Dea tra gli Angeli di cartacciabianca (/viewuser.php?uid=64391)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo, spicchi di memorie ***
Capitolo 2: *** L'Inizio di un nuovo inizio ***
Capitolo 3: *** Partenza ***
Capitolo 4: *** Colei che combatte contro la morte di altri ***
Capitolo 5: *** Scale di pietra e buffi stendardi ***
Capitolo 6: *** Tharidl Lhad ***
Capitolo 7: *** Il mio nuovo Desmond ***
Capitolo 8: *** Tre righe per dire la verità ***
Capitolo 9: *** Limpido come l'Acqua ***
Capitolo 10: *** Con le spalle al muro ***
Capitolo 11: *** Mille voci, un'Anima ***
Capitolo 12: *** Il condotto di areazione ***
Capitolo 13: *** Forza e astuzia, brutalità e agilità ***
Capitolo 14: *** Il Funerale ***
Capitolo 15: *** Un nome, per cominciare ***
Capitolo 16: *** I Falchi della Paura ***
Capitolo 17: *** La tempesta ***
Capitolo 18: *** L'attacco ***
Capitolo 19: *** Gli angeli degli incubi ***
Capitolo 20: *** Veleno sulla lama da lanciare, con cui colpire ***
Capitolo 21: *** The, vino e la Mela della Discordia ***
Capitolo 22: *** Il viaggio ***
Capitolo 23: *** Premessa, la Dimora ***
Capitolo 24: *** Pulizia, atto primo ***
Capitolo 25: *** Pulizia, atto secondo ***
Capitolo 26: *** Acri ***
Capitolo 27: *** Indagini ***
Capitolo 28: *** Il potere incontrollabile ***
Capitolo 29: *** Un vago suono ***
Capitolo 30: *** La follia ***
Capitolo 31: *** Soddisfazione ***
Capitolo 32: *** Le sue Cronache, tra le sue braccia ***
Capitolo 33: *** Ritratti ***
Capitolo 34: *** La certezza di un nuovo capitolo ***
Capitolo 35: *** Paura del sangue ***
Capitolo 36: *** La Dea dell'ulivo ***
Capitolo 37: *** Nello specchio ***
Capitolo 38: *** Coraggio ***
Capitolo 39: *** Fayium, dalla Siria all'Egitto ***
Capitolo 40: *** Un Falco negli occhi ***
Capitolo 41: *** Gridare la verità ***
Capitolo 42: *** Deserti freddi e caldi ***
Capitolo 43: *** E-mails ***
Capitolo 44: *** Ragazzina ***
Capitolo 45: *** Impertinenza e schiaffi ***
Capitolo 46: *** Angeli senza ali, umani ***
Capitolo 47: *** Un odio infondato ***
Capitolo 48: *** Una strana rabbia, un dolce ricordo ***
Capitolo 49: *** Amici tremendamente confusi ***
Capitolo 50: *** Vani incontri, belli duelli ***
Capitolo 51: *** Nessuna pietà ***
Capitolo 52: *** La lotta alla piuma ***
Capitolo 53: *** Gloria e fiducia ***
Capitolo 54: *** La fuga dell'innocenza ***
Capitolo 55: *** Nella luce, nel tempo e nelle ceneri di Acri ***
Capitolo 56: *** La Fine ***
Capitolo 1 *** Prologo, spicchi di memorie ***
::Prologo::
Spicchi di
Memorie
::Prologo::
Lei si
rannicchiò vicino ad un barile. –Lasciami andare!-
invocò disperata, ed inghiottì le prime lacrime.
-Hai ucciso tu
quest’uomo?!- ruggì la guardia facendo un balzo
verso di lei, che per lo spavento ebbe un tremito. –Sei
un’assassina, è così?!-
-No, non lo
sono…! Ora ti prego, farò tutto quello che vuoi,
ma non uccidermi… ti prego. Io non volevo colpirlo, io non
volevo, io devo andarmene…- disse con voce rauca per il
pianto.
L’uomo
abbassò allora la guardia, e le si avvicinò
ancora, si chinò e le venne ancora, ancora vicino.
–Forse- le sussurrò all’orecchio.
–Forse possiamo raggiungere un accordo-.
-Prendetela!-
sentì alle sue spalle, e subito partì al galoppo.
-Forza, dammi
una mano- disse in fine il secondo uomo.
-Credi
che…-
-Se stringeva
quella nella mano sì, credo di sì. Ora aiutami!-.
Sembrava una A
appena stilizzata, oppure un compasso aperto!
-Ehi,
smettetela!- intervenne un altro. Era seduto tra i cuscini con la
schiena alla parete, coperto da una coperta pesante. Giocherellava con
un coltellino che si faceva scorrere tra le dita. –La nostra
ultima missione non è andata come credevamo, ma non
è stata colpa di nessuno, chiaro?-.
- Taci tu!- lo
indicò il ragazzo. – Che hai preferito
svignartela!-.
Elena rimase
sbigottita, ma il Maestro si voltò e andò ad
affacciarsi alla vetrata dietro il tavolo. – Puoi andare,
abbiamo finito- disse sospirando.
-Riconosco la
sua scrittura…- disse in un sussurro Elena. –Ma
non capisco… parla per enigmi, segreti, indovinelli che non
riesco a sciogliere!-.
-Non
assillarti- le disse Adha.
Marhim
indicò Elena con un cenno del capo.
-Non
è quella ragazza che abbiamo?…- chiese Halef
mentre il ragazzo non scollava gli occhi da lei.
-Sì,
lo è. Guarda, sembra essersi totalmente ripresa…-
Marhim mosse qualche passo avanti.
-Frena,
fratellone- Halef lo prese per il cappuccio. - devi aspettare-.
-Cosa?-
sbottò irritato Marhim.
La calca
andò a sciogliersi lentamente, e Marhim vide che Elena
veniva verso di loro.
Indossava una
comune tunica bianca legata in vita da una stoffa rossa. Poi parte
della stoffa di avanzo le cadeva sulle ginocchia, e attaccato alla
veste c’era un cappuccio che non aveva mai indossato.
Si disse che
quello sarebbe stato il momento migliore per cominciare a coprirsi il
volto: riconobbe Rhami venire verso di lei.
-Sono Elika-
la precedette la ragazza, e dopo che il cestello fu pieno di acqua
fresca, le venne vicino. –Ben venuta a Masyaf- le sorrise.
Elena si
alzò. –Scusa, ma siete tutti così
ospitali da queste parti?- le scappò di bocca.
Ad Elika
scappò un risolino. – Non devi avere paura di noi-.
-Chi siete
“voi”?-
-Sii forte,
non combattere le battaglie che non puoi vincere, se puoi nasconderti
fallo, perché non ci sarà nessuno a proteggerti.
Quello che posso assicurarti, però, è che
all’interno di questo palazzo dimora da anni il tuo fratello
maggiore. Questo è uno dei tanti motivi per cui tuo padre ti
mandò da me-.
Le persone non
sono giocattoli- sbottò Rhami. –o anche io potrei
giocare con le vostre vite come voi avete fatto con
lei!-.
L’autrice:
“Se, se… parla lui…”
Prima di
seguire Adha verso la rocca, Halef fece l’occhiolino al
fratello. Marhim, di tutta risposta, gli mollò una pacca
sulla spalla ridendo.
Elena sorrise.
–Che cosa ha fatto?- chiese.
-Ah, quello
che fanno di solito i fratelli minori! Gli scemi- lui la
guardò ridendo.
-E tu-
proferì Altair arrogante. –e tu saresti scappata
da Acri con battaglioni di soldati alle spalle? Secondo me hanno
gonfiato un po’ troppo la storia!- sbuffò.
Le
scappò di bocca: -codardo-.
Un angelo era
caduto, ed era sorta una Dea.
Marhim
alzò le spalle e le venne più vicino.
–Elena, tu vuoi diventare un’assassina o no?- le
chiese serio.
- Sto
rivalutando l’offerta…- tirò su col
naso.
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Capitolo 2 *** L'Inizio di un nuovo inizio ***
L’inizio
di un nuovo inizio
La
porta della stanza era grigia, come sempre.
Le
federe del letto erano sempre quelle: grigie.
I
pannelli del soffitto mi soffocavano, ed io cosa potevo fare per
impedirlo?
Così
mi alzai dal letto e mi accorsi, che come sempre, indossavo i vestiti
di sempre, che guarda caso erano sempre uguali anche nell'armadio di
sempre. Cominciavo ad odiare quel posto, come Desmond, ma lui si era
già fatto un'idea bella e chiara a proposito di quelli
del'Abstergo che ci avrebbero ucciso se non avessimo collaborato, come
avevano fatto con i poveracci prima di noi.
Così
mi accorsi che durante i pochi istanti in cui la mia testa si era
sollevata dal cuscino, la grigia porta di sempre si era aperta. Uscii
dalla stanza guardando dritto davanti a me, come ero abituata.
Lucy
picchiettava con violenza sul suo portatile, mentre il Prof sorseggiava
il suo caffé fumante con le spalle verso l'Animus.
-Dov'è
Desmond?- chiesi, ma subito dopo riproposi la domanda schiarendomi la
voce.
Riuscii
ad attirare l'attenzione di Lucy, che dopo avermi fissata qualche
istante, tornò al suo lavoro dicendo: -ci
raggiungerà quando avremo finito con te-.
Spaesata,
guardai verso Vidic che beveva, ma nessuna perla di saggezza quella
mattina.
Tirai
un grosso sospiro di sollievo e mi avviai al secondo Animus:
sì, proprio così. Non da molto di macchine del
tempo ce n'erano due.
Lucy
le aggiornava spesso entrambe all'ultimo software così che
io e Desmond potessimo catapultarci nel passato nello stesso momento, e
la cosa fruttava innumerevoli guadagni di tempo sia all'Abstergo che
alla collera del Prof, quindi alle nostre povere anime tormentate.
-C'è
qualcosa che il soggetto 17 non può sapere, a riguardo?-
domandai.
Nessuna
risposta, e improvvisamente mi sentii salire la pressione.
Stava succedendo qualcosa e nessuno voleva forse dirmi cosa?
Il
vecchio disse -Si sieda- con un tono di voce che non gli apparteneva,
così... calmo.
Giusto
per precisare, non ero mai entrata nell'Animus senza Desmond.
Ovviamente, la cosa non mi dispiaceva affatto, ma c'erano certe paure
che, fin dal primo istante in cui avevo toccato l'Animus, non se
n'erano mai andate.
Mi
avvicinai all'Animus, mi sedetti, mi sdraiai. Avvenne tutto come al
solito.
Un
prurito alla schiena mentre la macchina analizzava il midollo della mai
spina dorsale, una nausea immensa quando davanti ai miei occhi verdi si
parò lo schermo della televisione con la quale passo
più di 12 ore al giorno. In fine, la sensazione di cadere
nel vuoto che avevo quando la mia coscienza raggiungeva quella della
mia antenata.
Ad
Acri non brillava neppure quel giorno il sole. Ad Acri non brillava mai
il sole, ad Acri le nuvole erano per sempre. Era debitrice ad Acri.
Le
nuvole nascondevano il suo viso, e la pioggia lasciava cadere dietro di
lei le guardie che la inseguivano. Il sole l'avrebbe mostrata, e lei
non sarebbe più stata l'Angelo della Morte che voleva
diventare. Sarebbe stato difficile, troppo difficile.
Così,
quando provò ad arrampicarsi su un muro, Acri le si
rivoltò contro, e lei scivolò dove l'acqua aveva
reso tutto inafferrabile, imprendibile.
Presto
fu circondata da battaglioni di guardie, che le gridavano contro che
non poteva andare oltre, mentre il colpo alla schiena la faceva star
male, e si reggeva a malapena in piedi. Era persa, ma trovò
d'improvviso la forza per tirarsi su, e guardarsi attorno, in cerca di
una via di fuga. Che ovviamente, non c'era.
Sfoderò
la lama con quanta forza le rimaneva, e contrattaccò con la
leggerezza di un uccello che vira di grazia a destra.
Era
una spada rozza, la prima che si riesce a pescare, la spada che si
affida ai novellini. Ma lei sapeva trasformare una tela vuota, una
rozza tela bianca, nel paradiso che la notte sognava.
Roteò
e scivolò per evitare un fendente mal piazzato,
così ne approfitto. La povera guardia Ospitaliere
andò all'Inferno senza un braccio.
Le
era difficile concentrarsi, perché qualcosa di
maledettamente doloroso le pulsava in testa.
Levò
un grido premendosi le tempie, e la spada cadde al suolo, ai piedi di
uno degli uomini che stavano per colpirla. L'uomo si fermò,
e tutta la gente che attorno stava fuggendo, per un attimo si
voltò a guardarla, come ancora gridava.
Era
un dolore che non aveva mai provato, un dolore dentro che le bloccava
lo scorrere del sangue e il respiro!
Doveva
andarsene, approfittare del fatto che fossero tutti distratti dalle sue
urla euforiche. Si lanciò attraverso una bancarella,
inciampò e travolse tanta, tanta gente. Ma non cadde, e
continuò a correre verso l'unico luogo sicuro che conosceva.
Stava
per voltare in un vicolo buio, tra l'oscurità che l'aveva
sempre protetta, quando tutto cambiò, di nuovo.
Era
tutto finito.
Il
dolore, la pioggia, e le grida si dissolsero in un incredibile
sensazione di sollievo.
Sopra
la sua testa volteggiò un falco che andò ad
accovacciarsi sull'alto di una torre poco distante.
Le
guardie l'avevano raggiunta.
Lei
era senza un'arma per difendersi, ma sorrise sotto il bianco e candido
cappuccio, mostrando denti perfetti. Era un sorriso divertito, e le sue
mani si allungarono verso la cintura di cuoio. Dove, cosa che la
divertiva tanto, c'erano cinque coltelli da lancio per cinque guardie.
-...Ma
che cosa?!...-
-Signorina
Stilman trovi un modo per tenere la sincronia!-
-Non
posso fare di più, i comandi dell'Animus non rispondono.-
Così Lucy si voltò verso la porta della stanza di
Desmond, che era in piedi sull'uscio.
-Cos'è
tutto questo casino, Doc? Per una volta che mi lasciate dormire...- il
ragazzo fece qualche passo avanti.
Il
prof sembrava preoccupato, perché aveva una faccia
inguardabile, colma di stupore per quello che stava succedendo. -Le
sembra ora di fare lo spiritoso, signor Miles? Su, se ne torni nella
sua stanza e faccia il bravo!- il vecchio era vicino a Lucy, che
controllava nervosamente file e cartelle.
Desmond
alzò un sopracciglio. -Perché avete cominciato
senza di me?- domandò guardando il corpo di Andrea sdraiato
sull'Animus, che pareva tanto in via di surriscaldamento.
Il
dottore sbuffò. -Si può sapere chi gli ha aperto
la porta della camera?- indicò furioso il ragazzo, e si
rivolse a Lucy.
-Forse
sto riprendendo il segnale, ma è debole- Lucy
deviò l'argomento.
-Ah,
basta, ne ho fin sopra i capelli!- gridò il vecchio prof
tornando alla sua scrivania. -Ricominceremo da capo quando
avrà trovato una soluzione anche a questo dilemma, signorina
Stilman-. Si sedette sulla sua poltrona e bevve un sorso di
caffé.
-Forse-
intervenne Desmond -posso essere d'aiuto-.
Lucy
lo guardò un attimo. -Non credo che tu possa fare molto, qui
ce la caviamo. Torna in camera-.
-Hmm.
Non posso far a meno di pensare che tutto questo è proprio
stano!...- commentò Desmond massaggiandosi il collo.
Lei
alzò gli occhi dal computer un'ultima volta. -Ti
spiegherò più tardi- gli sussurra a bassa voce.
-Ora va'- aggiunse.
C'è
una piccola parte di me che non sa spiegarsi cosa sia realmente
successo. Per ora, so di certo, che qualcuno mi ha tirata fuori
dall'Animus, perché il formicolio alla schiena è
cessato. Sono anche sicura di aver sentito delle voci che parlavano di
qualcosa che non sono riuscita a comprendere. Onestamente, non
m'importa tanto. Ma dovrei preoccuparmi del fatto che non vedo nulla?
Forse no, o forse sì.
Ah,
quasi dimenticavo di lasciare spazio ad un ultimo pensiero, prima di
aprire gli occhi e rendermi davvero conto di cosa mi ronza attorno.
Si
tratta di quello che è successo all'Animus. Be', sappiate
solo, cari ascoltatori, che la vita che stavo incarnando non era quella
della mia antenata.
La
mia antenata era una donna che vendeva tappeti pregati nel centro di
Damasco, nel quartiere nobiliare, non una ragazzina fuorilegge. Quella
non era la mia antenata.
Ecco,
di questo sono totalmente certa. Sicurissima. Al 100%. Non era lei. Non
poteva essere lei. Non lo era. No, no.
-Ahi!-
-Ecco,
le hai fatto male, guarda!- rise Desmond.
Lucy
sbuffò. -Desmond, perché non ti levi dai piedi?
Sto lavorando-.
Ero
ancora stesa sull'Animus, e aprii gli occhi non appena l'ago
toccò il mio braccio.
-Ehi!
Ma cosa stai facendo?!- mi spinsi il più possibile lontana
da Lucy che teneva in mano la più grossa siringa che avessi
mai visto. -Cosa avevi intenzione di fare con quella?!- domandai
terrorizzata indicando l'oggetto che tanto mi spaventava.
-Non
è più un problema- rispose Lucy. - Sono
già riuscita nei miei intenti- sorridente si
allontanò.
-Che
cosa ti è successo?-
Mi
girai verso Desmond. -Che intendi?-
-Be'
Lucy mi ha detto che hai respinto l'Animus, più o meno come
ho fatto io la prima volta. Ma che ti è preso?-
Non
sapevo che rispondere, ma forse condividere con Desmond sarebbe potuto
essere utile. Magari a lui era già successo. -Ecco, se hai
qualche dritta a riguardo, o sai qualcosa- mi guardai attorno, e fui
contenta che il vecchio Doc non fosse in sala. -Quando ero
lì dentro, non ero nella mia antenata-.
Desmond
annuì beffardamente -stai scherzando, vero?-.
-No,
e la cosa mi spaventava a tal punto che non ci volevo più
restare là- gli confidai.
Il
ragazzo mi diede le spalle. -Magari Lucy può darci una
mano…-
-Desmond-
prima che potesse aggiungere altro Lucy lo chiamò.
-Ora devi andare. Il professore mi ha lasciato scritto che devo
spiegare in privato ad Andrea cosa le è successo-.
-Bene!-
balzai giù dall'Animus. -Non vedevo l'ora!-.
-Sei
sicura- disse Desmond rivolgendosi a Lucy -che ci sia scritto "in
privato"?-
-Desmond...-
lo riprese la donna, che aspettava a braccia incrociate davanti al suo
portatile.
-Vattene-
aggiunsi io guardandolo.
Lui,
afflitto, spostò gli occhi da me a Lucy e da Lucy a me.
-Certo, certo. Roba da femmine, ho capito. Vorrà dire che il
pro-pro-pro-pro nipote di Altair si farà un altro
sonnellino- s'incamminò verso la sua stanza e la porta si
chiuse.
-Ok-
mi voltai verso Lucy. -Spero che il guasto tecnico si possa risolvere
al più presto, per quanto riguarda...-
Lucy
scosse la testa -non era un difetto tecnico. Era voluto che tu passassi
in quel corpo; la tua precedente antenata è morta-.
-C-c-c-cosa?!-
A
quel punto mi balzarono in mente le immagini di ciò che
avevo vissuto nell'Animus poco prima. Mi chiesi per quanto tempo sarei
riuscita a stare in piedi.
Lucy,
guardandomi in un modo strano, annuì come se
avesse ottenuto conferma di qualcosa. -So che la cosa può
confonderti, ma ti prego, non lasciarti prendere la panico, anche
perché non ce n'è bisogno. Ma sappi che se
c'è qualcosa che vuoi sapere su questa storia,
dovrò prima parlarne col capo-.
Mi
sentii offesa da quelle parole. -Che fine ha fatto la mia antenata? E
perché Desmond non ne può sapere nulla?!-
domandai, ma Lucy non rispose e sparì oltre la soglia della
sala conferenze.
Ero
rimasta sola nel laboratorio, sconcertata e avvilita.
C'era
sempre stato qualcosa sotto, e come aveva detto Lucy, era voluto che io
passassi in quel corpo.
Avevo
bisogno di sapere di più, di confrontarmi con la fonte
più vicina che avevo, di porre delle domande a qualcuno.
Non
avrei mai voluto arrivare a tanto!
-Desmond!-
bussai un colpo alla porta chiusa della stanza, ma non rispose nessuno,
così riprovai. -Desmond, sono io, dai apri!-
Dall'altra
parte sentii una voce poco chiara che si avvicinava. -Sono chiuso
dentro, ma non preoccuparti, sto bene!- disse il ragazzo con
ilarità.
-Buon
per te- mi volati e andai verso la mia camera.
Mi
accorsi, poco prima di entrare, del professore che faceva il suo
ingresso dalla sala conferenze.
-Doc,
proprio lei cercavo!- feci qualche passo indietro e gli andai incontro.
-Oh,
altrettanto- senza voltarsi andò dritto alla sua scrivania.
-Speravo- cominciò lui mentre lo raggiungevo davanti al
tavolo -speravo che la signorina Stilman le dicesse di più,
o meglio, che se ne assumesse lei l'incarico, ma sarò
comunque lieto di occuparmene di persona-.
-Se
sono tanto un peso perché tenermi qui dentro? Me ne vado
senza problemi- scherzai.
Vidic
mi guardò di sottecchi. Ultimamente sopportava poco sia le
mie che le battute di Desmond.
-Avanti,
sono qui per rispondere alle sue domande al fine di non rallentare il
nostro operato più del dovuto- poggiò i gomiti
sul tavolo e congiunse le mani a mezz'aria.
-Sono
confusa, Doc. Prima di tutto perché sono informazioni
riservate? Poi cos'è successo alla mia antenata? anzi,
risponda a questa domanda: che cosa cercate da me? Insomma, Desmond vi
ha portato al tesoro dell'Eden consegnandovelo su un piatto d'argento!
Ora non capisco cosa c'entro io... cosa c’entro io?-
-Lei
si pone troppe domande, Andrea, e lasci che le spieghi come andranno le
cose: una volta che certe informazioni le saranno rivelate, non
possiamo assicurarle la vita quando tutto sarà finito-.
Soffocai
una risata, e attirai lo sguardo di Vidic su di me. -Non
rendiamo il discorso più deprimente di com'è,
Doc. Questo lo sapevo già, furono le sue prime parole quando
entrai qui dentro per la prima volta! Ormai sembra essere diventata la
procedura standar avvertire i pazienti del pericolo di morte se ficcano
il naso troppo oltre. Sbaglio, o ve ne siete accorti troppo tardi che
Demson sapeva già tutto? Be' ora ho il diritto anche io di
sapere, ma non sto parlando di quanto riguarda l'Abstergo e la sua
"casa farmaceutica". Parlo di me, e del motivo per cui da due mesi
tenete la mia trisavola e la sua bancarella di tappeti sotto
osservazione!-
-Le
cose non sono cambiate, Tomas. I suoi scopi qui dentro restano sempre
quelli che Lucy le ha illustrato il giorno del suo arrivo-.
Strinsi
i denti. -Non credo che la sua ricerca si basi solo su quello, Vidic!-
era la prima volta che lo chiamavo per nome, e la cosa lo fece
irrigidire di colpo.
-Non
tollererò questa conversazione ancora a lungo, se non
comincerà a mostrare rispetto per l'Abstergo e il suo
operato, sono stato chiaro?!- mi gridò contro. Ad un tratto
il vecchio si alzò e ripeté. -sono stato
chiaro?!?!-
Annuii
appena. -Possiamo andare al sodo?-
-Certamente-.
Si risistemò comodo sulla poltroncina e accese il portatile.
-Siamo riusciti a recuperare una piccola parte di quello che stavamo
cercando. All'inizio credevamo che la sua antenata precedente potesse
condurci all'uomo che sa dove si trova il frutto più vicino
a dove precedentemente stavamo lavorando con Desmond. Ebbene, prima che
la sua antenata morisse di lebbra, eravamo già consapevoli
di aver buttato due mesi di lavoro con lei al vento, poiché
l'Animus aveva analizzato e archiviato i ricordi sbagliati-.
-La
prego, continui, la seguo-.
L'uomo
si massaggiò le tempie. -La nuova antenata che stiamo
sperimentando è la sua più lontana cugina,
Andrea, ed ella conosce l'uomo che cerchiamo di persona.
Sfortunatamente, quando abbiamo provato ad agganciarci al ricordo che
c'interessava, ci siamo resi conto, io e la signorina Stilman, che non
avevamo nessun CheckPoint precedente cui l'Animus ha bisogno per
funzionare. In poche parole, nella sua mente ci sono troppi pochi
ricordi a riguardo, e quello più vicino che abbiamo risale a
4 mesi e 32 giorni prima dell'incontro con la fonte-.
Mi
passai una mano tra i capelli. -Quindi non è stata colpa mia
se...-
-Invece
sì- mi interruppe Vidic. - è stata anche colpa
sua, che per tutta risposta ai problemi tecnici dell'Animus ha
cominciato ulteriormente a ribellarsi, e abbiamo dovuto arrestare il
sistema-.
Rimasi
a riflettere sul discorso giusto un attimo, per riordinare le idee.
-Ok, fin qui ho tutto chiaro. Un'ultima cosa, Doc-.
Il
vecchio non si mosse continuando a scrivere al portatile, senza
guardarmi disse: -sarebbe?-.
-Chi
è la nuova antenata? Posso sapere che tipo di vita conduce,
magari questo può aiutare me a ricordare e l'Animus- feci
spallucce.
L'uomo
emise un gran sospiro. -Ancora non sappiamo molto di lei, e vorremmo
entrare a conoscenza di più ricordi possibili e al
più presto. Si accomodi sull'Animus signorina Tomas,
cominceremo da ora e per oggi sarò io a gestire il suo
passato-.
Indicò
con un gesto sfuggente della mano la macchina.
-Non
si preoccupi Doc- dissi io mentre mi avviavo verso l'Animus. -Siamo in
due a volerci capire di più- mi voltai e gli feci
l'occhiolino.
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Capitolo 3 *** Partenza ***
Partenza
-Ah,
signorina Tomas!-
Mi
voltai alla scrivania di Vidic, e vidi che il vecchio veniva verso di
me.
-Che
succede, Doc?- domandai sdraiata sull’Animus.
-Volevo
avvertirla che il ricordo dal quale cominceremo potrebbe essere
tutt’altro di quello che si aspetta-.
-Non
è un problema, ma di che cosa si tratta? Anzi!- feci io, ma
presto me ne sarei pentita. –Non mi dica nulla, voglio
riservarmi la sorpresa-.
Mentre
Vidic mi fissava serio, sorrisi e poggiai per bene la testa a guardare
il soffitto. –Per ora spero solo che questi non siano i 4
mesi e 32 giorni più lunghi della mia vita-.
Proferendo
così, ebbi la familiare sensazione del vuoto sotto e sopra i
miei piedi, sui palmi delle mani e tra un capello e l’altro.
Poi
fu tutto bianco di una luce accecante.
La
spada passò attraverso le placche dell’armatura, e
a seguire traforò la cotta di maglia. Raggiunse la carne, e
lei spinse ancora finché il suo corpo non fu attaccato a
quello dell’uomo. Nella sua mano teneva stretta
l’impugnatura dell’arma.
Il
suono delle costole che si spezzavano e dei tessuti lacerati le
rimbombò nelle orecchie mentre il corpo si accasciava al
suolo senza vita. Un colpo ben piazzato aveva ucciso un soldato di
Corrado nel bel mezzo della notte, ma il cielo sopra le guglie di San
Giovanni d’Acri era celato da un’immensa nube
grigia.
La
ragazza si guardò attorno terrorizzata di quello che aveva
fatto. I suoi occhi mostravano due pupille dilatate e restavano
spalancati dalla paura. Che cosa aveva fatto, si chiese nel recuperare
l’arma dal petto dell’uomo. Poi sparì
avvolta dall’ombra di un vicolo.
Cercò
di rallentare il suo cuore, di calmare i suoi polmoni che si gonfiavano
e sgonfiavano troppo rapidamente. Si nascose
nell’oscurità, e scivolò sulla parete
fin a toccare la pietra sporca della stradina.
Era
con le spalle contro il muro di una vecchia chiesa quando una guardia
notturna, che portava una torcia alla mano, si chinò ad
osservare il corpo del compagno. –Ehi!
Com’è possibile?!- domandò osservandosi
in giro guardingo. –Maledetta, vieni fuori! So che ti
nascondi, bastarda!- si alzò e sguainò la spada
dal fodero.
La
ragazza si strinse l’arma al petto e cercò di
pensare a qualcosa che potesse distrarla, e con impegno
trasportò la sua mente lontana da quel luogo.
Un
piede le scivolò in una pozza d’acqua che
s’increspò all’istante. –No!-
mormorò e già le mancava di nuovo il fiato.
-Trovata!-
La
luce della fiaccola illuminò il vicolo e il viso della
sentinella fu a pochi passi dal suo quando tentò di scappare
verso la fine del vicolo, il più lontano possibile.
-Non
vai da nessuna parte!- disse la guardia tirandola per i vestiti, e con
una forza disumana la scagliò fuori dalla stradina.
La
ragazza ruzzolò accanto all’uomo che aveva ucciso
e anche oltre, tenendo sempre la spada con sé.
Quando
riacquistò i sensi, l’uomo veniva verso di lei
divertito. –Per poco non mi sfuggivi, ragazzina!-
sogghignò il cavaliere.
Lei
tentò di trascinarsi in piedi, ma il soldato la spinse di
nuovo giù. –Ora non fai più tanto la
prepotente!- le gridò.
Lei
si rannicchiò vicino ad un barile. –Lasciami
andare!- invocò disperata, ed inghiottì le prime
lacrime.
-Hai
ucciso tu quest’uomo?!- ruggì la guardia facendo
un balzo verso di lei, che per lo spavento ebbe un tremito.
–Sei un’assassina, è così?!-
-No,
non lo sono…! Ora ti prego, farò tutto quello che
vuoi, ma non uccidermi… ti prego. Io non volevo colpirlo, io
non volevo, io devo andarmene…- disse con voce rauca per il
pianto.
L’uomo
abbassò allora la guardia, e le si avvicinò
ancora, si chinò e le venne ancora, ancora vicino.
–Forse- le sussurrò all’orecchio.
–Forse possiamo raggiungere un accordo-.
A
quel punto, il sorriso malizioso che aveva in volto si
tramutò lentamente in un grido muto di dolore.
La
torcia gli cadde di mano e subito fu spenta dalla pioggia che venne
giù violenta e all’improvviso.
-Mi
dispiace, mi dispiace, mi dispiace…- disse lei a denti
stretti, e guardò come il soldato scivolava di lato in una
pozza di sangue.
La
ragazza provò ad alzarsi, ma ricadde piangendo e lasciando
la spada che aveva tenuto. Con le ginocchia nel sangue
dell’innocente che aveva ucciso, si portò le mani
al viso e pianse come non aveva mai pianto.
Nella
sua mente, le ultime parole di suo padre riecheggiavano come uno stormo
di corvi attorno ad un campo di grano.
Tutto
era cominciato poche ore prima, quando il vecchio l’aveva
chiamata a raggiungerlo in veranda. Lei aveva obbedito, posando il suo
libro e andandogli incontro.
Aveva
cominciato più o meno così: -Non ho molto tempo
per darti le indicazioni di cui avrai bisogno- ed era accorso in cucina
a prendere del pane, che poi aveva avvolto in una pezza assieme a del
formaggio. Mentre gesticolava, le aveva parlato così: -Tra
pochi minuti degli uomini entreranno in casa nostra e razzieranno
questo luogo. Ma prima che ciò accada, voglio che tu sia il
più lontano possibile-.
Lei
all’inizio non aveva afferrato il senso delle sue parole, ma
il vecchio non aveva fatto tregua per permetterle delle
domande. –Prendi questa e non separartene mai,
tanto meno non leggerla. Non sono parole indirizzate a te, ma ad una
donna di nome Adha. Ella vive a nord di qui, dove tra le montagne si
cela un villaggio millenario di nome Masyaf. È lì
che sei diretta, ed è lì che troverai Adha.
Quando arriverai alle mura della città degli uomini non ti
lasceranno passare. Tu mostra loro questo- il vecchio allora le era
venuto vicino e le aveva scoperto il braccio sinistro.
-Elena-
le aveva detto. –Questo te lo feci io quando eri in fasce
affinché quando fosse venuto questo giorno, tu non avessi
bisogno di soffrire oltremodo. Ma ora voglio che tu metta in pratica
tutti gli insegnamenti che ti ho dato, voglio che quando ti troverai
circondata dagli uomini di Corrado, tu combatta come ho avuto
l’onore di insegnarti. Elena- aveva aggiunto in tono cupo e
inquieto. –Masyaf non è una città come
le altre. Quando sarà il momento, voglio in fine che tu ti
affidi ad Adha, qualsiasi decisione ella prenda per te. In questa
lettera ci sono segreti che non puoi sapere per ora, ma che
sarà lei a rivelarti a tempo opportuno. A proposito di
tempo-. L’aveva abbracciata e mentre lei lo stringeva a
sé, lui le aveva legato alla vita il fodero di una vecchia
spada, rozza e dalla forma comune. –Non
c’è più tempo- aveva detto.
-Padre,
non capisco, cosa sta succedendo?!- senza che il vecchio potesse
aggiungere altro, la porta di casa si era rovesciata a terra
accompagnata da un boato di voci.
-Va’
Elena!- le aveva gridato l’uomo spingendola su per le scale.
-Corri di sopra! Scappa!!! Trova Adha e…- non aveva potuto
finire, che una freccia gli aveva trapassato il corpo, e Corrado e i
suoi uomini avevano fatto irruzione nell’abitazione.
La
ragazza si prese un momento per se stessa, e stette una manciata di
secondi a fissare il vuoto davanti a sé.
Strazianti
allenamenti avevano dato i loro frutti e ora, due dei milioni di uomini
di Corrado giacevano a terra per mano sua.
Chi
era Adha?
E
perché suo padre la conosceva?
Qual’era
la strada più veloce per Masyaf?
Perché
quelli uomini avevano ucciso suo padre?
Perché
lei aveva ucciso loro?
Come
sarebbe andata a vanti, come avrebbe resistito alla tentazione di
leggere quella lettera e di scappare tutt’altro che verso
quest’ignota destinazione qual’era Masyaf.
Elena
era abbastanza grande da potersi gestire da sola, aveva compiuto 17
anni il mese di giugno, e fin da piccola era stata molto diversa da
tutte le altre ragazze del distretto. Ma perché se ne
rendeva conto solo ora che stava a piangere sotto le intemperie nel bel
mezzo di Acri?
Non
si era mai spiegata perché suo padre le avesse insegnato ad
usare un’arma tanto mascolina, e le avesse riempito la testa
di come andava la guerra tra Saldino e Riccardo. La pace di Ramla era
stata stipulata tra le due fazioni giusto pochissimi giorni prima, ma
poteva rientrare in tutte le vicende assurde che le stavano capitando?
-Non
è un caso…- si disse alzandosi.
Strinse
la spada, e con una mano raggiunse la tasca dei vestiti, dove la
pioggia stava rovinando l’involucro della lettera che il
vecchio le aveva affidato.
Suo
padre l’aveva nascosta ad una vita normale per preparala a
qualcosa che sicuramente l’attendeva oltre le mura di questa
Masyaf, città della quale, nella sua ignoranza, non aveva
mai sentito parlare.
La
pioggia ormai era dappertutto: per terra e nei suoi vestiti.
Si
allontanò dalla strada e intraprese i vicoli bui tra una
palazzina e un’altra per evitare di essere vista con del
sangue sui vestiti.
Rinfoderò
la spada con cautela e, passo dopo passo, raggiunse le mura della
città senza troppi problemi.
Il
fastidio più grande fu il freddo, che le lacerò
la pelle e la rese vittima di continui spasmi, senza parlare dei denti
che battevano.
C’erano
arcieri appostati sull’alto dei muri ridotti a macerie del
quartiere povero, 4 guardie a controllare l’ingresso di Acri
e altre che facevano continue pattuglie tutt’attorno.
Nascosta
nella penombra, Elena pregò che andasse tutto bene
perché a quel punto avrebbe dovuto aprirsi la strada
combattendo. Di nuovo.
Stava
quasi per mettere piede fuori dall’ombra, quando un uomo
comparve correndo con la spada in mano, una guardia, e andò
dritto verso i quattro soldati appostati sotto l’arco di
pietra.
Si
scambiarono qualche parola, poi due delle sentinelle si allontanarono
di corsa insieme alla guardia che aveva corso fin lì.
Questo
le facilitava le cose.
Sguainò
la lama e, con tremori alle gambe, deglutì e si
mostrò ai soldati.
-Ehi!
Guarda qua!- il primo si armò all’istante, mentre
l’altro sembrava... dormire.
–Stupido,
è la figlia dell’assassino di cui ci parlava
quello! Svegliati!- il primo gli diede un calcio e lui
scattò con la guardia pronta. –Eh, dove? Cosa?
Chi?-
La
ragazza non si fece distrarre, e approfittò dello
smarrimento del secondo. Lo colpì di striscio ad un braccio,
e riuscì a scartare di lato quando la prima guardia le fu
addosso.
Con
la massima precisione, colpì al petto la prima guardia, che
subito si accasciò al suolo.
La
seconda, in preda alla collera, divenne un duro avversario.
All’inizio la ragazza riuscì a tenergli testa
grazie alle parate fluide che le aveva insegnato il suo maestro, ma
quando i muscoli non allenati cominciarono a formicolare, ed in fine a
cedere, l’uomo riuscì ad aprirle una ferita
profonda sulla gamba.
-Vediamo
come te la cavi ora, mocciosa!- le gridò contro vedendola in
difficoltà.
La
ragazza si piegò dal dolore. Mai suo padre si era spinto a
insegnarle cosa fosse la sofferenza fisica, e tanto meno quali fossero
le reazioni in lei ad un simile squarto.
Lasciò
che la spada le cadesse di mano, e scivolò
all’indietro.
-Guardatela,
poverina…- fece lui girandole in tondo. –Cosa
vorresti che facessi, eh? Che ti lasciassi andare? Sappiamo dove sei
diretta! Erano mesi che le nostre spie pedinavano il tuo vecchio!-
-Cosa?!-
balbettò lei con un filo di voce.
-Vuoi
sapere come sono andate le cose? O meglio, come andranno? Quel vecchio
bastardo domani mattina sarà appeso per il collo vicino alla
grande Cattedrale come avvertimento per tutti quelli come lui!-.
-Non
so… non so di cosa parli!-
-Non
mentire!- le puntò la spada al petto. –Oltre che
essere capace di far strage dei nostri uomini, hai anche la lingua
lunga. Quindi finiamo questa storia prima che anche io rimanga
coinvolto tra le tue vittorie! Questo non vuol dire che io ti tema,
ragazza, e sappi che di fronte alla tua razza nessuno di noi
temerà la morte!-
La
guardia si stava fregando con le sue stesse mani, stava spaziando il
discorso e volgeva spesso gli occhi altrove, distratto dalle parole che
cercava nella sua mante poi da gettarle in faccia a mo’ di
strafottente.
Così
la ragazza lo colpì al cavallo con la punta della scarpa, e
fu lui quella volta a contorcersi dal dolore.
-
Cos’è che hai detto su mio padre?!- si
alzò ignorando il sangue che colava sulla gamba e lo
minacciò alla gola con la lama.
-Bastardo!
Maledetto eretico come tutti gli altri!- l’uomo si rotolala a
terra tenendosi le mani sui punti bassi, e la voce gli era salita di
un’ottava al minimo.
Alla
ragazza scappò un risolino vedendo la guardia provare a
svignarsela strisciando con una sola mano. –La pagherai! La
pagherete tutti…- bisbigliò rabbioso.
Lui
non le sarebbe stato più d’intralcio, ed era ora
di continuare la sua avventura.
Si
voltò verso l’arco di pietra e vi si
riparò dalla pioggia qualche istante.
Era
arrivata la tempesta più nera su Acri, con tanto di tuoni e
fulmini. Una volta fuori dalla città, montò sul
primo cavallo che le capitò.
-Prendetela!-
sentì alle sue spalle, e subito partì al galoppo.
Le
tirarono contro una quindicina di frecce prima che riuscisse a sparire
oltre la coltre di acqua che cadeva a fiotti dal cielo.
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Capitolo 4 *** Colei che combatte contro la morte di altri ***
Colei che
combatte contro la morte di altri
Cadde
da cavallo e rimase a faccia a terra.
Il
suo destriero andò a brucare poco distante, ma lei non si
mosse.
Era
sdraiata a pancia in giù tra gli arbusti, e i passanti non
potevano fortunatamente vederla in quelle condizioni.
Era
giorno sulle torride strade del regno, e nell’alto del cielo
c’era uno strano uccello che pareva le girasse attorno da non
appena era sorto il sole.
Lei
si girò su un fianco e faccia in su.
Vide
l’ombra del volatile che le volava in circolo, e
pensò che la fine era giunta. Pensò che presto
altri avvoltoi l’avrebbero raggiunta, se mai quello fosse un
avvoltoio (pareva una figura indistinta che poteva essere anche una
mosca troppo vicina al suo naso).
Dopo
quello che aveva passato, era il minimo che non morisse dissanguata sul
ciglio della strada. Non le importava di cosa sarebbe successo, voleva
solo che il dolore cessasse, che il bruciore sparisse e quale miglior
modo se non farsi mangiare da degli uccelli spazzini? Se lei moriva,
almeno rendeva felice papà e mamma avvoltoio e i loro cinque
cuccioli.
Così,
pronta alla sua fine, allungò un braccio verso il cielo
azzurro sopra di lei. Quello era il momento migliore per cominciare a
credere nel Dio dei cristiani, nell’Immenso che
l’avrebbe portata con sé fin nel paradiso.
Aprì il palmo, pronta ad afferrare la mano
dell’Eterno Salvatore, che però non si
mostrò.
Al
contrario, la mente di lei ebbe l’impressione di perdersi
nell’oscurità, di viaggiare senza meta tra il buio
e le ombre. Vide i volti di coloro che aveva ucciso nella sua fuga da
Acri, e riconobbe che il luogo nel quale Dio l’aveva mandata
era l’Inferno.
Vide
anche il volto di suo padre, ma come raggiungere un fantasma, si chiese
la ragazza? Suo padre era morto, e lei non poteva fare altro che darsi
la colpa. La sua anima era morta in quella casa con lui, e il suo corpo
sarebbe morto sul ciglio di quella strada, nella folle impresa che
portare a termine sarebbe stata una pazzia! In quei suoi ultimi attimi
s’infuriò con se stessa e con il suo vecchio, che
le mancava davvero, davvero tanto. Versò una lacrima sul suo
volto per il solo pensarci.
Ma…
Prima di morire avrebbe rotto una promessa, infranto un patto.
Si
cacciò la mano nella tasca del vestito, strinse la carta
della lettera tra le dita e quando la tirò fuori era
diventata una pallina rugosa e accartocciata. La mostrò alla
luce del sole e cominciò ad aprirla con l’uso di
una sola mano. L’altra premeva sulla ferita da quando era
partita da Acri, ed era diventata un tutt’uno con il sangue
secco che vi si era formato.
Stava
per leggere la prima riga, la prima parola, quando le mancò
il fiato per la nausea immensa che la pervadeva.
Improvvisamente
sentì una voce che diceva: -guarda fratello!-.
-Vedo
bene…- aveva detto un altro.
-…
è ancora viva, dobbiamo aiutarla!-.
-In
mezzo a tutta questa gente e queste guardie? Non possiamo fare nulla,
andiamo-.
A
quel punto gli occhi le si chiusero e il braccio le ricadde di lato. La
mano si aprì e la pallina di carta rotolò tra gli
arbusti.
-Sta
morendo, è un nostro dovere…-.
-No!-
lo interruppe la seconda voce. –Il nostro dovere ora
è raggiungere Malik. Scordatelo… Halef, cosa stai
facendo? Monta in sella, stupido!-.
Nel
buio assoluto, le parole perdevano il senso e i suoni
s’ingoffivano.
-Che
cos’è questa?-
-Halef,
vieni via!-
Ci
fu del silenzio.
-Fammi
leggere- fece l’altro.
E
ancora silenzio.
-Forza,
dammi una mano- disse in fine il secondo uomo.
-Credi
che…-
-Se
stringeva quella nella mano sì, credo di sì. Ora
aiutami!-.
[…]
-Ha
perso molto sangue, ma posso fare ancora qualcosa-.
-Perché
è qui? Chi è?-.
-Non
lo so Altair, ma ora mandami Adel, mi serve il suo aiuto. Il Maestro ti
cercava, puoi andartene-.
[…]
-Grazie,
avanti, passami quello-.
-Questo,
mia signora?-.
-Sì,
sì, avanti, cerchiamo di accorciare. Preparati, se
è ancora viva la cosa non le piacerà. Voglio che
tu la tenga per le spalle quando si sveglierà, hai capito?-.
-Sono
pronto-.
-Bene.
Cominciamo…-.
…-AH!-
la ragazza aprì gli occhi gridando a squarciagola.
Un
bruciore immenso alla coscia l’aveva svegliata di
soprassalto, afferrata con violenza dal sonno e gettata tra le fiamme.
–Ah! Aaaah!- continuava a gridare mentre il suo corpo era
preda di spasmi e scatti.
Si
tirò sul col busto, ma una mano la spinse di nuovo
giù con violenza.
-Avevi
detto di essere pronto!- emise una donna che pareva innervosita.
-Che
succede? Dove sono?! Cosa mi state facendo?!?!- sopra i suoi occhi che
si aprivano e chiudevano per il dolore, la ragazza scorse un uomo
celato da un cappuccio che la teneva inchiodata per le spalle.
-Sta
scalciando, mia signora Adha, dovresti darle il sonnifero!- disse lui
irritato.
La
stanza in cui si trovava era fredda e ventilata, forse dalle finestre
aperte o molto esposta all’esterno.
-No,
mi serve sveglia per provare che sia viva!- rispose la donna.
–Quando avrò finito ne riparleremo!-.
La
ragazza scoppiò in lacrime. –Smettetela, vi
prego…- cominciò a frignare. –Dovevo
morire sul ciglio della strada, dovevo morire, come mio
padre… lui avrebbe capito, per favore, non voglio soffrire
ancora! Non voglio!…-.
In
quegli attimi di silenzio, l’uomo sopra la sua testa
scoppiò a ridere. –Sta delirando o cosa?-
domandò.
-Basta!-
disse spazientita la donna, e con un gesto doloroso strinse il nodo
della benda attorno alla gamba della ragazza. –Mi sei stato
troppo di aiuto, Adel, non dovevi! Ora fuori di qui!- gridò.
L’uomo
lasciò la stanza.
Nel
momento in cui sentì la porta chiudersi, la sua mente
riaffiorò ad una frase poco prima citata:
“Sta
scalciando, mia signora Adha…”
quell’uomo aveva chiamato questa donna Adha, ma
poteva… poteva essere lei? Quell’Adha?!
La
ragazza riacquistò la calma, i suoi muscoli tornarono a
rilassarsi.
-Adha…-
balbettò stupita a bassa voce.
Non
ci fu risposta, ma dopo tutto, non si aspettava che la donna
l’avesse sentita.
A
quel punto delle coperte le scivolarono sul corpo e la coprirono fino
al collo. Poi una mano venne verso di lei e le prese la mascella,
mentre Adha le faceva scorrere sulle labbra un liquido dolce e denso,
quasi pastoso.
Elena
lo assaporò di gusto, era piacevole e rinfrescante.
La
donna si chinò su di lei. –So- cominciò
a dire. –So che assurde domande vagano nella tua mente, ma ci
sarà tempo per le risposte. Ora riposa, e cerca di
dimenticare il passato, perché da domani
comincerò il tuo futuro. Questo è quello che tuo
padre avrebbe voluto per te-.
Adha
lasciò la stanza, ma prima di cominciare a volteggiare
nell’oscurità del sonno, ad Elena un solo pensiero
s’illuminò di una luce accecante.
Era
a Masyaf.
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Capitolo 5 *** Scale di pietra e buffi stendardi ***
Scale di pietra e buffi stendardi
Si svegliò che era notte fonda.
Alle orecchie le giungevano i canti melodiosi delle cicale notturne,
trasportati dalla brezza fresca che andava a svolazzare per la stanza.
Si guardò attorno alzandosi.
Era una lunga stanza che aveva la forma di un corridoio. Era larga,
spaziosa e poco arredata. Non c’erano finestre, ma tende
trasparenti color porpora che lasciavano scorgere il cielo stellato.
Oltre le tende, si aprivano archi di pietra retti da delle colonne che
davano su uno strapiombo mozzafiato, senza alcun tipo di protezione.
La stanza aveva l’aspetto di un’infermeria:
c’erano mobili che ospitavano garze, tomi e fiale di ogni
forma e colore.
In fine, la ragazza poté ascoltare nel buio i respiri
leggeri di un’altra decina di presenze.
C’erano degli uomini che riposavano stesi, come lei, tra dei
cuscini enormi. Dormivano profondamente, e la maggior parte di loro
riportava ferite di guerra. Per esempio, un ragazzo poco distante da
lei aveva il volto fasciato per intero, e solo un foro per il naso e
uno per la bocca. Chissà cosa gli era capitato,
pensò lei.
Istintivamente si passò una mano sulla coscia, e rimase
sorpresa del fatto che sotto il suo tatto sentì una fresca
benda pulita. Alzò le coperte e guardò con
attenzione.
Non vi erano macchie di sangue o rughe sul bendaggio. Poteva essere che
lo squarto fosse guarito del tutto oppure che qualcuno le avesse fatto
un nuovo bendaggio da poco. Con non meno sorpresa notò che
qualcuno le aveva anche messo le mani addosso per cambiarle i vestiti!
Indossava una veste che le arrivava più in alto delle
ginocchia. Era bianca e leggera, legata in vita da una sciarpa rossa.
Si spostò al bordo del letto e alzò la gamba
malata col solo uso dei muscoli. Fu entusiasta che nessun dolore
l’avrebbe più infastidita d’ora in
avanti. Forse lasciarsi curare era stata la mossa giusta, anzi era
certo che fosse stata la mossa giusta. Ora poteva cominciare di nuovo a
vivere, qualcuno le aveva offerto un posto dove stare, lontana da
allenamenti con le armi, lontana dal sangue e dagli omicidi…
Lontana dalla guerra e dalle vittime che si era lasciata dietro.
Avrebbe dimenticato tutto quello che aveva appreso da suo padre, che
voleva forse proteggerla insegnandole ad usare una spada.
Sorrise. Era andata proprio in quel modo, dopotutto. Se suo padre aveva
fatto qualcosa per meritarsi di morire per mano di Corrado e dei suoi
uomini, prima avrebbe affidato ciò che gli restava
più caro a qualcuno che sapeva se ne sarebbe preso cura. Il
pacchetto da spedire era stato lei, Elena in carne ed ossa, ed era
arrivata a destinazione.
Ma poteva fidarsi di quel luogo?
E si guardò attorno.
Poteva fidarsi di chi lo abitava?
E guardò il ragazzo fasciato che dormiva.
Poteva fidarsi di Adha? Alla quale suo padre l’aveva
affidata?
Ripensò alla donna che non aveva visto in volto mentre un
incappucciato la teneva per le spalle.
Era capitata in mano a sconosciuti, a gente che mai si sarebbe
immaginata che un giorno sarebbe stata la sua famiglia. Per di
più, da quanto ricordava, questa Adha doveva essere qualcuno
di abbastanza importante lì dentro. Insomma, per farsi
chiamare “sì signora” ci vuole un certo
rango, pensò mentre poggiava i piedi scalzi a terra.
Qualsiasi posto fosse Masyaf, non avrebbe speso
quell’occasione per dormire altre 20 ore consecutive.
Piuttosto avrebbe curiosato un po’ in giro.
Fece qualche passo avanti di prova, e andò tutto bene: la
gamba e i muscoli la reggevano.
Silenziosamente, si trascinò verso le colonne.
Scansò una tenda e ammirò il paesaggio.
Lo strapiombo si gettava per un centinaio di metri dentro un lago dalle
acque immobili e così limpide da specchiare le stelle.
Di lato, la ragazza riconobbe la facciata posteriore di una magnifica
ed enorme fortezza di pietra. Buffi ed insoliti stendardi ornavano i
balconi esterni. Portavano un simbolo che non aveva mai visto prima.
Sembrava una A appena stilizzata, oppure un compasso aperto! Si disse
che era strano, ma come tutte le più importanti
città di un regno, anche Masyaf meritava un esercito con la
rispettiva divisa. Gli artisti si erano lasciati prendere la mano,
però!
Con il sorriso in volto lasciò che la tenda tornasse a
svolazzare al vento e andò furtivamente verso la fine del
corridoio.
L’aria fresca le aveva fatto bene, ma era ora di andarsene a
curiosare in giro prima che qualcuno si accorgesse che un paziente
mancava all’appello.
S’infilò nella fessura tra un battente e
l’altro del portone, e si ritrovò in
un’ampia sala ornata di una maestosa gradinata. La scala
seguiva le pareti della torre quadrata, e il tutto era illuminato da
bracieri ardenti che pendevano dall’alto del soffitto.
Quando alzò lo sguardo, la ragazza poté notare
che l’infermeria si trovava in uno dei piani più
alti. Sotto, affacciandosi al parapetto di pietra, vide che i gradini
portavano di tre livelli più i basso.
Cominciò a scendere che non era più nella pelle.
La sua curiosità, si disse a metà strada,
l’avrebbe portata dritta davanti ad una sentinella che
sicuramente, vedendo una ragazza girare scalza e ferita, non avrebbe
potuto fare a meno che domandarsi quanto fosse strano. Forse molti dei
soldati la conoscevano, o già si sparlava di lei in quel
luogo, ma non le importava.
Piuttosto, prese a rallentare il passo quando gli arazzi alle pareti
cominciarono ad attirarla. Erano magnifici, tutti su un’unica
tonalità di colori che andava dal rosso al nero e viceversa.
Rappresentavano diverse battaglie o scene di vita comune. Ma quello che
più la colpì fu un arazzo che rappresentava due
uomini incappucciati. Uno stringeva nella mano una coppa, un calice, e
l’altro s’inchinava portandosi una mano al cuore.
Buffo, pensò. Aveva sentito parlare di molte leggende
riguardo moltissimi artefatti antichi. Il Santo Graal, il Frutto
dell’Eden… suo padre gliene parlava in
continuazione durante le lezioni di storia.
Chissà che forse…
Un rumore di una porta la fece sobbalzare. Il botto rimbombò
per tutta la stanza, ma la spaventò ancora di più
il suono di passi che veniva dai piani alti.
Si appiattì il più possibile contro la parete,
nascondendosi nella penombra tra l’arazzo e
l’angolo delle scale.
Con i suoi occhi attenti scorse una figura incappucciata che scendeva
dritta verso di lei. Era armata, stringeva una torcia in fiamme e
portava una buffa veste: un lunga tunica bianca con diversi spacchi.
Poi una spessa cintura di cuoio e in fine dei cappi che gli
attraversavano il petto dal fianco alla spalla e
s’incrociavano dove sfavillava un triangolo di metallo.
L’incappucciato continuò oltre la ragazza senza
accorgersi della sua presenza, e sparì nel buio portando con
sé il chiarore della fiaccola.
A quel punto Elena riprese a respirare e si accertò che
l’uomo se ne fosse andato davvero.
Leggera leggera si allungò oltre il parapetto e lo vide
imboccare un corridoio.
Pensò che seguirlo l’avrebbe portata da qualche
parte d’interessante, così si affrettò
a fare gli ultimi gradini in quanto silenzio le era possibile.
Al piano terra c’era un tappeto che copriva tutto il
pavimento, e nei diversi quattro muri della torre si aprivano quattro
differenti corridoi.
Non era confusa, anzi, lontano nella direzione davanti a lei poteva
ancora vedere la luce della fiaccola illuminare la figura composta
dell’incappucciato.
Camminando appiattita contro la parete, seguì i suoi passi.
L’uomo svoltò a destra, poi a sinistra e
salì in fine delle scale più piccole che lo
portarono in un cortile.
Lei ne rimase meravigliata.
Era un bellissimo giardino ornato di fontane e piante colorate che
diffondevano un odore dolcissimo, quasi persuadente, accattivante. Era
architettato su dei terrazzamenti esposti ai raggi della luna piena e
allo splendore delle stelle. Sul cortile davano diverse facciate della
fortezza, ma un balcone-giardino era esposto sullo strapiombo sul lago
e abbellito da archi in pietra e colonne.
I porticati erano adornati da tappeti e tavoli lussuosi. Poi vasi,
cassapanche e infiniti cuscini che ci si sarebbe potuto nuotare, e per
di più, dei colori più richiesti e costosi.
Elena si chiese se per caso non fosse ospite di chissà quale
nobile famiglia reale. O magari dei reggenti di Masyaf. Forse Adha era
la regina di quel posto… nella sua mente si articolarono
ipotesi che le fecero girare la testa.
Per la lunga camminata e per lo sforzo di restare sempre vigile, i
muscoli della coscia ferita avevano cominciato a cedere, e la ragazza
fu costretta a sedersi su una panca di pietra.
La ferita si era riaperta, si disse, perché le bende stavano
assumendo un preoccupante colorito rosato.
-E ora che faccio?! Che faccio?!?! Stupida, stupida,
stupida!- cominciò a picchiarsi la testa.
Scendere dall’infermeria era stata una stupida imprudenza, e
ora le sarebbe stato impossibile risalire! Il dolore alla gamba non
cessava, il sangue aveva ripreso a fluire in grosse quantità
che la cucitura nascosta sotto le bende non riusciva più a
reggere!
Il primo terrore che le passò sulla coscienza fu quello di
essere notata da qualcuno che si sarebbe ricordata per sempre di lei
come la stupida handicappata ficcanaso! Apparire non le era mai
piaciuto, il centro dell’attenzione era la sua grande
debolezza. Come detestava che in cinque si prendessero cura di lei, un
tempo aveva odiato alcune sue amiche per averla lasciata sola con un
ragazzo che le faceva la corte. Davanti a suo padre e a quello del
giovane.
-Una vita tranquilla!…- si diceva sempre. Ma quale
tranquillità! Fin da quando suo madre l’aveva
messa al mondo, la sua vita era stata tormentata, e un Dio in fame
aveva messo radici sulla sua anima condannandola alle umiliazioni
peggiori.
Tutto quello che faceva e che aveva fatto era o si sarebbe rivelato
sbagliato! Nessuna delle sue decisioni era mai corretta, nessuno che le
dicesse mai: - Hai fatto la cosa giusta-. Mai!
Ripensare a certi avvenimenti le fece luccicare gli occhi, mentre le
labbra le si increspavano e il mento le ballava come gelatina.
Non riuscì a trattenere una lacrima, e si disse che stava
piangendo perché ormai non si sarebbe potuta rendere
più ridicola di così. Tanto valeva sfogarsi una
volta per tutte.
Aveva toccato il fondo, il suo animo depresso l’avrebbe
condotta alla morte prematura. Se non fisica, allora mentale.
Alzò gli occhi rossi al cielo e si concentrò
sulle stelle che ornavano il firmamento pur di distrarsi.
La verità era che non conosceva neppure una costellazione.
Per lei erano puntini luminosi senza un ordini logico o sintattico.
Qualcuno li aveva messi lì solo per non rendere il cielo
notturno più macabro di quanto era davvero.
Ovunque girasse lo sguardo riusciva ad odiare quello che vedeva, quello
che la circondava era tutto sbagliato. Lei non doveva essere
lì, si disse, ma a sfamare papà a mamma avvoltoio
sul ciglio della strada torrida del regno! Chiunque l’avesse
salvata condannandola a continuare ad odiare se stessa
l’avrebbe pagata cara!
-Ehi, tu!-
Si voltò e vide che due uomini la guardavano attraverso
delle sbarre che chiudevano l’ingresso ad una stanza.
–Sì, tu!- fece l’altro.
La ragazza scattò in piedi.
-Non è quella che hanno trovato Marhim e Halef?-
domandò una guardia al compagno.
-Che importa!- rispose l’altra. –No può
stare lì!- disse indicando la ragazza.
Lei indietreggiò sconcertata. –Io…-
balbettò.
-Da dove è saltata fuori?-
-Sicuramente è passata da dietro, viene
dall’infermeria. Ragazzina- la chiamò uno dei due.
Sicuramente non poetavano raggiungerla se non avevano le chiavi.
–Ciao…- mormorò facendosi avanti.
-Sì, da brava, vieni qui-.
L’altro gli diede un botta sulla spalla. –Ma si
può sapere che cosa ha in mente?-.
-Lasciami fare, non vedi che è ferita? Forse non ce la fa a
tornare su da sola-.
-Invece- disse lei. –invece credo di farcela, grazie- fece
confusione con le parole, ma il senso della frase venne fuori.
-Sicura?- le domandarono assieme i due.
Lei annuì. –Scusate se vi ho disturbato,
e…-.
-Ehi, ragazza! Sbrigati!- mormorò uno. –Quella
benda non reggerà a lungo. Ti manderemo qualcuno appena
potremo, ora tornatene di sopra!-.
Ascoltò il consiglio e cercò di ricordare la
strada.
-Quarto piano!- gli disse la guardia prima che sparisse nel corridoio.
I piedi si erano intorpiditi dal freddo, la benda andava a sciogliersi
e il dolore… be’ il dolore era il dolore.
Al terzo piano già non ce la faceva più, e doveva
ancora arrivare silenziosamente fino alla fine
dell’infermeria.
Col fiatone e coi muscoli che chiedevano sangue, sangue e ancora sangue
quando in circolo ce n’era fin troppo poco, raggiunse
l’ingresso della sala ospedaliera.
Il portone era socchiuso come l’aveva lasciato e
s’infilò tra i battenti.
Camminò lentamente nei suoi ultimi sforzi, quando davanti al
suo letto vuoto vide una figura dritta e vestita di un lungo vestito
rosso.
I ricami dorati della veste brillavano alla luce delle stelle. Aveva
lunghi capelli corvini legati in una treccia e le dava le spalle.
Elena si nascose dietro un mobile abbastanza spesso.
La donna si girò e cominciò a camminare verso di
lei con un cesto in grembo.
Quando Elena credé che non si fosse accorta di lei, la donna
si voltò e la vide nascosta nella penombra. –Che
cosa credevi di fare?!- le gridò a bassa voce.
-Io…- Elena si strinse al muro.
-Guarda che razza di…- la donna imprecò nel
vedere lo stato del bendaggio. –Spero che un giorno
ripagherai quello che questo luogo ha fatto per te e tutta la pazienza
di chi ci vive! Avanti, stenditi subito!-.
Elena camminò svelta verso il letto e si sedette sul
materasso.
La donna lasciò il cesto vicino ad un altro paziente e vi
trasse il nuovo rotolo di garza. –Ho detto di stenderti!-
ruggì tenendo bassa la voce.
Elena si stese a pancia in su sul momento.
La donna le alzò la gonna e per la prima volta Elena, anche
se sapeva che l’aveva fatto parecchie volte, provò
imbarazzo.
-Sei… sei Adha, non è così?-
trovò il coraggio di chiedere.
Con uno strappo sonoro Adha tirò via le bende vecchie, ed
Elena non riuscì a trattenere un mugolio.
-Era un sì?- chiese a denti stretti.
-Tuo padre ti ha insegnato male cos’è il dolore-
fu la risposta della donna.
-Non me l’ha insegnato affatto- Elena guardò
altrove.
L’infermiera tacque qualche istante e rallentò i
suoi movimenti, come stesse pensando a qualcosa che le teneva la mente
occupata. Poi, d’un tratto, riprese ad essere dura e
scontrosa.
-Sì, il mio nome è Adha. Ma quando ti ho detto
che ci sarebbe stato tempo per le domande, non intendevo ora!- strinse
con violenza la nuova fasciatura.
-Puoi fare un po’ più piano?- disse stridendo.
-Perdonami! Sono abituata con loro- Adha indicò con la testa
gli altri pazienti. –Sai perché sono
così tranquilli?- le chiese.
Elena non seppe che rispondere, alzò appena le spalle.
-Li ho imbottiti di anestetico, una mia invenzione. A quanto pare,
pensando che a te ne sarebbe bastata una dose minore mi sbagliavo. Un
veleno abbastanza forte che uso soprattutto con chi deve amputarsi un
arto-.
-Dove sono?- Elena tentò di cambiare argomento.
Adha cercò tra gli scaffali della parete e ne trasse una
boccetta.
-Ti ho detto che non è il momento. Finché non
sarai guarita del tutto, non lascerai questa stanza, sono stata chiara?
Sicuro che non andrai lontana, poche gocce ti terranno inchiodata qui
per ancora qualche giorno. Poi sarò io a decidere se sarai
in grado di conoscere il Maestro-.
-Chi?-.
Adha non le diede altro tempo: le afferrò la mascella, le
aprì la bocca, ed Elena non si ribellò.
Le buttò in gola il sonnifero, e tutto divenne buio.
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Capitolo 6 *** Tharidl Lhad ***
Tharidl Lhad
Il
sole splendeva, il cinguettare degli uccelli suonava melodioso e il
vento rinfrescava la stanza.
Da
quando aveva sentito il potere del sonnifero farsi debole, Elena era
rimasta sveglia dall’alba. Seduta sul letto con le gambe
incrociate si guardava attorno e ammirava come quel posto potesse
cambiare dal giorno alla notte.
Le
tende erano state legate con dei cordoni bianchi alle colonne in
pietra, e sul pavimento erano stati portati coloratissimi tappeti. Ad
ornare le pareti vi erano altri arazzi e rappresentazioni.
Non
tutti degli uomini che la circondavano erano ancora sotto
l’anestetico. Molti di loro si erano svegliati di soprassalto
e le avevano volto solo un’occhiata di sfuggita, prima di
mettersi a controllare lo stato delle proprie ferite.
Il
ragazzo accanto al suo letto non aveva più
quell’orribile bendaggio, ma sembrava stesse ancora dormendo,
e russava per di più.
Elena
incontrò lo sguardo di uno dei presenti che la fissava
mentre si stringeva lo stivale. L’uomo si allacciò
una cintura di cuoio e continuò a non staccarle gli occhi di
dosso, come tenendola sotto osservazione per analizzare una sua
reazione.
Elena
ricambiò guardando come lui si finiva di armare con una
spada e alcuni coltelli che nascose nella cintura. La guardava torvo,
con amarezza e cattiveria.
Ad
Elena parve di non conoscerlo, ma forse si erano già visti
da qualche parte mentre lei era incosciente.
L’uomo
finì di allacciarsi per bene entrambi gli stivali e si
sgranchì la schiena con pochi fluidi ed impressionanti
movimenti delle scapole. Per finire, si calò il cappuccio
sul volto e lasciò la stanza.
Elena
rimase impietrita.
Perché
lì dentro sembrava che celare il proprio viso fosse una
componente della divisa di Masyaf?
-
No!- sentì una voce e si voltò verso il ragazzo
che ora era sveglio e si stiracchiava sbadigliando.
-
Hai qualcosa che non va?- chiese un altro in piedi vicino alle tende,
appoggiato ad una colonna. Aveva una gamba intermante fasciata e vicino
a lui erano adagiate delle stampelle.
-
Speravo che a toglierti dalle scatole ci pensassero i saraceni!-
sbottò il ragazzo agitato.
L’uomo
alzò un sopracciglio e rispose con uno sguardo truce.
– Cosa hai detto?- chiese a denti stretti.
-
Ehi, smettetela!- intervenne un altro. Era seduto tra i cuscini con la
schiena alla parete, coperto da una coperta pesante. Giocherellava con
un coltellino che si faceva scorrere tra le dita. –La nostra
ultima missione non è andata come credevamo, ma non
è stata colpa di nessuno, chiaro?-.
-
Taci tu!- lo indicò il ragazzo. – Che hai
preferito svignartela!-.
-
Ma guarda caso gli arcieri non mi hanno mancato!- rispose quello.
– sarai contento ora- mormorò tra sé.
Il
ragazzo annuì. –Certo, certo, ma voglio sapere
come mai a te non hanno fatto nulla!- gridò.
L’uomo
appoggiato alla colonna si voltò a guardare come
l’altro presente nel dibattito alzava la coperta e mostrava
che gli mancava la parte inferiore della gamba; dal ginocchio in
giù, l’arto sinistro gli era stato amputato.
–Hai qualcosa da aggiungere?- fece irritato, e si
coprì di nuovo tornando in seguito a girarsi la lama tra le
mani.
Elena
distolse lo sguardo, ma attirò su di lei
l’attenzione dei tre.
-
E questa chi è?- domandò interessato il ragazzo.
-
L’hanno portata qui Marhim e Halef qualche giorno fa -
rispose l’uomo seduto.
Il
giovane sbuffò. – Credo che abbia la lingua per
parlare da sola, non trovi anche tu?-.
Di
risposta alzò le spalle e tornò alla sua lama.
-
Non dargli fiducia, ragazza- le disse quello contro la colonna.
– L’ultima volta gliene abbiamo data tutti e due, e
non è finita bene- borbottò.
-
Sei sempre il solito testardo, dai sempre la colma a me!- si difese il
ragazzo. – Questa volta sei stato tu a far saltare la
copertura, maledetto! Garik ci ha perso una gamba ed è stata
colpa tua, NON mia!-.
Elena
cercò di pensare a qualcos’altro ma la
conversazione si stava facendo interessante quanto strana e pericolosa.
Garik
doveva essere quello senza la gamba.
Elena
rimase in silenzio.
-E
tu sei sempre il solito moccioso. Cresci! Sei un assassino di un certo
rango, che secondo me neppure ti meriti, ed è ora di pensare
al tuo dovere!- rispose l’altro.
-Mi
sono meritato il rango con la fatica che neppure immagini,
Jarhéd! Neppure sapresti come arrivare al mio livello!-
-Ma
quale livello, ragazzino!- rispose scontrosamente Jarhéd.
– Sono di due targhe più in alto di te, stupido!-.
-Non
per molto! Per questo avrei preferito che morissi a
Gerusalemme…- mormorò il giovane.
-Cosa
è che hai detto, Rhami?!- gli ruggì contro Garik
fermando d’un tratto la lama che scorreva tra le sue dita.
–Non dirlo neppure per scherzo- aggiunse.
-Non
mentire, Garik. Sappiamo cos’è successo davvero.
È stato un caso che le guardie lo abbiano colpito, forse
l’hanno scambiato per me o te, ma so per certo che
Jaréd è un traditore, e sarò io stesso
a raccontarlo al Maestro!-.
-Non
sono un traditore!-.
Non
riuscì ad aggiungere altro che Rhami si alzò e
cominciò a vestirsi. – è inutile
continuare a mentire. Ti ho visto che parlavi con quel saraceno! Ti ho
visto!- gli puntò il dito contro.
-Rhami,
rimettiti giù- disse Garik.
-
Non lascerò che un traditore giri per le stanze della
fortezza, non lo permetterò!- continuò Rhami.
-Tutto
ciò- fece Jarhéd. – Tutto
ciò è assurdo, non sono una spia, tanto meno un
traditore. Se hai visto qualcuno quella mattina, ti posso assicurare
che non ero io!- tentò di calmare il compagno.
-Sono
stanco delle tue!…- non poté terminare la frase
che i battenti in fondo alla stanza si aprirono di colpo.
Adha
quella mattina indossava un mantello bianco con dei ricami rossi,
mentre le guardie ai suoi fianchi indossavano tuniche corte e grigie.
Armi alla mano e occhi attenti.
Due
donne dietro di loro portavano dei cesti con delle coperte e delle
federe pulite.
-Avevo
chiesto che questi tre pezzenti fossero divisi prima che si
svegliassero, ma il Maestro non ha voluto darmi ascolto, a quanto pare-
Adha incrociò le braccia e squadrò i presenti.
-Mia
Signora Adha…- Rhami s’inchinò
portandosi una mano al cuore, e altrettanto fecero Jarhéd e
Garik, quest’ultimo abbassò solo lo sguardo non
potendo fare di più.
-Su,
chi di voi è in grado di lasciare l’infermeria lo
faccia ora o mai più- Adha si rivolse ai pazienti
svegli.
Jarhéd
prese le sue stampelle e s’incamminò verso
l’uscita, seguito da Rhami.
-Vedete
che non si menino sulle scale- disse Adha, e una delle due guardie
seguì di paro passo Rhami, che in volto aveva solo rabbia.
L’altro
soldato andò di fianco al letto dov’era seduto
Garik e lo aiutò ad alzarsi. Garik mise un braccio attorno
alle spalle della guardia e lasciò anche lui la sala.
Le
due donne poggiarono i cesti accanto al letto.
-Avanti,
scendi. Non hai più nulla da temere, puoi togliertela- disse
Adha con tono più gentile.
Elena,
ancora intimorita, scese dal letto che le due donne presero a pulire e
si guardò la coscia.
La
fasciatura era ancora lì, così tentò
di sciogliere il nodo che la teneva stretta.
Adha
sbuffò vedendola in difficoltà e le porse un
coltello che estrasse dallo stivale.
Elena
lo prese con mano tremante, poi poggiò la lama sulla pelle e
la infilò tra la carne e le bende. Con un taglio unico,
preciso e potente, le garze svolazzarono al pavimento.
-Ecco
fatto- annuì contenta dal donna.
-E
ora?- domandò Elena restituendole l’arma.
-Voglio
farti conoscere il posto. O meglio- si corresse. –Ho ricevuto
l’ordine di farlo-.
Adha
andò verso un armadio a parete e prese dei sandali da uno
scaffale. Tornò verso di lei e glieli lasciò
cadere davanti. –Mettili- disse.
Elena
li legò ai piedi in fretta.
-Ora
seguimi, e stammi incollata dietro, chiaro?- fece seria.
-Va
bene, ma quando posso sapere perché…-
Adha
alzò una mano, ed Elena chiuse la bocca. –Non ora-
guardò il paesaggio fuori dalla stanza e sospirò.
–Non posso essere io a prendere certe decisioni. Ora
fa’ come ti ho chiesto, cammina…-.
Adha
s’incamminò, e la ragazza, inciampando
più volte nei tappeti e pensando che nulla di più
strano nella vita le sarebbe capitato, la seguì.
Le
stanze del palazzo avevano tutti altri colori con la luce del sole che
passava attraverso ampie finestre che la notte prima, Elena non aveva
neppure notato.
Molti
degli arazzi lungo lo pareti le comparvero cento volte più
incredibili, pieni di dettagli.
Si
guardò attorno come fosse in un posto nuovo.
Notò
subito con simpatia che di gente che girava ce n’era e tanta.
Uomini
con la solita buffa divisa salivano e scendevano le scale, fermandosi
ed inchinandosi ad Adha chiamandola “signora”.
Spesso e solitamente i loro sguardi si posavano anche su di lei, ed
Elena, in tutta risposta, provava a mostrarsi distratta.
Il
piano terra, e poi verso uno dei corridoi. Non imboccarono quello che
andava al cortile, ma seguirono una strettoia che poi svoltava diverse
volte.
Sul
corridoio si aprivano delle stanze.
Adha
si fermò proprio davanti ad una grande porta di legno e
l’aprì con una chiave.
L’interno
era buio e l’aria che la pervase era intorpidita e malsana.
Adha
andò verso la fine della camera e spalancò delle
tende.
La
luce fece male a quel posto quanto agli occhi della ragazza, che stava
cominciando da poco ad abituarsi. –Ma che posto
è?- domandò soffocando uno starnuto.
Aloni
di polvere si sollevarono per la stanza, mentre Adha correva ad alcuni
scaffali poco distanti.
Elena
identificò quel luogo come un dormitorio forse, o comunque
una stanza trasandata nella quale erano buttati una decina di letti.
-In
questa stanza ora ci teniamo la roba che non serve più. Come
un tempo…- disse Adha sollevando una vecchia coperta che
celava una cassapanca in mogano. – Come un tempo ci dormivano
delle persone che alla fine non sono più
servite…- lo disse con malinconia e spensieratezza, come se
l’argomento la toccasse in qualche modo.
-Era
la tua stanza?- chiese ancora Elena.
Adha
aprì la cassa e vi infilò le mani, ed Elena
rimase all’ingresso accanto alla porta.
In
effetti, oltre ai vecchi letti dimenticati, la stanza ospitava antichi
mobili, vestiti, armi e tappeti. Il tutto più che coperto da
polvere. La polvere lì aveva fondato le colonie!
-Prendi!-
Elena
afferrò al volo quello che le parve un vestito che bianco
era stato ma non era più.
Adha
le lanciò anche una cintura e alcuni lacci di cuoio. In
fine, coperta fino al collo, Elena riuscì per miracolo ad
afferrare il fodero di una spada.
-Posso
sapere cos’è tutta questa roba?!-
domandò cercando di non perdere l’equilibrio.
Adha
chiuse la cassapanca e rimise la coperta dov’era, poi le
indicò la strada fuori dalla stanza.
Chiuse
a chiave e s’incamminarono.
-Puoi
rispondermi?!- le guardie che passavano di lì le guardavano
entrambe stupefatti e sorpresi.
Adha
si fermò voltandosi verso di lei. -Vorrei avere
più tempo, ma spero che…-
-Mia
signora Adha!- la voce veniva dalle spalle di Elena, che non
provò neppure a girarsi per quanto l’equilibrio le
fosse precario.
-Adel,
è un piacere rivedervi, ma cosa?…-
-Mia
signora- disse l’uomo guardando Elena coperta fino al naso di
vestiti e cuoio. –Il Maestro chiede urgentemente di voi e
della ragazza, prima di qualsiasi altra cosa- l’uomo aveva il
fiato corto per la corsa, e sotto il cappuccio mostrava le guance
arrossate.
-Immediatamente
– fece Adha. –Adel, porta questi nella sua stanza-
aggiunse.
Elena
lasciò che l’uomo afferrasse saldamente la roba
che aveva in braccio, e assaporò l’aria pulita
lontana dalla polvere che quegli abiti trasudavano.
Adel,
nonostante il peso degli oggetti, proferì un inchino e
tornò verso le scale.
-Dov’è
che andiamo?- domandò Elena prendendo una grossa boccata
d’aria.
-Sei
molto attenta, vedo…- commentò Adha avviandosi.
–Dovrai imparare ad ascoltare meglio ciò che ti
circonda, ma veramente… non era in programma tutto questo-.
-Che
programma?-
Salirono
delle altre scale che le portarono all’interno di una sala
divisa su due piani. Il primo sembrava una biblioteca ed era
controllato su entrambi i lati da una dozzina di guardie, mentre il
secondo era appena sopra le loro teste.
Intrapresero
dei gradini di pietra che le portarono di fronte ad una grata di
metallo.
-Ehi,
guarda chi c’è!- sbottò una guardia.
Elena
si staccò da Adha che continuò sulle scale.
-Voi…-
balbettò la ragazza riconoscendo i due soldati della notte
prima.
Erano
di guardia alla grata che ora era per metà alzata e dava sul
quel magnifico cortile.
-Un
vero piacere vedervi in forma, signorina- disse il più
giovane.
Elena
non poté far a meno di arrossire.
L’altro
gli diede una pacca sulla spalla. –Smettila, sai che non
possiamo immischiarci. Avanti, torna a fissare il vuoto davanti a te-
fece quello più vecchio riacquistando compostezza.
Elena
rimase stupita del rigido codice che dovevano seguire.
–Cosa…-
-Fareste
meglio ad avviarvi, ragazza- aggiunse la seconda guardia.
Elena
riprese il cammino e lanciò un’occhiata ad Adha,
che era di fronte ad un uomo incappucciato di una mantella tra il verde
e il blu.
Mosse
qualche passo avanti, ma si sentì in dovere di restare da
parte mentre i due si scambiavano alcune parole.
Rimase
dietro una colonna e attese.
Erano
bisbigli che non riuscì a cogliere, ma si disse che era
meglio non origliare, sarebbe stato scortese.
Adha
e l’uomo la videro, e la ragazza arrossì
d’un tratto.
-Vieni-
gli disse l’uomo con una voce tranquilla.
Elena
si fece avanti e si fermò di fianco ad Adha, che fece per
andarsene.
-No,
ti prego- fece lui. –Mi servi ancora-.
Adha
allora tornò di fianco alla ragazza.
Era
vecchio, forse sulla quarantina d’anni, ma aveva un corpo
giovane ed eretto. Ben composto e davvero imponente.
Elena
imitò un inchino col capo, ma non riuscì a
proferire parola.
Sotto
il cappuccio Elena scorse solo un mento coperto da ciuffi di barba
grigia. –Elena, giusto?-
Annuì
timidamente.
-Un
bellissimo nome, che sicuramente non è di queste parti. Sai
perché tuo padre ti diede questo nome?-
A
quel punto lei non seppe che rispondere, e si limitò a
scuotere la testa.
-Nonostante
la tua carnagione scura e gli occhi di tua madre, egli ti diede un nome
che potesse assicurare la tua sopravvivenza ad Acri. Egli ti permise
con quel nome di poter vivere dentro le sue mura-.
Elena
non ci aveva mai pensato. Le venne da chiedergli come facesse a sapere
certe cose, ma rimase in silenzio, perché l’uomo
proseguì.
-Conoscevo
tuo padre, e conoscevo ance tua madre. La lettera che tuo padre ti
chiese di consegnare ad Adha, in realtà era indirizzata a
me, ma egli non era a conoscenza del fatto che fossi ancora vivo. Vedi,
so che all’inizio ti sarà difficile capire, ma sei
qui perché lo voleva tuo padre, e so che ti fidi molto di
lui-.
-Sì,
è così- mormorò la ragazza.
Nel
frattempo Adha la guardava commossa.
-Sono
contento che ti sia lasciata curare da Adha, anche perché la
maggior parte dei nostri medici sono uomini e la cosa posso immaginare
sarebbe stata fastidiosa. So cosa hai passato per arrivare qui, e ne
porti ancora i segni. Se non sulla pelle, allora nel cuore. Elena, sono
felice di accoglierti a Masyaf nei migliori dei modi, in onore di tuo
padre e di chi egli ci consegnò molto tempo fa…-.
Adha
si schiarì la voce. –Maestro- lo
richiamò.
-Sì?-.
Elena
la guardò colpita.
-Sarò
felice di occuparmi di ciò di cui mi avete parlato, a
cominciare da ora-.
-No,
Adha. Ella non è qui per questo. Kalel la mandò a
noi affinché la proteggessimo, e mi sento in dovere di
rispettare le sue parole-.
Kalel
era il nome di suo padre, e le parole di cui parlava “ il
Maestro” erano quelle che aveva lasciato sulla lettera.
-Ma
maestro! Kalel!…-Adha scattò in avanti.
-No,
ho detto di noi! E ora lasciaci soli. Va’-.
Adha
scese le scale e lasciò la stanza con passo incalzante.
Rimase
sola di fronte all’uomo che sembrava sapere parecchie cose su
di lei, su suo padre e sua madre. Poteva restare ad ascoltare anche
tutta la vita.
-
Elena, questa ora è la tua nuova casa e io non so da dove
cominciare per insegnarti in che razza di posto ti trovi. Se hai
domande, ti prego, non esitare- rise l’uomo.
Elena
ci pensò su. – Vi debbo la vita, a voi e ai due
uomini che mi salvarono quando avrei preferito morire. Ma mi
chiedevo…-
Si
chiedeva tante cose, ma le sembrò davvero irritante
chiedere, chiedere e chiedere. – Come mai vi fate chiamare
“Maestro”? Qual è, se posso, il vostro
nome?-.
L’uomo
non si scompose. – Il mio nome è Tharidl Lhad.
C’è altro?-.
-Cosa
posso fare per rendermi utile?- gli era uscito spontaneo, inevitabile e
impulsivo.
Anche
sotto il cappuccio, la ragazza poté notare che il vecchio
aveva alzato un sopracciglio. –Utile? Per essere utile, qui
non basta nessuna delle qualità che possiedi, e
sinceramente, molti di noi speravano che tuo padre ti avesse insegnato
qualcosa di più…-.
-Non
capisco di cosa state parlando- disse in tutta sincerità.
-Non
c’è bisogno di capire. Ora più che mai
ci servirebbero diverse mani per far tornare questo luogo allo
splendore di un tempo. Sarai disposta a barattare la tua salvezza in
cambio di alcuni lavori domestici?- un angolo della bocca di Tharidl
Lhad si sollevò.
-Qualsiasi
cosa, pur che la mia mente sia impegnata e lontana dalle vite che ho
spezzato…- abbassò gli occhi al suolo, ma il
Maestro le prese il mento tra le mani.
-Un
giorno, quando dimostrerai quanto il tuo animo è forte, e i
tuoi muscoli sono scattanti, un giorno tutte le tue paure svaniranno, e
ai tuoi occhi comparirà la via che devi seguire.
Sarò io ad indicartela, e tu potrai scegliere, come in
passato fecero molte altre…-
Elena
rimase sbigottita, ma il Maestro si voltò e andò
ad affacciarsi alla vetrata dietro il
tavolo.
– Puoi andare, abbiamo finito- disse sospirando.
Una
guardia comparve alla destra della ragazza ed Elena la seguì
fino al piano inferiore.
-Il
Maestro ti concede il permesso di girare nella fortezza e assistere a
qualsivoglia intraprendenza al suo interno- fece il soldato, poi si
allontanò fuori dalla sala.
Elena
si guardò attorno, sperduta.
Fuori
dalla biblioteca veniva il suono del clangore di spade, e fu attirata
da quel suono, come un topo che va dritto al formaggio.
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Capitolo 7 *** Il mio nuovo Desmond ***
Il Mio
nuovo Desmond
-Sta
mostrando un ottimo livello di sopportazione- disse Vidic avvicinandosi
a Lucy. – Possiamo lasciarla dentro per ancora qualche ora-
aggiunse.
Lucy
chiuse il portatile con violenza, e il sistema operativo
dell’Animus si spense all’improvviso.
-Cosa
sta facendo?!- domandò sconcertato lui.
I
miei occhi si aprirono a fatica, mentre il soffitto e il pavimento si
rincorrevano. Provai a balbettare un timido –Come mai ci
siamo fermati?- ma nessuno parve ascoltarmi.
-I
livelli di tossicità mentale erano al massimo, e lo sapeva
bene anche lei! Gli ho mandato gli ultimi aggiornamenti
un’ora fa, alla sua scrivania! Non si è neppure
degnato di guardarli!- sbottò gridando Lucy.
Vidic
non parve sorpreso dell’accusa.
-Tossicità?-
mi sedetti con le gambe a penzoloni massaggiandomi le tempie.
- Si
stenda signorina Tomas!- mi disse Vidic nervosamente, poi si rivolse a
Lucy che lo fissava rabbiosa. –Lucy farà ripartire
l’Animus immediatamente-.
-Non
credo proprio!- la donna staccò il portatile dalla
piattaforma sul quale era appoggiato e lo mise sotto braccio. Poi si
avviò verso l’uscita dando a tutti le spalle.
-Signorina
Stilman, torni subito qui!- Vidic le corse dietro, ed entrambi sparino
oltre la soglia della sala conferenze.
-Andrea!-
Desmond comparve correndo e venne verso di me.
-Ce
c’è? Anzi, se sai cosa sta succedendo…-.
-Lucy
lo sta distraendo e lo terrà lontano da qui non per molto,
ma ho bisogno che tu cerchi una cosa per me e lei- disse.
Io
ci rimasi stranita. –Come?-.
-Nei
tuoi ricordi c’è un’informazione che
Vidic non deve assolutamente scoprire. Lucy mi ha incaricato di trovare
il ricordo e cancellarlo. Non chiedere altro, perché
concretamente non so neppure io di che ricordo si tratta. Se ne sarebbe
occupata lei di persona, ma quando il Doc ha scoperto che Lucy era
dalla mia parte, non le ha lasciato tregua ed io sono sotto stretta
osservazione. Ora rimettiti giù!- le disse andando di corsa
verso la scrivania del professore. Si sedette ed inserì nel
PC una chiavetta.
Ci
pensai un istante, poi mi ristesi e lo schermo dell’Animus mi
coprì il campo visivo.
Mi
aspettavo una luce accecante, ma quando la macchina dei ricordi fece il
suo lavoro, un buio intenso mi pervase.
La
mia coscienza si perse nell’oscurità come stessi
sognando.
Desmond
trovò facile accedere ai dati che Lucy aveva salvato sulla
chiavetta che poi gli aveva affidato. I file che tenevano i ricordi di
Andrea raggiunsero automaticamente l’Animus senza che lui
avesse bisogno di alzare un dito.
Sullo
schermo comparve una lista di cartelle, e Desmond seguì le
indicazioni di Lucy a riguardo.
-Blocco
34…- lesse e vi cliccò sopra.
Nella
cartella comparvero una decina di file molto differenti tra loro.
Con
il doppio click del mouse aprì il ricordo.
A
quel punto, come annotazioni laterali, Desmond vide che Lucy aveva
allegato un documento. Quando vi cliccò sopra, vide che era
una delle tante e-mail che mandava ai suoi riceventi fuori
dall’Abstergo.
Vi
informo su alcuni ultimi fatti:
--Ricordo
AE.ff34. –
***Il
soggetto 18 dimostra una compatibilità eccessiva con
l’Antenato Alatir. Temo che certi
***avvenimenti in questo ricordo possano compromettere i risultati
della ricerca che sto portando ***a fine. Affinché in Vidic
non sorgano dei dubbi, ho intenzione di eliminare il ricordo sia dal
***soggetto 17 che dalla ragazza. Lavorare con i due pazienti potrebbe
essere rischioso se qualora ***Desmond o Andrea ne entrassero a
conoscenza. Spero di aver fatto la cosa giusta.
--Memo—
***AE.ff34
eliminare e cancellare dal database.
Lucy
-Compatibilità
con l’Antenato?…- Desmond allungò lo
sguardo alla ragazza stesa sull’Animus, e gli
passò per la mente che c’era qualcosa di strano
che Lucy non gli aveva ancora detto. –Che cosa vuol dire?- si
chiese tornando a frugare tra gli appunti.
Sul
desktop comparve una barra rossa quasi del tutto completa.
Quando
l’Animus ebbe finito di eliminare il ricordo, Andrea
aprì gli occhi all’improvviso.
-Tutto
apposto?- Desmond mi venne vicino e mi diede una mano a scendere dalla
macchina.
-Sì,
sì- risposi, ma sentii un giramento di testa inaspettato e
dovetti tenermi al suo braccio.
-Eh,
non te approfittare!- proruppe lui ridendo, ma il suo sorriso si spense
in fretta.
Sentivo
i muscoli venirmi meno e le forze prosciugarsi come se il semplice
fatto di stare in piedi mi costasse uno sforzo disumano. Quando Desmond
si accorse che non ero più in me, prese il mio volto tra le
mani.
-Andrea,
Andrea ci sei?- chiese e cominciò a schiaffeggiarmi.
Persi
il senso del dolore, mentre la vista mi si appannava e sentivo di
crollare al suolo.
Il
mio ultimo ricordo fu Desmond, che tenendomi attaccata a lui, gridava:
-Ho bisogno di aiuto qui!!!-
La
porta della sala conferenze si aprì.
Desmond
adagiò il corpo della ragazza al suolo e cominciò
ad ammirarne il colorito pallido.
Vidic
e Lucy lo raggiunsero, questo si chinò sulla giovane mentre
Desmond si faceva da parte.
Lucy
spostò lo sguardo da Andrea al ragazzo. -Che cosa
hai combinato?- chiese preoccupata.
-Ho
fatto tutto quello che mi hai detto! Nulla!- sbottò Desmond.
– è scesa dall’Animus ed è
crollata!- aggiunse.
Vidic
le strinse il polso, e dopo pochi secondi di silenzio
pronunciò il verdetto. –è viva. Si
può sapere che cosa è andato storto?- estrasse
dal taschino del camice una piccola torcia e le illuminò le
pupille. Erano dilatate al massimo.
-Le
avevo detto di non esagerare, Vidic!- protestò Lucy
chinandosi anche lei.
-Non
sono effetti collaterali registrati nei precedenti pazienti, tanto meno
dovuti all’eccessivo trattamento, signorina Stilman. Lo
riconosco un ricordo cancellato, quando ne vedo uno!- gridò.
Lucy
tacque assieme a Desmond.
-Come…-
-Ora
non è importante, ne discuteremo a breve! Fatela stendere,
tra poco ritornerà in sé- Vidic lasciò
la stanza.
Desmond
aiutò Lucy a tirare su da terra la ragazza, e insieme la
portarono nella sua stanza.
-Mi
spiace- disse lui mentre la trascinavano verso la camera.
-Non
è stata colpa tua. Sapevo che rimuovere quel ricordo sarebbe
stato pericoloso e anche azzardato, ma pensavo di poter contare sul tuo
silenzio fin quando non si fosse ripresa- disse Lucy.
-Credevi
che vedendomi crollare Andrea tra le braccia non avrei chiamato aiuto?-
domandò stupito lui.
Lucy
annuì.
-Certe
volte le persone non sono quelle che pensi- borbottò.
-Più
di quanto immagini- rispose.
La
stesero sul letto.
-Se
è svenuta- chiese Desmond. –Perché ha
gli occhi aperti?-.
-Il
suo non è uno stato di svenimento. È cosciente, e
forse ora può anche sentirti-.
-Davvero?!
Volevo dire, interessante…-.
-Non
è affatto divertente, Desmond. Potevamo rischiare molto di
più- mormorò lei.
-A
cosa ti serviva eliminare qui ricordi? E di che ricordi si trattano?-.
Lucy
lo guardò un istante senza dire nulla.
-Perché
mi guardi così?- alzò le spalle lui.
-Nulla,
nulla. Forza- disse la donna uscendo dalla stanza. –abbiamo
molto lavoro da recuperare anche con te, e oziare nell’attesa
che lei riprenda i sensi è totalmente inutile. Stenditi
sull’Animus prima che Vidic torni-.
Tornò
in sala conferenze a prendere il suo portatile e cominciò a
risistemarlo dov’era.
Desmond
si sedette sul bordo del letto massaggiandosi il collo. Per un minuto
pieno fissò la parete dritto davanti a lui, poi
spostò gli occhi alla ragazza che sembrava paralizzata da
chissà quale shock.
-Cosa
c’è nei tuoi ricordi che i miei non hanno?-
domandò tra sé e sé.
Non
si aspettava che lei le rispondesse, dato le condizioni in cui si
trovava, ma gli sarebbe bastato che gli facesse segno che aveva almeno
capito.
Di
tutta risposta i gli occhi le si chiusero, e Desmond ne fu sorpreso.
-Ehilà,
ciao. Ora va meglio?- le domandò avvicinandosi.
Lo
guardai farsi più vicino a me, mentre mi fissava inquieto.
–Parla, ti prego, non voglio altri morti sulla coscienza. Il
mio antenato ha smesso da un pezzo di uccidere, ti prego, parlami!- mi
sorrise.
Accennai
un sorriso divertito, e voltai la testa di lato. –Non
preoccuparti, sto bene…- bisbigliai, ma aveva solo voglia di
dormire, di tenere chiusi gli occhi anche per tutto il mese.
-Ottimo-
batté le mani una volta e si guardò attorno.
-Sono…
Sono tanto pesante?- chiesi d’un tratto, e lui si
girò di nuovo verso di me.
-Che
intendi?- mostrò ancora una volta il sorriso perfetto.
-Ti
ho visto che mi hai messa per terra. E la mia schiena ne
risentirà per qualche giorno, se sono fortunata…-
gli dissi ironica.
-Davvero?
Nel senso, no, non pesi così tanto. Solo che non sapevo cosa
fare! Ehe…-.
L’avevo
messo in imbarazzo, ed era il mio obbiettivo.
Un
angolo della mia bocca si allungò oltre il dovuto.
-Perché
ridi?- mi chiese Desmond.
-Ripensavo
ad alcune cose. Ora vattene fuori, lasciami dormire e finisci di fare
il tuo lavoro…- mi girai di lato stringendo tra le braccia
un cuscino.
Sentivo
lo sguardo di Desmond indugiare ancora su di me, e la cosa
m’infastidiva quanto mi piaceva.
In
fine si alzò e andò verso la porta.
–Non possiamo chiamarlo lavoro- lo sentii borbottare.
–non ci pagano abbastanza per chiamarlo lavoro…-
La
porta della stanza si chiuse e alcune delle luci si spensero.
Rimasi
al buio, tormentata da chissà quali pensieri.
Quella
notte non riuscii a dormire.
Ripensai
a parecchi aspetti della mia vita, che effettivamente non mi rendeva
felice. Sapevo che prima o poi quel posto mi avrebbe portata alla
depressione, che essere sottoposta a continui esperimenti ed estrazioni
di memoria mi avrebbe portata alla follia. Se mi chiamavo
“soggetto 18” ci sarà stato sicuramente
qualcuno prima di me che non aveva fatto una bella fine. Pensai a
Desmond e a come avesse fatto a sopportare più di un anno in
questa topaia per topi di laboratorio. Le mie materie preferite al
liceo erano lettere e grammatica, così a stretto contatto
con computer all’avanguardia e tanti, tanti numeri mi sentivo
un’estranea.
Se
c’era qualcuno che mi mancava in quel momento come mai, era
una persona che mi aveva abbandonata nel passato lontano e pochi mesi
prima.
Mio
padre era stato ucciso da un proiettile. Così mi avevano
detto, ma sapevo che mio padre aveva sempre avuto dei precedenti per
spaccio e traffico di cocaina al livello mondiale. Lui non ne aveva mai
fumata, non assumeva alcolici e raramente beveva vino. Nonostante
tutto, a causa dei problemi economici che avevano preso piede a partire
dal 2009, era stato costretto a trovare un modo per guadagnare facile.
Pensai
che in parte era stata colpa mia che gli ero rimasta sulla coscienza
come una bocca in più da sfamare. Se invece di portarmi con
sé, l’uomo che era diventato mio padre mi avesse
lasciata sul marciapiede, sarebbe stato probabile che non fossi
nell’Abstergo.
In
qualche modo, i miei e i ricordi di Elena coincidevano alla perfezione.
Mio
padre mi aveva venduta all’Abstergo, ora cominciavo a
ricordare che il giorno in cui mi ero svegliata tra le mani di Vidic e
Lucy, ero uscita con lui per andare al cinema. Nella sala
c’eravamo solo noi, e quelli dell’azienda avevano
preso me e sicuramente ucciso lui.
Ma
se mio padre aveva contatti con l’Abstergo, perché
lo avevano ucciso?
Era
stata Lucy a dirmi che papà conosceva Vidic da molto tempo,
ma non avevo mai saputo dove e quando si erano visti la prima volta.
Mi
giravo da parte a parte del letto, arrotolandomi ciocche di capelli tra
le dita e concentrandomi per tenere il conto delle pecore.
Lanciai
un’occhiata all’orologio satellitare che brillava
sulla scrivania e notai con sdegno che no era passata neppure la
mezzanotte.
Trovai
la forza per alzarmi e trascinarmi fino al bagno, dove mi guardai allo
specchio per diversi minuti senza cambiare posa.
Avevo
delle occhiaie che facevano paura, i capelli non erano più i
miei, avevano cambiato colore. Dal castano brillante andavano a
scurirsi sulle punte e in parte alla radice. Era solo un riflesso della
luce, ma mi era parso di vedere alcuni capelli bianchi.
Possibile
che lo stress che pativo in quel posto mi avrebbe resa più
vecchia di quanto non ero già???
Come
la mia antenata, avevo 17 anni, e l’Abstergo mi aveva
strappata via dalla mia vita, da tutto ciò che di
più noioso o eccitante mi avrebbe in futuro coinvolta.
Ora
vivevo una maledettissima vita virtuale, quella della mia antenata che
non mi sarebbe mai balzato in mente di conoscere!…
Tentai
di legarmi i capelli con uno degli elastici neri vicino al lavello, ma
i tentativi di sembrare quella di una volta furono vani.
Lasciai
che i capelli a caschetto mi cadessero sulle spalle e tornai nella
camera.
Andai
verso la porta, e mi sorpresi davvero del fatto che appena feci un
passo più avanti essa si aprì del tutto.
Qualcuno
si era dimenticato di chiudere a chiave le stanze, perché
seduto alla scrivania di Vidic, con la luce del desktop che lo colpiva
in viso, c’era Desmond.
Il
ragazzo alzò gli occhi dal PC e mi vide.
Lo
raggiunsi mentre lui si alzava.
-Cosa
ci fai in piedi a quest’ora?- domandammo
all’unisono, e di seguito tacemmo entrambi imbarazzati.
Allungai
lo sguardo al PC e vidi che stava curiosando tra gli appunti di Lucy.
–Ma sei tutto scemo o cosa?- gli chiesi accusandolo.
Lui
tornò a sedersi sulla poltroncina, e io mi accomodai sul
bracciolo.
Fuori
dalle vetrata brillavano i grattacieli di New York e i cieli stellati.
-Voglio
solo capirci qualcosa di più- sbuffò Desmond.
–Sono confuso, e non negare che ultimamente le cose stanno
prendendo una buffa piega- mi disse.
-Non
lo nego affatto. Oggi ero sotto l’effetto di una crisi
epilettica, perché dovrei non essere preoccupata?-.
-Guarda-
lui spostò il mouse e aprì una cartella.
-In
questi appunti Lucy parla di qualcosa che non riesco a spiegarmi. Dice
che c’è qualcosa tra te e il mio antenato, o tra
la tua antenata e Altair, non capisco. Vorrei che mi dessi il tuo punto
di vista-.
Mi
mostrò gli appunti di Stilman che lessi con molta attenzione.
-Sai
che fine ha fatto il ricordo cancellato?- gli chiesi leggendo.
Lui
scosse la testa. –Ora sarà sicuramente in culo al
mondo- fece con tono arrabbiato.
-Se
sapevi che era qualcosa che riguardava entrambi, perché lo
hai fatto?- mi venne spontaneo porgli quella domanda, perché
mi era parso davvero da deficienti quello che aveva fatto.
-Non
lo sapevo, Lucy mi ha dato la chiavetta che conteneva delle azioni
registrate. Non ho fatto nulla, non ho dovuto, ecco, alzare un dito
perché il file si cancellasse-.
-Credi
che questo influirà molto sui miei ricordi?-.
Desmond
tornò a guardare lo schermo. –Da quanto ho
scoperto, non dovresti avere problemi fino al sesto blocco di memoria.
Da lì, come mi ha spiegato Lucy, potrebbero cominciare
alcuni piccoli anacronismi per entrambi-.
-Roba
grossa?-.
Lui
annuì. –Molto grossa. In ballo ci sono la vita
della tua antenata e quella dell’informatore di cui Vidic
è alla caccia. Ma per quanto riguarda le ricerche che Lucy
sta portando avanti per sé, so ancora poco-.
-Ben
lavoro per un barista- commentai.
Desmond
mi guardò, e i suoi occhi brillarono di azzurro alla luce
che il PC proiettava su di noi.
-Era
il minimo- mi disse. –Ti ho quasi uccisa-.
-So
che non è stata colpa tua, e comunque Lucy mi aveva
assicurato che l’Animus non mi avrebbe uccisa sul momento-
scherzai.
Desmond
chiuse il portatile e fu tutto buio.
-Che
succede?- chiesi.
-Ah,
veramente stavo per chiudere prima che arrivassi tu- mi disse staccando
la chiavetta.
-Ok-
mi alzai e feci un passo indietro per lasciarlo passare.
Lui
al contrario non si mosse e rimase a fissarmi.
-Che
c’è? Non…- provai a dire qualcosa, ma
provai piuttosto ad immaginare dove voleva arrivare.
Si
sollevò dalla poltrona e i nostri visi furono
l’uno poco distante dall’altro.
–Chissà di quale legame si trattava tra te e il
mio antenato…- mormorò.
Era
imbarazzante che potessi sentire il suo respiro a pochi centimetri
dalla mia pelle, e tanto meno, non ero mai stata
così… non mi ero mai sentita così.
Mi
guardava dall’alto al basso, perché come tra di
noi c’erano quasi dieci anni di differenza, c’erano
almeno anche una decina di centimetri.
Mi
schiarii la gola e tentai di scostarmi, ma potevo dire che lui mi era
addosso, mi copriva quasi.
Così
tentai di rammentargli quanti anni avevo: -17, Desmond…-
bisbigliai stringendomi nelle spalle.
Non
mi diede tempo per aggiungere altro. Con un passo in avanti, mi
baciò sulle labbra stringendomi il collo con una mano.
Fu
orribile e meraviglioso allo stesso tempo, ma votai più per
il meraviglioso.
Ora
capivo quanto fosse… meraviglioso sentirsi toccare da un
ragazzo che non era un fratello o un padre, ma qualcuno in cui riponevi
fiducia e tutta te stessa.
Desmond
solo in quegli ultimi minuti mi era parso attraente e…
carino. Per il resto della mia permanenza nell’Abstergo avevo
continuato ad odiarlo per il semplice fatto che a me interessava quello
che l’azienda stava testando su di noi, mentre a lui frullava
in testa solo il modo più veloce per filarsela.
Mi
appoggiai a lui come avevo fatto nello svenire poche ore prima, mi
strinsi alle sua braccia mentre lui continuava a sfiorare le mie con le
sue labbra.
Ero
incantata da come, ecco, da come ci sapesse fare!
Improvvisamente
mi staccai dalla sua bocca e mi gettai ad abbracciarlo.
Ne
rimase colpito, anzi, stupefatto, ma alla fine mi strinse a
sé come avrei voluto che facesse.
Mi
appiccicai a lui, affondando la faccia nella sua felpa bianca e,
ascoltando il ritmo del suo cuore notai che, a differenza del mio,
restava costante e tranquillo.
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Capitolo 8 *** Tre righe per dire la verità ***
Tre
Righe per dire la Verità
Mi
svegliai, e il mio primo pensiero fu di non pensare a quello che era
successo.
Non
ci riuscii.
Ero
stesa rannicchiata sotto le coperte del letto di Desmond, che mi
stringeva tenendomi per un fianco. Nella stanza c’era un
freddo pazzesco e mi sentivo i piedi congelati.
Fui
rassicurata dal fatto che non era poi successo molto, poiché
sentivo di avere addosso ancora le culottes e la canottiera a coprirmi
il reggiseno.
Sollevai
la testa dal cuscino e guardai l’orologio sul tavolo che
segnava quasi le sei di mattina.
Sbadigliando
mi coprii con la coperta fino al naso, e guardai Desmond che mi dormiva
accanto. Sembrava sereno.
Tornai
a chiudere gli occhi avvicinandomi a lui.
Desmond,
nel dormiveglia, si girò verso di me e mi strinse ancora. Si
appiccicò a me come fanno i bambini coi loro peluche, e non
riuscii a far nulla per impedirlo.
Piuttosto
decisi che riprendere il sonno avrebbe reso la mia prima volta meno
imbarazzante.
-Signorina
Stilman, si occupi lei di svegliarle il soggetto 18- disse una voce.
Desmond
spalancò gli occhi all’istante.
-Certamente
dottore- rispose Lucy.
Le
voci venivano da fuori la stanza.
Il
ragazzo scattò in piedi e tirò un cuscino addosso
ad Andrea, che rimase ferma dov’era.
-Svegliati,
ragazzina!- le disse.
-Hmm-
fece lei voltandosi dalla parte opposta.
Le
luci della stanza erano accese da un pezzo. –Andrea, avanti!-
Desmond mi tirò per un braccio e mi fece alzare. Rimasi
barcollante con i piedi per terra.
Mentre
si allacciava la cintura dei jeans mi guardò inquieto.
–Presto, va’ nel bagno e accendi la doccia!-.
-Cosa?…-
domandai con gli occhi appannati, la voce rauca e battendo i denti dal
freddo.
-Fa’
come ti ho detto!- mi spinse nel bagno e mi lanciò i miei
vestiti che presi al volo, poi chiuse la porta.
Mi
guardai in giro ancora assonnata, ma feci come mi aveva chiesto.
Lasciai
cadere gli abiti per terra e accesi la doccia.
Mentre
guardavo l’acqua frusciare, ascoltai le voci che venivano
dalla camera.
-Andrea
è qui?- la ragazza riconobbe la voce di Lucy.
-Sì-
balbettò Desmond. –voleva farsi una doccia, ma
quella della sua stanza non aveva l’acqua calda! Ehe-.
-Quando
esce dille che la stiamo aspettando- e Lucy lasciò la stanza.
Mi
avvicinai all’ingresso del bagno, e mi trovai di fronte a
Desmond.
-Ben
fatto- gli dissi stropicciandomi gli occhi.
-Sarà
meglio che tu ti vesta ed esca da questa camera- rise lui.
Notai
sorpresa che Desmond era già vestito. –Va bene, va
bene…- sotto il suo sguardo mi infilai i pantaloni e la
felpa.
Si
fece da parte e mi sedetti sul bordo del letto per allacciarmi le
scarpe.
-Non
ho i capelli bagnati- dissi.
-Ma
hai sempre un buon profumo-.
Sussultai,
lasciandomi scappare un laccio della All Star bianca e nera.
–Grazie- mormorai.
Mi
alzai e lasciai la stanza senza dire nulla.
Vidic
sorseggiava caffè davanti alle vetrate e Lucy picchiettava
sul portatile.
-Siediti
Andrea, oggi avremo molto lavoro da fare- mi disse la donna.
Desmond
mi stava accollato dietro e feci qualche passo avanti verso
l’Animus.
-Perché?-
chiesi voltandomi e lanciandogli un’occhiataccia.
Lui
alzò le spalle.
-Il
dottor Vidic- mi rispose Lucy. –ha ricevuto questa mattina
una lettera dai nostri clienti. La tabella di marcia si è
ristretta-.
Mi
accomodai sulla macchina. -Come mai?-
Lucy
non aggiunse altro.
-
Perché - Vidic si voltò.
–Perché non vogliamo riscontrare altri problemi,
è tutto chiaro?-.
Desmond
si andò a sedere sulla poltroncina.
Lo
guardai ancora una volta, poi fu tutto di un bianco accecante.
-Elena-.
Si
voltò e vide Adha in piedi dietro di lei.
La
donna avanzò di qualche passo. –Prendi- le porse
un foglio di pergamena stropicciato ed Elena lo strinse tra le dita.
Era la lettera di suo padre.
-Il
Maestro ha voluto che te la dessi subito, quando tuo padre ha chiesto
di no. Avresti dovuto leggere quelle parole quando davvero saresti
stata pronta, ma…-.
Elena
le diede le spalle e cominciò a leggere.
C’erano
solo tre righe.
Elena
è una ragazza piena di coraggio.
La
Setta ha un posto per lei.
Deve
imparare dal migliore.
Finì
in fretta, e si voltò a guardare Adha che aspettava una sua
reazione.
-Cosa
vuol dire?- domandò con voce tremante.
-Qualche
tempo fa, sempre da tuo padre arrivò questa- estrasse dalla
tasca del mantello un secondo taglio di pergamena e le porse anche
quello.
-Leggi
solo le ultime righe- le disse Adha, e lei seguì il suo
consiglio.
Elena.
Fidati di
questa gente. Sappi che quando ti troverai a dover misurare la tua
forza con quella di chi ti allena, i miei insegnamenti ti saranno
inutili. Questa gente combatte con la mente concentrata sui propri
obbiettivi, ed è stato mio errore non fare altrettanto con
te. Voglio che il giorno in cui Adha ti mostrerà questa
lettera, tu metta in pratica ciò che di sbagliato ti ho
insegnato, voglio che impari da loro e che tu segua i loro consigli. Ma
soprattutto, che ti faccia valere, perché questi sono tempi
bui in cui la figura di una donna che stringe una spada non
è più ben accetta come una volta. Fallo per me,
Elena, e per il bene che mi hai voluto. Mostra a questa gente quanto
vali, e loro sapranno ricompensarti.
Kalel
A
quelle parole si commosse.
Adha
le venne vicino e si riprese la lettera.
-Riconosco
la sua scrittura…- disse in un sussurro Elena. –Ma
non capisco… parla per enigmi, segreti, indovinelli che non
riesco a sciogliere!-.
-Non
assillarti- le disse Adha. –Fidati di lui- la donna le
indicò l’uscita della sala.
Elena
fece qualche passo avanti, e Adha scomparve dietro uno scaffale della
biblioteca.
La
ragazza si ritrovò in un secondo cortile interno. Le mura
della fortezza erano controllate da arcieri, mentre continue pattuglie
di uomini le passavano davanti al naso.
Elena
si sporse dalla terrazza e vide che dove un piccolo spiazzo in pietra
era recintato da una staccionata, due ragazzi si stavano allenando con
le spade.
Portavano
entrambi i cappucci abbassati e si fronteggiavano con spirito.
-Prendi
questo, canaglia!- disse uno.
-Non
fare il ragazzino!- indossavano tutti e due gli stessi abiti bianchi:
una tunica fino alle ginocchia stretta al petto da una cintura di cuoio
abbellita da una pezza rosso sangue.
L’ultimo
tra i due spinse l’avversario a terra e gli puntò
la lama alla gola. –Hai ancora molto da imparare!- rise in
seguito. Gli porse una mano e lo aiutò ad alzarsi.
-Sarai
sempre più saggio e vecchio di me- sorrise lo sconfitto.
Elena
scese i gradini e si mischiò alla calca, cercando di
avvicinarsi il più possibile al campo di allenamento.
-Ottimo
allenamento, ragazzi- disse la guardia fuori dall’arena.
–Ora potete riposarvi, ma riprenderete non appena Altair ci
avrà mostrato alcuni dei suoi vecchi trucchi- anche la
guardia pareva di buon umore.
I
due ragazzi saltarono la staccionata e si avvicinarono ad un uomo
appoggiato alla parete. Teneva le braccia conserte e stava in disparte
alla folla che andava formarsi. Teneva il cappuccio a celargli la parte
alta del volto, e i suoi abiti non erano nuovi alla ragazza: uno spesso
cinturone di cuoio dal quale pendeva una spada pregiata. Anche
attraverso il tessuto bianco della tunica, Elena riuscì a
scorgere una muscolatura davvero ben formata.
-Altair!-
il primo giovane gli venne vicino e fece per dargli una pacca sulle
spalle.
L’uomo
incappucciato gli afferrò il polso di scatto, e il ragazzo
non riuscì a trattenere un guaito.
-Halef,
credo che per oggi me ne starò qui da parte…-
disse a bassa voce.
L’altro
giovane lo guardò interrogativo. –Ma Altair, molti
di noi sono impazienti di apprendere da voi, vorremmo solo
che…-.
Altair
lasciò il polso di Halef e si staccò dalla
parete.
Molta
della gente presente si voltò a guardalo, e Altair tenne gli
occhi ancora più bassi.
Per
un istante, ad Elena parve di vedere il barlume delle sue pupille buie
incontrare quelle celesti di lei.
Fu
allora che Altair si mescolò alla calca e lasciò
il cortile.
Halef
guardò suo fratello massaggiandosi il polso. –Ma
che gli è preso?- domandò ridendo.
Marhim
fissava lo sguardo alla folla imbambolato, e non gli rispose.
-Ehi!
C’è nessuno? Marhim, puoi…-
Marhim
indicò Elena con un cenno del capo.
-Non
è quella ragazza che abbiamo?…- chiese Halef
mentre il ragazzo non scollava gli occhi da lei.
-Sì,
lo è. Guarda, sembra essersi totalmente ripresa…-
Marhim mosse qualche passo avanti.
-Frena,
fratellone- Halef lo prese per il cappuccio. - devi aspettare-.
-Cosa?-
sbottò irritato Marhim.
La
calca andò a sciogliersi lentamente, e Marhim vide che Elena
veniva verso di loro.
I
due fratelli si scambiarono un’occhiata d’intesa e
si voltarono verso la ragazza che in breve fu a pochi passi da loro.
-Ciao-
fece timida lei.
-Salve!-
Halef agitò la mano.
Elena
guardò il fratello maggiore. -Ho visto come combatti- disse
lei.
-Hmm.
E?- domandò Marhim sorridendo.
-E
conosci delle mosse che non ho mai visto prima- commentò la
ragazza.
-Questo
è perché!…- Halef ricevette un pugno
in pancia dal fratello e le parole gli morirono in gola.
Marhim
fece un passo avanti. -Posso insegnartene qualcuna- disse.
Elena
sbarrò gli occhi. –Lo faresti
davvero?…- balbettò.
Era
la prima volta che seguire i consigli di suo padre la lasciava in una
forma di smarrimento, come se avesse ricevuto troppe poche informazioni
su cosa fare e quando farlo.
-Veramente-
proseguì lui. –il campo è libero, la
gente se ne va e a mio fratello ora non serve questa!- Marhim estrasse
dal fodero la spada del fratello.
-Ma
che razza di!- sbottò Halef alzando le braccia.
-Avanti,
vieni!- Marhim la prese per mano.
Elena
si lasciò accompagnare davanti alla guardia vicino alla
recinzione.
-Marhim,
che cosa succede?- domandò l’uomo guardando la
ragazza. –Vuoi altri complimenti per le tue prestazioni di
oggi?- aggiunse.
-No,
volevo chiederti se io e…-
-Elena-
disse la ragazza.
Marhim
sorrise. –Se io ed Elena possiamo usare il campo. Volevo
insegnarle qualcosa-.
La
guardia rimase di stucco. –Strano, sono confuso. Comunque
tutto quello che vuoi, te lo meriti-.
-Grazie
maestro- Marhim ringraziò con un piccolo inchino e
aprì il cancelletto dell’arena.
-Prima
le donne- disse facendosi da parte.
Elena
arrossì. –Grazie-.
Quando
furono dentro al campo, Marhim le passò la spada. Le venne
vicino e fece per dire –è molto facile tenerla in
mano, guarda devi…-.
-So
come si usa- sbottò lei allungando le labbra in un sorriso.
-Davvero?-
domandò sorpreso lui facendosi indietro.
Lei
annuì e lanciò in aria l’arma
riafferrandola saldamente dall’elsa.
-Wow…-
Marhim stava cominciando a sudare.
Elena
lo precedette. –Che ne dici di cominciare con qualche
affondo?-.
Marhim
annuì e si mise nella posizione didattica che aveva
imparato. Anche da lontano, Elena sentiva che i suoi muscoli erano tesi
e la presa sull’arma poco salda.
Marhim
fece un balzo in avanti e mandò un affondo che la ragazza
non riuscì a parare del tutto. Fortunatamente le lame
scivolarono l’una sull’altra e lei ebbe il tempo di
schivare prima che Marhim le tranciasse la carne.
-Stai
pronta la prossima volta- le consigliò.
Halef
era appoggiato alla staccionata con i gomiti e guardava divertito.
La
guardia che li aveva lasciato il permesso di provare guardava senza
battere ciglio i movimenti fluidi della ragazza.
Elena
si chinava, rotolava e s’inginocchiava per parare o schivare.
-
Marhim- lo chiamò ad un tratto Halef.
-
Che c’è?- interruppero l’allenamento.
Marhim
andò verso suo fratello, ed Elena colse la guardia che le
faceva cenno di avvicinarsi.
-
Elena, giusto?- domandò.
La
ragazza, dal fiato corto e le gote rosse, annuì.
-Mira
alle gambe. Quel poveretto ha ancora molto da imparare, e il rango non
fa la spada. Se scarta di lato, vai dritta alla spalla esterna. Ma dove
hai imparato?-.
L’ultima
domanda aveva spezzato l’atmosfera.
-Io…-
non poté aggiungere altro che Marhim tornò al
centro del campo.
-Forza,
ho ancora molto da insegnarti!- rise.
Lui
da insegnare a me?
La
ragazza si sistemò a pochi passi dal suo avversario, che
appena la vide distratta mandò un colpo basso.
Elena
fece un saltello indietro e lo prese alla sprovvista.
Marhim
perse l’equilibrio in avanti e lei lo spinse con un calcio al
petto. Il ragazzo cadde di spalle e si ritrovò al suolo in
pochi secondi.
Elena
vide che molta gente si stava radunando attorno e molta altra si
fermava a guardare da lontano.
-Avanti,
fratellone! Rialzati, non vorrai farti battere da una ragazza!- gli
gridò Halef.
Marhim
si alzò aiutandosi con la spada. Si rimise in posizione e la
guardò confuso.
-Come
è possibile? Sei sicura di non aver mai combattuto?-.
-Non
l’ho mai detto- confessò Elena.
-Vuoi
dire- sbottò incredulo Marhim. –che sai
combattere? Sei capace di uccidere?-.
-Sì…-
Elena abbassò lo sguardo.
-Dimostralo-
Marhim si fece arrogante. –Chiunque sarebbe capace di gettare
a terra l’avversario con un colpo del genere, dimostrami
quello che sai fare e a fine lezione mi dirai chi è stato il
pazzo che ha sprecato la sua vita ad insegnare ad una donna!-.
Elena
ne rimase toccata.
Marhim
aveva trascinato suo padre nella conversazione, e la cosa la turbava
irrigidendole la mente, che al contrario sarebbe dovuta rimanere aperta
e concentrata sull’esterno. Per di più gli dava
del pazzo, ma indirettamente Marhim aveva anche offeso se stesso
dicendo che insegnare ad una donna era inutile.
Elena
tornò dritta a squadrare il suo avversario, che nervosamente
non riusciva a stare fermo.
Marhim
aveva capelli castani che incorniciavano un viso spigoloso e due occhi
grigi.
Il
suo fisico era allenato, ma sicuramente poco portato per la resistenza
ad un lungo duello.
Elena
si avvicinò, e cominciarono a fronteggiarsi di nuovo.
Quella
volta Marhim aveva cominciato a fare sul serio, a menare affondi con
più forza e a metterle paura.
Per
un istante, ad Elena parve di stare a fronteggiare una guardia di
Corrado.
Mentre
combattevano, le balzarono alla mente le parole della lettera, di suo
padre.
Una
certa rabbia ribollì anche in lei, e le diede la forza di
far scintille tra la sua e la lama di Marhim, che si fece indietro
atterrito.
Marhim
le fu addosso di nuovo, e tra parate e affondi improvvisi Elena si
trovò in vantaggio dopo poche mosse.
Marhim
sudava, e lei aveva il fiato corto.
La
gente si radunava a valanghe, e molte delle guardie di pattuglia,
assieme agli arcieri sulle mura, si girarono a guardare.
Elena
lo costrinse al suolo diverse volte, ma Marhim, con agilità
incredibile rotolava di lato e la sorprendeva alle spalle.
Ad
un tratto, sentì i muscoli cedere e le bastò
parare un solo colpo per trovarsi a terra.
-Allora…-
fece Marhim girandole attorno.
Lei
poggiò la testa sulla pietra e lasciò che la
spada le cadesse di mano. I suoi polmoni stavano per esplodere, il
sangue che circolava bollente le bruciava le vene, e non sentiva
più le gambe.
-Da
chi hai imparato?- Marhim le porse una mano per aiutarla ad alzarsi.
Lei l’afferrò e lui, con ancora tanta forza nelle
braccia, la tirò su in un istante.
-Mio…
mio padre. E credo di essere qui… per migliorare- la fatica
le mozzava le parole.
-E
per quale motivo?-.
-Ah,
sapessi…-.
Marhim
si guardò attorno, poi tornò a guardare la
ragazza. –Ciao, piacere. Sono Marhim-.
Elena
gli strinse la mano. –Elena-.
-Nome
che non è di queste parti- osservò lui.
-Sono
di Acri-.
-Quindi…
quando ti abbiamo trovata per strada era da lì che fuggivi?-
sorrise.
-Sì-
disse timidamente lei. –Credo di sì-.
Gli
sguardi della folla erano puntati tutti su di loro.
-Piacere
di avervi fronteggiato, Lady Elena- proruppe in un inchino.
Lei
accennò uno sbuffo. –Dai, smettila-.
-C’è
qualcosa che non va?- le domandò.
Sì.
Essere al centro dell’attenzione era il problema.
Le
girava la testa, e quello veniva di seguito a tutti i suoi problemi.
-Stai
bene?- fece Marhim. –Hai una faccia-.
-Sei
stato un degno avversario…- Elena lasciò il campo
di addestramento e andò a restituire la spada ad Halef.
–Grazie, tuo fratello è un tipo
simpatico…- anche parlare le costava fatica.
Halef
sorrise. –Credo che lui pensi la stessa cosa di te-.
-Sì,
va bene…- non aggiunse altro e andò dritta verso
l’uscita del cortile.
Accelerò
il passo sentendosi osservata da tutta quella gente e raggiunse di
corsa i piedi della collina sulla quale era arroccata la fortezza.
La
folla andava e veniva chiassosa, bancarelle di tappeti e vasi
allestivano le strade polverose della cittadella. I bambini giocavano
vicino ad una fontana con una vecchia palla.
Elena
si sedette su una panchina accanto a due donne che sparlavano dei
passanti.
Le
due la videro e cominciarono a bisbigliare tra di loro.
Elena
distolse lo sguardo e si strinse al bordo della panca.
-Scusa-
disse una delle due.
Elena
si volse lentamente.
-Sei
un’Assassina?- chiese l’altra.
Erano
entrambe molto belle e ben vestite. Portavano dei sandali curati e
avevano i capelli legati entrambe in una cipolla.
-Una
cosa?- domandò non avendo afferrato.
-
Un’Assassina- ripeté l’altra.
-Porti
la loro veste. Soprattutto quella- rise la seconda indicando il tessuto
rosso che portava attorno alla vita. –Era da un po’
che non se ne vedevano in giro!-.
-Non
capisco…- Elena si strinse nelle spalle, ancor
più stranita.
Le
due si scambiarono un’occhiata e scoppiarono a ridere; poi si
alzarono e si avviarono sulla strada ridendo. –Ci vediamo!-
salutò una.
-Piantala,
magari non è di qua…- la riprese
l’altra e sparirono tra la calca che andava e veniva.
-
Un’Assassina…- mormorò tra
sé Elena guardandosi i piedi.
Indossava
una comune tunica bianca legata in vita da una stoffa rossa. Poi parte
della stoffa di avanzo le cadeva sulle ginocchia, e attaccata alla
veste c’era un cappuccio che non aveva mai indossato.
Si
disse che quello sarebbe stato il momento migliore per cominciare a
coprirsi il volto: riconobbe Rhami venire verso di lei.
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Capitolo 9 *** Limpido come l'Acqua ***
Limpido
come l'Acqua
Elena
si tirò il cappuccio sul volto.
-Guarda
che ti ho vista- rise Rhami.
Nel
suo campo visivo Elena vedeva sol gli stivali del ragazzo, che gli era
fremo esattamente davanti.
-Cosa?-
finse lei. -Volevo solo provare, ecco tutto…- si tolse
nuovamente il copricapo.
Rhami
le si sedette accanto. –Allora- cominciò
guardandola. –Ora sei una di noi-.
Elena
non capiva, e le parole delle due donne e quelle appena dette da Rhami
non facevano altro che confonderla.
-Una
di voi?- non poté far altro che cercare di capirci qualcosa,
ma la situazione era talmente assurda che non le andava neppure di
chiedere altre indicazioni, per non rischiare di fidarsi ancora delle
persone sbagliate.
Rhami
si voltò e cambiò argomento (fortunatamente).
–Volevo scusarmi per essermi comportato in quel modo,
prima…-
Elena
rise. –Non dovresti porre le tue scuse a me, e lo sai-.
Lui
sorrise assieme con lei. - Forse hai ragione, il fatto è che
so cosa hai passato e non volevo peggiorarti la situazione, ecco tutto-
i loro sguardi s’incrociarono.
Elena
tenne in volto la sua solita espressione neutra, da attesa.
-Sai,
molti di noi già lo sapevano che saresti venuta qui. Quando
arrivavano le lettere di tuo padre, le voci giravano in fretta-.
-Questo
non mi tira su di morale- mormorò lei. –Ma
perché sembra che nessuno voglia dirmi come davvero stanno
le cose?!- quasi isterica, si passò le mani tra i capelli.
-Be’,
fanno così un po’ con tutti all’inizio,
poi con le donne credo sia totalmente diverso. Il Maestro e Adha sono i
più grossi qui dentro. Lei non da molto, ma assieme ci
guidano da parecchio tempo-.
-Che
fine ha fatto- chiese lei. –L’arrogante ragazzino
dell’infermeria?-.
-Te
l’ho detto!- sbuffò Rhami. –sono un
assassino che si adatta poco alle situazioni confessò.
Elena
tacque.
Quella
parola tanto intrigante, che aveva sentito pronunciare più
di una volta.
-Sei
un cosa?- balbettò, ma cercò di contenere la sua
ignoranza, mostrandosi il meno sciocca possibile.
Rhami
si alzò. –Devi fidarti di Adha. Ho ricevuto ordine
da lei in persona che non posso, che nessuno di noi per ora
può, ecco…- sembrava dubbioso. –scusa,
devo andare- disse in fine allontanandosi.
-No,
aspetta!- Elena scattò in avanti, ma Rhami sparì
tra la folla all’ingresso della fortezza.
Ma
che diamine, pensò tirandosi i capelli e abbassando lo
sguardo.
Nella
sua testa le ombre del passato avevano messo radici, e lei non ne
poteva più!
Ricapitolando:
Vent’anni
a imparare ad usare la spada! Due pazzi che la tengono lontana da
qualsiasi verità e risposta agli enigmi di suo padre! Due
donne che la incolpano di omicidio e un ragazzo che non può
parlare con lei! Basta! Le scoppiava la testa!!!
Le
stavano raccontando tutti delle grosse menzogne. Da un momento
all’altro l’avrebbero trasformata in una danzatrice
del ventre e l’avrebbero fatta ballare sui tavoli della mensa
della fortezza. Oppure a rifare i letti e a spazzare i pavimenti, come
aveva avuto modo di vedere altre due ragazze.
Assassini?
Forse
era proprio a costoro che le guardie di Acri si riferivano chiamandoli
“bastardi”.
Solo
pensare alle vite che aveva stroncato per seguire le parole di matto di
suo padre, le rivoltava lo stomaco.
Si
voltò verso l’acqua della fontana, e vide il suo
viso increspato e ricurvo dalle onde che lo schizzo creava.
Rimase
a guardarsi per minuti interi, fin quando un bambino non
cominciò a ridere e a sussurrare alla madre: -Guarda mamma,
è una nuova statua!- disse con voce infantile tirando il
vestito della donna che teneva in grembo un paniere.
Ad
un tratto le increspature dell’acqua si assopirono, mostrando
una superficie limpida e immobile.
Una
voce rise. –Mio fratello pensa che tu sia una statua-.
Quando
alzò gli occhi, Elena vide che una ragazza aveva interrotto
il flusso dell’acqua riempiendo un vecchio cestello.
Indossava un lungo mantello verde scuro, e sulle spalle le ricadevano
dei bellissimi e voluminosi capelli ricci. Castani come il profondo dei
suoi occhi, le arrivavano a metà della schiena dritta.
–Tirati su, non fare quella faccia- le disse.
Elena
era stordita, come se la ragazza parlasse una lingua che non era la
sua. –Una statua?- balbettò.
Ultimamente
il suo tono di voce era così fievole e insicuro, che non si
riconosceva più.
-Sì,
sì- continuò lei. –So che
l’hai sentito, so che puoi sentire meglio di chiunque altro-
aggiunse.
-Cosa?-.
-Sono
Elika- la precedette la ragazza, e dopo che il cestello fu pieno di
acqua fresca, le venne vicino. –Ben venuta a Masyaf- le
sorrise.
Elena
si alzò. –Scusa, ma siete tutti così
ospitali da queste parti?- le scappò di bocca.
Ad
Elika scappò un risolino. – Non devi avere paura
di noi-.
-Chi
siete “voi”?- ecco qualcuno che avrebbe risposto
alle sue domande, o che al meno, avrebbe fatto due chiacchiere senza
argomenti tabù.
Elika
aggiustò la stretta attorno alla caraffa. –Un
tempo avrei dovuto tenere la bocca chiusa, ma sono sicura che ora non
è più un mio problema obbedire al credo-
guardò altrove.
-Quale
credo?-.
-Quello
dell’Assassino- disse di punto in bianco Elika, ma quando
vide l’espressione contorta di Elena, si rimangiò
tutto. –Tharidl Lhad è l’unico che
può rispondere alle tue domande. Sappi solo che un tempo ero
come te, Elena-.
-Come
sai il mio nome?- si stupì la ragazza.
-Tutti
sanno di te, e nessuno sa niente di nessuno. Siamo tutti amici e nemici
a cui piace parlare bene e male degli altri. Di te si parla bene,
Elena. Molti credono nel motivo per cui sei qui, ma una piccola
minoranza è contraria a questo. Ai miei tempi
c’era Al Mualim a guidarci, il Maestro che precedette a
Tharidl, ma so che sei in buone mani. Va’ a parlare col
Maestro, e quando avrai finito sfuggi da Adha, che non farà
altro che tormentarti ancora, fidati; ho deciso che sarai mia ospite
per cena, e non puoi rifiutare-.
-Sono
confusa…-
Elika
rise. –Per quante volte, dimmi, hai ripetuto questa frase
oggi?-.
-Troppe-
Elena si mostrò amichevole arrossendo.
Elika
fece un passo indietro, verso sua madre e suo fratello che si
allontanavano. –Masyaf è piena di gente che
può confonderti, ma io credo di conoscerti meglio di
chiunque altro. Tuo padre non ti avvertì di questo, ma posso
aiutarti a capire. Questa sera a questa fonte!- e sparì tra
la gente.
Elena
era stordita e incerta anche su quale piede muovere per primo.
Un
invito a cena da una sconosciuta… in che modo la sua vita
avrebbe preso una piega ancora più impossibile?!?!
Questa
nuova Elika le aveva consigliato di tornare dal
“Maestro”, ma per quale motivo?
Se
ricordava bene, Tharidl Lhad non le aveva voluto dire più di
tanto, e lei ci era rimasta avvilita.
Di
chi doveva fidarsi? A chi doveva dare ascolto? O soltanto, quale delle
troppe voci che aveva sentito era l’unica che davvero poteva
capirla?
Ricapitolando:
Elika?
Rhami? Marhim o Adha?
Masyaf,
si disse, pone fiducia nel suo Maestro e nelle sue guide. Forse doveva
provare a fare lo stesso, ma se Tharidl non voleva dirle altro, come
avrebbe potuto capirci qualcosa?
Agli
abitanti del villaggio sembrava fosse stato fatto il voto del silenzio,
una congiura contro di lei per tenerla lontana dalla verità.
Ma poteva chiamarsi verità, se erano solo poche parole
celate dietro ad un segreto? Un triste ed emarginato segreto?
Cosa
aveva Elena di tanto speciale a parte il fatto che sapesse impugnare
una spada?
Era
giovane e bella, ma dopo quella mattina si sarebbe sentita il peso
degli anni di una cinquantenne.
Si
diresse verso l’alto della città, camminando tra
la gente e cercando di dare meno nell’occhio. Senza sapere
cosa o chi rischiava di incontrare, preferiva imboccare dei vicoli bui
piuttosto che tenere la strada principale.
Ebbe
il tempo di conoscere le abitudini e le vie più nascoste
della cittadella, così da poter effettivamente architettare
un’eventuale, ma improbabile, fuga da tutto quello.
Suo
padre le aveva insegnato anche quello: ascoltare, guardare e
comprendere. Poi nella sua ultima lettera diceva che le aveva insegnato
male. E ci credo! Si disse Elena. Mi ha insegnato male a capire!
Rise
per averci solo pensato, e in breve si trovò davanti
all’ingresso per il cortile del palazzo.
L’interno
taceva, la calca rispetto a un’ora prima si era diradata, e
ora all’entrate non c’era un’anima. Solo
qualche guardia con la sua truppa di pattuglia, e un gatto che
rincorreva un topo.
La
sentinella responsabile degli allenamenti stava chiacchierando con un
ragazzo e sembrava gli stesse dando alcuni consigli su come impugnare
una spada corta.
Elena
entrò e si mostrò agli arcieri, che le furono
subito addosso con gli sguardi.
Si
strinse nelle spalle e camminò con le braccia conserte.
-Non
dovresti essere qui…- borbottò un uomo quando gli
passò troppo vicino.
Elena
si scansò spaventata con un balzo e rabbrividì.
Ripenso
alle parole di Elika, che le aveva detto che molti non gradivano la sua
presenza, che molti non l’avrebbero mai accettata.
Mentre
rimaneva ferma davanti alle scale, si chiese il perché di
tanto odio per lei! Se Marhim l’avesse lasciata morire nel
regno, ora nessuno avrebbe problemi, e tutti se ne starebbero per i
fatti propri.
Per
la prima volta, da quando aveva combattuto con un cavaliere di Corrado
e l’aveva ucciso, Elena provò paura. Paura per la
gente armata che le girava attorno, paura che le sue ansie la
portassero ad isolarsi dal resto, paura che nessuno potesse capirla.
C’era
Elika, che restava però, tutt’ora una
sconosciuta…
Una
guardia si schiarì la voce.
I
due uomini appostati accanto alla grata che dava sul giardino fecero un
piccolo inchino a turno.
–Il
Maestro vi aspetta- disse il più giovane.
L’altro
distolse lo sguardo sbuffando.
Elena
salì i gradini e cominciò a tirarsi nervosamente
una pellicina.
In
cima alle scale, distratta dalle sue angosce, Elena non aveva notato
che c’era Adha ad aspettarla.
La
donna la strinse per un braccio e la tirò fino al cospetto
del Maestro, che era voltato a guardare fuori dalle vetrate.
-Basta!-
sbottò Adha scuotendo la ragazza, poi guardò il
vecchio. –sei un pazzo se credi di aiutarla in questo modo!
L’hai mandata a vagare per la città senza
chiarirle nulla, mi hai promesso che le avresti detto tutto, infame che
non sei altro! Come Al Mualim, il tuo compito sembra quello di farle
soffrire, ma ora basta! E guardatemi, Tharidl, quando una donna vi
parla!- Adha era furiosa, ed Elena non riconobbe la carismatica
infermiera che le aveva guarito la gamba. Adha non era più
in lei.
Tharidl
si voltò lentamente. –è ciò
che ho tentato di fare, Adha, ma ella non ha saputo pormi le domande
giuste. Ho sperato che se avesse avuto modo per pensare per qualche
istante a se stessa, avrebbe saputo solo a quel punto chiedere senza
indugiare- lui, al contrario, era calmo e distaccato.
Adha
lasciò la ragazza, che fece spaventata un passo indietro.
Elena raggiunse il parapetto alle sue spalle e vi si
appoggiò di peso, sentendosi mancare il fiato.
-Basta,
vecchio! Se non sarai tu a farlo, allora sarò io a dirle
che!…-.
-Smettila,
Adha!- la voce dell’uomo riecheggiò nella sala e
oltre, poiché fuori dalle vetrata, Elena vide gli arcieri
sulle mura voltarsi terrorizzati, e stormi di piccioni levarsi in cielo.
-So
quello che faccio, e ora mi sei solo d’intralcio! Essere
tornata dopo così tanto tempo non ti concede
l’autorità che sembri esserti regalata!
Vattene…-.
Adha
gonfiò il petto inorridita, e lasciò che un
grosso sospiro le uscisse da dentro. La pelle del suo viso
tornò limpida e rosea, e lei riacquistò la calma
persa.
-Confido
in voi, Maestro… perdonatemi-.
-Scuse
accetta, ma ora vattene. Se può consolarti, non
commetterò lo stesso errore. Va’, ci sono alcuni
feriti che necessitano della sua pazienza-.
Adha
afferrò due lembi del vestito, ed Elena la vide, per la
prima volta, inchinarsi del tutto, prostrandosi col massimo rispetto,
poi li lasciò soli.
Un
silenzio assurdo era calato sulla fortezza.
In
lontananza si udivano solo i rimbombi di voci senza un padrone, e lo
sbattere delle ali dei colombi messaggeri chiusi nelle gabbie sullo
scaffale della libreria.
-Spero
di non averti spaventata, Elena-.
-No,
affatto- mormorò lei facendosi di nuovo avanti.
Non
poteva esitare. Se il “Maestro” voleva mettere alla
prova la sua sicurezza, quello non era affatto il momento giusto per
tirarsi indietro, di nuovo.
Il
vecchio tacque, e in fondo non era lui quello che doveva parlare.
-Voglio
sapere tutto- disse seria Elena, con voce che non tradiva alcuna
emozione. Aveva il controllo di sé, e non avrebbe sbagliato.
-Tutto,
tutto?- sorrise l’uomo.
Lei
annuì decisa.
-Sono
fiero di te, Elena. Il coraggio che hai dimostrato non è
stato affatto da nulla. Gli uomini che hai ammazzato sul tuo cammino ti
saranno ancora di ostacolo, ma in questo luogo imparerai a non temerli
più, mai più- prese fiato. –Gli uomini
che vedi aggirarsi per queste mura, che celano il loro volto agli
estranei e lo mostrano ai loro superiori, sono Assassini, Elena. Essi
tengono a lucido i pavimenti di marmo del nostro mondo, proteggono i
deboli, aiutano gli innocenti. Masyaf è una città
temuta dai saraceni come dai crociati per gli Angeli della Morte che la
abitano, e nei secoli dei secoli i più illustri tra di loro
si sono succeduti al compito di tenerne le redini.
-Devi
sapere che fino a cinque e pochi anni fa, questa setta ospitava sotto
il suo tetto un gruppo di donne scelte per la loro bellezza, la loro
grazia e la loro maestria affinché intraprendessero il
cammino delle “Dee”. Esse erano Assassine, Elena,
uccidevano sotto ordine chi non giovava ai giochi politici del nostro
regno, e sostavano al credo come chiunque altro fratello. Tua madre fu
una delle migliori, ma anche quella che spezzò la catena.
-Alice
era una ragazza come te, intransigente, spaventata, e poco autonoma. Ma
la setta l’accolse a braccia aperte per la sua incredibile
autonomia e autocontrollo di fronte all’omicidio. In poco
tempo divenne la più abile, la più letale tra
tutte. Col passare degli anni, però, ella legò
con tuo padre all’interno della Confraternita, e sotto
assoluto segreto concepirono uno dei giovani che ora abita questo
tetto. Quando Al Mualim venne a sapere di ciò che era
successo tra Alice e Kalel, egli bandì entrambi dalla setta,
ma prima di lasciare Masyaf sotto le luci dell’Alba, Kalel
affidò a me suo figlio. Non ero in grado di occuparmene,
poiché all’epoca fossi solo un ragazzo ingenuo. Lo
consegnai come orfano ad Al Mualim, e l’ignoto bambino crebbe
tra le braccia del Maestro assieme a molti altri come lui.
-Di
fatti, solo anni dopo l’allontanamento di Kalel, molte delle
Assassine vennero scacciate, altre uccise senza alcuna
pietà. Chi di loro ancora vive, deve ringraziare il Dio in
cui crede per aver trovato la forza di continuare ad abitare questo
posto. Per questa città circolano ex Assassine che hanno
avuto la mano del loro salvatore poggiata sulla testa, e parliamo solo
di pochi anni fa, Elena, non dimenticare che molta gente di Masyaf
ancora disprezza queste donne che porteranno a vita il nome di Angelo
della Morte, ma che, secondo il pensiero della folla, non meritano.
-Al
Mualim non volle accogliere più nessuna donna
all’interno della Confraternita, e da allora ad oggi i passi
sono stati brevi, davvero brevi. Appena sei mesi fa ricevetti la prima
lettera di tuo padre, che ritenevo morto o scomparso. Egli mi parlava
di te Elena, e di come ti stesse insegnando ad usare la spada, di come
ti stesse preparando ad affrontare il giudizio di Al Mualim. Se solo
tuo padre mi avesse avvertito prima…
-Io
e i saggi della Confraternita ci riunimmo per discuterne, ma molti,
troppi erano contrari, Elena. Quando salii alla carica di Maestro, i
saggi mi mostrarono alcuni testi in cui Al Mualim, nei suoi appunti,
testimoniava di un patto di sangue tra di lui e l’ultima
Assassina che abbia mai abitato questo tetto. Nel libro era racchiuso
un giuramento macchiato dal sangue dell’ultima Dea, e nulla,
come i saggi mi rammentarono alle riunioni, avrebbe potuto infrangere
quel patto.
-Elena,
prova solo ad immaginare quanto dura potrà essere la tua
vita qui! Posso farti accettare, posso raggirare le parole di Al
Mualim, posso farlo, ma devi essere pronta ad affrontare chi non si
schiererà dalla tua parte, e saranno in tanti. Elena, oggi
ti ho fatto scendere nel cortile e ho chiesto a Marhim di farti provare
a combattere affinché provassi un assaggio, pur in minima
parte, di quello che ti aspetta.
-Elena,
ti parlo di ricatti, intimidazioni, violenza! Adha vuole a tutti i
costi che tu affronti questi ostacoli, ma lei non può
minimamente immaginare cosa davvero si cela dietro i cappucci dei
nostri membri. Voglio darti del tempo, Elena, altro tempo per provare
ad imparare a convivere con i tuoi nemici più grandi.. Tuo
padre, quando scrisse quella lettera, non sapeva del patto tra
l’Assassina e Al Mualim, e ti mandò lo stesso qui.
Ma sappi che io farò il possibile per non farti soffrire,
anche tenerti lontana dalla Confraternita lottando a mani nude con
Adha, che secondo le parole di Kalel, ha la massima autorità
su di te. Elena, di’ qualcosa…-
Elena
sollevò lentamente gli occhi, completamente lucidi e
sbiaditi.
Non
l’avesse mai chiesto…
Una
lacrima le attraversò la guancia, e lei lasciò
che precipitasse al suolo.
-No,
Elena!- l’uomo le venne più vicino.
–Queste, le tue lacrime, la tua debolezza è
proprio quello che non devi dimostrare!- le prese il viso tra le mani
rugose e le asciugò le guance.
Lei
rimase immobile, con gli occhi azzurri che le si riempivano come fiumi
in piena.
-Se
in te rimane un briciolo di forza, usalo per combattere la prima
più grande battaglia. Ora dimmi, piccola- lui la
guardò sorridendo. –cos’è che
ancora ti spaventa-.
Elena
aprì appena la bocca, ma la saliva era pastosa e amara, il
respiro irregolare e le ballava il mento. –Non lo
so…- pianse.
Il
vecchio si voltò e recuperò dal tavolo un
oggetto. Era una collana, la strinse tra le dita e poi le venne al
fianco.
-Era
di Alice- disse lui.
Elena
cercò di scorgere qualche altro particolare al di fuori
della catenella c’argento, ma il vecchio le prese la mano e
le poggiò sul palmo il ciondolo.
La
ragazza la guardò sorridendo: era il simbolo che aveva visto
sugli stendardi. Era una A stilizzata, il buffo compasso aperto.
Intagliata in una sottile lastra di pietra nera.
-Kalel
la fece per lei quando s’innamorarono, affinché
Alice si ricordasse per sempre di dove si erano amati per la prima
volta. Era al collo del bambino che tuo padre abbandonò
nell’asilo degli orfani. Così riconobbi che era
suo figlio. Tienila, è tua ora. Spero che ti sia di aiuto,
ma non sfoggiarla come fosse un bel diamante, anzi, ti auguro di
esserne molta gelosa, affinché nessuno possa strappartela
via-.
La
ragazza si asciugò le lacrime mentre si tirava su i capelli
dal collo.
-Ne
sono onorato- disse in fine il Maestro, che gliela allacciò
delicatamente. –ecco fatto. Sii forte, non combattere le
battaglie che non puoi vincere, se puoi nasconderti fallo,
perché non ci sarà nessuno a proteggerti. Quello
che posso assicurarti, però, è che
all’interno di questo palazzo dimora da anni il tuo fratello
maggiore. Questo è uno dei tanti motivi per cui tuo padre ti
mandò da me. Adha non ne sa nulla. Non farne parola con
nessuno. Sarà il nostro segreto…-.
Dicendo
così, il Maestro l’abbracciò, poi si
allontanò verso la libreria.
Si
voltò un ultima volta verso di lei, che si girava nella mano
il ciondolo della collana.
-Elena,
sono sicuro che prenderti altro tempo non possa fare altro che
aiutarti. Per questo non voglio che tu realizzi subito di dover
cominciare i tuoi addestramenti, preferisco che prima ti faccia vedere
in giro, che ti trovi alleati e stabilisca bene quali sono i tuoi
confini. Resterai all’interno del palazzo per svolgere
assieme ad alcune ragazze dei lavori che ti terranno occupata le mani,
sei d’accordo?-.
Elena,
senza dire o fare nulla, annuì.
-Bene.
Marhim ti aspetta nel cortile, ti mostrerà la
città e l’interno della fortezza. Egli sa tutto
quello che deve sapere, e spero che tu ti trovi a tuo agio con i suoi
servigi. Ora puoi andare…-.
-Grazie…-
bisbigliò, e prima di avviarsi aggiunse: -Grazie, Maestro-.
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Capitolo 10 *** Con le spalle al muro ***
Con
le spalle al muro
Elena
camminava col mento al petto, senza guardare in faccia nessuno, e senza
permettere a nessuno di farlo.
Il
suo pugno destro era stretto attorno al ciondolo di sua madre.
Pensò
che non aveva mai conosciuto Alice di persona, e senza mai sapere il
perché, suo padre, oltre che tenerle nascosto molte altre
cose, non gliene aveva mai parlato. Fino a qualche anno prima credeva
di non aver mai avuto una madre.
La
novella che più la turbava, che la lasciava col fiato
sospeso e con le spalle al muro era quella di avere un
“fratello”, chissà dove, disperso tra la
folla che abitava le mura della fortezza, uno tra i tanti Assassini che
la abitavano.
Marhim
la stava aspettando con le mani giunte dietro la schiena, come a
nasconderle qualcosa. Le sorrise sereno quando la ragazza gli si
fermò a pochi passi.
Prima
di parlare si schiarì la voce, così da attirare
gli occhi azzurri distratti di lei su di lui.
-Che
coincidenza, non è vero?- si beffò.
-Posso
vedere la mia stanza?- domandò lei pacata, con voce morta.
Marhim
ritrasse il suo sorriso. –Ma certo- disse –seguimi-.
La
condusse alle gradinate che portavano al picco della torre.
Le
dimore si trovavano un piano sopra l’infermeria, ed erano una
moltitudine di corridoi spaziosi, arredati di tappeti e
cuscini.
-Qui-
intraprese Marhim mentre le faceva strada. –abitano gli
Assassini più esperti, i loro alloggi sono stretti
perché non vi passano molto tempo, poiché
impegnati altrove e spesso molto lontano da Masyaf. Non molte volte ti
capiterà di incontrare la stessa faccia due volte di seguito
in un solo anno, qui i membri vanno e vengono. Vanno e
vengono…- ripeté malinconico.
Elena
lo seguiva e taceva, lo seguiva e taceva.
-Al
piano sotto a questo teniamo i più giovani, i novizi come
direbbero alcuni di queste stanze-.
Qualcuna
delle camere che davano sul corridoio erano aperte, e non appena la
ragazza vi lanciò un occhiata dentro vide erano vuote o
molto buie.
Per
il resto, quella sembrava l’ala della fortezza davvero meno
frequentata, così desolata e silenziosa che Elena sentiva i
suoi e i passi di Marhim perdersi nell’enormità
del piano.
Raggiunsero
una piccola saletta comune nella quale sfociavano altri corridoi. Al
centro della sala, spostava verso la parete, era infossata una stretta
scala di pietra.
Si
disse che dormire in quel luogo abbandonato e inquietante sarebbe stata
una delle sue più grandi sfide.
Elena
lo seguì sulle gradinate, e si ritrovarono in una
sottospecie di soffitta.
Il
pavimento era in legno pregiato e tirato a lucido.
Era
una piccola stanza tonda dalla quale si allungavano diversi atri,
ciascuno dei quali era decorato in diverso modo, con differenti
arredamenti e tappezzeria.
Armadi,
arazzi, tappeti dei colori più vivaci. E anche tavoli, e
tantissimi cuscini ammassati al centro della sala a formare un piccolo
salottino da terra.
Le
finestra davano sul panorama ad alta quota, ed erano immense vetrate
dalle quali passava continuamente una freschissima brezza. Le tende
erano di un colore così chiaro che sembravano trasparenti,
ed ondeggiavano come le onde del mare.
Elena
alzò il viso, meravigliata. –Sei sicuro
che…-
-Un
tempo qui abitavano loro- disse Marhim facendo qualche passo avanti,
anche lui estasiato. –A noi non era permesso entrare, a
nessuno che non fosse Adha o una Dea era permesso assaporare il profumo
di queste stanze- aggiunse prendendo un grosso respiro.
Marhim
camminò su e giù per la stanza. –Sono
contento di aver ricevuto l’onore di accompagnarti fin qua
su. Mi sarei aspettato che il Maestro ne incaricasse Adha, ma a quanto
pare questo luogo ha perso la sua autorità…-
mormorò affranto. –è un peccato-.
Elena
si avvicinò ad uno dei diversi ingressi. Portavano a delle
stanze, altre decine di stanze.
–Quante
erano prima di me?- chiese tenendo una mano sulla bocca e
l’altra che stringeva il ciondolo.
Marhim
continuò a fare il giro del salone. –Una ventina,
forse di più, nei migliori anni della setta. Parlo di prima
che cominciasse la guerra, prima della prima Crociata. Non saprei come
raccontarti di più, se sei curiosa dovresti chiedere ad
Adha. Lei…-.
-Sai
qualcosa di una certa Elika?- domandò
all’improvviso.
Marhim
si voltò verso di lei. –Come sai quel nome?- e le
venne incontro.
-Ecco…
me ne ha parlato il Maestro- balbettò, e fu lieta che Marhim
non si accorse della bugia.
-Allora,
se te ne ha parlato lui…- il ragazzo tornò ad
ispezionare.
-Veramente
ha accennato questo e altri nomi. Chi era?-.
-Elika
fu una delle ultime assassine che lasciò la setta. Il suo
nome non è poi così pieno di storia, parliamo di
non più di qualche anno fa, piccola!- rise.
-Già,
ma ogni Assassina qui sembra essere una leggenda- lei guardò
fuori dalla finestra, sospirando.
-Non
una leggenda- la corresse brutalmente Marhim.
Lei
si voltò sospettosa.
-Ma
una minaccia. A Masyaf e nella confraternita non c’era
assassino che non le temesse e le amasse al tempo stesso-.
-Che
intendi?- Elena sfiorò con la mano il vetro
dell’unica finestra chiusa.
-Al
Mualim aveva un rigido codice a riguardo. Le donne nella setta
d’accordo, ma al fine che nessuna di loro avesse rapporti con
altri assassini. Le ragazza non erano mai viste di buon occhio per
questo, sempre piene fino al collo della loro bellezza, arma che
usavano contro le loro vittime. Poi arrivò Alice, e tuo
padre, da ingenuo…- alzò le spalle.
-Mio
padre non era un ingenuo!- sbottò lei con un balzo in avanti.
-Non
negare l’evidenza, Elena- sbuffò il ragazzo.
–Avanti, lo sai benissimo che non era altro che un pazzo. Se
Al Mualim costituì quel codice, ci sarà stato un
motivo. E nessuno qui dentro vuole che la storia si ripeti. Prova a
pensarci, Elena, prova a pensare quando nessuno ti scollerà
gli occhi di dosso e alla fine ti ritroverai…-.
-No,
non farò la fine di mia madre. Kalel mi mandò qui
affinché io potessi imparare, e saldare la catena che Alice
aveva spezzato. Ancora non ne sono certa, ancora non so come
farò, con l’aiuto di chi…-.
-Visto?-
lui le venne più vicino. –Credo che tu sia ancora
in tempo per andartene, per lasciare le cose come stanno e come sono
andate. Per farti una vita altrove-.
-Non
mi sei d’aiuto…- confessò lei sedendosi
tra i cuscini.
Marhim
sobbalzò. Aveva disubbidito all’incarico che
Tharidl Lhad gli aveva affidato: guidare ed essere sempre presente ad
Elena.
-Hai
ragione, scusa- lui le si sedette accanto. –Perdonami, stavo
solo riflettendo ad alta voce-.
-Non
fa nulla- borbottò la ragazza giocherellando con la collana.
–tanto dovrò farci l’abitudine prima o
poi. Come hai detto tu, mi staranno addosso, chi con le buone e chi con
le cattive intenzioni-.
-Sono
qui apposta. Il Maestro mi ha dato il compito di assisterti in tutto
ciò. Sono stato sollevato dai miei precedenti incarichi
perché lui crede nel destino che ci ha fatti incontrare sul
ciglio di quella strada. A dire il vero, fu Halef a notarti per primo,
ma sostituisco mio fratello per via dei suoi itinerari con gli Angeli-.
-Itinerari
con chi?- domandò aggrottando la fronte.
-Halef
sta imparando l’arte dell’omicidio da poco. Ora
segue alcuni degli “Angeli” i così detti
più esperti assassini per imparare da loro. È una
cosa che un giorno dovrai sperimentare anche tu- sorrise.
-Davvero?
Nel senso, devo seguirti mentre…-.
-No!-
scoppiò a ridere lui. –Non me, e sicuramente non
oggi. Il Maestro ti affiderà uno dei mastri assassini della
setta, ma con molto giudizio. Sa che la scelta di chi ti
metterà al fianco cambierà per sempre il tuo modo
di agire, di pensare, di uccidere-.
-Mi
spaventi-.
-Era
quello che volevo- rispose divertito.
Elena
tacque e si guardò attorno, ma sentiva gli occhi di Marhim
ancora su di lei.
-Un
certo Adel deve aver portato qui dei vestiti che Adha…-.
-Lo
so, ma ora non ti serviranno-.
Elena
abbassò lo sguardo. –Posso immaginare
perché?-.
-Sono
i resti più integri delle ultime divise femminili che sono
rimaste. Quando l’ultima Assassina lasciò la
confraternita, i loro vestiti furono bruciati, e ci mancava poco che
anche questa stanza, completamente in legno, non prendesse fuoco-
Marhim si stiracchiò alzandosi.
-So
che sono parecchi giorni che te ne stai chiusa
nell’infermeria, ed onestamente, le assassine erano celebri
per il loro buono odore- rise.
-E
pensare- disse lei sollevandosi – che credevo fosse una mia
impressione- si annusò i vestiti e arricciò il
naso.
-Avvertirò
Adha che sei qui. Lei si occuperà del resto-.
Marhim
fece per scendere le scale, ma Elena lo fermò chiamandolo.
Lui
si voltò attento. –Sì?- le chiese, come
se non stesse aspettando altro.
-Dove
posso trovarti?-.
Le
labbra dell’assassino si allungarono in un sorriso.
–Sarò ad aspettarti alla fine delle scale. da
lì ti mostrerò il resto del palazzo- poi
scomparve di sotto.
Elena
si affacciò alla finestra, e il ciondolo le
scivolò dalla tunica andando a pendere sul vuoto dello
strapiombo.
La
vista era davvero mozzafiato.
Stormi
di colombi si rincorrevano nel cielo e il vento le scompigliava i
capelli.
Chissà,
pensò, tutto sommato le piaceva quel posto. Aveva una stanza
enorme tutta per lei, e già si era fatta degli amici. Forse
non c’erano così tanti lì dentro che la
volevano morta o darle fuoco assieme a dei vecchi vestiti.
Curiosò
per le stanze e si accorse che c’erano due vaste biblioteche,
una quindicina di camere con letti a soppalco e tre bagni muniti di
lussureggianti vasche in marmo.
Eccome
se quel posto le piaceva!
Entrò
in una delle stanze da letto e vide che diversi scaffali correvano
lungo le pareti. In fondo, coperta da spesse tende di lana per
trattenere il calore in inverno, c’era una finestra chiusa.
Aveva scelto la stanza più buia e polverosa nella quale
ficcare il naso, e si disse se non fosse proprio quella la
più interessante.
C’era
un piccolo scrittoio e alcune cassapanche. I letti in totale erano
quattro, e tutti lasciati in disordine coperti da vecchie federe
ingiallite e cuscini sgonfi. C’era un armadio a parete
completamente vuoto, e diversi tomi erano sparsi per il pavimento.
Le
condizioni delle altre camere erano più o meno simili, forse
sarebbe toccato proprio a lei rimettere ordine.
Ragnatele
argentate si allungavano agli angoli del tetto, e non mancavano gli
scricchiolii del pavimento.
Andò
verso la finestra e scostò le tende. Un alone di polvere si
diffuse per la stanza, mentre la luce dava nuovi colori alle pareti.
Il
vetro era appannato e graffiato, nella parte in alto a destra era
scheggiato. La vista dava all’interno della fortezza,
precisamente affacciava sul cortile di addestramento, ma molto
più in alto.
Da
lì si vedeva tutta Masyaf, arroccata sulla collina, e oltre.
Elena poté vedere delle rovine alla fine della strada che
portava fuori città, e poi le lande desertiche e asciutte
che andavano all’orizzonte.
-Sono
contenta che ti piaccia questa stanza-.
Elena
si voltò.
Adha
era in piedi sull’uscio e la guardava sorridendo.
La
ragazza, sorpresa, fece qualche passo indietro. –Era la
stanza di qualcuno che ho per caso già sentito nominare?-
chiese divertita.
-Alice
amava condividere questa stanza con se stessa- proferì Adha.
Elena
scorse che due ragazze si spostavano velocemente da una camera ad
un’altra con in grembo asciugamani di seta.
Elena
capì che era il momento di fare un bel bagno.
-Tu
l’hai conosciuta, giusto?- di fece avanti e lasciò
la stanza.
Adha
richiuse la porta alle sue spalle. –No, poiché in
quegli anni fossi solo una bambina e non abitavo ancora a Masyaf. Ma le
ultime gesta di tuo padre ho avuto modo di assisterle- le disse
accompagnandola nel bagno.
Le
pareti e il pavimento erano di marmo, e negli appartamenti delle Dee ce
n’erano due di sale che possedevano al centro una grossa
vasca bianca. L’acqua era stata portata lì con dei
cestelli vuoti che erano adagiati in un angolo. C’era della
schiuma, dalla quale si levava una nuvola di fumo di condensa. Doveva
essere bollente, si disse.
Le
damigelle poggiarono gli asciugamani ai bordi della vasca e lasciarono
la stanza. Adha le andò dietro fermandosi
all’ingresso. Si voltò verso di Elena, che si
guardava attorno pronta a cominciare.
-Quando
avrai finito, Marhim avrà l’incarico di mostrarti
il palazzo prima che faccia buio. I vestiti puliti sono su quella
mensola vicino alla finestra, se hai bisogno di aiuto, le mie compagne
ti assisteranno. Hai tutto il tempo, fai con calma, addormentati anche
se vuoi…- le mormorò ridendo. Poi uscì.
Elena
si spogliò del tutto ed entrò tra la schiuma
senza pensarci due volte. Sprofondò fino al naso
nell’acqua, sorpresa di quanto la vasca fosse profonda.
La
collana le pendeva sul petto, l’accarezzò con due
dita guardandola commossa. Sentì lo sporco scivolarle via
mentre s’insaponava i capelli con uno speciale trattamento
che aveva trovato lì accanto.
Aveva
un profumo dolce e zuccheroso, non ne andò matta ma le parve
anche l’unico a disposizione.
Seguì
il consiglio di Adha e provò a chiudere gli occhi.
Sembrava
di vivere in un luogo lontano, ma più bello di un sogno dove
profumi sensazioni e sentimenti dolorosi e antipatici si sostituivano
letteralmente ai desideri e ai pensieri vuoti. Quei pensieri che
sgombrano la mente da altri pensieri, che la liberano e la trasportano
via, via, via…
Un
campanile rovinato dagli anni suona la sua campana e i corvi neri si
levano nel cielo stridendo la loro musica. Sulla piazza
c’è un gran silenzio, mentre la gente alza gli
occhi all’uomo morto appeso alla forca. Il suo corpo
è immobile e sbiadito, le sue mani sono legate dietro la
schiena.
Elena
è tra la folla, si guarda attorno senza fare nulla, rimane
immobile e non riesce a controllare i suoi movimenti. Sta guardando
verso il palco, verso il cadavere dell’uomo.
È
Kalel.
Il
laccio che stringe la gola di suo padre sta per staccargli la testa per
quanto è stretto, mentre le guardie sotto di lui ridono a
crepapelle.
Un
arciere la vede e le lancia contro una freccia. Tutto accade in una
decina di secondi.
Un
uomo vestito di una lunga tunica bianca le si para davanti e devia la
freccia che colpisce il suo guanto rivestito di placche di ferro.
L’uomo estrae dei coltellini da lancio, e l’arciere
sul tetto si accascia al suolo.
Le
guardie li accerchiano entrambi, mentre la folla fugge spaventata.
L’uomo
sfodera la spada e con pochi colpi le elimina senza fatica. La piazza
rimane deserta e silenziosa, mentre i corvi vanno ad a cibarsi della
carne di Kalel.
L’uomo
si gira, è celato da un cappuccio, ma prima che lei potesse
dire altro, si volta e sfugge nell’ombra di un vicolo.
Elena
guarda suo padre, un assassino e poi una vittima.
Una
lacrima le solcò il viso poggiando i piedi fuori dalla vasca.
Afferrò
un asciugamano abbastanza lungo e se lo legò attorno al
corpo, con gli occhi ancora umidi.
L’acqua
era diventata fredda, e fuori dalle finestre il sole cominciava a
scendere sulla valle.
Andò
verso la vetrata e afferrò i suoi nuovi vestiti,
stringendoli al petto lasciò il bagno.
-E
così le ho detto che non doveva piangere, anzi, avrebbe
potuto passare con lui anche…- una delle due damigelle
l’aveva vista uscire dal bagno ed era scattata in piedi,
mentre l’altra continuava a farneticare guardando altrove.
-Alzati,
stupida!- le sottinse la prima.
-Oh,
Dea- l’altra si sollevò all’istante.
Elena
le guardò sorridendo e asciugandosi gli occhi. –Ho
terminato, grazie…- disse andando verso una delle stanze che
le due avevano messo in ordine da poco.
Le
ragazze si catapultarono rosse in volto nel bagno e cominciarono a
sbrigare le diverse faccende.
Elena
si chiuse la porta alle spalle, e i suoi occhi tornarono di nuovo umidi.
Provò
a ripensare alle parole di Tharidl, che senza esitare le aveva detto
che piangere non le sarebbe servito a nulla. Doveva essere forte, ma
improvvisamente nuove domande le assalivano la mente, senza darle
tregua.
Doveva
essere forte per lei? O per non mostrarsi debole agli altri?
I
vestiti che Adha le aveva fatto portare erano completamente diversi da
quelli che aveva portato per tutta la giornata.
Erano
meno insoliti, più semplici come quelli che portavano le sue
assistenti.
Era
un vestito fino alle caviglie dello stesso marrone chiaro dei suoi
capelli, con un innocuo spacco laterale, che andava coperto da un
mantello a maniche lunghe verde scuro, munito di cappuccio.
C’erano degli stivali leggeri e una fascia da legare in vita
rosso porpora.
In
fine, sullo scrittoio trovò alcuni piccoli accessori come
cerchietti, mollettoni, e vari bracciali. Poi dei guanti e anche delle
forcine.
Si
legò i lunghi capelli castani in una coda alta e
indossò come sopra il vestito anche la mantella.
Nella
stanza, addossato alla parete e intarsiato di ricami d’orati,
c’era un magnifico specchio alto poco più di lei.
Si ammirò, ma per nulla soddisfatta.
Aveva
la faccia appesa di sempre, le solite occhiaie e già non ne
poteva più di sentirsi così… stanca
senza aver fatto nulla tutta la giornata.
Bussarono
alla porta.
-Mia
signora Elena, Marhim chiede di voi- disse una damigella, appena
affacciata nella camera.
Elena
si stirò le pieghe dell’abito e andò
verso l’ingresso.
La
ragazza si fece da parte per farla passare, ed Elena vide Marhim che
l’aspettava vicino alle scale.
-Eccoti-
sorrise lui. –Adha mi ha mandato ad accertarmi che non ti
fossi davvero addormentata nella vasca- rise rimanendo al suo posto.
-Veramente
è successo- rispose lei andandole incontro.
-Bene,
e cosa hai sognato?- chiese divertito.
Insieme
si avviarono sui gradini, lei lo seguiva.
-Lascia
stare…- mormorò.
Passando
per i corridoi delle dimore degli Angeli, Elena ne contò
qualcuno.
Erano
uomini alti, giravano col cappuccio sempre abbassato e non la
guardavano neppure. Marhim, al contrario, doveva inchinarsi e se loro
non facevano nulla di risposta, proseguivano dritto.
Lì
il rispetto del superiore doveva essere tutto, si disse la ragazza. Il
Credo di un assassino davvero si basava sull’onore di ciascun
individuo e sulla sua anima che non doveva mai essere infangata da
nessuno e da se stessi. Così le disse Marhim mentre
scendevano le scale per raggiungere il livello
dell’infermeria.
-Credo
che tu conosca bene questo posto- disse lui indicando il grosso portone
di legno sempre socchiuso.
-Sì-
rise lei.
-Allora
proseguiamo-.
Marhim
le fece strada fino al piano inferiore.
-Qui-
sussurrò scostando appena la porta. –ci sono i
piccoletti- sorrise facendosi da parte affinché Elena
potesse lanciare appena un’occhiata.
I
bambini che abitavano quella stanza non erano bambini, ma piccoli
adulti.
Dalle
età più tenere a quelle più mature, i
visi rosei e bellissimi, pieni di vita e gioiosi nel bene e nel male,
ma anche quieti, tranquilli e silenziosi. Erano seduti attorno ad un
assassino che stava leggendo loro un vecchio libro.
La
sala era ampia, e davvero spaziosa. C’erano dei cuscini,
alcuni tavoli e finestre decorate da tende molto spesse.
Se
aguzzava l’udito, Elena riusciva a cogliere la voce soave con
la quale l’uomo narrava ai bambini la novella.
-…
una torrida giornata per correre nel deserto, ma doveva raggiungere la
destinazione nel nome del suo Dio, compiere la sua missione per salvare
il suo popolo. Arsuf non era distante, pensò il cavaliere
bianco…-.
-Andiamo-
le fece Marhim richiudendo la porta. –Un giorno avrai
più tempo da dedicarli- riprese le scale.
-Davvero?-
domandò commossa lei.
Così
piccoli, così innocenti, e già con la missione di
uccidere…
Marhim
si voltò. –Adha vuole che tu l’aiuti in
alcune faccende all’interno della fortezza, e tra di queste
ci saranno parecchi culetti da lavare…- sogghignò
il ragazzo ricominciando a scendere.
-Cosa?!-
balbettò incredula lei.
-Vedrai,
ti piacerà-.
Elena
le andò dietro recuperando la distanza. –Stai
scherzando, vero?-.
-D’accordo,
non dovrai occuparti tu del bagno, ma sicuramente avrai le mani
impegnate- borbottò.
-Ma
scusa, quando comincerò a…- Elena era confusa.
Marhim
soffocò una risata. –Stiamo parlando della stessa
cosa, o no?-.
-Non
lo so, è per questo che…-.
-Elena-
lui la guardò negli occhi. –Per ora il mio
consiglio per te è lasciar fare tutto al Maestro e Adha.
Sono loro che daranno parola per te quando verrà il momento.
Non assillarti su cosa succederà dopo, o cosa è
successo, pensa solo a quello che sta succedendo-.
-Ottimo-
commentò. –ma sarò in grado di
attenermi?-.
-Questo
dipende da te!- rise il ragazzo.
Entusiasta
e preservando le sue insicurezze per quando si sarebbe trovata di
fronte al Maestro, Elena lo seguì in un corridoio
all’altezza del terzo piano.
-Queste
sono le sale che collegano la cucina e i saloni di ritrovo.
È qui che generalmente la gente di Masyaf si riunisce per
occasioni importanti, feste e celebrazioni varie-.
Erano
tante sale quante le dita di una mano. L’una collegata
all’altra da un corridoio controllato da guardie.
Nel
salone principale, Marhim indugiò per qualche minuto.
Il
soffitto era alto e si contavano le facciate di diversi balconi.
C’era un piccolo palco di pietra rialzato da terra di pochi
metri ed era molto vasto. Seguiva tutta la parete ovest della stanza ed
era addobbato di ampie vetrate luminosissime, soprattutto quando la
luce del sole era calante come in quel momento.
-In
questa stanza il Maestro assegna i gradi di un assassino, ne proclama
la sua maturità o…- il suo sguardo
esitò sulla mano della ragazza.
Elena
la ritrasse. –che c’è?- chiese turbata.
-Nulla,
avanti- disse riprendendo a camminare. –Ci sono molte altre
stanze da vedere-.
Si
diressero di un piano ancora sotto, e trovarono quell’ala del
palazzo molto frequentata.
Una
piccola biblioteca si trovava accanto allo studio del Maestro, dove
Tharidl le aveva parlato la prima e la seconda volta, ma la vera fonte
di saggezza di Masyaf si trovava al secondo piano.
Enormi
scaffali si allungavano per metri e metri quadrati di marmo colorato,
mentre arazzi e stendardi ornavano i parapetti dei soppalchi che vi
affacciavano.
Gli
assassini e i “saggi” (gli uomini compagni del
Maestro e suoi discepoli) trottavano da una parte all’altra,
ma nonostante i bisbigli, nella biblioteca era re il silenzio.
-Qui
vengo spesso- disse ad un tratto Marhim. –ovviamente contro
la volontà dei miei insegnanti di armi- allungò
le labbra in un sorriso. –non sono poi un tipo fisico quanto
sembro- aggiunse.
-Ti
piace leggere?- chiese la ragazza allungando una mano verso lo scaffale
vicino.
Afferrò
uno dei tomi e ne sfogliò le prime pagine.
Erano
scritti a mano, in una calligrafia ordinata ed elegante.
C’era un tratto di penna differente da capitolo a capitolo,
segno che più uomini avevano lavorato allo stesso racconto.
-Moltissimo,
e vedo che anche tu hai buoni gusti!- le venne vicino guardando dove la
ragazza cercava di decifrare la scrittura in latino antico.
-Uno
dei migliori- disse lui guardandola. –Molti dei libri che
vedi in quest’ala della biblioteca sono biografie degli
assassini del passato. Biografie, ed autobiografie. Ognuno di noi, se
l’autore voleva, poteva aggiungere alla biografia qualche
appunto. Eravamo molto aperti in materia un tempo. Fu quando venne Al
Mualim che le cose cambiarono, ma non dispiace a molti. La gente di
Masyaf era angosciata dalla guerra, i nostri fratelli passavano molto
tempo in “impieghi” e nessuno aveva tempo per
nessuno. È stato davvero un duro colpo per queste pareti,
che senza le testimonianze del passato, non potranno garantirci per il
futuro…-.
-Quindi
non c’è la biografia di nessuna assassina, qui?-
sbottò tristemente.
-Esatto-
sospirò lui.
Lei
rimise il libro al suo posto e lanciò un’occhiata
più distante, dove un assassino era seduto ad un tavolo
intento nello studio. –Ci sono degli esami teorici da
passare, per essere uno di voi?- chiese indicando il ragazzo che
trascriveva da un libro ad un quaderno.
-No-
scosse la testa Marhim. –Ma l’entrata nella setta
non è libera a tutti- lui seguì lo sguardo di lei.
L’assassino
studioso alzò gli occhi e li vide.
In u
primo momento Elena guardò altrove, poi notò che
Marhim stava salutando il compagno con la mano.
-Molti
di noi- riprese Marhim ammirando lei. - non aspirano alla carriera di
assassini, ma a quella di saggi o scrittori. Devi sapere che Masyaf
nasce nella sua storia prima di tutto come città di enorme
saggezza e ricchezza culturale. Solo di seguito i nostri predecessori
crearono tutto il resto-.
-Interessante-
le sfuggì di bocca in un tono annoiato che non avrebbe
voluto esprimere, ma Marhim la fulminò lo stesso con
un’occhiataccia.
-Sei
distante dalle materie che non comportano l’uso di una spada,
o hai del risentimento personale?- domandò curioso.
-Mio
padre non ha mai perso tempo in questo…- mormorò
fievole.
-Capisco-
Marhim si passò una mano tra i capelli portandoseli
indietro. –Continuiamo?-.
La
ragazza annuì e tornarono da dove erano venuti.
Al
primo piano, il meno esteso, c’era una vasta cucina e una
sala nella quale erano seduti ai tavoli alcuni assassini.
In
fin dei conti era quasi ora di cena, ed Elena non aveva toccato cibo da
prima di lasciare Acri, sempre che qualcuno non l’avesse
imboccata nel sonno.
Marhim
la condusse direttamente nelle cucine.
Una
stanza vuota e buia illuminata solo, per un taglio di luce, da un
lucernario nella parete sopra il forno.
-Hmm-
fece Marhim. –è strano, qui dovrebbero
esserci…-
Non
terminò che nella cucina fecero il loro ingresso tre donne.
Erano
vestite più o meno come Elena, che subito le
guardò mentre mettevano mani al forno e agli impasti per
preparare la cena.
La
sala si riempì di farina che svolazzava da parte a parte e
dell’odore delle fiamme che ardono la brace.
-Marhim,
levatevi dai piedi- disse una mentre si lanciava nelle dispense a
recuperare alcune grosse bacinelle di legno.
-Vieni-
le disse lui prendendola per la mano. –qui potrebbe
succederci qualcosa di molto spiacevole-.
La
trascinò fuori dalla cucina e insieme, mano nella mano, si
trovarono nella sala comune sotto gli sguardi di una quindicina di
assassini.
Elena
fece un passo alla sua sinistra scollandosi dal ragazzo.
Lui
si schiarì la voce, ed Elena si sentì le guance
esplodere.
-Posso
lasciarti solo un momento?- domandò Marhim senza guardarla.
-Certo-
balbettò lei timidamente.
Elena
lo guardò allontanarsi sulle scale a due gradini alla volta
verso il piano di sopra.
Restò
con le spalle alla parete per diversi minuti, nell’attesa che
qualcuno le gridasse qualcosa.
Molti
nella sala la fissavano con rabbia, si disse che altri non sapevano chi
fosse, e ne rimase consolata.
Quei
pochi che le mettevano paura bastavano a lasciarla in disparte, sola
con se stessa nella penombra. Anche con quei vestiti simili a quelli
delle donne che lavoravano come servette gli Angeli la guardavano con
stizza. Chiamarli Angeli non era più tanto
appropriato…
Improvvisamente,
mentre due assassini parlavano tra di loro, uno dei due proruppe a voce
troppo alta. –Non è morto. Corrado lo
farà giustiziare, sono io che devo occuparmi della
questione-.
-Zitto,
non vedi che ti ha sentito?- lo rimproverò l’altro
assassino.
Elena
cercò di sembrare distratta, ma dalla curiosità
cercò di avvicinarsi.
Come
avrebbe potuto ingannare due assassini esperti? I due lasciarono la
sala, ma quando le passarono ai fianchi, uno di loro gli diede una
spallata che ci mancava poco non la spedisse a terra.
Fu
sul punto di piangere, quando a darle la forza di trattenersi fu il
fatto che gli altri presenti la stavano guardando.
Allora
Elena fece quello che non avrebbe mai fatto, ma che si costrinse a fare
per sembrare il meno “debole” possibile.
Andò
dritta verso il tavolo che i due avevano lasciato e vi si sedette.
Tutti
la guardarono sbigottiti.
Sicuramente
era una scena che non si sarebbe vista tutti i giorni, si disse notando
che le tremavano le mani per l’attenzione che aveva attirato.
Forse qualcuno avrebbe avuto il coraggio di dirle in faccia quanto
fosse sbagliata la sua presenza lì, ma nessuno si era fatto
avanti, pensò.
Si
guardò attorno, scrutando uno per uno i ragazzi e gli uomini
che la circondavano.
Mai
in tutta la sua vita si era sentita tanto a disagio. Come le persone
che la guardavano, ora non poteva fare a meno di prendersela ancora una
volta con se stessa.
-No,
lasciatela stare! Ragazzi!- sentì una voce familiare, ma non
poté voltarsi che due giovani le furono ad entrambi i lati.
-Guarda,
guarda…- disse il primo alitandole addosso.
Elena
fece per alzarsi, ma l’altro l’afferrò
per il braccio tirandola di nuovo a sedersi con una forza disumana. Le
scappò un mugolio di dolore.
Per
quanta potenza le aveva scaricato addosso, alla ragazza parve essersi
rotta l’osso. Eppure, il suo aggressore non mostrava alcun
segno di sforzo. –Dove vai di bello?- le chiese poi lo stesso
che l’aveva ferita.
Elena
si massaggiò il polso. –Vi prego-
balbettò, e ascoltò il suo cuore moltiplicare i
battiti ad ogni respiro. I polmoni in fiamme e la gola secca.
-Sentitela,
piccolina indifesa- blaterò quello alla sua destra.
-Vi
prego!- le fece il verso quello a sinistra.
Elena
trattenne le lacrime.
I
due non dimostravano più della sua età, ma celati
sotto il cappuccio e col buio che calava sulla fortezza, tutto le
pareva oscuro e malsano, oltre che arrogante e pronto ad attaccarla.
–per favore- ripeté.
-Come
possiamo darle il benvenuto?- domandò quello di destra
all’amico.
-Non
so- fece il compagno. –Forse non le hanno ancora tagliato il
dito, potremmo farlo noi!-.
Elena
sobbalzò sbarrando gli occhi. –dito?-
tirò su col naso.
I
due risero malignamente.
-Sai
che non sei niente male- disse uno avvicinandosi e annusando il suo
profumo. –Una volta erano tutte così?- chiese
all’altro.
-E
che ne so io, scusa? Ti sembro più vecchio di Tharidl,
forse?- rise lui.
L’altro
continuava a fissarla. –quanti anni hai detto di avere?-.
-Non
l’ho detto…- mormorò la ragazza, in
preda al panico.
-Sembra
così piccola, ma anche così…- il
ragazzo alla sinistra allungò una mano verso di lei, ed
Elena d’istinto si scansò a destra, finendo tra le
braccia dell’altro assassino.
-Allora
fai sul serio! Gnam!- disse quello che la stringeva a sé.
Elena
non riuscì a divincolarsi, e senza accorgersene stava
cominciando a gridare.
-Basta,
stupidi!-
I
due assassini si alzarono smettendo di ridere.
C’era
un gruppo di ragazzi in un tavolo all’angolo della sala.
Dalla mischia si levò in piedi un assassino che veniva verso
di loro.
Elena
si spostò scivolando sulla panca il più lontano
possibile.
Con
entrambe le mani giocherellava con la collana di sua madre.
Si
voltò appena il sufficiente per vedere i due che
l’avevano infastidita beccarsi un bel rimprovero.
L’assassino
indossava una veste più che familiare, ed Elena non si
sarebbe mai scordata di lui.
Era
Rhami.
-Siete
dei deficienti, andate a scassare bottega altrove! È
così che avete rispetto per voi stessi e per gli altri?-.
-Dai
Rhami, volevamo solo giocarci un po’, nulla di serio!- solo a
quel punto Elena si accorse che uno di loro aveva un accento
tutt’altro che sobrio.
-Le
persone non sono giocattoli- sbottò Rhami. –o
anche io potrei giocare con le vostre vite come voi avete fatto con
lei!-.
Nel
bel mezzo della conversazione, dalla scalinata comparve Marhim, che
subito si guardò attorno sospettoso. –Ma che
succede?- chiese avvicinandosi ai tre.
Rhami
si fece da parte guardando la ragazza all’angolo del tavolo.
Ci
fu qualche istante di silenzio, poi Elena, senza aggiungere nulla,
lasciò la sala correndo.
-Elena!-
La
ragazza continuò dritta su per le scale, superando Adha che
non aveva fatto in tempo a riconoscerla.
Elena
andava di corsa, due gradini alla volta, verso le sue stanze.
Senza
fermarsi di fronte a niente e nessuno, senza riprendere fiato che
già le mancava, correva e correva.
Ad
un tratto, fissandosi i piedi che ormai andavano da soli sulle
gradinate, andò a sbattere contro qualcosa di solido, ma
allo stesso tempo caldo e da un lato soffice.
Riacquistando
a fatica l’equilibrio, alzò gli occhi e vide
l’imponente presenza di un assassino che dimostrava il
massimo del rango.
-Io…
io!- provò a dire qualcosa, ma le riuscì
più facile aggirarlo e continuare per la sua strada.
L’uomo
l’afferrò saldamente per il braccio, lo stesso
braccio che aveva dolorante, e la tirò nuovamente
giù sul suo stesso gradino.
Adha
correva verso di loro tenendosi i lembi del vestito con due mani.
–Grazie, Altair- disse la donna fermandosi.
Elena
distolse lo sguardo, e quel piccolo gesto la costrinse a stringere i
denti quando l’assassino irrobustì la presa sulle
sue ossa. –Mi fai male!- non poté trattenersi.
Adha
e l’assassino la guardarono sarcasticamente sorpresi.
-Davvero,
Altair, non spezzarle un braccio proprio ora- Adha spostò lo
sguardo dalla ragazza all’assassino e
dall’assassino alla ragazza.
Elena
vide che l’uomo la fissava mentre la presa sul braccio si
allentava.
-Posso
lasciartela?- domandò lui.
Improvvisamente
Elena aveva già sentito quella voce! Ma certo, si disse. Era
l’assassino che stava leggendo la favola ai bambini! Non
poté crederci.
Tanta
delicatezza con i più piccoli, e dimostrava una
brutalità esagerata con tutto il resto. Distaccato, austero,
Altair scese le scale e scomparve nell’ombra.
Adha
le venne più vicina. –Posso sapere cosa
è successo? Cos’erano quelle grida, si
è sentito per tutta la fortezza!- le disse sgomentata.
Elena
tacque, ma Adha le prese il mento tra le mani fredde. –Elena,
se è successo qualcosa devi dirmelo, anche perché
Marhim non ha assistito, a quanto pare, e nessun altro può
garantire per te! Avanti!-.
-Non
è successo nulla, sono io che faccio la solita esagerata e
sono una calamita per i pazzi! Due della Confraternita stavano
“giocando” e Rhami è intervenuto, stop-
disse in un fiato.
Adha
ritrasse le braccia lentamente. –sai i nomi di costoro?-
chiese.
Elena
scosse la testa continuando a tenere il broncio.
-
Va’ di sopra, me ne occupo io. Ne parlerò col
Maestro e faremo il possibile, ma devi stare attenta a quello che fai,
credo che Tharidl te l’abbia già detto- disse in
tono premuroso.
La
ragazza quella volta annuì, e tirò su col naso.
-
L’unica cosa che non devi fare- aggiunse Adha prima di
scendere. –è piangere. Se sapranno che sei debole,
tutto precipiterà in pochi istanti. Elena, nessuno ti
obbliga, ma è un tuo dovere verso te stessa, tua madre e tuo
padre, che avrebbero voluto questo per te-.
Adha
lasciò quelle parole sospese nel vuoto delle scale.
Elena
aveva colto poco il loro significato, distratta dalle poche ore che
mancavano al suo appuntamento con Elika.
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Capitolo 11 *** Mille voci, un'Anima ***
Mille voci,
un'Anima
Le
ombre della notte avvolsero Masyaf.
Le
pareti e il soffitto assunsero una sfumatura bluastra e argentata,
mentre buffi giochi di luce si proiettavano per la stanza,
poiché le tende filtrassero la luce lunare in un modo
insolito.
Elena
era seduta immersa tra i cuscini. Fissava un punto fermo di fronte a
lei strofinando le dita affusolate sulla catenella della collana.
Una
folata di vento entrò dalle finestre e andò a
scompigliarle i capelli. Un brivido di freddo le attraversò
la schiena e si raddrizzò starnutendo.
L’aria
tornò immobile.
Elena
si guardò attorno e decise che muoversi le avrebbe fatto
bene.
Cominciò
a fare su e giù per la camera a braccia conserte, ascoltando
i rumori che venivano dall’esterno.
Devo
trovare un modo per andare in città, si disse guardando
fuori dalla facciata. Elika, quella strana ragazza che aveva incontrato
poche ore prima, poteva essere già lì.
Andò
nella sua stanza e frugò nell’armadio in cerca di
qualcosa di più pesante da mettersi. Trovò solo
una mantella di cotone e se la legò sopra alla tunica verde
che aveva addosso.
Lanciò
un’ultima occhiata alla finestra che dava sul cortile, e
notò con fastidio che c’erano ancora ù
pattuglie del solito, e molti, tanti arcieri sui tetti.
Scese
le scale addossata alla parete, confondendosi con i dipinti e gli
arazzi.
La
mantella sulle sue spalle le svolazzava ai fianchi, ma nonostante la
paura di inciamparci e rotolare giù, Elena tenne un passo
fermo e serrato.
Da
quando era “fuggita” nei suoi appartamenti, non si
era fatto vivo nessuno. Neppure Adha, la sua protetta, si era degnata
di venirle a fare compagnia. Aveva passato il resto del pomeriggio in
totale solitudine, stesa tra i cuscini pensando e ripensando a cosa
stava facendo e al perché.
Si
disse che in quelli ultimi giorni si era fatta troppe domande, ed era
ora, piuttosto, di incassare le rispettive risposte. Quanto lontana
l’avrebbe condotta la sua curiosità?
Rise
immaginandosi in un fiume circondata da coccodrilli.
Raggiunse
il pian terreno, e lo trovò silenzioso e deserto, come il
resto delle stanze.
Elena
si diresse verso il giardino interno, percorrendo gli stessi corridoi
che aveva visto per la prima volta svegliandosi nel bel mezzo della
notte.
Quando
vide due guardie venirle incontro, Elena si appiattì contro
il muro, nascosta nella penombra di una colonna, si strinse i lembi del
mantello al petto per non lasciarli svolazzare al vento.
Le
due guardie facevano avanti e indietro per il giardino, guardandosi
circospetti le donne che vi erano.
Elena
approfittò del fatto che erano distratti da due belle
ragazze e camminò silenziosa sull’erba, poi oltre
la grata alzata.
Tutta
fortuna, si disse, ma pregò che essa l’assistesse
per qualche istante ancora.
Con
la coda dell’occhio, la ragazza scorse Tharidl scambiare una
conversazione con una donna che riconobbe subito.
C’era
Adha al piano di sopra, con alle spalle due ragazzi celati dai cappucci.
Elena
capì all’istante che quella di domani non sarebbe
stata una giornata tutto tranne che facile. Se il Maestro non puniva
quei due con la morte, Elena se li sarebbe ritrovati di sicuro tra i
piedi l’indomani.
Alcuni
saggi, agli angoli della stanza e per metà celati dagli
scaffali della biblioteca, la stavano guardando.
Elena
si fece da parte, avvicinandosi al luogo in cui il Maestro stava
svolgendo la sua ramanzina.
-Non
voglio che riaccada mai più- disse il vecchio.
–Perché come ha detto Rhami, non solo non
rispettate Elena e il suo passato, ma anche voi stessi, dovrei
uccidervi per questo, ma ringraziate il cielo che Al Mualim oggi non
è qui!- aggiunse furioso.
I
due chinarono la testa. –Perdono, Maestro- fece uno. Elena lo
riconobbe come il cretino della sua sinistra.
-Non
eravamo in noi, Maestro, ma neppure sotto droghe o alcolici. Eravamo
stanchi, e cercavamo solo un po’ di compagnia differente dal
solito- balbettò l’altro.
-Le
vostre scuse sono assurde- replicò Adha e li
colpì entrambi sulla testa. –quella ragazza porta
sulle sue spalle il peso di altre trenta generazioni di assassine prima
di lei. È la figlia di Kalel! Avreste potuto scegliere con
più attenzione che preda rincorrere, signori cacciatori!-.
-Adha-
intervenne l’uomo. –lascia che sia io ad
occuparmene-.
Adha
guardò altrove, facendo un passo indietro.
Elena
si portò una mano alla bocca. Avrebbe assistito ad un
omicidio?
Tharidl
sfoderò la lama che portava al fianco uno dei due.
-No,
la prego Maestro, no!- gridò uno mettendosi in ginocchio di
suo.
L’altro
rimase immobile, mentre il suo compagno disarmato cominciava a
strisciare come un verme al suolo. –non lo faccia!-
continuò a gridare.
Elena
si coprì gli occhi, ma la tentazione era troppo forte.
-Sono
costretto, in quanto le vostre azioni sono state delle peggiori che
abbia mai visto dopo il degrado di Altair. Per ciò, non
posso fare altro che…- Tharidl alzò la lama e
l’abbassò di colpo, tranciando i lacci di cuoio
che il giovane ancora in piedi portava sulla spalla.
-Siete
stati spostati al grado di novizi. Ricomincerete da zero
l’addestramento, a partire da domani mattina!-
sbottò il vecchio tranciando anche i cinturini del ragazzo
inginocchiato.
-Sì,
Maestro- mormorarono assieme, guardandosi i piedi.
Adha,
rimasta di spalle per tutto il tempo, li afferrò per i
cappucci e li tirò con se verso il piano di sotto.
Elena
si spostò sulla facciata opposta delle gradinate, andando
contro la parete, e per mera fortuna, Adha e i due non si accorsero di
lei, ma qualcun altro sì.
-So
che sei qui, l’ho sempre saputo- disse Tharidl chinandosi a
raccogliere le cinture di cuoio a terra.
Elena
sobbalzò. –Maestro!- le scappò per la
sorpresa.
-Vieni
avanti, Elena, non temermi e non temere ciò che faccio agli
altri, per paura che possa farlo a te. Se in questa setta i membri mi
temessero, uno di loro per uccidermi sarebbe emerso tra i tanti
già da un pezzo- il vecchio rise. –Elika
è una brava ragazza, forse lei saprà
“colmare le tue ombre” meglio di quanto possa fare
io-.
Elena
si fece avanti.
Tharidl
poggiò i lacci spezzati sul tavolo e anche la spada.
– sai perché è riuscita ad attirare
così la tua attenzione?- le chiese da sotto il cappuccio.
Elena
scosse la testa. –Ma coma fate a?…-
-Ho
molti occhi nella mia città, ricordalo sempre quando sarai
in difficoltà come oggi- la interruppe.
-Occhi?-
Il
vecchio fece un gesto con la mano socchiudendo gli occhi.
–per ora è meglio che tu sappia solo quello che
davvero vuoi sapere, scoprire e apprendere, ma prima che tu vada,
voglio farti io una domanda, se posso- le disse gentilmente.
Elena
alzò le spalle. –certo, Maestro, qualsiasi cosa-
rispose allo stesso modo.
-Elena,
dopo aver visitato la fortezza, conosciuto chi la abita e aver visto
con i tuoi occhi, toccato con mano e combattuto per il tuoi confini,
saresti pronta a diventare una di noi?- era improvvisamente serio.
Quella
domanda non la turbò come sicuramente il Maestro si
aspettava, ma la mise in allarme, irrigidendole la voce e lasciandola
sospesa.
-Non
posso costringerti ad uccidere ancora, nessuno può farlo, ma
io e tuo padre speravamo che nel tuo sangue scorresse la stessa forza
di volontà che c’era in Alice- il vecchio le venne
più vicino.
-Ora
devo andare, Maestro, potrò darvi una risposta al mio
ritorno?- chiese allontanandosi.
-Elika,
lei saprà consigliarti, e sai perché? Lei era
un’assassina- tutto d’un fiato.
Elena
lo guardò niente affatto sorpresa. –avevo le mie
ipotesi- disse sorridendo.
-Bene,
dimostri anche perspicacia e intelletto. Ottimo!- sembrava entusiasta.
Elena
si allontanò sulle scale e lasciò la sala quasi
correndo.
Una
volta lasciato il cortile riprese un passo più tranquillo, e
si guardò alle spalle.
Nessun
l’aveva seguita, ma onestamente non pensava che qualcuno
potesse avere tanto interesse per dove andasse, anzi, contando che
molti la volevano il più lontana possibile!
Si
diresse ai piedi della collina, e in breve, eccitata e spaventata,
raggiunse la fonte.
Elena
ne riconobbe solo i capelli, lucidi e fluenti arrotolati in boccoli
perfetti.
Elika
si alzò dal bordo della fontana e le venne incontro.
–Credevo che non saresti più venuta, ho saputo
cos’è successo, e…-.
Elena
la interruppe. –è vero che sei
un’assassina?- le chiese in un sussurro.
Elika
esitò guardandosi in giro. –Ero, ma possiamo
parlarne a casa mia. Avanti, vieni-.
Elena
la seguì passo dopo passo lungo la una stradina secondaria
stretta tra le facciate di due palazzine.
Elika
si fermò in fine sull’uscio di una porta davvero
piccola. Trasse un mazzo di chiavi dal vestito e
l’aprì. –accomodati, fa’ come
fossi a casa tua- si fece da parte per farla entrare, ed Elena mosse i
primi passi dentro l’abitazione.
Il
tenue chiarore di una candela faceva luce nell’atrio della
casa, e mostrava l’arredamento grezzo ma ordinato.
Elika
posò le chiavi e si avviò in una stanza affianco.
–vieni, la cena è pronta-.
Elena
la sentì trafficare con delle portate.
-Dove
sono tua madre e tuo fratello?- domandò raggiungendola.
Elika
poggiò il piatto con le verdure sul tavolo, poi si
asciugò le mani su uno straccio. –non abitano con
me da parecchio tempo, da quando…- Elika
s’interruppe, e il suo sguardo si fece serio mentre squadrava
la ragazza.
Elena
alzò un sopracciglio. – che succede?-
sussurrò stranita.
-Il
Maestro, credo che lui ti abbia detto già tutto su di me-
disse la donna sedendosi.
Elena
capì all’istante e si sistemò nel posto
di fronte. –sì, ma mi piace dire in giro che avevo
già le mie ipotesi- arrossì.
-Bene,
allora d’ora in poi non ci saranno argomenti tabù
né in questa né in altre tavole. Perfetto, ne
sono contenta. Vuoi?- Elika le allungò sul piatto un pugno
di verdure.
-Sì,
grazie-.
-Da
dove hai detto che vieni?- le chiese Elika ad un tratto.
-Sono
di Acri, o almeno, da quanto ho saputo le mie vere origini non sono
quelle-.
-Parli
il francese?-
Elena
annuì arrossendo. –Lo debbo a mio padre. Risalendo
ai fatti, penso che Kalel e Alice si siano trasferiti lì
negli stessi anni in cui la città fu assoggettata dai
crociati. Se non avessi imparato la loro lingua, ora sarei morta
assieme al resto della mia famiglia…- mormorò
cominciando a mangiare.
-Ti
sarà utile anche in futuro, puoi scommetterci- le fece
l’occhiolino Elika.
Per
qualche minuto gustarono la cena in silenzio, solo quando i piatti
furono vuoti ripresero la chiacchierata.
-Oggi
ti ho invitata qui non solo per aiutarti a sopravvivere nella setta-
disse Elika pulendosi la bocca con il tovagliolo. –Ho bisogno
che tu mi faccia un favore-.
Elena
alzò gli occhi e li puntò in quelli scuri di lei.
–cioè?-.
Elika
esitò, portandosi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio. –Vorrei che tu mettessi una buona
parola per me al Maestro-.
Elena
ci pensò, poi aggrottò la fronte.
–Vorresti tornare ad essere un’Assassina?-.
-Non
vederla sempre nel verso negativo!- sbottò lei.
–un giorno, quando avrai assaporato il potere, capirai che
non potrai più farne a meno-.
Elena
cominciava ad avere paura. Le parole della ragazza la mettevano a
disagio, e all’improvviso, quando pensava che di fronte
avesse una donna che potesse aiutarla e capirla, si rese conto di
essere seduta a tavola con un’Assassina. Elika, nonostante il
bel faccino, gli occhi affascinanti e l’aspetto quieto, aveva
ucciso, sapeva maneggiare una spada.
-Non
devi avere paura di me, e di quello che vado dicendo- le
confessò Elika cominciando a sparecchiare. –Quando
Al Mualim mi scacciò dalla setta, egli ferì il
mio animo, bruciando assieme ai miei vestiti la mia anima,
l’essenza che avevo assimilato fin da bambina, quello in cui
credevo-.
Elena
si alzò e le diede una mano. –potrei, potrei
provare- balbettò la ragazza.
Elika
le prese i piatti di mano e la guardò sorridendo.
–non importa, davvero. Sono una stupida se penso di poterti
sfruttare così, dimentica quello che ho detto. Piuttosto,
spolvererò le mie lezioni di quando ero nella confraternita
solo per te!- aggiunse.
-Grazie,
quindi qual è il primo consiglio?-.
Elika
si sedette di nuovo al tavolo premendosi le tempie. –Vediamo,
non è semplice, dovresti chiedermi tu qualcosa per
cominciare-.
-Allora
stiamo bene- sbuffò Elena accomodandosi di fronte.
-Per
ora posso dirti quello che ti avrà sicuramente ripetuto il
Maestro per non so quante volte:-
Elena
aguzzò le orecchie.
-Stai
lontana dai novellini. Si credono chissà chi e pretendono di
poterti mettere le mani addosso come fossi quella di turno. Te lo dico
per esperienza, e anche perché mi servi viva- rise.
-Ho
avuto modo di sperimentare- mormorò lei.
-Ah!-
proruppe Elika sorpresa.
Elena
tacque. –Potresti parlarmi di come si svolgeranno i miei
allenamenti? Chi mi addestrerà e come-.
-Ecco
una domanda intelligente, vediamo… mi domando se i sistemi
sono rimasti gli stessi, comunque…-.
Elika
le raccontò dei suoi addestramenti, di quando una per una,
le assassine venivano assegnate al migliore di tutta la setta. Per
Elika, le parve di capire, furono i giorni più interessanti
e pieni di emozioni che si accavallavano le une alle altre. Le disse,
per di più, che l’assassino che le avevano
assegnato non era niente male!
Elika
le parlò poi dei suoi primi omicidi.
Per
lei non fu difficile superare i fatti, anzi. Elika le
confessò che aveva sempre dimostrato dedizione e il massimo
impegno in ciò che faceva, e come lo faceva.
Le
disse che ciascuna assassina dei suoi tempi aveva un proprio modo di
agire, e Al Mualim le assegnava gli incarichi giusto a seconda delle
loro capacità.
-Quante
eravate quando c’eri anche tu?-
-Eravamo
6. Solo 6…-
-Hai
conosciuto mia madre?-
Elena
scosse la testa. –Ho solo 32 anni, tua madre ne
avrà molti di più, e lasciò la
confraternita molo giovane -.
Continuarono
per ore, fin quando nella cucina non cominciò a sentire il
freddo pungere la pelle.
-Possiamo
spostarci in salotto, no?- chiese Elena. –magari
lì fa un po’ meno freddo e…-.
-Elena,
veramente ora dovresti tornare nella fortezza- Elika si alzò
e andò verso l’uscio della cucina.
-Va
bene, come vuoi- mormorò confusa.
-Non
preoccuparti, c’è ancora molto di cui voglio
parlarti e il tempo non ci mancherà. Domani sarà
per te una giornata difficile, posso a stento immaginare, ed
è per questo che devi riposare-.
-Mi
pare di aver dormito per quasi due giorni di seguito, mentre ero
nell’infermeria- borbottò andando verso la porta.
Elika,
alle sue spalle soffocò una risata. –Quasi una
settimana, per dire la verità-.
-Grandioso!-
alzò le braccia al cielo.
-Non
fare così- Elika le venne più vicina e le
sistemò i capelli dietro l’orecchio. –se
solo capissi quanto sei fortunata- disse affranta.
Elena
curvò le spalle. –Non riesco a vedere alcun
compenso nell’uccidere la gente… non riesco, e
forse è proprio quello che posso imparare da te- rispose
debole.
-Ne
sono certa, e contaci, ho già preso il mio impegno e mi
assumo tutte le responsabilità. Elena, uccidere per diletto
è sbagliato, uccidere per salvare il mondo dalla corruzione
non lo è-.
-Corruzione?-.
-Forse
il Maestro non te ne ha ancora parlato, ma nella gente di questa terra
ora aleggia un’aria torrida che noi assassini, soprattutto
dopo la conquista di Acri, chiamiamo corruzione. Le persone cambiano, e
si alleano con i nemici, fanno il doppio gioco, imbrogliano, uccidono
senza ragione. Noi siamo gli unici che possiamo impedirlo-.
Elena
chiuse gli occhi. –va bene… ora è
meglio che vada sul serio-.
-Torna
a trovarmi quando vuoi, appena hai del tempo libero. Ah, copriti bene
che fuori fa freddo- Elika le strinse i lacci del mantello che aveva
addosso.
-Grazie,
ancora- le disse.
-Avanti,
vattene- scherzò aprendo la porta.
Elena
lasciò la casa, e il vento freddo le portò sulla
testa il cappuccio.
Passò
i cancelli della fortezza, stranamente aperti e desolati.
Le
mura riparavano il cortile dal vento che ululava
tutt’attorno, le sentinelle in alto camminavano a fatica,
mentre le pattuglie che trafficavano solitamente vicino al campo di
addestramento erano appollaiate al riparo vicino all’ingresso
della sala del Maestro.
Elena
accelerò il passo e raggiunse la stanza, salì le
scale sotto l’occhio critico delle guardie, e si
fermò alle spalle del vecchio Maestro, che guardava fuori
dal vetro come la tempesta infuriava sulla sua città.
-Maestro-
lo chiamò.
-Sì,
anche io sono contenta che tu sia tornata- lui si voltò, e
si sorprese vedendola col cappuccio abbassato. –Elika ha
soddisfatto le tue domande?- le chiese.
Elena
annuì e, d’impulso si abbassò il
copricapo. –Volevo solo, ecco, mi chiedevo se…-.
-Elika
non è più accetta in questo luogo. Non sono
parole mie, Elena, ma di Al Mualim e di chi come lui firmò
il trattato. Ci sono piccole sottigliezze che ti esonerano da quel
contratto, sottigliezze che non possono valere per chi è
appartenuto a quell’epoca. È fuori discussione-.
La
ragazza sobbalzò.
-Come
fate a saperlo?!- fece un passo avanti.
-Adha-
disse l’uomo.
Adha
comparve alle sue spalle, ed Elena si girò spaventata.
–Ma cosa?!- provò a dire, ma fu interrotta dal
Maestro.
-Riportala
di sopra, sai bene quale saranno i suoi incarichi domani mattina e nei
giorni a venire. Ora ho altro da sbrigare, e non potrò
sostare alle sue richieste per tutta la vita- sbottò quasi
nervoso l’uomo.
Elena
era di nuovo confusa. –ma!-.
-Niente
ma, Elena!- le gridò contro. -… guardati da te
stessa e dalla gente che hai attorno, quelle questioni più
urgenti mi chiamano al dovere di Maestro. Se vuoi restare dalla parte
giusta del confine, dovrai adattarti senza dipendere da nessun altro.
Basta, portala via, Adha-.
L’uomo
si premette le tempie sospirando. –Via, andate via-.
-Vieni-
la voce soave di Adha le lasciò muovere i primi passi verso
le gradinate.
-Ma
cosa gli è preso?- domandò sbigottita.
Adha
la condusse in silenzio verso le stanze dell’ultimo piano.
–Non è un buon momento. Qualche ora fa
è arrivata una colomba nera da Gerusalemme- le disse solo.
-E
cosa vuol dire, scusa?- Elena le camminava dietro.
Adha
continuò a camminare sui gradini, ma le rispose dicendo:
-sta succedendo quello che non doveva succedere. Siccome non ti
riguarda, non posso dirti altro, mi spiace-.
Raggiunsero
le camere degli Angeli e Adha l’accompagnò anche
oltre la scala di pietra che portava alla sua stanza.
Le
finestre erano state chiuse, e le tende le oscuravano mostrando un
salone buio che quasi non riconosceva.
-Domani
la sveglia sarà clemente, te lo concedo, ma dalla settimana
prossima in poi dovrai seguirmi e assistermi come dico io, chiaro?-.
Elena
annuì e andò verso la sua stanza.
Adha
scomparve di sotto, e la ragazza si lasciò cadere sul letto
di schiena.
-Che
schifo di posto, però- disse tra sé.
–perché, papà tra tutti posti del
mondo, qui?!- urlò.
Una
voce dentro di lei diceva che era l’unico
“luogo” che fosse in grado di proteggerla, e la
voce avversa gridava “proteggerla da cosa”??? Ma ce
n’era una terza che le pulsava in testa dal primo momento che
aveva messo piede sulla terra di Masyaf.
-Perché
tutto a me…-.
Le
voci della sua coscienza erano mille e una, nel suo sangue scorreva
quello di sua madre, che senza paura aveva ucciso e si era conquistata
un posto sicuro in questo mondo difficile qual’era quello
della Setta degli Assassini. Ora toccava a le, ad Elena di Acri che di
Acri non era.
Punto
primo. Doveva trovare suo fratello.
Punto
secondo. Doveva diventare un’assassina.
Punto
terzo. Doveva…
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Capitolo 12 *** Il condotto di areazione ***
"Il"
condotto di areazione
Desmond
si rigirava i pollici seduto sulla poltroncina.
Lucy
era accanto a Vidic, che le mostrava qualcosa al suo portatile.
-No,
non va bene. In questi casi intervenire sarebbe un errore,
l’arresto del sistema può essere la più
fortunata delle probabilità- disse Lucy.
Warren
indicò il desktop. –Vede che la barra di sincronia
non resta completa? Qualsiasi cosa l’antenata faccia essa si
abbassa, continuamente, con il minimo sforzo potremmo perdere di nuovo
il segnale- fece tranquillo.
Il
ragazzo si appoggiò allo schienale sbuffando.
Lucy
lo guardò mentre lui si portava le mani dietro la testa.
–Resisti Desmond- disse. –Abbiamo quasi finito,
dopo di ché potrai partecipare anche tu-.
Desmond
spostò lo sguardo altrove, fuori dalle finestre.
–Intanto non posso fare un giro?- chiese sorridendo.
Warren
si voltò e andò verso la scrivania.
–Signorina Stilman, perché non porta il soggetto
18 a mangiare qualcosa? Qui posso cavarmela io-.
Lucy,
sorpresa, spostò il peso sull’altra gamba.
–Sta scherzando, vero?-.
Vidic
scosse la testa e si sedette alla sua scrivania. –Affatto,
forse una boccata d’aria non vi farà altro che
bene, ad entrambi- sentenziò cominciando a picchiettare
sulla tastiera del portatile.
-Warren,
non posso assumermi la responsabilità di…-.
Desmond
allargò il suo sorriso. –Posso andarmene da qui?-.
-Non
andartene- lo corresse il vecchio. –Lucy
l’accompagnerà a fare un giro nel quartiere-.
-Non
menta, doc. Che calmanti ha preso, questa mattina?- rise il ragazzo.
-Faccia
meno lo spiritoso- sbottò Warren. –posso ancora
avere ripensamenti, e comunque, sappiamo come ricattarla, signor Miles,
se in caso tentasse di fuggire- Vidic si tolse gli occhiali fissandolo
negli occhi.
Desmond
alzò le spalle voltandosi verso Andrea, che sembrava dormire
stesa sull’Animus. –Già, credo che non
vi creerò alcun problema. Mi sono affezionato troppo a
questo posto…- mormorò tra sé.
-Forza
Desmond, una cosa rapida- disse Lucy andando a passo scattante verso
l’uscita.
-Grande!-
saltellò lui seguendola.
Il
portellone del laboratorio si chiuse alle loro spalle.
Desmond
si guardava attorno attratto da quel posto. Era un lungo corridoio con
tante porte simili. La gente andava e veniva, vestita con camici
bianchi fino alle ginocchia. Sia il pavimento che il soffitto erano
tirati a lucido, e il bianco delle pareti illuminava
l’ambiente senza bisogno di ulteriori lampade.
Le
vetrate percorrevano una facciata del corridoio, e Desmond
riuscì a guardarci attraverso.
New
York. I suoi grattaceli monumentali, e le sue strade sempre trafficate
e tortuose di automobili a basso consumo ambientale ed energetico. Poi
la calca, che camminava compatta sui vasti marciapiedi. La vista, nel
complesso, era mozza fiato e andava a cadere quasi 200 m più
in basso.
Lucy
andò avanti spedita.
-Come
mai tutta questa fretta?- domandò Desmond raggiungendola di
corsa.
Lucy
svoltò senza rispondergli in una stanza guardaroba.
Afferrò dalle stampelle un giaccone grigio per lei e un
giubbetto nero per lui. –Mettilo- gli disse porgendoglielo.
–dopotutto è inverno-.
Desmond
se lo infilò e lasciarono la stanza.
Lucy
teneva un passo che lo insospettiva. –Lucy, secondo te
perché Warren mi ha fatto uscire?- le chiese cambiando
argomento.
-Non
lo so, ed è questo che mi turba-.
Presero
l’ascensore alla fine del corridoio e Desmond la vide pigiare
sul pulsante del garage –3. L’Abstergo, sostando al
numero infinito di tasti, aveva più di una settantina di
piani.
-Questo
posto è immenso!- commentò il ragazzo.
Lucy
soffocò una risata. –Questa è solo
l’ala prototipi. L’assemblaggio e la produzione
hanno un edificio a parte in altri quartieri della città.
L’Abstergo è ovunque- fece triste.
Per
un tratto i vetri dell’ascensore davano sul panorama di un
modernissimo cortile interno, con una grossa fontana al centro.
In
meno di un minuto raggiunsero il piano stabilito, e le porte si
aprirono.
Il
garage era pieno di auto all’avanguardia della tecnologia, e
tutte tra le più costose.
-Quanto
pagano in media un dipendente qui?-.
-Sai
contare fino al quadrilione?- fu la risposta di Lucy.
Desmond
tacque.
La
vettura di Lucy aveva la forma di una vecchia cinquecento, ma era
modernizzata fino all’ultimo cerchione.
-Carina-
commentò lui.
-Grazie,
ora monta su- le portiere automatizzate si aprirono.
Lucy
al volante e lui sul posto del passeggero, dopo che si furono
allacciati le cinture, Lucy mise in moto. –Hai qualche
desiderio particolare?-.
-Cheesburger.
Dimmi che c’è un Mc Donald qui vicino. Nella
vostra mensa per soggetti sotto trattamenti non
c’è niente che si possa chiamare cibo!-
obbiettò.
Lucy
rise e condusse l’auto su una rampa che sfociava in una delle
più grosse e trafficate autostrade che Desmond avesse mai
visto.
-Quanto
tempo sono rimasto chiuso lì?-.
-New
York cambia in continuazione, non c’è una data
precisa per quando le strade vengono battute e allargate, o per quando
nasce un nuovo quartiere-.
-Nuovo
quartiere???-.
-Signori,
potete accomodarvi- Warren aprì la porta dell’ala
conferenze e si fece da parte.
Due
uomini in smoking nero entrarono dopo di lui e si sistemarono sulle
poltrone attorno al tavolo. Il primo, il più giovane, dalla
barba curata e i capelli pettinati all’indietro
poggiò sulla superficie in vetro una valigetta. Con un colpo
secco ne fece scattare le serrature.
Quello
seduto al suo fianco era grasso e aveva il doppio mento. Occhi porcini
e l’aria dall’uomo più ricco del mondo.
Vidic
si sedette di fronte. –Sono lieto- disse con voce insicura.
– sono lieto che abbiate acconsentito a mostrarmelo, potrebbe
essere utile alle nostre ricerche-.
-Ancora
devi chiarirci come questo possa aiutarvi nella caccia al tesoro. Avete
intenzione di mostrarlo ai vostri pazienti e aiutarli,
com’è che dite, ah, sì, aiutarli a
ricordare?- fece quello giovane tenendo una mano sul dorso della
valigetta.
-Sembra
assurdo, ma è così- disse Vidic. - Pochi giorni
fa abbiamo rimosso un ricordo inutile dalla memoria del soggetto 18 e i
risultati non sono stati catastrofici quanto benevoli. Abbiamo
risparmiato tempo, ed estrapolato altri ricordi da quello
precedentemente eliminato. Con l’aiuto di un input esterno,
la paziente ricorderà più in fretta, e nuovi
checkpoint saranno accessibili per i blocchi successivi-.
I
due lo guardarono distorti. –Non ci riguarda- fece quello
grasso.
–L’importante
è che troviate quello che cerchiamo, come non è
rilevante per la nostra azienda- concluse l’altro.
Vidic
annuì. –Ora, possiamo?…- il vecchio
indicò la valigetta.
-Ma
certo- sogghignò l’uomo. –Alex, aprila-
disse al compagno.
Il
ragazzo l’aprì e, prima di voltarne il contenuto
verso Vidic, gli diede un’occhiata. –Tutto vostro-.
Vidic
sgranò gli occhi e si alzò.
Il
Frutto dell’Eden brillava di un argento inimitabile. Emanava
calore, ed era una grossa e placcata sfera d’acciaio liquido
come l’acqua.
-Non
lo tocchi- disse il grassone. –uno dei nostri ha fatto una
brutta fine- sorrise malvagio.
-Ma
certo, ma certo- rispose Warren ancora senza fiato.
L‘interno
della valigetta era foderato di velluto rosso, sul quale, il contatto
con il tesoro sembrava non avere alcuna reazione.
-Vuole
mostrarlo alla paziente?- chiese il ragazzo.
Vidic
indugiò ancora sulla magia di quell’oggetto, poi
si riscosse. –Sì, certamente, la
risveglierò in questo istante-.
Warren
lasciò i due soli nella sala conferenze e si diresse al
portatile di Lucy.
Innescò
la procedura automatica di spegnimento e attese che Andrea riaprisse
gli occhi.
-Non
è stata una buona idea, capo!- bisbigliò Alex
chiudendo la valigetta.
Vidic
era appena uscito dalla stanza, quando il ciccione volse al giovane uno
sguardo tranquillo. –Rilassati, sembri una mosca sulla carta
moschicida. Andrà tutto bene, i nostri uomini controllano
ogni ala dell’edificio-. Dicendo così si
portò una sigaretta alla bocca e Alex tirò fuori
l’accendino dal taschino della giacca. Gliela accese.
-Allora
dove è il soggetto 17?- chiese Alex al suo capo, stringendo
i denti poiché non fumava.
-Prima
di venire qui volevo assicurarmi di non avere intralci. Sono certo che
il dottor Warren l’avrà spedito in un altro
laboratorio-.
