiacere ( a voi l'ardua sentenza), ecco qua una flashfic sul continuo di 'All About that dress'. Vi ricordo che il rating è verde per un motivo, non pensate male. Mi imbarazzo a scrivere certe cose.
Piccoli avvertimenti tecnici: so che sono una scrittrice in erba- ma molto in erba- quindi so che le mie pubblicazioni non sonotanto attese, ma non è quello il punto; volevo solo avvisare tutti quelli che mi hanno scritto di scrivere altre Percabeth che, sì, lo farò, ma molto più avanti perché a) devo disintossicarmi, b) sono effettivamente a corto d'idee ( se ne avete qualcuna carina nviatela per MP) e c) devo dare più spazio agli altri fandom( quali Doctor Who,TMI,Hunger Games e Infernal Devices). Ancora, tutte le mie storie sono in fase di revisione che sembra lunghissima per via della scuola  ma questi sono dettagli.
Detto ciò, buona notte e buona lettura.

-Fa male?

Percy fissò Annabeth,  la sua ragazza di quasi sei mesi ormai,  con sguardo indagatore. L'espressione sul suo volto non lasciava trasparire alcun tipo di emozione, facendo così cadere Percy nel dubbio più assoluto.  Provava dolore ? Le piaceva  o no?Erano questi i quesiti  irrisolti che popolavano la mente del ragazzo.

-Non credo che entri- continuò,  dal momento che Annabeth non si degnava di rispondere. Alcune volte avrebbe voluto essere intelligente come lei,  così avrebbe capito in un batter d'occhio a cosa stesse pensando; ma, riflettendoci bene,  tutti quei pensieri e quella matematica di cui era  tanto appassionata gli avrebbero procurato un forte  mal di testa.

- E allora spingi- suggerì la bionda, sussurrando le parole con un po' l'imbarazzo, per paura che qualcuno potesse sentirli. Sebbene fosse veramente molto intelligente e straordinaria, alcune volte Annabeth aveva idee molto strampalate. Percy aveva imparato ad amare anche quel lato del suo carattere, perché la rendeva più umana.

Si erano baciati durante il loro terzo appuntamento,  a Central Park, e da quel momento Percy aveva cominciato ad essere sempre più attratto da lei,  fino ad amarla così tanto che probabilmente non è sano per la salute.

-Annabeth- disse Percy.  Rispose con un mugolio soffocato.  - Sii sincera.

La sentì sospirare. - In effetti- cominciò- me la sento un po' stretta.

Percy annuì,  comprensivo. Annabeth era testarda e avrebbe fatto di tutto pur di raggiungere il suo intento- anche a costo di soffrire. Lui non gliel'avrebbe mai e poi mai permesso.

-Devo solo fare più pratica- confessò la bionda. La luce le rifletteva sui capelli,  facendoli apparire ancora più chiari, come un'areola.

Percy le sorrise.  -È comprensibile, Ann- la confortò,  perché sapeva che odiava non saper fare qualcosa.

-E se si rompe?

Il ragazzo sorrise.  -Quello sì che sarebbe un bello spettacolo.

-Volevo chiedere un consiglio a Piper,  ma sarebbe stato imbarazzante... per me, in primis,  e per certi versi anche per te.

Percy aggrottò le sopracciglia.  Aveva incontrato l'amica di Annabeth, Piper,  una ragazza bella - ma non quanto Annabeth,  a parer suo- e disponibile ad aiutare e dare consigli ai suoi amici soprattutto  in fatto di moda ed amore. - Come lo sarebbe?

- Mi prenderebbe in giro per l'eternità se sapesse che non so fare questo!- mise le mani nei capelli con fare disperato;  Percy le prese delicatamente i polsi e la fissò intensamente.

- Io non ci vedo nulla di male- la rincuorò, dandole un breve bacio a fior di labbra. Annabeth era nervosa,  poteva intuirlo dal fatto che si mordesse in continuazione il labbro inferiore o che si portasse una ciocca di capelli dietro l'orecchio,  sebbene non c'è ne fosse bisogno.

-Perce? - domandò. Il modo in cui pronunciava il suo nome lo faceva sentire sempre in un certo modo indescrivibile, come se le farfalle avessero divorato il suo stomaco e le sue gambe fossero diventate di gelatina.  Alzò lo sguardo e aspettò che continuasse.  -Dici che tua madre ci rimarrà male se non porto le scarpe con i tacchi al suo matrimonio?

Percy sorrise.  Questo lato di Annabeth- quello un po' insicuro, che la mandava in tilt per ogni piccola minuzia- era uno dei suoi preferiti. - Sarà così felice di vederti che neanche se ne accorgerà- disse. -Tra l'altro,  come ho detto, cosa c'è di imbarazzante nel non saper camminare con i tacchi? Io non lo so fare,  ad esempio.

Annabeth gli diede un pugno sulla spalla.  - Andiamo.  Odio fare shopping,  in qualsiasi modo.

 

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