Alex
si guardò attorno e, stupito, notò un piccolo
pallino verde luminescente che brillava sulla spalla del suo capo. Si
alzò di scatto.
-Capo…-
disse ingoiando.
-Che
vuoi, ancora?-.
Il
ciccione seguì il suo sguardo e notò che un laser
da mirino lo puntava proprio al cuore.
Il
proiettile fu invisibile, ed Alex, per la paura, balzò
indietro.
Silenziosamente,
un fiotto di sangue andò a scendere lungo il vestito del
ciccione, che pochi secondi dopo si rovesciò senza vita sul
tavolo.
Alex
afferrò la valigetta e corse verso l’ingresso
della stanza, che però si chiuse all’improvviso.
Il
cuore gli batteva a mille, i muscoli gli si tesero per la prima volta
da quando giocava a calcetto coi suoi amici. Scattò nella
parte opposta, verso l’uscita secondaria, ma anche questa gli
si chiuse davanti al naso.
Sbigottito,
tornò al centro della stanza e si strinse la valigia al
petto. Ingoiò, pulendosi la fronte sudata con la manica del
completo.
Improvvisamente,
il condotto d’aria sopra la sua testa si spalancò
con un gran tonfo e dal suo interno si calò un uomo che gli
atterrò a pochi centimetri di distanza.
Indossava
una tuta nera a caratteri mimetici, un casco con vari accessori tra cui
diversi occhiali a infrarossi ecc … la visiera oscurata non
gli mostrava il volto, e protese le mani verso di lui. Alex
all’inizio non si mosse, spaventato.
-Questo
lo prendo io- disse divertito l’uomo stringendo il manico
della valigia.
Alex,
a quel punto, alzò la valigia e colpì
l’uomo con la tuta in testa. –Sognatelo, anzi,
ricordatelo!- rise vedendo l’avversario in
difficoltà.
L’uomo
estrasse dalla cintura una buffa pistola e gliela puntò
contro. –Dammi la valigia, mosca!- gli ruggì
contro.
Alex
si portò una mano alla caviglia ed estrasse anche lui la sua
arma. –Dicevi?-.
I
due erano in stallo. Entrambi con mano ferma a mirare alla tempia
dell’altro.
Per
alcuni istanti si fissarono, ma dopo pochissimo la porta alle spalle di
Alex si aprì in un esplosione assordante.
Alex
si chinò, e l’uomo per la sorpresa,
sparò un proiettile che andò ad infrangersi
contro lo scudo delle forze di sicurezza.
-Fermo!-
Gridarono gli agenti facendo irruzione in massa nella sala conferenze.
L’uomo
nella tuta mimetica alzò le braccia e lasciò
cadere la pistola per terra. –Merda…- disse.
Il
cercapersone di Lucy squillò due volte senza che lei se
n’accorgesse.
Desmond
prese un sorso della coca cola dalla cannuccia e la guardò
interrogativo. –Qualcuno ti cerca?-.
Erano
seduti ad uno dei tavoli esterni al fast food. Alle loro spalle
c’erano gli spalti per i bambini, che si arrampicavano come
scimmie chiassosi.
Lucy
poggiò il polletto nella scatola e si pulì le
mani sul tovagliolo di carta. –Un attimo-. Guardò
il numero e sbuffò.
-Vidic?-
chiese Desmond giocherellando con la sorpresina dell’Happy
Meal.
Lucy
curvò le spalle. –il divertimento è
finito, avanti andiamo- disse afferrando la sua giacca e infilandosela.
-Sono
dietro!- Desmond la seguì cacciandosi il giocattolo nella
tasca del giubbotto. –Che succede?-.
Attraversarono
sulle strisce. –Opzione prima: è successo qualcosa
all’Animus- disse Lucy mentre andavano verso la macchina.
–Opzione seconda: Andrea è collassata, di nuovo-.
-Pessimista!-
sbottò Desmond.
-Opzione
terza: è solo un richiamo e dobbiamo tornare a lavoro-.
-C’è
l’imbarazzo della scelta- rise Desmond salendo
nell’automobile.
Lucy
mise in moto e si sistemò nella corsia si sorpasso.
-Vidic!-
Lucy corse verso di lui. –Come mai la polizia è
nella sala conferenze?- domandò sconcertata indicando gli
agenti che facevano avanti e indietro dai corridoi alla stanza riunioni.
-è
una lunga storia- Disse il vecchio seduto sulla sua poltroncina. Si
massaggiava la radice del naso con gli occhi chiusi.
Desmond
lanciò un’occhiata nella sala conferenze e
notò il cadavere di un uomo steso sul tavolo, il tutto
colorato da una sconfinata pozza di sangue. Gli agenti stavano facendo
pulizia, e chiusero il corpo in un sacco bianco.
Desmond
si voltò arricciando l’espressione disgustato.
I
suoi occhi si fermarono su Andrea, che da quando aveva lasciato
l’Abstergo sognava tranquilli i suoi ricordi. Il suo volto
era rilassato, il suo sorriso tirato, e le sue palpebre appena poggiate
l’une alle altre.
Quando
poggiò le mani sull’Animus, Desmond si
scottò le dita e le ritrasse. –Ma che diamine!
Volete spegnere questo coso ogni tanto, o la lasciate friggere?-
gridò voltandosi verso Vidic e Lucy.
Warren
si alzò. –Il signor Miles ha ragione, ma ho
preferito lasciarla dentro l’Animus affinché non
si spaventasse di quello che è successo. Per lei sarebbe la
prima volta-.
-L’uomo
che hanno arrestato- intervenne Lucy.
–è…-.
-Vivo-
rispose il vecchio, e a quelle parole gli occhi della donna si
spalancarono.
–Vivo?-
ripeté.
Vidic
annuì. –Sì, lo scorteranno fuori
dall’edificio questa sera, ma come mai tanta sorpresa?-.
Lucy
guardò altrove. –Nulla, ora sarà meglio
avviare l’Animus alla procedura di arresto-.
Lucy
lo raggiunse, e Desmond si face da parte, poi lei cominciò a
picchiettare sul portatile.
I
federali lasciarono il laboratorio in poco tempo, e anche la sala
conferenze tornò pulita e tranquilla.
Desmond
si ricordò delle diverse sparatorie alle quali aveva
assistito durante i tre mesi dopo il ritrovamento del Frutto.
Chissà quanti si erano fronteggiati nella sala conferenze
per accaparrarsi il Tesoro, pensò…
-Eccola,
si sta svegliando- disse Lucy.
Desmond
la vide aprire gli occhi.
Mi
sedetti sul bordo della macchina pigiandomi le tempie. –mal
di testa assurdo…- borbottai.
-Stai
bene?- mi chiese Desmond, e nonostante avesse la solita faccia di
sempre, annuii arrossendo.
Poggiai
i piedi a terra, ma a malapena mi ressi in piedi.
-Dove
sono Vidic e Lucy?- chiesi guardandomi attorno.
-Sono
andati, ecco… a sbrigare alcune faccende. Vuoi stenderti,
sei sicura di farcela a…-.
Lo
fulminai con un’occhiataccia e lui si fece indietro.
–Perdono- disse.
Camminai
verso la mia stanza, ma mi fermai sull’uscio quando il mio
naso fu punto da un odore insopportabile, nauseante.
Avrei
detto quasi… sangue.
Mi
voltai e vidi che Desmond mi stava seguendo.
–Cos’è successo qui?- gli chiesi.
-Eheh,
la cosa non ti piacerà, ma devi sapere che capita spesso. Ed
è in queste situazioni che Vidic prenderà spesso
la precauzione di tenerci lontani da qui-.
-Non
capisco-.
-Quando
eri nell’Animus…-
Desmond
mi raccontò tutto, dettaglio dopo dettaglio, mostrandomi
come prova, la sorpresina che aveva trovato nell’Happy Meal.
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Capitolo 13 *** Forza e astuzia, brutalità e agilità ***
Forza
e astuzia, brutalità e agilità
Quando
Adha entrò nella sua stanza, Elena era affacciata alla
finestra.
Il
mento poggiato sulla mano, e gli occhi azzurri che scorrevano lungo la
linea dell’orizzonte a nord. Era una bellissima giornata, e
la tempesta della notte prima aveva strappato via dal cielo le quattro
nuvole. Il frastuono della cittadella giungeva fin là su,
mentre stormi di colombi si appollaiavano sui tetti della fortezza e
sui balconi.
-Oggi
brilla il sole- Adha le venne vicino accarezzandole i capelli.
–Se ti va, puoi accompagnarmi al mercato- le disse.
Elena
rimase immobile dicendo: -va bene-.
-I
vestiti sono nell’armadio- Adha tornò
all’uscita. –Ti aspetto di sotto-.
Elena
sentì la porta chiudersi, poi fece un gran sospiro
staccandosi dalla finestra.
Sì
abbigliò in fretta e non diede peso
all’acconciatura inguardabile che avevano i suoi capelli.
Uscì dalla stanza e trovò le due ragazze ad
aspettarla sedute sui cuscini. Si alzarono.
-Dea-
disse la prima inchinandosi. –Adha vi attende-.
-Non
sono ancora pronta a portare quel nome- mormorò Elena
dirigendosi sulle scale.
Mosse
i primi passi da sola nel corridoio degli appartamenti degli assassini,
senza guardare altro che le sue scarpe. Gli uomini cui passava accanto
continuando per la sua strada non la degnavano di uno sguardo uno, e
disse che forse era meglio così.
Adha
l’attendeva sulle vaste gradinate che portavano ai diversi
livelli. La vide e le venne incontro.
-Non
trovavi il pettine?- le chiese sistemandole i capelli.
Elena
sorrise. –Mi sono scordata-.
-Non
fa nulla, nessun starà a giudicarti per questo- Adha si
avviò.
Elena,
seguendola, disse: -ma giudicheranno per altro…-.
La
fortezza traboccava di assassini che si spostavano con passo
incredibilmente severo da una parte all’altra.
L’oscillare delle tuniche bianche e il loro sguardo
accattivante, così chiuso attirarono spesso la sua
attenzione. Elena camminò il più vicino possibile
ad Adha.
La
donna indossava un vestito ogni giorno diverso. Quello di oggi era una
tunica verde brillante che risaltava i suoi occhi mandorlati. I capelli
li portava legati in una cipolla alta, abbellita da alcuni fermagli
azzurri, in tono con il soprabito che aveva sulle spalle.
Gli
assassini s’inchinavano quando la vedevano passare, la
salutavano abbassando il capo o si fermavano e basta, riprendendo le
loro faccende subito dopo.
Passarono
per il giardino interno e attraverso la sala del Maestro.
Sboccarono
sul cortile di addestramento e Adha la condusse oltre le mura della
fortezza.
Svoltarono
in un vicolo, nel quale il cestaio della città aveva la sua
bottega.
-Signora
Adha, quale piacere- l’uomo s’inchinò.
La
donna tenne la sua severa espressione. –Un cesto medio,
prego-.
-Ecco,
tenete!- l’uomo le porse l’oggetto e Adha lo
passò ad Elena, che lo mise sottobraccio.
-Arrivederci!-
disse il mercante vedendole allontanarsi.
-Perché
non l’hai dovuto pagare?- domandò Elena
sistemandosi meglio il cesto tra le braccia.
Adha
non poté trattenere un risolino e la guardò
divertita. –Quell’uomo deve un favore a mio marito-
sorrise.
Elena
all’inizio non comprese, e sapeva che le parole di Adha nella
maggior parte dei casi sarebbero state degli enigmi per lei.
Raggiunsero
il mercato ai piedi della collina e Adha si fermò ad una
bancarella che vendeva della frutta. –E così-
cominciò la donna riempiendo il cesto di mele.
–ieri hai avuto una chiacchierata interessante con Elika-.
Elena
abbassò lo sguardo. –Sì, ecco-.
-Sono
curiosa di sapere di cosa avete parlato- le disse guardandola.
Elena
alzò le spalle. –Mi ha parlato di lei, e di come
viveva quando era nella setta, nulla di più-.
-Hai
intenzione di tornarci?- le chiese mentre si spostavano alla bancarella
di verdura e spezie.
-Non
so, forse è meglio di no…-.
-Come
mai?- Adha mise assieme alle mele dei filoni di origano e rosmarino.
Elena
esitò sulla risposta. –Una parte di me si fida di
mio padre, e sono sicura che lui avesse riflettuto sulla
possibilità che nessuna assassina fosse sopravvissuta.
Pensava che me la sarei cavata da sola, forse con l’aiuto di
mio fratello, se un giorno lo troverò mai-.
-Lui
non ti disse nulla a riguardo, vero?- chiese Adha chiedendo una caraffa
alla bancarella dei vasi.
-Nulla.
Non sapevo quale fosse il nome di mia madre, e c’è
stato un periodo in cui credevo che Kalel mi avesse trovata per strada,
strappandomi da una barbona- disse con un filo di voce.
Adha
la guardò commossa. –Quando tutti i tasselli del
puzzle di tuo padre torneranno al loro posto, non ti sarà
tenuto segreto nessun segreto. Per ora devi solo pazientare, stiamo
seguendo le sue indicazioni alla lettera, affinché tu ti
adatti al meglio in questo luogo. È stato molto premuroso da
parte sua-.
Adha
si diresse alla fontana e riempì la caraffa di porcellana,
poi la poggiò sul bordo.
-Come
mai- riprese Elena. –come mai i cavalieri di Corrado davano
la caccia a mio padre? Prima di fuggire, insomma, uno di loro mi disse
che Kalel era pedinato da delle sue spie. È vero?- si
sedette accanto alla donna sulla panchina che dava le spalle alla
fonte. Poggiò di lato il cesto con la spesa.
Adha
si slegò i capelli, che le ricaddero sulle spalle come
l’onda del mare. Corvini e voluminosi, le nascondevano il
viso ancora giovane.
-Sì,
è tutto vero. Se tuo padre avesse lasciato la
città per accompagnarti lui stesso fin qui, gli uomini di
Corrado l’avrebbero sicuramente sorpreso appena fuori le
mura. E comunque, credeva che tu fossi pronta per andare da sola
poiché non poteva più mettere piede a Masyaf.
Forse non sapeva che Al Mualim era morto, ma il codice e il suo esilio
potevano durare un secolo- le rispose.
Elena
tacque pensierosa, ma ad un tratto chiese: -La colomba nera da
Gerusalemme, cosa?…-
-Ti
ho detto che per ora non puoi immischiarti negli affari che riguardano
la politica esterna. Se proprio non puoi farne a meno, uno dei nostri
migliori assassini è morto nell’intento di
eliminare una spia di Corrado infiltratosi a Gerusalemme qualche mese
fa-.
-Cosa
ci faceva quella spia lì?-.
-Nessuno
vede di buon occhio la pace di Ramla. I Crociati non si fidano dei
Saraceni e viceversa. Gerusalemme per ora è in mano a
Saldino, ma temiamo che la situazione possa ribaltarsi,
poiché nessuna delle due fazioni è pronta a
spartire il bottino-.
Adha
si acconciò i capelli come prima e lanciò
un’occhiata lontano, tra la folla. –Interessante-
disse.
-Cosa?-
Elena seguì il suo sguardo e riconobbe Halef e Marhim venire
verso di loro.
Adha
ed Elena si alzarono, e i due assassini le salutarono entrambe con un
cenno del capo.
-Avanti
Halef, aiutatemi a portare tutto nella fortezza- disse la donna.
-Ma
certo mia signora- fece il ragazzo, prendendo sottobraccio il cesto e
nella mano libera la caraffa.
Prima
di seguire Adha verso la rocca, Halef fece l’occhiolino al
fratello. Marhim, di tutta risposta, gli mollò una pacca
sulla spalla ridendo.
Elena
sorrise. –Che cosa ha fatto?- chiese.
-Ah,
quello che fanno di solito i fratelli minori! Gli scemi- lui la
guardò ridendo.
Insieme
si avviarono in una passeggiatina tranquilla per le strade di Masyaf.
Il
frastuono delle bancarelle e del bestiame andava ad affievolirsi
più si allontanavano dal centro della cittadella.
-Ascolta-
le disse lui, e si fermarono.
-Sì?-.
-Volevo
scusarmi per la scorsa sera. Non avrei dovuto lasciarti lì
con quei due deficienti- borbottò mettendosi a braccia
conserte.
Elena
si rattristì, pensando che non poteva non accettare le sue
scuse. –ormai è passato, prego solo che non accada
di nuovo- pronunciò affranta.
-Te
lo prometto. Ci sarà un giorno in cui non potrai
più fare a meno di me, e uno in cui non vedrai
l’ora di tagliarmi la testa!-.
Elena
non aveva capito la battuta, ma rise comunque.
-Ho
saputo che hai conosciuto Elika-.
Elena
sobbalzò. –Le voci girano davvero in fretta, lo sa
davvero tutta la setta?- sbottò.
Marhim
aggrottò le sopracciglia. –Veramente
sì- disse. –ma pochissimi di noi sapevano che
Elika fosse ancora a Masyaf- confessò perplesso.
-Tu
lo sapevi?-
Marhim
scosse la testa. –No, non lo sapevo, ma ormai cosa conta?-.
-Già…-.
Elena
ripensò alla prima volta che aveva visto… anzi,
sentito la voce di Marhim. Era stato suo fratello ad insistere
affinché la portassero in salvo, mentre lui diceva di non
volere problemi.
-Perché
mi avete portata qui? Come facevate a sapere che ero diretta a Masyaf?-
chiese la ragazza.
Marhim
si passò una mano tra i capelli.
–All’inizio non lo sapevamo. Quando ti trovammo,
Halef insistette per aiutarti. Eri su una delle principali strade che
portano a Gerusalemme, e per risparmiare tempo e perché
eravamo diretti là, ti portammo dal capo sede. Fu Malik ad
assicurarsi che stessi bene, ma egli disse che uno di noi avrebbe
dovuto portarti a Masyaf comunque. La Dimora non disponeva di tutti i
farmaci necessari, e sulla tua gamba andava formarsi una grave
infezione-.
Marhim
tacque un istante.
-Ma
come avete fatto a sapere che…-.
Il
ragazzo le venne vicino e le scoprì il braccio sinistro
all’improvviso.
Il
tatuaggio che le percorreva tutto l’arto dal polso alla
spalla era ben visibile. Dipinto di un nero oscuro, disegnava un unico
serpente che si contorceva.
-Era
il simbolo che portavano le assassine della setta. Precisamente, il
simbolo di tua madre. Ognuna di loro aveva un tatuaggio su una parte
del corpo differente, e ogni disegno rappresentava l’essenza
dell’assassina, la sua purezza e la sua anima-.
-Mia
madre… un serpente?- chiese incredula.
-Strano,
vero?- rise lui lasciando che la manica del vestito tornasse a celarle
il braccio. –Malik lo notò mentre controllava che
non avessi altre ferite gravi come la prima. A parte i lividi e i
legamenti indeboliti, eri sana come un pesce-.
La
ragazza fu spaventata da uno stormo di piccioni che spiccò
il volo sopra le loro teste.
Marhim
socchiuse gli occhi. –Buffo, comunque: quel tatuaggio era
l’unica prova che avevamo della tua esistenza. Tharidl
riceveva le lettere di tuo padre, ma tu non arrivavi mai. Scommetto che
hai dovuto soffrire molto perché ti facesse quel disegno,
giusto?-.
Elena
mormorò un no. –Prima che scappassi di casa, mi
disse che questo tatuaggio mi era stato fatto da lui quando ero molto
piccola, disse che così non avrei dovuto soffrire ancora per
quando sarebbe venuto il momento della verità. Non capivo di
cosa stesse parlando, eseguivo i suoi ordini, ho fatto quello che mi
chiese di fare: fuggire. Solo ora so perché ha fatto tutto
questo, e non posso neppure ringraziarlo…- tirò
su col naso.
Marhim
la guardò avvilito. –Ecco, volevo dirti una cosa,
ma potrei pentirmene…-
Elena,
distratta, giocherellava con il ciondolo della collana e
attirò l’attenzione di Marhim su di essa.
-Posso
vederla?- le chiese lui cambiando argomento.
-Certo…-
prima che Elena potesse slacciarsela e porgergliela, Marhim le venne
vicinissimo e strinse il ciondolo tra le sue dita di assassino.
–Chi
te l’ha data?- chiese quasi in un sussurro.
–Nessuna Dea ne ha mai portata una, tanto meno un Angelo-
commentò.
Elena,
imbarazzata per i pochi centimetri che distavano tra di lei e Marhim,
rispose balbettando.
–Mio
padre la fece per Alice. Tharidl l’ha data a me
affinché mi desse forza-.
-Allora
Kalel era anche un buono scultore. Ci vuole mano ferma per lavorare
questa pietra-.
-Di
che pietra parli?-.
-Una
particolare composizione di sale che si è formata sulle
coste del lago qui accanto. Che io sappia non c’è
nessuna spiaggia nei dintorni, tuo padre deve aver rischiato la vita
arrampicandosi fino alle grotte marine-.
-Grotte
marine?- domandò interessata.
Marhim
le adagiò il ciondolo sul collo e fece un passo indietro.
–Dove lo strapiombo si getta nell’acqua, col
passare dei millenni si sono formate delle grotte marine spettacolari,
così si dice. Pochi ci si sono avventurati e hanno potuto
raccontare di queste pietre. Kalel deve essere sceso fin là
giù solo per tua madre- disse sorridendo quasi commosso.
Elena
trattenne le lacrime.
-Al
Mualim è stato troppo duro con loro. L’amore vero
non può essere messo da parte così, isolato dal
luogo in cui è nato. È stato un atto crudele da
parte sua, ma in qualche modo è riuscito a portare dalla sua
parte tutti i saggi di Masyaf e, di conseguenza, assassini e non-.
Spostando
lo sguardo a terra, Elena notò un’ombra insolita
proiettata sul terriccio. Cercandone la fonte, vide che Marhim stava
guardando in alto, sul tetto dell’abitazione vicina.
-Allora
ci hai fatto caso anche tu- mormorò lui.
Elena
stette in silenzio.
-Halef,
puoi venire giù- disse Marhim sbuffando.
-Ma
come hai fatto? È stato Altair ad insegnarmi di mettermi nel
verso contrario al sole!- gridò Halef, ancora nascosto sul
tetto della casa.
-Vieni
qui, scemo!-
-Arrivo,
arrivo…-.
Halef
si arrampicò goffamente sulla facciata della palazzina e li
raggiunse che stavano ridendo entrambi.
-Che
c’è da ridere?- domandò, e non
poté fare a meno i ridere anche lui con loro.
-Sei
davvero un! Guarda, non ho parole-.
Elena
rideva perché sapeva che sarebbe cominciata una bella
litigata tra fratelli.
Marhim
guardò il fratellino che gli venne vicino.
-Allora,
cosa stavate facendo tutti e due, soli, in questo vicolo per
metà al buio, eh?- mosse le sopracciglia.
Marhim,
di risposta all’istigazione, gli tirò il cappuccio
ancora più giù, e Halef inciampò.
–ma che razza di…- borbottò.
Elena
non riuscì a fermarsi, i due la facevano sbellicare dalle
risate.
Halef
si levò il cappuccio. –Voglio vedervi a voi
là su, scommetto che non sapete neppure come ci sono
arrivato lì- si rivolse ad Elena. –Mio fratello
è sempre così str…-.
-Ehi,
ehi! Piantala, va bene?- Marhim lo allontanò.
–Avanti, era solo uno scherzo, ehe…- gli disse.
-Lo
sapevo!- sorrise Halef mostrando i denti.
-Ecco,
bravo, quindi sloggia!- Marhim lo guardò allontanarsi tra la
folla.
Quando
tornò indietro da lei, Elena gli disse: -che faccia da
schiaffi- rise.
-Già.
Il bello è che condividiamo lo stessa stanza, le stesse
missioni e anche la stessa madre!-.
Elena
scoppiò di nuovo a ridere.
-Non
è uno scherzo- disse Marhim guardandola seria.
Tornarono
alla fortezza.
Nel
cortile interno c’erano degli assassini che si allenavano
senza sosta, e Marhim raggiunse suo fratello che stava sgranocchiando
una mela assistendo allo spettacolo. –Che vuoi?- gli chiese
Halef con la bocca piena.
-Nulla-
rispose.
Elena
si guardò attorno, e vide che c’era parecchia
gente a guardare come i due Angeli si lanciavano a terra e si
fronteggiavano senza esclusione di colpi.
I
due mostravano il massimo del rango, e le loro vesti che oscillavano
accompagnavano l’acre suono delle lame che scivolavano
l’una sull’altra.
-Chi
c’è in campo?- domandò Marhim al
fratello.
Elena
si appoggiò con le spalle al muro continuando a fissare la
lotta.
Halef
ingoiò. –Altair e Fredrik. Hanno appena
cominciato- addentò di nuovo la mela.
Marhim
le venne vicino e le sussurrò all’orecchio.
–Stai attenta, sono i migliori. Potresti imparare molto da
loro, almeno quelle poche e rare volte che sono qui-.
Elena
lo guardò un attimo. –perché?-.
-Anche
se Tharidl non gli affida più missioni, Altair si fa vedere
poco in giro. Alcuni dicono che passa gran parte della giornata negli
appartamenti di Adha, altri che sta dietro ad alcuni degli uomini che
si è lasciato sfuggire qualche anno fa-.
-Negli
appartamenti di Adha?- domandò lei curiosa.
-Non
lo sapevi?- intervenne Halef. –Adha e Alatir sono una
coppia!- rise ingoiando il boccone.
Elena
sobbalzò.
Aveva
appena girato gli occhi e vide che uno dei due assassini aveva spinto
l’altro al suolo. Gli teneva puntata la lama alla gola e li
stava guardando da qualche secondo.
Marhim
si avvicinò al fratello. –deficiente!- gli
sussurrò a denti stretti.
Altair
rinfoderò la spada e saltò la recinzione. Veniva
verso di loro con passo fermo.
-Oh,
oh…- la mela gli scivolò di mano e Halef si
appiattì contro la parete.
-Altair!-
lo chiamò l’assassino suo avversario alzandosi da
terra. –è un cretino, lascialo stare!- gli disse.
Altair
si fermò a pochi passi dai tre. Da sotto il cappuccio gli
squadrò uno ad uno. –tuo fratello dovrebbe
imparare anche a tenere la bocca chiusa, ogni tanto- disse
l’uomo.
Elena
si avvicinò a Marhim, che prese posizione per difendere il
fratello. –Poverino, maestro Alatir, non ci sta con la testa-
balbettò.
Halef
ingoiò il nodo alla gola. –sì, sono un
povero scemo!- rise.
Dopo
pochi istanti di silenzio, Altair si fece più vicino.
–in campo!- mormorò a denti stretti ad Halef.
Marhim,
atterrito, guardò come suo fratello sfoderava la spada con
mano tremante e seguiva il mastro assassino fino al campo di
addestramento.
-Fredrik
puoi lasciarci, è uno dei miei- disse all’altro
assassino.
Fredrik
proruppe in un inchino e lasciò l’arena.
-Tieni
piegate le ginocchia, su il volto, stai pronto!- lo
rimproverò Altair, e ad Halef cominciarono a tremare le
gambe.
-Sì,
Maestro- disse tentando di assumere la corretta posizione.
Elena
si strinse ancora di più a Marhim. –non gli
farà del male, vero?- chiese.
Marhim
si girò e i loro volti erano vicinissimi. –No,
certo che no. Halef giusto una settimana fa ha seguito uno degli
itinerari di Altair, che però è tornato a Masyaf
lamentandosi della sua incompetenza e sfacciataggine. Diciamo che ora
odia mio fratello a tal punto, da volerlo umiliare in duello. Halef
andava in giro a vantarsi della fortuna di assistere Altair in alcune
delle sue missioni, ma all’Angelo questo dava molto fastidio.
Ed eccoci qua…- sospirò incrociando le braccia.
Elena
aggrottò la fronte. –E tu permetti che Altair lo
umili così?- domandò sbalordita.
Marhim
la guardò interrogativo. –E cosa posso fare? Hai
capito o no che si tratta di Altair! So che il nome non ti dice
granché, ma prova ad immaginare la mano di Dio in forma
umana. È lui che fa la differenza tra la vita e la morte,
è lui che ha ucciso Al Mualim!- le gridò in un
sussurro.
Halef
prese una bella botta alla spalla e cade a terra.
-Alzati,
avanti!- quando gli passò di fianco, Altair gli
mollò un calcio sulla coscia. Halef gemette ancora, ma
riuscì a sollevarsi.
Elena
rabbrividì. Aveva in mente una cosa, ma avrebbe avuto il
coraggio di farlo? O meglio, ne sarebbe uscita viva?
Ora
capiva.
Il
problema più grande in lei era che si faceva troppe domande.
Doveva agire, e basta!
-Scusa,
davvero- disse ed estrasse dal fodero di Marhim la sua spada.
Marhim
non fu abbastanza svelto a rendersi conto di cosa gli accadeva intorno,
ma vide con chiarezza che Elena si dirigeva verso il campo
d’addestramento con la sua spada in pugno.
Comprese
sul momento. –ferma, Elena! No!- gridò, ma la
ragazza scavalcò la staccionata e fu nell’arena.
La
gente attorno si bloccò a guardarla mentre aiutava Halef ad
alzarsi.
Altair
rimase immobile, a guadarli entrambi.
-Che
stai facendo?!- gli bisbigliò Halef una volta in piedi.
Elena
gli rispose ad alta voce. –Mi è stato insegnato
che in questo luogo il rispetto degli altri e di se stesso è
la quarta voce del credo di un assassino-.
-Esci
dal campo, ragazza!- le sbottò Altair. –Nessuno ti
da questo permesso!- aggiunse collerico.
Elena
rimase seria. –Ha ammesso di essere il più
deficiente di questo pianeta, non ti basta?!- gli rispose lei indicando
Halef. –Vuoi umiliare la sua stupidaggine ancora?!-.
Le
voci della folla si confusero in un mormorio caotico.
Marhim
si appoggiò alla staccionata. –Elena, non sai
quello che fai!- mormorò.
-Sta’
zitto!- Elena si voltò e lo gridò troppo forte.
La
gente tacque attonita.
-Bene,
dunque- proferì Altair facendo roteare la spada nel suo
pugno. –So dove vuoi arrivare, ragazzina- il suo sorriso si
allargò malizioso. –Halef, lascia il campo- disse
poi.
Halef,
imbambolato dov’era con il fiatone, fece qualche passo
indietro, e raggiunse il fratello dalla parte opposta della staccionata.
Su
quel campo lei e Marhim si erano fronteggiati la prima volta, su quel
campo aveva dato spettacolo di quali doti con la spada possedesse, e su
quel campo avrebbe messo a tacere l’arroganza del migliore
degli Angeli. Forse.
Altair
non prese neppure posizione. Restò con le braccia lungo i
fianchi, mentre la ragazza portava il piede destro avanti e piegava le
ginocchia.
Altair
rise.
Elena
gli andò incontro con un primo affondo, che l’uomo
parò senza doversi muovere neppure di un centimetro. La sua
lama restò ferma, come scolpita assieme al suo braccio,
mentre Elena finiva a terra per il contraccolpo brutale.
-E
tu- proferì Altair arrogante. –e tu saresti
scappata da Acri con battaglioni di soldati alle spalle? Secondo me
hanno gonfiato un po’ troppo la storia- sbuffò.
-Non
è affatto così!- Elena si alzò con un
salto e gli fu di nuovo addosso.
Altair
quella volta schivò di lato, ma la ragazza lo sorprese
mandando un affondo laterale.
Lui
riuscì a pararlo, ma dovette roteare su sé stesso
per evitare anche il terzo attacco di lei.
Si
disse che se non gli avesse dato tregua, prima o poi sarebbe riuscita
ad infliggergli qualche danno alla resistenza, così Elena
menò colpi su colpi.
Ma,
sfortunatamente, non si rese conto che Altair li schiava con immensa
facilità. Le sue parate erano sempre fluide, i suoi
movimenti freschi e genuini.
Ad
un tratto, fu lui ad attaccare.
Uno
squarcio si aprì sulla sua veste, ed Elena, spaventata,
cadde all’indietro.
-Vattene
prima che ti faccia del male- disse l’assassino rinfoderando
la spada.
Elena
si appoggiò all’elsa dell’arma e si
alzò in piedi dolorante. Quando si voltò, vide
che l’assassino era diretto fuori dal campo.
Le
scappò di bocca: -codardo-.
Altair
estrasse la lama corta sal fodero sulla schiena e balzò di
nuovo nel cerchio. –Ora mi hai scocciato!- disse.
Quando
lui attaccò, Elena schivò a destra e lo spinse
via con un calcio; Altair toccò terra con un ginocchio.
Dalla
folla si levò un verso unico misto di sorpresa e paura.
Tornando
in posizione, scorse con la coda dell’occhio Marhim tenere le
dita incrociate.
Altair
la fissò allungo, in silenzio. –combatti
lealmente- digrignò.
Fuori
dal campo si sentì la voce di Halef: -hai paura, per caso?!
Non riesci a cavartela con una ragazzina che invece
dell’onore usa la scaltrezza in combattimento?!-.
-Giuro
che l’ammazzo- sentì pronunciare da Altair.
Elena
soffocò una risata.
L’assassino
riprese la spada lunga tra le mani e, avvertendo che lo scontro poteva
farsi ingannevole, si mise in posizione.
-E
andiamo!- rise Elena.
Ripresero
lo scontro, e in qualche strano modo, l’uno teneva testa
all’altro. Sembravano sulla parità. Quando elena
attacca, Altair schivava di lato e poi a sua volta mandava affondi, che
Elena riusciva schivare con tenacia saltellando come uno stambecco.
Agilità
e brutalità erano i due opposti contendenti di quello
scontro.
Le
loro lame cozzarono e si ritrovarono faccia a faccia mentre tentavano
di spingere l’avversario a terra. In una situazione
di intermezzo tra la battaglia e la fine.
-Dove
hai imparato?- le sussurrò Altair rilassato.
Elena,
che aveva gocce di sudore sulla fronte, non riuscì a
rispondere subito. –mio padre… lui, era lui il
migliore prima di te!-.
Gli
occhi dell’assassino mandarono un bagliore al suono di quelle
parole. Elena si distrasse di tanto fascino, quando riuscì a
scorgere in parte il suo volto sotto il cappuccio.
Altair
la spinse via, e fu lei a cadere a terra di schiena.
La
spada le sfuggì di mano per il dolore, e andò a
scivolare sul capo, finendo ai piedi di Marhim quasi.
Elena
riprese fiato guardando il cielo azzurro.
I
polmoni in fiamme, come le tempie che le pulsavano impazzite.
Altair
entrò nel suo campo visivo e si chinò su di lei.
–Brava, era questo che intendevo- le batté una
mano sulla spalla e si alzò.
Elena
non era vinta, e non si dava per vinta! Non era finita là,
non avrebbe lasciato che se ne andasse dopo che era stato lui a
batterla con l’imbroglio.
Rotolò
di lato e afferrò la sua spada, in pochi secondi si
voltò e andò verso Altair.
Lui,
pronto, parò l’attacco e ne mandò un
secondo, ma Elena, nell’abbassarsi al suolo per evitarlo, gli
fece lo sgambetto e l’assassino si rovesciò a
terra nel clangore delle cinghie di cuoio e dei diversi coltelli da
lancio nascosti nella tunica.
La
fortezza cadde nel silenzio. Anche i piccioni, appollaiati sui tetti,
tacquero.
Le
labbra di Marhim si contorsero in una manciata di parole: -
L’ha battuto…- aveva detto.
Halef
si stropicciò gli occhi.
Adha
emerse dalla folla facendosi avanti tra la gente che era rimasta
imbambolata. –Non è possibile!- disse la donna
stringendosi i lembi del vestito.
Altair
la guardava da terra, e il cappuccio gli era scivolato mostrandogli il
volto per intero.
In
quegli istanti, nei suoi occhi scuri e profondi, Elena vi riconobbe la
sensazione di familiarità. Dentro di lei sentiva di
conoscere Altair meglio di altri, e di vedere in lui il suo futuro.
Al
contrario, l’assassino la fissava sbigottito, con la bocca
aperta e i gomiti poggiati a terra. Stringeva ancora la spada.
Elena
gli allungò un braccio, ma Altair si riscosse alzandosi da
solo.
Si
guardarono ancora, senza dire o fare nulla, poi l’assassino
rinfoderò la lama e lasciò il campo dileguandosi
tra la gente che non gli scollava gli occhi di dosso.
Elena
prese a fissarsi i piedi.
Quello
che aveva fatto avrebbe cambiato le cose in meglio, o in peggio?
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Capitolo 14 *** Il Funerale ***
Il Funerale
- Ti ho lasciata cinque minuti! Cinque minuti!-.
- Mi dispiace, Adha-.
- Com’è stato possibile, spiegamelo! È
stato lui a sfidarti? È stato Altair a volersi confrontare
con te? Avanti, parla!- ruggì la donna.
Era calata la notte sulla fortezza, e fuori dalle finestre i vari piani
dell’edificio erano illuminati da torce o carboni ardenti.
Adha faceva avanti e indietro per il salone centrale degli appartamenti
delle assassine. Teneva le braccia conserte, mentre Elena stava in
piedi, curva, a grattarsi una pellicina del pollice.
- No, ma non è stata colpa mia!- disse la ragazza.
- Non è stata colpa tua?!- mormorò Adha
fermandosi. Le venne di fronte. –Vuoi dirmi che non eri tu la
ragazza nel campo di addestramento con in mano la spada di Marhim! Non
eri tu quella?-.
- Mi spiace, Adha, davvero, se solo lui!…-.
- Allora dimmi chi è stato! Raccontami
cos’è successo, forza, sto aspettando!- era
furiosa.
Elena capiva la capiva: il suo fidanzato non aveva più la
reputazione impeccabile.
- Ecco, Halef, lui…- balbettò non riuscendo a
tenere gli occhi alzati.
Adha attendeva battendo nervosamente il piede. –Dunque?- fece
a denti stretti.
Elena si portò una mano alla bocca, sconvolta.
–Halef- disse –lui mi ha detto che tu e Altair,
ecco…- esitò ancora.
- Ti ha detto cosa?- insistette sui dettagli.
- Ha detto che tu e lui siete, ecco, ha detto che siete una coppia
e…-
- Non sono cose che ti riguardano, va’ avanti!- la donna
spostò il peso sull’altra gamba continuando a
tenerla sott’occhio.
Elena prese fiato. –Altair si è arrabbiato,
è venuto verso di noi e ha cominciato ad intimidirlo. Halef
si è reso ridicolo davanti a tutta quella gente, ma al tuo
fidanzato non è bastato! L’ha sfidato a duello, ma
quando ha lasciato il campo, Halef zoppicava, Dio! È stato
allora che ho deciso di fare qualcosa! Sono intervenuta, gli ho dato la
possibilità di vivere. Quell’assassino sembrava
aver perso la testa!- lei si tirò i capelli.
- Altair sa bene come trattare i suoi allievi! Sei stata una sciocca se
pensavi di poter intervenire sui suoi metodi d’insegnamento!
È grazie a lui che dobbiamo una nuova generazione di
assassini provetti!-.
- Lo stava ammazzando!- replicò Elena, e si rese conto che
le loro grida potevano arrivare fino a tre piani sotto. – Che
cosa avrei dovuto fare, sennò? -.
- Nulla- rispose Adha massaggiandosi il collo. –
assolutamente nulla. Era tanto difficile rimanere a guardare?- le
chiese addolcendo lo sguardo, come con compassione.
Elena scosse la testa. – Tu non c’eri, non puoi
capire - confessò.
- Capisco, e meglio di quanto credi - sussurrò la donna, ed
Elena si fece più vicina.
- Non ci credo-.
Adha guardò altrove. – solo per questa volta le
tue azioni non influiranno sui progetti che il Maestro ha per te. Ma
sappi che un tale comportamento, in futuro potrebbe costarti la vita.
Oggi sei stata solo fortunata, Altair era stanco e tormentato dai
troppi novizi che seguono le sue orme. Sei riuscita a metterlo alle
strette solo per questo. Egli non sarebbe neppure dovuto tornare a
Masyaf con i suoi alunni-.
-Smettila di proteggerlo- le scappò di bocca, ed Adha se
n’accorse.
-Cosa?!- si fece più vicina ringhiandole contro.
Elena s’irrigidì. – oggi sono riuscita a
battere il tuo amato di massimo rango perché sono fatta
così, e tu lo sai! Se non avessi davvero queste
capacità, ora non sarei qui! Mi tenete in vita solo
perché sono la più forte, la più brava
e non volete che caschi nelle mani sbagliate, sono un’arma!-.
Lo schiaffo le arrivò dritto sulla guancia. Potente,
centrale e la pelle divenne subito rossa.
-Non permetterò che la vittoria ti dia alla testa!- le disse
Adha.
Elena cominciò a massaggiarsi il volto. Le aveva fatto male,
e si chiese quanti uomini Adha aveva mai schiaffeggiato in tutta la sua
vita.
-Da domani, scordati tutta questa benevolenza! Da domani comincerai a
fare come dico io fin quando Tharidl non troverà qualcuno
che riesca a contenere la tua insolenza del diavolo! E ora cambiati e
va’ a dormire, senza cena!- aggiunse.
Elena fece dietro front e si chiuse la porta alle spalle, sbattendola.
Ascoltò i passi di Adha che si allontanava verso le scale,
poi si lanciò su letto e si strinse il cuscino al petto. Di
lì a poco avrebbe iniziato a piangere, se lo sentiva.
Le damigelle di Adha vennero a svegliarla di mattino presto.
Il sole doveva ancora sorgere, e Masyaf era avvolta da una coltre di
condensa mattutina, detta nebbia.
Elena era già in piedi quando una delle due entrò
nella stanza. –Oh, Dea, siete sveglia- disse facendosi
avanti. –Verrete a fare colazione con noi non appena vi
sarete vestita-.
Elena le sorrise, e la donna lasciò la camera.
Prevedendo le fatiche della giornata, Elena si vestì comoda.
Sistemandosi i capelli in una coda alta, ripensò allo
scontro con l’assassino. Si sorprese di non aver trovato
difficoltà nel fronteggiarlo con un vestito che invece
avrebbe dovuto impicciarle i movimenti.
Si guardò allo specchio troppo allungo, distratta nel
ricordare mossa dopo mossa come e cosa aveva fatto.
La seconda damigella comparve al suo fianco. –Dea- la
chiamò.
Elena si riscosse. –Sì, scusate- disse avviandosi.
-Quello che avete fatto ieri è stato incredibile- disse la
donna mentre scendevano le scale.
Elena le sorrise. –Lo pensavo anche io…-
mormorò.
Passarono per gli alloggi degli assassini cercando di fare il minimo
rumore, ma il più in fretta possibile.
Le porte delle stanze erano chiuse tutte quante, e nei corridoi
soffiava un vento freddo dovuto alle finestre spalancate.
Sulle gradinate principali, l’occhio di Elena cadde diverse
volte sugli assassini che si muovevano quieti per le sale, ma
fortunatamente nessuno di loro, le parve, aveva visto lei.
La donna la condusse fino nella piccola sala mensa, dove sedute ai
tavoli c’erano delle ragazze e altre donne. Banchettavano in
silenzio con la loro colazione davanti al naso, svelte. Il buio
avvolgeva gli angoli della stanza, e c’era una candela per
tavolo.
-Siediti lì- la damigella le indicò un posto
vuoto accanto ad una ragazza dai capelli legati.
Elena annuì.
Si sedette e la donna al suo fianco si strinse più lontana,
continuando a mangiare.
Elena notò con stupore che era bellissima, e non
poté non cogliere i particolari del suo volto e del suo
corpo. La ragazza, sicuramente in giovane età, teneva i
capelli rossi come il fuoco legati in una cipolla da un rozzo nastrino.
I suoi vestiti erano male abbinati e aveva una spalla completamente
scoperta, e una scollatura esagerata sul petto. Ciuffetti di lentiggini
le circondavano la radice del naso e parte delle guance stirate e
lucide. Non portava trucco, aveva un atteggiamento trasandato anche
nello stare semplicemente seduta, ma aveva il fascino sufficiente per
ammattire chissà quanti uomini.
Probabilmente la donna si accorse che Elena, invece di mangiare, la
stava fissando. Si voltò verso di lei, e mostrò
le sue iridi verdi. –Ci sono problemi?- le chiese scontrosa.
Elena si strinse nelle spalle. –No, scusa- fece girandosi
davanti al suo piatto.
-Aspetta un secondo- disse la ragazza. –Sei lo scricciolo che
ha fatto il mazzo ad Altair?- le domandò.
Elena sobbalzò, e gli avvenimenti del giorno prima le
tornarono in mente uno ad uno, lasciandola con la gola secca.
–sì- balbettò.
-Che onore- fece sarcastica la donna tornando al suo piatto.
–è così che vieni punita? Comincerai a
fare pulizie con noi?- teneva lo stesso tono arrogante che aveva usato
per fare del sarcasmo.
Elena annuì, afferrò il cucchiaio e
gustò il primo boccone.
La colazione era composta di un pugno di cereali grezzi affogati nel
latte, e lo stomaco di Elena mai si era ribellato come allora.
La donna non disse nulla per tutto il resto del pasto, fin quando non
si alzò per portare il suo piatto nella cucina. Poi
scomparve assieme ad un altro gruppo di ragazze verso i piani superiori.
La damigella che l’aveva accompagnata lì le venne
vicino. –è già tardi, dobbiamo andare-
le disse.
Elena non aveva ancora finito, ma portò le sue portate in
cucina e le porse a due ragazze che erano incaricate al lavaggio.
Elena e la damigella salirono fino al penultimo piano, ma non si
diressero agli appartamenti degli assassini. Svoltarono in un corridoio
che Elena non aveva mai visto, ed entrarono in una stanza illuminata da
candele.
C’erano una moltitudine di armadi e scaffali, nessun letto e
finestra.
La damigella prese delle federe e delle coperte e le porse alla
ragazza, che dovette piegare le ginocchia per il peso.
Nel momento in cui anche la donna fu carica di lenzuola, lasciarono la
stanza e si diressero altrove.
-Comincia dalle camere in fondo. Prima di entrare bussa, ma non
preoccuparti: sono tutti già svegli- le disse.
La damigella andò verso l’inizio del corridoio, ma
si voltò. – Se finisci le coperte, torna dove le
abbiamo prese-.
Elena annuì e si avviò verso le stanze che le
aveva indicato.
Faticando a tenere le federe su un braccio solo, bussò alla
prima porta delicatamente, e dall’interno venne una voce
chiara e possente che diceva –congedo-.
Così Elena passò oltre, e tutte le volte le
risposero allo stesso modo.
Bussò, ma quella stanza pareva vuota, ed entrò.
C’erano pochi metri quadrati calpestabili, coperti da una
moltitudine di tappeti. Una piccola branda adagiata sotto la finestra
era l’unica superficie dove stendersi.
Elena tolse le vecchie fodere e le cambiò con quelle nuove
senza faticare troppo. Ma il peso della stanchezza si fece sentire
quando, una volta rifatte tutte le stanze, dovette anche spazzarle.
C’era polvere ovunque, anche sui tappeti, e si chiese come
mai quelle camere non erano state utilizzate per tanto tempo. Marhim le
aveva confessato che raramente gli assassini tornavano nei loro
alloggi, ma prima che la polvere si formasse ci volevano alcune
settimane, e se le donne delle pulizie spazzavano tutti i giorni,
com’era possibile???
Incrociò la damigella di Adha che correva verso di lei.
–Dobbiamo spostarci di sotto, tra poco gli Ashash lasceranno
le stanze. Vieni-.
Poggiarono le vecchie federe in una stanza comune e si diressero
nell’ala opposta della fortezza.
Scesero delle scale di servizio e raggiunsero le sale delle cerimonie
che Marhim le aveva mostrato poco tempo prima.
La seconda damigella di Adha stava spazzando per terra, quando le vide
e le venne incontro.
–Dea- s’inchinò, poi guardò
la compagna. –A breve questa stanza si riempirà di
assassini, e sono tutte impegnate per il banchetto. Dobbiamo finire di
pulire per terra e i vetri. Là giù ci sono i
cesti con l’acqua, ora vado a prendere gli stracci. Lily,
prendi questa e continua tu- porse a Lily la scopa di paglia e si
allontanò correndo.
Elena era confusa. –Banchetti? Assassini qui?-.
Lily esitò sulla risposta, cominciando a spazzare senza
darle ascolto. –Ecco, Adha vi ha parlato della colomba nera,
giusto?- le chiese.
Elena capì all’istante. –Un funerale?-.
La damigella annuì. –era un assassino scelto per
un incarico importante, ma è stato preso alla sprovvista
dallo stesso uomo che stava seguendo-.
La damigella tornò con gli stracci, e ne porse uno alla
ragazza.
Elena andò verso i cesti e ne portò uno accanto
alle vetrate. La damigella trasse una scaletta di legno da uno
sgabuzzino e cominciò a passare lo straccio nei punti
più in alto.
-Non finiremo mai!- borbottò Lily.
-Zitta e lavora!- le disse l’altra.
Dopo un po’ si sentì lo schiocco di una serratura,
che rimbombò per tutte e cinque le sale. Elena si
bloccò, a differenza delle altre due che continuavano a
pulire indisturbate.
Dall’ingresso principale comparve Adha.
Quella mattina indossava una lunga tunica nera, pronta per la
cerimonia.
Adha proseguì verso l’altare e vi salì
sopra, guardandosi attorno.
Elena, per evitare il suo sguardo truce, riprese a bagnare i vetri.
Dopo di Adha, nella sala entrarono due assassini dal volto coperto, poi
un lungo corteo di donne che presero ad allestire i muri con gli
stendardi simbolo della confraternita.
- Lily, Luisa!- le chiamò Adha, e le due damigelle sospesero
il loro lavoro andandole incontro.
Elena rimase sola a pulire, perché le due damigelle corsero
via dalla stanza sotto ordine di Adha.
Nonostante la folla che animava la sala delle cerimonie,
c’era un silenzio di tomba. Solo i passi dei tacchi di Adha
echeggiavano quando la donna si spostava da parte a parte controllando
l’operato delle ragazze.
I due assassini la stavano guardando, ed Elena non sapeva cosa fare per
tenere la mano ferma, che invece non la smetteva di tremare.
I due si bisbigliavano a vicenda. Elena li lanciò
un’occhiata furtiva, e riconobbe un assassino di grado
accanto ad un novizio.
Elena si rallegrò che Rhami fosse lì, la sua
presenza, come di chiunque altro non l’odiasse o
l’avesse umiliata, era sempre di conforto.
Tirò a lucido tutte le vetrate della sala principale, e ci
mise il tempo sufficiente per vedere il sole specchiarsi su di esse e
proiettare giochi di luce nella stanza. Sorrise soddisfatta.
Rhami mosse qualche passo verso di lei, che si stava dirigendo verso le
altre quattro sale, ma la voce di Adha lo fermò: -I
preparativi sono pronti, il funerale avrà luogo a breve.
Potete andare-.
Rhami, Adha, il corteo di donne e il novizio lasciarono la sala, ed
Elena rimase sola a guadare Masyaf attraverso le finestre.
I raggi del sole le riscaldarono il volto, e lei sorrise pensando che
quella di oggi non sarebbe stata una giornata diversa dal solito, anzi,
la prima di molte tutte uguali.
Il funerale ebbe luogo senza che nessuna donna potesse assistervi al di
fuori di Adha.
Il cortile interno, i giardini, le stanze, i corridoi e la biblioteca
erano ambienti vuoti e silenziosi, mentre dalla sala delle cerimonie si
levavano canti corali.
Elena era appoggiata alla staccionata del campo
d’addestramento e cercava di rivivere ogni attimo passato a
fronteggiare il mastro assassino della setta. Si disse che sarebbe
stato impossibile dimenticare cos’era successo, di come il
cappuccio gli era scivolato via dal volto quando lei l’aveva
messo al tappeto. Nessuno dei due l’avrebbe dimenticato, ed
Elena avvertiva che il suo destino si era intrecciato ancora una volta
con qualcuno che avrebbe avuto un ruolo fatale nella sua vita. Da che
parte si fosse schierato Altair, se tra i suoi nemici o i suoi alleati,
ad Elena non importava. La ragazza aveva imparato la lezione: dipendere
solo da se stessa e dare una mano agli altri.
Elena non aveva sfidato Altair solo per lasciare che Halef riprendesse
fiato, ma anche perché aveva sempre voluto farlo. Fin dal
primo momento che il Maestro le aveva parlato della forza e della
maestria di un assassina, Elena aveva scoperto il sangue di sua madre
bollire nelle sue vene, misto a quello di uno dei più grandi
assassini dell’epoca.
Un angelo era caduto, ed era sorta una Dea.
-Elena-.
La ragazza si voltò e vide Marhim che le veniva incontro.
Non poté non sorridere, ma la turbava il fatto che fosse
lì.
-Come mai non sei alla cerimonia?- gli chiese guardandolo.
Marhim si sedette sulla staccionata. –Perché
dovrei assistere al funerale di una persona che non ho mai conosciuto?-
rise.
- Scommetto che Adha o il Maestro non ne saranno molto contenti- disse
lei alzando il viso.
- Infatti, ma credo che le chiacchiere di Masyaf siano tutte
concentrate su di te, ultimamente- apostrofò divertito.
Elena nascose le mani nelle maniche della tunica. – che
cos’ho fatto…- mormorò, e le
s’inumidirono gli occhi.
- Ehi, non volevo mica farti piangere, avanti!- Marhim tornò
coi piedi per terra. –Quello che è successo
è successo, e sono sicuro che tu l’hai fatto solo
per mio fratello. Se ti è servito come scopo personale,
sappi che battere Altair ti renderà la persona che non
saresti mai voluta essere-.
- Come fai a dirlo? Di cosa parli?- si corresse puntando le sue pupille
azzurre in quelle scure di lui.
Marhim alzò le spalle e le venne più vicino.
–Elena, tu vuoi diventare un’assassina o no?- le
chiese serio.
- Sto rivalutando l’offerta…- tirò su
col naso.
- Era questo che intendevo. Da una parte non vedi l’ora di
poterti confrontare con gli altri assassini, essere temuta e
rispettata. Dall’altra, la vecchia Elena, la ragazza ferita
sul ciglio della strada che perdeva sangue e fiducia in se stessa, sta
gridando “no, non farlo!”- Marhim imitò
una vocina striminzita, e il suo tono la face ridere.
- “Non voglio uccidere, no, non voglio! Aiuto, salvatemi da
me stessa! Ah!”- a quel punto del discorso rise anche lui.
Dopo un minuto di silenzio passato ad ascoltare gli uccellini
cinguettare e i canti di chiesa della cerimonia, Elena si
slegò i capelli risistemandoseli al meglio.
Marhim la mangiò con gli occhi, ma si costrinse a voltarsi
fingendosi distratto. – a quale delle due Elena darai
ascolto?- domandò.
- Forse è un bene- riprese Elena –che Tharidl mi
dia del tempo per pensarci. Sono certa che una volta cominciato
l’itinerario, non potrò più farne a
meno- confessò stringendosi nelle spalle; una folata di
vento freddo l’investì entrambi.
-Sì, ci puoi contare-.
Elena si sistemò una ciocca dietro l’orecchio.
–Ieri mi hai detto che è stato Altair ad uccidere
Al Mualim. È così?-.
Marhim la guardò sorridendo. – Temo di
sì-.
- Ma allora perché non c’è lui al posto
di Tharidl, e come mai l’ha ucciso?- fece curiosa.
- È una storia lunga, che è diventata leggenda-
cominciò lui. –Tutto è cominciato
quando qualche anno fa Altair, Malik e il fratello minore di Malik,
Kadar, furono scelti per recuperare il Frutto dell’Eden-.
- Conosco questo nome- borbottò la ragazza
interrompendolo. – mio padre mi parlava spesso di questo
oggetto, ma va’ avanti, ti prego-.
- All’epoca il Tesoro era nelle mani di Roberto di Sable,
colui che guidava i Templari nella Terza Crociata al fianco di
Riccardo. Durante la missione qualcosa andò storto, e le
azioni inconsuete di Altair mandarono tutto a rotoli. Il fratello di
Malik perse la vita, e lui un braccio. Fortunatamente, Malik
portò a Masyaf il Frutto dell’Eden, ma alle sue
spalle l’avevano seguito gli uomini di Roberto e lui stesso.
Nella battaglia persero la vita parecchi assassini, e gran parte della
gente di Masyaf. Da allora fu un gran casino. Certi assassini lo
volevano morto, altri no, ma alla fine Al Mualim lo degradò
e Altair ricevette una lista di nove uomini. Posso citarti per esempio
Sibrando, oppure Gulielmo del Monferrato. Sono nomi che sono certo
avrai sentito, sto parlando di appena qualche anno fa-.
-Sì, sì. Il figlio di Gulielmo ha ucciso mio
padre…-
-Mi dispiace, ma all’epoca Corrado non era una minaccia e non
si trovava ad Acri. Se invece fosse stato così, Altair si
sarebbe assicurato che non ci fosse nessun possibile erede al trono di
Acri, così da consegnare la città nelle mani del
suo popolo-.
-Continua- disse lei, avvilita da troppi ricordi.
-E così, tutti e nove morirono per mano di Altair, che in
breve tempo tornò ad essere il più temuto di
tutta la confraternita. Il rango e l’onore gli furono
restituiti, ma Al Mualim aveva altri progetti per la Terra Santa. La
storia della lista era stata solo una grossa truffa, un pretesto per
eliminare chi ad Al Mualim impediva il cammino. Egli voleva il Frutto
dell’Eden solo per sé, e assoggettò la
gente di Masyaf sotto il suo potere. Altair aveva saputo la
verità da Roberto de Sable in persona e gli aveva creduto.
Tornato a Masyaf, sconfisse il Maestro e le sue illusione, restituendo
la vita alla cittadella e la Terra Santa alle devastanti guerre che
sono le Crociate- Marhim si stiracchiò. –Piaciuta
la storiella?- le chiese allegro.
La bocca di Elena si allargò in un sorriso.
–Sì, è stata interessante, soprattutto
la parte in cui Altair prende a calci nel sedere Al Mualim!- rise la
ragazza.
Marhim le tappò la bocca. –Ehi, fai più
piano!- bisbigliò guardandosi in giro.
Elena sobbalzò quando Marhim le toccò la pelle
del viso, e il ragazzo se n’accorse.
- Cos’è successo poi? Se questo posto seguisse una
gerarchia logica, ora dovrebbe essere Altair il nuovo Maestro-
commentò lei nascondendo il rossore delle guance.
-Con precisione è difficile da spiegare, anche
perché non tutti sanno cosa successe dopo. Non sono voci che
circolano, queste- Marhim si passò una mano tra i capelli.
–Ma posso assicurarti che è stato Altair stesso a
rifiutare l’incarico-.
-E ti sembra poco?- disse lei.
-Contando che anche Malik era in carica, be’ sì,
sono poche informazioni-.
-Malik? L’assassino senza un braccio, lo stesso che mi ha
guarita per primo?-.
Marhim annuì. – Era un tipo affidabile
e…-.
-Era?-.
Marhim alzò un sopracciglio. –No, ma che stai
pensando! È ancora vivo e vegeto- rise.
-Ah, ecco…- per un momento aveva pensato che il
funerale fosse di questo Malik.
Un secondo alone di silenzio avvolse il cortile, mentre Elena pensava a
qualcosa d’intelligente da dire.
-E tu?- domandò.
Marhim si voltò non capendo.
Elena abbassò lo sguardo. – Come ci sei finito
qui? E perché ci hai trascinato anche tuo fratello?-.
Marhim sorrise, ripensando alla sua infanzia tormentata. – Io
e Halef siamo nati qui, e fin da bambini nostro padre volle che
entrassimo come tutti nella setta. Devi sapere che
all’interno della confraternita, ci sono fasce di tutte le
età. Dai più piccoli ai vecchi e stanchi. Quando
io e mio fratello iniziammo i nostri addestramenti, avevamo 6 e 3 anni.
Piccolissimi. Il nostro primo omicidio fu qualche mese fa, ma di
tradizione già a 8 anni il Maestro affida la lama nascosta-.
-Lama cosa?- chiese lei.
Marhim le venne più vicino. –è un
guanto speciale che gli assassini esperti portano alla mano sinistra.
C’è una lama celata nella parte inferiore che esce
a comando con un meccanismo d’innesco-.
Il ragazzo le pose la mano sinistra e le mostrò come
funzionava. La lama venne fuori facendola sobbalzare. –Ma che
forza!- rise lei, ma poco dopo Elena rabbrividì.
–Marhim- disse.
-Che c’è?- lui la guardò gioioso.
-Perché…- balbettò la ragazza.
–Perché ti manca un dito?- indicò il
vuoto che il ragazzo aveva tra il mignolo e il dito medio.
Marhim ritrasse il braccio. –Volevo parlartene già
da un po’, ma è stata Adha ad impedirmelo- disse,
ma lei non capiva.
-Perché? E di cosa?- chiese cercando il suo sguardo, ma
Marhim volse gli occhi altrove.
-Ora sarà meglio che vada- fu la sua risposta voltandosi
verso di lei. – dopo la cerimonia gli assassini porgono
l’ultimo saluto, devo-.
-Posso aspettarti qua?- lo implorò con lo sguardo.
Marhim rimase pensieroso, poi s’illuminò.
–No, tu vieni con me!- la prese per il braccio e la
tirò verso la fortezza di corsa.
-Scherzi, vero?- lei rideva.
-Affatto, anzi!-.
-Ma non posso entrare!- protestò lei, che invece non vedeva
l’ora di seguirlo.
-E chissene!- sorrise Marhim, tenendola stretta salendo le scale, poi
per i corridoi ed in fine di fronte all’ingresso della sala.
C’erano due guardie che li guardarono sorpresi.
-Lei non può entrare, Marhim- disse il primo uomo.
Marhim fece un passo avanti, continuando a stringerla.
–Avanti, ragazzi! Ha sconfitto Altair in duello, tra un paio
di giorni sarà una di noi! Per favore!- cercò di
commuoverli, ma i due soldati scuoterono la testa. –Non se ne
parla-.
Elena si divincolò lentamente dalla stretta, e Marhim la
guardò comprensivo.
-Ti aspetto qua, avanti! Non fare il tragico!- gli sorrise.
Marhim sospirò. –Hai ragione, però non
andartene, chiaro?- si avviò verso i battenti chiusi.
Una guardia lo aiutò ad aprire il portone e, prima che
Marhim sparisse dentro, Elena lanciò un’occhiata
all’interno della stanza che sembrava traboccare per quanta
gente c’era.
-E così ci rivediamo- disse una guardia.
Elena non li aveva riconosciuti, ma erano gli stessi due che
l’avevano beccata mentre si avventurava per la fortezza la
sua prima notte lì.
-Ciao- balbettò lei agitando una mano.
I due chinarono il capo. –Dea…-
borbottò uno. –Mi fa impressione dopo tanto tempo
chiamare una donna con questo nome!- si rivolse al compagno.
-Già- fece l’altro. –A proposito,
complimenti per ieri, gli hai fatto vedere di che pasta sono le
assassine a quello lì!- rise la guardia.
-Eheh, sì- sorrise la ragazza, mettendosi a braccia conserte
contro il muro.
-Non vi conviene aspettare qui davvero- disse l’altro, quello
più vecchio. –Quando la calca varcherà
questa soglia, potrebbe non essere divertente per voi-
l’ammonì.
-Oh, grazie- disse lei allontanandosi. Non ci aveva pensato.
-Avvertiremo Marhim che siete tornata nelle vostre stanze- aggiunse.
-Scemo, Marhim non può entrare in quelle stanze!-
bisbigliò l’altra guardia.
-E vabbé- il vecchio alzò le spalle.
–Scommetto che alla Dea non sarà di nessun
disturbo, giusto?-.
Elena annuì. –anche se potrebbe essere rischioso-
rise.
-Andate, hanno quasi finito!-.
Elena salì le gradinate e tornò nelle sue stanze.
Si accoccolò tra i cuscini e, sopraffatta dalla stanchezza
per l’inizio giornata al quanto faticoso, chiuse gli occhi e
schiacciò un pisolino.
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Capitolo 15 *** Un nome, per cominciare ***
Un
nome, per cominciare
-Che scemo, te ne vuoi andare?!-.
-Guarda che lo dico al Maestro!-.
-Halef, hai rotto, vattene!- rise Marhim cercando di spingerlo di
sotto. –Vuoi avvertire tutti gli assassini della setta?!-
sibilò a denti stretti.
-Va bene, d’accordo, ma non fare cretinate, chiaro
fratellone? Non voglio diventare zio così giovane-
borbottò.
-Sparisci!- Marhim lo guardò allontanarsi sulle scale, poi
si voltò.
Il salone era avvolto dalla penombra del tardo pomeriggio, e le porte
delle stanze erano aperte, assieme alle finestre che facevano passare
la corrente gelida che solo a quelle quote soffiava.
Marhim vide Elena rannicchiata tra i cuscini e le si
avvicinò con passo furtivo.
La ragazza aveva la testa girata di lato, e i capelli le coprivano
parte del viso, arruffati. Nella mano destra Elena stringeva il
ciondolo di Alice e l’altra era aperta poggiata a terra.
Teneva un respiro calmo e regolare.
Marhim la fissò per diversi istanti, affascinato di quanto
fosse bella anche quando dormiva. Ma si riscosse.
Il solo fatto che stesse pensando certe cose lo metteva in allarme. Non
doveva neppure trovarsi in quell’ala della fortezza, e suo
fratello l’aveva avvertito. Suo fratello! Si
ripeté.
Marhim le si sedette lentamente accanto, in attesa che magari si
svegliasse da sola, senza il bacio del principe azzurro.
–Quanto sono spiritoso- mormorò allargandosi le
cinghie del guanto, che erano rimaste per troppo tempo strette. Senza
pensarsi, il guanto se lo levò proprio, poggiandolo di lato.
Elena dormì ancora per minuti, forse un’ora, ma a
Marhim non dolle affatto restarle accanto. Ogni tanto le lanciava uno
sguardo, ma poi tornava a fissare l’orizzonte fuori dalle
vetrate spalancate ascoltando i suoni di Masyaf che arrivavano fin
là su.
Alla fine si appoggiò con la schiena al muro e socchiuse gli
occhi. Nel dormiveglia sentì qualcosa muoversi al suo
fianco, ma per pigrizia non riuscì a rivenire dal sonno.
Elena, nello stiracchiarsi, sfiorò della stoffa calda e
ruvida. Poi riconobbe del cuoio e anche il fodero di una spada.
La ragazza si sollevò e i capelli le caddero sul viso. Si
mise le ciocche fuori posto dietro le orecchie e sorrise sbigottita
quando vide Marhim steso sui cuscini poco distante da dove stava
riposando lei. Il ragazzo sonnecchiava tranquillo con la bocca aperta e
le spalle al muro. La testa gli era caduta di lato, e aveva una guancia
appoggiata sulla spalla.
-Ma è così stancante vivere qui?- si chiese lei
ridendo.
Si alzò lasciando Marhim steso dov’era e
andò verso il balcone.
Era calata notte fonda su Masyaf, ed Elena si apprestò a
chiudere le finestre senza fare troppo rumore. Coprì alcune
vetrate con le tende, per non permettere al calore di disperdersi in
pochi minuti. Andò nella sua stanza e si guardò
allo specchio.
I capelli attirarono la sua attenzione. Provò ad
appiattirseli con le mani, ma tornavano com’erano. Arruffati
e gonfi!
-Il pettine!- mormorò e guardò sulle mensole
accanto all’armadio. Lo trovò buttato dietro una
mantella nera, e cominciò a slegare le centinaia di nodi.
-Ahi!- tra i denti della spazzola contò una ciocca piena.
Dopo fatica e sopportazione del peggiore tra tutti i dolori di una
donna, la chioma tornò fluente e lucida.
Sorrise soddisfatta e mise il pettine al suo posto.
Uscì dalla stanza e notò che Marhim aveva
cambiato posizione: tra le braccia stringeva un cuscino, ed era
scivolato con il corpo steso metà a terra e metà
tra altri cuscini.
Elena soffocò una risata, ma la gioia le passò in
fretta.
-Come sarebbe a dire?-
-Mia signora Adha, l’ho visto coi miei occhi!- quella di Adha
e la voce di uno sconosciuto venivano dal piano di sotto.
Elena scattò verso il ragazzo e lo svegliò con
uno schiaffo.
Lui sobbalzò e d’istinto le strinse il polso.
–Ehi!- si lagnò con la vista appannata.
-Svegliati, scemo! Devi nasconderti!- gli disse tirandolo su di peso.
Marhim barcollò stiracchiandosi.
–Perché?- chiese sbadigliando.
Elena lo spinse nella stanza più vicina e chiuse la porta.
- Cos’è stato?- domandò Adha dopo aver
sentito lo sbattere della soglia.
- Non saprei- rispose la voce sconosciuta.
Elena sentì i due salire le scale, poi Adha comparve sul
piano con i lembi del vestito nero stretti nei palmi. –Elena,
c’è qualcuno con te qui?- chiese la donna severa.
L’uomo alle sue spalle era un assassino, di un certo rango,
ma poco abbigliato perché ad Elena sembrasse Altair.
Elena scosse la testa. –Nessuno, sono sola e stavo giusto
scendendo per raggiungere Lily e…-.
- Quest’uomo giura di aver visto un assassino salire le
scale. Elena, non mentire!- le gridò contro Adha.
-Adha, se ci fosse qualcuno te lo direi, e non ho visto nessuno salire,
stavo dormendo!- rispose la ragazza. Il cuore le batteva a mille, e non
sapeva chi tra i due, lei o Marhim, ci avrebbe rimesso di
più per quella storia.
Adha le venne più vicino. – E la porta?
Perché ha sbattuto?- le ringhiò a pochi passi.
-Stavo chiudendo le finestre, tirava vento- fu la sua scusa mentre
teneva lo sguardo basso.
Adha fece un passo indietro. – Sai bene che questo posto non
può essere frequentato da chi non ha
l’autorizzazione, e colui che viene sorpreso deve pagare con
la vita. Così scrisse Al Mualim nel suo codice quando la
prima assassina firmò quel contratto. Non infrangere le
regole come fece tua madre! Tienilo a mente- Adha fece cenno
all’uomo di scendere, e l’assassino
lasciò gli appartamenti.
Fu allora che Adha le sorrise. –Com’è
andata la tua prima giornata lavorativa?- chiese.
Elena curvò le spalle. –Bene e male- disse.
-Come mai?- Adha teneva le mani giunte in grembo.
-Non c’è molto da dire. I preparativi per un
funerale mi rattristano- aggiunse Elena.
Adha si lasciò sfuggire un risolino. – sono
contenta che nonostante gli avvenimenti, ti piaccia ancora far
battutine. Vieni, sarò lieta di accompagnarti a cena- Adha
si avviò verso le scale.
-Veramente, non ho fame- confessò lei, e non era una farsa.
Adha si voltò. –sei sicura? Non hai mangiato nulla
tutto il giorno- disse premurosa.
Elena annuì e tornò nella sua stanza, prima di
chiudere la porta disse solo: -grazie lo stesso-.
Adha lasciò il piano.
Elena contò fino a dieci prima di uscire, e si
trovò di fianco a Marhim che aveva aperto la porta nello
stesso istante. –Che tempismo, grazie!- rise lui.
-Ma si può sapere perché ti sei addormentato?-.
-E tu perché te ne sei andata?-.
-Non mi andava di restare sotto gli occhi di un milione di assassini,
scusa tanto!- borbottò.
-Va bene, hai ragione, avrei dovuto comprendere che non sei tipa da
essere sulla bocca di tutti. Proprio non ti piace stare al centro
dell’attenzione, eh?- Marhim sorrise incrociando le braccia.
-Parla lui che sa cacciarsi solo nei guai!-.
-Questa è la prima volta che infrango un ordine o una legge,
non farmi la predica! Quella che non sa restare al suo posto sei tu- il
battibecco finì lì.
Elena tacque ridendo.
Marhim si fece serio. –Perché non sei andata a
mangiare?- le chiese. –Mi sono perso l’ultima
parte- aggiunse.
-Non ho fame, ma tu dovresti andartene comunque!- lei lo spinse verso
le gradinate.
- D’accordo! Vado! Te l’avevo detto che un giorno
non mi avresti più sopportato!-.
Elena rimase sola, ridendo ancora per la buffa ed insolita situazione
in cui si era cacciata.
Restare ancora nella stanza non le sarebbe servito a molto, quindi
lasciò passare una manciata di minuti prima di avviarsi
anche lei fuori dagli appartamenti.
Se non avevi le mani impegnate nella carneficina o nello spazzare
pavimenti, quel posto deprimeva, si disse Elena scendendo le scale
principali.
Trascorse il resto della serata ad assistere ad alcuni degli
allenamenti notturni. Poi si spostò nella biblioteca, dove
trovò qualcosa da leggere.
Il custode della libreria la scacciò da lì che
era passata la mezza notte, ma riuscì a farsi dare il
permesso di portare il testo nella sua stanza.
Una volta tra i cuscini, aprì il libro, ma prima che potesse
arrivare al dodicesimo capitolo, si addormentò con la bocca
aperta.
Sognò le assassine. Le sei assassine che si muovevano come
ombre nell’oscurità delle città. Vedeva
le ombre assalire le persone e poi perdersi nella folla. Erano ombre
spietate, ma bellissime. Poi sognò se stessa, che galoppava
su un bellissimo cavallo nero. Accanto a lei, su uno stallone bianco
c’era il suo futuro maestro. Erano diretti ad Acri. Seguivano
un sentiero tra i boschi di ulivi, e le guardie li venivano dietro
gridando: -Assassini!- ma non riuscivano a raggiungerli.
Sognò che arrivati ad Acri, il suo maestro veniva colpito da
una freccia e moriva davanti alle mura della città.
Sognò il volto di Corrado, che più volte aveva
visto durante le sue diverse manifestazioni aperte al popolo.
Sognò che con la sua lama nascosta, Elena gli tagliava la
gola.
Quel sogno le piacque, e molto.
Una settimana dopo…
-Ah! Scotta!- gridò una donna.
Elena rise mentre pelava le patate in un angolo. –scusa,
avrei dovuto avvertirti Lily-.
-Maledetta- borbottò la damigella di Adha buttando
l’acqua calda nel lavandino.
Nella cucina c’era il solito trambusto di posate e portate,
assieme alla confusione delle chiacchiere di cinque donne.
Lily cominciò a tagliare delle verdure, mentre
un’altra ragazza riempiva il forno con delle forme di farina
abbastanza tozze.
Elena si era abituata ai lavori che Lily le affidava, e aiutare in
cucina era diventato il suo passatempo preferito. Le ricordava quando
aiutava suo padre ad apparecchiare la tavola
all’età di sei anni. Quando imparò a
fare il pane a dodici e quando, in fine, preparava lei la cena per la
piccola famiglia che erano.
L’atmosfera non era più la stessa. In una
settimana la situazione si era ribaltata, e ora Elena era vista di buon
occhio da tutte le donne che lavoravano nella fortezza. Tutte tranne
una.
Era riuscita a scoprire che il suo nome era Minha, era la bellissima
donna dai capelli rossi che più che una cameriera sembrava
un donna di malaffare. Elena guardava con stizza come si vestiva.
Sempre così scollata, trasandata a mostrare le spalle e il
petto.
Minha lavorava spesso in cucina almeno quanto lei, ma nonostante
condividessero le stesse occupazioni, non si rivolgevano mai la parola.
Nessuna tra le donne di Masyaf con cui Elena aveva scambiato quattro
chiacchiere sembrava sapere qualcosa su di lei, e a Minha, pettegolezzi
e scaramucce non davano fastidio. Se ne stava per i fatti suoi, a
lavorare come tutte ma senza mai proferire una parola una. Solo quella
volta che Elena vi si era seduta accanto, aveva avuto l’onore
di sentire la sua voce.
Minha non sembrava umana. Anche quando si spostava da una parte
all’altra della cucina, i suoi passi erano silenziosi e
aggraziati e tradivano l’aspetto che dava di sé.
Profumava, e aveva i capelli sempre lucidi e mai arruffati. Portava
spesso le stesse vesti. Teneva sempre lo stesso sguardo afflitto,
stanco, vinto, sopraffatto.
-No!-
Elena si voltò ed ebbe solo il tempo di vedere una cesta di
grano rovesciare il suo contenuto al suolo. –Ma che diavolo!-
gridò Minha passandosi una mano tra i capelli, poi a
coprirsi il viso.
La donna s’inginocchio tra i chicchi e cominciò a
piangere.
Elena lasciò il coltello e la patata che aveva in mano e le
corse al fianco. –Vuoi una mano?- domandò.
Tutte le ragazze presenti nella cucina si voltarono a guardare come
Minha versava lacrima dopo lacrima.
-Minha, non serve piangere sul latte versato! Avanti, pulisci!- la
sgridò una delle cameriere.
Minha si alzò lentamente ed Elena si fece da parte,
perché la donna corse fuori dalla cucina in lacrime.
-Che cosa le hai fatto?- chiese Lily avvicinandosi a lei.
-Nulla, le ho solo chiesto se voleva una mano- rispose Elena.
-Be’- riprese una donna. –Qualcuno dovrà
pur rimediare. Lily, perché non vai a vedere cosa
l’è preso?-.
Lily annuì e lasciò la cucina.
-Tu, Dea, usa un po’ do magia con quella scopa, avanti-.
Elena afferrò il manico e cominciò a raggruppare
il grano. Quando ebbe finito, le donne stavano già servendo
il pranzo agli assassini nella sala mensa.
La schiena le dolorava per il troppo tempo rimasta curva a raccogliere
il grano versato.
Ad un tratto le porte della cucina si aprirono e nella stanza
entrò un uomo.
-Elena?-
Era un assassino, e la ragazza si mostrò ai suoi occhi
celati sotto il cappuccio. –Sì?- non era Marhim,
ma uno che non aveva mai visto, eppure la voce le era familiare.
-Il Maestro vuole vederti- disse lui.
Ecco! Era l’assassino che l’aveva tenuta per le
spalle mentre Adha la fasciava. Adel, le parve si chiamasse.
-Certamente- fece lei seguendolo fuori dalla cucina. Prima di uscire
lasciò il suo grembiule sul tavolo pulendovi le mani.
Adel la scortò fino al piano terra, dove Elena
incontrò gli occhi di Marhim che stava curiosando tra i vari
scaffali. –Elena- mormorò lui e provò
ad avvicinarsi.
Elena si fermò, ma Adel la prese per il braccio.
–Cammina- le disse.
-Che succede?- domandò lei, divincolandosi. –E
lasciami!-.
-è importante, e il Maestro vuole che tu sia sola- le
spiegò Adel. –Avanti, andiamo- lui si
avviò, ma la ragazza non le andò dietro.
Marhim le corse incontro, e le si fermò proprio di fronte.
–Elena, cosa?…-.
-Non so, ma ora devo andare. Ti spiego dopo, semmai- la ragazza
seguì Adel che era già accanto al Maestro, in
piedi davanti alla scrivania.
Quando Elena raggiunse Tharidl e Adel, quest’ultimo li
lasciò soli.
-Maestro- s’inchinò lei.
Tharidl la guardò sorridendo. –Sono felice di
vederti sorridere, Elena. Questo luogo sta diventando di tuo
gradimento?- le chiese.
Elena annuì. –La mia nuova casa, Maestro.
Assolutamente sì- era gioiosa, forse il grande momento era
arrivato, così anticipò il vecchio.
–Perché mi avete fatta chiamare?-.
Tharidl allungò nuovamente il suo sorriso e
cominciò a camminarle davanti. –Il Credo di un
assassino si basa su tre fondamentali principi, poiché senza
di esso noi non siamo nulla e nulla può diventare troppo.
Trattieni la lama dalla carne degli innocenti, poiché essi
sono tuoi alleati ed ogni vita risparmiata grava meno alla tua anima e
ogni goccia di sangue perduta è un dolore insopportabile.
Nasconditi alla vista, il nemico è dietro
l’angolo, alle tue spalle e colpisce quando meno te
l’aspetti. Confondersi tra la gente comune è
ciò che ci facilita gli incarichi. Indiscreto, silente, un
assassino sa come e dove colpire senza destare alcun sospetto. Elena,
non compromettere mai la confraternita, agisci con la mente e segui il
cuore solo quando sei cosciente di ciò che le tue azioni
possono comportare. Sii clemente con chiunque cercha di ostacolarti, un
giorno potrebbero rivelarsi i tuoi alleati, intuito e prontezza saranno
le tue qualità-.
Elena taceva, sconvolta e con gli occhi che le luccicavano.
–Maestro…- mormorò.
-Sì, Elena, oggi sono felice di conferirti il tuo primo
titolo di Ashash. Inoltre- L’uomo la guardò serio.
–Ho scelto il tuo maestro-.
Elena fece un respiro profondo, ma la sua mente non riusciva a restare
concentrata. Era un’assassina. Una Dea.
Tharidl le venne più vicino. –è stato
difficile. Ho cercato di mettere da parte i vostri incontri e scontri,
ho tentato di azzerare le vostre divergenze, e spero di aver preso la
scelta giusta. Egli ha avuto il coraggio di guardarti in volto e di
abbassarsi al tuo livello, nonostante gli sia costato il suo onore. Ora
voglio dare a quest’uomo l’opportunità
di redimere il proprio animo-.
-No…- Elena aveva capito di chi stava parlando.
–No, Maestro, no- balbettò. –sono sicura
che egli non accetterà mai, vi prego, e io non riuscirei a
sopportare questo peso!- Elena si aggrappò alla sua tunica,
quasi abbracciandolo e scongiurandolo.
Tharidl le prese il viso tra le mani. –Negli anni cui ho
guidato questi uomini, ho avuto modo di studiarne ogni
particolarità, ogni aspetto, difetto e pregio.
Nell’Angelo che ho scelto bolle la rabbia, certo, ma egli ha
saputo accettare le mie decisioni poiché la sua ragione,
sempre lucida, vede il giusto aspetto delle cose- le
sussurrò.
-Elena- riprese accarezzandole i capelli. –voglio che davanti
a te sorga un assassino che possa essere al tuo pari e oltre. Ho scelto
colui che mi ha dimostrato di saperti tenere testa. Elena, come Adha
non ha voluto dirti, tu hai davvero le qualità per diventare
la migliore. In te scorre il sangue di tua madre e quello di tuo padre,
e assieme loro hanno dato la vita ad una Dea che non ha eguali, e io lo
so. Ma come tutte le assassine prima di te, devi imparare a moderare le
tue abilità e ad usufruirne il giusto dosaggio-.
Elena fece un passo indietro, e il vecchio spostò gli occhi
alle sue spalle, su una terza presenza che Elena sentiva dietro di lei.
-Altair, vieni avanti- disse.
Elena tenne gli occhi chiusi e il volto basso quando Altair si
mostrò alla luce delle vetrate.
L’assassino aveva il cappuccio ad oscurargli gli occhi
ulteriormente, e teneva le braccia lungo i fianchi. La schiena dritta e
il portamento austero tradivano i ricordi che Elena aveva del loro
ultimo incontro.
-Altair, sei rimosso da tutti i tuoi precedenti incarichi e i tuoi
alunni sosteranno alle lezioni di Fredrik. Da oggi Elena è
tua discepola, voglio che tu ti prenda cura di lei e che le insegni
tutto quello che ha fatto di te l’uomo che ora si trova al
mio cospetto. In fine- Tharidl fece una pausa e spostò lo
sguardo su di lei.
Elena era schiacciata dall’imbarazzo, che la mangiava pezzo
per pezzo a partire dalle gambe, che a malapena teneva composte. Le
spalle tese e i pugni chiusi.
-Elena- sentì la voce del suo nuovo Maestro chiamarla.
Alzò il viso e si voltò lentamente verso di lui.
–Sì, Maestro- proferì un inchino verso
Altair, ma avrebbe pagato oro per non farlo.
-Bene, allora i preliminari sono conclusi-.
Dalle scale comparve Adha, che le venne al fianco. –Andiamo,
devi provare una cosa- le disse prendendola sotto braccio. Prima che si
allontanassero, Adha incrociò gli occhi di Altair e
annuì due volte rassegnata.
Altair e Tharidl rimasero soli.
L’assassino fece un passo avanti. –Spiegatemi,
avanti!- ruggì.
-Altair, non sono dovuto a dare spiegazioni né a te
né a nessun altro che non sia me stesso. Ora puoi andare-.
Il vecchio si sedette allo scrittoi e intinse la piuma
nell’inchiostro.
-Perché? Cose ho fatto per meritarmi questo!- insistette
l’Angelo.
-Dovresti esserne onorato! Altri assassini mi hanno chiesto questo
incarico, e non mi è importato sapere perché. Ma
uno di loro ha avuto il coraggio di ammettere che Elena era attraente!
Sei l’unico di cui mi posso fidare in questo, quindi, se non
ti dispiace… -.
Altair sbatté i pugni sul tavolo e la boccetta
d’inchiostro saltò. –Credete che sia
opportuno per questo incarico solo perché non sarei capace
di metterle le mani addosso?- digrignò.
-Esatto- rispose tranquillo il Maestro.
-Come fate a saperlo?-.
-So che amate Adha, e mi basta come risposta. E se non sbaglio, Elena
è troppo giovane per voi. Avrei potuto affidarla ad Angeli
più anziani, lo ammetto, ma credo che questa esperienza
possa giovare ad entrambi voi-.
-Giovare? Quella ragazza mi ha umiliato di fronte a tutta la
confraternita!-.
-Il tuo ego, Altair- lo ammonì il vecchio.
–ricordi quanto avanti ti spinse la tua rabbia anni or sono?-
gli rammentò.
-Siete tale e quale ad Al Mualim!- borbottò
l’assassino. –non sapete scegliere con giudizio e
vi fate influenzare dalla prima opportunità!- lo
accusò.
Tharidl non si scompose, continuando a scrivere. – Basta, ho
preso la mia decisione, e nessuno potrà cambiarla se non io
stesso. La discussione è terminata-.
-Non so da dove cominciare! Il suo modo di combattere è
rozzo, antico! Kalel poteva insegnarle un po’ meglio, ed io
non so come rimediare! Perché non Marhim, con lui la
ragazzina ha legato tanto, no?-.
-Egli non è di grado sufficiente per insegnarle ad
uccidere!- il vecchio si alzò, senza riuscire a contenere la
collera. – Non comprendi che Elena deve apprendere
l’arte dell’assassino e non della guardia di
pattuglia? Non comprendi?!-.
-Comprendo, e comprendere è doloroso, Maestro-
l’assassino parve calmarsi, staccandosi dal tavolo.
–Delle volte mi domando- cominciò Altair con tono
più quieto. –se sono ancora degno di portare
queste vesti- abbassò lo sguardo.
Tharidl tornò a sedersi. –E delle volte dovresti
fare meno domande e agire come ti è stato chiesto-.
-Proprio per questo Al Mualim scelse me per i suoi scopi. Sapeva che
non avrei fatto domande, ed io non voglio cadere nella stessa tela due
volte-.
Tharidl si mise gli occhiali. – Hai saputo nulla di Minha?-
gli chiese.
-Cosa c’entra Minha con?…-.
-Ha lasciato la città poche ore fa, le nostre guardie
l’hanno intercettata alla fine della valle. Vorrei che Adha
le parlasse, puoi chiedere alla tua promessa questo per me?- lo
guardò serio.
Altair annuì. –certo, come desiderate Maestro-
chinò il capo e si avviò.
-Ah, Altair!- lo chiamò.
Lui si voltò.
-Vorrei inoltre che le trovasse una spada, ad Elena. Non una qualunque,
né pesante né leggera, deve adattarsi al pugno
fermo che le ha dato suo padre. Potete occuparvene voi, o debbo
lasciare che sia Marhim a farlo?-.
Altair sorrise sotto il cappuccio. –Ora
comprendo…- mormorò tra sé.
–No, Maestro, mi occuperò anche di questo, non
scomodatevi-.
-Puoi andare, allora-.
Altair lasciò la sala si corsa e raggiunse le gradinate
principali. Salì due gradini alla volta e camminò
per gli appartamenti degli Angeli.
-Ti sta benissimo- disse Adha commossa.
-Ma si può sapere che roba è?- domandò
Elena girandosi di fianco.
-Come cos’è?- fece Adha. –è
la tua veste di assassina!- rise.
Nello specchio Elena sembrava più magra del solito. La sua
immagine la mostrava con indosso una veste bianca che le arrivava alle
ginocchia. Adha l’aveva vestita di tutto punto come un comune
assassino di rango basso, solo che l’abbigliamento si
adattava alle sue forme femminili senza esagerare. Al posto di una
cintura di cuoio, la ragazza portava alla vita una pezza rossa che le
pendeva davanti, simbolo che non aveva ancora raggiunto neppure il
primo grado. In più Adha le aveva allacciato una cinghia di
cuoio che andava dalla spalla destra al fianco sinistro, con un
triangolo di metallo che le toccava il petto. Gli stivali le stavano
larghi solo perché non li aveva allacciati per bene,
poiché avrebbe perso una mattinata a fissare come si deve
tutti i lacci. Il cappuccio era calato sulle spalle e le maniche dello
strato inferiore erano morbide e le cadevano a coprirle anche le mani.
-Mi commuovi- disse Adha.
-Come mai?- Elena fece un giro completo per adocchiare anche il
posteriore.
-E pensare che avrei dovuto bruciarla, questa era l’ultima,
sai?- le confessò.
-Grandioso. Vuol dire che non ci sono ricambi? E se la strappo, la
rovino, la sporco? Non mi ammazza nessuno, vero?-.
Adha rise. –No, non preoccuparti. Le nostre sarte ne faranno
altre-.
-Mitico- Elena la guardò sorridendo, e Adha
ricambiò.
Elena lanciò un’occhiata oltre la donna, e vide
che il suo Maestro veniva verso di loro.
-Maestro- Elena s’inchinò.
-Altair!- Adha, sorpresa, fece un passo indietro.
-Possiamo, un attimo…- Altair indicò le scale con
la testa.
Adha si voltò verso di lei. –Elena, puoi scusarci?-
La ragazza annuì e i due lasciarono gli appartamenti.
Elena tornò a guardare lo specchio. Quando provò
a tirarsi su il cappuccio, non riuscì a nascondervi
all’interno la folta chioma di capelli.
-No! No! No!- gridò a denti stretti. –Vuoi vedere
che…-.
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Capitolo 16 *** I Falchi della Paura ***
I
Falchi della Paura
-Avrei voluto dirle qualcosa, ma quando l’ho incontrata al
mercato è arrivata Adha dal nulla e mi ha scacciata via!-
sbottò una delle donne.
-Non dirlo a me, quella poveretta mi fa così pena. E pensare
che avrebbe potuto impedirlo- rispose un’altra.
-Come? Insomma, nessuno sapeva che Asaf avrebbe fatto quella fine-.
Elena mangiava composta col suo piatto davanti. La sala mensa era
avvolta dalla penombra del sole che doveva ancora sorgere. Ai tavoli
attorno c’erano come lei le altre donne destinate alle
pulizie, che banchettavano la colazione ognuna col suo piccolo gruppo
compatto.
Elena ascoltava interessata parola dopo parola la conversazione di
alcune ragazze sedute poco distanti da lei.
-Infatti, ma quando Tharidl gli propose l’incarico, Asaf non
accettò. Fu Minha ad insistere che andasse, da vera stolta.
Asaf era capace, certo, ma fino ad un certo punto. Minha voleva solo
che il suo fidanzato acquistasse fama! È questa la
verità, e ora è mangiata dal senso di colpa- fece
sdegnata una donna più vecchia delle altre che la
circondavano. –Se fosse stata zitta, ora starebbero a farlo
dietro quella colonna!- aggiunse.
-Piantala- le disse un’altra, ma non riuscì a
trattenere un risolino. –Perché non provi a
pensare che forse non potesse prevedere che il corpo di Asaf tornasse
senza vita? È distrutta, e noi siamo qui a spettegolare di
lei mentre passa le giornate a piangere e a combinare guai-.
-Di che guai stai parlando?- domandò maliziosa una ragazza.
L’altra tacque alcuni istanti. –Diciamo che la
notte scorsa l’ho sorpresa lasciare gli alloggi dei novizi,
mentre sbattevo i tappeti-.
-Nooo! Non ci credo!- fece quella vecchia. –Ma
com’è possibile?- scoppiò sarcastica.
–Se è così, allora se lo merita. Minha
è solo una gran “donna da lenzuola”!-
rise.
Elena lasciò di colpo il cucchiaio, che le cadde nella
ciotola di latte e il tonfo rimbombò per tutta la stanza. E
così, pensò la ragazza, Minha era innamorata
dell’assassino che aveva perso la vita a Gerusalemme. Per
nascondere il dolore, qualcosa dentro di lei l’aveva spinta a
legare superficialmente con altri assassini, e quindi a svendere il suo
bel corpo.
Elena non poté crederci.
-E tu- riprese la vecchia. –avresti voluto parlarle?- chiese
ad una delle ragazze del gruppo.
-Sì. Una volta mi ha raccontato qualcosa di lei, ma davvero
poco. Forse avrei potuto consolarla, e Adha avrebbe meno anime sulla
coscienza…-.
A quel punto Elena si sentì osservata, guardata da occhi
pettegoli. Le s’irrigidirono le spalle, e un brivido le
percorse la schiena.
-Ehi, guarda guarda chi arriva- sogghignò una donna
voltandosi, e tutte le ragazze della sala si volsero ad ammirare
l’uomo che si muoveva nell’ombra della mensa.
–Il buono della situazione…- aggiunse a denti
stretti sorridendo.
L’ignoto nascosto sotto il cappuccio camminava composto ed
eretto. La sua figura si stagliava imponente anche da lontano, e
soprattutto attraente per tutte le belle fanciulle che popolavano i
dintorni, che non riuscivano a staccargli gli occhi di dosso.
Altair avanzò verso il tavolo quale era seduta Elena che si
alzò spostando con rumore lo sgabello.
–Maestro- le uscì di bocca in un
sussurrò e s’inchinò.
L’assassino alzò il mento. –Come mai
Adha non ti ha informato degli allenamenti? Ti sei dimenticata forse
che sei mia allieva?!- la sgridò.
Elena sobbalzò, la sua voce rimbalzava da una parete
all’altra ed era schiacciante oltre che umiliante.
–Vi chiedo perdono, Maestro, ma non sono stata informata di
nulla- rispose ingoiando. Le mani cominciarono a sudarle, e le guance
ad infiammarsi mentre spostava lo sguardo a terra, sui suoi piedi e
quelli di Altair a pochi passi.
-Questo mi turba a dir poco, ma non è tardi per rimediare-
disse Altair squadrandola. –Avanti, andate a cambiarvi,
sarò ad attendervi nel cortile-.
Elena annuì e lo contemplò dirigersi verso il
buio del corridoio.
Un orribile silenzio calò nella sala mensa.
Elena non rimase lì impalata oltre, e corse sulle scale,
senza neppure portare il suo piatto in cucina. Raggiunse la sua stanza,
ma quando varcò la soglia trovò Adha ad
attenderla con in grembo la sua divisa da assassina.
La donna le sorrise porgendole l’abito.
Elena notò con stupore che Adha vi aveva apportato delle
modifiche. Per esempio, c’era una scollatura profonda
all’attaccatura del cappuccio sul petto, e quando la ragazza
indossò il tutto, sentì freddo anche alla schiena.
-Come mai…- cominciò guardandosi allo specchio.
Adha non aveva proferito parola per tutto il tempo, era rimasta a
guardarla senza aggiungere o commentare alcunché. Era seduta
sul letto e stava a guardare come Elena assumeva espressioni sempre
più contorte. –Insomma, questo non è il
vestito che ho provato l’ultima volta, io non capisco-
borbottò.
Adha si alzò sospirando e la prese per le spalle, fermandola
di fronte allo specchio.
Il volto della donna era calmo, troppo quieto. –quella che ti
ho fatto provare ieri era una tunica da assassino, si adattava meglio
al tuo corpo solo perché era una delle taglie più
piccole che sonoro riuscita a trovare. Perdonami di non avertela
mostrata prima, ma questa che indossi ora è la vera essenza
di una Dea- sussurrò.
Elena si voltò di scatto spaventata. –Non voglio
girare per la fortezza con questi vestiti. Sono così,
così… osceni! Adha, non mi sento a mio agio, non
riesco- disse cupa.
Adha le mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
–Elena, c’è una grave differenza tra un
assassino e un’assassina che qui intendiamo bene
sottolineare. Non diffidare delle nostre tradizioni, indossa queste
vesti per i tuoi allenamenti con Altair, e vedrai che presto saranno
parte di te-.
Adha le accarezzò la guancia premurosa come una madre, poi
lasciò la stanza.
Elena si morse un labbro. E se il mestiere di un’assassina
non fosse quello che davvero credeva? Se dietro la maschera di omicidi
con l’uso di coltelli e lame nascoste ci fosse qualcosa che
Adha non le voleva dire per paura che si tirasse indietro solo agli
inizi? E se fosse più pericoloso, rischioso di quanto non lo
era già uccidere di per sé?
Elena si ammirò per nulla convinta. Con il petto
così scoperto fino alla prima sfaccettatura del seno si
sentiva d’indossare gli abiti di Minha, anzi, dopo quello che
aveva saputo, si sentiva quello che era davvero Minha.
Nutriva dei rancori con alcuni degli assassini, che si chiese come
avrebbero reagito vedendola così. Cosa avrebbe pensato di
lei Marhim, o Lily? O Altair, il suo maestro. Poteva combattere,
impugnare una spada abbigliata come una, una… una!
Infilò gli stivali e li allacciò per bene. Quando
ebbe finito di stringersi anche la cintura alla vita, si
affacciò alle vetrate del salotto.
Il sole sorgeva, rischiarava la valle e illuminava di nuova luce il
mondo. Gli uccelli gioivano, le colombe svolazzavano e i mercati
riacquistavano il loro vigore mattutino, che andava avanti fino a sera.
Il cielo, di un azzurro innaturale, era macchiato da poche e benevoli
nuvole che proiettavano le loro ombre sulle colline lontane.
Elena si sporse ulteriormente dalla facciata e lanciò
un’occhiata di sotto, dove poteva vedere con chiarezza che il
cortile interno era desolato, pattugliato dalle solite guardie mentre
gli arcieri notturni sulle mura facevano a cambio con quelli
giornalieri.
Un puntino indistinto, bianco e isolato l’attendeva al centro
dell’arena per l’allenamento, ed Elena sapeva si
trattasse di Altair.
L’assassino era riconoscibile anche da quella distanza,
solitario e raggiante di rancore.
Elena chiuse le finestre e si avviò giù per le
scale.
Raggiunse il piano terra e passò per il giardino, quando si
sentì chiamare alle spalle. –Elena! Elena,
fermati!-.
Si voltò, e Marhim le fu a pochi passi.
–Ciao- disse lei arrossendo.
Sperava che nessuno che conosceva la vedesse in quello stato, ma Marhim
era Marhim…
-Prima di tutto, buongiorno. Hai dormito bene?-.
Elena rise per la domanda d’introduzione.
–Sì, grazie. E tu?-.
-Eh, non c’è male. Passiamo al sodo- lui si fece
serio. –Cos’è questa roba?- lui
indicò il suo “buffo” vestito.
Elena curvò le spalle. –Non voglio parlarne-
digrignò.
-Interessante, ma hai intenzione di andare in giro così?
È Adha che ti ha dato questo?- domandò ancora
sbigottito.
Elena annuì. –No, guarda, volevo vestirmi
così da attirare su di me un po’ di gente!-
alzò le braccia al cielo. –Ora scusa, ma devo
andare- bisbigliò sorpassandolo.
-Lo so, nel senso so che hai gli allenamenti con il tuo nuovo Maestro-
Marhim pareva afflitto, perché il suo tono di voce era basso
tanto quanto il suo sguardo.
Elena camminò dritta verso il cortile e Marhim le venne
dietro.
Altair era al centro della recinzione e fendeva l’aria con
precisi affondi di spada. In mano teneva una lama che non era la sua,
che invece portava bella dentro il fodero allacciato di fianco. Il suo
Maestro stava usando una seconda arma che forse era destinata a lei, si
disse Elena.
I due giovani si fermarono vicino alla staccionata e rimasero a
guardare Altair che colpiva il vuoto con gli occhi chiusi, come nella
meditazione.
-Spero che tu impari molto da lui- le mormorò Marhim
all’orecchio. –Mio fratello l’ha preso
male il fatto che tu gli abbia soffiato l’insegnante-.
Elena non ci aveva pensato.
Quando Tharidl aveva scelto Altair come suo Maestro, aveva privato
Halef e molti altri assassini del migliore da cui apprendere. Si disse
che parecchi novizi si sarebbero presto vendicati, in un modo o
nell’altro.
Elena già si odiava abbastanza per avere su di lei gli occhi
delle guardie di pattuglia, e ora anche Marhim aveva lanciato
un’occhiata sfuggente al suo decolté.
Improvvisamente, Altair aveva arrestato il colpo tenendo la lama in
alto, tesa come fosse un prolungamento del suo braccio. Aveva aperto
gli occhi d’un tratto e la fissava.
Elena lo guardò mentre gesticolava col manico della spada,
facendola piroettare come fa un equilibrista coi birilli.
Altair era senza guanti quella mattina, e non indossava gran parte del
suo equipaggiamento. Vestiva nel modo più semplice che Elena
gli avesse mai visto addosso, e ne fu sorpresa.
Non aveva mai avuto modo di cogliere la normalità in nessuno
dei membri della setta, invece Altair, l’Angelo della Morte
più letale tra tutti, si era concesso di abbondare solo per
quella volta i costumi della Confraternita.
Elena pensò che poteva solo essere un aspetto dannatamente
positivo. Il suo Maestro, ma anche l’uomo che aveva sconfitto
a duello, abbigliato in quel modo le sembrava un comune ragazzo che
voleva insegnarle qualche vecchio trucco. Si disse però che
dargli troppa confidenza sarebbe stato rischioso e…
Marhim interruppe il filo dei suoi pensieri spingendola verso
l’arena. –Avanti, è mezz’ora
che ti aspetta, muoviti!- rise.
Elena scavalcò la staccionata e si avvicinò
all’uomo. Proferì un inchino lieve con il capo
rimanendo il più possibile padrona di se stessa e del suo
cuore, che batteva all’impazzata.
E se l’avesse battuto di nuovo?
-Prendi- Altair le porse la spada con cui si stava riscaldando.
Elena ne afferrò saldamente l’impugnatura e
notò che era leggera e piuttosto corta per rientrare nel
termine “spada”. Era rozza, certo, poco decorata,
ma pur sempre ben levigata, splendente e già parte di lei.
Altair sorrise sotto il cappuccio vedendola così gioiosa.
–Sono certo che ti piacerà, ma sappi che non
è l’arma che fa l’assassino- disse
girandole attorno. –O l’assassina- si corresse poi.
-Maestro, non per indugiare sul passato che resterà sempre
il passato- disse Elena senza staccare lo sguardo dalla spada.
–Ma se vi ho battuto a duello come mai sono qui oggi?- chiese
maliziosa, ma ben intenzionata.
L’assassino colse svelto il senso delle sue parole.
–Sapevo che avresti fatto questa domanda, se non a me te la
saresti posta diverse volte. Ebbene- Altair si fermò.
– Il tuo stile di difesa è rozzo e antico, tendi a
muoverti sugli stessi passi, ma sono stati il tuo intuito
d’improvvisazione e l’agilità che ti ha
donato tuo padre a permetterti la vittoria. I tuoi difetti sono
più di quelli che immagini o credevi di conoscere, Elena.
Stai sempre pronta, sempre…-.
Le poche occasioni in cui Altair la chiamava per nome la infastidivano,
lasciandola smarrita. La sua voce, il suo tono, i suoi atteggiamenti.
Tutto in quell’uomo le metteva paura, ma dalla parte opposta
sentiva di appartenervi, vi si riconosceva in molti aspetti.
-Elena, mi stai sentendo?- Altair schioccò le dita, e la
ragazza si riprese dal fissarlo senza sguardo.
-Sì, scusate- mugolò.
L’assassino aggrottò le sopracciglia.
–Bene… prima di cominciare vorrei che tu
rispondessi alla mia domanda. Perché sei qui, Elena?-.
La ragazza sobbalzò. Che buffa domanda, pensò
guardando il suo maestro. –In che senso, io…-.
-Rispondi, so che ne sei in grado- l’anticipò lui.
Elena non sapeva se stesse sorridendo o se Altair tenesse la solita
espressione appesa e estranea tipica di chi ha visto troppi occhi
spegnersi davanti ai suoi. Altair andava a camminarle in circolo, anche
alle spalle.
-Mio padre, mi fido lui, ho obbedito alle sue parole, tutto qui-.
-Hai avuto l’opportunità di scegliere da quale
parte stare, quando la tua gamba è guarita avresti potuto
chiedere un cavallo e fuggire. Per te questa gente è
estranea e lo sarà sempre, cosa ci fai ancora qui?
È questo che voglio sapere…-.
Elena guardò verso Marhim, che assisteva senza proferire
parola. Lo vide anche lui sperduto dall’atteggiamento
insolito di Altair, e delle sue domande insolite.
-Qui ho trovato la salvezza, due Angeli mi ci hanno portata
affinché avessi altri giorni davanti a me. Ed è
qui che ho già deciso di restare- disse convinta lei.
Altair annuì estraendo la spada. –Salvezza, la
chiami tu? E dimmi, quanti uomini hai “salvato”
nella tua fuga da Acri?- la incalzò.
Elena strinse più forte la sua arma. –un paio-.
-Ricordi i loro volti, Elena? Sai almeno quanti di loro avevano una
casa, una moglie e un figlio? Sai per certo anche questo?- Altair era
tranquillo. La sua voce soave e melodiosa colpiva dritta alle sue
orecchie, ed Elena non poteva fare a meno di ascoltarlo, senza
distrarsi.
Ma le sue parole le avevano fatto balzare in mente uno per uno i volti
dei soldati cui aveva tolto la vita quella piovosa notte ad Acri. Con
un po’ d’immaginazione poteva vedere la spada che
stringeva nella mano destra tingersi di sangue, e sentire i vestiti
bagnarsi come se la stessero prendendo a secchiate. La sua mente la
riportò a quella gelida notte…
Ma dove veramente Altair voleva arrivare con quelle domande? Voleva
intimorirla, metterle paura, farla scappare in lacrime così
da umiliarla? Certo, voleva riscattare la sua sconfitta vendicandosi in
quel modo su di lei!
-Sai cosa più ci rende unici?- disse l’assassino
dopo un po’.
Elena scosse la testa, sia per rispondere alla sua domanda sia per
scacciare i fantasmi dalla mente.
Altair la guardò e gli balenarono gli occhi.
–Siamo coloro che di fronte alla morte sappiamo guardala,
assecondarla, e darci per vinti. Siamo coloro che non temono di
uccidere perché siamo stati i primi a morire. Chi si
accascia tra le nostre braccia ci merita abbastanza perché
ha peccato più di tutti noi messi assieme, ed oggi, Elena,
mi è stata affidato l’incarico che meno desideravo
tra tutti. Ciò nonostante, prego per te che tu non abbia
ascoltato una parola di quello che ho detto!-.
-Cosa?!- Elena spalancò gli occhi il tempo sufficiente per
vedere la lama del suo maestro cozzare contro la sua.
La ragazza cadde di schiena, e la spada le corse dalla mano, scivolando
fino ai piedi dell’Angelo.
Altair si chinò a raccoglierla. –
Perché quando ti ho chiesto se stavi ascoltando mi hai
risposto “si, scusate”, se invece non era affatto
così?-.
Elena perdeva il filo del discorso mentre si alzava a fatica.
-Non vi capisco, Maestro- strinse i denti quando la sua schiena
cricchiò.
Altair cambiò discorso in fretta.-
Cos’è che ti disse tuo padre sulla difesa?- le
chiese passando una mano sulla lama.
Elena lo capiva. Dentro il suo maestro si muovevano le correnti
impetuose della rabbia. Nell’animo dell’assassino
che aveva di fronte si stava combattendo una dura battaglia tra
l’autocontrollo e la voglia di tagliarle la testa.
-Nulla, a parte il fatto che è utile per non farsi tagliare
la testa quando si è in svantaggio- rispose.
-Qui, ragazza, sbagli. Non devi proteggerti solo quando non sei in
grado di attaccare, ma soprattutto quando sei sicura di poter colpire
il tuo avversario. Prima di impartirti altre lezioni, però,
vorrei che tu mi mostrassi a pieno come e cosa hai imparato con Kalel-.
Altair si mise in posizione, la schiena dritta e le ginocchia piegate.
Elena prese un gran respiro e provò con un affondo troppo,
ma troppo debole.
L’assassino riuscì a fermare la sua spada
stringendola in pugno, ed Elena, sbigottita, tornò indietro
lasciandogliela.
-Posso sapere che ti prende? C’era qualcun altro al posto tuo
che mi combatteva quella volta?- sbottò Altair.
Elena si riscosse e riafferrò l’arma quando lui
gliela porse. –Avanti! Colpiscimi, se riesci- rise.
Fu uno scontro lungo e straziante.
Altair aveva passato la gran parte del tempo a studiarla di vista, a
contare i suoi passi e a misurare la forza che aveva nelle braccia
mentre “tentava” di colpirlo.
Elena aveva sentito il fiato mancarle, e il suono delle lame che
sbattevano l’una sull’altra le aveva dato alla
testa, facendogliela pulsare.
Alla fine cedette: mollò la presa sull’elsa e la
spada volò in aria.
Lei cadde in avanti, distrutta. I pugni chiusi a terra, e i capelli le
coprirono il viso in modo disordinato.
Potevano essere trascorse ore o minuti, a lei importava solo che quella
tortura fosse finita. Avvertì il primo crampo al braccio
destro, e strinse i denti.
Altair afferrò la spada della ragazza poco prima che
toccasse il suolo. –Non è andata male- le disse
porgendole la mano.
Elena lo guardò dal basso e si aggrappò a lui che
la tirò su senza fatica. –Dobbiamo lavorare sulla
resistenza, ma anche sulla tecnica. Ho notato che metti avanti il piede
destro quando attacchi. Se vuoi possiamo riprovare, così
magari provi con quello sinistro, che ne dici?- le chiese.
Altair si stanziò ancora, tornando al bordo
dell’arena.
Elena si voltò a guardare Marhim, che le sorrideva sempre
presente.
-Io… io posso provare- disse la ragazza passandosi una mano
tra i capelli.
-Ottimo- Altair le lanciò la spada ed Elena la prese
debolmente.
L’assassino se n’accorse. –Sei sicura?-.
Lei annuì, e ricominciarono da capo.
Ripeté tutte le mosse, tutte le possibili inclinazioni della
lama, ma cosa più importante, mise avanti il piede sinistro.
Le veniva tutto più comodo, ma anche più
faticoso: doveva concentrarsi e abituarsi a tenere la posizione
corretta, ma anche ricordarsi di tenere la spada. Quando dava peso ad
un’azione, si dimenticava quella precedente, così
spesso fu costretta a fermarsi perché inciampava o
indietreggiava.
Quando involontariamente Elena portava avanti la gamba destra, Altair
la puniva colpendola alla spalla o al fianco con
l’impugnatura della sua spada. I suoi movimenti erano
così veloci, che Elena non si accorgeva neppure di come
facesse a guardare i suoi piedi.
-Stai dritta!- di fatti Elena stava piuttosto curva quando combatteva,
e ancora di più in attacco. –Su le braccia, alza
quella spada! Il tuo nemico ha un cuore, mira lì, non alle
gambe!- aggiunse.
Elena a malapena stava in piedi, a mala pena aveva il controllo sulla
spada. Si chiese come avrebbe potuto tenere ancora più in
alto le braccia, se pochi istanti dopo Altair le disse anche: -In basso
i gomiti, o il tuo avversario va a colpo sicuro sui fianchi!-.
Sicuramente Altair le stava dando quelle dritte perché
presto avrebbe cominciato lui ad attaccarla, e sarebbe stata lei a
doverlo contrastare, gettarlo lontano, divincolarsene.
Era solo il primo di una lunga serie di allenamenti, ma Elena si
sentiva forte mai come prima. Combattere con chi sapeva avesse molto da
insegnarle le infondeva nuovo vigore, e l’assassino che aveva
davanti prevedeva ogni sua insicurezza e gliela schiaffava in faccia
senza ritegno.
Senza preavviso, Altair l’attaccò ed Elena
schivò di lato con un saltello.
-Bene, bene!- Altair tentò di colpirla ancora, e ancora, e
sembrava apprezzare come la ragazza riusciva a chinarsi nel giusto
tempismo e ad adattarsi ai movimenti del suo avversario. Se
c’era qualcosa di dannatamente positivo nel suo fisico, era
la sua scioltezza, i suoi riflessi involontari e la sua
agilità con la schiena, il collo e le spalle.
Quando schivava, Elena sentiva il fruscio della lama che sprofondava
nell’aria a pochi centimetri dai suoi capelli.
Qualche ora si costrinse a pensare che fosse sul serio trascorsa.
Il cortile interno andava a popolarsi alla svelta, il sole si
arrampicava sopra i tetti della fortezza indicando quasi il
mezzogiorno.
Ogni qual volta il suo Maestro la rimproverava, Elena dava il meglio e
nel tentativo successivo riusciva per certo. Al contrario, se troppo
lusingata, si perdeva facilmente e rischiava che la lama del suo Angelo
le tagliasse la veste nuova. Fortunatamente Altair aveva tale controllo
sulle sue azioni, che spesso riusciva ad ingannarla con delle finte
imprevedibili.
La folla si stava radunando attorno alla recinzione, assieme ad un
gruppo di assassini divisi per rango che stavano a guardare in silenzio.
Qualche giorno dopo…
Altair era seduto sul cornicione di una finestra.
Fuori il panorama era spettacolare, come solo la vista dalla stanza di
Adha poteva mostrare. L’alba si specchiava sulle coste
rocciose del lago, prostrando i suoi raggi arancio e dipingendo
magnifici giochi di luce coi vetri della camera. I colori dei tappeti
prendevano nuove tonalità ad ogni ora differente della
giornata, e quella del crepuscolo era la sua favorita.
Masyaf si acquietava, i colombi si accovacciavano nei nidi e sui tetti
pronti per la notte, e per la fortezza si aggirava il silenzio, la vera
e propria tranquillità.
Altair roteava tra le dita una moneta d’argento fissando
l’orizzonte.
Quella mattina si era abbigliato come faceva rare volte; indossava le
vesti comuni che metteva nei suoi giorni di riposo: erano una tunica
che gli arrivava alle ginocchia stretta in vita da della stoffa color
porpora. Il cappuccio a nascondergli il volto e le mani senza guanti.
I suoi pensieri erano agitati, troppo si disse. La sua mente doveva
restare lucida, ma gli ultimi avvenimenti l’avevano
annebbiata, costringendolo a prendersi una pausa, lontano da tutto e da
tutti.
Le voci che giravano sul fatto che passasse molto tempo nelle stanze di
Adha erano vere. Altair amava quella donna e la sua stanza, nella quale
si rifugiava ogni qual volta avesse bisogno di pensare. Era il suo
nascondiglio, che ultimamente non era poi tanto segreto.
Pezzo per pezzo, la sua pelle veniva dilaniata dalla bestia che era il
peso della responsabilità. Una Dea,
pensò…
Mai gli era stato concesso onore più grande, e se Tharidl
aveva scelto lui, Altair non l’avrebbe deluso. Elena faceva
progressi, Altair le insegnava nel modo più semplice
possibile, slattando da un capitolo all’altro del suo ordine
mentale senza seguire nessuna tabella di marcia o costrizione. La sua
difesa s’irrobustiva, i suoi muscoli erano sempre
più scattanti e tesi in qualsiasi momento. I suoi occhi
avevano imparato a vedere le azioni dell’avversario e le sue
gambe presto avrebbe potuto portarla dovunque volesse arrivare.
Altair aveva conosciuto di sfuggita le ultime assassine che popolarono
la setta, ma chi non aveva mai sentito parlare del loro metodo? Col
passare degli anni era nata una distinzione sempre più
spessa tra la lama di una donna e quella di un uomo, con tecniche
l’una più letale dell’altra. I Maestri
che si erano successi, avevano appreso come sfruttare al meglio questa
diversità per consentire la riuscita di una missione senza
comprometterne le successive. Altair ricordava di aver sentito di
alcuni assassini che lavoravano in coppia con delle Dee. Forse sarebbe
stato il suo caso, pensò. D’altro canto, Elena era
una buona uditrice, sempre attenta ai suoi consigli e pronta a metterli
in atto al primo tentativo.
Sentiva che Elena poteva imparare con il minimo sforzo tutto quello che
aveva da darle, e se il giorno in cui l’aveva battuto si
sarebbe ripetuto, quel giorno avrebbe cancellato le memorie di quello
precedente.
L’assassino scattò in piedi.
La porte della stanza si aprirono lentamente, e riconobbe la voce di
Adha. –Perché non l’accompagni nella
biblioteca. Potrebbe distrarsi dagli allenamenti. Stai pur tranquillo
che Altair, in caso non sia d’accordo, se la vedrà
con me- la donna parlava con qualcuno fuori dalla soglia.
-Sì, mia signora- disse Marhim, e anche se Altair non poteva
vederlo, lo sentì allontanarsi nel corridoio.
Adha entrò nella stanza e rimase sorpresa di trovarlo
là. -Altair- disse sorridendo.
-Da quando prendi iniziativa tu per la ragazza?- le chiese.
Adha fece un passo avanti. –L’allenamento di ieri
l’ha distrutta, sia fisicamente che mentalmente. Ha bisogno
di riposo, ma non voglio che dorma fino a tardi o che faccia le
pulizie. La compagnia di Marhim le farà bene, sono lieta di
notare quanto i due vadano d’accordo. Speravo tanto che Elena
non avesse solo nemici…- sospirò.
-Già, la compagnia di Marhim- sorrise l’assassino
in modo sospettoso. –E se…-.
Adha si voltò. –Smettila, mi fido di Elena e del
suo buon senso. Tharidl è stato abbastanza chiaro
sull’argomento di cuore, e lei non si farà
condizionare da nessuno. Ha avuto modo di dimostrarmi che sa pensare
con la propria testa, e posso stare tranquilla-. La donna fece una
pausa, vedendolo distratto. –Qualcosa ti turba?- gli si
avvicinò.
Altair guardò a terra socchiudendo gli occhi.
–Cosa posso insegnarle ancora? Quella ragazza mi ha sconfitto
a duello- fece affranto.
Adha gli poggiò una mano sul viso. –Nulla, lascia
che sia lei a seguire te, non tu a doverle impartire ordini. Per una
volta segui il tuoi istinto, perché con le donne ci sai
fare, Altair- rise armoniosa.
L’uomo le strinse la mano nella sua, delicatamente.
–D’un tratto ho paura che le possa accadere
qualcosa, insomma- mormorò. – mi sembra
così… piccola che potrebbe essere nostra figlia-
rise di malo gusto.
Adha tacque un istante. –Se ti ha battuto in combattimento,
perché non dovrebbe cavarsela con le guardie di Saladino,
per fare un nome. Sai di che cosa è capace, lo sappiamo
entrambi…-.
Altair aggrottò le sopracciglia. –Ebbene?- chiese
stupito. – Tutti possono distrarsi, tutti possono inciampare
nella corsa. Non so come darle la forza sufficiente per seguirmi,
potrei…-
Adha annuì, comprendendo di cosa stesse parlando.
–Se davvero sei in pena per lei, cerca di non lasciarla mai
indietro. Sono certa che deve ancora acquistare forza nelle braccia e
nelle gambe per arrampicarsi sui tetti come te, ed è giusto
quello che il Maestro vuole che impari-.
Altair rimase in silenzio.
-Elena è una ragazza svelta con le parole, oltre che molto
bella, ma non troppo da attirare su di sé
l’attenzione. Se vuoi che raggiunga a pieno il primo rango,
devi istruirla sulle basi dell’indagine-.
-Mi stai suggerendo- ridacchiò lui. –di cominciare
con gli interrogatori, i borseggi? Le indagini sono tra le ultime delle
mie “lezioni” per i novizi- brontolò.
-Non importa, e sai bene che fin ora non hai trovato qualcuno che
potesse svolgerle per conto tuo- Adha incrociò le braccia
divertita.
Altair allargò le labbra in un sorriso. –Lo
ammetto, la ragazza potrebbe essermi utile. Oltremodo, mi
terrà occupato, non ce la faccio più!-
sbottò.
Adha si coprì la bocca con una mano, ridendo. –
Non dimenticare però, che un giorno dovrai esserle accanto
quando… e non sarà facile- si fece seria.
-È stato il mio primo pensiero- l’assassino
curvò le spalle appoggiandosi alla balconata.
Adha gli venne al fianco. –Solo allora dovrà
concentrarsi sulla sua vera natura- abbassò lo sguardo, e
delle ciocche di capelli le caddero sulle guance.
–Chissà come la prenderà-.
-Non è costretta a farlo- disse lui. –Elena
può scegliere che tipo di missioni svolgere, non voglio che
diventi come Vedova Nera!-.
-Non possiamo fare nulla, Altair!- Adha lo guardò con gli
occhi arrossati. –Giusto, lei potrà scegliere, ma
guardiamo in faccia la realtà. È un passo che
hanno fatto tutte prima di lei, ed Elena sentirà il dovere
di seguire sua madre e tutte le Dee- Adha alzò il mento
guardando di lato.
Altair le prese il viso tra le mani. –Tu puoi mostrarle
quanto sia rischioso e impuro. E so che lo farai- le disse sotto voce.
–Questa setta non ha bisogno di quei servigi. Nessuna di
quelle spudorate azioni è più dispensabile. Elena
imparerà l’arte del omicidio come gli altri
assassini. So che non le darai quelle lezioni, so che non le
insegnerai…-
Adha scosse la testa. – Allora ti sbagli. Credo molto in
quello che si cela nello spirito di una Dea, ed Elena,
poiché ella rimane tutt’ora sotto la mia custodia,
seguirà quella via-.
-Sai che non te lo lacerò fare- sorrise malizioso lui.
Adha ricambiò. –Lo so, ma non ho mai avuto
abbastanza paura di te per temere i tuoi ricatti-.
Adha lo baciò, dolce, sulle labbra e Altair la
lasciò fare come era già successo altre volte. Le
strinse il collo con una mano, mentre con l’altra la teneva
per la schiena.
E Adha si appoggiò al suo petto caldo.
Qualcuno bussò alla porta, e i due si staccarono
all’istante.
-Scusa…- mormorò Adha andando verso
l’ingresso.
Altair rimase immobile dov’era, spostando lo sguardo fuori
dalla balconata.
Adha aprì e fece il suo ingresso nella stanza un assassino.
–Mia signora, il Maestro vi chiama. Stanno portando il Frutto
a Masyaf- disse l’uomo.
Altair si voltò, schiudendo gli occhi.
Adha gli lanciò un’occhiata simile, e
l’uomo lasciò la stanza.
-Hai sentito?- domandò Altair andandole incontro.
–Perché? Doveva restare a Gerusalemme! Non
capisco- gridò.
La donna assentì. – Ti prego, non prendere
conclusioni affrettare, Tharidl sa quello che fa. Dopo gli ultimi
episodi a Gerusalemme, è meglio che il Tesoro sia tenuto
qui- pronunciò seria.
-Assurdo, la città è piccola, non vi è
luogo dove tenerlo! Si era deciso di non…-.
Adha gli saltò al collo, avvicinando la sua bocca
all’orecchio di lui. –Un nostro fratello
è morto per difendere la segretezza di dove lo tenevamo
celato, ora è bene che il Potere torni al sicuro. A costo di
mettere di nuovo a repentaglio la vita della nostra gente…-
sussurrò soave.
L’assassino la spinse via, stringendola per i fianchi.
– Non posso credere che tu l’abbia fatto. Sai bene
che quello che vai dicendo è rischioso!-.
-Sono mesi che rischiamo imboscate e agguati. Ho fatto portare qui il
Frutto perché venga discusso in sede definitiva a chi
affidarlo e dove lasciarlo- rispose lei in un brusio.
-Sei una pazza- le disse in fine andando verso l’ingresso.
–Non esistono mani per quell’oggetto, e portarlo
qui è stato imprudente e azzardato. Non avresti dovuto,
sento che qualcosa andrà storto…- uscì
sbattendo la porta.
-Perché mi hai portata qui?- domandò Elena.
Marhim le camminava davanti. –Adha mi ha chiesto di farti
riposare, ma anche di tenere la tua mente sempre allenata- rispose lui.
La biblioteca della fortezza era popolata come al solito. I saggi si
spostavano da parte all’altra dei corridoi, sparivano ai
piani superiori della stanza portando con sé volumi e
pergamene.
-Ti ricordi quando ti portai qui la prima volta?- fece Marhim mentre si
fermavano al centro della sala.
Sotto i loro piedi c’era un bellissimo ed enorme mosaico che
rappresentava il simbolo della setta. Elena si guardò
attorno. –Sì, e devo dire che non siamo mai
arrivati così lontani- commentò.
In alto, sul soffitto si apriva un grande lucernario che mostrava il
cielo azzurro e un unico compatto raggio di sole si gettava verso
terra. –Questo posto è magnifico- aggiunse la
ragazza accarezzando l’aria, osservando commossa il
pulviscolo atmosferico che brillava come tante perline galleggianti.
-Lo so- Marhim le si avvicinò guardando in alto.
–Ma torniamo a noi: c’è qualcosa da cui
ti piacerebbe cominciare? Testimonianze, racconti, storia, geografia-
le chiese.
Elena si stropicciò gli occhi ancora assonnati.
–Ecco, veramente volevo chiederti una cosa-.
-Dimmi- lui, disponibile, attese sorridendo.
Elena si avviò verso uno dei tavoli e vi sedette. Marhim
prese posto davanti a lei, aspettando. C’erano dei libri
appoggiati ad un braccio da lei, e la ragazza si allungò ad
afferrarne uno. Ne sfogliò le pagine.
Ad un tratto, Elena si schiarì la voce. –Mi hai
detto che il Frutto dell’Eden è ora nelle mani
della setta, ma, non per brutte intenzioni, dove si trova?-
curvò la testa di lato.
Marhim alzò le spalle. –Mi spiace, non sono tenuto
a saperlo, nessuno lo sa. Per certo posso dirti che il Frutto viene
continuamente spostato da una città all’altra del
Regno senza sosta. Serve per confondere i nostri nemici, ma anche per
non far crescere l’avidità tra i nostri alleati.
Da quando Al Mualim fu ucciso, vennero scelti due assassini meritevoli
per portare questo peso. Come fantasmi, sostano da città a
città senza alcun tragitto. Sono abili nel non farsi
riconoscere, e persino alle nostre guardie sono sfuggevoli alla vista.
Quando fermano in una Dimora, devono mostrare il Frutto al Capo Sede
così da ricevere la tappa successiva…- le
spiegò frettoloso.
-Questo coso…- borbottò Elena. –deve
avere un certo valore. Cos’è che fa,
precisamente?-.
-La specie umana è ancora troppo arretrata per godere del
suo potere. Che pare sia immenso…- Marhim la guardava come
se stesse sognando ad occhi aperti. Fissava un punto indistinto e
rispondeva alle sue domande senza muovere un muscolo se non quello
della bocca. –Mi chiedo come facciano i due assassini a non
cadere preda delle sue promesse…-.
-Promesse?- Elena alzò le spalle.
Marhim si riscosse. –Ora basta, non mi piace
parlarne…-.
-Non l’avevo capito!- rise lei. – è
successo qualcosa?-.
-A causa di quella maledetta lampadina è successo fin
troppo!- ringhiò il ragazzo. –Se Dio non
l’avesse inventata, ora i soldati di Riccardo non sarebbero
qui a combattere la loro stupida guerra, e Roberto non avrebbe decimato
la nostra gente!-.
Elena pensò che Marhim doveva aver perso qualcuno di caro
durante l’attacco di cui le aveva parlato. –Mi
dispiace- tornò seria -ma so come ci si sente tra le mani
degli altri ed essere l’ultima risorsa…-
bisbigliò tra sé.
Marhim la guardò dolce e si alzò, sedendole
subito accanto. –Forse dovremmo parlare di
qualcos’altro. Per esempio, come vanno i tuoi allenamenti con
Altair? Credi ancora che siano le peggiori torture di questo mondo?-
domandò beffandosi.
Elena alzò lo sguardo e vide che i suoi occhi erano poco
distanti da quelli di lei. –Ecco, ci sei andato vicino-
ridacchiò.
-Qui c’è gente che pagherebbe oro per imparare da
quell’assassino, e chi ne pagherebbe il doppio per avere
avuto l’opportunità di vincerlo al primo incontro.
Non mi dispiacerebbe se m’insegnassi qualcosa una volta
finiti i tuoi addestramenti-.
Elena si strinse nelle spalle. –Io che insegno a te?Certo, va
bene. In ogni caso continuo a pensare che sia stata davvero tutta
fortuna, forse non era al massimo delle sue forze. Ho approfittato di
lui, e mi dispiace così tanto- mormorò.
Marhim si avvicinò. –Scusa, ma cosa ti fa pensare
che tu non abbia le capacità che invece dimostri?-.
- All’allenamento di ieri avrebbe potuto buttarmi a terra con
il mignolo, dimostrava una forza che durante il nostro primo scontro
non aveva. Te lo posso giurare, è stata fortuna.
L’ho sconfitto per mera fortuna, quella volta-.
-Fa’ come credi, ma io continuerò a pensare che
sei davvero brava- le sorrise.
Lei arrossì. –Ehi, grazie- le sue guance presero
un colorito assurdo, e un brivido le percorse la schiena.
Improvvisamente alla ragazza parve che la sala si fosse spopolata sul
momento. I saggi, gli assassini, non c’era più
nessuno lì dentro, solo un mostruoso silenzio e un alone
d’imbarazzo che l’avvolgeva.
-Marhim! Marhim!-.
Halef veniva di corsa verso di loro, voltando rapido tra gli scaffali
di vecchi libri. Il ragazzo comparve di fronte ai due col fiatone.
–Marhim, devi venire… presto!- si
appoggiò alle ginocchia sfinito per la corsa.
Marhim scattò in piedi ed Elena con lui.
–Fratello-.
Halef lo guardò con il volto sudato. –Non sai che
corsa! I Falchi, fratello! Loro… stanno venendo qui!-
sbottò esausto.
Marhim irrigidì i muscoli, e si voltò verso di
Elena.
La ragazza taceva, confusa. –I chi?-.
-Parlavamo giusto di questo. I due assassini, noi li chiamiamo i
Falchi, ma non è ufficiale. Avanti, andiamo-.
Marhim le fece strada e lei lo seguì correndo.
Halef, in fondo, ritardò qualche secondo per riprendere
fiato. –Non aspettatemi… andate pure avanti!-
piagnucolò.
Tutta la gente di Masyaf sembrava riunita nel cortile interno, dove
guardie, saggi, assassini e popolani alimentavano il trambusto.
Marhim la prese per il polso e la trascinò con sé
verso il piano di sopra.
-Ma che fai? La folla è tutta dall’altra parte!-
le gridò Elena che lo seguiva correndo.
-Lo so, ma fidati!- le rispose. –Quando il tuo Maestro venne
giustiziato, assistetti da lì, ed è lì
che andremo! Non mi sorprenderà il fatto di trovarci qualcun
altro!-.
Marhim la portò attraverso un corridoio che dava con delle
grosse vetrate sul cortile, ed Elena vi lanciò
un’occhiata. Le fu impossibile contare o approssimare quanta
gente vi era riunita!
Marhim arrestò la corsa e si ritrovarono di fronte ad una
porta schiusa. Quando entrarono, si trovarono su un piccolo balcone di
legno che dava sul piazzale.
C’erano altri due assassini. Uno di loro era contro la parete
e dal volto celato, l’altro Elena lo riconobbe subito.
-Rhami- mormorò.
L’assassino si voltò e le sorrise.
–Marhim, Elena! Halef dev’essere rimasto indietro,
non è così?- chiese ridendo.
Marhim la spinse avanti e si sistemò alle sue spalle, per
assistere al meglio alla messa in scena.
Erano sopraelevati rispetto alla calca del cortile, e la visuale era
ottima su tutto il circondario.
Delle guardie stavano stringendo la gente lasciando libero
l’ingresso per la fortezza.
-Sì, poveretto- rispose Marhim. –Tra quanto
saranno qui?-.
-Non molto- rispose l’altro assassino, che Elena intese come
Adel.
Rhami tornò a guardare di sotto. –Quando ho
mandato il piccoletto a chiamarti, abbiamo saputo che erano
già nella valle-.
Elena sentì Marhim che la stringeva per i fianchi.
–E cosa ci fanno qui?- chiese ancora.
Rhami alzò le spalle, ma l’Angelo dietro fece un
passo verso il balcone. –Secondo te?-.
Marhim si voltò di scatto. –State scherzando,
vero? Non avranno mica perso il Frutto!- gridò.
I due tacquero. –Non potremmo neppure essere qui, come
facciamo a saperlo?…- borbottò Rhami.
Elena vide Adha farsi largo tra la folla, e alle sue spalle camminava
Tharidl scortato da alcune guardie.
-Che mi sono perso?!- Halef si aggiunse al gruppetto trovando un buco
dal quale sbirciare.
-Nulla, ora sta zitto!- Marhim lo prese per il cappuccio e lo
trascinò accanto ad Elena, che stava in silenzio a guardare.
-Arrivano!- gridò una vedetta.
I due Falchi entrarono al galoppo dentro il cortile e la gente si
stanziò spaventata.
I cavalieri erano celati da pesanti mantelle bianche munite di
cappuccio, e tentavano di tenere a freno i cavalli sbizzarriti dopo la
corsa. –Ah!- intonavano tirando le redini.
I cavalli colpivano il terreno con gli zoccoli con una forza
spaventosa, i muscoli ancora pulsanti e i nitrii
dall’eccitazione.
Il popolo si fece da parte, e i due cavalieri raggiunsero a passo il
Maestro e Adha davanti all’ingresso della sala.
Quando smontarono, s’inginocchiarono al cospetto del Maestro.
–Tharidl, su vostra richiesta abbiamo ricondotto a Masyaf il
Frutto dell’Eden…- fece il primo.
Il secondo si alzò, e recuperò dalla sella del
suo destriero un cofanetto di legno.
Tharidl fece un cenno ad una guardia, che si apprestò a
toglierglielo di mano. Poi la guardia si avviò scortata da
alcuni assassini dentro la fortezza, con in grembo lo scrigno.
-Venite, è tempo che ciò sia fatto- disse il
vecchio.
I Falchi, Adha e alcuni assassini lo seguirono dentro e una grata
calò a sbarrare l’ingresso.
-Dove stanno andando?- chiese Elena guardando come la gente lasciava il
cortile poco a poco.
Rhami e Adel si avviarono abbandonando il balcone, Halef rimase coi due.
-Per un momento abbiamo pensato il peggio- mormorò Halef
affacciandosi al parapetto.
–Pensavamo che il Frutto fosse stato rubato, ma a quanto pare
qualcuno ha semplicemente ordinato di farlo portare in
città- disse Marhim. –Ma
perché?…-
Halef si alzò il cappuccio sul volto. –Io vado,
fratello. Fredrik mi sta aspettando fuori le mura!- ruggì a
denti stretti.
Elena curvò le spalle. –Halef, mi spiace- le
scappò di bocca.
Marhim fulminò il fratello con un’occhiataccia.
–Non è colpa di nessuno. Se hai lamentele,
va’ a parlarne con il Maestro. Non hai motivo di prendertela
con lei. E ci sono questioni più importanti che richiedono
le nostre attenzioni. Stai certo, fratellino, che Elena
dovrà saltare qualche allenamento per questo scherzetto di
Tharidl- disse austero.
Halef strinse le cinghie del guanto. –Come vuoi…-
e lasciò anche lui il balcone.
-Non farci caso- Marhim si voltò verso di lei.
-Nessun problema, in fondo, sono abituata ad essere vista per quello
che sono- borbottò guardando il cortile con gli occhi
schiusi.
-E cosa sei?- le domandò Marhim appoggiando i gomiti al
parapetto.
-Un parassita. Fin dal mio primo giorno qui sono stata un peso, un
problema per tutto e tutti. Sono una calamita acchiappa guai e
un’ape che sparge il polline del caos!- si sfogò.
-Non è certo colpa tua se i Falchi hanno portato qui il
Frutto, non c’è nulla di male in questo!- rise
lui. –Avanti, sei troppo esagerata. Comunque volevo
avvertirti che questo pomeriggio non ci sarò-.
Elena alzò lo sguardo, spaesata. –Cosa? Guarda che
mi hai promesso di…-.
-Lo so, ma ho bisogno di vedere un vecchio amico non molto lontano.
Sarò di ritorno domani mattina, giusto in tempo per buttarti
giù dal letto!- sorrise.
Elena trattene la risata –Va bene, sopravvivrò-.
-Grazie- poi Marhim la condusse dentro la fortezza richiudendo a chiave
la porta della balconata.
NON CI POSSO
CREDERE!
Ho scritto questo
capitolo che conta in totale 11 pagine in un solo giorno! Avevo idee
che si accavallavano le une sulle altre, la testa mi scoppiava, gli
occhi mi si chiudevano. La mia scuola scioperava, ho approfittato anche
per ripassare storia, che credete!?
In ogni caso,
giunta a questo punto della storia vorrei accennare ad alcuni piccoli
chiarimenti che non sono indispensabili.
1.
Avrete notato che l’Altair della mia storia si
rifà più a quello dell’inizio del
gioco. Infatti è così, mi sono innamorata
dell’assassino scorbutico e prepotente che manda tutto a
put**ne nel Tempio!
2.
Elena sta ancora cercando suo fratello, ricordate?
L’incognito pargolo che portava la catenella di Alice quando
Kalel lo lasciò a Tharidl. Ecco, so che in questi capitoli
ne ho parlato poco, anzi, me ne sono proprio scordata, ma
vedrò di rimediare.
3.
Come punto terzo, scrivete una recensione!!!!! Grazie.
4.
Altair e Adha sono coppia fissa da quando lei ha fatto
ritorno. Precisamente, ecco… ve ne parlerò in
seguito.
5.
Elena temeva di doversi tagliare i capelli per via del
cappuccio troppo stretto.
6.
La divisa da assassina è differente da quella da
Angelo per il semplice fatto che un tempo le Dee svolgevano, vediamo,
incarichi “differenti”.
7.
Spero di non aver affrettato troppo le cose, forse avrei
dovuto dare più spazio agli allenamenti, ma è
stata una mia amica a suggerirmi di accorciare, o qui non si finisce
più!
8.
Il prossimo capitolo sarà quello che
darà l’imput all’inizio
dell’avventura. Vi do un indizio, uno solo: Altair aveva
ragione…
Continuate a
seguirmi!!! ^__^
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Capitolo 17 *** La tempesta ***
La
tempesta
La schermata dell’Animus volò via dal mio campo
visivo, mi alzai e scattai subito in piedi. –Che
novità?- mi guardai in giro.
Desmond era ancora steso nella macchina accanto. I suoi occhi fissavano
il vuoto, spalancati.
C’era Vidic in fondo, seduto alla sua scrivania, ma Lucy
sembrava essersi dissolta nel nulla.
–Dov’è Lucy?- chiesi.
Warren continuò a picchiettare sulla tastiera. –
Ha chiesto un permesso e ha lasciato l’edificio.
Sarà di ritorno domani mattina- mi rispose.
-Bene- sospirai e mi sedetti sulla poltroncina. –è
per questo che sono uscita?- domandai guardando il soffitto.
Improvvisamente, anche l’Animus su cui lavorava Desmond
arrestò il sistema, e lo schermo venne via. Il ragazzo
sollevò il busto sbattendo le palpebre diverse volte.
–Non sono più abituato!- rise alzandosi.
Gli lanciai un sorriso. –E così il tuo antenato fu
il maestro della mia ava-.
-Già, assurdo- fece lui mettendosi le mani in tasca.
–Doc, dov’è Lucy?-.
Fuori dalle vetrate era notte fonda, le luci dei grattacieli oscuravano
le stelle, le strade trafficate e caoticamente mute.
Warren ripeté esattamente: - Ha chiesto un permesso e ha
lasciato l’edificio. Sarà di ritorno domani
mattina- non staccò gli occhi dallo schermo e bevve un sorso
di caffè.
Guardai Desmond diversi istanti, e lui fissò me, poi ci
voltammo verso il professore. –E noi?- domandammo
all’unisono.
Warren sottinse una risata e lasciò la tazza sulla
scrivania. –E voi potreste approfittarne per recuperare un
po’ di forze, no?-.
Alzai le spalle e mi diressi nella mia stanza. La porta si chiuse alle
mie spalle, mi gettai sul letto pancia sotto e dopo pochi
minuti presi sonno senza accorgermene.
-Voglio parlare con il prigioniero- disse Lucy seria.
-Mi spiace signorina, non è autorizzata ad entrare- gli
sbottò la guardia federale. –è sotto la
nostra custodia fin quando non avrà trovato un avvocato-.
Lucy guardò in basso. –Facciamo così.
Io glielo chiederò un’ultima volta, e lei
risponderà con cortesia: certamente. Sono stata chiara?-.
Era un corridoio buio e silenzioso. Poco illuminato e desolato.
-Ahaha!- rise il poliziotto. –Sennò che mi fai?-.
-Voglio parlare con il prigioniero…- ripeté Lucy
paziente.
-Scordatelo, e ora leva i tacchi!- l’uomo indicò
la fine del corridoio.
Gli occhi di Lucy balenarono, e la donna alzò un braccio. La
sua mano calò, svelta e letale, sul collo
dell’uomo, che nell’arco di mezzo secondo si
accascio al suolo.
Lucy estrasse un fazzoletto di tessuto dalla tasca dei pantaloni e vi
pulì la lama, che in seguito ritrasse. –Non sono
più abituata…- arricciò il naso,
perché l’odore del sangue le dava alla testa, e
alla sua vista la sua mente aveva un attimo di smarrimento.
La donna si chinò sul corpo della guardia e
osservò il colpo letale che gli aveva inflitto.
Pensando che non le restava molto tempo, Lucy frugò nelle
tasche della divisa e trovò le chiavi.
Scavalcò il corpo e aprì la porta, che si
aprì scivolando sul pavimento. Entrò nella
stanza, e la porta si chiuse alle sue spalle.
Un solo, unico fascio di luce di una lampada attaccata alla parete
andava ad illuminare il volto di un uomo. Era giovane, sulla trentina
d’anni ed era rannicchiato nel buio. –Lucy!-
sussurrò alzandosi.
–Speravo che venissi, non sai che gioia!- aggiunse andandole
incontro.
-Andy- Lucy lo abbracciò. –Confido che tu sia in
buona forma per lasciare questo posto, credi di farcela?- gli chiese.
Andy era un uomo alto, coi capelli corti quasi rapati. Indossava parte
della sua tuta mimetica, ma a coprirgli il petto aveva una canottiera
senza maniche. –Sì, posso farcela, ma tu hai
portato il ricordo?-.
Lucy si cacciò una mano in tasca, poi mise nel palmo del
compagno una chiavetta. –è tutto qui dentro.
Stanno venendo a prenderti, devi raggiungere il condotto fognario e
uscire da questa merda!- Lucy lo abbracciò di nuovo.
-Stai tranqui, piccola. Avrebbero potuto ammazzarmi, ma non
l’hanno fatto, Dio mi assiste- rise.
-Se lo dici tu- lei si staccò.
Andy la fissava. –Abbiamo quello che ci serve, vieni via con
noi- le disse.
Lucy si aggiustò i capelli. –Non posso, se
qualcosa andasse storto dovrei intervenire di persona, come oggi.
Vorrei tanto, ma l’Abstergo ora sa che la confraternita ha
delle ultime risorse. Faranno di tutto per trovarvi e spacciarvi via,
il fallimento di oggi è stato un duro colpo.
Perché non hai agito come deciso?!- lo rimproverò.
-Ah!- ansimò il ragazzo. –Credi che sia venuto da
solo? Oggi Ashley e Nick hanno perso la vita! Dovevano tenere buone le
sentinelle e occuparsi delle telecamere, ma qualcosa è
andato nel verso sbagliato e cosa potevo fare io se non agire al
più presto? E tu dov’eri, scusa?- le rispose con
tono troppo alto.
Lucy gli fece cenno di abbassare la voce. –Warren mi ha
buttata fuori. Non sono certa che l’Abstergo sappia di me, ma
posso solo dirti che dovrete muovervi con più prudenza la
prossima volta. E comunque… mi dispiace-.
-Di cosa?- lui la guardò afflitto.
Lucy curvò le spalle e incrociò le braccia.
–Per Ashley e Nick. Potevano fare la differenza, e li
conoscevamo bene…- mormorò.
Rimasero in silenzio.
Un botto improvviso li fece sobbalzare. –Che succede?!-
gridò Andy andandole accanto.
Lucy si guardò attorno spaventata. –Devi
andartene! Vai!- lo spinse fuori dalla cella e i due corsero nel
corridoio.
Raggiunsero una sala che collegava tutti i diversi androni e si
appiattirono contro la parete.
-Muoversi, muoversi, muoversi!- gridava una guardia incitando i
poliziotti a lasciare la stanza.
D’un tratto si attivò un allarme assordante che
rimbombò per tutto l’edificio.
-Merda!- emise Andy. –Li hanno scoperti!-.
Lucy e il ragazzo attesero che le guardie si allontanassero, poi
presero a correre nella direzione opposta.
-Tieni!- Lucy gli porse un cellulare palmare e una pistola.
–Ti serviranno. C’è una mappa nel
telefono col percorso più rapido fino alle fogne. Arrivaci
vivo, per favore!- gli schioccò un bacio sulla guancia e si
separarono.
-Magnifico!- Warren sbatté il giornale con violenza sulla
scrivania. –Grandioso! Ci mancava solo questa!-
gridò passandosi le mani sul volto.
Feci un passo indietro spaventata. –Che è
successo?- chiesi flebile.
Vidic si voltò e mi guardò con rabbia, poi
spostò il suo sguardo truce sulla persona cui era veramente
diretto. –Quel pazzo è scappato!- si rivolse a
Lucy. –E qualcuno l’hai aiutato a fuggire! Ma non
solo, ce n’erano una quindicina appostati appena fuori la
stazione di polizia! È incredibile, stupefacente! Non ci
posso credere!- a breve avrebbe cominciato a strapparsi i capelli.
-Si calmi, Vidic!- Lucy gli andò incontro.
–è fuggito, d’accordo, ma abbiamo altro
a cui pensare, avanti. Lei lo sa bene quanto è importante
finire al più presto, non possiamo fermarci ad ogni
inconveniente- gli disse tranquilla. –La prego, faccio fatica
a stare in piedi anche io alla notizia- aggiunse.
Warren tacque un istante. –E va bene, ma lasciò a
lei le redini della carrozza, signorina Stilman- disse mettendosi la
giacca. –Questa mattina ho intenzione di discuterne con Alex
Viego. Sicuramente starà peggio di me-.
Warren lasciò il laboratorio.
Mi affiancai a Lucy nascondendo il mio stupore. –Che
cosa?…- provai.
-Forza, cominciamo- disse Lucy andando verso l’Animus. Accese
il portatile e cominciò con i preliminari.
-Nottataccia?- domandai. –Tutti due? Si può
sapere…-
Lucy si stropicciò gli occhi. –Non ti riguarda-
proruppe.
Mi stesi sull’Animus senza aggiungere altro.
–Desmond?- chiesi mentre la schermata mi si parava davanti.
Nessuno mi rispose.
-Avanti, abbiamo troppo lavoro da fare- fu la risposta netta di Lucy.
Mi sciolsi il collo con alcuni movimenti, mi sistemai più
comoda e la luce bianca accecante mi avvolse, assieme ad un alone di
dubbi.
-Che cosa stiamo aspettando?- domandò la guardia al compagno.
-Non saprei- rispose l’altro, e un tuono squarciò
il silenzio della sala.
-Aspettiamo qui da ore, eppure non si vede nessuno!- sbottò
quello.
-Aspetta! Arrivano…- i battenti della stanza si spalancarono.
Un assassino entrò, e dietro di lui un corteo di guardie
assieme al gran Maestro.
Una guardia stringeva tra le braccia un cofanetto di legno, che
andò a poggiare sull’altare di pietra. Alle sue
spalle, si sistemarono in semi cerchio tutti i presenti. Tharidl fece
un passo più avanti e si schiarì la voce.
L’assassino che era entrato per primo si avvicinò
ad Adha. –Spero che sarai contenta- le sussurrò.
Adha non si scompose. –Lo sono- mormorò.
-Oggi abbiamo fatto portare qui il Frutto dell’Eden per vari
motivi- cominciò il Maestro. -In testa a tutti, ricordiamo
che le strade del Regno sono battute giorno dopo giorno da un numero
crescente di spie, seguaci e armate nemiche. Si stanno costruendo i
confini di due fazioni che sono incerte sul datarsi, Saladino e
Riccardo non potranno tenere buona la situazione ancora per molto-.
Nella sala si aggiunsero i due Falchi, che si sistemarono poco in
fondo, vicino alle guardie.
-Il Tesoro, come ben sappiamo, non può sostare troppo a
lungo nello stesso luogo, ma dopo gli ultimi avvenimenti a Gerusalemme,
spostarlo repentinamente per il Regno in questi tempi sarebbe come
metterlo alla mercé del primo passante. Ebbene, io e Adha
abbiamo deciso di tenerlo segregato in luogo detto a sapere solo a lei,
che in nessun modo oserà rivelare né a me
né a chiunque sia in grado di entrarne a conoscenza- gli
occhi di Tharidl si spostarono un istante sull’assassino
accanto alla donna, e Altair alzò il mento fiero.
Tharidl riprese il discorso. –Per ora non possiamo fare nulla
se non preservare la segretezza dei fatti. I nostri fratelli assassini
continueranno il loro operato, gli itinerari e gli addestramenti non
verranno sospesi ma bensì quadruplicati. La nostra gente
è sotto stretta sorveglianza, poiché temiamo che
i nostri nemici sappiano che ora il frutto è qui.
Fortunatamente entrambi gli eserciti sono impegnati altrove, ma sono
tempi in cui non possiamo lo stesso permetterci di tenere bassa la
guardia. Per tanto, voglio sentinelle con turni continui a tutte le
ore, assieme ad un maggiore controllo da parte delle guardie cittadine.
Gli Angeli senza incarichi a pieno presteranno il servizio necessario
per rafforzare la nostra potenza di difesa, che chiunque sappia
imbracciare un’arma impari ad usarla, e che Dio ci
aiuti…- il Maestro guardò a terra, rimanendo in
silenzio.
Un tuono, e la pioggia venne giù sulla fortezza.
Elena si alzò di soprassalto.
Le ante delle finestra sbattevano nel buio, e la pioggia entrava a
fiotti rovesciandosi sul pavimento.
La ragazza scattò in piedi e corse nel salone,
scivolò tuttavia tenne l’equilibrio. Si
apprestò alla svelta a chiudere tutte le finestre e a
sigillarle per bene, ma la tempesta non ebbe pietà.
Tuoni e lampi si agitavano sopra Masyaf, costringendo il cielo ad una
compatta ombra grigia scura, macchiata da improvvisi bagliori
giallastri. I luccichio delle gocce, invece, era continuo e quasi
accecante.
La ragazza divenne zuppa in poco tempo, e dopo aver chiuso anche
l’ultima finestra, si guardò attorno con il cuore
che batteva all’impazzata.
L’intero salone: i cuscini, i tappeti e gli arazzi erano
fradici. Non sapeva come avrebbe risolto la situazione, non sapeva da
dove cominciare.
Corse nel bagno e si buttò addosso degli abiti asciutti. Poi
afferrò una decina di asciugamani e li gettò sul
pavimento della sala. Tirando su col naso, prese a strofinare tegola
dopo tegola di legno. Doveva fare in fretta, o l’acqua
sarebbe filtrata e avrebbe rovinato la struttura della camera,
cominciando per l’appunto da terra.
Finì in un’ora circa. Aveva ammassato gli stracci
bagnati vicino all’ingresso del bagno, e si apprestava a
strizzare i cuscini facendo colare l’acqua nella vasca da
bagno.
Non poteva fare nulla per gli arazzi e i cuscini: avrebbe aspettato che
tornasse il sole per poterli stendere, ma in quel momento decise che
per trattenere il caldo nella stanza avrebbe dovuto portarli altrove.
Con pazienza arrotolò gran parte dei tappeti e li
scagliò in un angolo del bagno. Si disse che
l’umidità non avrebbe fatto granché al
pavimento di marmo, e scagliò lì anche gli
asciugamani.
Si fermò restando seduta in ginocchio. Le mani giunte in
grembo e i capelli che le cadevano sul viso, ancora bagnati.
Alzò lo sguardo lentamente, e osservò stupefatta
la pioggia che violentava i vetri. I tuoni che spaventavano gli uccelli
e la natura che si abbatteva contro la fortezza.
Pensò che era tutta colpa del Frutto. Come non attribuire
quella catastrofe ad un oggetto di tale potere? Forse qualcosa sarebbe
davvero andato storto nella sua permanenza. Quella lampadina avrebbe
causato parecchi guai se fosse rimasta lì, e Dio, con i suoi
tuoni e le sue lacrime, voleva avvertire la gente di Masyaf di questo.
Elena si alzò e si avvicinò alla finestra chiusa.
Gran parte della superficie trasparente era appannata, e la ragazza
dovette passarci la mano sopra per poter osservare la vista.
Gli ulivi si piegavano come steli e le guardie sulle mura erano
raggruppate contro la parete della torre. La pioggia cadeva obliqua e
quello era l’unico modo per non venir
“trafitti” dalla sua intensità.
Elena era spaventata, eppure la pioggia le era sempre piaciuta. Le
balzarono alla mente le nere giornate di Acri, quando pioveva per una
settimana intera e la gente passeggiava come fosse nulla.
C’era però una vasta differenza
d’intensità che Dio voleva sottolineare. Mai la
ragazza aveva visto bufera più spietata.
Camminò dalla parte opposta della stanza e
schiarì il vetro della finestra che dava sulla veduta a
nord.
Le onde del lago si abbattevano fragorose sul pendio roccioso, che in
alcuni punti cadeva a pezzi: esatto, frammenti di roccia si staccavano
dallo strapiombo e si gettavano nelle acque tormentate del lago.
Era uno spettacolo accattivante, ma affascinante si disse Elena.
La ragazza andò nella sua camera e si coprì le
spalle con un mantello scuro, in seguito lasciò i dormitori.
Camminava scalza sul pavimento di pietra attraversando silenziosa il
corridoio degli Angeli. Ad illuminare le pareti c’erano dei
bracieri sospesi in alto sul soffitto.
Elena raggiunse le scale e sgattaiolò fino al piano
dell’infermeria e oltre.
Quando si fermò, si strinse nelle spalle.
I battenti della sala del secondo piano erano socchiusi, e
dall’interno venivano grida e pianti infantili, accompagnati
dai boati della tempesta.
La ragazza fece irruzione nella stanza e si apprestò a
sigillare sull’immediato tutte le finestre, rimaste anche
quelle aperte.
I bambini correvano terrorizzati da parte a parte della camera, chi
stringeva bambole di pezza e chi invece si rannicchiava tra i cuscini
fradici.
Elena cercò di attirare l’attenzione.
–Scusate…- disse flebile spostando lo sguardo a
destra e sinistra, girando su se stessa. –Scusatemi,
potreste…- balbettò, ma nulla da fare.
I giovani erano sconvolti, i loro volti contratti dalla paura, gli
occhi sofferenti e stretti.
Elena notò un gruppo di giovani tra gli otto e dieci anni
appartati in un angolo. Seduti in circolo a chiacchierare tranquilli.
Elena li si avvicinò.
-Voi state bene?- domandò in un sussurro.
I ragazzi la guardarono con sguardi truci, tutt’altro che
spaventati.
-Fanno sempre così- intervenne uno di loro. Aveva i capelli
tagliati a zero, e nel buio della notte i suoi occhi brillavano di un
verde smeraldo. La carnagione scura e l’atteggiamento
superiore. –Nessuno li ha insegnato a tenere un sonno
abbastanza profondo, ma dopo un po’ si calmano- aggiunse.
Elena si accovacciò. –Potreste darmi una mano a
calmarli?- chiese ai giovani. –Non vorrei che…-
sospese la frase sorridendo.
-Non è un nostro problema, siamo abituati. Se a te non sta
bene, allora nessuno verrà ad aiutarti- disse un altro.
–Qui nessuno interviene mai per calmarli quando gridano.
Raramente un assassino si abbassa a questi livelli, e le stanze delle
serve sono troppo lontane per sentirli- sbottò cupo.
Elena guardò il più minuto del gruppo.
–Già- disse afflitto il ragazzo biondo dal taglio
corto. –Tutti gli assassini tranne uno…-.
I ragazzi si alzarono lentamente e tornarono nelle loro stanze, senza
aggiungere nulla.
Elena rimase sola nella sala, assieme ad una dozzina di bambini dai tre
ai sei anni d’età che sbraitavano e piangevano.
Era dannatamente commossa da quello che i ragazzi più grandi
le avevano rivelato. Non solo a questi bambini veniva insegnato ad
uccidere, pensò squadrando volto dopo volto i pargoli, ma
nessuno dimostrava mai quel tatto sufficiente ad instaurare con loro un
vero e proprio rapporto come quello di una madre o un padre.
Quelli erano gli orfani, si disse. I bambini che frequentavano gli
addestramenti ma avevano una famiglia sostavano la notte con i loro
parenti fuori dalla fortezza, prendendo poi le dovute lezioni
all’interno.
Un tempo tra quei bambini era cresciuto suo fratello, e
chissà come aveva sconvolto la sua
personalità…
Elena si avvicinò ad un bambino seduto a terra con gli occhi
arrossati. Il ragazzo sobbalzò quando un tuono
squassò l’aria.
Elena gli sedette accanto e lo accarezzò sui capelli.
–Di cosa hai paura?- gli chiese dolce.
Il bambino si voltò e improvvisamente la strinse,
attaccandosi a lei.
Elena continuò ad accarezzargli i capelli, mentre il piccolo
cominciava a bagnarle la camicia da notte con le lacrime.
-Su, su…- mormorò lei.
Alcuni degli altri bambini la guardarono speranzosi da lontano, altri
le si avvicinarono.
Elena vide uno scaffale impolverato vicino all’ingresso. Si
alzò, portando con sé in braccio il bambino che
pesava quanto un gratto. Notò sorridendo che la libreria
ospitava qualche libro interessate, ma erano davvero pochi, buttati
senza un ordine preciso tra la polvere e le pergamene.
Elena afferrò il primo con una mano e né
sfogliò le pagine poggiandolo a terra. Si sedette a gambe
incrociate tenendosi stretta al collo il ragazzino.
Era un fiaba che cominciava con un incantevole c’era una
volta, assieme a delle bellissime illustrazioni fatte a penna
d’oca con un inchiostro particolare.
Fu felice che molti bambini le si erano seduti in circolo,
così cominciò a leggere.
Chi non si era avvicinato era rannicchiato altrove ancora in lacrime,
ma nei loro occhi Elena vedeva la curiosità balenare di una
luce bianca.
- C’era una volta un vecchio mercante di Damasco che vendeva
oggetti rubati. Di fatti, il buon uomo mandava i suoi aiutanti a rubare
nelle case più ricche di tutta la città!- leggeva
dando patos e intonazione, per attirare ancor più
attenzione. –Spesso i suoi seguaci gli riportavano gli stessi
vasi che aveva già venduto, così un giorno, una
donna che era serva della padrona cui era stato rubato un vaso si
accorse del suo cesto tra gli oggetti della bancarella e
denunciò il mercante. Egli, però, non volle
ammettere la verità, e con poche monete riuscì a
comprare il silenzio della donna. La padrona di casa si accorse tardi
di quello che era successo, ma trovò comunque un modo per
spezzare la catena di truffe. Ella si rivolse al Maestro e…-
Elena riuscì ad immaginare a quale Maestro la storia
s’ispirasse, e andare oltre nella fiaba le sembrava sciocco.
Chissà quante volte qualcuno l’aveva
già letta…
Un bambino le tirò la manica della tunica, ed Elena si
voltò sorridendogli.
-Vai avanti?- le chiese il pargolo con la vocina di uno strumento
musicale.
Elena annuì. –Certo, stavo solo pensando: questo
mercante era davvero cattivo!- rise, e le guance del bambino si
colorarono.
-Bene, andiamo avanti… Ella si rivolse al Maestro, che a sua
volta ingaggiò il suo più valoroso assassino.
Egli agì con competenza, e la piuma si macchio del sangue
del mercante di Damasco…- ma che razza si storia era?! Si
chiese Elena chiudendo il libro.
Era terribile che persino nel storie che passava il convento fossero
così brutali. La parola “sangue” non
doveva comparire in una fiaba, le novelle erano quelle che insegnavano
a rispettare le regole della mamma, a non andare nel bosco o parlare
coi lupi cattivi.
Elena passò un’occhiata veloce alle storie
precedenti, e vide che le ultime frasi di “tutte”
le fiabe si concludevano con le parole: “la piuma si
macchiò del sangue di”…
Elena chiuse con violenza il testo, e i bambini sobbalzarono.
–Facciamo così- intervenne lei, e un tuono
attraversò il tempo e lo spazio della stanza.
Elena sorrise, mostrandosi calorosa anche quando tutti i bambini
attorno a lei stavano riacquistando freddezza. –Ve la
racconto io una bella storia- fece armoniosa.
-Senza leggere?- chiese un ragazzino.
-Sei brava? Come si chiama il protagonista?- domandò un
altro.
I piccoletti erano entusiasti delle novità, seppur piccole e
insignificanti.
Elena si schiarì la voce. –Allora, il protagonista
della nostra avventura è una bambina che portava sempre una
mantellina rossa. Il suo nome era cappuccetto rosso, ed era una
ragazzina sempre allegra. Viveva con la sua mamma vicino
all’argine di un bosco, e tutte le mattine cappuccetto andava
a trovare la sua nonna malata. Una bellissima giornata
d’estate la mamma di cappuccetto le affidò un
cesto con una buonissima torta di mele che doveva portare alla nonna.
La mamma si raccomandò come tutte le volte che cappuccetto
non passasse per il bosco perché c’era un lupo
cattivo che era molto furbo, e cappuccetto la rassicurò che
non le avrebbe mai disobbedito. Così cappuccetto intraprese
il sentiero che costeggiava il bosco trotterellando allegra. Ad un
tratto, vide un bellissimo prato fiorito celato tra gli alberi.
Cappuccetto deviò il suo percorso e andò a
cogliere alcuni dei fiorellini, pensando che avrebbero fatto piacere
alla nonnina. Ma improvvisamente, dal bosco saltò fuori un
orribile lupo grigio!-
-Ah!- i bambini gridarono, ed Elena cominciò a ridere.
-Si mangia cappuccetto?- le pianse sulla spalla il bambino che aveva in
braccio.
-Aspettate, la storia non è ancora finita! Dunque,
dov’ero rimasta? Ah, certo… cappuccetto era molto
spaventata, ma il lupo le disse che anche lui voleva fare una bella
sorpresa alla nonna. Cappuccetto a quel punto gli chiese quale bella
sorpresa, e il lupo le disse che voleva fargli una visita anche lui,
perché erano vecchi amici. Allora cappuccetto gli chiese se
volevano andare insieme, ma il lupo le rispose…-.
-I lupi non parlano- sbottò una voce adulta, severa.
Elena si staccò dal collo il bambino e si alzò.
Sull’uscio della sala sorgeva la figura di un uomo, il volto
celato dal cappuccio e delle vesti che Elena riconobbe subito.
-Maestro- chinò il capo.
Altair mosse i passi dentro la stanza e i bambini corsero subito nei
loro letti, svelti, silenziosi, intimoriti dalla presenza
dell’uomo.
-Cosa ci fai qui?- le chiese guardandola.
-Ecco, io ho trovato le finestre aperte, la pioggia entrava e bagnava
il pavimento- balbettò. –ho pensato che non
sarebbe accorto nessuno, così…-.
-Non sei tenuta a certi incarichi, devi capire bene quali sono i tuoi
limiti qui- la rimproverò lui.
-Certamente- la ragazza abbassò ancora di più gli
occhi.
-Tutta via- continuò l’assassino avvicinandosi.
–Sei riuscita a calmarli, e non è da poco- le
disse contento.
Elena sorrise. –Sì, e credo che me
vanterò- si chinò a raccogliere il libro da terra
e lo portò al suo posto.
-Ora puoi andare, la tempesta sta cessando e da domani le cose
cambieranno- fece serio.
Elena aggrottò la fronte. –Maestro, se posso,
è successo qualcosa? Dopo l’arrivo del Frutto,
intendo…-.
-Non ti riguarda, piuttosto ti basti sapere che Tharidl ha ordinato di
affrettare i tuoi come gli addestramenti degli altri assassini. Con il
Frutto chiuso tra queste mura, ha messo a repentaglio la vita della
gente di Masyaf, da vero stolto…- borbottò
più per se stesso.
Elena si avvicinò a lui. –Quale sarà il
vostro e il mio compito, in tutto questo?- domandò a bassa
voce.
Altair alzò gli occhi su di lei e la fissò a
lungo. –Ho detto che da domani tutto potrebbe cambiare, ma
per quanto ci riguarda, noi assassini non svolgeremo nessun incarico al
di fuori di quello che c’è stato assegnato-.
Un altro lampo rimbombò per la fortezza, e i vetri delle
finestre sbatterono.
Elena sobbalzò.
–Se il Frutto non è al sicuro qui e in nessun
altro posto, sarebbe bene distruggerlo- proferì Altair
guardando fuori dalle vetrate.
-Distruggerlo?- ripeté lei sorpresa.
L’Angelo emise un gran sospiro. –Avanti, cerca di
riprendere sonno. I tempi duri stanno tornando…-.
Elena lo salutò con un inchino della testa, poi si
avviò sulle scale.
Quando raggiunse le sue stanze e si gettò sul letto, non
riuscì a riaddormentarsi. Le fu impossibile chiudere gli
occhi, ad ogni ululato della tempesta il suo cuore aveva un fremito e
lei si girava da parte a parte del materasso.
La collana di sua madre le cadde di lato, finendo accanto al cuscino.
Elena la strinse con una mano, pensando che per lei i tempi duri erano
cominciati appena qualche settimana prima.
-Elena…- Adha, seduta al suo fianco, le accarezzò
una guancia.
La ragazza si stropicciò gli occhi.
–Sì?- domandò con voce rauca alzando il
busto.
-Devi svegliarti e prepararti, Altair ti attende fuori dalle mura-
disse la donna avviandosi all’uscita.
-Fuori le mura?- si chiese Elena vestendosi con la sua divisa.
Lasciò gli alloggi con un alone di dubbi in mente.
La fortezza brillava di un grigio intenso. Il tempo non era cambiato,
grosse nuvole scure si annidavano sopra la città e
l’umidità veniva trascinata da parte a parte della
valle da una corrente d’aria fredda.
Raggiunto il cortile interno, Elena notò che c’era
una gran massa di assassini e guardie concentrata attorno al campo
d’addestramento.
Avvicinandosi, riconobbe Marhim che si addestrava contro un assassino
che identificò come Fredrik.
Quando lo sguardo dell’amico volò su di lei giusto
un attimo, Elena gli sorrise; poi Marhim tornò a
fronteggiare l’avversario.
Stette a guardare finché Fredrik non riuscì a
costringerlo a terra. –Sei bravo, non lo nego, ma indietreggi
troppo. Il prossimo!- proferì l’assassino aiutando
Marhim ad alzarsi.
Nel campo entrò un altro ragazzo, e l’allenamento
riprese.
Marhim saltò la staccionata e le venne incontro ancora col
fiato corto. –Eccoti- disse. –Hai idea di che ore
siano?- le sorrise divertito.
Elena curvò un sopracciglio. –Ho dormito
così tanto?- sbottò incredula.
Marhim annuì. –So che Altair ti aspetta fuori le
mura, oggi lezioncina comune- la informò.
Elena spostò il peso sull’altra gamba.
–Lezioncina cosa?-.
-Quindi Adha non te l’ha detto, pazienza… si
tratta di una addestramento particolare. Altair deve aver chiesto un
permesso al Maestro per questo, dato che tu ora se la sua unica
allieva. Nella lezione comune Altair avrà chiamato altri
assassini a fronteggiarsi con te, e la cosa vedrai, sarà
divertente. Però non mi quadra che abbia deciso di portarvi
fuori. Insomma, spero che ti piaccia, posso accompagnarti?- disse in
fine.
Elena annuì. –Anche perché non ho idea
di dove debba andare!- rise.
-Bene, seguimi- Marhim s’incamminò e la ragazza
gli andò dietro.
Attraversarono tutta Masyaf, raggiungendo l’ingresso
principale della città e proseguirono oltre.
Marhim si fermò dove c’erano alcuni cavalli tenuti
in un’insenatura nella roccia del pendio.
La strada sterrata continuava per diversi chilometri affiancata da due
pareti di pietra, ma solo in un breve tratto alla loro destra comparve
lo strapiombo che affacciava sul lago.
La passeggiata durò una manciata di minuti, e raggiunsero un
campo recintato che era circondato da alcune tende. C’erano
dei cavalli legati alla staccionata, mentre due assassini si
fronteggiavano in sella all’interno del recinto.
-Eccoci- fece Marhim fermandosi.
Elena riconobbe il suo Maestro, in disparte che finiva di sellare un
bellissimo esemplare nero. Stringeva i lacci e accorciava le staffe.
-Forza, vuoi andare o no?- Marhim la spinse avanti, ma lei si
aggrappò al suo braccio tirandolo con sé.
Elena si avvicinò allo steccato e rimase a guardare con
Marhim al fianco.
I due Angeli si fronteggiavano in groppa a due esemplari magnifici di
razza equina. Il primo era completamente bianco con una macchia grigio
scuro sulla zampa anteriore destra. Il secondo era marrone intenso con
una stella bianca che sia allungava sul muso.
Il combattimento era animato dalle chiacchiere di altri tre assassini
in piedi a guardare lo scontro senza battere ciglio.
-E così- iniziò Elena. –oggi la lezione
è a cavallo- arricciò il naso.
La cosa non le piaceva: già era rischioso maneggiare una
spada, e in più doveva spaccarsi l’osso del collo
se cadeva!
Altair alzò gli occhi dalla sella un istante e li vide
entrambi.
Troppo lontano per sentire cosa si dicevano, Elena notò il
suo Maestro avvicinarsi ad un allievo. L’assassino
annuì alle sue parole e venne verso di loro.
-Elena, giusto?- fece il giovane guardandola.
La ragazza annuì.
-Vieni- l’assassino s’incamminò.
-Vuoi andare?!- Marhim la spinse.
Elena raggiunse l’Angelo e gli camminò al fianco.
Girarono attorno al campo e raggiunsero Altair che apportava le ultime
modifiche alle redini. –Era ora- sorrise sarcastico.
Elena si strinse nelle spalle. –è stata Adha, lei
non…-.
-Lei non ti ha svegliata in tempo?- concluse Altair e con uno strappo
improvviso tirò giù la staffa.
–Credi di essere privilegiata da una sveglia personale?-
aggiunse passando dalla parte opposta del cavallo. Tirò
giù la staffa.
Elena si mise composta. –Adesso sono qui, mi spiace non
essere arrivata prima, lo ammetto!- sbottò.
–Scusate tanto!- si permise.
Altair si bloccò mentre stringeva la testiera. Rimase in
silenzio qualche istante fissandola da sotto il cappuccio, poi le venne
accanto. –In sella!- digrignò.
Elena lo guardò allontanarsi fino al gruppo di assassini
riuniti. Toccò la spalla di uno degli Angeli, che subito
corse a prendere il suo cavallo.
La ragazza si voltò e montò in groppa al suo
destriero.
-Tutto bene?- domandò l’assassino che Altair aveva
mandato a chiamarla.
Elena rispose con un timido. –Sì, grazie-
accertandosi che tutte le cinghie fossero della sua misura.
I due assassini che stavano fronteggiarsi poco prima lasciarono il
campo, e a sostituirli dovevano partecipare Elena e un Angelo che
portava vesti di alto rango.
Il ragazzo era già nel capo, e il suo cavallo sferzava la
terra con gli zoccoli.
Prima di entrare, Altair le venne vicino e le porse il fodero di una
spada. –Niente esclusione di colpi. Niente urletti da
femminucce e niente sangue, sono stato chiaro?- le disse.
Di tutta risposta Elena si legò il fodero alla cintura ed
estrasse la spada. Un colpo di tacco, e il suo cavallo entrò
nella recinzione con un balzo. Elena accorciò di seguito le
redini, che si apprestò a stringere nella mano sinistra.
-Il cappuccio!- le ricordò il Maestro, e la ragazza si
abbassò il copricapo sul volto.
-Ora ci divertiamo- rise Elena di malo gusto.
Sapeva bene che sarebbe stato piuttosto doloroso…
L’Angelo mandava affondi senza una tecnica precisa, e il suo
Maestro l’aveva avvertita che non ce ne sarebbe stato
bisogno. Se Altair le aveva detto “niente esclusione di
colpi” forse avrebbe potuto sfruttare al meglio alcune delle
debolezze umane che hanno solo i ragazzi.
Eppure il suo avversario era distaccato, governava al meglio la
cavalcatura ed era sempre pronto a ghermirla senza alcuna regola.
Su un cavallo era poco conveniente combattere, ma quando si sarebbe
trattato di uno scontro contro un esercito di cavalieri, doveva essere
pronta. Se Kalel le aveva insegnato ad andare in sella e ad usare una
spada, non aveva mai sommato entrambe le cose, quindi la ragazza si
trovò in svantaggio dopo i primi affondi.
Il suo cavallo risentiva delle fatiche che Elena impiegava nel
combattimento, era nervoso, nitriva e ogni tanto sgroppava.
Ci si metteva anche il suo avversario, che non le dava tregua.
Ad un tratto Elena mollò le redini e si ritrovò a
tenere un braccio fermo sotto la sua lama per contrastare
l’attacco del nemico, che spingeva la sua dritta verso di
lei. Le spade scivolarono l’una sull’altra, e la
ragazza, per non perdere l’equilibrio, si lanciò
in avanti, spingendosi via dalla sella, ma addosso al suo avversario.
I due caddero a terra e rotolarono nel selciato.
Dal gruppo di assassini si levarono risa di divertimento.
Elena era caduta avvinghiata al suo contendente, che ora la teneva
stretta a sé senza dare segni di cedimento. Il ragazzo era
con le spalle alla staccionata, e la ragazza gli era letteralmente
indosso.
Quando alzò gli occhi, Elena lo riconobbe subito.
-Rhami- balbettò, e sentì le guance esploderle.
-Eh, già!- rise lui.
A quella distanza Elena poté scorgere gli occhi di ghiaccio
che aveva, e alcuni ciuffi di capelli spuntavano dal cappuccio che era
calato per metà. Il respiro bollente del suo avversario le
arrivava sul collo, mentre Rhami non la smetteva di ridacchiare.
-Volete rimanere lì fino a notte?!- gridò Altair
cominciando a perdere la pazienza.
Rhami si alzò scansandola di lato, poi le porse la mano
aiutandola a tirarsi in piedi.
-Hai preso troppo alla lettera “niente esclusione di
colpi” non è così?- le chiese il
ragazzo sistemandosi il cappuccio.
Elena era ancora tutta indolenzita per la caduta, e per come era finita
la storia, il suo cuore non rallentava la corsa. – Forse hai
ragione- mormorò portandosi una ciocca dietro
l’orecchio.
Rhami le sorrise, poi si voltò, afferrò la spada
da terra e tornò in sella.
Elena si riscosse e fece altrettanto.
Gli sguardi truci degli assassini che assistevano erano tutti su di
lei, li poteva contare!
Altair era in disparte, assistette al combattimento da una diversa
prospettiva. Era con la schiena contro una roccia e si girava una
moneta tra le mani.
Elena rimase colpita da come gli occhi del suo Maestro fossero altrove,
distratti.
Nella seconda parte del duello, Rhami fu più clemente con
gli affondi e le diede anche maggior tempo per preparare a pararli.
Elena si trovò agevolata, ma sicuramente Altair si era
accorto che non stava andando tutto a dovere.
Il Maestro si avvicinò alla staccionata. –Non fare
il galantuomo! Mi sembra di essere stato abbastanza chiaro con il
termine simulazione. Se uno qualunque dei nostri nemici mandasse un
esercito ad attaccare la città, dobbiamo essere pronti! Ho
ripetuto questa roba abbastanza! Combattete!- li rimproverò.
Elena e Rhami arrestarono i loro cavalli.
-Mi spiace, ma se vuole che ti faccia male, ricorda che me
l’ha chiesto lui- rise l’assassino.
Elena alzò le spalle. –Vorrà dire che
tornerai alla fortezza con qualche livido- rimase al gioco.
-Non mi sottovalutare- borbottò Rhami malizioso.
-Altrettanto- fece lei con lo stesso tono.
Gli assassini si alternarono, ed Elena combatté con tutti i
presenti almeno una volta. Fin quando non cominciò a piovere.
Il campo divenne una vera e propria pozza di fango. Il terriccio e la
ghiaia si mescolarono in un unico pantano, e il terreno si fece sempre
più scivoloso anche per i cavalli.
-Voi potete andare- disse Altair ad un tratto, rivolgendosi agli
assassini.
Il gruppo lasciò il campo compatto, ed Elena fece per
avviarsi con loro.
-Tu non sei compresa-.
Le parole di Altair la bloccarono con un piede sospeso. Si
voltò –piove a dirotto, cosa?…-.
Altair montò in sella al cavallo più vicino ed
entrò nel campo. –Non ho tutto il giorno, avanti-.
Elena ubbidì camminando a sguardo basso verso il suo
cavallo. Salì in groppa e sfoderò la lama.
-Non capisco, Maestro. Ho fatto come mi avete chiesto, ho combattuto
come gli altri!- si lamentò. La pioggia le entrava in bocca,
le bagnava la veste e la faceva scivolare sulla sella. La mano sinistra
si strinse sulle redini viscide. La vista le sia annebbiava, e le gocce
la ferivano in ogni parte del corpo, dalle spalle alla schiena.
Altair stava composto ed eretto, non tradiva alcun fastidio per le
condizioni. –Non ho avuto modo d’insegnarti a
dovere quello che avrei voluto apprendessi oggi. Per tanto, siccome i
tuoi ritardi di questa mattina sono passati troppo inosservati, ho
deciso che svolgere la lezione sotto la pioggia sarebbe stato un buon
pretesto per recuperare il tempo perso. Ricordati che sarò
sleale, e tu dovrai fare altrettanto. Tendo a sottolineare questo
aspetto del combattimento perché ne rimasi vittima
personalmente. E ora, attaccami- intonò serio.
Un lampo di luce balenò sulla valle, e si diffuse il
rimbombo di un tuono.
-Ma che diavoli, però!- sbuffò la ragazza.
Colpì i fianchi del suo cavallo, e partì al
galoppo contro il suo avversario.
________________________________________________________
PERDONATEMI!
In questo capitolo sarei dovuta giungere al sodo, al nocciolo, alla
fiamma che fece esplodere la bomba! Invece, come avrete notato, non
succede un ca**o! Però avevo in mente l'episodio con Rhami
già da tempo, e siccome non avrei avuto modo d'inserirlo
altrimenti, ho dovuto allungare. Per favore, so che la mia fiction sta
diventando noiosa e ripetitiva, ma abbiate un po' di pazienza! Oggi
è stata una giornataccia, e ieri (3/2/09/ ) è
stato il mio complex che ovviamente ho passato con la febbre a 40!
Nonostante tutto, però, sono riuscita a mettere su altre 10
pagine della mia fan fiction!
OVVIAMENTE DOVETE RIPETO DOVETE LASCIARE UNA RECENSIONE!!!!
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Capitolo 18 *** L'attacco ***
L’attacco
Quella poca luce andava a spegnersi. I venti
freddi della notte avvolsero Masyaf e la sua fortezza,
l’ombra del cielo senza stelle, oscurato da nuvole nere,
andava ad allungarsi sulla valle. Il mondo taceva, il silenzio
divampava tra le strade e la gente si rintanava nelle case accendendo,
chi lo possedeva, il camino o un focolare. Fiotti di fumo svolazzavano
per i tetti delle abitazioni, assieme ai colombi che andavano ad
annidarsi sui balconi. Era l’incanto del buio, che celava
sotto una maschera fittizia gli eventi imminenti.
Elena guardava la luna apparire e scomparire
dietro la coltre delle nubi, in compagnia a squarci di cielo stellato.
Il vento le muoveva i lembi della veste, e la ragazza si strinse nelle
spalle quando un brivido le percorse la schiena.
Marhim era accanto a lei e la osservava in
silenzio, pensando che non se ne fosse accorta.
Il cortile interno della fortezza era rischiarato
dal bagliore tenue dei bracieri, le guardie giravano a norma di
pattuglia, mentre alcuni assassini erano riuniti attorno alla
staccionata ad assistere ad un allenamento.
La sua mente volò lontana da Masyaf,
attraversò la valle e raggiunse le colline
all’orizzonte, dove una macchia indistinta nerastra pareva
tanto un bosco. Ma poteva un bosco crescere in pochi giorni?
- Ho paura- disse ad un tratto la ragazza.
Marhim si riscosse. –Che hai detto?-.
- Ho paura, Marhim- ripeté lei senza
battere ciglio, come incantata.
Il ragazzo alzò le sopracciglia.
–Sul serio, e di cosa, scusa?- rimase serio.
Elena contò gli arcieri appostati
sulle mura. Erano troppi pochi. –Una sensazione, chiamalo
intuito…- mormorò, e Marhim le venne
più vicino.
- Non ti capisco- disse il ragazzo guardandola
sospettoso. –C’è qualcosa che vuoi
dirmi?- si schiarì la voce.
Elena si voltò verso di lui con gli
occhi che parlavano da soli, eppure Marhim scosse la testa aggrottando
la fronte. –Non so di cosa stai parlando? O meglio, non stai
proprio parlando!- rise.
Elena tornò a fissare
l’orizzonte. –Tu non lo senti?- domandò.
- Cosa?- Marhim seguì il suo sguardo.
- Il vento… è
così… diverso- disse la ragazza in un sussurro, e
un’altra folata le scompose i capelli.
Marhim cominciava a spazientirsi.
–Insomma, qual è il nocciolo?- sbuffò.
Elena chiuse gli occhi.
–C’è qualcosa che lo devia, qualcosa di
dannatamente vasto che gli segna il cammino. Il vento segue un circolo
vizioso, ma questa volta è diverso…
c’è un ostacolo sulla sua strada-
mormorò.
- Elena! Oh!- Marhim le venne di fronte e
schioccò le dita. –Sei su questo mondo?- le chiese.
Elena guardò a terra.
–Sì, scusa…-.
Marhim le sorrise. –Tutto apposto, sei
solo stanca. Vuoi… vuoi che ti accompagni di sopra?-
domandò, e il suo tono divenne insicuro, timido come non lo
era mai stato.
Elena si appoggiò al parapetto.
–No, sto bene, grazie lo stesso- i loro occhi
s’incontrarono un frammento di secondo, poi Elena
tornò a fissare il cielo. –Ho un
presentimento… una sensazione, tu no?-.
- Che genere di presentimento? Buono o cattivo?-
Marhim alzò le spalle.
- Pessimo…- sottinse lei.
Elena guardò ancora verso le mura,
dove tra gli arcieri scorse una figura bianca e indistinta. Un
assassino che rimaneva immobile dando le spalle all’interno
del cortile. Guardava lontano, anche lui, turbato.
Quando l’uomo si voltò,
Elena riconobbe il suo Maestro che la guardava. Altair le
accennò un segno col capo, ed Elena ricambiò
annuendo.
Poi l’Angelo scese dalle mura usando
una fragile scala di legno e venne verso di loro.
- Che cosa vuole, quello?- le domandò
Marhim all’orecchio. C’era un pizzico di dispetto
nella sua voce che Elena colse con sorpresa.
Lei lo guardò enigmatica.
–Cosa stai pensando?-.
- Niente, scusa- Marhim si passò una
mano tra i capelli, voltandosi a guardare l’addestramento di
suo fratello.
Altair si fermò al suo fianco e Elena
lo fissò alcuni istanti.
- Lo senti anche tu?- domandò
l’Angelo fissando gli occhi scuri sulla linea
dell’orizzonte.
Elena seguì il suo sguardo, che andava
a perdersi esattamente dove stava guardando lei poco prima. –
Cosa, Maestro, sento tante cose…- mormorò.
I due rimasero in silenzio, immobili a scrutare
l’oscurità della notte che inghiottiva la valle.
La luna sparì dietro le nuvole, e
anche quella poca luce si dissolse lentamente. In breve, neppure un
frammento di cielo rimase visibile, ma lontano, oltre le coltri di
nebbia e le ombre, una macchia nera e compatta avanzava verso la
roccaforte, accompagnata da nitrii di cavalli e clangori metallici.
- Sono qui…- sottinse Altair
stringendo i pugni.
- Maestro- Elena sospese le sue parole nel vuoto.
- Corrado e i suoi uomini sono qui-
ribadì l’assassino.
Elena seguì il suo Maestro di corsa.
-Sei pronta?- Altair si fermò
sfoderando la spada. –Questa non è
un’esercitazione…- aggiunse fissandola negli occhi.
Assassini e guardie li scorrevano ai fianchi,
correndo verso i piedi della collina con le armi in pugno.
All’ingresso di Masyaf si stava combattendo la più
brutale tra le battaglie, e in Elena bolliva già
l’adrenalina.
L’esercito di Corrado aveva passato il
confine: i suoi uomini predavano le case e razziavano la
città, ammazzavano la gente, e le urla si accavallavano alle
grida di piacere dei soldati.
Elena annuì, e Altair la condusse nel
vivo dell’azione. –Dobbiamo aiutare la gente a
scappare verso la fortezza! È l’ultima
possibilità che hanno, tra poco i cancelli verranno chiusi!-
le gridò.
-Sono pronta, Maestro!- saltarono sul tetto di
un’abitazione e di seguito scesero con un balzo sulla strada
principale.
Alcuni soldati avevano messo alle strette un
gruppo di paesani. Uno di loro si accasciò al suolo quando
il reietto di Corrado lo trafisse senza pietà.
Un fruscio nell’aria, Elena non colse
altro, e i soldati si abbatterono al suolo senza vita.
Elena si voltò, e vide che alla
cintura del suo Maestro mancavano alcuni pugnali da lancio. Sorrisero
entrambi.
-Vedrai- le disse lui. –Un tempo
t’insegnerò-.
Elena camminava tra i corpi della gente che le
sorrideva armoniosa quando passeggiava con Marhim. Ora i loro sguardi
erano vuoti, e sul selciato si aprivano grosse pozze purpuree.
-Andiamo! Non c’è tempo!-
Altair la prese per un braccio e la tirò con sé
in una stradina secondaria. Si fermarono, ed Elena ebbe il tempo di
vedere il suo Maestro gettarsi contro un soldato.
La lama nascosta di Altair penetrò nel
collo del crociato.
Il suo Maestro si alzò vittorioso,
guardando la donna che prese il bambino in braccio e scappò
in lacrime.
-Voglio anche quella…-
pensò Elena ad alta voce mentre correvano a soccorrere i
prossimi abitanti.
Quella volta toccò anche a lei
combattere.
-Ehi, ma sei una…- il cavaliere non
terminò, che Elena lo trafisse al petto con un solo colpo.
Altair era accerchiato da alcune guardie, ed
Elena afferrò da terra una pietra. Con tutta la forza che
aveva nelle braccia, la scagliò e colpì
l’elmo di uomo che ne rimase traballante.
-Razza di!-.
-Per questo vorrei tanto dei pugnali…-
digrignò la ragazza.
L’uomo le venne contro con un fendente
alto e potente, ma Elena li sgattaiolò di fianco e
volteggiando su se stessa, lo sorprese alle spalle. Fu un colpo
preciso, come sempre.
Altair giocava di contrattacchi. I suoi nemici
gli andavano contro e lui schivava e li colpiva, oppure li mollava un
pugno sul naso e li colpiva, o ancora li contrastava e poi li infilzava
con la lama nascosta. Insomma, quando il suo Maestro aveva insistito ad
insegnarle delle tecniche “fuori dalle regole della
scherma” era perché Altair sembrava combattere
d’istinto, con mosse sempre nuove che lo facevano un grande.
Elena gli venne al fianco, e i due si spartirono
gli avversari.
La ragazza non vide arrivare un colpo basso, e
all’altezza del ginocchio si aprì uno squarto nei
pantaloni. –No!- le scappò di bocca.
Il soldato scoppiò in una risata.
–Ehi, aspetta…- disse ad un tratto.
Il dolore era insopportabile, e la gamba le
cedette, e la ragazza cadde in ginocchio. Era finita, con un solo colpo
il soldato le avrebbe tagliato la testa.
-Non sei la figlia di quell’assassino?-
fece la guardia prendendola per il cappuccio.
Elena alzò gli occhi e, anche
attraverso la fessura dell’elmo, non le fu difficile
distinguere alcuni tratti in quell’uomo che aveva visto nei
volti sfuggenti della sua fuga da Acri.
Quell’uomo aveva ucciso suo padre.
Con un ruggito di rabbia, Elena mollò
la spada, gli saltò al collo e, una volta sbattuto a terra,
cominciò a strozzarlo. –Maledetto!- gridava.
-Elena!!- Altair la tirò via.
–Elena, è morto! Gli hai spezzato il collo! Ma ora
dobbiamo andare, Elena!- lui se la caricò in spalla e corse
verso l’alto della collina.
Elena si strinse al suo braccio, terrorizzata.
Non aveva mai assistito prima di allora ad una
“battaglia” vera e propria. Ne aveva sentito
parlare solo nelle leggende, nei libri, ecco… ma quella
notte lei ci era finita dentro, vi aveva partecipato, ma non
era ancora finita.
Le guardie di Masyaf e reietti della casata di
Corrado si affrontavano senza pietà ed esclusioni di colpi.
Il sangue, nemico o amico, schizzava ovunque. I corpi coprivano il
terreno, la gente scappava, le grida, i pianti…
-RITIRATA!- era Altair che correndo per le strade
della città diffondeva le sue parole. –RITIRATA!-
ripeteva e ripeteva con quanta più voce aveva.
-Preparate le armi! Arcieri, pronti!-
gridò una guardia.
Le campane suonavano per tutta la
città, mentre donne e bambini correvano al riparo dentro la
fortezza, oltre i cancelli ancora alzati.
L’assassino arrestò la corsa
e la mise a terra, assieme a tutti gli altri feriti nel cortile.
–Come va?- le chiese chinandosi. Nonostante lo sforzo, Altair
non mostrava dati di stanchezza.
Il taglio non era profondo, ma attorno andava
già ad infettarsi.
Una guardia corse a medicarla.
Altair e Elena osservavano in silenzio come i
soldati effettuavano i preparativi per la difesa: Masyaf era nel caos.
-Elena- Altair si voltò.
-Cosa sta succedendo?
Perché…- lui la interruppe prendendola per le
spalle.
-Di’ a Tharidl che ho preso alcuni
assassini con me, che siamo appostati sulla torre e aspetteremo il suo
segnale, ma mettiti al sicuro- le disse serio e calmo. –Il
grosso dell’esercito deve ancora arrivare-.
Elena scosse la testa, e il fiato ancora le
mancava. –Maestro, questa è una battaglia, ed io
posso prenderne parte, di nuovo!- sbottò fiera.
-No, hai già fatto abbastanza, seri
ferita, non vedi? Non appena ti sarai ripresa fa’ come ti ho
detto e non farti vedere in giro!- Altair corse nel cortile.
-Rhami! Adel! Fredrik! Con me!-
chiamò, e gli assassini gli andarono dietro seguendolo
contro la corrente di folla. Altair e i quattro Angeli si arrampicarono
sulle mura della fortezza, poi Elena non capì
perché, ma i quattro assassini si gettarono dallo strapiombo.
-Ho finito- la guardia le aveva bendato il
ginocchio e si apprestava a controllare lo stato degli altri feriti.
Lei si alzò, guardandosi attorno.
Lamentele e grida di dolore animavano il cortile
interno. I suoi occhi cercavano chi di caro avevano sempre trovato, ma
non c’era l’ombra di Marhim.
Elena strinse i denti e scalciò un
sasso, poi si avviò dentro la fortezza.
Salì fino allo studiolo del Maestro, e
trovò Tharidl che controllava il tutto affacciato alla
vetrata. –Il tempo è giunto…-
sospirò il vecchio.
-Maestro! L’esercito di Corrado
è qui per il Frutto! Siamo in guerra, Maestro! Altair ha
radunato un gruppo di assassini e si è diretto al alla
torre, cosa ha intenzione di fare? Cosa possiamo fare?!- Elena era
spaventata, la sua voce usciva sotto forma di tremule grida.
–Maestro!- lo chiamò di nuovo.
Tutte le guardie e gli assassini abbandonarono
l’interno della rocca forte, precipitandosi fuori dalle mura
per aiutare la gente che gridava e i bambini che piangevano e
scappavano dalle grinfie dei soldati nemici.
-Il Maestro si occuperà della trappola
che usiamo solo in queste rare evenienze. La torre di cui ti
parlò contiene dei legni abbastanza pesanti da spezzare il
collo ad un elefante. Altair aspetterà il mio segnale per
attivare il meccanismo, non devi temere per la vita di nessuno dei
giovani che egli ha portato con sé- Tharidl si
voltò.
Il suo volto era calmo, pacato. I suoi occhi
socchiusi e le sue mani giunte dietro la schiena. –Elena,
vieni, resta al mio fianco. Per adesso non possiamo fare nulla se non
aspettare…-.
Elena gli si avvicinò e il Maestro la
prese sotto braccio.
Insieme, assisterono al raduno di massa
all’interno del cortile.
- Dov’è Adha, Maestro?-
chiese lei in pena.
-Ella deve occuparsi di ciò per cui i
crociati sono qui. Ora chiudi gli occhi, Elena, e non ascoltare altro
che non sia il battito del tuo cuore…-.
Le parole di Tharidl divennero una ninna nanna
melodiosa, fin quando la ragazza non si lasciò cullare dal
suono soave della sua voce e cadde in sonno contro il suo petto.
-Tira su quella leva, avanti!- gridò
Rhami.
-Non viene! Si è incastrata!- rispose
Adel, spingendo con la schiena il tronco di legno che era
più grosso di lui. Ad aiutarlo c’erano anche
Fredrik, ma la loro forza non bastava.
Rhami e Altair erano affacciati dalla torre e
controllavano la situazione.
L’esercito di Corrado si arrampicava
sulla collina, e in testa agli uomini a piedi c’era un gruppo
di cavalieri.
-Sono più dell’ultima volta-
commentò Altair.
Rhami scosse la testa. –Dobbiamo
tornare dentro la fortezza, è inutile, il meccanismo
è andato!- sbottò rabbioso.
Adel e Fredrik caddero a terra quando il tronco
di legno si spezzò. Partì una corda, che fin
quando non si tese, lasciò scorrere un ingranaggio di poche
ruote di legno. La corda si tese, ancora e ancora.
-Non spezzarti…- imprecò
Rhami a denti stretti. –Non spezzarti!-.
La corda cedette e il portellone della trappola
si aprì.
-No! No!- i tronchi caddero giù dalla
torre e scivolarono lungo le strade della cittadella troppo in
anticipo. –NO!- Altair si gettò a terra
stringendosi la testa con le mani, disperato.
La fune avrebbe dovuto tenere fin quando uno di
loro non l’avesse spezzata con la spada, ma invece, aveva
ceduto prima e agli uomini di Corrado fu facile evitare di essere
travolti dai tronchi.
-Presto, dobbiamo andarcene- fece Adel alzandosi.
-Il piano è andato a rotoli, ma
dobbiamo tornare dal Maestro- disse Fredrik avvicinandosi ad Altair.
-Andiamo- Rhami fece strada per scendere dalla
torre, e i tre assassini si avviarono.
Altair rimase rannicchiato a terra, pensando che
non sarebbe finita così. No, Corrado aveva un intero
esercito dalla sua, e la brama del Potere. Come era già
successo diverse volte, ci sarebbe stato ancora un ultimo scontro,
l’ultimo tassello di quella battaglia.
Uno contro uno…
-Ma guardate un po’ chi si rivede!-
gridò Corrado dal suo cavallo. –Al Mualim,
giusto?- chiese ridendo.
Tharidl si sporse dalle mura e guardò
in basso. –Al Mualim non vi è a capo di questa
setta da tempo, ormai. Il mio nome è Tharidl Lhad, e questa
è la mia città!- rispose il Maestro con tono
arrabbiato.
Il suo esercito lo circondava, e Corrado si
alzò sulla sella. –Sapete bene perché
sono qui! Datemi ciò che cerco e nulla verrà
sottratto alla vostra bella Masyaf!- ruggì scuotendo il
pugno.
Accanto al gran Maestro c’erano degli
arcieri assieme ad alcuni assassini. –Mi spiace,
ciò che chiedi non può essere fatto- scosse la
testa.
Corrado scoppiò in una risata
fragorosa, e con lui i suoi cavalieri. –Non mi sembrate nella
condizione di assentire, Maestro!- continuò a ridere.
–Stolto! Noi non ce ne andremo fin quando ciò non
sarò nostro! La vostra gente non riuscirà a
campare più di una settimana in quelle condizioni! Chiusi
nella vostra bella tana, tra quelle quattro mura, patirete la fame e le
malattie! Consegnatemi il Frutto dell’Eden ora! Giuro che
incendierò le case, brucerò le strade e tutto
attorno a Masyaf sarà ridotto a cenere!- la sua collera era
spaventosa.
Tharidl rimase in silenzio quando Altair gli
comparve al fianco. –Maestro- s’inchinò
l’assassino.
Il vecchio sospirò. –Se
siete qui così in breve tempo, non oso chiedere per quale
motivo…-.
Altair lanciò un’occhiata di
sotto. –Il meccanismo non dava segno di controllo, il vostro
piano è fallito, la corda si è spezzata da
sé in anticipo, mi dispiace- fece serio.
-Quello che Corrado va’ dicendo
è vero, non riusciremmo mai a vivere così.
Altair, devo chiederti di portare pazienza e fiducia, ora- il vecchio
lo guardò da sotto il cappuccio.
Altair parve non comprendere. –Cosa
avete in mente?-.
Tharidl si voltò affacciandosi
nuovamente verso il cavaliere. –Ebbene, ti propongo una
sfida, Corrado del Monferrato, reggente di Acri!- pronunciò
affranto, ma con dignità.
Corrado aggrottò la fronte.
–Di che si tratta? Sono curioso…- ammise
sarcastico.
Il Maestro indicò l’esercito
alle sue spalle, e Corrado di voltò. –Il tuo uomo
migliore contro il mio assassino più audace!-
sentenziò in fine.
Sulla fortezza cadde il silenzio, e nello stesso
istante in cui un tuono brillò nel cielo, gli occhi di
Corrado balenarono. –Accetto!- disse.
Altair ammirò il suo Maestro.
–Sono pronto- affermò.
Tharidl fece un passo indietro e curvò
le spalle. –No, non tu…- mormorò.
L’Angelo si sbiancò, la sua
schiena perse la compostezza e la fierezza di sempre. –State
scherzando, vero?…- balbettò sbigottito.
Il vecchio gli afferrò le spalle.
Altair restò con la bocca aperta senza
dire nulla per alcuni istanti, il tempo necessario perché
Tharidl trovasse le giuste parole.
-Ho sempre confidato in ognuno di voi. Ora
è il suo turno- disse soltanto.
Altair indietreggiò. –Non
potete affidare il destino di Masyaf e del Tesoro a chi non
è davvero in grado! State commettendo una seconda
imprudenza, Maestro! Guardate dove le vostre mosse azzardate ci hanno
condotto!- Altair era isterico, dava quasi di matto, eppure il matto
della situazione sembrava tanto Tharidl.
Il Maestro fece un gesto di stizza.
–Non replicare! Così ho deciso, e se mi prendi per
un pazzo fa’ pure, ma non saranno certo le tue opinioni a
farmi cambiare idea! Sai bene qual è il tuo compito, forza!-
Tharidl gli gridò in faccia, ma Altair non si scompose,
rimanendo ferreo.
-No- protestò. –Sono io
quello che deve combattere per la salvezza di questa città!
Sapete che sono l’unico in grado di andare a colpo sicuro!
Non possiamo continuare a fare buchi nell’acqua!- perse il
controllo.
Il vecchio trattenne l’escandescenza.
–Credi che sia facile?- abbassò la voce
d’un tratto.
Altair restò ad ascoltare.
-Affidarsi ad un uomo e consentirgli di cambiare
il corso della storia, credi che sia facile?- ripeté.
Altair strinse i denti. –Siete voi che
talvolta lo rendete difficile!- digrignò cercando di
contenersi.
-Invece no, ti sbagli. Sei solo un ragazzino che
gioca a fare l’adulto, ed è questo che non
sopporto di te, Altair- Tharidl piantò il suo sguardo in
quello rabbioso del suo discepolo.
-Vi ho dimostrato quali sono le mie
capacità, e sinceramente dopo la morte di Al Mualim non ho
più nulla da dimostrare a nessuno! Invece voi vi ostinate a
credermi all’altezza di insegnare ad una ragazza! Sono stufo,
ho riacquistato il mio rango con la fatica che nessuno può
immaginare! E da quando siete voi il Maestro, a me vengono lasciati i
compiti più stupidi tra gli stupidi! Non sfruttate mai a
dovere le mie capacità, credete che sia come tutti gli
altri, e vi permettete di umiliarmi in mille modi! Fatemi combattere!
Perché non vi entra in testa che…-.
Tharidl si voltò e non gli diede
più ascolto.
Altair trattene le grida di rabbia,
perché quel comportamento di fronte all’intero
esercito di Corrado e gli altri assassini sarebbe stato la ciliegina
sulla torta.
Fredrik e Rhami lo guardavano stupefatti,
increduli.
Adel provò ad avvicinarsi, ma Altair
lo scansò con violenza e, arrendendosi, portò
pertinenza al suo incarico.
Quando Elena si svegliò, si accorse di
essere seduta alla scrivania di Tharidl. Aveva la testa poggiata tra le
braccia che erano conserte sopra il tavolo. La schiena le
scricchiolò, e già che c’era sciolse
anche i muscoli del collo e delle scapole.
Si voltò, e vide che dietro di lei, a
guardare fuori dalle vetrate, c’era Altair. –Era
ora- mormorò l’assassino contemplando il cortile.
Elena scattò in piedi.
–Cos’è successo? Io, mi dispiace, non
sarei dovuta… lo so, è stupido, ma…
ecco…- balbettò.
-Preparati, devi sopportare un’ultima
pazzia del nostro Maestro- la sua voce era silente, come se si fosse
dato per vinto ad un grande dolore.
Elena gli andò al fianco.
–Io? E quale sarebbe?- la ragazza si sistemò i
capelli per bene dentro il cappuccio, portandoseli poi a cadere sulla
spalla.
-Tharidl ha chiesto un scontro singolo per
decidere della sorte della battaglia- proferì in un
sussurro, e un tuono squassò l’aria gelida delle
sala.
Elena annuì. –Devo
assistervi nel combattimento, Maestro?- chiese. –Sappiate che
cercherò d’imparare al meglio, e sono certa che
voi riuscirete nell’incarico e…-.
-No, Elena- Altair le rivolse finalmente lo
sguardo. –Non sono io colui che Tharidl ha scelto-.
Il volto di Elena passò dal sorriso
alla paura in pochi secondi. –M…M…Me?-.
Altair non aggiunse nulla e lasciò la
sala.
Elena s’inginocchiò al
suolo, e le sue mani corsero allo stomaco che non poteva reggere la
situazione.
-Io… io non ce la faccio!- una lacrima
le scivolò sulla guancia, e un’altra,
un’altra ancora.
I suoi occhi divennero fiumi in piena, mentre il
suo corpo era attraversato da tremiti continui.
Dov’era chi poteva consolarla quando
serviva? Dov’era chi li dava nuovo vigore quando i loro occhi
s’incontravano? Dov’era…
-Marhim!- mormorò il suo nome diverse
volte, a voce sempre più alta, fin quando non
ascoltò dei passi venire verso di lei.
-Elena- Marhim le scivolò accanto
inginocchiandosi. –Elena…-.
Era una visione, non poteva essere reale, si
disse. La figura grigia di Marhim ballava come gelatina, era
irregolare. C’era solo un modo per provare che fosse davvero
lì, di fronte a lei.
Elena gli saltò al collo, stringendolo
con quanta forza aveva. Affondò il viso rigato dalle lacrime
nella sua veste, ascoltò il suo cuore rallentare i battiti
per ogni secondo che trascorreva avvinghiata a lui.
Marhim era davvero là. Elena sentiva i
suoi muscoli scolpiti anche sotto a tutti quelli strati di vestiti. E
poi era caldo, caldo come un cuscino lasciato steso al sole.
Marhim ricambiò l’abbraccio,
e di tutta risposa le accarezzò i capelli. –Sei
pronta?- le mormorò all’orecchio.
Elena non voleva ascoltarlo, voleva piuttosto che
rimanessero così per sempre e il tempo si fermasse. La
ragazza continuò a singhiozzare e a bagnargli il cappuccio
con le lacrime, ma Marhim, premuroso, lasciò che si sfogasse.
-Perché me?…-
gemé lei. –Perché me, che cosa ho fatto
per meritarmi questo?…-.
–Vediamo… forse il Maestro
ha assecondato troppo il fatto che tu abbia battuto Altair a duello, e
crede che sia tu la migliore- Marhim le prese il viso tra le mani.
–E non ha tutti i torti!- rise.
-Maledico quel giorno!- gridò la
ragazza tornando a piangere su di lui. –Odio questo
posto…- guaì.
Marhim la strinse a sé.
–Avanti, devi sbrigarti. Corrado perderà la
pazienza a breve, e non vorrai perdere senza neppure averci provato,
spero- le disse cercando di nascondere la paura.
Elena lo guardò negli occhi.
–E se perdo? Se il mio avversario mi ammazza…-.
-Non dirlo neppure per scherzo!- la
rimproverò lui. –Guardare al fallimento dei nostri
incarichi è ciò che noi assassini non facciamo
mai. Calcoliamo l’evenienza e ci tracciamo una via di fuga,
ma è solo prevenzione, non timore. Abbi fiducia- sorrise.
-Non m’importa nulla-
ribatté Elena guardando a terra. –Di me, intendo.
Che mi ammazzi pure, ma non voglio che Corrado ottenga il Frutto
così facilmente!- Elena sciolse le braccia attorno alle
spalle di Marhim e poggiò le mani in grembo.
–Calcolando l’evenienza… cosa
succederebbe poi?-.
Marhim si voltò un istante di lato,
pensieroso.
-Non ne ho la più pallida idea-
tornò a guardarla e le prese il viso tra le mani.
–Tu pensa solo a combattere meglio di come hai sempre
combattuto, e andrà tutto bene…-.
Elena poggiò una mano sopra la sua e
annuì, convinta.
Marhim aveva fiducia in lei, e quello le bastava.
Il ragazzo si alzò e
l’aiutò a tirarsi su. –Come va la
gamba?- le chiese.
Elena guardò la fasciatura su
ginocchio, ancora integra. Non avvertiva dolore, perché i
muscoli erano ancora accaldati. Pregò che nessuna fitta
improvvisa la sorprendesse nel combattimento.
-Sto bene-.
Marhim l’accompagnò fuori
dalla fortezza, e raggiunsero il cortile interno.
I cancelli delle mura erano alzati, e
dall’altra parte Elena vi scorse l’esercito di
Corrado che indietreggiava per far spazio all’uomo scelto.
Altair era tornato accanto a Tharidl, che
osservava il tutto dai bastioni.
Marhim l’abbracciò
un’ultima volta, ma la ragazza rimase immobile.
-Ce la farai, ce la farai !- ripeté
più per convincere se stesso.
Gli assassini, la gente di Masyaf e le guardie li
fissavano commossi.
Elena sfoderò la spada. –Per
mio padre…- disse staccandosi da lui.
Camminò spedita verso
l’esterno della fortezza, e le grate si chiusero alle sue
spalle.
Era faccia a faccia con gli uomini di Corrado,
che per primo scoppiò a ridere. –Una donna!-
sbottò l’uomo chinandosi sulla sella dalle risate.
I suoi soldati gli andarono dietro, ridendo a
crepapelle.
Elena ascoltò la voce di Tharidl
venire dall’alto. –Non diffidare della sua
prontezza, ella ha sconfitto il mio migliore assassino senza mai
mostrare una preparazione adeguata. I miei uomini l’hanno
addestrata a dovere, e lei sarà la tua sfidante-.
Corrado smontò da cavallo.
–se vuoi sbarazzarti del Frutto, dammelo subito, e
risparmierò la vita a costei!- rise il Re.
Elena l’aveva già visto
diverse volte, nelle sue manifestazioni, accanto a suo padre. Corrado
era un uomo giovane, e molto bello. La barba corta gli incorniciava il
mento, e i capelli fluenti erano celati sotto l’elmo regale.
Il simbolo della sua casata, del Monferrato, brillava sul suo petto
ricamato d’oro e una lunga mantella rosso porpora gli
svolazzava dietro. –Non sono in vena di scherzetti!- Corrado
sguainò la lama dal fodero rivolgendosi al Maestro.
E così, pensò Elena, il suo
avversario era lo stesso Corrado. Quale pazzo metterebbe a repentaglio
la sua vita conoscendo le doti degli aggressori di suo padre?
Sicuramente Corrado era molto orgoglioso della sua forza e della sua
abilità in guerra, della quale però Gulielmo non
si era mai vantato.
Elena strinse con più forza
l’impugnatura. –Nemmeno io-.
Ecco l’uomo che aveva ordinato
l’omicidio di Kalel, ecco l’uomo che
l’aveva fatto braccare come un animale in casa sua! Ecco
l’uomo che Elena sognava di uccidere con le sue stesse mani!
Eccolo!
Corrado sorrise beffardo. –Ah davvero?-
alzò lo sguardo verso Tharidl, poi tornò a
guardare lei. –Finiamo questa storia alla svelta- disse a
denti stretti.
Elena parò il colpo con
difficoltà, e il cavaliere trovò il modo per
girarsi e colpirla dalla parte opposta. Elena dovette saltellare
all’indietro per ben due volte, fin quando non fu costretta a
piegarsi a terra. La lama del suo avversario la prendeva alla
sprovvista troppo facilmente. In breve Elena si trovò con le
spalle alla parete di roccia, mentre la sua spada tentava in vano di
respingere quella di Corrado.
L’uomo aveva una forza disumana, eppure
Elena era abituata ai contrattacchi di Altair, che non era mica tutta
quella debolezza.
-Dunque- intervenne Corrado per staccare dal
combattimento. –Saresti un’assassina?-.
Elena fece scivolare la lama del cavaliere sul
muro quando piroettò di lato. –Non ancora!-
ruggì col fiato corto. Corrado sarebbe stato la sua vera e
propria prima vittima! Si disse.
-Quale onore…- alzò lui un
angolo della bocca.
I due presero a girare in circolo, ad aspettare
le mosse avversarie, ma nessuno si mosse. Elena ne
approfittò per recuperare le forze, ma il suo ginocchio
ferito cominciava a pulsare.
Corrado notò il bendaggio di sfuggita,
e subito dopo attaccò.
Elena si ritrasse con una capriola
all’indietro. Tornò in piedi e sorprese Corrado
con un colpo alle gambe. L’uomo riuscì a pararlo,
e le spade rotearono assieme scivolando l’una
sull’altra.
Quella tecnica serviva per lasciare uno dei due
senza la propria arma. Fin quando la punta della spada avversaria non
avesse toccato la sua mano, Elena non avrebbe mollato la sua.
Altrettanto fece Corrado, che invece ebbe la meglio.
La spada di Elena volò in aria, ma
nell’istante in cui il reggente di Acri sollevò
gli occhi, Elena fece un balzo spingendosi a lui e la
riafferrò cadendo di lato.
Rotolò su se stessa rannicchiata a
terra e, quando si fermò, Corrado la guardava stupefatto.
Elena si alzò, in silenzio, dolorante
appoggiandosi all’arma.
Tornarono a fronteggiarsi, ma quella volta
nessuno dei due ebbe più paura dell’altro.
Elena schivò, ma l’uomo la
bloccò con un affondo laterale, che Elena fu costretta a
parare, scoprendo la schiena.
Corrado, con un calcio la spinse via ed Elena
ruzzolò tra la ghiaia. Si tirò su in fretta, e
tornò all’attacco. Nessuna esclusione di colpi,
nessun vantaggio, stallo per diversi minuti e poi ricominciavano a
imbrogliare.
Corrado tentò con diverse finte, ma
Elena aveva assistito a sufficienti allenamenti di Fredrik ed era
preparata in materia.
Quando Corrado progettava una finta, i suoi occhi
mandavano un bagliore differente, e quello era il segnale ad Elena per
scartare dalla parte opposta e colpirlo con l’impugnatura
dell’arma.
La ragazza perse diverse volte il controllo e
l’equilibrio, e Corrado ne approfittava per afferrarla per la
veste e scagliarla a terra.
Dolori ovunque, certo, ma se avesse esitato
avrebbe avuto la peggio! Così Elena ignorava ogni sofferenza
e tornava a combattere senza mai perdere la concentrazione.
Un tuono, un lampo di luce, un sibilo, e la
pioggia cominciò a cadere sulla terra.
Le gocce la ferivano, penetravano nella pelle e
arrivavano fino alle ossa. Attorno a loro si stavano formando le prime
pozze di fango, quando Corrado la buttò di nuovo al suolo.
La ragazza s’inzuppò la
veste e non riuscì a sollevarsi sull’immediato
come avrebbe dovuto.
Corrado, con rabbia,
l’afferrò di nuovo e la scaraventò
contro la parete di roccia.
-Ah!- le scappò un grido, e il colpo
alla testa le aprì uno squarto sulla tempia. Lungo il viso
le calò un fiotto di sangue caldo, che arrivò
fino al collo.
-Hai perso! Arrenditi ora, di’ al tuo
Maestro di consegnarmi il Frutto e ti ripeto, ti lascerò
vivere!- l’uomo la prese per il cappuccio e la
tirò come una bambola a sé. –Avanti!
Dillo!-.
Elena sentiva il suo alito caldo sul volto, ma
lei teneva gli occhi chiusi.
Corrado la scosse con violenza. –Dillo!
Avanti, dillo!- era furioso, e la sua mano si spostò al
collo di lei, tirandola sempre più in alto.
Elena non toccava con i piedi, e le mancava il
fiato. Il cappuccio le stava per scivolare via, e lei strinse il
braccio del suo aggressore lasciando cadere la spada. Soffocava,
l’aria si assentava dai suoi polmoni. Con la gola stretta tra
le dita di Corrado, Elena non poteva fare nulla se non accettare le sue
condizioni, e subito…
-Va bene!…. va bene!…-
singhiozzò con la voce roca, terribilmente roca.
Corrado la scaraventò senza fatica
addosso ad una pietra.
Elena si ritrovò rannicchiata in una
posa innaturale, laddove i soldati di Corrado gridavano di gioia.
Aveva fallito… Divenne tutto buio.
Altair corse giù dalle mura e si
precipitò fuori dalla roccaforte. –Presto! Rhami,
aiutami!- gridò l’assassino correndo.
-Sissignore!- Rhami gli andò dietro e
i due assassini recuperarono il corpo della ragazza.
La portarono nel cortile e l’adagiarono
a terra dolcemente. –Piano…- mormorò
Altair.
-Un dottore, presto!- chiamò Rhami, e
una guardia si avvicinò alla ragazza.
-E ora, Maestro?- domandò Rhami
guardandolo.
Altair non gli rispose, ma tornò di
corsa da Tharidl, che aveva assistito a tutta la scena
dall’alto dei bastioni.
Rhami rimase accanto a lei, e a partecipare alle
cure di Elena si aggiunse anche Marhim. –No…- fece
afflitto il ragazzo, chinandosi su di lei.
Rhami gli strinse una spalla, poi
l’Angelo lasciò solo Marhim con lei.
La guardia finì di medicarle la ferita
alla testa e andò.
Marhim le accarezzò il viso, ma Elena
non diede segni di ripresa.
La ragazza respirava affannosamente, i suoi occhi
erano chiusi e il suo petto si alzava e si abbassava senza un ritmo
costante, come se stesse facendo solo un incubo. Però era
viva, si disse il giovane, e da un momento all’altro Marhim
avrebbe rivisto quei sorridenti occhi azzurri, lo sapeva…
Altair afferrò il vecchio per la
tunica. –Pazzo!- alzò il pugno contro di lui, ma
una voce di donna lo fermò.
-Altair!- ruggì Adha spingendolo via
prima che le guardie potessero intervenire.
L’assassino fece alcuni passi indietro.
–Guarda che cosa hai fatto…-.
Adha si mise tra il Maestro il suo amato e,
tenendo quest’ultimo più lontano.
–Altair, vattene!- gridò Adha.
L’Angelo, guardando altrove,
annuì poco convinto e se ne andò.
Tharidl era rimasto pietrificato, attonito ma
nascondeva ogni suo pensiero troppo bene perché Adha gli
chiese: -Maestro, cosa facciamo?-.
-Tharidl!- chiamò Corrado ridendo.
–Dov’è il tuo onore? Forza, ho
rispettato i patti! Vuoi che venga a riscuotere di persona?-
sogghignò montando in sella.
-Adha- Tharidl le parlò.
–Va’ a prenderlo-.
La donna stette di sasso a quelle parole.
–Maestro, sul serio? State cedendo…-.
-Basta! Ho ricevuto già abbastanza
contestazioni, fa’ come ho detto!-.
Adha abbassò il capo, e un tuono
squassò i muri della fortezza, facendo gridare ancora una
volta i bambini.
Marhim la prese in braccio e si avviò
alla fortezza, seguendo tutta la gente di Masyaf che andava al suo
interno per ripararsi dalla pioggia.
Corrado e i suoi uomini lasciarono la
città accompagnati da una nube di terra e sparirono nella
foschia e le ombre della notte piovosa.
Vittorioso, Corrado galoppava in testa ai suoi
cavalieri.
__________________________________________________
CI SIAMO!
Come anticipato, ve l’avevo detto che i
presentimenti di Altair di qualche capitolo fa si sarebbero rivelati
veri! Aveva ragione, poverino…
*Sigh* ho scritto questo capitolo immaginando che
Elena avrebbe vinto, ma poi ho pensato che renderlo così
tragico sarebbe stato più… entusiasmante. Ecco,
anche troppo, sono finita per deprimermi! Comunque siano andate le
cose, ora Corrado ha il frutto dell’eden e nel prossimo
chiappo ho intenzione di mettere diversi punti di vista più
o meno come ho fatto in questo. Siccome devo articolare gran parte
della sezione del “presente” ho intenzione di
dedicare due o forse tre capitoli interi a quella del
“passato” così da non confondervi
troppo. Ovviamente mi riferisco a quei quattro gatti che seguono la mia
Fan Fiction! Ringrazio i seguenti nomi:
Saphira87:
i tuoi consigli e le tue recensioni mi aiutano a capire certi passaggi
intricati della mia fiction che neppure io pensavo di aver scritto!
Grazie con tutto il cuore! Sono così contenta che la mia
storia ti piaccia! Non so che altro dire, grazie, grazie, grazie un
centinaio di volte!
Lilyna_93:
su msn parliamo sempre della mia fiction e mi sento in dovere di
ringraziarti per tutto il supporto e le tue opinioni! Grazie! Grazie!
Da te i consigli saranno sempre ben accetti!
CHIARIMENTI:
1. Mi spiace di
aver fatto diventare Altair così isterico, ma mi serviva che
fosse in pena per Elena e che facesse tante belle ca**ate contro il
Maestro, come afferrarlo per la tunica e agitare il pugno come se
volesse menarlo! (se Adha non fosse intervenuta, l’avrebbe
fatto! O comunque, le guardie non sarebbero riuscite a tenerlo lontano
dal viso rugoso di Tharidl) ^___^ che forza! Vai Altair! Continua a
fare stronz**e!
2. Adha era custode
del frutto, vi ricordate? Da come faccio notare poco, quando il Maestro
le ha chiesto di portarlo, si riferiva al fatto che
l’avrebbero consegnato a Corrado senza ulteriore zizzania.
=_= Lo so, lo so cosa state pensando: farò dei riferimenti
alla pazzia di Tharidl nel punto tre.
3. Tharidl ha fatto
un po’ il caz**ne, lo ammetto. Ma come accennerò
nel prossimo chappo, è stata davvero colpa di Elena, lei
aveva davvero le qualità per battere Corrado, qualcosa
è andato storto durante il combattimento…
“Un lampo, un tuono, un sibilo” tanto per
citare… si vedrà hihihihi! ^___^ che bello! Vi
tengo sulle spine! ^___^ Hihihihi!
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Capitolo 19 *** Gli angeli degli incubi ***
Gli
angeli degli incubi
Aveva paura di aprire gli occhi.
Terrore di dover guardare negli occhi chiunque la circondasse, per
timore che venisse ancora giudicata, incaricata o solamente guardata.
Era caduta troppo in basso.
Non avrebbe trovato il coraggio di alzarsi, di camminare tra la gente
che tanta, troppa fiducia aveva riposto in lei.
In un attimo, in un solo istante, i ricordi del suo ultimo battito di
ciglia le apparvero e scomparvero sotto il naso, allontanandosi poi nel
buio che avvolgeva ogni incubo. Stava vivendo un incubo.
Voleva allontanare quelle immagini, ma la pioggia le picchiava addosso
con violenza, percuotendola e sbattendola ai piedi di Corrado, che
infinite volte la trafiggeva con la spada; e lei non moriva. Non era
abbastanza forte nella convinzione che la luce in lei si fosse spenta
per sempre, doveva piuttosto patire il dolore eterno per il modo in cui
aveva agito. Se avesse ancora il controllo sul suo corpo, si sarebbe
tagliata le vene. Avrebbe dimostrato così che nessun male
era più grande di quello che avrebbe sopportato ancora,
ancora e ancora. Un dolore che non sarebbe scomparso nel tempo, che non
si sarebbe rinsecchito in semplici croste o pelli secche. No, parte del
suo cuore era già tinto del suo stesso sangue nero, impuro e
indegno. Oh, quanto si odiava. Se avesse avuto in mano un coltello, se
mai una mano le fosse rimasta, si sarebbe trafitta il petto senza
pensarci due volte, perché riflettere sulle proprie azioni
voleva dire soffermarsi a calcolare le conseguenze e analizzare il
passato. Il suo passato era stato solo fonte di immensi sacrifici che
avevano fruttato altri sacrifici, fino a raggiungere il fallimento del
suo scopo.
Quel era il suo scopo? O meglio, qual era stato se mai ne aveva
posseduto uno?
Combattere? Uccidere? Crescere? Amare? Piangere? Soffrire?
Sì, sì… soffrire.
Elena era la prova vivente che anche Dio poteva sfornare delle
ciambelle senza buco.
Richiamò a sé i ricordi di quando era caduta da
cavallo dopo la sua fuga da Acri, quando si era sdraiata al suolo e
aveva teso una mano verso il cielo…
Dio l’aveva abbandonata, lei lo sapeva.
Non c’era cielo azzurro a brillarle sulla fronte, a
rischiararle gli occhi, ma solo un buio e un’ombra eterna che
l’avvolgeva. Elena galleggiava sul vuoto, allo stesso modo di
come i suoi piedi di erano sollevati da terra mentre Corrado la teneva
per la gola.
Percepì delle dita robuste stringersi attorno al suo collo,
e nonostante gridasse, e fosse cosciente del fatto che stesse urlando,
dalle sue corde vocali partì un insignificante e muto
fruscio.
Gli occhi bui di Corrado comparvero nell’oscurità,
a pochi centimetri dal suo naso. In breve tempo si disegnarono i
contorni del suo volto, assieme alle folte sopracciglia e la barba. Le
labbra si arricciarono in un sorriso maligno, crudele, mostrando la
dentatura perfetta. E Corrado cominciò a ridere.
Elena soffocava, e non poteva fare nulla se non stare a guardare come
il cavaliere l’afferrava ancora, ancora e ancora e la
scagliava all’infinito contro massi, pareti e muri di mattoni
invisibili!
Elena si ridusse in una poltiglia, finché, dopo un medesimo
lancio, la ragazza precipitò, sentendosi mancare la
gravità.
Il suo corpo cadeva nelle profondità del pianeta e sembrava
non arrestarsi mai. Cadeva, cadeva più in basso…
I capelli le frustavano il volto, e la sua veste macchiata di sangue
svolazzava impazzita ad un vento che non c’era.
-Basta…- mormorò. –Basta…-.
Precipitava, e tutto in quello come in molti altri sogni… ma
che sogni ed incubi?
-Sono morta, e questo è l’Inferno…-
sentenziò.
Tutto si arrestò. La sua caduta, il vento, i suoi capelli e
i lembi della veste si fermarono dov’erano.
Il tempo e lo spazio assumevano caratteri sempre più
assurdi, si disse. Entrambi sembravano essersi bloccati, come Elena
aveva desiderato stringendosi a Marhim prima dello scontro con Corrado.
Improvvisamente, tutto riprese a scorrere, mille volte più
freneticamente!
Finché…
La ragazza si schiantò su un pavimento duro e freddo.
Poteva toccare con mano, sentire, percepire le mattonelle che
appartenevano ad una sola stanza in tutta la fortezza.
Alzandosi a fatica, e riconoscendo le solite figure e ombre contorte
tipiche di un sogno, si trovò a pochi passi dal Maestro.
Tharidl aveva una spada stretta nel pugno, la guardava troppo serioso.
Gli occhi del vecchio si socchiusero. –Mi hai
deluso…- proferì.
Alzò la spada, Elena si accovaccio, ma quando
provò a gridare qualcosa, su di lei avvertì solo
il caldo, umido e appiccicoso sangue. Sangue, sangue e altro sangue!
Tutto tornò buio, e la ragazza poté tirare un
sospiro di sollievo.
Si trovava di nuovo avvolta dall’oscurità, e
camminava senza una meta, alla cieca come vagando con la luce spenta in
cerca di un appiglio.
Lo trovò, e sentì tra le sue dita una stoffa
morbida. Fece un passo indietro.
Di Rhami era visibile solo il volto, così giovane e luminoso
come un dipinto. –Elena- lui mormorò il suo nome,
e tese una mano verso di lei.
La ragazza non riuscì a muoversi.
L’assassino brillava di una luce propria, e le parve la
visione di un angelo, gli mancavano solo le ali.
Rhami le sorrise, sempre più dolcemente. Elena
sprofondò nel suo sguardo ghiacciato, che puntava sempre lei
e solo lei.
Provò ad andargli incontro, ma la figura
dell’assassino si dissolse portato via dalla pioggia.
Elena cadde a terra, e Rhami comparve alle sue spalle, con una spada in
mano.
-Mi hai deluso…- sbottò il ragazzo,
alzò l’arma e la calò su di lei senza
pietà. Sangue, sangue e altro sangue!
Fu di nuovo tutto nero attorno a lei.
Dei passi, in lontananza, passi svelti e corti. Agili, scattanti.
Il fruscio di un mantello, ed Elena cominciò a correre verso
quel lungo abito rosso, verso quei corvini capelli brillanti,
andò in contro a quel viso tanto bello e familiare.
Adha camminava troppo veloce, quasi correva, ma l’unica a
correre ed Elena, che passo dopo passo, perdeva di vista la donna e il
suo ancheggiare meschino.
Adha era un puntino colorato lontano quando la ragazza si
accasciò sconfitta, piangente.
-Mi hai deluso…- Adha, d’un tratto vicinissima a
lei, la colpì con una spada già insanguinata, ed
Elena precipitò ancora, di un livello ancora più
in basso.
Il suo naso urtò qualcosa di duro, che quando si
alzò le parve un altro pavimento. Rimase accovacciata.
Elika e Lily ridevano da lontano.
In lei si mosse il terrore, che come una serpe strisciava nelle
viscere, nello stomaco, sulle labbra che si morsero a vicenda. Paura,
paura che la fece piangere.
Dopo alcuni minuti, Elena si scoprì il volto guardandosi in
giro, ma cosa avrebbe scorto nell’oscurità se non
l’oscurità stessa?
Camminò ancora nel vuoto del suo incubo, fin quando delle
braccia calde non la strinsero.
Elena si lasciò toccare, e quando si voltò
affondò il volto sulla spalla di Marhim.
Il ragazzo sorrise malizioso, e il suo volto si celò
nell’ombra del cappuccio. –Mi hai
deluso…- le mormorò all’orecchio.
Elena sobbalzò.
La lama la trafisse da parte a parte del bacino. Marhim stringeva
l’elsa dalla parte del manico, ed era stato lui…
Marhim, lui a compirla…
Elena cadde, ancora, di nuovo, più e più in basso.
Era inginocchiata al suolo che non c’era. I lembi della
tunica bianca, tornata improvvisamente candida, si allungavano ai suoi
fianchi, assieme al fodero di una spada corta, cinque pugnali da lancio
e uno strano guanto.
Una spada corta? Coltelli, uno strano guanto?
Elena si protese ad afferrare quest’ultimo curioso oggetto,
ma come si mosse qualcosa dietro di lei la spinse sulla schiena a
cadere giù. Finì a faccia a terra, mentre su di
lei vigilava lo sguardo di un uomo.
Elena si trascinò sul pavimento, che d’un tratto
divenne riflettente come uno specchio, e in quei vetri Elena si vide.
Dietro di lei, a schiacciare la sua figura, c’era un essere
informe e buio.
Ebbe paura di quel vedere, e si tirò su. Corse, corse con
quanta forza aveva nelle gambe.
Era un corridoio senza fine, sul quale affacciavano tante stanze dalle
porte chiuse. Elena provò, tentò di aprirne
qualcuna, ma erano sbarrate al suo cammino.
L’essere le veniva dietro come un’ombra, ed Elena
sentiva il suo fiato sul collo mentre correva. Inciampò,
cadde e rotolò rialzandosi poi alla svelta.
Il corridoio terminava in un vicolo ceco, decorato da alcuni cuscini e
tappeti. La ragazza si voltò, appiattendosi contro la parete.
L’ombra del suo inseguitore si stagliava di fronte a lei, ed
Elena chiuse gli occhi. –Lasciami- disse, e finalmente la sua
voce si mostrò.
L’ombra prese colore e forma, in fine si calò il
cappuccio sulle spalle.
Altair era l’unico che le avesse mai sorriso davvero, in quel
sogno.
Elena si fece avanti, verso di lui speranzosa di un’unica
tessera di salvezza.
L’assassino non si mosse quando Elena gli saltò al
collo.
Non poté credere che non si fosse ancora dissolto, o che le
sue labbra non avessero ancora pronunciato quelle tre parole tanto
aspre…
-Elena- le accarezzò i capelli, come a lei piaceva tanto.
Si strinse più a lui, e i suoi piedi si sollevarono da terra.
Ecco il vero Angelo, si disse…
Mini capitolo
dedicato alle pene e alle paure di Elena, ma anche alle sue sicurezze,
ai suoi punti di riferimento (Altair) ^___^
Dunque, come spiegare
la cortezza di questo aggiornamento? Ah, certo…
È stato
così faticoso per me scriverla, che mi pare giusto premiare
questa frammentazione della storia con delle recensioni a parte,
assieme ad un capitolo tutto per sé!
Dunque, da dove
cominciare?
Quello che
è successo ad Elena lo sappiamo bene tutti: è
stata sconfitta da Corrado che ha portato via il Frutto
dell’Eden, brutta storia. La povera ragazza si
troverà ora ad affrontare più l’odio
verso se stessa che degli altri.
Certo, come sempre,
ci sarà chi starà dalla sua parte e chi no, ma ho
intenzione di modernizzare alcuni caratteri di certi personaggi, per
ravvivare un po’ la situazione.
Sto parlando di certi
“characters” come Marhim e Rhami… ^___^
ovviamente tutto nella prossima puntata!!!!
RECENSITE! RECENSITE!
RECENSITE!!!!
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Capitolo 20 *** Veleno sulla lama da lanciare, con cui colpire ***
Veleno
sulla lama da lanciare, con cui colpire
-Maestro- Altair s’inchinò, umile.
Tharidl era solito volto alle vetrate, attraverso le quali
il sole buttava i suoi raggi nella sala, illuminando come da tempo non
accadeva.
-So perché sei qui, senza che ti fu chiesto-
disse il vecchio senza voltarsi. –Altre scuse, or
dunque…- sospirò.
Altair strinse i pugni. –I miei atteggiamenti sono
stati pessimi, e vengo a portarvi le mie scuse prima che prendiate
decisioni affrettate- abbassò il capo, e l’ombra
del cappuccio si allungò oltremodo sul suo viso.
–Vi prego- sottinse stringendo i denti.
-Non ho mai pensato di punirti, Altair- parlò il
Maestro. –Quello che è successo ha mosso in tutti
noi emozioni e paure differenti. La gente era spaventata, e lo
è ancora. Trattenendo il Frutto nelle nostre mani, le
avevamo dato fiducia, ma ora, il popolo di Masyaf ci si rivolta
contro…- proferì grave.
Altair mosse un passo avanti. –Tutto
ciò è assurdo- commentò.
–Elena non era pronta, e voi lo sapevate. Che battesse
Corrado era impossibile! Non mi basta sapere che avete fiducia in lei,
volevate forse sbarazzarvi del Tesoro gettando la sua carne tra le
lame? È assurdo…-.
-Ah!- Tharidl si voltò. –Mi sembrava
che fossi qui per scusarti, non per rinnovare le tue accuse- lo riprese
seccato.
Altair fece un gesto di stizza. –Elena
è mia allieva, mi sono sentito in dovere di partecipare alla
scelta di ciò che ne sarebbe stato del suo destino!-.
-Allora non comprendi a pieno quale sia il mio compito, come
non comprendi il tuo- gli rispose Tharidl avvicinandosi.
L’assassino rimase immobile. –Siete
stato voi ad affidarmi questo peso, che giorno dopo giorno durante il
suo coma ho sentito morirmi dentro! Dire che sono stufo è
dire poco! Vi chiedo solo di darmi delle risposte,
nient’altro…- enunciò.
Il vecchio tacque, pensieroso. –Per ora ti basti
sapere che volevo darle la possibilità di saldare i debiti
di Corrado. In fondo, ho pensato che il suo odio per
quell’uomo l’avrebbe aiutata in combattimento, e
per una gran parte dello scontro è andata come
speravo… Nessuno avrebbe potuto prevedere quello che accadde
dopo, tanto meno io, che dall’alto delle mura non mi sono
accorto assolutamente di nulla. Se ti stai chiedendo se rimpiango le
mie scelte, ebbene sì. Elena è importante non
solo per gli interessi della confraternita…- le sue parole
si persero nell’aria della sala.
L’Angelo si voltò. -Ho ripetuto a
quella ragazza che il rancore non è alleato in
combattimento. Ho insegnato ad Elena a mantenere il controllo sulle sue
escandescenza, e lei ha rispettato i miei ammaestramenti. Non avrebbe
mai assecondato la sua rabbia, mai…è tutto- disse
avviandosi.
-Non ti accuso di questo, anzi te ne sono riconoscente, ma
non abbiamo finito- proruppe Tharidl sedendosi sullo sgabello.
Altair si girò, lentamente, confuso.
–Sarebbe?- domandò sorpreso.
-A differenza di come credevi, non ho intenzione di lasciare
a Corrado il Potere di Dio senza neppure lottare per riaverlo. Altair,
voglio che sia tu ad occuparti di Monferrato e della sua vita. Deve
pagare per aver violato il confine della nostra città, di
averci strappato le vite di molti dei nostri fratelli. Ne sei
disposto?- Tharidl alzò un sopracciglio e
cominciò a scrivere su una pergamena.
Altair annuì convinto, tornando di fronte alla
scrivania. –Come rifiutare…- borbottò
tra sé.
-Ottimo-.
-E la ragazza?-.
Tharidl rise. –Aspettavo con ansia questa
domanda…- portò la piuma
nell’inchiostro.
Altair trattenne il sussulto. –è
rischioso, non riuscirebbe a…-.
Il vecchio poggiò il pennino e si mise a braccia
conserte. –Vogliamo cominciare da capo?- disse guardandolo
serio.
Altair emise un gran sospiro. –No- concluse.
-Ebbene, voglio che cominci le prime nozioni con la spada
corta e i pugnali da lancio non appena si sveglia. Quando
avrà appreso le tecniche base, sarete pronti a partire per
Acri. Il resto lo apprenderà sul campo…- Tharidl
riprese a trascrivere.
L’assassino si strinse le cinghie del guanto.
–E…- provò a dire, ma il vecchio lo
interruppe.
-A tempo debito il rafik verrà informato, ed
Elena farà ritorno per l’evenienza. Ti
raggiungerà una settimana più tardi, durante la
quale voglio che sia tutto pronto per l’assassinio-
proferì.
-Una settimana non le basterà per riprendersi, se
la conosco bene…- commentò Altair sorridendo
malizioso.
Il Maestro alzò lo sguardo. –Nessuno
qui la conosce abbastanza, Altair. Tanto meno tu, che con lei sembri
avere un rapporto anche troppo poco aperto. Sei il suo Maestro, invece
di ridurti ad insegnarle nel metodo più rigido che abbia mai
visto, parlale, consigliale; non mi sembra di chiedere
molto…- borbottò il vecchio.
Altair s’insospettì. –Sapete
qualcosa che io non so?- domandò.
-Sì, molte cose; ora ricevi il tuo congedo-.
Altair alzò le spalle. –Maestro-
salutò inchinandosi, poi lasciò la sala.
-Ma che ti è preso?- gli chiese Fredrik quando
Rhami finì con la schiena a terra.
L’assassino gli porse la mano, e Rhami
l’afferrò saldamente.
Fredrik lo tirò su di colpo, e Rhami per poco non
scivolò di nuovo. –Scusa- disse guardando in alto,
dove i colombi si appollaiavano sul tetto.
-Sei distante- commentò Adel seduto sullo
steccato dell’arena. –C’è
qualcosa che ti turba, fratello?-.
Rhami si abbassò il cappuccio, scosse la testa e
i capelli tornarono scompigliati come gli piacevano tanto.
–Sul serio, io…- borbottò a bassa voce.
Fredrik rinfoderò la spada.
–è per la ragazza, non è
così?- sorrise.
Adel si schiarì la voce, e Rhami gli
lanciò un’occhiataccia. –Sì,
sono solo… preoccupato- sbottò fissando storto
Adel.
-Si riprenderà, ormai tutti lo sanno. Adha si
è occupata delle sue cure personalmente, non vi è
da temere- gli disse Fredrik.
Rhami si voltò a scrutare la torre della
fortezza, raggiungendo con gli occhi azzurri le finestre
dell’infermeria. –Sì, forse avete
ragione…-.
-Forse?- Adel scese dalla staccionata e venne verso di lui.
–Respira, è viva! Non devi essere in pena-.
Fredrik aggrottò la fronte. –Potresti
andare da lei, più tardi- consigliò rivolgendosi
a Rhami.
Adel scoppiò in una risata. –Non ci
pensare neppure!- disse piegandosi dalle risate. –Quelle
stanze sono vietate a tutti tranne Adha e Marhim- confessò.
Rhami gli volse uno sguardo sconvolto. – Elena si
trova nell’infermeria ora, ma…Marhim?!
Perché? Com’è possibile, quando
l’hai visto? Quando è successo? - gli si
avvicinò, e Adel fece un passo indietro.
-Non ne sono certo, ma ho ascoltato una delle damigelle di
Adha, l’altra sera nella mensa. Ha detto di aver visto Marhim
dormire con lei. Nient’altro…-.
-Dormiva con lei?- si aggiunse Fredrik, altrettanto
sorpreso. –Questa, poi…- sospirò.
Rhami rinfoderò la lama, abbassando lo sguardo.
–Assurdo, non ci credo. Quel novizio, lui…-
digrignò.
Fredrik gli cinse le spalle. –Sta’
calmo, va bene? Sono solo voci, per di più da una donna
pettegola come Luisa - lo consolò.
Rhami si divincolò e lasciò la
recinzione. –Continuate senza di me- disse e si
avviò dentro la fortezza.
-Stolto! Altair sarà qui a breve! Dobbiamo
riprendere l’allenamento! Rhami!- tentò di
fermarlo Adel.
Fredrik si mise in posizione sfoderando la lama corta.
–Lascialo andare, magari gli farà
bene…- disse. –Forza, sta’ pronto!-
Fredrik si avventò sull’assassino, ma Adel
schivò con facilità di lato.
Rhami attraversò la sala del Maestro, ma vide
Altair venire verso di lui, diretto fuori dalla stanza.
-Mastro Altair- Rhami s’inchinò
proseguendo oltre.
Altair lo bloccò afferrandolo per il cappuccio, e
Rhami tornò indietro.
-Dove vaghi, ragazzo?- gli domandò accigliato.
-Vago, dove vago?…- parlottò.
–Ero diretto nella mia stanza- Rhami si sfilò
alcuni pugnali da lancio senza che Altair se n’accorgesse.
–Avevo intenzione di allenarmi con i lanci, ma ho dimenticato
di prendere i coltellini!- rise voltandosi, mostrando i foderi vuoti.
Altair annuì poco convinto. –Poco male,
fa’ in fretta- passò oltre e raggiunse Fredrik e
Adel nel campo.
Rhami salì le scale che seguivano le pareti della
torre, e si fermò solo all’altezza del quarto
piano. Le porte dell’infermeria erano chiuse, ma Rhami
scansò un battente lentamente.
Delle voci venivano da dentro.
-Passerà anche questa notte, ma non posso fare
nulla per i lividi. Non mi sorprenderei se aprisse gli occhi, ma stesse
ancora dormendo. Quel colpo alla testa non ci voleva…-
dichiarò Adha.
Rhami si affacciò ancora, entrando del tutto.
Assieme ad Adha, ai piedi del letto di Elena c’era
anche Marhim. I due gli davano le spalle, così Rhami
poté muovere alcuni passi verso di loro senza essere visto.
-Quanto tempo, fino ad allora?- domandò Marhim
guardando la donna.
Adha si pulì le mani su uno straccio che aveva in
grembo. –Uno, due giorni, se tutto va bene…-
sospirò grave.
-Solo un’ultima cosa- fece Marhim prima che Adha
si voltasse.
Rhami si nascose nell’ombra di un armadio
abbastanza spesso da coprirlo.
La donna attese.
Marhim esitò qualche istante, indugiando con gli
occhi su di Elena, dormiente. –Sta soffrendo?- le chiese.
Adha tornò dov’era, affianco al ragazzo
e gli poggiò una mano sulla spalla.
–Sì, e più di quello che possiamo
immaginare. Se non il veleno, allora sono i fatti a tormentarle il
sonno-.
Detto quello, Adha lasciò la stanza spedita.
Rhami emerse dall’ombra e si avvicinò a
Marhim, ancora volto dall’altra parte.
Marhim si girò, trovandosi Rhami a pochi
centimetri.
Rhami teneva uno sguardo serio, quasi collerico e Marhim
indietreggiò. –C’è qualcosa
che non va?-
Gli occhi di Rhami mandarono un celere barlume, e
l’altro assassino capì al volo. –va
bene, non c’è bisogno di essere aggressivi- disse
allontanandosi verso l’uscita.
Marhim si lasciò la porta aperta alle spalle e
scese le scale quasi correndo.
L’Angelo si avvicinò alla ragazza.
Elena aveva il volto girato di profilo, i capelli raccolti
in una treccia che si era offerta di farle Lily quella stessa mattina.
Sembrava dormire tranquillamente, ma il suo petto si alzava e si
abbassava con irregolarità.
Una fasciatura candida le avvolgeva le tempie, premendo sul
punto in cui Elena aveva battuto la testa sulla roccia, quella notte.
Le braccia lungo i fianchi, i pugni chiusi.
Il viso contratto in un espressione sofferente, che neppure
stesse ancora lottando sotto la pioggia. Rhami si sedette sul bordo del
letto, continuando a fissarla, sperando che si svegliasse in
quell’istante. Chissà quali sogni, quali incubi
straziavano la sua mente mentre era incosciente di quello che accadeva
dalla parte del mondo reale. Lo scontro le aveva lasciato lividi
ovunque sulle parti scoperte del corpo: braccia, collo…
macchie bluastre che Rhami non aveva mai visto. In fine,
notò un paio di occhiaie profonde, che sicuramente erano
dovute al liquido che le scorreva nelle vene e che Adha aveva fatto il
possibile per eliminare. –Dannato…- sottinse.
Gli occhi di lui indugiarono non solo sul volto di lei, ma
nonostante l’interesse, Rhami si alzò tornando
dritto.
Rimase di stucco quando notò che la mano di Elena
si era aperta, e il suo bel palmo bianco era rivolto verso
l’alto.
La tentazione di accarezzare quella pelle così
candida era troppo forte, e Rhami le sfiorò le dita con le
sue.
Appena ci fu il contatto, il pugno di Elena tornò
a chiudersi minaccioso.
Rhami lasciò l’infermeria, scacciando
le stupidaggini che gli erano passate per la mente.
Il caldo diventava sempre più insopportabile, e
su di lei raggiava una luce accecante. Il tutto accompagnato da dei
suoni familiari: voci lontane, clangori metallici, ali che sbattevano,
vento che alzava la polvere.
Elena si riebbe lentamente, riacquistando coscienza delle
mille parti che componevano il suo corpo stanco, adagiato su un
materasso comodo e morbido. Le lenzuola le scivolarono dalle gambe
spazzate via da una folata improvvisa, e le venne la pelle
d’oca.
Un brivido le attraversò la schiena, ed Elena si
tirò su col busto di colpo.
Aprì gli occhi, e impiegò diversi
secondi ad abituarsi al chiarore intenso di quel luogo.
Dalle finestre entrava la luce del buon giorno, assieme al
frastuono cittadino.
Stormi di colombi svolazzavano da parte a parte della
fortezza, ed Elena ascoltò anche i gemiti e le voci degli
assassini che si allenavano nel cortile interno.
Inspirò a pieni polmoni l’aria
mattutina e assaggiò con lo sguardo il cielo azzurro che si
stagliava per leghe e leghe all’orizzonte.
Le intemperie avevano abbandonato Masyaf, e si erano
spostate altrove, laddove Corrado avrebbe custodito il Frutto
dell’Eden.
Elena si guardò attorno, e riconobbe il largo
corridoio qual era quello dell’infermeria.
La sala era vuota di gente, eppure, si disse la ragazza,
dopo l’attacco molti erano rimasti feriti. Si
passò le mani tra i capelli, e li spostò di lato,
sulla sua spalla.
Fece per alzarsi, ma mosso appena un muscolo, le porte
infondo alla sala si socchiusero.
Elena tornò giù con la schiena, chiuse
gli occhi.
I passi venivano verso di lei, e si arrestarono al fianco
del letto.
-So che sei sveglia- sorride Marhim, guardandola.
Elena non riuscì a trattenere una risata, anche
se avrebbe voluto che il suo scherzetto durasse ancora un po’.
Si alzò d’un tratto e, con grande
sorpresa di Marhim, Elena si lanciò ad abbracciarlo.
Marhim la strinse per i fianchi. –Sono contento di
vederti così allegra!- confessò.
Elena non riuscì a fermare le risate, che si
mescolarono a lacrime di gioia. –Altrettanto…-
mormorò commossa.
Chissà quanto tempo era passato, si chiese la
ragazza camminando a fianco del suo amico.
Marhim la stava accompagnando alla sala mensa,
affinché recuperasse del tutto fermezza sulle gambe ed
energie.
Nel tragitto incontrarono assassini e saggi, che
però non le rivolsero alcuno sguardo intimidatorio, rabbioso
o chissà che cosa come lei si aspettava. La cosa la
infastidiva ancora di più, mettendola a disagio.
Marhim le servì la colazione sorridente, e rimase
accanto a lei durante tutto il pasto.
La sala mensa era vuota, in un angolo c’era una
donna che spazzava silenziosamente il pavimento, ma che preferiva farsi
i fatti suoi.
Marhim era seduto vicino a lei, che timidamente saggiava
cucchiaio dopo cucchiaio di quella roba orribile, ma per la fame non
avrebbe lasciato un cereale uno.
Il ragazzo la fissava, senza aprire bocca.
Elena finì alla svelta, sapeva che
c’erano molte cose da fare e da recuperare, e non avrebbe
sopportato l’idea di non tornare a rimediare ai suoi sbagli.
-Hai ancora fame?- le chiese.
Elena scostò la scodella. –Fame di
vendetta- pronunciò.
Marhim rise. –Avanti, qui tutti hanno superato
quello che è successo, dovresti fare altrettanto- le disse.
Elena, sbigottita, si voltò. –Non
capisco! Come è possibile che tutti abbiano già
dimenticato? Quello che ho fatto è stato
imperdonabile… ho perso, vi ho deluso…- una nuova
espressione afflitta si disegnò sul suo volto.
Marhim le venne più vicino. –Veramente,
devi sapere che non è stata affatto colpa tua se hai perso
quello scontro-.
Elena alzò gli occhi azzurri e li
puntò in quelli di Marhim, che continuava a sorriderle,
sapendo che le sue prossima parole avrebbero portato pace
nell’animo di Elena.
-Avanti, ti ascolto- sbottò la ragazza
incrociando le braccia sul tavolo.
Lui no attese altro. –Quando i nostri medici ti
hanno visitata, hanno trovato un ago- disse d’un fiato.
Elena si riscosse. –Veleno?- balbettò
incredula.
Marhim annuì grave. –Era un veleno che
aumentava in te il senso del dolore, un erba che viene da terre
lontane, che non si trova facilmente. I suoi effetti sono
l’ampliamento dei sensi percettivi, e posso scommettere che
dal momento in cui l’ago ti ha passato la schiena, hai
cominciato a sentire dolore anche dalla pioggia che cadeva su di te- si
fece triste.
Elena, sbigottita, non poté crederci.
Quale essere senza onore avrebbe architettato una cosa
simile? Quale? Se un giorno lei e Corrado si fossero rivisti, giorno in
cui qualcuno l’avrebbe incaricata di ucciderlo, avrebbe
chiesto il nome di colui che quella notte piovosa l’aveva
avvelenata. Quell’uomo sarebbe morto subito dopo Corrado.
-Elena, ascoltami- Marhim schioccò le dita, e la
ragazza tornò in se, assumendo un’espressione meno
corrotta dalla rabbia.
Marhim curvò le spalle. –Quello che
più ci preme, in questo momento, è il fatto che
chi ti avvelenato è ancora qui nella fortezza. Era uno di
noi, Elena- sottinse.
Elena scattò in piedi, ma Marhim la prese per il
polso facendola sedere di nuovo.
-Calma, il Maestro se ne sta già occupando-
aggiunse. –Nella fortezza svolazza libera una spia, ma
nessuno ci da il permesso di aggredire nessuno, tutto chiaro?- le
chiese.
Elena mormorò un lieve sì, pensando
che, chiunque fosse, l’avrebbe pagata!
-Lascia, faccio io- Marhim prese il piatto e lo
riportò in cucina, lasciando sola la ragazza nella sala
mensa.
Elena si guardò attorno, stava con i propri
pensieri, ma d’un tratto, dall’ombra comparve una
figura bianca e familiare.
Rhami fece qualche passo verso di lei, ed Elena si
alzò sorridendo.
-Allora le voci sono vere- fece Rhami proferendo un leggero
inchino col capo.
Aveva il cappuccio alzato a celargli il volto, ma gli occhi
di ghiaccio erano i diamanti del solito sguardo da lupo.
Elena si portò una ciocca di capelli dietro
l’orecchio. –Sì, sono viva,
così pare- bisbigliò timida.
Da quando Elena gli era saltata addosso durante
l’allenamento comune, non aveva più il controllo
sulle sue guance nel vedere Rhami così vicino.
Era scattato qualcosa, una molla che aveva innescato un
meccanismo arrugginito: ora Rhami le appariva con colori e sfumature
differenti. Da una parte sentiva di temerlo, ma dall’altra di
esserne attratta. Poteva una persona essere il tuo peggior amico o il
tuo miglior nemico? Si chiese.
Rhami si limitò a sorridere. –Come ti
senti?- le chiese affettuoso.
Elena tornò a sedersi di fianco, e Rhami gli si
accomodò di fronte. –Molto meglio, grazie-.
Rhami si scompigliò i capelli. –Ho
saputo di quello che è davvero successo- disse, ed Elena
sapeva si stesse riferendo all’ago, al veleno e alla spia.
-Ti ricordi di quando ci siamo visti la prima volta?- le
chiese allungandosi verso di lei.
Elena ci pensò poco, perché ricordava
ogni dettaglio. – Jarhéd –
ipotizzò.
Rhami annuì, convinto e sorridente.
–Non ho alcun dubbio, e questa volta non lascerò
correre le cose. Non voglio che quello lì ti faccia ancora
del male, ma più di qualunque altra cosa, deve pagarla cara-
strinse i pugni sul tavolo.
Elena rimase in silenzio, non sapendo come intervenire.
Rhami la guardò di nuovo, ma trattenne il furore.
–Insomma, ci sono stato male sapendo della spia,
certo… ma mi sembra così ovvio che sia lui!-
gridò.
Elena sobbalzò. –Puoi-
balbettò.
-Scusa- sottinse lui. –So che stai passando un
brutto momento, e che i tuoi incubi ancora ti assillano, quindi scusa
se ho urlato, e…-.
La ragazza scosse la testa. –No, mi chiedevo se
potevi raccontarmi cos’era successo nella vostra missione,
quella volta. Tutto quanto, forse posso aiutarti…-
bisbigliò con un filo di voce.
Rhami le venne ancora più vicino.
–Ecco, eravamo a Damasco per occuparci di un generale di poco
conto. Se quell’uomo fosse ancora vivo, oggi molte delle
truppe di Saladino sarebbero stese sul campo di battaglia. Era un vero
pezzente, da quanto risultato dalle indagini di Garik. Invece di
pensare ai suoi soldati, a strategie decenti o meglio, seguire alla
lettera i comandi di Saladino, se la spassava. Il potere, come si dice,
gli aveva dato alla testa. Insomma, il succo è che
Jarhéd doveva occuparsi delle sentinelle, io
dell’assassinio e Garik delle indagini. Il poveretto
è senza una gamba, l’hai visto anche tu, ma ti
posso giurare che…-.
Elena non era d’accordo. –Ma scusa-
disse guardandolo. –Se Jarhéd ha mandato in rovina
la missione per conto di Saladino, cosa c’entra con Corrado?-.
Rhami ci rifletté. –Hai ragione, non ci
avevo pensato. Comunque la missione non andò a rotoli.
Riuscii a togliere la vita a quel bastardo, ma qualcuno
allertò le guardie prima del dovuto. Scappammo dalla
città, ma i soldati ci seguirono anche oltre le mura fino ai
primi appostamenti degli arcieri nel Regno. A quel punto ci hanno
sorpresi ad un posto di blocco. Il resto lo conosci…-.
Elena lo guardò avvilita, e Rhami
abbassò lo sguardo, ripensando forse ai giorni di dolore cui
però doveva essere abituato. –Ti hanno ferito?
Dove?- chiese la ragazza.
Rhami si mise di profilo, indicando una lunga cicatrice
bianca che correva dalla tempia al mento. –Una spada- disse,
poi si tolse il guanto e arrotolò la manica della veste fino
alla spalla.
Ad Elena le luccicarono gli occhi.
I muscoli erano scolpiti sulla pelle scura come in una
statua di marmo. Sodi e brillanti anche al chiarore tenue della sala
mensa.
Rhami le mostrò un foro che andava ad
attraversargli l’avambraccio da parte a parte. –Una
freccia. La punta è rimasta dentro una settimana, debbo ad
Adha la vita. Sono così contento che sia tornata- fece
afflitto. –O molti assassini non sarebbero qui- aggiunse.
Prima che Rhami potesse coprirsi il braccio, Elena
allungò una mano e gli accarezzò la cicatrice
rosata che aveva un buffa forma tonda.
Rhami la osservò divertito.
Scottava come se avesse la febbre. Elena si disse che
l’assassino passava gran parte della giornata sotto il sole,
cui calore passava attraverso il tessuto della veste. Era un bollore
piacevole al tatto, e la ragazza non riuscì a staccarsene,
sfiorando non solo lo sfregio, ma anche il resto del braccio, fino al
polso.
Elena si riscosse, scansandosi. –Scusa-
balbettò.
-Figurati, anche io vado fiero del fatto che non ci serve
una stufa, nella camera- rise lui svolgendo la manica. Si
legò con cura i lacci del guanto.
-Adha- cominciò Elena. –Non
è sempre stata qui?- domandò ammirando come
l’assassino stringeva le cinghie.
-No- rispose. –Non si sa molto di lei, ma
è certo che lei ed Altair si conoscevano già da
molto. Poi, chissà perché, Adha ha lasciato
questo regno per un altro. È ricomparsa da qualche mese,
poco dopo la morte di Al Mualim. C’è chi dice che
sia stata in Italia, altri suppongono che abbia una famiglia in
Inghilterra, o persino in Francia. Ecco tutto- Rhami tornò a
guardarla.
Rimasero in silenzio a fissarsi negli occhi, che entrambi
avevano di un azzurro innaturale, contemplandosi a vicenda.
All’improvviso, le porte della cucina sbatterono,
e Marhim li raggiunse.
Elena si scostò con violenza alzandosi, e Rhami,
dopo di lei si sollevò lentamente.
I due assassini si scambiarono un’occhiata buffa,
che ad Elena fece ridere.
Marhim aggrottò la fronte. –Come mai
sei qui?- interrogò il compagno.
Rhami gonfiò il petto. –Per lo stesso
motivo per cui ci sei tu-.
A quelle parole Marhim strinse i denti. –Sarebbe?-.
Rhami e Marhim erano molto differenti tra loro, e quelle
differenze li rendevano entrambi belli e affascinante, pensò
Elena arrossendo.
Rhami aveva l’aspetto di un vero e proprio Angelo
della Morte: la veste lunga e bianca, i coltelli da lancio sulla
cintura e negli stivali. Una spada corta, e una lama nel fodero
sicuramente più professionale di quella che portava Marhim.
Marhim aveva l’aspetto di uno dei tanti soldati di
Masyaf, eppure si ostinava a farsi chiamare assassino. Di rango basso,
Marhim era vestito con una tunica bianca fino alle ginocchia dal
cappuccio grigio, esattamente come Elena quella mattina.
Ora che ci rifletteva, chissà che fine avevano
fatto le sue vesti da assassina…
-Insomma- disse la ragazza facendo un passo indietro.
–Io… io vado- balbettò andando verso
l’uscita della sala.
Rhami e Marhim la guardarono sorpresi, poi
quest’ultimo si apprestò a seguirla.
-Elena, aspetta!- le disse prendendola per la mano.
Elena si voltò divincolandosi. –Scusa,
ma ora devo davvero andare- erano sulle scale, e la ragazza puntava al
piano terra. –Ci vediamo più tardi, ciao- si
avviò.
Marhim la seguì con lo sguardo, fin quando Elena
non scomparve in uno dei corridoi.
-Non è andata come speravi- Rhami gli cinse una
spalla. –Eh?- sorrise malizioso.
-Lasciami stare- sbottò il ragazzo.
Rhami alzò le spalle e si calò il
cappuccio sul volto. –Quello che fai è rischioso,
credi che non abbia capito?- lo rimproverò.
Marhim guardò altrove. –Fatti i fatti
tuoi!- digrignò.
-E se…- Rhami si mise a braccia conserte.
–E se entrassi in competizione?- tenne quel sorriso maligno.
Marhim sobbalzò. –Non so di cosa parli-
disse serio, ma Rhami si allontanò ridendo.
-Maestro- Elena s’inchinò.
Tharidl si alzò dalla scrivania e le venne
incontro. –Elena! Stai bene, grazie al cielo. Non ero stato
avvertito del tuo risveglio, non sai che gioia- le pizzicò
la guancia affezionato.
Elena arrossì, ma non disse nulla.
Tharidl la prese sotto braccio accompagnandola accanto alle
vetrate. –Speravo che venissi da me, Elena. Ci sono tante
cose di cui vorrei parlarti-.
Elena si staccò da lui e poggiò il
palmo sul vetro della finestra. –Veramente, vorrei prima
chiedervi una cosa, se posso…- mormorò.
Il vecchio annuì, restando dritto e fiero.
–Dimmi pure-.
Elena si voltò a guardarlo. –Maestro,
quando mi diceste la verità su questo luogo, quando mi
parlaste di mia madre e di mio padre, accennaste che mio fratello,
quando era in fasce, portava questa collana- Elena strinse il ciondolo
con forza. –Tuttora sono turbata. Se voi sapevate che costui,
quando Kalel lo lasciò a voi, era figlio di mio padre,
dunque la vostra memoria nel tempo non si dev’essere
affievolita così da dimenticare il suo volto e da poterlo
riconoscere oggi, adulto, tra tutti questi assassini. Maestro, voi
sapete chi è e pretendo di sapere se è ancora
qui, vivo…- Elena si sentì gli occhi inumidirsi.
–Vi prego-.
Tharidl si girò verso l’interno della
sala. –Elena, quello che vai dicendo è vero. So
chi è e so chi e cosa è diventato-
proferì grave. –Nonostante tu ti senta sola, e in
difficoltà, non sono tenuto a rivelarti quel nome. Ti basti
sapere che è vivo, è vicino e lontano allo stesso
tempo. Il suo corpo vaga per la fortezza, ma la sua anima accompagna
giorno dopo giorno i volti degli uomini che ha ucciso
all’infermo. Cammina nell’aria, si assenta nel
momento del bisogno, ma sa risorgere dalle ombre quando sa che sei in
difficoltà. Elena, non rimuginare che sia un pazzo se tengo
al sicuro questo segreto, piuttosto cerca di capirmi. Questo ragazzo,
ormai uomo, non sa della tua esistenza come tu fin ora non sapevi della
sua. Voglio che le cose restino come sono, quiete senza ulteriore
discordia tra i miei discepoli. La pace ci ha accompagnati nel cuore e
nello spirito per molti anni, e non per essere pignolo, ma essa
è andata a spegnersi il giorno in cui hai fatto la tua
comparsa- concluse.
Elena era sbigottita. –Mi state accusando dei mali
che sono accaduti negli ultimi giorni? È causa mia? Giusto
nel momento in cui mi stavo convincendo del contrario, voi venite a
darmi la causa di tutto?- pianse.
-Non fraintendere le mie parole-.
-Allora spiegatevi meglio!-.
Tharidl sospirò. –Ti offro
l’occasione di redimerti, perché sono certo che in
te si sta combattendo ancora una dura battaglia, Elena. Altair ti
addestrerà alle ultime nozioni con i pugnali e la spada
corta, affinché tu sia pronta al meglio a scontrarti con le
guardi che ti attendono ad Acri-.
-Acri?- mormorò confusa.
Tharidl assentì. –Ora non preoccuparti,
fa’ ciò che ti viene ordinato di fare-
tornò alle vetrate, accanto a lei e liberò una
colomba dalla gabbietta.
Il piccione si levò in cielo, portando stretto
alla zampetta il messaggio.
Elena osservò l’uccello fin quando non
fu troppo distante, ma voltandosi notò che Tharidl era
scomparso.
Elena si avviò sulle scale, e ad un tratto si
trovò di fronte al suo Maestro.
Altair nascose lo stupore di vederla in piedi e fece un
passo indietro. –Elena- disse solo.
La ragazza si strinse nelle spalle.
–Sì, pare di sì…- sottinse.
-Hai già parlato con il Maestro?- le chiese.
-Sì, e sono pronta per cominciare-.
Altair annuì e le fece strada fino al cortile.
Halef e Fredrik si fecero da parte, uscendo
dall’arena ed Elena entrò.
-Come sicuramente non sai, la spada corta preferisco che
venga usata in situazioni di estremo bisogno. È facile da
utilizzare, ma anche poco conveniente- le disse l’assassino
sfoderando la piccola lama.
-Il suo taglio è tozzo, fatale, certo, ma anche
poco preciso. Con questo genere di lame bisogna acquistare la massima
precisione in ogni affondo, o potresti non ottenere l’effetto
desiderato. Al contrario, con un colpo ben assestato il tuo avversario
non avrà sangue sufficiente nelle vene per tornare a
combattere- rise.
Elena ci trovava ben poco da ridere.
Altair le venne vicino e gliela porse. –Quando
partiremo ti consegnerò la tua, ma per ora ti
presterò questa. Allora, il pugno stretto qui, il pollice
più aperto, e la lama deve seguire il fianco del polso,
tutto chiaro?- Altair le sistemò le dita
sull’impugnatura, ed Elena strinse la presa.
L’assassino si allontanò ed estrasse la
spada standar dal fodero. – Sarebbe sciocco insegnarti a
contrastare un’altra lama corta, per tanto
cercherò di essere modesto, ma tu non mollare, qualunque
cosa accada- le suggerì.
La ragazza annuì poco convinta.
Altair fece un balzo avanti e la disarmò con un
solo attacco.
La piccola lama volò in aria e si
conficcò nella terra fuori dal recinto.
Elena rise portandosi una mano alla bocca.
-Sapevo che sarebbe successo…- sbuffò
l’assassino.
Halef raccolse l’arma dal suolo e la porse ad
Elena.
-Grazie- fece lei, e il fratello di Marhim tornò
all'esterno del campo.
-Allora il concetto non ti è chiaro-
sbottò Altair tornando di fronte a lei. –Avanti,
tieni il pugno stretto! So che è difficile, ma non abbiamo
molto tempo-.
Elena fece aderire meglio la lama al suo polso, e
notò che il taglio seguiva la forma del suo braccio fungendo
come da protezione ad esso.
Con il gomito così esposto, si disse la ragazza,
una guardia ne avrebbe approfittato. Inoltre, anche il suo fianco
destro era molto scoperto agli attacchi avversari.
Provò a spostare la lama in diverse pose, e
sorrise nel vedere che con movimenti fluidi e regolari poteva
contrastare qualunque affondo.
-Ottimo, è proprio quello che stavo per
dirti…- Altair la contemplò in silenzio mentre
Elena fendeva l’aria e schivava il suo nemico immaginario,
simulando tutti i possibili contrasti.
Dopo poco, la ragazza si fermò, accorgendosi che
tutti gli occhi del cortile erano puntati su di lei. Arrossì
anomala e abbassò la guardia.
-Magari- suggerì l’assassino suo
Maestro. –Se cominciassimo l’allenamento come si
deve- rise.
Elena gli si avvicinò, e Altair iniziò
con i primi affondi.
Il suo Maestro concatenava attacchi differenti tra loro
mettendo alla prova i suoi riflessi, di fatti durante lo scontro, le
diceva che con nessun altra arma nell’armamentario di un
assassino bisognava dimostrare intuito e scioltezza.
Per il primo quarto d’ora Elena si
limitò a parare, ad allenare la resistenza delle gambe e
delle braccia. Ad un tratto, non riuscendo a deviare
l’attacco dell’assassino, Elena si vide costretta
ad abbassarsi e a rotolare di lato, finendo con la schiena sulla
staccionata. –Ahio…- borbottò.
La lama corta scivolò finendo ai piedi
dell’Angelo.
-Va bene, per ora può bastare. È tempo
di passare all’attacco, e sono sicuro che gradirai oltremodo-
Altair le porse una mano e l’aiutò a tirarsi su.
Elena recuperò l’arma e
tornò in posizione.
Attaccare le venne più semplice. Come con la
spada lunga, Elena tenne il piede sinistro avanti, ma passare
attraverso la difesa del suo maestro sarebbe stata sempre
un’impresa impossibile.
Altair faceva scivolare le due lame l’una
sull’altra tutte le volte che lei provava un affondo, e
quella era la tecnica base che aveva appreso durante i suoi primi
allenamenti.
Il sole andava a nascondersi oltre la valle. Il cielo si
tinse di tutte le più stupefacenti combinazioni di colori,
fino a diventare un uniforme massa scura punteggiata di pallini
luminescenti.
-Non ci siamo- le disse Altair.
Il pugnale da lancio era finito addosso alla parete, oltre
il manichino di paglia.
Elena curvò le spalle afflitta. –Non
riesco, sono negata-.
-Invece no- Altair le porse un altro coltello, ed Elena lo
strinse tra le dita. –Da quanto ho saputo, Alice eccelleva in
queste arti di omicidio- disse.
Il suo maestro era appoggiato al manichino vicino.
–Forza, prova ancora e piega di più le ginocchia.
Serve lo slancio, non solo di polso come credono molti- le propose.
Elena annuì e prese un respiro profondo.
I bracieri nel cortile erano accesi, le pattuglie vagavano
sullo stesso tracciato e le sentinelle, dall’alto delle mura,
scrutavano oltre le ombre della notte.
Elena si portò la mano che stringeva il pugnale
al fianco sinistro e, dopo aver piegato impercettibilmente le gambe, lo
scagliò nuovamente addosso alla pietra.
-Visto?!- si voltò isterica verso
l’assassino.
Altair alzò il mento. –Ancora-
sbottò serio estraendo un nuovo coltellino dallo stivale.
Elena provò di nuovo una decina di volte,
finché il suo maestro non terminò
l’equipaggiamento.
-Forza, va’ a prenderli- le disse indicando i
quindici pugnali buttati a terra alle spalle del manichino.
Elena, sbuffando, s’incamminò.
La distanza dal punto di lancio al manichino erano almeno
dieci metri! Come poteva solo sfiorarlo? Durante le ore precedenti
Altair le aveva impartito le nozioni basilari su come scagliarlo, ed
Elena poteva vedere i coltellini roteare verso il suo avversario di
paglia accompagnati da un lieve fruscio.
Si chinò a raccogliere i pugnali uno ad uno,
raggruppandoli nella mano sinistra.
Fredrik si avvicinò ad Altair. –Come
proceder?- gli chiese indicando con un cenno del capo la ragazza.
-Bene, per essere il primo giorno. Credo che ti
toccherà prestarle il cavallo prima di quanto immagini- rise
l’assassino.
Fredrik rimase serio. –Intendevo… credi
che sia pronta?- gli occhi verdi balenarono sotto il buio del cappuccio.
Altair incrociò le braccia.
–Sinceramente no, ma chi sono per battere contro la parola
del Maestro- borbottò seccato.
-Se mandasse tutto in fumo? Non puoi rischiare di perdere la
vita in missione solo per tornare indietro a rimediare ai suoi danni,
Altair. È questo che devi sbattere in faccia al Maestro, e
forse quel vecchio saprà guardare la verità con
altri occhi- gli disse Fredrik.
-Ho provato, ma sostiene che Elena possa essermi utile. Non
so dove impiegarla… potrebbe cavarsela con gli
interrogatori, in un modo o nell’altro…-
pensò ad alta voce Altair.
L’altro scosse la testa.
–D’altro canto, non lascerete la città
prima di una settimana massimo, quindi hai tutto il tempo per darle
qualche nozione anche su questo- proferì.
I due assassini rimasero in silenzio a guardarla, mentre
Elena contava che mancava un coltellino ai quindici che aveva scagliato.
La ragazza cominciò a dimenarsi per trovarlo.
A quella vista Altair si lasciò sfuggire un
sorriso diverso dal solito. –è così
giovane…- mormorò.
-Lo era anche sua madre, eppure non mi sembra
così indietro- commentò Fredrik.
-Lo so- fece Altair staccandosi dal manichino.
-Se avesse cominciato prima, credi che la situazione sarebbe
diversa?- gli domandò.
Altair non sapeva cosa rispondere, e si limitò a
sospirare.
-Comunque- proseguì Fredrik. –Adha ti
cercava. Non so per quale ragione, ma ha detto di dirti che ti
aspettava nella biblioteca-.
Altair lanciò un’ultima occhiata alla
ragazza, ancora intenta nella ricerca.
Estrasse il quindicesimo pugnale dalla cintura e, con grande
sorpresa di Elena che si voltò spaurita, lo
scagliò contro il manichino, colpendolo in pieno petto. In
fine si avviò verso l’ingresso della fortezza.
Elena fece un passo verso il manichino, e osservò
il pugnale perfettamente piantato nella paglia in posizione verticale.
Meravigliata, lo estrasse e lo girò tra le mani.
Il manico di quel coltellino era differente dagli altri.
Intarsiato in un metallo bianco, forse argento, terminava con tre
piume. Sfaccettature e decorazioni si snodavano nel punto in cui la
lama era incastrata nell’impugnatura.
Lo aggiunse agli altri e si diresse verso il punto di
lancio, ma si accorse che il suo maestro si era volatilizzato.
-Non preoccuparti, tornerà tra poco- le disse
Fredrik che la fissava.
Elena si nascose meglio sotto il cappuccio, e si
avvicinò al secondo manichino lì affianco.
Conficcò i pugnali uno per uno nel petto di paglia,
tenendone in mano uno alla volta.
Si mise in posizione, e decise che nell’attesa si
sarebbe avvantaggiata per conto suo.
Il primo lancio non andò come avrebbe dovuto, e
si apprestò ad afferrare un altro coltello.
Anche questo fallì, ed Elena si sentiva osservata
dallo sguardo dell’assassini alle sue spalle.
Fredrik si scoprì il volto, ed Elena, voltandosi
a recuperare un medesimo coltello, notò che aveva i capelli
biondi, brillanti. Occhi verdi come l’acqua delle spiagge
italiane e un viso giovane che tradiva la sua età, superiore
ai venticinque anni. La barba bionda e lasciata crescere non troppo.
Elena si volse, perché Fredrik si era accorto che
lo sguardo di lei aveva indugiato troppo.
La ragazza riprese ad allenarsi, concentrandosi
esclusivamente sul pugnale nella mano e il manichino di fronte a lei.
-Marhim- Fredrik lo salutò.
Elena, colta alla sprovvista, si fece scivolare il coltello
che cadde a terra. –Marhim!- Si voltò.
Marhim le sorrise. – fai progressi!- rise
vedendola così impacciata.
Elena si sistemò meglio i capelli nel cappuccio,
arrossendo.
Fredrik strinse la spalla di Marhim, poi si
allontanò lasciandoli soli.
Marhim le si avvicinò. – E
così parti per Acri- le disse venendole affianco.
Elena si chinò a raccogliere la piccola arma.
–Sì- mormorò.
-Questo posto sarà vuoto, senza di te- gli
scappò di bocca.
Elena gli lanciò un’occhiata
interrogativa.
-Intendo- Marhim si passò una mano tra i capelli.
–non ci sarà nessuno ad addestrarsi nel cortile.
Domani parte anche mio fratello per Alhepo assieme ad Adel e altri. Mi
sentirò piuttosto solo- sorrise poco convinto.
Elena incrociò le braccia.
–Perché non vai con loro?- gli chiese.
Il ragazzo abbassò lo sguardo. –Non
saprei… odio ammetterlo, ma Halef è di qualche
grado superiore a me, ed è per questo che nessuno mi ha
chiesto se potevo andare con loro. Però non mi sono fatto
avanti pensando che saresti rimasta anche tu- confessò.
Elena non riuscì a decifrare il suo volto. Gli
occhi di Marhim erano due pozzi castani in cui ci si poteva perdere sul
serio, in quel momento. L’assassino teneva le braccia lungo i
fianchi, la schiena dritta. Eppure, si disse Elena, c’era
qualcosa forse nel suo atteggiamento, nelle sue parole insolite, nel
suo tono sicuro ma timido… chissà.
-Mi spiace, ma non posso farci nulla- si limitò a
dire lei. –Non sai quanto aspettavo questo momento- aggiunse
lei felice.
-Come mai?- Marhim le venne ancora più vicino.
In quel momento fu lei ad abbassare il viso.
–Assisterò al meglio il mio maestro
affinché Corrado non viva un giorno di più-
digrignò.
Marhim allungò una mano e le strinse il braccio.
–Che cosa ti avevo detto? Niente ripicca, anzi, vedi di
controllare il tuo rancore quando ti troverai faccia a faccia con lui
ma Altair dirà che non è il momento-.
Elena era confusa, alzò lo sguardo.
–Non sarà il momento?- ripeté.
–Che vuol dire?-.
-Sai- cominciò lui avviandosi al manichino porta
pugnali. Ne estrasse uno e si posizionò. –Un
assassino è vigile sulle proprie emozioni, questo
è certo, ma devi sapere che ci viene insegnato, seppur sia
rischioso, ad aspettare l’ultimo buon momento per colpire-
proferì scagliando il coltellino, che andò a
colpire il manichino sul piccolo braccetto tozzo.
Marhim, per nulla soddisfatto e imbarazzato,
curvò la schiena. –Ma che diavolo…-
borbottò.
Elena cominciò a ridere, e gli andò
affianco.
-Vuoi fare una gara?- le chiese lui guardandola
dall’alto.
Elena annuì.
Marhim piegava le ginocchia, e anche quando i suoi muscoli
si tendevano fino all’ultimo, il suo volto restava tranquillo
e sereno.
Elena, al contrario, stringeva i denti come nel sopportare
un dolore amaro: quello della sconfitta. Per di più, il buio
della notte non aiutava mica!
Finché, per la prima volta durante tutta la
partita, un coltellino colpì il manichino nel centro esatto
della fronte.
-Grandioso!- fecero all’unisono i due.
-Aspetta- dissero ancora insieme. –L’hai
lanciato tu?- si domandarono.
Alle loro spalle sentirono una presenza schiarirsi la voce,
e Rhami si fece avanti. –Veramente sono stato io-
sbottò orgoglioso.
Marhim lanciò all’assassino
un’occhiataccia, mentre Rhami si apprestava a recuperare il
suo pugnale.
Elena stette in silenzio quando l’Angelo le venne
accanto. – è stato divertente vincere facile- rise
sarcastico.
-Nessuno ti ha invitato- ruggì Marhim.
Rhami alzò le spalle e si allontanò
tra le ombre. Elena lo seguì con gli occhi, e la cosa parve
innervosire Marhim.
-Ma cos’ha di tanto interessante, quello
lì?- proruppe Marhim.
Elena tornò a guardare l’amico.
–Di cosa parli?-.
-Insomma, è così odioso quando si
crede chissà chi!- Marhim sembrava sconvolto.
-Ora sei tu quello che non riesce a controllarsi- le labbra
di lei si allungarono in un sorriso.
Marhim prese fiato con calma. – hai ragione,
scusa. M’innervosisce- aggiunse.
Elena scoppiò in una risata. –Invece io
lo trovo divertente. Anzi, vi trovo entrambi divertenti!-.
Marhim fu consolato solo in parte da quelle parole,
perché Elena si stava riferendo anche a Rhami.
Salve gentili
ascoltatori.
Qui radio Elika che
vi parla, e vi ringrazia per la calorosa partecipazione.
Su questo capitolo
non ci sono pesanti chiarimenti da fare, a parte il fatto che Elena
lotterà con tutte le sue forze per scoprire chi sia poi suo
fratello! Spero che sia stato di vostro gradimento, e ovviamente sono
obbligata dal mio buon senso a ringraziare alcuni di voi!
Saphira87:
tra la mia e la tua
fan fiction c’è una botta e risposta
impressionante! Entrambe corriamo come delle matte alla scoperta del
prossimo capitolo, che, per quanto mi riguarda, invento sempre sul
momento! Spero che la mia storia continui a piacerti nonostante i
gravosi errori di grammatica e le parole senza senso che compaiono ogni
tanto nel testo. Ti prego, continua a recensire nel modo unico che sai
fare solo tu, ma, soprattutto, sbrigati a posare l’11esimo
capitolo della tua FIC!!!
Lilyna_93:
hai seguito la mia
storia fin dall’inizio, ne hai assaporato la scrittura
confusionaria e ne hai compreso l’anima! A te un bacio per la
pazienza che hai quando su MSN ti anticipo un botto di cose! La
coccarda d’oro va ai tuoi consigli sul capitolo
“gli angeli degli incubi” che senza il tuo aiuto
non sarebbe mai uscito così lungo e appassionante! Oddio,
non so che altro dire! Be’, un incoraggiamento per la tua
rete internet che ultimamente fa un po’ cilecca, ma spero che
continuerai a recensire e a tirarmi su il morale con le frasi del tipo:
“AMO LA TUA FAN FICTION”!!!
Angelic
Shadow: l’unico
maschietto che sta leggendo la mia fiction, un gran simpaticone che sta
mettendo su una gran bella avventura su uno dei giochi più
incredibili dell’anno! Sono sicura di poter spacciare la voce
sulla tua fic, Angelic, così cambi un po’ aria (le
mie recensioni stanno diventando monotone XD). Con te non so da dove
cominciare: ti sono debitrice per esserti avventurato nella mia
scrittura trascurata e i molti punti poco chiara, ma anche per molto
altro! Buona fortuna col 7imo capitolo della tua fiction, che io
aspetto con ansiaaaaa!!!
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Capitolo 21 *** The, vino e la Mela della Discordia ***
The,
vino e la Mela della Discordia
Il
salone era avvolto dal buio.
Un
pavimento di roccia grigia, un lungo tappeto ricamato che attraversava
la sala e giungeva ai piedi di uno studiolo, circondato da scaffali e
arazzi.
Fuori
l’intemperia più nera, con i suoi lampi di luce e
tuoni. La pioggia si abbatteva sulla città costiera, i
cavalloni del mare si gettavano sul molo e scuotevano le barche senza
pietà. I gabbiani fuggivano, rifugiandosi tra i campanili e
sotto le guglie delle chiese, mentre la furia del Signore diroccava con
violenza su Acri.
Seduto
allo scranno vi era un uomo per metà celato
nell’ombra; composto, con le braccia poggiate comode sui
braccioli. Una modesta corona d’argento gli ornava i capelli
curati e bruni, assieme ad una folta barba e occhi scuri. Il viso di
suo padre, qualcuno avrebbe aggiunto.
Sulla
scrivania di fronte, dentro un cofanetto tappezzato di velluto rosso,
brillava di luce propria una sfera. Era dorata, magnifica,
accattivante. Era il Frutto dell’Eden. La Mela della
Discordia, la Mano dell’Immenso…
quell’oggettino così rozzo, tondo aveva davvero
quei poteri di cui Gulielmo gli aveva sempre narrato? Poteva, solo
stringendolo nel pugno, controllare le menti di coloro che lo
accerchiavano? Ma sarebbe stato in grado, di contenerne gli effetti? I
pesi? Le responsabilità? Ma quali responsabilità
si sarebbero mosse in un uomo che poteva camminare
sull’acqua?! Quali pensieri, se non
l’avidità di potere, avrebbero fatto comparsa
nella mente di un uomo che poteva volare, dominare sulla vita
altrui… No, non avrebbe osato scoprire come
quell’oggetto agiva, forse l’avrebbe custodito per
sempre nel forte che i suoi avi costruirono così saldo,
affinché un giorno tra le sue mura dormisse qualcosa di
davvero raro e prezioso, più inestimabile della sua vita di
Re di Acri.
I
battenti infondo si aprirono, lentamente, e fece la sua comparsa una
guardia. –Mio signore- il soldato
s’inchinò, muovendo alcuni passi avanti.
Corrado
rimase dov’era, immobile, continuando a guardare
quell’oggetto affascinante.
-Mio
signore, una donna chiede di voi- fece l’uomo.
Corrado
sbatté le ciglia, ma non mosse altro se non la bocca.
–Chi è costei?- domandò accigliato.
-Non
ha voluto dirlo, ha solo detto che urge e non ha molto tempo-
balbettò il soldato.
Corrado
si spostò di lato sul seggio. –Non ho tempo per
chi non ha nome, mandatela via- disse guardando fuori dalle finestre.
-Non
siate frettoloso, mio caro Corrado- un’ombra si mosse nel
buio.
Corrado
scattò in piedi, sfoderando la spada che aveva al fianco.
–Mostratevi!- gridò.
La
guardia si armò avvicinandosi al suo padrone.
-Non
avete rispettato i patti!- sbottò la voce; era una donna,
celata da un lungo mantello scuro e si muoveva nel nero della camera.
Corrado
rilassò i muscoli. –Potete andare- disse il Re
rivolgendosi al suo reietto.
La
guardia, spaventata, rinfoderò la lama avviandosi quasi di
corsa fuori dalla sala.
Corrado
tornò a sedersi, posando la spada sul tavolo. Chiuse il
cofanetto, e quando la luce del Frutto venne racchiusa nel legno del
contenente, l’ombra marciò avanti di un passo.
-Avevate
promesso di risparmiare la vita agli uomini di Tharidl, invece ne avete
fatto strage!- ruggì la donna. Il volto celato sotto un
cappuccio lungo e lo sguardo basso.
-Non
me ne avete dato il modo!- si difese Corrado. –I vostri
assassini ci sono venuti incontro in massa, armati! Cosa avrei dovuto
fare? Lasciare che i MIEI uomini venissero decimanti, o combattere per
la causa più giusta?-.
La
donna avanzò verso la scrivania, e vi si poggiò.
–Mi prendete per una sciocca, forse? Se aveste davvero
rispettato l’accordo, con voi avreste portato solo pochi
uomini! Invece ne avete approfittato! Sapendo da me che voi e i vostri
eravate in maggior numero rispetto ai nostri, avete cominciato la
faida! Siete un vile…-.
Corrado
scoppiò in una risata fragorosa, che rimbombò per
tutta la sala. –Io… io sarei il vile? Voi vi siete
venduta alla mia missione senza che vi dicessi nulla. Siete venuta qui
ad implorarmi affinché svolgeste dei lavoretti per me.
Ebbene, siete voi l’unica a dovervi vergognare…-.
La
donna tacque alcuni istanti. –State dunque dicendo che non vi
sono stata… utile?- lei avvicinò il suo
voltò scuro a quello di lui, allungandosi sul tavolo.
Corrado
rimase tranquillo. –Sì- rispose. –vi
debbo più di quanto immaginate- gli era costato dire quelle
parole.
La
bocca di lei si allungò in un sorriso malizioso.
–Non sono qui per discutere di questo- fece tornando dritta.
Corrado
la guardò passeggiare davanti alla scrivania.
-Tharidl
ha incaricato l’assassino di vostro padre di trovarvi e,
naturalmente, uccidervi. Assieme a lui c’è la
ragazza che avete sconfitto, e me ne prendo parte del
merito…-.
-
L’avrei di sicuro battuta, quella ragazzina! Non osate
dubitare delle mie capacità solo perché vi ho
assegnato simile compito- Corrado cominciava a spazientirsi.
-Oh…-
fece lei. –Ne sono certa, ma tornando a noi…
saranno qui tra qualche giorno, e ho pensato che avvertirvi di persona
sarebbe stata una buona idea- poggiò una mano sul fianco
magro.
-Sì,
accetto la vostra… premura, e intendo darvi ascolto- Corrado
si alzò. –C’è altro?-.
-Siate
prudenti, Corrado- la donna si fece seria. –L’uomo
che Tharidl ha scelto per voi… ci sono voci, sul suo conto,
che parlano di nessun fallimento, le sue piume di sangue tornavano
sempre macchiate. E la ragazza… non sottovalutate nessuno
dei suoi aspetti gentili e fanciulleschi. Ella viene da una stirpe che
porta onore alla confraternita di Masyaf da più di una
generazione…- parlava come un veggente, una vecchia che
leggeva le carte, e Corrado ne rimase interdetto.
-E
voi come lo sapete?- domandò l’uomo avvicinandosi.
La
donna soffocò una risata. –Credetemi e basta,
poiché non ho modo di dimostrarvi il vero. Per quanto vi
riguarda, vi consiglio solo di affidarvi nelle mani di chi solo
è riuscito sempre a proteggervi, e che il vostro nome vaghi
nella storia…- la donna si avviò verso
l’uscita, quando Corrado la chiamò.
-Fermatevi-
disse.
Il
mantello le svolazzò ai fianchi, mostrando per un breve
istante l’abito rosso porpora che portava.
–C’è altro?- fece la donna aspettando
con il peso su una sola gamba.
Corrado
le andò incontro. –Mi stavo chiedendo…
perché lo state facendo? Pensate di ricevere un compenso,
per quello che fate? O forse…- cercò le parole.
– state facendo forse il doppio gioco?- sbottò
sospettoso.
La
donna scoppiò in una risata, mostrando i denti bianchi e
perfetti, labbra rosse e carnose. –Mi era parso strano che in
voi non fosse nato ancora alcun dubbio, Signore di Acri e figlio di
vostro padre!…- tornò improvvisamente sera.
–Laddove le vostre spie tolsero la vita al mio amato, avevo
già capito di essermi schierata dalla parte sbagliata della
scacchiera. La mia famiglia si trasferì in questo Regno
così odiato dagli Déi quando non eravate ancora
nato, Corrado, e ho avuto modo di apprendere che il Nuovo Mondo che i
Templari promettevano fosse l’unica salvezza per queste terre
maledette… ebbene, mio signore, facevo sogni e incubi su
quello che sarebbe stato il mio futuro se fosse rimasta affianco alla
Setta degli Assassini. Quegli esseri sono accecati dalla salvezza che
il Maestro porge loro, e io non sopporto la manipolazione che li viene
inflitta fin dalla giovane età. Unirmi a voi, nel bene e nel
male che avete causato alla mia anima, è la via che ho
scelto di seguire…- lasciò la sala e i suoi passi
si persero nel corridoio.
Corrado
tornò al suo scranno; si sedette lentamente, confuso.
E
nel silenzio, si diffuse il boato di un tuono.
-È
tutto pronto!?- gridò Adel tenendo buono il cavallo.
Su
Masyaf splendeva il sole di una nuova, splendente giornata: gli uccelli
cinguettavano e il trambusto cittadino arrivava anche fuori le mura.
Alcuni assassini erano intenti negli ultimi preparativi, delle loro
bisacce. Erano in totale quattro, compreso Adel, e tra di loro
c’era Halef, che stava finendo di sistemare le staffe della
sella.
-Allora,
ci si vede tra qualche mese- disse il giovane voltandosi.
Marhim
ed Elena lo guardarono entrambi sorridendo. –Sì,
ma sii prudente. Quella città ultimamente non è
più un posto sicuro come una volta- parlottò
Marhim.
-Ah!-
rise Halef montando in sella. –E da quando hai smesso di
pregare perché un arciere mi facesse fuori?- disse scherzoso
stringendo le redini, poi si rivolse ad Elena.
-Non
è ancora certo, ma al ritorno faremo tappa ad Acri- le fece
l’occhiolino, ed Elena allungò ulteriormente il
suo sorriso.
-E
quando farete ritorno, esattamente?- domandò Marhim
sentendosi già il peso dei giorni di solitudine addosso.
Halef
si calò il cappuccio sul volto. – Esattamente?-
ripeté. –Non si sa. Se tutto va per il verso
giusto, per i primi di novembre dovremmo essere qui in tempo per la
colazione- rise.
-Parecchio
tempo- commentò Elena.
Halef
annuì. –Se ne avrò
l’occasione, ti scriverò, fratello pigro. E
magari, se ti dessi una svegliata, prima del compimento delle indagini,
potresti unirti a noi- gli consigliò.
Marhim
scosse la testa. –Ho già scelto:
l’omicidio non è il mio ramo dell’ulivo-.
-Allora-
sorrise malizioso Halef –dovresti restituire quello!- il
ragazzo indicò il guanto che ospitava la lama nascosta del
fratello. Marhim gli lanciò un’occhiataccia.
Gli
assassini, montati sui loro destrieri, raggiunsero al galoppo il loro
mentore infondo alla strada.
-Avanti,
sbrigati!- Marhim diede una pacca al fianco del cavallo.
Halef
li salutò un’ultima volta portandosi il pugno
chiuso al cuore, poi si piegò sulla sella e fece partire il
cavallo al galoppo.
I
quattro assassini sparirono dietro il pendio della roccia in una nube
di polvere.
-È
andato…- sospirò Marhim.
Elena
gli andò affianco e l’abbracciò.
–Sei davvero così in pena per lui?- gli chiese.
Marhim
ricambiò l’abbraccio, ma esitò sulla
risposta. –Nah!- dichiarò in fine.
Elena
cominciò a ridere, e i due tornarono dentro nella
città. –L’omicidio non è il
mio ramo dell’ulivo? Ma come ti è venuta?-.
Marhim
non riuscì a trattenersi, e anche lui prese a ridere.
–Non so-.
-Davvero?
Nel senso…- si fermarono vicino alla fontana sulla piazza
del mercato. –davvero hai intenzione di mollare?- gli chiese
stupita.
Marhim
si abbozzò il cappuccio sulle spalle, e i raggi del sole gli
illuminarono il viso. –Non sto
“mollando”- disse andandosi a sedere sulla panca
più vicina, ed Elena gli andò dietro.
-Mi
sto solo fermando, cerco solamente di non salire di rango. Faccio
quello che il Maestro mi chiede di fare, tutto qui…-
appoggiò la schiena al muro.
Elena
gli venne più vicina. – e
cos’è che ti ha chiesto di fare?-.
Marhim
la guardò perplesso, ma dopo poco rispose: - per ora?
Facile, badare a te- sorrise.
Elena
nascose il rossore delle guance voltandosi. – un incarico
arduo, ne sarai capace?- fece scherzosa.
Marhim
non sembrava in vena di scherzi, perché con tono afflitto
disse: - sai, Rhami ha denunciato Jarhéd al Maestro, questa
mattina-.
Elena
s’irrigidì. –Perché?-.
-Come
perché? Crede che sia stato lui a spararti addosso
l’ago avvelenato, e non lo biasimo. Jarhéd ha dei
precedenti inspiegabili anche in alcuni incarichi passati. Questa volta
mi schiero dalla sua stessa parte, perché anche Rhami non
riesce a mandare giù tutta questa storia
orribile…- abbassò lo sguardo a terra.
Elena
appoggiò la guancia sulla sua spalla. – che
diamine, però- borbottò.
Marhim
sospirò. – a chi lo dici-.
Rimasero
in quella posa diversi minuti, finché dalla folla non emerse
una figura familiare.
-Elika-
fece Elena come svegliandosi da un sogno.
-Chi?-
Marhim seguì il suo sguardo, ma lui non l’aveva
mai vista, così non poté riconoscerla.
–L’ex assassina?- le chiese.
Elena
lo prese per il braccio e lo tirò con sé verso la
donna.
Elika
faceva compere ad una bancarella di frutta. Teneva in grembo un piccolo
cesto chiaro e canticchiava allegra quando i due le furono dietro.
-Elika-
Elena la chiamò, e la donna si voltò di colpo.
-Elena!
Quanto tempo! Perché non sei più venuta a
trovarmi?- le due ragazze si abbracciarono, e Marhim, imbarazzato,
guardò altrove.
Elena
sorrise. –Mi spiace, ma in questi ultimi giorni sono successe
tante cose. Poi ho avuto gli allenamenti con Altair, e ora io e Marhim
stavamo salutando suo fratello che è partito assieme ad Adel
e altri per Alhepo- la informò tutto d’un fiato.
Elika
notò il giovane accanto a lei. –Marhim…
come mai ho già sentito parlare di te?-.
Il
ragazzo rimase di stucco. –Non saprei- farfugliò
insicuro.
-Oh,
be’!- fece Elika. –Sono così contenta di
vederti, ragazza mia, che voglio ospitare te e l’assassino
qui presente per un buon the, che ne dici?- la donna era entusiasta.
Elena
cercò l’approvazione dell’amico, ma
Marhim era rimasto senza parole. –sì,
sarebbe…- non riuscì a terminare che Elika la
prese sottobraccio e la portò con sé verso casa
sua. –Ci sono così tante cose che voglio sapere! A
cominciare dai tuoi addestramenti, ma soprattutto devi raccontarmi del
tuo scontro con Corrado! Oh, quanta roba, sapessi come…- e
proseguì senza fermarsi.
Marhim
le perse entrambe di vista tra la folla, così fu costretto
ad arrampicarsi sul tetto dell’abitazione vicina.
-Ehi,
ma che fa quel pazzo?- disse un vecchio vedendolo saltare sul tetto
accanto.
Un
po’ fuori esercizio, Marhim scivolò e si
trovò sospeso a mezz’aria attaccato al cornicione
di una finestra.
Elika
ed Elena camminavano proprio sotto di lui, e il ragazzo si
lasciò andare.
Atterrò
alle loro spalle, ma l’unica ad accorgersene fu Elena, che si
voltò aggrottando la fronte.
Marhim
alzò le spalle tirando un sospiro di sollievo, ed Elika si
fece da parte per farli entrare in casa.
Elika
poggiò il vassoio sul tavolo basso.
C’erano
tre tazze belle fumanti di the scuro, e la padrona di casa aveva messo
anche tre biscotti di grano duro.
Marhim
ed Elena erano seduti l’uno affianco all’altra su
dei grossi cuscini di tessuto arancione, il sole filtrava dalle
finestre, facendo brillare il pulviscolo atmosferico. Gli uccellini
canticchiavano per le strade affollate della cittadella, assieme alle
voci dei passanti e alle grida giocose dei bambini.
Elika
si sedette di fronte ai due e prese la sua tazza tra le dita,
cominciando a sorseggiare. –Avanti, comincia- le disse.
Elena
lanciò un’occhiata all’amico come in
segno di aiuto, e Marhim si schiarì la voce.
–Elena fa miglioramenti. Questa settimana mastro Altair le
sta insegnando l’arte della spada corta, ed Elena sembra
portata per qualsiasi cosa. Accanto a queste, Altair le fornisce
nozioni sul lancio dei pugnali, in prossimità del viaggio
che li attende entrambi per Acri- disse tutto d’un fiato.
Ecco.
Marhim aveva illustrato ad Elika la parte meno complessa delle sue
giornate, ma sicuramente Elika avrebbe chiesto…
-E
come ti senti? Dopo quella sconfitta, poi… ho saputo del
veleno! È tutto apposto, vero?-.
Elena
prese una tazza e vi soffiò sensibilmente. Il calore passava
attraverso la porcellana e le scaldava le dita.
–Sì, ora mi sento meglio… ma non solo!
Ho un peso in meno sullo stomaco, dato che l’incontro
è stato truccato- confessò afflitta.
Elika
passò lo sguardo al ragazzo. –Scusa tanto, ma tu
chi sei? La sua guardia del corpo?- gli chiese sorridendo.
Marhim
prese il suo the allungando la bocca in un sorriso timido.
–Più o meno…- fece insicuro.
Elika
tornò a guardare lei, ed Elena riprese a raccontare.
-Come
hai saputo sono stata avvelenata, e forse sono ancora in rischio di
morte. Insomma…- abbassò lo sguardo la ragazza.
–non vedo Adha da parecchio tempo, e non ho avuto modo di
parlare con lei delle mie condizioni…-.
Marhim
si rattristì con lei, ma Elika cercò di cambiare
atmosfera.
-E
così- cominciò la donna. –Parti per
Acri, assieme al tuo nuovo mentore!- sorrise affettuosa.
Elena
annuì, e la gioia tornò sul suo volto. Non vedeva
l’ora di lasciare il dolore di quelle mura, e raggiungere il
prima possibile Corrado! Per ammazzarlo, ovviamente…
-Spero
che vada tutto bene…- mormorò trattenendo il
furore.
-Perché
non dovrebbe?- disse Elika, e sia Marhim che la donna la guardarono
sorpresi. –Sei un’ottima combattente, ti sei
fronteggiata con le guardie di quella città quando ancora
imbracciavi appena una spada. Non hai nulla da temere!- bevve un altro
sorso.
Elena
strinse con più forza la tazza, cercando di coglierne le
ultime sfumature di calore. –Hai ragione, forse sono davvero
pronta- bofonchiò.
-Gliela
farete pagare a quel maledetto, e riporterete qui il Frutto
dell’Eden prima che una qualsivoglia sentinella possa
gridare: assassini!- rise la donna.
Elena
annuì, di nuovo, cominciando a convincersi che nulla sarebbe
andato storto. In fondo, Altair non aveva mai fallito nessuna missione,
come diceva il suo rango, e sicuramente avrebbe badato a lei durante
tutte le indagini, insegnandole il necessario. E, alla fine, Elena
assisterà in silenzio, ma gridando di gioia, quando il suo
maestro consegnerà la piuma sporca di sangue al
rafik…
-Marhim,
giusto?- fece Elika poggiando la tazza quasi vuota nel vassoio.
-Sì-
rispose il ragazzo.
Elika
lo guardò un istante in silenzio, poi parlò:
-Potresti lasciarci?- gli chiese cordiale.
Marhim
spostò gli occhi su Elena, altrettanto confusa.
–certamente- balbettò alzandosi.
Lasciò
la tazza ancora piena e si avviò all’uscita,
chiudendosi poi la porta alle spalle.
Elena
si volse verso di lei, e si accorse che Elika la fissava.
-So
che stai cercando tuo fratello- disse la donna continuando ad
osservarla.
Elena
sobbalzò. –Sì, e tu sai chi
è- si sporse in avanti. –Non è
così?!- le uscì di bocca aggressivo, ma subito
tornò composta. –Scusa… io…
vorrei tanto, insomma… è vero che non
l’ho mai conosciuto, e lui non ha mai incontrato, ma
vorrei… vorrei solo…. Ecco…- Elena
passava il dito sul bordo della tazza, sentendo gli occhi inumidirsi.
–è l’unica persona… che mi
rimane- singhiozzò. –mio padre mi ha mandata qui
apposta per trovarlo, ma quel vecchio non vuole dirmi chi
sia…- si sfogò piangendo.
Elika
le venne accanto. –so che cosa stai provando…
sapere che la tua famiglia è lontana da te, ma perennemente
nei tuoi sogni, intendo- le sussurrò all’orecchio
abbracciandola.
Elena
si strinse a lei e le pianse sulla spalla, ed Elika le
accarezzò i capelli tentando di calmarla. –Su, su,
avanti… so che è doloroso, lo so! Ma santi lumi,
Elena! Sei una Dea ora!- le sorrise staccandosi. Elika le
asciugò le lacrime che le solcavano le guance, ed Elena
riuscì a prestarle ascolto riacquistando il controllo.
Elika
le sistemò i capelli. – Forza e coraggio,
determinazione. Sono questi gli elementi giusti che ti condurranno da
tuo fratello, dovunque egli sia…- le mormorò
dolcemente.
-Tharidl-
gemé Elena. –lui mi ha detto che si trova qui, o
meglio… che il suo corpo vaga per la fortezza. Non lo
sopporto, quel vecchietto, quando parla per enigmi! È
odioso… lui che dice di volermi aiutare, lui che era tanto
amico di mio padre!- Elena tornò a piangere sulla sua
spalla, non riuscendo a trattenersi.
Perché
d’un tratto Elika si era rivelata il suo confessionale di
dolore? Elena la conosceva appena, ma sentiva di potersi fidare di lei
come se fosse sua madre. Non andava a piangere sulla veste di Marhim,
come poteva Elika consolarla meglio del suo migliore amico, si chiese.
Nonostante
le incertezze, Elena gettò sul collo di Elika tutte le sue
paure, raccontandole, tra gemiti e singhiozzi, quello che aveva passato
fino a quel punto: i soldati che aveva ammazzato scappando da Acri, la
sua prima notte nella fortezza, gli atti vili che alcuni novizi le
avevano riservato, il suo primo scontro con Altair, e di come era
diventato suo maestro. Le parlò anche del funerale, di Minha
e, per ultima cosa, del suo sogno…
Descrisse
ogni particolare delle sue cadute nel vuoto, della mano di Rhami tesa
verso di lei, di Marhim e anche del suo mentore cui erano comparse le
ali.
-Interessante,
anche se credo di non intendermi di simili veggenze - rise Elika.
Elena
si sentiva meglio: ora che non aveva più nulla dentro, che
era riuscita a raccontare tutto a qualcuno, anche di così
estraneo, si disse, sul suo voltò tornò il
sorriso, e i suoi occhi brillarono di azzurro limpido come il cielo
d’estate.
La
ragazza tornò composta, silenziosa mentre Elika si
apprestava a riportare il vassoio nella stanza accanto.
–è meglio che torni da quel poveretto,
è rimasto ad aspettare lì fuori per
più di un’ora!- le disse Elika dalla cucina.
Elena
aveva completamente perso il senso del tempo. Un’ora! Si
ripeté.
La
giovane scattò in piedi, si affacciò nella cucina
e salutò Elika che stava lavando alcuni vecchi piatti
sporchi e corse fuori dalla casa.
Il
sole, di fatti, andava calare sulla valle. Il cielo assumeva sfumature
rosate, le nuvole si coloravano di rosso primario, e la
città si preparava per la notte: le bancarelle chiudevano, i
mercanti tornavano nelle loro abitazioni, riavvolgendo i tappeti e
raggruppando il bestiame.
Trovò
Marhim ad aspettarla allo sbocco della via, appoggiato alla parete di
una casa.
-Elena!-
si voltò gioioso vedendola.
-Scusa,
mi spiace averti fatto aspettare, ma ho voluto allungare io la
conversazione, non avere rimpianti con Elika- gli disse avviandosi.
Marhim
le camminò al fianco. –Non l’ho mai
sospettato… ti serviva qualcuno che ti capisse meglio, per
quanto riguarda… sei una ragazza, no? È questo
che intendo- si passò una mano trai capelli.
Elena
soffocò una risata, e i due si allungarono sulla via per la
fortezza.
A
metà strada, Elena si fermò.
Fredrik
veniva verso di loro, e Marhim seguì il suo sguardo senza
dire nulla.
L’assassino
dal volto scoperto proferì un lieve inchino alla ragazza,
poi parlò: -Elena, Adha mi manda a chiamarvi; ella vi
attende nei vostri alloggi.
Elena
e Marhim si scambiarono una fugace occhiata.
-Grazie-
disse la ragazza riprendendo il passo.
Lei
e Marhim sparirono tra la folla.
L’Angelo
continuò per la sua strada raggiungendo la piazza della
città, svoltò in una stradina buia e
bussò alla porta di un’abitazione.
-Arrivo-
disse un voce di donna da dentro.
Elika
aprì la porta e rimase con la bocca aperta,
sull’uscio. –Fredrik?- fece stupita.
L’assassino
rimase immobile, dritto. –Il Maestro vuole vederti, Elika- la
informò abbassando il capo.
La
donna, ancora sbigottita, si chiuse la porta alle spalle
appoggiandovisi. –Come mai?- domandò, ma Fredrik
le diede le spalle e riprese la sua passeggiata. Attraversò
tutta Masyaf, bussando alle sole porte cui Tharidl gli aveva detto di
recarsi.
Raggiunsero
il cortile interno che si stava facendo notte. Comparivano le prime
stelle all’orizzonte, e il cielo andava incupirsi,
accompagnato dalla brezza fresca notturna.
Marhim
l’accompagnò oltre la sala del Maestro, fino alle
gradinate della torre, attraverso gli alloggi degli Angeli.
-Va’,
ti aspetto qui, se vuoi- le disse.
Elena
proseguì sulle scale che portavano agli appartamenti delle
Dee. –Se ti va- gli sorrise, e sparì al piano di
sopra.
Adha
si spostava da parte a parte del vesto stanzone sbattendo i cuscini e i
tappeti fuori dalle finestre aperte.
-Che
succede?- chiese Elena avvicinandosi alla donna.
Adha
le volse una sola occhiata, continuando a svolgere le sue mansioni.
–Devi prepararti. Il tuo addestramento è completo,
e domani mattina all’alba tu Altair partirete per la vostra
destinazione- fece seria spazzando gli ingressi delle stanze da letto.
Elena
sobbalzò. –Domani- tartagliò.
–Così presto?- le andò affianco
afflitta, ma Adha si ridusse solo ad annuire, grave.
-Non
è stata una mia decisione. Altair ha sentenziato
così questo pomeriggio. Ti ritiene già
all’altezza- Adha spazzava con nervosismo, colpendo le tegole
di legno con la paglia della scopa rabbiosa.
Elena
curvò le spalle. –Va bene- sospirò.
Adha
arrestò le pulizie, d’un tratto.
Elena
si avviò nella sua stanza, e la donna le venne dietro
poggiando la scopa al muro. –Mi sono permessa di apportare
delle altre modifiche alla tua veste, mentre eri in coma. Ho incaricato
un assassino di lucidarti l’equipaggiamento, che ora
è su quel tavolo lì- Adha indicò la
scrivania sotto la finestra, ed Elena fece un passo in quella direzione.
-Che
genere di modifiche?- domandò sfiorando la cintura di cuoio
con le dita.
Adha
esitò. –Perché non lo provi tu stessa?
Così, se ci sono altri tagli da fare, almeno per domani
sarà pronta-.
Elena
si voltò di colpo. –Tagli?! Era già
tagliata abbastanza quando l’ho messa l’ultima
volta!- afferrò la veste bianca tra le mani e la
stirò sul letto, osservandola con occhio critico.
Era
nettamente cambiata.
Le
scollature sul petto, le maniche leggere… dettagli che si
erano sostituiti ancora ad una comune divisa da assassino di basso
rango. La tunica bianca le arrivava alle ginocchi, come al solito, ma
finalmente qualcuno aveva avuto il buon senso di rattoppare quei buchi!
-Ecco,
così va meglio- borbottò ripiegandola con cura.
-è
stato lui ad insistere affinché ti restituissi un
po’… come l’ha chiamata? Ah,
sì, un po’ di “decenza”-
sbottò la donna.
-Altair?-
chiese senza voltarsi, ma lo stesso sorpresa.
Adha
riafferrò la scopa e si avviò verso le scale.
–Fa’ piccoli i bagagli, mi raccomando! Hai tutto il
tempo! Marhim ti accompagnerà a cena…- la donna
si dileguò al piano di sotto.
Elena
spostò lo sguardo al fodero della bellissima spada, la
stessa che aveva usato per i suoi allenamenti. C’erano cinque
coltellini da lancio e una lama corta. Gli stivali, nascosti sotto il
tavolo, erano piccoli e, quando li provò, calzarono
perfettamente aderendo ai suoi piccoli e sodi polpacci.
Elena
si guardò allo specchio, vestita con l’intero
equipaggiamento .
Con
quell’armamentario addosso chi, si chiese, CHI
l’avrebbe scambiata per un monaco? E poi, c’erano
anche i capelli: se li teneva legati si formava un rigonfiamento
orribile all’altezza della nuca, invece, se li teneva
sciolti, molti ciuffi le uscivano dal cappuccio.
Si
disse che non sarebbe stato un problema spuntarli di qualche
centimetro, di fatti…
-Dea-
Lily s’inchinò entrando nella stanza.
–Lily!-
fece Elena sorpresa.
-Oh-
la ragazza arrossì di vergogna. –perdonatemi, non
volevo interrompere nulla, ma Adha mi manda per, ecco…- Lily
le mostrò un paio di forbici enormi, ed Elena comprese al
volo.
Dopo
un bel lavaggio, Lily cominciò a tagliarle i capelli.
Elena
teneva un asciugamano sulle spalle, mentre ciocche intere andavano a
cadere ai lati della vasca.
La
ragazza, immersa fino al petto nell’acqua calda, si permise
di chiudere gli occhi, perdendo così la cognizione del
tempo…
-Ho
finito- fece ad un tratto Lily, che le porse un lungo accappatoio.
Elena
uscì dalla vasca e vi si avvolse scappando ai brividi di
freddo. Coi piedi scalzi sul marmo, si sarebbe presa un accidente.
In
ogni modo, su Masyaf si avvicinava l’inverno, e
chissà sa un giorno Elena avrebbe visto la neve!
Quando
Lily la lasciò cambiarsi, Elena fece il più in
fretta possibile.
Si
vestì normalmente, allacciandosi ai fianchi solo una pezza
color porpora e portando con sé solo i cinque pugnali da
lancio, nascosti nei foderi dello stivale sinistro.
Marhim
scattò in piedi quando la vide scendere le scale.
–Ce ne hai messo di… tempo…- il suo
sorriso si spense in fretta.
Sarà
per i capelli, si chiese Elena, che Lily aveva accorciato di una, anche
due mani. Ma infondo non le importava tanto, soprattutto nel sentire
Marhim farle i complimenti. –Stai benissimo!- sorrise,
commosso.
Elena
arrossì. –Grazie- mormorò.
Ora
la chioma le arrivava alle spalle, toccando a mala pena la schiena, ma
finalmente entrava nel cappuccio!
-Allora
è deciso, questa sarà la nostra ultima sera
insieme, per quanto tempo?… un mese, due?- fece Marhim serio
mentre camminavano.
Elena
colse un tono nuovo nella sua voce, quasi imbarazzato.
–Sì, e la cosa mi rattrista un po’.
Dopotutto, ad Acri non ho amici come te- rise lei.
Marhim
tacque da lì fino alla mensa, dove Elena si sorprese di
trovare riuniti quasi tutti gli assassini della confraternita!
-Festa
di compleanno?- bisbigliò all’orecchio del
compagno.
Marhim
soffocò una risata. –No, no- le rispose.
–sono tutti qui per te- le fece l’occhiolino.
Elena
rimase interdetta. –per me?- balbettò.
Marhim
l’afferrò per il polso e la tirò con
sé ad un tavolo dove individuarono due posti liberi.
-Stavi
scherzando, vero?- le sbottò Elena quando furono seduti; le
cameriere entrarono nella sala e cominciarono a servire uno per uno
tutti gli Angeli.
-Affatto…
oggi Tharidl ha voluto festeggiare la tua entrata nella confraternita-
Marhim si guardava attorno, e ad Elena quella situazione cominciava a
non piacere.
-Non
so se riuscirò a sopportarlo- borbottò tra
sé la ragazza. –Una festa, con vino e lusso
vario…-
Per
la maggior parte del tempo, Elena si ridusse a consumare la cena in
silenzio, come al solito, ma il fatto che tanti assassini fossero
riuniti lì, e che potessero vederla… accanto a
Marhim… in quello stato… insomma, avete capito il
tipo di imbarazzo, no? Ecco, bravi.
Ad
un tratto, le porte della cucina si spalancarono e nella stanza
entrò un intero cinghiale servito su un piatto
d’argento, retto da due assassini.
Dal
marasma di gente che animava la sala si levò un mormorio di
entusiasmo, mentre la portata faceva il giro dei tavoli.
Elena
non poté contare pochi secondi, che sempre dalla cucina
venne fatto portare nella stanza un enorme botte scusa, dopo di
ché gli assassini si accalcarono a riempire boccali dopo
boccali di vino.
Elena
provò a tirarlo per la manica, ma Marhim le
sfuggì di mano e andò a riempire due bicchieri.
-Maledetto!-
ora che ci pensava, Kalel non aveva mai organizzato alcuni tipo di
festa né per il suo compleanno, né per
chissà quale altro futile motivo. Eppure, una quarantina di
assassini e donne di corte erano riuniti in quella sala per festeggiare
lei… e la veste che ora portava.
Quale
onore, pensò.
Marhim
fece scivolare il bicchiere sul tavolo, ed Elena lo fermò al
volo. –No grazie- disse allontanando la tazza. –Il
the mi è rimasto sullo stomaco- nonostante le grida di gioia
della gente che la circondava, la musica e i continui balletti tra gli
assassini e le donne delle pulizie, Elena teneva il broncio.
Marhim
le si avvicinò, lasciando da parte anche il suo boccale.
–Non fare quella faccia, ti prego. Volevo che fosse una
sorpresa, avanti…- lui le fece gli occhi dolci, ma Elena non
cedette.
Erano
gli unici due fessi che se ne stavano in disparte, soli, nel buio della
sala, mentre le pareti erano addobbate di fiaccole e arazzi, e sul
soffitto galleggiavano bracieri d’argento.
-Ti
andrebbe…- le parole gli morirono in gola.
Elena
si voltò, e lo guardò perplessa in attesa.
Marhim
ingerì un nuovo sorso. –Ti andrebbe di…
ballare?- indicò con un cenno del capo il centro della sala,
che era diventato una vera e propria pista di ballo.
Elena,
tra le donzelle strette nelle braccia degli assassini che danzavano,
riconobbe Lily e Luisa, entrambe tutt’altro che sobrie.
-Adesso
stai scherzando, non è così?- Elena
aggrottò le sopracciglia, cercando di nascondere al meglio
la paura di gettarsi tra la folla.
Marhim
scosse la testa, deciso. –Dai, ho capito che sei astemia! Ma
così ti perdi tutto lo spasso! È la tua festa,
diamine! Tharidl l’ha organizzata per tirati su il morale, e
Adha ha deciso così con lui. Avanti…- la
supplicò con gli occhi, di nuovo.
Elena
sbuffò, e scrutandosi un’ultima volta attorno, si
arrese curvando le spalle: -va bene, ma solo perché sei
simpatico!- si alzò e Marhim
l’accompagnò tenendola per mano al centro della
stanza.
Non
seppe contare con precisione quanti spintoni ricevette, forse una
dozzina, ma il caos era ovunque.
Marhim
la guidava in una danza allegra, accompagnata da pochi e rozzi
strumenti suonati da un gruppo ristretto di assassini, in piedi su un
tavolo. C’erano due flauti, un buffo strumento a corde, e un
tamburello.
Marhim
la stringeva con una mano sul fianco, mentre con l’altra le
teneva il braccio alzato. Erano passi di danza che Elena aveva visto
più volte, nei suoi diciassette anni di vita. Ad Acri si
festeggiava spesso anche quando la pesca andava bene, o solamente
perché un ricco mercante aveva venduto ad alto prezzo uno
dei suoi migliori prodotti. Durante quelle occasioni, Elena si riduceva
a guardare da lontano come le donne del distretto danzavano
allegramente con i loro cavalieri.
Alle
festicciole del quartiere si univano anche le guardie di Corrado, e
molti dei cavalieri Ospitalieri. Per non parlare dei parecchi templari,
ammirati da tutte le donzelle che incontravano con lo sguardo.
Elena
si chiese in quanti la stessero fissando increduli, nel vederla ballare
con Marhim. Chissà quali voci sarebbero emerse la mattina
successiva, ma ringraziò Tharidl per aver organizzato la
festicciola la sera prima della sua partenza!
Nonostante
gli acciacchi sui piedi che ricevette dal suo compagno di palco, Elena
non poté negare che si era davvero divertita.
Sarà stata l’atmosfera, o la musica, o solamente
Marhim così gioioso nell’averla così
vicina. Chissà, si chiese, che cosa l’aveva fatta
sorridere tanto.
Nel
momento in cui Elena si lanciò sulla sedia del tavolo,
Marhim le passò il boccale. –Avrai sete, spero!-
rise, che tanto sobrio neppure lui le parve.
Elena
esitò, ma nell’allungare la mano a stringere la
birra, si sentì carica di follia.
Tutta
quanta! Giù tutta d’un fiato!
Marhim
rimase a bocca aperta.
Elena
si pulì il rivolo di succo che le cadeva da un angolo della
bocca, poi si accasciò sul tavolo.
-Elena!-
Marhim la scosse diverse volte, ma Elena rimaneva con la faccia sul
legno della superficie. –Elena!- insistette, ma nulla, la
ragazza non aveva retto il mezzo litro di vino.
-Scherzetto!-
Elena sollevò la testa mostrando i denti.
Marhim
abbassò le spalle, prendendo fiato.
–Guarda…!!! Sono senza parole!!!…- le
disse solo.
La
ragazza si sistemò comoda, cercando residui nel piatto che
aveva di fronte. Le era tornata fame, ma le donne della cucina avevano
già riportato gran parte delle portate nei lavandini.
D’un
tratto, i suoi occhi azzurri incontrarono quelli cristallini di Rhami,
che la guardava da un tavolo distante e che sicuramente
l’aveva fissata fin dal primo momento.
Allo
stesso tavolo dell’Angelo c’erano Fredrik e un
terzo assassino che Elena riconobbe immediatamente come il suo maestro.
I
tre moderati se ne stavano appartati, in silenzio, e dimostravano il
massimo dell’autocontrollo. Mentre tutt’attorno
infuriava il vivo della festa.
Quando
Elena si soffermò su quell’ultimo assassino, si
accorse che, da sotto il cappuccio, Altair l’aveva ammirata
nella sua danza fino ad allora, con uno sguardo indescrivibile, troppo
complesso per coglierne i particolari da quella distanza.
Rhami
e Fredrik si scambiarono parole mute che, per il frastuono e la
lontananza, Elena non riuscì a cogliere. Poi Rhami si
alzò e venne verso di lei.
L’assassino
si fece largo tra la calca allo stesso modo di come si preparava a
colpire la sua preda, con lo stesso passo felpato da leopardo.
Rhami
le fu di fronte senza che Elena se n’accorgesse, a differenza
di marhim, che sull’immediato lanciò
un’occhiataccia al ragazzo.
Rhami
parve non curarsene e porse la mano alla ragazza. –Permetti?-
sorrise scoprendosi il volto.
Elena
si alzò, scansandosi da Marhim. –Certamente-
balbettò con gli occhi che le luccicavano.
Marhim,
nel guardarli allontanarsi dal tavolo e raggiungere la pista, strinse i
denti.
Rhami
le poggiò delicatamente la mano sul fianco, più
in basso di dove sarebbe dovuta essere, mentre con l’altra
scivolò sul suo braccio fino a stringerle le dita.
Non
seppe perché lo fece, ma Elena si morse un labbro.
E,
ovviamente, Rhami la tirò a sé.
L’assassino
condusse la danza più lentamente di come aveva fatto il suo
precedente cavaliere, che ora stava zitto e muto seduto al tavolo ad
addentarsi la coda. I suoi movimenti e Rhami stesso erano meno
impacciati, e la cosa la fece sorridere: niente più spinte e
acciacchi sui piedi!
Tirò
un flebile sospiro di sollievo.
Si
godette quel momento più del bagno di poche ore prima, e,
senza rendersene conto, il suo corpo era completamente aderito a quelli
di Rhami, che sorrideva divertito.
Elena
chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalla musica, fin
quando questa non divenne più lenta e soave, come un ninna
nanna.
Il
frastuono tutt’attorno andava ad affievolirsi, le voci
divennero teneri sussurri.
Elena
riaprì gli occhi di colpo.
Nel
bel mezzo della sala, soli e unici, c’erano lei e Rhami
impiegati in una danza lenta; non poté crederci.
Marhim
si alzò dal suo posto stringendo i pugni, e Altair, dal capo
opposto della sala, fece altrettanto. Ma entrambi avevano in volto
emozioni differenti: chi gelosia ed odio, e chi invece paura e timore.
Dalle
gradinate comparve Adha, dietro la quale camminava Tharidl scortato da
alcuni guardie.
La
donna dai capelli corvini venne verso i due, ed Elena si
staccò di colpo da Rhami.
-Posso
sapere cosa sta succedendo qui?- mormorò la donna
guardandoli.
Rhami
si calò sul volto il cappuccio, facendo un passo avanti.
– è stata una mia iniziativa- sbottò
cupo.
Tharidl,
fermo all’ingresso delle cucine, osservava cauto con le
braccia conserte.
Elena
sprofondò il mento nel petto. Come era potuto succedere?!
Non
solo le guance cominciarono ad esploderle, ma il suo stomaco si
contorceva senza fine! Assieme alle sue gambe, che per i cento e
più occhi puntati su di lei potevano cederle da un momento
all’altro. Era stata una sciocca, un’incompetente.
Tra tutte le belle ragazze che abitavano la fortezza, lei era
l’unica che non poteva permettersi certe cose, certe
azioni…
Si
allontanò da Rhami, sfuggendo allo sguardo di Adha.
-Forza,
la festa è finita!- fece Tharidl alzando le braccia e
battendo le mani.
Le
donne presero a sparecchiare, mentre il corteo di assassini si smistava
per la fortezza.
Adha
rimase immobile dov’era al centro della stanza, e Rhami ed
Elena con lei.
–Voi
due- disse Adha quando la sala fu vuota. –Voi due venite con
me, avanti!- la donna s’incamminò verso il piano
terra, e i due ragazzi le andarono dietro.
Altair,
nascosto nell’ombra, la fermò per un braccio
quando lei gli passò affianco -Vacci piano, sono ragazzi- le
bisbigliò all’orecchio.
Adha
arrestò il passo e lo guardò negli occhi.
–ragazzi? Sono assassini, vincolati entrambi da un
giuramento. Sia lui, che tu per primo dovresti assecondare con una
punizione esemplare, e sia lei, che sempre tu dovresti dirle qualcosa!-
ruggì Adha.
Rhami
ed Elena restarono in disparte, accostati alla parete.
–L’abbiamo fatta grossa- sorrise malizioso lui.
Elena
non riuscì a voltarsi, l’imbarazzo, il rossore
delle guance, era troppo… non poteva sopportarlo, e Rhami
dovette accorgersene.
-Scusami-
mormorò l’assassino. –se ti ho cacciato
in questo guaio solo perché non so restare con la testa
apposto!- si appiattì ulteriormente contro il muro.
–sono stato uno stupido, e non sapevo quello che stavo
facendo e perché lo stavo facendo! Avresti dovuto vedere,
però, come ci guardava Marhim!- rise.
Marhim!
Elena
sobbalzò. Chissà che fine aveva fatto, e di quale
faccia stava parlando Rhami? Forse della gelosia che stava bollendo sul
suo volto quando la musica era cessata, e le voci si erano
affievolite… sì, forse di quella faccia.
Elena
si sentì schiacciata da un peso di tonnellate e tonnellate
di pietre! Non si reggeva sulle gambe, le ginocchia le tremavano, e
dovette appoggiarsi con le spalle al muro, accanto a Rhami.
-Allora
lascia che me ne occupi io- sbottò in fine Altair.
Adha
ebbe un momento di smarrimento. Aggrottò la fronte facendo
un passo indietro. –Tu?- ripeté. –ne sei
sicuro? Ti assumi la responsabilità che la cosa si ripeta?-
la donna gli puntò un dito al petto. –Credi di
poter sopportare le ripicche di Tharidl anche per questa sciocchezza?
Se ti rende fiero di te, va bene! Una fatica in meno sulle mie
braccia!- Adha si allontanò nel buio della notte, e
scomparve in uno dei corridoi. I suoi passi si persero
nell’eco della roccia.
Altair
a guardò allontanarsi, poi si voltò.
–Potete andare- disse soltanto.
Elena
sgranò gli occhi, e Rhami si avvicinò.
–Come?-
fece il ragazzo.
-Non
intendete…- balbettò Elena –punirci?-.
Altair
non trattenne la risata. –Punirvi, e per quale motivo? Per
aver bevuto vino ad una festa, ed esservi divertiti un po’?
Avanti, Adha certe volte esagera, e personalmente…- Altair
abbassò il tono della voce. –non mi sono mai
piaciute le regole della setta-.
Detto
quello l’assassino li lasciò con la bocca
spalancata, l'una e l'altra più che stupefatti, e si
avviò nei corridoi.
-Io
non ci credo- disse ad un tratto Rhami.
Elena
lo guardò interrogativa.
-Sicuramente-
continuò il ragazzo. –un giorno dei prossimi me la
farà pagare a duello-.
Rhami
si avviò verso le sue stanza, ed Elena non poté
far altro se non andargli dietro dato che la strada era la stessa.
Camminando
dietro al ragazzo, ad Elena balzò in mente una domanda.
-Rhami-
lo chiamò, e lui si voltò come se non aspettasse
altro.
Elena
si mise sul suo stesso gradino. –Oggi, alla festa, non ho
visto Jarhéd…- disse fievole.
Rhami
annuì. –Sì, ho capito dove vuoi
arrivare. Non devi preoccuparti, entrambi non dobbiamo preoccuparci. Il
Maestro se ne stava occupando di persona questa mattina. Quel maledetto
bastardo è nelle segrete sotto continui
interrogatori…-.
-Torture?-
domandò incredula. Erano davvero così spietati?!
Rhami
le venne più vicino. –Dovresti esserne contenta.
Tutte le accuse sono contro di lui, e anche se durante la mia missione
a Damasco si è schierato dalla parte di Saldino, non vuol
dire che stia giovando ad entrambe le fazioni!- gridò, ma
Elena le fece segno di abbassare il tono.
-Scusa,
ma certi argomenti mi fanno questo effetto…- si
scusò lui.
Elena
si abbassò a stringersi i lacci dello stivale.
–Quali argomenti?- chiese.
Rhami
si piegò alla sua altezza. –La tua salute- disse
semplicemente.
Il
suo sguardo, il suo viso così poco distante dal suo, il vino
che circolava nelle vene al posto del sangue… che cosa
sarebbe potuto succedere se non quello che accadde?
Entrambi
avevano scherzato col fuoco quella notte, avevano ballato, e ripeto,
ballato! Elena sentiva ancora il calore delle sue mani sui suoi
fianchi, e il rossore tornò a colorarle le guance.
Eh,
be’, quando si sollevarono, Elena non poté
trattenersi: lo stato di ebbrezza le fece quell’effetto.
Fingendo
di inciampare (ma non le parve tanto per finta) gli cadde addosso, e
Rhami l’afferrò per i fianchi. Quel piccolo
contatto, così insignificante, fu la goccia che fece
traboccare il vaso.
Fu
lui a baciarla, d’un tratto, dal nulla, e lei non si
scompose, anzi… si sciolse tra le sue braccia solide e
muscolose, e lasciò andare a quel bacio che non poteva
definirsi bacio, dato che avevano bevuto almeno mezzo litro di vino a
testa.
Rhami
finì con le spalle al muro, stringendola sempre
più forte.
Elena
gli accarezzava il petto caldo, poggiando il palmo
all’altezza del cuore, mentre Rhami scendeva giù
lungo la sua schiena.
Non
potevano negare di avere il battito cardiaco accelerato, e dopo poco
scivolarono a terra, finendo a baciarsi sulle gradinate della torre.
Che…
che… ma che razza di… ma guarda! Oh!
Elena
si staccò con violenza, spingendosi in piedi traballante.
Rhami
portò la testa all’indietro, prendendo fiato.
–Wow!- disse con accento sbronzo, ma naturalmente finto.
Elena
si appoggiò al corrimano. –Demente, che cosa hai
fatto!- si sedette sui gradini portandosi le mani al viso.
Rhami
le si trascinò al fianco, ma Elena si scansò non
appena provò a sfiorarla.
-Siamo
ubriachi, tutti e due!- le sbottò in faccia.
Rhami
scoppiò a ridere. –Se fossi davvero ubriaca, non
saresti qui a chiederti se lo sei o no…- sorrise malizioso.
-Giusto…-
mormorò lei, e i capelli le finirono davanti al viso.
Rhami
allungò una mano e le portò una ciocca dietro
l’orecchio, affettuoso ma non troppo. –Li
hai tagliati- commentò –sei sempre bellissima- il
suo respiro bollente le arrivò sul collo.
Elena
lo fulminò con un’occhiataccia, ma lui non le
diede retta e le andò di nuovo incontro, ritentando.
Le
loro labbra si sfiorarono, di nuovo, ma quella volta Elena non
riuscì a staccarsene come avrebbe voluto. Tornò
ad appoggiarsi a lui, che senza alcun pudore
s’infilò tra le sue gambe, afferrandole un
ginocchio.
A
quel punto fu troppo.
Elena
si divincolò con quanta forza le restava, lo spinse via e
Rhami si trovò con la schiena a terra –ahio!-
digrignò avendo sbattuto la testa sulla pietra.
Elena
scappò via di corsa, col fiato corto e senza voltarsi.
Raggiunse
gli alloggi degli Angeli e proseguì fulminea dritta negli
appartamenti delle Dee, al sicuro da tutto ciò che
riguardava l’essere maschile.
Si
fermò di fronte all’ingresso della sua camera,
riprendendosi dalla corsa. Quando si voltò, tirò
un sospiro di sollievo nel vedere che Rhami non l’aveva
seguita.
Ancora
con le gambe che le tremavano, Elena si gettò tra i cuscini
affondandoci il viso. Si nascose tra le loro stoffe colorate, e
assaporò l’aria fresca che passava dalle finestre
aperte.
Nonostante
il suo cuore avesse riacquistato un battito regolare, Elena non
riuscì a prendere sonno: come aveva detto Rhami, non aveva
bevuto abbastanza perché dimenticasse l’accaduto.
Rhami
si alzò dolorante appoggiandosi al corrimano.
Alzando
gli occhi, ebbe solo il tempo di vedere Elena scomparire dietro
l’angolo del corridoio di alcuni piani sopra; e da allora lo
abbandonò l’idea di seguirla.
Si
sgranchì la schiena, sciolse i muscoli del collo e
ripensò al sapore delizioso che avevano le ragazze sulle
labbra. Al solo pensarci, le sue spalle persero la compostezza e la
fierezza di assassino, tramutandosi in quello che non era mai stato: un
ragazzo come gli altri. Un giovane che aveva provato, ma fallito, con
una delle belle fanciulle del palazzo. Qualcosa lo aveva sconfitto,
dentro di lui si sentiva affranto e rifiutato come mai prima di allora.
Eppure, sapeva di piacerle, ma Elena l’aveva respinto. Che
tristezza, pensò…
Andando
verso le sue stanze, sentì dei passi seguirlo. Si
voltò impercettibilmente e, sorridendo malignamente,
riconobbe il suo pedinatore. Continuò sulla sua strada e
tornò nei suoi alloggi.
Marhim
si lasciò scivolare sui gradini, si prese la testa tra le
mani spingendo sulle tempie con forza. –stupido, stupido,
stupido… non era in lei, non era in lei!-
continuò a ripetersi seduto sulle scale, ma quello cui aveva
assistito l’aveva lasciato senza parole, con un vuoto dentro
inimmaginabile. Che cosa avrebbe dovuto fare? Se avesse denunciato
solamente Rhami, sicuramente Elena sarebbe emersa con una frase tipo:
-no, è stata anche colpa mia!- di fronte al gran Maestro.
Così si disse che la cosa migliore sarebbe stato tacere e,
prima che a partisse, parlare con Elena.
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Capitolo 22 *** Il viaggio ***
Il viaggio
-Ma
che casino!- sbottai alzandomi. –Il succo è che la
mia antenata se la faceva col primo assassino di turno! Per non parlare
di quello lì, com’è che si chiama? Ah,
già! Quel Marhim che ha tanto l’aria gelosa
attorno!- continuai a gridare. –Ma che roba! Non me lo sarei
mai aspetta, pensavo che la mia trisavola avesse del buon senso, ma
invece era tale e quale a sua madre! Dio quante gliene avrei dette- mi
alzai stropicciandomi gli occhi. –Se solo il mio albero
genealogico contenesse qualche bel maschietto orgoglioso, lì
la cosa inizierebbe ad essere divertente! Avanti, Doc, non chiedo
molto! Perché non controllare il fratello di Elena? Quella
ragazzina mi da sui nervi! E chi è poi questo ragazzo dal
nome “tutto al suo tempo”!? Perché il
vecchio si ostina a tenerglielo nascosto, poverina! E sarei tanto
felice di conoscere un altro membro della mia famigliola tranquilla!
Caspita, il tempo vola qui fuori, è
già… notte…- mi guardai attorno,
ammutolendo.
C’era
un tipo che mi fissava: aveva i capelli neri, corti e ricci e occhi
scuri. Indossava uno smoking scuro e una cravatta rossa. Maneggiava
nervosamente con una cartellina bianca stretta nel pugno, sbattendoci
contro una penna bianca.
-Andrea
- mi chiamò la voce di Lucy e mi voltai.
La
donna era alle mie spalle, in piedi accanto a Desmond. –Alex
Viego, dell’Abstergo Industries è qui per farti
alcune domande- mi disse.
Io
sbiancai; quel nome non mi era nuovo. Eccome se non mi era nuovo.
Alex
Viego, quel nome compariva sullo screen del cellulare di mio padre
quando lui era sotto la doccia ed io girovagavo per casa senza un
cavolo da fare. Quel nome era sulle poste che arrivavano in banca, quel
nome era sul cerca persone del mio papà, nei suoi documenti,
sul suo passaporto e anche sulla sua patente. Alex Viego, Alex Viego,
pensai più volte…
Ovviamente
lui dovette accorgersi della mia faccia sconvolta e attonita,
perché Alex mosse un passo nella mia direzione e si sedette
sulla poltroncina beige. –Insisto che sia una conversazione
privata- fece il ragazzo guardando Lucy e Desmond dietro di me.
Il
soggetto 17 e la signorina Stilman lasciarono il laboratorio
rifugiandosi tra i muri della sala conferenze. Li osservai attraverso
lo spesso vetro trasparente. Si scambiarono qualche parola, poi Lucy e
Desmond si sedettero al tavolo delle riunioni.
Io
spostai gli occhi sul mio interlocutore, e mi accomodai di nuovo
sull’Animus con le gambe a penzoloni. –Io ti
conosco- bisbigliai.
Lui
cominciò ad appuntare alcune cose su una griglia, ma mi
domandò lo stesso –Come?-.
-Io
ti conosco!- ripetei lasciando che il mio inquieto animo si gettasse su
di lui. –Mio padre sembrava conoscerti! Il tuo nome era
dappertutto in casa mia! Chi sei? Che cosa vuoi?- d’un tratto
pensavo che fosse quel Viego la causa di tutti i miei malesseri, i miei
sacrifici lì dentro, giorno dopo giorno in quel mondo
virtuale di merda!
Alex
mi scrutò in silenzio, poi riprese a scrivere.
–Sì, conoscevo tuo padre. Gran uomo- rise.
Mi
tirai sull’Animus e incrociai le gambe. –Ah
sì, e cosa avevi con lui? O contro di lui…-
borbottai.
Alex,
come risposta, tornò in piedi e mi si avvicinò.
–Non sono qui per questo, signorina Tomas. Il lavoro su di
lei ha delle scadenze, che a causa degli ultimi avvenimenti sono state
anticipate! Per altro, il professor Vidic mi ha appena illustrato che
con la rimozione di un ricordo, sono stati cancellati molti dei nuovi
checkpoint aggiuntivi e che l’analisi della sua antenata
potrebbe portarti troppo fuori dai tempi!- mi gridò addosso
schiacciandomi.
Mi
feci più indietro. –che cosa vuol dire?- domandai
abbassando il tono, sperando che lui avrebbe fatto altrettanto.
Alex
lanciò la cartellina sulla poltrona e prese a massaggiarsi
le tempie. –I suoi non saranno più due mesi di
lavoro, ma bensì quattro, o forse cinque… e non
sappiamo chi abbia potuto manomettere i suoi ricordi! D’altro
canto l’uomo che ha ucciso il mio cliente è
fuggito di galera poche sere fa, e la polizia lo sta cercando
ovunque… mi creda, sarà un nuovo periodo orribile
per tutti quanti- mi guardò, rabbioso.
Quattro
mesi? Bel casino che aveva fatto Lucy… eppure, non sapevo se
tenere la bocca chiusa sarebbe stata una buona cosa. Eppure sapevo che
Desmond e Lucy erano buoni amici, e tradire la fiducia di entrambi
sarebbe stata una cattiva cosa.
Mi
ridussi ad annuire, con la verità che mi scalava la gola
ogni secondo che trascorrevo davanti a quell’uomo.
Alex
cercò nelle tasche della giacca, e dopo poco ne trasse un
foglio. Me lo porse.
-Riconosce
qualcuno di questi nomi?- mi chiese.
Era
una lista compatta di almeno una dozzina di persone. Lessi i primi in
cima:
-Bessotti,
Serch, Trust, Falchioni, Crew… ma chi sono? E cosa
c’entrano con me?- gli restituii la lista, e Alex se la
rimise nella giacca.
-Per
ora nulla, ma in futuro potrebbe ricordarsi di loro allo stesso modo di
come si è ricordata di me, signorina Tomas- sorrise maligno.
Lo
guardai torva, sospettosa. – mi piacerebbe saperne di
più- parlottai più a me stessa, di fatti Alex non
mi rispose.
Afferrò
la cartellina, l’aprì e cominciò
sull’immediato il questionario.
Furono
una decina di domande lunghe e strazianti.
Il
signor Viego, negli interessi dell’azienda, doveva accertarsi
delle mie condizioni fisiche e mentali, così la maggior
parte delle richieste furono problemi matematici delle elementari.
Solo
verso la fine, la conversazione si fece più accesa, e
l’argomento cadde sull’ “isolamento dal
resto del mondo”.
-Io
non sono sola- gli risposi tranquilla. –Desmond mi basta e
avanza- aggiunsi cercando di dare ilarità al tono. In fondo,
sapevo cos’era successo tra me e Desmond soprattutto negli
ultimi tempi… ehehe… risi tra me e me.
Quando
finimmo, non mi sentivo neppure le forse per trascinarmi nella mia
stanza da letto. Rimasi seduta sull’Animus fin quando Alex
non si alzò e andò a chiamare Lucy e Desmond
nella sala accanto.
-Abbiamo
finito- disse il ragazzo.
-Tornerà
la prossima settimana?- domandò Lucy accompagnandolo
all’uscita del laboratorio, e i due scomparvero nei corridoi
bianchi dell’Abstergo.
Desmond
mi si avvicinò, notando la mia faccia assonnata e sconvolta.
–Tutto bene?- mi chiese aggrottando le sopracciglia.
In
principio non risposi. Chissà se per pigrizia o forse
perché stavo dormendo ad occhi aperti, ma Desmond mi
pizzicò la spalla. –Ahio!- feci risvegliandomi
dalla mia convalescenza.
-Ah,
ecco, stavo cominciando a preoccuparmi- rise lui.
-Ha
fatto anche a te questa roba?-.
Il
ragazzo annuì. –Sembra che qualcuno abbia capito
che non siamo ratti da laboratorio. Ma resta lo stesso
pubblicità per non far incazzare i media, che sicuramente ce
l’avranno con l’azienda per tutti quei morti che il
progetto Animus ha comportato!- alzò le spalle.
Io
scesi dalla macchina e mossi i primi passi verso la camera.
–Scusa se sta sera non ti filo, ma non mi reggo in piedi- gli
dissi, e la porta della stanza si richiuse dietro di me.
L’alba
sorgeva: chiara, maestosa ma lenta, e la valle si
riappropriò dei suo colori.
Elena
si alzò che aveva un gran torcicollo, e muovere la testa
alla sua sinistra le dava un dolore immondo! Maledisse il giorno in cui
si sarebbe addormentata di nuovo tra quegli scomodi cuscini colorati.
Si
affacciò alle vetrate, cercando di tenere rilassati i
muscoli della schiena, o una nuova fitta l’avrebbe sorpresa.
–Ci mancava…- borbottò mentre gli occhi
le brillavano dei raggi del sole bianchi che vi si specchiavano.
Quella
mattina avrebbe dovuto affrontare una pesante cavalcata fino ad Acri, e
quel piccolo handicap l’avrebbe rallentata in tutte le sue
azioni, innervosendo anche il suo maestro…
Non
riuscì a non pensare agli avvenimenti della sera prima,
anzi, di poche ore prima.
Altair
si era fidato di loro, si disse andando verso la sua stanza per
cambiarsi. Nella sua mente si susseguivano le immagini, le emozioni, e
un brivido le salì lungo la schiena.
Si
vestì in fretta, non volendo farsi trovare impreparata da
Adha, che a breve avrebbe fatto la sua comparsa.
Elena
si armò di tutto punto, stringendo al meglio i lacci degli
stivali e dei guanti. Fissò saldatemene le cinghie con il
triangolino di metallo, infilando la spada corta nel fodero sulla sua
schiena; raggruppò tutti i pugnali da lancio sistemandoli
uno ad uno nei rispettivi astucci, si allacciò la spada al
fianco e, in fine, nascose la collana di sua madre sotto la stoffa
della veste.
Uscì
dalla stanza, e tornò a guardare il cielo azzurro,
magnifico.
La
vista mozzafiato, lo strapiombo, il lago, i colombi sui tetti che
facevano quel piacevole: gruuuu, gruuuu… tutto quello le
sarebbe mancato, e in sé sentiva già un gran
senso di nostalgia. Andarsene, però, era l’unico
modo per occupare la ragione con qualcosa che non fosse il volto di
Rhami. Si sentiva in dovere di chiarire le cose con il ragazzo, ma non
ne avrebbe trovato la forza. Se si fosse avvicinata di nuovo a lui per
dirle che dovevano dimenticare quello che era successo, Elena temeva
che le sarebbero balzate addosso ancora una volta le stesse
insicurezze, paure, voglie che l’avevano fatta scivolare tra
le braccia dell’assassino. No, si disse, non poteva rischiare
quello che aveva passato sua madre. Elena era lì per
riscattare il nome della sua famiglia, e se le cose sarebbero
peggiorate, come Alice, avrebbe dovuto lasciare la
confraternita… e lei non voleva. In quel luogo aveva
scoperto la sua nuova vita, gli amici e i nemici. Marhim era suo amico,
un suo grande amico. Elika l’aveva consolata nel momento del
bisogno, e Altair aveva tuttora molto da insegnarle.
L’unico fondamentale motivo che la mandava avanti giorno dopo
giorno, tuttavia, era che non poteva certo abbandonare la ricerca di
suo fratello così!
Come
da lei previsto, Adha non tardò ad arrivare.
La
sua tunica lunga e bianca, dai ricami sanguinei, strusciava sulle
tegole del pavimento e la donna si teneva i lembi del vestito con
grazia. Le sorrise venendole accanto, ma Elena si ritrasse.
-Scusa,
vorrei solo fare alla svelta- disse seria la ragazza.
Adha
non disse nulla, si limitò ad annuire e
l’accompagnò giù per le scale.
Il
corridoio delle camere degli Angeli era avvolto nel buio, e i loro
passi sbattevano tra le strette pareti.
Elena
la seguì fino nella sala mensa, dove fece una colazione
veloce tutta sola.
A
quell’ora le donne che giravano per la fortezza erano poche,
e si spostavano come fantasmi, in un silenzio spaventoso.
Dopo
aver finito il pasto, Adha le venne accanto. –Devo avvertire
il Maestro che siete in procinto di partire. Se hai tanta fretta,
perché non vai a buttare tu giù dal letto il tuo
insegnante?-.
Elena
sobbalzò.
La
donna lasciò la sala mensa, ed Elena rimase seduta al tavolo
con il piatto vuoto davanti. E così, pensò, il
suo maestro d’armi non si era ancora svegliato? Buffo, anzi,
assurdo.
Elena
seguì i consigli di Adha, ma si fermò a
metà strada.
Dov’era
la sua stanza? insomma, dov’è che riposava Altair?
Sicuramente non assieme agli altri Angeli, vicino agli appartamenti
delle Dee, forse altrove.
La
ragazza vagò per tutti i piani della rocca forte, fin
quando, per un solo istante, il suo sguardo non si posò su
una figura che avanzava in un corridoi buio.
Elena
seguì Fredrik quasi di corsa e, dopo averlo raggiunto, si
schiarì la voce.
L’assassino
si voltò. Aveva il viso scoperto, e la maggior parte del suo
equipaggiamento l’aveva lasciato altrove. –Elena-
fece proferendo un piccolo inchino.
La
ragazza andò subito al sodo, evitando gli occhi verdi
dell’uomo. –Adha mi manda a chiamare il mio
maestro, ma non ho idea di dove sia. Potreste indicarmi la strada?-
disse d’un fiato.
Fredrik
le indicò una galleria tra la pietra che aveva sbocco su un
cortile che Elena non aveva mai notato. –è la via
più corta- le disse guardandola.
–c’è un cortile, sali al primo piano.
Primo corridoio a destra poi te la trovi davanti, è la
stanza in fondo. Non credo comunque che stia ancora dormendo- rise
l’assassino.
Elena
si strinse nelle spalle. –Grazie- mormorò e si
avviò.
Il
chiostro mostrava una giovane fontana di marmo bianco nel centro, dalla
quale sfavillava acqua cristallina. C’erano delle strette
scalette di pietra che costeggiavano la parete fino a due, tre piani
sopra, ed Elena seguì le indicazioni dell’Angelo e
individuò il corridoio dettatole.
Lo
percorse tutto quanto, fino a che davanti a lei non si
prostrò un porta a doppia anta, cui uno dei due battenti era
socchiuso. Elena si strinse in quel piccolo spazio ed entrò
nella stanza.
Una
camera sobria, di pocho arredo. Maree di libri ammucchiati a terra e
sullo scrittoio di mogano; pergamene, cartine geografiche e
geopolitiche.
Le
tende erano ripiegate ai lati delle ampie vetrate che affacciavano su
un vasto altopiano alle spalle della fortezza. L’erba verde
andava a diradarsi nelle prossimità dello strapiombo
roccioso.
C’era
un soppalco che copriva gran parte del soffitto.
Il
disordine e l’ordine si alternavano dovunque Elena puntasse
lo sguardo: c’erano dei vestiti buttati sopra una cassapanca,
semplici e di poco conto. Un armadio a parete spalancato mostrava le
diverse divise impilate tra le mensole.
Elena
mosse alcuni passi avanti, quando un urlo acutissimo la costrinse a
coprirsi le orecchie.
Il
grido cessò, e la ragazza si guardò attorno
spaventata.
C’era
un magnifico falco, che zampettava sulla scrivania fissandola con
rabbia. Il becco ricurvo e le piume brillanti di un argento vivo,
artigli appuntiti che sembravano graffiare il legno dello scrittoio.
Portava un cappuccio sulla testolina scattante, e una mantellina nera
che gli copriva le piume del dorso; la coda lunga e piumata, colorata
delle più sgargianti sfumature di grigio.
L’animale
saltellò su e giù tra i libri e le pergamene,
dilatò le ali un paio di volte e le sbatté mentre
il suo petto chiaro si gonfiava, ed un nuovo grido squassò
il silenzio della stanza.
Elena
si avventò sul pollo e provò a farlo tacere, ma
l’uccello si librò in aria e perse alcune delle
piume quando Elena provò ad acchiapparlo per la coda. La
bestiola si rifugiò sull’alto di una delle
librerie e la squadrò con i suoi occhi, che non erano altro
che pozzi scuri senza fine.
Chissà
come ci era entrato quel tacchino lì dentro!
Pensò la ragazza fissando la creatura con insistenza.
Il
falco planò sulla scrivania e tornò a zampettare
tra i libri, ed Elena si ridusse ad osservarlo divertita.
Muoveva
la testa a scatti, voltandosi e rivoltandosi in più momenti
sempre dalle stesse parti. Gli artigli ticchettavano sul mogano
lasciando solchi invisibili.
-Rashida
Hadiya Rania Wafa, via dal tavolo!- sbottò una voce alle sue
spalle, ed Elena si voltò.
Il
falco spiccò il volo e sparì nel buio del
soppalco con un gemito.
Altair
era in piedi davanti a lei e controllava che l’animale non
lasciasse il suo nascondiglio, nel quale si era ficcato quando il suo
padrone l’aveva sgridato.
Altair
la sorpassò e si piegò sulla scrivania,
verificò che gli artigli dell’uccello non avessero
fatto troppi danni. –Che ci fai qui?- le chiese senza
guardarla.
Elena
si mosse indietro, forse non era ben accetta in quella camera, ma
Fredrik l’aveva indirizzata lì senza problemi.
–Io…- balbettò.
Il
suo maestro si girò a la squadrò dai piedi alla
punta dei capelli. –Una risposta?- la interrogò
seccato.
Elena
prese fiato. –Adha mi aveva mandata a chiamarvi, ho solo
fatto quello che mi ha chiesto di… insomma-
esitò. –scusate, maestro, se sono entrata senza il
vostro permesso…-.
Altair
la contemplò allungo senza dire nulla, poi emise un fischio
acuto e il falchetto venne giù dal soppalco.
Altair
gli accarezzò il becco quando la bestiola gli si
artigliò al guanto destro, quello senza le placche di
metallo. Affettuoso, l’animale strusciò il proprio
muso contro il suo mento. –Sono contento che abbiate fatto
conoscenza- disse l’assassino, e anche gli occhi della
piumata si spostarono su di lei. Elena rabbrividì.
-È
vostro?- interpellò la ragazza indicando la bestiola.
-Se
non fosse per lei- cominciò Altair –oggi non
indosserei queste vesti-.
Il
falco continuava ad appiattire la sua testolina sul mento
dell’uomo, come i gatti quando si attaccano e non si scollano
più alle gambe di una persona. Elena provò
serenità nel ammirare quella scena.
-Mi
ha fatto prendere un colpo, mi ringhiava contro- si lamentò
lei.
Altair
soffocò una risata. –è normale,
è addestrata apposta- la informò.
-Una
lei?- mormorò stupita la ragazza, avvicinandosi al suo
maestro.
L’assassino
annuì, accarezzando le fini zampette della falchetta.
–Rashida per la sua scaltrezza, la sua furbizia e la sua
intelligenza. Hadiya perché mi è stata donata da
un vecchio amico… Rania, poiché osserva
dall’alto e mi guida verso il giusto. Wafa è la
sua fedeltà al mio braccio e alla mia carne. Io la chiamo
semplicemente Rashy- Altair le sorrise.
Elena
non se ne stupì. Tutti quei nomi che il suo mentore aveva
elencato corrispondevano agli atteggiamenti della sua piccola spalla,
fatale quanto gracile. –Rashy- ripeté allungando
una mano.
L’uccella
scattò in avanti gridando e quasi le staccò un
dito.
Elena
indietreggiò spaurita.
-Ci
si comporta così con gli ospiti, eh? Saggia e intelligente
quando le va’- rise l’assassino.
–Perdonala, è piuttosto nervosa ultimamente-.
Elena
osservò il falco zampettare fin sulla spalla
dell’uomo, e di seguito cominciò a beccargli il
cappuccio, come a volerglielo sfilare via.
-Dunque,
siamo pronti a partire- concluse l’assassino.
Elena
annuì. –Per quanto mi riguarda, sì,
maestro- abbassò il capo.
-Aspettami
nel cortile, ho delle ultime faccende da sbrigare- le disse, ed Elena
si avviò fuori dalla stanza con passo svelto.
Sperava
tanto che Altair le concedesse altro tempo prima della partenza:
abbastanza da poter salutare i più cari, ma non troppo da
poter incontrare i suoi nemici.
Percorse
la strada che aveva fatto a venire e raggiunse il cortile interno dove
vi erano le guardie di pattuglia e gli arcieri sulle mura. Il campo di
addestramento era vuoto e silenzioso, e soffiava un tenue venticello
fresco che sollevava le polveri del terreno.
Elena
girò più volte lo sguardo, si aspettava di
trovare Marhim magari lì ad aspettarla come faceva di
solito, ma nulla: tutti gli assassini sembravano esserci volatilizzati.
Così
Elena corse nella sala del Maestro e si fermò trattenendo il
fiato davanti alla scrivania cui era seduto il vecchio Tharidl.
-Buon
giorno a te, Elena- fece continuando a scrivere su un’antica
pergamena.
-Maestro-
Elena proferì un lieve inchino. –Sto cercando
Marhim, volevo parlare lui prima della mia partenza- lo
infornò.
Il
vecchio intinse il pennino nell’inchiostro. –Credo
che non lo troverai da nessuna parte se non ad Alhepo. Marhim
è partito stamani per raggiungere suo fratello-.
Elena
tacque, ammutolita.
La
prima domanda fu perché? Marhim era sembrato così
triste di doversi ritrovare solo a Masyaf senza né lei
né suo fratello. Le aveva persino confessato che non si
sarebbe riunito ad Halef perché l’omicidio non lo
affascinava più di tanto, perché non voleva
crescere di rango, perché si ostinava a stare piegato sui
libri piuttosto che andare a caccia della nomina di Angelo.
Elena
si chiese se il motivo della sua partenza fosse stato influenzato dai
comportamenti di Rhami la sera prima. Elena ricordava bene come lui e
Marhim tenevano sempre alta cresta l’uno contro
l’altro, e ancora quella mattina Elena aveva chiara
l’immagine del suo caro amico che stringeva i denti nel
vederla ballare con l’assassino suo avversario…
avversario? Avversario in cosa, poi…
-Non
ha voluto darmi alcuna spiegazione se non ammettere di avere delle
capacità da sfruttare- aggiunse Tharidl muovendo il polso in
una calligrafia retta e ordinata. – si è alzato
che era ancora buio, ed io aveva del lavoro da terminare prima di oggi,
così non ho dato peso alle sue parole. Ho forse sbagliato in
questo, Elena? Avrei dovuto chiedergli di più
affinché nella tua mente non volassero altri dubbi?- le
domandò premuroso.
Elena
scosse la testa. –No, non ce ne sarebbe stato bisogno-
mormorò abbassando lo sguardo.
-Ottimo,
puoi aspettare qui il tempo necessario perché il tuo maestro
finisca i suoi preparativi. Vieni, siediti accanto a me- le disse
indicando lo sgabello al suo fianco.
Elena
vi si sedette lentamente, guardando circospetta gli scritti che Tharidl
era intento nel maneggiare. Alcuni vecchi tomi polverosi e la cartina
di Masyaf ornavano il suo scrittoio, riducendo lo spazio godibile ad
una persona sola.
Elena
si strinse più al suo posto, lasciando spazio sufficiente a
Tharidl per gesticolare coi gomiti nel cambiare pergamena dopo
pergamena.
Il
suo arabo era impeccabile, una scrittura sempre regolare e rettilinea.
Allungando
la vista, Elena riuscì a tradurne alcuni frammenti, ma
parevano tanto profezie e testi apocalittici di cui, come Marhim le
aveva detto, la biblioteca era piena.
Forse,
seduta lì vicino al gran Maestro, trascorse
un’oretta piena, fin quando sulle scale non comparve la
figura possente del suo mentore.
Elena
scattò in piedi, e mosse dei passi verso di lui.
Altair
si fermò nel centro della stanza, di fronte a Tharidl che si
alzò e lo guardò fiero. –è
tutto pronto?- chiese il vecchio.
L’assassino
annuì, lanciando una fugace occhiata alla ragazza.
-Sono
stato informato dal rafik di Acri, che Corrado sa della vostra venuta-.
Ecco
una pessima notizia, la brutta novella di inizio incarico, si disse
Elena curvando le spalle. –non ci voleva- parlottò.
Altair
assunse un’espressione confusa. –Come è
possibile? La spia è sotto strette catene nelle segrete, non
aveva modo di lasciare la fortezza- commentò.
Elena
pensò allora a Jarhéd, chiuso in
chissà quale buia cella puzzolente, oppresso da continue
torture.
-Jarhéd
è stato sottratto dalle sue pene questa notte, quando
è arrivato il messaggio- continuò il Maestro.
–Egli non è l’uomo che cercavamo, che in
tutto questo lasso di tempo ha avuto modo di andare e venire d Acri
senza che qualcuno se n’accorgesse- Tharidl ratteneva bene la
collera, nascondendo la paura che il traditore girasse ancora per la
fortezza, e così era.
L’assassino
si avvicinò ad Elena. –Dobbiamo posticipare la
partenza?- domandò.
Tharidl
fece di no con la testa. –Non è saggio. Corrado
avrà modo di tornare a Masyaf con un numero sempre crescente
di soldati, poiché egli si appresta a far accrescere i suoi
seguaci, sottoponendoli agli stessi duri servizi militari che amava
gestire suo padre Gulielmo. Non possiamo permettere, inoltre, che il
Frutto resti nelle sue mani troppo allungo. Molti Templari vivono
ancora, e sono disposti a tutto pur di assaporarne il potere- Tharidl
cominciò a camminare avanti e indietro. –No,
quello che è stato deciso sarà fatto e portato a
termine con il massimo del giudizio e della cautela. Mi riferisco ad
entrambi: non sottovalutate questo incarico. Ho scelto voi
perché so di potermi affidare…- gli occhi del
vecchio si posarono su di lei, ed Elena indietreggiò di
pochissimo.
Altair
abbassò il capo, in segno di saluto.
-Che
il Signore vi assista…- sospirò Tharidl
osservandoli allontanarsi.
Elena
seguì il suo maestro come un’ombra attraverso le
strade mute di Masyaf.
C’erano
delle guardie di pattuglia, e molte delle bancarelle della piazza erano
in allestimento.
Una
volta alle porte della città, Altair montò su
quel magnifico esemplare bianco che era il suo cavallo,
accorciò le redini e sistemò le staffe.
Elena
si trovò ad indugiare davanti alla sella del suo destriero.
Era nero, bellissimo, dal manto lucido. Aveva una stellina bianca sulla
fronte, occhi scuri e muscoli pulsanti pronti alla corsa più
straziante. Eppure, provò un senso di paura, ansia
nell’infilare il piede nella staffa e nel tirarsi su.
Si
ricordò di quel sogno una delle sue prime notti nella
fortezza. Di quando all’ingresso per Acri un arciere di
Corrado aveva… ucciso il suo (all’epoca) ignoto
maestro.
-C’è
qualcosa che non va?- chiese Altair accostandosi alla ragazza.
Elena
scosse la testa, e per rallegrarsi gli chiese: -Chi baderà
alla tua falchetta?-.
L’assassino
allungò le labbra in un sorriso e si portò due
dita alla bocca. Fischiò con
un’intensità incredibile e, di tutta risposta, un
grido squillante si levò nell’aria fredda della
valle.
Rashy,
una macchia indistinta tra le nuvole, comparve sopra le loro teste;
svolazzava ad alta quota puntando dritta verso sud come ad indicarli il
cammino.
Altair
partì al galoppo, ed Elena spronò il cavallo
subito dietro di lui.
Il
tragitto pretendeva almeno due giorni di cavallo per raggiungere i
primi posti di blocco crociati, e qualche altra oretta per arrivare
alle porte di Acri.
Impiegarono
tutta la mattinata per raggiungere il bivio che portava a destra ad
Acri, e a sinistra verso Damasco.
Erano
fermi davanti alla lapide di pietra con le indicazioni. I cavalli
brucavano da qualche minuto, mentre silenziosi Elena e il suo maestro
tacevano ognuno coi propri pensieri.
-Chissà
da che parte dobbiamo andare…- canticchiò la
ragazza.
Altair
le lanciò un’occhiataccia. –Seguire la
costa potrebbe essere rischioso. Se Corrado sa di noi, avrà
moltiplicato gli avamposti e raddoppiato le pattuglie. Tanto meglio
impiegare qualche giorno in più ma arrivare a destinazione
con tutti i pugnali da lancio, non trovi?- le chiese.
Elena
alzò le spalle. –Per me è uguale-
borbottò.
L’assassino
le mollò una pacca sulla testa, ed Elena
sobbalzò. –Che ho detto?!- lo guardò
stupita.
Altair
mantenne la sua compostezza. –Sappi che non ti consento di
tenere la mente altrove! Devi partecipare attivamente se pretendi di
imparare qualcosa! Non stare ad aspettare che sia io a darti
indicazioni, pigra!- la canzonò.
La
ragazza ci pensò alcuni istanti. –Va bene, avete
ragione! Seguire la costa non se ne parla! Va bene, va bene! Siete
contento, maestro?- ovviamente assunse un tono prepotente, e Altair la
colpì di nuovo.
Lei
trattenne il gemito, guardando da un’altra parte.
-Se
è successo qualcosa che ti rende così poco
agibile devi dirmelo ora, o potresti farci ammazzare!- ruggì
a denti stretti.
Elena
si voltò. –Nulla, maestro. È il nervoso
dell’azione che mi rende così… nervosa-
sbottò, cercando di evitare lo sguardo severo di lui. O
meglio, di nascondere la grossa bugia.
Quanto
le dispiaceva per Marhim, più che altro…
Altair
annuì poco convinto, e colpì i fianchi del
cavallo. –Stammi vicina, anche i saraceni non
scherzano…- si avviarono al trotto su per la collina,
proseguendo ai lati della strada.
In
prossimità dei posti di blocco delle guardie, rallentavano
fino ad essere davvero scambiati per monaci, ma appena cento metri
avanti, si avvantaggiavano al galoppo fino al blocco successivo.
Le
vie tortuose del Regno erano sempre le stesse: stopparono in diversi
villaggi contadini per far abbeverare i cavalli, si guardavano attorno
da spie e roba varia e riprendevano il viaggio con una
regolarità costante.
Al
calar della notte Altair la condusse in un bosco di ulivi stretto tra
due crepacci; galoppavano lentamente sul selciato tra gli arbusti e le
pietre.
-Dove
stiamo andando?- domandò lei.
Il
sole andava scomparendo oltre le montagne, la luce mancava
già quando Altair arrestò il suo destriero
tirando le redini.
Elena
lo seguì in silenzio, perché il suo maestro
svoltò in un insenatura strettissima tra la roccia senza
dirle nulla.
I
cavalli quasi toccavano coi fianchi, perché le pareti
andavano a stringersi poco a poco. Elena alzò lo sguardo, e
vide che il cielo notturno già brillava delle prime stelle.
La
galleria cominciò ad incupirsi man a mano che avanzavano al
passo, ed Elena credé di sapere dove Altair la stava
conducendo.
Ce
n’erano un po’ ovunque nel regno, e fungevano da
piccoli ritrovi e punti di raccolta, nonché alloggi durante
i lunghi viaggi.
Dimore
buie e ben celate agli occhi indiscreti che mandavano avanti una
propria gestione. Forse era stato Marhim a parlargliene, oppure Elika
quando Elena le aveva chiesto di come si sarebbero svolti i suoi
addestramenti, non ricordava con precisione.
In
un luogo dove la roccia si allargava in uno piazzo irregolare, sorgeva
una casupola di grossi mattoni di pietra. Dal comignolo fuoriusciva del
fumo, e fuori dalle quattro mura erano appesi stendardi ben
riconoscibili: il simbolo della setta di Masyaf.
Rashy,
la falchetta del suo maestro, planò sulla piazza e si
appollaiò sul tetto piatto della costruzione, guardandoli
dall’alto.
C’era
una palizzata cui erano legati alcuni cavalli, ed Elena e Altair
lasciarono lì i propri avviandosi all’interno
della costruzione.
Pareva
una normale locanda, con un lungo bancone di legno, qualche botte di
vino in fondo e una donna che puliva i pochi tavoli vuoti. Nel
compenso, una gran confusione veniva da un gruppo di pochi uomini in
bianco stretti in un angolo. Ce n’era uno seduto sul tavolo,
un altro con il seggio al contrario e un terzo in piedi che giocava a
freccette con i pugnali da lancio. I tre scherzavano e ridevano, ma nel
voltarsi tacquero a guardarli.
Elena
si strinse nell’ombra del cappuccio come se in quel momento
fosse l’unico luogo sicuro nel mondo. Chissà se
era lei argomento di tanto improvviso mutismo, oppure gli assassini
avevano colto il suo maestro di nuovo in missione.
La
donna li si avvicinò, andando dietro il bancone.
–Maestro Altair- fece un leggero inchino.
L’assassino
andò dritto al sodo. –è nuova, e vorrei
che avesse una stanza unica-.
La
donna volse un’occhiata curiosa su di lei, ed Elena si
voltò di lato
–Non
sono sicura di potervi accontentare, ma controllerò lo
stesso- la custode della dimora si allontanò in fondo alla
stanza e guardò in un cassetto sotto il banco.
Tornò indietro stringendo tra le mani delle chiavi.
–Siete fortunati- fece lasciandole cadere nella mano
dell’uomo. –sono le ultime due- aggiunse la donna.
Altair
l’accompagnò fino al piano superiore della Dimora,
dove si apriva un piccolo corridoio buio con poche camere. Si
fermò sull’uscio di una porta e
l’aprì.
Il
soffitto era basso, non c’era neppure una finestra. Un
tappeto ricamato e qualche cuscino su cui stendersi…
cuscini! Ripeté, cuscini!
Ancora
le doleva il collo, e le avrebbe dovuto dormire su dei cuscini! Fece
rabbiosa dentro di sé.
-Domani
mattina saremo di nuovo in viaggio prima dell’alba. Se ti
viene fame, la strada non è complicata fino al piano di
sotto- le disse, e il suo maestro si allontanò sparendo
nella stanza accanto.
Elena
cominciò a spogliarsi del pesante armamentario che le pesava
sulla schiena. A partire dalla spada corta, slacciando i lacci di cuoio
che le stringevano il petto. Poi lasciò cadere a terra il
fodero con tutta la spada. In fine, attorno alla vita, si permise di
tenere solo la pezza rossa, adagiando in un angolo la spessa cintura di
cuoio con tutti i pugnali.
La
fame la prese all’improvviso, dopo essersi calata il
cappuccio sulle spalle per il caldo.
Lasciò
la camera e si allungò al livello inferiore.
Gli
assassini erano ancora lì, come Elena li aveva visti pochi
minuti prima.
Fuori
dalle piccole vetrate si stagliava il cielo stellato e il buio della
notte, che per metà avvolgeva l’interno del locale.
Elena
si avvicinò al bancone. –Scusa- fece.
La
donna, piegata sotto il livello del tavolo, si alzò con i
capelli spettinati. –Sì?- chiese.
Elena
si sentiva osservata. –Mi chiedevo se potevo avere qualcosa,
ecco, qualcosa da mangiare-.
La
ragazza, di poco più grande di lei, le sorrise.
–Certo- si voltò, aprì una mensola e ne
trasse una forma di formaggio. Con un coltello ne taglio alcuni
pezzetti e li porse ad Elena.
-Grazie-
disse l’assassina cominciando a sgranocchiare.
La
donna le versò dell’acqua in un bicchiere di legno
e, continuando a sorriderle, prese a pulire tra gli scaffali con un
vecchio straccio umido.
Quando
una figura imponente comparve al suo fianco, Elena sobbalzò
e il pezzo di formaggio le volò via di mano, rotolando sul
bancone.
L’assassino
la scrutava con gli occhi celati sotto il cappuccio, ed Elena
cercò di tornare a mangiare tranquilla, ma era inevitabile
che cominciasse a sudare freddo.
Nonostante
Elena fosse oggetto di diversi interessi, in quegli ultimi giorni,
l’assassino si riduceva a guardarla mangiare, senza dire o
fare nulla se non lanciare uno sguardo ogni tanto.
Eppure
Elena ne era infastidita, così, d’un tratto si
voltò verso l’uomo: -hai qualche problema?!- gli
gridò.
Il
ragazzo non si scompose, anzi, si allungò verso di lei, che
invece di ritrarsi rimase immobile. –Allora?-
balbettò ancora.
Che
strano… pensò Elena quando l’assassino
tornò dai suoi compagni. Una buffa sensazione, come un
presagio, una piccola previsione di un futuro che era comparso per
metà. Era stata la vicinanza a quell’assassino a
farla sentire così, con una specie di estasi interna che non
avrebbe saputo spiegare a parole. Il suo corpo era tornato rilassato,
ma lo era sempre stato mentre quel curioso moccioso la fissava.
Chissà che cosa aveva visto in lei di tanto…
interessante.
Elena
si alzò, avviandosi di nuovo nella sua stanza.
Lanciò
un’occhiata alla camera del suo maestro e, notando la porta
chiusa, proseguì per la sua.
La
mattina seguente Elena era già in piedi quando, aprendo la
porta, si trovò di fronte ad Altair. Gli porse le chiavi
della stanza e, già pronta e armata, si avviò
sulle scale.
Altair,
sorpreso di averla trovata già sveglia, la seguì
dopo poco.
Il
salone della Dimora era avvolto dalle ombre del primissimo crepuscolo.
I tavoli vuoti, il bancone pulito e il silenzio di tomba.
Altair
lasciò le chiavi delle stanze nel cassetto dove la donna le
aveva prelevate al loro arrivo; poi frugò nella dispensa e
trovò due belle mele verdi; fatta la colazione, lasciarono
quel luogo.
Rashy,
appollaiata sulla roccia e stretta nella sua mantellina nera che le
teneva caldo, spalancò le ali e planò fino sulla
spalla del suo maestro, infilzando la veste con gli artigli.
Montarono
in sella, attraversarono la stretta via nel crepaccio e ripartirono al
galoppo una volta raggiunto il boschetto di ulivi.
Di
lì in poi galopparono per colline e montagne, raggiungendo
punti altissimi e poi scendendo nuovamente a valle, mentre il paesaggio
cambiava dallo stupefacente al magnifico.
L’orizzonte…
non esisteva l’orizzonte! Da quelle altitudini il panorama
stanziava per leghe infinite quante erano i numeri! Dense nuvole
coloravano il cielo ad ovest, mentre il firmamento sopra di loro era di
un azzurro impeccabile.
Naturalmente
loro puntavano verso la città della pioggia eterna: Acri.
Ci
fu un momento cui ad Elena parve di vedere la linea
dell’oceano, ma fu un istante in cui era comparsa una
sottilissima (è dir poco) strisciolina bluastra.
Villaggi
e campagne, boschi e praterie, campi e vecchie rovine, chiese e
castelli.
Durante
la giornata fecero tappa poche ed essenziali volte.
Proseguirono
al passo, perché si trovavano nei pressi dei territori della
Città Santa, e attirare l’attenzione da quelle
parti era sconsigliato.
Quando
furono abbastanza lontani dagli accampamenti di massa, scattarono
nuovamente al galoppo.
La
notte successiva la trascorsero in una Dimora degli assassini simile
alla precedente, ma collocata nel bel mezzo di alcune rovine bizantine.
Erano resti di colonne e pareti sopraffate dai rampicanti.
La
Dimora era ben nascosta alla vista: scavata nel terreno, e loro furono
gli unici assassini che vi sostarono per quell’arco di tempo.
Il
giorno seguente la fortuna li arrise, come le disse Altair,
perché Gulielmo sembrava aver impiegato gran parte dei suoi
uomini ai posti di blocco che affacciavano sulla costa.
Di
fatti, nel passare accanto ad alcune abitazione controllate da una
torre crociata, notarono ben pochi movimenti militari e li fu facile
passare senza essere riconosciuti.
Il
viaggio proseguì più liscio del previsto.
Fronteggiarsi con delle guardie non rientrava certo nei suoi ideali di
marcia, ma Elena si trovò costretta a sospettare che fosse
piuttosto strano.
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Capitolo 23 *** Premessa, la Dimora ***
Premessa,
la Dimora
Elena
tirò le redini, portando il cavallo al passo.
Il
suo maestro teneva lo sguardo basso e le briglie in una sola mano; la
schiena dritta e il braccio libero lungo il fianco.
La
gente in prossimità di Acri non era molta, ma la strada era
comunque affollata. Sopra di loro si stagliava un cielo grigio e in
procinto di tempesta. Aleggiava un’aria gelida, accompagnata
dai boati di tuoni lontani. Alcune cornacchie appollaiate su un albero
spoglio gracchiavano spietate, ed Elena rabbrividì nel
vedere dei corpi impiccati allo stesso ginepro rinsecchito.
Le
mura della città comparvero dopo poco, quando svoltarono
prendendo una strada secondaria.
-Quello
è l’ingresso principale- le disse ad un tratto
l’assassino.
Elena
si riscosse, lanciando un’occhiata alle porte spalancate. La
folla andava e veniva tranquillamente portando con sé
carovane e bestiame. Il frastuono divenne assordante nel momento in cui
Elena e Altair smontarono da cavallo.
Lasciarono
le cavalcature accanto ad una cesta di fieno e si avviarono verso
l’ingresso.
Altair
la bloccò improvvisamente mettendole un braccio davanti, ed
Elena ricevette un duro colpo al costato. –Mi hai fatto
male!- bisbigliò contenendo il dolore.
Altair
alzò lo sguardo al cielo grigio, dove il puntino scuro che
era Rashy svolazzava in circolo. –Aspetta…- fece
l’uomo. –Qualcosa non va…-.
Elena
si guardò attorno, mentre un groppo di paura le saliva alla
gola. –Che… che succede?- balbettò.
-Le
guardie…- proseguì Altair. –non ci
sono-.
Elena
notò che in effetti l’ingresso era per nulla
controllato! Non c’era una guardia a presenziare quel
pomeriggio, quando invece c’era da aspettarsi
chissà quanti battaglioni… buffo,
pensò.
Altair
sfoderò la spada, ed Elena si strinse dietro di lui
imitandolo. –Maestro…- mormorò
terrorizzata, ma non riuscì ad aggiungere altro che il grido
Rashy si diffuse nel vento.
A
quel punto ci fu una voce di un uomo che gridava: -Eccoli! Gli
assassini! Prendeteli!- sulle mura comparvero degli arcieri che li
puntavano armati.
Elena
sbiancò: erano spacciati.
La
folla attorno si stanziò e intraprese una corsa di massa
verso l’interno della città; tra grida ed urla,
Elena assecondò le parole del suo maestro:
-
Sta’ pronta…- le disse solo Altair.
-
Cosa?!- Elena contò le figure distinte di una decina di
uomini che emersero dalla calca e li accerchiarono svelti.
Elena
fu con le spalle contro quelle del suo maestro, che senza aspettare che
la gente si allontanasse, scagliò un pugnale da lancio
contro il soldato, il quale si accasciò a terra.
–Combatti!- gridò l’assassino.
Le
campane della città tuonarono, e lo scontro ebbe inizio: una
guardia si avventò su di lei e la ragazza parò il
colpo indietreggiando. Sebbene i soldati si facessero avanti uno alla
volta, i due assassini erano nel mirino degli arcieri sulle mura.
Elena
estrasse d’istinto la lama corta rinfoderando la spada, e la
guardia le fu di nuovo sul collo. La ragazza schivò, e ne
approfittò per colpire il suo aggressore alla schiena. Un
fiotto di sangue caldo macchiò la terra, e la ragazza
piroettò su se stessa quando una nuova guardia
tentò di abbordarla.
Elena
parò il colpo, e contrattaccò appena le fu
possibile. Con un fluido movimento del polso, dopo esser balzata
avanti, segò un taglio preciso alla gola dell’uomo.
Alle
sue spalle, Altair contrastò con facilità un
fendente, sbatté a terra il soldato e lo infilzò
con un ultimo fatale colpo di spada in pieno petto. Scartò
di lato, e la feccia gli sfiorò il cappuccio. Ben presto le
guardie si raddoppiarono, e non ci fu nessuna pietà nel
duello, che proseguiva con un susseguirsi di corpi crociati che si
accasciavano a terra.
Stava
uccidendo: era tornata a colpire, tornata ad assaporare il sapore di
un’anima che si sgretolava sotto il taglio della sua lama.
Elena
fece un balzo indietro, e la spada dell’aggressore le
sfiorò il petto di pochi millimetri. La ragazza attese che
il fendente puntasse verso il basso, poi si piegò e
conficcò la lama corta nel piede dell’uomo, che
gridò immondo. Elena si sollevò e gli
tagliò il viso.
L’uomo
cadde sfregiato a terra, in preda al dolore. Si portò le
mani sul volto, mentre il sangue gli grondava attraverso le dita.
Elena
cercò di non pensarci, concentrandosi sul fatto che la sua e
la vita del suo maestro erano in pericolo e principalmente rilevanti.
Qualcuno
riuscì a ferirla, e la ragazza si accorse che si era
trattato di una freccia. Le era comparso uno sfregio rossastro sulle
pelle della spalla, dove la veste aveva ceduto.
Il
dardo era andato a conficcarsi nel terreno, ma Elena si
guardò lo stesso dall’avversario successivo, che
venne verso di lei con un colpo ben assestato sulle gambe.
Elena
rotolò indietro, si rialzò trattenendo il
respiro. Quando la guardia le venne di nuovo contro, si
slacciò dalla cintura un pugnale e glielo scagliò
nella fronte.
Non
c’era tempo di prendersene i meriti, le guardie di Corrado li
accerchiavano in un numero troppo elevato!
Elena
non perse un istante, e si avventò contro un gruppetto di
guardie compatto. Schivò il colpo del primo soldato
piegandosi sulle ginocchia, rotolò e colpì alle
gambe il secondo. Nell’alzarsi la ragazza spiccò
un salto sul cadavere di questo e tagliò la gola al primo.
Atterrò coi piedi saldi a terra, e si voltò
giusto in tempo per evitare la freccia che le sfiorò il
ciuffo di capelli fuori dal cappuccio. Tornò alla carica, ma
l’avversario riuscì a frenare il suo affondo
spingendola a terra.
La
ragazza provò ad sollevarsi, ma la guardia alzò
la lama al cielo; il fruscio familiare di un pugnale da lancio si
diffuse nell’aria.
Elena
scartò alla sua sinistra, evitando così che il
corpo dell’uomo le cadesse addosso. Si sollevò a
fatica, quando un nuovo fendente entrò nel suo campo visivo.
Si
piegò ancora, tornando a stringere tra le dita la spada
lunga. I suoi muscoli andavano indebolirsi, e la sua resistenza agli
attacchi si affievoliva ogni qual volta era costretta ad
indietreggiare.
Era
stato l’assassino suo mentore a lanciare il pugnale, e ora
Altair si apprestava in combattimento contro i più valorosi
tra i soldati di Corrado.
-Non
ce la faccio!- sbottò la ragazza tornando al fianco del suo
maestro.
Altair
scagliò un nuovo pugnale e schivò una freccia.
–Maledetti! Ci aspettavano, avrei dovuto prevederlo!- fu la
sua risposta a denti stretti. Poi Altair infilzò come uno
spiedino la spada nel petto di una guardia, la quale si
rovesciò inerme in una pozza di sangue.
-Non
sareste dovuti venire!- li gridarono contro.
-Il
nostro Signore avrà la vostre teste su un piatto
d’argento!- rise qualcun altro.
Altair
le strinse un lembo della veste. –Vattene!- le disse in un
sussurro.
Elena
sobbalzò, evitando di pochissimo una freccia.
–Maestro, non vi lascio in questa situazione! E non vi
è via di fuga se non combattere!- protestò lei
tenendo la voce bassa.
I
due si divisero, quando i soldati vennero di corsa nella loro direzione.
Elena
si appoggiò a terra con le mani, scartando di lato in una
bella e precisa ruota. Lanciò la spada in aria e
l’afferrò, lasciando i suoi avversari senza parole.
Una
prima guardia le fu addosso, ed Elena scartò in basso. Il
colpo era mal piazzato, e le fu troppo facile tagliargli
l’addome senza troppa fatica del braccio.
Elena
si guardò le spalle da una nuova, improvvisa freccia.
Roteò a sinistra, ma qualcosa la bloccò per i
fianchi, stringendola con vigore.
Non
realizzò in tempo che la spada le volò via,
mentre l’uomo che la stringeva a sé la strozzava
con il braccio.
Elena
sentì l’aria mancarle, e i suoi piedi si
sollevarono dal suolo. Provò con tutte le sue energie a
divincolarsi, ma il cavaliere crociato la teneva saldamente. I suoi
occhi azzurri guardavano verso il cielo nuvoloso, e le sue mani
graffiavano la tunica dell’aggressore. Elena soffocava.
-Trouve
un moyen de s'échapper!- le gridò in francese un
soldato, ridendo sarcastico.
-Maudit
assassins !- disse un altro.
La
vista le si annebbiava, i sensi si sfumavano. Elena lasciò
che le braccia le cadessero lungo i fianchi, ed era sul punto di
finirla lì.
Il
suono delle campane d’allarme divenne un brusio lontano e
fastidioso come quello di una zanzara nel buio e, lentamente, Elena
chiuse gli occhi.
Altair
si voltò, e scagliò un nuovo pugnale che trafisse
il cavaliere sulla spalla.
L’uomo
indebolì la presa, gemendo di dolore, e il corpo di Elena si
accasciò al suolo.
La
ragazza si riebbe lentamente, tossendo sangue e non riuscendo a
reggersi in piedi.
L’altro
assassino le venne accanto. –Devi andartene! Va’
alla Dimora!- gridò collerico infilzando il soldato in pieno
petto con la spada corta. –Ora!-
l’afferrò per l’avambraccio e la
tirò in piedi come una bambola.
Altair
le aprì la strada verso la città scagliando
quanti pugnali gli rimanevano, ed Elena scivolò
più volte nelle pozze di fango prima di un ultimo scatto
verso le mura.
Le
frecce degli arcieri la sfioravano, ma lei continuò a
correre confondendosi tra la folla.
Si
fece largo a bracciate, mentre battaglioni di soldati le venivano
dietro; spingevano la gente e gridavano: -Prendre-la!-.
Elena
si strinse la gola con una mano, passando le dita sul livido bluastro
che aveva. Mugolava di dolore, ma non si sarebbe fermata.
Faticando
per mantenere la distanza tra lei e i soldati, si concentrò
su cosa era capace di fare un assassino quando si trattava di
“scomparire”.
Le
parole di Tharidl, quella volta che le aveva spiegato i principi di un
Angelo della Morte, le tornarono alla mente, assieme alla figura del
vecchio.
Confondersi
tra la gente comune è ciò che ci facilita gli
incarichi…
Come
poteva confondersi tra la gente se portava con sé armi di
tutti i generi non ché quelle vesti così ben
riconoscibili da tutti i soldati della città?
Elena
accelerò la corsa svoltando in un vicolo buio.
Conosceva
bene le vie del distretto povero. Mal ridotte, piene di buchi per la
strada e case distrutte dalla guerra. Ruderi di abitazioni, travi di
legno ammuffito e vecchi mobili.
Strano
che non stesse piovendo.
Elena
imboccava un viottolo dopo l’altro, cercando di confondere i
suoi inseguitori. In parte ci riuscì, ma si trovò
presto in un vicolo cieco che quando viveva ad Acri non c’era
mai stato.
-Diamine!-
gridò.
Ai
suoi lati si aprivano due stradine secondarie che gettavano una sulla
via principale e in un mare di folla, e l’altra
sull’ingresso di una vecchia chiesa.
-Si
è nascosta, quella bastarda!- gridò qualcuno, ed
Elena si strinse contro la parete.
Le
voci venivano dai tetti; già, i tetti… se avesse
saputo arrampicarvisi, si disse, sarebbe stato tutto più
semplice, ma doveva trovarsi una nuova ed imminente via di fuga o
sarebbe finita!…
Lanciò
un’occhiata alla folla lontana, sulla via principale, e ci
pensò troppo allungo, perché un soldato
atterrò con un salto proprio davanti a lei.
-Je
l’ai trouvé! …- Elena lo
colpì con un pugno ben assestato alla mandibola.
L’uomo
volteggiò su sé stesso e si accasciò a
terra privo di coscienza.
Elena
si massaggiò le nocche miagolando di dolore.
-Eccola!-
disse un altro soldato dal fondo della strada, e la ragazza
scattò sul momento.
La
gente si scostava spaventata, ma mai quanto lei che era preda
dell’adrenalina e del battito accelerato del cuore.
Scivolò,
rotolò ma si rialzò. Per la sua distrazione,
aveva buttato giù una bancarella e qualche passante, da
aggiungersi al fatto che le guardie alle sue spalle avevano recuperato
la distanza.
Gli
arcieri appostati sulle macerie delle case la puntavano, ma gran parte
delle frecce le facevano solo il filo della veste.
Basta!
Non sarebbe scappata in eterno, ma non se ne parlava di combattere! Se
gli assassini si servivano del dono della neutralità, lei
avrebbe osservato il credo per compromettere la missione il meno
possibile.
Svoltò
in un vicolo e cominciò a spogliarsi del suo equipaggiamento.
Iniziò
dal fodero della spada, scagliandolo in un mucchio compatto di fieno e
fango. La pelle della custodia si mimetizzò con la
fanghiglia, e lei continuò imboccando una nuova strada buia.
Fu
il turno della cintura di cuoio, che lanciò tra alcuni
vecchi barili. Sarebbe tornata a prenderla in un secondo momento o mai
più.
Fu
il turno delle cinghie sulla spalla destra, che contenevano i cinque
astucci dei coltellini da lancio. Abbandonò anche quelli
sciogliendosi il triangolo di metallo dal petto. Si strappò
i lembi della veste, arrotolandoli nelle mani e poi lasciandoli cadere
nelle fogne.
Svoltò
ancora, e si accorse di essere prossima al confine con il distretto
ricco.
Il
vicolo andava a terminare su una piazza mercantile, nei pressi
dell’ingresso per il porto. Elena si guardò
dietro, ma non vide nessuno.
Si
privò del cappuccio e della stoffa rossa che le avvolgeva i
fianchi. In fine, slacciò svelta gli stivali tenendosi ai
piedi solo la parte inferiore con la suola.
Si
sistemò i capelli e prese a camminare tranquilla tra la
gente.
Le
guance in fiamme, le gambe affaticate e il fiato corto. Elena era
stremata, sia nel fisico che nella mente.
Si
avvicinò ad una bancarella e prese ad esaminarvi i tappeti
quando nel mezzo della piazza comparve un battaglione compatto di
soldati.
Il
comandante di quel piccolo esercito indicò ad alcuni dei
suoi uomini di andare a nord, ad altri di tornare indietro; dei nuovi
lo seguirono di corsa verso la Grande Cattedrale.
Elena
tornò a respirare regolarmente, avviandosi vigile sulla la
strada principale.
Si
mosse nel modo più naturale possibile, fermandosi a bere da
una fontanella e ammirando le bancarelle allestite sul corso centrale.
Se
c’era un posto cui era diretta, era la Sede di Acri, la
Dimora dove avrebbe trovato il Rafik… ma dov’era
esattamente?
Si
fermò, sedendo su una panca di pietra. Prese a massaggiarsi
le caviglie stanche per la corsa e il combattimento, pensando che
durante i suoi anni ad Acri non aveva idea ci fosse una Dimora di
assassini, poiché nelle cartine della città non
era certamente segnalata. Per tanto la gente comune non poteva sapere
dove fosse.
La
ragazza riprese il cammino.
Paura,
angoscia e sconforto le mordevano lo stomaco. Il suo
maestro… lui… sarebbe sopravvissuto? Elena era
scappata da vera vigliacca, ma se non l’avesse fatto la
situazione avrebbe preso sul serio una brutta piega. Altair doveva
salvaguardarla, ed era quello che aveva fatto: darle
l’opportunità di salvarsi.
Ecco
qualcun altro che moriva per lei, si disse pensando a suo padre.
Distratta
dai suoi pensieri, Elena si trovò in breve in un bel
cortile. La gente sedeva sulle panche e una fontana al centro della
piazzetta scintillava di acqua chiara. Un gruppo compatto di monaci
faceva il giro del quartiere cantilenando il Padre Nostro in latino.
Elena
stava camminando tranquilla verso la stradina secondaria, quando
urtò con la spalla qualcuno che poi le gridò
contro: -guarda dove cammini, razza di…-.
La
ragazza incontrò gli occhi del soldato, al quale
bastò solo un istante per riconoscerla: -ECCOLA!-
sbraitò l’uomo.
Elena
sfuggì alla sua presa di pochissimo, e scattò di
corsa dalla parte opposta.
-Via!
Fate passare!- vociavano gli uomini alle sue spalle. Rieccola al punto
di partenza, si disse col fiato che le mancava.
La
ragazza saltò agilmente una panchina e abbandonò
la piazza issandosi su una fragile scaletta di legno.
I
passi dei suoi inseguitori si persero nelle strade quando la ragazza si
guardò attorno.
Era
sul tetto di una casa, il cuore aveva ricominciato a battere fortissimo
e le tremavano le mani.
Fece
qualche passo indietro, allontanandosi da dove era venuta, fin quando
la terra non le mancò sotto i piedi e la ragazza cadde nel
vuoto.
Atterrò
di schiena, e un grido di dolore le scaturì dalla gola.
Sopra
di lei, precisamente dove era scivolata, si chiuse una grata di legno,
ed Elena si sentì in trappola come un topo.
Si
girò di lato, ascoltando i lamenti delle sue ossa, e
provò ad alzarsi.
L’interno
era buio, e sembrava tanto il salotto di una delle stanze della
fortezza: c’erano dei cuscini e qualche candela appesa al
soffitto. Delle piante ad ornare gli angoli della stanza, una
finestrella che affacciava sul locale secondario accanto. Alla ragazza
brillarono gli occhi: c’era un simbolo intarsiato nella
roccia della parete opposta, sopra una fontana addossata al muro, e la
ragazza riconobbe il maestoso emblema della Setta degli Assassini.
Era
nella Dimora.
Alzò
lo sguardo e ascoltò le voci dei soldati che la cercavano: -
dov’è finita?!- sbottò uno.
-Non
lo so, ma io l’ho vista in faccia!- rispose l’altro.
-Forza,
continuiamo a cercare-.
-Maledetti!
Corrado ci taglierà la testa sapendo che ci sono scappati
tutti e due!-.
-Morisse,
quel bastardo! Mi ha rovinato il fodero, guardate qua!-.
-Piantatela,
tutti voi! Il nostro signore non ci darà tregua
finché non gli consegneremo l’assassino di suo
padre. Avanti! Torniamo a lavoro…-.
I
passi sul tetto si allontanarono, ed Elena crollò a terra.
Si
prese il volto tra le mani premendo sulle tempie.
–è vivo…- si disse. Il suo maestro era
riuscito a fuggire da quel bordello alle mura della città.
Le parve una cosa impossibile.
-Tu!-
il suono di una spada sguainata, ed Elena si voltò restando
al suolo. Alzò le braccia, e quello che riuscì a
vedere fu un uomo che le puntava la lama contro.
-Chi
sei?!- sbottò il vecchio.
Portava
una lunga tunica scura, e una cintura di cuoio a tenergli la veste
bianca sottostante. Il volto celato sotto il cappuccio e una folta
barba bianca che poggiava sul petto. –Chi sei?! Come sei
entrata qui?!- proseguì minacciandola.
Elena
strisciò in un angolo. –fermo, ti prego, non
farlo! Sono Elena!- piagnucolò lei tenendosi una mano sulla
spalla lussata. –Ti prego! Ti prego! Sono
l’assassina! Elena… sono Elena…- era in
preda alle lacrime.
L’uomo
tacque, ed Elena scorse la figura che si allontanava rinfoderando la
spada. Si chinò su di lei e l’aiutò ad
alzarsi. –Dio, perdonami- mormorò il Rafik
facendola sedere poi tra i cuscini. – Sei ferita?- le chiese.
Elena
tentò ancora di alzarsi, ma l’uomo la spinse
giù. –Ho fatto una domanda, rispondi- disse secco.
-
Sì, forse… sono caduta, ecco- tirò su
col naso.
-
Dov’è il tuo maestro?- domandò
poggiandole una mano sulla spalla.
Elena
trattenne l’urlo quando il vecchio le riaggiustò
le ossa dell’omero con sonoro “crack”.
Il
dolore successivo fu immenso, ma la ragazza restò composta,
cercando di nascondere l’imbarazzo e le sue pene.
–Non lo so- balbettò. –I soldati di
Corrado ci hanno sorpreso alle mura, ed è stato lui a dirmi
di scappare… invece sarei dovuta rimanere a combattere!-
sbottò con rabbia.
-Ti
sbagli- la canzonò il vecchio guardandola seriamente.
–La situazione doveva essere più pericolosa di
quanto immagini, se ha scelto di allontanarti da lì. Hai
altre ferite?- le chiese prendendole il mento nella mano e facendola
voltare, controllando che stesse bene.
-Sì,
un graffietto… qui, ma non è nulla- Elena
indicò lo sfregio sulla spalla opposta, dove il tessuto
della divisa aveva ceduto. Il graffio si era arrossato, e probabilmente
andava ad infettarsi.
-Chi
sei tu per giudicare?- il Rafik si allontanò nella stanza
accanto, sparendo dietro il bancone e chinandosi a prendere qualcosa.
–C’è da considerare
l’evenienza, seppur assurda, che le frecce siano state
avvelenate-.
L’uomo
tornò al suo fianco con un rotolo di garza, delle forbici e
un liquido in una boccetta. –avanti, levati la camicia- le
disse.
Elena
obbedì, restando solo con una canottiera di cotone e le
spalle scoperte.
Il
vecchio Rafik la medicò in fretta, prendendo tutte le
premure possibili: disinfettò il taglio e vi
versò una sottospecie di “protezione”
agli avvelenamenti. In fine fasciò il tutto stringendo il
più possibile le bende.
-Ecco
fatto- disse riportando il materiale al suo posto.
Elena
si alzò e roteò le braccia per controllare che
fosse tutto apposto, ma lo stiramento della pelle della spalla le
causava ancora qualche fastidio.
Dopo
essersi rivestita, la ragazza raggiunse il vecchio guardandosi attorno.
Vaste
librerie ornavano le pareti strette della stanza. C’era una
scacchiera con qualche cuscino, dei tappeti pregiati e una scala che
portava ad un soppalco, sul quale la ragazza contò una
moltitudine di spade corte e non attaccate al muro; poi dei giacigli di
paglia coperti con delle federe bianche.
Il
Rafik tirò fuori da uno scaffale alle sue spalle un libro,
lo poggiò sul tavolo e lo aprì alla prima pagina
bianca. Intinse la piuma nell’inchiostro e
cominciò a scrivere.
Elena
gli si avvicinò, osservando nello stesso tempo le cartine
dettagliate di Acri distese sul tavolo.
-Tra
quanto sarà qui?- domandò la ragazza.
Il
Rafik le volse un’occhiata fugace, poi tornò alle
sue scritture. –Non so dirti con precisione, ma sappi solo
che fuori della Dimora nessuno è al sicuro- le disse solo.
Elena
non le colse come parole rassicuranti, anzi, intravide un senso di
sconforto persino nel capo sede.
La
ragazza si sedette davanti alla scacchiera e cominciò a
girarsi un pedone nella mano.
I
secondi divennero minuti, i minuti ore, e il sole andava calare dietro
la coltre di nuvole, mentre tuoni e lampi infuriavano per la
città. Il suono delle campane tacque
all’improvviso, segno che… Non poteva pensarci.
Elena
vagava per la stanza non riuscendo a stare ferma. Si passava
nervosamente le mani tra i capelli; faceva su e giù quasi
trattenendo il fiato.
Ad
un tratto il Rafik alzò lo sguardo su di lei: -
Sta’ calma, siediti; sarà qui a momenti- le disse.
Elena
sobbalzò. Un tonfo sordo, un lamento: -Ma che diavolo!..- e
sia lei che il vecchio si catapultarono nella stanza accanto.
Altair
era piegato a terra, ma dopo poco si alzò composto. Elena
non gli diede il tempo di fare, dire o guardare nulla. Gli
saltò al collo, ignorando il dolore alla spalla.
–Maledetto! Sarei dovuta rimanere a combattere, lo sapevo!
Ero certa che vi sarebbe successo qualcosa! Se fossi rimasta al vostro
fianco, nulla di questo sarebbe successo! Sono abbastanza forte,
voi…-.
-Elena-
disse lui scostandola gentilmente. –Sono vivo- aggiunse col
solito tono pacato, neutro e così dannatamente tranquillo
come se fosse il lavoro di tutti… sì, era il
lavoro di tutti i giorni.
La
ragazza fece un passo indietro. –Lo so. Insomma…
scommetto che siete ferito!- proruppe.
Altair
scoppiò in una risata. –Mi credi davvero
così poco capace?- domandò guardandola malizioso.
Elena
scosse la testa, e si fece ancor più da parte.
Altair
si voltò, rivolgendosi al vecchio. –Ci sono altri
assassini in giro?- chiese.
Il
Rafik annuì. -Mi duole ammetterlo, ma sì.
È uscito da solo questa mattina presto, da lì non
l’ho più visto. Ha svolto le indagini ieri e
doveva occuparsi di un nobile nel distretto ricco, ma suppongo che
quello sia il punto caldo- fece il vecchio incrociando le braccia.
L’assassino
tacque inquieto, e il suo sguardo volò sulla ragazza.
Elena
sentiva mancarle il buio del cappuccio a celarle il volto, come una
necessità e un nascondiglio dagli sguardi critici di
chiunque la circondasse.
-
L’ho indirizzato verso la Grande Cattedrale, potrebbe essere
ancora da quelle parti- aggiunse il Rafik, ma Altair rispose cambiando
argomento.
-Dov’è
il tuo equipaggiamento?- proferì l’assassino
guardandola.
Elena
sobbalzò, sentendosi i suoi occhi scuri che la squadravano
pezzo per pezzo. –Io…- balbettò.
-
Già- confermò il Rafik. –Mi stavo
giusto chiedendo che fine avesse fatto tutta… la
roba…-.
-
Elena!- ruggì Altair, e la ragazza fu attraversata da un
brivido.
-
Io… non sapevo come scollarmeli di dosso! Erano un
centinaio, tutte guardie e io, be’… io avevo solo
qualche pugnale e la spada corta! Mi è passato per la testa
e non ci ho pensato troppo! E va bene! Domani recupererò
tutto quanto! Mi ricordo dove ho lasciato ciascuna cosa!- non
riuscì a trattenersi.
I
due uomini omisero scambiandosi un’occhiata.
-
D’accordo- concluse in fine il suo maestro. –Quando
la situazione quadrerà tranquilla sarò io ad
accompagnarti, ma per il resto…- gli occhi del ragazzo
indugiarono ancora su di lei, ed Elena si sentì in dovere di
avanzare mostrandosi meglio.
–
Per il resto avresti dovuto agire diversamente, e lo sai…-
sottinse il suo mentore.
Elena
abbassò lo sguardo, debole. –Mi spiace, ma non
sono ancora in grado di dileguarmi come avreste voluto che facessi,
maestro- mormorò, e i capelli le si pararono davanti al viso.
Altair
alzò il mento e, come di risposta ad un ordine, il Rafik
tornò al bancone della camera accanto, riprendendo a
scrivere, lasciandoli soli.
Elena
sfiorò con una mano la pianta sistemata
nell’angolo in un bellissimo vaso di cotto.
Altair
la guardò allungo. –In ogni modo, te la sei cavata
egregiamente- sorrise da sotto il cappuccio.
Elena
raddrizzò la schiena. –Grazie- arrossì.
Sarebbero state rare le volte, si disse, in cui il suo maestro le
avrebbe fatto dei complimenti.
Altair
le si avvicinò e allungò una mano.
Elena
rimase di sasso quando il suo maestro le scoprì la spalla
dalla veste, notando con grande stupore il bendaggio. –Sei
riuscita a ferirti- commentò lui di rimprovero.
Elena
si schiarì la voce. – È
successo durante il duello alle mura della città-
borbottò mesta.
-Come
hai trovato la Dimora?- le chiese ammirandola dall’alto.
Elena
soffocò una risata. –in tutta
sincerità, è stata la Dimora a trovare me- e alla
fine non poté contenersi, scoppiando a ridere.
–Sono caduta di schiena e per poco non mi ammazzavo! Non
potevate mettere l’ingresso civilmente al piano terra?-.
Sul
volto dell’assassino si allungò
tutt’altro che un sorriso. –Le guardie ti hanno
vista entrare qui?!- ruggì.
Elena
si ritrasse, riacquistando rigidezza. –No, non
credo…- disse confusa.
Altair
la fulminò. –Ne sei convinta?!- domandò
ancora.
Elena
non seppe che rispondere. Se qualcuno l’avesse davvero vista
entrare lì, allora quella Dimora poteva ritenersi
proprietà di Corrado nel giro di poche ore.
–Io…- strinse i pugni nervosamente. –Io
non lo so!-.
-Grandioso…-
Altair si voltò, passandosi le mani sugli occhi. Si prese
alcuni secondi per sbollentare, poi proferì: -Rafik!-
andando nell’altra camera.
L’uomo
alzò gli occhi dagli scritti.
-Vado
a cercare quello sprovveduto, ma se noti qualcosa di strano, non
aspettare il mio ritorno- detto così, Altair si
arrampicò con maestria sulla parete, scalando con
inimmaginabile agilità la facciata della fontana, fino a
raggiungere il bordo del tetto. S’issò su e
scomparve.
Elena
era rimasta a bocca aperta, e si disse che non sarebbe stata la prima
volta.
Se
un giorno avesse imparato ad arrampicarsi in quel modo su qualunque
superficie, solo da quel momento sarebbe stata degna di portare la
nomina di assassina. Dopo aver visto tale scioltezza nei movimenti e
nessuna difficoltà nell’appigliarsi al primo
tentativo, non aveva idea di quanta sofferenza l’aspettasse
oltre quella stessa soglia cui il suo maestro aveva varcato con tanta
comodità, come se fosse abitudine… era
l’abitudine di tutti i giorni. Se nella Dimora non
c’erano altri ingressi se non quello sul tetto, allora tutti
gli assassini erano costretti a compiere manovre impossibili anche solo
per prendere una boccata d’aria. Magari teneva in esercizio,
certo, ma poteva diventare stressante, soprattutto per una come lei.
-Elena-
il Rafik la chiamò e lei lo raggiunse.
-Sì?-
domandò disponibile, tranquilla; ma in lei si agitava di
nuovo lo stesso sconforto precedentemente provato. Perché i
più bravi dovevano sempre rimetterci per i novellini? Il suo
maestro rischiava la vita per assicurarsi che un assassino stesse bene;
dov’era il rispetto del prossimo? Acri era nel caos!
Perché perdere due assassini al posto di uno!?
-Perché
non ti stendi un po’- le disse il vecchio indicando i
cuscini. –Sono certo che sei distrutta, che a mala pena ti
reggi in piedi. È stata una giornata difficile, e non
preoccuparti di altro se non la tua salute, ora- le
consigliò.
Elena
annuì. –Grazie- e andò verso i cuscini.
Con
la schiena al muro, il silenzio attorno e la protezione delle quattro
mura della Dimora, Elena riuscì a prendere sonno, nonostante
la costante paura che Corrado venisse a strapparle via
quell’ultimo rifugio.
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Capitolo 24 *** Pulizia, atto primo ***
Pulizia,
atto primo
-Il
vostro arrivo qui è stato un vero fallimento!-
sbottò il Rafik.
-Non
potevo prevedere che…- Altair arrestò le sue
parole nell’aria.
-Sai,
mi stupisci sempre più- borbottò il vecchio.
–Non ti facevo così sciocco; pensavo avessi
abbandonato i tuoi vecchi costumi da irresponsabile- fece gravoso.
Il
buio e il freddo della notte avvolgevano ogni cosa. Il silenzio
più ombroso avvolgeva Acri e i suoi mille tetti.
Elena
aprì gli occhi lentamente, stiracchiandosi.
Poggiò le mani sui cuscini che la circondavano, stirando la
schiena per bene. Qualcuno l’aveva arrotolata in una coperta
calda, e sopra di lei brillava il cielo stellato con le sue immense
costellazioni. I suoni più soavi delle strade giungevano
alle sue orecchie, accompagnati dalle voci del suo maestro e del Rafik.
-Devi
comprendere al meglio che non stai più giocando da solo,
Altair!- lo canzonò il capo sede. –So bene che un
tempo erano altri a seguire le tue orme, ma ora più che mai
deve restare vigile in qualsiasi momento- mormorò.
Altair
si appoggiò con un gomito al bancone: il vecchio Rafik gli
stava fasciando l’arto destro rimasto ferito.
–Perché è così importante?
È solo una ragazza, non ci vedo nulla… di diverso
dai miei precedenti allievi, e non capisco come mai Tharidl la
prediliga tanto alle altre assassine. Se non sbaglio, è
l’unica ad essere esonerata al patto…-
borbottò l’assassino stringendo i denti.
-Non
su questo che dobbiamo spaziare- gli rispose stringendo per bene le
bende con un nodo piuttosto stretto, ma Altair nascose bene le sue
sofferenze. –Dovresti riposare anche tu- gli disse.
-No-
sbottò l’Angelo. –Non ne ho bisogno-
aggiunse guardando altrove, perdendo lo sguardo nelle ombre della
stanza.
-Sei
stato ferito, avverto la tua stanchezza anche da qua. Avanti, non dare
retta al tuo orgoglio, che non ti ha portato molto lontano queste
ultime settimane- rise il vecchio.
Altair
guardò il suo equipaggiamento adagiato su un tavolo
lì accanto, sul quale erano sistemati diversi tomi e carte
geografiche. –Ho contato una gran numero di guardie mentre
tornavo…- bisbigliò.
Elena
si sollevò lentamente, tendendo le orecchie.
Il
Rafik si pulì le mani su uno straccio.
–Perché la cosa non mi stupisce?-
sbuffò.
Altair
strinse il pugno del braccio ferito. Aprì e chiuse il palmo
un paio di volte. –Se domani devo scortare Elena a
riappropriarsi del suo armamentario, non voglio troppi problemi- disse
serio da sotto il cappuccio.
Il
capo sede gli lanciò un’occhiataccia.
–Se anche fosse, non ti autorizzo a lasciare questa Dimora.
Quali miglioramenti potresti apportare, se anche riuscissi a farne
fuori qualcuna questa sera? Domani mattina Corrado avrà
già moltiplicato le pattuglie prima che tu possa mettere
piede in città!- rise di malo gusto dandogli le spalle.
Cercò un libro dallo scaffale, lo prese e lo
poggiò accanto al gomito di Altair, riprendendo a scrivere.
L’assassino
riflette alcuni istanti, poi diede uno sguardo al manoscritto.
–Hai cominciato le sue Cronache…-
commentò interessato allungandosi.
-Non
ti deve interessare- sbottò il vecchio mettendo una mano
davanti alle pagine bianche impedendogli di guardare –Se
è per questo, ho ricevuto l’ordine di curare anche
le tue- ridacchiò.
-Questa
sì che è una novità-.
-Tornando
a noi… siccome non riesci a prendere sonno, dimmi, come hai
intenzione di cominciare i suoi itinerari?- lo interpellò.
Altair
alzò un sopracciglio confuso. –Avevo intenzione di
portarla in giro per la città, per prima cosa. Anche se ci
ha vissuto fin da bambina, Acri ha molti segreti anche per i suoi
governanti. Io voglio insegnarle quei segreti- annunciò
fiero.
-Ottimo-
scrisse.
-Stai
scrivendo quello che dico?- chiese.
Il
Rafik gli nascose ancora una volta il suoi scritti.
–Continua!- borbottò.
Il
ragazzo alzò le spalle. –Credo che le farebbe bene
acquistare forza nelle braccia. Comincerò dalle torri sulla
costa occidentale del distretto ricco. Quando la sua vista
avrà acquistato la scaltrezza necessaria, le
lascerò svolgere le prime indagini. Nella prima settimana
preferisco che mi segua e basta; il fatto che abbia girato per la
città senza cappuccio non migliora le cose…-.
Il
Rafik annuì. –Scommetto che Tharidl ti ha affidato
questo compito conoscendo le tue dosi di pazienza…-
proferì accigliato.
Altair
emise un gran sospiro. –Dovrei esserci io al suo posto, e
quel vecchio pretende di potermi dare ordini così!- si
abbassò il cappuccio passandosi una mano tra i capelli
corti. –Mi deve il rispetto che gli ho concesso…-
si lamentò. –Tharidl… è
stato la causa di tutto fin dall’inizio.
Dall’arrivo del Frutto a Masyaf ad oggi…-.
-Dimentichi
che è stata Adha a voler portare il Tesoro
dell’Eden nella Fortezza…-.
Altair
strinse i denti volgendogli uno sguardo canino. –Non metterla
in mezzo, Adha non centra nulla! Il nodo della confraternita
è quel povero scemo!- rise l’assassino.
Il
Rafik sbatté un pugno sul tavolo con violenza.
–Piantala- digrignò. –Non sei divertente
e potresti pentirti di averlo solo pensato. Sei stato tu a cedere
l’incarico, non puoi dare la colpa a nessun altro se non te
stesso! Se le sue regole ti fanno poco comodo, biasima te e solo te!
Sei il primo e l’ultimo a parlare così di
lui…-.
-Ah!-
ridacchiò il giovane. –Vogliamo scommettere? Quel
pazzo ha mandato una novizia a combattere contro il prossimo Re di
Gerusalemme! Non negare l’evidenza: sbagliai a fidarmi di lui
e sbaglio a seguire i suoi ordini ancora oggi- Altair si
passò le mani sul viso. –ma perché sono
ancora qui…- mormorò tra sé.
-Eppure
non hai esitato- sorrise il Rafik intingendo la piuma
nell’inchiostro. –Ricordi perché votasti
costui e non altri alla carica di Maestro?- domandò in un
sussurro.
-No,
e non m’importa…- Altair si alzò e
riavvolse la manica della tunica sul braccio fasciato.
-Non
andare…- ripeté il Rafik continuando a scrivere.
-Fermami
se ne hai la voglia- si voltò appena allacciandosi il fodero
della spala al fianco.
-Non
andare…- disse ancora il capo sede.
Altair
si sistemò al meglio gli stivali. –Sono abbastanza
grande per decidere della mia e della vita della mia allieva. Non puoi
fare voce per nessuno dei due!-.
-Certo,
abbastanza grande; ti comporti come un ragazzino!- sollevò
gli occhi al cielo.
Altair
si sciolse i muscoli della schiena con pochi fluidi movimenti delle
scapole. –Se davvero tieni alla mia vita…-
l’assassino tornò davanti al bancone sorridendo.
-Che
vuoi?- domandò il vecchio quasi sbuffando.
Altair
allungò il suo sorriso, indicano con un cenno del capo le
pergamene arrotolate sugli scaffali.
Il
Rafik curvò le spalle, lasciò il pennino nel
barattolo dell’inchiostro e, voltandosi, trasse dalla parete
alcuni rotoli. Li spiegò sul tavolo.
Altair
tenne le cartine ben aperte mentre il vecchio gli indicava alcuni punti
su di essa. –Non passo spesso da queste parti, ma ho saputo
che Corrado ha stretto la sorveglianza attorno alla dimora Ospedaliera.
Potresti occuparti di qualche arciere da quelle parti, ma
sta’ attento alle porte sud della cittadella. So che girando
anche parecchi templari, e c’era del veleno sulla freccia che
ha ferito Elena-.
Altair
non si scompose, ma chiese lo stesso: -Sei riuscito a fermarlo in
tempo?-.
-Tutto
risolto. Tornando a noi… qui- il vecchio puntò il
dito dove due mura di diverso spessore si chiudevano in un cortile con
una fontana. –Fa’ attenzione se passi di qui:
Corrado ha fatto appostare alcuni soldati, e da una settimana quasi
è nato dal nulla un accampamento nel pieno centro della
città. Ah, quasi scordavo… sii cauto nelle
vicinanze della Grande Cattedrale. Sanno che ti aggirerai soprattutto
nel quartiere nobiliare, e hanno chiuso gli ingressi a tutte le Chiese.
Di monaci ne vedo pochi, perché si nascondono. Ti ricordi,
vero, la scenata di Sibrando?- lo guardò preoccupato.
Altair
annuì. –Non rimpiango la sua morte…-.
Il
Rafik si perse nei suoi pensieri, ma si riscosse quando Altair fece per
avviarsi. –Torna qui- disse e l’assassino fece
alcuni passi addietro.
-C’è
altro?- domandò il ragazzo.
-Non
ho finito, guarda qui- indicò la piazza centrale vicino ai
moli. –Guardati le spalle. Uno dei nostri ci ha rimesso una
gamba, hai saputo?-.
L’assassino
scosse la testa. –Sei sicuro che sia arrivato vivo?- rise.
Il
Rafik lo colpì alla testa con una pergamena arrotolata.
–Fai meno lo spiritoso. Si può sapere cosa hai
bevuto?!- sbottò infastidito.
-Sapessi…-
mormorò celandosi il volto sotto il cappuccio.
-Lo
verrò a sapere comunque. Ora avvicinati, ho altro di cui
parlarti prima che tu vada-.
Altair
tornò di fronte a lui, chinandosi sulla cartina.
-Sai
bene che Corrado ti vuole morto- bisbigliò.
-Sì-
fece Altair distratto.
Il
Rafik lo colpì ancora con la pergamena, e
l’assassino si riebbe dai suoi pensieri. –Smettila,
ti sto ascoltando!- digrignò.
Il
vecchio ripiegò le carte e incrociò le braccia.
–Non mi pare!- fece austero. –Avanti, condividi.
Sono qui a posta…- fece un gesto con la mano.
-Non
posso- sorrise Altair, ricordando commosso. –Non
riesco… è troppo… bello-.
Il
silenzio calò nella Dimora, e uno sbuffo di vento le
alzò la coperta dalle gambe. Un fastidioso brivido, e le
venne la pelle d’oca.
-Dunque…-
il Rafik si appoggiò al bancone. –Una tale gioia,
e tu rischi la tua vita tutta ora?-.
-Mi
tiene occupato…- mormorò.
–Uccidere… anche se non dovrei… ho
paura che…ah!- Altair, frustrato, si allontanò
verso la stanza accanto, ma il vecchio lo chiamò ancora.
-Altair!-.
-Che
c’è?!- si voltò agitato.
Il
Rafik lo guardò allungo, decifrando i suoi occhi scuri, poi
annuì come avendo ottenuto conferma. –Credo di
aver capito…- sospirò il vecchio portando sul
tavolo un secondo testo, più spesso, più ampio e
quasi pieno.
-Come…
come fai a dirlo?! Non… ti sbagli!- tornò
indietro sempre più sconvolto.
Altair
conosceva bene quel libro. Erano le sue Cronache. In quelle pagine il
Rafik di Acri scriveva tutto e niente su di lui.
L’uomo
scosse la testa. –Ora ne sono convinto anche il doppio- rise
il capo sede.
Altair
tacque, abbassando lo sguardo. -Adha è incinta-
disse solo.
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Capitolo 25 *** Pulizia, atto secondo ***
Pulizia,
atto secondo
Elena
sobbalzò, portandosi una mano alla bocca. Quale…
sorpresa, pensò.
-Non
te l’aspettavi, eh?- fece Altair alzando un sopracciglio.
-A
dire il vero sì- fece tranquillo il vecchio sedendosi sullo
sgabello dietro il bancone. –Piuttosto… tu te
l’aspettavi?- gli chiese con un gesto della mano.
Altair
lo osservò in silenzio mentre ricominciava a scrivere sulle
sue Cronache.
-No,
ma…- esitò un istante. -Non voglio che si sappia;
non posarlo nelle mie memorie…- borbottò Altair
avvicinandosi agli scacchi.
Il
Rafik poggiò la penna e chiuse il libro. –Come
vuoi. Sarà mica per questo che ultimamente lei è
così nevosa e tu… così…
vivace?- sorrise mesto.
L’assassino
strinse nel guanto la regina. –Forse…-.
-E
come credi di tenere in pugno la situazione? Chi dei due lo
dirà prima al Maestro?- domandò ancora il vecchio.
Altair
non seppe che rispondere; taceva nei propri pensieri girandosi la
regina nera tra le dita.
-È
comprensibile che tu ti senta così. Prova a guardare per una
volta chi come te ci è già passato. Fredrik, per
esempio. Ha una moglie e due figli sistemati comodi. Credi forse che
possa essere solo un peso, non ti senti all’altezza?
Chissà quale bel giovanotto potrebbe crescere sotto
un’educazione come la tua- proferì il Rafik.
Eppure
le parole del vecchio capo sede non gli furono di conforto. Aumentarono
le sue ansie, le sue paure e la voglia di non pensarci, di distrarsi,
di tornare all’opera. Di occupare le mani.
Elena
appoggiò la testa contro il muro.
Altair
ripose la pedina sulla scacchiera. –Non mi sembra il momento
adatto. Ci sono questioni più urgenti che richiedono la mia
attenzione- Altair lanciò un’occhiata alla ragazza
nella camera accanto. –e non mi serve a nulla immaginare un
futuro se sono poco certo di poterne costruire uno-.
-Ecco
l’errore di ogni padre- il vecchio scoppiò in una
risata, attirando gli occhi scuri dell’assassino su di se.
-Sarebbe?-
domandò infastidito Altair.
-Assecondi
i tuoi doveri ai tuoi desideri. Il credo da una parte e la famiglia da
un’altra; non dico che sia sbagliato, ma se il Maestro lo
sapesse, Elena potrebbe venire affidata a qualcun altro e tu potresti
occuparti di ciò che ti grava tanto sull’animo. Di
che cosa hai paura, concretamente? Di abbandonare tuo figlio come il
tuo padre anonimo fece con te?-.
-Attento
a come parli…- digrignò l’assassino,
manifestando i primi scatti di collera.
Il
Rafik alzò le spalle. –Se non ti senti chiamato a
questo genere di doveri, io non ti impedirò di varcare
quella soglia- indicò l’uscita della Dimora.
Altair
rimase immobile dov’era, quando Elena si voltò e
notò una figura stesa accanto a lei. Era rannicchiato e
composto allo stesso tempo, portava una veste anonima e il suo
equipaggiamento era poggiato in un angolo della stanza. Era
l’assassino che Altair era andato a cercare poche ore prima,
che ora dormiva al suo fianco sotto la sua stessa coperta di lana.
Elena si scansò appena.
-È
tutto?- domandò il ragazzo fissando il vecchio con rabbia.
Il
Rafik annuì. –Guardati da te stesso, prima di
chiunque altro…- disse in fine il capo sede, tornando a
scrutare la mappa della cittadella.
Altair,
con passo scattante, raggiunse la fontana alla parete e fece per
issarsi su, quando Elena si alzò.
-Maestro!-
bisbigliò.
Il
suo mentore curvò improvvisamente le spalle, voltandosi
affranto. –Sei sveglia…- parlottò.
Elena
annuì, ma andò dritta al solo.
–Dov’è che andate voglio venire con
voi!- disse seria.
Altair
alzò lo sguardo, scrutando con occhio critico le
costellazioni nel buio del firmamento che andava e veniva travolto da
nuvole grigie di passaggio.
-Cosa
ti fa credere che acconsentirò?- fece irritato.
Elena
si strinse nelle spalle. –Muoversi di notte potrebbe essere
più vantaggioso, dato che debbo recuperare il mio
armamentario il prima possibile- era brava ad improvvisare quando ci si
metteva.
Altair
annuì poco convinto solo dopo qualche istante, poi si
voltò arrampicandosi sulla fontana.
Elena
si riallacciò le scarpe di fretta e provò ad
imitarlo, ma riuscì a raggiungerlo sul terrazzo con un
immensa fatica.
Altair
la prese per un braccio proprio mentre stava per scivolare di nuovo
giù, più o meno allo stesso modo di come era
caduta nella Dimora la prima volta.
-Ne
sei sicura?- le chiese tirandola a sé, fissandola con
cattiveria e tormento, come se la ragazza fosse un peso, un altro sulla
sua coscienza (cosa che concretamente era).
La
ragazza accennò un sì tremante, e Altair le
lasciò il braccio.
-Va’
avanti, io ti seguo dall’alto e ti guardo le spalle- le disse.
Elena
si calò giù dalla fragile scaletta e si
trovò nella piazza con la fontana e le panche. Tutta la
folla cittadina di quella mattina era scomparsa. Ora regnava il
silenzio più tetro, con accenni a passi di soldati che si
muovevano le buio e lamenti di animali, tra cui un gatto inseguito da
un topo.
Elena
si voltò, ma del suo maestro notò solo
l’ombra proiettata da una parete all’altra mentre
Altair saltava di tetto in tetto.
Come
promesso vegliò su di lei durante tutto il tragitto, ed
Elena percorse le vie di Acri in lungo e in largo tentando di
orientarsi nella sua città natale nonostante il buio.
Impiegò
un’oretta circa a ritrovare i suoi lacci da spalla, nascosti
in un vicolo assieme al suo cappuccio e agli stivali. Da lì
riuscì ad individuare la strada che aveva percorso nella
fuga, così le fu facile riappropriarsi della cintura di
cuoio e il fodero della spada.
Raggi
di luna le schiarivano il volto a spicchi, in quei brevi istanti in cui
il cielo non era coperto dalle nuvole. Elena camminò fino a
raggiungere una nuova scala che portava sull’alto di
un’abitazione.
Portare
quelle vesti la faceva sentire di nuovo se stessa. Il peso delle armi e
l’ombra del cappuccio… era a casa!
Una
volta sul tetto, qualcuno gridò: -Ehi, tu! Non puoi stare
qui! Vattene prima che ti faccia del male!- assieme al suono di una
corda che si tendeva, mentre l’arciere alle sue spalle
incoccava la freccia e gliela puntava contro.
La
ragazza non fece in tempo a voltarsi, che Altair si lanciò
sull’uomo gettandolo a terra. La lama nascosta
penetrò nel collo del soldato e un lieve fruscio si diffuse
nel vento, accompagnato da uno scatto simili ad una serratura oliata.
Elena
riuscì a voltarsi solo allora, quando constatò
che fosse tutto finito.
Altair
la fissava da lontano, imponente sopra il corpo dell’uomo
accasciato in una posa innaturale e forzata. Una pozza di sangue si
allargava sotto al suo petto, e le frecce della sua faretra si erano
rovesciate tutt’attorno.
-Se
c’è una scala…- Altair le si
avvicinò. –Non ti viene in mente che qualcuno
possa averla usata?!- le bisbigliò collerico
all’orecchio.
Elena
rimase di sasso, sprofondando ancor più nel cappuccio.
–Scusate, io…-.
-Lascia
stare, non potevi saperlo- lui guardò altrove.
Elena
tirò un sospiro di sollievo, squadrando attenta curiosa la
fetta di profilo visibile del suo maestro. Il mento sporgente, la
mandibola serrata e accenni di giovane barba. Quanti anni poteva avere
all’incirca per essere già… padre?
Elena
scosse la testa, scacciando quei pensieri, e il suo mentore se
n’accorse.
-Qualcosa
non va?- le chiese tornando a fissarla.
Una
nuova folata di vento freddo agitò i lembi delle loro vesti
argentate, che assumevano quella tonalità bianchissima solo
al chiaro di luna. –No, no…- mormorò.
-Se
hai intenzione di partecipare alle mie pratiche, in queste prossime ore
dovrai restarmi dietro, qualsiasi cosa accada ed eseguire ogni mio
ordine senza controbattere. Sono stato chiaro?- la incalzò.
La
ragazza annuì silenziosa.
-Devo
occuparmi di alcune guardie che domani mattina, al sorgere del sole,
potrebbero causare alcuni problemi alle nostre indagini. Sei pronta a
prendere parte a nuovi strazianti, dolorosi e sanguinari omicidi?-
aggiunse girandole attorno.
Annuì,
ancor più convinta.
Quella
risposta così secca parve turbarlo, poiché
l’assassino si arrestò a pochi passi da lei.
–Bene… non ho idea da dove tu prenda tutta questa
energia, ma puoi stare tranquilla che non te ne resterà
molta a fine giornata- sorrise malizioso, ma sul suo volto appena
visibile, Elena colse anche un tocco di divertimento.
Era
il suo burattino, si disse seguendolo.
Altair
intraprese un percorso banale da principianti su e giù per i
tetti, ma comunque dopo pochi minuti di equilibrio sulle travi e
aggrapparsi a muri, Elena cedette, cadendo a terra.
Non
avevano attraversato neppure mezza città, intraprendendo per
di più, la strada “meno articolata” tra
tutte. Travi, comignoli, muri e finestre erano comodi
appigli… sì, se ti restava sufficiente forza
nelle gambe per alzarti e guardarti attorno! Si disse.
Era
distrutta, mai prima di allora avrebbe immaginato quanto potesse essere
faticoso.
-Avanti,
salta- le disse ad un tratto.
Elena
si reggeva alle ginocchia, riprendendo fiato. –Come?-
domandò alzando gli occhi, mentre ciocche di capelli le
sguisciavano via dal cappuccio.
-Hai
capito bene, avanti salta!- le ripeté indicando il tetto
della casa di fronte.
Era
distante, troppo si disse. Sarebbe caduta sfracellandosi al suolo prima
di toccare anche solo con la mano il bordo del regolato.
-Alzati!-
le gridò, ed Elena scattò sull’attenti.
–Ci sono guardie che in questo momento potrebbero averci
già visti, e tu te ne stai a lì a bazzicare sulle
ginocchia! Forza! Salta!- aggiunse.
Elena
si sporse, lanciando un’occhiata alla strada sottostante,
pattugliata da continue ronde di uomini armati.
Guardandosi
in giro, Elena si accorse che erano belli alti. La cima della Grande
Cattedrale spiccava su qualunque altre guglia o croce.
L’orizzonte si perdeva nel buio, ma andava a schiarirsi nelle
prime luci dell’alba.
Già,
l’alba… quindi dovevano essere trascorse un bel
po’ di orette, e si disse che probabilmente Altair
l’aveva fatta girare in circolo senza che se
n’accorgesse. Solo per iniziazione alle mille fatiche che
essere un’assassina comportava. Maledisse il giorno in cui
aveva accettato di stringere una spada in pugno solo per dare retta a
suo padre.
-Piegati
nello spiccare, accompagnati con le braccia, e fai fare il resto al
vento. Se cadi vengo a prenderti più tardi- rise
l’assassino.
Elena
ci trovava poco e niente di divertente.
-Non
ho tutta la notte- sbottò tornando serio.
Elena
si allontanò di quale passo indietro, intraprese una buona
rincorsa e in beve fu in aria.
Le
sue mani si aggrapparono al bordo del tetto, mentre si reggeva a mala
pena coi piedi contro la parete. Provò ad issarsi su, ma
erano particolari muscoli delle braccia che avrebbe acquistato col
tempo… con molto, molto tempo.
Altair
la raggiunse e, guardandola dall’alto, le porse una mano.
Elena
si lasciò aiutare, stringendosi al suo braccio.
Senza
alcuni fatica, l’assassino la tirò sulle tegole
della casa, ed Elena tenne a mala pena l’equilibrio.
-Non
sei in forze- constatò lui squadrandola.
-Vi
sbagliate- fece lei spolverandosi la veste. Le mani le tremavano,
assieme alle gambe e alle spalle. Era un tremore umano. –Sono
al meglio delle mie potenzialità, e…-.
-Sei
addestrata a combattere. Hai muscoli sufficienti per scalare quella
torre, lo sappiamo entrambi. Invece che seguirmi dovresti tornare
indietro e cacciarti sotto le coperte. Vedrai che domani ti
sarà tutto più semplice- Altair alzò
gli occhi, dove Rashy svolazzava sopra le loro teste.
-Ne
siete… sicuro?- domandò flebile.
Oh,
quanto le sarebbe piaciuto tornarsene nella Dimora, al calduccio nelle
coperte e cominciare il suo addestramento la mattina seguente, anche
alle primissime luci, ma dopo un’abbondante colazione e i
riflessi pronti.
-Va’,
torna alla Dimora…- le mormorò tranquillo.
Elena
sospirò. –Grazie- disse.
-E
di cosa?- fece lui. –è il mio dovere insegnarti
anche quando e come sfruttare al meglio ogni tua risorsa. Il sonno
è una fonte essenziale nel nostro mestiere…-
proferì con voce soave.
-Intendevo-
sorrise lei. –grazie della vostra pazienza, maestro-.
L’uomo
allungò il suo sorriso a quelle parole.
–Altrettanto-.
Elena
saltò sul tetto dal quale era venuta e ripercorse la strada
al contrario.
Altair
la guardò allontanarsi nel buio, sperando che quella poca
fiducia affidatole nel tragitto di ritorno fosse sufficiente per
tenerla lontana dai guai. Poi si voltò, e saettò
di corsa verso il bordo del tetto. Si scagliò allargando le
braccia nel vuoto, cadendo in un cesto di fieno.
Quando
ve ne scaturì, Altair estrasse la lama nascosta. Il Templare
era proprio davanti a lui.
Era
tempo di dare una ripulita a quella città abbandonata da Dio.
Una
volta raggiunta la Dimora, atterrò poco salda dentro la
stanza, facendo sobbalzare l’assassino che sonnecchiava tra i
cuscini. –Chi?! Cosa?! Dove?!- si alzò lui.
Elena
si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo.
-Ah…
sei tu- sbottò il ragazzo tornando a stendersi.
Elena
raggiunse il Rafik nella camera accanto.
-Mi
stavo giusto chiedendo dove fossi- ammise il vecchio, che ancora
scriveva sui suoi vecchi testi.
-Altair
mi manda…- sbadigliò.
-Sì,
sì; immaginavo che l’avrebbe fatto. Fa’
sogni tranquilli- le sorrise.
Elena
si stese con le spalle al muro e, senza pensarci due volte, si
addormentò scivolando di lato.
Un
tuono, e la pioggia venne giù sulla fortezza di Corrado.
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Capitolo 26 *** Acri ***
Acri
Un raggio di sole le bruciava sul viso, ma
sparì in fretta, oscurato ancora una volta dalle nuvole.
Elena aprì gli occhi stiracchiandosi,
sollevò il busto e si guardò attorno.
La Dimora era avvolta da un venticello fresco che
le passava sotto i vestiti facendola rabbrividire, mentre riacquistava
il senso dello spazio perso nel sonno.
C’era il Rafik, nella stanza accanto,
dietro il bancone al quale sedeva il giovane assassino.
Elena si alzò e andò in
quella direzione.
-Su via, non puoi certo dire che sia andata tanto
male!- rise l’uomo che scriveva su un vecchio libro.
-Lo so!- sbottò il ragazzo dal volto
coperto. –Ma avresti dovuto esserci; mi ha tolto il lavoro!-.
Elena si sedette accanto al ragazzo, che la
salutò con un cenno della mano. Lei ricambiò.
C’era un cesto di frutta sul tavolo, e
pensò che dovesse essere quella la colazione.
L’assassino alla sua sinistra mordeva
nervosamente una banana. –Non sopporto quando quelli
più grossi fanno così. E da uno come lui non me
l’aspettavo- curvò le spalle.
Il Rafik tirò fuori da un cassetto un
coltello che poggiò davanti a lei; Elena
l’afferrò e prese a sbucciare una mela col sorriso.
-Hai capito, Elena? Il testardo qui si sta
lamentando perché Altair ha svolto l’incarico per
lui, e non solo- le disse il Rafik appoggiandosi al tavolo.
L’assassino sbuffò.
–Non è questo!- disse. –Avanti, quando
Tharidl lo verrà a sapere, posso star certo che al grado
superiore ci passo l’anno prossimo…-
brontolò togliendosi il cappuccio.
Era molto giovane, constatò Elena,
forse della sua età o poco meno. Il viso tondo e da bambino
con una barba appena superficiale, la carnagione scura e gli occhi
verdi.
Le vesti parlavano che quello della sera prima
doveva trattarsi del suo primo omicidio, poiché
dimostrassero la nomina di assassino appena ricevuta.
Elena tornò alla sua mela, staccandone
uno spicchio sbucciato alla volta e mordicchiando lentamente.
-Allora c’è qualcosa che ti
è sfuggito, caro- gioì il vecchio. –La
tua memoria t’inganna: Altair si è offerto di
cedere a te la gloria della missione; nonostante abbia ucciso lui la
tua preda-.
Al giovane balenarono gli occhi. –Dite
sul serio?- chiese col boccone pieno.
Elena soffocò una risata scuotendo la
testa, e staccò un nuovo spicchio.
-Bene- sospirò il Rafik stirandosi la
vecchia schiena. –Oggi ci sono molte cose da fare, parlo ad
entrambi, quindi sbrigatevi a riempirvi lo stomaco- dicendo
così sparì in uno stanzino dietro il bancone.
-Elena, giusto?- domandò
l’assassino continuando a mangiare.
Lei annuì, ingoiando.
–Sì, tanto piacere. E tu?-.
-Il mio nome è Hani, Elena di Acri-
fece un leggero inchino con il capo.
-Hani- ripeté lei. –Di dove
sei?-.
L’assassino sorrise. –La mia
famiglia vive ad Alhepo, ma da quando sono nato ho passato la mia vita
a Masyaf- disse.
Elena, tanto per far passare il tempo
più piacevolmente chiese: -Come mai hai deciso di diventare
un assassino?- spezzò lo spicchio di mela tra i denti.
Hani si strinse nelle spalle. –Non
è stata affatto una mia scelta- mormorò.
–è stato mio padre, lui l’ha voluto. I
nostri avi più antichi aiutarono nella costruzione della
fortezza di Masyaf, solo che fino ad allora non c’era stato
nessun genito maschio da donare alla causa degli Ashash. Eh,
be’, eccomi qui- realizzò con un sorriso forzato.
-E così- rise Elena. –Il mio
maestro ha fatto tutto da solo?-.
-Già- proferì lui mentre
una smorfia andava delinearsi sul suo volto. –Aspetta!-
borbottò.
Elena lo guardò un istante, il tempo
necessario perché cominciasse a fissarla in un modo assurdo.
–Tuo… maestro?- quella volta fu lui a ridere.
-Non ci credi?-.
-Grande Mastro Altair tuo mentore? Be’,
non me ne stupisco… chissà come ci
sarà rimasto male Halef!- disse.
Elena rimase sorpresa. –Conosci Halef?-.
Lui annuì. –Ovviamente,
abbiamo la stessa età, eravamo nello stesso gruppo
finché lui non mi lasciò indietro aggiudicandosi
uno dei posti liberi per gli itinerari di Altair. Dio, stavo pensando
che ora ce l’avrà a morte con te!-
sbottò indicandola.
-Non credo, insomma, è passato un
po’ di tempo…- pensò ad alta voce la
ragazza.
-Ah!- rise l’assassino.
–Conoscendo Halef te la farà pagare. Sai quanti di
noi sognano di prendere lezioni da uno come l’Aquila?-.
-Aquila?-.
-Sì, Altair significa Aquila, e
tornando a noi… ti rendi conto dell’onore che hai
ricevuto?-.
-Veramente- mormorò lei.
–Pensavo che fosse un onore per lui- si girò nelle
mani l’ultimo spicchio.
Hani scoppiò in una risata,
appoggiandosi alla sua spalla. –certo, certo!-.
Elena lo guardò con rabbia, e il
ragazzo arrestò il suo tutt’altro che quieto
ridere.
-Il regno delle Dee è scaduto, in
tutta sincerità ora vali quanto un novizio. Giusto,
c’è da considerare che sei la figlia di Kalel, la
grande leggenda… ma le assassine di un tempo si meritarono
questo appellativo con la fatica, e se le voci corrono abbastanza, mi
pare di capire che hai causato solo guai alla confraternita- disse
serio.
Elena sbuffò. –Sto cercando
di non pensarci- sibilò.
-È dura, posso capirlo. Se Tharidl ti
ha messo al fianco di uno come Altair, lui per primo crede che tu posso
risollevare il nome delle tue antenate. In questo ti capisco
bene…- Hani distolse lo sguardo altrove, poggiando la buccia
della banana da una parte.
Il Rafik ricomparve nella stanza; giusto in
tempo, si disse lei. Pochi minuti ancora e sarebbe scoppiata in lacrime.
-Ecco qui, prendete- li disse il vecchio
poggiando sul tavolo una custodia di cuoio arrotolata. La stese sul
bancone, rivelando che al suo interno c’erano una ventina di
coltelli da lancio.
Hani si alzò, recuperando il suo
equipaggiamento nella stanza accanto.
-Avanti- le disse il Rafik, ed Elena si riscosse.
–Prendi la tua roba e riempi gli astucci- aggiunse.
Elena si legò alla spalla la cinghia
con la spada corta e, prendendo i coltellini dalla custodia sul tavolo,
si rifornì di tutto punto.
Erano entrambi in piedi nel centro della camera
quando il Rafik riavvolse la lunga custodia. –Hani, scortala
da Altair. Elena, il tuo maestro ti attende vicino al porto, dove
comincerete le indagini-.
La ragazza annuì, e seguì
Hani sul tetto della Dimora.
Incredibile, si disse, Altair aveva ragione!
Quella mattina fece una fatica dimezzata nell’arrampicarsi
sulla fontana, emergendo scattante e pronta all’azione
accanto al giovane.
-Tutto bene?- le chiese Hani calandosi il
cappuccio sul volto, e lei fece altrettanto.
-Certo!- sorrise gioiosa.
-Ottimo, stammi dietro- e si avviarono.
Il Rafik gettò le bucce della frutta
in un cesto nascosto sotto il bancone. –Perfetto!-
sbuffò. –E ora chi butta l’immondizia?!-
sbottò.
Hani era agile sui tetti, ed Elena
riuscì a stargli dietro faticando anche meno di lui.
Si sentiva in un altro corpo, le gambe con le
quali correva sui muri per raggiungerne il bordo non erano le stesse
della sera prima. Nuovo vigore bruciava in lei, e sentiva quel tiepido
tepore viaggiarle dentro il sangue.
Sopra di loro si stagliava il cielo grigio di
Acri, e attorno le mille guglie della cittadella. Il caos cittadino li
accompagnò per tutto il tragitto, fin quando non furono al
confine con il distretto medio qual’era quello del porto.
Elena si sporse e lanciò
un’occhiata alla strada.
L’ingresso al molo era attraversato da
una marea infinita di gente ben vestita, assieme a carrucole e bestiame
diretti alle imbarcazioni.
Soffiava un dolce venticello umido, scortato dal
canto dei gabbiani.
La salsedine le pungeva il naso, ricordandole
quelle giornate passate a comprare il pesce al mercato del molo assieme
a suo padre. Quando Kalel la teneva per mano
all’età di sei anni e lei gli camminava affianco
trotterellando per tenere il passo. I capelli le ondeggiavano sul viso
gioioso e il suo naso si arricciava per la forte puzza di pesce.
La ragazza sorrise, assaporando quei ricordi.
Hani le lanciò un’occhiata
indagatrice. –Cos’è quella faccia?-.
Elena non gli rispose.
Quale tortura, pensò. Vedere Acri
ancora e ancora le scottava al cuore, la bruciava dentro. Avvertiva un
dolore immenso allo stomaco e alla mente solo guardando quei tetti,
quella gente e quelle strade.
-Va bene, andiamo…- Hani si
calò su una scaletta di legno e in breve fu tra la folla.
Elena lo seguì esitando, voltandosi
alle spalle innumerevoli volte. Le sarebbe piaciuto passeggiare di
nuovo per quelle strade senza dover nascondere il suo volto, i suoi
occhi azzurri che brillavano comunque al buio del copri capo.
La ragazza camminava a distanza da Hani tenendolo
sempre sott’occhio. Si confondevano ambi due tra la folla, e
più volte lo perse di vista andando per conto suo.
Hani le comparve al fianco
all’improvviso e raggiunsero una terrazza che affacciava
sull’intero molo.
Le guardie Teutoniche si spostavano compatte per
le vie che costeggiavano l’acqua scura del porto; armati fino
alle unghie, i tedeschi si guardavano dal minimo sospetto.
-Bel casino- commentò Hani scrutando
l’orizzonte.
Elena tacque.
Il ragazzo, dopo un po’, le si
avvicinò. –Eccolo- disse indicando un punto
indistinto tra la folla.
Elena seguì il suo indice, e colse il
suo maestro che si infilava nella massa di gente e veniva verso la
terrazza col volto celato dal cappuccio.
Altair intraprese una scaletta di pietra che si
congiungeva alla terrazza, e i due assassini gli andarono incontro.
Elena si arrestò dietro di lui, e Hani
proferì un inchino. –Grande Altair-
mormorò.
-Non qui, sciocco- disse calmo l’uomo.
Hani si raddrizzò indietreggiando.
Elena lasciò che il suo maestro la
squadrasse arma per arma, stando dritta e fiera.
-Puoi andare- proferì in fine
rivolgendosi al novizio.
Hani chinò appena il capo e scomparve
nella direzione da dove erano venuti.
-Hai dormito bene?- le chiese, ed Elena fu colta
in contro piede da quella domanda.
-Sì, grazie- mormorò.
Altair alzò in mento.
–Allora… avevo ragione o no?- sorrise.
Elena si strinse meglio un guanto annuendo.
-Vieni, cominciamo- Altair si avviò
giù per le scale ed Elena lo seguì assorta.
Il suo maestro la condusse tra la folla e poi
fuori dalle mura del porto. S’immersero nel distretto e
camminarono nella gente, giungendo sul confine nord con il quartiere
povero.
Sorgeva una stretta cattedrale, imponente e
austera proiettava la sua ombra poco chiara su un cortile che
affacciava con una vista mozza fiata sul molo.
Sedettero su una panchina, l’uno
affianco all’altra in modo anonimo.
-Le nozioni fondamentali su un’indagine
avrei dovuto insegnartele a Masyaf, ma il tempo e… le
circostanze hanno voluto che partissimo il prima possibile. Devi
sapere, dunque, che non puoi tralasciare notizia che riguarda uno: la
tua preda. Due: il luogo in cui vive. Tre: gli uomini che la proteggono
o, che come te, la combattono. Quattro: i luoghi cui la tua preda fa
visita più spesso. Cinque: se la tua preda sa o no di
te…-.
-In questo caso- lo interruppe Elena.
–Corrado sa già abbastanza di noi- rise sarcastica.
Alatir sospirò. –Sono
contento che tu abbia notato da te il gran numero di cavalieri che ci
stanno cercando- disse, ed Elena, come una molla, si guardò
attorno spaventata.
-Calma- sorrise l’uomo.
–Finché resterai al mio fianco non ti
succederà nulla. Confida nel fatto che ho passato situazioni
peggiori- ribadì.
Elena l’aveva sempre saputo.
-Allora- riprese Altair. –Se io non
fossi qui al tuo fianco, come cominceresti le tue indagini?- le chiese
guardandola.
La ragazza non seppe che rispondere. Pensava che
sarebbe stato Altair a mostrarle tutto, insegnandole nel migliore dei
modi quello che lui aveva sempre fatto. Insomma, lei doveva essere solo
la sua ombra, non partecipare così attivamente! Per questo
si chiamavano itinerari! La strada era spianata, il cammino era quello
già percorso da altri! Elena non si aspettava di dover
mettere del suo negli incarichi.
Altair accolse il suo silenzio pazientando in
eterno, se fosse stato necessario.
Fortunatamente qualcosa le balzò in
mente, un’idea sciocca, ma ottenne ulteriore conferma quando,
nell’aria gelata di Acri, si levò il grido di
Rashy.
-Forse…- bisbigliò, e il
suo maestro si fece più attento.
-Sì? Avanti, non avere paura- le disse
interessandosi.
-Dovrei comprarmi un falco- assentì in
fine.
Il buio del cappuccio del suo maestro parve
allungarsi ulteriormente, come se il sole avesse d’un tratto
cambiato la sua angolazione. –Cosa? Come ti è
venuto in mente?- le chiese, trattenendo la collera.
Ecco, lo sapeva che sarebbe andata a finire
così! Se l’era sempre sentito! Era una stupida
ragazzina che guardava il lato superficiale delle cose! Si sarebbe
tagliata la testa se solo non fossero seduti nelle vicinanze di una
Chiesa!…
-Ho pensato che Rashy… lei fosse la
fonte delle vostre ricerche, così…-.
Altair scosse la testa. –Guardi il lato
superficiale delle cose, e questo non mi piace. Stai cominciando col
piede sbagliato, ti credevo più autonoma e meglio preparata.
A quanto pare sei come tutti gli altri miei allievi- sbottò
serio.
La sua autostima ebbe un picco verso
l’inferno. –Mi spiace- ebbe il coraggio di dire.
-Non capisci? Rashy è solo un mezzo,
un animale da compagnia! Non avrai davvero creduto che mi affidassi
così ad un pennuto!- rise.
Elena curvò le spalle.
–Siete stato voi, quando mi parlaste dei nomi della vostra
aquila, a dirmi che ella vi indica la strada, è la vostra
guida, un libro aperto. Sapevo di essere negata
nell’interpretare certe frasi di saggezza, ma così
mi demoralizzate, maestro-.
-Se i miei rimproveri ti abbattono
così, allora perdonami-.
Elena alzò gli occhi, cogliendo un
leggero barlume nell’ombra del viso del suo maestro.
–Non è vostro incarico rimproverarmi e lodarmi
nelle occasioni pertinenti? Be’, mi sembra di averla sparata
grossa, maestro- piagnucolò con voce sempre più
striminzita.
Altair appoggiò la schiena al muro, e
un gran sospiro gli gonfiò il petto. –Ti prego,
non fraintendere, ma non sono più in me…-
mormorò flebile.
La ragazza distolse lo sguardo.
Ah! Era il minimo! Rise. Nove mesi e sarebbe
diventato padre! Ah. Ah. Ah… non era divertente.
Rimasero alcuni minuti in silenzio, fin quando
Elena non cominciò a credere che il suo maestro, immobile
con le spalle alla parete, si fosse addirittura addormentato.
-Vieni- Altair si alzò, senza
aggiungere nulla ed Elena lo seguì.
So diressero altrove, lontani da quella zona
della città. Attraversarono nuovamente il porto, impiegando
parte di un’ora per raggiungere la parte opposta del
quartiere medio.
Altair svoltò d’un tratto ed
Elena ne perse le tracce nel vicolo buio.
-Sono qui- le disse, e la ragazza
guardò verso l’alto.
Il suo maestro si reggeva al cornicione di una
finestra, le ginocchia piegate e un braccio a penzoloni con la mano
tesa verso di lei. –Avanti, non ho tutto il giorno!- sorrise.
Elena afferrò la presa e Altair la
issò senza fatica al suo fianco, aiutandola ad arrampicarsi
tra le pietre più esposte della parete e le crepe.
Altair saltò sulla parete opposta,
arrampicandosi scattante fino al bordo del tetto.
Elena lo guardò senza battere ciglio,
impressionata. –Ma… ma- balbettò.
Altair si pulì la veste e le
lanciò un’occhiata. –Cammina- le disse.
Elena si issò sul tetto
dell’abitazione che stava scalando e saltò su
quella opposta una volta risalita.
Dopo di ché, Altair intraprese una
corsa lenta ed Elena gli andò dietro quasi sbuffando.
Le case del distretto erano di livello
irregolare, delle volte salirono, della altre scesero e altre ancora
saltarono.
Le loro ombre si proiettavano sulle strade senza
che nessuno vi facesse caso, erano agili come gatti, silenziosi come
topi, e liberi come aquile. Erano assassini, esseri superiori che
guardando lo scorrere del tempo dall’alto di una torre e si
gettano nel vuoto.
Elena si sentì pervadere
dall’orgoglio. Quell’angolazione,
quell’aria fresca che non aveva mai provato… era
irresistibile. Erano una sensazione di libertà e pieno
controllo del proprio corpo, che insieme davano un miscuglio
affascinante. Ecco il vero potenziale di un’assassina che
prendeva forma nelle sue vene, ecco l’immagine di sua madre
che sgattaiolava per quelli stessi tetti alla sua età ed
ecco suo padre al suo fianco.
Elena non poté che sorridere a quelle
visioni così piacevoli.
Altair la fermò per un braccio
tirandola a sé. –Ferma qui- le disse portandola al
suo fianco.
Erano con le spalle al muro di
un’abitazione, mentre il suo maestro lanciava continue
occhiate oltre.
-Che succede?- provò a chiedere.
-Dobbiamo arrivare lì- Altair
indicò il piccolo bastione costruito al centro di una piazza
esposta con la vista sul porto. Il suo dito puntava in direzione della
torre più alta della costruzione.
-Lì?- domandò stupita la
ragazza.
L’uomo annuì.
–C’è solo un piccolo particolare-
aggiunse. –Ci sono delle guardie che controllano
l’ingresso a quell’area. Affrontarle è
un gesto che possiamo evitare, quindi consiglio di distrarle con ben
altro…- sorrise malizioso.
Elena non capiva. –Come?-.
Altair le passò al fianco opposto.
–Guarda quell’arciere- indicò un soldato
teutonico che imbracciava un arco e sembrava godersi ignaro il panorama.
Elena si stupì che
quell’arciere non li avesse visti arrivare, li erano passati
poco meno accanto, quasi!
-Come intendete agire?- chiese.
–Stammi accanto…-
le sussurrò all’orecchio, ed Elena lo
seguì allo scoperto portando una mano all’elsa
della spada corta.
Altair si avvicinò all’uomo
voltato di spalle. Con u gesto fulmineo penetrò la carne del
collo con la lama nascosta sotto il polso sinistro, e lasciò
che il corpo dell’arciere si abbattesse sulla strada,
precipitando per più di tre piani.
Nonostante il suo maestro avesse ucciso un
innocente, Elena colse il nudo e crudo fascino di quello stile di
assassinio. Così pulito e silenzioso che l’uomo,
ora accasciato tra la folla in fuga, non aveva avuto il tempo
sufficiente per proferire un sibilo.
Elena portò le braccia lungo i
fianchi, affacciandosi dal tetto.
Osservò come la gente scappava
gridando alla vista del soldato morto comparso dal nulla sul cammino.
-Perché l’avete fatto?-
chiese voltandosi a guardare il suo maestro, che però era
sparito.
-Maestro?!- si voltò più
volte, ma Altair si era dileguato in pochissimo. –Maestro?!-
un senso di terrore e sconforto l’avvolse.
D’un tratto, il grido di Rashy la
chiamò all’ordine, e la ragazza lanciò
una vista a terra.
Le guardie delle vicinanze si erano tutte
aggruppate attorno al cadavere dell’arciere chiedendosi chi o
cosa fosse stato. Alcuni cavalieri estrassero le armi e si
allontanarono in cerca dell’assassino, altri rimasero
lì a controllare che nulla di più si manifestasse.
Elena si calò da una scala e si
appiattì contro la parete quando degli uomini passarono
correndo di lì. Si guardò attorno e raggiunse
l’ingresso del forte senza che nessuna guardia, china sul
corpo dell’arciere defunto, la notasse.
L’arciere era servito solo come esca,
affinché le guardie di ronda e quelle di controllo
all’ingresso del bastione lasciassero i posti assegnati.
C’era un magnifico cortile interno nel
forte, abbellito da alcune panche e una fontana silenziosa.
Come un richiamo, la ragazza cominciò
ad arrampicarsi sulla facciata interna del cortile, aggrappandosi
saldamente alle ante delle finestre e alle crepe nella pietra.
Raggiunse i corridoi aperti e si issò sul tetto.
-Ehi, tu!- gridò qualcuno alle sue
spalle, e la ragazza, nel voltarsi, estrasse fulminea un pugnale da
lancio che scagliò contro l’arciere di ronda.
-Assassino!- gridò qualcun altro, ma
Elena fece in tempo a colpire anche il secondo soldato prima che
proferisse altro.
Il corpo di quest’ultimo si
abbatté violentemente sulla strada, ma Elena non gli diede
peso.
-Sono toccato, davvero- disse una voce che lei
riconobbe subito.
Hani le venne incontro quasi trotterellando, ed
Elena rimase dov’era.
-Istinto o bravura?- domandò il
ragazzo.
-Nessuno dei due, credo…- rispose lei
pensando che era tutto merito di chi l’aveva generata.
-Hmm- sospirò l’assassino.
–Comunque- si schiarì la voce attirando
l’attenzione di lei.
Elena alzò un sopracciglio.
-Ho incontrato Altair che andava di gran corsa e
mi ha detto di dirti che da qui a questo pomeriggio te la devi cavare
da sola-.
COSA?! Elena spalancò gli occhi.
–COSA?!- ripeté.
-Non chiederlo a me!- l’assassino fece
un passo indietro. –Mi sa tanto che ha visto qualcosa
d’interessante da qualche parte e non ti vuole tra i piedi.
Sai, questa missione è molto importante anche per lui, e
mandare tutto al diavolo perché sei troppo lenta ad
arrampicarti sui muri non gli è sembrato il caso!-
sbottò.
Elena gli lanciò
un’occhiataccia. –Ti ha detto questo?!- fece
dubbiosa.
Hani scoppiò a ridere. –No,
no! Scusa, ma non ho resistito. Però sul serio, il senso
più o meno era questo- rise.
-Non sei divertente. Ed ora io che faccio?-
incrociò le braccia, guardandosi attorno.
-Be’…- riprese lui.
–Un’idea ce l’avrei!-.
Elena sobbalzò. –Sarebbe?-.
-Conta che mi ha anche detto che devo occuparmi
io di te. Nel senso… che devo insegnarti qualcosa-.
-Ah, ecco…-.
-Perché? Cosa avevi capito?- lui la
guardò storto.
-Mah… nulla, lascia stare. Piuttosto,
che consigli puoi darmi?-.
-Eh!- rise di nuovo. –Non si tratta di
alcun tipo di lezione teorica, mia Elenuccia-.
La ragazza cominciava a perdere la pazienza.
–E allora?-.
-Sei lenta!- Hani la guardava dall’alto
del vecchio muro. –Forza! Sei solo pigra, guardati! Avanti!
Un po’ di muscoli! Forza!!!-.
Se avesse continuato a gridare così,
era il minimo che Corrado stesso non li venisse dietro.
Elena perse la presa dal cornicione, e il suo
piede destro scivolò. La ragazza si trovò appena
per un braccio solo ad una crepa della parete. Ecco arrivata la sua ora.
Aveva impiegato minuti per scalare quella fetta
di muro nascosta dal buio del vicolo, ed avrebbe impiegato un decimo
del tempo per cadere giù e sfracellarsi tutte le ossa.
Hani assunse un’espressione
preoccupata. –Tutto bene?- le chiese.
-Secondo te?- digrignò lei
aggrappandosi a fatica.
La scioltezza non tardò ad arrivare.
Muro dopo muro che Hani le dava da scalare, Elena acquistava
agilità e familiarità con i diversi appigli,
lasciandosi cadere in inganno sempre meno volte. Certo, assieme
all’esperienza si fece sentire la stanchezza, che come un
topo affamato pareva mangiarsi fette dei muscoli delle gambe e delle
braccia.
Hani, d’altro canto, insistette
sull’irrobustimento dei legamenti delle caviglie,
obbligandola a saltare da altezze sempre maggiori. Insistette con i
salti in alto e quelli in lungo, le insegnò a lasciarsi
cadere da una sporgenza a quella sottostante.
Ovviamente le lezioni di arrampicata si
svolgevano in luoghi poco frequentati, come vicoli per metà
avvolti dalle ombre o vecchie rovine di abitazioni, il più
possibile lontano da occhi esterni.
All’inizio le era sembrato stupido,
banale fare su e giù sulla stessa parete, ma col passare del
tempo Elena si accorse che, spronata dai lamenti di Hani e dalla voglia
di finire il prima possibile, era diventata capace e agile in solo un
pomeriggio.
La ragazza si abbatté di schiena sui
cuscini, riempiendo i polmoni dell’aria vissuta della Dimora.
A braccia spalancate rimase immobile e con gli occhi chiusi.
–Giuro che è l’ultima volta…-
borbottò.
Hani andò nella stanza accanto,
ridendo. –Non credo proprio, è appena cominciata!-
il ragazzo si sedette al bancone, e il Rafik poggiò sul
tavolo le Cronache della ragazza.
-Dimmi tutto- assentì il vecchio
intingendo la piuma nell’inchiostro.
-Va bene…- cominciò
Hani. -allora, siamo stati a nord del distretto nobiliare,
sui valichi meno controllati. Poi ci siamo spostati ad ovest,
l’ho fatta salire sulle mura della Chiesa Antica…-.
Il Rafik appuntò ogni singola virgola
delle sue attività, ma Elena era con la testa altrove.
Quella mattina non aveva affatto dato il meglio
di sé. La giornata era cominciata storta quando la ragazza
non aveva soddisfatto le richieste del suo mastro, rispondendo
distrattamente alle sue domande. Ripensò a come, e si chiese
più volte, come aveva potuto solo pensare che
Rashy… vabbé, era un maledetto caso disperato, ma
si disse che quelle sue fantasie avrebbero dovuto sloggiare il prima
possibile. Se voleva arrivare a Corrado prima dell’inverno,
non poteva permettersi di rallentare le indagini del suo mentore in
quel modo assurdo ed egoista.
Elena si girò di lato, avvertendo le
prime lamentele dei muscoli.
Ecco a cosa si riferiva Hani dicendo che era
appena cominciata.
La ragazza si rannicchiò ulteriormente
come un gattino in un angolo della strada tra i rifiuti, stringendo un
cuscino tra le braccia.
Quei cuscini avevano lo stesso odore e la simile
morbidezza di quelli delle sue stanze, che a dirla tutta,
già le mancavano. Avvertì un immenso senso di
nostalgia per tutte le mattine passate a fare colazione con le donne di
servizio della fortezza, i pomeriggi trascorsi a passeggiare per
Masyaf, le sere a cenare accanto a Marhim… già,
Marhim.
Elena si tirò su d’un
tratto, trattenendo il cuscino a sé. Ripeté
più volte quel nome nella sua mente, perché
Marhim era forse la presenza che più le mancava al suo
fianco, assieme ai sorrisi di Adha di quando l’aiutava ad
indossare la sua divisa d’assassina.
Rifletté su cosa stesse facendo
ciascuna delle persone che conosceva, distante da lei ora
più che mai. Provò solo ad immaginare Marhim e
suo fratello Halef che correvano per le vie strette di Alhepo con le
guardie alle spalle, e fu un’immagine che le
procurò un male fugace, che sparì nel momento in
cui concentrò i suoi ricordi al bacio di Rhami. Che
bastardo, pensò, quell’essere non si meritava un
centimetro della sua mente, non aveva il diritto di occupare la sua
concentrazione distraendola da ciò che per lei contava
davvero, distraendola da Marhim e da quanto si sentisse dispiaciuta
della sua partenza inaspettata, alla sua fuga.
Sobbalzò. Pensare a Rhami e Marhim
come rivali la riportò alla sera della festicciola che
Tharidl aveva organizzato per lei. Quale peggiore baldoria tra tutte,
si disse. Rise, perché si ricordava chiaramente di aver
buttato giù un intero boccale di birra mentre gli occhi di
Marhim la fissavano stupefatti. Si portò una mano alla
bocca, lasciando che il cuscino tra le sue braccia le scivolasse di
lato.
Il tardo pomeriggio andava colorare le strade di
Acri, e un brontolio cupo parve provenire dal suo stomaco senza
preavviso.
-Elena- la voce del Rafik la chiamò, e
la ragazza si alzò dolorante.
Il vecchio capo sede poggiò sul
bancone il cesto della frutta. –Buon appetito- le disse
l’uomo tornando a scrivere.
Hani era seduto alla scacchiera, mordicchiava una
mela sistemando le pedine nello schema di partenza.
-No, grazie…- mormorò la
ragazza facendo un gesto con la mano.
Il Rafik la guardò accigliato.
–Ne sei sicura? Non ha mangiato nulla, ho sentito il tuo
stomaco fin qui…- le disse premuroso.
Lei scosse la testa. –Posso garantirvi
che non era la fame…- si sedette davanti
all’assassino, passando lo sguardo sulla scacchiera.
Hani tardò alcuni istanti ad
accorgersi di lei.
–Sia giocare?- chiese sollevando gli
occhi verdi.
Elena alzò le spalle.
–Veramente, mio padre non amava molto questo gioco- sorrise.
-Ecco una grande novità!-
sbottò il Rafik improvvisamente, ed Elena si
voltò.
Il vecchio le lanciò
un’occhiata. –Invece io ricordo il
contrario…- borbottò il Rafik.
La ragazza trasalì.
–Tu… tu conoscevi mio padre?- balbettò.
Hani addentò il frutto masticando
tranquillo. Fece tornare il cavallo al suo posto, raggruppando i
bianchi dalla parte opposta della scacchiera.
Il vecchio allungò le labbra in un
sorriso e inclinò la testa d’un lato, scrivendo
assorto. –Sì, sì…- disse
solo.
Elena tornò lentamente dritta di
fronte ad Hani. –Ecco una grande
novità…- ripeté a bassa voce.
-Cominciamo? Vuoi che t’insegni?- fece
Hani col boccone pieno.
Elena, ancora sbigottita, annuì poco
convinta passandosi più volte le mani tra i capelli.
Mentre Hani si apprestava a spiegarle come si
muoveva ciascuna pedina, Elena si cinse lo stomaco con le braccia. Solo
il pensiero che un tempo, tra quelle quattro mura, era passata la sua
intera famiglia con indosso le sue stesse vesti, la faceva tremare.
Sì, reazione assurda, penserebbe qualcuno, ma Elena si
sentiva schiava sempre più delle sue
responsabilità ogni giorno che passava con una cintura di
cuoio legata ai fianchi.
D’istinto, nel bel mezzo delle
spiegazioni di Hani, Elena si alzò e prese a slacciarsi
l’intero equipaggiamento.
Se doveva recuperare le forze a pieno, tanto
valeva non affaticare mente e corpo col peso di quelle cinghie e quelle
armi.
-Stai… bene?- le domandò
Hani, ed Elena avvertì la stessa ansia da parte del Rafik,
che aveva interrotto le sue scritture.
Elena tornò a sedersi, sfiorando con
un dito il cappuccio del pedone. Con un movimento agile e veloce, fece
avanzare la pedina di due caselle, scoprendo la regina.
–Arrenditi ora!- rise la ragazza.
L’assassino riacquistò il
sorriso, ingoiando l’ultima addentata alla mela.
–Lo prendo come un sì-.
Gli scacchi erano un gioco complesso, che come
tutti gli intrattenimenti da tavola, pretendeva una mente allenata alle
regole e ai passaggi più frequenti. Nonostante Kalel fosse
stato sempre un gran giocatore ma non le avesse mai insegnato nulla,
Elena percepiva che parte del talento del padre scorreva nelle sue vene
anche in quella piccola finzione.
Elena spostò il suo cavallo di tre
caselle avanti e una laterale, divorando uno dei pedoni difensivi di
Hani.
-Non avresti dovuto: era una trappola! Guarda, il
tuo alfiere ora è scoperto- l’avvertì
Hani.
Elena lanciò uno sguardo al bordo del
campo da gioco, dove su un riquadro nero il suo alfiere era ben esposto
alla voracità della regina del suo avversario.
-Diamine!- digrignò lei.
Hani soffocò una risata.
–Avanti, devi solo acquistare dimestichezza. Posso contare
sul fatto che eri distratta?- le chiese amichevole.
Elena sorrise beffarda. –Certo- le
guance le si arrossarono.
Hani rimise al suo posto il cavallo della ragazza
e fece tornare in difesa il pedone appena divorato. L’alfiere
di Elena l’aveva scampata bella.
-Perché l’hai fatto?-
domandò sorpresa.
-Eh, ti basti sapere che non mi piace vincere con
chi non ha alcun titolo. Se riesci a battermi, alla partita successiva
non ti sarà concesso alcun bonus!- rise
l’assassino.
Elena aggrottò la fronte.
–Vuol dire…- mormorò incredula.
–che mi stai facendo vincere?!- sbottò.
Hani si strinse nelle spalle.
–Più o meno… sì- disse in
fine.
-Maledetto, non è giusto! Per te,
ovviamente; ma almeno potevi non dirmelo!- Elena non riuscì
a trattenere una risatina acuta.
-Senti, parla per te. Io sono fiero delle mie
doti, per ora, ma chissà… se
t’impegnassi un po’ di più potresti
anche battermi. Sempre e solo “se”- aggiunse il
ragazzo.
Elena la colse come una sfida bella e buona, per
non parlare dell’accento malizioso che Hani dimostrava nelle
sue parole e che mise in pratica nelle mosse successive.
Fortunatamente una buona logica e paterna
preparazione all’improvvisazione la portarono a tenere il
coltello dalla parte del manico, e in una trentina di minuti circa mise
Hani alle strette.
Le fu facile cogliere l’ampio spazio
vuoto che separava il suo cavallo bianco dal re del suo nemico, ed
Elena mosse l’unico suo alfiere restante a chiudere il
sovrano nero nell’angolo della scacchiera.
Hani trasse l’asso dalla manica: la sua
torre comparve come dal nulla e si pappò in pochi istanti i
due pedoni di difesa restanti della ragazza, che era impegnata a
stringere in una morsa mortale il re dell’assassino.
Hani prese fiato. –Scacco matto!- disse
in fine.
Quale delusione: tutto vero.
Il re di pietra candida era accerchiato dalla
regina nera e dalla sua fedele torre scura. Hani aveva vinto, e le
fatiche di lei nel concentrarsi sul suo alfiere e il suo reietto
cavallo erano state più che inutili.
La ragazza si abbatté alla sconfitta,
e con una schicchera fece crollare il suo re sul campo di battaglia.
Hani sorrise divertito, ma Elena poteva notare la
fatica di quella vittoria farsi largo sulla sua fronte: il ragazzo
sudava!
-È stata dura, l’ammetto.
Hai una perspicacia impressionate. Sicura che fosse la prima volta che
giocavi?- si sporse verso di lei, ed Elena prese a risistemare le
pedine nella situazione di partenza.
-Te l’ho detto: sì,
è stata la mia prima volta!- affermò.
Hani annuì, e si apprestò a
ricomporre in modo ordinato le file dei suoi pedoni.
-Vuoi la rivinci…- non fece in tempo a
finire, che qualcuno atterrò pesantemente coi piedi a terra
nella stanza accanto.
Elena scattò in piedi, a seguito anche
Hani e il Rafik si irrigidirono.
Altair comparve nella camera e rimase
sull’ingresso. –Ho interrotto qualcosa?- sorrise
calandosi il cappuccio sulle spalle. Mosse alcuni passi avanti e
afferrò dalla cesta di frutta una mela.
Nel salone calò un silenzio assurdo.
Altair si sedette al bancone. –Non
l’avessi mai chiesto…- borbottò
sfoderando un pugnale da lancio e cominciando a sbucciare la mela con
esso.
Il Rafik si schiarì la gola.
–Hani ha irrobustito la tua allieva abbastanza, non hanno
fatto altro che scalare lo stesso muro tutto il pomeriggio. Sono
distrutti, spero che tu ne sia contento…- fece il vecchio.
Altair la fissò allungo da sotto il
cappuccio, ed Elena si riaccomodò lentamente sullo sgabello
davanti alla scacchiera, sentendosi perennemente sotto una critica
osservazione. Sapeva che Altair poteva numerare la sua massa muscolare
solo con uno sguardo.
-Non nego di essere sorpreso…-
proferì il suo maestro.
Alla ragazza scappò un sorriso.
Altair terminò la frase.
–del fatto che tu non ti sia ancora addormentata-.
Perché la credeva tanto incapace?! Si
domandò Elena sbuffando e guardando a terra.
-Piuttosto- riprese il Rafik.
–Cos’era tutta questa urgenza?- domandò
rivolgendosi all’assassino esperto.
Altair si voltò appena.
–C’era un uomo nei pressi del porto, ci seguiva. Lo
tenevo d’occhio da questa mattina, e mi sono accorto in tempo
che era una maledetta spia …-.
Elena sobbalzò, e Altair
notò il barlume di paura che gli occhi della ragazza avevano
mandato d’un tratto.
-Esatto- confermò il suo maestro.
–Hai presente le spie che seguivano tuo padre, Elena?-.
A quelle parole la ragazza si alzò,
avvicinandosi al bancone. –L’avete ucciso, spero!-
serrò i denti battendo un pugno sul tavolo.
Il suo maestro rimase colpito da quella
dimostrazione di improvviso furore. –Ovvio- rispose comunque
calmo. –Non ci darà alcun fastidio, ma questo non
nega l’eventualità che ce ne siano altri-
affermò cupo.
-I tempi si stringono- commentò il
Rafik sospirando.
-Già…- Hani si strinse
meglio i lacci del guanto sinistro.
-Non solo, ma Corrado ha bloccato
l’accesso al forte di suo padre nel distretto ricco. Nessuno,
mercante, monaco o servo che sia, può entrare lì
dentro e le mura sono controllate da una moltitudine di arcieri che
neppure immaginavo- continuò Altair.
–L’unico modo per entrare nella sua tana sarebbe
abbattere uno per uno tutti i suoi uomini sui bastioni, ma
ciò ci esporrebbe ulteriormente. Da domani io ed Elena
intraprenderemo le indagini come si deve nel tentativo di coglierlo
alla sprovvista magari fuori dalla città stessa. So che
ultimamente Corrado fa parecchi giretti altrove, e non ci lasceremo
sfuggire queste rare e ottime occasioni. Sul serio, i tempi si
stringono…-.
L’assassino sbucciò per
intero la mela, lasciando che la buccia cadesse sulla superficie nella
forma di un unico compatto serpentello rossastro. Poi
cominciò a tagliarne i primi spicchi.
Elena gli sedette affianco. –Maestro-
chiamò.
-Sì?- fece lui senza guardarla.
-Quando- esitò, ma si diede della
stupida. –quando faremo ritorno a Masyaf?-.
Il coltellino quasi gli sfuggì di mano
a quella domanda, e Altair arrestò la sua manodopera
puntando i suoi occhi scuri in quelli di lei.
–C’è qualcuno che ti aspetta
lì?- si beffò.
Elena scosse la testa. –Scusate, era
solo… una domanda- sostenne in un sussurro.
Eppure, si diede lo stesso della stupida. Marhim
era in viaggio per Alhepo. Ad aspettarla a Masyaf non c’era
nessuno.
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Capitolo 27 *** Indagini ***
Indagini
Non
poteva, non riusciva a muoversi. Dolori continui e perenni le mordevano
il corpo, e il suo volte era attraversato da ghigni di alta
sopportazione. Percepiva il bruciore scottante ai muscoli come se li
avessero tranciati con un colpo di spada: il collo, le gambe, le
braccia, gli addominali. Era la personificazione delle pene
dell’Inferno, si disse. Cosa aveva fatto di tanto male?!
Elena
si girò sul lato opposto, trattenendo il fiato.
Il
buio avvolgeva il salone della Dimora, e la ragazza contò i
corpi silenziosi di due presenze.
Hani,
sdraiato per intero sui cuscini, dormiva beato.
La
seconda figura, retta e composta dall’altra parte della
stanza, era appoggiata con la schiena alla parete, e il profilo
perfetto spiccava dall’ombra del cappuccio come irradiata da
un raggio di luna. Era il suo maestro, che si girava tra le dita un
pugnale da lancio. I gomiti poggiati sulle ginocchia, il fodero ancora
allacciato alla vita che gli camminava lungo il fianco. Lo sguardo
assorto nell’oscurità, come a specchiarsi in
ricordi, pensieri, sensazioni…
Elena
si riscosse, stropicciandosi gli occhi con una mano, ma quella singola
mossa le procurò una fitta alla schiena che le
scappò un mugolio.
Altair
si voltò, notandola.
Elena
non seppe decifrare la sua espressione, la notte confondeva molti dei
particolari di lui e della camera. Fu certa del fatto che il suo
mentore aveva sul volto tutt’altro che un sorriso. Serio,
austero come suo solito, Altair sembrava quasi preoccupato delle
condizioni di lei, ed Elena dovette assecondare quel pensiero.
La
ragazza provò a chiudere gli occhi, di nuovo, e nel silenzio
della sera colse appena un sibilo e qualche passo avvicinarsi.
-Stendi
i muscoli…- le disse una voce severa.
Elena
si sentì afferrare per le gambe, mentre Altair le stendeva
le ginocchia contratte sui cuscini. –E non stare
così tesa- aggiunse l’assassino.
La
ragazza sollevò il busto, ma una nuova fitta giunse alla sua
coscienza tormentata.
-Grazie…-
mormorò lei tenendosi tutto dentro. –Ci mancava
solo questa!- sbottò arricciando le labbra.
-Perché
ti ostini…- iniziò lui allungando le braccia
verso di lei. –ad addormentarti con tutta questa roba?- le
chiese slacciandole il triangolo di metallo dal petto.
Elena
si strinse nelle spalle quando l’assassino adagiò
le sue cinghie di cuoio al suo fianco.
Altair
era piegato su di lei e la scrutava in volto. –Meglio?-
chiese spostando lo sguardo dalle gambe alla ragazza e dalla ragazza
alle gambe.
Peccato
che il suo tormento non riguardava solo gli arti inferiori, si disse
Elena annuendo. –Ripeto… grazie- sorrise.
Altair
la guardò allungo, in silenzio, cogliendo
l’improvviso rossore delle guance di Elena.
L’assassino si alzò e sparì nella
stanza accanto.
Elena
riprese fiato, accorgendosi col sorriso che i consigli del suo maestro
colpivano sempre in centro!
Allungò
un’occhiata e notò il suo mentore avvicinarsi al
bancone del Rafik, che si era coricato nel suo stanzino parecchio tempo
prima. Altair si avventurò tra gli scaffali alle spalle del
bancone e trovò quello che cercava, poggiando poi sul tavolo
il cesto della frutta. Vi trasse una banana e tornò da lei.
-Prendi-
le disse chinandosi al suo fianco, ed Elena allungò una mano
tremante, contenendo il dolore di quel piccolo e quotidiano gesto.
–Non può che farti bene- Altair lasciò
la presa sul frutto già sbucciato, che Elena strinse tra le
dita gracili e portò alla bocca.
-Maestro-
chiamò la ragazza dopo poco.
-Mmm?-
lui si voltò a guardarla, sedendole accanto.
-Se
domani…- cominciò la ragazza, ma Altair la
interruppe.
-Non
pensare a domani- proferì. –Le tue condizioni sono
passeggere, ma potrebbero durare una settimana come un giorno soltanto.
Più importante, sappi che non ne hai alcuna colpa. Tutto
qua- la sua voce, così soave e premurosa quasi la commosse.
Addentò
la banana di mala voglia. Potassio o no, non aveva per niente fame, e
il suo stomaco era su di giri quanto il suo apparato locomotore.
Quand’ebbe
finito di mangiare, attesero in silenzio diversi istanti. Sarebbe
servito un miracolo per accelerare il corso della sua guarigione da
troppo sforzo, si disse Elena perdendo le speranze nella cura naturale.
Provò
a sollevarsi, per sistemarsi al meglio con la schiena sui cuscini. Il
suo assistente e maestro l’aiutò ed Elena si
trovò in Paradiso dopo aver raddrizzato al meglio ogni parte
del suo corpo. Sorrise, socchiudendo gli occhi, assaporando
l’improvviso sollievo che aveva un sapore dolciastro
e…. familiare.
Accanto
a lei, come una piccola stufa, avvertiva il calore dei muscoli sempre
pronti del suo maestro. Allungò ulteriormente il sorriso,
appoggiando la guancia sulla spalla dell’assassino.
Altair
non se ne curò, lanciandole solo una svista ogni tanto,
controllando che la sua allieva riuscisse a prendere sonno anche con la
poca dose di sonnifero che portava con sé di scorta.
***
Kalel
le sorrise, armonioso. –Come va?-.
Elena
si tirò su, prendendo una boccata d’aria.
–Male!- rise. –Ma cos’era?!-
balbettò. –Sei impazzito, vuoi ammazzarmi?-
aggiunse la ragazza.
Nel
giardino della casa brillava il sole, che rischiarava le piante e i
tappeti che ornavano la terrazza. C’era del the ancora
fumante sul tavolo vicino ai cuscini, e il cinguettare degli uccelli
diffondeva una melodia dolce.
Kalel
poggiò la spada sul tavolo, sedendosi sui cuscini.
–Non impari mai…- borbottò allegro.
Elena
lo imitò, sistemandosi di fronte al suo vecchio.
–Padre- chiamò portandosi i capelli su una spalla.
-Sì?-
fece lui stringendo la tazza tra le mani rigate e stanche, quasi
tremanti.
Elena
tacque alcuni istanti, ripensando alla sua sciocca domanda. Il suo
aspetto era sempre sereno, chiaro e sorridente. Il suo viso
rispecchiava la sua anima limpida, e i suoi movimenti ancora impacciati
come quelli di una bambina portavano suo padre ad assumere
atteggiamenti comprensivi e troppo poco autoritari.
-Mia
madre…- cominciò la ragazza.
–Lei… mi hai detto che è morta, ma
io… ecco… voglio sapere di voi… prima
di me… prima di tutto questo e di quello che
verrà! Padre, non mi parli mai di lei, ed ora, che sono
riuscita a contrastarti in combattimento e ti vedo così
allegro, vorrei… parlare, solo parlare…-.
Kalel
si raddrizzò, poggiando la tazza sul tavolo e fissando la
figlia con occhi seri. Il suo tormento si affievolì quando
sulle guance della ragazza comparve un leggero rossore.
-Sai…-
fece lui. –Non hai idea di quanto le somigli. Quando ci
conoscemmo… lei faceva tante di quelle domande: chiedeva
perché io l’amassi tanto, o come avrei dimostrato
di esserle sempre fedele. Sai cosa le rispondevo?- domandò
scherzoso.
-No,
cosa?- Elena si allungò verso di lui.
Il
canto di due uccellini interruppe per qualche istante la conversazione,
ed Elena ammirò il volto di suo padre farsi sempre
più sereno.
-Io
le ho risposto che non c’era modo di contare sulle dita di
una mano quanto l’amassi, ma che per dimostrare che le sarei
stato sempre fedele, be’…- Kalel rise.
–Le dissi solo: o il matrimonio o un figlio!-.
Elena
si portò una mano alla bocca, ridendo. –E suppongo
che lei abbia voluto entrambi…- mormorò.
Kalel
annuì. –Le dissi che non ci sarebbe stato modo di
portarci via né l’uno né
l’altro, ma…- si fermò, riprendendo tra
le dita la tazza e sorseggiando con calma. –Elena,
l’amore è il sentimento più complesso e
peggio composto… la paura, l’odio sono passeggeri,
ma l’amore… oh! Quello è terribile, la
pecora nera del cerchio dell’uomo-.
Lei
si mise in ginocchio sul cuscino. –Perché?-.
Kalel
fece un gesto di stizza. –perché? Te lo dico io
perché: l’amore distrae, assopisce la mente e i
muscoli. Mi sono accorto che stai diventando pigra…
sarà mica che…- sogghignò malizioso.
Elena
lo colpì alla spalla con una pacca. –Padre!- rise.
-Beccata!-
sbottò lui sollevando l’indice della mano e
puntandola. –Ah! Lo sapevo!-.
Elena
scosse la testa. –Ti sbagli…- brontolò
lei abbassando gli occhi a terra. D’un tratto, colse suo
padre emettere un sospiro inaspettato, e con tono rassegnato Kalel
disse: -No, Elena-.
La
ragazza tornò a squadrarlo confusa. –Cosa?-.
-Non
devi farlo, Elena. Lasciarti condizionare è quello che
più non devi assolutamente fare o lasciare che accada. Sei
una ragazza bellissima, anzi, una donna bellissima e ti sarà
difficile scostarti da quelli che sono i tuoi doveri. Adesso, il tuo
pensiero- Kalel le sfiorò la fronte con le dita.
–E il tuo corpo- e scivolò fino al petto.
–Devono rimanere limpidi, inviolabili… ascolta il
mio consiglio-.
-Perché,
padre, tu sì… ed io no?- domandò lei
mentre gli occhi le si arrossavano.
Kalel
la prese per le spalle e la strinse a sé, abbracciandola con
forza. –Ascoltami, ti prego. Non farlo, non farlo! Non
pensare che lo stia facendo solo perché voglio proteggerti,
perché non è così! Sappiamo entrambi
che c’è qualcosa di più grande
sotto… infondo al tuo cuore, cerca l’onore che ti
resta e pensa a chi come te si farà queste domande e non
saprà darvi risposta perché nessuno glielo ha
insegnato. Ed è bene così. Lascia che le cose
scorrano, Elena, ma tieni tu le redini e guida questo cavallo il
più lontano possibile. Non ti chiedo di fuggire, tanto meno
di andare incontro a tutto ciò, ti prego solo di…
di moderare le tue scelte e non esitare di fronte al cammino
più saggio e giusto!-.
Elena
non capiva. La sua mente si perdeva in un vortice di immagini senza una
cronologia precisa. Dal volto di suo padre ai suoi sogni, dai suoi
incubi alle strade affollate di Acri. Dal volto di Corrado a quello dei
suoi uomini. Dalla spada di sua padre alla sua mano destra, e al o dito
anulare di quella sinistra.
***
-Elena…
Elena…-.
La
ragazza mormorò parole mute girandosi più volte
da parte a parte.
–Elena!-
gridò l’assassino.
Elena
si alzò di colpo. –Padre!- rispose ad alta voce.
Hani
la guardava stordito col volto celato sotto il cappuccio. Il ragazzo
stringeva nella mano una mela, ed Elena gli si era avvinghiata addosso
stringendolo con vigore.
-Elena,
scusa, ma… potresti… ecco, brava…-
Hani trattenne la risata.
Elena
gli si allontanò con lentezza, sentendo su di lei ancora il
peso del sonno. –Scusa- mormorò.
Il
ragazzo si tirò su. –Ma che diavolo, faccio una
buona azione e mi ritrovo con una spalla slogata, ma guarda
qua…- si lamentò l’assassino
massaggiandosi la radice del collo. –Ehi, allora i muscoli ce
li hai!- rise.
Elena
arrossì ulteriormente. –Può
darsi…-.
-Avanti,
come ti senti? Riesci a camminare?- proferì lui arrestando
d’un tratto la risata.
Elena
tentò di sollevarsi e, nonostante qualche dolore permanente
alle braccia (arto meno allenato nell’arco di 17 anni)
riuscì a saltellare sul posto un paio di volte.
-Grande-
l’ammirò Hani. –Prendi questa, fai in
fretta. Altair ti aspetta fuori- le disse indicando il tetto della
Dimora, porgendole la mela e allontanandosi nella stanza del Rafik.
Il
vecchio capo sede sedeva agli scacchi e la partita tra lui e
l’assassino riprese come era stata interrotta.
-Ehi,
hai spostato il cavallo, brutto vecchio!- sentì Hani gridare.
Il
Rafik si strinse nelle spalle. –Ti sbagli, l’occhio
novizio inganna- assentì.
Elena
addentò la mela col sorriso.
-No,
no! Ero sicuro che fosse lì! Rimettilo apposto! Avanti!-
sbottò Hani infastidito.
-Sta’
zitto e gioca- il Rafik lo colpì alla testa con una pacca
amichevole.
-Questa
te la passo…- borbottò Hani.
Elena,
con la mela incastrata tra i denti, afferrò il suo
equipaggiamento da terra e si legò il fodero alla vita.
Cinse con cura le cinghie della lama corta e si assicurò di
avere tutti i pugnali pronti all’uso.
Borseggio
Il
cielo grigio di Acri si stagliava all’infinito, promettendo
pioggia nel pomeriggio se non prima. Le voci cittadine la cullarono
assieme al vento che le sollevava gli angoli della veste candida. In
lei scorreva di nuovo la voglia di muoversi, qualcosa aveva fatto
miracoli in quelle ultime sei ore, perché la ragazza
calcolò fossero le undici passate.
Elena
si voltò giusto in tempo per cogliere la figura felina del
suo maestro che si avvicinava saltando da un tetto ad un altro. Altair
si arrestò silenzioso al suo fianco, ed Elena si
sgranchì le dita della mano.
-Come
ti senti?- le chiese da sotto il cappuccio.
Elena
lanciò un’occhiata alla fontana della Dimora.
–Be’, non è stato facile- rise.
Altair
sorrise. –Ne sei sicura? Oggi ho molta roba in serbo per te.
Ti senti all’altezza?-.
Elena
annuì, convinta.
I
due assassini si allontanarono nella direzione contraria al vento,
dirigendosi ad ovest verso il distretto ricco.
Elena
correva, certo, ma la parte psicologica di lei tornò a quel
sogno… si disse che era stato frutto della sua fantasia. Non
aveva ricordi di una certa conversazione con suo padre, anzi: non aveva
proprio ricordi così affettivi con suo padre. Era abituata a
guardarsi da Kalel solo nei momenti in cui le insegnava a combattere.
Un sogno assurdo, in qualche strano modo riconducibile ai suoi tempi
attuali, ma… ogni sogno aveva una propria logica, un
collegamento ai sentimenti e alle emozioni, alle situazioni e alle
conoscenze di chi dormiva. Così Elena si trovò
costretta a sentirsi mancare ancora Marhim accanto.
Altair
rallentò la corsa, ed Elena gli si fermò vicino.
Il
suo maestro guardava in basso, si era esposto sulla strada e puntava lo
sguardo da aquila nel bel mezzo del cortile, dove due uomini stavano
chiacchierando appartati e muti sotto il portico di una casa.
–Eccoli…-.
-Chi,
maestro?- domandò lei avvicinandosi.
-È
tutta la mattina che li seguo; tutti tuoi-.
Elena
rimase dubbiosa. Erano due uomini ben vestiti, uno dei quali indossava
una lunga casacca nera, un monaco forse. Lo stesso uomo di chiesa aveva
una borsa a tracolla che parve pesante. L’altro era un
paesano, un commerciante esile.
-Non
capisco, cosa dovrei fare? Ucciderli?- domandò spaesata
voltandosi a guardarlo.
Altair
sorrise curiosamente malizioso, tenendo le mani dietro la schiena.
-Elena, rispondimi, come mai non hai tutti i tuoi pugnali da lancio?-.
La
ragazza sobbalzò. Tastò i cinque astucci della
sua cintura e riconobbe di averli tutti. Quando però
portò una mano alla spalla destra si accorse che uno degli
astucci era vuoto. –Ma che cosa…?-
sbottò incredula.
Altair
la guardò sostenendo il suo sorriso.
-Non
capisco!- si lamentò piagnucolando. –Mi dispiace,
ma ero certa di… di averli tutti! Ho controllato bene prima
di uscire, ve lo giuro!- si strinse nelle spalle, terribilmente in
colpa.
In
quel momento si sentì come Hani durante la partita contro il
Rafik. Imbrogliata dalla sua stessa scarsa e disattenta
memoria… sbuffò.
Altair
stette in silenzio, e mostrò le mani. Aprendo il palmo di
quella destra mostrò il pugnale argentato che Elena andava
cercare con tanta paura.
Gli
occhi di lei luccicarono. Come cavolo aveva fatto?
-Come
avete fatto?- domandò afferrando l’arma dal pugno
del suo maestro e girandosela tra le dita. –Come? Non mi
sono… accorta di nulla!- rise dannatamente sorpresa.
L’assassino
si schiarì la voce. –Era proprio quello che volevo
sentirti dire-.
-E
con questo che cosa intendete?- domandò lei rimettendo al
suo posto il coltellino.
Rashy
li osservava dall’alto, confusa tra le nuvole come un nero
puntino indistinto, ma il suo grido giunse chiaro, ben distinto e acuto.
Altair
guardò di nuovo i due uomini che parlavano. –Non
abbiamo molto tempo, ma credo che tu sappia cosa sia un
borseggio…- le disse.
Il
monaco con la sacca si allontanò dall’altro e
intraprese la strada principale che collegava il distretto ricco a
quello medio.
Elena
annuì. –Devo… borseggiare
quell’uomo?- chiese, certa che il suo maestro avrebbe
detto…
-Sì-.
-Ottimo,
peccato che non abbia idea di come si faccia- rise sarcastica la
ragazza.
-Il
borseggio… lo spionaggio…
l’interrogatorio…l’assassinio. Sono
arti, non azioni, Elena…- Altair allungò una mano
verso di lei e fermò le dita a mezzo millimetro dal suo naso.
Elena
fu sul punto di indietreggiare, ma il suo maestro la bloccò
afferrandola per il braccio.
Altair
quasi le sfiorava con le dita la punta del naso, ma Elena non avvertiva
nessun genere di contatto.
-Secondo
te…- formulò l’assassino in un
sussurro. –Ti sto toccando… o no?- chiese.
Elena
strinse i denti, osservando come la mano del suo maestro restava ferma
a mezz’aria immobile, serrata. La vista sulle sue dita le
divenne doppia, e le s’incrociarono gli occhi. –No-
balbettò, per niente sicura della sua risposta, e
distogliendo lo sguardo.
-Errato-
Altair abbassò la mano. –Il tocco c’era,
io l’ho sentito, ma tu no. Devi concentrarti sulla pelle
delle dita e non su quella della superficie che vai toccare, sfiorare o
aprire. Il borseggio è un’arte cui non serve la
violenza, di alcun genere. È… agilità
dei sensi, scaltrezza nel muovere le parti più piccole del
nostro corpo. Il borseggio è un furto, un rapido tocco, un
mordi e fuggi. È quello che voglio che tu faccia alla borsa
di quell’uomo-.
-Cosa…
cosa debbo estrarre dalla sua sacca?- domandò.
-Egli
possiede in quella borsa il diario della chiesa del distretto locale.
Ho saputo che Corrado assisterà ad una manifestazione
cattolica nei dintorni. Ma ora va’, il tuo obbiettivo si
allontana…-.
Elena,
ancora senza parole, si calò sulla strada aggrappandosi ad
una trave di legno e lasciandosi cadere a terra con leggerezza.
Il
monaco svoltò in un vicolo poco frequentato: ecco
l’occasione, si disse.
Rubare…
non credeva che sarebbe giunta a tanto. Non aveva mai rubato, forse da
bambina una fetta di pane dal fornaio del distretto, ma…
quali stupidi pensieri, si disse. Quello non era furto, era…
prendere in prestito. Aveva in mente già un piano per
restituire l’oggetto in questione senza compromettere
né la missione né la confraternita o la Dimora.
Elena
si appiattì alla parete e raggiunse più scattante
il suo obbiettivo.
Il
monaco si voltò, guardandosi le spalle, ma la ragazza
saltò dietro un carro di fieno e la folla la nascose mentre
riprendeva il cammino per rimediare alla distanza.
Allungò
una mano, la cinghia della borsa scattò via con
facilità e si trovò facilitata ad infilarvi la
mano. Era un diario spesso racchiuso in una pezza dura ed Elena lo
tirò fuori con grazia.
Una
guardia alzò gli occhi e la notò
nell’istante in cui Elena stava richiudendo la borsa.
Il
monaco si voltò e fu il caos.
-Al
ladro!- gridò il monaco.
La
guardia si fece spazio tra la folla. –Macché!
È un assassino!- ruggì.
Elena
fece alcuni passi indietro, ma il cavaliere teutonico ci mise poco a
buttare giù un passante e ad afferrarla per la veste.
Il
monaco si fece da parte quando il soldato la scagliò contro
la parete con facilità.
-Ah
ah ah!- rise il cavaliere sfoderando la spada. –Che cosa
abbiamo qui?- un ghigno perfido comparve tra la barba rasata male.
Elena
era con le spalle al muro, il diario della Chiesa stretto al petto. La
ragazza tentò di fuggire trascinandosi di lato, ma il
soldato la colpì alle gambe con un calcio. Lei si
rovesciò nuovamente al suolo, attutendo il colpo con una
capriola.
-Tu
non scappi!- ringhiò l’uomo e altri cavalieri si
aggiunsero a lui sfoderando le lame.
Elena
ascoltò il suo cuore perdere colpi, ma la sua mano andava ad
allungarsi verso l’elsa della spada corta. Estrasse un
pugnale e, da seduta, lo scagliò addosso al primo cavaliere.
Questo
si accasciò a terra in un urletto di dolore e lei,
approfittando della distrazione degli altri tre, si alzò e
scattò tra la calca.
Elena
sobbalzò, arrestando la corsa.
Alla
fine della strada erano appostati due soldati che tenevano le spade
alte pronti a colpirla.
La
ragazza si voltò, e si trovò circondata fino ai
denti dagli uomini di Acri.
Trasse
la spada dal fodero, scagliò il diario di Chiesta nel cesto
di fieno, ed ingaggiò il duello.
Le
vennero addosso in due, si chinò e schivò il
colpo del primo riuscendo addirittura a disarmare il secondo. La lama
di lei passò da parte a parte del petto della guardia, la
quale aprì la bocca senza pronunciare una sillaba.
Elena
fece attenzione a non macchiarsi la veste di sangue, perché
sarebbe stato facile riconoscerla. Schivò di nuovo e con
grande sorpresa dei suoi avversari, per il suo palmo passarono altri
due coltellini da lancio che colpirono alla fronte e alla gamba i due
crociati.
Elena
si lanciò contro quest’ultimo che era ancora in
grado di colpirla e gli aprì uno squarcio profondo sulla
divisa. L’uomo cadde.
Rimanevano
due sentinelle sul suo cammino, le quali se la filarono mollando le ami
e correndo a gambe levate il più lontano possibile.
La
folla era attraversata dal panico ed Elena approfittò del
caos per recuperare dal fieno il diario e dileguarsi sul detto della
casa vicina.
-Eccolo…-
Elena gli allungò il testo e Altair lo afferrò
srotolandolo dall’involucro.
Elena
si sedette al suo fianco, perché Altair era con le gambe a
penzoloni, ma ben composto, seduto su un muretto alto che dava sul
porto.
I
gabbiani si gettavano tra le onde e si appollaiavano sugli alberi delle
navi, diffondendo nel vento i loro versi melodiosi.
Altair
ne sfogliò le pagine velocemente, saltando da un capitolo ad
un altro del testo. E per diversi minuti proseguì in
silenzio.
La
ragazza si prese quel tempo per fare mente locale…
L’aveva
vista brutta! Si disse, ma non volle dare a vedere quanto il cuore le
battesse ancora senza un ritmo costante. Si chiese se Altair avesse o
no assistito al suo borseggio finito in pappa e se avrebbe espresso
giudizi a riguardo una volta trovata l’informazione che
più gli interessava.
Elena
lo scrutò allungo, percorrendo con lo sguardo ancora una
volta la sua figura così impeccabile di assassino, ma prima
ancora di uomo… ecco… affascinante.
Altair
si schiarì la voce continuando a leggere e la ragazza
arrossì. Doveva essersene accorto.
L’assassino
trovò quello che cercava nelle ultime pagine. Era una
cerimonia di celebrazione per la nascitura Maria, prima genita di
Corrado ed Isabella, forse il suo compleanno. Oltre ad una data precisa
cui si sarebbe svolta la cerimonia, il diario non dava altre
informazioni.
-Tra
un mese circa…- sentenziò Altair richiudendo lo
scritto.
-Cosa?-.
Altair
poggiò il libro di lato e si strinse le cinghie dello
stivale. –Corrado ha una figlia di nome Maria che
festeggerà il suo compleanno qui ad Acri assieme alla sua
famiglia. Rimane da stabilire ancora molto altro, come il luogo in cui
si terrà. Anche se questi testi parlano della cerimonia,
negli stessi non viene mostrata alcuna altra informazione. Le nostre
ricerche proseguono. Abbiamo fino ad un mese per scoprire quanto
più possiamo- disse serio.
Elena
guardò l’orizzonte, oltre il confine tra oceano e
cielo. –E adesso?- domandò.
Altair
fece un gran sospiro. –Avanti, come ho detto, le ricerche
proseguono. Non possiamo prendercela comoda affatto. Meglio impiegare
questo tempo che sicuramente ci avanzerà per approfondire al
meglio ciascuna indagine-.
Elena
si voltò di colpo. –State dicendo che…
mi aspetta un nuovo borseggio?!- chiese sbigottita.
Altair
alzò un sopracciglio. –Perché tanta
meraviglia? È successo qualcosa che…-.
Elena
scosse la testa. –No, no… anzi, ne sarò
entusiasta-.
-Comunque-
riprese lui. –Non mi riferivo ad un nuovo borseggio. Per
queste mura circolano tanti di quelli informatori… potrebbe
esserci anche quale reietto di Corrado pronto a vuotare il sacco alla
vista di un bel pugno di ferro. Forza e coraggio, Elena di Acri-.
Altair
si alzò, restando in perfetto equilibrio sul muretto. Le
porse una mano, ed Elena si aggrappò a lui che
l’aiutò a tirarsi su senza cadere.
Spionaggio
-Dobbiamo
salire- Altair alzò lo sguardo al cielo.
-Che
intendete?- domandò Elena.
Rashy
levò il suo grido nell’aria fredda e Altair le
volse una fugace occhiata. –Seguimi- le disse e prese ad
arrampicarsi su una piccola torre di pietra.
Era
un bastione isolato nel distretto povero della città.
C’era una piazza con una rozza fontana al centro sulla quale
si rovesciava un marasma di gente. Si trovavano nei pressi
dell’ingresso principale della cittadella, controllato dalle
guardie Ospitaliere.
Altair
si aggrappò alle grate di una finestra e seguì il
cornicione della torre fin quando non fu nei pressi di una piccola e
stretta impalcatura di legno. La raggiunse con un balzo e si
piegò sulle ginocchia per restarvi in equilibrio.
Le
porse una mano ed Elena si lasciò aiutare a salire
lì.
Altair
si sedette con le gambe a penzoloni nel vuoto, ed Elena fece
altrettanto. Erano schiena a schiena.
-Non
sei certo obbligata ad imitarmi. Quando si tratta di indagare,
è nel mio stile raggiungere un punto abbastanza alto dal
quale posso osservare e controllare la zona. Per esempio, ti eri mai
accorta che là giù… oltre quella
casupola, c’è una galleria che porta dritta alle
porte del molo?- le chiese.
Elena
se ne stupì. –No, mai- disse.
Il
vento là su soffiava più forte, sbattendo con
violenza sul viso e sulla veste che ondeggiava clamorosamente.
-Non
solo…- continuò lui.
–guarda… guarda qui tizi là.
Sicuramente stanno parlando di qualcosa d’interessante. Che
ne dici di dare un’occhiata?- si voltò e i loro
visi furono l’uno poco distanti dall’altro per
mancanza di spazio calpestabile sulla trave.
Elena
annuì, balbettando un tenue: -sì, va bene-.
-Vieni,
ti aiuto a scendere- Altair intraprese l’arrampicata di
ritorno verso la terra, ma ad Elena piaceva l’altezza. La
brezza tra i capelli e la vista libera che poteva scorrere fino
all’infinito.
-Muoviti!-
la chiamò Altair, che era aggrappato alla parete della torre
e aveva un braccio teso verso di lei.
Elena
si appoggiò a lui, che stringendola saldamente, la
calò verso il tetto della casa e, con un saltello, Elena
toccò terra.
Altair
le atterrò di fianco senza un rumore in più che
non fosse quello del fodero che sbatteva alle cinghie della cintura.
–Tutto bene?-.
La
ragazza annuì, di nuovo, e i due scesero per una fragile
scaletta in legno giungendo sulla strada trasandata del distretto
povero.
Si
avvicinarono a quei due tipi loschi stando nascosti dietro la fontana.
-Siediti
su quella panchina e tendi le orecchie- Altair le indicò la
panca sulla quale erano sedute due donne ed Elena obbedì.
Il
suo maestro si perse nella folla, e lei fu sconfortata da quella
perdita imminente della sua sicurezza, la sua salvezza.
Nonostante
la paura di non riuscire al meglio come nell’incarico
precedente, Elena si adagiò lentamente sulla panchina,
stringendosi nelle spalle.
-No,
ma che vai dicendo!- sbottò uno dei due uomini.
-Ti
dico che è vero… l’altra notte
l’ho vista uscire dal suo forte scortata da quattro dei
Teutonici! Incredibile, lo so, ma è
così…- rispose l’altro.
Il
primo portò una mano all’elsa della spada,
minacciandolo con lo sguardo. –Se lo racconti a qualcuno ti
ammazzo-.
L’altro
parve sorpreso. –Tu… tu lo sapevi?-
sbottò.
Erano
due soldati. Un cavaliere della casata del Monferrato e un Ospitaliere.
Nell’anonimato della panca, Elena colse la loro intera
conversazione dal principio.
-Certo
che lo so, e ti dico che il mio Signore non ha
un’amante… ella è…-.
-Stai
solo cercando un appellativo diverso! Che ne dici di
prosti…- non completò che il cavaliere di Corrado
lo colpì al cavallo con un calcio.
-Razza
di!- piagnucolò l’Ospitaliere chinandosi.
-Piantala,
ti ho detto. No, non è alcuna forma di ciò che
pensi. Ella è una spia proveniente dalla setta degli
assassini. Saputo nulla?-.
Quello
scosse la testa stringendo le labbra dal dolore.
L’altro
si guardò attorno. –Strano, le voci girano poco,
allora. Non mi è ben chiaro il suo nome, ma la ragazza fa
visita spesso a Corrado per riferirgli di tutte le attività
di Mastro Tharidl, il capo di quei bastardi. Al rogo, tutti
quanti…- digrignò il cavaliere.
-Ben
detto- fece l’altro tirandosi su. –Uno di loro
uccise il mio signore, qualche tempo fa. Ti ricordi di Garniero, no?
Schiavista, anche lui…- borbottò.
-Sì,
mi ricordo. È lo stesso assassino che uccise Gulielmo, non
lo sapevi?-.
L’altro
annuì.
-Bene.
Ti stavo dicendo: l’altra sera, questa donna ha portato qui
dei testi, io li ho visti! Avresti dovuto esserci. Corrado era furioso.
Sembravano delle cronache su come l’assassino di suo padre
svolgeva le indagini su Gulielmo. Ci mancava poco e il Re si metteva a
piangere- sbottò.
-Interessante,
e credi che questo possa giovare a Corrado per trovare i due assassini
che gli stanno dietro?-.
-Ovviamente.
Sapere come striscia un assassino è stato molto utile al mio
signore. Passando quelle cronache ad uno dei suoi infiltrati a
Gerusalemme, egli è riuscito ad ammazzarne uno. Ho saputo il
suo nome quando quella donna è venuta qui. Si chiama Asaf.
Un pezzo grosso-.
-Grandioso.
Ma dimmi, come se la vede il tuo Signore con la piccola Maria?-
domandò sorridendo.
-Maledetto
pedofilo!- l’altro gli batté un colpo sulla spalla.
-Vogliamo
mettere? Ti ho visto l’altra sera al porto. Bordello
interessante?-.
Il
cavaliere crociato sbuffò. –Per niente. Il
prossimo mese ci sarà il compleanno della piccola Maria.
Sono tra i primi che Corrado chiamerà a sorvegliarla, la
piccolina-.
-Quanto
siamo modesti!- rise l’Ospitaliere.
-Scherzi
a parte, fratello, devo assicurarmi che quei bastardi non ci siano-.
-Parli
degli assassini?-.
Lui
annuì. –Bestie spudorate. Se osano infiltrarsi a
quel compleanno li ammazzo io tutti e due!-.
-Calma-
l’altro gli fece cenno di abbassare la voce.
–Dimmi, potrò assistere?-.
-Hmm.
Ancora non si sa dove esattamente si svolgerà, mi spiace. Ma
appena saprò qualcosa, ti farò sapere-.
-Ehi,
amico, è tutto apposto. Piuttosto, posso portarmi qualche
bellezza?- rise l’Ospitaliere.
Quello
scosse la testa. –Scordatelo, festa privata. Giusto i monaci
della chiesa, ma nessuno più. A te posso rimediare una
divisa come la mia, ma non puoi trascinarti dietro le tue puttane.
Però… magari…-.
L’altro
alzò le spalle. –Va bene, ho capito… Mi
sta bene. Ora devo tornare in servizio o mi scuoiano vivo-.
I
due si salutarono e sparirono imboccando strade differenti; la ragazza
li perse di vista.
-Alla
cerimonia potranno parteciparvi, come esterni, solo i monaci di Chiesa-
disse tutto d’un fiato.
Altair
rallentò il passo, affiancasi alla ragazza. –ne
sei certa?- domandò.
Lei
annuì. –Sì, maestro. Ma…
ecco… c’è un’altra cosa che
credo nessuno sappia-.
La
giornata giungeva al termine. Il cielo andava incupirsi
all’orizzonte mentre il sole spariva oltre la coltre di
nuvole ad ovest, proiettando ombre sempre più immense.
Camminavano
l’uno accanto all’altra in uno dei mercati vicino
al centro del distretto ricco, avvolti dalla calca che si fermava alle
bancarelle.
-Sarebbe?-
domandò interessato.
Elena
esitò, ma si maledisse di tanto timore. –Corrado,
attraverso la spia infiltrata a Masyaf, è entrato in
possesso delle vostre Cronache di quando uccideste suo padre. Egli si
è servito di quelli scritti per ammazzare Asaf- le tremavano
le parole.
Altair
si arrestò d’un tratto, fissandola sconvolto.
–è tutto? Non c’era altro che
riguardasse la spia?- chiese nervoso.
Lei
scosse la testa.
-Bene…-
mormorò abbassando lo sguardo.
Rimase
in silenzio mentre si dirigevano alla Dimora. Avrebbero ripreso le
indagini la mattina seguente con la buona luce.
Interrogatorio
(qualche giorno dopo)
Elena
aprì gli occhi di colpo, sentendo una mano poggiarsi sulla
sua spalla.
-Andiamo-
disse il suo maestro da sotto il cappuccio.
Elena
si appropriò dell’equipaggiamento in fretta, ma
ancora mezza assopita. Fece colazione con una succulenta banana e
lasciarono la Dimora di buon mattino.
Altair
la condusse nel distretto ricco, nei pressi dei cortili della Grande
Cattedrale.
-Lo
vedi quell’uomo?- le domandò, ed Elena
seguì il suo sguardo attraverso la gente fin quando non
incontrò una sottospecie di canta storie che gridava a gran
voce.
-Corrado
è colui che ci porta al futuro! Guardatevi da coloro che gli
sono contro, poiché egli promette ad Acri la ricchezza e la
stessa gloria di Gerusalemme! Sposato con Isabella, Regina, Corrado ci
trascina verso un periodo di pace, nonostante siamo tutti immersi in
questa guerra maledetta da Dio! Corrado ci guida versi la salvezza!
Maria, sua prima genita, succederà ad Isabella e
guiderà la dinastia dei Monferrato verso la gloria! E con
loro, la gente di Acri sarà ricordata nella
storia!…-.
-Ebbene?-
fece lei confusa.
Altair
alzò un angolo della bocca. –Mi pare di averti
accennato ad un certo pugno di ferro. Devi farlo parlare, Elena, sono
certo che saprà darci qualche informazione interessante
sulla cerimonia-.
Elena
sobbalzò. –Io… come?-.
-Pugno…-
sorrise lui. –di ferro- aggiunse attendendo una sua reazione.
-Io
non so fare a pugni-.
-Allora
trova un altro modo - sbottò autoritario. –non
dovrei essere io a darti da mangiare. Ti chiedo di estorcergli
informazioni, come non m’interessa purché resti
anonima. Piuttosto, ricordati che devi ucciderlo. Ti aspetto a nord-
Altair si allentò tra la folla, lasciandola sola.
Elena,
titubante, mosse i primi passi verso il canta storie e
ascoltò la sua pappardella per un’ora quasi. Si
disse che sarebbe stato bene trovare un luogo appartato
dove… agire.
Quando
le sue narrazioni ebbero fine e l’uomo si trovò
sul punto di perdere la voce, Elena lo pedinò in un vicolo a
confine col distretto povero.
La
ragazza non sapeva come agire, ma l’obbiettivo si allontanava
sempre più in fretta, e lei lo seguiva senza battere ciglio.
Elena
prese una buona rincorsa e sfoderò la lama nascosta.
Gli
saltò addosso, sbattendolo a terra senza pietà.
Lo girò con violenza mentre l’uomo sbraitava
spaventato, e gli puntò la lama alla gola.
-No!
Fermo! Fermo!- gridava. –Cos’è che
vuoi?! Soldi? Ecco, prendi! È tutto quello che ho!- la mano
del ragazzo corse alla cintura che portava, ma Elena gli
bloccò per bene tutti gli arti.
-Quando
e dove sarà il compleanno di Maria!- sussurrò
alitandogli addosso.
Lui
parve sperduto e sbigottito. –Ma sei una donna!-
sbottò quasi schifato.
La
ragazza allentò la presa, e lui ne approfittò per
capovolgere la situazione.
Elena
si trovò in breve tempo sotto di lui, che quasi
riuscì a sfilarle di mano la lama corta. –Uh uh!
Guarda come siamo messi, ma chissà quale bel faccino si cela
qui…- allungò una mano a toglierle il cappuccio.
La
ragazza lo colpì al cavallo con una ginocchiata, e
l’uomo si piegò da dolore cadendo
all’indietro.
Elena
si alzò in fretta e si apprestò a sbatterlo al
muro, minacciandolo nuovamente. –Dimmi tutto quello che sai!-.
-Sabato!
Tra tre settimane! Il cortile della Grande Cattedrale o lì
nei paraggi! Non so altro su quello che mi chiedi!-
piagnucolò.
-La
spia!- le passò per la mente. Già che
c’era. –Dimmi chi è! Il suo nome!-
insistette la ragazza, tenendolo stretto contro la parete.
-Spia?-
l’uomo sudava freddo.
Elena
lo afferrò per i capelli e lo sbatté alla parete
opposta. –Dimmelo! Chi è?!- gli strillò
premendo la lama sul collo.
-Non
lo so! Ti prego, farò tutto quello che vuoi! Sarò
io la vostra spia! Ti prego!-.
La
ragazza tese le orecchie e ascoltò un vociare confuso.
-Cos’è
stato?- chiese una prima voce.
-Non
so, andiamo a controllare!- disse l’altra guardia.
-Ti
prego!- ricominciò l’uomo. –Ho un
figl…-
Elena
fu inflessibile, e la lama corta penetrò nella schiena
dell’uomo, che si accasciò a terra.
I
soldati comparvero sullo sbocco della stradina ed Elena
scattò ad arrampicarsi sul muro. Raggiunse il tetto della
casa e saltò da parte a parte agilmente.
Gli
arcieri le venivano dietro gridando, ma Elena trovò un
giardino pensile dove nascondersi.
Si
lanciò attraverso le tende colorate e si appiattì
a terra.
-Dov’è
andato?!- sbottò una guardia fermandosi accanto al giardino.
-Non
lo so, continuiamo a cercare!- fece un altro.
-Di
qua! Eccolo!-.
-Sì,
lo vedo! Andiamo!- le guardie si allontanarono
all’inseguimento di un altro assassino che, quando Elena si
sporse dal giardino, riconobbe come Hani.
Le
sue vesti da novizio erano infondibili.
La
ragazza scattò fuori dal nascondiglio e intraprese la corsa
verso nord.
Elena
trasalì.
Una
presa ferrea l’afferrò per il braccio e la
tirò alla sua sinistra.
Elena
tentò di divincolarsi, ma quando si accorse di chi aveva
davanti, gemette e rilassò i muscoli.
Altair
strinse la presa sul suo polso, e alla ragazza scappò un
mugolio.
-Che
cosa hai fatto?- le domandò su tutte le furie.
-Ho
fatto quello che mi avete chiesto!- sbottò lei.
Altair
avvicinò il volto al suo. –Ah davvero, e
dimmi… come mai mezza città sa di te ora?! Ti
avevo avvertito di essere prudente! Anonima!- le gridò.
Elena
ingoiò il suo sguardo furioso, assecondando il fatto che
Altair aveva pienamente ragione. In quel vicolo aveva alzato troppo la
voce, permettendo al suo informatore di fare altrettanto. Era stata
stupida, e in futuro non le sarebbe stato permesso se non pagando con
la vita stessa.
Altair
le lasciò il braccio con uno strattone. –Torna
alla Dimora, mi dirai tutto più tardi. Non ho idea di come
ringrazierai Hani per questo!- il suo maestro si allontanò
saltando sul tetto di una casa, ed Elena l’osservò
sparire dopo poco in un vicolo.
-Stai
bene?- le chiese il Rafik, che fino a quel momento non aveva proferito
parola.
Elena,
con i gomiti sul bancone e seduta su uno sgabello, si teneva il viso
tra le mani. Tormentata dal senso di colpa per le sue azioni,
giurò che se fosse successo qualcosa a qualcuno dei due
assassini si sarebbe tagliata le vene. Stupida, stupida,
stupida…
-Sono
stata una stupida. Avevo paura, quel tizio sapeva… sapeva
come difendersi, ne ero certa…- mormorò
più che afflitta, rassegnata.
Il
vecchio chiuse il libro delle Cronache e poggiò la penna sul
tavolo. Le cinse una spalla amichevolmente, ed Elena poggiò
la sua sulla mano del capo sede.
-Ti
sbagli, come tuo primo interrogatorio è già molto
che torni illesa. Guadarti, ho visto assassini che saprebbero essere
più gioiosi intricati in situazioni peggiori. Sorridi,
bellissima, non hai nulla da temere-.
-Altair,
lui…-.
Il
Rafik scosse la testa. –Altair ha i suoi problemi, e al
minimo segno di pericolo teme più per la tua vita che per la
sua, e tutto ciò è strano, credimi. Torneranno,
Elena, saranno qui a breve tutti e due. Corrado non li vuole morti
abbastanza-.
-Veramente-
balbettò la ragazza.
Il
Rafik schiuse gli occhi, attento.
Elena
si alzò. –Nulla…- e andò
nella stanza accanto, sedendosi tra i cuscini. Appoggiò la
guancia contro il muro e fece un gran sospiro. Chiuse gli occhi e
cercò di pensare ad altro.
Nel
silenzio della notte, qualcuno vociò: -Stupido!-.
La
ragazza scattò in piedi quando il corpo di Hani
volò nella stanza, atterrando ai suoi piedi.
-Incompetente,
bastardo, per non dire altro!- gridò Altair comparendo anche
lui nella camera.
Hani
si tirò su a fatica, issandosi sulle braccia. –Non
è stata mia intenzione…- proferì in un
sussurro. Dalla sua bocca colava un fiotto di sangue, e subito accorse
il Rafik.
Elena
fece un balzo indietro, e davanti a lei si piantò la figura
imponente e brutalmente ricoperta di sangue di Altair. Il suo maestro
teneva una mano a premere su un grosso squarto aperto
all’altezza del petto, nella parte sinistra.
L’altra stringeva ancora la spada corta, e l’Angelo
si fece avanti andando verso Hani, che ricevette un calcio al costato
dall’assassino.
Il
novizio si piegò sul colpo voltandosi dalla parte opposta.
-Spiegami
come ti è saltato in mente!- continuò Altair col
suo tono collerico.
Elena
ebbe paura, e il suono del suo cuore terrorizzato riempì la
Dimora.
-Fermo!-
Il vecchio Rafik si parò tra il corpo di Hani e
l’Angelo esperto. –Fermo!- disse di nuovo.
Altair
si lasciò scappare una sottospecie di ruggito,
scagliò la spada contro la parete.
La
lama andò a conficcarsi in un arazzo, e
l’assassino si dileguò nella stanza accanto.
-Resta
qui- sussurrò il Rafik ad Hani.
-Va…
bene…- mormorò il ragazzo senza fiato.
-Elena,
occupati di lui- le disse il vecchio capo sede che raggiunse Altair
nell’altra camera.
La
ragazza si chinò al suo fianco. –Che è
successo? Perché ha tutto quel sangue addosso?
Perché è così arrabbiato?-
domandò terrorizzata.
Sul
volto di Hani, privo di cappuccio, comparve un sorriso beffardo.
–Ho fatto un bel casino- rise, ma Elena non ci trovava nulla
di divertente.
-Sei…
sei ferito?- domandò l’assassino, e Hani
annuì.
-Dove?-
balbettò lei aiutandolo ad alzarsi.
Hani
si appoggiò con la schiena alla parete. –Si nota
così poco?- proferì quasi seccato, e sul
pavimento sputò altro sangue.
Hani
aveva solo un lungo taglio che correva dalla spalla lungo tutto il
braccio sinistro, e la spada aveva lasciato anche una bella ammaccatura
sul guanto con la lama nascosta.
Il
sangue fresco diffuse il suo puzzo nel locale, tappandole le narici ed
Elena cercò di immaginare che fosse solo vernice.
Ma
non era vernice quella che aveva visto colare sulla veste bianca del
suo maestro. No. Il sangue l’aveva praticamente tinta,
colando a fiumi dalle spalle, dalla testa e non riuscì
neppure ad immaginare come Altair potesse essere ancora vivo. Si disse
che quella visione l’avrebbe tormentata per il resto dei suoi
giorni.
Il
Rafik le portò di corsa delle bende e un liquido
disinfettante in una boccetta, ma il vecchio capo sede doveva occuparsi
dell’assassino peggio ferito e così non
prestò molte attenzioni alle medicazioni azzardate di Elena.
Hani
si privò di quello che restava dei suoi pugnali da lancio,
facendo scivolare a terra le cinghie rovinate e il fodero vuoto della
spada. Poi si tolse la cintura di cuoio e scagliò la casacca
insanguinata il più lontano possibile da tappeti o cuscini.
Elena
lanciò appena un’occhiata alla muscolatura giovane
e ben formata, poiché sul braccio sinistro del novizio
andava colare un fiotto molto spesso di sangue.
-Starai
fermo per un po’…- commentò passando
una pezza bagnata col disinfettante su tutta la ferita. Lo straccio
divenne ben presto purpureo.
Hani
non trattenne la risata, il suo atteggiamento era trasandato in quel
momento più che mai. –Buona questa, ma credo che
tu abbia perfettamente ragione…-.
Elena
pulì sufficientemente la ferita, poi cominciò ad
applicare il bendaggio nel migliore dei modi che le era possibile.
Hani
le diede una mano con l’arto sano e in poco tempo Elena
poté ammirare la sua prima opera d’infermiera
della confraternita.
-Grazie-
digrignò Hani quando Elena fece un nodo piuttosto stretto
alla fine della garza.
-Scusa-
mormorò lei, e di seguito si alzò.
Elena
lo guardò dall’alto qualche istante, ma Hani cadde
in sonno.
La
ragazza afferrò lo straccio zuppo di sangue e la boccetta
dirigendosi nella stanza accanto.
Le
sue spalle si curvarono, le sue gambe la ressero a mala pena.
Altair
era seduto dove un tempo sorgeva la scacchiera, e il Rafik stava
terminando di fasciargli l’intero addome dal fianco sinistro
alla spalla destra. Un bendaggio spesso che andava macchiarsi di rosso
in alcuni punti, segno delle innumerevoli ferite profonde che avrebbero
impiegato parecchio tempo a rimarginarsi.
Non
solo: sulle braccia e anche sulle gambe, segni rossi e profondi di
frecce schivate si mera fortuna. Affondi di spade e lividi.
-Elena,
passami quello, già che ci sei…- le disse il
Rafik ad un tratto, ed Elena si riscosse.
La
ragazza poggiò la roba sul bancone e seguì
l’indice del capo sede che puntava dritto ad un comodino, sul
quale era poggiato un ago e una sottile filatura nera.
Oh…
no. Pensò girandosi l’ago tra le dita.
-Avanti,
Elena!- sbottò il Rafik collerico.
La
ragazza gli porse ago e filo e si fece da parte.
Non
c’era modo di arrestare l’emorragia dei tagli sulle
spalle, così il vecchio Rafik dovette bucare il suo maestro.
Elena
si strinse nelle spalle, ma fu una grande sorpresa quello che vide.
Altair
non disse una parola mentre l’ago gli passava la pelle. I
suoi occhi scuri, il suo viso perfetto la guardavano, ed Elena non
riusciva a credere che fosse oggetto di distrazione da quel dolore
immenso che il suo maestro si stava tenendo dentro.
Il
suo mentore aveva un fisico scolpito e, nonostante le occhiate furtive
di Elena ogni tanto, la ragazza ne colse ogni particolare.
Certo,
le ammaccature dell’ultima missione si notavano eccome,
ma… sangue compreso, Altair restava sempre un
gran…
-Elena!-
si sentì chiamare.
Lei
corse nella stanza accanto come se non stesse aspettando altro.
-Hani,
che succede?- tornò al suo fianco.
Il
ragazzo si tastava preoccupato la fasciatura sul braccio, che
improvvisamente, stava diventando un bagno di sangue.
L’assassino
le afferrò la mano. –Io odio l’ago!- le
confessò quasi in lacrime.
Non
c’era altro modo… l’emorragia avanzava,
il sangue colava sul pavimento. Ma che diamine!
La
ragazza volò di nuovo al bancone della Dimora.
–Hani perde sangue, devo cu… cucirlo?-
balbettò.
Il
Rafik, senza voltarsi disse: -Sì, se ne sei in
grado…- era assorto nel suo mestiere, e rispondeva
sicuramente senza un minimo di logica che li passasse per la mente.
Altair
le indicò con lo sguardo un armadietto sulla libreria dietro
al banco, ed Elena s’incantò di nuovo.
-Elena!-
gridò di nuovo Hani, sempre più spaventato.
La
ragazza tornò in sé e si precipitò a
cercare nei cassetti l’ago e il filo necessario. Ne
trovò a centinaia di diverse misure e prese quello che
più le sembrava simile a quello usato dal Rafik.
Tornò
dal ragazzo e Hani prese a stringerle i bordi della veste.
–No- pianse.
-Mi
dispiace- poggiò tutto a terra e cercò delle
forbici. Trovate le forbici tagliò le bende, e il sangue
caldo prese a colare come un fiume in piena sul braccio del giovane
assassino.
-Non
farlo!- Hani strinse i denti.
-Mi
dispiace!- gridò Elena, ma in quei pochi istanti, se non
avesse agito alla svelta e con competenza, l’assassino che
aveva di fronte sarebbe morto dissanguato; e il Rafik non poteva certo
sdoppiarsi.
Elena
passò il filo nell’esile foro dell’ago,
avvicinò la punta alle pelle dell’assassino e,
passando uno straccio sulla ferita per scostare il sangue,
penetrò nella carne.
Ecco
un’altra fondamentale caratteristica di contrasto tra
assassino esperto e novizio: la sopportazione del dolore.
Hani
sbraitò come un forsennato, ma combattendo la sua battaglia
per dimenarsi il meno possibile e permettere ad Elena di fare un lavoro
accettabile.
-Una
bambola di pezza… una parola di pezza… una
bambola di pezza…- si ripeté lei
all’infinito.
La
mano le tremava, e i suoi occhi si chiudevano bagnati dalle lacrime.
Mai in tutta la sua vita aveva pensato che un giorno avrebbe causato
tanto dolore ad un uomo, neppure tradendolo.
Si
sentì spietata, non più un’assassina
della confraternita, ma una torturatrice. Chissà quanti
altri modi c’erano di guarire quelle ferite, e sicuramente
Elena aveva pescato il più svelto e più doloroso,
come al solito.
Buchi
precisi e regolari al primo colpo, e meno male! Elena richiuse la
ferita in una ventina di minuti, tempo durante il quale Hani ebbe modo
di privarsi quasi del tutto delle corde vocali. I suoi lamenti
arrivavano certamente fuori dalla Dimora, e sarebbe stata una fortuna
che nessun cavaliere teutonico o della casata di Corrado si accorgesse
delle loro attività.
Elena
era praticamente seduta su di lui, attenta a non pesargli sul bacino e,
mentre Hani la stringeva per i gomiti, la ragazza restava vigile sul
suo operato.
Più
volte l’assassino sbatté la testa contro il muro,
e a quel punto Elena credeva che avesse raggiunto l’apice del
dolore, la soglia più alta.
Nella
stanza accanto, invece, c’era il silenzio nero e quieto che
non riusciva però a contrastare quelle urla disumane.
La
ragazza strappò il filo coi denti e, dalla stanchezza,
crollò su di lui.
Il
petto di Hani si abbassava e si alzava di tre quattro centimetri ad
ogni respiro, Elena colse per di più il battito impazzito
sia del suo che del cuore del ragazzo.
-Ho
finito…- mormorò esausta.
Hani
alzò il braccio ferito che era mosso da un tremore assurdo.
La cucitura rettilinea e impeccabile, il sangue andava ad essiccarsi.
–Gra… grazie!- sussurrò col fiato corto.
Elena
si riappropriò delle sue energie stando forse
un’ora o due sdraiata su di lui, ma Hani parve fare
altrettanto.
Che
bello… questo silenzio… pensò la
ragazza addormentandosi, e l’ago insanguinato le cadde di
mano.
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Capitolo 28 *** Il potere incontrollabile ***
Il Potere
incontrollabile
Elena sospirò e aprì gli
occhi.
Il buio della notte avvolgeva come solito ogni
cosa, angolo della stanza impedendole la vista già di per
sé poco attenta.
La ragazza era appoggiata alla spalla di Hani,
che era con la schiena alla parete e si guardava spaurito il bendaggio
sul braccio.
Qualcuno doveva averlo fasciato dopo che lei
aveva ricucito la ferita, e le bende candide sembravano reggere a pieno
il loro compito.
Elena si sollevò, scansandosi
dall’assassino e stiracchiando le gambe.
Hani le volse solo un’occhiata prima di
tornare a tastarsi l’arto ferito con due dita, come tentando
di percepirne il calore assente.
Aveva perso molto sangue, gran parte del quale si
era rovesciato a terra risparmiando, fortunatamente, i cuscini e i
tappeti.
L’assassino le lanciò un
sorriso. –Ti dev’essere costata cara- le disse.
Elena annuì alzandosi.
–Più di quanto immagini- si chinò e
raccolse l’ago insanguinato finito nell’incavo tra
due mattonelle. La ragazza si voltò e raggiunse
l’altra camera.
Silenzio e buio, il vuoto animava quelle pareti.
Elena si appoggiò al bancone,
spaesata. Dov’erano finiti Altair e il Rafik? Si chiese.
Si guardò attorno, ma andò
a cercare sotto al banco qualcosa con cui pulire il caos che aveva
fatto ricucendo il suo amico.
Trovò la stessa pezza che aveva usato
ore prima per togliere il sangue dalla ferita di Hani; una brocca con
dell’acqua e portò tutto quanto
nell’altra stanza.
Hani la osservò in silenzio mentre si
chinava a passare lo straccio su una mattonella alla volta,
assicurandosi di non lasciare alcuna traccia di sangue e di quella
brutta, orribile giornata.
-È stata tutta colpa mia…-
proferì il giovane d’un tratto.
Lei alzò gli occhi, quasi scocciata.
–Non si era capito- borbottò mettendo
più olio di gomito e meno acqua, che andava a mancare nella
brocca.
Hani si girò di profilo, guardando un
punto indistinto nel buio. Il braccio malato poggiato in grembo, quello
sano alzato e la mano dietro la testa. L’assassino rise.
–Già… ma non mi sorprende che Altair
l’abbia presa così. Gli ho mandato in fumo la
vendetta- aggiunse.
Elena si fermò, rimboccandosi meglio
le maniche. –A davvero?- sbuffò. –Si
può sapere cosa ha fatto precipitare le cose in questo
modo?- domandò in un sussurro.
Il ragazzo tenne quel suo atteggiamento beffardo.
–Per colpa mia la vostra copertura è saltata. Ho
tentato di distrarre le guardie che ti stavano dietro quando, senza
accorgermene, sono arrivato di corsa nel distretto ricco. Dio, Elena,
mi erano addosso! Mi hanno scambiato per te e m’inseguivano
come dei forsennati… il succo è che corri e fuggi
ho fatto capolino nel forte di Corrado. Per buona sorte Altair indagava
da quelle parti, o io non sarei qui… ora- mormorò
abbattuto.
Elena non poté negare, sotto ogni
aspetto, che Hani aveva agito nel peggiore dei modi. Non avrebbe dovuto
e, se si fosse fatto da parte impicciandosi degli affari suoi, nulla di
quello sarebbe successo. I tagli e i lividi che aveva visto sul petto e
sulle braccia del suo maestro l’avevano terrorizzata,
lasciandola preda degli istinti più temuti quale
l’euforia e il pianto facile. Si sentiva ancora gli occhi
umidi. Era stato terribile… da non ripetersi, ovviamente.
-Lui… sì, fai bene a
chiamarla fortuna!- balbettò Elena socchiudendo gli occhi.
–Sei stato uno stupido!- ruggì.
Hani incassò il rimprovero.
–Sì, hai ragione, ma non sapevo che altro fare.
Eccomi destinato al grado di novizio per
l’eternità… sentirai molto parlare di
me, per questo- brontolò scontroso.
Elena riprese a pulire terra con più
violenza, penetrando con le unghie nella pezza fradicia di sangue e
acqua, accompagnando i movimenti con gemiti sempre più
frequenti.
-Piantala di essere arrabbiata con gli altri!- le
gridò contro Hani all’improvviso, e la ragazza si
bloccò all’istante.
-Come?!- strinse i denti voltandosi verso di lui.
-Hai sentito bene- insistette
l’assassino fissandola allo stesso modo di come lei lo
guardava. –Non puoi negare che tutto è partito da
te! Insomma, mi trovavo semplicemente di passaggio quando gli uomini di
Corrado si sono accorti di me! Quindi piantala di accusare me e la mia
incompetenza, credi che non me lo senta ripetere abbastanza da altri
più grossi e dal tuo stesso maestro? Le ho prese di santa
ragione durante tutto il tragitto di ritorno! Ah! Che divertente farsi
prendere a calci da Altair, dovresti provare a svelargli che sei stata
tu l’incompetente che nelle ultime indagini non ha fatto
altro che attirare maggiormente l’attenzione dei Templari!-
strillò.
Elena strinse lo straccio. –Non
è vero. Ho eseguito i miei incarichi al meglio tutte le
volte! Tu non sai nulla- tratteneva la collera.
-Mi fai così poco intelligente?- rise
l’assassino. –Ci manca poco e Corrado
farà appendere manifesti per tutta Acri! Non negare
l’evidenza, è stata TUTTA colpa tua! Hai allertato
tu le guardie! In tutto questo arco di tempo non hai fatto altro che
condurre i soldati di Acri sempre più vicini a noi! Sono
diventati a tal punto preparati a contrastarci, che persino Altair non
è uscito illeso all’ultimo scontro!-.
Elena gli scagliò contro il panno
bagnato, che colpì Hani in pieno volto.
Il ragazzo sbatté la pezza a terra.
–Ma che razza di…- digrignò.
Elena prese fiato e lo fulminò con lo
sguardo severo. -Corrado ha solo una gran paura. Ci teme abbastanza da
moltiplicare le guardie di ronda e istruire sempre più
arcieri alle mura del suo forte; ebbene, sono soddisfatta di questo.
Mettere alla prova le mie capacità ora che il gioco si fa
complicato è quello che ho sempre desiderato. Quel bastardo
ha fatto ammazzare mio padre e rubato il Frutto dell’Eden,
non hai idea di quanto il mio stomaco tremi all’idea di
trafiggerlo. Fidati, ho avuto modo di apprendere nelle mie indagini che
egli è in pensiero alla nostra venuta da prima che io
causassi certi “danni”, come chiami tu le mie
azioni sfrontate. Sento la puzza della sua paura quando mi aggiro per
le città, e non sai quanto ci godo…- sorrise
maliziosa.
Hani alzò un sopracciglio.
–Ti sei calata troppo nella parte, a parere mio-
borbottò alzando le spalle.
Elena afferrò lo straccio e lo
riportò nella stanza accanto. Tornando a sedersi accanto al
ragazzo, parve rasserenarsi, riacquistando il volto da bambina
innocente, scordando le parole di pochi attimi prima.
-Come va?- domandò lei.
Hani mosse il braccio malato in rapidi movimenti
della spalla, e dalla sua schiena si levò un rumoroso
scricchiolio. –Benone, davvero!- si lamentò.
Elena rise portandosi una mano alla bocca.
–Era la prima volta che venivi… bucato?- chiese.
Lui annuì. –E
pregherò perché sia anche ultima-.
Elena soffocò una nuova risata,
voltandosi.
Tacquero, entrambi per parecchi minuti.
Poi, ad un tratto, Hani provò ad
alzarsi. –Ti andrebbe una partita?- indicò gli
scacchi.
Elena accettò la sfida e andarono a
sedersi.
-Stavo pensando- disse lei mentre giocavano.
Hani mosse il cavallo oltre la fila di pedoni.
–Hm?-.
Elena si passò una mano trai i
capelli, sistemandoli al meglio nel cappuccio a coprirle il volto.
–Dove sono Altair e il vecchio?- formulò.
C’era una lanterna poggiata sul tavolo
lì vicino che faceva luce sufficiente per spostare le
pedine.
Hani tirò su col naso.
–Altair è uscito poco fa, credo. Il vecchio sta
dormendo lì- il ragazzo indicò lo stanzino alle
spalle del bancone.
-Ah, e dove…- cominciò lei
muovendo l’alfiere in diagonale di qualche casella.
- Ecco! Che scemo…- Hani si
batté una pacca in fronte.
-Che c’è?- fece lei confusa.
-Il tuo maestro mi aveva chiesto di mandarti a
raggiungerlo nel distretto povero non appena ti fossi svegliata. Scusa,
perdonami, me ne sono completamente dimenticato…- fece a
bassa voce.
-Non è vero!- si udì il
vecchio Rafik che comparve dietro al bancone dallo stanzino.
–Elena, Altair ti attende nel vecchio suk della
città a nord-ovest, ma per quanto ti riguarda, Hani non se
n’era affatto scordato- il capo sede lanciò
un’occhiataccia al ragazzo, che si nascose al meglio sotto il
cappuccio.
Elena prese a sorridere. Ecco qualcun altro che
gradiva la sua compagnia.
-Ti conviene sbrigarti- le disse il Rafik.
Elena annuì e si vestì del
suo equipaggiamento. Lasciò la Dimora e si diresse verso il
distretto povero.
Il cielo nero compariva a chiazze tra le nuvole
grigie e bluastre che coprivano Acri e le sue guglie. Tra tutte
spiccava quella della Grande Cattedrale. Le strade tranquille e i passi
dei soldati che riecheggiavano nel silenzio della sera.
Rashy fendeva l’aria fredda con le sue
ali piumate sopra la sua testa, come vegliando su di lei. La falchetta
la controllò dall’altro per tutto il tragitto e le
indicò la strada più breve per il luogo
d’incontro col suo maestro.
Saltò e si aggrappò alla
parete cominciando a scalarla con agilità. Sorrise.
-Perché ci hai messo tanto?-
sbottò il suo maestro trattenendo la collera.
-Mi sono trattenuta nella Dimora oltre il dovuto,
vi chiedo perdono- abbassò lo sguardo.
Altair le si avvicinò con le mani
giunte dietro la schiena. –Eri stata avvertita della mia
attesa, giusto?- chiese.
Lei annuì, alzando gli occhi al cielo
nuvoloso della notte e contando le fiaccole dei soldati di ronda che si
muovevano tra le ombre. Non le piaceva operare di notte, ma se Altair
l’aveva convocata lì di tanta urgenza, doveva
esserci un motivo.
L’assassino mostrò il
contenuto delle sue mani.
Elena afferrò il diario di Chiesa che
aveva borseggiato qualche giorno prima.
-L’uomo a cui l’hai rubato
verrà fatto giustiziare se non riconsegniamo questo scritto-
disse gravoso, il volto celato dal cappuccio e il portamento fiero di
sempre.
La ragazza annuì. –Volete
che me ne occupi ora?- domandò.
L’assassino rispose sussurrando un
celere sì, poi, prima di avviarsi e scomparire per la
strada, si voltò. –Non cacciarti nei guai-
l’ammonì.
Elena fece un passo indietro, scomparendo nel
buio di un vicolo. –Non mi è mai successo-
mormorò scherzosa, ma quell’atteggiamento di
ilarità durò ben poco.
-Eccoli!- gridò qualcuno.
Elena vide il suo maestro voltarsi e scagliare un
pugnale da lancio verso l’alto. La piccola lama
colpì al petto l’arciere che silenziosamente si
era appostato sul tetto della casupola vicino.
-Scappa!- le gridò
l’assassino, ma Elena non fece in tempo a girare i tacchi che
si sentì stringere per la gola.
Il testo le cadde di mano, finendo a cadere in
una pozzanghera formatosi sul ciglio della strada. Un acre ed umido
odore, assieme ad un sapore amaro in bocca. Braccia possenti le cinsero
i fianchi, anche più di un paio e gli uomini di Corrado la
trascinarono nell’ombra del vicolo.
La ragazza perse i sensi.
Altair estrasse la lama corta e schivò
l’attacco del cavaliere teutonico con estrema
facilità, colpendo poi il suo avversario alla gamba. Dopo
averlo sbattuto a terra, Altair calò la spada corta sul suo
petto e tanti saluti alla luce dei suoi occhi di reietto germanico.
Schivò una freccia, ma
l’arciere che l’aveva incoccata si
rovesciò sulla strada quando l’assassino lo
trafisse alla fronte con un pugnale da lancio.
Il numero di crociati cresceva a dismisura mentre
il suono delle campane riempiva l’aria gelida della notte.
Altair, tenendo la guardia alta con la lama
corta, indietreggiò, ma il suo piede urtò
qualcosa che annaspò in una pozza d’acqua. Appena
un’occhiata e il giovane assassino riconobbe la copertina di
pelle del testo che aveva affidato ad Elena.
-No…- mormorò a denti
stretti, e un soldato ospitaliere approfittò della sua
distrazione.
Nello schivare quel fendente, Altair
avvertì quelle fitte dolorose ai muscoli del petto che
l’avevano accompagnato durante le ultime ore.
Afferrò il libro da terra e si voltò, cominciando
a correre.
Si dileguò dall’orda di
uomini che lo inseguivano svoltando rapidamente di vicolo in vicolo,
confondendo i suoi avversari ogni qual volta si andava a tuffare in un
cesto di paglia.
Non osò immaginare cosa le sarebbe
capitato, ma Elena non avrebbe passato certo i suoi giorni migliori. Se
Corrado aveva incaricato le sue spie di dare la caccia a lui e alla sua
novizia, erano guai. Uno dei suoi cavalieri aveva messo fuori
combattimento Asaf, il migliore in classifica tra Fredrik e Adel. La
situazione stava degradando, finendo troppo a favore di quel bastardo
che era Corrado, si disse.
Raggiunse i tetti della Dimora e
atterrò silenzioso nella stanza. –Rafik-
chiamò.
-State bene?- domandò il vecchio
quando Altair entrò nella stanza.
Hani scattò in piedi scendendo dal
bancone e fece un piccolo inchino.
-No- disse Altair gettando sul tavolo il testo di
chiesa e tirando a sé una delle mappe della città.
-Cose è successo?- chiese invece
l’assassino più giovane.
Altair non li degnò entrambi di uno
sguardo, continuando a fissare attento i particolari della mappa.
-L’hanno rapita- disse d’un
fiato, senza aspettarsi chissà quale reazione da parte dei
due accanto a lui.
Il Rafik si portò una mano al viso.
–Devo mandare una colomba a Masyaf e avvertire il Maestro;
quando avremo il suo assenso, potremo intervenire. Tutto ciò
non prima di… Accidenti, Altair!- ruggì.
–Avresti potuto fare più attenzione!-.
L’assassino esperto tracciò
con un dito sulla cartina il percorso dalla Dimora al centro della
rocca di Corrado, ma non rispose.
-Diamine!- proseguì il Rafik nervoso,
prendendo carta e penna e cominciando a scrivere.
-Veramente- s’intromise Hani che mosse
un passo verso il maestro di Elena.
Altair sibilò alcune parole.
–Spera per te che tu non ne sia coinvolto!-
digrignò.
-No, signore, io non centro nulla. È
stata Elena stessa a cacciarsi in questo caos-.
Sia il Rafik che Altair lo fissarono stupefatti,
arrestando le loro diversificate attività.
-Che cosa intendi?- domandò ad un
tratto il capo sede, poggiando la penna e sedendosi più
comodo allo sgabello dietro il bancone.
Hani indugiò sul volto rabbioso, ma
ben nascosto, del maestro della sua amica, e trovò il
coraggio di continuare: -Lei non ha voluto dirvelo, Mastro Altair, per
timore che l’avreste rimproverata, ma durante molte delle sue
indagini Elena ha allertato diverse volte le guardie, che in
più momenti hanno avuto modo di riconoscerla. Mi aspettavo
che sarebbe successo; tutta la città sa di voi
già da prima che iniziaste la ricerca di informazioni-
borbottò in fine.
-E tu?- fece Altair, e Hani si rizzò
sul posto. –Tu perché non me l’hai
detto?-.
Hani tacque.
-Stolta!- il Rafik sbatté un pugno sul
tavolo. –Quella ragazzina le risentirà anche da
me!-
-Calma, fratello- proferì Altair con
voce soave. –Posso occuparmi della faccenda questa sera
stessa, non è un problema- i suoi occhi tornarono alla mappa
che studiava con attenzione, sulla quale cercava il tragitto
più breve per l’eventuale fuga.
-Non siamo neppure certi che Corrado non ordini
di ucciderla! Così, Altair, vi consegnereste nelle sue mani
e Corrado avrebbe in pugno solo la vittoria! Non sostate al suo gioco!-
disse il vecchio in pena.
-Vedete altra soluzione?!- l’Angelo
strinse i denti alzandosi, e quelle parole chiamarono il silenzio nella
stanza.
-Permettete che venga con voi, allora- fece Hani
fiero, ma Altair scosse la testa.
-Non ne sei in grado, ragazzo…-
l’assassino si voltò, puntando gli occhi in quelli
del Rafik.
-Non ti è chiaro, ragazzo: Altair, non
puoi imporre al tuo corpo di portare in salvo Elena prima che esso si
sia totalmente ripreso. Sotto quelle vesti porto ancora i segni del suo
ultimo esercizio, metti a repentaglio la tua vita estorcendoti le tue
ultime forze in questo modo- il vecchio prese a camminare avanti e
indietro. –Potremmo approfittare di questa situazione per
agire definitivamente, ma…-.
–Dammela- sbottò truce
l’assassino.
-No. Non hai informazioni necessarie su quanti
soldati accerchiano le sue stanze e quanti veglieranno su di Elena se
Corrado avrà intenzione di tenerla viva, sempre e solo
“se”. Non posso darti questa piuma Altair, ora come
ora è meglio consultare il Maestro prima di agire-.
Altair non aggiunse nulla per diversi istanti,
mentre nella stanza riecheggiava solo il suono della penna
d’oca che grattava sul foglio di carta color ocra.
Il Rafik scriveva con disordine e
rapidità, abbozzando la situazione in poche righe
sostanziali. Arrotolò il biglietto e lo legò alla
zampetta rosea di un colombo, il quale, quando il vecchio
lasciò che spiccasse il volo nella stanza, passò
per l’ingresso sul tetto e si librò nel cielo
notturno di Acri.
-E ora?- domandò con arroganza Altair,
come accusando il vecchio capo sede che la sua era stata la decisione
meno retta.
-Ora aspettiamo, pazientiamo con la stessa
neutralità di quando capitò altre volte. Restare
così tesi non ci servirà a nulla, piuttosto, se
vuoi metterti all’opera per prepararti ad agire di
già, non sarò certo io a negarti quella soglia,
ma niente piuma- fece il Rafik guardando l’ingresso della
Dimora.
Altair, ancora una volta, non rispose.
Andò a sedersi sui cuscini nella stanza accanto,
sospirò, si girò il suo pugnale preferito tra le
mani, ma non riuscì a scacciare il pensiero di come fosse
potuto accedere tutto quello sotto il suo naso.
Con uno spintone, il soldato la fece
inginocchiare sulla terra di pietra liscia e fredda; il pavimento di
una stanza alquanto ampia perché c’erano delle
voci che trasmettevano il loro eco da piuttosto lontano.
Elena era bendata, sul suo corpo avvertiva i
morsi di brutali colpi infieritole chissà quanto tempo prima
durante la sua convalescenza, ma all’interno di esso la paura
esortava all’azione: provò a divincolarsi, ad
alzarsi, ma ricevette in sostanza solo altre botte.
Due uomini ridevano alle sue spalle, la ragazza
coglieva il loro divertimento nel cogliere alcuni particolari di lei.
-È una donna!- rideva uno.
-Che novità, non sapevo che Tharidl
fosse caduto tanto in basso!- sbottò un altro.
Elena tentò di nuovo la fuga, ma uno
dei due le spinse la testa in avanti, facendole perdere
l’equilibrio. Così la ragazza si
rovesciò al suolo nel clangore delle poche cinghie che le
erano rimaste addosso. L’avevano disarmata, perché
sulle sue spalle gravava solo il peso dei lacci di cuoio privi del
fodero sia della spada corta che dei pugnali. Assieme alla lama alla
sua sinistra, se n’erano andati anche i pugnali negli stivali
e quelli nella cintura.
Quei suoni, quelle risate da parte dei soldati
avevano attirato il silenzio improvviso.
Qualcuno scansò d’un tratto
una sedia rumorosamente, e si mossero alcuni passi verso di lei,
accompagnati da una seconda presenza più tenue.
-Mio Signore…-
s’inchinò una guardia, a seguire anche
l’altra fece altrettanto.
Elena si sollevò a fatica, cercando di
acquisire una posa presentabile se colui che aveva davanti fosse
Corrado.
Il reggente di Acri alzò un
sopracciglio. –Posso credere a quello che vedo?-
domandò sorpreso.
Uno dei due cavalieri annuì, mentre
l’altro la tirava in piedi per un braccio.
-E guardate qua, mio Signore!- sbottò
il crociato che teneva la sua mano attorno al fianco della ragazza, e
lo stesso le levò il cappuccio dal volto.
–è una donna!-.
Si udì un sussurro che chiamava il suo
nome, ed Elena colse appena quella voce di donna che le parve
familiare: -Elena- fece la ragazza al fianco del sovrano.
Elena sobbalzò tra le braccia del
cavaliere, il quale la rigettò a terra priva di cappuccio.
-Voi!- digrignò Corrado riconoscendola
e chinandosi su di lei.
Elena avvertì la sua ombra allungarsi
su di lei, il corpo di Corrado farsi più vicino al suo, ma
non mosse un muscolo proferendo solo un lamento.
-Andate!- disse in fine Corrado, e i due
cavalieri lasciarono la sala chiudendo le porte.
Elena si raddrizzò piegata sulle sue
ginocchia, i pugni stretti dietro la schiena. Non poteva vederlo in
volto, e questo la turbò, rendendola vittima del terrore di
quello che le stava succedendo.
D’un tratto, qualcuno le
strappò dal volto le bende, e la vista riaffiorò
all’improvviso.
La luce accecante si fece largo nelle pupille
rilucendo azzurra, perché su Acri era sorto il sole celato
dalle nuvole grigie e solite della città. Fuori dalle
vetrate di quell’immenso salone, Corrado aveva una vista che
dava su tutto il suo dominio. Dalla Grande Cattedrale fino al molo.
Elena lanciò uno sguardo spaurito alle
spalle dell’uomo che predominava nel suo campo visivo,
notando con rancore chi si celava sotto il nome di spia
all’interno della confraternita.
Era Minha.
La ragazza sorrideva sbigottita, guardandola
senza battere ciglio ed Elena si comportava più o meno allo
stesso modo.
Corrado fece un passo indietro, affiancandosi a
Minha rimasta in disparte. –Bene…- sorrise
malizioso l’uomo. –Sono lieto di notare che vi
conoscete- incrociò le braccia al petto appoggiandosi allo
scrittoio alle sue spalle.
Minha indietreggiò.
–Veramente… io non avevo idea che si trattasse di
costei!- indicò la ragazza a terra rivolgendosi a Corrado.
–Non pensavo che le avrebbero assegnato questo compito!-
aggiunse irritata.
Elena non capiva.
Perché? Perché lei?
L’uomo che aveva ucciso il fidanzato di Minha non era un uomo
di Corrado? Perché Minha aveva stretto alleanza con
l’essere che più tra tutti avrebbe dovuto odiare
almeno quanto di lei?! Doveva esserci una ragione più
oscura, anche se Minha le era sempre parsa così…
riluttante nei confronti della setta, pensò.
Era sconvolta, non poté
crederci…
Corrado sogghignò. –Di quale
compito parli? Ammazzarmi? Non m’importa di chi o cosa quei
bastardi mi abbiano messo alle calcagna, quello che conta è
che uno è fuori gioco- proferì serio.
Elena piantò le sue iridi azzurre su
Minha, nel tentativo di mostrarle quanto ora si disprezzavano a vicenda.
-Uccidetela, allora- mormorò Minha
avvicinandosi al sovrano.
Corrado la guardò allungo, ed Elena
rimase immobile com’era: con le ginocchia a terra.
Tenne il suo sguardo, raddrizzò la
schiena, ed Elena colse l’atteggiamento di Corrado come una
sfida, una prova che doveva superare per rimanere in vita.
Il reggente di Acri sprofondò il mento
nel petto e sul suo volto si distinse un’espressione assorta
in chissà quali pensieri, riflessioni.
Dopo un infinito silenzio, le sue parole
riecheggiarono melodiose di un tono tranquillo: -No, non la
ucciderò- disse.
Minha sobbalzò, voltandosi verso di
lui. –Siete impazzito?!-.
Elena ebbe un tuffo nel cuore e una morsa di
commozione l’avvolse allo stomaco piegandola dalla gioia. Dio
esisteva, e aveva detto a Corrado di risparmiarla!
Fece per alzarsi, quando Minha le venne al fianco
e la prese per i capelli.
Elena avvertì dolore, ma trattenne
l’urletto da femminuccia che stava per venirle fuori.
-Guardatela! Se non la uccidete ora, mio Signore,
questa ragazza sarà capace di ammazzarvi a sangue freddo nel
giro di qualche settimana!- gridò la donna.
Corrado, di tutta risposta, fece un gesto di
stizza. –Come vi ho detto, e sarò lieto di
ripetere in presenza della nostra ospite, non temo nessuno di loro. Che
vengano, che sfidino i miei uomini e si cerchino la morte in
città. Non macchierò certo questa sala del sangue
di quella ragazzina…-.
Minha lasciò i capelli di Elena e si
posizionò di fronte all’uomo. –Spero che
tu stia scherzando…- borbottò, ma si
allontanò in fretta verso l’ingresso della sala.
–Fa’ un po’ come vuoi! Peggio per te,
stupido-.
Non solo quella donna si era permessa di
voltargli le spalle, ma anche di dargli del “tu” e
insultarlo. Corrado sospirò quando i battenti della camera
si chiusero e i passi nevrotici di Minha scomparvero nei corridoi del
forte.
-Alzati- le disse, ed Elena si riscosse
guardandolo.
-Come?- chiese, sperduta.
-Ho detto alzati- ripeté
l’uomo voltandosi alla sua scrivania e lanciando
un’occhiata ai fogli poggiatovi sopra.
-No, non quello…- Elena si
alzò, ma le catene le stringevano ancora i polsi.
–Perché non avete… intenzione di
uccidermi?- domandò flebile, allibita.
Corrado le si avvicinò.
Portava la sua lunga spada al fianco ed era
vestito come se dovesse andare in guerra: il simbolo della casata del
Monferrato sfavillava sulla sua veste bianca con ricami dorati.
–Mi pareva di essere stato abbastanza chiaro-
ribadì.
Al giovane sovrano scappò un sorriso.
-E… e se io tentassi di uccidervi
ora?- domandò lei, ma si rimangiò tutto non
appena il viso di Corrado fu attraversato da tutt’altro che
gioia.
Ecco che il suo sogno di vita andava in fumo.
Erano bastate poche parole, era una stupida! Corrado avrebbe sfoderato
la lama da un momento all’altra, e se ne sarebbe fregato del
pavimento lindo e pulito della sala.
-Stai cercando di farmi arrabbiare o sbaglio?-
fece lui.
-No, no, io volevo solo…-
balbettò. –mi sembra una cosa stupida!-
sbottò non riuscendo a contenersi.
L’uomo aggrottò la fronte
stupito.
Lei proseguì. –Non solo
Minha aveva ragione sul fatto che tra poche settimane io e
l’altro assassino tenteremo di uccidervi, ma quando mi
lascerete andare rivelerò ai miei fratelli il nome della
vostra infiltrata!- era fuori controllo. Davvero non si aspettava che
Corrado la risparmiasse, ma il susseguirsi di avvenimenti assurdi le
aveva dato alla testa.
-Non osereste mai- mormorò lui.
-Ah! Bella questa, e perché? Tanto voi
mi avete lasciato vivere ed ora torno ad ammazzare i vostri uomini e a
progettare la vostra morte! Nulla potrà fermarmi! Sono viva,
e tanto così separa voi dalla morte! Avete ucciso mio padre,
braccandolo in casa mia e ora…- s’interruppe, nel
notare Corrado scuotere la testa ridendo.
-Cosa avete da ridere tanto?!- fece la ragazza
scattando in avanti e facendo suonare le catene sui suoi polsi.
-Altri dei vostri assassini erano sulle mie
tracce fino a qualche tempo fa. So bene che entrambi hanno scoperto che
vostro padre è vivo, Elena di Acri figlia di Alice.
Credevate che non vi avrei riconosciuta? D’altro canto, mi
aspettavo di incontrarvi a Masyaf quella volta che strappai alla
confraternita il Frutto dell’Eden, ma non avevo previsto che
Tharidl sarebbe stato tanto stolto! Oh, ringrazio Dio per avermi donato
il facile cammino…-.
Fermi tutti!
-Mio padre…- fece titubante.
No, no, no… stava mentendo. Elena, non
lo vedi che è una trappola?! Sapeva che sarebbe successo!
L’aveva previsto nello stesso istante in cui Corrado aveva
rifiutato che Elena morisse. Il reggente di Acri non voleva ammazzarla
ricattandola di essere lei forse la sua nuova spia?!?! Eh no! Ma
tornando a suo padre… anche quello era tutto un imbroglio?
Corrado annuì. –Vuoi
rivederlo coi tuoi occhi? Elena, non lo uccisi perché
già da mesi sapevo che sarebbe arrivato questo
momento…-.
-Voi mentite…- da dove aveva trovato
il fiato per parlare?
-Assolutamente. Kalel dimora qui da quando
fuggiste quella notte, Elena. Egli mi ha parlato poco di voi, credendo
di proteggervi, ma invece siete caduta tra le braccia di questa
fortezza con la facilità che non mi aspettavo. Credevo che
l’assassino di mio padre sarebbe stato più attento
a voi, ragazza- commentò malizioso. – Arrivati a
questo punto, intendete cosa voglio da voi?- sorrise maligno.
Elena sbiancò. –No, cosa?-.
Lui scoppiò in una fragorosa risata
nel notare il suo colorito improvvisamente pallido. –Vi
facevo più svelta di mente, lady Elena. Ebbene, a costo che
io tenga in vita vostro padre, voi svolgerete sotto copertura alcuni
lavoretti per me-.
Elena d’un tratto capiva, e si
trovò a constatare che le sue precedenti ipotisi si erano
rivelate vere.
-Credete…- balbettò, e
Corrado tese le orecchie.
-Credete di potermi corrompere così?!-
trattenne le lacrime e fece un passo verso di lui.
Corrado rimase impassibile.
–Sì, si tratta pur sempre di vostro padre. Non
faccio leva su questo?-.
-No! No perché non vi credo! Ho ben
ottimi ricordi di come i vostri uomini lo ammazzarono la notte in cui
fuggii! E sono abbastanza svelta di mente per comprendere che state
mentendo!-.
-Volete le prove?!- ruggì
all’improvviso il sovrano. –Ebbene, eccole le
vostre prove. Guardie!- gridò l’uomo e nella
stanza si fece avanti un drappello di otto soldati.
Elena trasalì, mettendosi da parte.
-Portate qui il vecchio!- ordinò
Corrado ai suoi uomini, che di seguito si allontanarono nel corridoio.
Quanto sarebbe andata avanti quella
farsa? Forse Corrado non mentiva, forse suo padre era davvero
vivo, o forse aveva catturato qualcuno che potesse somigliargli solo da
lontano… Elena si sentì la testa esplodere,
mentre gli occhi le si colmavano di lacrime.
Se anche fosse… se anche Kalel fosse
effettivamente vivo, da quale cuore avrebbe trovato il coraggio per
tradire la confraternita? Anche sotto ricatto, suo padre
l’avrebbe voluto? Poteva chiederglielo di persona, se a breve
l’avesse visto; ma se Kalel le avesse consigliato davanti a
Corrado di non sostare alle minacce di quest’ultimo, il
sovrano di acri li avrebbe ammazzati entrambi, assassina ed ex
assassino.
-Non posso farlo- borbottò la ragazza,
allontanandosi verso le finestre.
-Come?!- Corrado si voltò, afferrando
a pieno le sue parole. –Aspetta di rincontrare tuo padre,
almeno- allungò il suo sorisetto ambizioso.
-Lui non lo vorrebbe, è inutile che
tentate di corrompermi! Lui non lo vorrebbe!-.
-Ne sei così sicura?- Corrado la
guardò rabbioso.
Lei annuì. –Vorrei tanto che
uccideste me al suo posto- disse d’un fiato.
Il re non fu minimamente toccato da quelle
parole, ed Elena riacquistò colore agli occhi nel vederlo.
Gli uomini armati lo scortavano circondandolo, e
il vecchio Kalel avanzava chino nel corridoio, comparendole prima come
un puntino indistinto a causa della nebbia delle lacrime, poi prendendo
le vere sembianze di suo padre.
Elena scattò in avanti, avvicinandosi
all’ingresso.
Alcune guardie furono sul punto di fermarla,
credendo che sarebbe scappata, ma Elena arrestò la sua corsa
davanti al drappello di uomini già nella stanza.
-Elena- la sua voce era più sorpresa e
furiosa che commossa.
Suo padre era come se lo ricordava. Quella pelle
scura e ramata, quegli occhi nerissimi e quella barba che andava
diventare bianca nonostante Kalel avesse più o meno una
cinquantina d’anni, ovviamente in perfetta forma anche se
poco poco sciupato le apparve, ma un assassino poteva adattarsi anche
alla cuccia di un cane.
Fu sorpresa di notare un particolare alquanto
assurdo. Elena l’aveva visto vestito così durante
i giorni in cui si allenavano insieme con la spada. Solo in quei
momenti ed ora, di fronte a lei, indossava l’esatta copia di
una veste da Rafik: una tunica scura a coprire il completo bianco
sottostante.
-Padre- mormorò lei.
-Perché sei ancora qui?! Oh,
Gesù Santissimo! Speravo che non restassi! Elena, vattene!-
la sua voce era possente come se la ricordava e, sbaglio o le aveva
ordinato di andarsene? Sbaglio o Kalel non voleva che accettasse i
patti di Corrado.
-Taci vecchio!- intimò Corrado e le
guardie afferrarono saldamente suo padre per le braccia.
Elena avrebbe voluto abbracciarlo, ma le catene
che le legavano le mani glielo impedirono. Una lacrima le
rigò la guancia.
La ragazza stette a guardare come uno degli
uomini del Monferrato faceva mettere in ginocchio il
pover’uomo e Corrado sfoderò la spada.
-Dimmi: sei dalla mia o dalla parte di Dio?-
pronunciò il sovrano puntando la lama al petto di suo padre.
Kalel la implorava con lo sguardo, la sua testa
si muoveva impercettibilmente da destra a sinistra e da sinistra a
destra. Le stava facendo segno di non accettare.
Kalel desiderava forse la morte? Il suo compito
di padre era forse finito? No, Elena avrebbe voluto portarlo con
sé alla Dimora, con sé a Masyaf, ma non vi era il
modo.
In quel breve stacco di tempo calcolò
tre possibili via di fuga da quella maledetta, bastarda situazione.
1. Diceva di
sì, suo padre viveva e Corrado le avrebbe chiesto di
pugnalare nel sonno l’assassino di Gulielmo.
2. Diceva di
sì, lasciava la fortezza di Corrado e, non rispettando gli
accordi presi cioè ignorando gli ordini, non vi avrebbe
fatto più ritorno se non per ucciderlo assieme al suo
maestro Altair.
3. Diceva di no, e
padre e figlia morivano lì in quella sala.
Fu orribile. In tutte e tre le opzioni suo padre
avrebbe perso la vita. In un modo o nell’altro, Elena avrebbe
messo di nuovo piede fuori dal forte di Corrado, per quanto riguardasse
la scelta numero due, ma il sovrano di Acri, accorgendosi magari dopo
diversi giorni dell’infedeltà della ragazza ai
patti, avrebbe ucciso Kalel senza pensarci due volte.
Quello che a Elena non tornava, era il fatto che
la ragazza aveva visto chiaramente che, nella notte della sua fuga da
Acri, Kalel era morto ammazzato da una freccia.
Elena si riscosse, indietreggiando.
Cos’era quella sensazione assurda che
avvertiva nella testa? Come un continuo pulsare senza mai smettere, una
martellata dopo l’altra che diventava sempre più
intenso, e costante.
All’improvviso un suono acutissimo, un
sibilo innaturale che squassò i suoi timpani coprendo tutti
i suoni restanti.
La ragazza si voltò, notando un
leggero chiarore sfavillare provenire dall’interno di un
cofanetto di legno.
Frutto dell’Eden uguale Illusione. E
quel detto famoso che faceva “Niente è reale,
tutto è Lecito”? Azzeccato o no ad una simile
situazione?
Kalel gliene aveva parlato tanto: i poteri del
Frutto erano immensi e forse Corrado aveva imparato ad utilizzarne
alcuni, come l’illusione, la personificazione dei morti.
Elena riacquistò il senso dello spazio
e della realtà nel momento in cui una luce accecante le si
parò davanti agli occhi, proveniente dal corpo di suo padre.
Corrado non era riuscito nei suoi intenti,
perché i doni del Frutto gli si erano rivoltati contro. Un
impuro non poteva padroneggiarne la forza, tanto meno un ignorante come
lui che non aveva studiato abbastanza affondo come possederli e
moderarli.
La luce si fece più intensa,
intollerabile agli occhi ed il sibilo proseguiva.
Lentamente, una ad una le figure che animavano
quella stanza si dissolsero come sculture di sabbia travolte dalle onde
del mare. Prima Corrado, poi i suoi uomini ed in fine anche lei, Elena.
Accompagnato da un boato assurdo, il potere
dell’Eden esplose nella stanza.
-Qualcuno può per favore spiegarmi
cosa diamine sta succedendo?!- Alex Viego entrò urlando
dalla sala conferenze. Era senza giacca, con indosso i pantaloni dello
smoking e la camicia bianca. il cravattino nero mal rifatto che gli
pendeva dal colletto.
-Nulla, abbiamo tutto sotto controllo!- rispose
Warren con un accenno di sarcasmo.
L’Animus andava in fiamme. Il
surriscaldamento stava lesionando il circuito di memoria interno e
danneggiando i comandi che non rispondevano.
Lucy, affannata nel mantenere il controllo della
situazione, si spostava di corsa da parte a parte della macchina
digitando codici in sequenza su ciascuno dei piccoli interruttori che
vi erano ai lati del macchinario.
-Santi Lumi- mormorò Desmond
avvicinandosi. –Dobbiamo levarla da qui o Andrea
sarà cotta a puntino tra un paio di minuti- disse.
-No!- Lucy lo fermò in tempo prima che
Desmond potesse afferrare il corpo della ragazza, ancora sdraiata sul
quell’Inferno.
-Sta’ fermo!- gli disse ancora e
riprese il suo lavoro.
-Che sta succedendo?- Alex partecipava
attivamente ai lavori nel laboratorio da un paio di giorni e spesso si
chiudeva nella sala conferenze da solo gestendo lui stesso le
attività politiche e giornalistiche che dovevano restare
all’oscuro di tutto il progetto.
-Quello che non sarebbe dovuto succedere!-
sbottò Warren su tutte le furie.
-Ehi, voglio capire anch’io!-
s’intromise Desmond avvicinandosi a Lucy.
La ragazza prese fiato passandosi una mano sulla
fronte. –Prima di innescare questa sequenza di ricordi
avremmo dovuto caricare nel sistema operativo mnemonico un gene
chiamato “container”. Il Container si attiva quando
nel passato vengono utilizzate le risorse del Frutto
dell’Eden, come in questo caso. Il Container si occupa di
assimilare le energie del Tesoro dei Templari quando queste vengono
sfruttate e ricavarne corrente da impiegare altrove. Ebbene, mi sarei
dovuta occupare io stessa di caricare il programma Container, e le mie
dimenticanze sono la causa di tutta questa merda!-.
-Signorina Stilman, riprenda il controllo di
sé e della macchina!- la rimproverò Vidic.
Lucy abbassò lo sguardo tornando al
suo portatile. –Sì, mi scusi dottore- le sue dita
cominciarono a picchiare agili sul computer.
-Ebbene, tutto qui?- domandò Alex
lanciando un’occhiata al PC della ragazza. –Solo un
sovraccarico?- aggiunse.
Lei annuì.
Desmond indietreggiò. –ed
è grave?- chiese.
-Per niente, ma potrebbe verificarsi
un…- Lucy non terminò la frase che le luci della
stanza saltarono. Poi, all’esterno, anche i grattacieli di
New York si spensero lasciando il mondo in balia del buio della notte.
-Perfetto!- Vidic stava per strapparsi i capelli.
Alex si raddrizzò collerico.
–Senta, dottor Warren, qui l’unico che è
devoto a dare di matto sono io! I miei clienti mi mangeranno vivo per
questo! Per non parlare dei danni all’azienda e alle
questioni ufficiali!- si lamentò.
Non si accesero neppure le luci
d’emergenza, tutto era nero ed uniforme.
Anche l’Animus era improvvisamente
tornato freddo come il metallo di cui era composto. Desmond
percepì un imminente calo della temperatura nella stanza.
Lucy staccò le mani dalla tastiera.
–Ho perso tutto- disse.
-Che intendi?- fece Viego.
-Nulla di grosso, ma mancheranno alcuni ricordi
all’accensione. Diciamo che sono i conseguenti standar per un
calo di energia come questo…- borbottò la donna
sedendosi sulla poltroncina.
-E ora che si fa?- Desmond guardò
Andrea. –Posso toglierla da qui?- chiese.
-Tra poco dovrebbe riprendersi, la lasci pure
stesa sull’Animus, signor Miles- proferì Warren
sospirando. –Stilman, tra quanto tempo potremo ricominciare
il lavoro?- domandò-
Lucy alzò le spalle. –Si
ricorda? L’ultimo calo di corrente registrato
nell’azienda risale a qualche anno fa. È durato un
paio d’ore -.
Non l’avesse mai detto,
perché sia Warren che Alex diedero i numeri.
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Capitolo 29 *** Un vago suono ***
Un vago
suono
Trovò quella situazione alquanto
familiare.
Il buio l’avvolgeva e i lembi della sua
veste bianca galleggiavano nel vuoto. I suoi piedi non avvertivano
alcun suolo su cui poggiarsi, e i suoi capelli erano scivolati fuori
dal cappuccio ondeggiandole davanti al viso.
La sola differenza dalla volta passata che le era
capitato di fare quel sogno assurdo era che non stava cadendo. Il suo
corpo restava sullo stesso piano invisibile e lei poteva voltarsi,
guardarsi attorno mentre i suoi occhi si contendevano
l’oscurità.
Vani ricordi si confusero nella sua mente.
Corrado, Minha e poi l’esplosione del Frutto
dell’Eden. Ah, quanto ci avrebbe goduto se quella dannata
sfera da biliardo si fosse distrutta per sempre! Ma in cuor suo sapeva
che non sarebbe mai potuto succedere. Quel coso era indistruttibile, a
prova di qualsiasi arma, e avrebbe resistito fino alla fine del Mondo e
anche oltre.
Elena percepì la terra comparire sotto
i piedi, e il suo corpo lentamente andò giù, a
posarsi delicatamente con la schiena dritta e le braccia aperte.
-Elena…-.
Chiuse gli occhi e avvertì un dolore
lancinante alla testa.
-Elena!- gridò Altair aiutandola ad
alzarsi.
La ragazza si appoggiò a lui,
stringendo tra le dita la sua veste. –Maestro-
mormorò solo.
L’assassino la prese sottobraccio e
cominciò a correre.
Le campane di Acri tuonavano per la
città, mentre battaglioni di soldati si radunavano nel
cortile della fortezza di Corrado.
Elena ebbe solo il tempo di vedere la sala dalla
quale Altair si stava allontanando sopraffatta dalle macerie e,
adagiato a terra in procinto di alzarsi, vi era Corrado.
-Prendeteli! Stanno scappando!- gridò
il sovrano sfoderando la spada, ma Altair svoltò in una
delle stanze del corridoio.
-Forza, vai!- le disse spaccando i vetri della
finestra.
La camera era uno studiolo affidato al
mantenimento di carte geografiche, impilate a mo’ di
pergamene negli scaffali. –Avanti, muoviti!- gridò
ancora il suo maestro spingendola fuori dal vetro rotto.
Elena, punta dall’improvvisa ventata di
aria gelida, si riebbe in fretta dal suo stato semi-cosciente. Si
voltò e cominciò ad arrampicarsi sulla parete,
utilizzando gli appigli possibili.
Altair le venne dietro e nella metà
del tempo le fu accanto, proseguendo fino al tetto
dell’edificio.
I due assassini si issarono sui bastioni della
fortezza e furono a portata degli arcieri.
-Via, via, via!- Altair
l’afferrò per il cappuccio e la
trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza,
che culminava con una torre, la quale facciata dava
sull’immenso piazzale del distretto nobiliare.
Rashy vegliava su di loro dall’alto
delle nuvole, e il suo grido si levò nella notte.
-Eccoli!- gridarono i soldati che venivano di
corsa verso di loro, mentre gli arcieri li scagliavano contro le prime
frecce.
Ad illuminare i corridoi delle mura
c’erano dei bracieri e Altair, con forza disumana, ne
rovesciò uno impedendo così il cammino agli
uomini di Corrado.
Dal cortile del forte, Corrado guardava verso di
loro e indirizzava i suoi uomini a difesa delle vie d’uscita.
La gente scappava per tutte le direzioni, mentre stormi di colombi si
sollevavano in cielo spaventati da quel frastuono. Acri era nel caos.
Elena si arrampicò sui bordi della
torre e rimase in equilibrio sul muretto. Si sporse dal margine e, nel
momento in cui il vento soffiò su di lei con violenza, colse
un cesto di paglia adagiato proprio sotto di loro.
-Salta!- Altair la spinse giù e i due
assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si
gettarono nel vuoto.
Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a
sé, ed Elena si avvinghiò a lui che,
capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto.
Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle
campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida
degli arcieri erano cessate.
-Mi dispiace, io…- cominciò.
-Fa’ silenzio!- lui le tappò
la bocca. –Non è il momento…-
mormorò, ed Elena percepì il suo fiato sulla
fronte.
Erano nascosti tra la paglia: il suo maestro era
steso per lungo sul fondo del carro e lei gli era completamente sopra.
Non sapeva quanto il loro nascondiglio avrebbe retto in scena, ma ad
Elena tremavano ancora le gambe per il salto di almeno una ventina di
metri che avevano appena fatto, atterrando per di più in un
fragile carretto di paglia! Era assurdo, assolutamente e dannatamente
assurdo che non riportassero ferite alle ossa di alcun genere, eppure
erano salvi.
Dovevano aspettare che la situazione si calmasse,
magari avrebbero pazientato fin quando le campane non avessero smesso
di suonare, ma sarebbe stato pressoché impossibile prima di
qualche ora.
Elena appoggiò la testa al suo petto,
rilassando i muscoli del collo, e l’assassino
l’adagiò più comodamente su di lui,
stringendola per i fianchi piuttosto che per le ginocchia.
-Il modo in cui vi siete gettato dalla
torre…- sussurrò lei. –mi piacerebbe
imparare- disse col sorriso.
-Il volo dell’aquila- rispose lui al
suo orecchio. –vecchio trucchetto del mestiere- aggiunse
altrettanto allegro.
Il respiro di lei si fece regolare, e quel
momento stava diventando particolarmente rilassante e piacevole. Elena
percepiva il calore del corpo del suo maestro anche attraverso gli
strati della veste, e fu cullata da quel tepore costante. Pareva che la
paglia avrebbe potuto prendere fuoco da un momento all’altro,
perché Altair era una vera e propria stufa umana. Un
caminetto sempre acceso, la luce che sempre riluceva. Non aveva idea di
come si sarebbe sdebitata per averla tratta in salvo dalle grinfie di
Corrado, che ci mancava poco che la portasse dalla sua parte.
Oltre all’aria che mancava, sotto quel
cumulo di paglia era impossibile scorgere oltre il proprio naso, ma i
loro volti erano talmente vicini che questi quasi si toccavano.
Elena non riuscì a contenersi allungo,
e all’improvviso percepì le guance esploderle
dall’imbarazzo. Forse era ora di andare? Sperò
tanto di no, ma le campane cessarono il loro frastuono proprio in
quell’istante.
-Potrebbe essere una trappola; tu resta qui, vado
avanti io…- l’assassino
l’adagiò di lato e saltò fuori dal
carro con agilità.
Elena rimase sola nel silenzio tra il fieno, e il
freddo tornò a pungerle il corpo.
Attese poco, perché una mano si
strinse attorno al suo polso e la tirò via dalla paglia.
La ragazza atterrò sulle mattonelle
della strada attutendo l’impatto con un movimento delle
ginocchia, e Altair le lasciò il braccio. –Tutto
bene?- fece preoccupato.
La ragazza annuì. –Voi?-.
-Non nuoce. Ora andiamo…-
s’incamminò ed Elena gli andò dietro.
Si arrampicarono sulla prima scala che
incontrarono sul tragitto, perché le strade erano
pattugliate da un numero infinito di soldati.
Saltarono da un tetto all’altro
silenziosi come gatti; quando incontravano degli arcieri, il suo
maestro era il primo a sbarazzarsene restando presto a corto di pugnali.
Raggiunsero la Dimora in ritardo rispetto ai
tempi abituali, perché avevano avanzato con la massima
cautela o lì ci rischiava tutta la confraternita.
Elena si piegò dal dolore atterrando
nella stanza della Dimora, e Hani fu il primo ad accorrere.
-Ele…- non terminò che
Altair comparve dietro di lei, e il ragazzo indietreggiò
proferendo un inchino.
Il muscolo del polpaccio destro si era strappato
e il legamento della caviglia aveva forse ceduto, perché
avvertiva un dolore lancinante in entrambi i punti.
Altair l’aiutò a sedersi tra
i cuscini e al comitato di accoglienza si aggiunse il Rafik.
-Ho pregato perché tornaste entrambi
vivi- confessò il vecchio. –Ma sei riuscito a
prenderlo?- domandò.
Elena sobbalzò, ignorando le lesioni e
guardando stupefatta verso il suo maestro.
Da una delle sacche posteriori attaccate alla
cintura, Altair trasse una sfera dorata luminosa di una luce propria, e
la Dimora acquistò dei colori tutti nuovi.
-Sì, ma Corrado vive ancora- disse
l’assassino.
48 ore più tardi…
Hani spostò il cavallo di tre caselle
avanti e una destra, intrappolando in una morsa mortale la sua regina.
Elena sbuffò.
-Dannato!- digrignò la ragazza.
L’assassino sorrise divertito.
–Hai perso allentamento mentre eri prigioniera di Corrado?-
fece sarcastico.
Elena si strinse nelle spalle. –Non
credo di aver passato lì così tanto tempo-
borbottò.
-Invece ti sbagli, è trascorsa
sì o no una settimana. Alla fine Altair non ha retto
più ed è venuto a cercarti!- sbottò
lui.
-Davvero?…- alzò gli occhi
azzurri, piantandoli in quelli verdi del giovane.
Lui annuì. –Da quanto mi
è dovuto sapere, quando Corrado ha attivato i poteri del
Frutto per trarti in inganno, il tempo nella finzione scorreva
più velocemente per tutti coloro che ne erano avvalsi-.
-Quindi mi sono persa una settimana di vita?-
sbottò lei spostando una pedina avanti.
-Mi sa…- Hani
divorò il pedone con l’alfiere.
Dalle finestre che affacciavano sulla piazza
entrava una gran confusione di passi, chiacchiere e versi di animali.
Doveva essere in corso una bella maratona di bancarelle, dopo tutto era
una nuvolosissima mattina di domenica.
Il Rafik intinse la penna
nell’inchiostro, ammirando la sfera che brillava adagiata nel
cofanetto davanti a lui.
-Non disponiamo dei mezzi per tenere qui il
Frutto dell’Eden ancora per molto. Possiamo aspettare che il
maestro invii i Falchi, oppure potreste partire in anticipo di qualche
giorno- disse il vecchio.
Altair si appoggiò al bancone.
–La leggo come la soluzione migliore. E sia-.
Il vecchio chiuse il libro sul quale stava
scrivendo. –Preparate ogni cosa, e siate cauti nel vostro
viaggio- sospirò grave. –Ho il sospetto che
Corrado sarà alquanto indispettito dalla sua
mancanza…- borbottò rimettendo il testo nella
libreria alle sue spalle.
Elena si alzò. –Andiamo?-
chiese.
Altair si avviò e lei lo intese come
un sì.
-Allora- Hani si sollevò lentamente.
–Stammi bene, ti aspetto qui- le sorrise.
Elena gli porse la mano e i due assassini se la
strinsero con forza. –Aspettami vivo, però. Voglio
la rivincita- rise lei.
Hani mollò la presa e fece un passo
indietro, proferendo un piccolo inchino. Poi Elena si voltò
salutando il Rafik.
Questo chiuse il cofanetto di metallo e
sigillò la serratura. Le porse la scatola che era poco
più grande del suo pugno. –Sii prudente- le disse.
Elena ricevette dal vecchio anche la chiave della
scatola. –Tu prendi questa, e affida al tuo maestro il
Frutto. Così, se qualcosa dovesse dannatamente andare
storto, Corrado non potrà avvalersi di uno senza
l’altro oggetto-.
Elena si cacciò la chiave in una delle
sacche della cintura. –Non temete; difenderò
entrambi con la vita- proferì austera.
Il Rafik tornò a sedersi.
Un’ultima occhiata ad Hani che le
arrideva sereno, ed Elena lasciò la Dimora.
-Non possiamo passare di lì- Altair
indicò le mura del distretto povero, dove sorgeva
l’ingresso principale della città.
–Corrado avrà messo più uomini
lì di quanti non ne abbia uccisi io in tutti i miei
incarichi- aggiunse.
Erano sulle rovine di una vecchia chiesa.
Più precisamente tra le macerie dell’antico
campanile, e la vista da là sopra spaziava per tutta Acri.
Elena si strinse nelle spalle quando una ventata
gelata le sollevò i lembi della veste. –Credo che
Corrado abbia messo altrettanti uomini agli ingressi secondari,
maestro- disse.
-Non lo nego…- Altair
allungò lo sguardo nelle varie direzioni, cercando di
cogliere la strada più rapida e indolore per attraversare
Acri. Sopra le loro teste Rashy compiva cerchi perfetti tra le nuvole.
Elena si appoggiò a quello che restava
del muro, nascondendosi al meglio nell’ombra del cappuccio.
-C’è qualcosa che non va?-
domandò Altair senza voltarsi.
-No, no… solo…-
mormorò. –un brutto presentimento, ecco. Uno dei
tanti…-.
Il grido di Rashy si perse nell’aria, e
il suo maestro lo intese come un segnale di via libera.
–Andiamo- le disse calandosi giù dalla torre.
Elena si scostò dalla parete e, prima
di seguirlo, i suoi occhi colsero il bagliore dorato che proveniva
dalla tasca della cintura del suo maestro. Sperò che quel
chiarore si attenuasse al più presto, o qualsivoglia guardia
avrebbe potuto notarlo.
Una volta in strada, i due assassini si divisero
intraprendendo due vie diverse ma che si sarebbero ricongiunte alle
porte ovest della città, ove Altair aveva individuato il
minor numero di uomini di Corrado.
-Non fare stupidaggini- le aveva detto tirandola
per un braccio.
-Così mi offendete- aveva risposto lei
sorridendo.
Lui aveva annuito ed era scomparso nel buio di un
vicolo.
Elena si voltò dalla parte opposta e
intraprese il percorso.
Svoltò in una piazza desolata e stava
per deviare, quando alle sue orecchie colse un grido: -Aiuto! Non ho
fatto nulla! Vi prego! Qualcuno intervenga!-.
E delle voci pressoché riconoscibili:
- Sta’ ferma, ladra!- fece la prima guardia.
-Ti insegno io a rubare!- sbottò un
altro soldato.
Elena si arrampicò agilmente sul tetto
di un’abitazione e si sporse nella strada accanto. Sotto di
lei c’era un gruppetto compatto di quattro uomini che
circondavano una povera donna. Due di loro le mettevano le mani addosso
ridendo divertiti, mentre i due restanti controllavano la situazione
con le braccia incrociate.
La ragazza strinse i denti. Odiava quel genere di
violenza.
Una sua mano corse ai pugnali da lancio sulla
spalla, ma si fermò. Se qualcosa fosse andato storto non se
lo sarebbe mai perdonato, perché anche se era lei a
custodire un’inutile chiave e il suo maestro il Frutto,
rischiava di fare saltare la copertura di Altair a causa delle sue
azioni sfrontate.
Ma quella donna aveva bisogno d’aiuto,
implorava ai passanti di fare qualcosa, ma questi erano ciechi e si
allontanavano senza voltare più gli occhi.
-Aiuto!- gridava la ragazza.
-Ladra!- dicevano i soldati.
Basta, non l’avrebbe tollerato oltre!
Il pugnale da lancio partì, colpendo
in pieno volto uno dei due uomini che la stavano violentando. I due di
guardia si girarono, attoniti, e sfoderarono le armi.
Elena calò nella strada con un balzo,
e atterrò saldamente. Sfoderò la spada corta e,
prima che questi potessero accorgersi di lei, scagliò un
secondo pugnale che colpì in pieno cuore un altro cavaliere.
-Assassino!- sbottò un soldato che
comparve alle sue spalle e si unì al combattimento.
A quelle parole, si levarono gli urli della folla
che correva da tutte le parti.
Elena prese un gran respiro e ingaggiò
il duello.
Schivò di lato ed evitò un
poderoso colpo sulla schiena. Con un rapido movimento del polso
disarmò il suo avversario, lo afferrò per la
maglia e lo scagliò addosso alla parete.
La donna alla quale era corsa in aiuto si teneva
le mani sul viso e si era rannicchiata a terra in un angolo, tremante.
Elena evitò di striscio la lama del
nemico che puntava alle sue gambe, e roteò su se stessa per
andare a colpire in petto lo stesso che aveva tentato di abbordarla.
Questo si accasciò al suolo quando la ragazza estrasse la
lama, che per metà gli era entrata in corpo.
Con un ghigno, l’uomo che Elena aveva
scaraventato al muro, si era alzato e aveva afferrato la spada del
compagno caduto. –Muori!- gridò balzando
verso di lei.
Elena indietreggiò con un saltello, il
cavaliere si sbilanciò in avanti e la ragazza lo
rigettò a terra con un calcio.
Il cavaliere armato restante tentò con
un affondo di sorpresa dietro di lei, ma Elena si chinò
sulle ginocchia, roteò e gli aprì uno squarto
enorme sul fianco. L’uomo cadde in ginocchio,
lasciò la spada e chiuse gli occhi portandosi una mano al
sangue che colava dalla ferita.
Elena lo pugnalò sulla schiena e il
suo corpo si rovesciò inerte in una pozza purpurea.
Il suo ultimo avversario le fece scivolare la
lama a pochi millimetri dal fianco, ed Elena si trovò in
difficoltà, stretta tra la parete e delle casse tra cui la
gabbia di alcune galline.
Parò il colpo e la spada del crociato
scivolò sulla piccola lama producendo sottili scintille.
Elena si chinò e, avanzando di mezzo passo perché
la situazione si faceva stretta, ruppe la guardia del nemico, entrando
tra le sue braccia.
Capovolgendo la presa sulla spada corta, Elena lo
infilzò con precisione tra due costole.
Il soldato perse la luce dagli occhi ed Elena si
scansò, lasciando che questo cadesse lentamente verso terra.
Quando fu certa che nessun altro
l’avrebbe minacciata, Elena si avvicinò alla dona
rinfoderando l’arma e l’aiutò ad alzarsi.
-Grazie… grazie!- la povera le strine
le mani attorno alla sua. –Non so come ringraziarvi, sul
serio! Grazie!- le disse.
Elena allungò le labbra in sorriso,
prendendo fiato. –è stato un dovere, non
disperarti- seppe solo dire.
-Oh Dio!- sentì una voce di uomo, ed
Elena si voltò sguainando la spada.
-Selena, eccoti! Finalmente!- il popolano
abbracciò la donna che aveva salvato ed Elena si fece da
parte rinfoderando l’arma.
I due si tennero stretti allungo. –Sto
bene, fratello- disse lei a tra le braccia del familiare.
-Quando mi sono accorto che eri
scomparsa…- il ragazzo la notò, ed Elena fece per
andarsene.
-Ferma! Aspetta- la chiamò
l’uomo.
Elena rallentò, si fermò
poi tornò indietro. –Mi spiace, vado di fretta- si
diede della stupida. Che cosa pretendeva da loro restando lì
ad accogliere ringraziamenti?
-Mi ricorderò del modo in cui siete
vestita, e quando vi vedrò passare per questo distretto io e
i miei amici vi saremo utili. La vita di mia sorella è tutto
quello che mi resta- accarezzò i capelli della donna.
–Grazie, ancora- mormorò stringendosi a lei.
Elena accennò un inchino, e il suo
sorriso si fece malinconico… forzato.
Fratello… pensò.
Con la coda dell’occhio
l’assassina scorse una guardia venire verso di loro con la
spada alla mano.
–Presto! Andatevene!- le disse il
ragazzo.
Elena cominciò a correre e
sparì nel buio di un vicolo.
-Eccolo!- gridò la guardia seguendola.
–Ti ho visto, bastardo!-.
Il ragazzo si staccò dalla sorella e
fece lo sgambetto al crociato, che rotolò a terra e la spada
gli volò di mano.
-Non avresti dovuto!- ringhiò
alzandosi.
-Marcus, andiamo via!- la donna tirò
il fratello per la manica e i due scapparono verso casa.
Le campane di Acri la colsero alla sprovvista, ed
Elena, per lo stupore, lasciò la presa dal cornicione,
andando a cadere di schiena.
Si sollevò dolorante massaggiandosi
una spalla e prese a correre.
-Prendeteli!- gridò un arciere
dall’alto, puntandole l’arco contro.
Dietro di lei comparve il suo maestro, che la
strinse per il braccio e la trascinò ad
un’andatura più svelta della corsa.
-Ti avevo avvertita di non fare stupidaggini!- le
ringhiò contro.
Elena per poco non inciampò, ma Altair
la teneva con forza e riuscì a tirarla su. –Mi
dispiace!- gemé riacquistando l’equilibrio.
Andavano dritti verso l’arco in pietra
che li separava dalle mura della città, e poi liberi nel
regno!
C’era un piccolo particolare,
precisamente alle loro spalle:
Erano due, a cavallo, con le spade alle mani e i
talloni che spronavano i destrieri ad una corsa folle.
-Corri! Avanti!- le intimava Altair senza
lasciarle il polso.
C’erano quasi.
I due cavalieri si avvicinavano, ma le loro
cavalcatura avevano difficoltà a spostarsi per le strade.
Era stata una vera furbata quella di Corrado: mettere le guardie a
cavallo a controllare gli ingressi! Maledetto… si disse.
-Maestro!- gridò Elena quando
sentì qualcosa afferrarla per la vita mentre la presa di
Altair si allentava di colpo, e il cavaliere di Corrado la
issò sulla sella.
-Presa!- rise quello fermando l’animale
all’istante.
Elena provò a divincolarsi cominciando
a scalciare, ma il crociato le teneva i polsi e la minacciava con la
spada alla gola. –Sta’ un po’ ferma!-
borbottò premendo la lama sulla sua pelle.
Elena aveva gli occhi al cielo grigio, ma
avvertì lo stesso quel sibilo fantastico che correva in suo
aiuto ogni qual volta ne aveva bisogno!
Il cavaliere scivolò dalla sella senza
vita e si accasciò a terra, ed Elena si resse al collo
dell’animale.
Il suo maestro montò al posto di
questo e prese le redini. –Tieniti!- le disse aiutandola a
sistemarsi dietro di lui.
Elena si strinse alla schiena di Altair, che
spronò il cavallo e si diresse all’uscita dalla
città.
Nella piazza accorsero una dozzina di uomini che,
assieme agli arcieri, li intimarono contro di fermarsi.
Varcarono la soglia di Acri e una coltre di
polvere li accompagnò galoppando sulla strada sterrata. La
gente si scostava dal loro cammino, ma proseguivano lo stesso troppo
lenti.
Elena avvicinò il volto
all’orecchio del suo maestro. –Ci stanno
raggiungendo!- gli gridò.
-Lo so! Lo so!- rispose lui svoltando e facendo
saltare una staccionata al cavallo.
Li erano addosso una decina di cavalieri, mentre
gli uomini a piedi avevano rinunciato da un pezzo. Ma quei pochi che
erano minuti di una cavalcatura accorciavano la distanza ogni dieci
secondi di un metro e più.
Elena sapeva che erano troppo pesanti per poter
raggiungere destinazione su un solo cavallo. O meglio, sarebbe bastato
ancora qualche chilometro e poi l’animale si sarebbe contorto
dalla fatica.
Voltandosi, pensò che il suo maestro
avrebbe potuto proseguire anche senza di lei,
così…
-No!- sbottò Altair afferrandole una
gamba, bloccandola dov’era –Non devi farlo!- disse,
avendo compreso le sue intenzioni.
-Maestro, siamo troppo…-.
-Ho detto di no! Tu non vai da nessuna parte,
chiaro?!- le gridò spronando ancora il destriero.
Elena si voltò, di nuovo. I cavalieri
di Corrado potevano quasi ascoltare cosa si stavano dicendo per quanto
erano vicini.
-Avanti, prendiamoli!- disse uno.
-Sono nostri!- gioì un altro.
Elena si concentrò: doveva pensare ad
un modo veloce ed efficace di sbarazzarsi dei loro inseguitori, o
avrebbero fatto una brutta fine.
Stavano attraversando al galoppo un crepaccio che
prendeva diverse ramificazioni e alle loro spalle i nitrii dei cavalli
e le urla dei soldati rimbombavano come il suono del mare in una
conchiglia. A proposito di mare… l’oceano era una
linea indistinta distante, dove la costa terminava a picco con una
scogliera cosparsa di abitazioni. Quella era Acri, una città
arroccata sulla spiaggia di roccia, con le sue navi e le nuvole perenni
sopra i suoi tetti.
Elena strinse con più forza le gambe
attorno ai fianchi del cavallo, assicurandosi la
malleabilità delle mani. Un’idea
l’aveva, ma era improbabile che funzionasse. Corrado non era
riuscito nel suo intento, come poteva lei solo sperare in quello che
aveva pensato?
Non c’era altro modo, si disse,
allungando una mano alla cintura del suo maestro.
-Cosa stai facendo?!- disse Altair acchiappandole
il polso.
-Fidatevi di me!- rispose Elena, e con maggior
prontezza aprì la sacca nella quale era contenuto il
cofanetto di metallo. Con le dita corse alla chiave tenuta nella sua
cintura e, in breve, allentò la serratura della scatola.
-Elena! Non…- cominciò il
suo maestro.
-Ma che avete capito?! Non voglio darglielo, io
posso provare a…- non terminò di dire, che il
cavallo s’impennò spaventato da una freccia che
andò a conficcarsi nel terreno davanti a loro.
Il cofanetto aperto le sfuggì di mano,
volando per aria.
-No!- fece lei quando gli zoccoli del cavallo
tornarono a terra e il Frutto dell’Eden rotolò nel
selciato.
I cavalieri alle loro spalle li circondarono,
mentre gli arcieri li puntavano dall’alto del crepaccio.
Erano spacciati, si disse…
-Avanti, addosso!- ruggì un cavaliere
alzando la spada al cielo.
-Ammazziamoli!- digrignò un altro.
Elena lanciò un’occhiata
alla sua sinistra, dove precisamente il Tesoro dei Templari era.
La sfera dorata brillava celata tra gli arbusti,
la chiamava, e se non avessero fatto qualcosa alla svelta, i loro
nemici se ne sarebbero presto accorti.
Altair fece impennare il cavallo diverse volte,
nel tentativo di spaventare quelli degli uomini di Corrado, ma nulla da
fare.
Elena scivolò dalla sella e
atterrò con una capriola.
-Sta scappando!- gridò un crociato.
La ragazza si alzò e
s’infilò nella fessura che c’era tra due
cavalieri. Con uno scatto, le sue gambe si diressero di corsa verso la
sfera.
-Il Frutto!- un cavaliere fece voltare il cavallo
e le andò dietro. –Fermatela!- aggiunse.
Elena corse a perdifiato, allungò le
braccia, si diede una spinta e, con un balzo, si lanciò
sulla sfera, toccandola con un dito.
In quel momento il tempo si arrestò,
rallentando il suo scorrere infinito.
I cavalieri alle sue spalle galleggiavano in una
nube di polvere, Altair la guardava a denti stretti, la sfera brillava
di una luce accecante, e le sue mani arrestavano quel brillare
intollerabile avvolgendola.
Elena trattenne il fiato, spalancò gli
occhi e pregò solo che funzionasse.
Un boato assordante rimbombò tra la
roccia.
Altair si portò le mani alle orecchie,
cadendo da cavallo.
Altrettanto fecero i cavalieri, che si
rovesciarono al suolo ansimando nel selciato.
L’assassino si piegò in
ginocchio e alzò gli occhi.
Al botto si sostituì presto un sibilo
acuto, che a sua volta copriva ciascun suono: quale quello degli
zoccoli dei cavalli sbizzarriti e dei loro nitrii, le urla strazianti
dei soldati e i lamenti del giovane al solo sopportare quel lungo
fastidio che solleticava l’udito. Tutto era silenzioso, e di
sottofondo questo fruscio costante.
Altair fece solo in tempo a distinguere il corpo
di Elena sospeso a mezz’aria che brillava di una luce
accecante, quando una vampata cristallina e rilucente di fiotti dorati
avvolse la valle, espandendo i suoi raggi d’oro per tutto il
Regno.
Il sibilo crebbe
d’intensità, fino a divenire intollerabile. Solo
all’ultimo, quando l’assassino si piegò
a terra straziato da quel suono, la luce si riavvalse della sua fonte,
contorcendosi in forme assurde pur di rientrare nella sfera che Elena
teneva tra le mani.
L’assassino si alzò a
fatica, tenendo premuti i palmi sulle orecchi. –Elena!-
gridò.
Il suo corpo vagava nel buio, i suoi occhi si
perdevano nell’oscurità e i suoi piedi non
toccavano terra.
Si guardò le mani, che avvertiva
scottare, e notò un leggero e luminoso chiarore su di esse.
Che cosa stava succedendo? Era svenuta di nuovo?
Oppure era morta?
Il fatto che le brillassero i palmi la metteva un
po’ a disagio. Forse… il suo piano aveva
funzionato? Era riuscita ad attivare il potere del Frutto
dell’Eden e ora toccava a lei controllarlo.
Così si ricordò di aver
pensato ad un modo veloce ed efficace di sbarazzarsi della gentaglia
che minacciava lei e il suo maestro. Si concentrò, e la luce
sulle sue mani aumentò notevolmente, fino a mostrare il
mondo per come realmente era: aprico e vivo.
Quando la luce nelle sue mani andò a
sovrastare la valle, investendo come l’onda del mare le
pareti di roccia e la terra, con i suoi rispettivi abitanti, Elena
strinse con più vigore la sfera.
Schiuse le palpebre, e le sue iridi azzurre
assunsero una sfumatura dorata e magica.
In fine, il potere di Dio scivolò
dalle sue mani, e la ragazza si rovesciò a terra
pesantemente, priva di sensi.
Il suo corpo vagava nel buio, i suoi occhi si
perdevano nell’oscurità…
-Elena!- gridò Altair alzandosi e
correndo da lei.
La ragazza era stesa al suolo, nascosta tra gli
arbusti, e il Frutto dell’Eden brillava accanto a lei.
L’assassino si chinò sulla
sua allieva e le ascoltò il battito del cuore, che era
appena percettibile.
Incredibile, quello che era riuscita a fare era
incredibile: i corpi degli uomini di Corrado erano stati scaraventati
lontano, chi sbattuto contro la roccia del crepaccio e chi volato a
metri e metri dal punto in cui Elena aveva sprigionato tutto il Potere
del Frutto.
Altair afferrò la sfera e la
sistemò nella sacca della cinta, si caricò la
ragazza in spalla e si avviò al cavallo vivo più
vicino. Montò in sella e fece sedere la sua allieva davanti
a sé.
Elena sembrava dormire, perché come
sonnambula le braccia della giovane assassina si strinsero al suo
petto.
Per riprendersi da quello che era successo le
sarebbero servite ben oltre che le ore di riposo quotidiane, e Altair
poteva solo immaginare cosa la mente della ragazza avesse sfiorato
nell’utilizzare quell’oggetto tanto…
occulto.
Ancora non riusciva a crederci.
Gli bastò fidarsi del fatto che erano
salvi, le guardie di Corrado non li avrebbero più
infastiditi e avevano il Frutto dell’Eden con sé.
Elena si riebbe lentamente.
Prima acquistò la certezza che fosse
sdraiata su qualcosa di morbido e caldo, poi che era avvolta in una
coperta soffice ed in fine che la sua testa era poggiata su un cuscino
che si adattava perfettamente alla forma del suo cranio.
Insomma, non era mai stata così
comoda, ma dopo quello che aveva passato, anche dormire per terra le
sarebbe parso “comodo” e
“confortevole”.
Come seconda cosa, riuscì a stringere
il pugno sotto le coperte di entrambe le mani. Percepì di
avere ancora tutte e due le gambe e di trovarsi, di conseguenza, nel
suo corpo.
Come terza ed ultima, aprì gli occhi.
Era in una stanza buia e ristretta. Sul comodino
accanto al letto brillava una candela che diffondeva il suo tenue
calore e colore nel locale. C’era una finestrella che dava su
un cortile nel quale pascolavano dei cavalli, e sopra la terra si
stagliava il cielo stellato.
Quando si voltò, Elena scorse due
occhi castani flettere la luce nell’oscurità.
Il suo maestro si alzò e le vene
affianco. –Come ti senti?- le chiese soave.
Elena si sollevò sedendo sul
materasso. –Bene, sul serio…- mormorò.
–Mi sento davvero bene- sorrise.
-Ne sei sicura?- chiese l’assassino
afferrando il cuscino dietro di lei e sprimacciandolo, per poi
sistemarlo addossato alla parete.
Elena vi poggiò la schiena.
–Grazie, ma sto bene- ripeté quasi seccata.
-Fame? Sete?- insistette lui.
-Forse… un po’
d’acqua, quella sì- rise.
Altair si chinò a raccogliere da terra
una borraccia e gliela porse.
Elena la stappò lentamente e
cominciò a bere.
Finì e gliela restituì.
–Dove siamo?- domandò.
-Nel Regno, in una della sue Dimore. Ancora due
giorni e saremo a Masyaf; abbiamo ritardato già abbastanza-
Altair si allontanò e sedette sul secondo lettuccio della
stanza.
Elena si guardò attorno e
trovò con lo sguardo quello che cercava: la sfera che,
nonostante fosse avvolta da una moltitudine di panni di diversi colori,
continuava a brillare e ad illuminare le tegole sulle quali are
poggiata.
-Dimenticherò con
difficoltà quello che è successo…-
sospirò ad un tratto il suo maestro.
Elena si voltò, guardandolo confusa.
–Dimenticare? Perché? Non ho agito come avrei
dovuto, e lo so! Ma mi era parso l’unico modo,
insomma… rischiavano di raggiungerci! E voi non volevate che
vi lasciassi proseguire senza di me! Se fossi scesa da cavallo e li
avessi rallentati, a questo punto la situazione non sarebbe differente,
solo per il particolare che io non sarei qui! Quando Tharidl lo
verrà a sapere credete che mi punirà? E Adha, lei
mi farà la solita ramanzina…-.
Alla parola Adha Altair sembrò
irrigidirsi.
Elena proseguì: - se il Frutto
tornasse a Masyaf, Corrado potrebbe tentare di nuovo di strapparcelo
via! E sono certa che il vecchio Maestro non sceglierà di
nuovo me!… Mmm…Comunque, se ne siete interessato,
non è stato difficile fare quello che ho fatto! Anzi, vi
confesso che potrei ripetere tutto da capo, anche col doppio degli
uomini da abbattere! A dirla tutta, è stato
divertente… e poi per nulla faticoso!… -.
-Elena, hai dormito per due giorni di fila. Come
puoi pensare che non sia stato faticoso?- borbottò
l’assassino.
-Due giorni?- mormorò, stupefatta. Da
non credere, era il suo record personale senza l’utilizzo di
alcun farmaco. Non sapeva perché, ma cominciò a
sorridere.
-Cosa ci trovi di tanto divertente?-
sbottò il suo maestro.
Lei lo fulminò con
un’occhiataccia. –Ammettetelo, maestro- disse.
-Cosa?- fece lui.
-Non volete ammettere che le mie azioni sono
state stupefacenti e alquanto abili. Non è cosa da poco
controllare il poteri del Frutto, posso solo immaginare come vi
sentiate inferiore a me in questo momento…- si
beffò la ragazza.
Altair alzò un sopracciglio, e dopo
poco scoppiò in una fragorosa risata. –Io
invidioso… di te? A controllare quell’aggeggio
sarebbe capace chiunque, basta solo tanta crudeltà e
parecchia collera! Ecco come sei riuscita a sbarazzarti di tutti quelli
uomini! Eri forte nella convinzione che almeno uno di loro avesse
partecipato all’assassinio di tuo padre!-
pronunciò con rabbia.
Quelle parole le causarono un dolore immenso,
soprattutto se pronunciate dalla persona di cui in quel momento sentiva
di fidarsi di più.
La ragazza curvò le spalle e si
voltò dalla parte del muro, appoggiandosi ad esso e tornando
sotto le coperte.
-Non volevo nuocerti- disse Altair. –Ma
devi ammettere che è così-.
-Non ammetto un bel niente- brontolò
Elena.
Altair si alzò e uscì dalla
stanza.
La ragazza gli volse un’occhiata appena
prima che si chiudesse la porta alle spalle, poi richiuse gli occhi e
cercò di riprendere sonno.
_____________________________________
Scrivendo questo capitolo ho battuto il mio
record: ci ho impiegato troppo, più di 3 giorni e mi
odierò per il resto della mia vita per questo.
C’è anche da aggiungere che
ho dovuto scrivere da capo parecchi atti di questo chappo,
perché avevo in mente la fuga di Elena e Altair da Acri in
diversi modi e alla fine ho sorteggiato quello più
“assurdo e stupido”.
Dunque, che dire? Non mi viene in mente nulla se
non i ringraziamenti.
Saphira87
goku94
Lilyina_93
Assassin e
Diaras (non si vedono e non si sentono)
Angelic Shadow
(spero che il tuo PC si rimetti presto, perché vorrei tanto
sapere che cosa ne pensi tu della mia fiction!!! @__@)
X
Saphy: eh, sì. Desmond è soggetto a
quel tipo di sindrome: si sente tanto solo lì,
così ha abbordato con il primo giocattolino di passaggio. In
questo capitolo avrei dovuto aggiungere qualche scena del presente, ma
ho sentito necessario (arrivata alle 10 pagine) di aggiornare.
X
goku94: sono contenta che nonostante gli orribili capitoli
iniziali, tu abbia continuato a leggere la mia fiction! ^__^ grazie.
X
Lilyna: sìsì, hai inquadrato bene
Minha. Ecco, lei era l’unico particolare vero
dell’illusione di Corrado. Il resto (papà di
Elena) era tutto frutto del Potere del Tesoro dei Templari.
P.S.
Come avrete notato (oppure no) la mia storia ha
perso magicamente un capitolo (da 29 a 28, ma con questo nuovo chappo
siamo di nuovo a 29). Ebbene, no, l’ho semplicemente
inglobato a quello precedente perché spezzettavo troppo la
trama e comunque ho anche revisionato alcune parti dei miei scritti,
cacciando via gravosi errori e parole ripetute.
Dannatamente, mi sono accorta troppo tardi che
quel capitolo conteneva due delle più meravigliose
recensioni… ç__ç mi spiace, chiedo
perdono a Spahira87 (proprietaria di una delle due recensioni) e a non
mi ricordo chi… credo Agelic, vabbé,
insomma… scusate!!! Ç___Ç
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Capitolo 30 *** La follia ***
La
follia
Il sole splendeva nell’alto del cielo azzurro. Gli uccelli
canticchiavano ai lati della strada, giocando a rincorrersi e
appollaiandosi sui rami degli ulivi, scossi da una leggera e appena
palpabile brezza, residuo delle correnti d’estate.
Una rara giornata calda degli inizi dell’inverno, si disse
Elena accorciando le redini e portando il cavallo ad
un’andatura più svelta del trotto.
Il suo maestro gli era davanti e si voltava spesso a controllare
più che altro che la sua allieva non fosse distratta,
perché stavano attraversando una zona azzardata del Regno:
il confine tra i territori crociati e saraceni era segnato da molti
avamposti di entrambe le fazioni.
-Hanno… paura?- mormorò Elena affiancandosi
all’assassino e guardando sconvolta come nessun arciere osava
puntarli contro una freccia una.
-Perché non dovrebbero? Sicuramente avranno ricevuto notizia
in questi giorni da Corrado stesso. Sono certo che molti di loro hanno
visto chiaro cosa possiamo fare e abbiamo fatto
ultimamente…- rise lui alzando il mente fiero.
-Quello che “abbiamo” fatto?- sbottò la
ragazza.
Altair sbuffò. -Ancora non ti entra in testa? Vantarsene non
è buona cosa, piuttosto stammi vicina- spronò il
cavallo e partì al galoppo.
Elena lo seguì e in breve la strada sterrata li condusse in
un centro abitato.
Le piccole casupole erano arroccate ai piedi di un pendio roccioso,
sopra al quale spiccava una torre controllata da saraceni.
Questi avevano un’ottima visuale di tutta la valle da
là su, ma Altair ed Elena non temevano il fatto che li
avrebbero riconosciuti.
Era il Frutto: Elena era riuscita a sbaragliare un battaglione intero
di cavalieri col suo potere e, come aveva detto il suo maestro, Corrado
aveva fatto correre la voce durante i giorni in cui era stata
convalescente nella Dimora. Ora sia il sovrano di Acri che i suoi
uomini temevano per le loro vite e preferivano starsene a distanza.
Chissà che queste novità avrebbero tenuto Masyaf
lontana da un secondo assedio da parte dei crociati… sarebbe
stata un’ottima cosa, si disse Elena mentre risalivano il
pendio attraversando uno stretto sentiero scavato nella roccia.
Una volta ai piedi della torre, i due assassini proseguirono
indisturbati, ma gli occhi degli uomini di Saladino erano tutti su di
loro.
I saraceni li guardavano con stizza, disprezzo, ma al tempo stesso in
loro gioiva l’invidia. D’altro canto, pochi anni
prima era nata un’alleanza tra un gruppo scelto di saraceni e
alcuni crociati. Costoro si facevano chiamare i Nove Templari, e tra di
loro c’era stato Gulielmo, padre di Corrado, e lo stesso Al
Mualim. Essi, assieme a molti dei reggenti delle diverse capitali
saracene, si erano contesi il Frutto dell’Eden acclamando
“Il Nuovo Mondo”. Questo le raccontò
Altair per ammazzare il tempo facendo riposare i cavalli, stremati per
il lungo cammino che avevano intrapreso e ancora li attendeva.
Elena era seduta su una roccia, e al fianco vi era il suo maestro che
poggiava i gomiti sulle ginocchia e guardava a terra senza dire o
aggiungere nulla da parecchi minuti.
I cavalli pascolavano poco distante legati ad una staccionata e
alternavano l’erba fresca all’acqua di una fonte
lì accanto.
Il luogo era deserto, ma affascinante: pareva il rudere di alcune
antiche rovine bizantine, che erano sparse un po’ ovunque nel
regno. Un tempo doveva essere una magnifica costruzione in pietra
pregiata, fatta di marmo e mosaici. Quello che restava dei mosaici era
un disegno appena abbozzato dove la ragazza poggiava i piedi, e delle
mura rimanevano delle colonne storte e blocchi di marmo mangiati dal
tempo.
Attorno solo il silenzio della natura, il canto degli uccelli e il
vento tra i rami degli ulivi, che nei secoli avevano avuto modo di
crescere anche all’interno delle macerie.
Elena guardò distrattamente alle bisacce che il cavallo del
suo maestro teneva legate alla sella. Colse con grande sorpresa che il
Frutto al loro interno aveva assunto un chiarore differente, che
variava dall’oro all’argento.
-Buffo- commentò la ragazza aggrottando la fronte.
Altair sollevò il viso e seguì il suo sguardo.
–Cosa?- chiese con un filo di voce, e tornò a
fissarsi i piedi.
-Guardate, maestro- insistette lei. –Ha cambiato colore-
sorrise.
-Chi siamo noi per giungere alla ragione per la quale si comporta
così…- borbottò lui distante.
Elena curvò le spalle e incrociò le gambe.
–Be’, non l’aveva mai fatto-
realizzò confusa.
-Hai ragione, non è affatto nella norma- sospirò
l’assassino.
Elena si alzò e si avvicinò alle bisacce, e gli
occhi di Altair la seguirono nei suoi movimenti.
Slacciò la bisaccia e trasse l’involucro fatto di
panni del frutto; qualche passo addietro e tornò al fianco
dell’uomo, che la guardava in cagnesco.
-Rimettilo apposto, non vedi che siamo troppo esposti e quel coso
è come un faro?!- sbottò a denti stretti, e fece
per strapparle via di mano l’oggetto.
Elena schivò con un saltello. –Sanno
già abbastanza bene dove ci troviamo, ma… Mi
nascondete qualcosa? O è la vostra gelosia famosa,
maestro…- sorrise maliziosa scoprendo uno spicchio della
sfera e la luce argentata che ne venne fu quasi abbagliante.
-Ti ho detto di rimetterlo dov’era!- L’assassino si
sollevò di scatto e le venne più vicino.
–Stolta, ubbidisci- digrignò.
Elena tenne il suo sorisetto giocoso. –Venite a prenderlo- lo
agitò in aria.
-Non mi sembra il momento di giocare- disse serio e altrettanto
sorpreso del comportamento della sua allieva.
Elena poggiò il Frutto dell’Eden sul rudere di una
colonna e portò una mano all’elsa della spada.
–Ne siete certo?- rise.
Altair comprese al volo, e i suoi occhi mandarono un leggerlo barlume
che la fulminò. –Intendi… sfidarmi?-.
Lei annuì, sfoderando l’arma. –Se vinco
acquisto il diritto di portarlo fino a Masyaf. Se perdo, lascio a voi
decidere- il suo sorriso si allargò ulteriormente.
Altair era sconvolto. –Qualcosa non ti è chiaro,
per caso? Siamo in missione, non possiamo rischiare che…-.
-Ancora non vi fidate di me? Mi fate così disattenta ai miei
doveri?- si beffò la ragazza.
-Sì- rispose secco il suo maestro. –Sei ancora nel
pieno del grado di novizio, non posso permetterti di portare il Frutto.
Sia perché non voglio e sia perché potresti farti
prendere la mano- proferì composto.
-Gradi di qua, gradi di là! Sono o no l’unica Dea
della confraternita? Avrò un po’ di
autorità in più di voi, giusto?- lo stava
stuzzicando, ed era certa che Altair non avrebbe retto ancora per
molto. Era troppo fiero per rifiutare sia di divertirsi un
po’ che di mettersi nuovamente sul suo stesso piano.
-Sbagliato. Se credi di essere superiore ai nostri assassini per il
fatto che sei l’unica donna, ti sbagli di grosso. Dea
è solo un appellativo, alla pari di assassino o informatore.
Non hai autorità su nessun altro se non te stessa, e questa
conversazione è stupida- Altair si allungò e fece
per afferrare il Frutto con una mano, ma Elena gli batté la
lama della spada sulle placche del guanto.
-No, no- sorrise mentre il suo maestro ritraeva la mano infuriato.
-Piantala!- proruppe l’assassino.
Elena fece un passo avanti, avvicinandosi a lui. –Sono
rimasta a letto per giorni interi, temo di non ricordarmi come si
combatte. E poi l’avete detto voi stesso: se vi sentiste
tanto superiori a me non temereste certo un confronto -.
Altair drizzò la schiena. –Che cosa hai bevuto?-
domandò senza evitare di sorridere.
-Io? Nulla, siete voi che vi state tirando indietro. Mettete da parte
la vincita, e accogliete la sfida come un’occasione per
redimervi dal vostro ultimo fallimento- centro! Uno a zero per Elena.
Altair curvò il viso da un lato. Portò la mano
all’elsa della spada e sfoderò la lama con un
gesto incredibilmente veloce. –Redimermi?- rise.
-Non eravate voi quell’assassino che sconfissi a duello tempo
addietro?- fece la vaga aggirandolo. –Potrei anche
sbagliarmi… non so…- gli lanciò
un’occhiata, e Altair l’accolse con maggior
fastidio.
-Può darsi…- mormorò guardandola, e i
loro occhi s’incrociarono di nuovo.
Lei sbuffò. –Sto aspettando- disse.
-A voi la prima mossa, Lady Elena- l’angolo della sua bocca
si sollevò malizioso.
Non seppe come, ma i due assassini scattarono l’uno verso
l’altro nello stesso istante.
Elena spinse la sua lama che era orizzontalmente contro quella del suo
maestro, che aveva posizionato l’arma in verticale.
La ragazza scartò di lato e, a sorpresa, il suo maestro
l’afferrò per la veste tirandola nuovamente
davanti a sé; Elena parò il colpo e si
piegò sulle ginocchia, ma il nuovo affondo arrivò
dritto al suo fianco.
Altair l’aveva colpita con l’impugnatura della
spada ed Elena indietreggiò stringendo la veste nel punto
ferito. Serrò la mascella e si lanciò nuovamente
all’attacco.
Altair schivò abile alla sua sinistra, ed Elena
mirò il colpo più in basso, alle gambe. Questo si
concluse in una pioggia di scintille, e le due lame rotearono
l’una sull’altra.
La ragazza allentò la presa d’un tratto, ma non si
lasciò prendere dal panico ascoltando il suono della sua
spada che cozzava al suolo.
Mentre il maestro sorrideva soddisfatto, la ragazza
approfittò della sua distrazione per rotolare fulminea alle
spalle di lui.
Altair era in procinto di voltarsi quando Elena gli afferrò
il braccio portandoglielo dietro la schiena. La presa di Altair sulla
spada durò poco, perché Elena gliela trasse di
mano stringendola nella sua. Una volta che lo ebbe disarmato, la
ragazza gli avvicinò la lama alla gola.
Elena si appiattì contro la schiena del suo maestro,
infierendo maggiormente la spinta dell’arma sulla sua pelle.
Altair strinse i denti. –Questa dove l’hai
imparata?- digrignò restando immobile.
Elena avvicinò ulteriormente la lama al collo di lui.
Bastava un minimo movimento purché lei gli tagliasse la
gola. –Anche durante gli allenamenti di mio padre adoravo
fare di testa mia- rise.
-Distrazione paga- disse lui.
-Cosa?-.
-Eccola!- Altair la colse in contropiede, perché strinse la
lama in una mano e riuscì ad allontanarla dal suo collo. Di
seguito, prima che Elena potesse realizzare a pieno i suoi movimenti,
l’assassino si chinò in avanti, portando Elena,
ancora attaccata alla sua schiena, a rovesciarsi a terra accompagnata
dal clangore delle cinghie e i foderi di cuoio.
Altair si sgranchì la schiena, si piegò a
raccogliere l’arma che le era scivolata di mano durante il
volo e si avvicinò alla ragazza che stava per rialzarsi.
-Distrazione paga. Durante quel duello vincesti perché ero
distratto, come te ora- le puntò la lama al petto.
Elena era inginocchiata al suolo, il cappuccio storto e la veste
stropicciata e coperta delle polveri della terra. –State
mentendo, non volete ammettere che il mio stile di combattimento vi
lascia alquanto… stupefatto!- rise lei.
-Affatto- lui avvicinò il volto a quello della sua allieva.
- Mi fa schifo come combatti, ma voglio comunque apprendere nel
migliore dei modi la via per contrastarlo nel caso occasioni simili si
ripetano- il suo fiato caldo e affaticato le arrivava sul viso, ed
Elena sorrise: un po’ era riuscita a stancarlo.
Altair si sollevò lentamente, le porse la mano e
l’aiutò ad alzarsi.
-Abbiamo finito, spero- disse contenuto rinfoderando la spada.
Elena annuì facendo altrettanto. –Avete vinto, e
d’ora in avanti me ne starò al mio posto -
proferì, improvvisamente avvolta dall’imbarazzo
per come si era comportata. S’inchinò appena e
guardò il suo maestro afferrare il Frutto e portarlo con
sé fino ai cavalli.
Altair richiuse il Tesoro nelle bisacce e montò in sella,
stringendo le redini e facendo voltare il cavallo.
Elena lo raggiunse e si issò sulla groppa
dell’animale. –Non faccio così schifo-
borbottò assorta, e sperò tanto che lui
l’avesse sentita.
Altair spronò il cavallo, intanto che un sorriso divertito
compariva sul suo volto celato dall’ombra del cappuccio.
I due assassini si allontanarono al galoppo dalle rovine e ripresero la
strada sterrata.
Continuarono a quell’andatura per tutto il tragitto e neppure
una guardia osò gridarli dietro
“assassini”. Poteva essere una forma di paura come
una manifestazione di rispetto, si disse Elena. Chissà che
ora sia i saraceni che i crociati si sarebbero sentiti inferiori
rispetto agli assassini, allo stesso modo di come lei si sentiva ogni
giorno più sottomessa da chiunque le stesse accanto.
Il sole calò lentamente all’orizzonte, e il
panorama fu avvolto da una magnifica luce arancio. Il cantare degli
uccelli si affievoliva col passare delle ore, fin quando sul regno non
calò la notte stessa.
Il cielo stellato sostituì così i colori del
firmamento, e la brezza fresca divenne un vento freddo e pungente che
sollevava la polvere gelata da terra e la gettava tra gli zoccoli dei
cavalli.
Elena non poté crederci: ce l’avevano fatta.
L’ingresso alla valle comparve all’orizzonte,
controllato da una torre in pietra sotto il dominio degli assassini. Lo
stendardo, lindo e magnifico, svolazzava all’alito della
notte con fluide movenze, mentre Masyaf appariva come un punto scuro
adornato di piccole luci soffuse tra le ombre, arroccata sul picco
della collina.
Altair ed Elena si addentrarono nella valle al trotto, e gli assassini
lì appostati di vedetta sgranarono gli occhi. Quelli sulla
torre si sporsero dal cornicione, altri si piegarono in un inchino, e
altri ancora si scoprirono il volto in segno di rispetto.
L’essere di ritorno così in anticipo era gesto che
poteva avere mille ipotesi, mille spiegazioni e mille risposte, si
disse la ragazza sorridendo.
I bracieri ardenti illuminavano quell’avamposto, ma man mano
che avanzarono, i due assassini si persero di nuovo nel buio della
strada, percorrendo cauti l’intera valle.
Elena alzò lo sguardo, ammirando commossa quel cielo
così lindo nel quale svolazzava Rashy in preda
all’allegria. La falchetta planava sulla strada in picchiata,
gettandosi con le ali chiuse al petto, per poi spalancarle ad un filo
da terra.
La bestiola si contorse in un’ultima piroetta prima di
appollaiarsi sulla spalla del suo padrone lasciandosi scappare un grido.
-L’entusiasmo da non tenersi dentro- rise la ragazza,
frastornata dall’urlo intenso dell’aquila che
ancora rimbombava nelle sue orecchie.
-Quando ci vuole, ci vuole- l’assassino accarezzò
il becco dell’animale, che affettuosamente sfregò
la testolina piumata sulla sua guancia.
Proseguirono al trotto fino alle porte della città dove,
allarmati, i due assassini di guardia sfoderarono le armi.
-Chi va là?!- il buio imbrogliava, così quello
alzò la voce e li intimò contro: -Mostratevi alla
luce!- indicando il braciere lì accanto.
I due assassini avanzarono e fermarono i cavalli davanti al focolare.
Bastò poco perché uno dei due soldati lo
riconoscesse e si piegasse all’istante in un inchino.
–Mastro Altair…- mormorò ricacciando la
lama nel fodero.
Elena rimase alle spalle del suo mentore.
Altair proferì un gesto col capo e i due si fecero da parte.
Poi l’assassino alzò il braccio destro e la
falchetta che aveva sulla spalla sinistra piantò gli artigli
nel guanto, spalancando le ali.
-Va’!- Altair, con un fluido movimento del braccio,
accompagnò Rashy a levarsi in volo nella notte.
L’aquila si perse tra le stelle in direzione della fortezza
e, mentre la sua ombra si proiettava sui tetti della città,
il suo grido allertò sentinelle, popolani, guardie e
assassini.
Questi volsero gli occhi al cielo, ove lei, Rashy l’aquila
che tutti riconobbero, annunciava la novella.
Quando le campane di Masyaf presero a suonare, ormai la notizia aveva
nido: il Frutto era di nuovo nelle loro mani.
Negli occhi della folla Elena vedeva la gratitudine e la gioia, assieme
alla fiducia ben riposta che il popolo di Masyaf aveva nei suoi
assassini.
Altair e la ragazza raggiunsero i battenti della fortezza ancora a
cavallo, e un corteo infinito di giovani incappucciati venne ad
acclamarli.
Ci mancavano solo i fuochi artificiali, pensò Elena
sorridendo e tenendo a stento il controllo del cavallo che affogava
nella calca.
Molti assassini erano affacciati alle finestre della fortezza,
perché le campane avevano di certo buttato giù
dal letto gran parte della gente che ora era lì a lodarli.
Altair si allungò verso di lei. –Non dire nulla.
Credono che abbiamo ucciso Corrado e gioiscono perché
confidano nella vendetta compiuta, ma in verità la nostra
missione è ultimata solo per metà- disse gravoso.
Elena curvò le spalle, pensando che parecchi, la notte in
cui Corrado aveva attaccato la fortezza, avevano perso familiari
assieme ai poveri innocenti che erano stati trucidati dai suoi uomini.
Ecco perché erano in un centinaio al minimo lì a
presenziare, in quel momento. Quanti occhi Elena avrebbe contato
perdere il loro barlume quando la notizia che Corrado vive ancora
sarebbe giunta? Quelli applausi, quelle grida e quei sorrisi erano una
finzione che, nonostante la scottante verità, le piacque.
D’un tratto, Elena sollevò lo sguardo al balcone
dal quale un tempo aveva assistito alla venuta dei Falchi. La ragazza
sobbalzò, perché appoggiato al parapetto e a
fulminarla coi suoi occhi di ghiaccio, vi era Rhami.
L’assassino era vestito con le solite vesti da servizio, il
cappuccio abbassato e la folta chioma bronzea disordinata. Il
portamento dritto e un sorriso misto tra malizia e stupore stampato in
faccia.
Elena si voltò di colpo, sprofondando nel buio del suo
cappuccio. Non riuscì ad impedire che certe immagine le
tornassero alla mente. E lo stesso turbamento di quando era partita
l’avvolse ancora, dilaniandole lo stomaco come artigli
invisibili.
Quel giorno in cui aveva lasciato Masyaf alla volta del suo itinerario,
Elena si era lasciata mille debiti alle spalle: avrebbe dovuto chiarire
le cose con Rhami, ma invece di andarlo a cercare, quella mattina aveva
preferito starsene nello studiolo del Maestro. E poi Marhim, che senza
dirle nulla se n’era andato… ed era stato un colpo
basso insopportabile, al quale nessuno aveva voluto dare spiegazioni.
Che cosa poteva fare, dunque, se non andarsene anche lei?
Pregò che non sarebbero rimasti a Masyaf più del
dovuto, perché non avrebbe tollerato altri addestramenti
allo stesso modo di come il solo sentirsi osservata da Rhami le
provocava brividi lungo la schiena.
-Prendi-.
Elena sobbalzò, e si riebbe nell’istante in cui
Altair le gettò tra le braccia la bisaccia contenente il
Frutto dell’Eden.
-Maestro, dove?…- non terminò che Altair
spronò il cavallo al galoppo e, facendosi largo tra la folla
e abbandonandovi la ragazza, si fermò davanti ad un ingresso
secondario a quello principale. L’assassino smontò
agile dalla sella, scansò un battente e sparì
nella fortezza.
Elena strinse la bisaccia a sé e, confusa, si
avviò davanti alle grate del salone d’ingresso,
dove Tharidl l’attendeva fiero.
La ragazza smontò lentamente e proferì un inchino.
Tharidl, circondato da guardie e assassini, le venne di fronte.
–Elena…- mormorò soave.
Lei sollevò gli occhi devota, e le sue dita si strinsero
ancor più attorno alla custodia del Frutto.
Il cerchio di assassini attorno si strinse, ma Tharidl fece gesto di
lasciare spazio.
-Elena, sono fiero di te- disse rozzamente.
La ragazza ci rimase di sasso. Non era il genere di elogi che si
aspettava dal Gran Maestro, così arrossì.
-Vieni; il tuo maestro ci raggiungerà a breve- Elena si
lasciò prendere sotto braccio dal vecchio che la condusse
all’interno della sala, fino al suo studio.
-Puoi poggiarlo lì- Tharidl le indicò la
scrivania, ed Elena mosse alcuni passi avanti. Srotolando la sfera dai
suoi mille involucri, poggiò in fine l’oggetto sul
tavolo.
Il Frutto dell’Eden squarciò le ombre coi suoi
raggi dorati, illuminando la stanza di un bagliore magico.
Tharidl sorrise voltandosi. –Voi potete andare- disse agli
assassini che li avevano seguiti fin lì.
Questi si dileguarono all’istante, lasciando lei e il vecchio
da soli.
Elena indietreggiò, fermandosi al suo fianco. –Il
Frutto è qui, Maestro, ma Corrado è…-.
-Lo so bene, credi che non ne sia stato informato?- Tharidl
tornò serio, avvicinandosi al tavolo e sfiorando la sfera
con un dito.
-Sì, ma quella gente…- Elena guardò
fuori dalle vetrate, ove la folla stava compatta tornando verso i piedi
della collina. –Loro non sanno, vero?- domandò
grave.
-No, ma essendo stata una mia scelta agire in questo modo, e avendo
Altair ricevuto ordini da me di portare te e il Frutto via da quelle
mura, non avranno modo né oggi né domani di
contestare- proferì. –Dell’omicidio di
Corrado si parlerà a tempo debito in altro luogo-
mormorò.
Elena aggrottò la fronte, spogliandosi del cappuccio.
–State dicendo che…-.
Tharidl sospirò. –Non nego che in futuro Corrado
potrebbe rivelarsi una minaccia, ma i vostri insegnamenti non terminano
certamente qui, Elena di Acri- arrise.
-Ah, ecco…- si portò una mano alla bocca,
pensando che gli addestramenti nel cortile avrebbero ricominciato ad
occupare le sue giornate.
-Le indagini che avete svolto tu e Altair saranno utili ad Hani, che si
occuperà di alcuni uomini di poco conto
all’interno della corte del Monferrato - fece il vecchio
sedendo alla scrivania. –Se ti può interessare,
agirà durante il compleanno di Maria, a quanto ho
saputo…- si sistemò più comodo.
Elena sorrise, rimembrando le piacevoli partite di scacchi, ma
soprattutto ripensando alle assurde situazioni nelle quali
quell’assassino era stato capace di cacciarsi.
Sul tavolo accanto alla sfera vi erano due candele, ma erano nulla in
confronto alla lampadina che era il Tesoro dei Templari.
Nella stanza c’erano anche due bracieri sistemati vicino alla
libreria e altri due al soffitto che pendevano sulla sala
d’ingresso della fortezza.
Ad Elena era mancato quel luogo, non c’è che dire,
ma più che altro le mancavano le persone che vi aveva
conosciuto. Le sarebbe piaciuto che Marhim fosse lì: ecco la
verità, si disse.
Tharidl fissò il Frutto allungo, ed Elena con lui.
-Allora- cominciò il vecchio tornando a lei. –le
voci sono vere? Riuscisti nell’impresa leggendaria che
arrivò alle mie orecchie?- rise.
Elena condivise quella gioia avvicinandosi allo scrittoio.
–Sì- seppe solo dire.
-Sai bene che non è cosa da tutti, e sono rimasto alquanto
colpito, Elena- confessò passandosi una mano sulla barba.
-Ugualmente io, Maestro- aggiunse lei, avanzando verso la sfera.
–Questo oggetto… ho avuto modo di comprendere,
può fare qualsiasi cosa. Quando sbaragliai i soldati di
Corrado avevo pensato alla soluzione più sciocca, ma anche
se avessi chiesto al Frutto di decapitare tutti i crociati venuti in
Terra Santa, questo l’avrebbe fatto
all’istante… ve lo posso giurare-
affermò decisa e spaventata della sue stesse parole.
-Non lo nego- borbottò il Maestro volgendo
un’occhiata al Tesoro. –Molti di noi hanno toccato
con loro mente il potere che Al Mualim sprigionò da esso
tempo addietro…- e sicuramente si stava riferendo a
sé stesso, pensò Elena. –E non
è balla cosa, dammi retta. Quando si ha il controllo del
Potere non ho idea di cosa si provi, quale avidità sfiori il
cuore e di quale prepotenza l’anima impari a cibarsi, ma
posso assicurarti che essere vittima dei suoi scopi è
tutt’altro. Esattamente l’opposto, ed è
quando queste emozioni prendono il sopravvento sulla tua coscienza, che
non sei più in grado di ribellarti. Ed è in quel
momento, che chi ne ha la forza, può trovare il coraggio di
schiacciarti senza alcuna pietà- sbottò
collerico. –Sono stato eletto maestro dai miei discepoli
perché fui uno dei primi suoi quali Al Mualim
esercitò i suoi poteri; avendone compreso a pieno i dolori
sono diventato aperto alla mia gente e alle loro esigenze.
Perdonami…- disse ad un certo punto, scuotendo la testa.
Elena curvò un sopracciglio. –Di cosa?-.
-Divago su argomenti che so possono essere truci quanto noiosi, in
questo momento- le sorrise. –E non è da me, quindi
perdonami- si alzò e, sospirando, si affacciò
alle vetrate, congiungendo le mani dietro la schiena. –Elena,
so che le mie azioni nei tuoi confronti tal volta possono sembrare
insensate e prive di fondamento, ma ti chiedo, in quei casi, di riporvi
tutta la tua fiducia- disse senza guardarla.
-Maestro- lei gli si avvicinò. –Non ho mai
dubitato di questo- mormorò.
-Ed è un dono prezioso che accetto da te a braccia aperte,
Elena- lui si voltò e le carezzò la guancia
dolcemente.
-Mio padre vi affidò mio fratello, è il minimo
che io come lui ponga fiducia in voi, Maestro, e questo l’ho
capito fin da subito- aggiunse, allungando il suo sorriso.
-Altrettanto- proferì lui fiero. –Altrettanto-
ripeté tornando a guardare fuori dalle vetrate, ed Elena lo
imitò.
Il cielo stellato era una volta infinita che si allungava fin dove
l’occhio umano arrivava. I tetti di Masyaf erano contornati
dai fumi dei comignoli, e un vento invernale alzava le foglie secche e
la rena della terra.
Era l’incanto del buio, che celava sotto una maschera
fittizia gli eventi imminenti.
Altair esitò allungo sull’uscio di quella stanza,
di fronte a quella porta che era rimasta sempre chiusa da quando era
partito con la sua allieva. Da quando le aveva dato quella notizia da
togliere il fiato, da quando il suo cuore aveva cominciato il conto
alla rovescia.
Era arrivato lì di corsa, lasciando ad Elena il Frutto e
divincolandosi dalla folla, per poi intraprendere la strada
più svelta per quell’ala della fortezza.
E ora esitava davanti a quella porta che era rimasta sempre chiusa.
Si diede dello stupido e allungò una mano, esitò
ancora e riabbassò il braccio. Forse non avrebbe dovuto,
forse stava dormendo, o forse Adha l’aveva aspettato in piedi
senza chiudere occhio per tutto quel tempo.
L’assassino sobbalzò, perché la porta
da sempre rimasta chiusa si aprì, e davanti ai suoi occhi
celati dal cappuccio comparve il bel volto della sua amata.
-Alta…- la donna non poté concludere, che il
ragazzo l’afferrò per i fianchi stringendola a
sé.
Affondò il volto tra i suoi capelli e assaporò il
suo profumo, mentre con un piede chiudeva la porta alle sue spalle.
-È vero?!- domandò quasi ridendo,
perché mai aveva provato gioia più grande se non
in quell’abbraccio. –Mi hai lasciato un dubbio
quando sono partito e non ho pensato ad altro durante tutti
questi…-.
Adha si divincolò dall’abbraccio e fece un passo
indietro, aggiustandosi le pieghe sulla veste da notte.
Altair dedusse da molti particolari che la sua donna l’aveva
aspettato in piedi. C’era una candela consumata sul comodino
e diversi testi sparsi un po’ ovunque tra i vari vestiti e
gli ammennicoli.
-Innanzitutto- cominciò lei portandosi una ciocca di capelli
dietro l’orecchio. –Ti sembra il modo di piombare
in camera mia?- era allegra.
Altair sorrise.
-E comunque, non avresti dovuto darti pena per questo quando il tuo
unico incarico era prenderti cura di Elena e della sua istruzione- fece
severa.
-Parli già come una madre- mormorò lui dolce.
A quelle parole Adha parve perdere ogni colorito di gioia.
Altair le venne più vicino. –Hai voluto tenere la
cosa segreta mandando nessuna lettera ad Acri. Ebbene, ora mi
piacerebbe tanto sapere se quello che mi hai detto prima di
partire… è vero, o no- si abbassò il
cappuccio.
Adha fece un passo indietro, distogliendo lo sguardo dal suo amato.
–No- proferì accigliata.
Altair le prese il volto tra le mani. –Come…- non
riusciva a crederci –no?- ripeté.
Adha poggiò la mano chiara e gracile sopra la sua.
–No, mi spiace… davvero tanto- ribadì.
–Ma è stato un falso allarme, e prometto che non
succederà più- si allontanò da lui,
che però la strinse per il polso e la tirò
nuovamente tra le sue braccia.
Fu un abbraccio lungo, e di consolazione per entrambi.
-Perché?- sussurrò lui sul suo collo.
-Vuoi che te lo spieghi?- rise lei.
-No, meglio di no- Altair le alzò il viso e si
chinò alla sua altezza per baciarla. E mentre le loro labbra
si accompagnavano in movimenti lenti e passionali,
l’assassino fece correre le mani sul suo corpo, fino a
raggiungerle i lacci del corpetto.
Adha si staccò dalla sua bocca lentamente, ancora con gli
occhi chiusi. –Devi andare…- mormorò
con un filo di voce e le labbra rosse. –Il Maestro e
Elena…-.
Lui non le diede tregua, bloccandole le parole in gola.
Adha tentò di sfuggire a quella presa, ma Altair la
gettò dolcemente sul letto.
Nel momento in cui Altair le sollevò appena la gonna, Adha
gli bloccò le mani, e lui allontanò il suo volto
da quello della donna.
Adha lo guardava severa, quasi furiosa. –Sei pazzo o cosa? Di
là ci sono Elena e Tharidl che stanno aspettando il tuo
rapporto! Non puoi restare qui e pretendere di rimediare a quello che
non è andato come speravi!- proruppe irritata.
Altair sollevò un sopracciglio, e la sua sorpresa divenne un
sorriso malizioso. –Allora sono pazzo-.
Adha si scansò prima che le loro labbra tornassero a
sfiorarsi e, quando Altair sollevò nuovamente il viso,
questo colse negli occhi della sua donna un forte rifiuto e anche un
rimprovero.
-Va bene- sospirò tornando in piedi.
-Perfetto- fece lei sedendo sul letto.
Altair indugiò ancora, rimanendo dov’era diversi
istanti.
Adha schioccò le dita e indicò la porta.
–Vai!- bisbigliò, e l’assassino
operò per avviarsi. Sull’uscio si fermò
voltandosi.
-Ti amo- disse.
-E perché, io no?- rise.
Elena lanciò un’occhiata distratta alle sue
spalle, e fu colta di sprovvista nel vedere Altair venire verso di loro
dalla scale.
La ragazza si voltò del tutto, e Tharidl fece altrettanto
dopo di lei.
Il mastro assassino si posizionò davanti alla scrivania e
proferì un inchino profondo, mentre Elena gli andava al
fianco.
Tharidl alzò il mento fiero. –Sono lieto di
annunciare ufficialmente che la vostra missione si è
conclusa con ottimi risultati. Sottraendo dalle mani di Corrado il
Frutto dell’Eden avete risparmiato la vita di innocenti, ma
messo a repentaglio quella di chi era già intricato in
questo circolo vizioso qual è quello del “Nuovo
Mondo” cui i Templari aspirano. Non sottovalutate per nessun
motivo i restanti nemici, perché la nostra gente ha
risentito il peso di questa guerra abbastanza, e non potrebbe
sopportare un ulteriore assedio. Corrado necessita della lama di un
assassino che penetri nella sua carne, ma un assassino necessita di una
lama…- Tharidl spostò i suoi occhi scuri su di
lei, ed Elena non seppe perché.
-In quest’arco di tempo non gironzolerete a vuoto per la
fortezza. Altair, mi piacerebbe che Elena apprendesse qualche tecnica
di combattimento differente all’uso comune di una spada,
perché sappiamo bene entrambi a cosa devi prepararla- disse
di sottecchi il vecchio guardando l’assassino.
Altair chinò nuovamente il capo. –Mi
assicurerò che il suo braccio sinistro sia ben pronto per
allora, Maestro- rispose dritto e austero.
Elena perdeva facilmente il filo del discorso, non capiva a chi si
stessero riferendo e di cosa stessero parlando.
-Negli ultimi giorni qui alla fortezza sono nate delle voci, su
entrambi voi…- mormorò il vecchio, e i due
assassini si scambiarono un’occhiata confusa.
-Cioè?- Altair fece un passo avanti.
-Credo che ognuno dovrebbe pensare con la propria testa e ascoltare la
propria coscienza, poiché non mi sento in
autorità per interferire- proseguì il Gran
Maestro. –Ma sappiate che oltre ai miei, questa fortezza ha
occhi anche di altri e siate pronti ad accogliere i passi falsi dei
vostri anche più cari, vero Altair?- sorrise mesto.
Il ragazzo annuì. –Vero…-
sospirò.
Elena si disse che era colpa della stanchezza, perché non si
era mai sentita tanto ignorante per quanto riguardasse le ramanzine e
le perle di saggezza del Maestro.
Tharidl proseguì. –Verrà discusso in
sede al più presto di come procedere: il Frutto, sappiamo
bene, è troppo rischioso tenerlo qui, ma altrettanto
lasciare che vaghi per il Regno. Si era pensato di distruggerlo, ma
molti hanno rifiutato e altri si sono dichiarati neutrali a tale
decisione. Ebbene, Altair, Elena, vorrei che prendeste parte entrambi
alle riunioni assieme a me e i miei saggi, affinché voi che
avete avuto modo di sfiorarne i Poterei, sappiate come moderare le
nostre condanne… sareste disponibili?- chiese.
Elena annuì, senza sapere il perché,
annuì e Altair con lei.
-Ne saremmo onorati- aggiunse lui.
Tharidl batté le mani una volta. –Bene, ma non
posso aggiungere nulla più. Tratteremo del mancante domani
mattina alla luce del sole… quello vero- Tharidl
soffiò sulle candele della scrivania e riavvolse il Frutto
nei panni colorati. –Buona notte ad entrambi…-
sorrise allontanandosi sulle scale.
Elena sospirò.
-Sei distrutta- commentò il suo maestro.
–Va’ a dormire, domani abbiamo parecchio da fare-
le poggiò una mano sulla spalla, e anche lui si
avviò.
-Già- farfugliò lei. –Come sempre,
parecchio da fare…- sbuffò e
s’incamminò verso le sue stanze.
Attraversando il corridoio dell’ultimo piano, qualcosa
attirò la sua attenzione, ma era un suono appena
percettibile che, non appena si voltò, cessò.
Elena allungò un’occhiata tentando di vedere nel
buio, ma il nero era avvolgente e troppo fitto per scorgere non oltre
di qualche metro.
C’era qualcuno alle sue spalle, ne era certa. Così
accelerò il passo e raggiunse le scale che portavano agli
appartamenti delle Dee. Salì il primo gradino, il secondo
quasi di corsa, stava per scomparire al piano di sopra, ma una voce
angelica la chiamò, fermandola a mezz’aria.
-Elena-.
Il suo cuore perse un colpo, e lei tornò indietro di alcuni
scalini.
Conosceva bene quella voce, che durante la sua permanenza nella setta
aveva approfittato di lei. Quella voce che una volta era docile come un
cucciolo e la seconda sfoderava gli artigli per prendersi quello che
cacciava. Quella voce che le aveva narrato una storia, una volta, di
alcuni assassini che riuscirono illesi da una missione. Quella voce che
le aveva sussurrato all’orecchio che era sempre bellissima.
Quella voce che l’aveva tormentata al suo arrivo, e quegli
occhi, tanto simili ai suoi, che l’avevano graffiata fin dal
primo momento in cui si erano incrociati.
Rhami avanzò dall’oscurità, e la sua
figura bianca e nera era attraversata da fasci di luce lunare.
Non vestiva delle sue vesti, era abbigliato in modo comune e spoglio.
Indossava solo la parte sottostante della divisa, senza alcun
armamentario o cinghia, tra cui la cintura. Alla vita aveva legata solo
la pezza rossa.
Elena stette in silenzio, ma in quel momento l’avrebbe
riempito d’insulti. Tutta la robaccia che si era tenuta
dentro durante la sua permanenza ad Acri e che l’aveva
tormentata alla partenza. Tutto quanto, nulla escluso!
Eppure non lo fece. –Rhami- piuttosto sussurrò il
suo nome, che scottò sulle labbra e la privò di
tutte le forze che aveva nelle gambe e che avrebbe dovuto impiegare per
scappare via nelle sue stanze.
-Sono felice che ti ricordi il mio nome- rise l’assassino.
Che battuta stupida, e solo per attaccare bottone, si disse.
-Sono stanca- trovò il coraggio di dire. –Possiamo
rimandare?-.
Rhami scosse tranquillamente la testa.
Elena curvò le spalle. –Ti prego, che cosa vuoi?
Non ti sei accontentato di quello che è successo? Non ti
è bastato fissarmi con rabbia?- ora era lei che faceva
affermazioni stupide. Era ovvio che Rhami non si fosse accontentato,
chissà che cosa pretendeva ancora da lei… non
volle pensarci, perché le era già troppo chiaro.
L’assassino avanzò. –Non sono qui per
porgerti le mie scuse- disse.
Ma come si permetteva?! Elena aprì la bocca senza riuscire a
dire nulla se non un: -Che cosa?- balbettò.
-Sai- fece lui poggiando un piede sul primo gradino della scala.
– Mi sono accorto che certe volte le regole della setta sono
fatte per essere infrante. Insomma, molti di noi qui ne hanno
già trasgredite un paio…- si passò una
mano tra i capelli avanzando ancora verso di lei.
-Non so di cosa parli- non riusciva a muoversi, quando invece sarebbe
dovuta scattare, e di corsa!
Ci stava cadendo di nuovo, la trappola di Rhami stava per scattare e
lei non avrebbe fatto nulla per impedirlo? Era ovvio, non ne aveva la
forza, perché negare che Rhami fosse un bel ragazzo era come
affermare che la terra fosse piatta. E la terra era tonda, allo stesso
modo di come Rhami sapeva essere affascinante.
Ormai il ragazzo era a pochi passi da lei. –Credi che non lo
sappia?- domandò lui, ma Elena non capiva davvero a cosa si
stesse riferendo.
-Spiegati- sbottò frustrata da se stessa, che continuava a
gridare: “VATTENE!”. Per ammazzare quel fastidio
sullo stomaco, Elena prese a stuzzicarsi una pellicina del pollice.
-Possibile che tu non te ne sia accorta?- Rhami avanzava lento, passo
dopo passo erano quasi sullo stesso piano. –Marhim, poverino-.
Elena gonfiò il petto. –Non tirare in campo
Marhim! Lui non c’entra nulla!- digrignò.
-Tu dici?-.
Basta! Il suo tono si stava facendo arrogante e presuntuoso, ed Elena
aveva sempre odiato quel genere i persone. La ragazza
indietreggiò. –è successo qualcosa?-
domandò, ma presto si sarebbe pentita di quella domanda.
-Mentre tu non c’eri nulla d’interessante- rispose
sereno. –I guai sono cominciati al tuo arrivo. Quando non
riuscivo a sopportare l’idea che quel fessacchiotto riuscisse
a starti più vicino di quanto non osassi io, tutto qua-
sembrava tranquillo, per niente turbato. –Povero Marhim,
troppo altezzoso per abbassarsi ad infrangere le regole. Anche se la
setta non vietasse certe cosette, lui non avrebbe comunque osato, ma io
sì…-.
Elena era in preda alle convulsioni, e sotto gli occhi sempre
più vicini e penetranti di Rhami, la sua anima
s’inchinava prostrandosi al suolo, chiedendo
pietà.
C’era sempre stata l’eventualità che su
cinquanta assassini almeno due si scontrassero per quelle stupidaggini,
e perché lei era stata così cieca? Be’,
veramente non del tutto, dato che alcuni comportamenti di Rhami, fino a
qualche settimana prima, le erano sempre piaciuti e l’avevano
sempre fatta sentire… amata.
Ma poteva essere la veste a fare l’assassino? Certo, si disse
Elena, perché il rango alto era solo una delle mille armi
che Rhami aveva usato per far colpo su di lei.
C’era riuscito, perché Elena poteva sentire il suo
respiro sul viso per quanto fossero vicini.
-Ora che lui è lontano…- mormorò Rhami
guardandola dall’alto, ed Elena aveva il volto alzato verso
di lui. –Posso capire come ti senti. Sola, diversa,
incompresa…- bisbigliò.
Elena indietreggiò, e con un altro passo i suoi piedi
avrebbero toccato il pavimento delle stanze private. Da lì
Rhami non avrebbe più potuto interferire, sarebbe stata
salva. Ma…
-Quel vecchio stupido non vuole darti il nome di tuo fratello, e tu hai
bisogno di qualcuno che sappia difenderti, aiutarti…-
continuò con voce melodiosa.
Che voce… sospirò Elena, e nello stesso istante,
avvertì un brivido percorrerle la schiena: Rhami…
lui aveva un profumo dolce-amaro che la faceva impazzire.
I suoi occhi si chiudevano dalla stanchezza, ed Elena non si reggeva in
piedi.
La ragazza indietreggiò, di un altro piccolo passo, e sia
lei che Rhami furono in quell’atrio della fortezza tanto
segreto, tanto “incantevole”, come
l’aveva definito Marhim il giorno in cui l’aveva
accompagnata lì per la prima volta.
-Qualcuno come te?- riuscì a dire, ma il suo tono era
insicuro e solo aprir bocca la metteva in allarme.
Rhami si chinò su di lei. –Sì- le
sussurrò sulle labbra.
Era troppo… non poteva. Anche lei credeva nelle regole della
confraternita e vi poneva tutta la sua anima tormentata, ma Rhami le
stava chiedendo troppo. Lui le aveva assicurato protezione, ma lei non
ne aveva bisogno! Altair le aveva insegnato a difendersi nel migliore
dei modi, e anche il suo defunto padre aveva dimostrato di sapere
istruire al meglio sua figlia! Elena non aveva bisogno di lui, non
aveva bisogno di nessuno. Che Tharidl si tenesse per sé il
nome di suo fratello in eterno! A lei non importava, lei era Elena, la
grande Elena, la Dea e l’assassina, colei che avrebbe fatto
onore a suo madre e schiaffato sulla tomba di Al Mualim che le donne
potevano servire questa setta allo stesso modo degli uomini, arrecando
alcun danno e senza…
Rhami le prese il collo e la tirò a sé,
l’altra sua mano si allungò sulla sua schiena,
stringendola ulteriormente al suo corpo caldo.
Elena non riuscì a ribellarsi, perché ancor prima
di realizzare cosa stesse accadendo, Rhami l’aveva baciata in
modo violento.
Elena s’irrigidì nel percepire le dita del ragazzo
correre alla cinta di cuoio, che dopo pochi gesti, si
rovesciò a terra nel clangore del fodero della spada e dei
pugnali da lancio.
Era lui che la stava spogliando, prima delle sue armi e di seguito dei
suoi indumenti, cominciando dal cappuccio, che raggiunse le cinghie e
il triangolo di metallo.
Si lasciarono una scia di vestiti fino alla sua stanza, e fu Rhami ad
aprire e chiudere la porta senza interrompere il bacio.
Quello che stavano facendo era assurdo, dannatamente e vigliaccamente
assurdo. Non poteva succedere, non a lei! Si disse Elena, che
disperatamente lottava contro se stessa per dire basta a quella follia.
Non riusciva: la sua forza di volontà era inesistente, e la
pigrizia lasciò correre ogni cosa.
Rhami l’adagiò lentamente sul letto ed Elena gli
cinse il collo con le braccia, mentre il ragazzo s’infilava
tra le sue gambe.
Lei era quasi completamente nuda: non fosse stato per la biancheria che
ancora indossava, la situazione sarebbe diventata alquanto rischiosa da
tutti i punti di vista.
Rhami si levò la maglia, restando con addosso una canottiera
di cotone. Interrompendo per pochi istanti il tocco delle loro labbra,
Elena vide la luce.
Con grande sorpresa di Rhami, la ragazza ribaltò i loro
corpi e fu lei a stare sopra di lui.
-Uh uh- l’assassino sorrise malizioso.
Elena cercò di non pensarci. -E se domani Adha venisse a
svegliarmi?- domandò, ma la risposta di Rhami non si fece
attendere.
Il ragazzo si allungò nuovamente verso di lei e i suoi baci
le divorarono il collo.
Elena strinse con maggior vigore le federe del letto.
–Rispondi!- digrignò collerica.
-Nervosetta?- continuò lui, e le sue labbra calde le
lasciarono bruciature dall’incavo del collo alla
sfaccettatura del seno.
-No, Rhami, no…- fece lei fermando la sua mano, prima che il
ragazzo riuscisse a denudarla del tutto. –Sei uno stupido, ed
io più di te che ci casco come una banana!- Elena si
alzò da sopra di lui e mosse alcuni passi avanti e indietro
nella stanza.
Rhami sedette sul letto. –Che problema
c’è?- domandò, come fosse ovvio che non
c’era nessun problema.
-Non potresti essere qui- sbottò lei arrossendo,
perché l’assassino allungò lo sguardo
prima sulle sue gambe snelle e poi sul resto del suo corpo. Rhami la
mangiava con gli occhi, e non le piacque.
-Ma và, che vuoi che sia- sorrise. –Non lo
saprà nessuno-.
-È proprio questo il punto!- la ragazza si sedette sul bordo
del materasso.
Rhami alzò un sopracciglio. –Vuoi… che
qualcuno lo sappia?- domandò confuso.
-No!- Elena si voltò, lanciandogli
un’occhiataccia. –E mai nessuno dovrà
saperlo… qui ci rimetto la carriera- brontolò.
Rhami taceva guardandola.
-Insomma, anche se ora ti senti così
“trasgressivo” , quello che stiamo facendo
è sbagliato- mormorò afflitta, non riuscendo a
trovare parole più coinvolgenti.
Lui non disse nulla, si limitava ad osservarla.
Quell’atteggiamento la metteva a disagio, ma Elena si
convinse che doveva trovare un modo per farlo sloggiare da
lì.
-Guarda che mi metto a strillare- disse d’un fiato.
Rhami era silenzio.
-Sul serio!- continuò lei.
…
-Piantala di fissarmi!-.
…
-Non sei divertente-.
…
-Rhami, parlami…- gemé.
-Mi piacevi tanto quando portavi quella veste con tutti quelli strappi,
che fine ha fatto?- domandò.
Elena curvò le spalle. –Non hai nulla da dire a
parte questo?!-.
…
La ragazza si arrese. –Adha deve averla gettata da qualche
parte, perché?-.
-Ti stava bene- sorrise malizioso.
-Io la odiavo- borbottò incrociando le gambe sul letto.
-Davvero disprezzi così il tuo corpo?- Rhami le si
avvicinò sfiorandole la spalla nuda con la mano.
-Vattene- strinse i denti, ma il ragazzo trovò la forza di
spingerla giù con la testa sul cuscino. Le strinse i polsi
con le mani e la guardò mentre tentava di divincolarsi.
-Giuro che te la faccio pagare!- parlottò, e fece per alzare
un ginocchio mirando ai punti bassi, ma Rhami si sistemò
velocemente tra le sue gambe.
-E come?- prese a baciarla dovunque.
Elena stava per scoppiare a piangere. –A duello, domani! Ti
taglio la testa!- tirò su col naso.
-Stai piangendo?-.
-Si nota tanto?- gli occhi le si inumidirono, e sperò tanto
che quell’ultimo approccio funzionasse, perché non
aveva le energie per proferire una parola in più.
Se Rhami avesse davvero voluto proteggerla, aiutarla, ora le sue labbra
si sarebbero staccate dal suo corpo, ma il ragazzo proseguiva,
insaziabile e senza fondo.
Era una tortura: vedere i sogni di suo padre che tanto le aveva
insegnato sgretolarsi al tocco delle dita di Rhami sulla sua pelle, era
una tortura.
Doveva ridursi a pregarlo in ginocchio di avere pietà di
lei? Doveva abbassarsi a quel livello pur di far cessare quella follia?
Elena non lo amava, e sapeva che Rhami non provava altrettanto, e
allora cosa ci facevano in quella stanza, segretamente… al
buio, vabbé, insomma, lì! Cosa li aveva spinti a
tanto se non l’avido e lussurioso desiderio umano? Rhami era
un conoscente… un bastardo, dannato, affascinante e
bellissimo conoscente!
Un vigore lontano, la forza di lottare per qualcuno che era
più importante di Rhami l’aiutò nella
sua impresa: la ragazza lo tirò per i capelli e Rhami
piegò la testa all’indietro facendosi scappare un
gemito.
-Facciamo sul serio, eh?-.
-Depravato, non sto giocando!- sbottò lei tirando con
più forza la ciocca che aveva in mano. Poteva dirigerlo come
una marionetta, e la ragazza lo costrinse a lasciare il letto.
Elena si alzò assieme a tenendo ben salde le dita tra i suoi
capelli leoneschi. –Una volta hai detto… le
persone non sono giocattoli! È ora di dimostrare il vero
delle tue parole!- pianse.
-Allora ero uno sciocco!- strinse i denti dal dolore. –Non
avevo idea che tu potessi essere così…-.
Elena allentò un istante la presa, ma nel secondo successivo
questa si fece dieci volte più robusta, quasi da strappar
via quella ciocca.
-Così? Completa la frase! Così?- gli
ordinò.
-Così bella! Ecco, l’ho detto! Bella! Ti piace o
no sentirtelo dire? Ora se vuoi me ne vado, ma smettila che mi stai
facendo male!- Rhami si piegò sulle ginocchia e strinse il
polso della ragazza con una forza disumana.
Elena lasciò la presa all’istante.
–Vattene, allora. Con te ho chiuso!- la ragazza
arretrò, fino a toccare la parete con le mani. –Mi
hai mentito per tutto questo tempo! Ero solo il tuo giocattolo!
Vattene!- era sconvolta.
Rhami avanzò verso di lei con pochi passi.
–Sì, ti ho mentito! Lo ammetto, ma per un buon
fine-.
-Cioè?!- si strinse le braccia attorno allo stomaco.
-Devi andartene, Elena. Ti sei mai chiesta perché le altre
assassine hanno rinunciato di loro spontanea volontà e solo
l’ultima decise di stipulare quell’accordo? Eh? Ti
sei mai posta questa domanda? No? Ebbene, prova a concepire qualcosa
nella tua testolina! Se Tharidl o Adha avessero saputo di noi
sicuramente uno di loro, se non tutti e due, avrebbe preso la decisione
sbagliata: quella di tenerti, di perdonarti! Elena, non puoi restare
qui, perché quella di essere una Dea è una
condanna, non un onore!-.
-Tu come lo sai? Come fai a dirlo?!-.
-Mia madre…- Rhami si voltò e afferrò
la maglia, cominciando a rivestirsi. –Lei la chiamavano
Vedova Nera. Sai come uccideva le sue vittime, sai come compieva i suoi
assassini quando Al Mualim le consegnava il nome dell’uomo
che doveva morire?- le gridò, altrettanto spaurito.
Elena scosse la testa, ricacciando le lacrime. La madre di Rhami era
stata una Dea, non riusciva a crederci.
-Prova solo ad immaginare perché si chiamava
così… provaci, e quando sarai giunta tu alla
conclusione, be’… fammi sapere se la sfida a
duello di domani è ancora valida- uscì dalla
stanza, e la sua ombra si perse nel buio del salotto e oltre le scale.
_______________________________________
I ringraziamenti e poi a nanna, sono le 2.03 del mattino.
Saphyra87
Goku94
Lilyna_93
Assassin e Diaras (chi
tace acconsente -_-)
X
goku94: su msn non ti ho detto molto, ma spero che questo
capitolo ti sia piaciuto. Ecco la scenetta di cui ti parlavo.
X
Saphy: sei scomparsa tutto oggi! Ma dov’eri? E
come prosegue il nuovo chappo about Eve and Altair?
X
Lilyna: ieri ti ho vista effettuare l’accesso ad
msn diverse volte. Internet fa cilecca ancora? XD (battuta di poco
gusto). Spero vivamente che questo chappo sia piaciuto a te come a
tutti gli altri.
Ecco, chiarisco un piccolo punto: sì, Rhami è una
sottospecie di maniaco sessuale O.O Allora un saluto veloce
e… ZZZzzzzz….
|
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Capitolo 31 *** Soddisfazione ***
Soddisfazione
Le damigelle di Adha arrotolarono le tende, e i
raggi di sole penetrarono violenti nel buio salotto delle Dee. Le due
si apprestarono ad aprire le finestre e a sbattere i cuscini, mentre
Adha restava immobile al centro della stanza.
La donna poggiò le mani sui fianchi e
spostò il peso su una gamba.
C’era una scia di vestiti e armi
seminata per il pavimento, e questa si allungava fino alla porta chiusa
della camera da letto di Elena.
Adha avanzò bruscamente verso
l’ingresso e aprì la porta di colpo, per nulla
timorosa di cosa avrebbe trovato.
Elena era rannicchiata all’angolo del
letto; la coperta intrecciata tra le gambe e i cuscini sparsi per
terra, resti di un sonno agitato.
-Elena, so che sei sveglia- mormorò la
donna.
La Dea si tirò su lentamente,
stropicciandosi gli occhi e guardandosi attorno sperduta.
-Adha- sbadigliò stiracchiandosi. In
realtà Elena non aveva chiuso occhio quasi tutta la notte,
ma non poteva far altro se non biasimare se stessa.
La donna lanciò un’occhiata
un po’ ovunque, accertandosi che i suoi erano stati vani
pensieri. –Dormito bene?- chiese serena.
Elena annuì.
Adha andò a togliere le tende dai
vetri. Aprì la finestra e una ventata fresca invase la
stanza. Poi richiamò le sue due ancelle.
Le ragazze cominciarono a mettere ordine nella
camera.
Adha si schiarì la voce, ed Elena
incontrò il suo sguardo.
La donna si fece da parte e indicò i
vestiti gettati sul pavimento del salotto. –Quella
è roba tua?- domandò seria.
Elena curvò le spalle, e
sull’istante le tremarono le gambe. –Sì-
balbettò andando a raccogliere vesti e lacci di cuoio.
Adagiò le armi sui cuscini e si avviò nel bagno a
testa china.
Chiudendosi la porta alle spalle, Elena
sperò che Adha non facesse nascere quel genere di sospetti,
anche se qualcosa era effettivamente successo quella notte.
Non ci pensò allungo,
perché finalmente trovò il modo di distrarsi
impiegando gran parte del tempo a disposizione a lavarsi per bene. Una
settimana lontana dalla vasca da bagno trascorsa a correre per vicoli
bui e arrampicarsi sotto la pioggia… era stato divertente
fino ad un certo punto.
Anche se le sarebbe piaciuto rimanere
nell’acqua più allungo, Elena si costrinse ad
affrettare le cose.
Si avvolse in un asciugamano, lasciò
il bagno e si avviò nella sua stanza, che trovò
in perfetto ordine.
La damigelle di Adha e la donna stessa si erano
dileguate mollandola sola sul piano.
Elena si abbigliò di tutto punto e in
una decina di minuti fu in grado di lasciare gli alloggi. Il peso della
spada al fianco e gli stivali stretti ai polpacci: si tornava alla
carica.
Come prima tappa Elena raggiunse la cucina.
Il locale era deserto, così la ragazza
ebbe libero accesso alle dispense accanto ai fornelli, trovandovi della
frutta e qualche pezzo di pane da intingere nel latte. Fece colazione
lì, di gran fretta, perché non le piaceva
rimanere da sola e tantomeno l’idea di non
esserlo… se a farle compagnia erano certe persone.
Quando ebbe finito, Elena lasciò la
scodella vuota sul ripiano, e si diresse fuori dalle cucine con lo
stomaco troppo pieno.
Nel più totale silenzio delle scale,
voltò l’angolo e fu investita da una confusione
assordante che proveniva dai tavoli della sala mensa.
Assassini, ce n’erano una cinquantina
minimo e parlottavano confusamente. La maggior parte di loro erano di
rango medio - basso, e quei pochi che portavano una veste bianca erano
seduti cauti in disparte, più o meno come la volta alla
festa.
Tra di quelli, Elena riconobbe Fredrik che aveva
il cappuccio abbassato.
La ragazza andò in quella direzione,
ma tra tutti gli assassini che vide seduti al tavolo, le era familiare
solo il viso di Fredrik, che si volse ancor prima che la ragazza
potesse chiamarlo per nome.
-Elena- si alzò in piedi.
–Hai già fatto colazione?- le chiese.
Non avrebbe dovuto avvicinarsi: a quel tavolo
poteva esserci anche Rhami, che però mancava. In compenso,
gli altri assassini di rango alto si allontanarono dalla mensa.
-Sì- rispose lei afflitta.
Perché la sua presenza era tanto indigesta? Si chiese.
-Bene- Fredrik si guardò attorno.
–è buffo, ma il tuo maestro non si è
ancora fatto vedere; ora devo andare, comunque puoi aspettarlo nel
cortile. Non tarderà, vedrai - disse e fece per avviarsi.
Elena osservò l’assassino
sparire nei corridoi che collegavano la mensa ad altre piccole salette.
Quando tutti gli occhi della mensa furono su di lei, Elena
tornò sulle scale e le scese quasi correndo.
Il sole della mattina la colpì in
pieno volto, si affacciò dal parapetto che dava sul cortile
interno e prese un gran respiro d’aria fresca.
Gli arcieri sulle mura miravano composti
l’orizzonte, le pattuglie facevano avanti e indietro senza
sosta guardandosi dalla moltitudine di assassini.
Elena non poté far altro che restare
dov’era, perché il cortile era pieno zeppo di
incappucciati.
-Ma che diavolo succede?- borbottò
lanciando un’occhiata in basso. L’arena degli
allenamenti era vuota, manco a dire che qualcuno di grosso stava dando
dimostrazione delle sue abilità.
La ragazza fece alcuni passi indietro, rientrando
nel salone d’ingresso della fortezza. Si diresse verso lo
studio del maestro e trovò Tharidl che parlava con un saggio
dalla tunica bianca.
-…Tra due giorni potrebbe essere
perfetto. Con il rientro di Adel da Alhepo potremmo svolgere le
cerimonie in una sola volta- disse il saggio.
Tharidl annuì.
–Sì, mi associo. D’altro canto, sono gli
unici che mancano all’appello?- il vecchio gran Maestro le
volse uno sguardo facendole segno di aspettare, ed Elena
indietreggiò chinando il capo.
Il saggio riprese: -Sì. Onestamente,
Maestro, molti di noi si aspettavano che i fatti si sarebbero svolti
separatamente per ciascun membro- disse.
Tharidl scosse la testa. –Non entriamo
nel dettaglio. Ora puoi andare- con un gesto congedò il
saggio che si allontanò dallo studio.
Elena avanzò alzando gli occhi.
–Allora… una cerimonia?- domandò.
–Tutti quelli assassini sono qui per questo?- aggiunse.
Il vecchio Maestro sedette alla scrivania, sulla
quale era poggiato il Frutto dell’Eden ancora avvolto nei
suoi panni. –Sì, ma per ora non fartene alcuna
ragione- disse congiungendo le mani sul tavolo.
-Adel…- pensò ad alta voce
la ragazza. –Vuol dire che lui e il suo gruppo torneranno
così in anticipo?- chiese ancora. Per
“gruppo” intendeva dire “Marhim e
Halef”.
Tharidl annuì.
-Potete dirmi di che cerimonia si tratta, o non
sono tenuta a sapere?- aggrottò la fronte. Quel genere di
segreti non le erano mai piaciuti.
Tharidl sospirò. –Te e
alcuni assassini passerete al rango più alto, nulla di
ché- proferì composto.
-Tutto qui?- fece sbigottita. –Tutta
questa gente per un’investitura? Buffo…-.
-No- disse serio. –Il Tesoro dei
Templari è nuovamente a rischio, ho ordinato che gli
itinerari venissero sospesi anche per questo motivo-.
-Ah, ecco. Mi pareva strano!-.
-Ma la cerimonia di cui ti parlavo è
da assecondare lo stesso. Non è cosa di tutti i giorni che
una donna avanzi così rapidamente di rango-
mormorò assorto.
-Davvero? Insomma…- abbassò
lo sguardo pensierosa. –Mi stavo domandando giusto
questo… i miei addestramenti stanno correndo veloci, me ne
sono accorta chiaramente, e so che ho tutti gli anni della mia infanzia
da recuperare. Ma Maestro… non sono un’assassina,
ora?- alzò il viso.
Tharidl sorrise. –Un uomo
può essere chiamato assassino se la sua mano è
ancora pura?- fece gioioso, con un tono di voce profetico.
Elena curvò la testa da un lato,
confusa.
-Non mi sembra di averti mai affidato una piuma,
mia cara…- bisbigliò soave.
-No, infatti. Ma nella fortezza sia Adha che le
sue damigelle mi chiamano Dea già da molto-
dichiarò lei.
-Quel nome è pieno di sottintesi-
proferì Tharidl. –Nel momento in cui tua madre ti
diede al mondo saresti potuta essere chiamata Dea…-.
-E allora è dopo questa cerimonia che
potrò essere chiamata così in sede ufficiale?-.
-Indovini il giusto. Temo di
sì…- borbottò il vecchio.
-Perché… temete?-.
Il Maestro si sollevò dalla sedia e
andò ad affacciarsi alle vetrate. –Mi ricordi
tanto… troppo tua madre, troppo- mormorò.
Tacquero entrambi allungo, fin quando ad Elena
non balzò in mente una domanda, che le era ronzata in testa
tutta la notte.
-Maestro- chiamò, e l’uomo
si voltò.
Elena indugiò un istante.
–La madre di Rhami, Maestro, fu una Dea?- domandò,
alzando gli occhi e fermandoli in quelli scuri di lui.
Il vecchio alzò un sopracciglio.
–Tu come lo sai?- fece contegnoso, celando lo stupore.
Elena, colta in contro piede da quella domanda,
indietreggiò come se da un momento all’altro
sarebbe scappata. –Ecco- si morse un labbro.
Tharidl si fece ancor più serio.
-È stato lui a dirtelo?-.
La ragazza tornò dritta e
annuì sospirando.
-Se lo stava tenendo dentro da parecchio-.
L’assassina sgranò gli
occhi.
-Non l’aveva mai detto a nessuno. Io lo
sapevo perché certe cose non sono tenute nascoste al Gran
Maestro, ma Rhami ha voluto da sé tenere il segreto,
chiedendomi di tacere. Mi sorprende che l’abbia detto proprio
a te… ma pensandoci, forse l’ha fatto per
aiutarti? Offrirti il suo aiuto?- la interrogò schivo.
Elena non aveva bisogno di nessuno, ancora non
era chiaro? –Non credo- parlottò rabbiosa,
ripensando che era stata solo una scusa per abbordarla.
-In ogni modo- riprese il vecchio
–dovresti…-.
Non terminò la frase che una colomba
grigia si fece largo nella sala, il suo sbattere d’ali
confusionario e spaventato si arrestò solo quando
l’animale poggiò le gracili zampette sulla
scrivania del Maestro. Attorno al collo, quando richiuse le ali, Elena
notò che portava un messaggio stretto in una piccola capsula
di vetro soffiato.
Tharidl si chinò
sull’uccello e gli sottrasse di dosso il messaggio.
La colomba zampettò qua e
là.
Il Gran Maestro aprì il piccolo
stralcio di pergamena e dovette avvicinarlo al viso per leggere al
meglio cosa vi era scritto.
Elena rimase paziente ad aspettare.
-Sono ad Acri- proferì in fine il
Maestro, poggiando sul tavolo il foglietto.
-Chi?- domandò interessata.
Il vecchio mostrò tutta la sua gioia
in un improvviso e luminoso sorriso. -Adel e i suoi-
proferì. -Questa lettera risale al massimo a ieri, e vuol
dire che sono già in viaggio e diretti qui-.
Dentro di lei si agitò una
felicità immensa. I suoi amici stavano facendo ritorno.
Tharidl accarezzò le piume argentate
dell’uccello, che al suo tocco gli montò sul
braccio. Poi il vecchio richiuse la bestiolina nella gabbietta sullo
scaffale della libreria, assieme alle altre colombe.
-Entro domani a quest’ora saranno qui.
Stavo dicendo…- borbottò tornando con gli occhi
su di lei. –Dovresti avviarti; ho del lavoro da sbrigare e il
tuo maestro ti starà cercando-.
Elena scosse la testa allegra. –Invece
era il contrario. Altair non si è fatto vedere tutta la
mattina- rise.
-Concordo- parlottò tra sé
e sé. -Speravo che passasse da me perché avevamo
della cose di cui discutere-.
-Potrei andare… a cercarlo- propose
lei.
Il vecchio annuì poco convinto.
–Ma non spingerti troppo oltre. Modera le tue destinazioni-
l’ammonì.
Elena rimase in dubbio sulle quelle ultime
parole; nonostante ciò proferì un inchino e si
avviò sulle scale.
Tornò ad affacciarsi sul cortile
interno, che traboccava ancora di assassini, ma quei pochi uomini che
portavano un cappuccio bianco, Elena non riconobbe né il
rango pari al suo maestro; quindi non era lì.
Si avviò dentro la fortezza e
cercò nella biblioteca: nulla da fare.
Salendo le scale, si fermò a
controllare nelle stanza dei bambini, che trovò curiosamente
vuote. Tornò nelle cucine, nella sala mensa e, quando ormai
aveva perso tutte le speranze, tentò dicendosi:
-Magari sta ancora dormendo…- era poco
probabile, ma tanto valeva tentare con tutte le ipotesi più
assurde dato l’evenienza. Quella stanca e ancora sotto le
coperte sarebbe dovuta essere lei…
La ragazza raggiunse l’ala degli
appartamenti nobili in un batti baleno. Una volta nel cortile con la
fontana, si ricordò alla perfezione quale corridoio
imboccare e davanti a quale porta fermarsi.
Era lì lì per bussare,
quando il suo braccio tornò steso al suo fianco.
Si sarebbe arrabbiato da morire, se
l’aspettava! Ma dopotutto, l’aveva fatta girare in
lungo e in largo per la fortezza mentre lui era rimasto (forse) a
dormire. Chissà che cosa l’aveva stancato
tanto…
La ragazza entrò, scostando
delicatamente il primo battente.
Si affacciò all’interno e lo
trovò ben illuminato di luce solare che penetrava dalle
vetrate spalancate, dalle quali passava anche un rinfrescante
venticello.
-Rashy!- sussurrò lei entrando del
tutto nel locale, e la falchetta, con gli artigli stretti sul
cornicione della finestra aperta, si voltò a guardarla coi
suoi puzzi scuri.
L’animaletto emise un sibilo acuto,
appena percettibile e spalancò le ali come per salutarla.
Elena sorrise, ma tornò presto a
guardarsi attorno.
La stanza era schiava dell’ordine e
della compostezza, cosa che Elena non aveva trovato nella sua prima
venuta. Gli armadi ben chiusi e i libri riposti negli scaffali. Le
carte geografiche arrotolate sulla scrivania, i tappeti lindi e
impeccabili sparsi sul pavimento.
Era sicura di essere nella stanza giusta?
Sì, era nella stanza giusta, o Rashy
non sarebbe là a fissare il panorama dalla finestra.
Elena non sapeva dove altro cercare quando,
distrattamente, il suo sguardo cadde sulla scala che portava al
soppalco.
Ne valeva la pena di fare qualche gradino
constatando che era una gran deficiente se pretendeva di poter
ficcanasare nella stanza del suo maestro così? Ovvio.
La ragazza si arrampicò
silenziosamente fino ad affacciarsi solo con il busto sul soppalco.
Vuoto.
Il letto era rifatto, c’erano dei testi
impilati su una piccola e bassa libreria e una candela spenta sul
comodino. Il tutto avvolto da una luce più soffusa
perché i raggi del sole non arrivavano fin là su.
-Che cosa stai facendo?-.
La ragazza sobbalzò, perse
l’equilibrio e l’unica cosa che vide fu la scala
allontanarsi, mentre la sua schiena cadeva dritta dritta verso il
pavimento.
Altair l’afferrò svelto e
senza sforzo per i fianchi, poi i piedi di Elena toccarono terra.
L’assassina si scansò di
colpo voltandosi. –Maestro-.
-È quasi tutta la mattina che ti
cerco- rispose lui. Il volto celato dal cappuccio e le armi indosso.
–Si può sapere che cosa stavi facendo qui?-
sbottò furioso.
E così era lui che la stava cercando?
Insomma, si erano rincorsi per la fortezza entrambi tutta la mattina?
Ma che scemi, si disse…
Elena fece un passo avanti. –Mi spiace,
ma anche io vi cercavo! Sono stata nella biblioteca, nello studio del
maestro, nelle stanze dei bambini, ovunque!-.
-Altrettanto- parlottò lui
confusamente, in piedi davanti all’ingresso.
–Andiamo, oggi non abbiamo tempo da perdere- le disse
facendosi da parte.
La ragazza si avviò nel corridoio, e
Altair, prima di chiudere la porta della sua stanza, attese che Rashy
si posasse sulla sua spalla.
Una volta nel cortile interno, l’aquila
si levò in cielo con un grido, e la massa di assassini
lì riunita tacque.
Eh no… si disse Elena seguendo il suo
maestro fino all’arena per gli allenamenti.
Quell’improvviso mutismo…
Elena si sentiva avvolta, graffiata e violentata da quelli sguardi
tutti o la maggior parte puntati su di loro.
Al passaggio del mastro assassino, la calca si
snodava e lo lasciava continuare indisturbato, mentre Elena, alle sue
spalle, avvertiva l’aria mancarle poiché stesse
trattenendo il respiro.
Non le andava a genio che dovessero allenarsi
davanti a tutta quella gente che non aveva un cavolo da fare se non
spettegolare ulteriormente su di lei. Già la voci giravano,
e con quell’ennesima comparsa in pubblico, la ragazza non
sapeva come avrebbe tirato avanti nelle prossime 24 ore.
La verità era che le mancava Marhim;
le mancava il suo sorriso che le dava forza e le mancavano i suoi
abbracci quando si convinceva di non farcela.
Altair entrò nel recinto balzando
oltre la staccionata, sfoderò la lama corta e
restò impalato ad aspettare che Elena facesse lo stesso.
La ragazza non mosse un piede più
avanti per diverse manciate di secondi, fin quando non fu il suo
maestro a riportarla con la mente sul pianeta Terra.
-Elena- la chiamò.
Eppure non le piacque, perché subito
dopo quelle poche sillabe pronunciate, tra la folla alle sue spalle,
Elena avvertì nascere un brusio costante e ripetuto,
alquanto fastidioso.
La ragazza avanzò, accedendo
lentamente all’arena e, con movimenti dimezzati,
sguainò la piccola arma.
Voleva far cessare quel brusio innervosente, e
l’unico modo era lasciare senza parole tutti i presenti,
ovvero combattere.
Non seppe se riuscì nel suo intento.
Erano ore o minuti che si esercitavano nel
cortile, alternando l’uso della lama corta a quello della
spada. Poco prima avevano interrotto per rinfrescare le nozioni con i
pugnali da lancio, ma la cosa si era conclusa presto. Durante
l’itinerario ad Acri, Elena aveva affinato parecchie delle
sue qualità, tra cui la mira e il lancio dei coltellini.
Senza volerlo, il suo stile di combattimento era diventato
più classificato e meno rozzo. I suoi colpi andavano spesso
a buon fine, i suoi pugnali facevano sempre centro. Altair non aveva
motivo di non essere fiero della sua allieva, che sicuramente aveva
appreso così velocemente da lasciarlo anche piuttosto
stupefatto.
-Sei troppo rigida; accompagna il movimento con
le gambe- le diceva sempre.
Ed Elena ascoltava, annuiva, sorrideva e di
seguito lo rendeva ancor più sorpreso dei suoi risultati.
Imparava troppo in fretta, si disse, perché sarebbe venuto
un giorno in cui molte cose sarebbero cambiate. Il giorno in cui
sarebbe stata una vera assassina, preda della solitudine e dello
sconforto che solo togliere la vita altrui può portare. Solo
allora sarebbe stato tutto più difficile, le scuola
superiore che tutti temevano, il rango a cui quasi non voleva aspirare.
Ma l’avrebbe fatto per sua madre e suo padre, e dimostrare
che la sua famiglia aveva donato a questo mondo pullulante di guerra e
ignobili bastardi una nuova, poderosa e ben affilata arma tagliente:
una Dea.
La ragazza schivò il colpo piegando le
ginocchia e, alzando svelta il braccio, menò un pugno con la
mano sinistra al costato del suo maestro.
Altair indietreggiò, sorpreso da
quell’offensiva, ma senza dare alcun segno di dolore.
–Però- gioì.
Elena tornò dritta. –Non
avrei dovuto, scusate!- disse avvilita, ma il suo maestro
l’aveva messa in condizione di respingere l’attacco
solo in quel modo.
-Non scusarti, non mi aspettavo che avresti
reagito così, anche se era quello che volevo facessi- disse,
massaggiandosi il punto colpito.
Elena aprì e chiuse il palmo libero
sgranchendosi le nocche. –Come mai?- domandò.
-Non sempre avrai a disposizione
un’arma, e quando ne possiederai una in particolare dovrai
essere in grado di usarla- dette quelle parole, l’assassino
fece scattare la lama nascosta che fuoriuscì dal suo polso
in un sibilo metallico. La lama stette all’aperto frazioni di
secondi, perché l’uomo, con un semplice tocco, la
richiamò all’interno del fodero celato dai lacci
del guanto.
Impressionante, ma possibile che Altair si stesse
riferendo a quell’arma?
Elena si guardò il braccio sinistro,
distendendo le dita della mano e voltando il palmo verso
l’alto. Possibile che un giorno anche lei ne avrebbe
posseduta una?
-Forza e coraggio- Altair le venne vicino.
–Intendi proseguire l’addestramento?- aveva tono
pacato, ma che tendeva all’affettuoso.
La ragazza annuì, pienamente convinta.
-Ottimo- l’assassino si
stanziò e i due ripresero lo scontro.
Il cielo azzurro, la brezza fresca e il silenzio
della folla. Quel giorno stava diventando piacevole, e alquanto
divertente.
Riuscì a pieno nel suo intento,
poiché più volte costrinse il suo maestro a
faticare per rivalersi nello scontro, e quelle volte gli assassini che
presenziavano nel cortile si cimentavano in un gradito silenzio.
In fine, Altair fece scivolare la sua piccola
lama contro quella di Elena, afferrò il polso della ragazza
e la fece voltare, portandole il braccio dietro la schiena.
Elena trattenne il gemito, ma il suo maestro le
puntò la spada corta alla gola. –Situazione
familiare?- chiese ridendo, e il suo fiato affaticato le
arrivò sul collo.
La ragazza soffocò una risata.
–Sì- disse allegra, e l’assassino
lasciò che si divincolasse.
Elena tornò dritta facendo
scricchiolare le ossa della schiena e slogando le spalle.
Altair la guardò divertito.
–Fai progressi ma rimango sempre il migliore-.
Elena ricambiò il sorriso luminoso del
suo maestro con altrettanta gioia.
Altair rinfoderò la lama. –
Ora…- si guardò attorno. –Mi piacerebbe
tanto che qualcuno…- disse.
La giovane sobbalzò. –che
qualcuno?- era confusa.
Il suo maestro le lanciò
un’occhiata da sotto il cappuccio. –Mi piacerebbe
tanto che qualcuno ingaggiasse con te non un addestramento, ma un
duello vero e proprio. Nessuna esclusione di colpi e mettiamo da parte
le regole accademiche, vorrei che imparassi a fare sul serio- disse
accigliato.
La ragazza annuì. –Ebbene?-.
-Ebbene- proseguì
l’assassino passeggiando per l’arena.
–Lascio a te scegliere il tuo avversario. Uno qualunque,
novizio o Angelo che sia! Avanti, me compreso- ridacchiò
malizioso.
Elena ci pensò.
-Vo…- stava per dire
“voi”. Voi riferito al suo maestro, ma il suo
sorriso di sfida si spense lentamente, mentre i suoi occhi azzurri
scorrevano tra la folla in cerca di quelli che li somigliavano.
Quando il silenzio cominciò a farsi
intollerabile anche per il suo maestro, questo mosse un passo avanti.
–Vuoi che scelga io?-.
-Rhami- disse solo in sussurro. –Rhami-
ripeté meno incerta.
Altair si arrestò dov’era,
ma non assentì. Si voltò verso la calca attorno
alla recinzione. –So che hai sentito, ragazzo! Puoi anche
venire avanti, ma non ti è concesso rifiutare!- rise.
Era stato lui a chiederle se l’invito a
duello era ancora valido, dunque sì, lo era. Era ora di
tener fede alle sue parole, di menare qualche colpo a quel ragazzino
presuntuoso e arrogante.
-Non ho mai avuto intenzione di tirarmi
indietro!- rispose Rhami, ma alle orecchie di Elena giunse solo la sua
voce, perché la figura del ragazzo era celata tra la folla
di assassini.
Altair le andò affianco. –Ne
sei sicura?- le chiese.
-Certo. Avete qualcosa in contrario, maestro?-
rise lei.
-No- Altair tornò a scrutare i volti
dei presenti.
Rhami avanzò verso l’arena
con passo deciso, ed Elena incontrò i suoi occhi di ghiaccio.
Il ragazzo saltò la staccionata e
sfoderò la spada. –Sarà un vero
piacere- arrise maligno.
-Mi associo!- fece Elena contegnosa traendo dal
fodero la sua arma.
Altair si allontanò dal centro del
campo e sedette sulla ringhiera di legno. –Cominciate- li
disse.
-Eri così impaziente?-
assentì Rhami.
Elena disprezzava il suo atteggiamento
menefreghista. –Se la metti in questo senso- tenne il suo
sguardo accattivante, e c’era una sfida anche in quei piccoli
gesti.
-Perché umiliarti combattendo con me?-
domandò il ragazzo alzando le spalle.
-Me lo devi, ricordi?- lei strinse i denti.
-Che furore…- commentò
l’assassino.
-Che tu possa bruciare
all’Inferno…- ribatté lei.
-Accanto a te?- sbottò divertito.
Elena si sentì attraversata da un
brivido. Quanto avrebbe pagato pur di poterlo decapitare lì,
sul momento! Strinse con più forza l’impugnatura
dell’arma. –Fatti avanti!- gridò lei.
Altair sgranò gli occhi.
–Che sta succedendo?- domandò sospettoso lanciando
un’occhiataccia al ragazzo.
Rhami lo ignorò e fece un passo verso
di lei.
Elena gli puntò la spada contro.
–Te la sei cercata!-.
-E ne sono tanto, tanto felice!- lui
l’attaccò, con un colpo ben piazzato
all’altezza dei fianchi ed Elena fu costretta ad
indietreggiare.
Il suo avversario menò un nuovo
affondo, ma la ragazza lo parò con facilità.
Spinse via la sua spada, e Rhami si trovò in breve
disarmato. –Ma che cavolo…- borbottò
lui.
Elena scoppiò in una fragorosa risata.
–Ti sei lasciato prendere…
dall’emozione?- avvicinò il volto al suo.
-Può darsi- alzò un
sopracciglio.
La ragazza sorrise. –Ho già
vinto?-.
-No-.
Rhami scartò di lato con un balzo e la
tirò per il braccio. Elena lasciò la presa sulla
spada che passò nelle mani del suo avversario. Questo la
minacciò alla gola. –Sorpresa!- gioì
con il viso poco e nulla distante da quello di lei.
Elena alzò una gamba e lo spinse via
con un calcio. Gli saltò incontro e gli sottrasse la spada
di mano.
La ragazza rinfoderò poi
l’arma ed estrasse la lama corta. Quando tornò
addosso al suo avversario, Rhami schivò con un saltello, ma
Elena non gli diede tregua e menò un colpo alto.
Il ragazzo levò il braccio sinistro e
la sua lama nascosta andò ad impedire che Elena gli
infilzasse la spalla. –Anche questa è
abilità, non trovi?- rise lui.
Elena restò sbigottita di quel gesto
tanto veloce: il meccanismo pareva essersi innescato da solo, eppure i
movimenti di Rhami più di una volta erano stati capaci di
sorprenderla.
La sua lama corta spingeva contro quella nascosta
dell’assassino che, senza attendere un secondo di
più, utilizzò la mano libera per sottrarle
l’arma.
Quando ritrasse la lama nel polso, Elena
finì per perdere l’equilibrio e cadere tra le sue
braccia.
-Ben tornata…- le mormorò
Rhami assaporando il suo profumo, ma Elena non riuscì a
divincolarsi dalla sua presa, incredibilmente salda e
possessiva.
-Ehi, Don Giovanni! Vedi di tenere le mani
apposto!- gridò qualcuno dalla folla, mentre altri ridevano.
-Rhami vecchio Rhami!- ridacchiò un
assassino.
-Scendi dalle nuvole!- disse qualcun altro.
Altair si alzò d’un tratto
dalla staccionata. –Basta così!- era irritato da
quel genere di comportamenti. –Se sei qui per combattere,
bene; sennò Rhami puoi anche lasciare questo cortile!-.
Il giovane assassino ebbe solo il tempo di aprire
la bocca, proferendo parole mute, mentre il suo viso veniva
attraversato da un’espressione di dolore extremis.
Elena aveva mirato lì in basso, con
una ginocchiata ben assestata, e le braccia del ragazzo si erano
sciolte dai suoi fianchi permettendole di indietreggiare col sorriso
soddisfatto.
Rhami si rovesciò a terra in
ginocchio, portandosi le mani tra le gambe.
–Maledetta…- strinse i denti fulminandola con
un’occhiataccia. Alla malizia e al furore dei suoi occhi
azzurri si sostituì uno sguardo che sapeva solo impietosire.
Forse aveva esagerato?
-Nah- si disse Elena andando a recuperare la sua
lama corta da terra, accanto al ragazzo.
-Soddisfatto?- gli mormorò
all’orecchio.
Rhami la guardò senza fiato.
–hai vinto!- la voce incrinata dal dolore, la stessa voce che
non era più tanto angelica. –Maledetta Dea, hai
vinto!-.
Elena si avvicinò al suo maestro
rinfoderando la lama nel fodero sulle spalle.
Altair sorrideva divertito a braccia incrociate.
–ben fatto- le disse.
-Se lo meritava- borbottò la ragazza
tra se.
-Hai perfettamente ragione. È sempre
stato parecchio strafottente- Altair avanzò verso il giovane
al centro del campo.
Rhami si sollevò lentamente, e il suo
volto fu attraversato diverse volte da scosse di dolore.
-E tu dovresti imparare a non sottovalutare certi
tuoi punti deboli. Soprattutto quando combatti una Dea- gli disse.
Rhami chinò il capo, ma non
riuscì a drizzare le spalle dal dolore persistente al
cavallo. –…certo- balbettò.
–Me lo ricorderò…- aggiunse.
Elena sarebbe scoppiata a ridere da un momento
all’altro, sbellicandosi allo stesso modo di come si
divertivano gli assassini tutt’attorno nel cortile.
-Che ti serva di lezione- Altair gli diede una
pacca sulla spalla e al giovane scappò un gemito.
Rhami si allontanò tutto dolorante
come se gli avessero rovesciato addosso tonnellate di pietre, e
sparì tra la folla che gli fece largo, al poveretto.
La massa di assassini si disperse per la fortezza
lentamente, chi diretto a pranzo e chi invece altrove, come in
città, al mercato o nelle proprie stanze.
-Noi abbiamo finito?- domandò la
ragazza quando il suo maestro le fu di nuovo affianco.
-Non so, tu che dici?- sorrise.
Lei annuì.
-Allora sei libera, te lo meriti- dicendo
così le strinse una spalla e si allontanò dal
cortile, avviandosi nella roccaforte.
Elena si guardò attorno. Prese una
grossa boccata d’aria fresca e riempì i polmoni di
un immenso senso di soddisfazione.
________________________________________
Novità:
Elika non posò codesto capitolo non alle 3 del mattino, ma
intorno alle 18.30, mi pare. Sì, sì. Dunque, che
dire? Rhami, vecchio Rhami, te lo meriti! E te la sei davvero cercata,
mascalzone… parlo come mia nonna. Ma tornando al dunque.
Ecco un nuovo capitolo più corto della media ma che spero vi
sia piaciuto. Certo, anche qui sembra tutta una situazione di
“passaggio” ed è così. Elena
ha appena staccato dal vivo dell’azione, e volevo farle
prendere fiato… Soddisfazione? Che
cos’è questa parola? Un nome, ovviamente in
analisi grammaticale. XD Allora… Ora passo ai ringraziamenti.
GRAZIE AI MIGLIORI UTENTI DI QUESTO SITO:
Saphira87
goku94
Lilyna_93
Carty_Sbaut
X
Saphi: non c’è molto da dire, se non
che mi sto cimentando a cercare qualcosa da scrivere nel presente,
insomma nell’Abstergo… e devo dire che mi trovo
alquanto a corto di idee. Sia da un punto di vista di
“azione” che da un punto di vista
“sentimentale”. Sì, sono saltate fuori
le vere mansioni delle Dee, e be’… sinceramente
metterò un piccolo punto più grosso nel prossimo
capitolo, su questo. Col ritorno di Marhim, la cerimonia, e tutto il
resto… Spero che ti sia piaciuto questo giovane allocco
chappo!
X
Lilyna: Non c’è molto da
dire… mi mancano le tue recensioni ç__ç
X
goku94: su msn ti faccio sempre una CAPA COSI’.
Ovviamente sia per quanto riguarda la tua ff che quando aggiorno le
mie… insomma, sei il primo a saperlo e il primo a correre a
leggere! (assieme alla Saphi). Recensisci anche questo o ti sei stufato
di dirmi quanto scrivo bene? *__*
X
Carty_Sbaut: nuova lettrice, grazie e sono contenta che la
mia ff ti piaccia. Mi dispiace così tanto per Lilyna, ma io
qui mi sento male se non scrivo e non poso tutti i giorni qualcosina!
Comunque, spero che continuerai a seguire la mia storia, che man a mano
che va avanti sta diventando sempre più ben scritta e
interessante !!! *__* anche per me!!! ù.ù
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Capitolo 32 *** Le sue Cronache, tra le sue braccia ***
Le
sue Cronache, tra le sue braccia
Nel
pomeriggio, dopo pranzo, Elena si recò nella biblioteca.
Trovò
la sala alquanto silenziosa e spopolata; chissà dove erano
tutti quei saggi che di solito si aggiravano per quelli scaffali, si
chiese. O meglio, chissà dove erano andati a far casino
tutti quelli assassini!
La
ragazza curiosò un po’ in giro,
adocchiò qualche testo interessante e ben presto
raggruppò tra le braccia un mucchietto pesante di libri.
Poggiò il tutto sul tavolo al centro della biblioteca, dove
fu sorpresa di trovarvi due giovani incappucciati con la testa china
sulle le pagine.
La
ragazza li osservò in silenzio e immobile, ma i due parevano
molto assorti, così si sedette a distanza e
cominciò a sfogliare qualche riga.
La
luce del sole penetrava dal grosso lucernario sul soffitto e allungava
i suoi raggi magnifici per tutta la biblioteca. Si diffondeva il canto
degli uccellini appollaiati sul tetto, assieme ai bisbigli indistinti
di altri possibili visitatori della biblioteca.
Il
pulviscolo atmosferico e la polvere galleggiavano nell’aria
minuziosamente, ed Elena starnutì.
Uno
dei due si voltò a guardarla solo un istante prima di
tornare allo studio.
La
ragazza si concentrò sulle parole di ciò che
stava leggendo e scoprì quel testo parecchio interessante.
Erano
le cronache di un assassino dal nome anonimo. Elena lesse
l’intestazione con attenzione e scoprì che costui
nell’anonimato aveva scritto di sua mano quel testo sperando
che qualcuno lo leggesse. Ebbene, Elena ora c’era ed era
tanto curiosa di sapere come se la passava un assassino di medio rango
durante i suoi primi addestramenti.
Lesse
che il poveretto era stato strappato dalla famiglia a soli cinque anni.
I suoi genitori l’avevano dato disperso quando il piccolino
si era allontanato dalla madre mentre ella faceva compere nel mercato
di Damasco. Il giovane si era allontanato dal centro della
città finendo nei distretti poveri, ove si era imbattuto con
un soldato ubriaco che gli aveva puntato la spada contro.
Lì
era intervenuto un assassino, e da quel momento il piccolo ragazzo non
si era più allontanato dal suo mentore.
Elena
lesse interessata di come questo assassino divenne presto il suo
maestro. Egli veniva nominato dall’autore come il
“Dio”. Perché l’anonimo
scrittore narrò in quel testo che Elena lesse con tanta
voracità di aver imparato da lui così poco da
poter essere nominato solo “Angelo”.
L’anonimo assassino aveva scritto di voler aspirare alla sua
bravura, ma Elena era curiosa di sapere in primis quale fosse il nome
di entrambi, sia allievo che maestro.
L’allievo
era cresciuto al fianco del Dio durante tutti i suoi anni di
gioventù, apprendendo da lui ogni qual si voglia uso
d’armi. Elena arrivò al nono capitolo senza troppa
fatica e con ancora tanta voglia di leggere dentro che nessuno
l’avrebbe potuta fermare.
Questo
paragrafo delle Cronache l’aveva scritto con tanto amore il
Rafik di Gerusalemme di venti e più anni prima. Egli narrava
delle missioni compiute dell’allievo e di come questo
apprendesse alla lettera i consigli del suo maestro.
Elena
pensò alla sua permanenza ad Acri e a come il Rafik si era
impegnato nell’aggiornare repentinamente sia le sue che le
Cronache di Altair. Era un uso comune, si disse, perché
nell’ala della biblioteca ove aveva trovato il testo anonimo,
aveva pescato molte Cronache di tanti altri assassini, soprattutto
anonimi.
Elena,
immersa fino al collo nella lettura e persa tra l’inchiostro
delle parole, lasciò che il tempo corresse via senza che se
n’accorgesse.
Uno
dei due assassini si allontanò dal tavolo con il libro sotto
braccio e lasciò la biblioteca.
Elena
alzò gli occhi dagli scritti e lanciò
un’occhiata al ragazzo rimasto lì a leggere come
lei.
Questo
incontrò il suo sguardo e sorrise da sotto il cappuccio, poi
tornò allo studio.
Elena
notò che era di rango piuttosto alto: quasi paro al suo
maestro e gli mancavano solo i cinque pugnali da lancio sulla spalla.
Il volto giovane e serio celato dall’ombra scura del
cappuccio, gli occhi assorti nella lettura.
La
ragazza non si lasciò distrarre ulteriormente, ma quando si
accorse di essere arrivata all’undicesimo capitolo e lesse la
prima riga, sobbalzò.
Questa
frase iniziava con un discorso diretto dell’anonimo autore.
Diceva: “Kalel diede me un gran dispiacere. Non credei
possibile quello che aveva fatto. Il mio Dio diede me un gran
dispiacere…”.
Si
stava riferendo a suo padre, Elena l’aveva inteso bene, ma
possibile che Kalel avesse salvato quel ragazzo dal soldato ubriaco e
fosse stato poi suo maestro? E se quelle fossero le Cronache di suo
fratello? No, non poteva essere, quel testo non apparteneva al suo
fratello occulto dall’anonimato. Egli non aveva mai avuto una
famiglia a Damasco. Elena comprese che suo padre, nei tempi della sua
massima maestria, aveva dato insegnamenti ai novizi allo stesso modo di
come Altair stava facendo con lei. Elena lesse le parole
dell’allievo di suo padre con cura, cercando di estrapolare
da quelle complicate riflessioni personali cosa l’avesse
turbato tanto.
Scoprì
che l’anonimo si stava riferendo all’amore nato tra
Kalel e la Dea Alice, che l’anonimo chiamava la
“Serpe”.
Ecco
spiegato il tatuaggio che Elena portava sul braccio sinistro.
“Serpe
assisteva ai miei allenamenti, Serpe mi derideva quando il mio Dio mi
batteva a duello, Serpe era alla mensa seduta sempre accanto al mio
Dio, Serpe, Serpe, Serpe! Sfidai Serpe a duello. Serpe mi
schiacciò a terra e il mio Dio rise di me. Serpe era
… una Serpe…” le parole di un assassino
tormentato dalla presenza assidua di una Dea troppo piena dal suo
amore. Quel punto di vista le fece male, perché
scoprì che Kalel era stato parecchio ingiusto con il suo
allievo. Non riuscì a credere che quella Serpe
così piena di sé fosse sua madre, ma forse
l’anonimo scrittore aveva gonfiato a suo vantaggio la storia,
esprimendo un giudizio che traboccava di rabbia e furore a causa degli
allenamenti sprecati e il tempo perso.
Elena
lesse di quanto l’assassino fu felice dell’esilio
di Kalel e Alice, ma quel punto fu troppo.
La
ragazza chiuse il libro con violenza e lo andò a mettere al
suo posto, esattamente dove l’aveva trovato. Tornando a
sedersi, si ritrovò da sola in tutta la biblioteca.
Meglio
così, si disse alzando le spalle, e aprì il
prossimo libro guardandosi attorno circospetta. Eppure non si sentiva
affatto sola, anzi…
Questo
nuovo avvincente testo erano le Cronache di un assassino poco convinto
di quello che faceva. Si lamentava spesso nella maggior parte dei
capitoli, di quanto uccidere fosse la cosa più straziante
del mondo, insomma, dopo tutto… l’autore anche
questo anonimo, sembrava vedere il lato apocalittico della
confraternita. Nei suoi scritti, nella sua calligrafia tremolata e
incerta, Elena colse la paura angosciante della prossima missione, e il
timore di stringere tra le mani una nuova piuma linda da macchiare.
Quando
si fu stancata anche di quel medesimo testo senza informazioni
interessanti, Elena si costrinse a mettere apposto tutti i libri fin
ora scelti e a cominciare da capo la ricerca.
Saziò
la sua curiosità in un’ala nascosta della
biblioteca, dove grandi scaffali polverosi erano chiusi da spesse grate
di metallo, cui era possibile accedere senza alcun tipo di serratura o
chiave. Così Elena allungò una mano e
passò il dito sui dorsi dei testi, scorrendo con gli occhi i
titoli più interessanti.
Da
un sondaggio ben accurato, la ragazza scoprì che quelli
scaffali traboccavano di Cronache scritte sugli assassini
più abili, o meglio quelli di rango alto e che aspiravano
all’omicidio perfetto.
Elena
sobbalzò.
Mancavano
dei testi, in un angolo in basso a destra. Gli spazi vuoti erano
attraversati da ragnatele e sopraffati dalla polvere, e il buio
lasciava i fori necessari per inserirvi due grossi volumi.
Ecco
le Cronache mancanti che la spia aveva pensato bene di portare a
Corrado.
Già,
la spia… cacciò quei pensieri, non le andava a
genio di rovinarsi la giornata, anche se avrebbe dovuto dire a Tharidl
chi si celava nell’anonimato e sgattaiolava per la fortezza
rubando informazioni preziose. Avrebbe dovuto spezzare la catena
svelando il nome di Minha. In lei si muoveva il timore che non fosse
realmente lei. Insomma, parlandoci chiaro, quella volta Corrado aveva
utilizzato il Frutto dell’Eden per generare
l’illusione di suo padre ancora vivo. Come poteva
sottovalutare il fatto che anche la visione di Minha poteva essere
scherzo del Potere del Frutto? Se Corrado l’avesse fatto
apposta indirizzando le sue accuse contro una donna innocente?
Cacciò quei pensieri.
Elena
si chinò in ginocchio e notò che, accanto a quei
fori scuri, c’erano altri testi che portavano un solo nome:
Altair.
La
ragazza afferrò il primo tra tutti i volumi e si sedette
nell’angolo tra lo scaffale e la parete di pietra.
Incrociò le gambe e aprì ad una pagina
qualunque…
Giorno
del peccato. Ha ucciso.
Titolo
interessante, pensò lei con malinconia.
Mondo
che brucia, fiamme eterne che lo avvolgono. Il Rafik non può
aiutarlo, è solo a questo mondo e nessuno può
aiutarlo. È marchiato a vita, e il suo animo si perde
nell’oscurità. Mi ha chiesto lui di scrivere
questo. Ha ucciso.
Elena
chiuse il libro lentamente.
Non
avrebbe dovuto, insomma… quanti avevano osato leggere quelle
pagine? Se c’era una grata, poteva altro non essere un
avvertimento, un gran cartello con scritto: alla larga, questi testi
possono indurre alla depressione.
E
così era, perché leggere sarebbe stato
disonorevole nei confronti delle persone cui appartenevano quelle
parole, ma anche straziante da un punto di vista oggettivo per il
lettore.
La
ragazza si sollevò afflitta.
La
curiosità l’avrebbe lacerata, ma non poteva, si
disse che non poteva. In fondo al suo cuore, sapeva che avrebbe
scoperto molto se avesse continuato a leggere, ma quel troppo
sufficiente per lasciarle dentro un vuoto immenso.
Ripose
il libro dove l’aveva preso e
s’incamminò verso il centro della biblioteca,
sedette al tavolo e congiunse le mani sul ripiano.
Rimase
in silenzio, lanciò un’occhiata a quelli scaffali
tanto ombrosi, ma si riscosse, perché ci stava ripensando.
-Elena-.
Voce
familiare la chiamò e la ragazza si voltò
… parli del diavolo, spuntano nel corna, pensò.
Altair
le venne al fianco ed Elena si alzò, cogliendo
l’espressione del suo maestro alquanto seria e contenuta.
-È
successo qualcosa?- domandò con innocenza. L’aveva
vista! L’aveva beccata! Ahi, ahi…
L’assassino
tacque pensieroso, poi disse: -Ti ricordi di aver preso un certo
impegno, vero?- chiese.
Elena
scosse la testa. –Quale?- fece stupita. Quale a parte
diventare una Dea, servire e riverire la setta, ammazzare, combattere,
allenarsi, farla pagare a Rhami. Cancellò l’ultimo
punto: già fatto.
-Il
Maestro vuole che assistiamo al raduno per discutere del Frutto-
proferì rigoroso.
Elena
impallidì. –Sì, è
vero… ho accettato- ora ricordava. Ma quella notte le erano
passate per la mente tante altre piccole novità che non
aveva avuto modo di riflettere più di tanto su questa nuova
responsabilità.
Curvò
le spalle. Le sarebbe piaciuto avere altro tempo libero, ma la sua
stupidità (nell’aver accettato
l’incarico) chiamava a rapporto.
Altair
addolcì lo sguardo e le perse il mento in una mano,
sollevandole il viso. –Sei sicura? Puoi anche rinunciare, non
sarò certo io ad obbligarti-.
Elena
lo fissò negli occhi alcuni istanti, e in testa le si
agitarono le poche parole appena lette. –Ecco…-
mormorò, ma ricacciò quell’insicurezza
e quei pensieri, allontanando il braccio dell’assassino da
lei. –No. Verrò alla riunione e farò la
mia parte. Ho tanto da… dire a riguardo-
pronunciò compiaciuta.
Il
suo maestro annuì e si avviò; Elena lo
seguì.
Il
convegno aveva luogo in una delle sale secondarie e che circondavano
quella delle cerimonie. Vicino all’ingresso principale del
salone, erano radunati una dozzina di saggi dalla veste bianca, alcuni
assassini di rango alto e delle guardie, immobili davanti ai battenti
ancora chiusi. C’era un gran baccano di sussurri, voci e
chiacchiere che si diffondeva per tutta la fortezza.
Altair
si fermò ed Elena arrestò il passo al suo fianco.
-Reggimi
il gioco, quando saremo dentro- disse lui.
-Quale
gioco?- domandò confusa.
-Fidati,
e forse otterremo quello che vogliamo-.
Elena
scosse la testa. –Quello che vogliamo o… quello
che volete voi?- squadrò il profilo perfetto del suo mentore.
-Quello
che è meglio per tutti- sbottò lui voltandosi.
All’appello
mancava solo il Gran Maestro, che comparve dopo poco alle loro spalle.
Con
lui, avanzò tra la folla Adha che portava un cofanetto di
legno decorato stretto in grembo.
Elena
colse un gioia luminosa affiorare sul viso del suo maestro.
Chissà cosa stava pensando.
La
donna indossava un abito bianco con ricami purpurei e i capelli legati
in una treccia che le cadeva sulla spalla. Il viso sereno ma serio, le
labbra carnose strette in un sorriso tra fierezza e timore.
Tharidl
Lhad schiuse i battenti della sala e la calca di illustri saggi e
assassini si rovesciò nella stanza, andando ad occupare in
silenzio i posti attorno alla lunga tavolata unica.
Le
guardie si sistemarono accanto alle vetrate enormi che davano sul
cortile interno, circondarono le pareti della sala, e stettero immobili
come statue.
Saggi
e assassini si alternarono di posto ed Elena fu costretta a prendere
parte al tavolo con accanto due vecchi omuncoli bassi quanto lei.
Adha
a capo tavola da un lato e Tharidl dall’altro.
Il
raduno ebbe inizio.
Un
saggio si levò in piedi senza attendere.
–Teniamolo qui! Non c’è altro luogo cui
disponga della sicurezza necessaria! Il nostro esercito è
meglio attrezzato ad un combattimento!- sbottò.
Un
assassino prese la parola. –I nostri fratelli a Gerusalemme
sono abbastanza neutrali! Mandiamolo lì- gridò.
-Non
se ne parla!- saltò in piedi un altro Angelo.
–Propongo di lasciare che i Falchi lo portino in Italia!
Abbiamo una sede lì abbastanza celata nell’ombra,
se ne prenderanno cura a dovere- disse.
-In
Italia?- rise un saggio alzandosi. -Quella terra tormentata dalle
rivolte e preda di piccoli e frammentati regni feudali che crollando di
continuo sotto il potere altrui?! Neppure morto permetterei una cosa
del genere!-.
Il
saggio che aveva parlato per primo soffocò una risata.
–Ha ragione, in Italia…-.
Elena
si strinse nelle spalle, sentendosi piccola piccola.
Altair
era seduto alla destra di Adha, che tra le mani stringeva possessiva il
cofanetto tanto prezioso.
I
due amanti si sussurrarono qualcosa che la ragazza non colse, ed Elena
lanciò un’occhiata al capo opposto del tavolo, ove
Tharidl taceva fermo.
La
sala fu preda del caos in poco tempo, mentre tre fazioni contendenti si
schieravano gridando ai quattro venti il loro volere.
C’era
chi voleva tenere il Frutto a Masyaf, unica sede centrale che tenesse
abbastanza uomini da poter respingere un attacco.
Altri
sostenevano che venisse portato… perché in Italia
non le era tanto chiaro!
Gli
ultimi, una piccola minoranza, chiedevano che il Frutto viaggiasse
senza sosta per il Regno come avevano deciso alla morte di Al Mualim.
Qualcuno
diede con violenza un pugno al tavolo, che barcollò
attirando l’attenzione e il silenzio dei presenti.
Elena
si voltò, e vide che il suo maestro si era alzato e aveva
entrambi i palmi aperti poggiati sulla superficie di legno. Lo sguardo
basso, la schiena dritta. –Basta! Basta!- serrava i denti.
Adha
lo guardò sbigottita. –Altair…-
mormorò la donna, alquanto stupita.
Elena
s’irrigidì quando Altair alzò gli occhi
e li passò svelti su di lei. Sentì un brivido
percorrerle la schiena, e deglutii. Perché la fissava?
Altair
parlò, composto: -Elena, diglielo tu- disse.
La
ragazza si nascose al meglio nel cappuccio, ma ormai saggi e assassini
la contemplavano attendendo una risposta.
-Cosa?-
balbettò Elena.
Altair
chiuse i pugni. –Diglielo che cosa hai provato utilizzando
quei poteri, di’ loro come sono andate le cose!-
digrignò.
-Io…-
Elena stava per esplodere, e dentro di sé si maledisse per
non aver cambiato idea su quella maledetta riunione! –Non ne
sono in grado- proferì.
-Non
ne sei in grado?- ripeté Adha spaventata.
Altair
poggiò una mano sulla spalla della donna. –Lascia
fare a me- le disse, ed Adha annuì, avvicinando il cofanetto
ulteriormente al suo petto.
L’assassino
la fulminò ancora una volta coi suoi occhi neri.
–Non ne sei in grado perché quello che hai passato
è stato terribile, non è così?- si
allungò verso di lei ed Elena lo colse nel fare
l’occhiolino.
Dove
voleva arrivare? E la ragazza si ricordò le loro parole
prima di entrare nella sala.
-Sì-
fece timida.
Altair
annuì soddisfatto.
-Io
non capisco!- sbottò un Angelo, e puntò il dito
contro Altair alzandosi. –Se la ragazzina non sa reggere un
po’ di stress, che qualcuno l’accompagni di fuori!
Qui siamo tra adulti!- disse scorbutico.
Elena
si sentì avvampare. Qualcuno la insultava e lei era troppo
sotto i riflettori per infierire ancora. Era troppo in imbarazzo per
reagire.
Un
saggio si levò dal suo seggio. –Penso la stessa
cosa. Una Dea non è mai stata abbastanza privilegiata ad
assistere questa conversazione. E con le vostre parole, mastro Altair,
non ho idea di dove vogliate arrivare! Ella ha forse provato i poteri
del Frutto?!- rise.
-Non
lo sapevate?- proferì un altro Angelo della Morte.
Il
saggio scosse la testa. –Oh, allora cambia tutto…
scusate. Sono d’accordo con Altair, forse questa Dea
può davvero aiutarci a comprendere al meglio a chi affidare
il Frutto-.
Altair
scosse la testa. –No! Basta!- sbottò ancora,
furioso. –Dovremmo distruggerlo! Ecco!-.
Fu
Adha ad alzarsi. –Sei impazzito?!- gridò.
Il
silenzio provocato da quelle parole durò ben poco,
perché tutti i membri seduti a quel tavolo si alzarono e
cominciarono a strillare l’uno contro l’altro.
Adha
conversava accanitamente con il suo amato, che le illustrava sulle dita
di una mano i motivi per cui avrebbero dovuto distruggere il Frutto
dell’Eden.
Le
guardie attorno si scambiarono occhiate sgomente.
La
ragazza si portò le mani alle orecchie. Possibile che anche
nella confusione più assordante non ci fossero suoni? Vedeva
le bocche muoversi, ma da esse usciva solo un sibilo insopportabile
sommato al caos di parole confuse e senza senso.
Elena
si girò: Tharidl sembrava dormire. Gli occhi chiusi, le
braccia conserte. Solo lui avrebbe potuto arrestare quel bordello.
La
ragazza si alzò e senza farsi notare, si avvicinò
al vecchio Maestro.
-Maestro!-
strillò poggiando una mano sulla sua spalla.
Lui,
ancora con gli occhi chiusi, rispose: - Hmm ?-.
-Siete
sveglio, Maestro?!- fece stupita.
-Certo-
le disse avvicinando le labbra all’orecchio di lei.
-E
cosa state aspettando? Fermare questa pazzia! Non li sentite?-
domandò.
-Sì-.
-E
cosa state aspettando?!-.
-Siediti,
Elena e pazienta al tuo posto, a breve ti sarà tutto
più chiaro…- le indicò la sua sedia,
ed Elena tornò lì.
Nel
momento in cui sedette, un assassino batté i palmi sul
tavolo. –Non resterò un minuto di più!
Ci rinuncio, fate come volete, non m’importa!- dicendo
così, il giovane Angelo lasciò la sala con passo
scattante.
Il
Maestro sorrise compiaciuto.
Dopo
pochi minuti due saggi si strinsero la mano e uno di loro disse: -Che
qualcun altro scelga dove nascondere l’oggetto che
causerà la fine del mondo. I nostri nomi, se permettete
Maestro, non saranno tra costoro acciari!- e anche quei due si
avviarono fuori dal salone.
La
stanza si svuotò troppo in fretta.
Elena
rimase a guardare in silenzio.
La
confusione andava affievolirsi man a mano che attorno al tavolo
comparivano sempre più posti vuoti.
Saggi
e assassini rinunciavano, sgomentati, a prendere parte a quella
riunione che sapeva solo di grida e baggianate. Fin quando…
Le
uniche voci in sala erano quelle di Altair e Adha.
-Straziante?-
sbottò lei.
-Sì,
è straziante. Dovresti provare!- rise lui con aria di sfida.
-Stanne
certo, uno di questi giorni me lo faccio tagliare il dito!- si
beffò la donna.
-Portare
quell’affare qui è stato straziante, ed ora
sarebbe bene distruggerlo! E tu lo sai!- le prese il mento con una mano.
Adha
si divincolò dalla presa guardandosi attorno.
Il
salone taceva, il tavolo era vuoto e solo Elena, il Maestro, alcuni
saggi e alcuni assassini ancora vi sedevano.
Elena
ora capiva perché Tharidl le aveva detto di aspettare. Il
90% dei partecipanti all’assemblea se l’era filata
per il troppo casino.
La
ragazza cominciò a sorridere.
Altair
tornò a sedersi di colpo. –Ah, non me ne sono
accorto- borbottò sorpreso.
Tharidl
scoppiò in una fragorosa risata. –Ebbene, ora
possiamo tornare alle questioni-.
-Sono
onorato di aver preso parte a questa conversazione, Maestro, non me ne
andrei per nulla al mondo- disse un assassino portandosi il pugno
chiuso al cuore.
Tharidl
gioì ancora. –Non credere che ti alzerò
di rango, per questo-.
Il
giovane si strinse nelle spalle chinando il capo.
-Assurdo-
proferì Altair. –Non credevo che avrebbe
funzionato, quando me ne parlaste, Maestro- disse guardando il vecchio.
Questo
si sistemò più comodo. –Conosco
abbastanza affondo molti di voi e ancor meglio il genere umano- si
vantò.
Adha
rise, e la sua risata acuta rimbombò nella sala.
–Ovviamente- arrossì sfiorando con le dita il
braccio del suo amato.
Tharidl
batté le mani una volta. –Siamo pronti a
cominciare?- chiese.
Elena
si allungò sul tavolo. –Cominciare cosa?-
domandò in un sussurro.
Tharidl
si alzò. –Il destino del mondo è stato
abbandonato nelle nostre mani. Saranno in così pochi a
prendere la decisione, e sono fiero di annunciare che ne sono parecchio
contento-.
-Elena-
la chiamò il suo maestro, e lei si voltò.
-Spiega
a Tharidl e ai presenti quali poteri ha il Frutto. Tu che
l’hai toccato e ne hai piegato la
volontà…- mormorò.
Il
silenzio cadde inaspettato sulla tavola, ed Elena tornò con
la schiena poggiata alla sedia. –Non so che dire, ho solo
avuto paura in quel momento. Ho pensato che avrei potuto mettere fine
alla Guerra Santa soltanto pensandolo, ma qualcosa dentro di me, forse
una piccola parte di buon senso- sorrise –mi ha detto di non
esagerare, ricordandomi cosa accadde ad Al Mualim e a Corrado per la
loro avidità di potere…- alzò gli
occhi e si guardò dai partecipanti che la fissavano
interessanti.
Un
assassino inarcò un sopracciglio. –Allora non
stavate… scherzando!- sbottò sbalordito, e si
rivolse a Tharidl. –Costei ha padroneggiato davvero il
Frutto!- aggiunse agitato.
Tharidl
rise, di nuovo. –Siete voi mio caro quello troppo ottuso da
non aver afferrato il motivo della sua presenza!-.
L’assassino
stette muto.
-Tornando
al sodo. Elena- la chiamò Adha con voce melodiosa.
La
giovane si girò verso di lei lentamente. –Io
vorrei che sia distrutto- disse.
A
quelle parole, Altair si alzò. –Avete visto? Ella
non è stata affatto condizionata dalla mia proposta
né tanto meno dalle altre. In lei bolle solo la paura che
qualcuno, anche il più fidato dei Falchi, possa
approfittarne! Fino ad ora non successe nulla per mera fortuna, ma in
futuro potrebbe essere rischioso! Non temo i nostri nemici, ma i nostri
alleati!- sentenziò soddisfatto.
-No-.
Chi
aveva parlato? Possibile che Elena non avesse tenuto conto di quella
voce? Che non si fosse mai accorta che Fredrik era uno degli assassini
che ancora presenziavano.
L’Angelo
sollevò il volto che fu ben visibile alla ragazza, che era
seduta esattamente di fronte a lui.
-Mi
spiace fratello, ma io non sono d’accordo- disse serio.
Altair
tornò a sedersi. –Fredrik, mi pareva di averne
discusso- sibilò.
-Vai
influenzare la ragione altrui, Altair?!- sbottò un altro
assassino.
Elena
fissò Fredrik con insistenza, fin quando occhioni verdi non
la notò. La salutò con un gesto del capo e
guardò verso l’incappucciato che aveva appena
parlato.
-Affatto!-
rispose il suo maestro all’offesa. –Fredrik,
perché?- lo interpellò.
Fredrik
s’incupì, e l’ombra del cappuccio si
allungò sul suo volto. -Ci ho ripensato, e sono restato qui
per difendere le mie posizioni, Altair. Però lo ammetto, mi
sono lasciato influenzare troppo da te e dai nostri allenamenti
assieme. Mi spiace, ma voto perché il Tesoro dei Templari
venga custodito qui o lasciato ai Falchi- dichiarò.
Altair,
interdetto, non seppe che aggiungere.
-Dunque,
ricapitolando- fece Tharidl. –Abbiamo una Dea e un solo
assassino su quattro che vogliono distruggere il Frutto. Un saggio che
vuole sia portato in Italia, due Angeli che desiderano venga restituito
ai Falchi, e quanti a favore perché resti qui?-
domandò.
Adha
alzò la mano.
-Perché?-
bisbigliò Altair.
-Perché
privare il mondo del suo pennello? Può un pittore dipingere
senza pennello?- rispose lei schiva.
-Pennello?!-
eruppe lui agitato. –Pennello!- si passò le mani
sul volto, cercando di calmarsi. –Pennello…- si
ripeté straziato.
Assieme
ad Adha, votarono che il Frutto restasse lì due saggi e un
assassino.
Tharidl
assentì. –Obbiezioni?-.
Tutto
tacque per diversi istanti.
-Sì,
io!- alzò Elena la voce.
-Illuminateci,
Dea- fece Adha armoniosa, ma i suoi atteggiamenti da mammina le davano
solo fastidio.
-Posso
assicurarvi che a Corrado non mancano gli uomini per tentare un nuovo
attacco!- gridò con coraggio. – Egli fa parte di
un’antica alleanza che vive tuttora! I Templari un tempo
guidati da Roberto de Sable sono ancora tra noi!-.
Un
boato di voci si diffuse nella sala.
Elena
si batté una mano un fronte. –Non tra noi qui!-
sbottò.
-Ah!-
sospirò un assassino.
Elena
prese fiato. - D’altro canto…- poteva farcela,
poteva dirlo, avrebbe trovato la forza, pagandone tutte le conseguenze.
–Io so chi è la spia-.
Prima
quelli di Altair, poi tutti gli occhi dei presenti balenarono su di lei.
Elena
balzò in piedi come una molla. –Non ne sono certa,
ovviamente…- si apprestò a dire.
Altair
si sollevò. –Perché non me
l’hai detto?- la rimproverò.
La
Dea trasalì. –Ripeto, non ne sono certa!-
proferì con più voce.
Tharidl
fece un gesto di stizza. –Spero solo che di chiunque tu stia
parlando non sia seduto a questo tavolo!- disse.
Elena
pensò a Minha, e in chissà quale meandro della
biblioteca fosse a rubare le Cronache di altri assassini.
–Minha- sussurrò.
Adha
si alzò di colpo e andò verso le porte della sala.
-Adha!-
la chiamò Altair.
-Quella
strega non vivrà un solo istante di più senza
presenziare a questa conversazione!- sparì fuori dalla
stanza e lo strascico del suo vestito bianco si perse sulle scale.
Tharidl
fece un cenno alle guardie, alcune delle quali seguirono la donna di
corsa fino ai piani superiori.
Altair
si voltò a guardarla, ed Elena tentò di evitare
il suo sguardo.
-Stupida!
Perché hai aspettato? Chissà quanti danni
avrà avuto modo di arrecare in questi giorni!- la riprese
avanzando verso di lei.
Elena
si appoggiò al tavolo. –Mi dispiace, ma Corrado
aveva generato al meglio l’illusione e ho creduto che Minha
fosse parte della mia immaginazione, mi dispiace!- sentì le
lacrime salirle dalla gola, ma si trattenne.
-Era
la prima cosa che avresti dovuto fare! Sapevi quanto tenevo a conoscere
quel nome!-.
Sapevi
quanto tenevo a conoscere quel nome… buffo sentir
pronunciare quelle parole dal suo maestro di armi.
Elena
no riuscì più a frenarsi. Odiava il fatto di
essere lì allo stesso modo di come odiava la sua demenza,
che solo nelle ultime 48 ore aveva fatto più danni di una
mandria di cavalli inferocita che corre per la biblioteca. Non
resistette.
-Ho
detto che mi dispiace!- una sola lacrima le rigò il volto, e
le sue braccia si lanciarono da sole ad avvolgere il collo del suo
maestro, che sul momento s’irrigidì.
Elena
pianse contro il suo petto caldo mentre lui, incerto, le poggiava una
mano sulla schiena; alla fine l’abbracciò
dispiaciuto, ma comunque distante.
-Ho
dato il mio voto- pronunciò un saggio alzandosi.
–Con permesso- fece un inchino rivolto al Maestro e
abbandonò la tavola.
-Questa
discussione sta diventando alquanto deprimente- sbottò un
assassino raggiungendo il saggio.
Altrettanto
fecero Fredrik e i restanti presenti.
Elena
continuò a singhiozzare inondando la veste bianca del suo
insegnante delle sue lacrime. –Distruggerlo, dobbiamo
distruggerlo; non c’è altro modo, non
c’è altro modo… Corrado
verrà a riprenderselo, e con lui chissà quanti
altri tenteranno…- ripeteva gemendo.
-Lo
so- Altair le accarezzò la testa, incerto sui suoi
movimenti. –Lo so- ripeté con voce soave.
Perché
l’aveva fatto? Si chiese, ma ciò che
più la turbava era… perché aveva osato
farlo solo quando Adha se n’era andata?
Eppure
non riuscì a staccarsi da lui, e dalla presenza
così calda del suo corpo. Le era mancato qualcuno che
l’abbracciasse, le era sempre servito qualcuno che
l’abbracciasse. Marhim avrebbe fatto ritorno a breve, assieme
ad Halef, e finalmente lei avrebbe avuto un po’ di compagnia.
Eppure, stretta tra le braccia dell’uomo che le aveva
insegnato a difendersi, si sentiva cento volte meglio di quando
abbracciava suo padre.
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Capitolo 33 *** Ritratti ***
Ritratti
Tharidl,
unico rimasto in sala a parte qualche guardia, si alzò e li
venne vicino.
-Altair-
lo chiamò, e l’assassino alzò gli occhi
dalla ragazza incontrando quelli del vecchio.
-Maestro-
fece lui mentre Elena lo stringeva con più forza. I suoi
singhiozzi andavano affievolirsi, ma la ragazza insisteva col restargli
attaccato. E Altair non riuscì a privarsi di quel contatto,
sia per compassione che per immenso piacere nel averla così
vicina.
-Non
ho preso una vera e propria decisione- disse il vecchio serio.
–speravo che la minoranza rimasta oggi in sala bastasse, ma
mi sbagliavo. Il parere di tutti deve essere ben accolto, e credo che
questa assemblea debba ripetersi in futuro- proferì grave.
-Quando
mi chiamerete, noi ci saremo- dichiarò l’assassino
sfiorando con una mano la schiena della giovane. –E lei
sarà più preparata, ve lo garantisco-
mormorò.
-Mi
dispiace, mi dispiace- continuò a ripetere lei.
–So che è stata colpa mia, mi
dispiace…- gemette voltandosi, ma le sue braccia cingevano
ancora il petto del suo mentore.
-Non
disperare; quello che è accaduto oggi in questa sala
è solo una piccola parte di quello che vedremo nella
prossima seduta. Elena, vorrei tanto che tu ci aiutassi a comprendere
cosa si cela dietro la natura del Frutto, poiché rischiare
che qualcuno ne sfiori i poteri potrebbe indurlo alla tentazione. E non
sai quanto sono sorpreso che tu abbia resistito alla seduzione del
Frutto del Peccato- Tharidl le poggiò una mano in testa e le
carezzò una guancia. –Come hai fatto?-
domandò, e all’inizio Elena fu turbata da quella
richiesta.
-Come
hai fermato la tua ricerca avida del potere che il Frutto cela quando
tutti quanti coloro che lo usarono prima di te non riuscirono ad
arrestare la loro ingordigia solo sulla soglia di quella porta? Come?-
proseguì Tharidl in tono profetico.
Ecco
spiegata quell’assurda domanda. Il suo Gran Maestro voleva
sapere perché Elena non aveva voluto avere accesso alla
promessa di eterna felicità del Frutto. Ebbene la risposta a
quella domanda l’aveva.
-Non
era quello che cercavo…- sibilò.
Tharidl,
interdetto dalla sua risposta, indietreggiò. –Che
cosa vai cercando, Elena?- chiese ancora.
Altair
la guardò dall’alto ed Elena si staccò
lentamente da lui, accompagnata da una sua mano che la teneva stretta
per un fianco.
Avvertì
che quello era il momento giusto, e Tharidl avrebbe dovuto sparare quel
nome!
-Mio
fratello, sto ancora cercando mio fratello!- svelò con
fierezza.
Tharidl
si appoggiò con i palmi allo schienale di un seggio,
volgendo i suoi occhi stanchi verso di loro. –Potete andare.
Ho molte nuove novità di cui occuparmi che richiedono la mia
attenzione- disse in un sussurro.
-Andiamo-
Altair la strinse nuovamente a sé, tirandola con lui fuori
dalla sala.
-No!-
tentò lei di ribellarsi. –Giuro che se ci avessi
pensato prima, avrei chiesto alla lampadina di darmi quel nome! Voglio
sapere chi è mio fratello! Maestro!- gridò mentre
il suo insegnanti d’armi la trascinava con sé nel
corridoio.
Le
sue urla si persero sulle scale, rimbombando per tutta la fortezza.
Altair
la mise con le spalle al muro e la ragazza tacque d’un tratto.
-Piantala
di gridare- disse.
Lei
distolse lo sguardo, poiché i loro visi erano troppo vicini
l’uno all’altro e quella vicinanza ora la irritava.
-Posso
sapere cosa ti è preso? Non potevi tenerti dentro la crisi
di pianto e metterti a frignare una volta sola nella tua stanza?!- la
rimproverò.
-Tanto
a te cosa importa- borbottò lei, e Altair sgranò
gli occhi. –Non vedi l’ora di sbarazzarti di me e
dei miei insegnamenti, Corrado morto o no non fa differenza- aggiunse.
Il
suo maestro fece un passo indietro, lasciandole aria, ed Elena
poté staccarsi dalla parete.
-Potresti
anche smetterla di dubitare delle scelte di Tharidl. Se egli non vuole
dirti chi tuo fratello sia ci sarà un motivo, e non credere
di essere l’unica a pensare che sia solo un pazzo! Io mi sono
abituato all’idea già da un pezzo, e dovresti
arrenderti alla sua ragione anche tu, chinando la testa e cercando di
moderare prima di tutto te stessa- sbottò.
Parole
sacrosante, pensò Elena.
-Scusatemi-
sussurrò e, come Altair le aveva detto di fare,
chinò la testa. –Avete perfettamente ragione, sono
una sciocca!- si tirò i capelli.
Altair
annuì ridendo. –Non era il genere di risposta che
mi attendevo, ma fa nulla- le sorrise.
Chissà
dove trovava tutta quella gioia, si chiese Elena.
-Non
voglio snervarti ulteriormente- proferì lui ad un tratto.
–Se c’è qualcosa che devi fare, un posto
che devi visitare prima di cena, sappi che hai il pomeriggio libero-
fece per avviarsi su per le scale, diretto chissà dove, ma
Elena lo fermò stringendogli la mano.
Altair
si voltò, scostandosi dalla presa.
Elena
lo guardava con occhi di cucciolo bastonato, il suo sguardo azzurro si
perdeva in quello castano e buio del suo maestro.
-Che
c’è?- fece lui.
-Veramente…
non ho nulla da fare, e mi chiedevo se potevamo riprendere gli
allenamenti- suggerì.
-Non
sei stanca?- chiese.
Lei
scosse la testa.
-Io
sì, ma non posso certo rifiutare- rise incamminandosi verso
il piano terra, ed Elena lo seguì.
L’alba
e le sue sfumature arancio avvolsero cielo e terra.
Il
canto degli uccelli entrava nella stanza diffuso da una fredda brezza
che sapeva d’inverno, ed Elena si strinse sotto le coperte.
Un
brivido le attraversò il corpo facendole venire la pelle
d’oca e un tremito arrivò fino al collo. Quella
ventata le aveva fatto male, si disse cercando di sistemarsi al meglio
tra le lenzuola che cominciavano a diventare troppo leggere per il
clima.
Erano
solo a metà novembre e già tirava
un’aria così ghiacciata. Pensò che non
avrebbe voluto esserci a dicembre.
Strinse
le braccia attorno al suo corpo e stette con gli occhi chiusi, in un
tepore di sonno che sarebbe durato ancora poco.
Non
le andava di alzarsi per scoprire da quale finestra aperta era entrato
quel gelo assurdo, la stanchezza dovuta agli allenamenti del giorno
prima e la pigrizia accumulata nel riposo si facevano sentire ed erano
capaci di influenzare la sua mente a dir poco convinta di sé.
Che
cos aveva sognato quella notte? Mah, tanto non aveva
nient’altro da fare, e non appena Adha fosse venuta a
svegliarla, Elena non sarebbe stata capace di opporsi al suo tono tanto
arzillo che ogni mattina era capace di buttarla giù dal
letto senza troppa fatica. Eppure, Elena provava gratitudine per i suoi
gesti che delle volte le davano sui nervi, perché Adha era
la madre che non aveva mai avuto, in un certo senso. Pensare in quel
modo a quella donna non la fece sentire a suo agio, e non seppe proprio
perché.
Tornando
a noi, che cosa aveva sognato quella notte?
Ora
ricordava, ma il suo sogno era avvolto da una nube di mistero per
quanto riguardasse sia l’inizio che la fine.
Ricordò vagamente di aver intravisto suo padre, cosa che non
la sorprese affatto, e di essersi recata nella biblioteca, sfogliando
con malizia le sue Cronache. Poi quel filo apparentemente logico si era
spezzato, lasciando spazio al volto giovane di Elika. Perché
aveva sognato Elika? E pensandoci era parecchio che non si vedevano.
Elena aggiunse ai suoi vaghi ricordi di quel sogno di aver visto la ex
assassina aggirarsi nella fortezza, coperta da una veste bianca molto
simile a quella che Elena aveva portato durante i suoi primi
allenamenti con Altair. Le stessi vesti trasgressive che erano piaciute
molto a Rhami. Ecco l’oggetto centrale dei suoi incubi.
Quella notte Elena aveva sognato Rhami e l’ultima volta che
si erano visti, ovvero durante il duello, e aveva sognato (se fosse
esistito il verbo derivato dalla parola “incubo”
l’avrebbe sostituito al verbo sottolineato) che le loro
labbra si toccassero di nuovo. Quale orrore, pensò.
Inconsciamente
i suoi sogni potevano rispecchiare i suoi desideri? Ovvio che no, ma
solo le sue paure, come in questo caso. Ecco che cosa la
stupì: nonostante fosse più forte e abile di lui,
Elena aveva ancora timore di Rhami. Si disse che il ragazzo era abile
nell’approfittare dei suoi momenti di debolezza, soprattutto
quando era parecchio stanca… se Elena non fosse rimasta
vigile di se stessa e del suo bisogno d’affetto, Rhami se ne
sarebbe avvalso, e lì sarebbe diventato tutto alquanto
spiacevole.
Ma
ormai era sciocco pensare a tutto ciò: Marhim stava
tornando, e assieme a lui chi le dava gioia coi suoi comportamenti
assurdi, ovvero Halef.
I
suoi due salvatori, gli Angeli che la trassero in salvo dalla strada
polverosa nei pressi di Gerusalemme, quando aveva smarrito il cammino e
si era abbassata ad implorare un Dio in cui non aveva mai creduto
affinché la portasse con sé nell’Eden.
Era
stata una stupida se credeva di poter mettere fine alla sua vita in
quel mondo. Si dava della stupida molte volte anche ora, e non si era
mai biasimata di questo.
Sorrise
ripesando alla parte piacevole e terminale del suo sogno, ricordando
d’un tratto. Aveva sognato suo fratello e come se lo
immaginava il suo io più profondo: un ragazzo che le
somigliava in tutto, nel portamento, nel modo di parlare e anche nella
maniera di proporsi agli altri, valere a dire timidamente e poco sicuro
di sé. Rise, perché mai era riuscita a fare un
ritratto tanto schizzinoso di qualcuno in cui si sentiva immedesimata.
Di caratteristiche fisiche, ricordava di aver intravisto un volto
sereno e una mano pronta a sollevarla quando cadeva.
Nient’altro se non occhi di ghiaccio come quelli di lei e
capelli castani che… le piaceva…
portare… disordinati.
Rhami.
Era il ritratto compiuto di Rhami!!!
La
ragazza scattò in piedi, e poggiando i piedi scalzi a terra,
un nuovo brivido la percosse. Andò a guardarsi allo specchio
e non poté credere di aver pensato tutto quello. Non
poté concepire che le somiglianze tra lei e quel giovane
tutt’altro che blando le somigliasse. Ma le caratteristiche
fisiche non bastavano. Rhami era il suo esatto contrario: estroverso,
prepotente e strafottente. Non poteva essere…
Elena
ammirò la sua immagine riflessa nello specchio, squadrando
ogni singola parte del suo corpo troppo simile a quello del ragazzo che
più odiava di tutta la confraternita. Non riusciva a
crederci, non ne aveva la forza.
Si
sarebbe tinta i capelli, gettata negli occhi una polvere colorante ma
mai avrebbe accettato che Rhami fosse suo fratello. Dopo quello che era
successo, poi…
I
suoi occhi azzurri che desiderò fosse altro si spostarono
alla finestra e la ragazza vi si sporse dopo aver aperto le vetrate.
Forse era stato uno spiffero a darle tutti quei tremori di freddo, si
disse.
Il
sole stagliava i suoi raggi chiari sulla valle, proiettando le ombre
delle nuvole sulle colline e allungando quelle delle montagne sul
regno.
Lasciò
la sua stanza e si affacciò ad una delle finestre del
salotto.
Sotto
di lei notò con stupore che il cortile interno era deserto,
a parte qualche guardia di pattuglia e gli arcieri sulle mura.
I
colombi si appollaiarono sul tetto della torre, stettero lì
qualche istante, poi si librarono in cielo in uno stormo compatto.
Gli
uccelli migravano a sud, si dirigevano verso il calore
dell’Africa e i suoi mille deserti. Beati loro che
possedevano le ali per volare, a lei sarebbe piaciuto imparare.
A
proposito di imparare a volare, com’è che Altair
aveva chiamato quel buffo modo di saltare giù da una torre?
Si chiese. –Volo del… volo del falco?- scosse la
testa ridendo, la sua memoria aveva ricordo solo dei dettagli meno
graditi di quella bella giornata ad Acri.
Minha…
un altro nome interessante, pensò. Chissà quale
assurdo destino sarebbe toccato alla giovane. Elena era così
poco convinta che non fosse lei, che l’immaginazione del
Frutto l’avesse accecata. Come avrebbe scontato la sua
condanna? Tharidl avrebbe sentenziato di ucciderla? Si
tempestò di domande, scoprendo che mettersi sotto pressione
era quello che meglio le riusciva dopo cacciarsi in situazioni
impossibili.
Adha,
anche quando il sole fu bello alto nel cielo azzurro, non si fece
vedere.
Elena
pensò che era alquanto strano così si
vestì di fretta e sentenziò di aver bisogno di
saziare il suo stomaco brontolante. La cena del giorno prima era andata
giù nello stomaco troppo velocemente, avvertiva un gran
vuoto e il suo pancino si lamentava spesso.
Una
volta scese le scale che portavano agli appartamenti delle Dee,
restò a bocca aperta.
Ricordate
i corridoi tanto silenziosi che ospitavano le stanze degli Angeli? Ove
sembrava sempre notte perché le tende non venivano mai
riavvolte e le porte delle camere erano sempre chiuse, vi ricordate?
Ebbene, ad Elena parve di trovarsi in tutt’altra ala della
fortezza.
Come
prima cosa una confusione assordante che non seppe spiegare come mai
non se n’era accorta quand’era ancora di sopra. Poi
assassini, a bizzeffe e di rango differente che si spostavano agitati e
in gran numero da una stanza all’altra, correndo per il
corridoio e aumentando il disordine.
Le
tende erano avvolte e nel corridoio entrava la luce chiara e potente
della tarda mattinata.
La
ragazza indietreggiò sulle scale quando si sentì
pungere dagli sguardi di almeno una trentina di assassini.
Avrebbe
raggiunto la sala mensa ancora viva? Si chiese, e le sue guance
scoperte per via del cappuccio che non aveva fatto in tempo a mettersi
si arrossarono in una maniera assurda.
Che
cosa ci faceva lì tutta quella gente? Non erano stanze
riconosciute solo agli assassini degni di chiamarsi Angeli? Eppure
Elena notò che la maggior parte di loro aveva il cappuccio e
la veste grigia, segno di un rango pari a Marhim, ovvero basso.
La
Dea avanzò distrattamente nel corridoio: la colazione
chiamava, e si chiese se tutti gli assassini che la guardavano avessero
già mangiato oppure quella fosse la fila per la mensa.
La
ragazza tirò un gran sospiro di sollievo: arrivò
alla fine del corridoio e trovò le scale come le ricordava,
ossia silenziose.
C’era
qualche giovane che faceva su e giù da un piano
all’altro, un numero ristretto di assassini che conversavano
davanti all’ingresso dell’infermeria e qualcun
altro che si affacciava rilassato dalle scali a guardare il piano di
sotto.
Elena
attraversò quell’ala della fortezza calandosi il
cappuccio sul volto e in breve giunse alle porte della mensa che, come
si attendeva, traboccava d’incappucciati.
La
ragazza sobbalzò: c’era un tavolo meno popolato
degli altri, in disparte in un angolo della sala, accanto alle vetrate.
Vi sedevano tre figure magre e aggraziate, una delle quali Elena
riconobbe per i suoi capelli ricci e bellissimi.
La
giovane assassini procedé in avanti, andando in contro ad
Elika.
Certo
che era strano, pensò; se non ricordava male, ad Elika non
era permesso mettere piede nella fortezza. E chi erano quelle altre due
che sedevano assieme a lei?
Elena
si avvicinò, lentamente e con cautela, cercando di scorgere
altri dettagli per quanto riguardasse le due ragazze.
La
prima, seduta di fronte ad Elika, indossava un vestito corto fino alle
ginocchia, delle ballerine ricamate e la sua veste blu oltremare faceva
contrasto coi suoi occhi di mandorla che teneva bassi. Capelli biondi
legati in una cipolla alta da un fermaglio con alcuni nastrini azzurri.
La
seconda, l’unica tra le tre che portasse i pantaloni, sedeva
non sulla sedia ma sul tavolo. Alquanto mascolina, pensò
Elena notando i suoi occhi verdi e la sua pelle poco ramata. I capelli
corti che le arrivavano alle spalle e il portamento, nonostante
l’apparenza poco femminile, parecchio aggraziato. Sedeva
sì sul tavolo, ma molto composta e stretta nelle spalle,
intenta in una chiacchierata amichevole con la ragazza bionda. Sopra ai
pantaloni, a coprirle il petto magro di poco seno aveva una maglia a
collo alto e un giubbetto.
Quelle
tre donne la incuriosivano parecchio, possibile che…
-Elena!-
Elika gioì voltandosi e venendo verso di lei.
L’abbracciò ed Elena non riuscì ad
impedirglielo, sarebbe stato scorretto.
La
ragazza riccia le passò una mano sul volto. –Sono
contenta di vederti, ti prego! Siedi con noi!- la prese sotto braccio
facendola accomodare accanto a lei.
-Kamila,
questa è Elena- Elika le presentò la ragazza
bionda, che le fece un sorisetto roseo.
-E
lei è Leila Muna, ma tu puoi chiamarla Leila e basta! Non le
piace essere oggetto di… desiderio- le bisbigliò
all’orecchio.
-Ti
ho sentito- bofonchiò la ragazza dalla pelle scura e gli
occhi verdi seduta sul tavolo. –Piacere di conoscervi, Dea
Elena- inchinò la testa.
La
giovane Dea si fece piccola piccola, sentendo il peso del braccio di
Elika attorno alle sue spalle pesare sempre di più.
-Che
cosa ci fai qui?- domandò rivolgendosi ad Elika.
La
sua amica fece un gran sospiro guardando le altre due.
–Secondo voi possiamo dirglielo?-.
Leila
scosse la testa, sedendo finalmente sulla sedia. –No, lascia
che sia Tharidl a farlo- disse.
L’altra
annuì. –Già, e scommetto che
è parecchio affamata! Guardate, sta perdendo colore!- rise
Kamila.
Elika
gioì. –Hai ragione- e pizzicò una
guancia all’assassina.
Elena
stava vivendo un incubo. Meglio i baci di Rhami a quella tortura! Si
disse, ma pensandoci…
-Che
cos’è che deve dirmi il Maestro?!-
domandò confusa.
-Non
fare troppe domande, per adesso limitati a mettere qualcosa nello
stomaco- Elika le passò del pane, una scodella di latte e
dei cereali in un bacinella. –Mangia, poi Leila ti
accompagnerà da Tharidl. Io e Kamila dobbiamo vedere una
persona- sorrise maliziosa, e Kamila con lei.
Elena
stette in silenzio, circondata dalla confusione della sala mensa, sette
in silenzio, ma dentro continuava a ripetersi che la sorpresa
più grande doveva ancora arrivare, e il peggio non era
ancora passato.
Finì
in fretta, voleva sbarazzarsi di quella situazione imbarazzante al
più presto.
Due
donne estranee e una ex assassina della confraternita la fissavano
scambiandosi battutine su di lei, battutine certamente non offensive,
ma purtroppo fastidiose.
Chissà
da dove saltavano fuori quelle due, si domandò, ed era ben
intenzionata a chiedere spiegazioni a l’unico che
“forse” le avrebbe detto perché.
Elika
si alzò e assieme a lei anche Kamila.
-Bene,
ora noi andiamo. Leila, abbi cura della nostra giovincella!- rise
Kamila abbracciando la ragazza dalla pelle scura.
Leila
ridacchiò. –Voglio sapere ogni dettaglio, ogni sua
espressione contorta!- gioì.
Elika
si sistemò i capelli su una spalla. –Andiamo,
Kamila? Sennò si fa tardi. Leila, al mercato oggi
pomeriggio, non mancare!- le disse mentre si allontanava con Kamila al
fianco verso le scale.
Leila
salutò con la mano. –Contateci-.
Elena
si alzò dal tavolo traballante. Stava diventando tutto
piuttosto strano e curioso da quelle parti. Chi stava andando a far
visita Elika? Basta, doveva smettere di torturarsi la mente di domande.
Poi se le dimenticava e non le porgeva al Maestro.
-Tu
hai finito, vero?- domandò Leila indicando la scodella vuota
di latte che Elena aveva lasciato.
-Sì-
borbottò lei.
-Seguimi-
si avviò.
-So
la strada!- sibilò e sperò che la donna non
l’avesse sentita, ma non fu così.
Leila
si voltò continuando a camminare a mo’ di gambero.
–Anche io, sai?- rise minuziosamente.
Davvero?!
Elena
la seguì fino allo studiolo del Maestro, ma durante il
tragitto accadde un fatto insolito.
Gli
assassini che incontravano sulle scale si inchinavano, due volte. La
prima rivolta alla donna che Elena seguiva pari passo e la seconda
rivolta a lei, giovane Dea.
Era
tremendamente turbata da quello.
Leila
arrestò i suoi passi scattanti sotto il colonnato che si
anticipava allo studiolo. –Ferma- le disse.
Elena
lanciò un’occhiata più avanti e
notò con stupore che Tharidl stava parlando a bassa voce con
un assassino.
Quando
il giovane si voltò dopo aver proferito un inchino, Elena
osservò Adel che silenziosamente si allontanava dallo
studiolo.
Adel
+ fortezza = ritorno di Marhim. Fece un paio di conti veloci, ma era
ben intenzionata a non fuggire via così per andare ad
abbracciare il suo amico. Quella domanda tanto antipatica quanto i
soggetti che riguardava… Chi erano quelle donne?
Perché Elika era nella fortezza?
-Avanti-
Leila la superò e si fermò davanti alla scrivania
del Maestro, che sedeva comodo scrivendo su un testo dalle pagine
bianche.
Alzò
gli occhi -Leila- mormorò il vecchio compiaciuto.
La
donna poggiò le mani sul tavolo e, con fare superiore,
avvicinò il suo volto a quello del vecchio.
–Quando possiamo tornare in servizio?- domandò
maliziosa.
-Sei
così impaziente, Leila? I tempi sono cambiati, non
aspettarti ciò che hai lasciato- arrise Tharidl.
–La cerimonia si terrà domani, non disperate nel
frattempo- tornò a scrivere, ma una sua svista veloce cadde
su di lei, ed Elena avanzò dal buio delle colonne, e la luce
che penetrava dalle vetrate la illuminò.
Tharidl
scattò allora in piedi. –Che cosa le hai detto?!
Sembra sconvolta!- sbottò indicando la giovane Dea.
Leila
scoppiò in una risata fragorosa, e la sua voce acuta
rimbombò nella sala. –Nulla, si stava giusto
chiedendo cosa ci facciamo Elika, Kamila ed io qui- mormorò
schiudendo le labbra.
Tharidl
si passò nervosamente una mano sulla barba.
–Elena- chiamò.
La
Dea chinò il capo. –Maestro, è vero.
Elle insistono perché siate voi a spiegarmi cosa non
l’ho ancora capito- fece agitata.
Leila
si sollevò dal tavolo accostandosi alla ragazza.
–Sicura?- le bisbigliò all’orecchio,
tremendamente pignola. E le sue risa si diffusero tra le mura della
roccaforte ancora una volta.
In
breve tempo Elena aveva inquadrato e dipinto il ritratto di quella
donna come una ragazza tremendamente piena di sé e dei suoi
punti di riferimento, ovvero la forza di un gruppo, formato da Elika e
Kamila. Bulla! Ringhiò, e avrebbe voluto gridarglielo in
faccia, ma Leila si allontanò sulle scale.
-Maestro!-
strillò quando la donna e il suo ancheggiare furono
abbastanza lontani.
-Cosa?!-
chiese lui turbato.
-Chi
sono costoro? Elika non aveva acceso alla fortezza, se non sbaglio!-
eruppe.
-Infatti-
parlottò il vecchio sedendosi pesantemente sullo sgabello
dietro la scrivania.
Elena
avanzò decisa. –Che cosa sta succedendo? E se non
vi dispiace vorrei andare a salutare alcuni miei amici appena tornati
con Adel, quindi vedete di accorciare!- non si trattenne.
E
tutta la ramanzina di Altair della sera prima sul rispetto che doveva
al Maestro? Che fine aveva fatto? Mah, non sapeva…
-Vi
prego, se non volete darmi spiegazioni o perle di saggezza, almeno
permettetemi di andare…-.
-No,
volevo infatti discutere di questa mia decisione con te e col tuo
maestro, ma egli ancora riposa- disse il vecchio assorto nei suoi
pensieri.
Eh
no! Per una volta che sperava che accorciasse la cosa dicendo:
“no Elena, ogni cosa a suo tempo” Tharidl se ne
usciva con “certo, resterai inchiodata qui ad ascoltare le
risposte alle tue curiosità così da posticipare
il tuo rincontro con Marhim e Halef!”. Mentalmente lo
mandò a quel paese, ma aspetta un attimo… Altair
ancora riposava?
Elena
rimase con un’espressione interdetta in volto, e Tharidl rise.
-Il
poveretto è più stanco di quanto credi, Elena; ed
entrambi noi non possiamo neppure immaginare quanto sia straziante
starti dietro nei tuoi addestramenti!- si beffò.
Quella
battuta la fece ridere, e Tharidl approfittò della sua gioia
per dire: -Va’, quando Altair si sarà svegliato
parleremo di perché Elika, Leila e Kamila sono qui. Puoi
raggiungere Marhim e Halef nel cortile, te lo concedo-.
E da
quando le serviva il suo permesso?!
Elena
scattò, di corsa, sulle scale senza neppure salutarlo con le
buone maniere. Gioiosa in viso ed estasiata da quelle parole, Elena
giunse nel cortile sporgendosi dalla balconata, e li vide.
Un
gruppo di assassini compatto riunito vicino alla recinzione per gli
addestramenti. Era il gruppo di Adel, che sedeva su una roccia e
parlava dall’alto ai suoi discepoli.
Marhim
e Halef, assieme ai loro compagni, lo guardavano dal basso annuendo
alle sue prediche e critiche.
Elena
si gettò di sotto, si fece largo tra la folla.
-Eh,
guarda un po’ chi c’è…- Halef
si voltò e poggiò una mano sulla spalla del
fratello.
Marhim
non ebbe neppure il tempo di voltarsi completamente che Elena gli si
gettò al collo stringendolo a sé come una bambola.
Marhim
perse l’equilibrio all’indietro e finì
col sbattere contro la recinzione dell’arena, sedendovi.
–Elena!- gioì.
Lei
rideva commossa, affondando il viso nell’incavo del collo del
ragazzo. –Così in anticipo, e meno male!-
sbottò.
Le
braccia di Marhim si strinsero attorno ai suoi fianchi mentre tentava
di alzarsi. Quando fu di nuovo dritto, Elena gli lasciò
prendere fiato indietreggiando.
-Ehi,
e a me?- Halef alzò le sopracciglia, ed Elena si
apprestò a scompigliargli i capelli. –Dovevo
tacere, va…- borbottò l’assassino.
Marhim
la prese per mano e la tirò a sé, abbracciandola
di nuovo. –Allora- mormorò al suo orecchio.
–Come è andata ad Acri? Voglio sapere tutto, ogni
particolare!- anche lui pareva non contenere l’armonia di
quell’incontro dopo troppo, troppo tempo! (Una settimana e
poco più).
-Non
vedevo l’ora di poterlo raccontare a qualcuno…-
sospirò Elena.
Si
strinse con delicatezza al suo corpo, e non le importava se Adel, Halef
o chiunque altro assassino la stesse guardando. Chissà
dov’era Rhami ora… si chiese. Le sarebbe piaciuto
vedere la sua faccia in quel momento, ma staccarsi da Marhim non le era
concesso.
Fu
lui a scostarla dolcemente ed Halef si schiarì la voce.
-Bene,
bene- rise Adel dall’alto della roccia, le gambe a penzoloni.
–Ecco perché volevi tornare così di
fretta!- la sua risata si diffuse nel cortile, ma non
sovrastò abbastanza la confusione che facevano le altre
miriadi di combriccole di assassini.
Elena
si strinse al fianco del ragazzo sorridendo. –Posso rubartelo
un attimo, Adel?- chiese.
Marhim
la guardò torvo.
Adel
curvò la testa da un lato. –Va bene, ma
fa’ in fretta. Avevo intenzione di…- Elena non lo
lasciò completare.
Afferrò
Marhim per la manica della veste e lo tirò tra la folla,
trascinandolo fino dentro la fortezza. Una volta nella sala
d’ingresso, Elena proseguì sulle scale e
svoltò nella biblioteca. Marhim camminava dietro di lei in
un silenzio turbato.
La
ragazza doveva sì raccontargli di Acri e della sua missione
compiuta, ma doveva come prima cosa chiarire alcuni piccoli punti di
questioni lasciate in sospeso.
Entrarono
di soppiatto nella biblioteca ed Elena proseguì fino al
centro della stanza, assicurandosi che fosse vuota, poi si
voltò.
Marhim
teneva lo sguardo a terra, afflitto. Probabilmente aveva capito di cosa
stavano per discutere.
-Mi
spiace- cominciò lui. –Non sarei dovuto partire
senza avvertirti. Sei arrabbiata?- alzò il viso e si
sorprese di vedere Elena tutt’altro che arrabbiata.
La
ragazza si appoggiò al tavolo. –Che dici, scemo!-
rise, e Marhim con lei.
-Già,
sono uno scemo- borbottò.
Elena
andò a caccia dei suoi occhi, che il giovane si ostinava a
tenerli bassi. –So perché te ne sei andato, e ti
ringrazio di non aver detto una parola- proferì grave,
sciogliendo il suo sorriso.
Marhim
sospirò, restando fermo di fronte a lei come una statua.
-Quella
sera non mi sentivo in me e Rhami ne ha solo approfittato-
sbottò lei stringendo i pugni. –Ma
gliel’ho fatta pagare. Se ieri fossi stato qui,
l’avresti visto coi tuoi occhi!- gioì gustando
quelle parole.
E
Marhim fece altrettanto. –Che cosa mi sono perso?-
ridacchiò.
La
ragazza le raccontò del duello in ogni minimo dettaglio,
senza rifarsi però all’accaduto di quella notte.
Qualcosa le impedì di parlargli di quando Rhami era venuto a
farle visita, e si disse che era meglio così. Particolari
imbarazzanti non erano ammessi.
-Va
bene, va bene, basta ti prego! Mi sto sbellicando!- si piegò
dalle risate, mentre lei lo guardava commossa.
-Ma
dimmi- il rossore sul suo viso si affievolì. –Come
è andato l’itinerario?- domandò
interessato.
Elena
gli narrò per filo e per segno della sua settimana fugace
alla corte di Corrado. Dal suo primo borseggio finito nel panico alle
partite di scacchi con Hani.
-Hani!
Certo, ora mi ricordo. Halef e lui frequentavano gli stessi
addestramenti. Deve avertelo detto- fece lui.
Elena
annuì, riprendendo il discorso.
Arrivata
al punto dell’Illusione e all’incontro con Corrado
nella sala delle armi, Elena raccontò a lui più
dettagli di quanti non ne avesse dati al Rafik quando era stata portata
in salvo da Altair. Sentiva di poter condividere con Marhim qualunque
timore l’avesse accarezzata durante la prigionia. Gli disse
di come stava per cascare nella trappola che Corrado le aveva teso, di
come avrebbe accettato di servirlo e riverirlo come spia se lui avesse
tenuto in vita il suo “fittizio” padre.
Rovesciò
nel racconto gran parte della sua rabbia.
-Siediti-
le disse ad un tratto Marhim e si sistemarono comodi al tavolo.
Non
c’era molto da dire se non accennare alla riunione del giorno
prima, collegandola al fatto che avesse imbracciato i poteri del Frutto.
Marhim
sgranò gli occhi. –Sul serio? Certe notizie non
arrivano mai troppo lontano…- disse.
Elena
sorrise. –Non è stato semplice, e ora Altair
confida in me per far ragionare i saggi e gli assassini. Quel coso
luminoso deve essere distrutto- sbottò.
-Non
sono d’accordo- mormorò lui assorto. Il ragazzo
guardava un punto indistinto alla sua destra, scrutando tra gli
scaffali come se cercasse qualcosa, o qualcuno…
Elena
lo colpì sulla spalla con una pacca violenta.
–Ahi!- fece lui.
Lei
lo contemplava furiosa. –Come non sei d’accordo?!
Non capisco qual è il problema che avete tutti quanti!-
gridò, ma Marhim le poggiò una mano sulla bocca.
-Abbassa
la voce- le sussurrò.
Lei
si guardò attorno. –Che c’è?-
sibilò sorpresa.
-Niente,
niente… scusa- tolse le sue dita dalle sue labbra sorridente.
Elena,
confusa, deviò argomento: -Senti- cominciò, e lui
si fece attento.
-Sai
nulla di Elika, una certa Leila, Kamila…-.
Marhim
si voltò verso di lei d’un tratto. –Come
sai questi nomi?- domandò.
Lei
si strinse nelle spalle. –Non so, questa mattina le ho
sorprese tutte e tre nella mensa- affermò.
-Buffo-
commentò lui.
-Perché?-.
Marhim
stava per aggiungere qualcosa, quando dietro di loro avanzò
una figura nel buio.
I
due scattarono in piedi, proferendo entrambi un inchino col capo.
-Maestro-
sibilò Elena.
Altair
si fece avanti ai raggi del sole e si fermò di fronte ai
ragazzi.
L’assassino
stringeva sotto braccio un testo antico, e volse
un’occhiataccia ad entrambi. –Elena-
chiamò con voce solenne.
Lei
fece un passo avanti e Marhim uno indietro. –Non vi avevo
sentito arrivare, scusate maestro- parlò sottovoce.
Altair
alzò il mento fiero. –Avanti, vieni; il Maestro
voleva parlarci- dicendo così, l’Angelo si
avviò verso l’ingresso della biblioteca, sparendo
poi sulle scale.
Elena
si girò verso di lui, ma Marhim le strinse un polso.
–C’è qualcosa che non mi hai detto?-
chiese sbigottito.
-No,
non credo…- parlottò confusamente, poi sorrise
caldamente. –Mi piacerebbe metterti alle armi, uno di questi
giorni. Non avrò un cavolo da fare se non prendere parte
alla cerimonia di domani, e mi sono completamente dimenticata di come
combatti- fece maliziosa.
-Va
bene. Quando, dove?- disse con aria di sfida.
La
ragazza si allungò sulle punte e gli schioccò un
bacio sulla guancia. Il contatto della sua pelle liscia con la barba
giovane del ragazzo la solleticò ed Elena allungò
le labbra in un sorriso armonioso. –Quando vuoi-
terminò.
Incredibile,
ma Marhim cambiò completamente colore! La sua pelle
abbronzata si arrossò abbastanza da far scoppiare Elena
dalle risate. –Va… bene- balbettò.
-Ci
vediamo dopo!- gli scompigliò i capelli e la ragazza
seguì il suo maestro trotterellando.
Una
volta qualcuno le aveva detto che i tempi duri stavano
tornando… ebbene, per lei erano appena finiti!
_____________________________________
Elika95 sta
pensando a perché abbia deciso di interrompere il chappo in
questo punto, ma si convince di avere troppe idee anche per
l’altra ff e di doverle mettere su carta al più
presto. Quindi, bando alle ciance. Spero che questo aggiornamento sia
stato piacevole ma anche riflessivo. Leila, Elika e Kamila hanno in
comune qualcosa, ma sta a voi scoprirlo nel prossimo capitolo!
Muhahahaha! Quanto sono bastarda!
Un
ringraziamento ai migliori utenti di questo sito e non mi
stancherò mai di ripeterlo!
Saphira87
goku94
Lilyna_93
Carty_Sbaut
X
Saphi: è vero, Altair non era riuscito a
distruggere il Frutto perché era controllato da quelli
dell’Abstergo che lo usavano come una marionetta.
Però nella mia storia ormai il primo Frutto
l’hanno trovato, ma ricordo che ce n’è
un secondo lì nelle vicinanze… Il rapporto tra
Elena e Alty arriverà ad un punto cruciale nei prossimi
capitoli, perché ho anche intenzione di alzare il rating.
Insomma, ho avuto un certo sogno piuttosto agitato a
riguardo… comunque dove sei finita?!?! Qui ho aggiornato
tutte e due le ff e mi mancano le tue faccine sconvolte su msn e le tue
recensioni! Fatti sentire, però sappi che non è
un problema… per ora. Perché lo
diventerà se entro domenica sera non posi il nuovo chappo,
sono stata chiara?!?! Mi piacerebbe tanto leggere la Lemon prima del
ritorno a scuola, dato che questa settimana ho avuto le vacanze
“bianche”. Eh, sì…
è per questo che ho avuto tempo di scrivere come una matta,
lasciandomi gran parte dei compiti all’ultimo
momento… ç_ç Un saluto, e …
ci si becca su msn!
X
goku94: sì, quello era proprio un deficiente:
se ne è andato dicendo che la conversazione diventava
deprimente, e poi anche Fredrik e gli altri assassini hanno fatto lo
stesso, lasciando Tharidl, Elena e Altair, assieme a qualche guardia,
soli nella sala. O.O Anche a te dico che potrei alzare molto
probabilmente il rating nel giro dei prossimi capitoli. Però
che emotions! Insomma, spero che questo chappo sia piaciuto a te ad
altri. Ci si becca su msn. Ciau!
X
tutti gli altri: se non lasciate recensioni come faccio a
chiarirvi poi nei ringraziamenti i punti successivi? So che avete i
vostri problemi e che solo una matta come me riesce ad aggiornare da un
giorno all’altro… -_- ma fatevi sentire, Dio!
Qui
da Elika è tutto. Passo la linea allo studio e vi ringrazio
per la collaborazione.
BIP*
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Capitolo 34 *** La certezza di un nuovo capitolo ***
La
certezza di un nuovo capitolo
Altair salì le scale due gradini alla volta.
Raggiunse lo studiolo del Maestro che trovò in piedi a
guardare fuori dalle vetrate.
-Tharidl- lo chiamò. –ho trovato quello che mi
avete chiesto- strinse con più forza il libro che aveva tra
le mani.
Non dare pane ai suoi dubbi era un modo per tenere a freno la lingua.
Se Altair non sapeva, non poteva controbattere. Quindi non volle
chiedere come mai Tharidl gli avesse domandato di cerare quel libro,
cui argomento l’aveva lasciato sospettoso.
Altair si passò una mano in volto.
–C’è altro?- chiese rilassato.
Il vecchio sospirò. –Le tue attenzioni su Elena
avranno presto fine, non temere. So che ella può comportare
delle responsabilità maggiori, ed è per questo
che ho chiamato Leila e Kamila a palazzo e riunito alla setta alcune
delle Dee-.
-Cosa?- domandò stupito il ragazzo. –Mi bandite da
una responsabilità cui traggo interesse ed è solo
per qualche trucchetto con la lama che vorreste affidare Elena ad una
Dea?- digrignò incredulo. –Un attimo!- tacque un
istante. –Avete riunito le Dee?!- fece sbigottito,
esterrefatto, ma si diede alla svelta un contegno.
Sul volto di Tharidl comparve un’espressione severa.
–Puoi insegnarle ad arrampicarsi sui muri, puoi darle nozioni
di spada e coi pugnali. Puoi addestrarla a sopportare il dolore, puoi
impartile lezioni di portamento in combattimento, ma neppure tu saresti
capace di sfruttare al massimo le capacità di una Dea. Fin
dai suoi primi scontri, Elena ha dimostrato una flessibilità
incredibile nei movimenti, ebbene non esiterò ancora. Ci
sono dei gesti, nel suo polso, che mi lasciano esterrefatto. Mi chiedo
se Kalel si sia accorto di tale maestria fin dalla nascita di quella
ragazza. Ti stupisci mai di come apprenda in fretta? E ti chiedi mai
come abbia fatto a gestire i poteri del Frutto?… taci, mio
allievo, taci perché spiegazioni a questa forza inumana non
esistono e sono incomprese alla nostra razza inferiore. Leila le
impartirà quelle nozioni che tu non sei in grado di darle, e
allora, quando sarà pronta, potrete tornare ad Acri e
compiere ciò che deve essere fatto. E che la tua mente non
si ostini ancora a controbattere la mia, Altair, perché sto
cominciando a perdere la pazienza, e i tuoi atteggiamenti confondono
oltremodo la tua ancora allieva Elena. Con questo non ho altro da
aggiungere-. Tharidl si voltò, e i suoi occhi incontrarono
quelli furiosi di Altair.
Il suo maestro d’armi scagliò il libro che aveva
sotto braccio sul tavolo, facendo crollare sul pavimento il barattolo
d’inchiostro e la penna d’oca, assieme ad alcune
pergamene bianche.
Il vecchio alzò un sopracciglio. –Qualcosa non ti
è chiaro?- domandò con un filo di voce che non
parve affatto sorpreso.
L’assassino rimase immobile dov’era: il volto
avvolto dall’ombra del cappuccio. –Spiegatemi
questa decisione, avanti!- sbottò colpendo con i due pugni
la superficie della scrivania, facendo sobbalzare
quest’oggetto. –Attendo le vostre più
sentite spiegazioni, vecchio!- proruppe ancora.
Le riserve di auto controllo si erano esaurite: non poteva credere a
quelle parole.
Elena, giunta lì da poco, si sentì svenire ed
indietreggiò spaventata.
Tharidl si portò una mano alla barba bianca.
–Vedete nelle mie gesta un’ennesima follia, mio
allievo?- fece tranquillo.
Altair s’irritò oltremodo. –Non sono
vostro allievo, poiché le mie capacità superano
di gran lunga quelle di tutti all’interno di questa fortezza!
Dee comprese!- gridò e la sua voce tuonò tra le
mura di pietra della roccaforte.
L’inchiostro si era rovesciato sul pavimento e si allargava
in una grossa pozza blu intenso, quasi nero. In questa andava ad
infangarsi la carta chiara di una innocente pergamena.
Elena tacque, mentre il suo insegnate dava di escandescenza ancora una
volta.
-Non riesco a credere che abbiate trovato un modo per eludere quel
patto! Non oso neppure immaginare come abbiate convinto i saggi! Non vi
basta che essi siano contrari alla decisione più giusta per
il Frutto, ma vi ostinate per di più a schierarli contro le
leggi dettate da Al Mualim e Sashara in persona!- eruppe Altair,
allungandosi sulla scrivania.
Tharidl, sereno, si avvicinò al ragazzo. –Contesti
nuovamente il mio volere? Sai bene che non ti conviene- prese le sue
difese, ma con estrema serenità.
Altair fece un gesto di stizza. –Oh, certo. Ebbene, vengo da
voi non mettendo sottoquadro il vostro studio, bensì per
assistere alle risposte che darete alla mia alunna! Forza, se non siete
in grado di rispondere alle mie domande, allora spiegatevi a lei!-
proferì risentito mettendosi da parte, accanto alla ragazza.
Elena fece per scansarsi, ma Altair l’afferrò per
un braccio e la spinse avanti. –Forza e coraggio, razza di
vecchio! Ella si sta domandando come mai la presenza di tre ex Dee
all’interno della fortezza! Non è così,
Elena?- la interpellò senza preavviso.
-Dee?- balbettò lei, e il suo insegnante la mosse
ulteriormente dinnanzi al Gran Maestro.
Altair a quel punto tacque, ed Elena avvertì che stava
tentando di darsi un contegno, poiché la reazione di Tharidl
andava ben oltre la comprensione della ragazza, capace di ammonire con
un solo sguardo quanto l’assassino stesse tirando la corta.
Il vecchio si chinò a raccogliere da terra le pergamene e la
fiala d’inchiostro, con quel poco che ve n’era
rimasto. –Puoi andare Altair, ti sono grato per avermi
consegnato delicatamente tra le mani quello che ti ho chiesto di
cercare- disse sereno sistemando il casino che l’euforia
dell’assassino aveva comportato.
-Cosa?- fece Altair. –No, no! Sono certo che se non assisto a
questa conversazione, troverete un modo sicuro per deviare
l’argomento e tardare ad Elena ciò che le dovete
da quando arrivò in questo luogo! Ossia il nome di suo
fratello e il motivo di vesti tanto differente tra Dea e Angelo della
Morte!-.
-Basta!- gridò Tharidl, e quella volta fu la sua voce a far
zittire i colombi appollaiati sui tetti.
Elena avvertì un dolore lancinante allo stomaco: era il
senso di colpa, il rimorso delle sue azioni insensate manifestatesi
nelle ultime settimane. In fondo, in un modo o nell’altro,
era stata capace di arrecare tanto tormento al suo maestro, si disse.
Ma che Altair si schierasse così a prendere le sue
posizioni, la lasciò alquanto stupita. Forse era vero che
l’assassino mirava solo a sbarazzarsi di lei e dei suoi
allenamenti. Insegnare ad una ragazza era così umiliante?
Cosa aveva di tanto losco? Forse il suo maestro ce l’aveva
con le Dee in generale, chissà che qualcosa
l’avesse turbato nel vedere Elika seduta ai tavoli della
mensa, si chiese, e poi pensò che come Elika, anche Leila e
Kamila dovevano trattarsi della stessa tipologia di donne…
-So che in questi giorni sei piuttosto perso, Altair, ma l’ho
tollerato abbastanza! Ora basta, perché te ne approfitti
nella maggior parte dei casi, e questo comporta in te poco
autocontrollo nel mantenere i piedi per terra e a non innalzarti oltre
chi ti supera di rango! Cioè me, tuo Maestro Supremo!-.
L’assassino strinse i denti e si voltò. -Avete
ragione, discolpatemi, ve ne prego- disse d’un tratto e,
senza aggiungere altro, si allontanò sulle scale.
Elena lo guardò sbigottita perdersi nelle ombre del
corridoio. Non era da lui, pensò, arrendersi così
alle offese di Tharidl non era abitudine del suo maestro
d’armi. Ma dopo tutto, non era stato proprio lui a dirle di
moderare i suoi comportamenti esuberanti da ragazzina frignona giusto
il giorno prima? Quindi il buon senso di Altair si alternava alle crisi
d’identità. Elena provò ad immaginare
come si sentisse il suo maestro nell’accingersi a diventare
padre, ma non riuscì minimamente a concepire il peso di tale
responsabilità. Otto mesi quasi, e forse avrebbe avvertito
più che mai ulteriori cambiamenti in lui, ma Altair, allora,
non sarebbe più stato suo maestro, ne era certa.
-Diamine!- il vecchio incrociò le braccia al petto tornando
a guardare fuori dalle vetrate. –Chissà quale
rivolta sarà capace di far sorgere quello lì!-
pensò ad alta voce. –Ho impiegato tutte le mie
ultime forze perché i saggi accettassero le mie condizioni,
e quel dannato assassino troppo pieno di sé e della sua vita
sentimentale farà saltare tutto quanto!- strillò
ai quattro venti.
Elena sobbalzò. –Maestro, di cosa state parlando?-
domandò incerta, movendo un passo avanti.
Tharidl si girò lentamente, prese fiato passandosi le mani
in volto a stirarsi le rughe della pelle, fino a stropicciarsi gli
occhi e massaggiarsi la radice del naso. –Perdonami, Elena,
avrei dovuto chiedere la tua opinione prima di quella di chiunque
altro, e imploro il tuo perdono per questo- proferì calmo.
Elena gli sorrise mesta. –Non tormentatevi, Maestro. Ho
appreso che chinare la testa dinnanzi a voi è un dovere cui
sento di sostare in ogni caso. Fu Altair a rammentarmelo, ma non mi
sorprende che si comporti così, infondo sta per…-
le parole le morirono in gola così com’erano nate.
Tharidl aggrottò la fronte. –Stavi dicendo?-.
-Nulla, assolutamente nulla!- fingere le riusciva proprio male.
-Sai forse a cosa mi stavo riferendo?- domandò lui confuso.
-No!- sbottò, invece sapeva che Tharidl sospettasse di lei e
delle sue orecchie troppo grandi!
Il vecchio allungò le labbra sottili in un sorriso
divertito. –Se il tuo buon udito è arrivato
così lontano, te ne prego di non spargere la voce. In quel
caso puoi star certa che né io né il tuo maestro
ne saremmo tanto felici, anche se…- borbottò.
-Anche se?-.
-Anche se non è certo, ma ora basta divagare su queste
sciocchezze. C’è altro che urge-.
Non era certo? E cosa voleva dire se non… ah,
pensò la ragazza curvando le spalle. Ci sarà
rimasto male, si disse.
-Sì, c’è molto… altro-
proferì in un sussurro.
Tharidl aprì con cautela il testo che Altair aveva
clamorosamente sbattuto sulla scrivania. –Sai
cos’è questo e perché lo feci cercare
al tuo insegnante?- chiese con tono profetico e soave.
Elena avanzò ancora, avvicinandosi e lanciando
un’occhiata alle pagine ingiallite del tomo che Tharidl prese
a sfogliare adagio.
-No- disse in tutta sincerità.
-Unica e sola testimonianza che lasciò Alice di
sé quando aveva la tua età. Lo conservavo da
parecchio, aspettando questo momento-.
Elena sorrise con gioia. Allora qualcosa di utile nella biblioteca era
rimasto, pensò.
-Quale momento? La cerimonia? L’investitura? La riuscita
della missione?- lo tempestò di domande che in loro
contenevano già le risposte.
Tharidl scosse la testa. –Quelle donne che hai veduto sedute
alla mensa, erano Dee, come disse il giusto Altair, che non appena ne
venne a sapere, scoppiò su tutte le furie. Ho voluto che
queste tornassero non solo in onore della cerimonia di domani, ma
bensì per cominciare a spolverare le loro
affinità. Kamila, Elika e Leila sono una piccola minoranza
di costoro, le altre raggiungeranno la fortezza al calare del sole
della prossima settimana massimo. Elle si trovano nei meandri di questa
terra e mandai alcuni assassini in quei luoghi affinché le
richiamassero tutte. Elena, sono oltremodo fiero di annunciarti che non
sarai più sola nelle tue stanze, d’ora in avanti-
proferì composto e austero.
Elena aprì la bocca, dalla quale non uscì alcun
suono se non un gemito strozzato. –Cosa?-
pronunciò confusamente.
-Hai capito benissimo, invece- rise il vecchio.
Elena si riscosse, riacquistando padronanza della sua voce.
–Ma perché?-.
-Una mia semplice, solidaria scelta- annunciò.
-Non capisco!-.
-Non ti senti sola, incompresa?-.
-Parlate come Rhami…- borbottò.
Tharidl si fece ancor più serioso. –Elle sapranno
aiutarti come non altri, poiché i tuoi addestramenti con
Altair avranno termine al fine di questa settimana- disse cupo.
-Questa poi! No!- obbiettò. Era sconvolta, non poteva
crederci. –Il mio addestramento non è giunto al
termine! Ho altro da imparare da lui! Egli vede il vero in voi, vi vede
un pazzo, ed ora neppure io sono capace di non contrappormi alle vostre
scelte! Andate dicendo follie, Maestro!- sbraitò.
Il vecchio prese fiato. –Non nego che all’inizio
potresti non comprendere, ma chiederò loro di darti alcune
nozioni fondamentali perché tu apprenda cosa davvero si cela
nella veste di una Dea-.
Sperava che quel momento non sarebbe mai arrivato. L’aveva
sentito dire da Rhami, ma non credeva fosse vero. Non poteva essere
vero. Se gli incarichi di una Dea rivolgevano certe…
“attenzioni” alla vittima destinata alla lama, lei
si sarebbe rifiutata. Che bastardi! Pensò. Prima
l’attirano al mestiere mettendole come maestro un gran
figaccione così da non farle cambiare idea tanto alla
svelta, e poi Tharidl pretende che si abbassi a certi livelli! Insomma,
parlando chiaro, il nome Vedova Nera diceva tutto, no?!
Elena si sentì avvampare. Perché tanto inganno
nei suoi confronti? Si chiese. Era caduta forse nella trappola? Tharidl
l’aveva portata a schierarsi dalla parte della setta
così che non sarebbe stata in grado di tirarsi in dietro? Si
chiese se la storia di sua madre che faceva la Dea fosse o no una farsa
per portarla di nuovo ad indossare quelle vesti sconce e orribili che
avevano fatto bene a bruciare. Rhami l’aveva avvertita: quel
nomignolo, Dea, era una condanna, il codice che davano ai detenuti.
La fortezza di Masyaf aveva già abbastanza carcerati. Basta,
lei mollava.
-No! Non mi abbasserò mai a fare la sgualdrina, e se questo
comporta la mia licenza di assassina, be’ mi dimetto!-
sbottò furiosa.
Tharidl non sembrò affatto sorpreso di quella reazione,
tutt’altro disse: -Sapevo che avresti reagito
così. Ebbene, voglio che tu dia un’occhiata a
questo tomo, che Alice scrisse di suo pugno. Ella fu l’unica
che conservò un suo diario privato, poiché alle
Dee non era concesso mettere in bella vista i loro pensieri. Oggi
ringrazio pregando tua madre di aver lasciato una giovane
testimonianza! Tieni, prendi, fatti una cultura- le porse il piccolo
scritto che Elena non accolse nel suo pugno.
La ragazza indietreggiò. –In quel
diario…- parlottò –è tenuto
il nome di mio fratello?- chiese severa.
-No- affermò il vecchio.
Elena fece un gesto con la mano. –Allora non ne sono
interessata-.
-Tutto ciò è assurdo! Si tratta di tua madre!
Prendilo!- si allungò in avanti, ma Elena
indietreggiò di nuovo.
-No!- ringhiò lei. –Mi avete strappato dai miei
punti fermi, Maestro! Perché accettarne di nuovi?-.
-Ti stai riferendo ad Altair?- domandò colpito.
-Non solo!- ribatté la ragazza. –Quando Rhami mi
parlò di sua madre e accennò alla mansione che
ella svolgeva, non credevo che… insomma… -.
Tharidl assunse un’espressione contorta, mista tra
smarrimento e sorpresa.
-Che cos’è quella faccia?!- lei
s’irrigidì.
-Posso sapere di cosa stai parlando?- rise di colpo, e la sua risata si
diffuse fragorosa nel salone.
-Non… non…- balbettò lei, confusa e
avvilita. Possibile che stesse pensando il falso?
-So bene cosa ti è passato per la mente!-
ridacchiò il vecchio. –T’informo che le
Dee da oggi aprono un nuovo capitolo della storia degli omicidi.
Incarichi di quel genere risalgono, ecco, ai tempi della madre di
Rhami!- si beffò.
-Quindi…- Elena abbassò lo sguardo.
-Elena, ma per favore! Credevi davvero che ti avrei fatto una cosa del
genere?- Tharidl poggiò il diario di Alice sul tavolo e le
venne incontro, cingendole le spalle con un abbraccio.
Ed Elena si strinse a lui affondando il volto nella sua casacca scura
di Maestro. –Non ho idea di cosa mi sia passato per la mente,
scusatemi…- mormorò.
Lui le accarezzò i capelli. –Permettimi di
aggiungere che…- cominciò con voce melodiosa.
–non sarei mai stato capace di fare un simile torto a tuo
padre, sappilo. Lui ti mandò qui affinché ti
proteggessi e t’istruissi, ma egli aveva sempre visto nelle
Dee qualcosa di alquanto riluttante. A quei tempi condividevo il suo
sdegno per le mansioni che Tharidl rendeva alle ragazze, e fui io
stesso a gioire assieme a lui quando Alice venne bandita,
perché ella, come tutte le Dee, non attendeva altro. Alla
morte di Al Mualim, questo modo assurdo di disprezzare le Dee
è stato rievocato, ma come ti dissi al tuo arrivo, in questo
luogo dimora ancora chi non vede di occhi azzurri te né
tanto meno chi ti circonda- le sussurrò.
-Dunque…- lei si distanziò appena. –non
capisco cosa necessitano Kamila, Elika e Leila di insegnarmi-
proferì più tranquilla.
-Devi sapere che il combattimento di una Dea si differenzia con netti
contrasti da quello di un Angelo, e dopo la cerimonia ne assumerai a
pieno le prime nozioni da Leila, che oso dire sia ancora la migliore-
le fece l’occhiolino.
Chi? La bulla? Elena soffocò una risata che se fosse venuta
fuori, non avrebbe più smesso. D’altro canto,
doveva abituarsi all’idea di ridere poco alle spalle di
quelle tre donne. Anche se conosceva il sufficiente necessario di
Elika, Elena non si sentiva ancora in confidenza con lei. Giusto, una
volta le aveva pianto sulla spalla tutti i suoi dolori, ma presto
sarebbero state compagne di stanza e nulla le avrebbe impedito di
trattarla come una bambola… la giovane assassina
ripensò con fastidio alla scena di poche ore prima nella
sala mensa, a quando le aveva pizzicato una guancia. Orribile ricordo
che, in un modo o nell’altro, avrebbe rimosso al
più presto.
-Apprendere da Altair potrebbe esserti ancora utile, non lo nego, ma
vorrei che imparassi a sfruttare al massimo la flessibilità
cui gode solo una donna- sorrise armonioso.
-Flessibilità?- domandò curiosa e meravigliata.
Lui annuì. –Avrai modo di scoprire da te che nel
tuo corpo si cela una piuma che aspetta solo di essere sospinta da una
fresca ventata invernale. A proposito d’inverno…-
borbottò voltandosi alle vetrate. –prevedo la
prima neve già dall’inizio di dicembre-
sospirò.
Elena gli andò affianco.
-Come vola il tempo… mi sembra ieri che ti accolsi in una
calorosa giornata d’estate tra queste mura- le
carezzò una guancia, e lei arrossì.
-Prima mi avete spaventato, Maestro- disse la ragazza.
-Come mai?- aggrottò la fronte.
Elena esitò un istante. –Credevo davvero
che… ma a parte quello, l’idea di allontanarmi
dagli allenamenti cui mi sono abituata mi metteva ansia. Ma ora
comprendo, e vi sono grata di tutto-.
-Sei tale quale a tua madre- le sussurrò abbracciandola
ancora. –Tale e quale-.
Anche se non le piaceva pensare a quali tipologie di incarichi avrebbe
svolto, Elena avvertiva il peso di troppi fardelli appartenuti alla sua
famiglia per tirarsi indietro. In quelle vesti, sotto quelle vesti
bianche e linde che indossava, si celavano l’anima di suo
padre e sua madre, una parte delle quali era racchiusa nel corpo di suo
fratello. La collana di Alice era come una catena di fiori che la
teneva attaccata a quel luogo e a quelle vesti, che avrebbe voluto
tanto bruciare… il ciondolo intarsiato nella pietra che
Elena strinse tra le dita delicatamente, era tutto ciò che
le rimaneva della sua famiglia, una piccola testimonianza che Tharidl e
altri dicessero il vero. Non si sarebbe tirata indietro proprio ora che
tutto attorno a lei stava prendendo una piega migliore, finalmente il
mondo le arrideva, si disse. La cerimonia, l’investitura al
rango più alto e un po’ di compagnia nelle stanze
che per anni erano rimaste vuote… c’era un
incantevole lato positivo in tutto quello.
Come una bambola di pezza, Elena si lasciò avvolgere dalle
sue braccia che un poco le ricordavano Kalel; la stessa forza esile e
delicata che solo gli adulti o i vecchi hanno.
-Maestro- chiamò ad un tratto scostandosi.
-Sì?- fece lui disponibile.
-Minha… che fine ha fatto?-.
Tharidl si guardò i piedi, spostando poi gli occhi scuri
fuori dalle vetrate. –Adha non è riuscita a
trovarla e temiamo il peggio… dalla biblioteca sono spariti
alcuni documenti di vitale importanza, e la ragazza ci è
sfuggita di mano giusto ieri notte, ne sono certo-.
-Fuggita?-.
-Le sue abilità vanno ben oltre ciò che
immagini… quella donna fu una Dea, Elena, e le sue doti le
sono servite per colpirci tanto in basso- brontolò.
Minha una Dea… avrebbe dovuto capirlo subito,
perché la sua bellezza esagerata a la cura che aveva del suo
aspetto davano a vedere una donna cui molti uomini si sarebbero
inchinati.
-Perché credete che abbia fatto questo?- domandò
in un sussurro.
Tharidl sospiro giungendo le mani dietro la schiena.
–L’amore che aveva per Asaf l’avrebbe
spinta ad allontanarsi dalla setta allo stesso modo di tua madre, ma
ella era disposta a tutto pur di garantire l’anonimato delle
sue azioni. Pazza e accecata dall’odio, Minha avrà
visto in Corrado un modo per vendicarsi di me, suppongo…
anche se mi viene celato il motivo certo. Da un punto di vista
più lucido, non comprendo come mai Minha abbia stretto
alleanza con l’uomo che ha comandato i soldati che uccisero
Asaf. Tutto ciò è assurdo, ma non tocca a me
assillarti in questo mondo. Alcuni comportamenti umani vanno ben oltre
la mia comprensione…- parlottò il vecchio.
Elena allora tacque, ulteriormente confusa.
Poteva essere una coincidenza che Minha non fosse a palazzo?
-Elena, potresti farmi un piccolo favore?-.
-Ovviamente, di cosa si tratta?-.
-Vorrei che cercassi di tranquillizzare il tuo maestro. Sicuramente si
sarà chiuso nelle sue stanze e posso star certo che non
tornerà da me prima di domani mattina, ma ho bisogno di
parlargli di altro, che se posso dire, ti riguarda. Quindi, potresti
chiamarlo per me?- il vecchio allungò una mano e le
alzò il cappuccio a celarle il viso, ed Elena sorrise.
-Farò come mi avete chiesto- proferì un inchino,
ma Tharidl s’illuminò d’un tratto.
-Aspetta, prima avrei avuto piacere ad illustrarti alcune pagine di
questo…- sfiorò la copertina scura del libro, ed
Elena rimase inchiodata al suo posto.
-Va bene- acconsentì lei gioiosa e curiosa.
Tharidl la lasciò andare dopo che ebbero letto assieme una
prima parte del diario di Alice.
Era ferma sulle scale con lo sguardo basso, mentre sotto braccio teneva
il testo che Tharidl le aveva dato da spulciare quando ne avesse voglia.
Le rivelazioni di quelle prime pagine erano state come acqua che cade
dal cielo nel mezzo del deserto, ma desiderava prendersi del tempo per
pensare più affondo a tutto e tutti.
Si diresse nelle sue stanze, nelle quali non avrebbe sostato allungo
dato l’incarico affidatole.
Passò per il corridoio, che trovò ancora
traboccante di assassini e salì le scalette a chiocciola,
fino a giungere negli appartamenti delle Dee.
Elena s’immaginò quelle stanze piene di belle
ragazze. Vedeva le loro figure sinuose spostarsi da una camera
all’altra, sentiva le loro risate acute alle quali le sarebbe
piaciuto prendere parte. Era tempo di ricominciare a credere in loro,
si disse, e nel loro operato, poiché esse, presuppose,
potevano arrivare ben oltre le indagini comuni.
Elena poggiò adagio il diario sulla scrivania della sua
stanza e guardò fuori dalla finestra, ove il panorama si
perdeva all’orizzonte nei colori intensi del primo pomeriggio.
-Che cos’è?-.
Elena si voltò e portò una mano
all’elsa della lama corta. –Che ci fai qui?! Non
potresti essere qui!- digrignò.
Rhami era appoggiato all’ingresso della stanza, le braccia
conserte, lo sguardo disonesto che Elena odiava tanto. –Te
l’ha dato Tharidl? Che cos’è?- chiese
ancora.
Il giovane stava per muovere un passo, ma la ragazza trasse dal fodero
un pugnale da lancio e lo scagliò contro la parete, a pochi
centimetri dal viso dell’assassino.
Rhami sorrise, ancor più soddisfatto.
-Non ti è bastata la lezioncina?- rise lei. –Ne
vuoi ancora?!- sbottò irritata.
-La batosta mi è bastata… Non scaldarti tanto,
voglio solo parlarti- disse serio tornando dritto.
Elena portò alla mano un nuovo pugnale. –Resta a
distanza!- strinse i denti.
Rhami compié una giravolta. –Sono disarmato, vengo
in pace!- ridacchiò mentre Elena notava che effettivamente
non aveva con sé armi.
-Che cosa vuoi, dunque?- domandò nervosa.
Lui voltò il viso di lato e abbassò lo sguardo.
–Ne sei felice?- mormorò.
Elena sgranò gli occhi. –Cosa?! Di cosa parli?!-.
-Le Dee! Stanno tornando e tu hai permesso che accadesse!-
sibilò.
-Non avevo scelta, l’hai detto anche tu…-
sussurrò lei. –Mi sento sola ed incompresa, e non
capisco come questo possa darti tanto dispiacere- dichiarò.
Rhami avanzò ed Elena glielo permise restando vigile.
-E se ti dicessi che sono solo geloso? Perché quelle ragazze
non hanno fatto altro, nella storia di questa fortezza, che rubare a
noi gli incarichi!-.
Elena scoppiò a ridere. –Tutto qui? Una questione
di… onore?!- rideva e non riusciva a fermarsi.
Rhami era tanto stupido? Gli Angeli della Morte di Masyaf potevano
essere tanto stupidi?!?
-Non sto scherzando- sorrise lui. –davvero!- aggiunse allegro.
Dannata gelosia, che spingeva gli uomini a compiere azioni assurde,
pensò tornando dritta e constatando che Rhami si era
avvicinato ancora.
-Allora non ci siamo capiti- fece maliziosa.
-Oh, scusa tanto- indietreggiò con un saltello.
Guardare i suoi occhi azzurri e notare quanto si somigliassero, le dava
fastidio. Così ad Elena balzò in mente un dubbio
cui voleva sbarazzarsi al più presto.
-Tua madre- cominciò lei. –Tu l’hai
conosciuta?- domandò con un filo di voce.
Il ragazzo soffocò il suo sorriso. –Sì.
Se non fosse stato per Al Mualim, ora non sarei qui…-.
Ed io vivrei una vita tranquilla, pensò Elena.
–Cosa?!- sgranò gli occhi.
Rhami s’incupì ed indietreggiò ancora
fino ad allontanarsi nel salotto.
-Aspetta!- lo chiamò Elena correndogli dietro.
L’assassino, scoprì Elena, si era affacciato ad
una delle immense vetrate aperte del salone e guardava il sole
specchiarsi sui tetti della fortezza e splendere sulle piume argentate
di Rashy che compieva acrobazie gioiose nell’azzurro
firmamento.
La Dea gli si avvicinò con cautela e, cogliendolo con
un’espressione afflitta e rassegnata che Elena non gli aveva
mai visto, si permise di affiancarsi a lui. –Stai scherzando,
vero?- balbettò.
Rhami soffocò una risata. –Ti prego, non
fraintendere, Al Mualim non è mio padre… non ho
idea di chi sia mio padre- proferì tornando serio.
-Ah, ecco… infatti- si aggiustò i capelli.
–Credevo… eheh…-.
Rhami le volse un’occhiata, ma tornò alla svelta
al panorama. –Sono figlio d’ufficio, capisci? Sono
stato concepito in un incarico!- non riuscì a trattenere la
collera.
Elena d’un tratto comprendeva.
-Rhami- mormorò il suo nome e lui si girò a
guardarla, i loro occhi di ghiaccio s’incrociarono.
-Io… non pensavo, mi dispiace tanto- continuò lei
non riuscendo a tenere quello sguardo.
Il ragazzo prese un gran sospiro, mentre una brezza fresca gli
scompigliava i capelli ramati. –Non potevi saperlo; ed io non
mi sentivo pronto a dirtelo- proferì accigliato.
Ecco cosa rischiava una Dea negli anni passati. Ecco qual’era
il tormento che assillava quel povero ragazzo, pensò. Essere
figlio di una missione non andata come si sperava, non conoscere il
nome del proprio sangue… Elena capiva bene come si sentiva.
La ragazza comprendeva meglio di altri cosa Rhami stesse provando in
quel momento. Lo stesso sconforto, la stessa rabbia, la stessa dannata
colpa che in ogni caso doveva cadere sempre su sé stessi. Un
dolore profondo che segnava l’anima con una croce bella e
buona che andava durare per tutta la vita.
-Ovviamente non ne vado fiero- bisbigliò lui –ma
quando Tharidl mi disse la verità che invece Al Mualim mi
aveva tenuto nascosta, accettai il mio destino e solo allora iniziarono
i miei addestramenti. Solo all’età di 16 anni
appresi l’essenza di essere un assassino. Ero mosso dalla
vendetta, dalla voglia di scovare il bastardo che aveva lasciato in
cinta mia madre e, se fosse stato possibile, di uccidere Al Mualim con
le mie stesse mani. Egli aveva affidato a mia madre il compito
più vile tra tutti, ovvero intrattenere la vittima. Un altro
assassino avrebbe pensato al resto la mattina successiva… ma
questo non si fece vedere e la missione si concluse con la fuga di mia
madre. Non ero orfano, non ero figlio di nessuno se non di una puttana!
E questo mi faceva arrabbiare e litigare molto spesso con mia madre,
che alla fine lasciò la setta come tutte le altre Dee. Da
lì non la rividi più, e ora sento mancarmi la
famiglia che non ho mai avuto. Lei mi aveva abbandonato al mio destino,
lasciandomi alla mano nient’altro se non il mio stesso
dolore, che avrei usato come arma il giorno in cui sarei divenuto
assassino. Ogni Angelo di questa fortezza ha la sua storia, i suoi
dolori, le sue paure, i suoi timori… io mi sentivo
all’epoca quello nelle condizioni peggiori. Scartato da
tutti, isolato, messo da parte anche negli incarichi e visto di
malocchio per quello che ero. Non noti una certa somiglianza? Poi sei
arrivata tu…-.
Elena sollevò il volto e si trovò a stretta
distanza con quello dell’assassino.
Ghiaccio che scioglieva, pensò Elena fissandolo negli occhi.
Rhami si chinò appena su di lei, ma Elena riuscì
a sottrarsi al breve contatto delle loro labbra.
-Certi istinti non riesci proprio a tenerli per te?- domandò
rigida.
Rhami scosse la testa, ed Elena rise.
-Sei patetico, avanti, vattene- indicò le scale.
L’assassino sorrise malizioso. –Vuoi davvero che me
ne vada?-.
-Ah!- la ragazza si avviò. –Fa’ come
meglio credi, ma se non te ne vai tu, levo le tende io!-
sbottò scendendo al piano di sotto.
Rhami si guardò attorno, scrutando ogni particolare della
stanza che quella “famosa” notte, a causa del buio,
non aveva avuto modo di adocchiare. Il ragazzo avanzò
sfiorando le federe del letto con due dita, e si fermò di
fronte alla scrivania, sulla quale Elena aveva lasciato quel buffo
piccolo tomo.
Lo prese tra le mani e cominciò a sfogliarne alcune pagine.
-Che cosa stai facendo?- Marhim entrò nella camera e gli si
fermò alle spalle.
Rhami si voltò lentamente, con gli occhi ancora chini sul
libro. –Tu perché sei qui?- chiese assorto.
-Rispondi alla mia domanda!- sbottò Marhim. – Che
cosa stai facendo qui? Dov’è Elena?-.
Rhami alzò lo sguardo e fulminò il ragazzo con
un’occhiataccia. –è nella stanza
accanto, sul letto, nuda!- rise. –è stato
divertente- aggiunse.
Marhim trovò la battuta tutt’altro che divertente.
–Vattene, non puoi stare qui-.
-E tu sì?- Rhami faceva finta di ignorarlo rispondendogli
con tono seccato. Nel frattempo leggeva il diario di Alice che
stringeva tra le mani, sfogliando pagina dopo pagina.
-Perché non è qui? Gli assassini
l’hanno vista salire- disse il ragazzo.
Rhami lo guardò torvo. –Vista salire ma non
scendere?-.
Marhim scosse la testa.
-Strano- Rhami chiuse il diario di colpo e lo poggiò sul
tavolo. –Sarà in giro sul piano-
suggerì avviandosi.
Marhim lo afferrò per il cappuccio quando gli
passò affianco.
L’Angelo più esperto lo fulminò con lo
sguardo. –Che vuoi?!- digrignò.
Marhim cacciò la paura. –Stalle alla larga,
chiaro?- proferì con quanto tono serioso gli era possibile.
-Sa essere distaccata quando vuole, dovresti ronzarle attorno meno
anche tu!- Rhami si divincolò dalla presa e, con passo
svelto quasi di corsa, scese le scale.
Elena esitò sulla porta, il braccio alzato, la mano in
procinto di bussare.
Il corridoio alle sue spalle taceva, ma si diffondeva il canto degli
uccellini e il crosciare continuo della fontana del cortile.
La ragazza si allontanò di un passo dall’ingresso
serrato della camera. Si guardò attorno, ripensando che non
era stata una buona idea. L’aveva visto così
nervoso, turbato mentre parlava col Gran Maestro. Era più
prudente andarsene e infischiarsene, ed Elena fece per obbedire alla
sua coscienza sporca.
Un grido violento, e dall’altra parte della porta Elena colse
il suono di fogli di carta che sbattevano, alcuni oggetti che si
rovesciavano al suolo e poi una voce che strillava: -Rashy!- con
estremo stupore e rabbia.
Elena allora scostò una battente della porta e si sporse
nella stanza.
Rashy, l’adorabile falchetta, era con le ali spalancate
poggiata sul cornicione della finestra aperta. Lo sguardo spaurito, il
becco socchiuso e impiegato in un sibilo acuto e costante.
Sul pavimento erano sparsi fogli di tutti i generi, assieme ad un
mucchio di libri, e in piedi dietro la scrivania c’era il suo
maestro d’armi che in volto aveva solo agitazione mista a
sbigottimento.
Rashy emise un nuovo grido, ma Altair si apprestò a
serrargli il becco con una mano. –Smettila!- la
rimproverò l’assassino richiudendole prendendola
sotto braccio. Quando lasciò la presa dalla sua bocca, Rashy
andò ad aggrapparsi alla sua veste fino ad arrampicarsi
sulla sua spalla.
-Che cosa le è preso?- domandò Elena, e Altair fu
alquanto stupito di vederla lì.
L’assassino tacque un istante. –Non ne ho idea, ma
non deve essere stata una bella cosa- borbottò guardando la
falchetta.
Elena si apprestò a raccogliere da terra le pergamene che
l’atterraggio agitato di Rashy aveva sparpagliato sui tappeti.
-Lascia, ci penserò io più tardi- disse Altair
aggirando lo scrittoio. –Tu puoi andare- aggiunse severo.
-Veramente…- cominciò lei raggruppando i tomi di
esile carta gialla in grembo. –Tharidl mi manda a parlarvi -
annunciò poggiando le carte sul tavolo, e chinandosi a
raccogliere il resto della roba sparsa a terra: c’erano delle
piume d’oca bianche usate per la scrittura, una bussola, un
compasso, fermacarte. Elena raccolse tutto ai piedi del suo maestro che
la guardava in silenzio.
-A parlarmi di cosa?- sbottò irritato.
-Di noi- proferì sollevandosi.
Altair alzò un sopracciglio.
-Cioè…- balbettò lei arrossendo.
–Non di “noi”! A parlarvi di
“noi” Dee…- gli volse
un’occhiata.
-Come mai? So già abbastanza di “voi” e
non intendo…-.
Elena scosse la testa, guardando Rashy che, scivolando giù
dal braccio del suo maestro, zampettò sulla scrivania.
-No, più che altro egli mi manda a spiegarvi, come disse a
me, che le Dee non svolgeranno più quel genere
d’incarichi che vedete di mal’occhio. E ne sono
tanto felice anche io. Inoltre, voleva che vi calmassi. Insomma,
sembrate così teso…- mormorò ridendo.
Altair indietreggiò, tornando dietro la scrivania.
Abbassò lo sguardo e tentò di mettere ordine sul
tavolo. –Non so di cosa tu stia parlando-.
Sul volto di lei si disegnò un istantaneo sorriso malizioso.
–Ma maestro- rise. –lo so io e voi no?-
domandò giocosa.
-Ti ripeto- realizzò serio. –Non so. Di cosa. Tu
stia. Parlando- ripeté.
Elena allora aggirò la scrivania e gli fu affianco.
–Devo darvi io la notizia?-.
Altair perse la compostezza della schiena e crollò sulla
sedia dello scrittoio, massaggiandosi il volto con le mani.
–Va bene, va bene…- sibilò.
Elena sedette sulla scrivania e rimase con le gambe a penzoloni, mentre
sistemava bene la veste ai suoi lati. –La vostra memoria
dunque funge, maestro- ironizzò.
Lui poggiò le braccia sui braccioli e le lanciò
un’occhiata neutra: -te l’ha detto Adha?- chiese
affranto.
Elena fece la vaga. –Diciamo che… no-.
Altair a quel punto fu ancora più scioccato. –E
come lo sai?- sbottò.
Elena si strinse nelle spalle. –Quando l’avete
detto al Rafik di Acri ho ascoltato poco e niente, ma…-
mormorò. –ma capito abbastanza-.
L’assassino puntò il suo sguardo silente dritto
davanti a sé. –Ah, ecco- disse solo.
Il silenzio calò nella stanza, mentre Rashy aggrappata al
balcone della finestra, si spulciava piuma dopo piuma le ali privandole
della sporcizia accumulata.
Seduta sulla scrivania del suo maestro, che taceva in un ostinato
mutismo, Elena si guardò attorno. Lanciò
un’occhiata alla libreria, sui quali scaffali si allungava
una scaletta mobile. Osservò taciturna Rashy che completava
il suo bagno, contò gli uccellini che svolazzavano nel
giardino fuori dalla finestra. Si lasciò cullare dal loro
canto melodioso, ammirando il paesaggio di campagna che si perdeva fino
ai piedi delle montagne.
-Effettivamente non era vero-.
Elena si voltò, e si accorse che gli occhi scuri del suo
insegnante d’armi erano su di lei. –Cosa?-.
Altair rimase impassibile. –Non era vero che Adha aspetta un
figlio da me- pronunciò poggiando i gomiti sul tavolo.
Curvò la schiena e guardò altrove.
Elena sobbalzò. –Da un altro?- balbettò.
–No…- rise l’assassino.–Mi ha
dato la notizia di sfuggita prima di partire per Acri. Quando sono
tornato mi ha detto che non era vero- bisbigliò inquieto.
Ecco cosa intendeva Tharidl con “non è
certo”.
Elena si rattristì, condividendo quella mancata gioia del
suo maestro. –Mi spiace- mormorò chinando la testa.
-Non dovrei condividere con te certe informazioni- proruppe
Altair alzandosi. –Avanti, scendi dalla scrivania- la
guardò torvo.
-Oh, scusate…- Elena fece un balzo in avanti e scese dal
tavolo arrossendo.
-Hai piani in mente per oggi?- le chiese sorridendo.
-Non particolarmente, perché?- rispose speranzosa che
avrebbero fatto qualcosa assieme.
-Se non sbaglio- cominciò lui –Marhim è
tornato questa mattina, e non vi eravate dati appuntamento per un
piccolo ripasso didattico?-.
Uffa, pensò lei. -Sì! Avete ragione-
disse e proferì un inchino. –Meglio che vada,
maestro- si avviò all’uscita e aprì la
porta.
L’Angelo seguì i passi della Dea perdersi nel
corridoio, poi il silenzio calò in quell’ala della
fortezza.
-Avanti, anche noi abbiamo molto da fare- Altair allungò un
braccio e Rashy si avvinghiò ad esso. –Ti
accompagno a caccia- disse mentre la falchetta saliva sulla sua spalla.
_________________________________
“-Hai
piani in mente per oggi?- le chiese sorridendo.
-Non
particolarmente, perché?- rispose speranzosa che avrebbero
fatto qualcosa assieme.”
Prego i gentili ascoltatori di non fraintendere il significato di
queste parole: Elena intendeva chiaramente
“qualcosa” come per esempio un allenamento extra o
alcune lezioncine teoriche. (lo ammetto, i pensieri sconci sono balzati
in testa anche a me!) XD
Elika95 ringrazia i gentili ascoltatori:
Saphira87
goku94
Lilyna_93
Carty_Sbaut
X
Saphi: su msn ti ho detto… troppo. Tutti quelli
spoiler, dio, ti avrò rovinato parecchio le sorprese,
riducendo il finale della storia a 2 opzioni. Che crudele che sono, e
ancora non so come farò per sdebitarmi. Come promesso, ho
aggiornato questa sera, e mi sarebbe tanto piaciuto che tu facessi
altrettanto… ç_ç Hmm, che altro? Ah,
certo. Ebbene, sì, le Dee tornano alla carica, ma per il
bene di Elena e della setta Tharidl ha rievocato quel
“genere” di incarichi che svolgevano una volta le
assassine. Leila e Kamila sono solo due delle centinaia di giovani
ragazze che finalmente popoleranno i piani alti della fortezza!!! XD
Altair nella biblioteca, quando ha colto in fragrante Marhim ed Elena,
era arrabbiato perché Tharidl le aveva chiesto di prendere
quel “testo” che aveva stillato in lui parecchi
dubbi che non gli andavano a genio… e ci è
rimasto un poco così O.O nel sapere che tornavano le
Dee… chissà perché
ù.ù ehehe (me ride malignamente: muhahahaha).
Alla proxima puntata allora, e ci si becca su msn, ciauuu! P.S.
Ovviamente spero che questo chappo ti sia piaciuto! XD
X
goku94: spero che tu sia riuscito a trovare del tempo tra
lo studio e tua madre per leggere questo chappo, che alla fine non
è stato così pieno come credevo. In questo
capitolo avrei dovuto mettere la cerimonia e tutto il resto, il
“zappa dito della mano sinistra” per intenderci. Mi
sono allungata troppo tra i litigi di Tharidl e Altair (che
è diventato ad un tratto piuttosto isterico o.o). recensisci
appena puoi, un saluto e ci si becca su msn, ciao!
X
Carty e Lilyina: Carty, sono contenta che la mia ff ti
piaccia, e Lilyna… dove sei finita? Avanti, questa punizione
non durerà in eterno, ma piuttosto… ho visto che
ti hanno taggato l’accaunt, perché sulla pagina
del tuo profilo c’è una scritta strana e assurda,
devo dire O.O è successo qualcosa che ha fatto incazzare
quelli del server? Insomma… vedi tu e, se questo avviso lo
sta leggendo Carty, puoi riferirglielo? Grazie ad entrambe e un saluto.
X
Angelic, Assassin, Diaras: fatevi sentireeeeee
ç_ç
Ok cari ascoltatori, radio Elika chiude questo aggiornamento dandovi
appuntamento alla prossima puntata oppure all’altra ff, come
preferite. Un grosso “GRAZIE E VI ADORO” a tutti
coloro che seguono la mia ff nonostante: gravosi errori di grammatica,
soggetti sintattici “troppo” sottintesi o assenti,
parolacce ben distribuite, quindi quasi assenti, e termini come
“lampadina” che nel XII secolo non esistevano XD
notte a tutti!
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Capitolo 35 *** Paura del sangue ***
Paura del
sangue
Elena
si aggiustò i lembi della veste stropicciati, spazzando via
alcuni residui di polvere. Nella mano destra teneva sguainata la spada,
e con quella sinistra si issò il cappuccio grigio a celarle
il volto. Con un rapido movimento, si sgranchì i muscoli
delle spalle e quelli del collo, tornando dritta su due piedi.
–Allora- cominciò lei piegando le ginocchia e
saltellando ben riscaldata. –Da quanto ho saputo, ti sei
annoiato parecchio ad Alhepo- disse alzando gli occhi azzurri maliziosi
e incontrando quelli color nocciola di Marhim.
L’assassino
esitò sull’impugnatura della sua arma, ancora nel
fodero. –Come… come lo sai?- fece confuso.
Elena
fece una smorfia voltandosi alla sua destra, ove Halef era poggiato
alla staccionata che cingeva l’arena degli allenamenti.
Il
ragazzo fuori dal recinto alzò una mano. –Eccomi-
rise.
-Razza
di…- brontolò Marhim lanciandogli
un’occhiataccia, ed Halef trovò in quelle parole
maggior divertimento.
-Che
c’è? Le ho solo detto che sei rimasto nella Dimora
durante tutto il tempo, poltrendo e annoiandoti accumulando sconfitte
imbarazzanti a scacchi col Rafik e che non vedevi l’ora di
tornare! Sei pigro, fratello, solo pigro!- ridacchiò Halef.
-Parla
lui- sbottò Marhim estraendo la spada.
Elena
curvò la testa da un lato, ridendo. –Come mai non
ti andava di uscire?- chiese.
Il
suo amico si schiarì la voce. –Avevo paura di
combinare qualche casino a causa del mio… impacciato
muoversi!- si beffò.
-Confermo-
annuì Halef, e la sua finta espressione seria la fece
scoppiare dalle risate.
-Piantala!-
lo riprese Marhim.
-Avresti
dovuto vederlo, Elena! Tutto il giorno seduto come un Re di Francia a
leggere e a scrivere! Scrivere Dio solo sa cosa, poi! Quando tornavamo
dalle indagini lo trovavamo esattamente come l’avevamo
lasciato! Il Rafik ha anche provato a dargli un po’ di roba,
ma peggio! Il giorno dopo ha ronfato come un ghiro in letargo! Insomma,
la droga funge da calmante, su di te, fratello!- disse Halef sgranando
gli occhi.
-Lo
scherzo è bello quando dura poco, ragazzino- Marhim gli
puntò la spada contro a distanza.
Elena
si riprese dal rossore lentamente, cercando di trattenersi, ma non
sapeva dire di no all’immensa gioia che veniva fuori nel
riaverli accanto tutti e due. I suoi Angeli Custodi, pensò.
Loro che l’avevano salvata dal braccio della morte ed erano
entrambi così simpatici. Li avrebbe abbracciati se
quell’azione non avesse suscitato troppo clamore, ma poteva
nascere qualcosa di considerevole da un’amicizia, si chiese?
Perché erano così adorabili! Si disse.
-Halef-
lo chiamò lei, e l’assassino si voltò a
guardarla.
-Sì?-.
-Domani
sali di rango anche tu?- domandò riscaldando il polso destro
con fluidi e aggraziati movimenti della lama.
Lui
alzò le spalle. –Probabile, ma solitamente questo
genere di cose non si svolgono così in pubblico. Fino ad
oggi il Gran Maestro si occupava in privato di ciascun membro-
aggrottò la fronte. –mi stupisce che questa volta
abbia organizzato un festone- proferì.
-Ovviamente-
sorrise Marhim, ed Elena si girò verso di lui.
–tutto in onore della Dea Elena!- accennò un
inchino.
La
ragazza arrossì. –Smettila!- lo canzonò
ridendo.
Marhim
levò il capo gioioso in viso.
-Può
darsi- assentì Halef. –Chi lo sa cos’ha
in mente quel vecchio…- borbottò abbassando lo
sguardo.
Tutt’attorno
c’era la calma confusione di una folla ridotta di assassini,
passanti e saggi; la maggior parte dei quali doveva essere impiegata
nei preparativi alla cerimonia della mattina successiva.
-Hai
finito?- sbottò Marhim.
Halef
annuì, si sollevò dalla staccionata e si
allontanò dal campo.
Elena
assunse un’espressione interrogativa.
Marhim
sospirò affranto, massaggiandosi il collo. –Lo
ammetto, ho preferito starmene da parte alle indagini e anche
all’esecuzioni, ma… nonostante ciò,
quello lì è riuscito a farmi impazzire lo
stesso!- rise indicando il fratello minore che andava verso
l’ingresso della sala.
-Certo,
certo!- dissentì Halef, e si avviò
all’interno della fortezza.
Elena
trattene a mala pena una nuova risata e, alzando gli occhi,
trovò ad accogliere la sua gioia un immenso sorriso luminoso
sulle labbra del suo amico.
-Che
c’è?- domandò lei arrossendo.
-E
non me ne pento di essere tornato così in anticipo- disse
solo, facendola arrossire oltremodo.
-Davvero?-
mormorò Elena mordendosi un labbro.
Il
ragazzo annuì beato.
-Volete
darvi una mossa, voi due, o dobbiamo restare qui a guardare come vi
guardate fino a notte?- eruppe un uomo dalla folla, ed Elena si
voltò, riconoscendo quella voce.
-Avanti,
che state aspettando?- Altair si appoggiò coi gomiti alla
staccionata sporgendosi verso di lei. –Tieni bene quella
spada…- le bisbigliò chiudendo un occhio.
Elena
fece un passo avanti verso il suo avversario e sistemò al
meglio la presa sull’impugnatura della lama.
-Sono
un po’ arrugginito, lo ammetto, quindi abbi pietà-
piagnucolò Marhim.
-Ti
sembro tanto perbene?- sogghignò la ragazza maliziosa.
Il
suo maestra d’armi rimase a guardarli fino alla fine,
assottigliando delle dritte ad entrambi i contendenti.
Elena
lo osservava spostarsi attorno all’arena con le mani giunte
dietro la schiena, e Altair, controllandoli, sorrideva contenuto. Il
gran assassino che assisteva ad un allenamento: Elena non
poté biasimare il fatto che minimo metà dei
presenti nel cortile si fosse girato ad adocchiare.
Marhim
era davvero arrugginito: aveva perso compostezza in tutti i movimenti,
agilità che, dopotutto, non aveva mai avuto. Il giovane
assassino parava con difficoltà i suoi fendenti ben
piazzati, e ben presto Marhim si trovò alle strette.
Elena
fu clemente e fece finta d’inciampare mentre schivava un
affondo rivale.
Altair
rimase sorpreso di quell’improvvisa perdita
d’equilibrio della sua allieva e, sollevando un sopracciglio,
strinse il legno della staccionata con entrambe le mani. –Che
ti prende, ragazza?- domandò stupito.
Marhim
indietreggiò. –Io non ho fatto nulla!-
dichiarò.
-Hai
la coda di paglia?- gli pose un quesito Altair ridendo.
Elena
si sollevò appoggiandosi alla spada e, tornando dritta,
lanciò al suo avversario un’occhiataccia.
–Già- sbottò lei.
Marhim
si strinse nelle spalle. –Non l’ho toccata,
è… inciampata- disse voltandosi verso di lei, e
sul suo volto comparve un sorriso commosso.
-Ah,
ora hai capito!- Elena alzò gli occhi al cielo.
Quando
ripresero il combattimento, non fu cosa rara che Altair interrompeva
stupefacendosi delle capacità di Marhim che, con
l’aiuto delle finte della ragazza, stava apparendo al meglio
sentendosi al peggio.
Da
una parte Elena lo fece per sé, poiché residui di
stanchezza le erano rimaste in corpo fin dal viaggio di ritorno da
Acri. Così quell’allenamento leggero le permise,
poiché il fronteggio con Marhim non richiedesse tanto
sforzo, di riprendere fiato dopo le estenuanti ultime 48 ore.
Dall’altra,
Elena sapeva di farlo per Marhim. Vederlo così poco sicuro
di sé e delle sue capacità, tacere mentre il suo
fratello minore lo canzonava e sapere che Marhim non si sarebbe mai
sollevato da solo, ad Elena intristiva molto.
Era
stata una sua scelta non crescere di rango, ed Elena rispettava a pieno
ciò che Marhim aveva di ideale di assassino, ovvero il vuoto
nel quale ci si perde dopo la fama del primo omicidio. Aveva rinunciato
lui stesso a prendere parte alle indagini ad Alhepo, e sempre lui si
era allontanato dagli itinerari rinchiudendosi nella contemplazione
spirituale. Si vedeva chiaramente che Marhim non fosse un tipo fisico,
ma bensì logico e dalla grande qualità
intellettiva, ma Elena non riusciva a cogliere il lato positivo di tale
scelta di vita.
Fin
dal loro primo incontro carnale, ossia al suo risveglio dalla
convalescenza dopo la fuga da Acri, Marhim le era parso alquanto
simpatico, un tipetto a cui dare una possibilità, una
persona con cui parlare veramente e con cui stringere una vera
amicizia. Ora che ci pensava, nella sua vita sprecata assieme a suo
padre in duri allenamenti con la spada, non aveva mai avuto…
amici veri e propri. Nessun parente, nessuna conoscenza abbastanza
stretta con cui fare due chiacchiere che non fosse la donna della
bancarella di frutta al mercato e il pescatore al porto.
La
sua esistenza ad Acri era stata vuota, e lei privata di
un’anima. E per cosa? Affinché qualcuno notasse
che era capace a combattere ed entrasse a far parte di una setta di
assassini? Ebbene, era quello a cui era sempre stata destinata, ma non
le piaceva pensarci.
Era
distratta, e senza accorgersene, perse il controllo della spada che
andò ad aprire uno squarto superficiale sulla divisa del
ragazzo, all’altezza del petto.
Elena
saltò indietro. –Diamine…-
mormorò spalancando gli occhi.
Marhim
lasciò cadere l’arma che si sbatté
rumorosamente sul pavimento dell’arena. L’assassino
si tastò il taglio sulla divisa e, con
un’espressione contorta da terrore in volto, vide che due
dita della mano erano macchiate di sangue.
Sul
suo petto andava delinearsi una ferita dalla quale colò
giù un fiotto di sangue.
Altair
entrò in campo scavalcando la staccionata e gli si
avvicinò.
Elena
mosse un passo avanti verso il suo amico, ma i loro occhi
s’incontrarono giusto un istante.
Marhim
si accasciò a terra privo di sensi.
Halef
chiuse la porta lentamente e lo scatto della serratura fu inudibile.
Elena
gli andò incontro, fermandosi appena al suo fianco.
–Come sta?- chiese.
Il
corridoio sul quale affacciavano le camere degli assassini era buio.
Dalle finestre aperte lungo la parete entrava il canto delle cicale
accompagnato da una brezza gelida. Il cielo stellato si stagliava per
leghe e leghe all’orizzonte, mentre la valle di Masyaf era
preda delle ombre della notte.
Il
ragazzo si voltò, sorprendendosi di trovarla lì.
Fece un gran sospiro e la guardò negli occhi.
–Potevi startene un po’ più attenta,
è un ragazzo fragile…- rise mesto.
-L’ho
notato, e mi dispiace tanto, davvero. È stata una mia
svista, la spada andava per i fatti suoi ed io pensavo ad altro!
Perdonami- mormorò lei implorandolo.
Halef
sorrise. –Calma, non è nulla di grave, si
riprenderà. Piuttosto, quando si sveglia, è a lui
che devi dare le tue scuse. Non te l’ha detto?-
domandò ad un tratto.
Elena
assunse un’espressione confusa. –Dirmi cosa?-
chiese.
-No,
a quanto pare non te l’ha detto, e onestamente, pensavo che
gli fosse passata- disse.
-Non
so di cosa parli- ammise lei.
Erano
soli in quell’ala della fortezza. Gran parte degli assassini
si erano già ritirati nelle loro stanze, e per le sale della
roccaforte dimorava il silenzio della sera tarda.
Marhim
era stato fatto portare nella stanza che condivideva con Halef per il
semplice motivo che le sue erano condizioni psicologiche, come le aveva
detto Adha fasciandogli la ferita.
Durante
la permanenza di Marhim nell’infermeria, Elena era rimasta
lì a guardare come Adha gli medicava il taglio che la
ragazza gli aveva dannatamente aperto sul petto magro.
Era
stata una sciocca, si disse, e si sentiva ancora più stupida
ripensando a ciò che aveva fatto mentre Marhim veniva
spostato in altro luogo invece di restargli accanto. La ragazza se
n’era andata in giro per la fortezza, quando sarebbe dovuta
stare ad aspettare che Marhim riaprisse gli occhi, così da
tempestarlo delle sue maledette scuse da vera demente
qual’era stata.
-Fin
da piccolo Marhim ha sempre provato un gran ripugno per il sangue-
confessò Halef come se si fosse trattata di una sua paura,
che però apparteneva al fratello maggiore.
-Questo
spiega tutto- proferì lei.
-Lasciami
finire!- sibilò il ragazzo.
-Scusa…-
si strinse nelle spalle, sprofondando nel cappuccio.
Halef
si guardò attorno. –Nessuno lo venne a sapere, e
Marhim poté continuare i suoi insegnamenti restando
distaccato da qualsivoglia itinerario che richiedesse
l’apprendimento dell’omicidio vero e proprio. Mio
fratello si limitava a prendere lezioni teoriche, ecco
perché è rimasto così in basso; ma era
l’unico modo per assicurargli un posto qui. Un letto in cui
dormire e un pasto sempre caldo, capisci? I nostri genitori morirono
quando Al Mualim ci accolse che eravamo bambini, e questa divenne la
nostra casa. A quei tempi la setta non tollerava gli scansa fatiche. Ma
tornando a noi…- spostò i suoi occhi scuri
incredibilmente simili a quelli del fratello su di lei.
–è a causa della sua strizza alla vista del sangue
che è crollato come un sacco di patate- disse con un accento
ironico.
Elena
allungò le labbra in un sorriso. –Se sai che
è per i suoi timori che non vuole diventare un assassino,
perché continui ad insultarlo? Potrebbe renderlo
più vulnerabile di com’è-
sussurrò lei.
Halef
soffocò una risata. –Senti, io sono il perfido
fratellino che tanto gli sta sulle scatole. Tu sei
l’amichetta che lo consola, quindi facciamoci un favore i
rispettiamo i nostri ruoli- sbottò serio.
Dopo
qualche istante di silenzio, entrambi scoppiarono a ridere in maniera
contenuta, in modo da non svegliare gli altri fratelli della setta.
-Ora
è meglio che vada- disse lui guardando in fondo al corridoio.
-Come
mai? È mezza notte passata, e questa- Elena
indicò la porta chiusa lì accanto
–è la tua stanza- rise.
-Lo
so- rispose lui. –Ma quella- indicò il corridoio
buio –è la strada per la mensa. Ho fame- disse
allontanandosi.
-Puoi
fargli compagnia!- aggiunse voltandosi. –Ma devi sloggiare
prima che ritorno, sennò facciamo una cosa a tre, chiaro?!-
scherzava, ovviamente.
Elena
trattene la risata, e lo osservò sparire dietro
l’angolo.
Quando
il suono dei passi di Halef si perse sulle scale, la ragazza si
voltò a aprì lentamente la porta che non emise
alcun suono.
Lanciò
un’occhiata all’interno e fu contenta di trovare
Marhim sveglio e seduto sul bordo del letto esaminando la fasciatura
fatta da Adha. La benda bianca andava dalla spalla e passava sotto
l’ascella per poi tornare a stringere sul pettorale destro.
Elena
bussò dopo essersi affacciata appena, e Marhim
alzò gli occhi colto di sorpresa.
-Che
ci fai qui?- domandò agitato.
Elena
sorrise e fece un passo nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
–Mi dispiace, non so come farmi perdonare- si
avvicinò a lui e gli rimase in piedi di fronte.
C’era
una candela accesa sul comodino e alcuni tappeti sul pavimento. Gli
alloggi di un assassino erano alquanto sobri e semplici. Un armadio, un
piccolo scrittoio e una cassapanca aperta che mostrava tutta
l’attrezzatura di Halef che aveva lasciato nella stanza il
suo equipaggiamento, avventurandosi alla ricerca di cibo verso la mensa.
Dalla
finestra aperta entrava un tenue venticello fresco che smuoveva le
tende lasciate sciolte, mentre la luce delle stelle si fletteva nella
stanza passando attraverso gli spessi tessuti.
Marhim
abbassò il capo, sistemandosi meglio.
–Fa’ niente, capita…-
borbottò.
Elena
gli si sedette accanto, e il letto neppure si mosse sotto il suo peso
leggero. –Hai davvero paura… del sangue?-
domandò stupita.
-Non
è una bella cosa, puoi starne certa, e non ne vado certo
fiero. Te l’ha detto Halef?- sbottò nevoso, ed
Elena colse la rigidità di Marhim rivolta alla sua presenza.
Forse lo metteva in imbarazzo, dopotutto era a torso nudo, ma la
ragazza si disse che non poteva essere per quello che Marhim sembrava
tanto striminzito.
-Non
lo nego- commentò lei. –Credimi, se ci fosse un
modo per dirti quanto mi dispiace non esiterei- sussurrò
abbassandosi il cappuccio, e i capelli corti le caddero sulle spalle e
davanti al viso.
Marhim
si scostò verso la parete. –Un modo, eh?- sorrise
beffardo.
Elena
abbassò lo sguardo. –Non sto dicendo che sarei
riuscita ad evitare che sarebbe successo, ma perché non me
l’hai detto? Del sangue, intendo…-.
Marhim
si tastò distrattamente il bendaggio e un brivido gli
percorse la schiena. –Sai, certe fobie non sono
l’argomento di chiacchiere tra amici- proferì
assorto.
-Hai
ragione- rise lei. –Forse avrei dovuto porti io la domanda-.
Marhim
curvò la testa da un lato. –Quale domanda?-.
-Oltre
a questa, hai altre fobie?- fece la vaga.
-No-
rispose sereno.
Il
silenzio calò nella stanza e vi rimase per qualche istante,
fin quando Marhim non si voltò e afferrò il
cuscino.
Elena
lo guardò interrogativa, ma il ragazzo diede pane ai suoi
dubbi quando le sbatté il cuscino in faccia.
-Ehi!-
strillò lei acuta.
Marhim
rimise il piumino al suo posto ridendo. –Te la sei cercata, e
nei prossimo giorni troverò un modo migliore per fartela
pagare!- ridacchiò maligno.
Elena
si alzò e si protese sul letto dal lato opposto della
camera, strinse tra le dita il cuscino bianco e lo scagliò
con forza addosso al ragazzo.
Marhim
si parò il volto con le braccia, ma gli scappò un
gemito per la ferita ancora aperta. Nonostante il dolore,
scattò in piedi e scagliò il dardo addosso alla
sua avversaria.
Elena
afferrò al volo il cuscino e lo direzionò di
nuovo verso di lui, ridendo.
-Com’è
che con la lotta dei cuscini te la cavi bene?- sogghignò lei
chinandosi a raccogliere un cuscino da terra.
-Mio
fratello è piuttosto bravo a questo gioco, si chiama
sopravvivenza e lotta alla difesa del terriorio!-.
Marhim
le scagliò un nuovo attacco, ma Elena schivò con
facilità con un saltello laterale.
–Arrenditi!-
gioì la ragazza, trovandosi armata di entrambi i cuscini
disponibili.
L’assassino
alzò le mani in segno di resa. –Va bene, mi
arrendo- riprese fiato lasciandosi cadere sul letto.
Elena
rise malvagia. –Nessuna pietà, muhahaha!- e
lanciò uno alla volta i piumini addosso al ragazzo.
Marhim
si raggomitolò alla parete, sopraffatto. –Mi
arrendo! Piantala!- omise.
Elena
aveva le guance rosee dalle risate quando si sedette al suo fianco, e
Marhim si scoprì dai cuscini che l’avevano per
intero nascosto nell’angolo della stanza.
-E
tu? Te la cavi bene- commentò sbattendo tra di loro i due
cuscini, ed in fine ne scagliò uno al suo posto nel letto
accanto.
Elena
poggiò il mento sulla sua spalla. –Mi adatto a
qualsiasi tipo di arma…- gli mormorò sul collo, e
Marhim parve irrigidirsi ancora.
-Guarda
che hai fatto- bisbigliò il ragazzo, ed Elena
sollevò il viso.
La
fasciatura sul suo petto stava cedendo, il nodo si era sciolto, e
l’assassina lanciò un’imprecazione.
Marhim nel frattempo respirava con affanno per via del sangue che stava
arrossando la garza.
-Lascia,
faccio io- gli disse poggiando una mano sul suo petto.
–Rilassati, e non mi svenire di nuovo- si beffò, e
Marhim si voltò dandole le spalle.
Elena
prese a stringere la fasciatura attenta a non far crollare il bendaggio
per intero a causa della sua sbadataggine in medicina. Per poco non
lasciava morire di emorragia Hani ad Acri, quella famosa volta che le
era toccato “cucire” pelle umana. Solo pensarci le
annebbiò la mente, e si rese conto di aver stretto troppo il
nodo.
-Elena!-
sibilò lui, mentre un’espressione contorta dal
dolore faceva capolino sul suo volto.
-Scusa!-
si sveltì coi gesti nel tentativo di allentare la benda.
–Va’ meglio?- domandò.
-Certo
che no- eruppe l’assassino guardandola. –Mi fa
male, e non sopporto neppure l’odore di una goccia di sangue!
Certo che non sto alla grande, ma se cominciassi a lamentarmi non
saresti capace di fermarmi!- si lamentò serio.
-Ora
non esagerare- lo rimproverò, ma Marhim non
l’ascoltava.
-Perché
deve capitare sempre tutto a me?- si girò verso di lei,
rincuorandola con i suoi occhioni di nocciola che sembravano quelli di
uno scoiattolo che chiede la sua ghianda.
Elena
chinò la testa. -Lo ammetto, è stata tutta colpa
mia e me ne assumo le responsabilità: ero con la mente
tutt’altra parte, durante il nostro addestramento, ma la
verità è che era così facile
combattere con te! Per di più ho tentato di farti fare bella
figura, ma è come dici tu: o qui c’è
una forza Celeste che ti manda addosso tutte le sfighe di questo mondo,
oppure fai proprio schifo in duello! È vero, ti ho colpito,
ma ti ripeto: ero distratta. Ovviamente se tu ne avessi avute la
capacità, avresti potuto fare la tua parte, parando quel
colpo! Sei un perdente!- gli rinfacciò.
Marhim
distolse lo sguardo, puntandolo fuori dalla finestra. Il viso sereno
improvvisamente composto. –Già, un perdente-
digrignò.
-Ti
prego, non fraintendere, io…-.
Marhim
le lanciò solo un’occhiataccia severa
interrompendola.
-Non
volevo dire questo. Intendo che potresti migliorare! Se è
nel tuo interesse…- sussurrò lei stringendosi
nelle spalle.
-No,
non è nel mio interesse- dichiarò scontroso.
–e non lo sarà mai. Halef vede il lato positivo
della setta, io no. È inutile che tentate di convincermi.
Fin quando nessuno ne avrà voglia, ci penserò io
a fare il turno di pattuglia di notte. Solo perché so
impugnare una spada, non vuol dire che debba ucciderci sotto
richiesta!- aggiunse.
-Hai
ragione- Elena rimase in silenzio, e nessuno dei due aggiunse altro.
-Domani
alla cerimonia ci sarai?- gli chiese, e Marhim ci pensò un
istante.
-Ovvio,
perché no?-.
-Chiedevo
solo… secondo te perché tutta questa pompa
magna?- domandò ancora la ragazza.
Il
ragazzo si passò una mano sul viso. –Da quanto ho
saputo, il tutto sarà reso ufficiale dal ritorno delle
Dee… a proposito- sorrise malizioso.
-Che
succede?- fece lei confusa.
-Sei
felice?-.
-Che
tornano le Dee?-.
Lui
annuì.
-Ovvio,
perché no?- ribadì sorridente.
-Mi
stavo domandando perché farle tornare se Tharidl non ha
comunque intenzione di impiegarle negli stessi servigi quali erano
dovute anni fa- sussurrò.
-E
lo chiedi a me?- Elena si strinse nelle spalle, avvicinandosi a lui.
–Dovrei essere quella più informata, ma mi sembra
di capirci meno di tutti- chiuse gli occhi poggiando una guancia sulla
spalla del giovane al suo fianco.
-Forse
dovresti andare- le disse Marhim ad un tratto, voltandosi a guardarla.
I
loro volti erano poco distanti l’uno dall’altro, ed
Elena percepì nel dormiveglia il respiro
dell’assassino infrangersi sulla sua fronte.
–No…- sussurrò quasi dormiente.
Quella
corrente rinfrescante che passava dalla finestra, il silenzio del buio
e il tepore del corpo di Marhim affianco al suo. Non riuscì
a resistere alla forza di Morfeo, che la tirava a sé senza
alcuna pietà, attirandola al sonno più dolce e
profondo.
-Elena,
domani ti tagliano un…- s’interruppe, ma lei ormai
dormiva.
Marhim
sospirò. -Avanti, stai crollando dal sonno e non puoi
restare qui- proferì allungando una mano verso di lei, e le
carezzò una guancia.
A
quel contatto Elena si riebbe all’istante, sbattendo
più volte le palpebre e accorgendosi di avere la vista
alquanto appannata.
La
ragazza si stropicciò gli occhi, sbadigliò e gli
sorrise. –Sì, hai… ragione-.
Marhim
assunse un’espressione interrogativa. –Prima che tu
vada…-.
Elena
si alzò in piedi –Che c’è?-
domandò stiracchiandosi.
L’assassino
parve esitare e con un gesto di stizza, sembrò cambiare
pensiero. –Sai dov’è andato Halef?-
chiese.
La
Dea si passò una mano tra i capelli, andando verso
l’ingresso. –Aveva fame ed ha deciso di fare un
giretto alla mensa- rise.
-Tanto
per cambiare- borbottò lui.
-Spero
che il bendaggio regga - disse aprendo la porta.
-Nessun
problema, anche se all’idea di svegliarmi…
sangue… brrr…- il ragazzo fu percosso da un
brivido. –Lascia stare-.
Elena
alzò gli occhi al cielo. –Insomma, buona notte!-
sbuffò uscendo.
S’incamminò
nel corridoio e fu per salire le scale quando, lanciando
un’occhiata fuori dalle finestre, scorse tre figure buie nel
cortile interno.
Elena
si sporse curiosa e, dall’alto, riuscì a cogliere
qualche parola.
-Stupida
capra, avresti potuto dirglielo!- disse Leila.
-Non
me la sentivo, è passato tanto tempo…-
mormorò una delle tre donne che, dalla voce, la giovane Dea
riconobbe come Kamila.
Elika
ridacchio, e le sue risate risuonarono nella fortezza.
–Sì, di tempo ne è passato, e siete
invecchiati tutti e due!- canzonò.
-Non
è una cosa semplice!- ribatté Kamila, portandosi
i capelli su una spalla.
-Vuoi
vedere come si fa?- sogghignò Leila battendo un pugno
nell’altra mano.
Elika
soffocò una nuova risata. –Forse ha ragione, vi
serve solo altro tempo, e magari le cose si aggiusteranno. Sempre se
prima non morirete di vecchiaia!-.
Kamila
la fulminò con un’occhiataccia, ed Elika rise di
nuovo.
Le
tre Dee sedettero sulla staccionata dell’arena per gli
allenamenti.
-Dopo
tutto…- mormorò Leila. –è
stato divertente!- scoppiò a ridere.
-Ora
basta. Kamila, non devi farti sottomettere così! O a quel
tipetto presuntuoso gliela facciamo vedere io e Leila, non se
capisci…- fece maliziosa Elika.
Leila
gli diede una gomitata. –Dai, ma piantala- sorrise.
-Fate
pure, con lui ho chiuso!- Kamila alzò le braccia al cielo.
I
capelli biondi di Kamila flettevano i raggi del sole attribuendoli un
colorito dorato incantevole, e la Dea prese a tirarseli su in una coda
alta ordinata, con qualche ciuffo a caderle sul viso.
-Che
cos’hai, ancora? Non ti starai pentendo di come ti sei
comportata!- sibilò Leila.
-No,
ma di come vi siete comportate voi!- rispose Kamila seria.
-Che
abbiamo fatto?!- domandò Elika stupita.
Kamila
si alzò. –Siete insopportabili! Ma davvero, adesso
basta, non voglio pensarci!-.
Elika
e Leila si scambiarono uno sguardo complice.
-Va
bene- fece quella coi pantaloni. –Sto crollando dal sonno- si
sollevò in piedi stiracchiandosi.
-Credete
che Elena si spaventerà vedendoci comparire dal nulla nelle
stanze?- assentì Elika.
-Secondo
me Tharidl gliel’ha già detto-
pronunciò Kamila.
-Poverina,
domani l’attendono delle belle sorprese…-
mormorò la riccia castana.
-Saprà
cavarsela- commentò Leila. –Fin ora ha resistito,
chi ti dice che potrebbe non accettare le cose?-.
-Noi
non abbiamo passato questo fardello, ricordate?- ribadì
Kamila. –Non potremo aiutarla-.
Elena
si appoggiò alla parete. Di cosa stavano parlando?
-Ed
è questo che non capisco!- sbottò Elika
alzandosi. –Secondo voi Tharidl lo farà anche a
noi?-.
Leila
scosse la testa. –Spero di no- ridacchiò.
–Per il suo bene- aggiunse divertita.
-Sempre
la solita!- gioì Elika abbracciandola.
-Per
ora, sorelle, atteniamoci agli incarichi che ci ha affidato-
pronunciò Kamila severa. –Ha chiesto questo per
Elena, e noi lo dobbiamo ad Alice e alle nostri madri che ci hanno
tramandato il suo nome-.
Le
altre due annuirono serie, ma Elika scoppiò a ridere dopo
poco.
-Come
mai tanta sofferenza? Ehi! Ragazze! Potrebbe essere divertente!-
ridacchiò.
Leila
la prese sotto braccio. –Elika, trattieniti! Tharidl sta
dormendo!-.
-E
sai che novità!-.
Kamila
sbuffò. –Qualcuno di voi ha… capito
“cosa” dobbiamo insegnarle?- domandò
mesta.
Le
due alzarono le spalle. –Dipende, dato che non svolgeremo
più quelli incarichi- fece Elika.
-Mi
sono offerta al vecchio per insegnarle a combattere come si deve,
giusto questa mattina. Non ho idea di cosa gli sia passato per la
mente, ma ha detto che se volevo potevo occuparmene io!- sulle labbra
affiorò un sorisetto divertito.
-E
noi?- domandarono assieme.
-Potete
fare quello che vi riesce meglio- proferì Leila.
-Cioè?-
Kamila strinse un pugno, ed Elika rise ancoro.
Leila
si passò una mano tra i capelli -Niente, niente! Come non
detto!-.
-Ah,
ecco- borbottò Kamila.
-Dovremo
andare- annunciò Elika guardando in alto, verso una delle
finestre degli appartamenti delle Dee.
Le
tre si avviarono e sparirono all’interno della fortezza.
Elena
corse al piano di sopra, si spogliò in fretta e, quando
ascoltò i passi leggeri di Elika, Leila e Kamila fuori dalla
porta della sua stanza, crollò in sonno.
Sulla
fortezza si stagliava un cielo azzurro a chiazze bianche. Nuvole grosse
e color panna solcavano il firmamento limpido e magnifico. Seppur il
vento d’inverno scuotesse gli ulivi e trasportasse le
foglioline secche da parte a parte delle strade, c’era sempre
un gran caldo, poiché celato appena dietro una gonfia nube
vi era il gran sole luminoso che irradiava la valle.
-Elena…-
si sentì chiamare, ma la ragazza si girò dalla
parte opposta del letto.
-Hmm…-
lagnò.
-Elena,
svegliati!- qualcuno la scosse toccandole una spalla.
L’assassina
aprì gli occhi lentamente, trovandosi faccia a faccia col
muro. Si voltò sollevandosi su un braccio, e Marhim
indietreggiò colto di sorpresa.
-Finalmente!-
ruggì il ragazzo.
Elena
adocchiò fuori dalla finestra, accorgendosi che dovevano
essere più o meno le undici passate, dato il sole
già alto in cielo. –Che ci fai qui?-
domandò assonnata.
-Devi
muoverti, stanno aspettando te! La cerimonia è cominciata!-
Marhim la tirò per un braccio fuori dal letto.
–Forza!-.
-E
come mai nessuno mi ha svegliata?!- sbottò Elena andando
verso l’armadio, ma si accorse di avere già i
vestiti e le armi pronti sulla scrivania.
-Tu
pensa a prepararti!- Marhim uscì dalla stanza.
–Muoviti!- ripeté chiudendo la porta.
Elena
rimase immobile con i piedi scalzi a terra per parecchio tempo. Forse
Adha era stata trattenuta da altro, e forse nessuno si era ricordato di
lei, ma vestendosi ascoltò il vociare confuso levarsi dalla
sala delle celebrazioni giungere fin lì, mentre colombi
bianchi si spostavano da tetto a tetto della fortezza.
Allacciò
al loro posto tutte le armi e si osservò allo specchio
commossa.
La
veste corta le arrivava poco sopra le ginocchia, e i diversi strappi
lasciavano travedere lembi di pelle chiara delle cosce. Sotto la gonna
portava un pantaloncino attillato e delle calze che arrivavano a
più della metà della gamba. Si rese conto che
qualcuno le aveva cambiato ancora una volta la veste, che si presentava
con questi e molti altri particolari differenti da quella originale.
Le
maniche erano corte, il cappuccio non più grigio, ma bianco
e curato di dettagli, e la cintura di cuoio cui pendeva il fodero della
spada (anch’essa diversa e più sottile) era
diversa, più fine e stringeva oltremodo sui fianchi. Diversi
erano anche gli stivali e i guanti, che si adattavano al meglio alle
sue ossa sottili e le lasciavano maggior scioltezza dei legamenti.
L’unica
pecca era la completa assenza del triangolo di metallo sul petto. Le
cinghie erano attaccate le une alle altre attraverso una fine catenella
d’argento, al posto della quale sarebbe dovuto esserci la
spilla triangolare.
Come
risultato, nonostante ciò, era una divisa che lasciava
traspirare il corpo, conferendo libertà di movimento. Le
sarte della confraternita avevano fatto un buon lavoro, e ad Elena
piaceva.
Marhim
bussò alla porta, e la ragazza si riscosse.
-Hai
fatto? Non hai tutto il giorno! Hai capito o no che ti stanno
aspettando?!- sbottò il giovane da fuori.
Elena
apportò gli ultimi controlli alle cinghie dei guanti e degli
stivali, poi uscì.
-Era
ora!- le disse Marhim stringendole il polso e tirandola verso le scale.
-Sembri
mio padre- ridacchiò Elena.
-Non
fare la spiritosa, Adha confidava nel fatto che ti saresti svegliata da
sola! Da non credere!- la rimproverò mentre scendevano quasi
di corsa. –Sei una sciocca, possibile che nel mondo dei sogni
non ti fosse apparsa l’ipotesi che questa mattina dovessi
prendere parte ad una cerimonia?! Ovvio che no! Perché la
tua mente era “altrove”!-.
-Elika!
Perché lei non mi ha svegliata?-.
-Perché
avrebbe dovuto? Lei non ha dormito alla fortezza!- le rispose.
Buffo,
pensò accelerando il passo.
Raggiunsero
le gradinate della torre, e la Dea si stupì dei corridoi
vuoti e silenziosi della fortezza, allo stesso modo della confusione
che si faceva più forte man a mano che si avvicinavano alla
sala.
Una
volta nel vasto androne sul quale affacciavano i battenti chiusi della
sala delle cerimonie, Marhim proseguì oltre.
-Dove
stiamo andando? La sala è di lì…-
mormorò lei.
Il
ragazzo la condusse in uno stretto corridoio che s’intricava
in diversi gradini. Giunsero più in basso, dove il buio
diventava fitto e la pietra delle pareti era illuminata solo da qualche
braciere sospeso dal soffitto.
L’assassino
si fermò in una piccola saletta appartata. C’era
una tenda e alcuni tavoli con sopra poggiate le armi. In fondo alla
stanza, vi era una grata sollevata che affacciava sul palco del salone,
all’interno del quale vi era una folla di assassini, guardie
e saggi impressionante.
Sul
palco presiedava Tharidl Lhad che parlava al popolo della fortezza in
modo composto e fiero.
-…Un
giorno che condividiamo affinché la nostra diventi
un’unica grande mente a riguardo. Non sono qui per nuocere
ancora, ma bensì per aiutarci, poiché ricordiamo
che una di loro…-.
Marhim
le lasciò il polso ad un tratto.
-Tutto
bene? Sembri pallida…- commentò il ragazzo.
-No,
sto bene. Un po’ di panico da palcoscenico, ma mi
passerà- lo rassicurò.
-Bene,
ma non mi svenire, chiaro?- ridacchiò lui.
Elena
strinse di nuovo le sue dita attorno alla mano del ragazzo, che
alzò gli occhi su di lei.
-Perché
tutta questa farsa? Non poteva risparmiarsi il gran festone? Non ce la
faccio… non voglio farlo. Chiamala pigrizia, ma preferisco
prendermi il grado superiore in un altro momento- mormorò.
Marhim
strinse la presa e la tirò dolcemente a sé.
I
due si abbracciarono.
-Capisco
come ti senti, sai-.
-Davvero?-
sussurrò lei sul suo collo.
-Ovviamente,
perché una cerimonia simile la fecero scontare anche a me
quando ero piccolo. Me lo ricordo perché non fu una bella
esperienza, ma passò in fretta- rise.
Elena
si strinse a lui con più forza. –Ti prego, se
adesso scappo dirai che non mi hai vista?- sibilò.
Marhim
la scansò stringendola per i fianchi. –Che cosa?!-
domandò sbigottito.
La
Dea sorrise maliziosa.
-Non
puoi scappare così!- balbettò lui. –Hai
idea di come Adha si arrabbierà con me di questo,
e…-.
Elena
gli poggiò una mano sulla bocca, bloccandogli le parole.
–Fa’ piano; guarda che ho le armi per ricattarti-
disse ancora lei.
-Ma
sei tutta matta?! E di quali armi parli?- fece confuso.
-Dirò
a tutti della tua fobia!- dichiarò.
-Elena,
mi stai prendendo in giro?- alzò un sopracciglio.
La
ragazza scoppiò a ridere. –Sì, scusa!-.
-Ah,
ecco…- Marhim si stanziò di un passo.
-Anche
se mi piacerebbe- aggiunse lei.
-Scappare?-.
Elena
annuì. –Non ho mai sopportato la massa, persino
fare la spesa al mercato mi faceva venire i crampi allo stomaco-
abbassò lo sguardo, ricordando brutti incidenti.
Marhim
le alzò il viso prendendole il mento. –Ora
esageri; sei sopravvissuta due mesi qui dentro facendoti largo tra le
occhiatacce e gli insulti altrui! Insomma, è Elena quella
che ho davanti?- sbottò.
-Ah!-
ridacchiò lei. –Perché, secondo te mi
aspettavo che un assassino avesse paura del sangue?-.
-Non
cambiare argomento- digrignò il giovane.
-Hai
ragione, sono solo una stupida; potevo starmene bella e buona
tutt’altra parte…- brontolò.
Marhim
l’abbracciò di nuovo, all’improvviso.
-Non
ti sopporto quando fai così- le disse. -Ma fattelo dire,
questa divisa ti dona. Sei bellissima- le sussurrò
all’orecchio.
Qualcuno
fischiò.
-Abbiamo
interrotto qualcosa?- proferì una voce femminile.
Elena
si staccò dal ragazzo e Marhim fece un passo indietro.
Leila
teneva le braccia conserte e li fissava con il peso su una gamba sola
da sotto il cappuccio, che celava il suo bel viso malizioso.
Al
fianco della Dea c’era Elika. Aveva i capelli castano scuro e
ricci raccolti in una treccia, il cappuccio abbassato sulle spalle e un
sorisetto estasiato in volto.
Kamila
era in disparte, avvolta dal buio del corridoio parlando con qualcuno
ancor più nascosto tra le ombre.
Le
tre Dee indossava una linda e bianchissima tunica identica alla sua, ed
Elena sgranò gli occhi. I loro corpi nascosti dalle vesti
corte mostravano tutta la loro grazia in un solo sguardo, la loro
bellezza accattivante e i loro movimenti impercettibili, nonostante
restassero immobili come statue.
Quello
che colpì la giovane assassina, fu constatare che alle tre
mancava il triangolo di metallo al petto. Le cinghie di cuoio
c’erano, ma il triangolo no…
-Scusa
tanto, giovanotto, ma questa è una festa privata-
sibilò Leila avvicinandosi a lui, e Marhim
indietreggiò oltremodo, finendo con la schiena al muro.
Elika
allungò le labbra carnose in un sorriso.
-Come
va?- le domandò, ed Elena si riscosse
dall’osservare le tre ragazze con incredibile stupore.
-Bene,
grazie- mormorò.
-È
tanto tempo che non ci si vede- commentò Elika.
-Già…-
Elena tornò con un balzo affianco del ragazzo, e Leila
alzò un sopracciglio.
-Non
può stare qui- assentì. –Deve andarsene
prima che qualcuno lo veda- Leila indicò con un cenno del
capo Tharidl imponente sul palco di pietra.
-Concordo-
balbettò Marhim strisciando sul muro. –Ora
è meglio che vada-.
Elena
lo guardò allontanarsi nel corridoio, mentre Kamila avanzava
dal buio.
-Mi
sono persa qualcosa?- chiese la bionda, che aveva alcuni ciuffi dei
capelli dorati fuori dal cappuccio.
Elika
le pizzicò una guancia, ed Elena sobbalzò.
–No, qui procede bene!- disse la Dea.
Kamila
la squadrò dai piedi alle punte dei capelli.
–Però, ti sta proprio bene- e fece il primo vero
sorriso della giornata.
Elena
arrossì.
Sul
palco accanto al vecchio Gran Maestro c’era un gruppo di
assassini, tra i quali Elena riconobbe Halef, col volto teso in un
sorriso gioioso.
-Ottimo-
Leila batté le mani. –Siamo pronte?- chiese.
Elika
la prese sotto braccio, ed Elena non si ribellò.
-A
questa picciotta ci penso io, voi andate avanti- rise.
Leila
e Kamila si scambiarono un’occhiata complice, poi si
avviarono verso il palco dal quale Tharidl parlava alla folla riunita
nella sala.
Applausi
contenuti, confusi tra il parlottare della gente mentre Tharidl le
abbracciava una alla volta.
Kamila
e Leila si fermarono di fianco al vecchio, una alla sue sinistra e una
a destra, e Tharidl riprese il suo discorso.
-Guardati,
tremi tutta, piccola mia- Elika la strinse con più vigore,
ma Elena tentava di concentrarsi sulle parole del Gran Maestro.
-Sto
bene!- digrignò infastidita.
-Fammi
un sorriso, avanti- Elika la fece voltare, stringendole le spalle.
Elena
si costrinse in un sorriso falso e tirato con gli spilli, e la Dea se
n’accorse.
-C’è
qualcosa che non va?-.
-Non
sono la tua bambola, Elika! Tu e le tue amiche mi trattate come se
fossi la bambina del gruppo!- si sfogò tutt’un
tratto.
Elika
sbatté le palpebre sorpresa. –Infondo è
così, non credi?-.
Elena
si allontanò da lei. –Ora lasciami stare, per
favore…- sibilò guardando fuori dallo stanzino,
alla luce delle vetrate che illuminavano la sala delle cerimonie.
Non
si sarebbe lasciata trattare in quel modo, ne aveva fin sopra i capelli.
-Stai
pronta, che Tharidl li sta scaldano per bene…-
proferì Elika in un sussurro.
La
giovane assassina non diede peso alle sue parole, si strinse contro la
parete e vi si appoggiò sospirando. Chissà che
cosa stavano aspettando, si chiese. Perché tutta quella
farsa? Si chiese, tormentandosi la pellicina del pollice.
Avrebbe
voluto evitare tutto quello, l’aveva detto a Marhim e ne era
convinta. Scappare? Si poteva fare, ma Elika l’avrebbe
fermata. Guardò verso l’assassina davanti a lei e
la fissò con rabbia nei suoi confronti, perché
non le piaceva come veniva trattata da quella e le altre. Se certi
atteggiamenti fossero continuati, Elena non avrebbe esitato a chiedere
di essere allontanata dalle stanze di quelle tre, finendo a dormire
anche nella camera di Marhim.
Diventava
Dea, si disse prendendo fiato.
Quella
cerimonia, il triangolo mancante che qualcuno le avrebbe fissato al
petto come segno della sua appartenenza alla causa. C’era
qualcosa di dannatamente affascinante in quel rituale, che non seppe
spiegare perché le sue gambe non obbedivano
all’impulso di fuggire. Fuggire dalla folla, fuggire dagli
sguardi di assassini e fuggire dalla stessa setta dannata. Come dal
nulla, aveva cominciato a nutrire un certo odio per la versione triste
dei fatti. Suo fratello, Rhami e le diverse pieghe della sua avventura,
quali la perdita del frutto. Su di lei sentiva il peso di armi che non
aveva mai usato… ma quando sarebbe finita quella tortura?
Una responsabilità che non aveva mai chiesto, una
realtà alla quale avrebbe voluto fuggire. Ma c’era
la catena di sua madre al collo a tenerla inchiodata a quel muro, con i
piedi su quel pavimento. C’era la forza di lottare per
conoscere suo fratello, anche se avrebbe perso altre centinaia di
battaglie contro colui che solo ed unico sapeva il suo nome, ovvero il
vecchio imbacuccato che le aveva offerto la salvezza.
Salvezza?
Elena
ripensò alle parole di Rhami, che le aveva dannatamente
aperto gli occhi sulla realtà di un mondo di dannati
qual’era quello della confraternita. Elena apri gli occhi! Si
diceva. Viveva tra gente che per vivere uccideva, e anche Marhim si era
messo da parte a tutto quello. E Halef? Che tanto sorridente su quel
palco sembrava trovare la gioia nell’uccidere, che dire di
lui?! Uccidere… gente magari innocente… e chi
poteva dirlo? Con un solo comando Tharidl mandava i suoi scagnozzi a
fare il lavoro sporco, con una sola sua richiesta, egli poteva decidere
del destino altrui. Le sue pedine dai cappucci bianchi…
Ed
Elena sarebbe diventata una di loro. Fedele al Maestro e al Credo.
Fedele ad un giuramento di sangue, fedele alle piume e fedele ad un
mondo che sentiva appartenerle, ma che avrebbe rifiutato se ne avesse
trovata la forza.
Improvvisamente,
Elika la spinse avanti ed Elena si accorse che Tharidl guardava verso
di loro.
Elena
salì tentoni le scalette e fu sul palco tutta traballante,
ma Elika la strinse per il polso e la tirò al fianco del
vecchio.
La
folla non aveva occhi se non per le tre Dee, ed Elena scrutò
uno ad uno i volti dei saggi e degli assassini riuniti lì.
Le
tende delle vetrate erano ripiegate con cura e le finestre aperte,
lasciando traspirare il salone di un venticello accogliente della prima
mattina. I portoni che davano sulle altre sale attaccate a quella
centrale erano spalancati, e la gente veniva ad aggiungersi
incessantemente.
Quanta
gente… si disse Elena, e non poté credere di aver
incontrato tutti quelli assassini, o meglio… che la fortezza
potesse contenerli tutti quanti.
Con
la coda dell’occhio scorse Marhim che si faceva largo tra la
calca avvicinandosi lentamente al palco. Le lanciò un
sorriso, ed Elena si sentì subito meglio.
Poi
si accorse di Adha e il suo maestro d’armi, e passando oltre
scorse appena i capelli scompigliati di Rhami.
Le
sue gambe tornarono composte, mentre Elika la stringeva più
nel gruppo di Dee.
-Elena-
Tharidl la chiamò, e la ragazza si volse verso di lui.
Il
vecchio le fece cenno di avvicinarsi, ed Elena obbedì.
Che
cosa poteva fare se non restare a guardare e cercare di non esplodere
dall’imbarazzo?
Tharidl
prese dall’altare il triangolo di metallo che mancava al suo
petto e lo allacciò alla catenella delle cinghie di lei.
Elena,
quando lui ebbe finito, vi passò due dita accorgendosi che
anche quest’ultimo piccolo oggetto era stato sostituito.
Pregiato di dettagli intarsiati d’argento, era una spilla che
poteva valere quanto la spada di Riccardo Cuor di Leone.
-Ben
venuta, e questa volta ufficialmente- il vecchio
l’abbracciò, ma Elena si distanziò alla
svelta.
Tharidl
legò uno stesso identico triangolo alle cinghie di Elika, la
quale teneva la giovane Elena ancora stretta a sé.
Ma
si crede mia madre?! Elena strinse i denti, tentando di divincolarsi,
ma Leila e Kamila le cinsero le spalle, trascinandola tra di loro.
Una
Dea da una parte e un’altra dall’altra.
Era
un incubo.
Dalla
folla si levò un applauso clamoroso e assordante,
accompagnato da urla e fischi provenienti dal gruppo di assassini sul
palco.
-Io…
non ce la faccio…- stava per correre via, verso
l’ingresso al palco.
Spettacolo
assurdo, imbarazzante e basta, ma Leila la tirò per il
cappuccio.
-Dove
vai, zuccherino?- le sottinse all’orecchio.
-Lasciami!-
digrignò Elena.
Leila
la strinse con più forza.
-Un
giorno- cominciò Tharidl. –un giorno
qualcuno…-.
…Il
parlare confuso di Tharidl, che volgeva alla folla un discorso pieno di
parole senza senso. La mente di Elena era un mare in tempesta, e la
nave non reggeva il vento violento.
Le
vele sbattevano, i gabbiani gemevano e lei cominciò a
gemere, tentando invano di liberarsi alla presa della donna dietro di
lei.
Leila
in fine lasciò che Elena corresse via dal palco, e la
giovane Dea si rifugiò nello stanzino.
Il
mondo divenne una chiazza confusa di colori e suoni, mentre i suoi
occhi si chiudevano lentamente.
Si
appoggiò alla parete con una mano, sentì il fiato
mancarle, e il suo cuore batteva troppo accelerato.
Le
gambe cedettero, la ragazza si accasciò al suolo e tutto
divenne buio.
-Perché
non ha dato sintomi fino ad oggi?-.
-Non
lo so…-.
-Perché
quando era prigioniera di Corrado non è successo?!-.
-Altair,
non lo so…-.
-Se
sapevi che ne era rimasta qualche goccia, perché non
l’hai detto a nessuno?!-.
-Perché
io non lo sapevo…-.
-Non
ci credo. Mi hai detto che era un tipo di veleno che non mostrava
questo genere di dolori!-.
-Non
lo so! Non lo so!- ruggì ad un tratto la donna, e Altair
tacque.
-Dimmi
tra quanto starà bene- proferì
l’assassino.
-Qualche
giorno, ma non ho idea di come…-.
-Come
farai a guarirla?-.
-Era
quello che stavo per dire!- Adha si passò una mano in volto.
–Non lo so, non lo so…-.
-Allora?-.
-Smettila,
mi metti solo ansia e non mi sei d’aiuto-.
-Perché
sei certa che tra pochi giorni starà bene? Potrebbe morire,
lo sai?-.
Adha
rimase in silenzio, ma la sua collera venne fuori lo stesso poco dopo.
–Se sei così in pena per lei, perché
non te ne vai e ti fai vedere qui tra una settimana con Minha! Cerca
quella puttana e solo quando l’avrai trovata sarai di nuovo
degno di giudicare qualcuno! Sono sicura che il Maestro l’ha
scelta perché si fidava degli addestramenti cui
l’avevi sottoposta, quindi non biasimare nessun altro se non
te stesso!- gridò. –Vuoi dimostrarmi che vali
qualcosa? Portami Minha, e farai un favore ad entrambi…-.
-Credi
che dipenda da me?!- sbottò.
-Ovvio!-.
-Invece
no! È Tharidl che non vuole che mi metta sulle tracce di
Corrado…-.
-Non
cambiare argomento! Non mi riferisco a Corrado, ma a Minha! Non dirmi
che egli ti vieta anche di darle la caccia?!-.
-Non
lo so!-.
-Ah
ah! Visto? Bello, vero? Sentirsi gridare contro qualcosa ed essere
costretti a ripeter: non lo so!-.
L’assassino
fece un passo indietro, urtando qualcosa che andò a cadere a
terra rompendosi in centinaia di frammenti di vetro.
-Cosa…-
sussurrò Adha senza parole.
-Non
lo so…- ribadì Altair.
Adha
si alzò, avvicinando il suo volto a quello di lui.
–Si può sapere che t’è
preso?-.
-Parli
con me?- ridacchiò lui.
Adha
lo spinse, e il ragazzo indietreggiò mantenendo
l’equilibrio.
-Stai
cercando di farmi arrabbiare?- lei serrò i pugni.
-No,
ovvio che no, ma la tua paziente si è svegliata…-
mormorò lui improvvisamente più cauto.
Adha
si voltò, incontrando gli occhi socchiusi di Elena, ma
quando tornò dalla parte del suo amato, si accorse che
questo era sparito.
-Adha…-
Elena si sollevò poggiando la schiena alla parete.
Erano
nell’infermeria vuota e buia per via della notte calata
improvvisamente sulla fortezza.
-Stai
giù, torno subito…- Adha si allontanò
sparendo fuori dalla sala, e i suoi passi si persero sulle scale.
La
giovane Dea si guardò attorno confusa.
La
testa le pulsava e un dolore lancinante l’aveva attanagliata
alla spalla destra. Nonostante ciò, realizzò
qualcosa di quello di cui Altair ed Adha avevano appena discusso, con
tanto di fuga silenziosa di lui e irascibilità dovuta alla
gravidanza di lei.
Veleno.
Di
nuovo?!
Non
poteva crederci. Le sembrava assurdo che trascorse delle settimane lo
stesso senso di annebbiamento l’avesse colpita…
aspettate un attimo!
L’ago
che l’aveva trafitta durante lo scontro con Corrado provocava
l’innalzamento dei sensi percettivi, con prevalenza al
dolore. Eppure… durante la cerimonia, le forze le erano
mancate per via di un improvviso giramento di testa. Il cuore aveva
rallentato i battiti e il fiato le era mancato. Sintomi totalmente
differenti da quelli della volta che…
Il
vento fece sbattere le tende, e il suono dell’aria
celò quello di un passo silente sul legno del pavimento.
Elena
scattò in piedi e si allontanò dal letto, andando
verso le finestre. Gli occhi spalancati, le pupille dilatate e i sensi
svegli.
Scrutò
il buio allungo, fin quando non ebbe conferma della presenza che vi era
celata tra le ombre.
Minha
avanzò quatta verso di lei, nella mano stringeva una spada
corta e su di lei pesavano delle vesti scure, nere.
-Minha!-
Elena ingoiò il suo nome nello stomaco.
I
capelli della donna erano celati da un cappuccio calato interamente sul
volto, che ad Elena fu facile riconoscere quando questa se
l’abbassò.
-Furba,
la ragazza…- rise la donna.
Elena
non ebbe tempo di fare nulla che l’ex Dea le fu addosso,
saltando sul letto e scagliandosi contro di lei.
Elena
le bloccò in tempo il polso, ma la lama era a pochi
centimetri dal suo collo.
-Dannata!
Avresti dovuto tenere la bocca chiusa, e forse non sarei qui!-
sibilò come una serpe.
Elena
indietreggiò, perché la sua avversaria mostrava
una forza smisurata in ogni parte del corpo.
Debole
com’era e disarmata com’era, l’unica via
sarebbe stata fuggire, si disse.
-Perché?!
Perché l’hai fatto?- ruggì la giovane
Dea.
-Zitta
e muori!- Minha spinse con più violenza, ed Elena cedette.
Solo
per mera fortuna la lama non le tranciò la gola,
perché la ragazza riuscì a schivare rotolando a
terra, ma trovandosi con le spalle ad una colonna.
Minha
le fu di nuovo addosso, ed Elena si sollevò giusto in tempo
per scartare di lato.
In
un istante troppo svelto, Elena riuscì a sottrarle di mano
l’arma, che scivolò sul pavimento finendo sotto ad
un mobile.
-Ah!-
rise Elena.
-Aspetta
a cantare vittoria!- la donna alzò una gamba e, con sua
grande sorpresa, Elena ricevette un calcio ben assestato al costato. A
quel colpo se ne susseguirono altri.
Minha
aveva quella flessibilità che Elena avrebbe dovuto imparare
da Leila.
Come
fosse un’artista antica dell’estremo oriente, Minha
menò pugni e calci senza darle tregua, ed Elena fu preda di
una lenta agonia. Colpo dopo colpo, si piegava dal dolore, le
scappavano gemiti assurdi e strilli.
Minha
l’afferrò per i capelli e la scaraventò
addosso alla colonna senza fatica.
Tentò
di evitare il calcio, ma con la coda dell’occhio
individuò troppo tardi il pugno che veniva verso di lei.
Minha
la colpì alla mandibola ed Elena voltò la testa
di lato.
Dolore,
ma fosse stato anche uno forse le sarebbe stato più facile
reagire, ma non trovò quel vigore necessario.
Cadde
in ginocchio, una mano sulla bocca, all’angolo della quale le
cadeva un fiotto si sangue bollente.
Le
aveva sicuramente spaccato il labbro e qualche dente, e Minha
ridacchiò beatamente guardandola dall’alto.
-Non…
non la passerai liscia…-.
-Corrado
mi manda a finire il lavoro, sai? Risparmiarti la vita credendo di
poterti usare come ha usato me è stata una grande
stupidaggine, ed ora se ne pente. Mi manda come prima cosa ad
ammazzarti, piccola, e poi a portargli il Frutto dell’Eden,
che sono dove è custodito- gioì la donna.
Minha
si chinò alla sua altezza. –Tu dovresti fare
altrettanto…- le disse all’orecchio.
–Non allearti con questa gente, Elena. Non sai a che cosa vai
incontro…-.
-Consegnati
a Tharidl- Elena sputò il sangue dalla bocca. –E
lo convincerò a lasciarti in vita- aggiunse, puntando i suoi
occhi azzurri in quelli verdi di Minha.
-Non
ci credo neppure se mi paghi- rispose lei.
Elena
strinse i pugni. Se non agiva alla svelta, sarebbe successo qualcosa di
spiacevole.
Minha
la spinse giù con un calcio, e la ragazza più
giovane si raggomitolò dal dolore.
La
donna recuperò la lama corta da sotto il mobile e
tornò da lei.
-Salutami
tuo padre, va bene?- rise maliziosa.
-Minha!-
gridò una voce, e la donna si voltò.
Rhami
lanciò il pugnale da lancio, che Minha deviò con
un fluido movimento del polso. La lama del pugnale a contatto con
quella della lama corta produssero delle scintille rossastre che si
sparsero sui tappeti dell’infermeria.
-Cerchi
rogna, Rhami?! Non t’immischiare!- ruggì Minha.
Il
ragazzo avanzò svelto nella stanza. –Vieni,
combatti se ne hai il coraggio!- sguainò la spada.
Elena
si tirò su a fatica e, approfittando del fatto che Minha
fosse voltata verso l’assassino, le saltò al collo.
-Ferma,
Elena, no!- gridò Rhami, ma fu troppo tardi.
Minha
si girò ad un tratto e dal suo polso sinistro estrasse la
lama corta.
I
loro corpi si sfiorarono, e Minha spinse con più violenza la
lama nella sua carne.
Il
fiato le parve cosa rara che andava pagata con soldi che non aveva. La
bocca aperta senza proferire parola, la pelle che sbiancava
d’un tratto.
Minha
ridacchiò ritraendo la lama nel polso, e quando Elena
indietreggiò, questa si portò una mano al fianco,
dove il taglio aveva inciso per quasi cinque dita.
Il
sangue venne fuori a fiotti, ed Elena si accasciò prima in
ginocchio e poi completamente distesa.
In
fine, il buio avvolse ogni centimetro della sua vista appannata, mentre
sull’ingresso dell’infermeria comparivano i volti
cari di un gruppo di assassini.
-Prendetela!-
gridò qualcuno.
Minha
si lanciò fuori dai balconi e scomparve con un salto nel
vuoto. Alle orecchie dei presenti giunse il suono delle onde del lago
appena sfiorate, e la figura della donna si perse nella corrente.
L’assassino
batté il pugno chiuso sul parapetto del balcone.
–Dannazione! Ci è sfuggita!- gridò
affacciandosi di sotto, dove lo strapiombo si gettava
nell’acqua.
-Adesso
non c’è tempo, vieni!- fece l’altro.
-Presto,
aiutatemi!- disse Rhami chinandosi sulla ragazza.
-È
ferita gravemente, perde sangue! Vai a chiamare Adha!- disse uno.
Un
assassino si alzò e corse fuori dall’infermeria.
-Elena,
Elena mi senti?- Rhami schioccò le dita davanti agli occhi
socchiusi della giovane.
-È
ancora viva, ma non possiamo indugiare!- sbottò un fratello,
e i due assassini la issarono sul letto.
Adha
giunse nella stanza di corsa, e alle sue spalle comparve Altair.
-Cos’è
successo?- domandò questo avvicinandosi al gruppo.
-Minha,
era qui maestro- dichiarò Rhami.
-Fatevi
da parte, portatemi degli asciugamani e delle bende! Forza!- Adha prese
a dettare ordini.
Altair
fece per lasciare la stanza, ma Rhami l’afferrò
per la veste.
-No,
maestro- disse serio. –Minha è andata, gettandosi
dal balcone ci è sfuggita-.
Altair
si divincolò con uno strattone. –Credi che ne sia
contento?!- digrignò.
-Ovvio
che no- mormorò Rhami, voltandosi a guardare come Adha
tentava di bloccare l’emorragia.
La
donna pulì la ferita, la fasciò più
volte ma questa tornava sempre a perdere sangue, goccia dopo goccia
Elena perdeva le forze e il suo cuore era debole.
Solo
un miracolo avrebbe fermato quell’agonia, e solo la morte
avrebbe cessato quel dolore.
_______________________________________________
*******
ORRORE!
Dio, non so come scusarmi ma, per chi ha già letto questo
chappo prima, credo che gli dispiacerà sapere che ho dovuto
rimuovere l’ultima parte per inglobarla nel capitolo
successivo. Mi spiace un sacco, ma mi sono dimenticata di aggiungere
una piccola parte divertente che avevo già abbozzato su
carta ma, come al solito, ho scordato di scrivere… insomma,
sono una totale deficiente!!! Scusate, ancora!!! L’ultima
parte di cui vi parlo la ripeterò nel proximo capitolo per
non perdere il filo, ma siccome questa scena che avevo in mente e ho
dimenticato ho intenzione di farla trascorrere durante quel periodo di
attesa che scrissi come “… un mese
dopo…” ehehe… allora spero di non aver
fatto una figura di totale deficiente (cosa che è
così) e vi do appuntamento alla
“scenetta” del prossimo capitolo… XD me
molto bastarda!!!
*******
Scusate
se corro con i ringraziamenti, ma ho staccato solo alla 17°
pagina. Ditemi voi… c’è, io mi sento
svenire.
I
migliori utenti di questo sito:
Saphira87
goku94
Lilyna_93
Carty_Sbaut
Non
ho molto da dire, quindi apro una piccola parentesi generale su questo
capitolo che vale per ciascuno dei miei lettori.
Le
vostre recensioni sono fantastiche, anche troppo, quindi mi stavo
chiedendo se… magari, poteste farmi sapere anche quello che
“non” va nella mia ff. Intendo, non errori di
grammatica o parole scritte come altre, questa roba ci sta
sempre… mi riferisco alla trama, ai personaggi, al metodo di
scrittura. Vorrei che mi deste un commento più sintattico,
se è possibile, riguardante come sto andando avanti con la
storia, che secondo me sta uscendo una vera schifezza. Insomma,
parliamoci chiaro: inventando tutto sul momento, non ci penso due volte
prima di scrivere. Ma avendo taggato la storia come
“azione” e “avventura”, e
avendo precedentemente aggiunto al posto di generale anche
“mistero”… non so, forse
dovrei… accorciare? Ho tante di quelle idee, che credo di
doverle posare su un blocchetto notes e proseguire
quest’estate, perché gli esami si avvicinano e sto
un po’ trascurando della roba come storia e
geografia… al rogo! Vabbé…
Eccovi
una stupenda immagine. Da qui ho preso spunto per la nuova tunica di
Elena, e anche quella che indossano le Dee alla cerimonia. Ed
è la stessa che la nostra giovane assassina si
porterà dietro fino alla tomba! XD ok, qui R.E. (Radio
Elika) vi chiude in faccia XD e vi aspetta alla prossima puntata.
Bacioni a tutti! Ciao!
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Capitolo 36 *** La Dea dell'ulivo ***
La
Dea dell’ulivo
Era
stanca di dover sopportare la pietà degli altri, non avrebbe
accettato che occhi complici le sorridessero ancora. Non avrebbe patito
in silenzio mentre la gente che aveva attorno si scansava con un
incredibile tristezza in volto. Non aveva la forza di aprire gli occhi,
che le sarebbe piaciuto tenere chiusi per sempre.
La
coperta le scivolò via dalle gambe, ed un brivido gelido le
attraversò la pelle giungendo fino alle spalle.
Elena
si sollevò in piedi, ma i suoi occhi si perdevano nel buio
attorno a lei, nell’immenso quadrato uniforme e nero che era
spesso oggetto dei suoi incubi.
La
ragazza toccò coi piedi scalzi la terra invisibile, e le sue
gambe si piegarono fino a farla mettere in ginocchio. Vestita solo
della biancheria, Elena sognava ancora una volta di abbandonare il
mondo reale, e di lasciarsi rimproverare dai i suoi superiori. Come
quella volta dopo l’incontro con Corrado, quando le
responsabilità di quel duello le erano piombate addosso come
l’acqua di una doccia fredda. Quando il suo corpo aveva
vagato tre le ombre dei suoi incubi e il suo sangue aveva macchiato le
spade impugnate dai suoi più cari amici e conoscenti. Quando
aveva desiderato che tutto finisse, accettando la condizione di essere
morta, quando non avrebbe fatto nulla per impedire di mettere una
pietra sopra ogni cosa, ricominciando da capo.
Ogni
giorno chiedeva di poter cambiare, di poter abbandonare quella sua vita
che più e più volte l’aveva costretta a
spogliarsi delle sue gioie e ad inginocchiarsi al cospetto del dolore.
Era stufa di soffrire le pene altrui… era stufa di mettere
in bella vista le proprie.
Ma
come sempre, era la collana che aveva al collo a chiamarla al suo
dovere. Un destino al quale fare capolino, una missione a cui tener
fede, e una famiglia nella quale reinserirsi. Se fosse morta, non
avrebbe mai scoperto chi fosse suo fratello, ma si sarebbe unita a suo
padre e sua madre che riposavano beati tra le braccia
dell’Immenso. Proposta allettante, e Minha le aveva dato
l’occasione.
Era
una maledetta situazione familiare cui Elena aveva risposto sempre di
essere pronta a continuare. Quando Corrado o il veleno per poco non
l’ammazzavano, Elena aveva avvertito un forte richiamo verso
“la luce”. Quel richiamo che è la porta
di andata senza ritorno, oltre la quale vi è
l’inesplorato mondo che non è dedito sapere a
nessuno che non vi faccia parte per l’eternità.
Paradiso o Inferno, per lei non faceva differenza. La sua lama era
passata da parte a parte di una decina di uomini e più
troppe volte, così tante da aver perso il conto.
La
ragazza sfiorò la pietra nera del pavimento con una mano,
accarezzando la fredda sensazione di sollievo che provò il
suo tatto. La sua mano calda contro la terra gelata della sala. Una
sala buia, nera, senza colori e composta unicamente da
un’ombra infinita che chissà per quanto si
stagliava in avanti, su e giù.
Stava
impazzendo, mentre i suoi occhi si schiudevano beati in una condizione
di sogno e realtà, mentre la sua mano correva tra le crepe
di quella stanza e mentre il suo cuore rallentava sempre più.
Elena
decise di attendere, di prendersi altro tempo per pensare. Infondo,
quel baratro oscuro non era altro che un’immensa sala
d’attesa prima della luce eterna. Si stese di fianco, un
braccio teso sotto la testa e l’altro piegato e nascosto
nell’incavo del collo. Una parte del suo corpo, quella a
contatto con la terra, era fredda, percossa da brividi e le veniva la
pelle d’oca. L’altra invece era diventata calda;, e
in basso, all’altezza del fianco, si apriva uno squarto
pulsante dal quale non sgorgava una goccia di sangue. Eppure era una
ferita profonda, ancora aperta e fresca. Si chiese come fosse possibile
che litri di sangue non si fossero già sparsi sul pavimento,
e rammentò di stare sognando solo all’ultimo.
La
luce si fece attendere parecchio, si disse, fin quando avvolta da un
improvviso tepore su entrambi i fianchi, la ragazza chiuse gli occhi e
il buio divenne ulteriormente buio. Le ombre si allungarono verso di
lei, ma sul comodino accanto al letto comparve la luce fioca di una
candela, mentre una sagoma retta e composta si stagliava seduta accanto
a letto.
Le
coperte tornarono a coprirle il bel corpo, e dietro la testa comparve
d’un tratto un morbido cuscino. Il materasso si
modellò sotto le sue forme, ed una mano si protese ad
accarezzarle una guancia, assieme ad una voce melodiosa ed
incredibilmente premurosa che sussurrava il suo nome.
Ed
in fine, Elena vide Morfeo.
La
ragazza si girò di lato, aprì gli occhi nel
momento in cui il cuscino cadde dal letto.
Questo
si rovesciò sonoramente a terra, e Marhim, rimasto seduto e
mezzo assopito sulla sedia accanto a letto, balzò in piedi.
-Cos’è
stato?!?!- balbettò l’assassino guardandosi
attorno spaventato.
-Marhim…-
Elena, sorridente in volto, allungò un braccio fuori dalle
coperte e gli strinse la mano.
Il
ragazzo si voltò lentamente e, meravigliato, si
chinò alla sua altezza per abbracciarla. –Elena!-
mormorò commosso. –Sei sveglia!- aggiunse
estasiato.
La
ragazza si avvinghiò a lui, che lentamente la
issò seduta sul letto.
Elena
soffocò un lamento straziante di dolore quando una fitta
lancinante la sorprese al fianco destro, ove la lama nascosta di Minha
l’aveva colpita.
Marhim
la guardò allungo in silenzio, ed Elena
approfittò di quel momento per ammirare afflitta il
bendaggio che le fasciava tutto il basso ventre sotto la leggera
canottiera di cotone. –Dio…- sibilò
sbigottita, senza parole.
Era
un taglio profondo, che doveva per di più ancora guarire.
Era
certa di non trovarsi nell’infermeria, ma riconobbe quella in
cui si trovava una delle stanze degli appartamenti delle Dee. La vista
dava sullo strapiombo sul lago, e stormi compatti di colombi
svolazzavano da parte a parte della fortezza preparandosi
all’ultima grande migrazione. Faceva freddo, era il freddo
dell’inverno. Era giunto l’inverno che coi suoi
venti gelidi spingeva lontano gli uccelli e le vecchie foglie secche
dell’autunno.
Marhim
sedette accanto a lei, ed Elena gli volse un’occhiata
sconvolta. –Quanto…-.
-Meno
di quanto Adha sperasse- si affettò a rispondere lui.
-Che…
che intendi?- sussurrò, passando nuovamente la mano sul
bendaggio candido e scottante stretto al suo stomaco.
-Non
è trascorso neppure un giorno da quando… da
quando ti hanno cucita- disse serio, celando lo spavento nel tono di
voce alquanto insicuro.
-Mi
hanno cucita?-.
Lui
annuì. –Non c’era altro modo per
arrestare l’emorragia. Mi dispiace…- lui le
strinse la mano.
-Non
devi dispiacerti- sussurrò la Dea guardando fuori dalle
finestre, dove il sole andava nascondersi dietro delle nuvole
grigiastre ma piuttosto chiare.
-Non
è certo colpa tua, e ti ringrazio di essere qui- la presa
sulle sue dita divenne più salda, ed Elena puntò
i suoi occhi azzurri in quelli nocciola del giovane.
-Mah-
rise lui –non c’era nulla di più
interessante da fare, ero solo di passaggio…-.
Elena
sorrise, e con lei fece altrettanto Marhim.
-Ti
fa ancora tanto male?- le chiese.
-Ora
non più; sono contenta che il sonnifero di Adha funzioni
così bene- dichiarò allegra.
Marhim
soffocò una risata. –Non sai che strazio
ascoltarti mentre ti lamenti! Pensa se eri sonnambula!-
ridacchiò.
-Già…-
si strinse nelle spalle. –Avrei potuto prendere a calci
qualcuno- borbottò.
-Minha
è fuggita. Alcuni assassini sono sulle sue tracce, e sembra
non sia diretta ad Acri. Ieri, mentre ero impegnato ad assistere Adha
nelle tue cure, ho saputo da un assassino dell’infermeria che
era diretta verso Damasco. Non chiedermi perché, ma ho
pensato che saperlo ti sarebbe interessato-.
-Infatti…-
mormorò lei assorta. –Grazie, anche se credo che
dovresti dirlo non a me, ma a qualcuno che possa ammazzare quella
maledetta il prima possibile!- digrignò, cercando di
irrigidire il meno possibile i muscoli della pancia.
-Faremo
tutto il possibile. Quella vipera non la passerà liscia,
vedrai…- aggiunse Marhim con stesso tono.
Elena
si guardò attorno, constatando che la porta della stanza
fosse aperta, così chiese: -dove sono le altre Dee? Kamila,
Elika, Leila… intendo- formulò tornando stesa tra
i cuscini.
Marhim
l’aiuto a non forzare gli addominali, accompagnandola nel
gesto. –Da quando Minha è piombata
nell’infermeria, le tre Dee hanno badato a te in queste
stanze durante la notte. Ormai sono di casa, ormai sono di nuovo nella
setta…-.
-Che
gran sollievo- sospirò lei.
Marhim
si fece più vicino. –Credi di farcela a
camminare?- le chiese.
-Ovvio,
perché?- sorrise.
-Ti
accompagno alla mensa; non ci sarà nessuno, te lo
prometto, che ti vedrà zoppicare, ma hai bisogno di
sgranchirti le gambe- le disse.
Elena
acconsentì e Marhim l’aiutò ad alzarsi
dal letto. L’assassino la prese sotto braccio e
l’assistette anche nel vestirsi. Zoppicare non zoppicava, ma
i suoi movimenti erano limitati dalle improvvise fitte di dolore che le
attanagliavano il fianco fasciato.
Impiegarono
dieci minuti buoni per vestirla di tutto punto con le vesti della
setta, tralasciando la cintura di cuoio e le armi.
Le
scale furono uno dei tanti ostacoli nel raggiungere la mensa, e sedersi
ai tavoli anche.
Marhim
consumò il pasto assieme a lei dicendole di essere rimasto a
digiuno per più di dodici ore; scusa bella e buona pur di
riempirsi nuovamente lo stomaco.
Quel
pomeriggio Marhim l’accompagnò nella biblioteca e
vi restarono allungo, parlando del più e del meno.
Ma
cos’era tutta quella svogliatezza che Elena sentiva in corpo?
Si chiese. Rispondeva di mala voglia alle affermazioni di Marhim e
partecipava il nulla alla conversazione. Non le andava o non ne aveva
la forza?…
I
giorni si susseguirono lenti e monotoni. Ormai sembrava essenziale che
Elena si riprendesse del tutto, e la cosa le piacque. Le piaceva come
tutti i suoi conoscenti a parte Marhim la evitavano. Le piaceva dover
condividere le stanze con le tre Dee senza che le rivolgesse mai una
parola. Le piaceva non dover sostare a strazianti allenamenti e
ramanzine da parte del Gran Maestro. Cosa più in assoluto
soddisfacente, era l’assoluta lontananza da Rhami! Quanto ci
godeva a non aver incontrato la sua faccia per una sola volta durante
quelle settimane!
Una
sera, Elena stava salendo solitaria le scale della fortezza. Raggiunse
gli appartamenti delle Dee e fu per proseguire nella sua stanza, quando
la porta aperta della camera di Leila la fece sobbalzare.
-Che
cos’hai da guardare?- sbottò una voce femminile
dietro di lei, ed Elena si voltò.
C’era
Leila con le braccia conserte e il peso su una gamba. Indossava solo la
biancheria, a mostrare le sue forme morbide e sode. Lo sguardo severo e
malizioso suo tipico, il portamento superiore e così
incredibilmente sicuro di sé.
Elena
indietreggiò, avvicinandosi all’ingresso della sua
stanza. –Nulla, stavo andando… a dormire-
balbettò.
Leila
la seguì con gli occhi fin quando la giovane Dea non si fu
chiusa la porta alle spalle. Elena si appoggiò alla parete e
prese un gran respiro. Contò una trentina di secondi, poi
socchiuse appena l’uscio.
Nel
salottino degli appartamenti c’erano due figure. Una delle
quali Elena riconobbe, nonostante la lontananza e il buio della notte,
come la Dea che poco prima l’aveva fatto gelare il sangue coi
suoi occhi verdi.
L’altra
presenza era un ragazzo. Alto, coi capelli corti e dal viso.
Elena
cercò di scorgere oltre, e quelle due persone che
all’inizio le erano sembrate impiegate in una normale
chiacchierata, invece si stavano baciando, abbracciate in una posa di
passione.
Elena
rabbrividì, chiuse la porta e stabilì che ficcare
meno il naso nelle faccende altrui sarebbe stato più
conveniente.
Te
la senti di combattere?
Sono
trascorse due settimane, ma non ne ho voglia…grazie lo
stesso…
Non
ne hai voglia o non ne hai le forze? C’è
più differenza di quanto immagini.
…Non
ne ho la forza… né la voglia…
Giustamente,
infondo è meglio così. Il riposo ti
farà bene.
Lo
spero…
Posso
capire come ti senti, e non deve essere piacevole.
Esatto…
Ti
va di parlarne?
Non
credo…
Sei
libera, ma non so per quanto durerà.
Libera
da cosa?
Dai
tuoi allenamenti, da quelle vesti… a proposito, per ora non
ne hai bisogno, va’ a cambiarti. non ti servirà
indossarle. Riporta nelle tue stanze anche le armi.
Nelle
stanze… le Dee…loro…
Non
badare a loro. Non ascoltarle, se non vuoi che ti facciano sentire
peggio di adesso.
Perché?
Non
sono cieco, ti trattano come una bambola e a stento immagino quanto
possa essere detestabile.
Già…
Sarà
più difficile, d’ora in poi, ma non
permetterò che accada di nuovo.
Di
cosa parlate?
Minha.
È riuscita ad infiltrasi nel palazzo senza che nessuno se ne
accorgesse. Quella strega pagherà per cosa ti ha fatto.
Sono
viva… mi basta…
Non
è vero. Lo leggo nei tuoi occhi. Il tuo odio per Corrado
è quello dominante, ma devi imparare a controllarlo. Te
l’ho detto, Minha non avrà occasione di toccarti
con un dito!
Voi…
siete in pena per me? Voi mi proteggereste da lei se dovesse capitare
di nuovo?
Sarei
pronto all’evenienza.
Per
allora non avrò bisogno della vostra protezione. Per allora
Leila mi avrà insegnato tutto ciò che debbo
sapere per contrastare quella donna…
Sei
insicura delle tue parole, c’è qualcosa che ti
preoccupa?
Minha…
non avrebbe mai agito in quel modo … Corrado le ha fatto
qualcosa, lo sento…
Le
ha promesso forse di ridargli il suo amato?!
Forse…
In
che modo?! Asaf è morto!
Il
Frutto…potrebbe averle promesso di farlo tornare in
vita…
Può
la disperazione di una donna arrivare a tanto?
…
stento anche io a crederci…
A
cosa ti riferisci?
Nulla…
Spiegami
perché sei così distante, e saprò
aiutarti.
Non
ho bisogno d’aiuto.
Qui
sbagli. Non sei ancora nelle condizioni di agire per conto tuo. Hai
molto da apprendere prima di ritenerti indipendente.
Non
è l’indipendenza che cerco…
…Mi
sembra stupido chiederti allora cosa sia ciò che vai
cercando.
Molto
stupido…
È
ovvio.
Infatti…
Ti
aiuterò a trovare tuo fratello. Tharidl non ha idea di come
ci si senta lontani dalla propria famiglia, ma noi sì.
Noi?…
Sono
stato abbandonato quando ero ancora in fasce; pensavo che quel vecchio
pazzo ti avesse detto altro di me.
Sì,
ma è probabile che non abbia prestato attenzione…
Ah!
Ti capita spesso, a quanto pare.
Lo
so… non c’è bisogno che me lo
ricordiate…
Quella
volta… quella volta che ti ho sorpresa nella biblioteca, ti
ho vista che leggevi le mie Cronache.
Mi
spiace, non avrei dovuto… aspettate! Voi mi stavate spiando?!
Probabile…
mi sorprende che tu ne sia stata tanto attratta.
Non
avevo nient’altro da fare…e non ne ero
“attratta”…
Ah
no?
No.
Meglio
così, dato che non hai approfondito poi tanto la tua ricerca.
Infatti…
Come
mai?
Avevo…
paura…
Di
cosa?
Di
quello che avrei potuto scoprire, e mi sentivo terribilmente in colpa
per cosa stavo facendo…
In
colpa?
Vi
chiedo perdono…
Non
ce n’è bisogno. Era il minimo che potessi
fare…
Certe
volte mi stupisco del mio buon senso…
Altrettanto…
Vi
stupite del vostro buon senso?…
Buon
senso…Perché chiamarlo così? Ho un
qualcosa di cui non riesco a liberarmi sulla coscienza, ed ogni istante
che passo con te, questo fardello mi pesa oltremodo.
Con…
con me? Perché? E di che peso parlate? Perché
vorreste liberarvene?
…C’è
altro?
No…
ma mi spaventate…
Non
era mio intento.
E
allora… qual’era il vostro intento?
Alcuno.
Non avevo intenzione di dire quello che ho detto.
Perché?
È
sbagliato!
Perché?…
Smettila.
Non arriverai da nessuna parte chiedendomi questo.
E
dove credete che voglia arrivare?… E cosa credete che vi
stia chiedendo?
Elena!
Avete
cominciato voi.
No.
Qui sbagli, ancora.
Che
cosa ho fatto?!
Per
ora nulla…piuttosto, sarà meglio che tu vada.
E
se volessi restare?
Elena!
Va
bene, va bene…
Stai
lontana dai guai, per favore.
Non
sono così sbadata.
Sicura?
Vogliamo parlare dei tuoi borseggi finiti nel sangue? Quando ti sarai
ripresa lavoreremo anche sul tocco.
Mi
state prendendo in giro?
Ah
ah ah. No, perché dovrei?
Lo
chiedo io a voi!
È
la pura verità. Ho sbagliato a darti tanta fiducia. Non
farò lo stesso errore.
È
stato un caso! C’erano tutte quelle guardie, e
anche…
Ti
arrampichi bene sugli specchi, ragazza. È vero,
c’erano più guardie in giro di quanto immaginassi.
Ecco!
Ma
questo avrebbe dovuto metterti maggiormente in allarme.
Come?!
Avevi
l’occasione di pazientare che il tuo bersaglio si
allontanasse dalle strade affollate.
Giusto…
Perché
non l’hai fatto?
Ero
sotto pressione!
Avrei
dovuto insegnarti anche questo…
Cosa
avreste dovuto insegnarmi, ancora?
A
mantenere la calma. Un bravo assassino ha il controllo sulle sue
emozioni. Tutte quante.
Allora
voi non siete un bravo assassino…
Che
cosa intendi dire con questo?!
State
arrossendo!
Elena!
Non
chiedo la vostra compassione, ma un minimo di spiegazioni. Quando mi
sarà tutto più chiaro, starò alla
larga da voi…
Cosa
vai dicendo?…
Non
sono stupida. Lo so che vi piaccio.
…
che cosa?…
Non
è così?
Certo
che no! Come ti è saltato in mente?!
Era…
era un’ipotesi… solo
un’ipotesi…
Sei
una ragazzina meravigliosa, Elena ,ma non posso immaginare come si sia
sentito Rhami rifiutato in quel modo.
Come…
come fate a saperlo?!
Oh,
diciamo che… ho occhi per tutta la fortezza.
Vi
prego, io non… non saprei come fare se… se
Tharidl lo scoprisse…
Non
lo saprà.
…Grazie.
Ovviamente,
non mi piacerebbe venire informato che fatti del genere si sono
ripetuti, quindi sai bene che cosa ti chiedo.
No,
cosa?
Stagli
alla larga.
Lo
so bene.
Non
è perché nella setta non è concesso,
ma quel ragazzo è solo parecchio avido.
E
voi no?…
Stai
esaurendo la mia pazienza.
Eh
eh… Forse avete ragione, infondo siete sposato.
Smettila.
Era
una battuta! Era una battuta!
Lo
spero per te.
Ma
voi ed Adha…
Sì?
Voi
ed Adha… siete sposati?
Non
ancora. Anche se…
Sarebbe
imbarazzante…
Esatto.
E
cosa state aspettando?…
Non…
non lo so.
Dovrei
chiederlo a lei?
No!
E
allora?
Non…
non ti riguarda!
Forse
più di quanto immaginate…
Cosa?…
Avete
considerato…
l’”ipotesi”… che potreste
essere mio fratello?
Non
diciamo stupidaggini.
In
quel caso Adha diventerebbe mia cognata.
Elena…
Ed
io sarei presto zia!
Elena…
Sarebbe
meraviglioso.
Elena…
Ed
essere vostra sorella un vero onore.
Elena,
fermati, ti prego…
Ora
non posso neppure più abbracciarvi?
No.
Ah,
grandioso…
Puoi
star certa che non sono io tuo fratello, e dovresti mettere una pietra
sopra questa storia.
Perché?
Non mi sembra di arrecare danno a qualcuno…
Invece
sì…
Per
esempio?
Me.
Voi?
Sì.
Perché?…
Perché
mi stai occupando tutta la giornata.
Mi
spiace, davvero.
Ci
sono altri… “dubbi” che ti piacerebbe
condividere?
Non
credo…
Ottimo,
puoi andare.
…Grazie…
Elena.
Sì?
In
questo luogo non c’è nessuno che vuole
ferirti… piuttosto devi imparare a difenderti da te stessa.
Cioè?
Sei
rimasta sola per molto tempo, e non cercare di colmare così
le tue ombre.
Ombre?
È
un consiglio… d’amico.
Grazie,
ma… Non capisco perché mi dite questo.
Forse
più in là capirai.
Parlate
come Tharidl.
Non
mi stupisco che quell’uomo sia diventato Maestro.
Elena
si svegliò di soprassalto.
Il
buio avvolgeva le sagome dei mobili della sua stanza, mentre dalla
finestra aperta entrava un venticello gelido che muoveva sinuosamente
le tende. C’era una candela spenta sul comodino accanto al
letto, e i vestiti gettati in disordine sulla scrivania assieme alle
armi ammassate a terra ai piedi dell’armadio.
La
ragazza si sedette sul materasso passandosi le mani in volto, poi tra i
capelli.
Era
stato un sogno assurdo, irreale, altamente fantastico.
La
sua immaginazione poteva vagare senza meta a tal punto di arrivare a
certe schiaccianti concAtefni? Se mai avesse rivolto quel genere di
domande al suo maestro, lui avrebbe risposto a quel modo? Ovvio che
no, si tormentava da sola. Eppure i sogni erano la concezione
dei propri desideri… ma dai!
Marhim
le lanciò un’occhiata, ma Elena rimase china sul
libro. Si era lasciata distrarre dalla lettura mentre con la testa
divagava su una situazione impossibile che le sarebbe potuta accadere.
Era una stupida se pretendeva di ottenere tanto libero arbitrio col suo
maestro. A proposito di maestro, era un po’ che non si
vedevano. Era successo qualcosa?
-Ti
fa ancora male?- domandò lui.
Senza
staccare gli occhi dalle pagine, lei rispose:
-Sì…-.
Il
ragazzo si guardò attorno, sospirò e si
appoggiò allo schienale del seggio.
Erano
nella biblioteca silenziosa della prima mattina, seduti ai tavoli
centrali. Nell’immenso salone brillavano i raggi del sole che
penetravano dal lucernario sul tetto. Gli scaffali pieni e le ombre dei
saggi che vi passeggiavano; una giornata serena e tranquilla, si disse
il giovane, tornando a guardare la sua amica.
-E
tu come ti senti?- chiese ancora.
Elena
si strinse nelle spalle. –Bene, se è quello che
vuoi sentirti dire…-.
-Che
cosa stai leggendo?- insistette.
La
ragazza chiuse il libro di colpo, e Marhim sobbalzò.
–Ti prego- mormorò con gli occhi grandi.
–Ti scongiuro, se proprio devi, fai domande intelligenti-
aggiunse ridendo.
-Giusto,
scusa…- l’assassino poggiò i gomiti sul
tavolo.
-Come
va con Halef?- fece lei assorta.
-Che
intendi?-.
-Gli
piace il suo nuovo rango?- sorrise.
-Ovviamente,
ed è anche entrato tra…- Marhim si
bloccò di colpo, fissando un punto indistinto sul tavolo.
-Che
succede?- Elena poggiò il libro sul ripiano e gli venne
vicino. –È successo qualcosa?- domandò
sospettosa.
Marhim
si riscosse d’un tratto, le strinse il polso e la
tirò in piedi.
-Dove
stiamo andando?!- sbottò Elena seguendolo e quasi correvano.
-Voglio
farti vedere una cosa- rispose lui lasciando la biblioteca.
-Fa’
piano! Mi fa ancora male!- sibilò lei stringendosi il fianco
destro.
-Scusa-
rallentò l’andatura, ma proseguirono di fretta
verso il piano terra della fortezza. Una volta nei giardini terrazzati,
Marhim la condusse giù per delle scalette di pietra che
scendevano nello strapiombo seguendo il bordo di roccia del lago, fino
a raggiungere una foresta di ulivi.
Avevano
passeggiato per qualche minuto con calma, l’uno affianco
all’altra.
-Cosa
sta succedendo?- gli chiese portandosi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio. –Perché mi hai portato qui?-
aggiunse meravigliata.
In
pochi minuti si erano allontanati dalla fortezza che sorgeva sul picco
del pendio roccioso imponente. L’acqua calma del lago
s’infrangeva immobile sulla scogliera bassa, mentre alle loro
orecchie giungevano delle voci lontane.
-Mi
hai chiesto che fine aveva fatto Halef, giusto?- gioì lui.
-Sì,
ma…-.
-Ebbene,
diciamo che un certo rango porta anche certi privilegi. Con la scusa
che ti ho portata con me, forse mi faranno giocare-.
-Di
cosa parli?- giocare?! Si chiese. Che razza di posto era?
Be’,
c’era da chiarire che non era mica male quel posto. Era un
boschetto di antichi ulivi davvero meraviglioso, e i primi accenni
dell’inverno avevano lasciato un terreno umido ed erboso.
C’era da considerare il sole accecante e il venticello
rinfrescante.
-Stammi
vicina, chiaro?- le sussurrò.
-Marhim,
vuoi dirmi che succede?- digrignò. Non le piacevano quel
genere di sorprese.
-Fidati,
non stai mica andando al patibolo, piuttosto… ti piace qui?-
chiese.
Lei
si guardò attorno sorridente. –Sì,
molto-.
Elena
ci aveva sentito bene: c’erano delle voci che si facevano
più nitide man a mano che si avvicinavano alla destinazione.
-Passa,
stupido!- sbottò qualcuno.
-Sei
un deficiente, non vedi che è libero?!-.
-Pensa
per te!- rispose un altro.
-Usa
quei pollici opponibili! E para una palla, ogni tanto!-.
-E
tu fai punto, ogni tanto!-.
Elena
aggrottò la fronte quando il bosco andò a
diradarsi e le fu possibile scorgere delle figure che si spostavano da
parte a parte di uno spiazzo erboso circondato dalla foresta. Sembrava
un vecchio recinto per il bestiame, ma era vasto, in alcuni tratti la
staccionata mancava ed era interrotta da degli ulivi.
C’erano
dei cavalli legati ad una palizzata poco distante, delle sacche e dei
vestiti gettati in un angolo del campo e ammassati disordinatamente.
Elena
trattenne il fiato, e Marhim la prese sotto braccio.
-Trattieni
la bava, chiaro?- ridacchiò.
Elena
gli diede una gomitata.
Erano
una ventina, giovani, abbronzati, bellissimi assassini a torso nudo,
che correvano da una parte all’altra del campo passandosi col
solo uso dei piedi l’unica palla.
Due
grosse pietre delimitavano le porte avversarie, mentre ad arbitrare la
partita Elena riconobbe Leila seduta sui rami alti di un ulivo spoglio.
La
Dea fischiò, e la partita s’interruppe
all’istante.
-Che
c’è, ora?!- si lamentò un ragazzo.
Quello
con la palla sotto il piede prese a giocarci abilmente palleggiando con
le ginocchia. –Maledetta, stavo per fare punto!- eruppe.
Leila
allungò le labbra carnose in un sorriso malizioso.
–Calma, signori, abbiamo visite- fece con voce soave.
Gli
assassini si voltarono a guardarla, ed Elena si strinse alle spalle di
Marhim che avanzò di un passo.
-Che
ci fa quello, qui?- proferì uno chinandosi a stringere le
cinghie degli stivali.
-Buono,
tu. È il fratello di Halef- lo rimproverò un
altro.
Leila,
dall’alto dell’ulivo fischiò di nuovo
con due dita chiamando a sé il silenzio.
-Dunque,
dunque…- osservò la Dea sporgendosi
dall’albero. –Qual buon vento, Marhim?-
gridò, e la sua voce acuta e melodiosa attraversò
la valle.
-Dov’è
mio fratello?- domandò di risposta Marhim.
Leila
allungò il suo sorriso. –Ora è
occupato- sussurrò.
-Cosa?-
Marhim avanzò ancora, appoggiandosi alla staccionata.
-Sono
qui, stupido!- sentì la voce di Halef, che era nascosto
dietro un albero poco distante. –Sono occupato, un attimo!-
aggiunse infastidito.
Elena
soffocò una risata, muovendo lo sguardo altrove.
Marhim
guardò altrove. –Ah, ti pareva!-
ridacchiò.
-Leila,
noi riprendiamo! Con o senza il tuo fischietto!- strillò un
ragazzo, sottraendo la palla dai piedi del compagno di squadra.
Quello
lo seguì fino al centro del campo dove il ragazzo
posizionò la palla.
-Due
tocchi- mimò quello al compagno.
L’altro
annuì.
-Aspettateci,
non vale!- si lamentò il capitano della fazione avversaria.
Chissà
come si distinguevano, si chiese Elena.
Leila
sbuffò e stette a guardare in silenzio come la partita
riprendeva tranquilla.
-Passa!-.
-Sono
libero!-.
-La
vuoi passare?!-.
Halef
si avvicinò a loro, ed Elena gli sorrise.
-Quale
onore!- sogghignò il fratello più piccolo.
-Vi
ho portato una nuova giocatrice- Marhim indicò la ragazza
con un cenno del capo.
Halef
inarcò un sopracciglio. –Stai scherzando, vero?-
domandò sbigottito.
Marhim
scosse la testa. –Scommetto che se la sa cavare, e le
farà bene riprendere un po’ controllo del suo
corpo. È stata tanto tempo ferma, e quale miglior modo per
riaversi?- commentò.
Halef
fece una smorfia. –Posso tentare, ma non credo che i
ragazzi…-.
Marhim
ingrandì gli occhi. –Ti preeeeeego-.
Halef
aggrottò la fronte. –Da quando ti comporti
come… me?- domandò stupito.
-Be’,
funziona, no?- rise lui.
Halef
indietreggiò. –Non vorranno mai. Non posso! Non ho
abbastanza autorità in materia- dichiarò.
–E poi- continuò guardandola. –Potrebbe
farsi male- fece premuroso.
Elena
si fece avanti, fermandosi al fianco dell’amico.
–Mi associo. Marhim non è il caso, torniamo
nella…-.
Non
riuscì a terminare che dal gruppo di ragazzi che
palleggiavano si levò un grido.
-Sei
un bastardo!- sbottò uno a terra.
-Non
l’ho fatto apposta, scusa!- si difese l’altro.
Elena
si voltò, spaventata.
-Ragazzi,
per favore, ci sono io!- li interruppe Leila.
Quello
a terra scattò in piedi e indicò
l’assassino che aveva di fronte. –Questo demente mi
ha fatto lo sgambetto! L’hai visto anche tu!- eruppe.
-Leila!
Non è vero! È inciampato da solo!- si difese
l’altro, stringendo i denti.
-Sei
solo un vigliacco!- sibilò quello.
I
due erano in procinto di prendersi a pugni, Elena se lo sentiva.
Attorno
agli assassini interessanti si formò un semicerchio che
lasciava libera la vista alla Dea sull’ulivo.
Leila
indossava quella mattina le sue candide vesti da assassina, il
cappuccio abbassato sulle spalle e i lembi della veste bianca che
svolazzavano al vento. Adagiata come un gatto tra i rami
dell’albero. –Basta, per favore, mi state
deprimendo- si lagnò la Dea.
-Avanti,
dicci a chi va la punizione!- fece uno tra gli esterni.
-A
nessuno, tornatevene ai vostri posti e voi due ribattete
l’inizio! Avete rotto- sbottò.
I
ragazzi riavviarono la partita, ed uno di loro si avvicinò
di corsa alla staccionata accanto alla quale c’erano lei,
Marhim ed Halef.
L’assassino
accennò un inchino verso la ragazza, ed Elena
arrossì.
-Ti
sei svuotato abbastanza, vuoi tornare a giocare o no? Chi ce lo tiene a
bada Atef, sennò- rise il giovane.
Halef
allungò le labbra in un sorriso divertito.
–Perché, Kavel non ce l’ha fa a tenere a
bada le sue finte?-.
-Halef,
dentro o fuori? Svelto!- aggiunse l’assassino.
Halef
si guardò attorno. –Va bene, visto che insisti
tanto. Ma ad una condizione-.
Elena
sgranò gli occhi. –No!-.
Marhim
le tappò la bocca, ed Halef sogghignò.
-La
voglio in squadra- disse il fratellino prendendo la giovane Dea sotto
braccio.
Il
terzo ragazzo ci pensò poco. –Non mi piace, non mi
piace! Sai che rischi grosso, vero?-.
Halef
la tirò afferrandole il polso. –Al
massimo ci prendo un paio di cazzotti, ma ne vale la pena…-
fece malizioso.
Elena
sobbalzò. –Non credo…-.
-Halef!-
lo chiamò Marhim, mentre i due si allontanavano verso il
centro del campo.
-Te
la riporto tutta intera, non preoccuparti!- gli rispose lui di spalle.
-Halef,
non mai giocato…- mormorò lei.
Lui
la strinse per un fianco. –Sta tranquilla, qui siamo tutti
amici!- rise.
Dietro
di loro si levò un urlo: -Muori, bastardo! Mi ha rubato la
palla!-.
Attraversarono
il campo camminando tranquilli nel bel mezzo della partita.
Elena
era circondata da ragazzi dai muscoli scolpiti che si passavano con
calci poderosi una palla che svolazzava da parte a parte, alzando
cumuli di polvere. Ogni tanto ci scappava la bestemmia e qualche
parolaccia, ma per il resto i maschietti di alto rango della setta
sembravano innocui… se, certo, come no.
Halef
si fermò di fronte all’ulivo dal quale presidiava
Leila, alzò lo sguardo e la chiamo.
La
Dea gli volse appena un’occhiata, soffermandosi sulla
ragazzina stretta tra le sue braccia. –Ma come-
sibilò scherzosa la donna. –Pensavo di essere io
l’unica per te, mio caro!- piagnucolò, recitando
bene la sua parte da prepotente.
-Macché,
è la ragazza di mio fratello-.
Elena,
senza pensarci, gli mollò una gomitata.
-Scherzavo!-
si apprestò a risponderle lui.
-Che
cosa ci fai qui, picciotta? Non dovresti essere al caldo sotto le
coperte? Nelle tue condizioni, poi…- pungente come una
serpe, Leila si beffò di lei.
-Non
sono mica incinta!- digrignò Elena. –Voglio
giocare!- sbottò d’un tratto, ed Halef si sorprese
di quell’improvviso furore.
Leila
inarcò un sopracciglio. –Non dirmi che la vuoi
nella tua squadra- la indicò con disprezzo.
-Ovviamente-
disse solo lui, con un sorriso da deficiente.
Leila
fischiò, e la partita si arrestò al suo comando.
-Attenzione,
grazie!- pronunciò maliziosa la donna battendo le mani.
–Abbiamo una novità, maschioni!- aggiunse.
Halef
ed Elena si voltarono verso l’interno del campo, mentre Leila
alle loro spalle illustrava la situazione alle due squadre.
-Piccolo
cambio di schemi, ragazzi: gigante, cuccati Gabriel. Atef, riprenditi
anche il nanetto. Kavel, con te torna Maher e prenditi anche la
ragazza. Spero di aver equilibrato la situazione, ed ora muovetevi, non
ho tutto il giorno. Voglio vedervi bruciare!- fece schioccare la lingua.
Atef
ululò come un lupo, mentre Maher prendeva sottobraccio il
nano della situazione che si confondeva tra la massa di assassini a
torso nudo.
-Bene-
fece Halef soddisfatto andando verso i compagni di squadra.
–ragazzi, questa è Elena- la presentò.
La
giovane Dea trattenne il rossore delle guance, sfuggendo agli sguardi
chi maliziosi e chi semplicemente curiosi degli assassini.
Kavel,
capitano della squadra, strinse una spalla al piccolo Halef.
–Aspettate un attimo- proferì avvicinandosi a lei.
–Stai scherzando, vero?!- gridò rivolto alla Dea
dell’ulivo.
-Nah-
sbottò lei antipatica.
-Maledetta
puttana! Ci hai tolto nano e in cambio ci dai Maher e la bambina?!
Questa me la spieghi!- strillò, ma Leila parve non curarsi
delle offese.
-Non
ti lamentare, e mostra quanto vali- fu la sua risposta.
–Palla al centro, svelti!-.
-Ma
chi si credere di essere…- sibilò qualcuno.
-La
regina d’Inghilterra?- aggiunse un altro ragazzo.
Elena
si avvicinò ad Halef. –C’è
qualcosa che non va, vero?- domandò in un sussurro, e le
gambe cominciarono a tremarle.
Non
avrebbe voluto essere lì, ma ancora una volta il sorriso
rassicurante di Marhim dall’altra parte del campo le giunse
nel più profondo del cuore, instaurandole nuova forza. Forza
per arrivare intera alla fine della giornata.
-Nah,
fanno sempre così- le disse tranquillamente Halef.
–Facci l’abitudine-.
Abitudine?
Dopo quella mattina Elena non avrebbe lasciato le sue stanza per nulla
al mondo! Non avrebbe messo mai e poi mai piede di nuovo in quel campo,
non avrebbe mai e poi mai rivisto quei ragazzi e ascoltato le loro
bestemmie mentre si passavano la palla in uno stupido gioco!
E
ora? Si chiese mentre i suoi compagni di squadra prendevano posizione.
La ragazza rimase imbambolata dov’era e anche quando Leila
fischiò, non si mosse di un passo.
Durante
tutta la partita pregò perché la palla non le
venisse mai incontro,e all’inizio così fu. I suoi
compagni riuscivano sempre a concentrare il gioco nella parte estrema
del campo, negli ultimi cinque metri dalla porta avversaria, ed Elena
tirò sospiri di sollievi infiniti.
Atef
era il capitano della fazione avversaria. Alto, dai capelli corti ben
tagliati che conferivano al suo viso una forma allungata e snella
quanto il suo corpo, abbellito da una muscolatura esagerata.
Trovò nella sua figura qualcosa di dannatamente familiare,
ma non riuscì a ricordare quando si fossero mai potuti
incontrare.
Kavel,
comandante in prima della squadra nella quale era, sembrava un ragazzo
totalmente opposto al capitano avversario. Magro, esile, con la sola
forza nelle braccia e nelle gambe, con le quali sapeva far piroettare
la palla in una maniera incredibile. I capelli castano scuro lasciati
crescere e spettinati si compattavano a ciocche per via del sudore che
li attraversava la fronte. La pelle abbronzata e il portamento
scattante anche durante il gioco gli conferivano un aspetto agile.
Elena
impiegò gran parte del tempo a squadrare volto per volto i
presenti. Senza prestare minima attenzione alla partita, si
trovò ben presto con la palla tra i piedi, mentre attorno a
lei si formava un cerchio sempre più stretto dei suoi
compagni di squadra.
-Forza!
Passala!- strillò qualcuno.
Elena
abbassò lo sguardo e, terrorizzata, constatò che
effettivamente toccava a lei muovere qualcosa. Senza pensarci due
volte, calciò il pallone che finì oltre la
staccionata.
E
poi non fu facile intuire in che mondo la stessero fissando: sdegno,
ripugno, come se fosse un mostro orripilante.
Il
colpo alla palla, il movimento della gambe, le aveva conferito una
fitta appena percettibile al fianco opposto, ma non avrebbe smesso di
giocare per quello! Avrebbe smesso di giocare e basta.
-Halef…-
provò a chiamare guardandosi attorno, mentre due ragazzi
scavalcavano la staccionata e si apprestavano al recupero della palla
nel bosco di ulivi. –Halef!- ripeté individuandolo
nel bel mezzo di un gruppo di assassini.
La
ragazza si avvicinò lentamente. –Ehm, forse
è meglio che mi metto da parte- pronunciò quando
il fratello di Marhim le venne incontro.
-No,
ma che dici- fu la sua risposta. –Non ti preoccupare, devi
prenderci solo la mano- aggiunse divertito.
Perché
tenerla in squadra se era una totale schifezza?! –Non riesco,
sono negata ed è meglio che lascio stare, ti prego- lo
supplicò.
Lui
aggrottò la fronte. –Dai, hai giocato neppure
dieci minuti. Ne sei sicura?-.
Elena
incontrò lo sguardo confuso di Marhim che la fissava
dall’altra parte del campo. –Sì,
davvero. Magari… un’altra volta-
suggerì timida.
Gli
altri assassini alle spalle di Halef tacevano, guardandoli entrambi
senza parole.
Elena
fece per alzarsi il cappuccio a coprirle il viso, ma si trattenne.
-Va
bene- acconsentì Halef in fine. –Spero comunque
che ti sia divertita- le fece l’occhiolino.
Elena
annuì. –Mi farò rivedere-
ridacchiò avviandosi.
I
due ragazzi rientrarono nel campo ed uno di loro lanciò la
palla verso l’alto con un calcio poderoso.
Elena
si allontanò svelta quasi correndo e raggiunse
l’amico che l’attendeva distante.
-Che
cosa…- fece per dire Marhim, ma Elena gli lanciò
un’occhiataccia.
-Ah,
capito- tacque lui.
-Anche
se…- cominciò la ragazza, e Marhim si volse verso
di lei confuso.
-Anche
se mi piacerebbe tornare. Magari domani o un giorno di questi. Sembra
un gioco divertente- omise sorridente.
-Non
fa nulla. Infondo da domani saranno in molti meno a giocare-.
-Come
mai?-.
-Riprendono
gli itinerari. Fredrik e Adel poteranno alcuni di questi con loro nel
sud. Ora che comincia a fare meno caldo, possono occuparsi di alcune
faccende nell’estremo deserto- proferì serio.
-Ah,
bene…- sussurrò.
-Non
ne sono sicuro, ma è probabile che anche Halef ci lasci di
nuovo- sorrise.
-Spero
per te che tu non lo segua, questa volta!- rise la ragazza.
Marhim
diede una svista alla partita che era appena ricominciata dopo il
fischio di Leila. –No, non andrò. Puoi starne
certa-.
-Perché
tu non…- chiese lei mentre si incamminavano.
Marhim
si voltò e salutò il fratello agitando un braccio.
Halef
ricambiò tornando poi concentrato sulla partita.
-Non
gioco perché… dopo la mia prima palla fuori campo
mi sono lasciato sopraffare dall’imbarazzo. E non me la sento
di ritentare. Invece…- la guardò. –mi
fa piacere che tu abbia voglia di tornare-.
-Anche
a me!- gioì lei, ed insieme tornarono alla fortezza.
La
mattina successiva, senza avvertire né Marhim né
nessun altro, Elena si avviò da sola al campo da gioco. Si
stupì di trovarvi una minoranza impressionante di
partecipanti, ma Marhim l’aveva avvertita che le squadre si
sarebbero ristrette dei rispettivi giocatori per via degli itinerari di
Fredrik e Adel. Molti degli assassini tornavano sotto torchio agli
allenamenti con le armi, e il tempo di gioco era finito.
La
ragazza si avvicinò alla staccionata e si guardò
attorno.
Il
sole splendeva e un venticello freddo alzava da terra cumuli di
polvere, mentre alcuni ragazzi erano impegnati in passaggi amichevoli.
-Finalmente,
stavamo aspettando te!-.
Elena
si voltò, ed Halef le strinse una spalla.
La
ragazza si contorse dal dolore per l’improvviso irrigidimento
dei muscoli del bacino. –Halef!- digrignò.
-Ah,
giusto, scusa…- lui mollò la presa dispiaciuto.
Elena
si passò una mano all’altezza del fianco, ed Halef
la osservò triste. –Te la senti di giocare?
Aspetta… dov’è Marhim?- alzò
un sopracciglio.
-Ho
imparato la strada troppo in fretta?- rise lei. –E comunque,
sì- aggiunse. –Mi va di giocare-.
-Siamo
di buon umore, eh?-.
La
ragazza annuì.
-Ottimo,
oggi ti voglio in attacco. Come vedi, mi mancano dei giocatori!-
ridacchiò lui.
-Hmm-
Elena lanciò un’occhiata al campo semi vuoto.
-Avanti,
vieni- lui la prese sotto braccio. –Ieri non ho avuto modo di
presentarti i tuoi compagni di squadra. Andavamo piuttosto di fretta
perché Leila aveva ecco… delle cosette da
sistemare-.
Elena
lo seguì al centro del campo, dove si era formato quel
cerchio amichevole di giovani che si passavano la palla.
-Ragazzi,
la Dea è tornata- gioì Halef.
-Ciao-
la salutò uno alzando una mano.
-Ben
tornata!- sorrise un altro.
-Mi
devo appostare fuori dal campo? Così ci metto di meno a
recuperare la palla…- fece la battuta un terzo.
Elena
allungò le labbra in un sorriso.
Halef
fece una lista di nomi ai quali ciascun ragazzo del semicerchio
rispondeva con un immenso sorriso. Alla fine, Elena poté
accontentarsi di aver memorizzato il viso di Maher, nome non nuovo. Per
il resto restarono tutti degli sconosciuti cui si sarebbe abituata col
tempo.
La
palla finì improvvisamente di nuovo tra i suoi piedi, ed
Elena sobbalzò.
-Dai,
passala. Un po’ di riscaldamento- le suggerì Halef
al suo fianco.
Elena
annuì poco convinta e indirizzò il pallone con un
tocco leggero esattamente di fronte a lei. Il ragazzo che ricevette
sfiorò la palla con la punta della scarpa e questa si
sollevò da terra; lui la fece rimbalzare sul petto e la
colpì poi di testa.
Alla
giovane Dea luccicarono gli occhi.
Halef
squadrò i suoi amici. –Kavel?- domandò.
-È
andato- gli rispose un ragazzo.
-Quindi
chi lo sostituisce?- chiese ancora Halef.
Gli
assassini si scambiarono occhiate complici.
Halef
aggrottò la fronte. –Cominciamo bene…-
brontolò e calciò la palla con violenza.
Questa
uscì fuori dal cerchio e rotolò fino ai piedi di
Atef.
L’assassino
curvò un sopracciglio. –Passi la palla agli
avversari, eh Halef?- si beffò.
-Hai
già voglia di perdere?- ribatté Halef divertito.
Atef
avanzò verso la loro squadra. –Voglio un cambio-
dichiarò.
Il
fratellino di Marhim, che sembrava avere più
autorità tra i suoi compagni di squadra, si fece perplesso.
–Esponi- disse.
-La
Dea con noi, e ti do Gabriel- ammise serio.
-Scordatelo-
Halef le cinse di nuovo le spalle. –Proprietà
privata, non so se mi spiego- sorrise malizioso, ed Elena fece
altrettanto.
-Peggio
per te- sbottò Atef avvilito. –Cominciamo!-
ruggì.
La
palla venne posizionata al centro del campo da uno dei ragazzi nella
squadra di Atef, e questo si preparò a fare il primo tocco
assieme ad un suo compagno.
-Quello
è Gabriel- le sussurrò Halef mentre attendevano
che i due si scambiassero le tattiche di gioco.
Elena
osservò il giovane che aveva portato il pallone al suo
posto. –è forte?- domandò.
-Insomma.
Ma stacci attenta. È piuttosto impacciato quando si tratta
di oggetti rotondi- rise.
Che
doppio senso assurdo, pensò Elena.
E
Leila? Che fine aveva fatto? Chi avrebbe arbitrato la partita? Chi
avrebbe assegnato i calci di rigore e le punizioni?!? Elena
entrò nel panico. Senza qualcuno di imparziale, sarebbe
stata dura uscire viva o con le ossa intere.
Gabriel,
il ragazzo dalla pelle scusa e i capelli color caramello,
toccò la palla e la passò a Atef, che a sua volta
la alzò alta verso il cielo azzurro.
-Corri
avanti!- le gridò Halef, ed Elena lo seguì di
corsa verso la metà avversaria del campo.
Un
ragazzo della loro squadra si lanciò tra i due e
colpì il pallone di testa, mandandolo dritto e potente in
contro ad Halef.
Elena
si stanziò dal fratello di Marhim e percorse il corridoio
laterale del campo, pari con la staccionata. Osservò
concentrata la situazione e, nell’istante in cui Halef le
lanciò un’occhiata, si stagliò
nell’azione di gioco.
Halef
teneva la palla, e ai suoi lati, stanziati di qualche metro,
c’erano due loro compagni di gioco. Questi si passarono il
pallone attenti a non lasciarsi intralciare dalla coreografia
avversaria, che faceva di tutto pur di sottrargli la vittoria.
Halef
la guardò di nuovo, ed Elena ebbe un tuffo nel cuore quando
il pallone guizzò tra la calca di assassini e
arrivò ben piazzato ai suoi piedi.
-Tira!-
gridò qualcuno.
Elena
alzò gli occhi, incontrando quelli maliziosi del portiere a
pochi passi da lei.
Questo
le venne incontro, lasciando libera la porta, ed Elena si
fermò, inchiodando dov’era.
-Oh
mamma…- sbiancò, ma nell’istante in cui
fu per alzare la gamba e prepararsi a calciare, Gabriel
scivolò sul terriccio entrando tra le sue gambe
sottraendole la palla.
Il
pallone sfuggì al controllo della giovane allontanandosi
verso la parte opposta del campo, ma i due assassini rotolarono a terra
avvinghiati.
Elena
batté la testa, sentì la polvere del suolo
salirle la gola e il fianco dolorante mandare una moltitudine di fitte
dolorosissime. Quando riaprì gli occhi, si accorse di essere
finita stesa sopra il ragazzo.
Gabriel
fece una smorfia, ma non disse nulla constatando la vicinanza dei loro
visi.
Elena
arrossì d’un tratto, provò a tirarsi
su, ma la sua mano toccò non terra ma il braccio muscoloso
dell’assassino.
La
collana della Dea venne fuori dal cappuccio senza preavviso, scivolando
sul petto nudo d Gabriel. Il ragazzo rabbrividì.
–Ma cosa…- chinò la testa e
osservò il ciondolo di pietra fredda che gli solleticava la
pelle sudata.
Elena
allora scattò in piedi e lo aiutò a tirarsi su.
-Fallo!-
strillò Atef alle spalle di lei.
Gabriel
si pulì i pantaloni scacciando la polvere, poi le volse
un’occhiata, insistendo sulla sua collana.
Elena
abbassò lo sguardo, portandosi una mano al fianco bendato.
Il dolore non le permetteva di aprir bocca, e se avesse provato ad
ingoiare, la terra che aveva in bocca le sarebbe finita dritta dritta
nello stomaco.
Attorno
ai due che erano accidentati si formò un semicerchio di
assassini che ridacchiavano. Elena si tirò su, raddrizzando
la schiena, ma il dolore al ventre si fece più penetrando.
Mentre
Halef e Atef litigavano per accaparrarsi il calcio di punizione,
Gabriel avanzò verso di lei.
Elena
rimase immobile dov’era, osservando sbigottita come
l’assassino assumeva la stessa espressione stringendo tra le
dita adulte il ciondolo di Alice.
-Elena,
giusto?- mormorò lui, e la sua voce giovane e con un
leggerissimo accento non del posto.
Lei
annuì, trattenendo i lamenti doloranti.
-Dove
l’hai presa?- si rigirò nella mano la collana.
–Chi te l’ha data?- chiese ancora, smarrito e
sbigottito.
La
Dea sollevò gli occhi dalle sue dita attorno al ciondolo e
li puntò in quelli grigi, e da una parte celesti di lui.
–Perché me lo chiedi?- proferì mesta.
Gabriel
aveva i capelli spettinati e lasciati crescere ad incorniciargli il
viso. La barba folta e della stessa tonalità color caramello
della chioma. Gli occhi vuoti, grigi facevano un contrasto meraviglioso
e gli conferivano un aspetto astratto e affascinante. La muscolatura
giovane ma ben sviluppata. Poteva avere 25 anni massimo, e la sua
maturità nel portamento tradivano il fatto che si dilettasse
a giocare a calcio con dei sedicenni.
-Gabriel,
avanti!- lo chiamo Atef e il ragazzo si stanziò da lei
d’un tratto.
Elena
lo guardò allontanarsi di corsa verso la porta avversaria.
Gabriel si posizionò di fronte alla palla messa a 10 metri
dalla porta e si preparò a calciare.
Halef
le si avvicinò. –Me che diavolo…-
brontolò.
-Scusa,
è stata colpa mia- sibilò lei osservando il
portiere della loro squadra posizionarsi tra le due pietre.
-Ma
che dici- Halef le sorrise. –Capita, ma da Gabriel non me
l’aspettavo. Giuro che gliela faccio pagare!- strinse i denti.
Elena
gli volse un’occhiata sorridendo. –No, non ce
n’è bisogno…- sussurrò.
Gabriel
calciò il pallone che assunse un poderoso effetto banana e
segnò di laterale, mentre il portiere si era lanciato dalla
parte opposta.
-Stupido-
sbottò Halef allontanandosi.
Elena
si strinse con violenza il fianco dolorante, colpita da una nuova
improvvisa fitta.
Dopo
poco che la partita era ricominciata, chiese al fratello di Marhim di
poter sospendere la partita perché il dolore si era fatto
intollerabile. Halef le aveva sorriso afflitto scusandosi di aver
preteso così tanto da lei, ma dopo una mezz’oretta
di risposo seduta sulla staccionata, Elena si era ripresa del tutto ed
era tornata a giocare.
Quella
sera a mensa, Elena entrò nella sala e sgranò gli
occhi.
Li
riconobbe tutti, i suoi compagni di squadra della mattina. Seduti
compatti ad un tavolo, formavano un gruppo unico e distaccato dagli
avversari.
La
ragazza arrossì quando Halef, circondato dai suoi amici, la
salutò alzando il mento.
Gli
assassini attorno a lui si voltarono a guardarla; alcuni la salutarono,
altri tornarono ai fatti propri beffandosi e ridacchiando.
Marhim
comparve alle sue spalle, ed Elena si girò.
-Già
qui?- domandò lui. –E dove sei stata tutto il
giorno? Ti ho cercata dappertutto, ma avevo da fare…
così ho abbandonato la ricerca in fretta- rise.
-Mi
è venuta fame- rispose. –Oggi è stato
divertente giù al campo- gioì.
-Ah,
però. Mi sono perso tutto?-.
-Mi
sa-.
-Va
bene, vedrò di esserci la prossima volta…-
proferì assorto, ed Elena seguì il suo sguardo.
Il
tavolo delle Dee era appartato nell’ombra, vicino alle
vetrate. Vi sedeva solo Kamila.
-E
così addio pranzo e cena assieme- commentò il
ragazzo.
-Mi
sa- sospirò Elena. Accanto a Kamila c’era un posto
vuoto già apparecchiato dal piatto pieno di minestra.
-Ti
tocca- borbottò Marhim.
-Ci
vediamo dopo?- Elena fece per avviarsi.
Marhim
annuì e la osservò immobile nel centro della sala
fin quando non si fu seduta accanto alla Dea. Poi il giovane si
riscosse e andò verso il tavolo del fratello minore.
-Ciao…-
mormorò Elena, e Kamila gli lanciò un sorrisetto
compiaciuto.
-Eccoti
qui. Dove sei stata questo tardo pomeriggio?- non si
risparmiò di chiedere.
-Sono
tornata nella biblioteca- rispose.
-Leila
mi ha raccontato un paio di cosette…- ridacchiò
la Dea, ed Elena sobbalzò.
Si
riferiva alla partita, al gioco, alla sua fuga improvvisa. Elena
pensò ad un modo per cambiare argomento.
-Dove
sono Elika e Leila?- domandò buttando giù un
cucchiaio della cena.
-In
giro. A proposito, ora devo andare- Kamila si alzò alla
svelta. –Ci si becca in giro- le fece l’occhiolino
e scomparve nel buio dei corridoi.
Elena,
sbigottita, non si mosse per diversi istanti. Sbaglio o qualcuno la
stava evitando? Forse era solo una sua impressione, ma gli avvenimenti
di oggi l’avevano lasciata riflettere.
Quand’è che sarebbe tornata al suo quieto vivere?
Quando avrebbe ricominciato il suo itinerario e i pesanti
addestramenti? Improvvisamente tutte quelle giornate vuote le pesavano
sulla coscienza, lasciandole troppe domande a frullare per la testa.
Dov’era il suo maestro?… aveva bisogno di
combattere con qualcuno. Non le bastavano più le partite di
calcio…
Era
rimasta profondamente turbata dall’incontro scontro
con… Gabriel. Chissà perché era
rimasto tanto spaventato dal vederle al collo quella collana.
Quella
notte, si coricò subito dopo cena, ma non riuscì
a chiudere occhio. La mattina successiva si svegliò coi
muscoli doloranti che neppure arrampicarsi sui muri di Acri le aveva
portato tanta sofferenza. Per di più il fianco destro non le
dava pace, e decise i sospendere anche le partite di pallone.
Trovò
conforto nella biblioteca, china sui libri, celata tra le pergamene e
gli scaffali. Seduta accanto a Marhim, come ai vecchi tempi prima di
cominciare ad appassionarsi al calcetto, Elena si riavvalse della
convinzione che presto il dolce-amaro della fatica avrebbe pesato di
nuovo su di lei.
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Capitolo 37 *** Nello specchio ***
Nello
specchio
-Nervosa?-.
-E
di cosa?-.
-Ancora
poco e avranno quello che li serve-.
-Parli
del Frutto?-.
Desmond
annuì, stringendomi più a sé.
–Sbaglio o al conto alla rovescia manca qualche settimana di
lavoro?-.
Scossi
la testa. –I tempi si sono allargati, pensavo lo sapessi-
dissi guardandolo.
-Di
quanto?-.
-Qualche
altro mese; se c’è qualcosa che mi manda in bestia
è proprio questa storia-.
-Ah!-
rise lui. –Non credere che una volta finito ci rispediranno a
casa!- aggiunse.
Lo
fulminai con un’occhiataccia. –Lo so; ma ogni
giorno che passa, diventa tutto così… pesante-
sospirai, poggiando la testa sulla sua spalla.
Chissà
se era già giorno, mi chiesi, dato che nella stanza non
c’erano finestre. Così lanciai una svista
all’orologio sulla scrivania, ma il buio m’impediva
di vederne le lancette scure.
-A
chi lo dici. Fortuna che ci sosteniamo a vicenda- sorrise malizioso, ed
un attimo dopo le sue dita passarono sul mio collo risalendolo fino
all’attaccatura dei capelli dietro l’orecchio.
Mi
allungai io verso di lui e lo baciai dolcemente sulle labbra, mentre i
nostri nasi si sfioravano appena.
Elena
richiuse le pagine del libro lentamente, poggiò il tomo sul
tavolo e si portò le mani in grembo. Lo sguardo basso e
afflitto. Sospirò, stringendosi maggiormente nelle spalle.
Marhim
le venne più vicino, ammirandola comprensivo. –Che
c’è?- le chiese. –Come mai sei
giù? Non ti ho mai vista così…-
commentò.
La
ragazza alzò gli occhi nei suoi. –Ho bisogno
d’aria- disse.
Lui
alzò un sopracciglio. –Aria? Vuoi che me ne vada?-.
-Ma
che dici, stupido…- si alzò e riprese il libro,
andando poi a risistemarlo tra gli scaffali.
Marhim
le andò dietro e la seguì fin fuori la biblioteca.
Elena
proseguì sulle scale e passò la sala
d’ingresso della fortezza, fermandosi all’altezza
dei cancelli che davano sul cortile interno.
Il
clangore delle spade fu un suono melodioso e ben accetto quando la
ragazza si sporse a guardare l’arena degli allenamenti.
All’interno della recinzione colse due assassini che si
esercitavano alle armi. Uno di loro Elena lo riconobbe subito dato il
colore mielato dei capelli, poiché portasse il cappuccio
abbassato. L’altro le parve averlo già visto,
forse al campo da calcetto.
-Ore
ti senti meglio?- domandò Marhim venendole affianco.
Elena
scoppiò in una fragorosa risata. –Ti sei bevuto la
storia dell’aria fresca? Marhim- lo guardò seria.
–Ho solo voglia di impugnare una spada- mormorò
mentre un sorriso gioioso prendeva forma sulle sue labbra.
-Ah,
no!- lui fece un passo indietro. –Non di nuovo! E poi quei
due stanno combattendo, non possiamo piombare lì
così e pretendere di interrompere i loro allenamenti!
Guarda, c’è anche…- Marhim non
riuscì a terminare che Gabriel afferrò il braccio
dell’avversario e glielo torse dietro la schiena.
All’altro assassino scappò un mugolio di dolore e
lasciò la presa sulla spada, che cozzò a terra
scivolando ai suoi piedi.
-Basta,
basta! Hai vinto! Basta!- si lagnò quello, e un ghigno
divertito si stagliò sul volto del giovane dagli occhi
celesti.
Gabriel
gli lasciò il polso improvvisamente, e l’assassino
perse l’equilibrio cadendo in avanti, si appoggiò
alla staccionata e si girò con un’espressione
arrabbiata in volto.
-Non
accetti la sconfitta, eh?- ridacchiò Gabriel rinfoderando la
spada.
-Da
te? No- sbottò quello sollevandosi e andando a recuperare la
sua lama al suolo. –E presto chiederò la
rivincita- digrignò scavalcando con un balzo la recinzione.
Gabriel
alzò il mento fiero e si guardò attorno.
–Qualcun altro?- spalancò le braccia e dalla folla
di assassini attorno si levarono risate divertite.
-Bene…-
sibilò il ragazzo apprestandosi a lasciare l’arena.
-Elena…
non pensarci neppure- sogghignò Marhim.
La
ragazza gli lanciò un’occhiataccia.
–Perché?-.
-Nelle
tue condizioni! Halef mi ha raccontato di cosa è successo, e
di questo passo la tua ferita potrebbe impiegare anni a guarire del
tutto!- sbottò preoccupato.
-Sei
così dolce che ti preoccupi per me…-
ingigantì gli occhioni, e Marhim arrossì.
Elena
tornò severa d’un tratto, e il ragazzo ne rimase
afflitto.
-Mi
hai trascinata tu al campo da calcio, e poi che fretta ho di guarire?!-
aggirando l’amico, Elena si avviò verso
l’arena.
-Elena!
Torna qui!- la chiamò, ma la ragazza non si voltò
neanche.
Proseguì
dritta spedita fino alla staccionata e si guardò attorno.
Marhim
la raggiunse quasi correndo e, nell’istante in cui fu per
afferrarle la mano dicendo: -Avanti, se qualcuno ti vede qui potrebbe
farsi venire qualche istinto di sfida- brontolò.
La
Dea si divincolò stanziandosi da lui. –Piantala, o
giuro che sarai tu il mio avversario!- ruggì a denti
stretti.
Marhim
rabbrividì e guardò altrove. –Va bene,
ma non hai una spada!- commentò sicuro di sé.
Elena
si tastò la cintura di cuoio alla quale mancava
l’attaccatura del fodero della sua lama, e da sorriso, le sue
labbra si chinarono in una smorfia. –Quanto sei bastardo-.
-Eheh-
rise lui. –Avanti, andiamo- fece per avviarsi, ma constatando
che Elena non lo seguiva, si voltò. –Forza,
andiamo- ripeté autoritario.
Elena
si riscosse, balzò in piedi sulla staccionata e si
portò le mani ai fianchi. –Qualcuno ha una spada
da prestarmi? Temo di aver dimenticato di prendere la mia- sorrise,
attirando su di sé gli occhi sbigottiti degli assassini
presenti.
-Che
cosa fai?!- Marhim avanzò con un saltello e le
tirò un lembo della veste bianca.
Elena
lo guardò dall’alto e gli poggiò una
mano in testa. –Lasciami fare, non sei mio padre!- lo spinse
via delicatamente, e Marhim si stanziò sconvolto.
-My
lady- sentì una lama venir tirata fuori dal suo fodero, e un
giovane che non riconobbe gli porse la sua spada.
-Grazie,
sono onorata- arrossì lei.
-L’onore
è mio- fece un leggero inchino e tornò tra i suoi
compagni, che nel frattempo aveva cominciato a spettegolare senza
ritegno e a deriderlo.
Gabriel
faceva parte di quella combriccola dalla quale era emerso
l’uomo che le aveva prestato la sua spada. Il ragazzo
accennò un passo avanti, e subito dopo ricevette una pacca
da uno dei compagni. –Avanti, non vedi che hai la tua
occasione! Una Dea! Quella lì ha dato filo da torcere ad
Altair!- gli disse.
Elena
si mostrò distratta schiarendosi la gola. –Se il
messaggio non è chiaro, sto cercando uno sfidante!-
dichiarò.
Marhim
si strinse nelle spalle mettendosi da parte. –Non
è una buona idea- borbottò.
-Piantala!-
sibilò lei.
-Sì,
so bene chi è…-.
Elena
si voltò, sorprendendosi che Gabriel, circondato del suo
gruppetto di amici, la stesse ancora fissando. O forse fissava la sua
collana?
-Ma
dai, è ovvio! La faccia della ragazza con cui rotoli
avvinghiato non si dimentica mai!- scoppiò a ridere Atef
appoggiato con la schiena alla roccia.
-Elena,
scendi da lì!- le bisbigliò Marhim.
Forse
aveva ragione, si disse la ragazza. Aveva attirato fin troppo
l’attenzione, e si comportava da vera stupida di fronte a
tutta quella gente. Balzò giù dalla recinzione e
atterrò leggera dentro l’arena.
-Ah!-
rise. –Speravi che rinunciassi!- fece la linguaccia, e Marhim
sbuffò.
-Ti
comporti come una bambina- commentò con un filo di voce.
-È
quello che sono, dopotutto- sorrise lei come una deficiente.
Marhim
curvò le spalle. –Perdo pure tempo a dirtelo,
capisci…- parlottò allontanandosi.
Elena
lo guardò sparire dentro la fortezza, e si sentì
improvvisamente male. Aveva fatto un torto a sé stessa,
mettendosi in imbarazzo come una… deficiente tra tutti
quelli assassini, ma non solo. Si chiese come mai il suo amico ci fosse
rimasto tanto male. Forse anche lui non sopportava sostare troppo a
lungo sotto i riflettori, ed esibendosi in quel modo Elena aveva
richiamato critiche pure sul ragazzo.
-Ciao-.
Elena
si voltò di colpo, trovandosi Gabriel a pochi passi da lei
con la mano poggiata sull’elsa. Il giovane si
chinò in un leggero inchino. –O dovrei essere
più cordiale chiamandovi Dea?-
s’interrogò, ed i suoi occhi grigi la inchiodarono
lasciandola senza parole.
Elena
indietreggiò, permettendogli di entrare
nell’arena. –No, figurati- sussurrò.
-Ci
siamo già incontrati, ricordi?- le arrise.
-Già…
e dato che non ho avuto modo di scusarmi, be’…mi
dispiace per “come” ci siamo incontrati- disse
confusamente.
-Non
darti pena; Halef ha fatto bene a metterti in guardia: quando si tratta
di giocare, mi spingo sempre oltre il limite. Piuttosto, spero di non
averti fatto del male- le venne più vicino.
-Sì…
cioè no!- proruppe la ragazza prendendo colore sulle guance.
-Le
voci sono vere- assentì lui cambiando argomento.
–Non solo le Dee sono davvero tornate, ma una di loro si
è permessa di ferirvi- constatò.
-Come
lo sai?- istintivamente, la giovane si portò una mano al
fianco destro.
-Ero
lì quella notte, quando Minha fuggì dalle
balconate dell’infermeria- disse schietto.
-Ah…-
lei si guardò i piedi, rimuginando un’altra volta
su quella sgradevole nottata.
Gabriel
incrociò le braccia al petto; il suo sguardo
sfuggì a quello di lei come si stesse trattenendo dal
chiedere qualcosa. –Sbaglio o cercavate uno sfidante?- che
non era certo questo.
Elena
indugiava almeno quanto lui. Voleva delle informazioni riguardanti le
domande che aveva fatto sulla sua collana, non le bastava dedurre che
Gabriel fosse solo un appassionato di pietre preziose. Hmm…
non aveva valutato l’ipotesi.
La
ragazza si riscosse. –Sì, effettivamente
sì-.
-Credete
di esserne capace?- domandò lui alzando un sopracciglio.
–Non vi vedo molto in forma- ridacchiò.
-Più
in forma di quanto credi!- Elena gli puntò fulminea la lama
al collo, con un movimento fin troppo fugace del braccio che Gabriel
aveva appena portato la mano attorno all’elsa per estrarre la
sua arma.
L’assassino
allungò le labbra in un sorriso malizioso.
–Accettate la mia sfida, dunque?-.
Lei
annuì abbassando la spada al suo fianco, e diede al ragazzo
il tempo necessario di armarsi della propria.
-A
voi la prima mossa-.
Elena
roteò la lama ai suoi lati. -La galanteria fuori da questo
cortile, Gabriel. Faccio sul serio- sbottò composta.
L’assassino
si alzò il cappuccio sul volto. –Ben e meglio-
dichiarò, e fu lui a venirle incontro.
Tentò
di schivare, ma lenta coi muscoli, Elena si vide costretta a parere il
colpo, e l’improvviso irrigidimento del corpo le
causò una fitta lancinante all’altezza del bacino.
Un
gomito rivolto verso l’alto e l’altro piegato a
sostenere la sua spada contro quella dell’avversario, Elena
spinse con più forza e riuscì a stanziare il
ragazzo da sé.
Gabriel
indietreggiò stupito di tale forza nelle braccia, ed Elena
riuscì a nascondere la fatica provata in un sorisetto di
soddisfazione.
La
Dea parò il secondo affondo, e le lame produssero delle
leggere scintille che conferirono agli occhi del suo contendente una
sfumatura rossastra attorno alla pupilla.
Fu
un istante solo di meraviglia, poi Elena si riavvalse della
familiarità con la spada e riuscì a disarmare
l’avversario.
L’arma
di Gabriel volò in aria, ma nel momento in cui
toccò l’apice della sua ascesa,
l’assassino balzò sulla staccionata e si diede uno
slancio verso l’alto. A mezz’aria, Gabriel si
riappropriò della sua arma e tornò a terra
piegando le ginocchia.
Elena,
meravigliata di tale agilità, trovò quella
fugacità alquanto familiare, e alla mente le
tornò il vago ricordo del suo scontro con Corrado, fuori dai
cancelli della fortezza. Esattamente quando si era appoggiata alle
spalle del sovrano di Acri e, slanciandosi verso l’alto,
aveva raggiunto allo stesso modo…
Gabriel
spezzò il filo dei suoi pensieri penetrando la sua difesa,
ed Elena, colta alla sprovvista, si trovò ben presto senza
nulla con cui difendersi.
-È
stata una cosa veloce- ridacchiò Gabriel dopo che la spada
della ragazza fu cozzata a terra. Si chinò a raccoglierla e
gliela porse.
-Potevi
ammazzarmi!- strillò lei, e attorno a loro si levarono le
risate dei presenti.
Ma
dov’erano?! A teatro?! Si chiese guardandosi attorno
smarrita.
-Mi
fai così poco abile? Sono padrone dei miei movimenti quanto
basta per tenere un uovo stretto nella mano mentre combatto, senza
romperlo- si vantò.
Elena
aggrottò la fronte afferrando la sua spada. –Lo
sai fare davvero?- domandò.
-È
quel genere di addestramento che viene riservato ad un orfano. Quanto
sono contento che Al Mualim abbia cessato di vivere!- gioii lui.
Qualcun
altro dalla sua parte, si disse.
-Hai
intenzione di fissarmi ancora allungo, o possiamo riprendere da dove
abbiamo interrotto?-.
Elena
si riscosse. –Sì, scusa, mi stavo solo
chiedendo…- mormorò portandosi una mano al petto,
dove sotto il tessuto della veste avvertiva il solletico freddo del
metallo della collana sulla pelle.
Gabriel
assunse un’espressione interrogativa.
-Lascia
stare- disse lei seria, stringendo con più forza
l’elsa della spada.
Il
ragazzo annuì e ricominciarono il loro scontro.
Dopo
ben poco che si furono fronteggiati, Elena si riavvalse delle sue vere
e proprie capacità in combattimento. Gabriel rimase
piuttosto colpito di trovarsi presto in svantaggio.
Elena,
dritta e fiera della sua maestria, lo metteva spesso alle strette
vicino alla staccionata, costringendolo ad abbassare la guardia per
poter schivare un suo nuovo fendente.
Nonostante
ciò, la situazione restò invariata e sullo stesso
piano per entrambi i contendenti, che non erano più oggetto
di spettacolo come all’inizio del combattimento.
Gli
assassini attorno si dilettavano ad adocchiare ogni tanto il loro
fronteggiarsi, ma Elena si accorse con sollievo che la sua presenza era
diventata poco allettante col passare dei minuti.
Ad
un tratto, Gabriel fece un balzo verso di lei e riuscì a
disarmarla.
Elena
avanzò con un saltello e, nell’istante in cui la
sua spada toccò terra, sfoderò la lama corta
dall’astuccio alle spalle di Gabriel.
-Quella
è mia!- sbottò lui.
-La
prendo in prestito- rise la Dea.
-Facciamo
sul serio- commentò lui riprendendo fiato.
-Sei
stanco?- ridacchiò la ragazza osservando il taglio della
lama.
-Tu
no?- si stupì lui raddrizzando la schiena.
Elena
chinò la testa da un lato socchiudendo gli occhi.
–Non ancora-.
Gabriel
aggrottò la fronte -Mi avevano avvertito che saresti stata
una degna avversaria-.
-Ti
hanno detto bene- sogghignò maliziosa.
Usare
la lama corta le procurava fitte continue al fianco, ed Elena si
maledisse per aver osato tanto. Con quel genere di arma si trovava
obbligata a movimenti fluidi ed interrotti di tutto il corpo, quali
piroette e giravolte che le consentivano di andare a colpire i punti
più irrisolti dell’avversario.
Gabriel
si accorse tardi del suo fastidio, ed Elena si piegò a terra
dolorante improvvisamente.
La
lama corta scivolò al suolo, e la ragazza si strinse con
violenza il fianco ferito.
Gabriel
si chinò al suo fianco. –Tutto bene?-
domandò ansioso.
La
Dea tentò di rialzarsi, e lui l’aiutò
prendendola per il fianco opposto.
-Non
ti ho toccata, che cosa ti è preso?- chiese guardandola
preoccupato.
Elena
si scansò lentamente da lui, mentre avvertiva il dolore
affievolirsi. Prese un gran respiro e si guardò attorno.
–Forse è meglio che vada- disse con voce smorzata
dallo sforzo.
Gabriel
si fece da parte. –Sicura, posso…-.
-No,
grazie. A presto- Elena si chinò a raccogliere la sua spada.
Una volta fuori dalla recinzione, la restituì al legittimo
proprietario e lasciò il cortile interno tornando nella
fortezza.
Entrata
nella sala d’ingresso, dovette appoggiarsi ad una delle
colonne, mentre alcune delle guardie lì presenti si
voltavano sorpresi a guardarla.
-Sto
bene, sto bene- si apprestò a dire fissandoli uno ad uno, e
gli assassini tornarono con lo sguardo dritto davanti a loro.
Quando
si fu ripresa del tutto, fece per sollevarsi dalla colonna ma si
sentì chiamare alle sue spalle.
-Elena-.
La
ragazza si voltò di scatto, e una fitta di dolore le
piegò le labbra in una smorfia. –Maestro-
sibilò a denti stretti.
Altair
era seduto ad uno dei tavoli nascosti dietro gli scaffali, vicino alle
vetrate, la guardava sbigottito allo stesso modo di come
l’aveva fissata le guardie della sala. –Che cosa ci
fai qui?- si alzò e le venne incontro, abbandonando il libro
che stava leggendo.
-Perché,
dove dovrei essere?- domandò sorpresa.
-Tutt’altro
luogo che nel cortile; non dirmi che hai… stupida ragazzina-.
-Cos’ho
fatto ora?!- sbottò irritata.
-Devi
smetterla di portare il tuo fisico al limite! Non puoi continuare
così, o quel taglio impiegherà anni a
rimarginarsi-.
Ecco
qualcun altro che le faceva la ramanzina!
Più
che arrabbiato, il suo maestro sembrava solamente preoccupato per lei.
–Non c’è bisogno che me lo rammentiate,
lo so bene! Ma non capisco tutta questa fretta!- digrignò.
Altair
si trattenne dal parlare quando il suo sguardo si bloccò
alle spalle della ragazza.
Elena,
scocciata, spostò il peso sull’altra gamba,
massaggiandosi il fianco dolorante.
Nel
totale silenzio della sala, si accorse di un sussurro appena
percettibile di due voci, una delle quali riconobbe come quella severa
e vecchia del gran Maestro. La seconda, femminile probabilmente, non
riuscì a farla combaciare con nessuna delle tre Dee.
-Ah,
ah!- mormorò Elena, capendo perché il suo
insegnante d’armi si fosse seduto a quel tavolo
“fingendo” di leggere. -State origliando!- sorrise
maliziosa.
L’assassino
si riscosse. –No, ti sbagli, ora andiamo. Ti accompagno in
infermeria…- dicendo questo, la strinse per una spalla e la
fece voltare.
Elena,
dapprima rimase immobile senza muovere un passo, poi il suo maestro le
diede una spinta. –Avanti, cammina- proferì
contenuto.
Salendo
le scale, la Dea lanciò un’occhiata allo studiolo
del Gran Maestro, nel quale fu colpita di trovarvi Adha, in piedi
davanti alla scrivania alla quale sedeva Tharidl.
Gradino
dopo gradino, il dolore al fianco divenne insopportabile. Raggiunsero
le porte dell’infermeria ed Elena tirò un sospiro
di sollievo.
-Come
mai stavate origliando la conversazione tra Adha e Tharidl?-
domandò curiosa quando entrarono nella sala.
-Siediti
lì, manderò qualcuno ad occuparsi…-.
-Ah!-
strillò lei improvvisamente.
Altair
si voltò.
Elena
si appoggiò al comodino. –Fa male, fa male, fa
male!- si lagnò.
L’assassino,
incerto sul da farsi, le tornò accanto. –Come
mai?-.
Quando
le fu abbastanza vicino, Elena lo strinse per il polso con una forza
incredibile, inchiodandolo dov’era.
–Perché stavate ascoltando?- sibilò
avvicinando il suo volto a quello dell’uomo.
Altair,
colto in contropiede, tentò di allontanarsi, ma Elena non
lasciò la presa con prepotenza. I suoi occhi azzurri
facevano quasi scintille.
-Non
sono affari che ti riguardano- s’irrigidì lui, e
con uno strattone riuscì a divincolarsi.
Elena
si sollevò e, prima che potesse lasciare la sala, gli si
parò davanti. –Vi prego!- disse. –Temo
che la ferita si sia davvero riaperta!- lo supplicò.
-Non
posso farci nulla, e ti sta bene-.
-C…c…
cosa?- rimase a bocca aperta. –Non me lo sono mica fatta da
sola, è stata Minha a colpirmi! Non ho nessuna colpa!-
ribadì.
-Certo,
come no- proferì arrabbiato. –Non eri tu nel
cortile a sfidarti con Gabriel. La mia vista deve avermi giocato un
brutto scherzo- ironizzò.
Una
certa età l’aveva, pensò Elena, ma si
trattenne dal dirlo. –Ho creduto che…-
provò, ma Altair la interruppe con un gesto della mano.
-No,
non m’interessano le tue scuse. Marhim ti aveva avvertita,
credi che sia cieco? Fin quando non sarà qualcuno a
chiedertelo, non toccherai un’arma, sono stato chiaro?-
eruppe autoritario.
La
ragazza si strinse le braccia attorno al ventre. –Chiaro, ma
perché non siete intervenuto quando ve ne siete accorto?-
ribatté.
-Di
cosa parli?-.
-Potevate
fermarmi! Fare il vostro ruolo, impedire che facessi una delle mie
solite stupidaggini!- sbottò.
-Avevo
altro da fare, ma speravo che non giungessi all’utilizzo
della lama corta. Quella è stata la goccia che ha fatto
traboccare il vaso, Elena- la rimproverò.
-L’avevo
capito- sbuffò.
Altair
esitò qualche istante, poi disse: -siediti-.
Elena
sobbalzò. –Avete intenzione…-.
-Ti
fa male o no?- la fulminò con un’occhiataccia.
Lei
annuì debolmente e andò verso il primo lettuccio.
Si sedette e osservò in silenzio come il suo maestro
gesticolava tra gli scaffali raggruppando il necessario essenziale. Se
la ferita si era riaperta, l’avrebbe scoperto a breve.
-Che
aspetti? Togliti la magli- le disse piegato a cercare qualcosa in un
ripiano più in basso, piegato sulle ginocchi e in perfetto
equilibrio sulle punte dei piedi.
Elena
slacciò la cinta e la poggiò sul comodino. Si
privò del cappuccio e della parte superiore della veste,
restando solo con una canottiera leggera che finiva dentro i pantaloni.
-Ne
siete in grado?- domandò con un filo di voce.
Lo
sentì ridacchiare, poi Altair le tornò accanto
mentre metteva da parte la cintura e la sostituiva ad un nuovo rotolo
di garza. –Due anni fa mi trovai costretto ad estrarmi un
punta di freccia dalla schiena, all’altezza della dodicesima
vertebra- si vantò. –Ne uscii vivo per miracolo,
ma prima di quella volta salvai la vita ad otto miei compagni e amputai
una mano al mio informatore. In entrambi i casi ero braccato in un
caverna del regno, in pieno inverno e con a disposizione solo qualche
fogliolina di menta e i tessuti della mia veste, che
all’epoca era anche più corta di quella che
indosso oggi- con maestria e sveltezza, si tolse i guanti e
calò il cappuccio sulle spalle.
-Ah,
bene… ma i vostri compagni si salvarono, vero?-.
-Due
di loro no- disse arrotolandole la canottiera fino all’inizio
della gabbia toracica. –Tieni qua e alzati in piedi- le
ordinò, ed Elena obbedì afferrando il lembo della
maglietta e tenendolo fermo a coprirle solo il seno. Lanciò
una svista al bendaggio che le stringeva i fianchi e, con grande
ripugno, si accorse della macchia rossastra che vi aveva preso forma.
-Contenta?-
proruppe irritato il suo maestro, che si apprestò a
recuperare le forbici dal comodino e tagliuzzò poi le bende
intrise di sangue.
Elena
chinò la testa all’indietro quando quella puzza
insopportabile, quale non era più abituata, le
arrivò al naso.
-Sei
fortunata- disse ad un tratto l’assassino. –Si
è aperta superficialmente, o avrei dovuto ricucirtela sul
momento-. Gettò le garze sporche in un cesto poco distante e
cominciò a pulire la ferita con un impacco di cotone bagnato
in erbe disinfettanti. –Non dovrei essere io ad occuparmi di
certe cose, sai-.
-Immaginavo-
brontolò lei cercando di distrarsi.
All’inizio
l’asettico composto le procurò un bruciore intenso
più di quanto non le costassero quelle fitte improvvise.
Quando Altair ebbe finito di togliere il sangue attorno al taglio, si
preparò a riavvolgerle il bacino con le garze.
Contò
quelli che le parvero una decina di giri, si disse Elena osservando
come il suo maestro la toccava delicatamente, ma allo stesso tempo
faceva aderire strettamente le bende alla pelle. Con una mano la
reggeva sul fianco opposto, mentre l’altra accompagnava il
rotolo a fasciarle tutto il necessario perché una ricaduta
del genere non si ripetesse nella guarigione.
-Ora
mi dite perché stavate origliando?- chiese.
Altair
non si fece distrarre, proseguendo attento. –Ti ho detto che
non ti riguarda- insisté.
Al
termine del lavoro, l’assassino fece uno stretto e ben
accurato nodo all’altezza dell’ombelico ed
ammirò il tutto soddisfatto.
-Spera
per te che non ricapiti- l’ammonì aiutandola a
rivestirsi.
Elena
gli sorrise. –Credo di aver imparato la lezione-.
Quella
sera sopra Masyaf il cielo stellato era offuscato da una turbolenta
nuvola nera. L’ombra del firmamento si stagliava
all’orizzonte e sembrava aver ricoperto tutta la valle,
spinta dai freddi venti del nord.
Elena
raggiunse il corridoio dove era diretta e si fermò di fronte
alla porta della stanza. Un’occhiata alle sue spalle,
constatando che non ci fosse gente in giro, e alzò una mano
per bussare, quando sull’uscio comparve Halef.
-Elena?!-
si stupì l’assassino indietreggiando.
La
ragazza si allungò sulle punte e guardò dentro la
camera. –Marhim è qui con te?- chiese.
Halef
scosse la testa. –Veramente stavo venendo a cercarlo,
pensando che fosse con te- confessò.
La
giovane Dea fece un passo addietro. –Ah, capisco. Ora devo
andare, ma se lo trovi puoi dirgli che domani mattina mi piacerebbe che
venisse con me in un posto?-.
Halef
sollevò un sopracciglio. –Che posto?-
domandò malizioso.
-Ma
smettila!- sibilò lei.
-Stavo
solo chiedendo- sussurrò appoggiandosi alla parete.
-Meglio
per te- sibilò la ragazza incamminandosi, e i suoi passi si
persero nel buio del corridoio.
Una
volta sulle scale che conducevano agli appartamenti delle Dee, Elena si
affacciò nel salotto e vi trovò le tre ragazze
sedute sui cuscini attorno ad uno dei bassi tavolini di mogano.
-Ah,
ecco, parli del diavolo spuntano le corna!- ridacchiò Leila.
Elena
distolse lo sguardo e camminò fulminea verso la sua stanza,
con un’espressione furiosa in volto. Non vedeva
l’ora di cominciare quei famosi allenamenti con quella Dea,
così da prenderla a calci nel sedere come si deve!
-Ehi,
picciotta, non scappare così!- Elika si alzò e le
venne incontro.
-Lasciami
stare!- sbottò Elena aprendo la porta.
Kamila
e Leila si scambiarono un’occhiata sorpresa.
-Che
ti prende, Elena?- domandò premurosa Kamila.
La
più piccola tra el quattro sbuffò e
ignorò completamente la domanda. Una volta nella sua camera
chiuse la porta sbattendola.
Elika
indugiò sulla maniglia.
-Lasciala
stare- Leila poggiò la tazza che aveva tra le dita sul
tavolo. –Sarà successo qualcosa, ovviamente, ma
è meglio che se lo tenga dentro-.
-Perché
dici questo?- la interrogò Kamila. –Poverina, non
vedete come si sente sola? Cerca conforto negli altri assassini
piuttosto che in noi- dichiarò.
-Hai
ragione- le disse Elika tornando accanto a loro. –Ma non so
cosa fare. Un tempo, quando non era ancora successo tutto questo, era
così aperta con me. Mi parlava di qualsiasi cosa, e adesso
non capisco cosa sia cambiato-.
-Ah!-
rise Leila. –Noi, siamo cambiate. Le stiamo addosso come
fossimo la sua mamma al cubo- pronunciò severa.
-Confermo.
Ma lasciarle il suo spazio potrebbe essere pericoloso-
assentì Kamila prendendo un sorso. –Potrebbe
lasciarsi andare…-.
-Secondo
me si è già “lasciata
andare”- sogghignò Leila.
-Taci
tu!- la riprese Elika. –La tua storiella con Atef ha le gambe
corte, rammenta!- sbottò.
-È
solo un gioco, il nostro, non è mai nato nulla di serio- si
difese la Dea.
-Meglio
mi sento. Chissà quante volte avete
“giocato”- parlottò Kamila tornando al
suo the.
Leila
la fulminò con un’occhiataccia.
–Vogliamo mettere?-.
-Almeno
io non mi faccio gli altri assassini!- ribadì la bionda.
-Smettetela!-
intervenne Elika. –Potrà pure sentirsi oppressa,
ma se li fa con piacere i fatti degli altri, la piccoletta…
potrebbe sentirvi, abbassate il tono- indicò con un cenno
del capo la stanza di Elena.
-Dee!-
fece una voce, appena un bisbiglio.
Le
tre tacquero, poi Elika e Kamila si voltarono verso la terza.
-No,
questa notte gli avevo detto di no. Non può essere Atef-
sussurrò Leila.
La
voce parlò di nuovo: -C’è nessuno? Per
favore!- sembrava giovane, un ragazzo.
-Vado-
si offrì Kamila alzandosi. Si sporse dalle scale e
lanciò un’occhiata ai gradini più in
basso.
-Chi
sei? Che cosa vuoi?- domandò la donna.
-Vi
prego! Scendete, non posso parlarvi così, o rischio di
essere scoperto!-.
Kamila
si voltò a guardare le sue amiche.
Elika
e Leila annuirono.
-Va’,
ma non trattenerti allungo- fece Leila sorseggiando.
-Spiritosa-
Kamila scese di sotto.
Elena
si spogliò delle sue vesti e s’infilò
gli abiti da notte con rabbia. Passò il pettine tra i
capelli spezzandone una marea, e con la stessa euforia
raggruppò le sue armi via dal letto in un angolo del
pavimento, facendo sbattere a terra le cinghie e i metalli.
Si
passò le mani in volto, cercando di darsi un contegno.
Guardò fuori dalla finestra e, sospirando, si
lasciò scivolare sul letto, sedendo a gambe incrociate su di
esso.
La
notte si preannunciava piovosa dato gli immensi nuvoloni che oscuravano
il cielo. Nonostante ciò, il lato positivo era che se la
temperatura avesse raggiunto il giusto grado, da lì a poco
avrebbe versato la prima nevicata. Infondo erano i primi di dicembre, e
per tutto novembre si era protratto un tempo soleggiato e ventilato che
pareva estate.
Una
volta che i suoi bollenti spiriti si furono placati, Elena si
alzò e andò verso la sua scrivania.
Trovò il diario di Alice sul tavolo e ne
accarezzò dolcemente la copertina.
E
pensare che per tutte quelle settimane se n’era quasi
dimenticata. Non ne aveva sfogliata una pagina una, e moriva dalla
voglia di scoprire come se l’era cavata sua madre alla sua
età, quando circondata da belle ragazze dai movimenti
sinuosi, lei era stata la più giovane a cominciare a vendere
il suo corpo al nemico.
Ora
che ci rifletteva, sua madre, allo stesso modo di come lo erano state
Leila, Elika e Kamila prima di venir bandite, e Minha compresa, era
stata una puttana. Se con la mente si sforzava di capire a cosa
servisse una Dea, Elena giungeva alla schiacciante conclusione che,
proprio mentre la preda credeva di aver ottenuto tra le braccia la
donna più bella che avesse mai visto, questa diventava una
vedova nera spietata pronta a divorarlo, e togliergli la vita per mera
questione politica, ovvero perché Al Mualim
l’aveva ordinato.
Ed
Elena era tanto contenta che Tharidl avesse messo fine a quelle
torture; eppure, ancora si chiedeva cosa di tanto speciale avevano da
offrire le Dee se i principali loro servigi non erano richiesti. Forse
potevano passare attraverso cunicoli più stretti, oppure
essere capaci di combattere in quella maniera in cui Minha
l’aveva stesa in pochi colpi. Cosa poteva avere una donna
più di un uomo se l’obbiettivo era sempre lo
stesso: uccidere, si chiese.
Forse,
da buon uomo misericordioso, Tharidl aveva semplicemente voluto
riaccogliere nella fortezza le donne che Al Mualim aveva scacciato con
tanto rigetto il giorno in cui Sashara, l’ultima Dea, aveva
firmato quel patto.
Finalmente,
aveva trovato il coraggio di avventurarsi nelle memoria di sua madre,
di cercare di capire che cosa l’avesse spinta ad infrangere
le regole, a concepirla quando tutto quello era vietato da un
giuramento di sangue. Lo stesso giuramento che la vincolava a non
accontentare Rhami e a stare alla larga dal suo maestro.
Fu
per aprirlo, correndo svelta sulle prime righe del primo capitolo,
quando qualcuno bussò alla porta.
Lasciò
il tomo aperto a quella pagina, voltandosi di colpo.
Sull’ingresso
della stanza c’era Leila.
-Picciotta,
un tizio vuole vederti- disse seria, completamente affacciata nella
camera ed in equilibrio sulle punte.
Elena
curvò le spalle. –Rhami?- chiese.
-Ah,
magari, sarebbe stato divertente- fu la risposta della Dea.
–No, ha un’anima bianca, ed è per questo
che non vuole salire. Ti aspetta di sotto, non mi ha detto come si
chiama, ma chiede di parlare con te. Dice che è piuttosto
urgente- avvolta dal suo solito sorriso malizioso, Leila la
fissò allungo. –Allora? Che gli dico?-.
Elena
rimase a bocca aperta, senza riuscire a proferire parola.
-Va
bene, lo mando via-.
-No,
aspetta!- fece un passo avanti. –Voglio parlarci, adesso
vado- disse avvicinandosi all’ingresso.
Una
volta nel salone, Elena fu sorpresa di non trovarvi né
Elika, né Kamila.
-Fa’
piano quando torni su, stanno dormendo le due- la informò
Leila.
-Come
vuoi- mormorò Elena andando verso le scale.
Si
affacciò al piano di sotto e si sorprese di non vedervi
nessuno. Dietro di lei avvertiva ancora lo sguardo vigile di Leila.
-Che
aspetti? Vai!- le disse, e la giovane Dea
s’incamminò.
Il
color miele dei suoi capelli era inconfondibile e il grigio cristallino
dei suoi occhi brillava nel buio del corridoio mentre se ne stava in
disparte con le braccia incrociate, avvolto dalle ombre della sala.
Elena
era scalza e si fermò in piedi sul tappeto che copriva il
pavimento piuttosto che sulle scale di pietra –Gabriel?-
domandò smarrita.
Il
ragazzo avanzò dall’oscurità.
–Mi dispiace avervi disturbata, ma oggi, prima che fuggiste
dal cortile, avrei voluto chiedervi una cosa- disse serio.
La
Dea s’irrigidì. –Ti riferisci alla
collana?- chiese portando il ciondolo allo scoperto fuori dalla maglia
a maniche lunghe e di seta. Strinse il simbolo della setta tra le dita
con una forza che avrebbe potuto spezzare la roccia di cui era fatto.
-Sì,
ecco…- mormorò Gabriel spostando lo sguardo sul
ciondolo. –Mi riferisco alla vostra collana, Dea Elena,
quando vi chiesi dove l’aveste presa. Vorrei una risposta a
quella domanda- affermò contenuto.
-Perché
te ne interessi tanto? Collezioni forse pietre preziose?-
sbottò irritata. Era la sua collana, la collana di Alice e
della sua famiglia. Poteva qualcun altro mostrarsi tanto interessato
quando lei ne era così gelosa?! No!
-So
di che pietra è fatta quella collana!- sbottò lui
d’un tratto, ed Elena rabbrividii.
-Come
lo sai…?- mormorò flebile, spaventata. Quella
storia stava prendendo una piega insolita.
Gabriel
si rabbuiò distogliendo lo sguardo.
–è… complicato… potreste non
capire- disse.
-Gabriel,
se posso… sono stanca, vorrei…- indicò
le scale, ma il ragazzo rimase immobile e in silenzio.
Elena
attese che fosse lui a parlare.
-Ho
un vago ricordo- proferì ammutolito. –Un vago e
doloroso ricordo della mia infanzia, forse avrò avuto cinque
o sei anni. Ero un orfano come gli altri, e non ho memoria di come
vissi prima di quel momento. Il momento in cui un uomo venne da me, una
notte, e mi strappò dal collo quella collana, cui avevo
sempre avuto, cui ero affezionato allo stesso modo di come una bambina
ama la sua bambola. Fu l’assassino mio maestro, un giorno
prima di quella notte, a dirmi di quale rara pietra era stato forgiato
quel ciondolo. Mi riempì di congratulazioni, mi
lodò per il solo possesso di quella catenella. Ebbene,
ora… vederla al vostro collo dopo così tanto
tempo ha fatto sorgere in me una marea di dubbi e incertezze, vorrei
sapere di più! Sapere se l’avete trovata a terra o
se è stato l’uomo che me l’ha strappata
via quella notte a donarvela per amore! Perché
vedete… io vorrei riaverla indietro. È
l’unico fittizio oggetto che sento veramente appartenermi,
è parte di me, della mia vita, e perderlo quella notte
è stato un dolore immenso… non ho mai saputo
chi… o con quale coraggio mi sia stato portato
via… vorrei riaverlo, vorrei riprendermi ciò che
mi appartiene-.
Elena
sbiancò, aprì la bocca ma non riuscì a
parlare. La sua mano si strinse più convulsamente attorno
alla catena di sua madre, mentre percepiva gli occhi inumidirsi.
-So
che è difficile da credere! Ma è la
verità! Non è per avarizia! Non ho intenzione di
sottrarvela e poi rivenderla al primo commerciante, perché
lo ammetto, come pietra è anche piuttosto rara e preziosa e
un buon mercante vi farebbe una fortuna! Non fraintendete, non sono
né un ladro né un ipocrita! Elena, per favore, vi
imploro di darmi ascolto- si fece avanti e dopo pochi passi le fu
davvero vicinissimo.
-Gabriel…-
pronunciò lei confusamente, senza voce.
–Tu…-.
Il
ragazzo socchiuse gli occhi. –Vi imploro, Dea, di dirmi come.
Come è possibile che un raro oggetto tanto irripetibile e
che credevo fosse unico sia nelle vostre mani- Gabriel strinse i palmi
attorno alle sue dita, che a loro volta strizzavano il ciondolo.
Elena
mollò la presa d’un tratto, e la collana di Alice
le ricadde sul petto.
Gabriel,
stupito, la fissò allungo.
-Io…
io non posso – mormorò, non indugiando ancora,
Elena si voltò e corse su per le scale. Senza voltarsi
giunse nel salotto delle Dee, dove trovò ad attenderla Leila.
Dal
piano di sotto venne la voce dell’assassino che chiamava il
suo nome, ma la ragazza si segregò nella sua stanza da
letto, sbattendo al porta alle sue spalle e appoggiò la
schiena contro di essa.
Chiuse
gli occhi e si lasciò guidare dalle sue braccia tese in
avanti fino allo specchio. Lo sfiorò con le dita e, quando
le sue iridi azzurre si rifletterono in esso, la ragazza prese un gran
sospiro.
In
quell’immagine, quella notte, accanto al suo riflesso,
c’era Gabriel.
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Capitolo 38 *** Coraggio ***
Coraggio
I capelli le si
rovesciavano arruffati sul viso, mentre la sua guancia era appiattita
con forza contro la superficie dello specchio; e il suo corpo,
rannicchiato come un micio violentato. Il buio venne colpito da un
improvviso barlume di un tuono, il cui suono si diffuse pochi istanti
dopo.
Un
boato assurdo che la svegliò di soprassalto, mentre su
Masyaf si abbatteva la furia di una tempesta silenziosa.
Elena
si guardò attorno, scostando appena il viso dal vetro dello
specchio.
Si
era addormentata lì, rannicchiata sul pavimento della
stanza, crollata in un improvvisa botta di sonno che non le aveva
lasciato modo di pensare, riflettere, o ancor peggio, ricordare cosa
fosse successo la notte prima.
Le
nuvole oscuravano il cielo ormai luminoso della mattina, i colombi si
riparavano sotto i cornicioni. Cominciava un nuovo giorno, un dannato e
piovoso giorno.
La
ragazza si sollevò in piedi, stirandosi la schiena dolorante
e allungando le braccia verso l’alto. Un sonoro crack le
giunse alle orecchie quando si sciolse le ossa delle spalle, rimaste
intorpidite per il freddo. Aveva i piedi congelati e temeva di essersi
presa un accidente alla gola che sentiva roca e secca.
Addosso
aveva ancora i pantaloni e la camicia di seta che usava per la notte e,
cominciò ad aggiustarsi i capelli portandosi le ciocche in
disordine dietro le orecchie.
Quando
si voltò e vide la sua immagine flettersi nello specchio,
una morsa al cuore le strine il petto, procurandole un affanno simile a
quando percepiva le fitte di dolore al fianco destro, anche quello
indolenzito per via della serata passata sul pavimento.
Il
suo sguardo così simile a quello di lui. I loro occhi che
sembravano essersi mescolati da una stessa tonalità madre ma
averne data una completamente diversa come risultato. I loro corpi
così prontamente atletici e geneticamente agili, flessibili.
I loro capelli, chi color miele e chi caramello. Come aveva fatto a non
capirlo subito? Perché fin dal primo momento in cui si erano
incontrati, ovvero nel salone della Dimora nel regno, durante il suo
viaggio verso Acri, non l’aveva riconosciuto subito?
Semplice, si disse. Perché Gabriel somigliava tutto a sua
madre che nessuno dei due aveva mai conosciuto, mentre Elena era
l’esatta copia di Kalel ma al femminile. Erano rimasti
separati per così tanto tempo da non potersi riconoscere con
un solo sguardo… Cosa aveva ottenuto fuggendo da lui?
Chissà quale vuoto gli aveva procurato in petto, si chiese,
perché Gabriel non poteva immaginare che fossero fratelli, e
forse, Elena aveva fatto la cosa giusta. Eppure, non trovò
la forza di credere che potesse essere davvero lui suo fratello. Che
l’uomo di cui Gabriel gli aveva parlato fosse Tharidl, che
quella notte era entrato nelle stanza comune degli orfani e aveva
sottratto a quel povero bambino ciò che aveva di
più caro.
Non
riuscì a tollerare un istante di più a guardarsi
in quello specchio.
Elena
si voltò e lasciò di corsa la sua stanza. Priva
dei suoi indumenti e completamente scalza, scese le scale del salotto
senza destare attenzione alle tre Dee che facevano colazione allo
stesso tavolo della sera prima
La
giovane assassina schizzò attraverso il corridoio sul quale
affacciavano le stanze degli Angeli, che la fissarono sbigottiti, e
proseguì oltre fino alla rampa delle scale che passavano per
la torre. Una volta al piano terra, non prese fiato e si
lanciò dritta allo studiolo del Maestro, pedinata dagli
sguardi sbigottiti delle guardie dal cappuccio grigio.
-Elena?-
una svista fugace prima che la ragazza sparisse dietro una colonna, e
Altair le andò dietro.
Fortunatamente
Elena giunse a destinazione prima che il suo insegnante potesse
fermarla, e arrestò la sua corsa contro il tempo di fronte
alla scrivania del vecchio.
Tharidl
sollevò gli occhi dalla pergamena sulla quale stava
scrivendo e li piantò in quelli spalancati della giovane.
–Posso fare qualcosa per te, Elena?- chiese con voce soave.
La
Dea avanzò di un passo, e avvertì Altair farsi da
parte alle sue spalle.
-Sì-
sibilò lei.
Il
Gran Maestro poggiò la penna accanto al barattolo
dell’inchiostro. –Dimmi pure- fece tranquillo.
-Gabriel-
mormorò flebile la ragazza, e i capelli le si pararono di
nuovo davanti al volto.
Tharidl,
al suono di quel nome, parve irrigidirsi, e la tranquillità
scomparve dal suo viso tramutandosi in un’espressione di
estremo sgomento.
-Gabriel…
ditemi che è lui, ve ne prego…- aggiunse Elena.
Tharidl
guardò oltre di lei, dietro di lei, dove dal buio delle
colonne si fece avanti l’assassino suo maestro. –Le
hai detto qualcosa?!- sbottò Tharidl alzandosi di colpo.
Altair
si fece avanti. –Nulla- si difese. –Piuttosto
è ora che sappia la verità, e le vostre prove su
di lei si sono concluse. Non c’è bisogno che le
venga tenuto nascosto ancora. Non capisco quest’inutile
spargimento di lacrime- digrignò.
-Il
mio è un ennesimo rifiuto. Non è ancora pronta-.
Le
bastarono quelle parole, dette dal vecchio Tharidl, a colmarle il cuore
di un nuovo dolore. Il dolore di non essere pronta, pronta a cosa, poi?
Eppure l’aveva sempre saputo che i momenti di
verità, piccoli o grandi che fossero, sarebbero stati troppo
pungenti perché riuscisse ad affrontarli di petto. E Tharidl
faceva bene a nasconderle tutto. Infondo, non era pazzo come molti
credevano.
Com’era
venuta, Elena lasciò lo studiolo accorrendo sulle scale,
ripercorrendo lo stesso percorso che aveva fatto venendo. Qualcuno la
chiamava, ma Elena non si voltò e proseguì dritta
verso i corridoi.
Stava
impazzendo, letteralmente impazzendo. La prova carnale furono le
lacrime che le salirono agli occhi, mentre le sue gambe sembravano
andare da sole conducendola chissà dove.
Perché
stava fuggendo di nuovo? Semplice, per lei era un peso troppo grande.
Ma di cosa stava parlando? Ulteriormente semplice, stava impazzendo.
Non
sarebbe mai dovuta correre dal Maestro, non avrebbe mai dovuto
interrompere le sue scritture e non avrebbe mai dovuto allacciarsi al
collo quella collana, e forse quella mattina sarebbe trascorsa in un
modo differente. C’era qualcosa che la spingeva a rifiutare.
Qualcosa che nel più profondo del cuore le sussurrava che
non voleva, non doveva sapere. Si era complicata fin troppo la vita, e
come le era capitato una volta di pensare, era ben contenta che Tharidl
si tenesse per sé il nome di suo fratello. Ma chi voleva
prendere in giro? Ormai era ovvio che si trattasse di Gabriel.
L’unica che negava l’evidenza era proprio lei, che
si ostinava a fuggire più che combattere. Che invece di
mostrare i denti, girava i tacchi e voltava le spalle ai problemi della
sua vita tormentata senza affrontarli. Ma il bello era che, se aveva
voglia di affrontarli, li affrontava da sola, e non sopportava di avere
qualcuno affianco, di sentirsi debole, di essere sostenuta da qualcuno
che l’avrebbe sempre vista con l’occhio di chi
è superiore.
-Elena,
fermati!- urlò Altair ai piedi delle scale.
-Ho
cambiato idea! Non voglio saperlo, non voglio saperlo!- rispose lei
affacciandosi dal corrimano.
-Ti
sbagli. Hai bisogno di lui!- ribatté andandole incontro.
-No!
Io non ho bisogno di nessuno!- aveva gridato, aveva chiesto che tutti
la sentissero.
Aveva
vissuto abbastanza allungo circondata da assassini, unica donna tra
centinaia di uomini, e lei non aveva bisogno di nessuno. E suo padre
aveva scelto quella strada per lei, consegnandola alla setta,
insegnandole ad usare una spada fin da bambina. Fatica sprecata, si
disse, se avesse ritrovato suo fratello.
Ed
in fine, inevitabile, era scoppiata in lacrime, gettandosi a terra e
sedendo rannicchiata con le ginocchia al petto sulle scale. In quella
posa da gatto bastonato, dagli occhi arrossati di chi ha ancora troppo
per cui piangere.
Altair
le si adagiò affianco e la cinse le spalle. Elena si
lanciò al suo collo sfogando sulla sua veste tutti i gemiti
e singhiozzi. Era ora di finire l’acqua di quella fontana e
cominciare a piangere di gioia, si disse. Aveva trovato suo fratello,
un pezzo della sua famiglia, e lei era lì a disperarsi tra
le braccia del suo maestro per il semplice motivo che era troppo
orgogliosa??? Questa è solo deficienza.
Elena
benedisse il giorno in cui Tharidl le aveva dato una spalla su cui
piangere, ovvero quella del miglior assassino della confraternita.
-Vieni-
Altair l’aiutò ad alzarsi, sostenendola per il
fianco sano. -Coraggio, leviamoci da qui- le aveva sussurrato
dolcemente, placando il suo animo lo stretto necessario per realizzare
che una dozzina di incappucciati li fissavano senza parole.
Il
suo maestro l’aveva accompagnata fino nella sua stanza, dove
Elena fu contenta di trovarvi Rashy, che aveva gli artigli stretti
attorno allo schienale della sedia della scrivania. Le finestre dietro
lo scranno era chiuse e ancora avvolte dalle tende, che filtrando
pochissima luce conferivano alla camera un aspetto lugubre e buio.
Altair
la fece sedere tra i cuscini accanto all’armadio.
–Resta qui- le disse, poi uscì lasciandola sola
con la sua falchetta personale.
Elena
ascoltò i suoi passi perdersi nel corridoio, e quando la sua
figura si fu dissolta dietro l’angolo, la ragazza si
sollevò e andò verso la scrivania.
Vi
si appoggiò del tutto, affranta, stanca, priva di forze
anche per camminare. Alzò appena gli occhi e
incontrò lo sguardo sempre fiero e attento
dell’aquila dalle piume argento.
La
Dea aggirò il tavolo e andò a sistemarsi sulla
sedia, dalla quale Rashy si scansò saltando sul ripiano.
Elena
si mise a braccia conserte sulla scrivania, ma dopo poco
lasciò cadere la testa in avanti poggiando la fronte su di
esse. E il buio divenne ancora più buio, mentre alla gola le
saliva lo stimolo ad un nuovo pianto.
Sentì
la prima e l’ultima lacrima scivolarle sulla guancia ed
infrangersi sul legno del tavolo, mentre le sue spalle si alzavano e si
abbassavano nel tentativo di calmare il respiro affannato.
Le
parve fosse trascorsa un’eternità quando Altair
ricomparve nella stanza chiudendo la porta.
Elena
rimase com’era, con il volto nascosto tra le braccia
incrociate poggiate sulla scrivania; piuttosto ascoltò come
il suo maestro poggiava sul tavolo un piccolo vassoio di legno.
-Fa’
almeno colazione- proferì serio.
La
ragazza trovò il coraggio di sollevare gli occhi arrossati e
rivolgerli in quelli scuri e celati dal cappuccio di lui. Poi, dal viso
del suo maestro, che la guardava con immensa fermezza, Elena
spostò lo sguardo alla tazza di the e ai biscotti di grano
duro adagiati sul vassoio.
-Perché
mi avete portata qui?- domandò, e la sua stessa voce le mise
paura.
-Nessuno
verrà a disturbarti, qui. Fin quando non mi dirai che cosa
ti mette tanto terrore, non lascerai questa stanza-.
-Voi
lo sapevate- sibilò lei tornando a poggiare la testa sulle
braccia. –Sapevate chi era…- tirò su
col naso. –E non me l’avete mai detto…-.
-Sì,
lo sapevo; Tharidl mi parlò di questo e altro non molto
tempo fa. Ma mi sono fidato di lui credendo nel fatto che egli ti vuole
un gran bene, più di quanto immagini, Elena, e allo stesso
modo di come te ne vorrebbe tuo padre. Ti prego di perdonarmi se mi
sono intromesso nelle vostre faccende, ma vederti così
sofferente è un male intollerabile- confessò.
Quella
volta non era frutto della sua immaginazione, si disse, il suo maestro
stava davvero ammettendo di provare fastidio nel vederla afflitta dal
dolore.
-Non
mi serve la vostra compassione- brontolò lei.
-Ancora
insisti con questa storia?- sbottò l’assassino
venendole affianco. –Davvero sei così stupida?-
aggiunse.
Elena
sollevò la testa d’un tratto, offesa da quelle
parole.
Poteva
darsi della stupida solo da sola, chiaro?! Non permetteva a nessun
altro di darle della pazza o della deficiente che non fosse
sé stessa! Chiaro?!
-Elena,
Dio! È tuo fratello!- le prese il viso tra le mani.
–Ora dimmi di che cosa hai paura! Dimmelo!-.
-Io…-
mormorò.
Il
suo maestro rinunciò alla svelta, scansandosi
improvvisamente e andando verso la porta. –Ah! Il bello di
tutto questo è che non mi bastano i miei problemi, ma devo
gettarmi anche in quelli di una ragazzina fuori di testa!- si
massaggiò il collo.
-Mi
spiace causarvi tanti malanni- trovò il coraggio di dire, e
Altair si voltò stupito. –Ma non siete obbligato
ad essere in pena per me; come vi ho detto, non mi serve la vostra
compassione. Me ne sto bene per i fatti miei, e forse avete ragione:
non sareste dovuto intervenire- sussurrò.
-Basta!
Avanti, dammi quella collana- Altair allungò una mano verso
di lei. –Forza, dammela-.
Elena
sobbalzò sulla sedia. –Cosa volete farne?-.
-La
restituirò di persona al legittimo proprietario
nascondendogli la verità. Dirò a Gabriel di
dimenticare la vostra conversazione e di starti lontano, e poi vedremo
se ti sentirai meglio- sbottò. –Sono stufo di
questa storia, che si sta protraendo oltre il dovuto. Sono ulteriori
distrazioni, come disse Tharidl, che non ti lasceranno pace. E devi
essere pronta-.
-Pronta
a cosa?- chiese.
-Dammi
quella collana!- sbraitò.
-No!-
ruggì lei.
-Obbedisci!-.
-No,
no!- gemé chiudendo gli occhi.
-Lo
faccio per il tuo bene! Elena, dammi quella collana!-
insisté.
Era
come esser puniti. Come venir privati della propria libertà
e rinchiusi nelle proprie stanze perché si aveva rubato un
biscotto o rotto un prezioso vaso di casa. In quel momento Altair aveva
il ruolo di colui che la stava punendo, sottraendole qualcosa cui
teneva molto e da cui neppure nei suoi incubi peggiori aveva sognato di
separarsi.
Nonostante
ciò, nonostante la gravosa voglia di combattere la sua
richiesta, Elena afferrò il ciondolo da sotto la sua maglia
e se lo tolse dal collo tirandolo con violenza. Il filo cedette e si
spezzò, poi la ragazza si alzò e strinse
convulsamente le dita attorno al ciondolo.
Altair
la osservò in silenzio, ed Elena gli andò
affianco tenendo il suo sguardo.
Quando
gli fu abbastanza vicino, alzò il braccio e, prima che
Altair potesse afferrarla, lasciò che la collana cadesse a
terra.
Non
aggiunse altro e abbandonò quella stanza al silenzio di
Rashy e il suo padrone, che tacque ammutolito di tale gesto.
Sboccò
nel corridoio e non si sorprese di trovare Marhim davanti alle scale
per gli alloggi delle Dee.
-Ele…-
sbigottito, il ragazzo non riuscì a terminare che Elena lo
afferrò per mano trascinandolo verso il piano di sopra.
-Elena,
che sta succedendo?!- domandò mentre attraversavano il
salotto comune, dove non vi era ombra di nessuna delle tre donne.
Elena
proseguì spedita fino nella sua stanza e lo fece sedere sul
letto.
Marhim
s’irrigidì guardandosi attorno terrorizzato.
–Halef mi ha detto che mi avevi cercato- balbettò.
La
ragazza raggruppò tutte le parti della sua veste da
assassina e si vestì in fretta, lì, davanti a
lui. –Sì, infatti: dove sei stato, eh?-
brontolò allacciandosi la cintura di cuoio alla vita.
Marhim
si strinse nelle spalle. –Sempre nel solito posto, dove
speravo tanto che saresti tornata anche tu- brontolò.
-Il
solito topo di biblioteca- rise lei armandosi di tutto punto.
-Che
cosa stai facendo?- mormorò Marhim indicandola.
–Non avrai intenzione… ma che diamine, Elena!-
proruppe improvvisamente.
-Stupido,
non hai capito! O meglio- gli lanciò un’occhiata.
–Halef non ti ha detto nient’altro?- chiese.
-Che
cosa avrebbe dovuto dirmi?- scattò in piedi, avvicinandosi a
lei.
-È
una storia lunga- si avviò fuori dalla stanza e Marhim le
venne dietro. –Te la racconto mentre andiamo- disse seria
scendendo le scale.
-Andiamo
dove?- sbottò il ragazzo seguendola.
-Adesso
vedrai!- gioì l’assassina accelerando il passo ad
una corsa lenta.
Marhim
sbuffò e prese un’andatura più svelta.
Elena
corse sulle scale della fortezza e nella sala d’ingresso,
raggiunse il cortile interno e andò oltre, fuori dalle mura
della roccaforte, fino alle strade affollate della cittadella.
Marhim
alle sue spalle non reggeva più, ed Elena si vide costretta
a rallentare.
-Da
cosa… stai scappando questa volta?- domandò col
fiato corto quando l’ebbe raggiunta.
Elena
allungò le labbra in un sorriso. -Potrà sembrarti
assurdo, ma ho trovato mio fratello- disse d’un fiato.
-È
da lui che stiamo andando?- chiese sorpreso.
-No,
è da lui che sto fuggendo- si apprestò ad
aggiungere.
-Cosa?!
Vuoi andare via così? Elena, io non ti capisco!
Perché?- tentò di fermarla, ma Elena si
divincolò dalla stretta e ricominciò a correre.
-Vieni,
avanti!- gli gridò scomparendo tra la folla.
La ragazza si
sporse dalla sella, allungando uno sguardo allo strapiombo che si
gettava nel lago, le cui acque calme e scure erano attraversate dai
fasci dorati della luce del sole.
Marhim,
al suo fianco e seduto chino sulla sella, sbuffò.
–Che cosa c’è, ora?- chiese.
Elena
smontò lentamente e si avvicinò al bordo del
precipizio.
Marhim
sgranò gli occhi lanciandosi giù dal cavallo.
–No, Elena, no!- strillò correndo verso di lei e
afferrandola per i fianchi. –Non risolverai nulla
così, che cosa ti salta in testa?!- le disse stringendola a
sé.
-Sciocco,
non voglio ammazzarmi!- rise lei.
-Ah
no?- mormorò il ragazzo allontanandola appena dal suo petto.
–E allora perché siamo qui?-.
Elena
sfuggì al suo sguardo scansandolo via delicatamente.
–Avevo già in mente di andare a dare
un’occhiata parecchio tempo fa, ma solo oggi è il
giorno giusto- sussurrò tornando vicino all’argine
della roccia.
-Di
cosa stai parlando?- Marhim si riscosse. –E comunque voglio
sapere cosa sta succedendo! Hai detto di aver trovato tuo fratello, no?
Ci hai parlato? Chi è? Ora dov’è?-.
Elena
soffocò una risata. –Smettila, ora non
è importante-.
-Come
fai a dire una cosa simile?!- le tornò accanto.
–Elena, guardami- le prese il volto tra le mani.
–Che cosa hanno messo quelle tre nel tuo the, sta mattina?
Notato per caso strane polveri bianche…-
pronunciò serio.
Elena
scoppiò a ridere piegando la testa all’indietro.
–No, ma che dici!-.
-Questa
è di per sé una risposta- brontolò lui.
-Forza,
vieni con me- disse la ragazza calandosi giù dal pendio.
-Ragazzina
fuori di testa, cosa stai facendo?!- Marhim sbiancò
fissandola mentre si arrampicava agile sulla roccia dello strapiombo,
che in quel punto si gettava solo per una ventina di metri per poi
raggiungere le acque del lago.
-Elena!-
la chiamò ancora.
-Dai!-
lo canzonò lei raggiungendo una sporgenza abbastanza spessa
su cui sostare seduta. Si guardò attorno e alzò
gli occhi fermandoli su di lui.
Marhim
indugiò sul da farsi. Non sembrava complicato, e poco
più in basso, lo vide chiaramente, c’era una
specie di sentiero naturale scavato tra la roccia che li avrebbe
condotti vivi fino alla meta ignora cui era diretta Elena.
Prese
un gran respiro profondo e raggiunse la sua amica attento da dove
mettesse i piedi. Le radici degli alberi s’intricavano tra le
pietre della scogliera solo nel breve tratto iniziale. Verso la fine
della parete, invece, gli unici appigli verdi divennero il muschio
scivoloso e i rampicanti troppo fragili.
Elena
atterrò piegando le ginocchia e aiutò Marhim a
compiere quel piccolo saltello che li aveva portati fin al sentiero.
-Credo
di capire dove mi stai portando- bofonchiò il ragazzo
seguendola.
La
Dea gli fece strada dove la roccia del sentiero diventava
più stretta, in alcuni punti a tal punto fina che dovettero
appiattirsi contro la pietra della parete e riuscire a non guardare di
sotto.
Quando
il sentiero si concluse, Elena intravedeva già
l’arrivo, ma nell’istante in cui furono costretti
ad arrampicarsi in orizzontale, il fianco dolorante prese a pulsare
mandando le solite fitte odiate.
Attraversarono
un tratto paludoso di rena e finalmente giunsero al livello della costa.
-Che
avventura, eh?- sorrise voltandosi.
-Il
bello è che non è ancora finita!- Marhim,
distrutto e col fiato corto, si piegò appoggiandosi alle
ginocchia. –Non sono… più abituato-
eruppe.
-Già-
ridacchiò la ragazza. –Forza, ci siamo quasi!-
gioì percorrendo di corsa il profilo della spiaggia.
-Va’
avanti!- le gridò. –Io ti raggiungo…-
si accasciò al suolo colpito da un improvviso crampo al
polpaccio destro.
Elena
aveva un sorriso luminoso stampato in volto, e per l’arco di
quella giornata nessuno glielo avrebbe strappato via. La fatica per
raggiungere quel luogo era stata abnorme, sia fisicamente che
mentalmente aveva sempre desiderato vederlo. Ed ora che al suo collo
non pendeva più la collana di Alice, aveva trovato
l’ottimo pretesto per farvi visita.
Era
un grotta sommersa per più della metà, e per
avventurarvisi all’interno avrebbe dovuto passare un tratto
sott’acqua, oppure aspettando la bassa marea. Ma aveva
aspettato abbastanza, si disse.
Marhim
vegliava su di lei seduto a pochi metri, e la ragazza
cominciò a spogliarsi delle sue armi o sarebbe andata a
fondo.
-Aspettiamo
la bassa marea!- suggerì lui alzandosi.
-Scordatelo!-
sbottò Elena lasciando cadere tra la sabbia grossa prima il
fodero della spada e poi le cinghie con gli astucci dei pugnali e la
lama corta.
Quando
si fu privata di tutti i coltellini da lancio e dei fardelli in
eccesso, si tuffò letteralmente in acqua. Una volta tra le
correnti aprì gli occhi che all’inizio le
bruciarono appena; tornò in superficie e
l’improvvisa ventata che le arrivò sulla faccia la
fece rabbrividire. –Non dirmi che non sai nuotare!- rise
galleggiando a peso morto.
-Macchè!-
fu la risposta del giovane, che imitandola, prese a slacciarsi il
fodero della spada e anche la cintura di cuoio. –Piuttosto,
per quanto tempo riesci a mantenere il fiato?- le chiese entrando in
acqua passo dopo passo.
Elena
si raddrizzò di colpo. –Perché?
È un pezzo tanto lungo?-.
-Non
lo so, non ci sono mai stato- Marhim lanciò
un’occhiata alla caverna sottomarina, ed Elena fece
altrettanto.
-Ma
ne varrà la pena- aggiunse lui guardandola.
-Che
stiamo aspettando?!- Elena sparì sott’acqua.
Un
brivido intenso le passò da parte a parte della schiena
quando la ragazza passò sotto il tetto della grotta, e
all’interno di essa l’acqua era più
fredda da rizzare i peli. Nonostante ciò, mantenendo
un’andatura regolare delle braccia e nuotando agilmente a
rana, Elena aggiunse la fine della traversata e riemerse prendendo una
boccata d’aria cui si riempì i polmoni.
Non
aveva faticato ad arrivare fin lì, anzi. Il tratto era stato
anche piuttosto breve, si disse.
Quel
posto era meraviglioso: a fare luce di pensava l’acqua
trasparente del lago che filtrava i raggi del sole illuminando
l’interno della caverna di una sfumatura verde marino
strabiliante, da lasciare senza parole. La roccia brillava del sale
depositato in essa, e sulle pareti si riflettevano i riflessi di questi
minuscoli granelli luminescenti. Le stalattiti e le stalagmiti
pendevano da entrambi i lati, conferendo al tutto
quell’aspetto lugubre e affascinate.
Marhim
comparve dietro di lei dopo poco, ed Elena lo afferrò per il
cappuccio tirandolo verso il bordo di pietra sul quale era seduta.
Il
ragazzo si aggrappò a lei che l’aiutò a
tirarsi su. –Allora?- chiese la Dea alzando il mento.
-Credo
che il silenzio valga più di mille parole in momenti simili-
mormorò lui seguendo il suo sguardo.
-Tu
leggi troppi libri; dovresti goderti la vita, la tua e non quella del
protagonista, ogni tanto- ridacchiò.
C’era
un minuscolo lucernario per l’aria, in alto a sinistra, dal
quale sembrava venir giù la radici di un albero o un
rampicante. Ma era talmente lontano, si disse, quindi il soffitto della
grotta doveva stagliarsi per chissà quanti metri in
verticale.
-Adesso
però devi vuotare il sacco- eruppe Marhim voltandosi, e i
suoi occhi nocciola balenarono in quelli cristallini della giovane Dea.
–Raccontami che cosa è successo. Chi è
tuo fratello?- aggiunse.
Elena
chinò la testa, stringendosi più vicina a lui.
–Gabriel- disse afflitta.
Marhim
sobbalzò. –E come l’hai scoperto?-
domandò con un filo di voce.
La
ragazza si passò una mano tra i capelli bagnati e
scompigliandoli. -Ieri notte è venuto a cercarmi dicendomi
che voleva indietro la sua collana. Mi raccontò che aveva un
ricordo di quando un uomo venne da lui mentre dormiva e gliela
strappò via dal collo. Solo mio fratello portava una collana
simile, e quando Tharidl gliel’ha strappata via per tenerla
per me, Gabriel ha sofferto molto. Da lì è stato
ovvio, ma sono corsa dal Maestro chiedendogli conferma, chiedendogli se
fosse effettivamente lui e rinfacciandogli che ce l’avevo
fatta a scoprirlo da sola. Eppure lui si ostinava ad assentire, a
tenermi ancora sul dubbio. Da una parte non lo biasimo…-
sussurrò. –Prima che potessi sentire di
più, sono scappata via, e Altair mi ha portato nella sua
stanza. Lì ha provato a farmi parlare, a chiedermi cosa mi
stesse succedendo più o meno come hai fatto tu…
io mi ostinavano ad assentire, ed oro io l’unica che non
voleva aprire gli occhi di fronte alla verità. Gabriel
sarà pure mio fratello, e ormai le prove sono schiaccianti,
ma io non lo sento così… non voglio che sia
così…-.
-Sei
completamente pazza se credi una cosa del genere!- le gridò
contro. –Siete legati da un patto di sangue, non puoi
rinnegare tuo fratello! Elena, perché butti via
un’occasione del genere? Sono più felice io per te
di quanto lo sia tu! Come fai a non renderti conto delle stupidaggini
che stai dicendo?- proferì furioso.
-Lo
so, sono solo una stupida…- sibilò staccandosi da
lui.
-Davvero
non ti capisco, Elena- bofonchiò il ragazzo guardando
altrove. –Ma vorrei tanto aiutarti-.
-Lo
stai già facendo. Il solo fatto che tu mi abbia accompagnata
qui mi aiuta molto, sai?- gli sorrise.
-Davvero?-
si commosse.
La
Dea annuì.
Marhim
curvò la testa da un lato, allungò una mano e le
accarezzò il collo.
Elena
s’irrigidì al passaggio delle sue dita sulla sua
pelle, mentre il suo cuore cominciava una corsa folle.
-Dov’è
la collana?- domandò lui spostando il lembo della veste che
le copriva la parte alta del petto.
Elena
sfuggì al suo sguardo. –L’ho ceduta ad
Altair, che si è preso l’incarico di riconsegnarla
a Gabriel…- disse flebile, e come se l’avessero
appena messa sotto un carro, le sue spalle si piegarono schiacciate da
un peso intollerabile. Il solo pensare a quello che aveva fatto nelle
ultime 12 ore era una tortura.
-Cosa?-
fece Marhim ritraendo il braccio. –Scherzi, vero? E
perché?- sbottò tornando arrabbiato.
-Ho
scelto così, è meglio così…
almeno fin quando non mi sentirò pronta-.
Marhim
aggrottò la fronte. –Pronta a cosa?!- chiese
sbigottito.
Elena
a quel punto tacque. Si era fidata ciecamente delle parole di Tharidl
quella mattina, quando il vecchio aveva gridato che “non era
ancora pronta”. Se il suo Maestro voleva questo per lei
c’era un motivo, e un giorno di quelli sarebbe venuto tutto a
galla, se lo sentiva.
-Fatto
sta che non capisco cosa ci sia di sbagliato in Gabriel che non ti va a
genio- s’interrogò lui.
-Nulla,
in Gabriel non c’è nulla di sbagliato! Sono io il
problema, Marhim, ed è soltanto colpa mia. Non
c’è nulla che possa fare per rimediare, ormai sono
segnata, sono stata forgiata così! Mi sento come una spada
che, nonostante abbia la lama incrinata, viene utilizzata ancora e
ancora! Non sopporto di essere quello che sono, non sopporto di restare
sola, non sopporto di non avere nessuno affianco, ma
Gabriel… lui non cambierà le cose- lo
fissò negli occhi.
-Tutto
questo giro di parole per dire?- domandò Marhim alzando un
sopracciglio.
A
quel punto fu inevitabile, non riuscì a fermarsi e,
allungandosi verso di lui, le sue labbra si scontrarono con quelle
dell’assassino.
Restarono
immobili, in quella posa, immortalati per sempre tra la roccia di
quella caverna. Nessuno dei due azzardò la prima mossa, e
restarono così allungo.
Chissà
con quale coraggio, fu Elena a prendere l’iniziativa e, senza
interrompere il bacio, si avvinghiò a lui facendo aderire
completamente il corpo umido al suo, ma Marhim
s’irrigidì oltremodo.
Baciandolo,
Elena sentiva il sapore dell’acqua del lago sulle sue labbra,
che cominciò a mordicchiare appena coi denti bianchi.
Marhim
non riuscì a muoversi e il cuore di entrambi batteva a mille
al minuto.
Elena
alzò una mano sul suo viso accarezzandogli dolcemente il
sottile strato di giovane barba sulle guance, e a quel tocco Marhim si
rilassò del tutto.
Le
sue braccia si strinsero attorno ai fianchi di lei, unendola
ulteriormente contro di sé, ed Elena si mise a cavalcioni
sulle sue gambe.
Elena
si staccò riaprendo gli occhi lentamente.
-Era
già tutto programmato?- domandò Marhim in un
sussurro, il viso così vicino a quello di lei che sentiva il
suo respiro infrangersi sulle labbra schiuse. Le sfiorò la
schiena con le dita.
Elena
scosse la testa, ed un istante dopo tornò con la bocca sulla
sua.
O____________________________________O
Cristo, non mi
sono accorta che sono esattamente due capitoli che non scrivo
ringraziamenti, e questa cosa è intollerabileee!!! Ebbene,
tendo a precisare che… stavo scrivendo come una matta e non
vedevo l’ora di postareeee!!! E poi sapete che vi voglio un
mondo di bene solo perché avete aggiunto la mia ff ai vostri
preferiti.
Grazie a tutti
voiiii
Saphira87
goku94
Lilyna_93
Carty_Sbaut
Angelic
Shadow
Assassin
Diaras
X
gli ultimi 3 della lista: appena avete un momento
libero… cioè, la recensione ci scappa, no? XD
Scherzo, scherzo. Scommetto che avete le vostre buone ragioni per
tacere, e non vi biasimo!
X
Saphi: eeeeeh (sospiro) che dire. Ho rinunciato al
rapporto allieva-maestro. Proprio non ce li vedevo, anche se ti
prometto che qualcosa di toccante potrebbe anche succedere, non lo
nego… però il cuore di Elena apparterà
per sempre al piccolo ed innocuo Marhim (che dopo tutto, ha vinto la
sfida contro Rhami XD Si vedrà come mi divertirà
nei prossimi capitoli, che si preannunciano… calmi, ma fino
ad un certo punto).
X
goku: quanto sono bastard, vero? Insomma, non nego che mi
sia venuta la schizzo-idea di postare dopo che tu avessi lasciato la
rece al capitolo precedente! Ma così davvero mi sembrava
troppo crudele. Quindi, fammi sapere che ne pensi di entrambi i chappy
in una rece unica, te lo concedo, ma su msn ti bombardo di emoticon
incaz****!!! XD Scherzo, ovviamente… <.<
Ed ora?!?!?
Ovvio,
è tutta da vedere dato che arrivata a questo punto della
storia non ho assolutamente idea di come finirà o
andrà avanti! Vi confesso che inventerò tutto sul
momento, tranne un’altra piccola parte ma davvero
insignificante che ho buttato su carta quando ho iniziato a scrivere
questa ff. Nel complesso, fate sentire la voce del popolo e che le
vostre recensioni superino le 3 righe ç___ç XD
Ovviamente, il mio umorismo non ha mai fine! Tanto da un capitolo di
sole 8 pagine non posso pretendere roba tanto larga. Per quanto
riguarda chiarimenti e appunti vari, eccovi una giovane lista:
1.
Lo ammetto, quando penso ad Elena, penso di aver creato un
personaggio davvero stronzo e bastardo, demente e parecchio stupido.
Però mi piaceva l’idea che avrebbe dato la collana
a suo fratello restando nell’anonimato. Se pensate che sia un
comportamento assurdo, vorrei che me lo sbatteste in faccia nella
recensione, grazie.
2.
Marhim, classico topo di biblioteca, è verginello
poverino, ma anche se non l’ho mai menzionato, il ragazzone
ha una ventina d’anni. Non sembra, lo so… ma che
aggiungere? Be’, anche Elena lo era… prima di
quest’ultima scena… muhahahahahah XD
3.
Chissà, chissà se Altair
darà davvero la collanina al piccolo Gabriel!!! XD e
chissà se terrà la bocca chiusa!!!
4.
A proposito di Altair: stava spiando Adha che parlava con
Tharidl perché qualcosa di losco si sta muovendo nella loro
relazione… e non si tratta del pargolo.
5.
Ah-ah! Pensavate che Elena si volesse suicidare, sporgendosi
dal precipizio, vero?!?!? E invece no! Devo dire che…
all’inizio l’idea era allettante … e
arriva Marhim che la salva! XD
6. Come potete notare, ho trovato un carattere di
scrittura molto più carino!!! XD
7.
>.> credo di aver detto tutto.
8.
Recensite!!!
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Capitolo 39 *** Fayium, dalla Siria all'Egitto ***
Faiyum,
dalla Siria all’Egitto
Adha
richiuse la porta all’istante, ma Altair la fermò
poggiando una mano su di essa. –Aspetta- disse tranquillo.
La
donna lo fissò con rabbia. –Cosa vuoi?-
sbottò irritata.
-Voglio
solo parlarti- proferì serio.
-Non
ci credo- arrise maliziosa.
-Allora
non è un problema mio. Posso entrare?- chiese educatamente.
Adha
esitò, lanciando un’occhiata alle spalle
dell’assassino, poi indietreggiò e lo
lasciò entrare.
-Grazie-
sorrise soddisfatto mentre lei richiudeva la porta.
-Perché
sei qui?- sibilò osservandolo muovere alcuni passi su e
giù nella stanza.
-Ti
ho sentita parlare a Tharidl di una nave- la fulminò con uno
sguardo, ma Adha rimase impassibile.
Altair
le venne di fronte. –Posso sapere che cosa ti sta succedendo?
Ultimamente sei…- le accarezzò i capelli
–distante - commentò soave.
Adha
scansò la sua mano lentamente, chinando la testa.
–Perdonami, ti prego di perdonarmi-.
Sul
volto dell’assassino comparve un’espressione
confusa. –Di che parli?-.
Adha
alzò i suoi occhi verdi in quelli neri e profondi di lui.
–Me ne vado, Altair, devo partire-.
Gli
ci volle del tempo per realizzare a pieno quelle parole, ma quando il
senso venne lui, Altair fu sul punto di crollare. Aprì bocca
ma non riuscì a proferirne suono.
Adha
indietreggiò allontanando il suo sguardo alle spalle di lui,
che si voltò.
C’era
una valigia riposta sul grande letto a baldacchino. Era chiusa, piena e
pronta. Era la valigia con la quale Adha era tornata alla fortezza una
piovosa notte di quell’autunno.
-Non
può essere- mormorò lui sbigottito.
–Perché?- ruggì a denti stretti.
Adha
si avvicinò al letto, e nella stanza fecero il loro ingresso
Luisa e Lily.
-Signora-
le due s’inchinarono, e la più giovane tre le sue
damigelle afferrò la valigia.
-Il
vostro cavallo è pronto, Adha, e attende nelle scuderie- la
informò Luisa seria in viso.
Adha
chinò il capo. –Grazie, sarò
lì a breve- disse, e le due, come erano venute, se ne
andarono.
Lo
sguardo della donna incontrò quello sconvolto
dell’assassino. -Sono stata via troppo tempo, Altair, e
tornando qui ho fatto solo il più grosso sbaglio della mia
vita. Devo andarmene prima di peggiorare le cose- assentì
avviandosi verso la porta.
Altair
le andò incontro, sbarrandole il cammino. –Adha,
non farlo- gemé.
-Non
posso!- la donna ricacciò le lacrime, ma una di esse le
scivolò sulla guancia e si sveltì nel farla
sparire passandovi la manica del vestito –Ho una famiglia, in
Italia, Altair. Sono stata via tutti questi anni e lì ho
trovato la mia vera casa. È lì che devo tornare,
dai miei figli, da mio marito!- pianse. –Ti prego, non
rendere tutto più difficile- la sua voce incrinata dalla
tristezza venne fuori.
-Perché
sei tornata? Se non mi hai mai amato perché sei tornata?!-
digrignò lui non riuscendo a contenere la rabbia.
-Volevo
dirtelo- pronunciò affranta. –Sono tornata con
l’intenzione di raccontarti la verità, tutta la
verità…-.
-E
che cosa ti ha fermata se non l’amore che provi per me?-
sibilò sfiorandole una guancia, ma Adha fermò la
sua mano stringendola nella propria.
La
donna intrecciò le sue dita a quelle di lui. –Non
capisci quanto mi dispiace averti imbrogliato così? Mi sento
una stupida, e non ti biasimo se sei arrabbiato, ne hai tutti i motivi!
Ma ti supplico di capirmi…-.
Altair
alzò il mento. –Bambini, hai detto?-.
Lei
annuì. –Perdonami se non ho trovato il coraggio di
parlare, ma la gioia di rivederti è stata tale da cancellare
ogni mio briciolo di coscienza-.
-Gioia?
Tutto qua?- sgranò gli occhi. -E quella notte che ci siamo
amati? Quando mi hai chiesto di avere un figlio da me! Anche quella era
solo gioia?!- le disse furioso.
La
donna tacque, ammutolita, spaventata. –Ti prego-
bisbigliò.
-Che
cosa dovrei fare ancora, spiegami? Starmene con le mani in mano e
lasciarti andare così? Hai una minima idea di come mi
senta?!- la strinse per le spalle.
-No,
non riuscirei mai ad immaginare, ma ti scongiuro: lasciami andare-.
L’assassino
respirava con affanno, stringendo forse troppo forte la presa sulle
fragili ossa della sua amata. I suoi occhi persero quel vigore furioso,
mentre i suoi muscoli si rilassavano poco a poco. Possibile che le
fosse così semplice dirgli addio? La gioia della sua vita,
l’unica che avesse mai provato davvero, gli stava scivolando
via dalle mani come sabbia, andando a consumarsi in terre lontane.
Altair
l’abbracciò di colpo, sovrastandola con la sua
figura e poggiando una guancia sui suoi capelli corvini.
–Dimmi che stai scherzando, dimmelo…-
mormorò.
-Temo
di no- lei si strinse a lui affondando il volto nell’incavo
del suo collo. –Temo proprio di no- rispose afflitta.
Altair
risalì la sua schiena con una mano fino a raggiungere la
nuca, le alzò il viso e fece per baciarla, ma Adha
girò la testa da un lato, mostrando la guancia bianca.
-Ti
ho chiesto di non rendere tutto più difficile- disse seria,
voltandosi a guardarlo negli occhi. Dopo un istante di silenzio che
parve infinito, Adha si alzò sulle punte dei piedi e
raggiunse con le labbra l’orecchio dell’assassino,
che continuava a stringerla tra le sue braccia.
-Ma
sappi- gli sussurrò –che porterò sempre
una tua piccola parte dentro di me- e detto questo, si
allontanò da lui.
-Prenditi
cura di Elena- mormorò, poi le loro mani si staccarono, ed
Adha si dileguò nel buio, scattante verso le scale.
Già
in quello aveva fallito, si disse lui.
-Halef-.
-Sì,
Maestro- il ragazzo s’inchinò.
-Potresti
farmi un favore, prima che tu vada?- chiese il vecchio senza
distogliere l’attenzione alle pergamene che stava leggendo.
-Certamente-
fece disponibile.
Tharidl
intinse la penna nell’inchiostro e, dalla lettura,
passò alla scrittura. –Vorrei che chiamassi qui da
me sia Altair che la sua allieva, se ti è possibile
trovarli-.
-Subito,
Maestro?- domandò aggrottando la fronte.
L’uomo
annuì, ed Halef lasciò lo studiolo scendendo di
corsa le scale.
All’ingresso
della sala trovò di fortuna alcuni assassini, tra i quali
riconobbe Rhami. –Avete visto Altair?- chiese loro.
Questi
scuoterono la testa, poi Halef si rivolse esclusivamente al ragazzo
dagli occhi di ghiaccio. –E tu, sai dove posso trovare
Elena?-.
Rhami
si strinse nelle spalle. –Non ne ho idea, e onestamente non
m’importa-.
Halef
riprese la sua ricerca, raggiunse prima la biblioteca ma non vi
trovò nessuno, e poi si diresse agli alloggi più
alti della fortezza.
Camminando
tranquillo per il corridoio, arrestò il passo
improvvisamente, si girò di lato e fu sorpreso di trovare la
porta della stanza di Adha spalancata. Ma ancor più colpito
di intravedervi all’interno, solo e abbandonato, il grande
Altair, seduto su una sedia vicino al cornicione della finestra.
Halef
bussò sulla porta già aperta e fece un passo
dentro la camera.
Altair
gli volse appena un’occhiata, prima di tornare a fissare
l’orizzonte fuori dai vetri puliti.
Non
l’aveva mai visto così affranto, ma Halef
cercò di rientrare piuttosto nel suo ruolo.
–Mastro Altair, Tharidl desidera vedere voi e la vostra
allieva, al più presto possibile- dichiarò serio.
-Non
so dove ella si trovi- mormorò lui. –Per quanto mi
riguarda, sarò da lui a breve- sospirò.
-Bene,
ma per caso, Altair, avete visto Marhim questa mattina?- chiese.
L’assassino
alzò il volto, ma l’ombra del suo cappuccio si
allungò oltremodo sui suoi occhi. –No, pensavo
fosse con lei- proferì.
Halef
ci pensò poco prima di giungere alla schiacciante
conclusione, e assieme a lui, anche Altair assunse
un’espressione ansiosa.
-Credete
che…-.
-Spero
per Elena che non sia così!- sbottò alzandosi e
uscendo di corsa dalla stanza.
-Forse…-.
-Taci-
si apprestò a dire Elena, mentre la sua bocca si spostava
agli angoli di quella del ragazzo.
-Non
è una buona idea- provò a dire, ma
l’assassina non gli lasciò tempo di aggiungere
altro privandolo del cappuccio.
-Non
qui- aggiunse insicuro, ma Elena non diede pane alle sue paure.
Piuttosto portò le mani all’altezza della fascia
rossa e cominciò a scioglierla dai fianchi di lui. Con
sveltezza lo denudò della parte superiore della veste,
sorprendendosi della muscolatura che certo non si aspettava da un topo
di biblioteca.
-Reagisci,
non fare il tozzo di legno- ridacchiò lei ammirandolo.
-Tozzo
di legno? Elena, sto morendo di freddo!- sbottò.
La
ragazza gli accarezzò i muscoli delle braccia e si accorse
che effettivamente aveva la pelle d’oca. -Sempre a
lamentarti- si adagiò completamente sopra di lui, che
lentamente stava scivolando con la schiena sempre più
giù, fino a toccare terra.
-Si
staranno domandando dove siamo finiti- azzardò lui.
-Non
credo- fu la sua risposta ed Elena si chinò a baciarlo sul
collo.
Marhim
s’irrigidì d’un tratto, mentre il cuore
gli batteva con violenza contro la cassa toracica.
-No,
ferma!- disse improvvisamente, fermandola giusto prima che Elena si
sfilasse la sua tunica.
-Che
c’è?- fece affranta.
-Non
possiamo, capisci?- aveva il fiato corto, sembrava terrorizzato.
–La setta non lo permette, non possiamo, non…-.
La
Dea si sollevò in piedi. –Rhami aveva ragione-
rammaricò avvicinandosi al bordo della roccia, dove
l’acqua sembrava essersi equilibrata per via della bassa
marea.
-Che
c’entra Rhami?- balbettò lui affrettandosi a
rivestirsi.
Con
un immenso senso di rifiuto, Elena si tuffò in acqua e
attraversò lo stretto cunicolo che la portò allo
sbocco sulla spiaggia. Non attese neppure il suo amico e
cominciò ad avviarsi su per la roccia.
Marhim
emerse dalla corrente e si guardò attorno. -Elena, aspetta!-
la chiamò, ma la ragazza era già troppo lontana
per sentirlo.
L’assassino
scattò di corsa sulla sabbia e in breve dimezzò
la distanza. –Elena, ti prego!- gridò di nuovo, ma
nessuna risposta da lei che andava a scalare mutamente la scogliera.
Troppo
codardo, le aveva detto Rhami riguardo a Marhim, e lei solo adesso ci
credeva. Magari il loro poteva essere vero amore, ma pur di tener fede
ai principi della confraternita, Marhim avrebbe rinunciato a lei, ne
era certa.
Una
volta risalita tutta la parete di roccia, Elena montò
fulminea sul suo cavallo e lo spronò al galoppo.
Comportandosi in quel modo, fuggendo così da lui, era stata
parecchio ingiusta. Marhim le aveva sempre dato ascolto, le aveva
sempre detto cos’era meglio per lei, ed ora che lui bisognava
di comprensione, Elena gli voltava le spalle.
Raggiunse
le porte della città e smontò di fretta dal suo
destriero; con grande stupore delle guardie che la fissarono
ammutolite, Elena dissellò l’animale e lo
legò alla staccionata vicino all’abbeveratoio. Poi
lasciò il cortile delle stalle e si avviò verso
la fortezza.
Raggiunse
il giardino interno della roccaforte e passò oltre
l’arena degli allenamenti, ma non appena mise piede nella
sala d’ingresso, gli occhi bui neri del suo maestro la
inchiodarono con un ginocchio piegato.
La
giovane Dea s’inchinò appena. –Maestro-
mormorò, e questo le si avvicinò.
-Dove
sei stata tutto questo tempo?- domandò irritato.
-Piuttosto
voi avete fatto ciò di cui vi siete incaricato?- fece
sfrontata.
Altair
aggrottò la fronte. –Non ne ho avuto modo. Tharidl
ci ha convocati dopo pranzo, vedi di esserci- le disse.
-Di
cosa si tratta?- chiese lei tenendo un’espressione neutra in
volto.
-Lo
vedremo-.
Quella
mattina nella mensa c’era una massa ristretta di assassini.
Si poteva perfettamente dire che erano quattro gatti per davvero! Elena
entrò nella sala e si stupì di trovare, seduta al
tavolo vicino alle vetrate, solamente Kamila.
La
Dea era sistemata composta sulla sedia con le gambe accavallate. Lo
sguardo fiero che pareva assorto nel panorama fuori dalle finestre.
Elena
le si sistemò di fronte, e Kamila si girò con
cautela verso di lei.
-Ciao-
mormorò con voce melodiosa la donna.
Elena
gli scoccò un sorriso pacifico.
-Allora,
raccontami. Chi era il giovanotto?- strizzò un occhio.
La
giovane mordicchiò una fetta di pane di grano duro.
–Mio fratello- disse d’un fiato.
-Questo
lo sapevo già, e so che ti riferisci a Gabriel. Ma io palavo
dell’altro, il maschietto di questa mattina che hai
trascinato nella tua stanza- ridacchiò.
Elena
quasi si strozzò con il boccone. –Ah, Marhim-
proferì roca. –Ma come sai di Gabriel?-
deviò l’argomento.
-Tharidl,
la rana dalla bocca larga!- rise la bionda.
-Infatti,
mi sembrava strano- bofonchiò.
Kamila
si fece improvvisamente seria. -Elena, sinceramente non ti conviene. Te
lo dico da amica-.
-Adesso
di cosa parli?- proruppe irritata.
-Di
entrambe le tue storie. Gabriel è bene che sappia di avere
una sorella, e con Marhim non ti consiglio di approfondire
più di tanto. È per esperienza, fidati- le arrise.
-Esperienza?
Ma non era Leila che si faceva gli altri assassini?-
sogghignò.
Kamila
le lanciò un’occhiataccia. –Abbassa la
voce!- mormorò. –Se non ti dispiace, tengo alla
mia vita, e se Leila venisse a sapere che qualcuno a parte noi sa di
lei e Atef, non vivremmo abbastanza per vedere come andrebbe a finire-
pronunciò in un sussurro.
Ovviamente
scherzava, vero?… vero?…
-Leila-
ripeté Elena. –Sarà lei ad insegnarmi,
non è così?-.
Kamila
annuì. –Temo di sì, piccola mia, temo
proprio di sì-.
Elena
rabbrividì -perché temi?-.
La
Dea si guardò attorno. –Spero che tu ti sia
accorta dei suoi modi di fare alquanto mascolini-.
-E
allora?-.
-Se
c’è un consiglio che posso darti è di
stare lontana dai suoi ganci sinistri- fece una smorfia. –A
suo tempo, Leila ed io ci litigammo un bracciale quando avevamo
più o meno la tua età. Finì piuttosto
male, per me, ovviamente. Da quel momento, lo ammetto, Leila
è cambiata ed è sicuramente meno violenta, ma
proprio in quella sua giovane età amava sentirsi
chissà chi ed essere lodata delle sua forza bruta-.
-Non
potrebbe insegnarmi Elika?- balbettò intimorita.
Kamila
scoppiò in un’acuta risata. –So come ti
senti, piccola mia, ma come Tharidl ti avrebbe detto a breve, io ed
Elika raggiungeremo un gruppo di assassini a Damasco per seguire i loro
itinerari. Così, per riprendere un poco la mano. Anche una
Dea come me ha bisogno di una spolverata, ogni tanto- gioì.
-Che
genere di spolverata?- domandò maliziosa la ragazzina.
-Sei
ancora troppo piccola per certe cose- rise la bionda, ed Elena stette
al gioco.
-Piuttosto,
stai in guardia questo pomeriggio, va bene? E tieni fede ai consigli
che ti ho dato-.
Elena
sapeva si stesse riferendo a Gabriel e Marhim, i due ragazzi che erano
entrati a far parte della sua vita per sempre, e i cui volti
l’avrebbero tormentata nei sogni e nei suoi incubi se non
avesse preso posizione al più presto.
Dopo
essersi riempita lo stomaco, Elena si diresse verso lo studio dove era
stata convocata dal Maestro. Sulle scale, i suoi occhi sfuggirono a
quelli di Marhim che, lanciandole appena un’occhiata, si
dileguò in uno dei corridoi.
Aveva
sbagliato tutto, ancora, un’altra volta aveva scelto
l’approccio sbagliato, ed ora si trovava davvero sola, come
in fondo aveva sempre voluto restare. Perché era stata tanto
stupida? Perché non aveva dato retta a chi più
volte e più volte l’aveva avvertita con un grande
e grosso NO? Si sentiva solo una sciocca, quello che era successo nella
grotta marina giù al lago era spazzatura, da gettare per
sempre nel cesto dell’immenso mai più, nello
stesso cesto nel quale era finito Rhami.
Ma
Marhim era diverso. I suoi sguardi, i suoi abbracci, già le
mancavano da morire mentre percorreva quel piccolo tratto che la
separava dalla destinazione. Con quei suoi atteggiamenti intraprendenti
nella caverna, Elena aveva messo per sempre una pietra sopra la loro
amicizia, e forse Marhim stesso ne era afflitto. Dopo tutto, Elena
l’aveva sempre saputo che il fratellone di Halef aveva una
cotta per lei. Si vedeva lontano un miglio, insomma… il modo
in cui l’aveva guardata negli occhi poche ore prima, la
maniera in cui le sue mani le avevano accarezzato la schiena facendole
sentire un brivido nel sangue, e come le loro labbra si erano sfiorate
appassionatamente…
E
poi, era caduto tutto giù dal precipizio. Avrebbe dovuto
capirlo che gli aveva solo chiesto troppo. Il loro amore proibito era
appena sbocciato, ma più di quando avrebbero avuto il loro
primo rapporto, Elena si chiedeva se sarebbe continuato tanto
allungo… Marhim avrebbe trovato il coraggio di dirle di no?
Di metterla da parte nel momento in cui avrebbe dovuto scegliere tra
lei e la setta, nella quale neppure sembrava mostrare grande interesse.
Torturarsi in quel modo era inutile, si disse.
Salì
due gradini alla volta e si fermò al fianco di Altair, che
trovò già ad attenderla di fronte alla scrivania
di Tharidl.
All’appello
c’erano loro due ma sembrava mancare Tharidl, che come le
disse Altair, li avrebbe raggiunti a breve.
-La
mia collana posso star certa che ora pende al collo di Gabriel,
Maestro?- sbottò lei ad un tratto, con rabbia repressa
rimuginata assieme ai ricordi di quella primissima mattinata.
Altair
sospirò. –No, sono stato… trattenuto da
altro, mi dispiace- mormorò, ed Elena si stupì di
tanto scoraggiamento nel suo tono.
-È
successo qualcosa?- domandò addolcendo il tono. Doveva per
forza essere successo qualcosa, e allo stesso modo di come il suo
maestro si preoccupava per lei, la sua allieva si preoccupava di lui.
-Ora
non è importante- Altair tornò a fissare il
pavimento stringendo i pugni.
-Ma
maestro- obbiettò lei. –Non posso vedervi in
questo stato, non giova al mio addestramento- rise.
Un
sorriso smorzato prese forma sulle labbra dell’assassino.
–Quale addestramento?-.
-La
formazione e…- divagò con le parole. –e
l’apprendimento della mia… autorità-
proferì con una faccia da totale deficiente.
L’uomo
parve rallegrarsi. –Sì, è come dici tu-
sibilò guardando altrove.
Tharidl
finalmente si mostrò, comparendo dalle scale alle loro
spalle.
-Ma
che gioia nel vedervi entrambi così allegri!- il vecchio
batté le mani e si sistemò dietro la scrivania.
I
due tacquero, attendendo che fosse il Gran Maestro a proferire altro.
Tharidl
sembrava allegro quanto loro, eppure Elena e Altair smentirono presto
la loro gioia.
-Perché
ci avete fatto chiamare?- intervenne il ragazzo.
-Impazienti,
eh? Non temete, si preannuncia una stagione invernale ben poco
tranquilla per entrambi-.
C’era
qualcosa che non sapesse già in quello che Tharidl voleva
dirle?! Si chiese.
Il
vecchio soffocò d’un tratto il suo sorriso.
–Questa sera si discuterà del Frutto.
Verrà deciso chi, e dove sarà portato,
poiché nell’incontro di cui mi sono occupato in
separata sede con alcuni saggi, abbiamo stabilito che è
meglio tenerlo lontano da Masyaf, ma tanto meno non distruggerlo e
farlo viaggiare da che mondo a mondo. Resta solo da decidere in quale
Dimora segregarlo, permettendo al Rafik soltanto di sapere. Alla seduta
prenderanno parte i pochi più fidati della cerchia, miei
cari, e voi due compresi- gli balenarono gli occhi.
-Non
metterete in scena la stessa farsa dell’ultima volta, spero-
avanzò Elena.
-Non
temere, ragazza, non accadrà-.
-Questa
sera?- chiese conferma Altair, e Tharidl annuì.
-C’è
altro?- intervenne la Dea.
-Sì,
molto altro, ma per proseguire avrei bisogno di discutere privatamente
con ciascuno di voi- sospirò il vecchio. –Per
tanto, vi congedo dai vostri impegni lasciandovi il pomeriggio libero.
Elena, puoi andare- disse.
La
ragazza sobbalzò. –Io?- si portò una
mano al petto.
-Esatto,
va’. Ci rincontreremo direttamente questa sera-
proferì calmo.
Elena
li salutò entrambi con un inchino e si avviò alle
scale.
I
bracieri nel cortile erano accesi, per i corridoi della fortezza si
diffondeva lo scoppiettare dei carboni nelle torce appese alle pareti.
Stormi di neri colombi si appollaiavano sui tetti, mentre le pattuglie
delle guardie facevano la solita ronda attorno all’arena.
Sopra la fortezza si stagliava un cielo stellato interrotto da una
nuvola grigia frammentata, ai lati delle strade della cittadella vi
erano ancora le pozzanghere per la pioggia della nottata precedente.
Elena
avanzò spedita nel corridoio, e i passi dei suoi stivali
risuonavano leggeri sulla pietra del pavimento. Fu quasi per allungare
una mano al battente dell’ingresso della sala quando una voce
bisbigliò il suo nome, e fu costretta a voltarsi.
-Chi
c’è?- domandò lei, ma sapeva con
chiarezza di chi si trattasse.
Marhim
fece un passo verso di lei avanzando dalle ombre del corridoio opposto.
Elena
attese che fu perfettamente davanti a lei.
-Scusa-
dissero assieme, ed Elena arrossì sfacciatamente.
-No,
è stata colpa mia- assentirono entrambi.
Stufa,
Elena gli poggiò una mano sulla bocca facendolo tacere.
–Sono una stupida- dichiarò lei, schietta, senza
ulteriore indugi. –Non avrei dovuto comportarmi in quel modo,
so quanto sei… timido e… fedele al credo, quindi
non potevo pretendere quello che non mi avresti mai dato-.
-Veramente!-
provò a dire, ma Elena si avvicinò ulteriormente
a lui premendo con più forza sulle sue labbra.
-Ti
prego, ora non posso. Ne parliamo più tardi-.
Marhim
abbassò lo sguardo ed Elena allontanò la mano dal
suo viso, sfiorandogli appena la guancia.
-Sì-
mormorò lui. –Ho saputo che il destino del Frutto
si deciderà questa sera, e tu prenderai parte alla seduta-
sorrise fiero.
-In
effetti- gioì lei.
-Allora-
indietreggiò di un passo. –Allora ne parliamo
più tardi- aggiunse.
La
ragazza annuì e Marhim sparì infagottato dal buio
del corridoio. Poi si voltò e scansò
silenziosamente il battente della sala.
Attorno
al grande tavolo sedevano una decina di saggi dalla tunica bianca,
Tharidl, Altair e nessuno più. Quest’ultimo,
accanto, aveva un posto vuoto al quale si sedette immediatamente Elena.
-Era
ora- sibilò Altair. –Dov’eri? Sono dieci
minuti che aspettiamo te!- digrignò.
-Davvero?-
si stupì lei squadrando i volti dei presenti uno ad uno.
-No-
ridacchiò Altair, allegramente in vena di scherzi quella
sera.
Tharidl,
dal capo tavola, si sollevò spostando rumorosamente la
sedia, attirando così l’attenzione dei sudditi.
–Oggi non vi chiederò, fratelli, di prestare
attenzione a me, ma bensì di esporre ogni vostro dubbio
affinché questo sia pertinente all’argomento di
cui trattiamo, ovvero la città nel quale segregare per
sempre il Frutto dell’Eden-.
C’erano
delle guardie appostate vicino alle immense vetrate, le quali erano
state coperte dagli spessi tessuti delle enormi tende scure. La sola
luce era quella dei bracieri accessi per l’evenienza e
sistemati attorno al tavolo.
-La
nostra gente è perennemente terrorizzata dalla minaccia di
subire un nuovo attacco e in maggior forze da parte di chi vuole il
potere tutto per sé. Vi sto parlando di un essere spregevole
che da suo padre non ha ereditato altro se non la brama di diventare un
uomo di estremo prestigio, mentre la sua famiglia si avvicina sempre
più al Trono di Gerusalemme. Siamo qui riniti oggi per
impedire a Corrado, con l’utilizzo di qualsiasi mezzo, di
entrare in possesso del Frutto che egli e i restanti Templari chiamano
a gran voce. Al termine di questa seduta, verrete posti di fronte ad un
giuramento che vi vincola a mantenere il silenzio nella vostra buona o
cattiva sorte. Sono tempi in cui non possiamo permetterci debolezze,
ritardi, e ripensamenti- e a quelle parole lo sguardo del vecchio si
posò sui due assassini. –Piuttosto, giunge il
momento di agire ed impugnare la spada dal verso del manico e colpire
il nemico dove è più vulnerabile; o egli potrebbe
adottare la stessa tattica su di noi, non trovate?- e un coro di voci
si levò dalla cerchia di saggi, che risposero alla domanda
assorti con: “sì”
“certamente” “avete ragione”.
Tharidl
poggiò una mano sul cofanetto al suo fianco.
–Questa mattina sono stato informato che una truppa Templare
sta battendo le terre a sud ovest nei pressi di Acri. Il nostro Amato
Sire teme forse per la propria vita?- ridacchiò, e con lui
anche i saggi. –Ma ora basta indugiare. Mi prendo la
libertà di stabilire una prima idea. Sono a favore di
segregare il Frutto del Peccato nella stessa Damasco. Città
affollata di gente, ben protetta dall’esercito di Saladino e
lontano dagli occhi indiscreti di Corrado e la sua combriccola-.
Un
saggio si levò in piedi. –Non sono di parte,
Tharidl. Rammento con ripugno che molti dei più fidati
generali di Saladino e i più prestigiosi mercanti di Damasco
un tempo facevano parte della Cerchia Templare. Non è
così, Altair?- si rivolse all’assassino.
L’uomo
col cappuccio seduto accanto a lei annuì. –Posso
confermare- proferì contenuto.
Elena
si guardò attorno spaesata.
–Dov’è Adha?- chiese d’un
tratto.
Altair
le volse appena un’occhiata, sospirò e
ignorò completamente la domanda.
Brutto
segno, pensò Elena, e una volta terminata
quell’agonia, era ben intenzionata a saperne di
più.
-Invece-
parlò il saggio vicino alla ragazza. –Sarebbe bene
trasferirlo a nord. I nostri alleati di Aleppo ne saranno
più che onorati- disse.
-Non
si tratta di una questione d’onore!- intervenne furioso un
altro vecchio. –Il tesoro andrà trasferito dove
meglio è possibile proteggerlo, ma senza destare sospetti!-
ruggì.
-Sono
d’accordo- fece un terzo. -Ne vale la vita della gente che
andrà ospitarlo, e, come sappiamo, portare il Frutto in un
luogo troppo affollato non gioverebbe a quei poveri innocenti in caso
di un attacco. Consiglio un villaggio contadino alle porte di Beirut.
Lì sarà al sicuro, sorvegliato giorno e notte dai
nostri compagni di quella città-.
-E
bene!- ridacchiò un altro. –Intendete condurre il
Frutto nel bel mezzo della Guerra? C’è da
considerare che il viaggio deve battere strade non conosciute, e non
possiamo rischiare di interferire in troppi accampamenti nemici!-
dichiarò austero questo.
-Mi
associo- proferì un quinto. –Ma aggiungo di mia
ipotesi che potrebbe essere altrettanto sconsigliato segregare
l’oggetto in prossimità di mare, cittadelle come
Beirut e i loro villaggi vicini sono sì centro di focolari
di guerra, ma anche molto esposte ad invasioni-.
La
confusione stava sorgendo man a mano che nella conversazione vi
comparivano nuove voci, nuovi nomi di città e nuove ipotesi
che venivano subito rimpiazzare da quelle successive. Il caos
divampò nella sala ben presto, e Tharidl rimase in disparte
anche questa volta.
Elena
sbuffò voltandosi a guardare il suo maestro.
Altair
taceva, assorto in chissà quale dei suoi pensieri. Vederlo
così chiuso in sé stesso, così
distratto e affranto ad Elena sorprendeva molto, e in quel momento si
accorse di un nuovo Altair che non aveva mai visto: schivo,
malinconico, e tristemente umano.
-Hama!
È a pochi giorni di viaggio da qui ed è ben
celata tra le montagne almeno quanto questa fortezza!-.
-No,
tacete! Quella città imperversa di malanni a malattie,
facile preda di assalti epidemici! Sappiamo bene che molti degli
assassini che la abitano muoiono giovani!-.
-Assurdità!
Io provengo da Hama, e sono sano come un pesce a 56 anni!-.
-Fermate
le vostre inutili chiacchiere. Proprio per la troppa vicinanza a
Masyaf, Hama viene scartata. Qualcuno offra di meglio!-.
-Per
piacere, non siamo mica ad un’asta!- sbottò
scocciato qualcuno.
-Potremmo
tentare fuori dal continente. Forse lontano da questa terra maledetta
da Dio, il Frutto potrebbe essere maggiormente al sicuro- propose
qualcuno d’intelligente, pensò Elena.
Gli
occhi della ragazza saettavano da un volto all’altro, a
seconda di chi prendeva la parola.
-Menzogne!
Ci sarebbe impossibile controllare che sia così! Piuttosto,
non esiterebbe nessuno ad usufruirne scomparendo poi dalla faccia del
pianeta!- rise un saggio.
-Ricapitolando-
delimitò il più giovane tra i vecchi.
–Stiamo cercando meta distante ma non troppo. Così
da assicurarne controllo, ma distanziarlo il sufficiente necessario per
non instaurare alcun genere di contatto. Il posto che menzioniamo non
esiste! Dio solo lo sa!-.
-In
Paradiso, allora- Altair fece la battuta, e attorno al tavolo
scoppiarono le risate.
Elena
accennò un sorriso.
–Sarebbe
un bene, ma qualcuno di voi sa dove si trovi questo Paradiso?-
domandò un saggio, e i presenti si rallegrarono di nuovo.
-Tornando
a noi- parlò un vecchio. –Mi sembra di capire che
non siamo molto d’accordo, Fratelli- unì le mani
poggiandole sul tavolo.
-Dovremmo
cominciare col delimitare una zona precisa nella quale volgere le
nostre attenzioni- suggerì un altro.
-La
Siria è più che pronta a sopportare questo
fardello. All’estero imperversano già abbastanza
guerre- parlò qualcuno.
-Così
isoliamo la nostra alle regioni esterne, non lasciandoci il modo di
avvicinare le nostre scelte a città come Gerusalemme o
Aleppo-.
-Non
siamo costretti mica a prendere in considerazione ogni singolo
villaggio popolare!- sbottò un saggio.
-Ma
il tempo ci è prezioso, questa sera, e non possiamo
indugiare per poi pentircene. Gerusalemme è fuori portata
dai nostri raggi d’azione-.
-Anche
se- cominciò Altair, ma Tharidl prese la parola bruscamente.
-Malik
non è abbastanza forte per sopportare questo peso. Egli
manca di un braccio e in caso di attacco, di nostri assassini in quella
Dimora ce ne sono già troppi pochi. Escludiamo questa
possibilità- proferì il Gran Maestro, e alle sue
parole la sala tornò nel silenzio.
-Basta,
io getterei fuori dalla nostra attenzione qualsivoglia Dimora. Sarebbe
bene celare il Frutto in una delle Sedi centrali a sud, oltre la
Città Santa. In Egitto si occuperebbero con dedito rispetto
della questione- intervenne un saggio.
-Egitto?-
ripeté un vecchio. –Quale scelta più
ovvia?- si guardò attorno.
Questi
si ammutolirono, e con loro anche Elena fu sorpresa di tale ipotesi,
denunciata ovvia, per di più. Cosa c’era in Egitto
che assicurava ai Fratelli della Confraternita sogni tranquilli? Si
chiese.
Negli
occhi di Tharidl balenò una scintilla.
-Stolti
che siamo!- ruggì il giovane accorto. –Come non
abbiamo fatto a pensarci subito?!-.
-Sembra
assurdo, non è così?- gli diede una gomitata un
uomo.
-Insomma-
il ragazzo si girò a guardare i volti dei seduti al tavolo.
–Il Cairo gode di un’ottima nostra sorveglianza,
dopotutto. Non siamo certo dediti ad affidare il Frutto nelle mani di
quella città, ma attorno ad essa vi sono varie delle nostre
sedi!- disse meravigliato.
-L’Egitto-
un vecchio assaporò quel nome. –Patria della
cultura e madre delle civiltà- proferì.
-Sono
di parte! In Egitto andrebbe benissimo, e i nostri discepoli ne saranno
onorati!-.
-Ancora
con questo onore?!-.
-Diceva
per dare Patos, fratello, patos…-.
-Ovvio,
l’Egitto! Mi associo -.
-Che
la Biblioteca di Alessandria risorga dalle ceneri! Dio e me sono con
voi, fratelli!-.
-Ottima
decisione. Sembra possibile come mossa: la nostra parte è
quella migliore di tutta la scacchiera- gioì un altro.
-Precisamente,
dato la moltitudine di alleati in quelle terre, ove desiderereste porre
l’oggetto in questione?- domandò qualcuno ancora
dubbioso.
A
quel punto nuovo silenzio divampò attorno al tavolo, mentre
gli occhi si puntavano uno ad uno su di loro, ed Elena si strinse nelle
spalle.
-Angelo
e Dea, chiediamo il vostro parere. Non siete qui a riscaldar la sedia-
rise un vecchio.
Altair
alzò il mento dal petto e si voltò verso di lei.
–Allora?- chiese.
-L’Egitto?-
Elena si guardò attorno, mentre un nodo alla gola senza pari
le stringeva la carotide. –Egitto- ribadì alla
svelta, pur di levarsi il peso dallo stomaco. Non aveva idea di
perché i saggi lì dentro fossero tanto favorevoli
a quella destinazione, ma tanto valeva allearsi alla maggioranza,
pensò.
-La
Dea parlò. E voi, Angelo?- sorrise un altro.
-Sono
di parte- dichiarò composto Altair, con tono pacato e
neutrale.
Elena
gli lanciò un’occhiata, e Altair
incontrò i suoi occhi azzurri. –Piantala di
fissarmi- sibilò a bassa voce, e la Dea arrossì
d’imbarazzo. Probabilmente se n’era accorto che era
dall’inizio della seduta che lo guardava con
chissà quale espressione da demente in faccia.
-Maestro-
chiamò un saggio guardando il vecchio a capo tavola.
–Questa decisione che abbiamo preso ci mette
d’accordo; ora è la vostra parola a mancarci-
disse.
Tharidl
si riscosse e poggiò i gomiti sul tavolo congiungendo le
mani a mezz’aria. –Sono pienamente
d’accordo. Di questi tempi non vi è posto
migliore. Ma rimane da stabilire in quale precisa area situare il
nostro beniamino- mormorò assorto, e un istante
dopo fece schioccare le dita.
Una
guardia scomparve dall’ingresso della sala di corsa, ma
tornò subito dopo con in grembo una moltitudine di testi e
pergamene recuperati dalla biblioteca. Si avvicinò al tavolo
e distese su di esso le carte geografiche e i tomi. Poi
tornò accanto alle vetrate, riacquistando rigidezza al suo
posto.
Elena
si allungò in avanti e diede una svista alla mappa ben
dettagliata del territorio egiziano. Il fiume Nilo era una sottile
linea che costeggiava il bordo della carta, mentre il deserto africano
prendeva piede per gran parte del territorio.
-Le
nostre sedi principali si annidano nella piana attorno a Faiyum. Ed
è lì, in quei terreni, che il Frutto
sosterà-.
-Intendete,
Maestro- intervenne un saggio. –Far viaggiare repentinamente
il Tesoro dei Templari da una cittadella all’altra nella
piana?- chiese.
Tharidl
annuì.
-Mi
sembra più che conveniente- proferì un vecchio.
-E
in caso…- intervenne un altro, ma il Gran Maestro fece
tacere i suoi dubbi precedendo la domanda.
-In
caso che qualcosa vada storto, i Falchi riceveranno ordine immediato di
recarsi a Nazla e di sostare tra le braccia dei nostri alleati
egiziani. Non è certo per ripicca, ma credo che tenere il
Frutto in movimento sia comunque conveniente. I miei occhi hanno
assistito a fin troppi tradimenti- mormorò severo.
-E
sia!- vociarono assieme i saggi.
Dopodiché,
i vecchi della cerchia si apprestarono a decidere tappa per tappa la
strada più breve e intricata, ovvero celata, per far
giungere intero il Frutto a destinazione.
-Insomma-
sopirò Elena. –Abbiamo parlato anche troppo-
ridacchiò, e Altair allungò le labbra in un
sorriso.
-Effettivamente,
Tharidl poteva anche risparmiarti questa tortura- le disse guardandola.
-Già-
sbadigliò portandosi una mano davanti alla bocca.
-Puoi
andare; qui me la cavo anche da solo- mormorò serio.
Elena
aggrottò la fronte. –Ma veramente…-.
-Siamo
tornati da Acri per farti riposare, ma mi sembra di capire che in
questi giorni si sono susseguiti avvenimenti alquanto strazianti- rise.
La
ragazza, senza parole, cominciava a preoccuparsi. –Come mai
tanta premura da parte vostra, se posso chiedere?- fece maliziosa.
-Lo
devo ad una persona…- fu la sua risposta, e
l’assassino distolse lo sguardo.
Dopo
qualche istante di silenzio tra i due, mentre attorno armeggiava la
confusione del parlottare dei saggi, Elena si alzò piano
dalla sedia.
-Grazie-
disse, e si allontanò dal tavolo.
Tharidl
sollevò gli occhi dalle carte e la guardò andar
verso le porte della sala, poi Elena varcò la soglia e il
rumore delle voci dei saggi l’accompagnò fin sulle
scale.
La
Dea afferrò Halef per un braccio e lo tirò di
fronte a lei nell’ombra di una colonna.
-Uh,
uh- fece lui. –Una cosa seria?- mormorò malizioso.
-Smettila,
oggi non è giornata- sbottò la ragazza affondando
le unghie nella sua pelle.
Lo
sguardo del giovane si fece meno arrogante. –Marhim non mi ha
detto molto: dove siete stati questa mattina?-.
-Fatti
gli affaracci tuoi!-.
-Sei
stata tu a trascinarmi qui! Me ne stavo andando bello tranquillo per la
mia strada e…-.
-Dimmi
dove posso trovarlo-.
-Veramente
lui mi ha chiesto la stessa cosa esattamente dieci minuti fa, credendo
che il torneo di scacchi coi vecchi fosse finito da un pezzo!-
confessò.
Elena
gli lasciò il polso. –E dove si trova ora?- chiese
severa.
-Allora
è qualcosa di davvero serio! Dea, non scherzare col fuoco!
Mio fratello sa essere molto bollente- sibilò.
Elena
gli diede una gomitata, e il ragazzo si piegò dal dolore.
–Parla; ti avevo avvertito che oggi non è
giornata, e sono anche parecchio stanca- proferì.
-È
andato verso le scale, è salito fino al terzo piano e oltre!
Ti posso giurare che stava venendo a cercarti nelle tue stanze!-
strinse i denti massaggiandosi il punto colpito sul fianco.
-Grazie-
sorrise e s’incamminò.
In
breve, quasi di corsa, Elena raggiunse il corridoio degli appartamenti
degli Angeli e proseguì percorrendoli tutti. Una volta nella
saletta nella quale si arrampicava la scala a chiocciola che portava
nelle camere delle Dee, la ragazza si sorprese di trovarvi Marhim.
L’assassino
era seduto su uno sgabello accanto ad una delle finestre aperte. I
gomiti poggiati sulle ginocchia e lo sguardo basso, mentre i capelli
arruffati gli ricadevano sul volto celandogli gli occhi irradiati dalla
luce della luna.
-Marhim-
lo chiamò, e il suo sguardo color nocciola la trafisse nel
più profondo del cuore.
Il
ragazzo scattò in piedi all’istante. -Alla buon
ora! Non pensavo che…-.
Elena
non gli lasciò il tempo di aggiungere altro, avvicinandosi a
lui con un balzo e premendo inaspettatamente le labbra su quelle di lui.
Fu
un bacio lento, silenzioso come il primo; entrambi spaventati da cosa
sarebbe successo dopo o cosa sarebbe semplicemente potuto succedere. In
quella saletta angusta d’ingresso alle stanze delle Dee erano
esposti, a rischio di sviste indiscrete e pettegole che non avrebbero
esitato a confabulare alla prima occasione.
Quando
si staccò da lui per riprendere fiato, Elena temeva di
conoscere la sua reazione. Così tenne gli occhi chiusi
finché non fu certa che qualcosa era andato storto.
Li
riaprì lentamente, accorgendosi del modo estasiato con il
quale la guardava Marhim. A quel muto discorso, Elena rispose
avvolgendogli il collo con le braccia e avvicinando la bocca al suo
orecchio.
-Vieni
di sopra con me… per favore…-
sussurrò, e percepì un brivido assurdo
attraversare il corpo rigido del giovane assassino.
-Elena,
non lo so- rispose lui incerto, tentando invano di stanziarsi da lei,
ma Elena fece aderire meglio il corpo a quello di lui.
-Ti
prego- mormorò lei con le labbra poggiate sul suo collo.
-Va
bene- acconsentì in fine con un gran sospiro.
Elena
intrecciò le dita delle loro mani e lo tirò fino
al piano di sopra. Alzandosi sulle punte, si guardò attorno
constatando il più nero silenzio per gli appartamenti
femminili, quindi proseguì spedita fino alla sua stanza da
letto; aprì e richiuse la porta alle loro spalle, e quando
si voltò, trovò Marhim immobile al centro del
pavimento.
-Non
possiamo farlo- disse serio. -Non dobbiamo farlo- ribadì con
stesso tono.
Elena
aggrottò la fronte. -Ho capito quali sono i miei e i tuoi
limiti - proferì avvicinandosi. –E non ti ho
portato qui per questo-.
-Ah
no?- inarcò un sopracciglio, d’altro canto parve
rilassarsi a quelle parole.
La
ragazza si portò una ciocca di capelli dietro
l’orecchio. –No, vorrei semplicemente…
che tu dormissi con me, soltanto questo- un leggero colorito purpureo
affiorò sulle sue guance; un’immensa fatica le era
costata pronunciare una cosa del genere.
Marhim
indietreggiò. –Ne sei sicura?- chiese.
-Sì,
non devi preoccuparti. Non mi farò prendere dai miei istinti
omicidi nel sonno, stai tranquillo- sorrise cominciando a spogliarsi
della cintura di cuoio e i lacci sulle spalle, adagiando il tutto sulla
scrivania accanto alle armi.
Marhim,
titubante, fece altrettanto slacciandosi dalla vita il fodero della
spada, gli stivali e privandosi della parte formale della veste;
restando solo con i pantaloni e una canottiera di cotone.
Per
farlo sentire meno in imbarazzo, Elena distolse lo sguardo e si
infilò il pigiama il più in fretta possibile
mentre lui era impegnato con l’occuparsi dei suoi abiti. Li
sistemò ordinatamente in un angolo della stanza sopra una
sedia. Poi il ragazzo sedette sul lettuccio opposto e fece per
stendersi giù, quando Elena gli andò incontro.
-Ma
che fai?- ridacchiò; gli afferrò i polsi e lo
tirò in piedi, guidandolo fino al letto nel quale lei aveva
sempre dormito.
-Staremo
un po’ stretti, non trovi?- provò a dire, ma Elena
lo spinse giù e Marhim si sdraiò sotto le coperte
con la schiena alla parete.
Elena
s’infilò nel piumino al suo fianco e si strinse al
suo petto. –Ma che dici- mormorò cercando di
accogliere tutto il calore del suo corpo.
Marhim,
dal solito tozzo di legno che era, si rilassò in breve e,
quando Elena stava ormai per chiudere occhio, le poggiò una
mano su un fianco, accarezzandole il lembo di pelle che la camicia di
seta aveva tralasciato prima del laccio dei pantaloni.
Elena
si avvinghiò più stretta a lui, e Marhim fece
scorrere le dita delicatamente fino al bendaggio candido, lì
su quel fianco dall’inizio del mese.
-Ti
fa ancora male?- domandò in un sussurro.
-No-
assentì flebile lei, e il tepore del sonno
l’avvolse allo stesso modo di come il calore del sangue di
Marhim le riscaldava la pelle.
Senza
pensarci, Elena intrecciò una gamba a quella del ragazzo,
che a quel contatto non si fece per nulla intimidire.
Ripensando
alla sua domanda di poco prima, Elena si disse che ormai molte delle
sue ferite si erano rimarginate del tutto. Da tempo.
________________________________________________
Che
dire? Chappo intenso e pieno di emozioni!!! Mi stavo per mettere a
piangere per quanto riguarda la storia finita male tra Adha e Altair,
storia che, pensandoci, non era mai cominciata. devo ammettere che
all’inizio era stata allettante l’idea di fargli,
scusate il termine, “scopare” nella caverna; che
freddo! Mi vengono i brividi solo a pensarci! E poi come prima volta
sarebbe sembrata piuttosto eccessiva. No, mi sono detta, meglio
rallentare la corsa e infatti, come avete avuto modo di scoprire, i due
piccioncini si sono lasciati sfuggire anche quest’occasione.
Pensandoci, non avrebbero poi potuto fare tanto trambusto dato che
nelle stanze accanto dormono le tre comari!!! XD Per quanto riguarda la
scelta di dove trasferire il Frutto… be’, quella
ci voleva. L’Egitto! E chi se l’aspettava!!! Mi
sono improvvisata tutto sul momento, e dato che mia nonna è
tornata da poco da El Cairo XD Tutte le città menzionate in
questo chappo esistono. Piuttosto! Mi scuso per questo mio gravoso
errore, ma Alhepo non si scrive così!!! Ma così:
Aleppo!!! Sono una totale deficiente, lo so, ho inventato una
città che non esiste. Comunque, mi riferisco ad Aleppo
perché alcuni chappo prima Halef, Adel e un gruppo di
assassini sono diretti lì per un itinerario, mentre Marhim
si unirà a loro dopo aver scoperto lo
“scandalo” di Elena e Rhami la notte prima che lei
partisse per Acri!!! Che soap-opera che sto mettendo su, mamma mia!!!
Ed ora, che cosa succederà??? Bho!!! XD
Nonostante
ciò, spero che come chappo vi sia piaciuto.
Sento
il dovere di elencare ancora una volta i coraggiosi che si sono
avventurati nella mia ff nella buona e nella cattiva sorte.
Saphira87
goku94
Lilyna_93
Carty_Sbaut
Angelic
Shadow
Assassin
Diaras
Hmm…
… … …
Ah,
ecco! Ciao! XD non mi veniva!!!
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Capitolo 40 *** Un Falco negli occhi ***
Un Falco negli occhi
La seduta terminò a notte fonda.
Lentamente, i saggi si alzarono da attorno al
tavolo e si scambiarono le ultime strette di mano tra fratelli; il
giuramento si era appena concluso, e Altair aveva ancora la bocca
impastata di quelle parole tanto cariche di responsabilità.
Il Frutto dell’Eden, sigillato nel
cofanetto di legno affianco al vecchio Gran Maestro, sarebbe partito
per l’Egitto quella sera stessa.
Tharidl si sollevò dal suo posto e
passò una mano sul legno intarsiato del baule.
–È fatta- mormorarono le sue labbra fine, poi i
suoi occhi incontrarono quelli dell’assassino, e Altair
sollevò il mento dal petto.
Quando la sala si svuotò del tutto,
lasciandovi al suo interno solo le guardie, il ragazzo
sospirò e scansò la sedia. Raggiunse Tharidl che
stava parlottando con l’ultimo saggio restante e attese che
la loro conversazione finisse.
-Due giorni per varcare il confine. E quattro per
raggiungere il centro abitato- proferì Tharidl assorto.
L’altro vecchio annuì.
–Siamo convinti che un maggior supporto armato possa giovare-
suggerì questo.
-Fino ad un certo punto. Vorrei che piuttosto che
combattere, i Falchi traversassero nell’anonimato. Qualche
uomo di più sarebbe sufficiente ad allertare ad una distanza
di un chilometro. Le lande desertiche e le tempeste di sabbia saranno
loro di aiuto- dichiarò in fine.
Il saggio proferì un inchino
contenuto, si voltò e scomparve nel buio del corridoio.
Tharidl fece un segno si assenso ad una guardia
dal cappuccio grigio, e questa si apprestò a venirgli
incontro. Strinse le mani attorno al cofanetto e lo sollevò
dal tavolo.
-Va’, e portalo ai Falchi nelle
scuderie. Ma di’ loro di attendere la mia venuta prima di
partire. Ci sono alcuni punti che tengo chiarire sul viaggio- disse
Tharidl porgendo ad una seconda guardia una mappa arrotolata, nella
quale il Gran Maestro stesso aveva tracciato la strada da percorrere
per giungere a Faiyum in sei giorni massimo di cavallo.
Altair chinò il capo attendendo che
tutte le sentinelle avessero lasciato la sala.
-L’Egitto?- domandò ad un
tratto l’assassino, quando Tharidl sollevò lo
sguardo su di lui.
-C’è qualcosa che ti turba?
Avresti dovuto parlare prima, ragazzo- commentò
l’uomo.
-No, nulla m’inquieta se non il fatto
che tutta questa gente sa dove e come il Frutto raggiungerò
la città- sbottò.
Tharidl allungò le labbra in un
sorriso. –Non devi preoccuparti di questo, Altair. I saggi
che hai veduto oggi sono i miei più cari discepoli, gli
unici che mi sostenerono nella scelta di far tornare le Dee nella
confraternita e gli stessi che presero con me la decisione di affidare
a te la giovane Elena- disse tranquillo.
-Be’, ora le vostre scelte sono
infondate. Ho perduto Adha per sempre ed Elena è colei cui
sono più legato. Se permettete, potrei non risultare
l’uomo tanto affidabile che credete- ridacchiò.
Tharidl lo prese sottobraccio. –Non ne
dubito, ma vederti in vena di scherzi mi rallegra, sai-
dichiarò.
-Altrettanto, Maestro-.
-Dimmi, Altair, cosa è cambiato in te
in questi ultimi giorni. Se non la partenza di Adha, già da
prima che ella ti rinfacciasse la verità notai in te
insoliti atteggiamenti. C’è qualcosa di cui
vorresti parlarmi?- domandò armonioso.
Altair si scostò piano da lui.
–Veramente, non c’è una ragione precisa
per la quale mi sento così. Anche se… era come se
l’avessi sempre saputo, Tharidl. Di Adha, intendo. Come se
l’avessi sempre sospettato ma che in tutti questi mesi
l’avessi negato a me stesso-.
-Hmm- Tharidl si adombrò.
–Sei sicuro si tratti di questo? E in che modo avresti voluto
celarti la verità, scusa?-.
Altair scosse la testa. –Non lo so.
Sono ancora confuso, e da oggi avrò ulteriore tempo per
pensare e dissociarmi oltremodo-.
-Ed è un male?- si stupì
Tharidl fissandolo.
-Ovviamente- brontolò
l’assassino.
Tharidl sospirò. –Altair,
non ti costringo certo a restartene con le mani in mano. Chiedimi pure
un drappello di assassini e ti lascio libero accesso alle Dimore! Ho
creduto che il riposo ti avrebbe fatto bene, che Leila avrebbe potuto
occuparsi della tua allieva nel frattempo cui avresti necessitato di
riflettere. Ma se è l’azione che cerchi, se
è una mente assorta che vai chiedendomi, ti basta esporre,
caro figlio- assentì.
-Leila- ripeté quel nome,
disprezzandolo come il gusto penetrante di una caramella amara.
Il Gran Maestro congiunse le mani dietro la
schiena. –Leila saprà preparare a dovere Elena per
ciò che l’attende-.
-Perché lei sì ed io no?-
domandò scocciato il ragazzo. –Non capisco quale
differenza tendete a sottolineare tra una Dea e un Angelo ora che ad
esse certe mansioni sono state revocate!-.
-Non hai tutti i torti, Altair- parlò
composto il vecchio. –Ora che le differenze si assottigliano,
non ho motivo di prediligere una certa qualità di
addestramento per Elena, che già com’è
andrebbe benissimo per ciò che l’attende. Ma per
lei ho riservato un genere di responsabilità ben maggiore di
quanto tu possa immaginare- lo guardò nel profondo delle
pupille.
Altair sgranò gli occhi.
–Non avrete intenzione di…-.
-Mio carissimo, la rabbia può
scaturire malanni, lo ammetto, ma imparando ad essere gestita, essa
può rivelarsi l’arma più potente. In
Elena bolle quella rabbia, la vendetta che la porterà al
compimento della sua missione-.
-È troppo inesperta:
nell’evenienza di un frangente non calcolabile, non saprebbe
cavarsela!- digrignò. –Vorreste mandare al
patibolo una povera ragazzina?-.
-No, e questo è certo- Tharidl si
sedette sul bordo tavolo, le mani poggiate in grembo. –Per
allora Elena sarà sufficientemente pronta perché
tu le insegnerai ciò che le rimane da apprendere. Leila
terminerà presto le sue nozioni, lo sento. Elena
apprenderà in fretta da lei, ne sono più che
sicuro, e prima del nuovo anno potrete recarvi…-.
-Se si scontrassero di nuovo, Corrado non avrebbe
pietà!- lo interruppe Altair. –Rammentate che solo
per mea fortuna la salvai dalla prigionia. Se Corrado fosse stato meno
egoista e più contenuto, a questo punto Elena sarebbe ancora
rinchiusa nelle celle del suo forte ad Acri. Se egli non avesse
usurpato il potere del Frutto senza prima essere capace ad usarlo, ora
lei non sarebbe qui!-.
-Non lo nego! E devo dire che la scelta di
Corrado di non toglierle la vita mi ha lasciato alquanto perplesso, ma
chi può dire cosa si annida nella mente di un pazzo?-
alzò gli occhi al cielo.
-Ebbene? Vorreste che una volta terminati gli
insegnamenti di Leila, fossi io ad occuparmi di Elena? Di nuovo?-
domandò stupito.
Tharidl annuì. –Posso star
tranquillo, vero?- rise.
Altair mostrò la sua gioia in un
improvviso sorriso. –Ve l’ho già detto.
Non sono più l’uomo affidabile che credete io sia-.
-Mi domanda che cosa ti stia passando per la
testa ora- mormorò il vecchio.
-Perché vorreste saperlo? E comunque,
con l’uso del Frutto ne sareste in grado- sibilò
scherzoso.
Tharidl scosse la testa.
–Sarà meglio che tu vada; si sta facendo tardi-
brontolò avviandosi.
-Veramente- fece Altair seguendolo.
–Avrei voluto accompagnarvi fin nelle stalle, se posso. Non
mi sento ancora dovuto a prender sonno- confessò.
-Bene, nessuno ti vieta di giunger nelle scuderie
con le tue gambe, ragazzo- proferì armonioso.
Tharidl e Altair s’incamminarono verso
le scuderie ai piedi della città.
Sopra Masyaf si stagliava un meraviglioso cielo
stellato irto delle costellazioni dell’inverno.
Alzando il mento per osservare quella meraviglia,
Altair chiese: -Maestro, perché l’inverno tarda ad
arrivare?-.
Proseguivano a passo lento e tranquillo,
attraversando la quiete di Masyaf e le sue strade inumidite dalla
pioggia.
Tharidl raccolse le mani dietro la schiena
seguendo lo sguardo dell’assassino.
-Tante cose sono state posticipate in questi
mesi, e Madre Natura si è semplicemente adattata ai nostri
ritardi- sospirò il vecchio.
-Non ne dubito, ma cosa abbiamo sbagliato?-
chiese ancora il ragazzo.
-Ah!- rise Tharidl. –Il primo anello
della catena non si trova in questa parte della storia, che deve ancora
essere scritta- proferì compiaciuto.
-State facendo riferimento alla Guerra, Maestro?-
si stupì lui.
-Sì e no- fu la sua risposta pacata, e
Tharidl gli volse un’occhiata sorridente. –Siamo
stati coinvolti, risucchiati in questo circolo vizioso il giorno in cui
Adamo non trattenne la mano di Eva-.
-L’avidità di quella donna
non aveva pari- ridacchiò Altair, e con lui anche il Gran
Maestro.
-Sì, è possibile che
l’uomo a quei tempi dovesse ancora sperimentare molte delle
sensazione umane. Eva fu la prima, ma dopo di lei… altri,
tanti altri- fece grave, afflitto.
-Siamo macchiati dei peggiori peccati di questo
mondo. Perché Dio non ci fulmina tutti e ricomincia da
capo?- rise.
-Altair, il mondo non è un puzzle. Se
mancano alcuni pezzi, non si butta via e se ne compra uno nuovo- lo
riprese il vecchio.
-Non dico questo- mormorò lui.
-Dimmi, Altair- lo chiamò Tharidl, e
l’assassino sollevò il capo.
–Perché rinunciasti all’incarico di
Maestro? Quando fu la tua mano a strappare il Frutto alle dita di Al
Mualim e a togliergli la vita, perché ti facesti da parte?-
domandò assorto, pensoso come se stesse cercando
già una risposta.
Il ragazzo si prese tempo prima di parlare.
–All’epoca non mi sentivo neppur sicuro di voler
continuare a servire questa setta- proferì grave.
-Come mai?-.
-Non c’era valore in quello che avevo
fatto, e credevo mi sarebbe stato impossibile trovarlo in futuro-
ammise. –E chissà dove trovai la forza-
sospirò.
-In Adha, forse?- suggerì Tharidl
commosso.
-Forse- ribadì Altair. –Ma
in che modo avrebbe cambiato la mia prospettiva? Alla morte di Al
Mualim, non sapevo cosa mi sarebbe capitato se avessi accettato il mio
destino, ovvero la carica di Maestro. Ma solo ora mi rendo conto che
è stata una scelta più che saggia-.
-Mi lusinghi, dicendomi questo- disse il vecchio.
-Ma è la pura verità. Anche
se spesso siamo in disaccordo, anche se delle volte può
capitare che voi abbiate torto ed io ragione, anche se delle volte i
vostri gesti mi paiono infondati e assurdi, anche in quelle volte non
mi pento della mia decisione. Ed ogni giorno che passo ad insegnare a
quella ragazza che sta diventando donna, mi sento sollevato da ogni mio
peccato. Nel trasmettere ad Elena ciò che mi ha reso quello
che sono oggi, mi sento sollevato, consapevole che su di me pesa la
responsabilità di una vita innocente… ora capisco
come vi sentite, voi che trasmettete il sapere ad altri e me compreso.
Voi che gravate su di me lo stesso tenore, la stessa gioia
nell’insegnare ad altri ciò che è
più prezioso di una vita passata ad ammazzare la gente. A
riguardo…- abbassò lo sguardo. –Mi
domando in che modo saprò istruire Elena fino a quel punto
da non temere il vuoto negli occhi altrui, il bianco della pelle e il
respiro assente…-.
Tharidl tacque, e Altair proseguì
indisturbato.
-Questo è il dubbio che mi assilla.
Potrei fallire, potrei non riuscire come credete, ed Elena verrebbe
solo aggravata da un una forza maggiore chiamata coscienza! Non voglio
che quella ragazza soffra per mano mia. Non l’ho mai voluto,
e sto cercando di evitarle tutti i dispiaceri possibili.
Eppure… non riesco, sbaglio sempre qualcosa! Ditemi che cosa
ne pensate, Maestro. Mi serve sapere cosa credete che sia, se un pazzo
o un folle- mormorò affranto.
Il vecchio si passò una mano sulla
barba. –Non credo ci sia molta differenza tra l’uno
e l’altro, ma analizzando il contesto che mi ha posto, credo
di poter delimitare un netto confine tra i due tenori-.
Altair lo guardò sbigottito, e Tharidl
allungò le labbra in un sorriso lodevole. -Il pazzo
è colui che nella mente vede ciò che vorrebbe
fosse la sua vita, colui che perseguita il suo mondo e, in maniera
totalmente passiva, lo trasmette a parole; ciarlatano per le strade e
mordendosi le carni non riesce a sopportare la realtà
nettamente in contrasto con ciò che costui
s’immagina. Il folle, al contrario, è colui che
fugge alla realtà e spera in una dimensione differente delle
cose. Egli immagina la perfezione e vuole perseguirla in un modo
violento o meno. Fatica, dolore, sacrificio animano lo spirito del
folle, e Altair, in te vaga tutto ciò- dichiarò
austero. –Devo solo trovare rimedio alla confusione che non
deve lasciar a piede libero nessuno di questi tre sensi. Non ti sto
imponendo le fatiche dell’altro mondo, non voglio ce tu
soffra il dolore delle mille vite che hai stroncato, e non chiedo a te
alcun tipo di sacrificio-.
-Grazie, Maestro. In futuro, da oggi in avanti,
comprenderò meglio quali sono i miei dubbi e
saprò affrontarli-.
Tharidl guardò dritto davanti a
sé. –Sono contento che delle volte tu non ti ponga
sul mio stesso piano, Altair- pronunciò.
L’assassino chinò il capo.
–Fin ora ho compreso male, ma vi prometto che
sosterò al meglio nelle mie vesti. Sono un assassino come un
altro, dopotutto-.
-Lieto di sentirtelo dire-.
-Vi chiedo perdono se delle volte…-.
-Ti ho già perdonato-.
-Quando?-.
-Molto prima che ti ponessi questa domanda-.
Raggiunsero le scuderie in breve.
I Falchi, coi loro mantelli bianchi e il
cappuccio a celargli il volto, li attendevano all’interno dei
box per i cavalli.
Altair e Tharidl li raggiunsero che stavano
controllando le ultime cinghie delle selle, ed uno di loro si
voltò, mentre l’altro stringeva i lacci che
tenevano il cofanetto di legno nascosto sotto le bisacce.
-Maestri- s’inchinò questo
ad entrambi. –Siamo pronti a partire- disse serio.
I Falchi erano due precedenti assassini che
avevano scelto di perseguire quella causa alla morte di Al Mualim.
Erano un quarantenne vissuto che quando ancora praticava nella setta,
un tempo Altair aveva anche conosciuto, e un ragazzo
dall’aspetto giovane che negli occhi aveva qualcosa di
familiare, si disse, ma che durante i mesi non aveva mai guardato sotto
il cappuccio. L’identità dei Falchi era tenuta
nascosta ai membri della Confraternita per il solo fatto che molti
assassini soffrivano di spudorata gelosia cronica. Un tempo, persino
Altair aveva desiderato di indossare quella mantella bianca e viaggiare
da parte a parte del Regno consegnando di giorno in giorno il Frutto
nelle mani dei Rafik del posto. Un’onorevole uomo per
un’onorevole causa, si diceva.
-Non ne dubito, ma vi ho fatto trattenere per
esporvi alcune tematiche di cui avrei voluto discutere in privata sede-
proferì Tharidl, e l’altro Falco si
girò a partecipare.
-Illuminateci- disse il più giovane, e
improvvisamente, dopo il suono di quella voce, gli fu tutto chiaro.
Altair fece per avanzare, ma Tharidl gli
scoccò un’occhiataccia che lo inchiodò
alle sue spalle, così l’assassino
indietreggiò.
-Sulle coste orientali del fiume Nilo si sono
accampati da poco alcuni nostri fratelli. Molti di loro sono feriti
dopo il loro ultimo incarico e vorrei che vi occupaste di costoro, se
vi sarà possibile trovarli- annunciò Tharidl.
-“Se”?- domandò il
Falco giovane.
Altair cercò di scrutare oltre
l’ombra del suo cappuccio, ma la notturna della notte non era
d’aiuto.
-Vi prego di non considerare questa mia richiesta
come un ordine. Essi si trovano in balia di alcuni soldati, e non vi
impongo certo di andare in contro a morte certa dato
l’oggetto che vi è stato affidato. Rammentate che
il Frutto deve raggiungere Faiyum qualsiasi cosa succedeva, chiaro?-.
I due annuirono, si voltarono e montarono in
sella accorciando le redini.
Il primo lasciò al trotto composto le
stalle e Tharidl uscì con lui.
Altair si parò di fronte al cavallo
del più giovane e ne afferrò le briglie.
–Fermatevi, voi- sbottò.
Il Falco osservò mutamente sbigottito
l’espressione seria dell’assassino, poi
balbettò. –Cosa vuoi?-.
-Scopritevi il volto, solo un istante- disse.
-Cosa?!-.
Altair si cacciò una mano nella sacca
attaccata alla cintura e trasse da essa la collana della sua allieva.
Strinse un attimo la catenella tra le dita, poi la sollevò
davanti al naso del ragazzo.
-Questa- proferì grave.
–Questa è vostra, o mi sbaglio?-
digrignò.
Il Falco si abbassò il cappuccio
liberando la chioma mielata, e i suoi occhi grigi balenarono
riflettendo nelle pupille la sagoma perfetta del ciondolo.
–Dove… chi…- mormorò
confusamente, e la sua presa dalle redini si allentò.
Gabriel rivolse il palmo verso l’alto e
Altair lasciò scivolare la catenella nella sua mano.
Il ragazzo fissò il ciondolo commosso,
ma quando il suo sguardo tornò dove un tempo c’era
stato l’assassino, si stupì di non trovarvi
nessuno.
Altair si era dileguato nel buio della notte,
abbandonando la scuderia e fuggendo tra le ombre.
La luce affiorò ai suoi occhi
lentamente, mentre prendeva coscienza di un freddo intollerabile sul
suo corpo. Le venne improvvisamente la pelle d’oca, e le sue
iridi azzurre si spalancarono di colpo, mentre le coperte scivolavano
via dalle sue gambe.
Elena si girò di fianco,
accarezzò il materasso vuoto alle sue spalle, si
sollevò sulle braccia e si guardò attorno.
La sua stanza era attraversata dalla corrente
gelida che entrava dalla finestra semi-aperta. Le tende ancora
abbassate, ed una di esse che svolazzava sbattendo sul vetro.
La ragazza, sola nella camera, scattò
in piedi e si apprestò a chiudere per bene le ante.
Marhim se n’era andato, e probabilmente
dalla finestra, pensò Elena andando verso la porta.
Quando l’aprì, si
stupì di trovare Leila seduta ad uno dei tavoli del salotto.
La donna si voltò a fulminarla con i
suoi occhi verdi; vestita a puntino della veste da Dea, Leila
sorseggiava il suo the stretto tra le dita affusolate. –Alla
buon ora- ridacchiò con la sua voce acuta e melodiosa.
-Perché, che ore sono?-
domandò assonnata e trattenendo uno sbadiglio. Probabile che
i suoi capelli avessero un aspetto inguardabile, perché
Leila la squadrò dalla testa ai piedi con un sorriso
divertito sulle labbra carnose.
-Tardi, troppo tardi. Mi domando cosa ti abbia
stancata tanto- sogghignò, ed Elena
s’irrigidì.
-Dove sono Elika e Kamila?- domandò
scrutando ogni angolo della sala.
-Sono partite poche ore fa- mormorò
afflitta la donna. -Avanti- divenne improvvisamente severa.
–Lavati e vestiti; oggi abbiamo molto da fare-.
-Ma non faccio… colazione?- chiese
insicura.
Leila balenò di collera.
–Non è certo colpa mia se ti sei svegliata
adesso!- sbottò dura.
La ragazza sobbalzò. –Ma!-
provò a replicare.
-Niente ma- la interruppe Leila bevendo un nuovo
sorso. –Fa’ quello che ti ho detto, e guai a te se
ti sento lamentarti nel corso della giornata prima che sia ora di
pranzo o cena, sono stata chiara?-.
Era un incubo.
Elena annuì poco convinta,
terrorizzata, più che altro.
-Avanti- ripeté la donna.
La giovane Dea girò i tacchi e
tornò nella sua stanza. Senza pensarci troppo,
afferrò i suoi vestiti e lanciò una svista dove
la sera prima Marhim aveva lasciato i propri.
Una gioia malinconica le comparve in volto, si
girò verso lo specchio e ammirò
l’arruffata sua massa di capelli castano chiaro. Quello
stesso color caramello tanto simile alla tinta miele di Gabriel,
pensò. Sarebbe stato bene, però, non indugiare
ancora o Leila gliele avrebbe fatte sentire di tutti i colori.
Si recò in bagno e fece tutto di gran
fretta.
Se c’era una cosa che aveva appreso,
era sostare agli ordini dei superiori, e i racconti di Kamila
confermavano il suo nuovo ideale. Leila le avrebbe insegnato a
combattere, Leila le avrebbe reso la vita un Inferno, Leila
l’avrebbe tenuta a stecchetto, e Leila lì per
rovinarle l’esistenza come si erano già impegnati
di fare Marhim e lo stesso Corrado, assieme a tutta la sua famiglia!
Gabriel compreso!
Quand’ebbe finito, tornò nel
salotto comune e la Dea più anziana le venne di fronte,
stringendo le cinghie di cuoio che reggevano la lama corta sulle sue
spalle.
-Sarebbe bene che tu imparassi- le disse -a tener
a stretto contatto le armi con il tuo corpo-.
-Come mai?- domandò Elena inarcando un
sopracciglio.
-Si tratta del semplice fatto che il tuo nemico
ha più facilità nelle sfilartele via. Tu e
Gabriel avete lo stesso vizio. Tornando a noi: al più presto
ti verrà concessa un’arma alla quale dovrai gran
parte della tua dedizione; se non apprenderai nel migliore dei modi il
genere di combattimento che voglio insegnarti, ti sarà
difficile sopportare i tuoi futuri addestramenti- proferì
seria mentre scendevano le scale.
-Allora illuminatemi- ribadì Elena
seguendola attraverso il corridoio, il quale era popolato dalla solita
massa di assassini.
-Non devi preoccuparti di cosa ti riserva il
futuro- si beffò la donna. –Sappi piuttosto che
per assicurartelo, dovrai saper combattere al meglio il tuo presente-
strizzò un occhio, ed Elena rallentò il passo
rimanendole dietro.
Leila la condusse fino alla rampa delle gradinate
della torre e oltre, a raggiungere finalmente il pian terreno.
C’era un fare odioso che non sopportava
il lei, si disse. Quel suo ancheggiare per la fortezza in un modo tanto
superiore, e le sue battutine, e i suoi sguardi maliziosi a chiunque le
passasse accanto. Tutto in quella donna le dava sui nervi, fin dal loro
primo incontro nella mensa, Elena non l’aveva mai vista di
buon occhio. Sapeva che le cose non sarebbero cambiate, che Leila
sarebbe stata la sua insegnante per molto tempo, e che le sue si
sarebbero sostituite alle nozioni di Altair nell’arco di quei
mesi. Si arrese al concetto di schiavitù eterna, dolore
immenso e tutta quella fatica che non aveva mai provato nei suoi primi
giorni a Masyaf. Si era trovata agevolata a farsi strada nella setta
grazie agli addestramenti di suo padre, ma ora che Elena doveva
cominciare da zero, apprendendo una nuova arte, una nuova tecnica da
una donna che già le stava sui… insomma, quanto
avrebbe resistito?
Giunte nel cortile interno, Elena si
guardò attorno.
La quiete del buon giorno sorrideva alla fortezza
e ai suoi abitanti. Doveva essere il cielo sereno, oppure il fresco
venticello di quella mattina ad irradiare la roccaforte di una luce
accecante. Altrimenti tutta quella luminosità era dovuta dal
fatto che fosse mezzogiorno passato.
Il lamento del suo stomaco non si fece attendere,
e Leila sbuffò scocciata.
Elena si strinse nelle spalle. –Non
posso mica ordinargli di tacere!- sbottò.
La Dea anziana le fece strada fino
all’arena degli allenamenti, la quale era stata lasciata
libera per l’evenienza.
La donna entrò nella recinzione con un
balzo e si portò le mani ai fianchi. –Bene, bene-
sussurrò. –Tornano i bei vecchi tempi- fece
assorta guardandosi in giro.
I ragazzi della setta non erano certo stupiti di
vederle entrambe lì. Anzi, parlottavano armoniosamente e il
clima era quello solito delle normali giornate nullafacenti.
Leila si voltò a guardarla, mentre
Elena portava una mano all’elsa della spada.
-No, no- intervenne la donna, e la giovane
sgranò gli occhi.
-Che ho fatto, ora?- sbottò.
-Ti ho detto mica di armarti di spada, ragazza?!
No, quindi aspetta i miei ordini anche solo per respirare!-.
Elena indietreggiò intimorita.
–Va bene- balbettò.
Leila fece crocchiare le nocche dei pugni chiusi.
–Alta la guardia, Elena, forza- sussurrò maliziosa.
-Cosa?- ma Elena sapeva bene si stesse riferendo
a quel genere di combattimento a mani nude, lo stesso con il quale
Minha l’aveva stesa a terra in poche mosse.
Così la giovane Dea alzò le
braccia a pararsi il viso.
Leila avanzò verso di lei con un
saltello, penetrò tra i suoi polsi e allontanò le
braccia colpendole entrambe con forza. In fine, quando la difesa di
Elena fu sparita del tutto, Leila le avvolse il collo e la
scagliò in avanti facendola rovesciare a terra in una
frazione di secondo e senza il minimo sforzo.
Elena riprese fiato, le pupille dilatate e il
cuore che pompava spaventato.
-Dio!- gemé, e Leila
irrobustì la presa sulla sua gola. Con la mano libera la Dea
anziana aveva libero accesso al suo petto e le sarebbe bastato un colpo
ben assestato al costato per metterla fuori combattimento. Erano
tecniche di una terra lontana, si disse Elena, ad osservazione dei
più grandi artefici del combattimento corpo a corpo.
Quando la donna le lasciò il collo, ad
Elena cedettero le gambe e si accasciò al suolo in
ginocchio. Le mancava il fiato, la gola le bruciava, il sangue pulsava
tutt’altra parte che alla testa e si sentiva a tal punto
spossata che sarebbe potuta crollare morte da un momento
all’altro. Fortunatamente fu una sensazione momentanea, che
si ristabilì col passare dei secondi.
Leila scoppiò in una fragorosa risata.
–La tua difesa nuda fa schifo!- le rinfacciò
schietta, ed Elena rabbrividì.
Possibile che fosse tanto stronza la sua nuova
maestra? Forse era uno stile di apprendimento che Elena sopportava meno
dei sorrisi compiaciuti di Altair, ma avrebbe dovuto arrendersi a
ciò che ancora l’attendeva e che sarebbe stato
cento volte peggio della parola “schifo” gettata in
faccia senza pietà.
La ragazza si sollevò traballante,
reggendosi alla staccionata. –Che cosa mi hai fatto?-.
Leila incrociò le braccia.
–Ci sono alcuni punti nel nostro corpo che ospitano le
principali vene del sangue e arterie. Le mosse che andrò ad
insegnarti colpiranno in primis quei punti, e come seconda lezione
acquisirai l’auto difesa che ti manca. Terza ed ultima, mi
fronteggerai con quello che ha appreso. Eccoti illustrato il programma
scolastico, ora tirati su e sprizza di energia! Niente musi flaccidi
finché respiro, chiaro?- sbottò crudele.
Elena era la sua vendetta personale, si disse.
La giovane Dea si raddrizzò e fece
scricchiolare la schiena sonoramente. Le mancavano le forze dato
l’assenza di cibo nello stomaco, e chissà: per
quanto avrebbe retto prima di adagiarsi priva di sensi al suolo?
Nonostante lo stressante atteggiamento di Leila
nei suoi confronti, Elena ricevette da quella donna quanto di
più prezioso. In quelle prime ore della mattina le
insegnò quali erano le principali fondamenta per un attacco
ben piazzato. Le mostrò il palmo sempre rigido e teso della
mano, assieme ai muscoli delle gambe pronti a scattare e le ginocchia.
Il corpo diventava una macchina da guerra,
un’arma dai mille manici, ed Elena rimase completamente
assorta da quel modo di vedere le proprie capacità.
Anche la caviglia poteva diventare un buon
appiglio, la lama tagliente di una spada, con la stessa potenza nel
colpo che aveva un martello scagliato da un braccio adulto.
Poche parole per definire quella giornata?
-Una tortura!!!- Elena batté la testa
sul tavolo, e le posate sobbalzarono. –Tortura, tortura,
tortura!- ripeté più volte battendo e ribattendo
la fronte sul legno.
Halef si ritrasse e guardò spaventato
il fratello. -Secondo te è matta?- gli domandò.
Marhim la osservò in silenzio; in una
mano stringeva la tazza di the e l’altra era poggiata sulle
pagine aperte di un libro. –No, è solo stanca-
parlò lui tornando a leggere.
Elena sollevò lo sguardo impietosito
sui due. –Stanca? Io… stanca?- si puntò
un dito al petto. –No, no- brontolò.
–Sono… distrutta! Quella donna mi
porterà all’esaurimento nervoso e fisico! Non
riesco a tenere gli occhi aperti- mormorò abbassando le
palpebre. Barcollava sulla sedia, le tremavano le mani.
Halef si grattò dietro la nuca.
–Forse qualcuno di noi dovrebbe portarla in braccio fino di
sopra!- sorrise come un deficiente mostrando i denti verso di Marhim.
L’altro ragazzo si voltò e
lo fissò con rabbia. –Taci- digrignò
composto, poi bevve un nuovo sorso dalla tazza fumante.
Elena allungò le labbra in un sorriso,
e con gli occhi ancora chiusi disse: -Non sarebbe una cattiva idea-.
Halef scoppiò in una fragorosa risata
che si diffuse per tutta la biblioteca. –Ho occhio per certe
cose!- aggiunse allegro.
Marhim sospirò pesantemente.
–Allora portacela tu di sopra- sbottò.
–Ho da fare- fece altrettanto scontroso, chino sul suo libro.
Elena curvò le spalle e il suo sguardo
si posò stanco su di lui. –Cosa ti è
successo questa mattina? Perché sei sparito
così?- domandò, e chissene di Halef.
L’assassino più giovane
guardò da una parte all’altra, prima lei e di
seguito suo fratello. –Che cosa state confabulando?-
alzò le sopracciglia divertito.
Marhim gli mollò una gomitata.
–Nulla, e fatti i fatti tuoi!-.
Elena si strinse nelle spalle ridendo.
-Eh, no!- sibilò Halef dolorante.
–Quando fate così sono ancora più
sospettoso!- ridacchiò.
-Halef, vattene!- proruppe ad un tratto Marhim.
Il più piccolo tra i tre si
alzò dal tavolo con il muso lungo. –Te la faccio
pagare, questa!- brontolò avviandosi e scomparendo nel buio
tra uno scaffale e l’altro.
Elena lo seguì fin quando non
udì le porte della biblioteca chiudersi, poi si
girò verso il ragazzo che aveva di fronte.
Marhim si passò le mani sul viso.
–Ma che palle…- alzò gli occhi al cielo.
Elena si appoggiò allo schienale.
–Chi dei due, lui o io?- domandò afflitta.
Marhim le volse un’occhiata smarrita.
–Di cosa stai parlando?- mormorò.
La ragazza posò le mani in grembo.
–Perché questa mattina sei sparito
così?… E se mi avessi svegliata forse ora non
sarei così sfinita. Leila mi ha fatto saltare la colazione
solo perché mi sono svegliata tardi!- confessò
rimuginando i crampi allo stomaco di prima che si riempisse la pancia a
cena, dato che ormai era calata la notte sulla fortezza. –E
non so perché, ma mi ha messo anche a dieta oggi a
pranzo…- fece affranta.
Marhim tacque alcuni istanti. –Mi
dispiace, non pensavo…-.
-Ah!- rise lei. –Credevo che uno come
te invece pensasse troppo!- ironizzò.
Il ragazzo richiuse lentamente il libro.
–Questa mattina sono uscito dalla finestra quando ho sentito
le tre Dee che parlavano nel salotto. In progetto avevo già
l’idea di andarmene… prima che ti svegliassi, ma
uscire dal balcone è stata una necessita. Mi sono reso conto
troppo tardi di aver lasciato la finestra aperta, mi spiace-.
-Ah, va bene… se la metti in questo
modo- sussurrò stendendo un braccio sul tavolo. Con le dita
sfiorò quelle di lui poggiate sulla copertina del tomo, ma
Marhim si ritrasse a quel tocco.
Rifiutata, messa da parte ancora una volta. Si
sentiva uno schifo mentre le sue guance si sbiancavano dalla tristezza
e i suoi occhi perdevano il solito vigore azzurro tramutandolo in un
ombreggiatura di grigio celeste orribile, davvero triste.
-Perché- tirò su col naso.
–Perché mi allontani con tanto ripugno, come se ti
facessi schifo! Perché? Credi che quello che provo per te
sia falso? Credi che mi stia approfittando di te allo stesso modo di
come fece Rhami con me?- gemé.
Marhim distolse lo sguardo altrove. –Te
l’ho già detto-.
-No! Non ci credo! Quello che mi hai detto
è infondato! Vivi in questa fortezza solo per difendere le
posizioni di tuo fratello, per prenderti cura di lui! Sei sempre stato
distaccato dal credo, non hai mai creduto nella setta e mi vieni a dire
solo ora che “non puoi” perché
“non puoi” infrangere le regole?-
scoppiò a piangere.
-Anche se fosse, non me la sento. Il rischio
è troppo alto- parlò contenuto.
-Non è vero, mi stai mentendo. Ti ho
visto come mi guardavi, ti ho visto come mi sorridevi, e in che modo
eri geloso di Rhami! La tua gelosia è debita al fatto che ti
piaccio, ma non vuoi ammetterlo! Perché? Che cosa ti ferma
in questo momento… non credo fortemente che sia la
setta… ma ho le mie ipotesi- parlottò.
Marhim soffocò una risata, e
onestamente, Elena non ci trovava nulla da ridere nelle sue lacrime.
–Quali sarebbero le tue ipotesi, sentiamo!-.
Elena si guardò attorno, poi
puntò le sue iride azzurre in quelle cioccolato di lui.
–Sei gay- sussurrò schiva.
La reazione di Marhim a quelle parole fu incerta,
ma in entrambi i casi la sua ipotesi potesse essere vera o no, il
ragazzo si manifestò su tutte le furie.
-Ma come ti salta in mente?!- ruggì
scattando in piedi. –Sei pazza?!-.
Elena quella volta non seppe trattenere le
risate, mentre Marhim rimaneva a bocca aperta.
-Scusa, scusa… lo so, ho esagerato- si
riprese improvvisamente. –Ma davvero, mi hai fatto venire
questo dubbio, sai?- ridacchiò.
Marhim tornò a sedersi serrando la
mascella. –Non azzardarti, che certi peccati nella setta sono
meglio punibili di altri- bofonchiò.
Elena trasalì sulla sedia.
–Intendi dire che l’omosessualità
è più vietata che mai?-.
-Se ti ammazzano perché hai un
rapporto con una Dea, prova ad immaginare cosa sarebbe capace di farmi
Tharidl se fossi gay!- incrociò le braccia al petto.
Elena aggrottò la fronte.
-No, non lo sono!- si apprestò a
ribattere lui.
-A me puoi dirlo, così ti lascio in
pace- fece spallucce.
-Piantala- sorrise.
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Capitolo 41 *** Gridare la verità ***
Gridare
la verità
-Spenga la luce, signorina Tomas. Domani ci attende un gran giorno-
disse Vidic entrando nella mia stanza.
All’inizio non seppi perché mi aveva detto
ciò, ma in breve realizzai che doveva essere successo
qualcosa che lo rendeva così di buono umore. E in fatti,
prima che potessi domandargli nulla, il vecchio dottor Warren sedette
sul bordo del letto dicendo: -Tutto ciò per cui abbiamo
combattuto sta per realizzarsi-.
Lo guardai interrogativa, chiudendo il libro che avevo in grembo e
poggiando su di esso le mani. –Si spieghi meglio- assentii.
-Domani lei e il signor Miles cambierete il corso della storia-.
Non era stato affatto chiaro, anzi. Avevo più dubbi di
prima, molti dei quali erano alquanto turbolenti e malsani.
–Doc, cosa…-.
Il vecchio prof sembrava estasiato, completamente assorto nel sapore
della vincita. Si alzò dal letto tornando
sull’ingresso della camera. Giunse le mani dietro la schiena
e, senza voltarsi, proferì serio: -Da domani, il mondo
vedrà il nostro operato sotto una differente prospettiva, e
ciò ci rende fieri dei risultati che abbiamo raggiunto. La
signorina Stilman ha avuto accesso ad un ricordo più
avanzato ed è da lì che riprenderemo domani.
Entro la fine di questa settimana saremo a compimento della nostra
missione- sospirò e uscì, scomparendo nel buio
delle luci spente del laboratorio.
Strinsi tra le mani il mio libro, lo stesso libro che per lunghi mesi
avevo letto e riletto. Ora questa tortura finiva, e non potei negare a
me stessa di essere contenta almeno quanto Warren. Ma qualcosa pulsava
ardentemente in me, qualcosa chiama coscienza, l’unica parte
restante dentro il mio corpo che fosse davvero cosciente di cosa
l’Abstergo aveva cercato e stava per stringere tra le mani,
ancora, di nuovo come io stringevo il mio libro.
Il Frutto dell’Eden, un altro Tesoro dei Templari, sarebbe
stato consegnato alla società nell’arco di una
settimana, ed io avevo contribuito a quel grande passo per la scienza.
Avevo cambiato la storia, come aveva detto Vidic. Eppure…
sapere che un oggetto di tale potere… non volli neppure
pensarci, era il lato terribilmente crudo della mia vita. Avevo
contribuito a creare il Nuovo Mondo, e mi sentivo immensamente male di
questo.
Quella notte non chiusi occhio.
I tempi si erano ristretti, andavamo in contro alla fine della mia e
della prigionia di Desmond, che aveva scontato la sua pena
più allungo di me. Mi giravo e rigiravo nel letto nel
tentativo di prendere sonno, ma ero troppo eccitata per riuscirci. Mi
alzai svariate volte, andai in bagno e mi guardai allo specchio,
girovagai senza meta per la stanza, come una folle ne carezzavo le
pareti e rabbrividivo al gelido contatto dei miei polpastrelli. La
mattina successiva, se quella notte fosse continuata in bianco, non
avrei avuto le forze necessarie per dare all’Abstergo quello
che cercava, ovvero i miei ricordi. Una mente fresca e sana per una
causa acerba e putrida, mi dicevo spesso. Mi chiedevo come avrei
trascorso la mia vita se tutta quella tortura non fosse mai iniziata. I
miei diciassette anni sarebbero trascorsi più beatamente
fuori da quelle mura grigie, e forse, se stavamo correndo in quel modo
col progetto, avrei rivisto il mondo esterno prima di compierne
diciotto. Ma chi volevo prendere in giro? Mi avrebbero ammazzata, la
loro causa non era dedita a nessuno dei soggetti. Avrebbero ammazzato
me e Desmond senza un minimo di pietà; dalla nostra parte
c’era solo Lucy, che più di tanto non avrebbe
potuto neppure intervenire. Eravamo topi in gabbia, tenuti
all’oscuro del Governo e costretti ai supplizi di due pazzi
quali Alex e Warren. Forse non erano loro la mente del progetto, e non
ci pensai tanto poiché dietro Viego e Vidic si celavano i
volti di coloro che finanziavano e appagavano il progetto, per poi
appropriarsi del dovuto compenso. Di lì a due o tre ore in
che mani sarebbe finito il Frutto dell’Eden che la mia
Antenata avrebbe riportato alla luce? Per quali scopi malvagi e subdoli
sarebbe stato impiegato il suo immenso potere? Avrebbero ammazzato il
Presidente degli Stati Uniti per sostituirlo al doppiatore della voce
di Omer Simpson, come desideravo facessero quando ero bambina. Risi,
anche se le mie condizioni mentali, fisiche e psicologiche mi
imponevano che quella in cui mi trovavo era una situazione
tutt’altro che divertente.
Fissavo i miei occhi vuoti, stanchi e inappagati nello specchio.
Che valore aveva chiedere una ricompensa in denaro se tanto quelli mi
ammazzavano? Nessuna, non c’era un briciolo di
umanità in quei signori, in nessuno di loro. Persino Warren,
che mi costrinsi a pensare fosse solo una marionetta, agiva per conto
avido della paga assurda, oppure accecato dal merito che gli sarebbe
stato riconosciuto alla conclusione del progetto. Il Progetto Animus.
Il 2012 era l’anno dell’Apocalisse, e non ricordavo
neppure più secondo quale Apostolo. Ma durante la mia
permanenza lì avevo perso anche la fede in Dio, se mai ci
avessi creduto.
Forse una mia impressione, forse la mia immaginazione, forse i primi
sintomi della follia, ma sul vetro dello specchio comparve una scritta
sempre meglio definita che andava crearsi sulla condensa.
-Death, anywhere- lessi.
Ero terrorizzata, e ne avevo motivo. Quelle parole si erano scritte dal
nulla, o meglio… io non ero stata, e mi costrinsi a pensare
che nel bagno della mia stanza fosse entrato qualcuno.
Cancellai quella scritta con la mano, ma questa andava ricrearsi
costantemente. Con il respiro affannato strofinai sul vetro entrambi i
palmi, ma nulla da fare. Death e anywhere erano sempre lì.
Mi voltai, afferrai un asciugamano e presi a pulire con questo lo
specchio, ma fu pressoché inutile.
Ormai spaventata e col cuore che batteva all’impazzata, mi
allontanai dalla superficie riflettente, e con pochi passi
all’indietro andai a sfiorare qualcosa di morbido e segoso.
Mi girai e mi accorsi dell’immensa figura che si stagliava
nel buio delle ombre del bagno.
Rabbrividii, mi piegai in ginocchio trafitta da quegli occhi scuri e
pieni di ardore.
Stavo impazzendo, mi dissi, ma il bello era che ne fossi consapevole! E
nonostante ciò, non riuscii a divincolarmi da quella
dimensione assurda delle cose, quel mondo parallelo inquietante e
terribile.
Mi rannicchiai a terra come inchinandomi, e sentii la mano di Alex
viego poggiarsi sulla mia spalla.
Strinsi i pugni, gridai perché quel solo tocco mi aveva
causato un bruciore immenso a contatto con la mia pelle.
-Vattene, vattene e lasciami in pace…- sibilai, la fronte
poggiata sul pavimento freddo che faceva conflitto con
l’immenso dolore sulla mia spalla.
Mi sentivo la testa scoppiare di voci, e grida. Grida della gente in
fuga che scappa dall’apocalisse.
Chissà dove trovai la forza per alzarmi e scappare da quella
stanza.
Inciampai e caddi, ma presto mi tirai su e corsi verso la porta.
Prima che potessi raggiungerla, mi fermai, d’un tratto le mie
gambe inchiodarono. Mi voltai lentamente, ad osservare l’uomo
vestito di nero che mi seguiva come un’ombra. E
quell’ombra andò a confondersi con le altre della
camera, mentre i suoi occhi rilucevano di una luce rosso sangue.
E ancora le grida, le urla di gente che non conoscevo e non avrei mai
conosciuto, perché la mia esistenza era condannata
all’eterna prigionia in quel laboratorio fino alla morte
certa.
In preda alle convulsioni, mi accasciai al suolo scivolando sulla porta
d’ingresso. –No, no…- mormoravano le mie
labbra ma io stessa a malapena udivo la mia voce.
Desiderai che fosse tutto solo un sogno, o meglio dire un incubo. Uno
di quelli che svanisce presto, che si dissolve solo quando
l’essere superiore che comanda è soddisfatto della
tua sofferenza.
Ero nella terribile condizione, sul filo che si stava per spezzare.
Mancava poco perché precipitassi nell’immenso
baratro della follia, e c’ero quasi…
c’ero quasi… eccomi, stavo arrivando.
La parete contro cui ero poggiata scomparve d’un tratto e mi
rovescia sul pavimento del laboratorio. Desmond si chinò su
di me e mi cinse con un abbraccio, sollevandomi da terra.
Ed io mi avvinghiai a lui, graffiandogli la pelle delle braccia con le
unghie e nascondendo il viso nell’incavo del suo collo,
mentre il mio respiro affannato s’infrangeva su di esso.
Mi tirò su fino a prendermi in braccio, ed io non staccai la
mia presa da lui neppure quando mi adagiò sul letto.
Forse stava dicendo qualcosa, forse mi stava chiamando per nome e forse
mi aveva schiaffeggiato appena la guancia per farmi riprendere, ma le
mie pupille restavano costantemente dilatate e il mio cuore non
accennava a rallentare.
Se mi voltavo, vedevo ancora la malvagia ombra di Alex Viego dietro
l’armadio, vicino all’ingresso del bagno, e in quel
momento un nuovo brivido mi percorse la schiena.
-Andrea!- ebbi la conferma dei miei mille “forse”:
Desmond aveva strillato il mio nome stringendomi come un peluche.
Sentire il suo petto caldo scontrarsi con il sangue freddo che
circolava in tutto il mio corpo mi fece riprendere, e percepire le sue
mani stringermi le spalle dissolse il pozzo nero nei miei occhi.
-Desmond!- sollevandomi in ginocchio sul letto, ricambiai
l’abbraccio fino a quel momento stato parziale.
Mi sentii subito meglio quando le sue labbra si scontrarono con le mie.
Non poteva durare, non sarebbe potuta essere la sua consolazione in
eterno. Non negava l’evidenza che qualche mano santa
superiore gli avesse dato qualcuno con cui legare durante la sua
prigionia in laboratorio, e fare due chiacchiere delle volte aiutava.
Ma la sua storia con Andrea non poteva durare. Si consolavano a vicenda
perché non avevano nessun altro con cui sentirsi
“umani”. L’Abstergo li aveva strappati
via dalle loro vite gettandoli chi prima e chi dopo in quel circolo
vizioso di malanni mentali e stressanti terapie intensive in un mondo
parallelo altamente surreale e malsano alla saluta. Catapultati nel
passato dei loro antenati il soggetto 17 e 18 condividevano ora paura,
gioia ed un inutile amore.
-So che cosa stai pensando- disse lei.
Desmond abbassò il volto. –Cosa?-.
-Quello che siamo diventati è prettamente inutile. Ad
entrambi-.
Desmond sospirò. –Come fai a dirlo? È
vero, io l’ho pensato, ma che cosa t’infonde tanta
sicurezza?- domandò guardandola, lei stretta tra le sue
braccia e seduta accanto a lui.
-Nulla- rispose Andrea svolgendo le se braccia da attorno al suo collo.
–Non so che cosa mi sia preso- bofonchiò sedendo a
gambe incrociate sul letto.
-Ti capisco, è capitato anche a me. Quelle visioni, intendo.
Anche tu la scritta…- stava per chiedere, ma la ragazza
l’anticipò.
-Death, anywhere- disse. –Sì- gemé.
Desmond tornò al suo fianco. –Fa paura, vero?-.
Lei annuì.
-Non possiamo farci nulla- proferì assorto.
-Vidic. Questo pomeriggio è venuto da me e ha detto che
stanno per finire. Lucy ha trovato un ricordo al quale agganciarsi, e
presto termineranno anche su di me- mormorò.
-Immaginavo- assentì lui. –E poi
chissà- distolse lo sguardo. –Se mi hanno tenuto
in vita fino ad ora, perché dovrebbero ammazzarci?-
ridacchiò portandosi le mani dietro la testa.
-Ma tornando a noi- la ragazza si voltò. –Credi
che…-.
-Non è mai iniziata- sbottò Desmond.
–Ma sarebbe stato…-.
-Non dirlo- intervenne Andrea. –E poi io sono troppo giovane
per te. Se ti faranno uscire di qui, dovresti contattare mia madre; si
sente sola, poverina- rise.
Desmond afferrò il cuscino alla sua sinistra e glielo
sbatté in faccia. –Ti riprendi in fretta,
ragazzina!- digrignò. –E poi tua madre non era
morta? Come i miei, dopo tutto…- brontolò.
-Sì- rispose lei. –Ma era una battuta, stupido!-.
-Ah, ecco!- la colpì di nuovo.
La nostra storia era iniziata poche settimane dopo il nostro primo
incontro nel laboratorio. Ero entusiasta di non aver perso la
verginità con un ragazzo che in fin dei conti conoscevo
ancora appena. E poi avevo ragione: lui ero troppo vecchio. Allo stesso
modo di come tra Elena e il suo maestro non sarebbe potuto nascere
nulla, come potevo pretendere io di innamorarmi di Desmond? Certe volte
lo trovavo interessante, affascinante, ma come avevo azzeccato che
stesse pensando lui, la nostra storia non poteva durare. Eravamo la
consolazione l’uno dell’altra, giocattoli con cui
distrarsi nel frattempo che quelli sclerati ci mettevano le mani
addosso per impadronirsi dei nostri ricordi.
La compagnia di Desmond quella notte fu essenziale. Avevo avuto uno
degli attacchi psico-fisici di post trattamento, e la mattina seguente
ne parlai con Alex che si occupava del mantenimento pazienti.
Gli descrissi ogni dettaglio, e come Desmond mi aveva detto di fare,
raccontai al signor Viego anche della scritta sullo specchio. Alex si
accorse subito della coincidenza tra me e Desmond, ma era dettaglio
irrilevante poiché le conclusioni fossero sempre le stesse:
la rinvenuta del Frutto avrebbe causato morte, in ogni luogo.
Quando alla luce del sole mi fecero sedere sull’Animus, mi
sorpresi alquanto rilassata e tranquilla.
Desmond, Alex, Lucy e Vidic mi osservavano attenti come se aspettassero
una qualche reazione istantanea al solo tocco con
quell’aggeggio.
-Ascolti bene, signorina Tomas. Il ricordo che stiamo caricando ora
è collegato strettamente a quelli che abbiamo appena passato
ed influenzerà quelli futuri. Il che vuol dire che la sua
antenata si troverà di fronte ad un nominato
“bivio”. Cercheremo di aver maggior presa sulla
ragione di Elena per permettere al progetto di agganciarsi al ricordo
più avanzato, ma essa, la Dea, non dovesse presentarsi
disposta all’impiego di quella direzione, i tempi resteranno
invariati e lei dovrà sottoporsi ad altri due mesi di
trattamento- aveva annunciato in pompa magna il dottor Warren, mentre
le dita svelte di Lucy picchiettavano sul portatile.
-Che!?- per me era come se avesse parlato arabo.
Alex trattenne una risata dandomi le spalle.
Lucy avviò il caricamento e nel frattempo si prese qualche
istante per spiegarmi in una lingua umana cosa aveva appena detto Vidic.
-Nel giorno 12 dicembre del 1191 d.C. la tua Antenata si
troverà a dover prendere una tra le due strade che le
verranno proposte. Non sappiamo con certezza a cosa si riferisca questa
scelta, ma per ora è certo che da questa postazione noi
dell’Abstergo possiamo fare poco e niente per interferire
nella sua coscienza. Quindi, quello che ti chiediamo è, per
il fatto che non abbiamo idea a che cosa andiamo incontro, di stare
vigile su quale delle due scelte potrà condurci al prossimo
ricordo-.
Sgranai gli occhi. –Ed io come faccio a saperlo?!- sbottai.
Lucy sospirò, ma al discorso si sostituì Alex.
-Questo è il problema. Siccome solo tu e tu soltanto puoi
indirizzare la tua Antenata, il massimo che possiamo fare noi
è indirizzare te! Per tanto, siccome il ricordo cui vogliamo
agganciarci risale alla rinvenuta del 2° Frutto
dell’Eden, dovrai valutare tu stessa le due opzioni date ad
Elena e scegliere cosa può avvicinare il processo genetico
della tua mente a quello stabilito ricordo- disse Viego.
Cominciavo a capirci qualcosa, ma forse Desmond poteva illuminarmi.
Mi girai verso di lui, che a braccia conserte mi osservava da lontano
appoggiato ad una delle colonne del laboratorio.
Lo vidi stringersi nelle spalle e annuire, poi distolsi lo sguardo non
riuscendo.
Potevo essere in grado di prendere quella decisione al posto della mia
antenata? Da quanto mi disse Vidic mentre mi stendevo
sull’Animus, in quel momento avrei potuto decidere io per
Elena perché lo stesso filo mnemonico della mia Antenata
sarebbe stato interrotto per catapultarmi direttamente nelle sue vesti.
Questo solo per pochi secondi. Il tempo sufficiente di dire
sì o no, a seconda di cosa sarebbe successo e chi avrebbe
chiesto cosa alla povera Elena. Dopo di allora, la mia antenata avrebbe
vissuto quella condizione, quella mia scelta fino alla fine senza mai
ripensamenti e assenze di memorie. Mi dissi che era una cosa assurda,
perché Elena si sarebbe accorta che qualcosa le era mancato
durante quel “sì, lo voglio” oppure quel
“ma vaff…” ecco, quello. Non riuscivo a
comprendere come la mia Antenata avrebbe potuto mentirsi dicendosi che
era stata “lei” a scegliere e non qualcun altro.
Forse le nostre menti combaciavano davvero in quel modo. Anche se avevo
gli occhi verdi e lei azzurri, forse i nostri corpi e le nostri ragioni
potevano davvero essere così simili da non potersi porre
quesiti l’una sull’altra. Già, ma
maledizione a chi inventò la parola…
“forse”. Ero già conscia che Elena
avrebbe subito ogni cosa passivamente, e la sua mente sarebbe stata
sopraffatta dalla mia solo per pochi istanti, ma causare tanto
annebbiamento altrui non mi faceva certo sentire sopra le nuvole.
Senza accorgermene, la schermata dell’Animus mi era balenata
davanti e il bianco accecante del passato mi aveva inghiottito nel suo
vortice temporale. Nel momento in cui la mia coscienza aveva raggiunto
quella della mia Antenata, avevo avvertito un inattendibile gelo far
tremare il “suo” corpo.
La folata di vento fu improvvisa, spettrale e risuonò nella
stanza facendo svolazzare le tende.
Elena balzò giù dalla sedia della scrivania e si
apprestò a chiudere la finestra.
Fuori dai vetri, il paesaggio era cambiato in appena una settimana.
C’era la neve, così candida e bianca che
sovrastava le strade di Masyaf e compattava il mondo esterno ricco solo
dei bagliori azzurrini e grigiastri. Ai lati delle strade della
cittadella si accumulavano pozzanghere marrone di terra mischia alla
neve, che anche quella mattina cadeva dal cielo lentamente soave e
bellissima. I bambini correvano per il villaggio coi loro cappotti di
lana, mentre l’inverno si era abbattuto persino sul campetto
da calcio degli assassini che ora sembrava più una pista da
pattinaggio. Le spiagge del lago si erano ghiacciate, la vegetazione
era imbiancata nell’arco di pochi giorni, e
l’arancione dell’autunno si era sostituito alla
stagione che per lei sarebbe stata sempre la più
meravigliosa e incantevole.
Il suo respiro si infrangeva sul vetro appannandolo in quel punto
ristretto, mentre si sorprendeva di come le attività nella
fortezza restassero sempre le stesse nonostante il freddo pungente.
C’erano due assassini che si allenavano nell’arena,
le solite pattuglie che facevano il giro del cortile e i colombi
padroni dei tetti che si appollaiavano vociando il loro cantico grave
su di essi.
Nell’alto del cielo latteo, Elena scorse a mala pena la
figura piccola e agile di Rashy che compieva piroette tra le nuvole.
Quella scena la fece sorridere, ed una nuova giornata apriva le porte
alle novità della nuova stagione.
La ragazza tornò a sedersi alla sua scrivania e si
riappropriò della lettura del diario di sua madre.
Dopotutto, era da quando Tharidl l’aveva consegnato lei che
non gli dava un’occhiata. E finalmente Leila sembrava aver
terminato le sue torture. Era stato bello imparare da lei, ma i tempi,
chissà perché, sembravano essersi ristretti per
tutti. Stava solo divagando, non godendosi a pieno il fatto che i suoi
addestramenti erano compiuti ed ora poteva essere chiamata
“Dea”. Aveva appreso ogni tattica, ogni mossa di
quello stile sopraffino di combattimento, ma nonostante si fosse
sforzata al massimo, Leila riusciva sempre a metterla al tappeto.
Nell’ultimo periodo un po’ meno, dato che la
giovane assassina riusciva a tener testa a parecchie delle sue finte e
a molti dei suoi duri e violenti attacchi, per non parlare della sua
difesa impenetrabile e la rigidezza delle sue gambe. Era stato
doloroso, lo ammetteva assaporando sulla lingua il sapore acre del
sangue e della fatica, ma ne era valsa la pena. Avrebbe potuto mettere
all’angolo Corrado stesso con il solo uso delle sue mani, e
doveva tutta quella maestria alla sola ed unica sua torturatrice e
insegnante.
Ma tornando al diario di Alice; le sarebbe piaciuto scoprire cosa
celavano quelle pagine a proposito dell’avventurosa storia
d’amore tra sua madre e suo padre.
Come prima cosa, si stupì della calligrafia impeccabile e
preziosa che teneva Alice in ogni singola riga del testo. Come seconda,
Elena notò una certa familiarità tra i suoi e gli
atteggiamenti di Alice durante i loro rispettivi primi tempi nella
Confraternita.
Alice parlava di sconforto, timore, ignoranza e curiosità.
Narrò del suo incontro con Al Mualim, delle amicizie che
strinse con le Dee, soprattutto con una di nome Nicole che aveva lo
stesso suo accento francese. Scoprì che sua madre era una
francesina importata a Masyaf per via dei suoi genitori, ovvero i nonni
di Elena, che l’abbandonarono sul ciglio della strada a soli
sei anni. Alice cominciò a scrivere il suo diario
all’età di quattordici e da allora
buttò giù mezza pagina al giorno in una scrittura
di per sé minuscola!!! Così Elena si
ritrovò mezza ciecata dopo aver appena letto la sesta pagina.
A metà del secondo capitolo, sua madre mostrava
già il suo interesse per Kalel. Kalel di qua, Kalel di
là! Elena scoppiò a ridere per quanto riguardasse
le fantasie di sua madre a proposito del giovane Kalel, che
all’epoca aveva quasi otto anni più di lei.
Come primo espediente, Elena lesse che le Dee amiche di sua madre
sapevano da parecchio che la piccola Alice sbavava dietro quel temuto
assassino, ma che per evitare problemi, non erano mai state di parte.
Alice le descriveva come le “galline dal becco
corto” perché piuttosto che avvertirla di quanto
stesse sbagliando, le Dee quasi la incoraggiavano facendosi i fatti
loro. E Alice, giovane e diventata la migliore praticante tra tutte, fu
presto notata dall’alto mastro Kalel, che finì da
subito con l’osare troppo.
Era emozionante leggere dei loro sguardi, immedesimarsi in sua madre
che descriveva con tanta dedizione e attenzione i propri sentimenti. La
sua relazione con Kalel era tanto vera che le fece salire una morsa
allo stomaco solita di quando si sentiva emozionata. Sembrava di
leggere una novella destinata a non finire con un felice e contenti,
perché Alice, pur amando quell’uomo, era ben
distaccata e sembrava attenersi compostamente alle regole della setta.
E in quelle righe, Elena riuscì a specchiarsi più
in suo padre che in sua madre. C’era un che di familiare in
quella storia, un che di dannatamente familiare e riconducibile a
ciò che stava vivendo assieme a Marhim. Desiderio e confini
illegittimi, li chiama la Dea, poiché nulla può
restare celato così allungo.
Arrossì di vergogna nel leggere della loro prima volta
assieme, precisamente nella biblioteca
Alice era andata lì per cercare alcune pergamene che Al
Mualim l’aveva incaricata di portargli, ma il
“giocherellone” assassino era comparso alle sue
spalle dal nulla e l’aveva gettata nel buio senza lasciarle
fiato. Come sul dire, c’era parecchia passione tra loro.
Questa fu la sua adolescenza, ed Elena non riuscì a
spingersi oltre perché cominciò a girarle la
testa.
Richiuse il libro che era arrivata appena al quarto capitolo e si
abbandonò allo schienale della sedia.
Prese un gran respiro e adocchiò di nuovo fuori dalla
finestra.
Qualcuno bussò alla porta, e la ragazza sobbalzò.
-Cos’hai da ridere tanto?- bisbigliò una voce.
Quando si voltò, saltò giù dalla
sedia. –Marhim!- gioì. –Che ci fai qui?-.
-Ero di passaggio, e Halef mi ha detto che Leila si trova al campetto;
così ne ho approfittato- sorrise lui chiudendosi la porta
alle spalle.
Elena gli andò incontro. –Effettivamente, da
quando Leila ha concluso il mio addestramento, è tornata ad
arbitrare le partite di calcio. Su ghiaccio, per di più-
proferì divertita.
-Ebbene- sopirò lui. –Sono davvero curioso di
sapere cos’è tutta quest’allegria!-
allungò un’occhiata alle spalle della ragazza e
notò il libro poggiato sulla scrivania. –Che
leggevi?- chiese superandola e avvicinandosi al tavolo.
Elena gli si parò davanti e afferrò il tomo
stringendoselo al petto. –Aspetta!- disse.
Marhim inarcò un sopracciglio.
-Tutta ha un prezzo- rise maliziosa.
A quel punto, il giovane assassino parve ancor più
sconcertato. –Cosa…-.
La Dea si allungò sulle punte, lo baciò
dolcemente sulle labbra e Marhim non si oppose; anzi.
Dopo una prima reazione alla “tozzo di legno” il
ragazzo la cinse in un abbraccio gentile. A separare i loro corpi
c’erano solo le trecento pagine del libro, che Marhim le
sfilò dalle mani.
-Brutto!…- digrignò la ragazza, sentendosi
profondamente imbrogliata.
-Ah, chi è che ride ora?- fece lui una smorfia sedendosi sul
letto.
Elena gli si accomodò affianco, mentre Marhim ne apriva la
copertina rigida.
-Non ci credo- gli balenarono gli occhi, che poi si sveltì a
piantare in quelli di lei.
Elena aggrottò la fronte.
-Dove l’hai trovato?- domandò
l’assassino strabiliato, e le sue dita corsero già
alle pagine centrali del tomo.
-Me l’ha dato Tharidl, ma…-.
-Sono anni che lo cerco! O meglio, che ne cercavo uno!- aggiunse lui.
Elena gli si avvicinò. –Come mai?-.
Marhim distolse lo sguardo assorto dallo scritto e lo piantò
in quello confuso della Dea. –Tharidl aveva accennato alla
possibilità che una Dea ne avesse scritto uno, ma non
credevo che… ho setacciato la biblioteca in lungo e in
largo, e solo ora vengo a sapere che quel vecchio pazzo l’ha
tenuto sottobraccio tutto questo tempo!- sbottò irritato.
Elena allungò le labbra in un sorriso. –E fin qui
va bene, ma perché t’interessi tanto?- chiese.
Marhim tornò a sfogliare il diario. –Non so, forse
era l’unica testimonianza tanto proibita cui aspirassi
davvero. Sono sempre a caccia di qualcosa di nuovo da leggere, e ho
pensato che sapere delle Dee, cui testimonianze sono pochissime anche
nelle Cronache altrui, sarebbe stato interessante- confessò
in tutta sincerità.
La ragazza annuì compiaciuta.
-Ti andrebbe…- mormorò lui ad un tratto,
attirando l’attenzione della ragazza.
-Sì?- sperava davvero che…
-Ti andrebbe di leggerlo insieme?- i suoi occhi da cucciolo e color
cioccolato la sciolsero ad un solo passaggio, ed Elena
accettò.
-Un capitolo a sera?- rise lei.
-A me sta bene- assentì.
-No, intendo…-.
Marhim sobbalzò. –Elena!- la riprese.
-Che c’è?!- scattò in piedi.
-Non ti facevo così…- sibilò lui.
-Così come?- si chinò alla sua altezza e sul suo
volto si stagliò un nuovo sorriso malizioso.
Marhim deglutì. –Così…
schietta a proposito-.
Elena si sedette a cavalcioni sulle sue gambe. –A proposito
di cosa?- mormorò avvolgendogli il collo con le braccia.
Il diario di Alice capitava di nuovo al posto sbagliato nel momento
giusto, ovvero ad intermezzo tra i loro corpi.
Marhim s’irrigidì improvvisamente, e per
sciogliere la tensione Elena avvicinò il viso al suo.
-Che stai facendo?- balbettò lui stringendo convulsamente le
mani attorno alla copertina del tomo.
-Nulla, ma ti prego, se vuoi continuare ad ignorarmi, fai finta che non
ci sia- il fiato di lei s’infranse sulle sue labbra, poi
Elena chinò la testa e lasciò una scia di baci
lungo il profilo del suo mento.
-Eheh, facile a dirsi…- bofonchiò il ragazzo.
Elena allontanò improvvisamente il volto dal suo, e Marhim
rimase interdetto.
-Ti sei fatto la barba- constatò lei carezzandogli una
guancia.
-Ovvio, giusto per l’evenienza!- alzò gli occhi al
cielo.
La giovane Dea Elena sedeva su una delle panche del giardino. I suoi
occhi celesti spicciavano svelti sulle pagine del diario di sua madre
che aveva poggiato sulle gambe, mentre il fruscio silenzioso del vento
invernale accompagnava l’aria gelida della mattina attorno
alla fortezza. Tutto taceva, tutto era bianco di un bianco candido e la
neve aveva da poco smesso di piangere dal cielo argenteo.
La fine dell’anno si avvicinava. Gli ultimi giorni di
dicembre erano trascorsi in quel modo adorabile e tranquillo che Elena
aveva imparato ad amare. A proposito di amare… certo le sue
sviste contro le regole con Marhim si facevano sempre più
frequenti, o nella sua stanza quando Leila era fuori oppure nella
biblioteca nell’ora in cui tutti, assassini e saggi, erano a
pranzo e vi restavano solo loro due. Non poté che
rallegrarsi, anche se aspettava con impazienza il momento in cui Marhim
avrebbe voluto “crescere” insieme a lei. Era
impaziente, avida di quel momento ed ogni secondo che trascorrevano
assieme, nella sua stanza o nella biblioteca che sia, le pareva quello
giusto per la loro prima volta. A quei pensieri le si arrossavano
sempre le guance, lasciandola spossata e sorpresa di se stessa.
L’Elena di una volta non c’era più.
Quella ragazza che era approdata nella fortezza spaurita e con
l’unico ideale da perseguire, ovvero di riscattare i peccati
di sua madre, non c’era più. Col passare del tempo
aveva appreso che i desideri, i sogni e i sentimenti umano non possono
essere repressi; ma lei come sua madre a suo tempo, si sentiva in
dovere, quel minimo, verso la confraternita che tanto l’aveva
accettata calorosamente. Dopotutto, persino il fatto che si trovasse
lì, seduta su quella panca, era un piccolo strappo alle
regole che Tharidl si era permesso per salvarle la vita, o Elena non
avrebbe avuto altro posto dove stare.
Improvvisamente si voltò, attratta dallo scricchiolare di
alcuni passi sulla neve.
-Maestro- proferì un inchino con la testa e si
alzò.
L’assassino avanzò verso di lei.
–Tharidl vuole vederti- proferì composto.
La ragazza si strinse il libro al petto. –Come mai?-
domandò.
Altair scosse la testa. –Avanti, vieni- fu piuttosto la sua
risposta.
La fortezza sembrava un cimitero in quel periodo dell’anno, e
chi vi abitava veniva avvolto da un’ombra sempre
più profonda di silenzio e rispetto.
Altair camminava composto a pochi passi da lei e le fece strada fin
nella sala d’ingresso della roccaforte, dove al piano
superiore attendeva conscio il Gran Maestro.
Elena aggrottò la fronte. Quell’ala del palazzo
era deserta; le guardie ai lati delle colonne e i saggi assorti tra gli
scaffali delle librerie… non c’era anima che
vagava per quelle mura che non fossero lei e il suo insegnante
d’armi.
Altair si fermò di colpo, si voltò e la ragazza
per poco non sbatté contro il suo petto.
Elena indietreggiò confusa. –Perché vi
siete fermato?- domandò.
L’assassino la osservò allungo da sotto il
cappuccio. Nel buio dei suoi occhi Elena colse appena del timore, come
un risentimento.
-Elena- cominciò lui. –Qualsiasi cosa Tharidl ti
dirà, sappi che tu potrai scegliere… sia che lui
te ne dia o no la possibilità. E se non
acconsentirà, sarò io a fermarlo- disse in un
filo di voce.
-Di cosa parlate?- era spaventata.
Il suo maestro ignorò la domanda e guardò verso
l’alto, dove Tharidl, poggiato al parapetto di pietra, li
osservava entrambi.
-Non abbiamo altro tempo- dicendo così si avviò
ed Elena lo seguì restando al suo fianco.
Perché tutt’un tratto quella paura? Le parole di
Altair l’avevano lasciata col fiato sospeso, incerta persino
su quali passi muovere restando appiccicata a lui come la sua ombra.
Tharidl aspettava con le braccia conserte davanti alla scrivania. Lo
sguardo austero e fiero. Elena si sentì congelare da quegli
occhi così bui e improvvisamente inesorabili.
Era successo qualcosa?
-È successo qualcosa?- chiese senza preavviso, e si
portò una mano alla bocca subito dopo aver parlato.
Altair si fermò in disparte, ed Elena avanzò al
centro della stanza.
Dalle vetrate alle spalle del vecchio entrava una luce grigia e bianca
affascinante, che conferiva alla saletta una luminosità
contenuta ma ben distribuita. Era l’atmosfera tipica
dell’inverno che Elena vedeva spesso ad Acri negli stessi
mesi circa, quando il cielo diventava ancor più cupo e solo
nelle mattinate si azzardava qualche nevicata. Ora Masyaf era in preda
al candido tocco della neve, che si poggiava sui tetti e andava ad
infangarsi ai lati della strada in cumuli marroncini.
-Per favore…- sibilò afflitta. –Vi
prego, se sono qui per essere punita di qualcosa…-
balbettò, e subito le balzò alla mente la prima e
l’ultima volta che aveva infranto le regole della
confraternita, ovvero i suoi mille tentativi di allacciar bottone con
Marhim.
A quel punto tacque. Se era davvero successo qualcosa, se qualcuno
aveva davvero parlato o vuotato il sacco, Elena l’avrebbe
scoperto a breve; non c’era motivo di torturarsi oltremodo.
Era stata scoperta!!! Ma che diamine!!!
-Elena, oggi sono pronto a dirti la verità, tutta la
verità-.
La ragazza sollevò gli occhi spauriti e incontrò
quelli del vecchio. –Cosa…- mormorò
flebile.
Altair si fece ancor più da parte, riparandosi
nell’ombra delle colonne. Quel gesto la mise solo
maggiormente in allarme, mentre Tharidl muoveva alcuni passi verso di
lei.
-Rispetto la tua scelta di non opporti alle mie conclusioni, Elena, e
sono fiero del coraggio che mi stai dimostrando quando in qualche modo
resisti alla tentazione di strapparti i capelli dal voler chiedere di
più. Ebbene, questa mattina il tuo maestro mi ha aperto gli
occhi su ciò che ti devo da quando entrasti in questo luogo
per la prima volta-.
-Maestro, so già chi degli assassini che abitano questa
fortezza è mio fratello- abbassò il capo.
–Non c’è bisogno che vi preoccupiate per
me- sussurrò afflitta.
Tharidl allungò le labbra in un lucente sorriso.
–No, Elena, di quello sono certo. Ma vorrei che i tuoi dubbi
sulla mia follia finissero qui, vorrei dirti perché ti ho
tenuto nascosta la verità quando credevi non ne avessi
motivo-.
La ragazza si raddrizzò, ascoltando curiosa.
Il vecchio prese un gran respiro. –Gabriel non compare spesso
nella fortezza perché egli è un Falco, il Sacro
Incaricato di condurre il Frutto nell’Eden da capo a capo di
questa terra maledetta da Dio. Assieme al suo compagno, egli viaggia di
città in città rischiando ogni particella del suo
essere in un tracciato che non avrà mai fine. Elena, temevo
che se avessi saputo che Gabriel era di tuo stesso sangue, avresti
fatto di tutto per fargli rinunciare all’incarico, e trovare
qualcuno di affidabile come quel giovane assassino è stata
un’impresa più che ardua. Egli ha le
capacità per vivere allungo nel deserto senza bere e
mangiare, il suo fisico forte e allenato ha passato incolume le
tempeste delle tempeste e non avrei voluto interrompere la catena
proprio ora che pensavo di avere tra le mani la vittoria-.
I Falchi…
Aveva ragione. Forse Gabriel era davvero il ragazzo con quelle doti che
l’avrebbero portato più lontano di altri nel suo
compito. Suo fratello… un Falco. Le ci volle parecchio,
parecchio tempo trascorso in un silenzio interdetto e meravigliato per
poter realizzare a pieno quelle parole. Il pieno non si fece attendere,
perché gli occhi le luccicarono.
-Lui… rischia la vita per… il Frutto?-
balbettò.
-Sì, ogni giorno. Agguati, assalti, e la stessa madre natura
che spinge i soldati di Corrado vi è contro a questi due
folli. Elena, mi è abitudine chiamarli folli
perché la scelta che hanno preso entrambi, Gabriel e Amir,
è di nobili radici. E l’appellativo
“folle”, per me è simbolo di immensa
saggezza…- il vecchio spostò lo sguardo
sull’assassino nascosto nel buio, e Altair accennò
un sorriso.
-Ti è più chiaro, ora?- proferì
allegro Tharidl camminando su e giù per la sala.
–Mi vedi ancora come un pazzo che detta ordini senza sapere a
chi e cosa va incontro? Elena, avresti tentato di fermare tuo fratello
se te l’avessi detto prima?- chiese tranquillo.
-È probabile- rispose in un sussurro. –Ed ora
capisco, e avete ragione… come sempre- assentì.
Ora le era possibile scorgere sotto la scrivania poiché
Tharidl si fosse allontanato da essa.
Buffo, pensò Elena notando un secchio di legno tenuto
discosto sotto lo scranno. Sembrava contenere del ghiaccio o della neve
fresca, e vicino ad esso c’erano degli asciugamani bianchi e
uno straccio. Poi, altro particolare che la colpì, fu il
guanto posato sul tavolo. Vi era allacciato il meccanismo della lama
nascosta che la ragazza riconobbe bene, e sul dorso vi erano le placche
di metallo che più volte Elena aveva notato al polso
sinistro del suo maestro d’armi.
In fine, un pugnale, adagiato sopra alcune vecchie pergamene; ma non vi
era altro sulla scrivania, che sembrava essere stata sgombrata per
l’occasione.
Tharidl la squadrò chiuso in un orribile e fastidioso
mutismo.
C’era dell’altro? Ovvio.
Indizi, si disse… il secchio di neve, gli asciugamani, il
pugnale e il piccolo e minuto guanto con la lama nascosta. Erano tutti
indizi. Possibile che… no, non poteva essere…
perché dopo così tanto tempo trascorso in riposo,
Tharidl la chiamava al dovere in quel modo violento?! Ricominciavano
così le sue dure giornate di allenamento e i suoi
sali-scendi da una torre all’altra di Acri? Era quello il
primo passo per tornare alle calcagna di Corrado?
Non poteva crederci. Era assurdo che il suo vecchio Gran Maestro
desiderasse questo per lei.
Elena si trovava nel posto giusto al momento sbagliato.
Doveva scappare, dire di no e andarsene alla svelta! Altair le aveva
detto che le sarebbe stato possibile scegliere. Ebbene, lei aveva
deciso di rimandare.
Non ora che una nuova stagione stava spazzando via i ricordi di quella
precedente! Non ora che indossava delle vesti linde, e non ora che la
sua mano sinistra aveva appreso neppure il necessario per sopportare
tale dolore!
Tharidl si volse verso l’assassino, ignorando
l’espressione spaurita della ragazza.
-Dunque?- domandò composto il vecchio.
Altair alzò il mento fiero. –Non dovete chiedere a
me, Maestro- rispose lui.
-Ella non è ancora pronta per prendere alcuna decisione.
Troppo piena della sua giovinezza, ho sbagliato a conferirle tale
fiducia. Ho avuto modo di scoprire da me molte cose, ultimamente,
quindi vorrei che prendeste voi una decisione per lei-
sbottò Tharidl, improvvisamente furioso.
E così Elena non veniva reputata degna di decidere delle sue
dita?! Assurdo, maledettamente assurdo… che cosa aveva fatto
per meritarsi quello? Forse Tharidl davvero aveva scoperto qualcosa, ed
Elena pensò di nuovo a Marhim, ma ancora prima a Rhami. Ma
che cavolo!
Tharidl si distrasse un secondo, andando a scrutare fuori dalle vetrate
con le braccia conserte. –Chiedo a voi, Altair. Confido che
sappiate scegliere cosa è giusto per lei, ora… ma
vi rammento che in futuro potrebbe non esserci modo di
agire…- proferì contenuto.
La ragazza scattò di lato, allungò un passo verso
le scale, era quasi per lasciare la stanza, quando il suo insegnante
d’armi l’afferrò per i fianchi e la
strinse a sé, inchiodandola dov’era.
-Sta’ calma- le sussurrò all’orecchio,
ed Elena s’irrigidì. –Andrà
tutto bene, ma è importante che lasci fare a me- aggiunse
soave.
Elena gli lanciò un’occhiata, lo vide sorridere e
se ne stupì.
Tharidl Lhad voleva affettarle un dito e il suo maestro era
così tranquillo? Forse Altair avrebbe provveduto lui stesso
a tirarla fuori da quella situazione, ma non ci contò poi
tanto.
Era la sua vicinanza ad infonderle tanta sicurezza? Era il calore del
suo petto e delle sue braccia che le cingevano le spalle a darle nuovo
vigore? Oppure era stato solo il suono delle sue melodiose parole a
rassicurarle il cuore e a rallentarne i battiti, che nel momento in cui
l’aveva sfiorata erano andati alle stelle.
Altair la lasciò, ed Elena si riebbe della forza delle
proprie gambe, sentendosi però mancare il conforto del suo
maestro, che si allontanò di qualche passo.
Elena strinse i denti, voltandosi lentamente a guardare il vecchio.
Questo osservò muto come la ragazza riacquistava compostezza
di fronte a lui, e passò una mano sul guanto poggiato sul
tavolo. –Non possiamo aspettare. I nostri impegni e doveri si
stanno accavallando, e non possiamo permetterci altri rinvii e ritardi.
Elena, ti ho concesso abbastanza tempo per pensare da te a quello che
ti sarebbe spettato un giorno di questi. Oggi giunge il momento in cui
viene a dimostrare la tua fedeltà alla setta-
proferì tornando con gli occhi su di lei.
-Fedeltà?- eruppe Altair all'istante, e la ragazza stette in
silenzio smarrita.
Tharidl inarcò un sopracciglio.
Altair avanzò a sguardo basso. -La chiamate
fedeltà?- continuò - Quell’arma non
è certo dovuta alla fedeltà al credo! Non
è certo per atto morale che ci viene fatto quel che deve
essere fatto! È una questione di comodità alla
pratica di quell’oggetto, ed oggi voi parlate di
fedeltà? Vi rifugiate dietro a delle farse pur di far
acconsentire Elena a tagliarsi un dito?!- ruggì.
–E cercate di confondere anche me?!-.
Elena sgranò gli occhi e sentì mancarsi il fiato.
Era vera, la storia del dito era vera… non riuscì
a crederci. Più che altro non volle crederci. Non concepiva
il fatto che Tharidl la odiasse a tal punto! Lui che l’aveva
sempre protetta e le aveva offerto sempre il meglio. Perché
d’un tratto pretendeva tanto da lei?
I tempi si stringevano, giustamente dovevano agire al più
presto. Corrado si apprestava a divenire Re del Regno di Gerusalemme,
con al suo fianco Isabella e la sua piccola Maria, ed era ora di
affrettare ogni cosa. Capiva il timore di Tharidl, comprendeva che in
quei giorni fosse occupato e messo sotto pressione oltre il dovuto.
-È un segno, una devozione alla causa che ho appreso essere
essenziale! Al Mualim me ne parlò in persona-
ribatté il vecchio.
Altair soffocò una risata. –Al Mualim era un
vecchio pazzo che voleva al più presto raggiungere i suoi
scopi! Le sue parole di promesse e “fedeltà al
credo” erano vuote fin dal primo momento in cui sedette a
quella scrivania!- obiettò l’assassino.
-Vedila come vuoi, ragazzo, ma abbiamo già discusso del
perché ella ha bisogno di quest’arma e subito!-
eruppe Tharidl indicando prima il guanto e di seguito lei.
–Forza Elena, avvicinati. Sono certo che hai compreso a
dovere e sei pienamente d’accordo. Avvicinati, cara-.
Prima che Elena potesse muovere un muscolo, Altair le si
parò davanti e Tharidl batté un pugno chiuso sul
tavolo.
-Basta!- gridò il vecchio.
L’assassino prese un gran respiro e curvò le
spalle.
-Vattene, ho detto. Ti sei reso complice abbastanza, puoi andare-
sibilò con più calma.
Elena osservò la rassegnazione farsi largo sul volto del suo
maestro, mentre questo le volgeva un ultimo sguardo.
-Avete detto che potevo prendere parte alla vostra decisione
attivamente- sottinse guardandola, ma quelle parole erano riferite al
Gran Maestro, che sedette alla scrivania pesantemente.
Elena piantò i suoi occhi azzurri in quelli neri e profondi
del suo insegnante, fin quando egli non aggiunse voltandosi verso il
vecchio: -Non è obbligata certo da voi, non ha bisogno di
tutto ciò e le basterà stare a
guardare…- disse solo.
Tharidl poggiò i gomiti sul tavolo. –Ne abbiamo
già discusso, adesso va’-.
Altar fece per avviarsi, ma Elena lo afferrò per la manica
della veste. –No- mormorò lei.
L’assassino lanciò un’occhiata stupida
al vecchio, poi strinse la mano di Elena avvinghiata alla manica della
veste nella sua. –Ora esageri- le sorrise.
Elena restò seria, respirando cauta e, con le dita della sua
mano sinistra ancora stretta tra quelle del suo maestro, si
voltò a guardare il vecchio.
-Sono stata in silenzio a guardare anche abbastanza, e ho capito a cosa
vi riferite entrambi. Ho avuto modo di comprendere che
quell’arma è dedita solo ai meritevoli della
setta, ed io… come Dea e come mio volere, non ho intenzione
di raggiungere il rango superiore a quello che ho adesso.
Insomma… no, non voglio quell’aggeggio!-
sbottò.
Sul volto del suo maestro si disegnò un ampio sorriso
soddisfatto, e la presa attorno alla mano di lei si fece più
stretta.
Elena cercò di non farsi distrarre da quel contatto e
proseguì. –Vi prego, Maestro. Non ho bisogno di
uccidere, ma se proprio devo non è con la lama nascosta che
debbo raggiungere il mio scopo. Vi supplico, voi che avete sempre
pensato al mio bene! Voi al quale vi ha affidato mio padre, vi
prego…- mormorò affranta.
Tharidl tacque, e con lui l’assassino al suo fianco, ed Elena
si girò a guardarlo.
Altair soffocò il suo sorriso che divenne una smorfia, prese
fiato e lasciò la mano di lei. –Avete le vostre
conferme, Tharidl. Oggi non mi contrappongo al vostro volere, ma vi
impongo di ascoltare il suo- disse. -Se ella intende rinunciare
all’incarico, è un suo desiderio, e non potete
interferire in questo- proseguì sicuro.
Tharidl ridacchiò. –Ma ella non sa neppure di che
incarico si tratta!- rise.
Elena avanzò. –State parlando di un omicidio?
Be’, allora… Corrado… quando
morirà assisterò in disparte, come era previsto
che facessi. Dopo tutto, avete affidato ad Altair l’impegno
di…- le parole le morirono nella gola,
nell’istante in cui si accorse che i due uomini la fissavano
seri.
La ragazza sbiancò. –Non…-
balbettò. –Non avevate mica…-
esitò indietreggiando. –Non avevate intenzione
di… io… avrei dovuto ammazzarlo io?- la voce le
veniva meno, e la testa cominciò a girarle.
Giunta con le spalle al parapetto del piano, si appoggiò
completamente ad esso, sconvolta.
Era quella la verità. Tharidl le stava affidando il compito
di prendere parte attivamente ad indagini e omicidio. Una volta
ottenuta la lama nascosta, sarebbe stata la sua a trafiggere la carne
di Corrado, la sua lama a mettere fine alla sua vita, e
Tharidl… confidava in lei.
-Elena!- Altair le venne al fianco. –Non farti pervadere
dalla rabbia! È il suo scopo, egli ti sta assegnando questo
compito solo al fine di dannarti per sempre! È una
trappola…- mormorò inquieto.
Tharidl si alzò spostando rumorosamente lo sgabello.
–Adesso basta; Altair, puoi andare- dichiarò.
-Vile… guarda che cosa le hai fatto!- digrignò
l’assassino.
Elena si strinse nelle braccia e si sollevò dal parapetto.
Andò verso il tavolo e puntò i suoi occhioni di
cristallo sul vecchio. –E sia…- disse.
Tharidl annuì soddisfatto, mentre Altair osservava in
silenzio sconvolto.
L’assassino si passò le mani sul volto.
–Dov’è finito il tuo onore?!- gli
gridò contro. –La stai colpendo dove è
più vulnerabile! Guardala! Elena, hai gli stessi occhi di
quando Al Mualim usò i poteri del Frutto sulla gente della
città! Sono vuoti e offuscati dalla collera! Elena,
ascoltami!- provò ad avvicinarsi, ma Tharidl alzò
una mano.
-Non ti conviene, se non vuoi rischiare grosso- proferì
serio.
Elena non sapeva che fare, che aggiungere o che dire. Combattuta tra
rabbia e paura, dava troppo poco ascolto alle parole del giovane suo
insegnante, senza lasciar spazio alla ragione, colma di dolore.
Ma Altair
aveva ragione, i suoi occhi erano vuoti… e lei, sopraffatta da una
seconda coscienza, non poté ribellarsi.
-Non
interferire. Ha fatto la sua scelta, ed era giusto che nelle mani
avesse ogni tassello del puzzle. Saresti stato tu l’unico ad
imbrogliarla se ella non avesse saputo di quale uomo avrebbe dovuto
occuparsi. Ora è libera di cambiare idea, ma come vedi non
lo farà…- enunciò Tharidl composto, ed
Elena strinse i pugni.
-Permettetemi almeno- mormorò Altair avvicinandosi.
–Di restare- aggiunse rassegnato.
Elena si girò a guardarlo, e lo colse più vicino
a lei di quanto si aspettasse.
-Elena?- la chiamò il vecchio.
La ragazza annuì. –Sì, vi
prego…- sussurrò. –Voglio che resti-.
-Bene, allora avvicinati. Vorrei che tu lo provassi prima di iniziare-
dichiarò, ed Elena si avvicinò alla scrivania.
Fu Altair ad aiutarla ad allacciare ogni cinghia del guanto, che
divenne a tal punto a stretto contatto con la sua pelle, che quasi il
peso del meccanismo era nullo. Lo sentiva già parte di
sé, sentiva quell’arma già parte del
suo passato, presente e futuro.
Altair le mostrò come innescare il meccanismo, che partiva
con un lieve tocco del mignolo. La lama venne fuori di colpo,
scattante, pulita, brillante e ancora pura come la sua nuova padrone.
Dopodiché, ad Elena venne chiesto di privarsene, e
lì ebbe inizio l’agonia.
Il vecchio issò sul tavolo il secchio di neve e vi distese
accanto un asciugamano.
Elena ammirò ancora una volta la perfezione della simmetria
delle sue dita, una delle quali presto avrebbe perduto.
Il vecchio le fece addormentare tutta la mano lasciando che la neve
gelida arrestasse la circolazione. Quando perse la
sensibilità dei polpastrelli, la ragazza fu attraversata da
un brivido. E l’incoscienza dei suoi muscoli si
allungò tra le ossa, avvolgendo centimetro dopo centimetro
prima le dita poi l’intera mano.
Dopo poco, trasse dal cesto l’arto addormentato e quella
sensazione le diede un fastidio smisurato. Tremava, ovviamente, ma
erano tremori di freddo. Ormai i timori erano stati cancellati dalla
voglia di combattere e arrivare fino all’ultimo, spingersi
oltre il limite del dolore e ottenere per “mano”
sua la morte di Corrado.
Elena lanciò un’occhiata al guanto fino e magro
adagiato in disparte. Prese un gran respiro e aprì il palmo
sinistro sfiorando appena il tessuto dell’asciugamano, che il
tatto assente non riconobbe.
Che cosa ne avrebbero fatto del suo dito? Si chiese, e un sorriso
divertito le affiorò sulle labbra.
-Pronta?- domandò Altair guardandola dall’alto.
Elena annuì di nuovo e lentamente, con un braccio teso sul
tavolo, si avvicinò al petto del suo maestro. Si
avvinghiò a lui affondando il viso nell’incavo del
suo collo; una guancia poggiata sul cappuccio che portava abbassato.
Altair s’irrigidì scoccando uno sguardo sorpreso
al vecchio.
Tharidl sorrise commosso. –Va bene così-
bisbigliò.
L’assassino alzò gli occhi al cielo e
ricambiò il dolce abbraccio della sua allieva. La strinse a
sé avvolgendole le spalle e accarezzandole i capelli.
Il tempo sembrava essersi fermato. Tharidl assemblava i preparativi, e
dovevano fare in fretta o il sangue avrebbe ricominciato la sua corsa
svegliando la mano.
Il tocco della lama fu improvviso, più gelido della neve
nella quale aveva affondato le dita. Veloce, agile… Tharidl
le tagliò così un dito.
Elena soffocò il grido riempiendo di lacrime la veste del
suo maestro. Singhiozzò senza sosta, strinse con violenza il
tessuto bianco della tunica e cercò di darsi un contegno.
Quale contegno? Tra i suoi denti non aveva neppure un legnetto da
stringere, piuttosto avvertiva il calore freddo del corpo del suo
maestro così vicino al suo.
Tharidl le fasciò la mano e lei non volle assistere a
nessuno dei suoi gesti. Piuttosto cercò ulteriore riparo tra
le braccia di Altair, che la sentiva diventare sempre più
rigida e scossa da brividi continui.
Quando Tharidl ebbe finito con le bende, Elena perse totalmente il
controllo.
Il taglio
pulsava sia nel corpo che nello spirito. Gridò
con quanto fiato avesse pur di liberarsi di quel peso, e le sue urla
s’infransero tra le mura della fortezza, raggiungendo gli
alloggi degli Angeli, gli appartamenti delle Dee e il cortile interno
nel quale si stavano allenando due assassini.
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Capitolo 42 *** Deserti freddi e caldi ***
Deserti freddi e caldi
“Gridò con
quanto fiato avesse pur di liberarsi di quel peso, e le sue urla
s’infransero tra le mura della fortezza, raggiungendo gli
alloggi degli Angeli, gli appartamenti delle Dee e il cortile interno
nel quale si stavano allenando due assassini.”
Marhim
inciampò e cadde in avanti, ai piedi di suo fratello.
Halef
lo aiutò ad alzarsi afferrandolo per il cappuccio.
–Stai bene?- gli chiese distratto, guardando verso
l’ingresso della fortezza.
Marhim
si sollevò lentamente, la spada ancora stretta in pugno e la
bocca aperta.
-Elena…-
mormorò, ed un istante dopo scattò di corsa fuori
dall’arena.
-Marhim,
aspetta! No!- gridò Halef. –Fermo!- aggiunse, ma
il fratellone saltò la staccionata e continuò
dritto verso la sala.
Una
volta nell’androne, Marhim rinfoderò la spada e
proseguì sulle scale che portavano allo studio del Maestro.
Il
ragazzo si arrestò nell’ombra delle colonne, non
poté credere ai suoi occhi.
C’era
un gran silenzio nella stanza, accompagnato dai gemiti continui della
giovane Elena, stretta tra le braccia del suo maestro.
Marhim
lo riconobbe subito: Altair stringeva la sua allieva a sé
mentre Tharidl impiegava le ultime forze per fasciare alla Dea la mano
sinistra. Il bendaggio, come vide chiaramente Marhim, correva dal polso
allo spazio vuoto tra il dito medio e il mignolo.
Non
riuscì a guardare oltre, nascondendosi dietro la colonna. Il
respiro gli si faceva irregolare, e il cuore accelerava la sua corsa.
C’era
del sangue sul tavolo del Maestro. Il sangue di Elena.
Non
poteva starsene lì come un ebete e permettere che accadesse
tutto quello. O meglio, era già accaduto, ma non avrebbe
tollerato oltre che la sua Elena stesse un minuto di più
attaccato a quell’uomo.
Ecco
che i sentimenti per quella ragazza si facevano più forti,
si disse lanciando un’occhiata. Se provava quel genere di
gelosia, doveva essere davvero stracotto, pensò.
Come
si era permesso Tharidl di tagliarle un dito? Così
inaspettatamente … non era da lui accelerare a tal punto le
cose. Ma perché Elena avrebbe dovuto accettare con tanta
convinzione? Era stata forse costretta? Le imposizioni della
confraternita ponevano limiti assurdi, e pensare che Tharidl non fosse
capace di imporle una tale sofferenza gli pareva dannatamente possibile.
La
ragazza soffocava i suoi lamenti sulla veste del suo maestro,
l’unico braccio libero dal fardello del dolore era
avvinghiato al suo collo, e in tutto questo Altair restava
impassibilmente severo cercando di consolarla con delle innocue carezze.
Trovò
il coraggio per mostrarsi, e nell’istante in cui Marhim
emerse dall’ombra comparendo nello studio, Elena si
allontanò dal petto del suo maestro.
La
ragazza traballò facendo quale passo all’indietro.
-No,
tienila ferma!- gridò Tharidl, ma Elena diede una svista al
vuoto tra le due dita, ed un secondo più tardi si
accasciò prima sulle ginocchia e di seguito completamente
distesa a terra.
Marhim
scivolò al suo fianco. –Elena!- sibilò
non sapendo dove mettere le mani.
Altair
aggrottò la fronte. –Cosa ci fai qui?-
ruggì.
L’assassino
più giovane le cinse le spalle e sollevò seduta
il corpo della Dea. –Elena, Elena!- le sussurrò
abbracciandola.
Tharidl
inarcò un sopracciglio. –Per adesso può
bastare, avanti: Altair puoi occuparti tu di riportarla nelle sue
stanze?- chiese.
L’uomo
annuì. –Se solo…- con un cenno del capo
indicò Marhim che pareva non staccarsi da lei.
Tharidl
prese fiato. –Marhim, lascia immediatamente questa sala!-
ordinò.
Il
ragazzo scattò in piedi come una molla, scostandosi dal
corpo inerte della sua amica. –Sì, Maestro!-
balbettò terrorizzato.
-Bene-
fece Tharidl soddisfatto, e Marhim abbandonò lo studio con
una smorfia.
Altair
si piegò a raccogliere la sua allieva, afferrandola sotto le
ginocchia e dietro la testa. Se la caricò in braccio e fece
per avviarsi giù dalle scale.
-Assicurati-
cominciò Tharidl, e l’assassino si
fermò voltandosi.
-Assicurati
che non sia sola, quando si risveglierà. Non voglio che
tenti di levarsi la fasciatura prima del tempo- sospirò.
Altair
annuì e sistemò meglio Elena tra le sue braccia.
D’inverno
le desertiche lande egiziane erano una sterminata e compatta chiazza
grigiastra che, alla luce del sole oscurato delle nuvole, pareva
infinita.
Vi
era qualche ciuffo di erba che spuntava dal terreno, ma la sola
vegetazione di quei luoghi abbandonati da Dio, erano le pozze salmastre
di neve sulle montagne e i cespugli essiccati di erba fredda.
La
piana di Fayium era costellata di villaggi contadini e articolata in
una serie di strade pietrate che calpestavano il deserto per diversi
chilometri, collegando un centro abitato all’altro.
I
due Falchi avevano ricevuto ordine di evitare ogni accesso affollato
alle cittadelle e astenersi dalle vie più frequentate e
meglio rintracciabili; proprio per questo motivo era stato chiesto loro
di aggirare le città ove non si trovasse una Dimora e
raggiungere le destinazioni percorrendo il deserto.
Su
di loro gravava il freddo della notte, e i loro cavalli sfiniti
mantenevano l’andatura regolare di una corsa lenta.
Gabriel
si strinse nel mantello, nascondendo sotto ad esso le mani che
stringevano le briglie.
Il
buio inghiottiva la pianura e giocava brutti scherzi, in cielo si
agitavano le nuvole di una tempesta di tempesta.
Il
suo compagno anziano gli era affianco e puntava le sue veglie
attenzioni dritto davanti a sé, pronto e scattante a
qualsiasi evenienza.
-Che
cos’è?-.
Gabriel
seguì il braccio del Falco e fermò il cavallo.
–Cosa?- chiese.
-Aguzza
la vista, ragazzo! Guarda!- lo rimproverò il vecchio
assassino.
C’era
un barlume lontano, forse un accampamento nel bel mezzo del nulla. Le
luci soffuse di fiaccole, e poi il suono ben distinto di metallo contro
metallo.
-Dove
siamo? Cos’è, un villaggio?- domandò il
ragazzo.
-No-
sibilò l’altro Falco. –Siamo nel bel
mezzo del deserto! Secondo te cosa può essere?-
sbottò furioso, e il suo cavallo parve agitarsi.
–Presto, prendiamo un’altra strada!-
ruggì facendo voltare l’animale.
Intrapresero
una nuova direzione, sparendo avvolti dalle ombre della notte e punti
da una gelida ventata che sollevò la polvere e gliela
gettò negli occhi.
Giunsero
ad un crepaccio roccioso e vi passarono attraverso in uno stretto ed
intricato sentiero di pietra, mentre il suono degli zoccoli dei cavalli
si diffondeva tra le ruvide pareti.
Gabriel
si guardò attorno spaesato, ma costantemente vigile.
Quel
posto non gli piaceva, quelle pietre avevano un che di dannatamente
sinistro, e le ombre erano troppo immobili e silenziose.
-Perché
ho un brutto presentimento?- mormorò.
L’incappucciato
davanti a lui si voltò a guardarlo. –Tieni a freno
i brividi, siamo al sicuro qui. Ci siamo già passati,
ricordi?-.
Gabriel
scosse la testa e si allungò sul collo del suo cavallo.
–Compagno, non mi piace. Ascolta questo silenzio!-
gemé.
Amir
fece un gesto di stizza e lo azzittì con un sibilo.
–Piantala; dei cavalieri si sono accampati lì e
questa è l’unica via. Azzittisciti, per favore-
digrignò.
Gabriel
risedette composto sulla sella e portò una mano dalle redini
all’impugnatura della spada al suo fianco. –Stolto
vecchiaccio- bofonchiò.
Sopra
le loro teste volteggiò un aquila che levò il suo
grido, e poi fu il caos.
Dalla
parete di roccia emersero una dozzina di figure oscurate dal nero della
notte e copertE da lunghe mantelle scure. C’era una croce
rossa di una filatura brillante sulle loro tuniche, e non potevano non
trattarsi di quell’unica casata che meno si sarebbero
aspettati di incontrare in quelle lande desertiche.
Gabriel
sfoderò la sua lama. –Diamine!- strillò.
L’uccello
del malaugurio andò a stringere i suoi artigli attorno al
braccio sinistro di un uomo a cavallo che comparve dal nulla, con
grande sorpresa dei due missi dal mantello bianco.
Amir
accorciò a tal punto le redini da far indietreggiare la sua
cavalcatura, e Gabriel con lui.
-Dateci
il Frutto, e la vostra vita sarà risparmiata-
ridacchiò il Templare a cavallo.
-Mai!-
fu la schietta risposta del ragazzo.
Amir
lo riprese mollandogli una pacca in testa, e quasi il cappuccio gli
scivolò via dal volto.
-Sta’
calmo, ragazzino! Vuoi farci ammazzare?!- strinse i denti Amir.
Gabriel
tentò di darsi un contegno, avvolgendo la presa attorno
all’impugnatura della spada con maggior vigore.
Il
semicerchio di uomini a piedi si stringeva attorno a loro, ed erano
spacciati.
-Siate
diplomatici- ridacchiò il Templare.
–Perché rischiare inutilmente la vita?- sorrise
malizioso.
Senza
esitazione, un istante dopo che Gabriel si fu convinto che quella fosse
la loro fine, Amir fece scattare in avanti il suo cavallo sguainando la
sua spada.
Con
un taglio netto, preciso e impeccabile, il vecchio assassino
tranciò la testa ad uno dei soldati che li accerchiavano, e
l’aquila che il cavaliere aveva sul polso prese il volo
spaventata.
-Addosso!-
gridò il Templare, e il duello ebbe inizio.
Gabriel
smontò dalla sella e raggiunse l’elsa della lama
corta. Estrasse la piccola arma e, prima che due soldati potessero
colpirlo, scartò in avanti con una capriola e li sorprese
alle spalle, pugnalandone prima uno e poi l’altro.
I
fiotti di sangue si persero nel buio della notte, le urla di dolore
raggiunsero il cielo. La quiete delle stelle era stata turbata, e fin
quando il silenzio non avrebbe regnato, nella piana si sarebbe
combattuta quella piccola guerra.
Amir
toccò terra e trascinò il Templare giù
dalla sua cavalcatura, ingaggiando così uno scontro alla
pari.
Gabriel
tenne a bada la maggior parte degli uomini lì presenti, ma
dalla roccia si sporsero improvvisamente un gruppo di arcieri.
Il
ragazzo scartò alla sua sinistra evitando un fendente e poi
indietro con un balzo, per schivarne un secondo. Dopodiché,
corse contro la parete di pietra e si aggrappò alla prima
sporgenza. Agile come un gatto, raggiunse il pendio sul quale erano
nascosti gli arcieri e, sfilando impercettibilmente i pugnali dallo
stivale, ne fece fuori due.
Gli
arcieri rimasti gli furono addosso armati di spade, il
combattimento proseguiva agitato anche al pian terreno.
Amir
parò un colpo e respinse l’arma
dell’avversario che fu costretto ad indietreggiare. Il
Templare sembrava in difficoltà di fronte alla maestria del
vecchio assassino e a tal punto messo alle strette, che dovette ridursi
a schivare piuttosto che contrattaccare.
Gabriel
si chinò a raccogliere l’arma di un arciere morto
e la scagliò con forza addosso ad un altro, che dal colpo si
chinò all’indietro e cadde giù dal
pendio.
Con
un taglio alla gola, Gabriel eliminò dalla sua portata anche
un secondo arciere che gli era sembrato inesperto con la spada, ed in
fine si lanciò contro il terzo ed ultimo soldato.
Questo,
prima di attaccarlo, gli scagliò contro una freccia e
Gabriel non riuscì ad anticiparla.
Il
dardo penetrò nella carne all’altezza della
spalla, andando a lesionare anche le ossa. Sul mantello bianco si
disegnò ben presto una spaventosa chiazza nera che sudava
sangue e bruciava intensamente.
Il
ragazzo aprì bocca ma dalle sue labbra non venne altro che
un gemito. Atterrito, col cuore che pompava troppo velocemente,
toccò con mano l’asticella della freccia. Fece
qualche passo indietro, fin quando il suo piede non scivolò
sul bordo del crepaccio e la terra scivolò via dalle sue
scarpe.
Gabriel
precipitò verso terra e l’impatto col suolo gli
strappò via i sensi, consegnandogli le chiavi di una stanza
eternamente oscura.
“…Riaversi
è fonte costante di dolore. Aprire gli occhi, anche solo per
un istante, può essere a tal punto difficile da sembrare
un’impresa impossibile. Ma delle volte siamo spinti da una
sensazione, un presentimento, una forte richiesta di alzarci e
combattere pur di vedere, piuttosto che immaginare il cambiamento del
mondo dietro le nostre palpebre chiuse…”
{Dal
diario di Alice}
Elena
trovò la sue dita strette nella mano calda di qualcuno che
era steso al suo fianco; qualcuno che le dormiva severamente accanto,
un qualcuno che la stringeva dolcemente a sé e
l’avvolgeva in un soave abbraccio. Sul viso della giovane Dea
comparve un sorriso gioioso nell’avvertire il profumo di
Marhim arrivarle nei polmoni, mentre tutto attorno al letto della sua
stanza prendeva forma e colore. Le tende erano schiuse e lasciavano
travedere un lembo della valle imbiancata dalla neve; le finestre erano
chiuse, le ombre dei mobili si allungavano sul pavimento pulito della
camera traversando i decori dei tappeti.
Improvvisamente
ricordò ogni cosa, ma ciascun ricordo fu presto sostituito
dalla smaniosa avidità di vedere, e quindi il suo sguardo
cadde sulla mano sinistra, ancora fasciata da una benda candida.
C’era
un sottile spazio vuoto tra il medio e il mignolo, dove alle sue cinque
dita era stata sottratta quella simmetria tanto perfetta che Dio le
aveva donato. Era una sensazione fastidiosa quella di non poter
controllare uno dei cinque arti della mano, ma presto si sarebbe
abituata e a quel punto non se ne sarebbe manco più accorta.
Non riuscì a non guardare ai lati belli e solari della sua
scelta: sarebbe stato il suo pugno a colpire Corrado. Tutto
ciò le bastava.
L’altra
sua mano era intrecciata a quella di Marhim, che vegliava dormiente
alle sue spalle abbracciandola.
Chissà
che non fosse mattina, si chiese la Dea sbadigliando.
La
luce soffusa, il tepore del sonno come si fosse appena svegliata da un
lungo sonno e rinvenuta da un magnifico sogno. Pensò che
dovesse trattarsi delle prime ore dopo l’alba.
Lentamente,
scivolò via dalle braccia di Marhim e si sollevò
seduta sul letto. Voltandosi, poté notare come il ragazzo
sonnecchiava spensierato con la bocca semi aperta; il corpo rilassato e
la schiena contro la fredda parete della stanza.
Si
chinò per osservarlo più da vicino, e subito ebbe
un tuffo nel cuore. Le era restato affianco per tutto quel tempo, le
aveva dormito vicino vegliando che non le accadesse nulla di male, ed
Elena dubitò fortemente che si fosse trattato di un ordine
di Tharidl. Le balzò addirittura alla mente che
l’avesse portata lui stesso in braccio fino
all’ultimo piano della fortezza, ma poi si ricordò
delle carenti competenze fisiche del suo amico.
Amico…
Dopo
quello che avevano passato, Marhim aveva varcato la soglia
dell’amicizia fin da troppo. Eppure, forse per i suoi
continui rifiuti, Elena non riusciva a considerarlo il
“suo” Marhim. Forse mancava quell’ultimo
passo; quell’ultimo “osare” che nessuno
dei due aveva mai passato. Sì, doveva trattarsi proprio di
quel modo assurdo di concepire le cose, perché non
c’era altra spiegazione logica. Però…
una volta aveva tentato, e una volta le era bastata come rifiuto. Non
avrebbe riprovato alla cieca, sarebbe stato da stupidi farsi dire
ancora e ancora un chiaro no in faccia per poi vedersi sgretolare tutto
davanti al naso.
E
lei, cautamente si avvicinava sempre più, quasi sentiva il
suo respiro regolare e tranquillo.
D’un
tratto Marhim aprì un solo occhio facendola sobbalzare.
Prima
che Elena potesse scattare in piedi, il ragazzo le afferrò
il polso inchiodandola dov’era. -Elena- mormorò
sollevandosi.
I
capelli arruffati gli cadevano sul viso, e la sua era
un’espressione mista tra sconforto e gioia, impossibile da
definire.
La
Dea sorrise mesta, ma un istante dopo abbassò lo sguardo.
Marhim
tacque alcuni secondi speranzoso che Elena tornasse a guardarlo, ma
niente. La ragazza sembrava completamente assorta nelle sue tristezze,
e lui cosa poteva fare per consolarla?
L’assassino
si sedette a gambe incrociate dietro di lei e le cinse le spalle.
–Sei stata tu?- le sussurrò
all’orecchio, e istintivamente Elena strinse il pugno della
mano sinistra.
La
fitta di dolore le salì lungo tutto il braccio, arrivando
alla nuca sottoforma di una scossa gelata. Nonostante ciò,
rimase in silenzio.
Marhim
non parve sconcertato, anzi. Lasciò che la ragazza si
appoggiasse a lui che a sua volta finì delicatamente con la
schiena alla parete. –Sei stata tu a volerlo?- chiese ancora.
Elena
non seppe che rispondere, e il suo mutismo proseguiva indisturbato.
-In
questo modo non migliorerai le cose- ridacchiò lui.
-Peggio
di così non potrebbe andare- finalmente parlò,
stupendosi di una voce tanto stanca come se tutta quella notte non
avesse chiuso occhio. E con stesso fare sfinito, Elena si
adagiò completamente contro il suo petto.
-Che
ore sono?- domandò flebile lei.
-Presto,
è ancora presto-.
-Cosa…-
s’interruppe, nascondendo la mano fasciata sotto il gomito
del braccio destro. –Cosa è successo poi? Non
ricordo-.
-Non
molto- sospirò Marhim poggiando la testa al muro.
–Sei svenuta poco dopo che… ecco-
indugiò.
-Sì,
va bene. Ho capito- brontolò. –Ma adesso? Come sei
arrivato qui?- lo interrogò voltandosi a guardarlo.
Marhim
sbadigliò. –Dalla finestra-.
-È
chiusa- sbottò lei.
-Come
vuoi che sia arrivato? Credi che solo perché non ho il rango
alto non sappia muovermi furtivamente? Ti sbagli! Leila aveva il sonno
profondo, sai. Spero piuttosto che non ci senta ora…- si
guardò attorno.
-Grazie-
sorrise.
Marhim
aggrottò la fronte. –E di cosa?- fece confuso.
-Di
essere qui, adesso- adagiò la guancia sulla sua spalla e la
punta del suo naso era solleticata dagli accenni di barba che lui aveva
sul mento.
-È
il minimo, per come mi sono comportato, intendo- parlottò.
Elena
inarcò un sopracciglio. –Perché? Come
ti sei comportato?- arrise maliziosa.
-Ah,
io non ho fatto assolutamente niente di male!- dichiarò.
–Qui sei tu il problema, non lo capisci?-.
Elena
si raddrizzò tornando seduta. –Che intendi?-
balbettò sconvolta.
Marhim
distolse lo sguardo.
-Tu
non provi niente?- insisté lei. –Non provi niente
mentre quella che sta al gioco da sola sono io?-.
-Non
capisci, io…- provò a dire, ma Elena lo
interruppe.
-Perché
sei qui, allora?!- ruggì. –Che cosa ci fai qui se
il solo vedermi e sentirmi troppo vicina a te ti fa così
male?!- aggiunse, e avvertì il pizzico delle lacrime salirle
agli occhi.
-Non
mi fa “male”!- ribatté lui.
-E
allora qual è il problema? Marhim, non sono cieca! Non
ancora, ma mi manca solo quello e sto apposto!- ironizzò
alludendo al suo dito ora mancante. –Lo so che ti piaccio-
arrossì per averlo detto così schiettamente.
-Tu
non capisci, non vuoi capire. Rischiamo la morte! Tutti e due! E
sarebbe meglio… credi che non sia doloroso anche per me?!- i
loro toni di voce si facevano troppo alti, pensò Elena.
La
ragazza non fu in grado di rispondere: Marhim era distaccato solo
per… proteggerla?
-Tu…-
mormorò lei.
-Io
cosa?!- sbottò contenendo a stento la rabbia.
-Tu…-
deglutì a fatica. –Tu mi ami?-.
Marhim
perse colore, sbiancando improvvisamente e diventando freddo, un
tutt’uno con i muri della stanza. Aprì bocca, ma
non ne venne nessun suono, almeno prima che Elena gliela serrasse con
un bacio.
Premette
dolcemente le labbra sulle sue, e la risposta di Marhim si fece
attendere uno, due, cinque secondi. Poi dovette staccarsi per prendere
fiato, ma temeva di doverlo guardare in volto e tenne gli occhi chiusi.
-Al
diavolo la setta- assentì lui.
Elena
s’irrigidì e aprì gli occhi il tempo
necessario per cogliere il volto del ragazzo riavvicinarsi al suo, e il
fiato caldo di Marhim le s’infranse sul palato.
L’assassina
scivolò giù, e Marhim
l’accompagnò con la testa sul cuscino senza
interrompere il bacio. Lui assaggiò smanioso ogni centimetro
della sua bocca mentre, impacciato, veniva accolto tra le gambe di lei.
-Aspetta-
disse ad un tratto, e la magia finì.
Elena
avvertì il suo cuore rallentare i battiti di secondo in
secondo. –Cosa?- trovò la forza di chiedere.
I
capelli di Marhim le solleticavano la fronte, e poteva ancora sentire
il respiro affannato di lui caderle sulle labbra arrossate.
Marhim
le accarezzò il braccio fino a raggiungere il bendaggio
sulla mano. Quando le dita di lui s’intrecciarono alle sue,
un brivido percorse la schiena della giovane Dea.
-Aspettiamo
che sia passato- le sussurrò soave.
-Che
sia passato cosa?- domandò lei.
Marhim
strinse con più forza la sua mano, e questo le
procurò una fitta che risalì i muscoli
dell’avambraccio. Il volto le si contorse in una brutale
smorfia di dolore. –Perché l’hai fatto?-
digrignò.
Marhim
capovolse i loro corpi e la Dea si ritrovò in un istante
sopra di lui, che la stringeva per i fianchi. -Ammetti che ne hai
passate troppe negli ultimi mesi. Non posso rischiare di farti del
male- pronunciò sorridente.
Elena
si addolcì, nonostante la sprezzante avidità che
folgorava il suo animo in quel momento. –Non mi serve la mano
sinistra per…- Marhim interruppe le sue parole baciandola
improvvisamente, ed Elena, interdetta, si tese tra le sue braccia.
Il
ragazzo si staccò da lei che lo fissò negli occhi
con rabbia.
-Aspettiamo
che sia passato- ripeté Marhim.
La
ragazza annuì, poggiò la guancia sul suo petto e,
forte nella convinzione di aver ottenuto quello che desiderava, si
abbandonò al sonno.
Una
ventata gelida spazzò via le sabbie del deserto e le
rovesciò sul suo corpo inerte al suolo, mentre il suo
mantello bianco ondeggiava al respiro degli Dei e sulla sua pelle si
disegnava il colore della vita.
Sopra
di lui andava stagliarsi un cielo immensamente azzurro, punteggiato da
poche nuvole bianche e gonfie. La tormenta fioriva nonostante le spesse
pareti di roccia, e il vento s’insinuava nei cunicoli del
crepaccio e soffiava tra sangue e dolore.
Gabriel
tossì uno, due colpi di tosse prima di riuscire a girarsi su
un fianco. La polvere della terra gli era entrata in gola,
poiché la bocca gli fosse rimasta aperta durante tutta la
sua convalescenza.
Si
gettò nuovamente al suolo non tollerando l’immenso
dolore che lo colpì alla spalla, e i muscoli lacerati di
quella zona tornarono a chiedere sangue che, nella maggioranza, si era
essiccato sulla parte alta del mantello. Sul tessuto candido si
stagliava ora una chiazza di sangue secco e parte della ferita si era
fortunatamente rimarginata da sé, senza l’uso di
medicinali e impedendo maggior spargimento di liquidi. Quello che si
chiese Gabriel fu, dopotutto, che fine avesse fatto la freccia che gli
aveva perforato la tunica.
Si
guardò attorno con la vista ancora appannata, ma riconobbe
solo parte del paesaggio che lo circondava, ovvero le rocce calde
dell’alto sole di mezzogiorno e una massa di cadaveri
abbandonati in un angolo dello spiazzo.
Erano
i corpi di coloro, Templari, che avevano combattuto il Frutto la notte
prima, quando tutto era diventato improvvisamente buio.
Dello
scontro con le forze Crociate ricordava poco e niente e, nel tirarsi
su, Gabriel si trattenne dal ricadere giù afflitto da una
nuova insopportabile manciata di scosse doloranti.
Finalmente
riuscì a tirarsi in piedi.
Se
n’erano andati, tutti quanti. Nella piazza tra le rocce del
crepaccio restava solo la puzza di morti e sangue dipinto a schizzi
sulle pietre, ma nient’altro.
I
Templari si erano portati via il Frutto, i cavalli e le armi vinte in
duello, poiché Gabriel si accorse di essere stato
completamente depravato delle sue lame, compreso il meccanismo sotto il
guanto sinistro.
Nel
tentativo di tener sottocontrollo il taglio, si portò una
mano alla profonda ferita sulla spalla e mosse i primi passi avanti.
Nord,
sud, est o ovest? Il sole era alto nel firmamento, impreciso definirne
l’ora attraverso le ombre delle pietre e ben presto Gabriel
si trovò circondato dall’immenso ed infinito nulla
del deserto.
Trascinava
i piedi sulla sabbia alzando cumuli di polvere; era stanco, assetato,
debole e privo di forze.
Camminò
per pochi minuti prima di crollare di nuovo a terra, tra gli arbusti
rinsecchiti e la vegetazione assente di quella vasta landa desolata.
In
ginocchio sul selciato, gli occhi gli si chiudevano, quando una voce
chiamò il suo nome.
-Gabriel!-.
Piuttosto
che innalzarsi, il ragazzo cadde ancora più giù,
finendo con la faccia tra la sabbia.
-Gabriel,
presto!- disse Amir sollevandolo di peso e trascinandolo verso il
crepaccio.
-Che
succede?…- brontolò Gabriel incosciente e Amir lo
adagiò seduto con la schiena poggiata sulla roccia.
Il
suo compagno sembrava integro, chissà da dove veniva si
chiese Gabriel, ma il solo alzare gli occhi richiedeva troppe energie.
Amir
si accovacciò al suo fianco -Tieniti!- gridò.
Non
ci fu tempo di aggiungere nulla più che un boato assordante
riecheggiò nella gola di pietra, traversando e facendo
tremare il deserto e le sue sabbie.
Istintivamente
si coprì il volto e, al dolore per l’improvviso
movimento del braccio, si sostituì presto
un’ondata calda assurda che travolse la piana di Fayium
nascondendo la valle in un bagliore intenso e accecante di una
sfumatura giallastra mielata.
-Che
succede?- strillò il giovane Falco terrorizzato.
Amir
aveva il volto celato sotto il cappuccio, ma neppure quel riparo
bastava. –Hanno trovato il Frutto! Un altro Frutto, Gabriel!
Dobbiamo andarcene, ora!- ordinò Amir tirandolo in piedi.
La
luce intensa andò ad affievolirsi, mentre il mondo si
riappropriava dei suoi naturali colori.
Il
cielo tornò azzurro, le nuvole bianche, ma quando i due
Falchi intrapresero una corsa sfrenata ed estenuante verso
l’ultima salvezza, un nuovo boato e una nuova vampata
bollente di energia magica li travolse, e furono costretti a ripararsi
in un dosso stretto del terreno.
-Corri,
ragazzo! Corri!- lo incitò Amir calando il braccio del
giovane sulle sue spalle e aiutandolo a correre.
Ripresero
la loro fuga.
A
intervalli regolari la piana veniva investita da lampi accecanti e
improvvisi, provenienti da un piccolo accampamento dietro di loro,
nella direzione opposta. Quando la luce gli abbagliava, era impossibile
scorgere dove mettere i piedi, così si affidavano ai loro
istinti per quei pochi secondi in cui durava il lampo. Quella luce
bruciava sulla pelle, corrodeva i tessuti e scottava sotto i vestiti.
Raggiunsero
un oasi vicino alla quale era issata una tenda scura e vi si gettarono
all’interno, rifugiandosi da una medesima ondata di calore.
Gabriel
atterrò di schiena sul tappeto e spalancò le
braccia prendendo fiato. Ormai tutti i dolori del suo corpo si
mescolavano in un unico grande desiderio di farla finita.
-Ieri
notte, quando sei stato ferito non pensavo fossi ancora vivo- lo
informò Amir aggirandosi per la tenda in cerca di cibo,
acqua. Sembrava il ristoro di qualche pastore ma era abbandonato da
quelli che potevano trattarsi di anni.
-Sei
caduto da parecchio, fratello- si stupì Amir rovistando tra
le dispense di alcune casse ammucchiate vicino a dei barili.
Amir
strappò del tessuto dai cuscini che ornavano la tenda e ne
ricavò un bendaggio improvvisato per il taglio di Gabriel
che aveva ripreso a perdere sangue.
Il
suono costante, ripetitivo del potere del Frutto dell’Eden
che guaiva nella valle era segno che avevano fallito la loro missione.
-Stanno
usando la nostra Sfera per trovare quell’altra, che non so
come, hanno scoperto si trovi nei paraggi. C’è un
accampamento Templare a nord, che non è un vero e proprio
accampamento, ma siti archeologici che Corrado stesso ha richiesto
riprendessero le loro attività. Non ho idea di come abbia
fatto quel bastardo a sapere dove si trova un’altra di quelle
lampadine!- sbottò amir fasciandogli la spalla.
Gabriel
gettò la testa all’indietro stringendo i denti.
–Dove sei stato fino ad ora?-.
-Mi
hanno lasciato andare loro- confessò il Falco.
–Gli ero solo d’impiccio e volevano che portassi la
notizia a Tharidl affinché le glorie dei Templari
prendessero piede nelle nostre terre. Subdoli maledetti…-
digrignò stringendo il nodo.
-Cosa…-
mormorò debole Gabriel. –Cosa facciamo…
adesso?-.
-Torniamo
alla Dimora più vicina; ma è bene aspettare che
abbiano lasciato questi confini. Quando si muoveranno con i Frutti
dell’Eden e abbandoneranno la pianura, saremo liberi di
muoverci- dichiarò serio.
Quella
notte i boati proseguirono in eterno, ma fortunatamente la corrente
calda di energia che veniva dagli scavi portava fin nella tenda il suo
calore.
I
soldati di Corrado si apprestavano a picconare la terra e la pietra del
sottosuolo in cerca dell’Immenso.
-Due
frutti…- pensò ad alta voce Gabriel prima di
prendere sonno.
-Dio
aveva fame, si vede- ridacchiò Amir sprimacciando il cuscino.
Sulle
labbra del giovane comparve un sorriso mesto, infastidito da tanto
sarcasmo.
-Prima
la spia… ed ora questo- bofonchiò girandosi su un
fianco, dando le spalle al compagno.
-Tharidl
non ne sarà molto contento-.
-Al
diavolo Tharidl! Non pensare alla setta, per una volta, ma piuttosto ai
centinaia di morti che il Frutto nelle loro mani saprà
causare! Coma abbiamo potuto permetterlo?!- gridò rabbioso.
Amir
sospirò. –Qualunque tono arrogante tu assuma
adesso, Gabriel, sappi che non otterrai nulla in cambio. Tanto vale
aspettare che le cose si calmino e affrontare la realtà.
Forse non è destino che la setta tenga quegli artefatti-
mormorò assorto.
-Destino?
È questo il nostro destino… respiro a mala pena,
questo può essere chiamato destino?-.
-Stai
forse delirando, ragazzo?- domandò scherzoso.
Gabriel
ignorò le sue parole e chiuse gli occhi.
-Domani
saremo a Nazla prima del tempo. Da lì manderemo una colomba
a Masyaf e vi faremo ritorno solo quando ti sarai ripreso. Non fare la
vittima, che ce ne sono già abbastanza- lo
rimproverò severo.
Il
ragazzo si strinse nelle spalle, e la collana scivolò da
sotto la coperta andando a poggiarsi a terra, di fronte al suo naso.
La
pietra grigia delle grotte del lago riluceva alla luce dei poteri
dell’Eden, assumendo una sfumatura argentata magnifica.
Strinse
il ciondolo tra le dita tremanti ed infreddolite della mano destra e
cercò di addormentarsi senza il costante pensiero della
ragazza cui l’aveva vista al collo dopo tanti anni.
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Capitolo 43 *** E-mails ***
E-Mails
Ore:
12.04 pm
Da: Warren Vidic
A: Lucy Stilman.
Oggetto: rapporto dei mesi dicembre 2012 e
gennaio, febbraio, marzo 2013.
Ottimo. I progressi di questi quattro mesi, nel
complesso, sono stati eccezionali e ringrazio il lavoro del personale
autorizzato alla lettura di questa e-mail affinché i vostri
rapporti combacino alla ben è meglio con il mio delegato
all’Azienda. Sono stati giorni difficili, questi ultimi, ma
assieme abbiamo saputo raggiungere i nostri scopi e saperci adattare
con il massimo della lode. Ringrazio il suo duro lavoro, signorina
Stilman che, con la sua pazienza, ha donato a questa nobile causa il
suo tempo e la sua dote. Sapevo di poter contare sul suo aiuto e non
vado certo ripercorrere i miei passi senza ulteriori complimenti al suo
intelletto, e per tanto, mi sento in dovere di premiarla con quanto
più affetto mi è rimasto provare. Ma venendo a
noi.
Durante i primi periodi al trattamento secondario
i pazienti si sono dimostrati indisposti, e vorrei maggiori dettagli
per quanto riguarda la compatibilità dei file mnemonici coi
ricordi cui siamo in possesso. Dunque, non tollererò nuove
interferenze in quanto il nostro fine ultimo si avvicina. Dicembre, con
l’avvenire del nuovo anno, ha portato nei nostri laboratori
troppi scompigli. Non è mancato lo sciopero del personale
datato 23/12/2012. Di conseguenza a questo primo problema, è
sopraggiunto il blocco della corrente del giorno 31/12/2012. I nostri
macchinari quella sera, se ricordo bene, sono stati sovraccaricati
dall’utilizzo abnorme del programma Container. Spero che in
futuro non si riproponga una sfortuna del genere, e in tal proposito,
Lucy, si dia una secchiata d’acqua fredda! In questo periodo
mi è più distratta del solito, e non posso
tollerare ulteriori indugi nel lavoro.
Cosa successe il 10/01/2013 resta
tutt’ora un mistero. Alex Viego si è accertato di
persona delle condizioni psicofisiche dei pazienti, ma entrambi, la
mattina successiva, non erano comunque in grado di fornirci i loro
ricordi.
Nota: sostituzione del personale addetto alla
mensa.
Il giorno 14/01/2013 è uno da
dimenticare, signorina Stilman. L’Animus ha mostrato i primi
chiari segni di cedimento, e la manutenzione è costata al
progetto una somma che va ben oltre i 50.000 dollari. Si regoli lei.
Data 02/02/2013. Il soggetto 18 ha assistito
imparziale ad una conversazione che doveva rimanere altamente segreta a
tutti i pazienti! Dio, ma perché non fate tappare qui
maledetti condotti di aerazione!
La mattina del 16/02/2013 Desmond Miles
è stato trasferito d’urgenza nella sala
psichiatrica dell’edificio. Sembrava essersi trattato di
un’eventualità post-trattamento e non eravamo
molto in pensiero. La signorina Tomas, invece, pareva alquanto turbata
e di fatti, 32 ore più tardi, ha subito lo stesso trauma.
Abbiamo rimosso il tumore il più in fretta possibile e, nel
giro di una settimana, eravamo in grado di riprendere la caccia.
28/02/2013. Sebbene fossimo ad un passo dalla
meta, tutto precipitò nel momento in cui i pazienti hanno
iniziato a riscontrare gli anacronismi previsti all’epoca
della rimozione del famoso ricordo. Sono stati i binari più
arrugginiti, ma uscimmo incolumi da quella disavventura.
05/03/2013 i soggetti sono stati trasferiti fuori
dal laboratorio e condotti nell’ala accoglienza
dell’edificio.
Nota: chiudete quella dannata perdita di gas!
06/03/2013. Questo stesso pomeriggio mi sono
accorto personalmente, su richiesta del soggetto 17, che non avevamo
fornito loro le necessarie “protezioni”.
È stato piuttosto imbarazzante.
Nota: provvedere ad un acquisto di profilattici.
08/03/2013. Un forte temporale ha scosso New York
e molti dei macchinari sono andati in tilt, tra cui l’Animus
(b). Siccome avevamo urgenza di terminare il trattamento del soggetto
18, il paziente 17 è stato allontanato dal laboratorio e
condotto sotto sorveglianza in “vacanza”.
Nota: voglio un rapporto completo sia da lei,
Lucy, che da Desmond per quanto riguarda questa scappatoia alle regole
che mi è costata un braccio! I clienti non riusciranno a
tollerare oltre la nostra testardaggine, e tempo che metà
del compenso possa sfumarsi tra le nostre mani. Al fine di evitare un
taglio del guadagno, chiedo che la questione venga rimandata in sede
ufficiale il più tardi possibile.
La notte del 17/03/2013 abbiamo dovuto riprendere
il blocco di memoria sei per accertarci che non ci fossero problemi e
interferenze con quelli successivi. Stavamo riscontrando, con la
signorina Tomas, più di un anacronismo e le assenze di
chek-point erano solo un avvertimento.
20/03/2013 Manutenzione completata
dell’Animus (b). La borsa dell’azienda ha appena
lasciato nelle mani dei nostri scienziati 50.000 dollari. Non intendo
parlare oltre; sono sconvolto.
21/03/2013. Aggiornamento del software
“Container”. Abbiamo perso l’Animus (a).
Non ho parole.
27/03/2013. Il signor Miles e la signorina Tomas
hanno avuto un “contatto” (cosiddetto bacio) di
fronte alla porta della stanza del soggetto 18. Sono scomparsi entrambi
dopo pochi secondi.
29/03/2013 (oggi). Visita da parte degli
acquirenti. Alex Viego ha portato via con sé il primo Frutto
e tornerà tra 15 giorni a ritirare le informazioni sulla
localizzazione precisa del secondo Tesoro dei Templari.
Attendo presto il suo rapporto signorina Stilman,
ma nel frattempo sarei disposto a lasciarle prendere un periodo di
riposo. Ormai, con la scoperta del secondo artefatto, andiamo a colpo
sicuro in qualsiasi direzione, e spero che questa mia offerta venga ben
accolta.
Warren,
responsabile e coordinatore del progetto Animus.
Data: 30/03/2013
Ore: 2.56 pm
Da: Lucy Stilman
A: Warren Vidic
Oggetto aggiuntivo: buon lavoro.
RE: rapporto dei mesi dicembre 2012 e gennaio,
febbraio, marzo 2013.
La ringrazio, dottore.
È stato un immenso piacere ricevere le
sue congratulazioni, ed è per me una gioia rispondere col
sorriso sulle labbra a questa sua e-mail. Non nego che abbia faticato
al suo fianco per raggiungere certi obbiettivi, e non vado dicendo di
non essermi lamentata delle volte sia del suo operato che del personale
a proposito delle esigenze eccessive verso i pazienti, ma nel
complesso, come ha menzionato lei, è stato un ottimo lavoro.
Certe esperienze non me le scollerei dal cervello per nulla al mondo, e
sento di essere ormai parte del progetto e di averci gettato
l’anima per intero. Accetto volentieri
l’offerta di vacanza che mi ha dato; sarà per me
un toccasana e potrebbero bastarmi pochi giorni, il tempo necessario
per cambiare aria e tornare trovando il laboratorio in preda ai
festeggiamenti. Mi piacerebbe notare questa allegria più
spesso, ma quando si tratta di lavoro, sono ben fiera di restare entro
i miei limiti di sua assistente.
Lucy,
assistente e coordinatrice del progetto
Animus.
Data: 01/04/2013
Ore: 7.22 am
Da: Lucy Stilman
A: Warren Vidic
Oggetto: nascituri problemi?
Scrivo questa lettera nel mentre i pazienti sono
entrambi occupati col progetto. Warren, mi chiedo cosa siano quei
tremori che Andrea ha al braccio sinistro mentre è stesa
sull’Animus. Dovremmo chiamare un medico?
Lucy
Data: 01/04/2013
Ore: 8.41 am
Da: Warren Vidic
A: Lucy Stilman
Oggetto: RE: nascituri problemi?
Mi occuperò personalmente, ed
è probabile che durante la scansione dei ricordi la
signorina Tomas soffra di alcuni nodi mnemonici. Provi a pensare al
soggetto 11. Si ricorda del suo sonnambulismo acuto post-trattamento?
L’Antenata di Andrea è stata sottoposta al taglio
di un dito proprio in questi ultimi blocchi di memoria, e se non
sbaglio, c’è un’articolazione principale
che potrebbe risentirne. Per tanto, non abbiamo di che preoccuparci.
Lucy, quando esattamente ha intenzione di prendersi questa sua vacanza?
Se non parte un giorno di questi, non sarà qui in tempo per
assistere alla fine del Progetto II.
Warren
Data: 01/04/2013
Ore: 12.34 pm
Da: Lucy Stilman
A: Warren Vidic
Oggetto: ///
Warren, non si preoccupi. Quando avrò
intenzione di partire gli farò un cenno. Ma
l’avverto che avevo stabilito la partenza per questo
pomeriggio. Avvertirà lei i pazienti?
Lucy
Data: 01/04/2013
Ore: 2.09 pm
Da: Warren Vidic
A: Lucy Stilman
Oggetto: RE: ///
Perfetto. Non esiterò ad esporre i
fatti al soggetto 17 e 18. Non vedo cosa possa andare storto. Si
diverti, signorina Stilman, si merita tutto questo.
Warren
Vidic,
responsabile e coordinatore del progetto Animus
Data: 01/04/2013
Ore: 4.26 pm
Da: Lucy Stilman
A: Warren Vidic
Oggetto: RE: RE: ///
Sono in partenza e sarò di ritorno in
data 02/05/2013. Ancora i miei più sentiti ringraziamenti.
Arrivederci, dottore.
Lucy
Stilman,
assistente e coordinatrice del progetto Animus
Data: 02/04/2013
Ore: 7.43 pm
Da: Alex Viego
A: Lucy Stilman (portatile a connessione esterna,
autorizzato)
Oggetto: quella cataratta di Vidic!
Ho saputo che sei fuori in vacanza. Schiatto
dall’invidia. Quelli del Progetto non mi pagano abbastanza, e
qui il lavoro scorre liscio. Sì, esatto. Sarei dovuto
rimanere in disparte al progetto finché non fosse stato
riportato alla luce la localizzazione precisa del Frutto, ma Vidic
stesso ha insistito che lo aiutassi in laboratorio. Nel mentre sei
all’esterno, Warren mi tratta come il suo schiavo e non posso
lamentarmi, ma ribadisco: non mi pagano abbastanza. Siamo al termine,
Lucy, mancano pochi giorni e il secondo Frutto verrà
consegnato nelle nostre mani, ma nel frattempo ho appreso molte cose
interessanti su questo posto che non immaginavo. Il soggetto 18, alias
Andrea Tomas, mi ha parlato delle scritte nel suo bagno, mentre Desmond
si è limitato a raccontarmi dei segni sul muro della sua
stanza. Sono particolari che mi avete tenuto nascosto, ma che allo
psicologo di sala non possono essere silenziosi. Mi servivano quei
dati, o in caso di un attacco di follia non avrei saputo stabilire
alcuna radice delle cause. Mi viene da piangere, questo posto deprime!
Warren mi ha chiesto di farti rapporto giornaliero sui fatti, ebbene
non strattonerò i suoi ordini.
Qualche ora fa ho visitato di nuovo i pazienti.
Stanno bene, ma Desmond fa strani sogni di cui ricorda pochi
particolari. Andrea, invece, non sogna affatto. Temo che il trattamento
le abbia ridotto al minimo le capacità produttive e se
così fosse, tra un paio di giorni potrebbe non essere
più in grado di provare emozioni. A riguardo, Warren mi ha
parlato del soggetto 02 che aveva gli stessi identici sintomi, con la
sola differenza che questi si manifestavano ante-trattamento. Ebbene,
mi sorgono una miriade di dubbi, e se non torni alla svelta, li
ammazziamo questi poveri Cristi.
Il personale della mensa è stato
sostituito, e Vidic è tra le nuvole per questo. Andrea ha
sofferto di torsione dello stomaco ancora una volta, ieri, e solo oggi
la cascina è stata rimpiazzata. In compenso, persino
parecchi degli scienziati che lavorano nella sezione 8 staranno meglio
nei prossimi giorni!
Il futuro è ancora incerto. Ci
spostiamo lentamente tra un blocco e un altro di memoria alla ricerca
del filo conduttore, ma entrambi i pazienti non collaborano. Warren
è su tutte le furie.
Domanda: c’è qualcosa che
posso fare per evitare che Vidic mi strangoli per questo?
Alex
Data: 03/04/2013
Ore: 5.33 pm
Da: Lucy Stilman (portatile a connessione
esterna, autorizzato)
A: Alex Viego
Oggetto: RE: quella cataratta di Vidic!
Smettila di arrabbiarti col mondo, Alexander.
Warren è solo parecchio stressato e non serve nessun altro
che si comporti come lui, pertanto, cerca di essere il più
distaccato possibile e di obbedire ai suo ideali. È un
consiglio, per esperienza. Anche se la fine di questa storia si
avvicina, non posso negare che lavorare al fianco di entrambi voi
è stata un’esperienza entusiasmante,
ma… se possibile… da non ripetere.
L’Animus è destinato a fare grandi cose, e siamo
solo all’inizio del suo impiego. L’Abstergo
è una casa farmaceutica che presto avrà sedi in
ogni angolo del globo e non possiamo niente per impedirlo.
C’è forse un lato positivo in questo? Alex, porta
pazienza, e se puoi, cerca di aggiornarmi il più spesso
possibile sugli avvenimenti in laboratorio.
p.s. prima di uscire non ho caricato il programma
container e bisogna aggiornarlo al nuovo software. Potresti
occupartene? Non dirlo a Vidic!
Lucy
Data: 03/04/2013
Ore: 9.28 pm
Da: Alex Viego
A: Lucy Stilman (portatile a connessione esterna,
autorizzato)
Oggetto: RE: RE: quella cataratta di Vidic!
Troppo tardi, Lucy. Warren se
n’è accorto da solo. Circa un’ora fa il
laboratorio è esploso in fiamme! Già ci manchi. :D
Alex
Data: 03/04/2013
Ore: 11.04 pm
Da: Lucy Stilman (portatile a connessione
esterna, autorizzato)
A: Alex Viego
Oggetto: RE: RE: RE: quella cataratta di Vidic!
°__° ALEXANDER! Spero tu stia
scherzando! Warren mi ammazza, capisci? Oddio, come ho potuto
permetterlo??? Spero che stiate tutti bene! E l’Animus? I
danni sono irreparabili??? Andrea, Desmond, loro stanno bene? Rispondi
presto!
Data: 05/04/2013
Ore: 3.55 pm
Da: Alex Viego
A: Lucy Stilman (portatile a connessione esterna,
autorizzato)
Oggetto: … BUM!
Ah! Ah! Ah! Quanto mi diverto! ^__^ Lucy, mia
piccola e dolce Lucy, stai tranquilla. Ho caricato il programma
Container personalmente appena arrivato, dubitavo fortemente del fatto
che te ne fossi ricordata, e così… per
precauzione. Stiamo tutti bene, ovvio, e a Vidic non ho detto una
parola per quanto riguarda la tua dimenticanza, anzi… sappi
che quando tornerai ti aspetteranno altre congratulazioni. Il software
nuovo funziona con la lode e Warren è… tra le
nuvole, di nuovo. Vederlo saltellare allegramente da una parte
all’altra del laboratorio è…
inquietante. Mi chiedo quando ricomincerà a dettare ordini:
sarà più spietato di prima? :D
Data: 05/04/2013
Ore: 6.58 pm
Da: Lucy Stilman (portatile a connessione
esterna, autorizzato)
A: Alex Viego
Oggetto: RE: … BUM!
STR***O! Ti avevo chiesto di rispondermi
immediatamente, perlomeno! Invece no, ti sei degnato di scrivermi ben
32 ore più tardi! Questa te la faccio pagare, Alexander. Ma
venendo a noi: come procede il lavoro? È questo che
m’interessa. Desmond e Andrea sono predisposti al trattamento
o le cose si stanno volgendo di nuovo dalla padella alla brace?
Lucy
Data: 06/04/2013
Ore: 12.32 pm
Da: Alex Viego
A: Lucy Stilman (portatile a connessione esterna,
autorizzato)
Oggetto: dalla padella…
Giriamo intorno all’argomento cucina,
eh? Come vedi il mio rapporto prettamente accademico si sta
trasformando in una conversazione molto alla MSN, non trovi? Lucy, se
Warren mi scopre a scrivere certe cose, insisterà
personalmente per rimpiazzarmi. L’hai detto tu che
è meglio che mi attenga ai suoi ordini, perciò
è bene che ti parli di cosa è davvero importante
che tu sappia.
Desmond si è ammalato. La febbre a
40° ha cominciato questa mattina e da allora non si
è più alzato dal letto. Mi sto occupando
personalmente di lui, mentre il lavoro prende una sfumatura bluastra
che ha colpito me e Warren all’improvviso. Le cose
precipitano, e abbiamo bisogno di un intervento esterno. Crediamo di
sia qualcosa che non va nell’Animus, ma sia io che Warren non
sappiamo dove mettere le mani. Potresti connettere il tuo portatile al
server del laboratorio e agire direttamente da dove ti
trovi… a proposito, dove ti trovi?
Alex
Data: 06/04/2013
Ore: 4. 19 pm
Da: Lucy Stilman
A: Alex Viego
Oggetto: RE: dalla padella…
Questa volta non scherzi, e lo so per certo.
C’era l’eventualità che i numerosi
surriscaldamenti dell’Animus portassero a questo genere di
conseguenze, ma non vi è nulla di grave. L’oggetto
da sostituire nel macchinario va estratto manualmente,
perciò dovrai farlo tu o Vidic, tirate una moneta, ma
Cristo, dovete disattivare il Container prima di agire. Ti
manderò via e-mail un’immagine che inquadra la
zona interessata e l’oggetto da estratte. Si tratta di una
vite dalla forma cubica che è magnetizzata alla parete
interna dell’Animus. Nella prossima lettera allego
l’immagine. Ricordati di arrestare il sistema e operare senza
che i pazienti siano stesi sul macchinario. Grazie, tengo molto alla
loro incolumità. Per la cronaca, sono sulle coste soleggiate
di Miami.
p.s. come sta Desmond?
Lucy
Data: 11/04/2013
Ore: 11.06 am
Da: Alex Viego
A: Lucy Stilman (portatile a connessione esterna,
autorizzato)
Oggetto: RE: RE: dalla padella…
Fatto, l’immagine è arrivata
e il problema è risolto. Il livello di radiazioni
dell’Animus si è abbassato del 66% ed è
tutto merito tuo. Desmond migliora in fretta, e questa mattina, appena
svegliato, si è voluto mettere subito all’opera,
ma ancora prima aveva chiesto un gelato al cioccolato. Come vedi, certe
persone non cambiano mai. Warren ed io tiriamo un sospiro di sollievo e
attendiamo impazienti il tuo ritorno che, in data definitiva,
segnerà la conclusione del Progetto II.
Alexander
Viego,
responsabile della sorveglianza e paramedico del
progetto Animus
Data: 12/04/2013
Ore: 3.57 pm
Da: Lucy Stilman (portatile a connessione
esterna, autorizzato)
A: Alex Viego
Oggetto: … al forno!
Mi sarebbe piaciuto trascorre con voi certi
periodi all’interno del laboratorio. Quanti giorni conto di
un colore grigio passati in quelle mura, e assistere
all’improvvisa allegria che sprizza era uno dei miei sogni.
Non mi sono legata più di tanto a quello che
l’Azienda va cercando, e il modo in cui persegue i suoi
obbietti mi resta ancora indigesto, ma solo ora vedo qualcosa di
positivo in tutto questo.
Lucy
Stilman,
assistente e coordinatrice del progetto Animus
Data: 15/04/2013
Ora: 2.33 pm
Da: Warren Vidic
A: Alex Viego; Lucy Stilman (portatile a
connessione esterna, autorizzato).
Oggetto: termine
Annuncio la fine del progetto e la riuscita della
localizzazione satellitare del Frutto dell’Eden. Alex Viego
riceve oggi la convalida del luogo e la valigetta.
Grazie a tutti.
Warren
Vidic,
responsabile e coordinatore del progetto Animus
P.S.
Non finisce
così! ---------------> c’è molto
altro da vedere…
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Capitolo 44 *** Ragazzina ***
Ragazzina
Il sole penetrò violento nella stanza, e i suoi raggi
bollenti le scaldarono il viso.
Elena aprì gli occhi e impiegò diversi istanti
per abituarsi alla luce, ma quando le sue pupille si furono ristrette a
sufficienza, riconobbe una donna in piedi di fronte alla finestra.
-Kamila?- la giovane si sollevò seduta sul letto passandosi
le mani in volto, così da stropicciarsi gli zigomi.
La Dea si voltò dall’osservare il panorama e
sfogò un sorrisolo gioioso sulle labbra carnose.
–Buon giorno- disse venendole incontro. Prese
dall’armadio le sue vesti da assassina e le poggiò
sul letto al suo fianco. –Tharidl vuole vederti; è
urgente- e detto questo si allontanò sparendo giù
per le scale del salotto.
Elena poggiò i piedi scalzi a terra e si avvicinò
alle ante schiuse della vetrata. Si affacciò dal balcone e
prese un’immensa boccata d’aria. Poi il suo sguardo
cadde sulle dita della mano sinistra stretta attorno al cornicione
della finestra, e sorrise mesta.
La fasciatura era stata rimossa, il taglio si era cicatrizzato e poteva
finalmente tornare a vivere. Il vuoto tra il medio e il mignolo era
ormai d’abitudine, e non le dava neppure fastidio, anzi. Era
diventata anche mancina, come era dovuto agli insegnamenti di Leila.
Era stato un inverno lungo e difficile da sopportare; pieno di dolori,
sia fisici che mentali, e non sopportava quel modo di fare premuroso
che tutti atteggiavano verso di lei. La sua mano era guarita, ora alle
sue carni poteva essere installato il meccanismo della lama nascosta, e
non avrebbe atteso un momento di più.
Si vestì alla svelta, ma senza tralasciare alcun dettaglio:
abbigliò i capelli in una composta coda alta e si
lavò il viso in bagno, sgattaiolò di nuovo nella
sua stanza e allestì ciascun fodero di cuoio con la
rispettiva arma.
Quand’ebbe finito, scese le scale e trovò Kamila
ed Elika ad attenderla nel corridoio e assieme alle due Dee si
avviò allo studio del Maestro.
Tutte e tre assieme facevano paura, ma era una bellezza che inquietava
e particolarmente accattivante. Erano Dee, e camminavano
l’una affianco all’altra mentre assassini e saggi
si scostavano al loro passaggio.
Tharidl attendeva in piedi, composto, di fronte alla sua scrivania
pulita e ordinata più del solito. Era forse una precauzione
per evitare maggiori scompigli in caso di infuriate? Elena rise per
averlo solo pensato.
Nello studiolo vi era anche una presenza nuova ma vecchia.
Altair avanzò dall’ombra delle colonne e comparve
colpito dal fascio di luce proveniente dalle vetrate.
-Grazie, potete andare- Tharidl congedò le due Dee con un
gesto del capo e Kamila ed Elika si allontanarono dalla sala.
-Maestro- Elena s’inchinò ad entrambi.
Altair si posizionò al suo fianco, e Tharidl si
voltò per andare a cercare qualcosa tra gli scaffali.
-Tutto bene?- domandò l’assassino.
Elena gli rivolse un sorriso. –Sì, grazie-
involontariamente strinse il pugno sinistro.
Altair annuì poco sicuro e tornò a fissare
l’orizzonte davanti a sé.
Tharidl rinvenne dagli scaffali un cofanetto lungo e abbastanza
spazioso da poter contenere delle tozze pergamene e lo
poggiò sul tavolo. –Elena- chiamò
severo, e la ragazza avanzò.
-Questa mattina tuo fratello Gabriel e il Falco Amir faranno ritorno da
Nazla, ma devi sapere che uno dei due è stato gravemente
ferito. Durante una delle trasferte nelle terre egiziane, i Templari
hanno teso loro un’imboscata e solo per miracolo si sono
salvati. Abbiamo perso il Frutto, cui notizie abbiamo poco e niente, ma
sappiamo che verrà trasferito a Gerusalemme assieme al suo
legittimo proprietario, ovvero Corrado. Oggi ricevi la tua arma-
aprì il cofanetto –e il tuo incarico. Questo
stesso pomeriggio, tu e Altair partirete per la Città Santa
e una volta tra la sua gente, scoprirete quanto è
più possibile affinché il vostro attacco non
fallisca-.
Tharidl trasse dalla custodia il guanto con le placche di metallo e
chiese gentilmente alla Dea di slacciare quello che aveva.
Il meccanismo era leggerlo, più minuto rispetto agli
standart da uomo e si applicava perfettamente al suo polso. Con pochi
tentativi, Elena fu già padrona di quella lama che venne
fuori dal suo astuccio una, due, tre volte. Al termine, la Dea sorrise
soddisfatta e si allontanò dal tavolo.
Tharidl richiuse il cofanetto e lo adagiò di lato, spianando
sulla scrivania una mappa dettagliata delle terre attorno a Gerusalemme.
-Ci saranno avamposti Crociati qui, qui e qui- indicò tre
differenti punti attorno alla Città Santa: uno accanto ad un
torrente, un altro alle porte della città e il terzo nei
pressi del Tempio di Salomone. –Corrado riceverà
tra una settimana la nomina a Re di Gerusalemme e voi avete il fardello
di togliergli la vita prima che questo accada. Non voglio ulteriori
indugi, alcun rimpianto, e che la vendetta muova entrambi alla
vittoria. Ho mandato sulle sue tracce due informatori che vi hanno
preceduto attraversando la città dal distretto ricco fino al
confine con quello povero. Dal Rafik non ho altre novelle se non la
presenza in massa di continue pattuglie per la città.
Corrado e la sua famiglia al completo sostano nel palazzo Reale, ma non
è certo perché sanno della vostra venuta
prossima. Ci sono domande?- chiese improvvisamente.
Elena si riscosse. –Quale dei due Falchi è stato
ferito?- mormorò.
-Gabriel- fu la risposta schietta del vecchio. –Ma sta bene-
si apprestò a dire. –Per ora conta muoverci
più svelti possibili. Altair- chiamò, e
l’assassino fece un passo avanti.
-Le insegnerai come usarla- Tharidl indicò la lama nascosta
al braccio di lei. –Le insegnerai ad usarla durante il
tragitto. È importante che sia lei e lei soltanto ad
ammazzare quel bastardo. Voglio che questo sia il suo primo omicidio, e
ogni cosa dev’essere perfetta, sono stato chiaro?-
proferì serio.
Altair abbassò il capo. –Chiaro- ribadì.
Tharidl si voltò e guardò fuori dalle vetrate
giungendo le mani dietro la schiena. -Molte delle Dimore nel Regno sono
state chiuse per via dello spostamento dell’esercito di
Corrado e troverete il viaggio alquanto scomodo e i banconi delle
locande poco ospitali. Per tanto, siate anonimi quanto più
vi è possibile- sospirò.
Altair annuì. –C’è altro?-
domandò.
Elena serrò i denti. –Sì!
C’è molto altro!- l’assassina fece un
balzo in avanti e batté il pugno chiuso sulla scrivania,
facendo sobbalzare i libri impilati ordinatamente e le pergamene.
Tharidl tacque ammutolito e Altair, alle spalle di lei,
irrigidì i muscoli.
La Dea non si scompose. –Non lascerò questa
fortezza prima di aver visto mio fratello e ottenuto la reale conferma
che sta bene! Non mi fido della vostra parola! Potrebbe essere solo un
inganno per allontanarmi da qui! Ho aspettato tanto, ed è
stato un errore non affrontare la verità fin da subito. Devo
vederlo, vi prego…- sibilò con rabbia repressa.
Il Gran Maestro chiuse gli occhi. –Mi spiace, ma se non
saranno qui in tempo prima della vostra partenza, darò
l’ordine al tuo maestro di non aspettare oltre. Pazienterete
fino a questo pomeriggio, ma non oltre. Come ho già detto e
ribadisco: non possiamo permetterci altri rinvii e questo è
l’unico momento buono che ci rimane per colpire Corrado
quando meno se l’aspetta; così da anticipare le
sue mosse e porre fine al suo dominio ingiusto che, spero con tutto il
cuore, non si riversi mai nelle strade della città Santa-
dichiarò in fine. –Ora andate, effettuate i vostri
ultimi preparativi e pranzate in compagnia dei vostri amici. Per
adesso…- prese ad arrotolare la cartina geografica.
–Per adesso è tutto- ripeté.
Elena si girò non appena avvertì la mano del suo
maestro stringersi attorno al suo braccio.
-Avanti, andiamo- le disse lui, ma la ragazza lo ignorò
completamente.
-No, andate voi- sbottò improvvisamente seria, e Altair
rimase interdetto.
-Ho alcune cose da chiedere… al Maestro- disse puntando lo
sguardo sul vecchio che, allo stesso modo di Altair, pareva alquanto
sorpreso.
Dopo poco, Tharidl si riscosse e diede congedo ad Altair, che scomparve
quatto sulle scale.
-Dimmi pure- assentì il vecchio riportando al suo posto la
custodia del guanto.
Elena si avvicinò di qualche passo. –Maestro.
Perché me?- domandò.
-No è ovvio?-.
Lei scosse la testa. –Se la vendetta fosse un arma, avreste
scelto qualcun altro, ne sono convinta- sorrise.
-Elena- Tharidl la guardò severo. –Mi spiace non
poter indugiare, ma rivedrai tuo fratello a cose fatte, te lo prometto-.
La ragazza si portò una ciocca di capelli dietro le orecchi.
–Capisco le vostre intenzioni, sono solo… scossa,
dopotutto. Mi avete messa per troppo tempo da parte e ora mi chiedete
di ammazzare l’uomo che assassinò mio padre.
Sono… atterrita dai vostri ordini, ma non per questo
disubbidirò- chinò la testa in segno di rispetto.
-E di questo vado molto fiero- il vecchio aggirò la
scrivania e le venne incontro, abbracciandola. –Vuoi sapere
perché ho scelto te?- le mormorò
all’orecchio.
-Mi sembra di non aver ancora ottenuto risposta a questa domanda,
quindi perché no?- ridacchiò lei.
-Semplice- si stanziò appena per accarezzarle una guancia.
–Per lo stesso motivo per il quale ti scelsi la prima volta;
per lo stesso motivo per il quale ti affidai Altair come tuo maestro!-
gioì lui.
Elena non capiva. –Cioè?- chiese confusa.
Tharidl le prese il viso tra le mani. –Salva tuo padre,
Elena. Egli è vivo, rinchiuso nelle prigioni di Corrado ad
Acri e con sé ha ancora il tuo ricordo- le
punzecchiò il naso. –E non mento, sta volta-
sorrise armonioso.
-Kalel…- le mancò il fiato. –Mio
padre…- le lacrime le salirono agli occhi e presero a
scorrerle incessanti sulle guance, rigandole il volto di linee compatte
e argentee. –Che cosa aspettavate a dirmelo?- non era rabbia
la sua, ma gioia.
Tharidl l’abbracciò con più forza.
–I due Frutti dell’Eden sono custoditi ad Acri e tu
e il tuo maestro vi dirigerete lì una volta compiuto
l’assassinio. Porterete Kalel in salvo e tornerete qui a
Masyaf, affinché riceviate i miei e della setta
più sentiti… onori- proferì commosso.
Elena si strinse a lui e scoppiò in un pianto clamoroso,
soffocando i suoi singhiozzi di felicità nella veste del
Gran Maestro.
-Mi spiace non avertelo detto prima, Elena… ma ci sono cose
che neppure io, di me stesso, riesco a spiegare. Ed ora che persino tu
sai la verità, tutta la verità, sono immensamente
felice di poterla condividere con te. Tuo padre era un mio grande
amico, e riaverlo tra queste mura sarà il dono al quale non
potrò mai rinunciare- la sua voce era incrinata dalla gioia,
Elena lo sentiva forte e chiaro.
-Ma allora… la visione… quella volta che sono
stata catturata da Corrado!- gemé, e Tharidl le
asciugò le lacrime.
-Gli inspiegabili poteri del Frutto…- sussurrò
lui. –Secondo i piani di Corrado non era previsto che il
Tesoro si attivasse, egli voleva solo portarti dalla sua parte,
capisci? Tuo padre, Minha, le persone nella sala quella notte erano
reali, ma il Frutto creò di sua spontanea scelta
l’illusione che niente fosse reale, e tutto lecito- arrise.
-Chissà quale forza celeste ha scelto questo destino per te,
Elena, ma qualunque Dio esso sia, sono con lui per le decisioni che ha
saputo prendere e prenderà in futuro per te-.
Elena tirò su col naso e si stanziò dal vecchio
di qualche passo. –Sì, capisco…-.
-Questo mondo è un puzzle del quale molti pezzi sono
nascosti, e basta solo sapere dove cercare- aggiunse soave. -Ora
va’- le disse tornando alla sua scrivania.
La ragazza chinò il capo e indietreggiò.
-Maestro, grazie di tutto- s’inchinò e
lasciò la sala quasi correndo. –Grazie! Grazie!-
ripeté più volte traversando la sala.
–Grazie!- tra lacrime di gioia e singhiozzi, Elena
sparì nei corridoi.
-Elena!?- Marhim scattò in piedi e lasciò cadere
a terra il libro.
La ragazza si gettò tra le sue braccia e per poco non lo
buttò giù. –Speravo di trovarti qui!-
gemé.
-Stai… piangendo?- si stupì lui ascoltando i suoi
singhiozzi.
-Sì!- la presa attorno al suo collo si allentò
appena. –Scusa, scusa- ingoiò il groppo che aveva
in gola e lo guardò con occhi nuovi e arrossati.
-Posso sapere che è successo?- Marhim inarcò un
sopracciglio chinandosi a raccogliere il tomo dal suolo della
biblioteca.
-Non puoi nemmeno immaginare!- Elena tentò di asciugarsi
quelle altre lacrime che venivano fuori da sole e prese a camminare su
e giù davanti al tavolo. –Non riesco…!-
si portò le mani al viso. –Scusami,
io…-.
Marhim si guardò attorno spaesato. –Va bene,
facciamo così: come prima cosa- le mormorò
prendendola sotto braccio. –Siediti, ecco- la fece accomodare
ai piedi di una colonna e si sistemò al suo fianco, ma
improvvisamente Elena tornò a soffocare i suoi gemiti
sull’uniforme di lui.
-Elena, per favore!- sbottò ad un tratto afferrandola per le
spalle. –Dimmi che cosa sta succedendo, e sono serio-
proferì preoccupato.
La ragazza scosse la testa e si voltò dalla parte opposta.
–Dammi solo… un momento- implorò.
–Devo solo riprendermi!- non riuscì a credere di
essere tanto stupida.
Marhim attese silente, paziente accanto a lei.
Dopo qualche minuto di silenzio, Elena si girò con cautela e
lo fissò negli occhi. –Mio padre è
vivo- disse d’un fiato e un istante dopo una lacrima bianca
le ricadde sulla guancia.
Marhim aprì bocca ma non riuscì a proferire
parola.
-Lo so, sembra assurdo, ma…-.
-Te l’ha detto Tharidl?- domandò lui.
La Dea annuì.
-Non è così stupido da mentirti su certe cose. In
quel caso sapresti essere molto vendicativa- annuì complice.
La ragazza sorrise, rallegrando il suo animo turbato.
–Sì, in effetti-.
-Tutto qui?-.
-Devo partire-.
Marhim tacque, mentre Elena affogava nella mandorla dei suoi occhi.
-Questo pomeriggio. Io e Altair raggiungeremo Gerusalemme e
sarà lì, prima della sua incoronazione, che
ammazzerò Corrado- digrignò con gusto.
L’assassino aggrottò la fronte. –Mi
avevi accennato al fatto che saresti stata tu ad ucciderlo, ma tuo
padre… dove si trova?-.
Elena prese fiato. –È tenuto prigioniero ad Acri e
dopo aver assassinato Corrado porteremo via da San Giovanni sia mio
padre che i due Frutti-.
Marhim si riscosse. –Due Frutti?!- chiese sbigottito.
Elena annuì. –Mio fratello ha rischiato la vita
pur di salvaguardarne uno… e adesso, voglio proprio sapere
che cosa ce ne faremo di un altro!- sbottò nervosa.
-Ho saputo- bofonchiò il ragazzo. –Di tuo
fratello, intendo-.
Elena sbuffò. –L’ultima a sapere le cose
qui sono io-.
-Ehi- lui l’avvolse in un abbraccio dolce. –Non
essere così in pensiero. È vivo, e
farà ritorno qui a breve assieme ad Amir e lo…-.
-No- lo interruppe. –Non lo rivedrò prima del mio
ritorno. È così che ha detto Tharidl. Dobbiamo
partire subito ed è probabile che Amir e Gabriel siano qui
ben oltre la nostra partenza- brontolò.
L’assassino le accarezzò una guancia.
–Sempre a guardare il lato negativo delle cose, eh? Ti rendi
conto di cosa sta davvero succedendo attorno a te? Guardati in giro,
Elena! Tuo padre, tuo fratello! Da qui a due settimane massimo sarete
di nuovo una famiglia! Non sei felice di questo?… o era per
questo che stavi piangendo?- mormorò.
-In parte- rispose lei.
-Guarda, guarda- Marhim sfiorò il guanto sinistro della
ragazza. –Non mi dire- gioì.
Elena sollevò il mento fiera. –Dovrai abituarti
all’idea che ora sono più pericolosa di prima-
scherzò.
-Non ne dubito- sorrise lui passando le dita sul meccanismo legato al
polso della Dea, ed un istante dopo le loro labbra si scontrarono
immobili e per pochi secondi.
-Adesso, ti prego-.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio. -Cosa
c’è?- balbettò.
Elena si adagiò a lui che si sistemò
più comodo con la schiena poggiata alla colonna.
-Pur di saltare il pranzo, posso restare qui con te?-
domandò flebile lei. –Niente di strano,
solo… restare qui… seduti-.
Marhim la strinse maggiormente a sé. –Va bene-
acconsentì. –Tanto non avevo fame-
ridacchiò.
Elena allungò la bocca in un sorriso gioioso, mentre,
lentamente, una solitaria goccia dei suoi occhi si rovesciava sul
pavimento.
-Fa’ attenzione-.
Elena si guardò i piedi. -Ovvio-.
-Metti in pratica qualsiasi cosa tu abbia imparato, grande o piccola-
Marhim le strinse la mano ed Elena alzò gli occhi azzurri
nei suoi.
I nitrii dei cavalli la fecero sobbalzare ed Elena si scostò
improvvisamente da lui.
-Devo andare- mormorarono le sue labbra incamminandosi
all’indietro verso le scuderie.
Il sole del pomeriggio si specchiava sui tetti di Masyaf in tutto il
suo arancio splendore. La cittadella taceva dei suoi solito suono
confusionari, mentre il cielo azzurro assumeva lentamente sfumature
magiche e limpide.
Marhim le sorrise affettuoso ed Elena montò in sella, di
fianco al suo maestro che la osservava da sotto il cappuccio
dall’alto del suo cavallo.
-A ritorno parleremo anche di questo- proferì severo Altair
e partì al trotto.
Elena accorciò le redini e piantò i talloni nei
fianchi dell’animale; si voltò e,
nell’istante in cui la figura di Marhim scompare tra le
polveri alzate dagli zoccoli dei cavalli in corsa, il viaggio ebbe
inizio.
-No, no!-.
-Allora così!-.
-Ho detto di no!-.
-Ma non c’è altro modo!-.
-Sì che c’è! Guarda, stupida!-.
Elena tacque osservando il movimento impercettibile delle dita del suo
maestro, e la lama nascosta venne fuori dal suo fodero prima che la
ragazza potesse rendersi conto di come Altair avesse fatto.
-Visto?-.
-Veramente mi dev’essere sfuggito qualcosina…-
mormorò assorta.
-Elena!-.
La ragazza sobbalzò sulla sella. -Scusatemi, io…
sono distratta-.
Altair richiamò la lama nel guanto. -Ora prova tu, avanti. E
non m’importa un fico secco se sei distratta. Le tabelle di
marcia non pazientano- sbottò serio.
Elena riportò le redini strette in una sola mano e
allungò il braccio sinistro lungo il fianco. Nonostante si
fosse impegnata al massimo, le fu difficile tenere ferme le tre dita
restanti quando il mignolo solo avrebbe dovuto far scattare il
meccanismo.
-Sbagliato-.
Sbuffò. –Non riesco!-.
-Riprova- Altair guardò tutt’altra parte.
–Avanti, non ti guardo; vediamo se così funziona-.
-È stupido- bofonchiò la ragazza.
–Perché dovrei riuscirci?-.
-Ah, non lo so- rise lui. –Con le persone stupide bisogna
tentare cose stupide- aggiunse.
Elena s’irrigidì e, senza preavviso, lo
colpì alla spalla con un pugno poderoso.
Altair si voltò e la inchiodò sulla sella con
un’occhiataccia più che truce. –Come,
scusa?-.
-Ah, ne vuoi ancora?-.
L’assassino distolse lo sguardo. –Fallo di nuovo se
ne hai il coraggio- disse tranquillo.
Elena non esitò, ma prima che potesse solo sfiorare il
cappuccio del suo maestro, questo si girò e le
afferrò il polso con maestria, contorcendoglielo poi dietro
la schiena.
-Basta! Basta! Va bene, va bene! Scusate!- digrignò la
ragazza mentre una fitta di dolore l’attanagliava lungo tutta
la schiena.
Altair lasciò la presa arridendo divertito.
–Riprova- assentì.
Elena fece scricchiolare le ossa della spalla lesionata per il brusco
movimento e rincominciò la sua lezione da dove
l’aveva interrotta.
Tentò più e più volte, ma in tutti i
suoi tentativi non riuscì mai ad acquistare quella
gestualità che avrebbe dovuto ottenere prima del momento
ufficiale.
Calò la notte.
Il cielo stellato si specchiava sulle rive del ruscello accanto al
quale si stagliava un piccolo bosco di cipressi.
-Spero che non ti dispiaccia- cominciò lui smontando agile
dalla sella. –Se per questa sera accampiamo
all’aperto. L’hai sentito Tharidl, no?- le chiese
slacciando le bisacce dalla groppa del cavallo e adagiandole vicino ad
un albero.
-No, ovvio che no- borbottò Elena scivolando giù.
Slacciò la sella e legò il cavallo al ramo basso
di un ulivo.
-Lascia libero il tuo cavallo, porta la sella con te- disse ad un
tratto Altair sparendo tra gli ulivi. –E seguimi!-.
Elena, un po’spaesata, obbedì e seguì
il suo maestro.
Il buio della notte giocava orribili scherzi e proiettava le lugubri
ombre degli alberi sul selciato scricchiolante ai loro passi.
-Maestro, perché ci allontaniamo dai cavalli?-.
Altair le rispose senza voltarsi. –Siamo in zone calde del
regno. È meglio non attirare l’attenzione e
separarci dalle nostre cavalcature soprattutto la notte. Domani mattina
saranno lì, vedrai- sorrise.
Per poche ore, fino all’alba, sostarono in quel boschetto
appartato dal resto della valle. E la mattina successiva, con sua
grande sorpresa, Elena ritrovò il suo cavallo esattamente
dove l’aveva lasciato.
Il viaggio riprese tranquillo, sereno e sorridente da un punto di vista
climatico.
Sulle piane del Regno splendeva un sole da spaccar le pietre e la
primavera era piombata tra la vegetazione diffondendo i suoi suoni e
colori.
Nonostante l’imminente arrivo a Gerusalemme in pochi giorni,
i due assassini saltarono la seconda tappa notturna e si diressero per
una via nascosta tra le montagne al fine di evitare un drappello di
Crociati che battevano le strade principali.
Rashy vegliava su di loro dall’alto del cielo azzurro e
indicava loro il cammino più rapido e sicuro da brava
falchetta. Con il suo aiuto scostarono innumerevoli posti di blocco e
Altair, allo stesso modo di Elena, pareva molto soddisfatto del
lavoretto del suo animale domestico.
Si accamparono nei pressi di un antico crepaccio sovrastato di
rampicanti e contornato di un silenzioso bosco di ulivi. Lasciarono
liberi i cavalli che scorrazzarono lì attorno pascolando
sereni e accesero un piccolo focolare che bastava giusto ad illuminare
due metri attorno all’origine.
La ragazza sedeva con le gambe incrociate sopra un roccia. Il cielo
stellato si stagliava fino all’orizzonte ove assumeva una
ultima sfumatura rossastra.
Erano ore che tentava invano di riuscire, ma si costringeva a pensare
che la colpa fosse dello stesso guanto, che in sé ospitava
un meccanismo arrugginito e parecchio tirchio!
Altair sorrise divertito.
-Cosa c’è da ridere?- sbottò Elena
fulminandolo con un’occhiataccia.
L’assassino ignorò la domanda tornando a fissare
lo scoppiettare delle fiamme, ma sul suo volto rischiarato dalla tenue
luce selvaggia si ostinava quel sorriso beffardo che la infastidiva
tanto.
Elena chiuse il pugno con rabbia. –Invece di starvene
lì senza dire o far nulla, potreste degnarvi di dare alla
vostra allieva tutti i consigli possibili, non trovate sia
più interessante?- digrignò.
Altair non accennò una risposta e le volse appena uno
sguardo.
A quel punto la Dea perse la pazienza. –Ah! Scusate tanto se
disturbo il filo ininterrotto dei vostri pensieri! Ma vi rammento che
arrivare impreparata all’assassino non gioverebbe ad
entrambi-.
Il ragazzo sospirò. –Non impari mai-.
-Non ci credo!- Elena scattò in piedi sulla pietra.
–Avete parlato! Non ci posso credere!- saltò
giù con un balzo e scivolò al suo fianco.
–Vi prego! Quale essere superiore ha fatto sì che
vi riappropriaste del dono della parola?! Quale?! Allah? Dio? Mi
convertirò a qualunque religione esso appartenga!-.
-Sei in vena di scherzi, ragazzina?- Altair sollevò un
sopracciglio.
Elena curvò le spalle e si sedette composta. –Sto
cercando di pensare a qualcos’altro che non sia questo-
mormorò sfiorando il complesso meccanismo sotto il suo
polso. –e al giorno nel quale dovrò attivarlo per
spezzare la vita di Corrado- fece affranta.
-Non sei molto sicura di quello che stai facendo, ma sappi che puoi
ancora cambiare idea- alzò una mano e le carezzò
una guancia, e dopo quel breve contatto si ritrasse guardando altrove.
Fu il turno di lei sorridere divertita. –State cercando tutti
i modi pur di ottenere voi l’incarico, non è
così?-.
-Mettila in questo modo- sussurrò afflitto.
-E perché vorreste che rinunciassi?-.
Altair si girò lentamente verso di lei, poi il suo sguardo
indugiò di nuovo sulle fiamme. –Molti assassini
muoiono durante il loro primo incarico- disse d’un fiato, ma
Elena non lo interruppe. –L’inesperienza fa la sua
parte, ma credo sia soprattutto mancanza di…
familiarità. Nella maggior parte dei casi si arriva alla
vittima, ma poi chiamalo un fattore sentimentale e gli assassini si
paralizzano. C’è un inspiegabile forza maggiore
che li inchioda dove sono ad osservare fino all’ultimo la
vittoria, senza curarsi di cosa ci sia attorno, ovvero interi
battaglioni di guardie che ti corrono addosso senza pietà
con le armi in mano! Ho cercato in tutti modi di prepararti al meglio,
ma come vedi… non impari mai-.
Elena gli venne più vicina. –Ma non io! Vi
prometto che non indugerò un istante di più dopo
averlo trafitto con la lama! Scapperò come mi avete
insegnato! Saprò cavarmela, e voi sarete lì, ad
aiutarmi! Ne sono sicura! Vi nasconderete nei paraggi e osserverete
ogni mia mossa!… giusto?-.
-Non posso prometterti niente- fissò allungo il
falò.
-Ancora non capisco!- si prese la testa tra le mani.
-Cosa?-.
-Se siete così certo che vada incontro alla morte,
perché non fate nulla per impedirlo? Aiutatemi, siate
partecipi ai miei vani tentativi di familiarizzare con
quest’aggeggio!- indicò il meccanismo al suo polso.
-Ti ho detto tutto quello che devi sapere! Sta a te trovare il tuo
equilibrio!- ruggì lui, ed Elena sbiancò di
terrore.
-Voi- balbettò. –Voi non mi state certo aiutando,
in questo vostro modo di fare!- sbottò ella sollevandosi in
piedi. –Se almeno…- s’interruppe.
-Se almeno cosa?!- sibilò l’assassino.
-Ah! Lasciate stare…- Elena si allontanò tornando
seduta sulla sua roccia. Accavallò le gambe e
ricominciò da capo quella tortura.
Era difficile trarre dal fodero la lama nascosta senza un complessivo
movimento del resto dell’arto che non fosse il mignolo, e
Altair le aveva detto più volte che quell’assenza
di gestualità sarebbe stata la sua rovina se non fosse
riuscita a correggere un tale errore prima dell’assassinio.
Sotto l’occhio critico e attento del suo maestro che la
osservava da lontano, Elena s’impegnò al massimo,
ma ad ogni suo fallimento un nuovo brivido di collera le scorreva lungo
la schiena. Perdeva la concentrazione per via dei suoi scatti di furia,
e sul suo volto giovane si stagliavano smorfie ogni qual volta il
fruscio e lo scatto si diffondevano nell’aria immobile della
valle.
Soffriva, e i primi segni di cedimento si manifestarono in una lacrima
che comparve improvvisamente sulla sua guancia. E dopo di quella ce ne
fu una seconda, ed Elena tirò su col naso ma senza
interrompere il suo allenamento.
Ma che razza di padre
sarei…
La ragazza si arrestò d’un tratto, mentre i suoi
occhi azzurri si scontravano con quelli neri e profondi del suo maestro.
-Cosa…- mormorò lei.
Altair assunse un’espressione confusa. –Cosa?-
domandò.
Elena scivolò lentamente giù dal sasso.
–Vi ho sentito- proferì flebile. –Quello
che avete detto, l’ho sentito, sapete?-.
-Io non ho detto un bel niente!- assentì scocciato.
Elena rimase in piedi fissandolo con insistenza. –Allora, se
non avete parlato, devo averlo sentito nei vostri pensieri-
provò a dire.
-Non so di cosa stai parlando- fece più tranquillo.
-E questo fa di me un essere superiore!- guardò fiera il
cielo stellato. –Ho dei poteri!- ironizzò.
-D’accordo! Lo ammetto, sono stato io! Ho parlato, ho detto
quelle cose- confessò irritato, e la Dea sorrise soddisfatta.
-Ma grida un po’ più forte, mi raccomando-
bofonchiò l’assassino.
Elena s’inginocchiò al suo fianco.
–Maestro- lo chiamò con un filo di voce, e lo
sguardo cagnesco del suo mentore non si fece attendere.
-Che vuoi?-.
-Adha- cominciò la ragazza, e avvertì il corpo
dell’uomo irrigidirsi d’improvviso.
–Perché se n’è andata?-.
Altair tacque ammutolito da quella domanda, ed Elena non
poté biasimarlo. Stava toccando con mano argomenti ai quali
un tempo non aveva mai dato troppo peso, ma di certo il suo maestro
soffriva parecchio di certi ultimi avvenimenti e per tutti quei mesi si
era trattenuto dal parlarne con qualcuno. Ed Elena aveva deciso: quel
qualcuno sarebbe stata lei, ora.
-Perché t’interessa tanto?- la domanda nella
domanda di lui che, schivo, tentava di evadere dalla questione.
-Non è ovvio? Prima di diventare la vostra amante ho bisogno
di sapere qualcosa di più sulla vostra ultima fiamma-
annuì come una deficiente.
Altair scoppiò in una clamorosa risata. –Che
sciocchezza, e spero per te che tu stia scherzando- aggiunse allegro.
-Sì, va bene- lei abbassò lo sguardo.
–Sul serio, m’interessa-.
-E cosa ti fa credere che te ne voglia parlare?- ridacchiò.
-Oh, voi mi direte ogni cosa!- la ragazza si allungò verso
di lui e lo spinse giù con la schiena a terra, gli
bloccò i polsi con una mano e avvicinò quella
sinistra al suo collo. Stranamente, Altair non oppose resistenza.
–Siete ancora certo che sia così inesperta con
l’utilizzo di questa?- sorrise maliziosa la ragazza
avvicinando il mignolo all’innesco del meccanismo.
L’assassino si liberò dalla presa, ma non
tentò ulteriore ostilità. –Mi sono
ricreduto in parte. Ma so che non lo farai- arrise, e il cappuccio gli
scivolò via dal volto.
-Ne siete così certo?-.
-Ammazzeresti il tuo maestro?-.
-Quando non serve più, sì- dichiarò
lei.
La voce dell’uomo riecheggiò nella valle in una
nuova risata. –Tutto ciò è assurdo,
spostati-.
-Non finché non mi avrete detto quello che voglio sapere!-
rise.
-Non intendo certo condividere la mia vita privata con
l’allieva di turno!- la scansò d’un
tratto, ma Elena restò accollata a lui stringendo le
ginocchia attorno ai suoi fianchi. –Elena!- la riprese.
-Non avete la forza per opporvi? Strano- sogghignò.
-Ti faccio male!- la minacciò.
-Avanti!-.
-Conto fino a tre…-.
La ragazza tacque paziente.
-Uno…-.
Sulle labbra di lei comparve un sorriso malizioso, mentre irrigidiva i
muscoli pronta a ricevere la batosta.
-Due…-.
-Divento vecchia!- si lamentò.
-Tre!- Altair capovolse i loro corpi, le afferrò i polsi e
la tirò in piedi assieme a lui. Un istante più
tardi, Elena non ebbe tempo di realizzare il passato che il futuro
divenne il presente, e Altair la mise in ginocchio contorcendole il
braccio con la lama nascosta dietro la schiena. Si chinò al
suo fianco ascoltando i gemiti di dolore di lei. –Dicevi?- le
sussurrò all’orecchio.
Elena strizzò gli occhi ed un secondo dopo li
riaprì brillanti di vigore. Portò la mano libera
alla veste del suo maestro e, con una forza disumana, lo
trascinò a terra. La spalla di lei fece un sonoro
“crack” ma non se ne curò e piuttosto
tornò ad immobilizzarlo bloccandolo allo stesso modo di come
aveva fatto lui poco prima.
-Leila è stata un’insegnante degna del suo rango!-
sibilò Altair mentre una smorfia di dolore compariva sul suo
viso.
-Questa è solo una piccola parte di quello che ho appreso da
lei!- gioì la ragazza irrobustendo la presa
sull’avversario.
-Non abbiamo tempo per i giochetti- digrignò
l’assassino.
-Vi arrendete, di già?- domandò stupita.
-Non era una richiesta di resa!- sbottò.
Elena lo sorprese ancora di più quando si
posizionò fulminea alle sue spalle e gli strinse il collo in
una morsa mortale. –E adesso?- ridacchiò divertita
la ragazza.
-Non te lo ripeto, ragazzina!-.
-Tremo dalla paura!-.
Altair si diede una spinta in avanti ed Elena perse
l’equilibrio rovesciandosi al suolo nel clangore delle
cinghie metalliche. Dietro di lei, il suo maestro scattò in
piedi e le venne incontro ma, un istante prima che potesse bloccarle i
movimenti, Elena schivò la sua presa e si sollevò
sulle braccia. In perfetto equilibrio con la sola superficie dei palmi
che toccavan terra, la Dea si spinse contro di lui e lo
colpì con una ginocchiata ben assestata
all’addome. La ragazza subì un piccolo
contraccolpo, ma mai vi fu soddisfazione più immensa nel
cogliere la sottile ombra di dolore che attraversava il corpo del suo
maestro.
-Però…- fece lui con la voce incrinata dalla
sofferenza.
Elena tornò dritta e fiera di fronte a lui compiendo una
ruota impeccabile. –Quanto mi diverto!-.
Altair si massaggiò il punto colpito che era appena sopra la
cintura di cuoio. –Adesso basta giocare; domani saremo a
Gerusalemme e ci aspettano grosse responsabilità. Per tanto
ti consiglio di prendere sonno a l più presto e…-.
Elena sfoderò la spada lunga e gliela puntò alla
gola. In viso aveva un’espressione spietatamente bastarda.
-Qui l’unico stanco siete voi- rise.
-Se anche fosse? Non puoi costringermi a…-.
Elena avvicinò il filo della lama alla sua pelle.
–Ne siete sicuro?-.
-Abbassa l’arma, ragazzina- digrignò poggiando una
mano sul taglio della spada.
La ragazza inclinò la testa da un lato ed oppose resistenza
al suo rifiuto. –Prima della partenza non abbiamo avuto
tempo, ed è bene spolverare qualcosa della scherma prima che
sia toppo tardi! Pensate alle guardie che mi troverò ad
affrontare una volta ammazzato Corrado!- ipotizzò.
–L’avete detto voi stesso!-.
-Non girare attorno all’argomento. Te la caverai benissimo-
borbottò allontanandosi; si sdraiò accanto alla
sella e alle sue bisacce e prese a fissare il cielo stellato.
–Forza, non fare la sciocca. Piuttosto, dovresti
ringraziarmi-.
-Perché?- sbottò lei rinfoderando la spada e
andando a sistemarsi affianco a lui.
Altair allungò le labbra in un sorriso sornione senza
scollare lo sguardo dal firmamento. –Perché faccio
io il primo turno di guardia-.
-Non eravate stanco?- ribadì Elena.
A quel punto l’assassino tacque, e la ragazza non insistette
oltre.
Si accovacciò e trasse dalle bisacce una sottile coperta di
tela, vi si avvolse e il buio fu tutto ciò che vide da
lì in poi.
________________________________________________________________________
O__________O Scrivendo questa scena finale, mentre Elena
prende sonno, mi è venuta un’idea pazzesca da
scrivere subito nel prossimo capitolo! Idea che piacerà
mooooolto ai miei lettori! XD Con l’omicidio di Corrado, alla
mia ff mancheranno poche scene prima della conclusiva, contando che
avevo intenzione di chiudere la storia anche prima di questo capitolo,
interrompendola al chiappo sulle lettere. Ma in cambio a questa mia
decisione avrei ricevuto soltanto manifestazioni acute di disprezzo da
parte dei miei lettori! XD Mantenere in vita 2 fan fiction è
stata la mia sfida, e ci sono stati alcuni momenti in cui mi ricredevo
di me stessa e stavo per cancellare la seconda, dicendomi che avrei
revisionato la trama e aggiustato alcuni passaggi. Ma invece no! Io,
Elika95 detta Irene, ho una mente contorta che non si tira certo
indietro a certe sfide! Ma tornando al capitolo. U.U Che dire? Io sono
quasi senza parole, e mi piace un sacco descrivere scene come queste.
(Altair tirchio ed Elena rompi cogliones!) Credo che questa,
ahimé, sarà però l’ultima.
Ma chissà, tutti sperano in un sequel di AC, ed io potrei
anche toccare con mano la seconda vicenda di Dea tra gli Angeli che,
secondo me, finirebbe per acquistare anche un altro nome dato che di
Dee ce n’erano più di una. Arrivata a questo punto
della storia, voglio parlarvi di alcune cosette prima di mettermi
all’opera sul prossimo capito.
1. Iniziando questa storia credevo che
Elena e Altair si sarebbero scoperti fratelli, di fatti, in uno dei
primi capitoli della vicenda, metto in evidenza la
familiarità che Elena prova soltanto guardando il suo futuro
maestro.
2. Gabriel sarebbe dovuto morire. Ho
avuto solo parecchia pietà della mia protagonista. Se fosse
andata così, però, Elena avrebbe pazzeggiato un
po’ meno col suo maestro questa notte e si sarebbe messa
sotto con lo studio della lama nascosta insistendo ancor più
di come ha fatto adesso.
3. Il padre di Elly è davvero
vivo; è stato un colpo di genio all’ultimo momento
dato che non sapevo cosa inventarmi per dare una spiegazione alla
scelta di Tharidl di mandare Elena ad ammazzare il povero Corrado.
4. Qualcuno di voi ha visto Minha?
<.<
>.> io devo averla persa di vista…
muhahahahah!!! Le ultime informazioni su di lei risalgono ad una fuga
disperata verso Damasco. Ma molte delle strade che portano a Damasco
coincidono con quelle dirette a Gerusalemme!!! Muhahahahahah!!!
U________U
5. In caso non aveste compreso, per via
di descrizioni poco accurate, Marhim ed Elena NON l’hanno
fatto nella biblioteca. Perciò la mia protagonista
è ancora vergine! Muhahha! U___U
6. Ma perché certe volte ho
l’impressione che i miei personaggi saltino pranzo, cena e
colazione? °___° Vabbé, l’ho dato
per scontato che hanno mangiato, dai. XD
7. Ho finito. Ora passo ai
ringraziamenti, ma voi TUTTI siete OBBLIGATI a lasciare una RECENSIONE!
Nessuno escluso, grazie… U____U
Saphira87
(grazie, felice che anche quella merda di capitolo precedente ti sia
piaciuto! Sinceramente, a me ha messo un po’ di malinconia
zizi. Che fine ha fatto EVE? Mi manca la ragazza!!! Posta presto!!!
Ciauuu!!)
goku94 (Il
tuo supporto nel capitolo precedente mi è servito! Credevo
di aver fatto la più grossa cazzata della mia vita scrivendo
quelle lettere! Anche tu! Muoviti a scrivereeeeeee!!! XD)
Lilyna_93 (ciau!
Saluto anche il tuo vecchio accaunt! XD)
Carty_Sbaut
(dove sei finita? O__O)
Angelic Shadow (appena
torni avrai un bel po’ dal leggere! Muhahah)
Assassin (non ti
si sente e non ti si vede, vabbò)
Diaras (idem)
Kasdeya (La
tua rece complessiva che riassumeva 40 e passa capitoli l’ho
adorata con tutto il cuore! mi serviva capire quali punti della mia ff
restano più impressi e tu mi hai aiutata molto in questo!
Sto morendo dalla voglia di sapere cosa combini nella tua storiaaaa!!!
Aggiorna prestooooo domani ci
saròòòòòò!!!
XD)
Renault
(anche mia mamma ha una scenic! XD Spero che tu arrivi presto a questa
parte della storia, dato che sta per finire! XD)
E a tutti…
BUONA PASQUA!!!
*___* Uovo al cioccolato bianco… arrivoooooo!!! XD
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Capitolo 45 *** Impertinenza e schiaffi ***
Impertinenza e schiaffi
Tirava un
insolito vento freddo che faceva gemer le fronde degli ulivi e aveva
spento il fuoco in una sola folata. I cavalli, legati al ramo basso di
un albero, si scaldavano a vicenda mentre il gelo della notte dominava
sulla valle. Una ventata più forte, scontrosa e improvvisa
spazzò via un cumulo di polvere e gliela gettò
negli occhi, che Elena strizzò più volte prima di
aprire.
La coperta era
scivolata via per metà dal suo corpo e le copriva giusto
fino alle ginocchia, ma la cosa che la colpì maggiormente fu
il braccio destro del suo maestro, che le cingeva il fianco
stringendola a sé.
Elena
trattenne il fiato, ma non poté credere al calore che
sentiva provenire oltre le sue spalle e che percepiva diffondersi per
tutto il suo corpo. Per un attimo ebbe la sensazione di essere stretta
a Marhim, che era capace di infonderle quella familiare protezione che
le veniva offerta la notte, quando più si sentiva sola e
infreddolita nella sua stanza. Era probabile che il suo maestro
l’avesse notata piuttosto tremante e le si fosse stretto
affianco pur di non farla ammalare giusto in quei giorni. La sua era la
premura di un padre, quindi nessun altro genere di affetto. Eppure, fu
in evitabile che le guance della ragazza si colorassero di un rosa
più acceso del solito.
Era stupendo.
Sentiva il suo respiro tra i capelli, avvertiva il suo profumo
invaderla e farla prigioniera allo stesso modo delle sue braccia. E poi
il palmo aperto di lui poggiato appena accanto al suo gomito.
Rimase
immobile: dietro di lei il suo maestro si mosse e allungò
una mano verso le gambe della ragazza. Un brivido le percorse la
schiena quando le sue dita le sfiorarono il limbo di pelle lasciato
esposto dalla cortezza dei pantaloncini sottostanti alla parte bianca
della veste.
Senza muovere
un muscolo, Elena avvertì la coperta tornare a coprirle le
membra infreddolite da quell’improvvisa e gelida ventata.
Altair la infagottò per bene, poi la strinse nuovamente in
quell’abbraccio bollente che la metteva tanto in imbarazzo.
Tirò
un sospiro di sollievo nel cogliere l’indifferenza di Altair
al fatto che fosse sveglia; probabile che non se ne fosse accorto,
così richiuse gli occhi mentre una nuova folata di vento le
scompigliava i capelli e sollevava grumi di polvere.
Poche ore
più tardi, il cielo si tinse in lontananza di una sfumatura
più chiara e l’alba si accentò appena
oltre la coltre della leggera nebbiolina che avvolgeva la valle. Ma era
una strisciolina affusolata e distante, poco distinguibile dal resto
del cielo quando Elena si riebbe del tutto dal sonno.
La coperta si
era intrecciata alle sue gambe e metà di essa era appoggiata
al suolo, a coprire quel lembo di prato sopra il quale un tempo aveva
sostato il maestro, abbracciato alla sua allieva.
Mancavano
delle ore al sorgere completo del sole e, nel calcolare che fossero
forse le cinque o le sei del mattino, Elena si sollevò sulle
braccia e si guardò attorno. Sbadigliò.
–Mae…-.
Non
terminò che una mano le tappò la bocca e il
braccio forzuto di Altair la tirò in piedi a forza.
–Fa’ piano e prepara le tue cose!- le
mormorò all’orecchio, ed Elena si riscosse dalle
ultime tracce di pigrizia trascinate dalla dormita. I suoi sensi
divennero vigili e i suoi muscoli pronti.
-Mi
raccomando, fa’ piano!- insisté Altair allentando
la presa sulle sue labbra.
Elena
annuì e, silenziosamente, si chinò a raccogliere
la coperta ripiegandola a casaccio. Di seguito la legò alla
sella e in fine fece per poggiare il tutto sulla groppa del suo
cavallo; quando alle loro spalle, si udì un grido.
-Assassini!
Prendeteli!-.
-Scappa!-
Altair montò in sella.
Elena estrasse
la lama corta e, nell’istante in cui una decina di uomini
emersero dalla boscaglia, trasse un pugnale da lancio e
colpì alla tempia un soldato senz’elmo.
-No,
combattiamo!- strillò lei.
-Ho detto
scappa!- Altair la raggiunse al galoppo e
l’afferrò per i fianchi issandola sulla groppa del
suo cavallo.
Ad Elena
sfuggì la presa sulla lama corta che andò a
perdersi tra i cespugli. –Diamine!- digrignò la
ragazza.
-Non
c’è tempo, monta!- l’assassino la spinse
in sella al suo cavallo, Elena infilò i piedi nelle staffe e
strinse le redini. Un istante dopo, erano già in fuga.
Alle loro
spalle comparve un battaglione intero di uomini a piedi i quali si
fermarono demoralizzati dopo poco. Ma poi, nell’aria gelida
dell’alba si stagliarono i nitrii di una quindicina di
cavalieri, e i Crociati emersero dal sentiero che percorreva il bosco.
-Prendete quei
bastardi! Sono diretti a Gerusalemme!- gridò qualcuno, ma
Elena si trattenne dal voltarsi.
I due
assassini seguirono la strada sterrata per un breve tratto, poi si
persero tra le ombre dei secolari cipressi che costeggiavano la strada,
ed in fine risalirono un pendio ripido al quale i destrieri dei loro
inseguitori non avrebbero opposto troppa resistenza dato le pesanti
armature dei cavalieri.
-Di qua!-
Altair piantò i talloni nei fianchi dell’animale
che spiccò un balzo e raggiunse una sporgenza più
in basso del crepaccio. Elena fece altrettanto sollevandosi sulla sella
nel momento del vuoto sotto gli zoccoli, ma l’impatto fu
violento e la ragazza quasi non perse le staffe.
-Di
là! Stanno scappando!-.
-Ammazzateli!
Arcieri, pronti!-.
Elena
accorciò le redini. –Arcieri?!- sbottò
terrorizzata.
-Continua
dritto, non fermarti!- le consigliò Altair affiancandosi a
lei in quella corsa contro il tempo.
Dall’alto
delle parete di roccia si sporsero una dozzina di arcieri che non
esitarono a puntargli e spaventare i loro cavalli quando le frecce si
conficcavano a terra di pochi millimetri al loro passaggio. Il pendio
intraprese una strettoia ed Altair rallentò consentendo alla
ragazza di stare in testa.
-Avanti e poi
e poi a destra! Separiamoci, ma ci ritroviamo alle rovine! Ah!- con un
colpo deciso ai fianchi dell’animale, Altair la
superò di nuovo e scomparve in una biforcazione secondaria
alla strettoia.
Metà
dei cavalieri che li avevano seguiti fin lì lo pedinarono,
mentre i restanti si avvicinavano sempre più alle spalle
della Dea.
-Non vivrete
ancora allungo!- ridacchiò un crociato, ed Elena perse la
concentrazione.
Il suo cavallo
inciampò su un sasso, rallentò appena la corsa ma
quel poco sufficiente perché un dardo penetrasse nella carne
all’altezza della scapola. La povera bestia si
impennò dal dolore e si rovesciò al suolo nel
trambusto delle bisacce. Elena riuscì fortunatamente a
sfilare le staffe e rotolare via prima che il peso
dell’animale la schiacciasse.
Dopo essersi
ripresa dalla botta alla testa e i crampi alle ossa, la ragazza
scattò di lato e fuggì via di corsa senza
voltarsi.
Cercò
i cunicoli più stretti tra gli alberi e saltò le
staccionate di vecchi campi abbandonati. Il fiato si faceva grosso, i
muscoli cedevano, ma gli zoccoli poderosi dei suoi inseguitori erano
costantemente il suo incubo.
-È
in trappola!- gioì festoso un cavaliere.
Elena si
girò, ammirò spaurita le lame scintillanti dei
quattro uomini a cavallo che la inseguivano, ma la sua corsa fu
arrestata da un muro che comparve come per magia davanti al suo naso.
Si rannicchiò al suolo in una posa innaturale,
strisciò per qualche metro appoggiandosi alla parete, ma
nulla poté contro la forza con la quale due cavalieri la
costrinsero in ginocchio. Uno di loro le scoprì il volto,
mentre un altro rideva divertito. Il terzo, invece, osservava dalla
sella del suo bel destriero nero.
-Sei finita,
ragazzina- il fiato dell’uomo le arrivò dritto in
gola dato la bocca aperta che aveva per riprendere fiato. Era sfinita,
non trovò neppure la volontà di opporsi o
soltanto l’idea, il desiderio di farlo. Consegnarsi o morire
per mano degli uomini di Corrado erano le uniche due vie che le
restavano.
-E adesso?-
domandò uno dei tre sbattendola al suolo con violenza, ed
Elena si strinse le braccia attorno allo stomaco in una posa fetale.
–Che cosa ce ne facciamo?-.
Tra i tre
soldati calò un silenzio imbarazzante. I due a terra le
girarono attorno ed uno di questi la spinse con un calcio che Elena
ricevette dritto al fondoschiena. L’essere
ridacchiò divertito.
-Corrado ha
ordinato di ammazzarli tutti e due- sbottò quello dalla
sella.
-Ma che
spreco!- un crociato si chinò all’altezza del suo
viso, ed Elena tentò di trascinarsi il più
lontano possibile, ma il soldato l’afferrò per il
cappuccio inchiodandola dov’era.
-Non possiamo
disubbidire!- ringhiò il cavaliere a cavallo, ed un istante
dopo estrasse la spada dal fodero. –Forza! Chi di voi
è abbastanza uomo?!- aggiunse squadrandoli entrambi, ma i
due crociati si stanziarono l’uno dall’altro.
-Ma bene!-
sbuffò quello in alto e si apprestò a smontare
dall’animale. –Infami codardi!- digrignò
sputando a terra.
Elena si
stanziò con uno scatto, macchiandosi la veste in una pozza
di fango, ma il cavaliere allungò una mano e le
tirò la testa all’indietro per i capelli. Alla
giovane scappò un mugolio di dolore mentre il gelido filo
della lama si poggiava sulla pelle della sua gola.
L’uomo
esitò, premette con più forza la lama sul suo
collo, ma non incise. Rimase incerto, immobile alcuni secondi, poi si
sollevò e rinfoderò la spada.
Alle sue
spalle i due soldati semplici si scambiarono un’occhiata
complice e confusa.
-Generale-
chiamò uno.
Il cavaliere
dal lungo mantello alzò una mano e azzittì il suo
sottomesso. –Fatene ciò che volete-
sibilò tornando alla sua cavalcatura. –Ma
assicuratevi che sia ben stretta! Non voglio vederla gironzolare ancora
in giro, sono stato chiaro?!-.
I due
annuirono.
Il cavallo del
generale s’impennò. –Raggiungetemi al
blocco nord a cose fatte. Ma al fine di ciò, portatemi la
sua testa- ordinò indicando la ragazza, e detto questo
sparì al galoppo tra gli alberi.
Elena si
appoggiò alla parete e lentamente si tirò su.
-Guardala, mi
fa quasi pena-.
-Quasi!- rise
il secondo uomo.
-Già.
Ma presto, sta facendo luce!-.
-Tu la tieni
ferma ed io…-.
-Secondo me
non ne vale la pena. Portiamola all’accampamento!-
suggerì.
-Fratello,
stai scherzando? Così ci toccherà dividerla con
gli altri!-.
-Non capisci?
Siamo troppo esposti e ho paura di quell’altro!-
gemé.
-Ma dai!-
schiattò in una clamorosa risata. –Se ne saranno
già occupati di quello lì!-.
-Io continuo a
temere…-.
-Cosa?-.
-E se fosse
qui dietro? Ora? Guardati attorno!- i due si girarono da parte a parte.
Elena, una
volta che furono distratti, sgattaiolò via reggendosi alle
insenature tra i vecchi mattoni della parete, aggirò la
rovina e si trascinò fino a qualche metro più
avanti, scomparendo poi tra gli arbusti. Lì, nascosta tra le
fronde della natura, riprese fiato accovacciandosi al suolo sopraffatta
dalla spossatezza.
-Ehi! Ma
dov’è andata!?- udì gridare.
-Perfetto! Ora
ci ammazzano, lo sai?!-.
-Non
è stata colpa mia!-.
-Invece
sì! Chi ha suggerito di portarla
all’accampamento?!-.
-Io! Ma a buon
fine!-.
-Cioè?-.
Ci fu un lungo
minuto di silenzio, ed Elena aguzzò l’udito per
scorgere oltre il suono indistinto di zoccoli che battevano la terra.
Poi le saettò all’orecchio il nitrio di un
cavallo, e in fine uno dei due soldati sbottò rabbioso:
-Levati dai piedi, straniero!-.
-Ehi, ma non
è uno straniero!- e il secondo crociato sfoderò
la spada.
-Assas…-.
Il fruscio
impercettibile di un solo coltello da lancio, e in fine il tonfo di un
corpo senza vita che si accasciava al suolo.
-Tu-
chiamò Altair dall’alto della sella.
Il crociato
gettò l’arma lontano dalla sua portata e
s’inginocchiò umile supplicando
l’assassino di lasciarlo vivere.
-Dove si trova
la ragazza?- domandò il suo maestro.
-Ci
è scappata, non ho idea di dove sia!-.
-Menti!-
ruggì Altair. –Uno dei tuoi superiori
l’ha portata con sé?! L’ho visto che si
allontanava verso nord! Hai un’ultima possibilità,
perciò bada bene a quel che dici!-.
-Ma
è la verità- il crociato si privò di
ciò che rimaneva del suo onore strisciando come un verme.
–Vi prego! Ho una moglie, tre figli!-.
Il mutismo
avvolse quella scena buia che Elena poteva a stento immaginare.
Una folata di
vento nascose ogni suono, ma subito dopo si udì il lamento
smorzato e il gorgoglio del sangue. L’uomo si
rovesciò al suolo inerme e in una posa innaturale, ed Altair
fece voltare il suo cavallo.
Poco prima che
partisse al galoppo, Elena si spinse fuori dagli arbusti.
–Fermo, fermo!- chiamò e la sua voce intimorita,
terrorizzata attirò l’attenzione
dell’assassino.
Altair
impennò il destriero che, quando ritoccò terra
con gli zoccoli, le venne incontro.
-Perché
ti sei nascosta, avanti! Non abbiamo tempo!- l’assassino le
porse una mano, la Dea l’afferrò saldamente e lui
la issò alle sue spalle sulla sella.
-Scusatemi,
io…- cominciò a dire.
-Non importa,
ora reggiti!- spronò il cavallo che intraprese un galoppo
all’ultimo delle forze.
Elena si
strinse alla schiena del suo maestro avvolgendogli le braccia attorno
ai fianchi. Strinse le gambe alla sella e si resse saldamente pur di
evitare una brutta caduta.
-Sei ferita?-
le chiese ad un tratto Altair mentre galoppavano.
-No!- rispose
lei.
-Bene;
qualcosa in meno a cui pensare! I Crociati hanno ristretto
l’area attorno alle rovine e ci circondano in numero che non
possiamo né evitare né contrastare! Per tanto,
l’unica possibilità che ci rimane è
quella di aspettare l’indomani affinché si
stanchino di cercarci o ricevano ordine di raggiungere il loro signore
a Gerusalemme. In quel caso, ci rimarrebbe tempo sufficiente per
arrivare alla Città Santa e svolgere poco e niente di
indagini, ma è l’unico modo che abbiamo per
uscirne vivi!- la informò.
Elena
annuì distratta. –A me sta bene, ma dove ci
nasconderemo?-.
-Non
preoccuparti; a questo penserò io-.
-…Grazie!-.
-E di cosa?-.
-Per avermi
salvata da quei due!- sorrise, ma lui non poteva vederla.
L’assassino
tacque alcuni istanti. –Sei stata fortunata-
proferì in tono grave.
Elena
aggrottò la fronte. -Perché?-.
-Sono rari i
soldati che bisticciano tra di loro aprendoti una via di fuga! Certi
tizi mi saranno capitati una volta in tutta la mia vita!-
ridacchiò compiaciuto.
La ragazza non
poté evitare di rallegrarsi. -Durante le vostre indagini?-.
Altair
allungò le labbra in un sorriso sornione. -Non proprio-
sogghignò.
-Eravamo ad
Aleppo- disse ad un tratto rallentando l’andatura del cavallo.
Elena si fece
più attenta. –Cosa?-.
Altair
inclinò la testa da un lato. –Eravamo ad Aleppo
quando successe. Io, Malik e il suo fratellino Kadar. Ricordo
come fosse ieri: un interrogatorio, nel distretto ricco della
città. I due si misero a litigare come dei matti e
l’uomo ci sfuggì da sotto il naso- arrise.
Stavano
traversando un bosco di ulivi costeggiato da un torrente guizzante di
acqua cristallina. Il cielo notturno andava sfumarsi delle prime
tonalità mattiniere, mentre le stelle lentamente
scomparivano dal firmamento lasciando il posto a chiazze biancastre che
andavano formarsi. Erano su un pianoro rialzato che affacciava ad est
sulle valli appena passate e ad ovest sulle montagne. Nord e sud si
confondevano tra vegetazione locale e crepacci montuosi. Da
là su erano ben visibili diversi appostamenti crociati che
circondavano perfettamente la zona. Erano state innalzate palizzate di
legno per frenare i cavalli in corsa e, di conseguenza, la loro fuga da
quella cerchia della morte.
-E poi?-
domandò Elena curiosa.
Altair
sospirò. –E poi niente; mi sono occupato
personalmente di ritrovare quel furbetto e metterlo sotto torchio come
si deve- il suo era un sorriso malinconico. –Altri tempi,
quando gli inesperti eravamo noi tre- mormorò assorto.
Entrambi
distratti, i due assassini non si erano accorti che il cavalo sul quale
sedevano era andato a brucare dell’erba in un fraticello
secco lì vicino. Altair si riappropriò delle
redini e indirizzò l’animale nuovamente sulla
strada sterrata. –Sei stanca?- domandò.
Elena
sbadigliò. –Non nego che avrei preferito dormire
un po’ di più…- il suoi pensieri furono
invasi dagli ultimi ricordi pacati che aveva di quella notte. Ovvero il
braccio di Altair stretto attorno al suo ventre, il corpo del suo
maestro a farle da stufa vivente. Si riscosse, tentando invano di
assumere un’espressione meno beata in viso.
-Cosa
c’è?- rise lui ad un tratto.
-Cosa cosa
c’è?!- sobbalzò la ragazza, e a quelle
parole l’assassino scoppiò in una fragorosa
risata.
-Mi nascondi
qualcosa, mia allieva?- chiese lui guardando dritto davanti a
sé, ma le sue spalle erano rilassate, come il resto delle
sue membra ed Elena lo sentiva attraverso il contatto delle sua braccia
strette attorno ai fianchi di lui.
-Cosa credete
che vi stia nascondendo?- fu evasiva e maliziosa.
-Non saprei-
si guardò attorno sorridente. –Dato che
l’esercito di Corrado al completo ci da la caccia e che
queste potrebbero essere le nostre ultime ore di vita, tanto vale
condividere, non trovi?-.
-Allora
cominciate voi!- sbottò la ragazza.
-Va bene-
annuì compiaciuto.
-Parlatemi di
Adha, avanti- lo punzecchiò.
-Che ragazzina
impertinente…- digrignò irritato. –Ma
si può sapere… ah, giusto- alzò gli
occhi al cielo. –ti serve saperlo o non potrai mai essere la
mia amante- la sua voce assunse un tono malizioso e alquanto in vena di
scherzi.
-Già!-
sottinse allegra.
-Non
c’è molto da dire- bofonchiò
l’assassino. –Una storia morta in partenza. Forse,
quando ci conoscemmo sei anni fa e prima che partisse, c’era
davvero qualcosa, ma quando mi abbandonò senza dare alcuna
spiegazione mi rassegnai al mio destino. E poi, giusto pochi mesi fa
spunta fuori dal nulla. Se n’è andata
perché in questi ultimi attimi assieme non aveva fatto altro
che mentirmi, parola dopo parola, ed io non riuscivo a credere che
stesse capitando proprio a me. Era tornata in Siria con
l’intenzione di raccontarmi della sua vita in Italia, della
sua famiglia e dei suoi figli. Bambini, capisci? Quando da me aveva
chiesto altrettanto…-.
Elena distolse
lo sguardo e anche le sue, come le spalle del suo maestro, si curvarono
afflitte. –Io…- mormorò. –Mi
dispiace, non credevo…-.
Altair
aggrottò la fronte sollevando il viso d’un tratto.
–Eppure, oggi mi torna un dubbio-.
-Cioè?-
poggiò il mento sulla sua spalla.
L’assassino
si voltò appena verso di lei. -Quando partì disse
che avrebbe portato per sempre una parte di me con sé, ma
non ho mai capito cosa volesse dire- si fece ancora più
confuso.
Elena si
raddrizzò improvvisamente. –Ma siete stupido
forte, maestro!- sbottò colpendolo con una pacca in testa.
-Ehi, modera i
termini, allieva!- le lanciò un’occhiataccia.
-Davvero siete
così ottuso? La vostra mente calcola solo quanti passi
distano da voi alla vostra vittima?- lo derise.
-Dove vuoi
arrivare?- domandò indispettito.
Elena
alzò gli occhi al cielo. –Con una frase del genere
una donna vuole intendere solo una cosa!-.
-E sarebbe?-
chiese interessato.
-Maestro- si
avvicinò nuovamente a lui. –Adha conserva un
piccolo voi nel pancino- sorrise affettuosa.
Altair
frenò il cavallo all’istante, i suoi muscoli si
tesero. –Non è possibile…-
sussurrò.
Elena
poté quasi dire che gli si fossero ristrette le pupille a
quella notizia. –Bacato sarà anche vostro figlio,
non ne dubito!- incrociò le braccia.
-Non ci posso
credere… io ho…- deglutì.
Elena gli
batté una mano sulla spalla. –E a giudicare di
come trattate me, non sareste affatto un buon padre- scosse la testa.
Il volto del
suo maestro si riempì gradualmente di gioia. –Non
immaginavo…- sospirò gonfiando il petto. Qualche
minuto di silenziò servì ad entrambi, poi Altair
fece partire il cavallo al trotto riscendendo la collina.
-È
passato lo shock?- domandò la ragazza premurosamente.
-Sì,
grazie, mi sei stata molto d’aiuto- fece assorto.
-Eeeeeeeeeeeee?-
indugiò ancora lei.
-E forse
è meglio che sia andata così- proferì
tranquillo.
-Bene! Ottimo!
Sapete, vi meritereste un biscotto ad ogni risposta esatta. A
proposito, io ho fame, voi?-.
Altair
soffocò una risata. –Quand’è
che il tuo stomaco la pianterà di chiedere cibo solo in
viaggio? Avresti potuto pranzare prima di partire, piuttosto che
startene con…-.
Elena lo
colpì con uno schiaffo. –Voi!- strillò.
Altair si
passò una mano sulla guancia. –Chi ti da certe
libertà, ragazzina?!- sibilò.
-Chi la da a
voi la libertà di spiarmi!? Come sapevate che ero con
Marhim?!-.
-Non lo
sapevo. Ne ho avuto conferma ora da te- sorrise malizioso.
Il secondo
schiaffo non si fece attendere, e a quel contatto Altair
frenò del tutto il cavallo. –Ora basta!-
ruggì guardandola in cagnesco.
-Ho notato di
cosa siete capace quando vi “arrabbiate”!-
ironizzò, alludendo alla sera attorno al falò.
-Così
metti a dura prova la mia pazienza!- prima gli scappò un
nitrio, poi l’animale sgroppò innervosito da tante
chiacchiere.
-Ecco, persino
il cavallo è dalla mia parte!- si lamentò la
ragazza.
L’assassino
sbuffò e distolse lo sguardo. –Della tua storia
con Marhim parleremo a ritorno- brontolò azzardando il
galoppo.
-Non
è una “storia”- mormorò lei.
-Ah no?-.
-No!-
sbottò con più convinzione. –Siamo solo
ottimi amici-.
-Ah! Va bene!
Ora capisco molte cose: per esempio i vostri baci, uno nella biblioteca
quel pomeriggio, ma ancora prima ce n’è stato uno
nel salotto che porta alle stanze delle Dee! E dimmi un po’,
dov’eri la mattina che fosti convocata dal Maestro? Io e
Halef ti cercammo ovunque! Fu lo stesso giorno in cui dovetti
presenziare al mio fianco alla seduta per decidere del destino del
Frutto! Non hai scuse, ragazza!-.
Elena non
riuscì a pieno col terzo schiaffo poiché Altair
le bloccò il polso con un movimento impercettibile del
braccio. –Non lo farei se fossi in te- sussurrò
cauto e intimidatorio.
La Dea si
divincolò con uno strattone e abbassò lo sguardo
affranta. –Va bene, lo ammetto. Io…-.
Il sibilo di
una corda che vibrava, e la freccia penetrò nella coscia del
cavallo.
-Diamine, no!-
digrignò Altair tentando invano di tener buona la bestia, ma
questa si rovesciò al suolo e i due assassini rotolarono tra
gli arbusti finendo l’uno distante dall’altra.
-Prendeteli,
sono a tiro! Non ci scapperanno!- gridò un arciere
incoccando una nuova freccia.
Le torri di
legno erano state allestite per l’evenienza e, senza
rendersene conto, si erano azzardatamene avvicinati troppo ad un posto
di blocco.
Altair si
sollevò con uno scatto e balzò al fianco di lei.
–Resta giù!- la spinse nascosta tra le felci, ed
Elena si appiattì raso terra.
L’assassino
si mosse fulmineo schivando i dardi che si piantavano nel terreno e
raggiunse la scala che saliva fino all’apice della torre. Due
gradini alla volta raggiunse lo spiazzo che ospitava ben tre soldati
muniti di faretra. Uno si apprestò a spingerlo
giù, un secondo lo colpì con un pugno assestato
alla mandibola e questo piroettò su se stesso per poi
precipitare verso il basso. Il terzo, Altair lo afferrò per
la tunica e lo utilizzò come scudo umano alle frecce che gli
tiravano addosso gli arcieri dell’appostamento di fronte.
Con un salto e
un atterraggio da maestro, Altair tornò giù e si
avviò di corsa verso la seconda torretta. Ripeté
più o meno le stesse mosse, con la sola differenza che
l’ultimo dei tre si dileguò a gambe levate.
-Fermalo!-
gridò il suo maestro ed Elena emerse dagli arbusti, si
portò lesta una mano allo stivale sinistro, piegò
abile le ginocchia e il pugnale da lancio schizzò via dalle
sue dita trafiggendo il mal capitato tra le scapole.
Un sorriso
soddisfatto affiorò sulle labbra di Altair che la
fissò allungo dall’alto della torre.
–Bene!- gioì.
Elena si
poggiò le mani sui fianchi e alzò lo sguardo
verso di lui. –Avete intenzione di scendere o no?-
domandò col peso su una gamba.
-Aspetta. Da
quassù si vede un sacco di roba interessante!- fu la sua
risposta, ed Elena non insistette oltre.
Se
c’erano degli accampamenti nascosti, Altair
l’avrebbe certo notato da quell’avamposto, quindi
era meglio lasciare che preparasse un piano migliore se mai fossero
stati colpiti di nuovo.
La Dea
tornò con passo svelto sulla strada e si chinò
affianco al cavallo che giaceva sdraiato a terra, mentre la ferita
attorno all’asticella della freccia conficcata nella coscia
pulsava dolorosamente. Stava soffrendo, ed Elena gli
accarezzò il muso percorrendo la chiazza grigiastra che
andava dalla fronte fino al naso dell’animale. Respirava con
affanno, era nervoso e i suoi nitrii di dolore avrebbero attirato
troppo l’attenzione. La Dea sapeva bene cosa avrebbe dovuto
fare il suo maestro una volta sceso dalla torre, ma persino con tutto
il ripugno che provava dentro, avrebbe dovuto assisterlo.
Altair
fischiò, ma non era indirizzato a lei, perciò
Elena non se ne curò.
Sopra la sua
testa celata dal cappuccio, comparve un’ombra che
schizzò fugace via.
La ragazza
alzò il mento, guardò il cielo e
ammirò il suo colore già pienamente azzurro
sull’orizzonte. Poi il grido di Rashy si diffuse per la valle
e la falchetta sbatté un paio di volte ali prima di
stringersi al braccio alzato del suo padrone.
Elena
tornò in piedi. –Era ora! Non poteva avvertirci un
po’ prima?!- sibilò a denti stretti.
Non ottenne
alcun cenno dal suo maestro che pareva impegnato
nell’accarezzare le piume argentate dell’uccella.
Qualche secondo più tardi, il suo polso scattò in
avanti e Rashy si librò in aria; con maestria, la falchetta
si gettò giù dalla torre con le ali chiuse al
petto e riprese quota solo dopo aver volato raso terra.
Spalancò le sue vele piumate e diffuse nuovamente il suo
canto per il cielo.
Fatto
ciò, Altair si apprestò a scendere ed Elena gli
andò incontro.
-C’è
un recinto abbandonato, più avanti. Quando ci passo vi trovo
sempre alcuni cavalli a pascolare. Va’…- disse lui
avvicinandosi al suo destriero ferito. –Ma se trovi la zona
controllata dai crociati, torna indietro- si chinò al fianco
dell’animale e, prima che Elena potesse voltarsi, estrasse da
una bisaccia della sella una fiala contenente della polvere scura.
-Hai sentito?-
chiese Altair cominciando a gesticolare con il contenuto della fiala.
Lo versò in una garza e lo mischiò ad alcune
zollette di zucchero che rimediò sempre dalle bisacce.
La ragazza si
riscosse. –Sì, ora vado- e
s’incamminò senza voltarsi.
Era
già parecchi metri avanti quando ascoltò i
lamenti del cavallo tacere per sempre.
Nessun
accampamento crociato più avanti. Ma la sfortuna fu nel
fatto che riuscì ad acchiappare un solo cavallo, che il
proprietario del bestiame reclamò a gran voce.
Elena
l’aveva azzittito dandogli in cambio una manciata di monete,
ma appresso non aveva poi tanto e il contadino non si era certo sentito
appagato! Così dovette agire come non avrebbe voluto.
Nascose il
corpo tra le felci e nella piccola stalla dell’uomo
rimediò anche una buona sella e un secondo cavallo.
Lasciò il campo al galoppo e andò in contro al
suo maestro che attendeva tutt’altra parte a dove
l’aveva visto l’ultima volta.
Altair era nei
pressi del ruscello che scendeva dalla collina, con le ginocchia
piegate e una mano allungata a sfiorare l’acqua del
fiumiciattolo con una pezza bianca stretta tra le dita; la manica
sinistra dell’uomo era arrotolata fino alla spalla e sulla
pelle abbronzata dei suoi muscoli scolpiti scorreva un rivolo di sangue
proveniente da un taglio prolungato che si allungava fino al gomito
verticalmente. Il guanto con la lama nascosta era adagiato su una
roccia poco distante.
Elena
smontò dalla sella e legò i cavalli ad un ramo
basso di un ulivo. -Siete stato ferito?- domandò
accovacciandosi al suo fianco.
Altair la
schizzò con l’acqua in eccesso sulla pezza.
–Ovvio, per caso sei cieca?- rise. –Ma non
preoccuparti. È solo di striscio, niente di grave. Tu sei
ferita?- chiese.
-No, grazie.
Ho trovato i cavalli- lo informò col sorriso, che
però si spense presto.
-Bene-
assentì lui lanciando un’occhiata alle due bestie
dietro di loro.
-Ma il
contadino del campo mi ha sorpresa e temevo che avrebbe parlato a
qualcuno se l’avessi lasciato vivere- proferì in
un sussurro. –Mi spiace, ma non avevo abbastanza monete. Si
è messo a strillare a ladro! E poi mi ha riconosciuta come
un membro della setta e…-.
Altair si
girò verso di lei e le inchiodò le parole ancora
in gola. –Sta’ calma, ho capito- fece tranquillo.
–Non c’era altro modo, avrei agito altrettanto-
disse passando la pezza bagnata sulla ferita e ripulendola dal sangue.
–Piuttosto, hai notato nessun avamposto nelle vicinanze? Non
nascondermi che sei stata avvistata, come quell’ultima volta
ad Acri- mormorò serio. Lasciò la pezza sulla
stessa roccia ove era poggiato il suo guanto ed estrasse da una delle
sacche dietro alla cintura una fiala con del liquido trasparente. La
stappò coi denti e la versò sulla pezza che
riprese in mano, e con essa disinfettò il taglio.
-No, vi
assicuro che a parte il vecchio in Paradiso, nessun altro sa che
abbiamo questi cavalli- arrise.
-Ottimo, buon
lavoro- disse sollevandosi la manica e riappropriandosi del suo guanto.
Dopo che ebbe legato per bene ciascun laccio, raddrizzò le
ginocchia, gettò la pezza e la boccetta vuota tra gli
arbusti e montò in sella ad uno dei due cavalli.
La ragazza si
issò sull’animale senza fatica, mentre il suo
maestro pareva risentire del disinfettante che bruciava sul suo braccio.
-Andiamo-
sibilò lui e partirono al galoppo.
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Capitolo 46 *** Angeli senza ali, umani ***
Angeli
senza ali, umani
Erano
dovunque.
In
alto sulle montagne, ai piedi delle colline e attorno ai fiumi.
Appostati sulle rovine, in marcia verso tutte le direzioni! Era un
incubo: i Crociati di Corrado erano ovunque.
-Deve
tenere molto alla sua vita- commentò Elena aggiustando le
staffe.
Altair
guardò in alto, ma non vi era traccia di Rashy.
–Sì, non ne dubito- borbottò lui che
scrutava a destra e a manca, ma non poteva girare lo sguardo che i
soldati erano ad ogni angolo.
Altair
fece indietreggiare la sua cavalcatura e le tornò affianco.
–La vecchia Dimora dove sosteremo è nascosta poco
più a sud di qui, oltre quel valico- indicò il
posto di blocco controllato dai francesi. –Ma non
c’è altro modo di raggiungerlo se non scalare a
piedi quella montagna e poi scendere giù, magari con un
salto!- ridacchiò.
-Maestro,
se dobbiamo combattere io ne ho le forze- proferì fiera la
ragazza.
L’uomo
emise un gran sospiro e le volse un’occhiata triste e assorta
in altri pensieri.
Elena
assunse un’espressione confusa. –Maestro?- lo
richiamò.
-Sì,
scusami- si riscosse. –Se li aggiriamo potremmo colpirli alle
spalle evitando di essere a tiro degli arcieri che, mica scemi, si sono
posizionati lì-.
Elena
seguì la linea dei suoi occhi. –Non vedo nessuno
lì-.
-Fidati.
Ci sono, ci sono- smontò dalla sella. –Dobbiamo
fare piazza pulita e scappare prima che ricevano rinforzi o passi una
ronda, sono stato chiaro?- le chiese mentre camminavano celati tra gli
alberi.
La
Dea annuì. –Va bene-.
-Nessuno
deve riuscire a fuggire. Dovranno accorgersi di cosa abbiamo fatto
quando saremo già a Gerusalemme. Ah, Elena- si
voltò e i loro visi si trovarono l’uno poco
distante dall’altro. Le poggiò una mano sulla
spalla e si accovacciarono più nascosti dietro una felce.
–Se qualcosa va storto- cominciò lui, e
già quelle parole la mettevano a disagio. –Se
qualcosa va storto- ripeté –quella è la
direzione- indicò oltre il blocco crociato. –non
esitare. Scappa, sono stato chiaro?-.
La
ragazza annuì di nuovo. –Non vi
deluderò, e niente andrà storto, ve lo prometto-
sorrise.
-Non
essere così allegra. Oggi rischiamo grosso-
proferì malinconico carezzandole una guancia.
Elena
arrossì spudoratamente, e il suo cuore accelerò a
tal punto da farle male contro la cassa toracica.
Altair
le sistemò al meglio il cappuccio a celarle il volto.
–Usa tutti i pugnali da lancio che hai: non ci
sarà altra occasione di utilizzarli. Dopo questo scherzetto,
raggiungeremo Gerusalemme con la strada spianata- mormorò.
Oltre
il cespuglio dietro al quale erano riparati, l’accampamento
crociato era in preda ai preparativi per la partenza i massa verso la
Città Santa. Gli uomini che indossavano la candida uniforme
rossa e bianca della casata del Monferrato si spostavano in tutte le
direzioni armeggiando con selle, lance, scudi e lame di tutti i generi.
Da quell’angolazione, Elena riuscì a scorgere gli
arcieri appostati tra le fronde del crepaccio che si gettava a picco
sull’avamposto. La maggior parte delle tende, sparse
confusamente sul pianoro, venivano smontate e caricate sui dei carri,
mentre davanti all’ingresso di altre, sparsi gruppi di
soldati chiacchieravano allegri e ignari.
-Pronta?-
Altair sfoderò la lama corta e la ragazza fece altrettanto.
Un
istante dopo erano già fuori dal loro nascondiglio.
Uno,
due pugnali da lancio lasciarono gli astucci dello stivale del suo
maestro, ed Elena bilanciò il peso in avanti estraendo da
principio quelli sulla spalla.
Uno
ad uno, i soldati colpiti si accasciarono al suolo, ma nessuno si
accorse della loro comparsa. La Dea scartò in avanti e
trafisse di soppiatto all’addome un crociato isolato dagli
altri. Ci fu il tempo sufficiente di scagliare qualche altro
coltellino, e poi l’allarme suonò.
-Assassini!-.
Centinaia
di occhi rabbiosi si puntarono su di loro, una dozzina dei quali
venivano di corsa, con le armi alla mano, verso i due incappucciati.
Lesto
con il lancio, il suo maestro esaurì il suo ultimo pugnale
nell’ammazzare l’uomo in testa alla mandria
inferocita di soldati; ed ebbe inizio la vera battaglia.
Li
accerchiarono, colpirono due o uno alla volta con alternanza a mosse di
scherma e finte, assieme ad una miriade ininterrotta di frecce che si
conficcavano al suolo per via della troppa distanza che vi era tra loro
e i bastardi appostati sulla roccia.
Schiena
a schiena, i due assassini piroettavano tra la massa di gente colpendo
con minuzia e astuzia i punti mortali dei loro nemici, quali la gola,
l’addome e il centro perfetto della fronte.
Sul
terreno comparvero ben presto una serie di pozze scure che andavano
crescendo di numero man a mano che un nuovo crociato si accasciava tra
gli arbusti. Quanti lamenti strazianti di dolore e sangue represso si
levarono al cielo? Elena perse il conto, ma non avrebbe avuto alcuna
pietà pur di arrivare viva. Armata. Forte. A Gerusalemme, e
di conseguenza, a Corrado.
Dilaniare
i suoi uomini le diede un immenso senso di soddisfazione che pareva
tanto una antipasto a quello che sarebbe stato il vero e proprio
assassinio. Godeva nell’ascoltare quelle urla, godeva nello
scagliarsi contro i suoi nemici che tentavano la fuga! Rideva, trovata
tutto ciò quasi divertente, e i suoi sorrisi sfigurati
lasciarono parecchio interdetto il suo maestro che, al fianco di lei,
colpiva con quella sua solita maestria e nuda crudeltà,
parecchio distaccato.
Quando
gli avversari vennero a mancare, Elena si permise di rinfoderare la
spada corta e appropriarsi di quella lunga, più malleabile e
meno faticosa.
Gli
insegnamenti di Leila li mise in atto solo nell’ultima parte
dello scontro. Aveva isolato un gruppo di soldati che, disperati,
stavano tentando di svignarsela ed uno alla volta non riuscivano a fare
due passi oltre di lei senza prima venir ammazzati. Neppure in quel
frangente ebbe pietà: Altair aveva esplicitamente richiesto
che nessuno fuggisse dall’accampamento e che il lavoro fosse
il più svelto possibile.
Il
suo corpo aveva acquistato ogni flessibilità dedita ad una
Dea, ed Elena ne andava fiera. Piroette, capriole, affondi, parate,
stoccate, ruote e verticali. Cielo e terra si confondevano
più e più volte nel momento in cui i suoi palmi
toccavano il suolo e le sue ginocchia affondavano duri colpi agli
avversari. Ogni parte di lei, braccio, testa o gamba che fosse, era
un’arma inestimabile, ed era questo che Leila le aveva
insegnato di tanto prezioso.
Tardatamene,
la pattuglia di ronda composta di tre cavalieri non si fece attendere
più di tanto, e i soldati a cavallo si rovesciarono sul
pianoro con le armi alla mano.
-Dannazione!-
sibilò Altair estraendo la lama dalla carne di un uomo. Si
guardò attorno svelto e trovò la sua allieva che
se la cavava intrepidamente con due abili spadaccini.
-Elena!-
la chiamò.
La
ragazza deviò il fendente avversario e scagliò
l’arma dell’uomo lontano dalla sua portata. Quando
il soldato, spaurito e disarmato, tentò la fuga, Elena gli
diede addosso comparendo improvvisamente al suo fianco ed estraendo la
lama nascosta. Penetrò nell’addome
dell’uomo che si accasciò tra le sue braccia
accompagnato da un gemito strozzato, ed Elena lo adagiò al
suolo. –Sono impegnata, maestro!- ruggì lanciando
un’occhiata in direzione del suo compagno assassino.
-Elena,
i cavalieri! Va’ via!- le ordinò Altair
sorpassandola di corsa.
Elena
si voltò e osservò imperterrita ogni sua singola
mossa.
Altair
spiccò un salto e, nel bel mezzo del volo, fece scattare il
meccanismo della lama che fuoriuscì dal suo polso.
L’assassino si abbatté con violenza sul cavaliere
conficcando la lama con maestria e precisione nella gote
dell’uomo. Il Templare si rovesciò a terra, ma
Altair, prima che questo potesse riposare in pace, gli sottrasse un
piccolo pugnale dalla cintola e lo scagliò con milizia tra
gli occhi del cavaliere vicino. Questo secondo Templare morì
all’istante e scivolò giù dalla groppa
della sua bestia, mentre il terzo ed ultimo si dirigeva a tutta
velocità verso la giovane Dea.
Altair
ebbe solo il tempo di cogliere un grido acuto diffondersi
nell’aria tersa di sangue del pianoro e successivamente,
correndo nella stessa direzione, si accorse con stupore di
ciò che stava succedendo.
Elena
si lanciò in groppa all’animale sorprendendo il
Templare alle spalle; fece per pugnalarlo alla schiena con la lama
corta quando, il cavaliere l’afferrò per un
braccio e la gettò a terra ridendo.
Questo
smontò dalla sella e impugnò con maggior il lungo
spadone a due mani. Si avvicinò passo dopo passo a lei che,
nel frattempo, era rotolata all’indietro e rialzata con
incredibile agilità.
-Infami
quei due bastardi, e stupido me che ti ho lasciato vivere troppo
allungo! Adesso ci divertiamo, bambina!- le si avvicinò con
un balzo, ed Elena schivò il colpo finendo sopraffatta dalla
polvere del terriccio che alzarono i suoi stessi piedi.
Era
lui: il cavaliere che le aveva risparmiato la vita a costo di farla
stuprare dai suoi uomini. Non poté credere che fosse
lì. Il suo ghigno crudele le metteva un’ansia
della malora, la lama corta della ragazza non era all’altezza
del robusto spadone, si sarebbe spezzata anche quella della sua spada
normale.
Altair
sfoderò la sua arma e si contrappose alla ragazza subendo al
posto di lei un montante mal piazzato. -Va’ via, ho detto!-
le ribadì Altair respingendo con fatica la spada avversaria.
-Maledetti
assassini! Morirete tutti!- ridacchiò l’uomo
girando attorno ai due.
Elena
si sistemò al fianco del suo maestro.
–È un solo uomo, possiamo…-
provò a dire.
-Ubbidisci!-
Altair si distrasse il tempo sufficiente perché il Templare
potesse disarcionare la sua guardia e spingerlo al suolo con un calcio
all’addome.
Elena
si stanziò spaventata. Se non riusciva Altair, pretendeva di
uscirne viva lei?
Il
suo maestro si rialzò lentamente leggermente scosso.
Allungò un braccio alle sue spalle e parò Elena
dietro di esse. -Ti è rimasto qualche pugnale?- le
mormorò indietreggiando, così che
l’avversario non potesse udirli.
Dato
la mano di Altair poggiata dolcemente sul suo fianco, la ragazza
assunse un colorito più roseo visibile anche sotto al
cappuccio. –Io…- balbettò.
-Che
cosa confabulate, eh?!- ringhiò il Templare venendogli
incontro, ma i due si spostarono all’unisono con un balzo
alla loro destra.
-Due,
maestro- rispose lei in un sussurro.
Altair
strinse i denti vigile sulle mosse dell’avversario.
–Lasciamene due e scappa, intesi?!- sibilò.
Elena
obbedì a pieno: afferrò i due coltellini da
lancio dalla sua cintura e gli infilò, lesta e attenta a non
attirare l’attenzione del Templare, nei foderi vuoti che il
suo maestro aveva alla vita.
-Avete
fatto strage dei miei uomini, ma non vi permetterò di
proseguire oltre!- il cavaliere si scagliò su di loro
all’improvviso levando lo spadone al cielo. –Le
vostre anime infette marciranno qui!-.
-VA’!-
gridò, e Altair la spinse via.
Elena
inciampò, ma riuscì a levarsi di lì
prima che accadesse nulla di spiacevole.
Il
colpo infierì di striscio sulla sua veste, e
all’assassino scappò un lamento di dolore.
-Maestro!-
la ragazza si voltò e portò la mano
all’elsa della spada; fece per tornare indietro.
Sul
torace dell’incappucciato si apriva uno squarto rossastro
profondo; il sangue andò presto ad imbrattare il lembo
scisso della tunica.
-No!
Elena, no!- Altair estrasse la lama corta e contrattaccò
aprendo un varco nella difesa dell’avversario. Il cavaliere
indietreggiò schivando il colpo, ed un istante dopo rinvenne
con un nuovo affondo.
La
ragazza, combattuta tra l’ordine del suo maestro e
l’adrenalina che la spingeva ad intervenire, rimase allungo
immobile. Le dita strette attorno all’elsa della spada,
pronta a partecipare. Quel Templare si stava mostrando parecchio
pericoloso, e ad infierire sul combattimento dei due vi erano gli
arcieri che assistevano imparziali. Probabile che avessero esaurito le
frecce, si disse.
-Vattene,
stupida!- ribadì Altair rotolando per evitare un colpo, e lo
spadone del Templare lacerò una pianta, restando incastonato
nel terreno arido.
-Mi
occuperò della tua ragazza quando avrò finito con
te, bastardo!- ridacchiò il cavaliere estraendo la lama da
terra con una forza disumana.
In
confronto alla brutalità di quell’uomo, Altair
pareva tanto impacciato nei movimenti quanto inesperto. Indebolito dal
taglio che perdeva sangue sul suo petto, sul quale aveva poggiato una
mano per rallentare l’emorragia, il suo maestro stentava in
parate azzardate e posticipate rispetto agli affondi avversari.
In
conclusione: non stava andando affatto bene.
L’uomo
scansò improvvisamente la sua lama corta e
penetrò con un braccio teso nella sua guardia.
Afferrò l’assassino per il bavero del cappuccio e
lo avvicinò al suo volto. –Muori!- gli
ringhiò in faccia, ed un istante dopo lo gettò
con violenza a terra.
-Elena!-
eruppe Altair allo stremo delle sue energie.
Prima
che potesse assistere oltre, Elena girò i tacchi e
intraprese una corsa sfollata verso la fine
dell’accampamento. Una volta sul confine del posto di blocco
si portò due dita alla bocca e fischiò con quanto
fiato le restava. Rashy planò in picchiata tra le tende e
volò radente al terreno raggiungendola. –No, non
da me, stupida!- Elena si stanziò, ma la falchetta si
avvinghiò al suo guanto destro. –Va’ da
lui! Aiutalo!- gemé la ragazza cercando di staccarla dal
braccio.
Rashy
si levò nell’aria, ma accorse nella direzione
opposta, indicandole la strada probabilmente verso la Dimora
abbandonata.
Elena
aguzzò l’udito, e il cozzare delle lame giunse fin
da lei. Questo suono tacque del tutto quando una folata di vento le
spazzò della terra negli occhi, ondeggiandole i lembi della
veste, indirizzandola alla fuga; ed Elena fuggì, accorrendo
al riparo nel boschetto di ulivi.
I
muscoli delle sue gambe cedettero, inciampò innumerevoli
volte in sassi, arbusti, radici e crepe; ma tutte quelle volte si
rialzava, mentre sul suo volto si arrampicavano lacrime disperate. Non
poté credere di aver abbandonato il suo maestro a quel
destino, a quella sorte crudele. Avrebbe preferito di gran lunga morire
al suo fianco, combattendo, e non scappando come una codarda. Non
meritava di essere sua allieva: lui che le aveva offerto la vita invece
di richiedere il suo aiuto in duello. Non meritava di avere Altair il
grande come pari, non meritava i suoi sorrisi e le sue carezze
affettuose che solo un padre avrebbe potuto esprimere più
gioia nel farlo. La sua presenza, i suoi passi accanto a quelli di lei
già le mancavano; nel cuore avvertiva un dolore straziante,
come se fosse accanto a lui e stesse subendo la stessa pena, come se il
Templare di quel duello stesse colpendo malamente lei e non il suo
maestro. Si asciugò le lacrime con il collo del cappuccio
che le era calato sulle spalle, e le sue gambe ormai viaggiavano da
sole verso la destinazione, seguendo la scia della ombra di Rashy che
vegliava su di lei dall’alto del cielo limpido.
Prima
di tutto questo, gli aveva promesso che nulla sarebbe andato storto.
Era una bugiarda, ecco cos’era. Non poteva promettere quello
che non avrebbe mai potuto dare, e in quel momento si maledisse almeno
un centinaio di volte.
L’insenatura
che era l’ingresso della Dimora comparve d’un
tratto al suo fianco, ed Elena arrestò la sua corsa
inciampando subito dopo.
Si
tirò su tutta dolorante e s’infilò nel
sottile crepaccio, alternando il correre al camminare per riprendere
fiato. Le mancava l’aria, si sentiva il cuore e i polmoni
esplodere nel tentativo di assimilare la maggior quantità di
ossigeno possibile.
Rallentò,
fino a raggiungere un’andatura stanca e affranta, quando la
casa nascosta dalla foresta comparve davanti ai suoi occhi.
Dall’esterno
compariva tutto normale: c’erano dei cavalli legati ad una
vecchia recinzione, le colombe che svolazzavano sopra la Dimora e si
accovacciavano sul tetto, cantilenando la loro litania bassa e
rumoreggiante. Il silenzio pervadeva il pianoro stretto da spesse
pareti di roccia, e la stessa casupola era scavata in essa.
Una
volta sull’ingresso, si addentrò in quella landa
desolata, ammutolendo di fronte al paesaggio apocalittico: le finestre
rotte, frammenti di vetro gettati al suolo, tappeti e cuscini sparsi
sul pavimento, tavoli rovesciati, cesti di paglia rosicchiati e
tagliati a fior di spada, frutta ammuffita sparsa negli angoli del
locale.
I
Crociati non avevano risparmiato niente, ma soprattutto nessuno:
c’era il corpo di una donna, steso a terra dietro il bancone
della sala.
Elena
distolse lo sguardo ripugnante di quella vista. Trovò il
telo di una tovaglia accartocciato vicino alla parete e
coprì quello scempio.
Corrado
avrebbe pagato tutto. Ogni singola vittima avrebbe fatto la sua parte
nel momento in cui la lama nascosta che aveva al polso fosse penetrata
nelle sue carni. Per quella donna, per il suo maestro, per sua madre e
suo padre prigioniero ad Acri! Corrado sarebbe morto e guardando il
volto della ragazza alla quale aveva rovinato la vita!
Si
diresse al piano di sopra, cercando disperatamente qualcosa da bere, o
da mangiare, ma tutto quello che raggruppò fu una mela
mordicchiata dai topi e un vecchio fialone d’idromele.
Si
sistemò in una stanza, in quella meglio tenuta della Dimora
e si andò a rannicchiare in un angolo portando con
sé l’idromele e una coperta.
L’indomani
mattina avrebbe lasciato il Regno per l’entroterra di
Gerusalemme, e da lì… dritte verso la sua preda.
Da sola.
Chiuse
gli occhi, e alla cieca si bagnò le labbra di quello che era
fonte di liquidi. Un sorso alla volta, s’inebriò
la mente di immagini sfuggenti delle ultime ore e, quando
ascoltò il ruggito di Rashy levarsi nell’aria
gelida della notte, colse il suono tonante di passi che venivano verso
di lei.
Ecco
gli uomini di Corrado che l’avevano trovata. Ecco che avrebbe
raggiunto il cadavere di quella donna, si disse. Era giunta la fine,
era spacciata, morta stuprata e magari lasciata marcire nuda come la
frutta trovata sul pavimento del piano inferiore. Carne da macello,
com’era destino che fosse fin dalla sua nascita.
Un’immensa
e nera figura si stagliò dinnanzi ai suoi occhi, e questa
allungò una mano verso di lei.
Elena
si strinse sotto la coperta, spingendosi il più possibile
contro la parete. Un gemito di paura le uscì dalla gola e
strizzò gli occhi nel tentativo di spannarsi la vista.
Sentì
le dita dell’uomo stringersi attorno ad una sua spalla, e a
quel punto gridò di paura con tutto il fiato che le restava
in petto.
Schiena
a terra, Altair sollevò un braccio e lo spadone che
calò su di lui dall’alto andò ad
ammaccare le placche che aveva sul guanto della lama nascosta,
provocando un’esplosione di scintille. Il filo della lama
scivolò fino al suo gomito e gli aprì un taglio
anche sulla manica della veste. Il dolore era sopportabile,
così Altair scartò di lato e balzò in
piedi. Riappropriandosi della lama nascosta sdrucciolata al suolo, si
avventò con furia contro l’avversario, trovandolo
alquanto spossato dato il contrasto improvviso.
-Non
ti arrendi proprio, eh?!- sibilò il Templare indietreggiando
alla serie di colpi ben piazzati che Altair menò
ininterrottamente.
L’assassino
piroettò su se stesso e comparve al fianco
dell’uomo. Fece scattare il meccanismo della lama nel suo
polso e tentò un approccio pulito all’addome, ma
il cavaliere gli menò una gomitata che lo colpì
alla mandibola, facendogli assaporare il suo stesso sangue in bocca.
Altair
indietreggiò, mollò la presa sulla lama corta e
si portò due dita all’angolo delle labbra.
-Non
te l’aspettavi, stronzo!- ruggì e il suo
avversario scagliando la sua arma lontano. Si avventò
sull’assassino afferrandolo per la gola e spiazzandolo al
suolo con un pugno in pieno volto.
-Questo
è per i miei compagni!- strillava euforico il Templare, e
cazzotto dopo cazzotto, Altair non riusciva a contrastare i suoi
affondi diretti.
Ad
ogni colpo, vedeva le stelle avvicinarsi sempre più e
offuscargli la vista. Il cappuccio gli scivolò sulle spalle
mostrando il suo viso per intero.
Le
gambe dell’assassino cedettero e si rovesciò al
suolo, ma in breve il Templare s’inginocchiò su di
lui, l’afferrò per la collottola della veste e
continuò coi suoi ganci destri poderosi.
-Siriano
di merda! Cercherò quella ragazza di persona e non la
presterò ad uno solo dei miei uomini! Quando avrò
finito con te, ella non avrà abbastanza voce neppure per
pensare per quanto l’avrò fatta gridare io!-
digrignò.
Elena…
A
quel punto fu troppo.
In
lui scoppiò la vena che ospitava una quantità
assurda di adrenalina che si rovesciò per tutto il suo
corpo. Il solo ascoltare quelle perverse parole piene di rabbia e
crudeltà, Altair trovò la forza di opporsi:
frenò il pugno chiuso dell’uomo prima che potesse
nuovamente colpirlo, stringendogli il polso. Sulle nocche del Templare
c’era il suo sangue, il sangue di un Angelo della Morte.
Il
cavaliere oppose una nuova resistenza prendendogli il mento tra le
dita, ma Altair levò la testa e gli diede una di quelle
craniate da spaccar le pietre.
Il
Templare alzò gli occhi al cielo e un istante più
tardi crollò a terra nel clangore dell’armatura.
Altair
scattò in piedi e si allontanò tutto traballante
e incerto sui suoi passi sconnessi. La testa gli girava, gli pulsavano
le tempie e le diverse ferite del duello davano i loro frutti dolorosi.
Qualche
secondo dopo, il cavaliere che credeva fosse morto, si alzò
e riafferrò la sua spada. –Ah, non ti arrendi,
mai. Peccato, stai solo rubando tempo a me e alla tua
piccola…- la voce gli s’interruppe in gola, mentre
dalle sue labbra proveniva un sibilo senza suono. L’uomo
crollò nuovamente a terra in una posa innaturale. I due
pugnali di Elena piantati nel cuore.
Le
spalle di Altair si alzavano e si abbassavano senza una
regolarità precisa. Quel duello l’aveva sfiancato,
privato di ogni forza e della sua veste bianca, inzuppandola di sangue
suo e non.
Si
chinò sul cadavere e gli strappò dal petto
entrambi i coltelli dal lancio. Sul suo volto, Altair, aveva la sua
solita espressione anomala e pacata, distaccata. Un morto come un
altro, si diceva: un crociato come un altro. Pulì il sangue
dell’uomo rimasto sulle piccole lame sulla sua stessa veste,
poi si alzò e si voltò.
Il
crepuscolo era una macchia arancione all’orizzonte che
avvolgeva il cielo. Il vento sollevava cumuli di terra, gli uccelli
tacevano, la natura ostentava il suo muto silenzio di morte.
Altair
s’incamminò a passo lento verso il bosco,
raggiunse il nascondiglio ove avevano lasciato i cavalli e
montò in sella. Infilando i piedi nelle staffe,
avvertì una fitta intollerabile al petto e dovette piegarsi
in avanti, sopraffatto dal dolore.
Pur
di giungere a destinazione, si costrinse a tollerare quelle sofferenze.
Attraversò tutto l’accampamento al passo, tirando
con sé il cavallo di Elena. Giunse nei pressi del
nascondiglio della Dimora solo a notte inoltrata.
Legò
le bestie alla staccionata assieme alle altre e si addentrò
nel salone d’ingresso della sede. Trovò la
confusione e la desolazione che si aspettava di trovare.
C’era un telo ripiegato a nascondere un qualcosa steso sul
pavimento, ne sollevò un lembo ma un secondo più
tardi distolse lo sguardo.
-Dio-
sibilò incredulo. Pregò per quella donna e
lasciò lì il suo corpo.
Si
guardò attorno, abituando gli occhi stanchi alla poca luce
dell’androne. –Elena!- chiamò, e si
stupì della sua stessa voce incrinata dal dolore.
-Elena!-
chiamò ancora salendo le scale.
Una
volta nel corridoio controllò di fretta tutte le stanze,
spaventato, terribilmente in pena. Perché non rispondeva?
Possibile che la sua allieva non fosse giunta sana e salva fin
lì? Stava impazzendo, le ombre dei mobili rotti gli giravano
attorno intimorendolo e la mente gli si offuscava.
–Elena…-.
Finalmente
scorse una figura, rannicchiata in un angolo della camera
più piccola tra tutte. Entrò, mosse qualche passo
in avanti e si inginocchiò di fronte ad ella, che la
guardava con terrore. Negli occhi della sua allieva ribolliva la paura,
paura di lui? Si chiese. Forse era il suo aspetto malsano a
spaventarla; da quando aveva lasciato l’accampamento, sul suo
viso era rimasto impresso del sangue, e così sulle sue vesti.
-Elena-
allungò una mano e le sfiorò una spalla,
stringendo poi la presa attorno ad essa.
La
ragazza gridò improvvisamente, ma Altair le tappò
la bocca. –Elena, sono io…- la strinse con forza a
sé, abbracciandola. –Sono io, Altair- le
mormorò all’orecchio.
Le
unghie della giovane penetrarono nella carne delle sue braccia, e la
coperta scivolò via dal suo corpo. -Altair-
sussurrò il suo nome.
-Sì,
sì…- lui le accarezzò i capelli. -Sono
qui, stai tranquilla, sono qui- ripeté più volte,
e magari anche per rasserenare se stesso.
-Altair-
ribadì la Dea, sollevando il mento e versando una, due, tre
lacrime. D’un tratto, prese a tremare tutta come infreddolita
da un vento freddo che non c’era.
Elena
sentiva freddo, non percependo più alcun calore provenire
dalle membra del suo maestro, che la teneva così stretta a
sé. Altair era freddo, stanco, e privo di quel senso di
forza che scorreva sempre in un lui. Tutte le sue sicurezze, le sue
aspirazioni verso di lui si erano estinte, ma a buon fine: Altair non
era più quel Dio al quale Elena doveva sostare sottomessa.
Era finalmente come lei, spaventato, afflitto e debole.
Finalmente… umano.
Il
palmo del suo maestro riscese dai suoi capelli fino al suo collo, ed
Elena lo anticipò.
La
ragazza chiuse gli occhi e premette le labbra su quelle schiuse di lui.
Fu un istante che durò un secolo, un bacio immobile, triste,
rassegnato ma che avrebbe lasciato il segno.
La
Dea chinò la testa da un lato, insistendo in quel contatto
che pareva appena una carezza. Sentire il respiro di lui infrangersi
sul suo volto, e immaginare soltanto cosa sarebbe successo dopo, la
pervase di un senso magnifico di gioia, che riparò presto a
tutte le tristezze passate nelle ultime ore.
E in
fine, anche l’uomo che aveva di fronte socchiuse il suo
sguardo perso nel vuoto e si arrese alle sue emozioni, acconsentendo
quel bacio e accompagnandolo con passione.
Elena
gli gettò le braccia al collo, e si avvicinò
ulteriormente facendo combaciare perfettamente i loro corpi
l’uno compresso contro l’altro; come tasselli di un
puzzle le quali simmetrie perfette s’incastravano
perfettamente.
Altair
fece scorrere le sue mani alla cinta di cuoio che contornava il ventre
di lei e, esperto con i diversi lacci della stessa, privò la
sua allieva di quel fardello. Adagiò il tutto poco distante,
cercando di essere il più silenzioso possibile.
Lei
lo lasciò fare; entrambi vittime dei sentimenti e desideri
umani, dediti solo a chi aveva da tempo perso le ali…
La
spogliò dei lacci di cuoio che correvano dalla sua spalla al
fianco sinistro, privandola degli astucci vuoti sia dei pugnali che
della lama corta. Le sfilò dolcemente il cappuccio, ma una
terribile mancanza l’avvolse quando le loro labbra furono
costrette a separarsi per alcuni istanti. Però, nel momento
in cui tornarono a condividere i loro respiri, c’era
più foga di prima. La ragazza poggiò una mano sul
suo petto, ove vi era quella ferita di guerra che scottava ancora. Ad
Altair scappò un sibilo, ma non ci fu il tempo per lei di
focalizzare che l’assassino la privò della fascia
rossa attorno al suo ventre. Di seguito Elena perse la protezione
dell’intera uniforme restando con indosso quei morbidi
pantaloncini di cuoio che le arrivavano ad un terzo di coscia, assieme
alla canottiera che terminava all’interno
dell’elastico di questi.
Non
c’era un filo di senno del perché stavano
continuando, del perché i loro corpi nudi si attraevano a
tal punto. Ma ciò che rimembrò Elena di quella
notte, fu solo l’inizio e la fine di tutto.
Come
inizio, c’era stato quel bacio.
Come
fine…
In
quel momento desiderava soltanto che niente di quella perfezione avesse
fine. Che restassero in quella Dimora per sempre, avvinghiati,
abbracciati. Il loro rapporto padre e figlia si era estinto per sempre
nell’attimo in cui l’aveva sentito in lei,
nell’istante in cui i gemiti del suo maestro le avevano
riempito la testa di mille altri suoni confusi.
Era
bellissimo… lui, il suo corpo, il suo viso e i suoi muscoli,
tranciati da tagli che ormai le parevano invisibili e inesistenti.
Tagli di quando aveva lottato per lei, per tornare da lei, per
abbracciare di nuovo lei, per rivedere lei e lei soltanto.
Erano
bellissimi… i suoi sussurri, i suoi movimenti perfetti anche
in quel frangente. I suoi gesti dolci in un momento tanto delicato.
Erano
bellissimi… insieme.
_________________________
...Prima
di dire o pensare qualsiasi cosa, mi esonero da ogni vostra infuriata
per quanto possa riguardare quest’ultima parte che,
dirò soltanto, avevo in mente fin dall’inizio
della storia. Ma poi, che è successo? Gli avvenimenti hanno
preso delle pieghe più interessanti e inaspettate, e nel
frangente “inaspettate” sono piuttosto
brava… non ho idea di perché io abbia scritto una
cosa del genere. O da quali vocabolari nella mia mente contorta abbia
pescato certe parole, certe metafore… ma quello che so
è una cosa sola: in questo capitolo i personaggi si
muovevano da soli. Li vedevo davanti a me, mentre combattevano, mentre
si guardavano, mentre collaboravano, e mentre provavano paura,
sconforto, terrore… questo è un mio modo per
ringraziargli. Sì, parlo di loro: Elena e Altair, che
assieme sono una coppia che non potrebbe mai essere, ma che in questo
aggiornamento è stata. Non aggiungo altro né per
quanto riguarda Marhim e Adha; ma vi anticipo solo che, qualsiasi
dubbio voi state architettando, qualsiasi domanda, avrà
risposta nel prossimo post. Per tanto, ora vi chiedo
un’ultima cosa…
Vi è piaciuto,
eh?
|
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Capitolo 47 *** Un odio infondato ***
Un odio
infondato
Tutto
ciò che fece poi fu fissare il soffitto della stanza dritto
davanti a sé, mentre la sua allieva si stringeva a lui
poggiando una guancia sul suo petto e potendo ascoltare il battito del
suo cuore che, come eccezionalmente era capace di controllare, era
lento e regolare.
Le
accarezzava dolcemente un fianco, gustando la morbidezza di quella
pelle bianchissima alla luce delle stelle che brillavano fuori dalla
finestra. Un raggio di luna penetrava dal vetro e irradiava la stanza
di quel suo chiarore argenteo che conferiva una tonalità
più lattea persino ai capelli di lei, di molto spettinati.
Il respiro di Elena gli arrivava sulla pelle, e lo sentiva caldo,
bollente, quasi scottare.
I
loro vestiti gettati a terra in un angolo buio della camera, mentre
condividevano una sola soffice coperta che bastava sì e no a
coprirli.
Altair
sorrise. Certo, su un pavimento e nel bel mezzo delle macerie di una
Dimora predata dai Crociati non ci si poteva aspettare il massimo del
confort, ma ugualmente tutto ciò lo rasserenava enormemente.
…
Tutti quei gesti, quelle carezze e quei sorrisi erano finalmente
sbocciati in qualcosa, si disse poggiando una guancia sui capelli di
Elena, inspirandone il profumo. Dovette però ricredersi in
fretta.
Era
stato un immenso errore, e lo sapeva. Elena l’avrebbe saputo
non appena si fosse svegliata, non appena si fosse accorta dei loro
corpi nudi avvinghiati; ma a quel punto sarebbe stato intollerabile
dirle la verità. Già… ma
qual’era la verità? Stentava a credere a se
stesso, poteva convincere Elena di quello che era successo? Oppure
sarebbe stato bene rivestirla di persona e sperare che avesse
dimenticato, così da ritrovarsi con indosso le sue armi come
niente fosse mai accaduto. Sarebbe stato saggio in quel frangente, si
disse, perché le aveva portato via qualcosa di molto
prezioso quella notte e, per di più,
ingannandola…
Inevitabilmente
pensò a Marhim, e al modo radicale col quale si era
contrapposto a ciò che la sua allieva e quel giovane
assassino avevano condiviso e avrebbero dovuto ancora condividere.
Sapeva cosa si provava, sapeva come si sarebbe sentito quel poveretto,
perché un giorno qualcuno avrebbe dovuto dirgli la
verità…
Proprio
lui che aveva passato le pene dell’Inferno nel venire a
conoscenza della vita vera, reale della sua amata Adha, e lui che
dall’unione di un uomo e una donna sperava in qualcosa di
diverso, sperava in una famiglia. Lui che aveva approfittato di Elena
per colmare i suoi vuoti, lui che invece, adesso, ne aveva
più di prima.
Era
stata la sua allieva, ed era stata sua con così poco.
Giovane,
a volte triste, spensierata e debole, quasi implorasse protezione e
avesse una mano sempre tesa a chiedere aiuto. Questa era Elena, che
dalla vita aveva avuto poco e niente di quello che le spettava.
Si
voltò, guardando con attenzione attraverso il buio, e solo
allora capì.
C’era
un una fiala stappata di idromele adagiata vicino alle gambe di un
mobile. Era vuota per metà, di un vetro sporco e graffiato
che al suo interno ospitava quel liquido giallognolo e trasparente.
Ricordò improvvisamente di averla intravista poche ore prima
tra le dita della ragazza.
Quella
verità gli fece male davvero, facendolo sentire ancor
più incazzato verso se stesso. Avrebbe dovuto capirlo subito!
I
suoi occhi accesi di ardore, il suo sguardo assopito e offuscato, i
suoi movimenti disperati nel mentre lasciavano correre le loro
emozioni! E poi il suo respiro caldo che gli s’infrangeva sul
palato e il dolce sapore della sua pelle che Altair aveva toccato con
il medesimo desiderio.
Era
stato uno stupido, e se lo ripeté nella capa cento e passa
volte! Se nel momento in cui i loro sguardi si sarebbero incrociati di
nuovo, Elena avesse ricordato, sarebbe stato il primo a sentirsi
l’uomo più crudele del mondo. Non solo era stato
ingiusto, vile, avido nei confronti della persona che meno al mondo
avrebbe dovuto ricevere certe attenzioni da lui, ma aveva privato se
stesso e la sua allieva di ciò che restava impresso molto
più allungo di una sola notte d’amore.
Sarebbe
cambiato tutto. I loro sguardi, i loro sorrisi. Persino la loro
missione era compromessa, e chissà che strigliata avrebbero
ricevuto da Malik che, da due e passa giorni li attendeva paziente alla
Dimora di Gerusalemme.
Rimuginava
sugli ultimi duelli passati l’uno affianco
all’altra, sventrava i ricordi di quando e in che modo si era
preso cura di lei come fosse… era inevitabile dirlo.
Come
fosse sua figlia, quella che non aveva mai avuto.
Ma
ormai tutto ciò era morto per sempre. Il loro rapporto, la
loro strettissima amicizia quasi fossero parenti… si era
istinto col solo compiere assieme un medesimo gradino di quella scala
che saliva senza troppa pendenza verso l’alto. Una scala
facile e semplice da seguire, ovvia, se così si
può dire.
Da
un lato, certe libertà gli erano state concesse
dall’irrefrenabile bisogno di affetto che implorava. Ma
dall’altro, era tutto enormemente sbagliato. Gonfiato dal
fatto che sarebbe stato impossibile tornare indietro, ripercorrere i
propri passi. Non perché non ne sarebbero stati in grado, ma
per il semplice motivo che non ne avevano voglia, nessuno dei due.
Questa
visione degli aspetti lo mandava su tutte le furie.
Si
domandava perché, con quale coraggio aveva osato tanto, ma
non riusciva a rispondersi. Si domandava cosa gli fosse passato per la
testa quando era cominciato, ma non riusciva a rispondersi. Si chiedeva
cosa sarebbe successo dopo, ma…
Ammirò
la curva della schiena nuda di Elena, contemplandone la perfezione e la
morbidezza.
…
non riusciva a rispondersi.
Con
un ultimo sforzo, combattendo quell’ingiustizia, Altair
scostò il braccio di Elena avvinghiato al suo petto
stringendole con delicatezza il polso. La ragazza non diede segni di
risveglio e l’assassino poté stringere le fragili
membra della sua allieva a qualcosa che non fosse lui.
Afferrò
un cuscino e lo sistemò dove un tempo vi era stato steso il
suo corpo, ed Elena, cullata dal dolce tepore del sonno, lo
stritolò a sé premendolo sul seno, mentre un
sorriso gioioso le affiorava sulle labbra.
Altair
si sollevò piano, scivolando via dalla accaldata coperta.
Non appena fu in piedi mosse qualche passo verso i suoi abiti gettati a
terra poco distanti da quelle della sua allieva. Egli si
rivestì dei suoi pantaloni e armeggiò il
più silenziosamente possibile con le cinghie e i foderi di
cuoio. Adagiando le armi su ciò che rimaneva di un vecchio
scrittoio, liberando il pavimento di altro che non fosse il corpo della
Dea sdraiata sotto le coperte.
Dalla
finestra aperta della Dimora entrò un’improvvisa
manata di gelo.
L’assassino
si chinò su di lei piegando le ginocchia, stando in perfetto
equilibrio sulle punte dei piedi.
Mangiò
con gli occhi ogni fibra di quel corpo atletico ma fragile che lui
stesso aveva contribuito a formare. Ne ammirò le curve
infantili e ciò che rimaneva del suo aspetto innocuo, e
sorrise ripensando ad alcune fugaci immagini di cosa era successo. Le
sua colpa, la sua coscienza che gli rammentava di quel sidro di
idromele mezzo svuotato divennero tutto ciò che bastava a
fermarlo quando allungò una mano e le carezzò una
guancia.
Sentì
la sua pelle caldissima sotto i polpastrelli, e per un istante
credé che potesse avere la febbre. Smentì i suoi
timori nel poggiarle il palmo sulla fronte, ed un istante
più tardi intrecciò le dita ad un ciuffo dei suoi
capelli sistemandoglielo dietro l’orecchio. Passò
in fine sul profilo del suo mento e scese giù fino al collo.
Ed
ella dormiva serena. Le braccia avvinghiate a quel morbido cuscino che
le copriva i seni piccoli e sodi. Le palpebre appena poggiate le une
sulle altre e un sorriso gioioso sulla bocca. Trasmetteva
felicità solo guardarla; finalmente in pace con
sé stessa, realizzata forse, ma poteva Elena sentirsi
estasiata per via di quello che avevano passato? Se credeva in questo
modo al loro amore, il cuore le si sarebbe spezzato in due parti che
sarebbero rimaste l’una distante dall’altra per
troppo tempo. Oppure, poteva semplicemente trattarsi
dell’effetto assuefante dell’alcol ancora in
circolo nelle vene.
Ma
se si fosse trattato del primo caso, in che modo avrebbe risposto lui?
Allontanandola, cercando un disperato pretesto pur di rinnegare se
stesso e ciò che provava. Sarebbe stato capace di fare una
cosa tanto orribile? Ma ormai il torto era stato fatto, non vi era
null’altro per cui combattere, così da sperare che
si trattasse forzatamente della sua dannata seconda ipotesi.
C’era
solo da aspettare: era questione di ore, ed Elena sarebbe tornata
padrona del suo corpo e della sua mente. Lo incuriosiva in che modo
avrebbe reagito. Quel sorriso sarebbe durato allungo e per il resto
della giornata, o viceversa, Altair avrebbe dovuto prestarle una spalla
su cui rimpiangere i suoi sbagli?
Allontanò
lo sguardo dal suo volto fanciullesco e percorse la linea dei suoi
fianchi, fino a raggiungere la superficie morbida e piatta del suo
ventre, dove più in basso di lì vi era la coperta.
Distese
un braccio e strinse il lembo di questa, sollevandola fino alle spalle
della ragazza.
Il
suo fu un totale e consumato gesto di affetto, e dopo di quello si
allontanò silenziosamente dalla sua allieva. Si
affacciò alla finestra, ammirò i colori caldi
dell’alba che sorgeva sopra le montagne irradiando pietre e
prati. Osservò la meraviglia di quello spettacolo e si
chiese come facesse Madre Natura a non innamorarsi di nessuno.
Sognò
di trovarsi in una cella angusta.
Attorno
a lei si diffondevano i suoni di passi, grida e litanie assordanti che
parevano delle preghiere. Attorno ai suoi polsi e alle caviglie le
catene erano troppo strette e, ad ogni suo impercettibile sussulto o
movimento, queste diffondevano il loro canto battendo contro la pietra
nera del pavimento. Il gelo lo sentiva sulla sua pelle, sotto i suoi
piedi scalzi, e alle sue orecchie non giungevano altro che canti
disperati di aiuto. Voci che venivano da luoghi lontani, ma erano toni
familiari, note di una musica ascoltata più volte. Ma
d’un tratto, queste voci cessarono, lasciando il silenzio ad
infagottarla.
Vi
erano quattro pareti strette a contenere il suo terrorizzato sguardo
che invece vagava oltre le sbarre della sua gabbia, perdendosi nel nero
di quelli immensi corridoi oscuri e malvagi. La luce filtrava, ma
chissà da quale finestra e chissà che luce era!
Se di una candela, o del sole, ma quel luogo in cui si trovava sembrava
più notte che giorno.
Di
fatti, in un battito di ciglia, i meri corridoi si volatilizzarono, e
dinnanzi ai suoi occhi spalancati, Elena vide una sala ampia, luminosa,
invitante e accogliente. Vi erano ampie arcate che mostravano i tetti
di una città caotica e colorata. Arazzi ai muri, tappeti
pregiati, candelabri, affreschi e scaffali colmi di libri e pergamene.
Era la più bella stanza che Elena avesse mai visto, ma lei
era ancora lì, accovacciata al suolo con quelle catene
infrangibili ai polsi.
Vi
era un tavolo al centro della sala, e su di esso sedeva una donna cui
zigomi e il volto non apparivano chiari, ma dalla fluente massa di
capelli rossi, le fu facile riconoscerla. Subito dietro, vi era uno
scranno, sul quale sedeva composto e regale un uomo. Anche il viso di
costui era appannato, incerto, ma tra la folta chioma scura, egli
teneva un magnifico diadema d’orato incastonato di pietre
preziose. Era in questo salone che presiedeva il Re di Gerusalemme. Era
in questa sala che sostava Corrado.
Elena
si trascinò in piedi, trovandosi scattante, agile e leggera
come non mai. Si chiese se, dritta dinnanzi a loro, Minha e Corrado
potessero vederla. Ma essi non diedero alcun segno vitale. Erano fermi,
immobili come manichini senza né occhi, né bocca,
né naso. Era ben visibile la barba dell’uomo, ma
non le sue orecchie come il suo sorriso.
La
ragazza, interdetta, avanzò ancora, trovandosi a poter
toccare con mano il volto di egli che però, non si mosse.
Era lì in attesa di qualcosa… ma cosa?
Elena
balzò indietro, quando nella stanza comparve improvvisamente
una quarta presenza. Vestiva di una lunga tunica bianca che ne copriva
ogni indumento indossasse al di sotto di essa. Il cappuccio candido gli
celava il viso, del quale era possibile scorgere solo un pizzetto
chiaro sulla punta del mento. Pareva una fantasma, per forma e per
colore.
Ma
al suo collo pendeva un ciondolo d’argento. Una catenella
luccicante che terminava con un buffo simbolo che in principio non
riconobbe. Era confuso, così come i volti di Minha e Corrado
che… erano spariti.
Elena
si guardò attorno, e si fece una ragione di quello che stava
succedendo, di quanto quel sogno fosse inquietante e triste, ma almeno,
lì con lei, c’era suo fratello Gabriel
che… se n’era andato. Pure lui. Il Falco dagli
occhi di ghiaccio aveva abbandonato quel luogo per sempre, e
chissà se sarebbe tornato oppure lei avrebbe avuto occasione
di vederlo… magari altrove, non in sogno.
Ora
lo scranno del Re di Gerusalemme era vuoto, vagante in quella sala che
restava sempre bellissima ed esemplare. Elena, solitaria, si
avvicinò alle balconate aperte e si affacciò di
sotto. Riconobbe il Tempio di Salomone, e quella dove si trovava doveva
essere una delle stanza più ampie di tutto il palazzo Reale.
Ma cosa ci faceva lei lì? Perché stava sognando
queste persone, questi oggetti e certi particolari le venivano
nascosti? Non aveva senso tutto quello. Era solamente, dannatamente e
maledettamente assurdo.
Alle
sue spalle sentì una voce angelica, melodiosa che chiamava
il suo nome. Si voltò, ma attorno a sé
trovò un paesaggio completamente differente da tutto quello
che si attendeva di trovare.
C’era
un prato, verdissimo, quasi brillante di quel colore che pareva
estratto dalle piante più pregiate solo per dipingerlo in un
quadro. C’era un sole che si arrampicava tra le nuvole, che
invece erano bianche e soffici. Il canticchiare degli uccelli, il
fruscio del vento che la pervase soffiando violentissimo tra i suoi
capelli, dandole quasi la sensazione di volare.
-Salta!-
ancora quella voce, che distante e confusa azzardava parole che
incantavano.
Chiuse
gli occhi, ma quando li riaprì, vide il vuoto sotto i suoi
piedi e la gravità la trascinò verso il basso in
una caduta senza fine. Come quelle volte in cui aveva toccato con mano
il potere del Frutto dell’Eden, quando era riuscita a
sprigionarne la forza immonda e a simularne le catastrofi.
D’un
tratto, attorno a lei divenne tutto ancor più buio e la sua
caduta ebbe fine, atterrando in un cesto di paglia grande quanto un
letto. Le scappò un gemito, e qualcuno rispose…
-Fa’
silenzio!- e lei tacque ammutolita, mentre attorno alle sue membra
percepiva la forza di un paio di braccia. –Non è
il momento…- mormorò ancora quella voce.
E
di nuovo, tutto cambiò.
La
ragazza crollò seduta su una sedia. No, era una panca che
contornava un tavolo. C’erano candele accese per la stanza,
gente che ballava, tanta gente che cantava e ballava ed era vestita di
bianco. Tanta gente che ballava, cantava, vestita di bianco e che
portava buffi cappucci.
Al
suo fianco, vi era una presenza che indosso aveva una tunica familiare
dal copricapo grigio abbassato sulle spalle. Anche il suo volto era
appannato, e al fianco gli pendeva una spada accurata in un fodero
semplice. Questa strana figura la fissava, ma restava prettamente
immobile, ed Elena si girò guardandosi attorno spaventata,
quando i suoi occhi caddero su un volto differente dagli altri.
Era
un uomo, composto, retto e contornato di altri uomini che
chiacchieravano allegramente in quel clima di festa.
Quest’essere anche lui la guardava, ma accanto vi era una
figura più minuta ma molto simile. I capelli leoneschi, dal
volto oscurato. Rhami si alzò dal tavolo d’alto
rango e venne verso di lei. Lo vide porgerle una mano, mentre il
manichino alle sue spalle restava immobile. Ed Elena
accettò, seguendo l’assassino verso il centro
della pista da ballo.
Quando
le dita di lei s’intrecciarono a quelle del suo
accompagnatore, tutto svanì, di nuovo.
Restava
solo lui. L’uomo alto e padrone di se stesso che, altri non
era, se non un qualcuno che Elena conosceva troppo bene per poterlo
confondere con altri. Il cappuccio ne nascondeva il sorriso,
poiché il suo fosse l’unico tra tutti i volti che
riusciva a scorgere a pieno. Ma anche questa figura, si dissolse come
polvere.
E
dalla stessa polvere si formò un nuovo individuo, in piedi,
di fronte a lei che era ancora seduta. Chissà su che cosa,
ma era seduta.
Quest’uomo,
questo ragazzo dal cappuccio grigio portava sottobraccio un libro.
Elena allungò le mani e glielo sfilò lentamente.
Quando le dita di lei passarono sulla copertina rigida del tomo, il
ragazzo si dissolse come fumo.
Ma
dallo stesso fumo nacque una donna, dai fluenti capelli corvini e
vestita di un lungo abito rosso ricamato e merlettato d’oro.
Le braccia conserte e il peso su una sola gamba volevano dire molto, e
come se non bastasse cominciò a battere un piede.
Elena
allora comprese che il libro che aveva in grembo non doveva essere
sfogliato, e apparteneva a quella donna, o a qualcuno cui quella donna
non voleva si venisse a sapere nulla. Così glielo porse, e
la magnifica dama, in cambio al suo gesto, le carezzò una
guancia fissandola col suo sorriso vuoto e sfumato. Anch’ella
era senza volto, ma il tocco della sua mano sulla pelle di lei le
provocò un formicolio lungo tutta la schiena, ed Elena
scattò in piedi.
Sotto
le suole dei suoi stivali si aprì una botola e, come se non
bastasse, al suo grido si aggiunse quello di una voce che
chiamava il suo nome e la incitava a fuggire.
La
botola nera non aveva fine e, solo nel momento in cui Elena
spalancò le braccia si udì lo sbattere di un paio
di ali, e sulla sua spalla comparve un bellissimo uccello.
Aveva
un becco, due ali, due zampe, ma nessun occhio. I suoi artigli le
attanagliarono le carni ed Elena gridò di dolore ma,
spaventata da tale strillo, il falco volò via.
Senza
che se ne fosse accorta, sotto di lei era comparso un terreno arido e
polveroso, mentre tutt’attorno rimbombavano nelle sue
orecchie nomi che non aveva mai sentito, gente che chiamava a gran voce:
-Palla!-.
E
così si trovò sopraffatta da una mandria di corpi
a torso nudo e senza volto che la gettarono a terra, e il cielo
comparve limpido davanti ai suoi occhi.
Qualcuno
si chinò per osservarla, e questo qualcuno aveva un aspetto
familiare. Le porse una mano, l’aiutò ad alzarsi,
ma non fece nulla di più, allontanandosi poi e sparendo in
una tempesta di sabbia.
Era
sabbia bianca, che le girava in circolo, e questa sabbia bianca si
depositò d’un tratto al suolo, tingendo di un
bianco candido tutto il paesaggio.
Vi
era l’ingresso in pietra di una fortezza, ed Elena
varcò quella soglia. Sulle scale trovò ad
attenderla un uomo. No, non un uomo. Quell’uomo.
-Tharidl
vuole vederti- pronunciarono le sue labbra. Lui solo che tra tutti
quelli che aveva incontrato ne possedeva un paio.
-Come
mai?- chiese, ma ella non aveva mosso un muscolo. La sua voce suonava
senza che lei aprisse bocca, come amplificata dalla sua stessa mente.
-Avanti,
vieni- e quell’uomo risalì le scale.
Elena
lo seguì, ma molto più tardi si accorse che
stavano percorrendo gradini infiniti. Sempre gli stessi, per di
più.
Intontita,
demoralizzata ma per nulla stanca, Elena si fermò. -Vi
prego, se sono qui per essere punita di qualcosa…-.
Non
c’era senso in quello che le stava accadendo. Era tutto
assurdo, privo di logica e dunque un sogno.
Un
dolore immenso le ribollì alla mano sinistra.
Sollevò il braccio, notando un fiume di sangue che andava
inondare tra le sue quattro dita mancanti.
Sì.
Era stata punita.
Erano
i suoi ricordi. Quelli più difficili da accettare, quelli
più contorti da interpretare, quelli che erano rimasti
appesi ad un filo troppo allungo e che era bene spolverare almeno in un
luogo come quello: in un incubo.
Se
stava gridando, qualcosa interruppe il suo urlo, ed era un
braccio che le cingeva il fianco, mentre si conveniva stesa su un
qualcosa di duro e con la testa appoggiata ad un qualcosa di caldo, che
le respirava tra i capelli.
La
ragazza si trovò improvvisamente catapultata nella
dimensione reale del tempo: il buio di
una stanza,
dove passato, presente e futuro dei suoi ricordi non si mescolavano ed
avevano ancora un senso logico.
Quando
sognava, la Dea era schiava di un qualcuno che prendeva decisioni per
lei e non le lasciava minimamente il tempo per riflettere su cosa e
come fare. Nella realtà, ogni sfumatura e colore pareva vero
e intenso, non sfumato e approssimato come i volti della gente che
aveva incontrato.
Il
calore di un corpo stretto al suo, ma questo calore si
consumò in fretta allontanandosi dal battito sereno del suo
cuore. Sentì il fruscio di un telo, ascoltò dei
passi leggerissimi muoversi quatti sul pavimento mentre a sé
stringeva un qualcosa di morbido e setoso. Altri passi. Udì
dei sussulti metallici, dei ganci, forse delle cinghie, e
rabbrividì. La ragazza emise un gemito, come per dire basta
a quel frastuono assordante che non le permetteva di indagare oltre nei
suoi ricordi. Voleva svoltare ogni vicolo della linea temporale della
sua breve vita, e strapparla via dalla finzione in quel modo sarebbe
stato disonesto. Dalle gola di ella si levò un
mugolio, e con cautela si voltò dalla parte opposta,
scappando alla fonte di quei suoni bizzarri che, improvvisamente,
tacquero.
Gli
occhi di lei restavano chiusi, sigillati dal dormiveglia di un sonno
che reclamava parecchie altre ore. Quanta energia aveva speso, si
chiese, ma il bello fu… non ricordarsi in cosa avesse
faticato tanto.
-Tu!-
sbottò una voce. –Chi sei?- e una lama le fu
puntata alla gola.
Sì,
era proprio una stanza stretta e angusta, l’androne di quella
che Elena riconobbe alla svelta come la camerata della Dimora. E in
piedi, di fronte a lei, vi era il Rafik che impugnava saldamente una
spada. –Chi sei?! Come sei entrata qui?!- gridava il vecchio
dalla barba bianca, capo sede di Acri.
-Sono
Elena!- ruggì lei, ma un momento dopo tutto scomparve.
Odiava
quel genere di sogni. Detestava dover rivivere scene già
passate della sua vita.
Dalla
polvere del vecchio Rafik si disegnò ben presto un
incappucciato di bianco, ansimava riprendendo fiato, appena piegato
sulle ginocchia.
Senza
pensarci, senza ragione in zucca, Elena si gettò al suo
collo abbracciandolo disperata, avvinghiando il suo corvo a costui che,
al momento, pareva solo un perfetto sconosciuto.
-Maledetto!
Sarei dovuta rimanere a combattere, lo sapevo! Ero certa che vi sarebbe
successo qualcosa! Se fossi rimasta al vostro fianco, nulla di questo
sarebbe successo! Sono abbastanza forte, voi…-.
-Elena-
disse lui scostandola gentilmente. -Sono vivo- aggiunse col solito tono
pacato, neutro e così dannatamente tranquillo…
Vi
era un che di dannatamente familiare, ma tra le sue memorie non
riuscì a ripescare altro ricordo che non fosse di quella
notte quando Elena era giunta ad Acri nelle sue vesti di assassina.
Ricordava bene come il suo maestro era rimasto prode a combattere fuori
dalle mura, mentre ella, codarda di, si era data alla fuga…
quante altre volte avrebbe deluso il suo maestro? Si chiese.
Tutto
scomparve in una folata di vento.
C’erano
dei bracieri, un corridoio buio, un grosso portone di legno nero
intarsiato e le fiaccole accese alle pareti di pietra. Un battente
dell’ingresso alla sala era scostato, ed Elena lo
attraversò.
I
suoi passi svelti la condussero fino al fianco di un uomo; si sedette
accanto al medesimo incappucciato di bianco che, appena ella prese
posto attorno al tavolo, la fulminò con
un’occhiataccia.
Egli
aveva degli occhi: neri, nerissimi! E una bocca, che in breve si
schiuse.
-Era
ora- sibilò Altair. –Dov’eri? Sono dieci
minuti che aspettiamo te!- digrignò.
-Davvero?-
si stupì lei squadrando i volti dei presenti uno ad uno.
-No-
ridacchiò Altair allegramente…
Elena
si strinse nelle spalle, avvolta d’un tratto da una gelida
manata di vento.
Ascoltò
dei passi, e poi il silenzio.
Percepì
una mano calda poggiarsi sulla sua pelle e accarezzarle appena la
guancia, quando il tepore di una coperta diffuse in lei un terribile e
maggior senso di annebbiamento, quasi il sogno che stava vivendo la
stesse chiamando nuovamente a sé.
Ascoltò
degli altri passi, impercettibili, ma poi di nuovo il silenzio.
Vi
era una figura, poco distante, immobile dinnanzi ad una fonte di luce
soffusa e naturale, ma alquanto sobria e ristretta. Questa figura si
girò appena, e sul suo volto balenò un sorriso
triste, tristissimo…
-Mi
è stato insegnato che in questo luogo il rispetto degli
altri e di se stesso è la quarta voce del credo di un
assassino!- perché aveva parlato e detto tutto
ciò? Quale essere superiore muoveva le sue labbra in tali
parole, quale?! Era terrorizzata, ma in quella situazione vi si
riconosceva. Aveva vissuto anche quella medesima avventura…
-Esci
dal campo, ragazza!- le sbottò Altair. -Nessuno ti da questo
permesso!- aggiunse collerico.
Ci
fu il vuoto dopo quell’immagine, ma ne comparve
immediatamente una completamente nuova, ed egli era di due passi
più vicina a lei che, invece, era crollata al suolo spinta
da un colpo che non c’era stato.
-E
tu saresti scappata da Acri con battaglioni di soldati alle spalle?-
proferì Altair arrogante. -Secondo me hanno gonfiato un
po’ troppo la storia!- ridacchiò.
C’era
uno sguardo, nel nero della notte che andava consumarsi dato il leggero
chiarore di un’alba. Era uno sguardo che la fissava,
dall’angolo della camera. Due pozzi scuri che si confondevano
alle ombre dei mobili, ma nei quali balenava un luccichio suffuso e
assorto, distante, pensoso. Fu un istante quello in cui la Dea si
accorse di quegli occhi; qualche secondo più tardi tutto
scomparve nell’istante in cui le palpebre le si richiusero
sulle iridi azzurre, ma ancor troppo stanche per riavvalersi di quella
realtà…
Era
bello tornare in sé, riappropriarsi della coscienza di avere
un corpo, delle gambe, delle braccia che non erano più
schiave di un burattinaio onnipotente nelle proprie decisioni, nei
propri movimenti. Era quella la sensazione che Elena provava
nell’immaginare sé stessa lontana dalla fattezza
concreta del mondo: la completa assenza dei sensi su sé
stessa, ed era più o meno la stessa cosa che accadeva
quando…
Era
ubriaca.
Strinse
le palpebre e serrò i denti, rifiutandosi di accettare
quelle parole. Ma ben presto le fu tutto più chiaro, nitido,
e la verità le venne schiaffata in faccia con incredibile
violenza e senza un briciolo di tatto.
In
un lasso di tempo pari a qualche secondo, Elena ricordò ogni
cosa: lo scontro col templare, i due pugnali che aveva prestato al suo
maestro, poi la fuga nel bosco, il corpo di una donna dilaniato sul
pavimento dietro il bancone; il caos della Dimora e la stanza nella
quale si era rifugiata. La sua mano stretta attorno alla fiala di
idromele, la coperta, dei passi che venivano verso di lei, delle
braccia salde che la riscaldavano, e il sapore di labbra che non aveva
mai saggiato.
Poi,
il nero più nero di tutti i neri.
I
suoi ricordi s’interrompevano lì, ma era successo
ben altro, lo avvertiva sulla sua pelle e nel suo cuore. Percepiva un
dolce amaro che si mostrava sottoforma di una fitta dilaniante allo
stomaco. Era venuto il momento di reagire, svegliarsi, e la Dea si
rivoltò con violenza sotto le coperte.
No.
Desiderava tornare in quel mondo dolce e pacifico dei sogni, e avrebbe
pianto pur di ottenere ciò che voleva. Era una sensazione
terribile e delle più sgradevoli.
Elena…
Chiamata
a gran voce da un sussurro distante, la ragazza spalancò gli
occhi trovandosi avvolta dalla luce di una mattina piombata
all’improvviso. Un bagliore accecante al quale,
ahimé, si abituò in fretta, così da
scorgere una figura seduta con le gambe a penzoloni su un vecchio
tavolo.
Lo
riconobbe subito: il suo maestro con indosso solo i pantaloni. Era
seduto, ma assorto nel tentativo delicato di appurarsi le ferite
riportate dal duello. Controllava minuziosamente ciascun taglio e
passava su di esso una pezza umida bagnata certamente di un efficace
disinfettante. Egli non si accorse di lei e proseguì nella
sua opera trafficando con delle garze e avvolgendole sui lembi di pelle
lesi.
La
Dea si sollevò seduta e, nell’istante in cui
Altair alzò lo sguardo dalle medicazioni per piantarlo nel
suo, Elena sussultò.
-Oh
mio dio…- mormorò ella tirandosi le coperte
addosso. –Cos’ho fatto…- c’era
il vuoto nei suoi occhi che un tempo erano stati azzurri come il cielo.
Ora erano spalancati di paura, come se avesse visto un fantasma, e le
parole scorrevano sulle sue labbra rimbombando troppo forte nelle sue
orecchie.
-No!-
gridò d’un tratto stringendo con maggior vigore la
coperta attorno al suo corpo nudo. Il suo corpo che sapeva ancora del
profumo del suo maestro. –No!- strillò di nuovo.
Altair
tacque, fissandola allungo in silenzio. Egli poggiò la garza
in eccesso sul tavolo al suo fianco e giunse le mani in grembo; -Mi
dispiace-.
Elena
scoppiò allora in un pianto disperato, le lacrime le
rigarono le guance senza alcuna pietà, e lei non fece niente
per trattenerle. Non era riuscita a sfuggire da se stessa,
pensò affondando il volto nel cuscino. Sapeva che era stata
sua la colpa, e aveva troppi rimpianti che temeva non le sarebbe
bastata l’energia per piangere su ognuno di questi.
Ingerendo
quella quantità anomala di alcol, Elena non avrebbe poi
potuto fare nulla per impedire alla parte più umana,
spietata e innamorata che dormiva in lei. Ed inconsciamente, era
successo. Aveva perso ciò che avrebbe dovuto regalare
all’unico ragazzo che avesse mai amato fin dal suo arrivo
nella confraternita.
-Non
ero io, non ero io…- gemé lei. –Era
un’altra, era un’altra! Non ero io, era
quell’altra…-.
Era
stata un’altra Elena a volerlo. Precisamente quella Elena che
nel suo maestro aveva sempre visto qualcosa in più di un
insegnante di ruolo. La piccola ed insignificante parte di lei era
venuta a galla, chiamando di diritto ciò che erano stati i
suoi desideri nascosti troppo allungo. Quella Elena era rimasta a piede
libero il tempo sufficiente per prendersi ciò che voleva.
Terrorizzata,
in preda alle convulsioni, la ragazza si voltò
più volte da un lato all’altro della stanza, una
volta incontrando gli occhi severi e rammaricati di Altair e
un’altra fissando il vuoto della parete davanti al suo naso.
–Perché…- mugolò.
–Perché…- le lacrime le entrarono in
gola ed ella le gettò giù nello stomaco.
-Va
bene così- udì un sussurro di una voce stanca,
incrinata dal dolore.
Elena
si volse, sollevandosi su un gomito e aprendo bocca, senza
però riuscire a proferire parola.
-Va
bene così- ribadì il suo maestro smontando dal
tavolo. Riunì le garze e le fiale di disinfettante in una
sacca adagiata a terra. –Va bene così-
sospirò e, senza aggiunger nulla, lasciò la
stanza. Esitò nel chiudersi la porta addietro, scrutando nel
corridoio e lanciandole un’ultima occhiata immensamente
triste.
Elena
ammutolì.
-Ora
rivestiti. Dobbiamo riprendere…- s’interruppe,
tacendo di fronte all’infinito dolore che si specchiava sul
viso della sua allieva.
Per
un momento, Elena credé di cogliere una nota ulteriormente
dispiaciuta, ma ciò che aveva appena detto l’aveva
lasciata incerta.
Nonostante
ricordasse poco e niente di quella notte, sapeva che era successo.
Eppure, alla sua immensa tristezza si unì
l’irrefrenabile rabbia accompagnata da un ardore impulsivo
che balenò nei suoi occhi.
-Questo
è tutto quello che sapete dire?!- ruggì
improvvisamente.
Altair
serrò i denti e, trafitto da quelle parole, si ridusse ad
abbassare lo sguardo.
-Non
è stata solo colpa mia- sibilò l’uomo.
-Ero
io quella ubriaca! Voi non avete scuse! Perché non vi siete
fermato…- gemé. –Perché non
mi avete respinta, perché…- miagolò
tirandosi le coperte fino al collo. –Non avevate motivo di
farmi questo, non ne avevate… a meno che non lo voleste,
ma…- ingoiò il groppo che aveva in gola.
-è così?- domandò, in ansia che la
risposta a quella domanda potesse essere ciò che si
aspettava e che la seconda Elena in lei desiderava follemente.
Altair
sollevò il mento guardandola e fece alcuni passi dentro la
stanza. –Io…- provò a dire, ma ella si
stanziò da lui tenendosi stretta il telo sul corpo.
-Statemi
lontano!- digrignò fissandolo furiosa.
-Non
so spiegare ciò che ho fatto- mormorò egli. -Ma
ti prego di capirmi- aggiunse tentando un approccio più
sorridente.
-Cosa
dovrei capire? Che siete innamorato di me? Che mi amate, oppure
è solo stato un desiderio passeggero e mi butterete fuori
dalla finestra! Non sono quel genere di allocca, maestro! Spuntai le
corna a Rhami non molto tempo fa!- ridacchiò collerica.
-No!-
ribatté Altair. -Non ho mai pensato di approfittarmi di te,
mai!-.
Elena
tirò su col naso. -Spiegate allora le vostre
intenzioni…- sussurrò trattenendo a stento un
nuovo pianto.
Il
suo maestro prese fiato e abbassò il tono di voce. -Ero
terribilmente stanco… e ferito… e debole.
Perciò non ho saputo opporre resistenza, e me ne rammarico,
più di te- il suo volto era serio, composto come se quella
conversazione fosse una semplice chiacchierata a proposito di
un’indagine poco attendibile.
-C’è
dell’altro?- balbettò Elena stringendosi nelle
spalle, distogliendo lo sguardo.
-Sì-
proruppe, così da attirare l’attenzione della
ragazza su di lui. -Voglio sapere cosa hai da dire tu, a riguardo-
allungò le labbra in un sorriso sornione che, invece di
rincuorarla, le diede solo maggior conferma di ciò che aveva
in mente di confessare.
-Io…-.
-Parla-.
-Io
vi odio! Quello che mi avete fatto è il gesto più
crudele che poteste osare! Vi odio, con tutta me stessa!-
strillò. –Vi odio, e dovete scomparire dalla mia
vista!
L’assassino
indietreggiò a capo chino stringendo i pugni. -Bene, allora!
Se è questo che pensi, ho solo un’ultima cosa da
aggiungere!- eruppe tornando all’ingresso della camera.
-E
sarebbe?!-.
-Rivestiti!
Non ci rimane altro tempo. Dobbiamo essere a Gerusalemme prima di
questa sera, avanti! E non preoccuparti: ammazzato Corrado, salvato tuo
padre e restituito il Frutto alla setta, non mi rivedrai mai
più! Stanne certa!- sbatté la porta e permise che
il silenzio calasse su di lei come una secchiata di acqua fredda.
Prima
che Elena potesse pensare, dire o fare niente, un gridolino acuto si
diffuse per la stanza, ed un secondo più tardi Rashy si
posò sul cornicione della finestra artigliando il legno.
-Rashy-
mormorò flebile la ragazza; e la falchetta si
levò in volo tra i mobili e in pochi battiti d’ali
le fu di fronte, zampettando sul pavimento a pochi passi dalle sue
ginocchia che spuntavano da sotto la coperta. –Rashy-
ripeté piangendo, e l’animale avvertì
il suo rancore.
Forte
nella convinzione di poterle essere d’aiuto, la falchetta
domestica del suo maestro le saltò sul braccio graffiandole
appena la pelle.
-Grazie-
ridacchiò euforica Elena notando il rossore lasciato dagli
artigli dell’animale.
Rashy
la guardava coi suoi infiniti pozzi scuri e a scatti muoveva la testa
di qua e di là. –Whà!-
scappò dal suo becco.
Elena
alzò una mano e le carezzò le piume soffici del
petto. –Che cosa ho detto?- gemé la ragazza.
–Che cosa ho fatto? Perché l’ho
allontanato da me così? Sono più crudele io di
lui se pretendo di poterlo trattare in questo modo- tirò su
col naso percorrendo le piume argentate del dorso
dell’uccello. –Sono stata più stupida
io! Ma perché me ne pento solo ora che è troppo
tardi? Perché sono così cieca? Ma ho paura,
Rashy…- le sussurrò. –Ho paura di
perdere per sempre qualcun altro che mi sta a cuore. Come mio padre e
mio fratello, ma essi sono tornati da me lo stesso! Non so cosa fare,
piccola. Ho paura, ho sbagliato, non ho la forza di rimediare. Diglielo
tu, ti supplico!- strillò abbracciandola, e Rashy si fece
spupazzare come un cuscino. –Diglielo tu, digli che mi
dispiace! Digli che lui non ha colpa, digli che è umano
ciò che ha fatto e digli anche che sono disposta a
rinunciare a Marhim!-.
Non
poté credere di aver davvero detto una cosa del genere.
-Ho
capito, Rashy! Doveva finire così fin
dall’inizio!- bagnò le piume della falchetta delle
sue lacrime. -Forse era proprio ciò che Tharidl cercava di
raggiungere mettendoci l’uno così vicino
all’altra! Sennò perché lui?
Perché affidarmi lui come maestro? Non voglio
perderlo… io lo amo! Lo amo, lo amo!- di risposta a quelle
parole, Rashy si comportò nel modo più plausibile
possibile. Le picchiò il becco sul naso e alla ragazza
scappò un sussulto di dolore.
-Ehi!-
con un gesto svelto del braccio, scacciò l’animale
via dal suo braccio.
Rashy
spiccò il volo e si allontanò nel frastuono delle
sue ali fuori dalla finestra, andando volteggiare sul pianoro
circondato dalla roccia.
-Stupido
uccello…- blaterò Elena sfiorandosi con due dita
la punta del naso. –Non ci si può fidare di
nessuno!- strillò levando gli occhi al cielo.
D’un
tratto, la sua attenzione cadde su un movimento fuori dalla porta e,
con suo immenso stupore, score un’ombra di piedi che vegliava
fuori da essa.
Elena
sbiancò. Aveva ascoltato ogni cosa…
Nel
silenzio della stanza, la ragazza ascoltò i passi di Altair
allontanarsi nel corridoio.
Si
alzò di colpo, afferrando tutto ciò che le
capitò tra le mani e rivestendosi alla svelta. Non avrebbe
permesso che egli fosse il primo a fraintendere! Non gli avrebbe
concesso il tempo sufficiente per ricredersi! Quello che aveva
ascoltato era stato uno sfogo finito lì! Altair non doveva
ricredersi e accettare il fatto che la sua allieva l’amasse.
Piuttosto,
quando si lasciò calare la coperta dal corpo, fu
imbarazzante accorgersi di una piccola macchiolina rossa
all’altezza dell’incavo dei suoi seni. Ce
n’era un’altra, sulla spalla sinistra e una terza
all’altezza del fianco poco distante dall’ombelico.
La
ragazza arrossì spudoratamente, ma cercò di non
pensarci e indossò di fretta i pantaloncini corti e la
canottiera, sovrapponendo a questa la parte della veste con le maniche.
Impiegò
quelli che le parvero una manciata di minuti per ritrovare nella
confusione di libri e pergamene il resto dell’uniforme, ma
maledisse la sua ricerca e volò fuori dalla stanza in quello
stato. Dopotutto, non aveva più motivo di vergognarsi!
______________________________________
Allora,
per questo capitolo intendo aprire solo qualche piccola parentesi.
1.
neppure io ho capito perché Elena ha confessato a
Rashy di amare il suo maestro.
2.
Nella parte centrale del capitolo ci sono alcuni pezzi
scritti in corsivo e altri no. Quelli in corsivo corrispondono ai sogni
di Elena, mentre quelle parti in stampatello sono estratti di quello
che accade mentre la Dea è semi cosciente nel sonno.
Insomma, avete presente quando ci rendiamo conto di quello che ci
accade intorno ma stiamo ancora “dormendo”? Ecco,
proprio questo intendo. Lo so, è parecchio confuso e,
sinceramente, i sogni assurdi di Elena non mi sono mai piaciuti un
granché, ma scrivendo quelle parti era come se stessi
facendo io quei sogni, e descrivevo esattamente quello che vedevo. XD
assurdo, orribile e senza senso, ma spero comunque che vi sia piaciuto.
3.
Ho staccato raggiunte le 11 pagine piene e sono esausta.
4.
pensavo che con questo capitolo sarei arrivata oltre, ovvero
all’infuriata di Malik nel lamentarsi del loro ritardo!
*dannato spoiler!
5.
E pensare che avevo previsto che questo sarebbe stato
l’ultimo capitolo, ma come avete potuto vedere, sono
bravissima a dilungare su certe cazzate! XD
6.
Qui è tutto, Elik.
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Capitolo 48 *** Una strana rabbia, un dolce ricordo ***
Una
strana rabbia, un dolce ricordo
Il
legno freddo sotto i piedi scalzi e i suoi passi leggeri che si
diffondevano nell’aria immobile della mattina. Elena corse
nel corridoio e scese le scale poggiando una mano sulla parete. Indosso
aveva i cortissimi pantaloncini e la maglia bianca a maniche lunghe.
Della sua uniforme non aveva altro con sé, neppure gli
stivali.
D’un
tratto, dalla stanza infondo si levò un grido rabbioso e la
ragazza udì il suo maestro che sfogava tutta la sua ira
sulla poca mobilia intatta del salone della Dimora.
Raggiunse
il piano terra, si fermò spaventata e si appiattì
contro il muro. Si sporse a dare un’occhiata, ma il piatto di
ceramica volò a pochi centimetri dal suo naso andandosi a
frantumare in pezzetti contro la parete e, terrorizzata, ella si
ritrasse senza fiato.
Se
prima c’era stata la confusione, ora era l’Inferno.
Ai ruggiti collerici del suo maestro si alternavano lo sbattere
incessante di oggetti quali posate, piatti e bicchieri! Ma Altair non
risparmiò neppure sedie, libri e pergamene.
Elena
si maledisse per quello che aveva fatto e quello che aveva comportato.
Ancora una volta era stata solo una stupida, e se lo ripeté
ancora e ancora.
Quando
improvvisamente tutto tacque, ella si permise di adocchiare la sala
invasa dal caos di mobili rovesciati e carte sparse e ancora
svolazzanti nell’aria. Il pavimento era celato sotto cumuli
di pergamene e tappeti strappati. Altair, invece, respirava
affannosamente coi pugni chiusi poggiati su un tavolo. La pelle bronzea
era imperlata di goccioline di sudore e le sue spalle si alzavano e si
abbassavano in un ritmo frenetico e costante. I denti serrati, gli
occhi neri persi nel vuoto di fronte a sé. In quel momento,
Elena poté saggiare la sua stessa rabbia, e se la sua
coscienza non l’avesse frenata, ella si sarebbe aggiunta al
suo maestro aumentando il casino! Spaccare cose era il miglior modo per
sfogare le proprie colpe, le proprie collere e reprimere i propri
ardori. Meglio su “qualcosa” che
“qualcuno”, no? Sorrise, ma il suo sorriso fu un
ridacchiare malsano che in un frangente come quello poteva farla
sembrare solo una pazza.
La
ragazza mosse un passo nel salone, ancora sorridente come se tutto
ciò fosse una messa in scena.
Altair
si raddrizzò voltandosi e scorse la sua allieva scendere la
tromba delle scale.
Era
assurdo, ma era capitato proprio a loro che meno tra tutti sarebbero
dovuti inciampare in una simile situazione.
In
pochi secondi, il sorriso sornione di lei divenne una risatina
striminzita che si diffuse per tutto il locale. Rideva
perché se avesse pianto, chissà dove sarebbero
finiti.
Altair
la fissò allungo perplesso, mentre il suo respiro si faceva
lentamente più regolare. Un istante più tardi,
gli angoli della sua bocca si allungarono e neppure il suo maestro
poté far a meno di cogliere l’ilarità
di quella buffa mattina.
Risero
insieme, mescolando le loro voci tanto differente l’una
dall’altra. D’un tratto, Altair scosse la testa e
la sua gioia si consumò in un ultimo sorriso benevolo. Le
volse un’occhiata, ed Elena sfuggì al suo sguardo
che la metteva parecchio in soggezione.
L’uomo
incrociò le braccia al petto. –Hai fame?- chiese.
La
ragazza sobbalzò colta in contropiede dalla domanda.
–Io…- balbettò flebile.
Altair
attese composto una sua risposta, ammirando nel mentre ogni centimetro
del suo corpo.
Era
bello sapere che la stesse di nuovo guardando, come potesse toccarla.
Il rossore sulle sue guance comparve inatteso e prepotente.
–Io…- ripeté timidamente.
Non
era scesa lì sotto per fare colazione, ma bensì
per chiarire certe sue vane affermazioni una volta per tutte! Non
poteva posticipare ancora, non poteva permettersi di lasciar correre
ogni cosa, di dimenticare (che non sarebbe mai stato possibile) o di
accettare quella verità! Doveva in tutti i modi
contrastarla, ma prima di tutto… era scesa in quel salone
per conoscere la verità. Tutta la verità.
La
luce entrava dalle finestre senza vetri illuminando la Dimora del
chiarore intenso della mattina presto. Il canto degli uccellini
appollaiati sul tetto giungeva fin qui e una calda brezza estiva
traversava la valle inebriando il salone dei profumi dei boschi.
Altair
si schiarì la gola.
La
ragazza, richiamata dai suoi pensieri, chinò il capo e
annuì.
-Bene-
l’assassino si diresse al bancone e vi frugò nelle
dispense più in basso.
Elena
rimase immobile dov’era e lo osservò ammutolita.
–Ho già cercato del cibo lì, e ieri non
ve n’era- mormorò stupita.
-Aspetta
e vedrai- proferì l’assassino chinandosi a terra e
sollevando lento una tegola del pavimento. Sotto di questa vi era una
piccola botola scura dalla quale trasse un panno bianco avvolto grande
quanto un libro. Lo poggiò sul bancone e cominciò
a srotolarlo, mostrando in fine il suo contenuto.
Vi
erano due mele, una banana e una forma di formaggio stretta a sua volta
in un secondo involucro. Altair sorrise soddisfatto e
afferrò da un cassetto un coltello. Stagliò a
spicchi entrambe le mele e li raggruppò sul panno.
La
ragazza si avvicinò al tavolo ancora stupefatta.
–Ma dove…- non capiva.
L’uomo
sorrise soddisfatto. -Buon appetito- disse voltandosi e chinandosi a
risistemare al suo posto la tegola di legno.
-Ma
dove… come sapevate…?- sussurrò
estremamente confusa.
Altair
si tirò su lentamente. -La donna a capo di questa Dimora-
proferì in un sussurro. –Metteva da parte per me
in questa botola quello che non volevo condividere con gli altri
assassini-.
Elena
si adombrò. –E come mai?-.
-È
una storia vecchia!- ridacchiò l’assassino.
–Quando le chiesi per la prima volta di raggruppare per me
questo fagotto- cominciò lui –ero ancora giovane,
inesperto e senza il rango di adesso. Nonostante sia cresciuto fin
dalla culla nella confraternita, ho disprezzato per parecchio tempo la
setta stessa e gli uomini che la componevano, miei compagni. Quello che
pensi di me è il vero. Non ero molto sociale,
all’epoca- disse con rammarico. –Geloso di me,
della mia abilità e di tutto ciò che potesse
entrare a far parte della mia vita. Non permettevo a nessuno di toccare
questo fagotto! A costo di difenderlo con la vita!- rise. –Ma
adesso sono cambiato. Profondamente cambiato-.
-L’ho
notato- borbottò Elena.
L’assassino
emise un gran sospiro. –Avanti, mangia-.
La
ragazza spostò lo sguardo sugli spicchi di mela adagiati sul
telo bianco, accanto alla banana e alla forma di formaggio.
-Forza!
Mica è avvelenato- fece allegro.
Elena
sollevò il volto e la sua occhiata smarrita trattenne la
gioia dell’assassino. -Veramente non sono venuta per fare
colazione, maestro- sibilò.
-Lo
so- fu la sua risposta schietta e tranquilla. –Ma adesso
mangia. Ti prego-.
La
Dea ubbidì, afferrò uno sgabello ancora integro e
vi sedette poggiando le mani in grembo. Esitò alcuni
istanti, ma anticipando il gorgoglio del suo stomaco, alzò
un braccio e afferrò il primo spicchio.
-Dov’è…-
mormorò Elena lanciando un’occhiata dietro il
bancone, sul pavimento del quale ricordava ci fosse quel corpo
dilaniato.
Altair
si rattristò. –L’ho sepolta, questa
mattina presto, qui fuori- chiuse gli occhi.
-Ah…-
mormorò la ragazza. –Mi dispiace. Se metteva da
parte il vostro pranzo, dovevate essere molto… legati-
intuì sorridendo mesta.
Nei
suoi occhi balenò un luccichio di gioia, ma durò
solo un istante brevissimo. –No, non proprio. Era una ragazza
molto dolce e premurosa verso chiunque. Suo fratello maggiore
è il Rafik di Damasco da molto tempo; ci conoscevamo per i
contatti che avevamo in comune, ma non ero certo il suo prediletto-.
-Come
si chiamava?- domandò ella.
Altair
tacque per diversi secondi. –Anisa-.
-E
suo fratello…- sussurrò Elena.
-La
notizia giungerà con noi a Gerusalemme; una volta
lì sarà Malik stesso ad informare prima Tharidl e
di conseguenza Aban, suo fratello. Solo allora egli lo
saprà- sospirò.
La
ragazza rifletté in silenzio. –Vuol dire che
nessun assassino sa di questo scempio?- eruppe.
L’assassino
si strine nelle spalle. –Non tutte le Dimore del Regno sono
state attaccate. Alcune sono intatte e ancora nascoste tra le montagne.
Altre, come questa, sono state saccheggiate. Altre ancora bruciate-
digrignò.
-Malik…-
ripensò Elena. –Questo nome non mi è
nuovo- sorrise.
-È
ovvio. Marhim e Halef ti portarono a Gerusalemme quando ti trovarono
sul ciglio della strada. Fu lui, Malik a guarirti delle infezioni
più gravi. E fu sempre lui a trovare il tatuaggio sul tuo
braccio- dichiarò serio.
Elena
addentò un nuovo spicchio di mela, ma non aggiunse nulla.
Altair
si appoggiò con la schiena alla parete e si mise a braccia
conserte. –Cosa farai quando salveremo tuo padre?- chiese ad
un tratto.
Elena
per poco non si strozzò col boccone. Lo guardò
allungo interrogativa, ingoiò e poi chiese:
-perché v’interessa saperlo?-.
Altair
abbassò il mento sul petto ma non disse nulla.
La
ragazza tossì. –Resterò nella setta, e
lui potrebbe essere utile lì. Dopotutto, sa usare una spada.
È stato un ottimo maestro, mi ha insegnato nel migliore dei
modi l’arte del combattimento ed è questo che lo
terrà impegnato a Masyaf. Sono sicura che Tharidl stesso ne
convennero- annuì fiera.
-Ho
chiesto cosa farai tu- ribadì l’assassino con tono
truce.
Elena
non seppe che rispondere. –Non lo so…-
provò a dire. –Sono ancora troppo…-
s’interruppe abbassando lo sguardo. –troppo
confusa, in questo momento- bofonchiò.
Ascoltò
il silenzio del suo maestro trafiggerla come un colpo di lama. Sapeva
che la stava guardando, sapeva che stava studiando ogni sua reazione e
sapeva che stava tentando di interpretare ogni suo pensiero. Pertanto,
era terribilmente spaventata dal fatto che presto o tardi, in quella
conversazione sarebbe saltato fuori qualcosa di spiacevole. Per ora
stavano entrambi girando intorno all’argomento, deviando su
propositi secondari e dall’importanza meno tagliente. Ma
quanto avrebbero resistito senza dirsi la verità? Quanto
tempo ancora avrebbero tenuto saldi i loro mutismi e chi, si chiese,
avrebbe fatto la prima… mossa?
-Confusa?
E perché?-.
-Basta!-
sbottò improvvisamente. –Sapete benissimo
perché!- ruggì. –Avete ascoltato quello
che ho detto, non sono né cieca né sorda, non
ancora! Ecco perché sono confusa…-.
Altair
soffocò una risata. –E sei venuta fin
quaggiù per rimangiarti ogni tua parola? Un gesto davvero
infantile, non me l’aspettavo- la rimproverò.
-Non
siete più tenuto a giudicarmi. Quando saremo a Gerusalemme,
io…-.
-Tu
cosa?- sibilò in tono di sfida.
Provò
un incredibile timore. Quel suo sguardo truce la metteva parecchio a
disagio. I punti fermi di quel discorso si erano volatilizzati nel
nulla. Non aveva più nulla per cui combattere. Non sapeva
cosa dire, cosa fare, cosa pensare.
-Io…-
ripeté. –Io…-.
Altair
si voltò di profilo ridendo.
Elena
parve innervosirsi. -Dove vorreste arrivare comportandovi
così?!- strillò.
L’assassino
tornò serio all’istante. –Dove
“io” voglio arrivare?- domandò
sarcastico.
-Cosa
volete ottenere facendomi questo?!- ribadì la Dea stringendo
i pugni sul tavolo.
-Io
ho già ottenuto quello che volevo. Sei tu che ti ostini a
non voler sapere cosa desideri davvero!-.
-So
benissimo cosa voglio!-.
-E
cioè?-.
Elena
esitò. La sua bocca era aperta, ma da essa non veniva suono
se il suo respiro forzato a tenersi regolare. -Voglio dimenticare, ogni
cosa… nascondermi, come non fosse mai successo…
nulla- mormorò, e ci mancava pochissimo che scoppiasse a
piangere.
Altair
addolcì il suo atteggiamento presuntuoso. Si
scostò dal muro allungandosi sul tavolo, poggiando i gomiti
su di esso. Dopo un minuto di silenzio che parve
un’eternità, l’assassino
parlò in un sussurro. –Chiedimelo-.
Elena
levò mento dal petto e una lacrima argentata
scivolò sul suo volto. -Chiedervi cosa?-.
-Avanti,
chiedimelo- insisté lui. -Forza- fece con tono soave.
-Non
capisco…-.
-Chiedimelo;
e dimenticherò le ultime ventiquattro ore-.
Il
suo maestro dimenticava a comando? Alquanto strano, pensò.
Forse era semplicemente un modo retorico per dire che, come lei
desiderava, avrebbe ignorato ogni cosa, dimenticando per
l’appunto… le ultime ventiquattro ore.
-Chiedimelo-
disse ancora.
Che
cosa doveva chiedere precisamente? Elena fissava quegli occhi neri,
bellissimi che ricambiavano il suo sguardo sperduto in modo del tutto
innaturale. Sembrava così tranquillo, rilassato, e la sua
sola voce le infondeva sicurezza. Era magnifico poter tornare a vedere
nel suo maestro qualcuno in cui porre la propria fiducia. Fu
elettrizzante sapere che, anche dopo quello che avevano passato, presto
sarebbe potuto tornare tutto come prima.
-Chiedimelo-
Altair avvicinò ulteriormente il volto al suo, ed Elena in
principio si ritrasse.
-Sai
bene che è l’unico modo- aggiunse
l’assassino, e poteva sentire il suo respiro arrivarle sul
naso.
Era
vicinissimo. –Io…- mormorò per la
quinta volta. –Io…- ecco la sesta.
-A
meno che- intervenne Altair. –A meno che tu non lo voglia
davvero; a meno che tu non voglia dimenticare niente e…-.
Elena
gli bloccò le parole ancora in gola. Si sporse verso di lui
e gli sfiorò appena le labbra con le sue. Persino quel
contatto leggerissimo durò troppo allungo. Doveva trattarsi
di un solo piccolo e innocuo mordi e fuggi, ma la ragazza non
riuscì a scollarsi da lì per diversi secondi.
Troppi secondi, che si agglomerarono in un minuto che lentamente diede
i suoi frutti.
Altair
si staccò una frazione impercettibile di tempo e
scavalcò il tavolo trovandosi dall’altra parte del
bancone, precisamente di fronte a lei che, prima di poter capire cosa
stesse succedendo, percepì la bocca del suo maestro
riappiccicarsi alla sua con il doppio del trasporto.
La
ragazza si sollevò in piedi, alzò le braccia e le
avvinghiò attorno al suo collo mentre lui
l’attirava a sé.
Elena
chinò la testa da un lato, smarrita nel momento in cui le
mani del suo maestro riscesero la curva dei suoi fianchi fino a
sollevarla e allacciarle le gambe attorno al suo bacino. Poi egli la
prese in braccio facendola sedere sul tavolo. La ragazza si
staccò dalle sue labbra per riprendere fiato, ma Altair non
le diede tregua andando ad assaggiare la pelle di una sua spalla
scoperta.
Era
il colmo! Si disse Elena. Stava ricominciando tutto da capo, la sola
differenza quella volta era che nelle vene sentiva il suo sangue pulito
e bollente scorrere senza la compagnia di nessuna tossina
d’alcol. A quel punto si sentì ancor
più confusa di prima.
Poteva
essere tutto vero, si disse. Quello che provava per il suo maestro,
quello che aveva confessato alla sua falchetta. Poteva trattarsi della
verità; ma cosa la faceva star così male, dunque?
Quali torti stava facendo e a chi? Immediatamente pensò a
Marhim, ma quel pensiero si dissolse come polvere
nell’istante in cui Altair le sollevò un lembo
della maglia sfiorandola con le dita appena sotto la curva del seno.
Un
brivido la percorse da cima a fondo svegliandole i sensi. Con gli occhi
chiusi e le labbra arrossate, Elena smontò giù
dal ripiano e tentò di allontanarsi da lui, ma
l’assassino le prese il mento con una mano e
riallacciò le loro bocche in un bacio tutto nuovo, che quasi
le mise paura.
La
ragazza rabbrividì. Le stava indirettamente chiedendo
qualcosa… una conferma, e pazientemente
aspettava… se, se, come no… pazientemente per
modo di dire.
Elena
poggiò una mano sul suo petto, toccando appena la garza
bianca che passava da parte a parte del torace. Ribellandosi a se
stessa e a quella seconda personalità che aveva imparato ad
odiare, lo spinse via sfuggendo al contatto delle loro labbra e dalla
piega passionale che stava prendendo tutto questo.
La
ragazza fece uno, due passi indietro spalancando gli occhi, atterrando
in quel modo violento nella realtà. -No!- gemé.
-Siamo
al punto di partenza, a quanto pare- sbuffò
l’assassino.
-Cioè…
sì! Insomma, no!- balbettò.
-Sei
stata tu a baciarmi!-.
-E
se voi aveste avuto un minimo di buonsenso mi avreste fermata!-.
-Ti
sbagli- sibilò.
-E
perché mai!?-.
Tacque.
Incerto, il suo maestro tacque. Non poté credere di essere
riuscita ad azzittirlo, a lasciarlo senza parole. O forse le parole le
aveva, ma chissà… cosa gli costava dirle.
E
all’improvviso, inaspettatamente, Elena capì e
sbiancò letteralmente.
-Elena,
non è come credi- cominciò Altair venendole
incontro.
-Razza
di!…- lasciò in sospeso la frase alzando un
ginocchio e colpendolo lì, dove i maschietti sono
più fragili.
L’assassino
serrò i denti e si piegò appena in avanti. Sulla
sua tempia comparve una piccola vena. –perché
l’hai fatto?- la sua voce era salita di un tono.
Elena
indietreggiò ancora finendo ad urtare uno dei tavolini bassi
della sala. -Vi rammento che ho 17 anni!-.
Altair
si appoggiò al bancone distendendo il braccio, mentre la
mano libera era… lì. –Che cosa stai
dicendo?!- proruppe nervoso.
-Chi
vi ha dato il permesso di usarmi così?!-.
-Elena!-
digrignò lui sopportando a malapena il dolore.
La
ragazza proseguì, imperterrita. –Dio! Solo
pensandoci mi fate schifo!- ruggì guardandolo con disprezzo.
-Adha se n’è andata prima che poteste ottenere
quello che volevate, e ora siete passato a me?! E senza neppure
chiedermi il consenso! E senza neppure immaginare che potessi restarci
parecchio, parecchio avvilita!- si strinse un braccio attorno al
ventre. –Sono senza parole…- mormorò in
fine.
Altair
la lasciò proseguire senza interromperla.
-Non
vi bastava trattare me come fossi vostra figlia- tirò su col
naso stringendosi nelle spalle. –Non vi siete fermato a
questo, certo che no- borbottò e una lacrima le
bagnò la guancia, ma la ragazza se
l’asciugò prima che potesse precipitare al suolo.
–Quando avete capito che stavo dalla vostra parte, quando
avete compreso che ci sarebbe stato un minimo di speranza avete agito,
ingannando me per prima e voi stesso. Vi consolava il fatto che la
“casualità” dell’evenienza
avrebbe nascosto ogni vostra bugia, ma logorato dalla rabbia e spinto a
farlo per chissà quale motivo, mi avete usata…
per i vostri meri… avidi… ma da una parte
dolci… scopi- dichiarò schietta, immensamente
afflitta.
-Che
cosa stai dicendo?…- sussurrò lui tornando
dritto.
Elena
sollevò il mento puntando gli occhi azzurri, lucidi e gonfi
in quelli neri del suo maestro.
-Non
so come dirvelo, ma sapete benissimo di cosa sto parlando!-
strillò senza riuscire a trattenersi oltre. Si
portò le mani al viso, coprendoselo coi palmi chiusi e
vagando nel buio, mentre i suoi singhiozzi riempivano l’aria
immobile e silenziosa della Dimora.
La
ragazza, traballante, crollò a terra in ginocchio
nascondendo il volto tra le dita, senza arrestare il pianto euforico
che si levava dalla sua gola.
Altair
si allontanò dal bancone e andò a chinarsi al suo
fianco. La prese sottobraccio, ma Elena si stanziò da lui
con violenza andandosi a rifugiare contro la parete.
-Mi
fai davvero così privo di etica?- ridacchiò
l’assassino.
Elena
si voltò a guardarlo, arrestando improvvisamente i suoi
singhiozzi.
-Non
sono quel genere di mostro. Non ti farei mai una cosa simile, mai-
mormorò flebile. –Piuttosto, avresti potuto
risparmiarti questo colpo basso- mugolò sedendosi a terra
accanto a lei.
-Mi
spiace- proferì spiaciuta. -Se mio padre non me
l’avesse insegnato, probabilmente non avrei mai saputo che
potesse fare tanto male…- sorrise triste.
Altair
le lanciò un’occhiata divertita, mentre una sua
mano si stringeva attorno alle dita affusolate della sua allieva. -No
probabilmente no; ma tuo padre era un ottimo insegnante-.
-È…-
lo corresse lei.
Altair
annuì ridendo. -È un ottimo insegnante,
perdonami-.
-Dunque…-
proseguì Elena poggiando una guancia sulla sua spalla.
–Mi devo ricredere?- domandò.
-Sì-
assentì lui.
-E
allora, se non era per lasciarmi incinta che l’avete
fatto…- sussurrò ella. –per che cosa?-.
L’assassino
sospirò. –A questo punto penso sia abbastanza
ovvio, non credi?- chiese guardandola dall’altro.
La
ragazza scosse la testa.
-Non
so come dirvelo, ma sapete benissimo di cosa sto parlando!- le fece il
verso.
Elena
scoppiò in una fragorosa risata.
-Avanti,
quello bacato ero io, no?- le accarezzò una guancia.
-Non
posso…-.
-Che
intendi?-.
-Ho
capito che vi siete innamorato di me, maestro, ma vedete,
io… non posso-.
-Perché?-.
-Marhim…
io credo di… averlo già tradito abbastanza-.
-Sapevo
che avresti detto così- sibilò. –Ma non
sarò tanto crudele da strapparti da ciò a cui
tieni. Perciò- disse alzandosi. –non farti venire
altre strane idee, chiaro?- le porse una mano che Elena
afferrò aiutandola a tirarsi su.
-Grazie-
l’abbraccio senza preavviso, aderendo perfettamente al suo
corpo, potendo ascoltare i battiti regolari del suo cuore. -Grazie-
ripeté.
Altair
le pettinò i capelli dietro l’orecchio.
–Dimmelo ora se serve che dimentichi- le sussurrò.
-No,
non serve. Sarebbe ancor più doloroso-.
-Sei
pronta a sopportare il fardello?-.
-Sì!-
gemé ancora avvinghiata a lui, ed una nuova lacrima le
bagnò il volto.
Il
suo maestro gliel’asciugò con dolcezza.
-È bellissimo sentirtelo dire, perché per me
sarebbe stato impossibile-.
-Mi
associo- sorrise stanziandosi di un passo indietro.
Altair
la contemplò diversi istanti, poi Rashy comparve
d’un tratto dalla finestra e svolazzò nella
stanza, andando a posarsi sul bancone della Dimora. Il suo grido invase
l’aria asciutta del salone.
-Ha
ragione- disse l’assassino.
Elena
assunse un’espressione interrogativa.
–Perché, che cosa ha detto?-.
-Siamo
troppo in ritardo. I soldati di Corrado muovono su Gerusalemme e noi
siamo ancora qui- eruppe avviandosi sulle scale, ed Elena lo
seguì. –Dobbiamo muoversi: Malik sarà
su tutte le furie e rischiamo di non arrivare in tempo per
l’incoronazione!- dichiarò mentre entravano in
camera, dove la gran parte dei loro vestiti era mischiata alla
confusione della stanza.
-Su,
rivestiti- le disse raccogliendo la sua roba da terra.
-Certo,
ma voi? La vostra uniforme è piena di sangue! Se vi
vedessero passare in questo stato, attirereste troppo
l’attenzione delle guardie- commentò ella.
-Lo
so perfettamente, ma ho già trovato la soluzione, non
preoccuparti. Ora fa’ come ti ho detto!- le ordinò
uscendo dalla camera e percorrendo il corridoio.
I
suoi passi si persero fino in una delle stanze vicino, ed Elena si
vestì in tutta fretta cercando ogni parte del suo
equipaggiamento. Quand’ebbe finito, si fermò un
istante, meravigliata da cosa aveva tra le mani.
Erano
gli astucci dei cinque pugnali da lancio che portava sulla spalla,
attaccati ai lacci di cuoio che percorrevano il petto e
s’interrompevano giunti da quel triangolo di metallo tanto
ben lavorato. La cosa che la colpì in particolar modo fu
ritrovare negli astucci i due pugnali che aveva prestato al suo
maestro. Ma ancor più estasiata la lasciò il
fatto che ci fosse un terzo piccolo pugnale. Era finemente lavorato,
con un impugnatura d’argento e delle piume intarsiate nel
manico. Elena riconobbe subito quel pugnale, e nella sua mente si
aprì un ricordo lontano che copriva i giorni più
felici passati alla fortezza. Ovvero quelli
dell’addestramento. Si ricordò di una sera passata
a scagliare coltelli da lancio contro un manichino di paglia. Anzi, non
una sera soltanto, ma una giornata intera trascorsa a far avanti e
indietro per raccogliere quelli finiti a terra. Fu un ricordo
dolcissimo e piacevole, e quel pugnale lavorato un tempo
l’aveva cercato credendo di averlo perso poiché i
conti non tornavano. Invece, Altair gliel’aveva nascosto
sotto il naso scagliandolo poi addosso al manichino con incredibile
precisione, tanto per farla rosicare. Sorrise malinconica. Quei giorni
le erano piaciuti parecchio, e ricominciare da capo era il suo grande
sogno. Ma ormai, che senso aveva ricominciare se tutto quello che
desiderava ardentemente era già tra le sue mani?
No.
Non tutto, si disse.
Corrado
doveva ancora morire.
____________________________________________-
Ok,
in questo capitolo mi prendo la rara libertà di scrivere i
ringraziamenti. XD Ma per prima cosa, famo dei piccoli chiarimenti. XD
fa anche rima!
1.
Elena stupida, io sapere, ma per ragioni di…
*interruzione acustica a difesa degli spoiler* … ho dovuto
deviare la vita sentimentale dell’allieva. Eh, sì.
Mi dispiace un casino, ma almeno ho risolto non alla svelta, ma con
meno impicci la questione. Sennò qui mi scappava il pianto
anche dal maestro.
2.
Tharidl non voleva che maestro e allieva si mettessero
assieme, Manu! Era Elena che, come suo solito, si faceva le cosiddette
pippe mentali! XD
3.
… veramente non ho altro da aggiungere.
Ringrazio
i seguenti adorabili utenti! XD
Saphira87
(Sorpresa: oddio, so che speravi molto che la storia andasse a finire
in un altro modo, ma ti prego… abbi pietà! Non
sono brava a prendere delle scelte, ed Elena [ho deciso]
starà con Marhim, ma… vedremo! <.<
)
Goku94
(l’idea della ginocchiata nei marones è tua!!!
GRAZIE, fratellino, sei un genio! XD)
Carty_Sbaut
(Donde stai?!?!?)
Lilyna_93
(Saluti all’accaunt!!!)
Assassin
e Diaras (Donde state, pure voi? O-O)
Angelic
Shadow (Riprenditi sto cazzo di PC! Ups… eheh)
Renault
(Arriva presto a buon punto!)
Kasdeya
(Adoro le tue recensioni, e mi chiedo come tu faccia ad andare a capo
quando ti aggrada o.o)
Bene
miei giovani allocchi! XD Che cosa abbiamo intenzione di fare,
adesso??? EH? Ovvio, lasciare una recensione e… sperare che
non rovini anche il prossimo capitolo! Cauuuu!! O.O Cau??? XD Caiuuu!!!
(Puntiamo sul banale: Ciaoooo!!!) XD
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Capitolo 49 *** Amici tremendamente confusi ***
Amici
tremendamente confusi
Sopra
di loro si apriva un cielo magnifico, limpido, e i loro cavalli
saettavano nel vento galoppando sulla terra, mentre il fruscio delle
loro vesti si confondeva a quello delle fronde degli alberi.
Era
un sentiero angusto che traversava un montarozzo di una leggera
pendenza. Il bosco di folti ulivi li contornava, e
tutt’attorno vi era solo il suono della natura. Se un tempo
quelle strade erano state battute da uomini in marcia verso la Guerra,
ora questi uomini marciavano verso la pace che, di lì ad una
settimana, avrebbe preso piede con l’incoronazione del nuovo
Regno di Gerusalemme, al trono del quale avrebbe seduto Corrado al
fianco della Regina Isabella. Ma qualcuno avrebbe impedito che tutto
ciò accadesse, e quel qualcuno aveva il volto celato sotto
un cappuccio bianco, e al suo fianco correva il cavallo del suo
maestro. Egli vestiva di una lunga mantella grigia e teneva corte le
redini dall’alto della sella.
Erano
in due, ma avrebbero fatto i danni di un esercito. Bastava una sola
lama per privare il mondo di una delle sue mille pecore nere e a breve,
Elena avrebbe sgozzato con gusto quell’agnello. Quanto aveva
atteso questo momento? Non solo per suo padre, ma per la gente oppressa
che era morta sotto il dominio di Corrado e soprattutto di suo padre
che per primo aveva firmato l’alleanza che c’era
tra lui e i vari rappresentati della Guerra! Era una sola grande
battaglia che si sarebbe protratta nei secoli, ma tanto valeva
combattere per raggiungere i propri scopi in minima parte. Come Corrado
aveva combattuto per quel trono, Elena di Acri avrebbe lottato per la
sua morte.
La
Dea si sporse in avanti allungandosi sul collo dell’animale
per alleggerire la fatica. Risalirono il pendio trovandosi ben presto
in cima, dove piccoli ciuffi di erba verde si confondevano alle sabbie
del deserto e alle felci rinsecchite e sciupate dall’assenza
di acqua.
Si
fermarono sul cucuzzolo della collina e arrestarono quella corsa contro
il tempo che sfociò in un cumulo di polvere sollevato dai
possenti zoccoli che picchiavano la terra.
La
ragazza tirò le briglie, irrobustì la presa delle
gambe, ma in fine la videro.
Era
Gerusalemme, che all’alba di quella mattina dopo ore di
galoppo ininterrotto li accoglieva dei suoi mille rumori caotici.
Altissime mura in pietra si levavano verso l’alto e finivano
a picco in un crepaccio roccioso da un lato e nel mezzo del deserto
dall’altro. L’immenso portone dai battenti
spalancati era controllato da una dozzina di guardie; ma quello era
nulla in confronto alle centinaia di tende montate attorno ad esso. Era
sorto un vero e proprio accampamento, con tanto di cavalieri crociati e
Templari che, senza sosta, muovevano le loro truppe a destra e a manca
dentro e fuori la città. Il traffico dei contadini era stato
deviato verso gli ingressi secondari, e le bancarelle che correvano
lungo le mura erano state abbandonate per dar spazio per intero
all’insediamento francese.
I
fumi della cittadella si annebbiavano in un sottile strato appena sopra
i tetti. Erano magnifiche le sue cupole e le sue Moschee, assieme a
quelle monumentali torri intarsiate d’oro e di colori
brillanti che, alla luce del sole del mezzogiorno, luccicavano. Era la
Città Santa, che con il solo osservarla da lontano incantava
il pellegrino confondendolo in quale, delle tre maestosissime Religioni
che vi dimoravano, intraprendere.
Un’improvvisa
folata di vento le scompigliò i capelli e il cappuccio le
cadde sulle spalle. Elena inspirò a pieni polmoni,
osservando Rashy allontanarsi nel cielo, mentre la sua ombra si
proiettava sulle tende e batteva l’accampamento.
C’era in trambusto di armi, grida di ordini e contrordini.
Nitrii di cavalli e ancora grida.
-Bhé-
proruppe Elena ad un tratto, ed Altair si voltò a guardarla.
-Non abbiamo sorteggiato l’ingresso migliore, eh?-
ridacchiò l’allieva.
L’ombra
sotto il cappuccio di lui si allungava sino al suo mento. -È
troppo tardi per prendere un’altra strada- proferì
serio. –Questo è il nostro unico accesso alla
città- mormorò squadrando tenda dopo tenda
dell’avamposto attorno alle mura.
-Cosa
facciamo? Attendiamo che si cali la notte?- suggerì la
ragazza.
-Non
abbiamo tempo neppure fino a questa sera, Elena. Siamo in ritardo,
terribilmente in ritardo con le indagini- dichiarò levando i
talloni dalle staffe. -Lasceremo i cavalli qui e ci sposteremo tra le
tende. Spero vivamente che gli eruditi del piccolo cimitero ci siano
ancora- borbottò smontando dalla sella e abbandonando le
briglie.
-Eruditi?-
domandò ella confusa.
-Monaci.
Pensavo di averti dato qualche ripasso teorico di mimetizzazione-
sorrise Altair facendole strada, e i due si calarono giù dal
pendio roccioso.
-Ma
il vostro mantello è grigio- commentò la ragazza.
-So che gli Eruditi si vestono di bianco, e sì-
arrossì cogliendo l’imbarazzante ed inevitabile
doppio senso di quelle parole. –mi avete dato un ripasso
più che teorico!-.
-Sì,
infatti- borbottò lui aiutandola a saltare giù da
un masso. –Ma non preoccuparti per me. Io prenderò
un’altra strada e ci divideremo. Tu andrai con i Monaci, e
una volta all’interno della città, dovrai
spostarti con cautela e raggiungere un posto isolato– si
chinarono celati dietro una felce. -Dopodiché- riprese
l’assassino accompagnandola al suo fianco. –in un
qualche modo ti troverò e raggiungeremo assieme la Dimora.
Non mi placa l’animo l’idea che tu vaghi per le
strade quando è in atto l’Incoronazione della
Terra Santa. Chissà quante guardie- bofonchiò
assorto facendo mente locale.
-Ma
maestro, voi!- provò a controbattere, ma Altair le
serrò le labbra poggiando una mano su di esse.
-Che
c’è, non ti fidi di me?- alzò un
sopracciglio.
Elena
scosse appena la testa. –No, ma…-.
Il
grido di Rashy squassò il silenzio della valle, e Altair
alzò il mento osservando il cielo. –Non ci rimane
altro tempo. Presto!- la tirò a sé abbracciandola
e, insieme, si gettarono da una decina di metri dritti in una balla di
fieno.
Le
sue braccia la stringevano ancora al suo petto, e la sua mantella
grigia era andata ad intrecciarsi alle sue gambe così da
tenerli entrambi stretti l’uno all’altra.
–Sollevati piano e va subito a destra- le sussurrò
Altair all’orecchio.
La
ragazza annuì, obbedì e sbucò fuori
dal fieno. Subito a destro trovò ad attenderla una roccia
abbastanza grande, si nascose di dietro ad essa e attese che il suo
maestro le fu di nuovo accanto.
-E
adesso?- balbettò Elena contando almeno un cinquantina di
tende e un centinaio di crociati.
-Il
cappuccio, Elena- le rammentò il suo maestro, e lesta la
ragazza se lo rialzò sul volto.
-Scusate-
mormorò pentita.
-La
tua identità è tutto ciò che ti resta
quando si tratta di fuggire. Già è un male che tu
abbia degli occhi così…- si voltò a
guardarla.
Elena
si strinse nelle spalle. –Così come?-
domandò timidamente.
Altair
scosse la testa. -Così difficili da dimenticare-
sospirò tornando a controllare gli spostamenti dei soldati.
-Grazie-.
-Resta
concentrata, per favore-.
La
ragazza annuì e si guardò attorno.
–Dove sono gli Eruditi?- chiese.
Altair
le indicò un punto dell’accampamento, ma il suo
sguardo volò oltre ed Elena lo seguì, andando ad
incontrare le figure poco chiare di quattro uomini seduti su una sola
panchina vicino alle mura.
-Ti
accompagno lì, ma qualsiasi cosa succeda, sappi che i monaci
ti scorteranno nel bene o nel male fin oltre quella soglia, hai
capito?-.
Elena
rabbrividì. –Cosa intendete per…
“nel male”?-.
Altair
ignorò la domanda. –Fa’ come ti ho detto
e nulla andrà storto- proferì serio.
–Adesso vieni- la prese per mano e la tirò fuori
dal loro nascondiglio.
Aggirarono
il piccolo accampamento e capo chino, ed Elena gli camminò
affianco con passi piccoli e stretti. Gli sguardi dei soldati non si
soffermavano su di loro se non per pochi secondi, giusto il tempo per
adocchiare il colore sfumato della mantella del suo maestro.
Rashy
gridò ancora, e a quel sibilo gli Eruditi seduti sulla panca
si guardarono attorno smarriti. Uno di loro si alzò in piedi
dal seggio di pietra e gli venne incontro giungendo le mani in forma di
preghiera, e a questo si unirono presto anche gli altri tre.
Si
muovevano lentamente, cantilenando una litania in latino che risuonava
ben oltre il frastuono di armi e cavalli.
-Va’-
Altair l’allontanò piano da lui, ma Elena, prima
che il bianco della sua veste da assassina potesse confondersi con le
tuniche dei monaci, strinse con maggior vigore le dita del suo maestro.
-Elena,
avanti!- strinse i denti lui, ma la ragazza non mollò la
presa.
-Forza,
messere- la chiamò un uomo di chiesa. –le
attenzioni si volgono a noi, dobbiamo fare in fretta!-
sibilò questo.
Elena
si scostò dagli Eruditi scagliandosi al collo del suo
maestro, abbracciandolo con foga e nascondendo il viso nel suo
mantello. Rimasero immobili per alcuni istanti, fin quando una guardia
non adocchiò la situazione con una certa
curiosità.
-Andrà
tutto bene, avanti- le sussurrò lui poggiando una mano sulla
sua schiena, accarezzandole dolcemente la linea dei fianchi.
La
ragazza svolse le sue braccia dalle sue spalle con un certo rammarico,
profondamente turbata. Si voltò, raggiungendo quasi di corsa
i monachi che erano già a metà strada. Si confuse
tra di essi, accogliendo il loro fare silenzioso e assimilando
l’andatura tranquilla dei loro passi. Pregò per il
suo maestro, pregò che niente andasse come
l’ultima volta, pregò perché filasse
tutto come l’olio. Lanciò diverse occhiate dietro
di lei, e Altair era sempre là che la fissava da sotto il
grigio cappuccio. La osservava, ammirava i suoi movimenti e tentava di
infonderle coraggio perché non si lasciasse distrarre
proprio in quel frangente.
Varcarono
l’arco in pietra, i monaci la circondavano da tutti e quattro
i lati e lei si sentiva protetta. Quando si voltò, il suo
maestro si era volatilizzato nel nulla.
Gerusalemme
era terribilmente caotica. Le sue strade, anche quelle scure e
appartate, erano attraversate da una marea di gente che non sapeva
astenersi dall’urlare ai quattro venti tutto ciò
che poteva essere messo a buon mercato. Non mancavano dunque le
bancarelle, le donne radunate attorno alle fontanelle con in grembo
vasi di ceramica e caraffe da riportare nelle proprie case. Ma anche
guardie, che si fermavano ai lati della via principale chiacchierando
spensierate del più e del meno. I vecchi seduti alle panche,
gli arcieri sui tetti. Le mendicanti agli angoli degli edifici, e i
palazzi stessi, alle finestre dei quali erano affacciate le donne che
sbattevano tappeti e appendevano i panni al sole.
-Siate
prudente- le spifferò un Eredito mentre si allontanava col
suo gruppo.
Elena
gli sorrise benevola. –Grazie ancora- mormorarono le sue
labbra.
Egli
chinò il capo e condusse i suoi fratelli in un vicolo buio
che girava attorno alla piccola chiesa lì vicino.
La
ragazza si guardò attorno e sedette poi disinvolta su una
panchina. Si prese comodamente il tempo necessario per sfuggire agli
sguardi delle guardie e, quando fu certa che nessuno la stesse
guardando, scattò via dalla sua posa mimetica e
s’infilò in un cunicolo stretto e buio. Lo
percorse fino al capo opposto che si gettava nel corso principale della
città, quello che passava tutto il distretto ricco e
raggiungeva il confine con quello medio. La ragazza si
mescolò alla folla e ne percorse un gran tratto.
Non
conosceva un vicolo di quella stupenda città. In tutta la
sua vita, mai una Moschea di Gerusalemme aveva avuto l’onore
di vedere, ed ora, quelle strade la incantavano lasciandola senza
parole, con la bocca aperta anche sotto l’ombra profonda del
cappuccio.
Trovò
una piazza tranquilla nella quale aspettare il suo maestro che,
condotto da Rashy che vegliava esattamente sopra di lei,
l’avrebbe, sperò, presto raggiunta.
Sedette
su una panca, all’ombra di una palma. Accanto a lei
c’era una donna con in braccio il suo bambino di pochi mesi.
Lo cullava amorevolmente e le guance arrossate e pacioccose del bimbo
erano tirate in un sorriso in preda alla gioia.
Distolse
lo sguardo, pensando chissà cosa nella sua testa che troppe
volte aveva immaginato e sbagliato ad immaginare. Restò
lì ad attendere in silenzio, col solo suono della grande
Gerusalemme che le rimbombava nelle orecchie.
Contò
una dozzina di drappelli di guardie che si sbattevano da parte a parte
della città, e molte di questi erano crociati, belli e fieri
della loro casacca che luccicava d’oro della casata del
Monferrato.
A
quella sola svista, in lei ribollì l’amata rabbia,
mentre l’impazienza di cominciare immediatamente le indagini
la costringeva a stringere i pugni e conficcarsi le unghie nella pelle
dei palmi stretti.
Corrado
stava racimolando troppo tempo, si disse. Doveva morire subito! Subito!
Gridò, ma qualcosa la implorò di darsi un
contegno, di ascoltare e rimuginare sugli insegnamenti che
più persone le avevano dato. Eppure, i principi di un
assassino non includevano: “porta pazienza ai tuoi
incarichi”. Ma la terza legge, non compromettere mai la
confraternita, era un modo riassuntivo che in sé inglobava
ciascuna azione insulsa e avventata.
D’un
tratto, un ombra calò dal tetto della casa vicina e in una
frazione di secondo Elena ascoltò il fruscio di un mantello.
Altair sedette in fine, leggero e dal respiro regolare, accanto a lei
nel posto vuoto sulla panca.
Neppure
quella donna si era accorta che quest’essere dalla casacca
grigia era comparso da nulla. Ella continuava a coccolare il suo bimbo
nascondendogli il naso tra due dita.
-Aspettiamo
che passino quelle guardie e lasciamo questo cortile. Andiamo a
sinistra, ma passeremo una zona comunque parecchio sorvegliata. Devi
restarmi vicina- sibilò l’assassino con lo sguardo
basso. Il cappuccio ne copriva il volto per intero. Il mantello era
talmente lungo da celare ogni parte della sua veste.
-Sto
bene, grazie per l’interessamento- bofonchiò Elena.
-Non
nego di essere alquanto stupito- fece allegro. -Mi aspettavo che come
minimo ti stessero dietro una cinquantina di uomini-
ridacchiò.
La
ragazza tacque incrociando le braccia al petto. -Se anche fosse,
ammazzerei quel bastardo prima di dare a Corrado il tempo sufficiente
di scappare per via delle campane-.
-Così
ti voglio, e ora andiamo- disse lui alzandosi, ed Elena lo
seguì.
Si
mescolarono alla folla, sgattaiolarono in stradine piccole e anguste,
traversarono piccoli mercati coperti e si inoltrarono nei
più prestigiosi Suk del distretto nobiliare.
La
Dimora sorgeva sul confine tra i tre quartieri della città.
Una piccola e bassa cupola accompagnata a delle impalcature. Strette
finestre, e un tetto ampio.
-Dove
sono le guardie?- domandò la ragazza issandosi sulla
scaletta di legno che li condusse sopra l’edificio.
Quando
furono in cima, Altair si guardò attorno abbassandosi il
cappuccio sulle spalle. –Molti dei crociati sono appostati
più ad ovest, nei pressi del tempio. È
lì, nell’accampamento crociato oltre dietro il
palazzo che presiede Corrado coi suoi uomini. E se ci brigheremo,
sarà lì che colpiremo- pronunciò
assorto.
Elena
annuì compiaciuta, e i due assassini si calarono nella
Dimora.
La
Dea si piegò sulle ginocchia ed ebbe solo il tempo di
raddrizzare la schiena e le gambe.
-Razza
d’imbecille! Ti avevo detto di passare da dietro!-
sbottò una voce rabbiosa proveniente dall’altra
stanza.
Un
ragazzo dal cappuccio grigio inciampò sul tappeto, si
rialzò e si diresse di corsa verso l’uscita della
Dimora. Un piatto di ceramica si andò a frantumare in tanti
pezzetti volando fuori dalla stanza. -Sei un buono a nulla, Rauf!-
gridò ancora quella voce.
-È
pazzo, è pazzo!!!- gridava disperato e in preda al panico il
giovane assassino. Tentò di arrampicarsi sulla parete
saltando agilmente sulla fontana, ma Altair lo afferrò per
il cappuccio intimidendolo a restare nell’edificio.
-È
pazzo!- ripeteva quello, anche quando l’assassino di alto
rango lo sbatté a terra inchiodando la sua fuga. Il giovane
strisciò tirandosi su, in viso aveva l’espressione
di chi aveva visto un fantasma. –È pazzo,
è…- s’interruppe improvvisamente, e da
sconforto, gli occhi neri gli s’inumidirono di gioia. -Dio
esiste!- strillò il ragazzino abbracciando d’un
tratto il suo maestro, ed Elena si scostò interdetta.
-Maestro
Altair! Che il cielo sia lodato!- gemé Rauf
inginocchiandosi. –Meno male che siete qui, maestro! Allah,
Cristo! Quale dei due devo ringraziare…-.
Altair
aggrottò la fronte ma non disse nulla.
-Razza
di codardo, torna subito qui!- la voce che veniva dall’altra
camera si fece più vicina. –Con che coraggio
fuggi, novizio!?! Torna indietro, o giuro che il dito te lo taglio di
persona anche all’altra… mano…
e…-.
Il
Rafik senza un braccio comparve sull’uscio della stanza. Il
suo sguardo color nocciola si spostava svelto da un assassino
all’altro, prima indugiando sul novizio dal cappuccio grigio
che aveva tentato la fuga dalla sua collera, ed in fine sul sorriso
sbigottito di Altair che mosse un passo in avanti.
-Posso
sapere che cosa succede, Malik?- domandò ridendo.
-Tu…-
sibilò il Rafik. –Tu… e…-
Malik la notò, ed Elena si abbassò il cappuccio
in segno di rispetto. –Tu e lei!- digrignò egli.
–Sareste dovuti essere qui due mattine fa! Cosa vi ha
trattenuti, se è da una settimana che Corrado muove i suoi
uomini in questa direzione!- gridò ancor più
rabbioso.
Altair
e la ragazza si cambiarono un’occhiata complice alla quale,
però, Elena non seppe resistere allungo così da
abbassare svelta lo sguardo sul pavimento.
-Ci
sono stati degli…- cominciò Altair ammirando la
malinconia della sua allieva un’ultima volta. –Ci
sono stati degli imprevisti- ribadì serio.
-Imprevisti!?-
Malik gli fu di fronte con solo tre passi. –Imprevisti?!
Altair, Corrado riceve la sua nomina domani all’alba! Mi
stavo caricando del fardello di affidare l’incarico a Rauf e
Abbas perché voi non vi eravate presentati!- proruppe
terribilmente angosciato.
Elena
si fece da parte, stringendosi contro la parete
dell’ingresso, appoggiandosi di seguito al bordo della
fontana sulla quale sedeva anche Rauf che sorrideva beffardo, quasi
divertito.
Altair
si guardò attorno. –Avresti mandato Rauf e Abbas
al nostro posto?- domandò incredulo.
Malik
annuì. –Chi altri, io?!- ribatté
sarcastico alludendo al suo braccio mancante. –Il tempo
stringe, le loro indagini li hanno condotti a buon punto, ma questo
stupido!- indicò l’assassino dal cappuccio grigio
seduto accanto a lei. –Questo stupido ha tentato di
intrufolarsi nel Tempio passando dall’ingresso principale!
Guardalo, ti prego!- Malik si avvicinò al ragazzo e gli
afferrò con violenza il volto. Questo non si
ribellò, ma nelle venne prese a scorrergli la paura che si
riversò nei suoi muscoli cominciando a farlo tremare come
una foglia. -Guarda come ride, questo bastardo fuori di testa! Il
consenso gliel’avevo dato, ma ha perduto persino la piuma
oltre alle sue armi!- con uno strattone, gli lanciò il
mento.
Rauf
rimase dov’era incrociando le braccia al petto e sprofondando
nel cappuccio nascondendo il suo profondo rammarico.
-Rauf-
lo chiamò Altair, e il ragazzo si voltò.
–È vero che hai perduto la piuma? E le armi?-
chiese.
Egli
annuì.
Il
maestro della Dea, che nel frattempo si era isolata in uno dei quattro
angoli del loca accanto ad una pianta, si adombrò.
–Perché lui e non Abbas? C’è
una differenza di rango piuttosto esaltante, non trovi?!- gli
rinfacciò, e il Rafik tacque alcuni istanti.
-Ah!-
rise improvvisamente il capo sede. –Credi che se non ci fosse
un motivo plausibile, prenderei certe decisioni azzardate?!-.
-Maestro
Altair!- chiamò una terza voce nuova, proveniente dalla
stanza accanto.
Elena
fu la prima ad adocchiare un ragazzo seduto tra i cuscini
nell’altro locale. Era più vecchio del capo sede
stesso che invece pareva avere la medesima età del suo
maestro. Quell’uomo steso a terra con una gamba stretta in
uno spesso bendaggio era Abbas, che dalle vesti mostrava lo stesso alto
rango di Altair.
Altair
e Malik si spostarono nella seconda camerata e, con grande stupore del
primo, Malik aggiunse: -Stavano facendo delle indagini alla porta nord.
Un bravo arciere che mirava alle gambe- borbottò collerico.
Elena
si avvicinò al bancone e stesse in disparte accanto a
quello. Rauf si alzò dalla fontana e rimase in piedi in un
angolo della camera.
Altair
si chinò al fianco del ferito. -Fratello, cosa
l’ha permesso?- chiese.
Abbas,
senza pensarci due volte, spostò lo sguardo sul novizio dal
cappuccio grigio.
Rauf
sgranò gli occhi, mentre quelli dei presenti si puntavano
tutti su di lui.
-È
stato un incidente!- si difese il ragazzo stringendosi nelle spalle.
-Ci accerchiavano, ed è già molto se sono
riuscito a riportarlo qui vivo!- gridò.
-Sì,
certo! Già è molto se ti sei accorto che ti
gridavo di tornare indietro a riprendermi, dato che correvi come un
forsennato e mi hai lasciato steso a terra senza neppure degnarmi di
uno sguardo se non cento metri più avanti!
Quand’eri nascosto in un giardino pensile!- proruppe Abbas
inferocito.
-Basta!-
strillò Malik, che tra tutti aveva cominciato quello scempio
per primo scagliando quel vaso.
-La
questione è molto più seria di quanto possiamo
immaginare- si diresse dietro il bancone sul quale era distesa una
cartina dettagliata del solo distretto medio. Su di questa vi erano
puntati alcuni spilli che stavano ad indicare le zone maggiormente
controllate riportate dalle indagini a poco svolte.
Altair
si avvicinò al tavolo ed Elena con lui, voltando le spalle
agli altri due assassini.
Malik
sollevò la sua attenzione dalla carta alla ragazza. -Mi
spiace dover convenire ai saluti in questo modo, Dea, ma come
vedi…-.
Elena
annuì silenziosamente.
-Bene-
sospirò il Rafik volgendo il suo sguardo sul maestro della
giovane. –Sarò pronto a consegnarti la piuma,
fratello, dopo che avrai prestato attenzione alle informazioni che
abbiamo ricavato dalle indagini. Ma temo di dover confessare che il
tentativo di Rauf di questa mattina, ha mandato a rotoli i nostri
piani. Per tanto, molto del ricavato potrà esserci ancora
utile, ma l’omicidio è dovuto essere posticipato
alla data stessa dell’Incoronazione. Ovvero, domani
all’alba- pronunciò schietto e contenuto.
-Malik,
pensavo che Tharidl ti avesse informato-.
-Di
cosa?-.
Altair
le volse un’occhiata ed Elena prese fiato.
-È
a me che dovete consegnare la piuma- disse la ragazza.
Malik
tacque allungo interdetto. –Perché non ne sapevo
nulla?!?!-.
Altair
alzò le spalle.
-Quel
vecchio pazzo se la vedrà con me un’altra volta!
Ma come? È assurdo, inconcepibile… Altair, non
possiamo rischiare che…-.
-Mi
fido di lei. Così come si fida Tharidl, e di come ti fiderai
tu. Ora esponi- dichiarò serio il suo maestro.
Malik
si scostò dal bancone indietreggiando. –No!-
strillò. –È una decisione alla quale
avrei dovuto prendere parte pur io! Come Rafik, ma ancor prima come tuo
compagno! Non se ne parla, è una ragazza, una Dea! Non posso
credere alle tue parole, fratello! Non è arrivata nessuna
colomba che spiegava ciò!-.
-Impossibile-
intervenne lei.
-Mah-
bofonchiò il Rafik.
-Malik,
è assurdo che tu non ne sappia nulla, ma
c’è una spiegazione plausibile-.
-Come
Rafik sta a me giudicare! Ma se c’è un motivo per
il quale non ne sono stato informato, bhé parla!-
ruggì irritato.
-Probabile
che molti dei nostri piccioni viaggiatori siano stati intercettati. Non
c’è altro modo. Ho assistito Tharidl nel mente
liberava la colomba dal suo studio, dopo aver letto con lui la lettera!
Temeva che sarebbe potuto succedere, così ha voluto che
fosse la mia parola a lottare con la casualità
dell’evenienza! Malik, devi credermi!- digrignò
allungandosi sul tavolo. –Può farcela, ne
è in grado! Non come Dea, ma…- si volse a
guardarla, ed Elena chinò il capo. –Ma come mia
allieva- pronunciò più cauto tornando con gli
occhi su di lui, ma Malik restò rigido.
-Non
la conosco abbastanza. Come posso giudicare le sue capacità
se le indagini le sono già state svolte, eh? Dimmi questo-
proruppe.
-Non
ti serve conoscere lei- proferì Altair in tono calmo.
Malik
assentì sbuffando.
-Ti
basti conoscere me, e sapere che io mi fido di lei- ribadì.
–E so bene che questo basta e avanza- sorrise armonioso.
Il
capo sede distolse lo sguardo assorto nei suoi macabri pensieri. Il
broncio sul suo visto si calcò oltremodo quando Altair
aggiunse:
-O
preferisci che sia Rauf a ritentare, domani?-.
-No-
Malik sedette allo sgabello dietro il banco. –Va bene-
sospirò soffermandosi su di lei, ed Elena accolse la sua
occhiata sorridendo.
-Ma
voglio che non sia sola- dichiarò il Rafik allungando
l’unico braccio verso la libreria alle sue spalle ed
afferrandovi un tomo bianco che poggiò sul tavolo. Intinse
una piuma nel calamaio e prese a scrivere, mentre un ghigno ancora
insoddisfatto si stagliava sulle sue labbra.
-In
che senso?- domandò Altair.
-Domani
voglio che prenda parte anche tu alla cerimonia. Devi essere
lì con…- indugiò rabbrividendo. -Con
Rauf per qualsiasi evenienza-.
-E
sia- annuì il suo maestro.
Malik
lo fulminò con un’occhiataccia. –Che
è successo alle tue vesti?- domandò continuando a
scrivere.
Altair
si trattenne dal ridere. –Ah, vedi… uno dei nostri
imprevisti è stato un Templare piuttosto intransigente-.
-Sei
ferito?- chiese ancora poggiando la penna.
-Lo
ero- mormorò l’assassino. –Mi servono
solo delle nuove vesti- si guardò attorno.
-Sul
soppalco. Secondo baule- gli disse Malik.
Altair
si avviò sulla scaletta di legno e scomparve sul ripiano in
legno.
-E
tu- la chiamò ad un tratto, ed Elena si voltò a
guardarla. –Elena, giusto?-.
Lei
annuì.
-Mi
spiace essere così diffidente, ma spero che tu comprenda la
situazione e…-.
La
ragazza lo anticipò rincuorandolo ancora una volta.
–Sì, lo comprendo-.
-Ottimo.
Quindi, sarà la tua la lama- commentò poggiando
l’unico braccio sul tavolo.
Chinò
la testa. –Sì-.
-Se
posso, perché Altair confida tanto in te- alzò un
sopracciglio, ed Elena non riuscì a trattenere un sorriso
schiavo dell’imbarazzo.
-Credo
di aver ottenuto alcune conferme- rise il capo sede.
Rauf
e Abbas, intanto, chiacchieravano rumorosamente dalla stanza accanto.
-Sei
un dannato! Questa me la paghi!-.
-Ne
avevamo già scusso! E non è colpa mia se hai
voluto che prendessimo quella strada!-.
-Mi
riferivo ad oggi! Perché non hai ubbidito alle indicazioni
del Rafik!?- ruggì quello da una gamba ingessata.
-C’erano
troppe guardie pure da quella parte!-.
-Cretino!
Perché, se passi dall’ingresso principale non ce
ne sono?!-.
-No
non ce n’erano!-.
-Buffo,
ma non ti credo!-.
-Fa’
come vuoi!- sbuffò Rauf, e proseguirono ben oltre.
Altair
tornò giù dal soppalco con la maglia bianca
pulita e si spogliò della mantella grigia.
-Non
metterle adesso!- gli suggerì Malik sistemando il tomo che
aveva sul tavolo tra gli scaffali.
-Come
mai?- domandò interrogativo l’assassino.
Malik
sorrise ad entrambi i nuovi arrivati. –Se permetti, vorrei
dare un’occhiata e controllare che non si sia infettato
nulla. Ma come seconda cosa sarete stanchi, affamati e sporchi.
Altair
si privò della parte superiore della tunica che, in quel
punto, era tranciata da una decina di colpi di spada e si
avvicinò al bancone. -Va bene, ma non abbiamo tempo
per…- provò a dire.
-Se
confidi così bene in lei, sarai tu ad occuparti delle ultime
indagini- intervenne Malik avviandosi in un buio stanzino alle spalle
del tavolo. -Mentre Elena avrà modo di prepararsi a dovere.
Non preoccuparti, è in buone mani- gli arrise tornando nella
stanza con una sacca che poggiò sul banco.
Altair
annuì per niente certo.
Elena
si sistemò al tavolino degli scacchi e cercò di
osservare il meno possibile ciò che Malik fece alla pelle
bronzea del suo maestro. Tentò persino di giocare da sola,
fin quando il capo sede non chiamò Rauf che, sotto suo
ordine, le fece compagnia.
Elena
perse due volte di seguito mosse appena le venti pedine. Non era che
non le andasse di giocare, era semplicemente distratta. Sì,
distratta da quel corpo a torso nudo seduto accanto al bancone del
Rafik che si apprestava a controllare ciascun taglio, come quella volta
ad Acri.
Provò
un incredibile rimorso, ma non seppe spiegarsi il perché. A
breve Altair avrebbe svolto per lei le indagini mancanti
perché la sua allieva potesse infiltrarsi a palazzo e
partecipare all’Incoronazione attivamente per poi infierire
sulla vita del festeggiato. Quei tasselli Altair li avrebbe scoperti
vagano a vuoto per la città, arrampicandosi sui muri e
saltando da tetto a tetto traversando il vento. Elena avrebbe voluto
essere lì con lui, ma Malik aveva parlato di
“preparativi” differenti per quanto la riguardasse.
Non poté far altro se non interrogarsi su che genere di
preparativi si trattassero.
-A
sta sera, dunque- disse Altair finendo di allacciarsi la cintura di
cuoio.
Elena,
spaventata, si alzò dallo sgabello d’un tratto,
attirando impacciata l’attenzione di Rauf e Malik, oltre che
del suo maestro.
-Sì,
ecco… meglio che mi sto zitta- si risedette lentamente.
Altair
e il capo sede si scambiarono un’ultima occhiata, poi
l’assassino si volatilizzò fuori dalla Dimora.
-Elena-
la chiamò Malik qualche istante di silenzio più
tardi. Il ragazzo si apprestò a risistemare i medicinali e
le garze pulite nella sacca, gettando invece quelle usate in un cesto
sotto il bancone.
La
ragazza tornò in piedi e si avvicinò a lui.
-Sì, Rafik-.
Malik
le sorrise benevolo avviandosi nello stanzino. -Seguimi- ed ella
obbedì.
C’era
una scaletta stretta e di legno che scendeva fino ad una saletta del
seminterrato dove, Elena notò bene, vi era un salotto
più grande che al centro ospitava una vasca che faceva
concorrenza a quelle che ricordava negli appartamenti delle Dee.
Riempita
fino all’orlo di acqua cristallina e contornata di cuscini
sui quali vi erano adagiati degli asciugamani, era tanto, tanto
invitante.
-Spero
non ti dispiaccia se è a temperatura ambiente, ma vi
aspettavamo parecchio tempo fa- ridacchiò l’uomo
senza un braccio.
-No,
non è… nulla- mormorò Elena
guardandosi attorno.
-Bene.
Prenditi tutto il tempo che ti serve, per qualsiasi cosa sono di sopra-
disse e si avviò risalendo la scala.
Elena
esitò una manciata di minuti a fissare la vasca senza
accennare un movimento. Quasi non le andasse di lavarsi, quasi volesse
scappare come faceva da piccola, esitò quello che le parve
un tempo troppo breve.
Si
spogliò lentamente, entrò in vasca e fu sorpresa
di trovarvi l’acqua ancora abbastanza calda e ospitale.
E,
inevitabilmente, chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi,
pensando a qualcosa o qualcuno che non riguardasse né
Corrado, né Marhim e il momento in cui l’avrebbe
rivisto, né il suo maestro.
In
conclusione, pur di lasciar correre il tempo, preferì
addormentarsi.
La
lama penetrò nella carne, all’altezza del petto.
Fu un istante infinito quello in cui i suoi occhi neri si persero in
quelli azzurri di lei che, pur di liberarsi dalla stretta,
iniziò a strillare disperata. Il suo nome, quello che non
avrebbe mai dovuto rivelare a nessuno dei cavalieri presenti alla
cerimonia. Il nome di un assassino, il nome dell’uomo che
aveva amato, il nome del suo maestro. Era questo che gridava,
strattonandosi e tentando di divincolarsi. Ma il nero di quegli occhi
si spense in un barlume grigiastro, ed infine calarono le palpebre,
chiuse come stesse dormendo. E Corrado rise.
Si
svegliò d’un tratto, agitando appena le braccia
nell’acqua e irrigidendo i muscoli.
Quello
che aveva immaginato o sognato fugacemente era stato orribile, da
gettare nel dimenticatoio e da non prendere neppure in considerazione.
Alquanto
interdetta di aver solo chiuso occhio ed essersi svegliata in piena
serata, Elena si guardò attorno spaurita. Si accorse che nel
bagno erano state accese delle candele e ne contò una
quindicina, mentre dal piano di sopra venivano delle urla…
Altair
piegò le ginocchia per attutire il colpo, ma una fitta di
dolore lo pervase su tutto il fianco sinistro. Strinse i denti, ma
tentò di non darlo a vedere ai due assassini seduti agli
scacchi.
-Era
ora! È notte fonda, fai rapporto- sibilò Malik
senza neppure salutarlo, e quel suo atteggiamento lo lasciava
terribilmente confuso.
Ma
dopo la morte di Al Mualim non avevano fatto pace? Si chiese.
Gli
raccontò per filo e per segno cosa aveva fatto in tempo a
fare. Si erano tratti per la maggior parte di piccoli lavoretti sul
confine del distretto medio con tanto di alcuni interessanti borseggi.
L’assassino
si appoggiò di spalle alla parete, accanto a lui si ergeva
lo stendardo della setta.
-Di
guardie ne ho eliminate a più non posso, ma il lato nord del
palazzo è ancora coperto dalle pattuglie che,
fortunatamente, non sostituiranno fino alla sera di domani dato che
diffidano nei cambi di turno. Ma è qui che si sbagliano; se
non manderanno nessuno a prendere il posto degli uomini che ho ucciso,
non si accorgeranno che quelle zone sono vuote. Così Elena
avrà via libera. Ma ti ripeto, il lato nord è
ancora occupato. Ero troppo stanco e… sono tornato indietro-.
-Troppo
stanco?- lo derise Malik.
Lui
annuì, sperando che non se la prendesse troppo. Ma
dopotutto, a rimetterci erano tutti quanti se Altair aveva sbagliato
qualcosa. E scommesse con se stesso che Malik avrebbe adottato quel
genere di ramanzina, facendogli pesare sulla coscienza che non era il
solo a rimetterci.
-Non
m’importa, avresti dovuto fare tutto il possibile per
sbarazzartene!- sbottò Malik.
Altair
si stanziò dalla parete incrociando le braccia al petto.
–E l’ho fatto. Almeno la metà delle
guardie sulle mura sono cadute a precipizio dall’altra parte.
Il tetto sud del Tempio è pulito, e prima che qualcuno se ne
accorga, domani mattina all’alba io, Elena e Rauf saremo
già alla cerimonia-.
-Non
potete passare dal tetto. Hanno dei soldati appostati sulle torri del
palazzo, vi vedranno- pronunciò nervoso il capo sede.
-E
chi ti dice che non abbia pensato anche a quelli?- ridacchiò
l’assassino.
-Cosa
ci trovi di tanto divertente?! Qui ne vale in gioco la tua, la mia, la
sua- indicò lo stanzino alle sue spalle alludendo alla Dea
che era di sotto –e la vita di quei poveri cristi!-
puntò l’unica mano nella camera accanto dove Rauf
e Abbas si sfidavano a scacchi. –Scusami tanto, ma ancora non
colgo l’ilarità di tutto questo!- ruggì.
Altair
si voltò di profilo abbassando lo sguardo.
-Come
credevo- disse Malik tornando lentamente seduto dietro il bancone.
-Perché
mi tratti ancora così?-.
-Perché
sei un irresponsabile! Ti ostini a voler fare come sempre di testa tua,
e guarda che cosa hai combinato! Corrado deve morire prima di diventare
Re, hai capito?! Prima! Si può sapere cos’altro ha
ritardato il vostro arrivo oltre quel maledetto Templare che giuro, se
è ancora vivo, lo ammazzo di persona!- strillò
alzando gli occhi al cielo.
-Mi
spiace deluderti, ma costui che disprezzi tanto è morto,
grazie alla mia testa- sogghignò tra sé e
sé.
Malik
restò parecchio interdetto. -La tua testa?…-.
-Lascia
stare- sorrise mesto.
-Ti
sbagli, invece insisto! Avanti, illustrami i tuoi rammarichi! Se
c’è qualcosa che ti turba, dovresti raccontarlo a
me. Ma non come Rafik- pronunciò sbollentandosi. -come tuo
amico- sospirò.
Altair
si guardò attorno circospetto. –Avanti, chi ha
cerbottanato il mio Rafik preferito?!- scherzò.
Malik
scoppiò in una fragorosa risata. –Non ci sono
sedativi in questa Dimora, mi spiace. Sarà stato qualcun
altro- rise. –Forza, parla- fece allegro.
Altair
prese un gran respiro e si sedette su uno degli sgabelli di fronte a
lui.
-Tanto
lo so che riguarda la tua allieva- borbottò divertito il
capo sede.
Altair
accennò un sorriso che durò pochi secondi.
-Non
puoi mentirmi, quindi ti conviene parlare prima che lo vada a chiedere
a lei- azzardò un passo indietro.
-No,
fermo! Va bene, va bene- ridacchiò l’assassino, e
Malik tornò al suo posto. –Scusami, è
che me ne vergognò un po’, ecco tutto-.
-Quanti
anni ha, la fanciulla?- chiese allegro.
-Diciassette-.
Il
Rafik tacque alcuni istanti. –Sei un bel guaio. Se mi diventi
scapolo che attacca con le ragazzine adesso, non oso immaginare dove
andrai a finire di questo passo!- lo derise.
-Malik,
non sto scherzando. Quella ragazza mi ha totalmente preso, e cerco di
dare una vana spiegazione ad ogni mio atteggiamento scartando
l’ipotesi che…-.
-Ne
sei innamorato?-.
-Sì,
esatto- borbottò. –Parlare di tutto ciò
adesso mi sembra assurdo, Malik. Domani…-.
-No,
no!- lo interruppe. –Adesso va benissimo, anche
perché se te lo tiri dietro durante la giornata di domani,
qui mi torna vivo solo Rauf- sbuffò.
Altair
trattenne una risata. –Qualcuno ti ha davvero sedato-.
-Cerca
di fare in fretta. Devi parlare con Elena delle indagini.
Perciò stringi, fratello-.
-Beato
tu che te ne stai in questo buco- si mise a braccia conserte sul tavolo.
-Ah!
Già, beato me. Hai idea di quanto mi manchi qualcuno che mi
faccia compagnia che non siano quei due squinternati!-
sussurrò guardando gli assassini che giocavano a scacchi
poco distante.
-L’ho
sempre saputo che ti serviva una donna- ridacchiò lui.
-Non
ho detto questo!-.
-Si
vede lontano un miglio, Malik-.
Il
capo sede lo fulminò con un’occhiataccia.
–Perché siamo arrivati a questo punto? Non
parlavamo di te?!- digrignò.
Altair
si strinse nelle spalle.
-Stavi
dicendo?- bofonchiò l’uomo senza un braccio
guardandosi attorno.
L’assassino
prese a stringersi le cinghie del guanto destro. –Speravo di
chiederti qualche consiglio, ma in questo frangente sei meno esperto di
me- pronunciò serio.
-In
che frangente? Ah…- lo inchiodò con uno sguardo
in cagnesco. –Vogliamo parlare di Adha?-.
-Colpo
basso! Colpo basso!- strillò Altair sotto tono.
-Ma
scommetto che è per questo che hai l’innamoramento
facile. Trovi in Elena qualcosa che in Adha non c’era?
Forse… la giovinezza?-.
-Stai
andando fuori strada, Rafik- lo stuzzicò.
-Fammi
riflettere- fece assorto Malik. –Avete ritardato di 36
ore… siete stati soli… magari in una qualche
Dimora abbandonata del Regno…- parve illuminarsi
d’un tratto.
Altair
rabbrividì. –Che c’è?-.
Lo
sguardo di Malik vagava nel vuoto della stanza dritto di fronte a
sé e si spostò lentamente nel suo.
-Altair…-
digrignò il capo sede.
-Che
c’è?!- ribadì ancor più
sbigottito.
Malik
scoppiò a ridere dopo pochi secondi. –Ora capisco
tutto. Avanti, vattene. Di questo non devi discutere con me, forza- gli
indicò lo stanzino alle sue spalle. –Va’
a parlarle- continuava a ridere, incessantemente, attirando per di
più l’attenzione di Rauf e Abbas.
Altair
sospirò pesantemente e riscese le scalette che portavano nel
seminterrato.
Sorrise,
e il fatto che fosse lì non poté far altro che
rallegrarla.
-Spero
di non aver interrotto nulla- fece allegro Altair entrando nella stanza.
-No,
nulla- mormorò Elena abbassando lo sguardo sul suo corpo,
fortunatamente, poco guardabile dato il soffuso coloro
dell’acqua che le arrivava fino alle spalle.
Altair
si sedette su uno dei cuscini accanto alla vasca e appoggiò
la schiena contro la parete. Il cappuccio abbassato, il sorriso sulle
labbra, lo sguardo che non si soffermava su altro che non fossero gli
occhi di lei.
Le
guance le si colorarono di quel poco che bastò ad Altair per
allungare ulteriormente il suo ridere.
-Ci
sono stati problemi? Perché siete qui?- balbettò
flebile.
-Sì,
in effetti qualche problema c’è stato-
ridacchiò –ma nulla di grave. Piuttosto, siccome
Malik ha insistito affinché riposassi il più
possibile, mi ha chiesto di riassumerti tutti i dettagli delle indagini
concentrando il tempo in un breve lasso di questa sera, così
che tu possa allungare il sonno quanto ti basta-.
-Siete
venuto a rompermi le scatole mentre faccio il bagno piuttosto che
parlarmene a cena o domani mattina a colazione?!- chiese incredula.
Lui
annuì. -Assurdo, ma è incredibile quanto Malik
stesso voglia accorciare la faccenda. Piuttosto, mi stavo
chiedendo…-.
-Cosa?-
domandò lei distogliendo lo sguardo.
-Sicura
di non avergli detto nulla? Mi guardava in modo strano quando sono
tornato- rise, ed Elena con lui.
-Nulla,
ma credo che sia abbastanza sveglio come Rafik- sorrise lei.
-Quell’uomo
mi conosce da molto più tempo- sussurrò assorto
nei suoi pensieri, chinando la testa.
-Come
mai?- chiese curiosa.
-Mi
pare di averti parlato di quella volta ad Aleppo, quando…-.
-Sì!-
gioì Elena. –Mi ricordo, ecco perché il
suo nome mi era duplice familiare- rise.
-Prima
e dopo di quella volta- cominciò lui. –ce ne sono
state tante altre. Kadar non veniva poi così spesso con noi,
ma io e Malik eravamo inseparabili- rimembrò probabilmente
alcuni dei suoi ricordi migliori.
Elena
ci pensò alcuni istanti. –Come mai adesso
è Rafik?-.
-Al
Mualim gli propose questa carica per non restare in disparte alla
confraternita. Ma è stata di per più una sua
scelta. Era particolarmente legato a questa città e il Rafik
che vi era prima di lui morì qualche anno addietro alla
missione nel Tempio di Salomone. Erano mesi che cercavano qualcuno di
nobile alla Dimora di Gerusalemme, e alla fine l’hanno
trovato. Al Mualim e i suoi saggi si sono complimentati del suo
coraggio; io ricevetti la notizia assieme alla lista dei celebri nove
nomi, ma quando giunsi a Gerusalemme per l’uomo di cui dovevo
occuparmi, Malik continuò ad odiarmi nonostante tentassi in
mille mondi di scusarmi! Prima Kadar, poi un braccio ed è
stata tutta colpa mia…-.
Elena
rabbrividì. -Come colpa vostra? Cosa avete fatto
precisamente?-.
Altair
sospirò carezzando un asciugamano lì vicino.
-Ancora una volta ti accorgi di come neppure il tuo maestro sia
perfetto, non è così?- domandò
spensierato.
-Sì,
in effetti- mormorò ella affondando fino al mento
nell’acqua.
-Cerca
di non distrarti- le sussurrò soave.
-Distrarmi,
e come?- chiese confusa.
-Pensando
a cosa è successo. So bene che ti tormenta ancora-.
Elena
scese giù fino a nascondere le labbra nell’acqua
della vasca. –Hmm- mugolò.
-È
stato davvero sciocco farlo accadere ora, e me ne prendo ogni colpa se
può farti star meglio-.
La
ragazza tacque, e il suo maestro proseguì.
-So
che sei in grado di isolare la mente e concentrarla
sull’ardore della rabbia che provi per Corrado, anche se
è l’unica cosa che non ti ho insegnato. Sono certo
al cento per cento che ce la farai…- s’interruppe
pensando ad altro. -Quando ti ho chiesto che cosa avessi intenzione di
fare una volta che avessimo salvato tuo padre, mi riferivo al fatto se
gli avresti parlato di me e in che modo-.
Un
brivido le percorse la schiena ed Elena si risollevò
tornando con l’acqua alle spalle. –Io…-.
Altair
scosse la testa. –Ti prego, lasciami finire-.
Elena
annuì, percependo gli occhi inumidirsi.
-Quello
che più mi ha sconvolto è stato scoprire che cosa
ti passava per la testa!- scoppiò in una fragorosa spiegata.
–Non voglio mica darti pena, ma spiegami come sei arrivata ad
una simile conclusione!-.
Sembrava
tanto divertente? No, perché invece di ridere Elena
cominciò a piangere silenziosamente, trattenendosi dal
singhiozzare.
-Non
ho idea di cosa gli avrei detto a riguardo…-
mormorò lei. –Ma probabilmente ci sarebbe arrivato
da solo- trovò la forza di sorridere –dato che con
Malik è successo così-.
Altair
si rallegrò a quelle parole, ma non notò comunque
il tono di molto affranto di Elena. –E se glielo avessi detto
io?-.
-Dirgli
che cosa, poi? Che avete sottratto voi la verginità di sua
figlia!? Ah! Forse sarebbe stato contento- sibilò scontrosa.
-No,
scusami- intervenne lui –era una domanda stupida- disse serio.
-Sì,
parecchio- sibilò la ragazza.
-Ma
venendo a noi- Altair si tirò su. –Ascolta bene e
cerca di sognarti una tattica che funzioni, sono stato chiaro? Domani
mattina avremo i minuti contati, necessari solo a stabilire il percorso
più breve sulla carta e raggiungere il Palazzo…-.
Altair
le fece una lunga lista di luoghi, appostamenti. Accennò al
fatto che nessuna pattuglia di guardie effettuava cambi fino alla sera
successiva, così da non avere buchi nel quale presunti
assassini avrebbero potuto infiltrarsi. Le disse che si era occupato
dalla stragrande maggioranza degli arcieri sui tetti e che
l’avrebbe accompagnata fin dentro la sala
dell’Incoronazione che Elena, dannatamente, poté a
stento immaginare dato il fatto che non vi era mai stata. Rauf sarebbe
venuto con lei, l’avrebbe scortata oltre e si sarebbe
mimetizzato tra i posti a sedere spartani vicino
all’ingresso. Altair, invece, avrebbe vegliato su di lei
dall’alto dei balconi che affacciavano sulla navata
principale.
Pochi
minuti per un lavoro pulito e accurato. Prima del suo ingresso in sala,
Corrado avrebbe sostato nella parte nord del ovest del palazzo in una
delle stanze riservate. Avrebbero colpito all’alba anche
prima che si svegliasse.
-Domani,
21 Aprile 1193, a quest’ora, Corrado sarà
già morto- concluse così il suo discorso, ed
Elena annuì soddisfatta.
-Ora
esci di qui, prima di prenderti un accidenti- l’assassino si
chinò a raccogliere un asciugamano abbastanza grande e
glielo porse.
-Posso
fare da sola, o dovete…- mormorò lei percependo
il calore delle guance aumentare.
-Sì,
scusa- si voltò e andò dritto verso le scale.
Ascoltò il fruscio dell’acqua smossa dai suoi
movimenti, ma sull’ultimo, senza che Elena se ne accorgesse,
si girò per scorgere da lontano la morbidezza dei suoi
fianchi e le goccioline correre verso il basso correndo lungo le sue
gambe.
Nient’altro,
poiché Elena fosse di spalle e si avvolse svelta
nell’asciugamano stringendoselo attorno al seno. Le arrivava
appena a metà coscia, ma già quella vista lo fece
sorridere.
-Ehi!-
la ragazza afferrò un cuscino e glielo scagliò
contro.
Altair
fece un passo indietro e lo afferrò al volo. Non disse
nulla, ma sul volto gli comparve un sorriso strano: divertimento e
gioia, questi due elementi mescolati ad un incredibile imbarazzo.
–Scusa- sussurrò appena.
Elena
rimase immobile, di fronte a lui. –Siete stato voi a dirmi
che andava bene così, ed io non ho insistito oltre-
mormorò.
-Sì,
ma quello tremendamente confuso sono io. Quindi non pensare a me-
lanciò il cuscino dove Elena l’aveva pescato e si
avviò al piano di sopra.
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Capitolo 50 *** Vani incontri, belli duelli ***
Vani
incontri, belli duelli
Quando
tornò al piano di sopra, già vestita della sua
veste, Elena si strinse nelle spalle e andò a sedersi sullo
sgabello dinnanzi al tavolo da scacchi. I capelli ancora umidi li
teneva legati in una coda alta.
Malik
l’adocchiava ogni tanto circospetto nel mentre la sua unica
mano lo teneva impegnato nella tra scrittura sulle Cronache di qualcuno
degli assassini lì presenti. –Finisco subito, poi
sono da te per la cena- le disse.
-Non
ho fame- brontolò lei.
-Stiamo
scherzando?- domandò serio Malik continuando a scrivere.
–Che per caso siete telepatici? Avete la stessa malattia?!-
fece sbigottito squadrano sia lei che il suo maestro. –Tu,
mia cara, sei pelle e ossa, e questo qui mi fa il depresso! Non
mangiate tutti e due da tre giorni, ed è l’unica
spiegazione concreta- si voltò a guardare l’altro
assassino. –Come mai vi si è bloccato lo stomaco
in questo modo?- chiese, ma non ottenne risposta.
Altair
era appoggiato alla parete con le braccia conserte e fissava assorto il
pavimento sotto i propri stivali. Elena, in disparte nel buio,
contemplava le pedine parecchio turbata dalla piega degli atteggiamenti
del suo maestro.
-Ehi!
Parlo ad entrambi voi!- strillò Malik attirando
l’attenzione.
-Fratello,
se non ha fame non puoi pretendere di imboccarla- proruppe Altair.
Il
capo sede sbuffò scocciato. –Sì, ma
dato che siete sotto la mia responsabilità e domani
sarà una giornata pesante, non posso permettere che andiate
in missione senza aver messo qualcosa sotto i denti. È
inammissibile, oltre che parecchio strano- commentò.
Rauf
e Abbas chiacchieravano nella stanza accanto. Sopra il tetto della
Dimora si apriva un magnifico cielo stellato, e Gerusalemme taceva nel
silenzio della notte.
Altair
sorrise. -Comunque sia, ribadisco: se non ha fame, non possiamo
costringerla-.
-Parli
così solo per dare una scusa a te stesso! Guarda che a te ti
ci imbocco!- sbottò Malik.
-Chi
ti da certe libertà?- ridacchiò il suo maestro.
-Cancella subito l’ultima frase!- lo minacciò.
-Devo
restare imparziale, mi spiace- sorrise beffardo Malik. -Non puoi
interferire ed è il mio occhio soltanto a giudicare-
assentì divertito.
-Come
sei arrivato ad una tale conclusione?!- si stupì Altair
abbassando il tono.
Malik
si girò ad afferrare dalla libreria un piccolo tomo che poi
aprì sul tavolo. Prese la penna che intinse
nell’inchiostro e cominciò a scrivere.
–Se lasciassi alcune testimonianze nelle vostre Cronache,
almeno in futuro si saprebbe che la causa della vostra morte in
missione è stata per astinenza da cibo!- eruppe.
–Pertanto, mi astengo nell’alludere a tutti- rise
sotto i baffi –e dico tutti i dettagli-.
Elena
osservava assorta le pedine della scacchiera prendendone in mano una e
ammirandone la lavorazione elaborata e dettagliata. Sembrava non
curarsi affatto di cosa stessero discutendo, ma al contrario, come non
dava a vedere, non si aspettava altro che una divertente chiacchierata
tra i due cui assistere imparziale! E chissà, magari di
mezzo ci sarebbe andata lei, ma la cosa l’avrebbe
ulteriormente rallegrata.
-No,
aspetta- borbottò Altair avvicinandosi. –Come
prima cosa non ti permetto di portare certa sfortuna alla missione,
quindi corna!-.
Elena
soffocò una risata, ma un istante dopo si schiarì
la gola tornando assorta sugli scacchi.
-E
come seconda punto, che genere di dettagli?- domandò
allungandosi sul tavolo.
-Oh,
bhé- fece il vago. –Ci siamo capiti, no?-.
-Mi
stai ricattando!-.
-Veramente
ce l’ho anche con la ragazza!- ridacchiò il capo
sede, ed Elena s’irrigidì.
-Io?-
balbettò la Dea indicandosi.
Malik
sbuffò divertito. –Ditemi che almeno
domani…-.
-Ti
preoccupi troppo- sospirò Altair.
-Mi
preoccupo il giusto!- ribadì il capo sede.
Altair
si allungò sotto il bancone e afferrò una mela
dal cesto nascosto nelle dispense. –Prendi!- la
lanciò alla sua allieva che l’afferrò
al volo. –Almeno lo fai contento- brontolò.
-Sì,
e tu chi sei? La figlia dell’oca bianca?!-
digrignò Malik guardandolo serio, afferrando
un’altra mela e battendola sul tavolo. I due si fissarono
allungo contorti in un’espressione che metteva paura.
Ma
in un breve lasso di tempo scoppiarono entrambi a ridere.
Elena
strusciò la mela sulla stoffa della tunica e prese a
mordicchiarla col sorriso.
Nel
mentre la ragazza consumava la sua cena, Altair si sedette dinnanzi a
lei spostando in avanti la prima pedina.
La
Dea inarcò un sopracciglio. –Voi…-.
-Avanti,
prima che cambi idea- rise. –Sta a te muovere-.
Elena
lo guardò in silenzio, alquanto sorpresa del fatto che
volesse confrontarsi con lei agli scacchi.
-Attento
Altair! Secondo me rischi la reputazione in questa Dimora-
ridacchiò Malik riponendo le Cronache ai loro posti.
Dall’altra
sala si udirono le risatine sconnesse degli altri due assassini.
-Vedremo-
le sorrise l’uomo che aveva di fronte, ed un istante
più tardi Elena accolse benevola la sfida.
Il
cavallo bianco di lei si mosse di tre caselle avanti e una destra, e
neppure mezzo secondo dopo Altair avanzò scoperchiando la
barriera impenetrabile dei suoi pedoni spostandone avanti quello che
precedeva la sua regina.
-Non
dovevo riposare?- domandò ad un tratto la ragazza.
-Ha
ragione, perciò sii clemente e lasciala vincere- intervenne
Malik studiando la carta stesa sul tavolo.
Altair
si voltò lentamente. –Grazie- sibilò.
Il
Rafik allungò le labbra in un sorriso tutt’altro
che veritiero. –Prego-.
-Mi
avreste fatta vincere?- chiese lei sorpresa.
Altair
tornò a guardare la scacchiera e poi lei. –Ovvio
che no!- rise.
Elena
lo fulminò con un’occhiataccia.
-Va
bene, forse mi sarei abbassato al tuo livello, ma…-.
-Al
mio livello?!- si sporse in avanti.
-Che
c’è, vuoi fare sul serio? D’accordo! Ma
guardati anche dai tuoi alleati…- sogghignò
maligno.
-Tremo
dalla paura-.
-E
poi si sorprende che le piace quella. Ci credo, lui stesso è
ancora un ragazzino- brontolò tra sé e
sé Malik.
-Ti
ho sentito!- proruppe l’assassino, ed Elena
arrossì miseramente. –E giuro che te la faccio
pagare, Malik- digrignò rabbioso.
-Ma
quanto vi volete bene…- mormorò la ragazza
ridendo di gusto.
La
partita si chiuse in fretta, con la schiacciante vittoria del suo
maestro che, senza un briciolo di pietà, aveva saputo
intrappolare il suo Re con poche abili manovre.
-La
sua è tutta memoria. Impara delle mosse e non se le scorda
più. Una volta che sarai in grado di riconoscere i suoi
spostamenti, lo metterai all’angolo con la stessa
facilità- le aveva sussurrato Malik quando si era seduta al
bancone della Dimora per bere dell’acqua, giusto prima di
coricarsi.
E le
ore di sonno nel frattempo si accorciavano. Pur di ritardare il tempo
del riposo, Elena aveva contemplato allungo le dettagliate cartine
della città. Accovacciata accanto alla parete con la mappa
poggiata sulle gambe incrociate, era stata lì le ore ad
osservare assorta vicoli, cunicoli, chiese e piazze. Doveva far sua
quella città come le sue tasche. Se l’indomani
avesse dovuto affrontare una fuga, avrebbe saputo cavarsela
egregiamente senza il soccorso né di Rauf e né
del suo maestro, che era ben intenzionata a lasciare stupefatto della
sua buona abilità.
Il
giovane assassino dal cappuccio grigio e Abbas risposavano tra i
cuscini nella camera accanto; Malik sembrava aver chiuso appena gli
occhi appoggiato alla parete dietro il bancone, e la ragazza restava
accovacciata nello studio con una candela poggiata sullo sgabello
vicino. A quel tenue chiarore, coccolata dal calore dei tappeti sui
quali sedeva, si convinse che sarebbe potuta crollare in sonno da un
momento all’altro. Ma invece avrebbe resistito: il distretto
povero della città richiedeva ancora le sue attenzioni, e
non le bastava sapere dove trovare dei buon nascondigli; doveva
riconoscere strade, ricordare palazzi e simboli.
Altair
si sedette ad un tratto al suo fianco, ma Elena tentò di non
dare a vedere l’incredibile imbarazzo che le metteva la sua
vicinanza soprattutto negli ultimi giorni. Diede un contegno al rossore
delle guance e ritentò più volte di riacchiappare
la concentrazione perduta, ma nulla da fare…
Altair
la guardava, e quelle sue occhiate repentine l’assoggettavano
parecchio. Forse era un suo modo per dirle basta, per ordinarle di
spegnere quella maledetta candela, ripiegare quella cartina, stendersi
e chiudere gli occhi fino all’indomani. Contò che
le restassero forse sette sei ore di sonno prima dell’alba, e
il suo maestro la implorava con lo sguardo di sfruttarle a pieno.
Era
assurdo, ma indosso ella aveva ancora tutte le parti della sua tunica;
non si era neppure degnata di alleggerirsi di certe stoffe inessenziali
della casacca. Il fodero della sua spada, le cinghie di cuoio e gli
astucci dei vari pugnali erano adagiati vicino all’ingresso
della seconda stanza, assieme all’equipaggiamento del suo
maestro e quello degli altri assassini.
Altair
distese un braccio e le sottrasse la carta da sotto il naso.
–Basta, va’ a dormire-.
-Ehi!-
gli si lanciò contro riappropriandosi del papiro.
–Chi siete, mia madre?- proruppe irritata accavallando le
gambe e riprendendo da dove aveva interrotto.
Altair
sorrise compiaciuto. –Ti rendi conto di cosa stai facendo?
Dovresti dormire, pensa a domani come il giorno più
importante della tua vita- le disse fissandola, cercando il suo
sguardo, ma ella sfuggiva ai suoi occhi che l’avevano
incantata fin troppe volte.
-No,
ho lottato con le unghie per ottenere questa cartina e la
studierò fino in fondo!- dichiarò fiera.
-Sì,
con le unghie!- ridacchiò l’assassino.
–Quando un uomo come quello si addormenta- indicò
Malik che russava con la testa appoggiata alla libreria.
–è molto difficile svegliarlo- si beffò.
Elena
non riuscì a trattener il sorriso. –Ma
è stato piuttosto difficile tentare di non svegliare
quell’uomo- ribatté allegra.
-La
mia pazienza ha un limite, Elena-.
-Vi
prego, altri trenta secondi e ho finito, promesso!- proferì
fissandolo nel profondo delle pupille dilatate per via della poca luce.
Altair
si mise a braccia conserte alzando il mento, così da
osservare il soffitto. –Il conto alla rovescia parte
ora…- sospirò.
La
ragazza si guardò attorno.
-Ventinove…-.
-Ma!-
provò a controbattere.
-Vent’otto…-
proseguì lui ridendo.
-Trenta
secondi era metaforico! Mi serve giusto qualche minuto!- lo scosse per
una spalla.
-Ventisette…-.
-Uffa!-
alzò gli occhi al cielo scocciata.
Sulle
labbra dell’assassino crebbe un sorriso sempre più
gioioso. –Vent’uno-.
-Se
alla fine della vostra conta non dovessi aver terminato?- disse ad un
tratto.
-Quindici…-.
-In
quel caso cosa …-.
Non
terminò la frase che Altair le strinse il polso
costringendola a mollare la presa sulla cartina; dopodiché
la spinse lentamente giù sovrastandola con la sua figura.
-Dicevi?- le sussurrò all’orecchio.
La
ragazza deglutì a fatica, mentre il suo cuore intraprendeva
una corsa folle battendo con violenza contro il suo petto.
–Ehm…- balbettò.
-Vi
prego, fate come se non ci fossi- ridacchiò una voce.
Altair
si sollevò di colpo. –Tu! Infame, sei sveglio!-
ruggì, e nel frattempo Elena si stanziò
strisciando verso la parete. La guance le esplosero di un colore
assurdo.
Malik
scoppiò in una fragorosa risata. –Sul serio, non
fate a caso a me- fece allegro il Rafik sedendo più composto
sullo sgabello. –Però povera, non me la
traumatizzare!-.
L’assassino
d’alto rango si trattenne dallo sfuriare.
-A
quanto pare ho interrotto qualcosa sì- Malik si
guardò attorno circospetto. –Tanto vale togliere
il disturbo- sospirò lasciando la stanza, sparendo nello
stanzino accanto.
-Elena,
non era mia intenzione, ma Malik ormai ha questa visione distorta di
noi, e…- disse voltandosi, ma la ragazza scivolò
giù fino a toccare terra con una spalla, attirò
un cuscino a sé, lo strinse tra le braccia, si
girò a guardare la parete e non volle più
ascoltare una sola parola.
Altair
sospirò pesantemente e tornò dov’era
stato seduto. Attese qualche istante, contò fino
a… trenta, ma Elena non gli diede segni di assenso.
Così,
in preda al più nero sconforto, l’assassino si
allungò verso il comodino e spense la candela con un solo,
piccolo spiffero delle labbra.
Il
mattino arrivò troppo presto, e di gran lunga avrebbe
preferito dormire. Ma poi si ricordò che aveva un certo tale
da ammazzare, suo padre da tirare fuori di galera e la cosiddetta Arma
di Dio da riportare alla setta.
Insomma,
si preannunciava una giornatina niente male.
Sentì
una mano poggiarsi dolcemente sulla sua spalla, ed Elena
aprì gli occhi in quel preciso istante, trovandosi il volto
del suo maestro a pochi centimetri dal suo.
-Tutto
bene?- le chiese.
Aveva
l’aria di una che sprizzava allegria? No. Desiderava soltanto
concludere la faccenda il più in fretta possibile, senza
ritardare o posticipare ulteriormente niente che non fosse la colazione
che, molto sinceramente, preferiva non fare.
Altair
l’aiutò ad alzarsi, e subito dopo ella si
stiracchiò sbadigliando silenziosamente dietro il palmo
aperto.
-Come
ti senti?- domandò ancora premuroso. Anche troppo,
pensò la ragazza guardandolo male.
-Sto
bene- proruppe lei scontrosa allacciandosi il fodero della spada alla
vita e constatando che lui fosse già pronto e armato.
-Non
hai dormito affatto, eh?- sorrise sornione l’assassino.
La
Dea abbassò il capo mostrando il suo profilo. -Non proprio-
borbottò.
-Ehi,
voi due!- sussurrò Malik piano dalla stanza accanto.
–Sì, voi! Spicciatevi, avanti-.
I
due assassini si avvicinarono al bancone.
-Dov’è
Rauf?- chiese Elena ancora assonnata ma senza darlo a vedere,
nascondendo la sua stanchezza dietro un tono di voce serio.
Malik
si apprestò a stendere una custodia di cuoio sul tavolo.
-È uscito pochi minuti fa per controllare in giro la
situazione, ma ora non pensare a lui!- la rimproverò truce,
sfilacciando i cordini che tenevano la custodia arrotolata. Al suo
interno si mostrarono una trentina di coltellini da lancio.
–Mi lasciate a secco, ragazzi- blaterò il capo
sede. –Spero che nel vostro viaggio come minimo vi siano
stati utili tutti quei coltelli- gli fulminò entrambi con
un’occhiataccia.
Altair
cominciò a munirsi di pugnali, quando malik parve
illuminarsi d’un tratto.
-Mi
stavo quasi dimenticando- proferì assorto.
-Cosa?-
chiese l’assassino.
-Assieme
a te e Rauf, ad accompagnare Elena ci sarà anche un altro
nostro fratello-.
-Chi?-.
-Vi
raggiungerà alla porta sud del distretto medio e
verrà con voi fin negli alloggi-.
-Bene,
e chi è il fortunato?- domandò Elena stringendosi
i lacci del guanto destro.
-È
arrivata una colomba questa notte da Acri, ma il compagno Rafik non ha
fatto nomi-.
-Non
ci rimane tanto tempo, forza- interrompe bruscamente Altair. -Dalle la
piuma, avanti- sembrava parecchio nervoso.
-Lo
conosco il mio mestiere- sibilò Malik voltandosi mentre la
Dea estraeva dalla custodia i coltellini necessari a rifornirsi del
tutto. Quando sul suo corpo gravò in fine il peso di tutte
quelle lame, si accorse che il capo sede aveva poggiato sul ripiano una
bellissima, bianchissima piuma grande quanto la sua mano schiusa.
-È
magnifica- commentò sfiorandola con le dita.
-La
prima volta fa sempre quest’effetto?- domandò
allegro Malik, e Altair sorrise spensierato.
-Perché,
tu te la ricordi la prima volta?-.
Il
ragazzo senza un braccio scosse la testa sospirando. –No-
disse solo.
-Dopo
di un primo omicidio, ne vengono talmente tanti altri, che le memorie
di uno cancellano quelle precedenti…- mormorò
Altair assorto.
-E
senza che te ne accorgi, ogni passo avanti lascia indietro una piccola
parte di te…- concluse Malik.
Elena
li guardò entrambi sbigottita. Sembravano l’uno
patire le stesse sofferenze dell’altro, e fu incredibilmente
bello notare il legame che c’era tra di loro.
Se
un tempo il suo maestro era stato alquanto asociale, vederlo
così legato a qualcuno che non fosse lei la turbava
infondendole una malinconica gioia.
-Ragazzi-
fece Elena, attirando su di sé la loro attenzione.
-Così
non mi aiutate per niente!- ridacchiò ella. –Sono
già nervoso di mio…-.
Altair
allungò le labbra in un nuovo sorriso. –Forza-
chiamò l’ordine. –Tra quanto
sarà qui il piccoletto?-.
Si
udì un tonfo proveniente dalla camera accanto, ed Abbas, che
dormiva sereno tra i cuscini, sobbalzò.
-Parli
del Diavolo- intervenne Malik.
-E
spuntano le corna!- rise l’altro assassino.
-Rafik,
maestro Altair- Rauf s’inchinò ad entrambi,
volgendo in fine una maggiore reverenza alla ragazza. -Dea-
sussurrò.
-Che
novità? La strada è buona, novizio?- chiese Malik.
Il
giovane parve innervosirsi. L’appellativo novizio era davvero
così dispregiativo? Si chiese lei.
-Ho
trovato una scorciatoia non controllata dalle guardie che percorre le
mura meridionali della città e si ricongiunge alle torri del
Tempio. Avrei dovuto accorgermene prima, perché
quell’ala del palazzo era vuota di soldati anche nel mentre
m’intrufolavo ieri mattina- raccontò il ragazzo.
-Elena-
intanto che Rauf e Altair discutevano di quest’ultimo indizio
prezioso, Malik la chiamò ed ella si volse.
-Prendi
la piuma, mettila in un posto sicuro. Altair ti spiegherà a
suo tempo cosa farne- assentì avvicinandole
l’oggetto.
-Ho
intuito di mio che su di essa vi dovrò lasciare la
testimonianza del mio operato- sorrise lei stringendola tra le dita e
nascondendola in una delle sacche della cintura.
-Bene-
Malik annuì soddisfatto. -Allora ciò che vi era
da dire è stato detto, non resta che mettere qualcosa sotto
i denti e partire- sorrise fiero.
-Non
ho molta fame- si trattenne lei.
-Di
nuovo questa storia?!- sbottò irritato. -Non ti lascio
uscire da questa Dimora a stomaco vuoto, signorina- la riprese mettendo
sul tavolo un cesto di frutta. -A quanto pare non ti basta aver dormito
poco e male- la derise. –Tu compreso, don giovanni!-.
Altair
lo fulminò con un’occhiataccia. –Mi vedi
tanto magro?-.
-No,
ma parecchio sciupato!- ridacchiò. –Siete entrambi
degli stracci viventi- borbottò.
-Questa
volta non avrai la meglio!- intervenne Elena partecipando. –E
non mi lascerò imboccare!-.
-Ah!
Ma io ho metodi molto più efficaci- fece malizioso.
La
ragazza si issò a fatica sul tetto dell’abitazione
poiché una sua mano fosse impiegata nel tenere stretta una
mela matura. –Aspettami!- strillò sotto tono, e
Altair si volse per aiutarla.
-Se
avessi fatto meno storie nella Dimora- la rimproverò lui
tirandola su di peso. –Ora non avresti questo fardello!-
sibilò attirandola a sé, stringendola per il
gomito.
Elena
ingoiò il boccone. –Se fosse stato per me avrei
aspettato di finire la mela prima di partire!- digrignò.
-Mi
spiace, ma hai torto. Il tempo corre, e Rauf ci ha già
preceduti verso le mura- si girò ad ammirare il paesaggio
notturno dei tetti di Gerusalemme.
Il
chiarore dell’alba si avvicinava alla terra annunciando
l’imminente grande giorno. La città si animava
lentamente dei suoi suoni, dei suoi profumi e delle sue correnti estive
che le muovevano i lembi della veste mentre correva.
L’alba
non era ancora sorta. Il cielo scuro luccicava delle primissime luci
appariscenti solo oltre la linea dell’orizzonte. Faceva un
gran freschetto, e tirava un venticello che la cullava dolcemente
accompagnandola di salto in salto da un palazzo all’altro.
Tutt’attorno Gerusalemme taceva dei soli suoni dei loro passi
e quelli delle strade mute, avvolte dal silenzio ancora accogliente
della notte.
Si
mossero rapidi, scattanti.
Le
guardie furono uno dei tanti imprevisti, ma quelle che incontrarono
lungo il loro cammino morivano sotto taglio delle loro lame prima di
poter aprire bocca. Raggiungere le mura non fu un arduo compito, e i
due assassini si calarono tra le strade saltando giù dai
tetti agili come gatti.
Il
loro compagno era lì che li attendeva, accanto ai battenti
chiusi che davano sul Regno fuori dalle mura. Le braccia strette al
petto, il cappuccio grigio a celargli il volto, lo sguardo basso che,
quando levò per guardarli avvicinarsi a lui,
mostrò due occhi incastonati di una rara pietra verde.
-Hani!
Hani!- Elena si lanciò ad abbracciarlo, lasciando alquanto
interdetto il suo maestro. La ragazza lo strinse a sé con
vigore, poggiando una guancia alla sua. –Che ci fai qui?- le
sussurrò gioiosa all’orecchio. Era troppo tempo
che non si rivedevano, e tutto ciò le metteva addosso solo
una gran felicità.
-Non
è ovvio?- domandò egli sorridendo. –Ti
accompagno dritta alla vittoria!- la baciò in fronte, ed
Elena lo lasciò fare.
-Hani,
dunque- intervenne Altair, Elena si stanziò da lui e il
giovane assassino chinò il capo.
-Maestro
Altair- pronunciò con profondo rispetto.
-Rauf
non è con voi?- chiese severo.
Hani
scosse la testa. –L’ho visto dirigersi su per le
mura, ma non oltre o avrei dovuto allontanarmi da questo luogo, e di
conseguenza, dal nostro incontro- guardò sorridente la
ragazza.
-Forza,
andiamo. Statemi dietro- disse contenuto Altair facendoli strada, ed
Elena e Hani lo seguirono.
-Ecco
Rauf!- indicò Elena la cima della torretta che,
immediatamente, si apprestarono a scalare.
Quella
fu la parte più difficile del loro percorso, ma una volta in
cima, la vista era mozzafiato. Peccato che non ci fu il tempo di
ammirare il paesaggio che Altair la chiamò
all’ordine.
C’erano
i corpi di tre arcieri sullo spiazzo di quel bastione, e Rashy era
accovacciata sulla piccola impalcatura di legno sospesa sul vuoto.
-Eccovi
il passaggio, maestro- Rauf aprì una botola nel centro del
pavimento, mostrando una scala che si avventurava nel buio per una
decina di metri.
Hani,
Altair, Elena e Rauf in questo preciso ordine si addentrarono negli
stretti corridoi delle mura trovandoli curiosamente deserti.
Le
fiaccole alle pareti mostravano il cammino fino ad uno slargo che si
ramificava in altre tre direzioni.
-Da
questa parte!- li chiamò Rauf incamminandosi verso il tunnel
di estrema destra.
In
fila l’uno dietro l’altro, i quattro assassini
sbucarono in un seminterrato illuminato da delle vaste vetrate
colorate. C’erano delle altre gradinate più ampie
che salivano verso una porta di legno che aveva un battente aperto.
-Sempre
dritto, poi a sinistra e siamo nei corridoi!- sussurrò Rauf
andando in quella direzione.
-Ci
sei per caso già stato, Rauf?- domandò Altair
sospettoso, aggrottando la fronte.
-No-
il ragazzo si fermò sulle scale. Il piede su un gradino e
l’altro su un altro. –Ho solo studiato bene le
cartine- strizzò un occhio nella sua direzione, ed Elena gli
sorrise amichevole.
L’alba
era sempre più prepotente all’orizzonte. Il loro
tempo stringeva, e presero a correre silenziosamente spostandosi
separati tra un’ombra e l’altra delle varie stanze
che traversarono.
Era
quello il palazzo di Reale di Gerusalemme, con i suoi mobili pregiati,
gli incantevoli tappeti, le coloratissime finestre, e con le sue
guardie mezze assopite e posizionate agli ingressi delle stanze. Gli fu
facile sbarazzarsene. Bastava un pugnale, e si accasciavano al suolo;
dopodiché nascondevano i corpi dietro le colonne o sotto i
mobili, così da non lasciare eventuali intrugli in
un’eventuale fuga.
-Gli
appartamenti sono di qua!- Rauf proseguì dritto sulle scale
centrali dell’enorme salone.
Da
lì fino ai corridoi principali del palazzo non incontrarono
una sola guardia, quando ad attenderli vi sarebbero dovuti essere
battaglioni interi di uomini che gli incitavano a…
soccombere.
Era
tutto troppo strano, troppo facile.
Elena
fu assalita dai brutti presentimenti suoi soliti. Immagini fugaci di
cavalieri che saltavano fuori dai loro nascondigli da un momento
all’altro e gli tranciavano la testa con colpi di spada
precisi, inattesi.
Rauf
si fermò, rallentando il passo. Scivolarono lungo una parete
ed entrarono in una piccola stanza ornata di scaffali colmi di libri.
–Da qui in poi dobbiamo procedere arrampicandoci sulla parete
del Palazzo, o le guardie davanti agli alloggi ci vedranno- li
informò.
Altair
annuì. –Bel lavoro ragazzo. Mi sorge il dubbio
come sia possibile che tu abbia smarrito quella piuma non riuscendo
nella missione. Hani- chiamò, e il giovane assassino fece un
passo avanti.
Elena
pregò perché non lo incaricasse di…
-Hani,
voglio che ti occupi tu delle guardie davanti alla sua stanza. Quando
Elena fuggirà, voglio che non abbia alle calcagna un uomo di
più oltre me- disse serio guardandola. Chissà
quanti altri doppi sensi aveva quella frase, pensò la
ragazza.
Hani
annuì. –Sissignore- e dicendo così,
lasciò lo studio sparendo nel buio del corridoio dal quale
erano venuti.
Niente
da fare. Il compito più arduo era toccato al suo amico.
-Rauf,
sali questa parete esterna e raggiungi il tetto
dell’edificio. Fai piazza pulita, chiaro?-.
Rauf
annuì, aprì la finestra e si slanciò
fuori da essa cominciando a risalire la facciata del Palazzo.
-Ed
io?- domandò Elena spaventata.
-Tu
vieni con me- Altair la prese per mano avvicinandola a sé,
ed Elena arrossì imbarazzata. –Prepara la tua
piuma, tienila stretta e andrà tutto bene-
l’abbracciò di sprovvista.
La
ragazza si avvinghiò a lui ricambiando con foga
l’abbraccio. –So cosa devo fare- proferì
seria scostandosi di poco.
-Ed
io so cosa accadrà- mormorò lui abbassandosi alla
sua altezza e lasciandole un lungo bacio che scottava
all’angolo della bocca.
Elena
socchiuse gli occhi e chinò la testa da un lato,
così da far combaciare invece le loro labbra.
Restarono
in quella posa troppo allungo, anche quando i polmoni di lei
reclamarono aria. Il loro bacio immobile, silenzioso proseguiva, e
tutto ciò per volere di entrambi; con tanto di iniziativa di
Elena!
In
quell’istante una marea di dubbi l’assalirono. Si
chiese cosa l’avesse spinta ad agire in quel modo e che cosa
le avrebbe dato la forza di ribellarsi ad un medesimo, stupido sbaglio!
Ah! Si maledisse un centinaio di volte, non sapendo mai dare una
spiegazione concreta alle sue azioni ingiustificabili.
Amava
Altair. Ma il verbo amare era una parola troppo grossa per lei, che
invece doveva conoscere tanti, troppi altri aspetti
dell’amore. Era ciò che non la convinceva,
perché se si fosse trattato di una semplice condizione di
prospettiva, a quel paese il piano, a quel paese la setta, a quel paese
Marhim e l’avrebbe spogliato lì! In quello studio
nel bel mezzo dell’Incoronazione del futuro Re di
Gerusalemme, con tanto di guardie assatanate che non avrebbero esitato
a pattugliare ogni centimetro quadrato finché non li
avessero trovati.
Dopotutto,
Corrado sapeva fin troppo bene che stava venendo da lui, ma non poteva
immaginare che avrebbe posticipato la missione per uno dei baci
più belli di tutta la sua vita. Paragonato
all’ardore di Rhami e alla codardia di Marhim, il bacio che
le aveva lasciato Altair impresso sulla bocca, pregò
perché non avesse cambiato o mosso nulla di differente in
lei.
Elena
si staccò lentamente da lui, facendo scivolare via la sua
mano da quella del suo maestro. Si avviò senza voltarsi fino
alla finestra e fece per scavalcarla quando, con un piede fuori e uno
dentro, ascoltò la voce seria di Altair che la chiamava.
-Elena-
e sentirgli pronunciare il suo nome lasciò che il suo cuore
perdesse un colpo. Si girò di tre quarti, aspettando che
aggiungesse qualcosa.
-Perché?-
domandò egli in un sussurro.
-Da
una parte- cominciò lei sorridendo mesta. –da una
parte ho un uomo da ammazzare. Dall’altra, un uomo che non
potrò mai amare. Mi compiaccio di aver scelto solo adesso
dove andare, ma di non avervi trovato un perché-
mormorò flebile senza guardarlo, ma poteva bene immaginare
quali emozioni stessero traversando ogni centimetro del volto del suo
maestro. -Pertanto, non posso più indugiare-.
Altair
tacque alcuni istanti. Il suo sguardo si perdeva ben oltre le spalle
della ragazza, ora volta completamente verso di lui.
Elena
si sporse dalla balconata e si allungò verso la finestra
chiusa accanto, scivolando agile da un appiglio all’altro,
quando sentì una presa salda afferrarla per il polso e si
voltò.
-Lascia
almeno che venga con te-.
-È
il mio bersaglio, non il vostro!- ruggì lei mentre il vento
li scompigliava i lembi delle vesti.
Altair
era serio sotto il cappuccio. –Non influirò,
voglio solo… guardarti- disse allentando la presa.
Elena
acconsentì con un gesto del capo, riprendendo la traversata
della facciata esterna del palazzo.
La
balconata degli alloggi di Corrado era cinquanta metri più
avanti. Era vasta, poco più in alto rispetto a dove si
trovavano ora. Salirono, saltarono agili come ragni sulla propria tela
da un appiglio all’altro. E sapere che Altair fosse
lì accanto a lei e che non l’avesse lasciata
andare da sola le infondeva più coraggio e vigore di quanto
non ne avesse pensando al solo volto morto di Corrado.
Si
issarono abili sul balcone, e Altair l’aiutò ad
atterrare leggera sul terrazzo prendendola per i fianchi.
Eccolo
lì, appisolato sul suo bel lettuccio oltre quelle arcate
colorate e dipinte di leggere arabe. Era una stanza ampia, una
magnifica sala dedita solo ad un Re. Ed Elena riconobbe subito quella
camera, come se ci fosse già stata.
L’aveva
vista in sogno. Aveva visto quello scranno nel centro perfetto della
simmetria rotonda del locale. Aveva visto quel seggio sovrastato di
pergamene sul quale aveva seduto Minha nel suo incubo.
E
Corrado era lì, al caldo sotto le coperte, col viso stanco e
maturo affondato nel cuscino, girato nella loro direzione ma con gli
occhi chiusi, i sensi vigili.
Le
armi di Corrado erano su quel tavolo finemente lavorato, assieme al suo
diadema d’Argento che quella mattina sarebbe diventato
d’oro zecchino.
Elena
fece un passo avanti, mentre Altair restò alle sue spalle,
portando una mano all’elsa della lama corta.
La
ragazza snodò le quattro dita della mano sinistra, le cui
ossa scricchiolarono perché aveva stretto troppo forte il
pugno. Fu un istante quello in cui il suo mignolo si posò
sull’innesto, e la lama venne fuori silenziosa, fatale.
Elena
si mosse ancora, più avanti, camminando con movenze
impercettibili in quella direzione, verso di lui, verso il suo letto.
Era vicinissima, poteva sentire il suo respiro, poteva ammirarne i
tratti rilassati dal sonno pesante. Vedeva il suo petto alzarsi e
abbassarsi, il palmo aperto poggiato di lato, dove le lenzuola erano
bianche e di poco scoperte.
Avanzò
ancora, fin quando non intravide l’esatta vena che avrebbe a
breve trafitto.
-No!-
sentì gridare ed ella si voltò.
Un’ombra,
una mantella nera calò dall’alto sul corpo del suo
maestro abbattendo questo al suolo, sovrastandolo. Una chioma folta e
rossiccia venne fuori dal cappuccio, e Minha ridacchiò di
gusto minacciando Altair alla gola con la sua stessa lama corta.
Alle
sue spalle, Elena avvertì il suono di una spada che viene
estratta velocemente dal fodero. –Benvenuti alla vostra fine,
assassini- proferì quella voce adultera che apparteneva
all’uomo che più aveva odiato in tutta la sua vita.
Altair
tentò di divincolarsi a Minha che, invece, non gli permise
alcun movimento graffiandogli appena il collo, così da
permettere ad un fiotto scuro di sangue di ricadergli fino alla nuca.
–Elena, scappa!- gridò a denti stretti.
Elena
non si mosse, avvertendo il freddo prepotente di una punta
d’acciaio sfiorarle la schiena, poggiarsi su di essa.
–Elena- rise Corrado. –Colei che mi
sfidò a tempo, e mi sfida anche oggi!- ruggì
collerico.
-Elena,
va’ via!- insisté Altair.
-Sta’
zitto! Tu non dovresti neppure essere qui, se non sbaglio- fece Minha
maliziosa avvicinando il volto fanciullesco al suo.
-Questa
giovincella dai capelli di fiamma si è mostrata molto
coerente- proferì il Sovrano da dietro di lei, ed Elena
ancora non poteva vederlo, mentre la sua lama premeva con
più violenza contro la sua pelle. –Senza il suo
aiuto, non so dove sarei andato a finire. Quando sarò Re,
avrà il giusto compenso. Ma voi, non vivrete abbastanza per
veder sorgere l’alba!-.
La
ragazza trattenne il fiato. Tutto ciò per cui aveva lottato
stava andando in fumo. Era finita. Non aveva idea di come se la sarebbe
cavata ora.
Corrado
fece scivolare il filo della sua lama lungo la spalla di lei fino a
puntargliela alla gola, ed Elena rabbrividì, percependo il
gelo del metallo sulla pelle. Il Sovrano le fu finalmente di fronte,
così da guardarla negli occhi.
Aiutandosi
con la punta della spada, Corrado le calò il cappuccio
giù dal viso sorridendo soddisfatto. –Eh
sì, siete proprio voi. Guardie!- gridò
d’un tratto, ed ogni vana speranza, a quelle parole, divenne
ancor più vana.
Un
battaglione di crociati si rovesciò negli alloggi regali, ed
Elena ne contò più di una dozzina.
Un
paio di braccia andarono a sollevare di peso il corpo del suo maestro
non più stretto dalle gambe snelle e bianche di Minha. Delle
altre afferrarono la giovane Dea per i capelli e la fecero
inginocchiare dinnanzi al Grande Corrado. Gemé di dolore, ma
il suo gridolino si confuse ai versi soddisfatti dei soldati che,
seppur piegati dal rispetto per il loro signore, non si lasciarono
sfuggire la gioia di quel momento di vittoria.
-Questa
volta non avrò… pietà!-
digrignò Corrado alzandole il mento con la spada.
–Sbagliai due volte a lasciarti esistere, mocciosa!- le
ruggì in faccia. –Ma ora mi hai davvero stufato!
Tu e quello lì!- indicò il suo maestro, ma ella
non volle guardare.
Elena
teneva gli occhi chiusi, con la schiena china e riversa al pavimento.
Piegata sulle ginocchia al volere di un Dio che aveva scelto quel
destino per lei.
-Rauf!-
strillò Altair, ed ella alzò lo sguardo.
Vi
era Rauf tra gli uomini che erano entrati nella stanza. Egli era in
disparte, accanto a Minha che teneva le braccia conserte assistendo
divertita a quello spettacolo.
Quel…
quel ragazzo dal cappuccio grigio in mezzo agli uomini di Corrado
spiegava molte cose… il fatto che sapesse dove andare,
quando, e che non avessero incontrato problemi nel raggiungere quelle
stanze.
-Bastardo,
maledetto bastardo!- gridò Altair in preda alle convulsioni.
Rauf
si nascose alla meglio dietro il mantello nero di Minha.
-Giusto,
sono dovuto alle presentazioni. Costui segue i miei scopi fin da quando
giunsi a Gerusalemme. Grazie a lui oggi siete qui- sorrise malvagio il
Sovrano apprestandosi a rivestirsi della sua armatura sopra la parte
superiore della tenuta che pareva tutt’altro che da notte.
Li
stava aspettando. Sapeva come, in quanti e da dove sarebbero venuti. E
Rauf e Minha avevano avuto un ruolo cruciale in tutto il suo piano.
-È
davvero un peccato che non possiate assistere alla mia Incoronazione
che si terrà a breve- disse egli sistemandosi il diadema
d’argento tra i capelli. –Ma non posso rischiare
che mi scappiate di nuovo da sotto il naso!- digrignò
ammirandosi allo specchio. –Anche se- proseguì
indifferente e più tranquillo. Si voltò.
–Anche se avrei voluto occuparmi in persona di voi. Sarebbe
stata una tale soddisfazione vedere il vostro sangue!-
indicò il suo maestro. –Il sangue
dell’assassino che senza pietà sottrasse la vita a
mio padre! Che altro non era se non colui che meno al mondo meritava la
morte!- sbraitò furioso.
La
causa per la quale Gulielmo aveva meritato la morte era tanto vana che
Altair stette muto, restio a quelle parole. Ma Corrado, più
avido del parente, succedeva alla carica e bisognava più di
chiunque altro di una lama che gli sottraesse la linfa vitale dalle
vene!
Elena
tentò di divincolarsi, strattonò la presa
saldissima dei due uomini che la tenevano incollata al suolo.
Provò ad alzarsi, gridò, ma ogni suo fare era
più vana della stessa speranza.
-Pazientate,
my lady- ridacchiò Corrado, poi si volse verso i soldati che
bloccavano il suo maestro.
-Ammazzateli-
dichiarò rinfoderando la spada. –E portatemi le
loro teste- disse avviandosi fuori dalle sue stanze seguito da Minha,
Rauf e un drappello ristretto di uomini, mentre la maggior parte dei
crociati presenziava lì.
-Non
ho altro tempo da spendere qui. Devo diventare Re!- gustò
l’ultima parola levando lo sguardo fiero e altezzoso.
Un
solo secondo più tardi che Corrado si fu dissolto nei
corridoi, che l’uomo accanto a lei sguainò la sua
lama e gliela puntò alla gola. –Muori-
sibilò questo.
Elena
chiuse gli occhi, e per la prima volta chiese il permesso di entrare in
un luogo che non aveva mai aspirato a varcare. Il paradiso.
-Fermo!
Fermo!- strillò Altair, e il soldati arrestò il
fendente.
-Che
vuoi?- sbottò la guardia.
-Ma
lo stai pure a sentire! Ammazza prima lui, così ci
risparmiamo il suo pianto per questa puttana!- ridacchiò in
francese il cavaliere.
Erano
in otto, ed erano tutti parecchio determinati a non risparmiare nessuno.
Mettere
in pratica tutti i suoi addestramenti, le sue lezioni con Leila le
risultò alquanto complesso. Mantenere la concentrazione, in
punto di morte, era la grande dote di un assassino che sapeva cavarsela
anche all’ultimo delle forze. E lei era destinata ad essere
una grande assassina. Era scritto nel suo sangue che non sarebbe morta
se non nel tentativo stesso di ammazzare Corrado. Voleva provarci,
perlomeno. Ribellarsi al destino è un dono di pochi,
pensò, e lei aveva quel dono.
Prima
di riuscire a muovere un solo muscolo, assisté
all’inizio del suffragio che però era ben
intenzionata a bloccare sul nascere.
Un
crociato che pareva di alto rango mollò un calcio al torace
del suo maestro, e questo si piegò in avanti serrano i
denti. Un ghigno terrificante di dolore si mostrò sul suo
volto, a contrasto con quello divertito che vi era sotto
l’elmo del cavaliere che l’aveva colpito.
Lo
stesso uomo si apprestò a puntargli la lama al petto.
-Una
morte lenta e dolorosa!- gioì un cavaliere. –Lenta
e dolorosa!- ribadì. –Hanno ucciso mio fratello
qualche tempo fa, e voglio fargliela pagare!-.
-E
mio cugino! Era nelle truppe di Garniero!- fece un secondo.
-Sì!-
strillò un altro. –Rivendicherò mio
padre!-.
Elena
ne approfittò fulminea.
Rotolò
in avanti, scivolando via alla presa dei cavalieri. Estrasse la lama
corta e portò le mani a quattro pugnali che
scagliò ininterrottamente. Peccato che uno di essi
andò a conficcarsi nel centro perfetto di un arazzo
piuttosto che nel petto di un uomo.
Scattò
in piedi e, senza realizzare cosa stesse accadendo attorno a lei, si
scagliò sull’unico tra tutti i presenti che
potesse nuocere al suo maestro, estraendo un quinto pugnale e
perforando la fronte del malcapitato tra gli occhi.
Altair
ebbe modo così di rialzarsi e sfoderare la sua lama corta,
cogliendo alla sprovvista i due soldati più vicini a lui. Il
sangue colò a fiotti sul pavimento, mentre i gemiti smorzati
di dolore si diffondevano per la sala.
Schiena
a schiena, i due assassini ingaggiarono un combattimento frenetico,
senza esclusione di colpi e con tutte le tattiche possibili.
Corrado
non li sarebbe sguisciato via così da sotto il naso. E
bastava questo pensiero a trasportarli entrambi al massimo delle loro
forze.
Quando
la sala fu vuota di altri corpi vivi tranne i loro, i due si
scambiarono un’occhiata complice.
-Sono
contenta che siate venuto con me- mormorò Elena col fiato
grossi, rinfoderando la spada.
Altair
la prese per mano ricacciando la sua ne fodero. –Ora non
abbiamo tempo! Dobbiamo trovare Corrado prima che raggiunga la sala!- e
corsero assieme fuori da quella camera.
Il
modo egregio con cui se l’erano cavata assieme era stato
stupefacente, e l’adrenalina scorreva ancora a fiumi in lei
all’idea di aver fallito ma di avere la doppia energia, forte
nell’ideale che presto e comunque, Corrado sarebbe morto e
per di più senza aspettarsi il loro ritorno.
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Capitolo 51 *** Nessuna pietà ***
Nessuna
pietà
Corsero
a perdifiato nei corridoi, svoltarono su per scale, in altre stanze e
si gettarono giù per delle colonne.
-Sapete
dove stiamo andando?!- domandò Elena, mentre la sua mano era
ancora intrecciata a quella del suo maestro che la tirava dietro di
sé.
-No!-
fu la risposta di Altair che si guardava attorno col fiato corto.
-Eccoli!-
udirono alle loro spalle, e fu la rovina.
-Di
qua, presto!- Altair la trascinò in una stanza e si chiuse
la porta alle spalle, girando la chiave nella serratura.
–Dalla finestra!- indicò l’apertura che
affacciava su un grande cortile interno. I vetri erano aperti, ed Elena
scavalcò la piccola terrazza aggrappandosi al cornicione.
Altair le fu affianco e la guidò verso il basso,
raggiungendo la camera del piano inferiore.
-Perché
scendiamo?- chiese lei col cuore che le batteva a mille, i muscoli
scattanti che rispondevano ad ogni suo comando. Non si era mai sentita
così viva, agile e forte!
-Dobbiamo
raggiungere la Sala dell’Incoronazione, no?!-
strillò lui gettandosi nel vuoto e atterrando su un balcone
più in basso. Quando Elena fece lo stesso, egli
l’afferrò al volo in braccio e
l’adagiò al suo fianco.
-Sì,
ma!!!…-.
-Sono
a tiro, prendeteli!- gli arcieri sull’alto del tetto gli
puntarono contro, e una pioggia di frecce cadde nella loro direzione.
-Non
potevamo contare sul fatto che Rauf si fosse occupato degli arcieri!-
gemé Elena seguendo Altair di corsa sul tetto. Una volta al
bordo della costruzione, i due assassini si affacciarono di sotto.
Perché i carri di fieno non erano mai nel posto giusto al
momento giusto?! Imprecò la ragazza.
-Avanti,
vieni!- Altair tornò a stringerle il polso e intrapresero
un’altra direzione.
Il
tratto di tetto che percorrevano era quello adornato di cupole e torri
del Palazzo Reale, così ebbero modo di evitare gran parte
delle frecce che si frantumavano in pezzetti a pochi passi dalle loro
gambe.
Si
nascosero abbracciati dietro una costruzione quadrata e attesero il
tempo necessario per riprendere fiato.
-Ci
sei?- le chiese lui.
Elena,
che aveva una guancia poggiata sul suo petto che si alzava e si
abbassava agitato, annuì. –Io sì- disse
solo.
L’assassino
si sporse fuori dal loro nascondiglio dando un’occhiata in
giro. –Non ho idea di dove sia la Sala…-
borbottò nervoso.
-Se
mi aveste lasciato finire di studiare quelle carte, forse
io!…- Altair le bloccò le parole in gola
poggiandole una mano sulla bocca.
-Sssh!-
le sussurrò. –Strilla di meno, che forse siamo
sfuggiti alla loro attenzione. Magari penseranno che abbiamo
rinunciato- le sorrise.
-O
magari aspettano che usciamo allo scoperto!- digrignò lei.
-Quanto
siamo pessimiste, eh?-.
-E
voi anche troppo tranquillo! Maestro, Corrado non…-.
-Andiamo,
via libera…- la tirò con sé fuori dal
loro riparo e si calarono lentamente giù dal tetto
appendendosi a cornicioni di finestre, tarsi nella roccia, pietre e
pendagli vari della pietra lavorata e candida del palazzo. Giunsero in
prossimità di un’ampia terrazza e atterrarono
rumorosamente su di essa.
Ancora
piegati entrambi sulle ginocchia, ascoltarono un grido di donna, e
subito dopo quello più acuto di una bambina.
Quando
sollevarono lo sguardo, si accorsero che Isabella e sua figlia Maria,
genita di Corrado, li guardavano in un modo terrorizzato. Ella, la
prossima Regina di Gerusalemme, indossava un lungo vestito turchino
ricamato d’oro e, assieme al velo che però teneva
abbassato sulle spalle, portava sulla testa una sfarzosa corona
d’argento. La piccola che si era avvinghiata alle gambe della
madre mostrava poco più di sei o sette anni, al massimo una
decina. Gli occhini dilatati e impauriti da cerbiatto erano quelli di
suo padre, mentre i capelli, di un biondo color camomilla, erano tutti
della madre.
-Assassini…-
sibilarono le labbra carnose della donna.
Altair
fece un passo nella stanza e sguainò la lama corta.
–Tacete, astenetevi dal gridare, e la vita vi…-.
-No!-
Elena balzò nella stanza e si posizionò di fronte
al suo maestro. –Rinfodera quell’arma, stupido! Non
vedi che l’hai terrorizzata?!- gli rinfacciò, e
Altair inarcò un sopracciglio.
-Elena,
non abbiamo tempo per…-.
La
ragazza gli diede le spalle e s’inchinò ad
entrambe le due damigelle con estremo rispetto.
–Maestà, il mio maestro è delle
volte… turbato da sé stesso- convenne sorridente.
Isabella
indietreggiò portando con sé sua figlia.
–Siete qui per mio marito, è così?-
domandò ella in un sussurro. –In quali guai si
è cacciato questa volta? L’avevo avvertito di
lasciar stare la Fratellanza! È per questo che siete qui? O
siamo noi che cercate?- si chinò all’altezza della
bambina sollevandola in braccio. La piccola Maria si strinse
amorevolmente al collo della madre e mormorò con vocina
flebile: -Maman… Qui sont-ils?-.
C’era
il terrore negli occhi arrossati della piccola Maria, ed Elena si
sentì un mostro come se dal nulla qualcuno le avesse dato la
licenza di quello che era: un assassino. Reietto a caccia di sangue.
-Non
vi faremo del male, ma dovete lasciarci passare, senza allertare le
guardie- intervenne Altair, ed Elena gli diede una gomitata.
-Rinfoderate
l’arma!- digrignò la Dea.
Alla
sola vista della lama che Altair aveva in mano, Maria si stringeva con
più forza e vigore al collo della mamma.
L’assassino
ricacciò la spada corta nel fodero e si guardò
attorno circospetto. –Fa’ in fretta!- le
mormorò all’orecchio. –Se vuoi avere
tatto con questa gente, fai in fretta!- aggiunse.
Elena
annuì. –Maestà, voi siete con o contro
l’operato di vostro marito?- domandò schietta,
rigida.
-Fate
a Corrado ciò che volete- fece scocciata la donna.
–Ma vi prego, lasciateci andare. Non fate del male alla mia
bambina- le baciò una guancia.
-No,
ma dovete indicarci la strada più breve per la sala
dell’Incoronazione- insisté la Dea.
-Mi
stavo giusto dirigendo lì, ma non posso garantirvi che se le
guardie vi vedranno con me, non oseranno…-
cominciò lei, ma Altair s’intromise.
-Non
c’è bisogno che ci scortiate- fece duro.
–Dateci solo le indicazioni, e cercate di non essere
lì quando entreremo in azione- l’ammonì
truce.
Isabella
fece scendere la bambina dalle sue braccia e strinse la piccola manina
nella sua. –Per di là, dietro quella porta, vi
è un corridoio, ed infondo c’è una
scala - indicò i battenti schiusi vicino a quelli
dell’ingresso principale della stanza. –Vi
condurrà sani e salvi fino al podio
dell’Incoronazione, sul quale saremmo dovute salire io e la
mia piccina- mormorò preoccupata avvicinando la bambina al
suo fianco.
-Perché
ritenete che Corrado…- proferì la ragazza, che
venne bruscamente interrotta da una presa salda sul suo polso.
-Non
c’è tempo, Elena!- gridò Altair
spingendola nella direzione che aveva indicato Isabella. Varcarono
l’uscio, ed un istante dopo che furono avvolti dal buio del
corridoio, nella stanza che avevano appena lasciato si udì
lo sbattere di una porta.
-Maestà,
state bene?!- domandò una guardia mentre il suo drappello di
uomini faceva irruzione nella camera.
Isabella
annuì. –Ovvio, perché non dovrei?-.
-Gli
assassini del padre di vostro marito si aggirano per il Palazzo e
tenteranno di assassinare il vostro promesso! Li abbiamo visti entrare
da quella finestra!-.
Isabella
si strinse nelle spalle riprendendo in braccio la sua bambina. La
futura Regina sedette su uno sgabello di fronte allo specchio da tavolo
e prese a pettinare i capelli di Maria. –Di qui non
è passato nessuno. Ora, se potete scusarmi. Dobbiamo
prepararci alla cerimonia- scoccò affettuosamente un bacio
sulla guancia arrossata della bimba.
Maria
si voltò ad osservare i cavalieri che ricevevano congedo e
lasciavano la stanza, ma prima che l’ultimo di loro potesse
varcare quella soglia, la bimba gridò:
-Sono
andati di lì! Vogliono ammazzare papà!-
indicò il portone che conduceva alla sala.
-Marie!-
Isabella la strinse a sé con violenza.
-Presto,
di qua!- il generale crociato chiamò a rapporto i suoi
uomini e si gettarono all’inseguimento nel corridoio.
-Marie,
pur-quoi?- domandò la donna dandole un piccolo schiaffo.
-Papà…-
mormorò la bambina scendendo dalle ginocchia della madre e
avviandosi di corsa verso i battenti schiusi.
-No,
Maria!- la sgridò Isabella strattonandola.
–Papà è un uomo cattivo- si
chinò alla sua altezza per abbracciarla.
-No,
no… loro sono cattivi!- ribadì la bimba
graffiando le spalle della donna con le unghie.
-Eccoli,
li vedo!-.
Una
freccia partì inaspettata, il fruscio giunse lieve alle sue
orecchie, ed Elena non ebbe il tempo di realizzare cosa stesse
accadendo.
-Dannazione!-
Altair la tirò a sé avvolgendola tra le sue
braccia, riparandola dal dardo che andò a perforare di
striscio la manica della veste all’altezza della spalla. Il
dardo scivolò poi al suolo privo perdendosi tra le ombre.
All’assassino
sfuggì uno straziante lamento di dolore, seguito dal rumore
di passi in corsa dei soldati.
Ripresero
a fuggire, e nel mentre puntavano diritti verso la meta ignota di quel
corridoio senza fine, Altair si tastò il punto leso
riconoscendo al tatto il taglio profondo della lama della freccia che
aveva lesionato la pelle fortunatamente in superficie. Ma il taglio
pulsava terribilmente e in modo anomalo.
Il
suo maestro rallentò il passo d’un tratto, come
strafatto dalla quasi assenza di energie. Spossato, si posò
alla parete con una mano fermandosi del tutto.
La
ragazza, che aveva corso per qualche altro metro avanti, si
voltò e tornò indietro.
-Scordatevelo!
Non vi lascio qua!-.
Elena
gli cinse un fianco aiutandolo a camminare e per un breve tratto Altair
si lasciò soccorrere, incombendo su di lei una minima parte
del suo peso.
-Sono
vicinissimi, stanno sfuggendo dietro l’angolo! Prendeteli,
Cristo!-.
Gli
scagliarono addosso altre frecce, ma i due svoltarono rapidi imboccando
un corridoio differente.
Raggiunsero
una piccola sala poco spaziosa e si nascosero nella penombra di un
arazzo.
Fuori
dalle finestre era quasi pienamente giorno. Il cielo spumeggiante del
suo azzurro perfetto e ogni stella cancellata completamente. Restava
solo la luna, bianca come fosse una nuvola dalla forma perfetta.
Celati
nell’ombra, l’assassina strinse le braccia attorno
al busto del suo maestro così da sorreggerne il peso che
andava aumentare. Altair si appoggiò pienamente a lei
affondando il volto nell’incavo del suo collo. Il respiro
affannato della ragazza s’infrangeva sulla sua pelle
leggermente imperlata di sudore, mentre Altair l’attanagliava
in un abbraccio disperato, imprecando a denti stretti.
Egli
teneva la bocca aperta e la mascella serrata, concentrato nel tentativo
di regolarizzare il battito accelerato del cuore.
-State
bene?- domandò la sua allieva in un sussurro, e con
un’occhiata fugace scorse il taglio rossastro già
infetto sulla spalla dell’uomo.
Altair
non rispose. Eventuale cenno che quello non fosse il momento migliore
per discuterne.
-Dove
sono andati?- s’interrogò una guardia.
-Proviamo
di qua!-.
-No,
eccoli! Vedo un’ombra!- ruggì un altro.
Altair
la strinse con più forza a sé, quasi con rabbia,
e il suo respiro irregolare e instabile mischiato al sudore che gli
traversava la fronte, erano chiari segni di ciò che meno
avrebbe sperato.
-No!
Siete stato…- Altair le poggiò una mano sulla
bocca, facendola tacere.
Il
gruppo di guardie li oltrepassò guardandosi attorno
circospetti.
-Saranno
andati più avanti!- disse uno.
-Ma
non andranno comunque molto lontano!- gioì un secondo.
–Sono sicuro di averlo colpito, quel bastardo!-.
-Se
è davvero come dici, lo troveremo steso a terra cinquanta
passi in là!- ridacchiò la guardia, e le loro
figure corazzate della cotta di maglia si persero nell’ombra
dei corridoi.
-No,
no!- gemé Elena quando percepì il corpo del suo
maestro perdere improvvisamente vigore e accasciarsi su di lei.
–No, vi prego! Ditemi che non era veleno, ditemelo!- lo
abbracciò con foga, tentando di risollevarlo, ma Altair si
lasciò scivolare giù con la schiena alla parete.
-Io…
io temo di sì, Elena- mormorò interrotto da
singhiozzi, e finalmente sedette a terra rilassando i muscoli contratti
del corpo.
-No,
vi prego…- una lacrima le passò sul volto mentre
gli gettava le braccia al collo. –Non fatemi questo, non
lasciatemi ora!- strillò.
-Elena!-
la chiamò, e la ragazza si scostò violentemente.
Altair
le sorrise accarezzandole la guancia e asciugandole
quell’unica lacrima. –Non sto morendo, e non
morirò se non dopo averti visto compiere ciò che
devi-.
-Cosa?…-
sibilò incredula.
-Stupida
ragazzina. C’è una sacca, dietro alla mia cintura.
Vi è una boccetta trasparente con del liquido biancastro.
Prendila, spicciati!- le ordinò sereno, ma il tremore che
aveva sulle mani tradiva quella sua allegria. Afferrò da una
seconda sacchetta un liquido differente e più pastoso che
applicò superficialmente al taglio.
-Va
bene- tirò su col naso dandosi mille volte della stupida. Si
allungò a cercare nella piccola sacchetta nera cucita alla
cintura del suo maestro e vi trovò all’interno
diverse fiale. Individuò quella giusta, la stappò
coi denti.
-E
adesso?- chiese confusa.
-Dammi
qua- Altair gliela sfilò di mano e ne rovesciò il
contenuto dritto in gola, tutto d’un sorso.
-Che
cos’era?- domandò.
-Terrà
buona l’avanzata del veleno finché non torneremo
alla Dimora, ma sappi che ho i minuti contati-.
Elena
gli cinse il fianco con un braccio aiutandolo ad alzarsi, ma Altair le
prese il polso allontanandola da lui. –No. Devi lasciarmi
qui- disse solo, in un sussurro. –Prima che
l’antidoto faccia effetto, parte dei miei muscoli si
addormenteranno-.
La
ragazza, terrorizzata da quelle parole, non seppe che dire.
–No! Non vi lascerò qui! Mai, voi verrete con me!
Forza, posso farcela anche a portarvi in braccio, io…-.
-Elena,
devi andare avanti senza di me!- ruggì serio. -So che puoi
farcela, so che ce la farai, e sono certo che ci rivedremo…-
le sorrise. –Io me la caverò, te lo prometto. Ma
tu devi andare, o non raggiungerai Corrado in tempo prima…-.
Non
gli lasciò aggiungere altro e lo
abbracciò con foga, travolta dalla disperazione.
–Mentite, sapete bene che se vi lasciassi qui in balia delle
guardie, non trovereste altro modo di fuggire! Non posso lasciarvi, non
voglio abbandonarvi al vostro destino! Se morirò,
sarà accanto a voi! E se sarete voi a morire,
vorrò almeno aver combattuto per impedirlo!-
singhiozzò.
-Che
razza di testona- borbottò l’assassino con fare
allegro. –Basta, prendilo come un mio ordine, non come una
richiesta! Avanti, va’… troverai
l’anticamera della Sala della Cerimonia più
avanti- la scostò via da sé delicatamente, ed
Elena fece per alzarsi quando, sull’ultimo, le sue lacrime
parvero asciugarsi da sole, mentre il suo viso si abbassava
all’altezza di quello del suo maestro per lasciargli un lungo
bacio sulle labbra che sapevano di medicinale.
-Avete
promesso- mormorò ella intrecciando la sua mano a quella di
lui. –Avete promesso che ci rivedremo, l’avete
promesso!- ribadì più seria.
-Non
infrangerei per nulla al mondo questa promessa- proferì
gioioso.
Elena
si sollevò in piedi e mosse un passo verso la direzione da
prendere, ma Altair la chiamò e la ragazza si volse, come se
non stesse aspettando altro.
Il
suo maestro la guardava con un immenso dispiacere, la schiena poggiata
alla parete, un ginocchio tirato al petto e l’altro disteso.
Parlò, ma quando lo fece la sorprese di un tono di voce
tutto nuovo.
-Ormai
è troppo tardi, non troverai Corrado
nell’anticamera della Sala. Egli avrà
già avuto tempo di ripassare il suo discorso cento volte,
pertanto dovrai agire durante la Cerimonia. Ci saranno gli ospiti, ci
saranno i cavalieri, ci saranno civili, donne, bambini e vecchi. Tu
ignorerai tutte queste persone e raggiungerai il podio della Sala. Se
tutto andrà come da me previsto, Corrado sarà
lì a tenere il suo discorso prima di venire incoronato, ma
quando ti vedrà non esiterà a richiamare
all’appello ogni singolo crociato lì dentro. Le
guardie ti accerchieranno, ma tu non combatterai loro. Ti ordino io di
ignorarle e correre dritta dietro la tua unica preda. Perché
devi sapere che nel vedere la sua morte prossima, Corrado
fuggirà e sarà allora che, troppo lento, tu lo
ammazzerai. Focalizza ogni tuo briciolo di concentrazione su di lui e
la sua fuga, e nulla andrà storto. Ora va’-.
-Maestro-
ella chinò il capo, facendo tesoro di
quell’ordine. Indietreggiò ancora,
finché non si voltò e cominciò a
correre perdendosi nel buio del corridoio, lasciandosi alle spalle il
suo maestro che, osservandola con un sorriso soddisfatto in volto,
restò immobile dov’era.
Traversò
una saletta angusta ornata di cuscini e qualche divano e fece per
gettarsi nel corridoio subito dopo, quando un colpo improvviso
infertole all’altezza del costato la spiazzò a
terra piegata dal dolore.
Si
diffuse una risatina acuta per tutta la stanza, e Minha
saltò giù dal cornicione della porta atterrando
leggera sul pavimento, ancora avvolta da quella tenebrosa mantella nera
che metteva in risalto i boccoli rossi e gli occhi verdi, ora accesi di
un insolito ardore.
-Vai
da qualche parte?- domandò la rossa.
Elena
si tirò su a fatica, trascinandosi all’indietro e
traballante sulle sue stesse ossa. –Perché,
Minha?!- strillò. –Perché tradirci?!
Lasciami andare, e metterò una buona parola con Tharidl
per…-.
La
donna arrestò la sua risata isterica e si mise a braccia
conserte. –Pensi che me ne importi qualcosa di quel
vecchiaccio? Lui mi ha rovinato la vita! Corrado me ne ha offerta una
nuova e bellissima!- gioì mostrando la dentatura bianca e
perfetta.
-Cosa
ti ha promesso in cambio dei tuoi servigi, sentiamo!- ruggì
Elena portando lesta una mano alla spada corta. –I suoi
uomini hanno ammazzato Asaf senza alcun ripugno! Senza nessuna
pietà! Ti sei schierata dalla parte sbagliata, stupida!- le
rinfacciò.
Minha,
profondamente irritata da tali affermazioni, scattò in
avanti e le afferrò il polso girandoglielo con violenza.
Elena
perse la presa sulla sua arma che cozzò al suolo, mentre la
rossa dai capelli di fiamma le contorceva il braccio dietro la schiena
immobilizzandola e facendola inginocchiare. –Tu dai della
stupida a me?!- digrignò. –L’unica scema
qui sei tu, ragazzina! Quello che fanno gli assassini è
sbagliato, quello che facevo come Dea è sbagliato, quello
che la setta persegue è più sbagliato ancora!
Vuoi sapere cosa mi spinge a fare tutto questo? Benissimo, prima di
spargere il tuo sangue su questo pavimento, voglio che tu sappia una
cosa! I Poteri del Frutto sono illimitati, Elena! Sì,
Corrado mi promise che Asaf sarebbe tornato tra le mie braccia! Ed
è così, mia cara Elena! Chiedi a chiunque dei
tuoi compagnucci di andare a scavare nella sua fossa, e non lo
troveranno mai! Perché lui è qui, al mio fianco!-.
-Io
non lo vedo…- blaterò la ragazza.
Minha
irrobustì la presa e dalle labbra di Elena
fuoriuscì un sibilo di dolore. –Non è
qui perché ora veglia sul Frutto e su tuo padre ad Acri! Ah,
ecco un’altra interessante novità! Tuo padre
è vivo, Elena, ma dopo questo scherzetto, non credo che
Corrado sarà più tanto clemente con lui!-.
-Perché
non l’ammazzò a suo tempo, quando tentò
di corrompermi?!- domandò Elena confusa e spaurita.
-Fu
tuo padre ad indirizzare le mie ricerche sui testi che servivano a
Corrado. Non solo dalle vostre biblioteche trassi le Cronache
dell’assassino di suo padre, ma Kalel mi diede utili
informazioni su dove trovare le pergamene che narravano dei Frutti! Fu
egli stesso, Kalel, una volta che portai ad Acri quegli scritti, a
decifrare gli enigmi in esso e ad indirizzare gli uomini di Corrado in
Egitto! Casualità, lì trovarono ad attenderli
anche tuo fratello Gabriel e l’altro Falco, se non erro! Ecco
che il Potere del mio Signore cresce a dismisura! Con un Tesoro dei
Templari per mano e la Corona di Gerusalemme sulla sua testa, Corrado
governerà questo Regno e il mondo intero, ed io, non tu,
avrò l’onore di assistere alla Rinascita di una
Nuova Era!- la sua voce acuta si gonfiò di fierezza.
-Parli
come loro! Come i Templari!- sbraitò la Dea.
-Dopotutto-
Minha si chinò alla sua altezza. –Sono una di
loro- le sibilò all’orecchio, pungente come una
serpe. –E ora, muori- ridacchiò la rossa estraendo
un pugnale che aveva alla cintura.
Elena
serrò la mascella e irrobustì i muscoli. Con uno
scatto rapido e fulmineo, sbilanciò in avanti il suo peso
facendo inciampare Minha su di lei, e la donna si rovesciò
al suolo nel clangore delle armi.
Elena
sfuggì alla sua presa e si alzò estraendo la
spada lunga dal fodero. –Combatti, se ne sei ancora in
grado!- strillò ferocie.
-Mi
hai stufato, bimba!- Minha si alzò con un balzo ed estrasse
due lame corte da dei foderi nascosti sulla schiena.
La
Dea rabbrividì. Non aveva mai contrattaccato un avversario
che avesse simili armi, e Minha non esitò con
l’anticipare ogni sua mossa.
La
rossa la fece indietreggiare con piccoli e ben diretti colpi bassi che
Elena parava con difficoltà. La sua spada corta era
scivolata al suolo poco distante e le pareva l’arma adatta
per contrastare i fendenti di Minha che, abile, padroneggiava i suoi
movimenti con la solita grazia ed estrema agilità dedite ad
una Dea.
La
ragazza si piegò sulle ginocchia e balzò in
avanti penetrando la sua guardia, e Minha, colta in contro piede,
lasciò la presa su una delle due lame che si
conficcò nel centro di un arazzo.
-Risparmierò
al mio signore di vedere lo scempio delle tue carni! Morirai in questa
sala, preparati!- Minha le scagliò contro la sua
seconda lama, ma Elena la deviò posizionando obliqua la
spada e il contatto fu breve e un’esplosione di scintille.
Minha,
a corto di armi, si avventò su di lei con una ruota
così da confonderla, ed Elena ricevette una ginocchiata ben
assestata all’altezza del ventre.
La
Dea tenne a stento l’equilibrio e Minha, in un perfetto
baricentro, la colpì ancora e ancora in una serie di
giravolte che si concludevano con un dolore immenso ad una qualsiasi ed
inaspettata parte del corpo.
Ma
quella volta aveva la dote necessaria per contrastarla, e non poteva
permettersi altro tempo o addio Corrado! Doveva agire, alla svelta,
scattante, immaginando di essere vittima di uno degli spietati
addestramenti che aveva passato con Leila. E la cosa
funzionò.
Nel
bel mezzo di una ruota, Elena afferrò la caviglia della
donna disarcionandola, e Minha si ribaltò al suolo. Quando
si alzò scattante, le fu di nuovo addosso, ma Elena
schivò il pugno e andò a colpo sicuro con una
testata.
Minha
indietreggiò traballante, ma dopo poco si riebbe piegandosi
sulle ginocchia e le fece lo sgambetto, così da farla
inciampare a terra.
Elena
rotolò di lato ed evitò il pugno poderoso dritto
allo stomaco, strinse il braccio magro della donna e la tirò
al suo fianco. Le due si ribaltarono più volte, con
l’una le mani strette ai gomiti dell’altra pur di
avere la meglio. Sembrava di assistere ad un incontro di lotto libera
senza esclusioni di colpi, e così fu.
Elena
la colpì di nuovo, con una bella craniata che
lasciò disorientata persino lei. Minha perse il senso dello
spazio per alcuni istanti, e la Dea ne approfittò,
capovolgendo i loro corpi e facendo scattare la lama nascosta nel suo
polso.
Fu
un attimo, un istante che però parve durare in eterno.
La
lama penetrò nella sua gola, e Minha dilatò gli
occhi perdendo lentamente colore nella pelle. Le labbra schiuse e
arrossate dalle quali non proveniva altro suono se non il gorgoglio del
sangue che le saliva lungo la carotide tranciata.
Fu
uno spettacolo orribile quando un fiotto di liquido rosso le
scivolò fuori dall’angolo della bocca, ed un
istante dopo la presa della rossa sulle sue ossa, Elena
l’avvertì affievolirsi fino ad annullarsi del
tutto. I muscoli tesi le si rilassarono, distese gambe e braccia. Perse
la vita.
Richiamò
la lama nel guanto, ed essa rientrò nel suo fodero colorata
di sangue.
Era
morta, la traditrice e spia Minha era morta per mano sua, ma non aveva
tempo per auto lodarsi.
Si
sollevò dal gelido pavimento e allontanò la vista
da quel corpo cadaverico, indietreggiando fino a toccare la parete di
spalle. Improvvisamente ricordò il loro primo incontro. Era
stata un’innocente svista nella mensa della fortezza. Si
erano parlate, si erano sorrise, e vedere
un’espressione… morta stampata sul volto
fanciullesco e affascinante di quella donna le fece salire al cuore una
moltitudine di pene.
Si
disse che aveva ucciso un innocente. Si disse che aveva tradito uno dei
principi della setta, perché quella donna era una totale
sconosciuta incontrata per caso. Si diede della stupida, della sciocca,
lottando contro sé stessa per quello che aveva fatto.
Combattuta tra due estremità. Da una parte, vi era il
sorriso di una donna che rivoleva solo stringere tra le sue braccia il
suo amato Asaf, e che per ottenere i suoi scopi aveva trovato luogo in
quelli di Corrado. Dall’altra, vi era la donna che le aveva
reso la vita impossibile.
Ma
che prezzo chiesero i suoi pensieri, le sue continue perdite di tempo?
Semplice.
-Eccola!-
gridò una voce, ed Elena scattò fulminea fuori da
quella stanza.
-Ma
dov’è l’altro?!-.
-Presto!
Sta scappando!-.
La
ragazza corse a perdifiato, giungendo in prossimità di una
vasta gradinata. La salì tutta e raggiunse il secondo piano,
controllato da una continua ronda di guardie a parte quelle che le
erano ormai alle calcagna.
Si
sentì afferrare per un braccio, trascinata
nell’ombra del vasto corridoio che stava percorrendo. Per un
attimo ebbe paura e chiuse gli occhi, battendo la testa contro quella
che le parve una colonna a base tonda. Quando la presa
insisté sul suo polso e la tirò via di corsa,
Elena li riaprì di botto.
-Hani!-
strillò inchiodando e strattonandolo di fronte a
sé.
-Sssh!!!-
sibilò lui guardandosi attorno. –Dobbiamo
andarcene, e alla svelta! Questo posto sta brulicando di crociati!
Dov’è Altair?!- domandò mentre stava
per riavviarsi di corsa, ma Elena restò immobile
dov’era.
-Ragazzina,
avanti! Stupida, non vedi che cosa sta succedendo!? In questi casi si
scappa! Si rimanda la missione ormai fallita!- sbraitò
collerico e, in parte, terrorizzato.
-No,
Hani- proruppe lei seria. –Io resto, tu va’ se
vuoi- gli indicò il corridoio sfuggendo alla sua presa
attorno al braccio. –Ma Corrado morirà oggi. Quel
bastardo non camperà un secondo di più!-
digrignò trattenendo a stento la rabbia.
-No,
Elena! Allora sei davvero sciocca quanto credevo!- Hani
tentò a vano di trascinarla con sé.
–Elena, ti prego! Ti ammazzeranno! Ci ammazzeranno entrambi!
Ti prego, Elena!- la implorò quasi piangendo.
La
ragazza restò una statua. –Hani- disse
più calma, sorridendogli. –Hani, guardami-.
Egli
si voltò, lentamente. –Ti guardo, e sai cosa vedo?
Un ragazza che merita di vivere oltre la fine di questa giornata!-
alzò gli occhi al cielo. –Se restiamo ci
ammazzano!- ribadì. –Guardati attorno! Guarda
quante guardie!- strillò.
Elena
gli andò incontro gettandosi ad abbracciarlo. –Non
cercare di fermarmi, non ci riusciresti- ridacchiò la
ragazza, ed Hani rimase imperterrito di quella manifestazione
d’affetto. –Ma ti prego, se credi che sia tanto
rischioso allora fuggi, perché mi saresti solo
d’intralcio. Ma io non posso, capisci? Altair… -
mormorò flebile percependo le braccia del ragazzo stringerla
per i fianchi, così da ricambiare l’abbraccio.
–Altair… lui si trova ancora qui e non so che
fare! Ho paura, ma sento che l’unica cosa sensata cui posso
dedicarmi ora è l’assassinio di Corrado-
dichiarò fiera scostandosi da lui, muovendo un passo
addietro verso la direzione dalla quale era venuta di corsa.
Hani
levò il mento. –Dove si trova lui?- chiese.
-L’hanno
avvelenato ed ha dovuto fermarsi…- cominciò la
ragazza.
-Sì,
sì! Conosco i rimedi ai veleni. Avanti, vieni con me-.
-Ho
detto di no!- sibilò ella sfuggendo alla sua mano aperta.
-Sciocca-
sospirò Hani. –Lascia almeno che ti scorti nella
sala dell’Incoronazione. O vuoi arrivarci da sola giusto per
fare la grande entrata trionfale?- la derise.
-Da
dove hai preso tutto questo coraggio?-.
-Dalla
nostra grande amicizia-.
Elena
gli strinse la mano. –Di qua!- gli indicò la via e
sgattaiolarono nel buio.
Era
una sala enorme, luminosa, e i partecipanti la riempivano delle loro
chiacchiere confuse. Le vetrate colorate delle navate filtravano raggi
di luce azzurrognoli e rossastri, altri dorati. Vi erano tanti posti a
sedere da ospitare l’intera Gerusalemme, e a presiedere su un
trono sull’alto dell’altare vi era un uomo dallo
sguardo fiero e il portamento retto. La veste gli era stata ricamata di
dettagliati motivi dorati e argentati su uno sfondo celeste, mentre
sulle spalle ospitava una lunga mantella rossa porpora. Egli era
Corrado che ammirava il suo futuro popolo mentre dal fondo della sala,
si apprestava a raggiungere il podio traversando la navata, un corteo
di crociati e Templari, due dei quali affiancavano Isabella e la
figlioletta Maria.
I
presenti tacquero e si alzarono nel veder comparire la Regina, e subito
dietro di ella vi era l’onorevole uomo di Chiesta che avrebbe
reso alla Cristianità l’evento.
Corrado,
seduto bello sul suo scranno, era contornato dei suoi generali
più fidati e guardava tutti con estrema superbia.
Elena
strinse i pugni portando il mignolo al meccanismo della lama nascosta.
-Ferma-
le fece Hani. –Aspetta almeno che abbia indossato la corona!
Quando le sue guardie s’inchineranno lasciandoti libero il
passaggio- le suggerì.
Si
trovavano su una delle terrazze interne che affacciavano
sull’androne. Da lì avevano una vista
sull’intera camerata centrale, e dove adesso vi erano
appostati loro, un tempo vi era stato un arciere che ora riposava bello
che morto ai loro piedi, con un braccio a penzoloni fuori dal parapetto.
-No!-
digrignò la ragazza. –Non gli lascerò
neppure la soddisfazione dell’oro tra i suoi capelli!- e
detto quello, prese a scalare la parete che scendeva
nell’ombra fino alla navata di destra.
-Ti
copro le spalle- le sussurrò Hani guardandosi attorno. Sulle
facciate del lato opposto della sala vi erano appostati altri arcieri,
e il ragazzo gli eliminò con cura sfoderando i sufficienti
coltellini da lancio. Fu un lavoro pulito, e quand’ebbe
finito, riconobbe la sua amica nascosta tra un gruppo di monaci dalla
veste bianca.
-Perfetto-
disse Hani tra sé e sé sorridendo.
I
monaci l’accompagnarono fino al centro perfetto della navata.
I loro passi lenti, calmi traversavano la sala in direzione del palco
ed Elena era perfettamente parte del silenzio che perseguivano. Aveva
fatto sue le loro movenze e la loro neutralità. Poteva
essere adocchiata senza venir riconosciuta, ed andava fiera di quel
grande insegnamento che le aveva lasciato il suo maestro.
Corrado
era in piedi dinnanzi alla moglie che teneva per mano la piccola Maria.
Il sacerdote prese la Corona d’oro dal cuscino di velluto che
teneva un suo caro e si avvicinò allo scranno del futuro Re.
-Corrado
del Monferrato muore oggi come Proprietario delle terre di Acri, ma
nasce come Re del Regno di Gerusalemme!- pronunciò con
fierezza l’uomo di chiesa. Una moltitudine di antichi canti
latini si levavano alle spalle dell’interessato. Vi era un
coro di anziani vestiti di bianco e rosso che cantavano assorti e
dediti le litanie antiche per benedire quel giorno Sacro.
Elena
si staccò dal gruppo di monaci, che proseguirono oltre tra
la folla, attirando su di lei l’attenzione della sua preda.
-Non
è possibile…- sibilarono le labbra di Corrado
mentre questo si apprestava a sfoderare la spada dal suo fianco.
–Non mi avrai prima di essere diventato ciò che
sono!- digrignò l’uomo.
Elena
estrasse lesta un pugnale da lancio e arrestò le braccia di
Corrado prima che questo potesse solo sfiorare con un dito la Corona
d’oro stretta tra le mani del sacerdote.
Egli
lasciò che il diadema si rovesciasse a terra e, spaventato,
intraprese la fuga come la gran parte dei presenti.
Il
suo piccolo pugnale penetrò nel polso di Corrado
traforandogli la pelle e alcune delle vene. Sulla sua manica bianca
comparve una grossa macchina purpurea. Il Sovrano gridò di
dolore, nel frattempo che Isabella scortava la figlia con sé
fuori da quell’Inferno che fu.
Chi
non correva via terrorizzato erano i cavalieri che emersero dai posti a
sedere e si fecero largo tra la calca a mo’ di spintoni e
gomitate, mentre la folla scappava urlante verso le uscite.
Elena,
ancor prima di estrarre un qualsiasi tipo di arma, si lanciò
alla carica sulle scale e scostò con uno strattone chiunque
si parasse dinnanzi a lei.
Una
volta di fronte alla sua preda, premette l’innesco della lama
e si avventò contro di lui, ma…
Corrado
trasse la sua lama dal fodero e deviò il suo braccio
colpendo le placche di metallo sul guanto. Elena si ritrasse,
rotolò sulle scale e, quando si alzò,
notò con stupore che le guardie la stavano accerchiando.
Erano Crociati e no, i diversi ordini di cavalieri erano ospiti alla
cerimonia e le ringhiavano contro da tutte le parti.
-Uccidetela!-
e nel frattempo Corrado e la sua famiglia fuggirono via per una piccola
porticina dietro l’altare.
Elena
approfittò del caos e si mescolò alla folla,
così da aggirare gli uomini che le venivano incontro con le
spade sguainate. I loro volti eran celati dagli elmi come il suo era
nascosto dal cappuccio. Pareva uno scontro alla pari se non fosse stato
per l’incredibile inferiorità numerica che aveva
la sua parte. Ben presto si trovò costretta al duello. Gli
uomini di Corrado la strinsero con le spalle al muro nella navata di
sinistra, ed ella tentò di scappare via più volte.
Le
ultime parole del suo maestro le tuonavano nella testa. Le aveva
chiesto, ordinato di non badare alle guardie, di inseguire Corrado se
mai avesse intrapreso la fuga. E così avrebbe fatto, o
meglio: aveva tentato di fare, ma pareva impossibile divincolarsi a
quella situazione.
Se
le grida della gente in corsa verso le uscite dalla cappella le fecero
venire il mal di testa, Elena si trovò costretta a stringere
i denti per via del suono delle campane che venne dal campanile della
Chiesa. L’allarme stava suonando, la missione era ormai
compromessa, quando una figura incappucciata si calò dal
balcone del piano di sopra e atterrò con un balzo proprio
davanti a lei.
-Hani!-
strillò la ragazza provando a tirarlo indietro, ma egli si
scagliò a tutta velocità sul primo dei cavalieri
che gli capitò a tiro, intraprendendo un duello con la
maggior parte degli uomini di Corrado.
Il
suo amico le stava aprendo la strada, stava dando se stesso in quello
scontro pur di farla arrivare a Corrado. Sbaragliava un crociato dopo
l’altro, e la sua maestria in combattimento la
lasciò sbigottita alcuni istanti.
-Va’,
Elena! Ammazzalo!- sentì gridare, e ad Hani si
affiancò un secondo assassino.
-Rauf?!-
domandò ella sbigottita.
Rauf
si volse e le fu affianco dopo aver scagliato un piccolo pugnale da
lancio nel petto di un cavaliere. –Perdonami, perdonami!
Voglio rimediare, ho sbagliato! Voglio un’ultima
possibilità per riscattarmi! È stato stupido,
sono uno stupido!- trafisse con la lama corta un uomo che
tentò di avvicinarsi a loro e un istante dopo riprese la sua
litania. –Sono stato uno stupido! Tharidl mi
metterà una taglia sulla testa per cosa ho fatto! Ma ora
voglio aiutarti, voglio aiutare te, Hani e il maestro Altair! Se
sopravvivrò, ne riparleremo! Vattene, qui ci pensiamo noi!
Ammazza quel bastardo anche per me!-.
Ancora
incredulo, la ragazza scartò di lato scivolando via dalla
parete della navata. Senza voltarsi, raggiunse il passaggio nascosto
che avevano intrapreso Corrado e i suoi familiari per svignarsela dalla
sala e varcò la soglia, trovandosi a correre per un buio
corridoio di pietra grezza.
Al
termine di esso, Elena si trovò a salire una scala a
chiocciola che correva lungo il muro di una piccola torre, fino a
raggiungere l’ingresso ad un immenso salone decorato di
mobili pregiati e da vaste finestre. I vetri affacciavano sulla caotica
Gerusalemme con la vista sul quartiere medio della città. Il
suono delle campane entrava dai vetri spalancati e si diffondeva per il
palazzo accompagnato alle grida di terrore dei paesani (che giungevan
fin lì), assieme ad un venticello gelido insolito.
Elena
si guardò attorno, quando i suoi occhi pieni di ardore e
coraggio, intravidero una figura dal lungo mantello bruno che si
spostava di corsa verso una prossima sala.
Era
Corrado. Ella riconobbe il luccichio della sua armatura e
l’imponenza della sua figura ora chinata dalla paura. Con
egli non vi erano la moglie e la figlia, segno che probabilmente le
avesse accompagnate in un luogo più sicuro.
Elena
lo seguì, scivolando tra le ombre del corridoio e
pedinandolo con passo svelto fino in una stanzina di sola pietra
adornata di qualche affresco. Era un’angusta Cappella fatta
di cemento e pietre, adornata di alcune panche e un unico lungo tappeto
rosso che giungeva dinnanzi al Crocifisso alto sulla parete di fondo.
Corrado
s’inginocchiò svelto di fronte al piccolo altare e
giunse le mani. Vederlo costretto ad un qualcuno che era più
superiore di lui, ovvero Dio, ad Elena parve strano, come stonante.
Perché si era riturato in quel luogo? Come e dove aveva
trovato tanta stupidità?
Ella
gli si avvicinò, estraendo la spada. Nessuna
pietà, alcun rimorso. Quell’uomo meritava la morte
e la morte lo accoglieva a braccia aperte. Probabilmente egli si
accorse del leggero fruscio della sua lama estratta dal fodero, ma non
si voltò, giungendo invece le mani e intonando una litania.
Quand’ebbe finito, il suo viso si sollevò di poco
dal pavimento e le sue ginocchia lo alzarono in tutta la sua
maestosità. Il mantello gli cadeva sulle spalle e il suo
sguardo vagava sui decori di quella sala magnifica, semplice, e
perfetta dove morire pensò Elena.
-Ti
senti realizzata, ragazzina?- sospirò l’uomo.
Elena,
interdetta, indietreggiò di un passo.
Corrado
si volse, portando una mano all’elsa della spada che aveva al
fianco. Il suo polso sinistro era fasciato di un bendaggio buttato alla
svelta attorno alla carne, un tempo tagliata dalla mira infallibile
della Dea.
-Ti
senti soddisfatta di ciò che stai facendo?- riprese lui.
-Sei contenta di questo? Hai rovinato tutto, e sappi che non
lascerò nulla in sospeso. Ti affronterò, e sono
certo che tutta questa messa in scena sarà stata inutile.
Sarai tu a morire, sei stata tu a giocare col fuoco, e alla fine ti sei
scottata! Non proverò alcun rimorso, non lo sto provando
neppure ora. Mi sento come te, esattamente allo stesso modo! Siamo
più simili di quanto credi, dopotutto… ogni
essere umano è simile all’altro! Siamo sulla
stessa barca, come si dice!- rise isterico. –Eppure,
scordatelo di avermi così facilmente! Oggi, chi
morirà in questa sala non sarò io! Ho combattuto
per ottenere ciò che ho e per vedere crescere in me
ciò che sono! Non abbandonerò tutto questo senza
combattere! E in te brucia il mio stesso ardore…
assassina…- digrignò traendo la lama dal fodero.
–Questa spada ha spezzato le vite di molti di voi,
quand’ero ancora generale al servizio di mio padre! Ma la tua
oggi non spezzerà la mia e quella della mia famiglia! Sei
solo un’ingenua, non sai cosa voglia dire l’onore!
Nessuno della tua razza lo sa! Siete i parassiti della nostra
società costruita con sangue della fronte, non con quello
della gola alla quale colpite! Siete indegni di accostarvi alla nostra
grande civiltà! Voi che ne avete fondata una tutta vostra e
pretendete di poter aggiustare ogni cosa col solo filo delle vostre
lame! Vi sbagliate, vi sbagliate di grosso! E questo mio padre lo
sapeva! Guglielmo e chiunque della Fratellanza lo sa! Sa che quello che
fate è sbagliato e azzardato e porterà il nostro
mondo alla rovina! Ma noi siamo nati per impedirvelo, la nostra
congrega è cresciuta nel vostro sangue per impedire tutto
questo! Pensa bene a ciò che fai, pensa a cosa fai e cosa
farai quando nulla potrà tornare sui suoi passi!
E…-.
-Basta!-
gridò d’un tratto, riuscendo ad ammutolire la voce
di Corrado che tuonava e rimbombava tra le pareti della stanza.
Lei
socchiuse gli occhi, mettendo a fuoco sull’uomo che aveva di
fronte. –Non mi frega un cane di cosa state dicendo! Se
è vero ciò che pronunciate, bhé non mi
riguarda! È vero, il nostro ardore è simile,
combattiamo per lo stesso ideale, ma cosa me ne dovrebbe importare di
questo mondo se a breve verrà, come dite voi, spazzato via?!
Un piffero! Ebbene, Corrado, oggi sono qui per sostare agli ordini di
chi mi ha dato l’occasione di pensare a me e a me soltanto!
Oggi vi ammazzo perché è anche un mio grande
desiderio dal giorno in cui fuggii dalla mia città per mano
vostra!- strillò su tutte le furie. –Basta, basta!
Facciamola finita!!!- scagliò un pugnale da lancio senza
preavviso, ma il Sovrano lo deviò con la sua lama.
-Se
intendi accorciare la storia…- ridacchiò lui
avvicinandosi. –E sia. Credevo che potesse farti piacere
campare qualche ultimo secondo!- scattò in avanti e diede un
affondo dritto e impeccabile che Elena parò con
difficoltà. Ella indietreggiò, di nuovo, fin
quando non trovò un varco nella guardia avversaria e
colpì all’altezza del fianco con
l’impugnatura dell’arma. Corrado avvertì
forse solo un solletico di quel colpo, ma Elena insisté col
menare senza tregua nei punti più esposti quali spalle e
gambe.
Uno
scontro alla pari che si andava concludere velocemente con la
stupefacente abilità che la ragazza aveva acquistato dai
suoi più cari maestri. Si assottigliò in una
scattante ruota e azzardò una ginocchiata, ma Corrado le
afferrò la caviglia disarcionandola dal suo equilibrio.
-Vi
chiamate Dee, non è così!?- sbottò
l’uomo scagliandosi su di lei con la lama al cielo.
Elena
rotolò di lato, e la spada avversaria cozzò al
suolo in un’esplosione di scintille.
-Vi
fate chiamare così!- aggiunse lui.
La
giovane non rispose. Il fiato le mancava, la forza nei suoi muscoli si
esauriva col passare del tempo che scorreva troppo lentamente. Se
sapeva che avrebbe vinto, perché Corrado non gettava le
armi?! Era stupido pensare che egli potesse cavarsela, Corrado non
aveva speranze contro di lei che era dieci volte la sua
agilità e venti la sua astuzia in duello! Combatterono
allungo, senza mai interrompere con altre parole quel frangente che si
avviava alla fine.
Era
difficile stabilire, arrivati ad un certo punto, chi dei due fosse in
vantaggio. Parevano entrambi sfiniti, stremati quando Corrado si
stanziò da lei celando la sua spossatezza dietro il solito
sguardo fiero e il portamento eretto. –Quando questa storia
sarà conclusa, farò ammazzare vostro padre!-
godé nel dirlo, ridendo da solo.
-No!-
Elena si lanciò su di lui e lo gettò al suolo,
sovrastandolo, ma ambedue si trovarono senza le rispettive armi. La
ragazza trasse la lama nascosta dal polso, ma Corrado premeva
contro la forza del suo braccio tenendo la punta dell’arma
lontana dalla sua gola. Elena osservò allungo il ghigno
distorto del suo avversario, come la fierezza di Corrado perdeva ogni
sua sfumatura quando guardava in faccia la morte. Ed ella era la morte.
In
quella posa di stallo per diversi istanti, finché egli non
ribaltò i loro corpi e riuscì a storcere il
gomito della ragazza che gridò dal dolore.
-Pensavi
di potermi battere?!- lui l’afferrò per il
cappuccio sbattendole la testa con violenza al suolo.
–Credevi davvero di poter riuscire?!- insisté
tirandola poi per i capelli. –Sei solo una sciocca! E da
sciocca morirai!- proruppe assaporando la vittoria.
Con
forza disumana, la sollevò da terra e la scagliò
contro la parete.
Elena
batté la tempia e si rovesciò sul pavimento nel
sonno dei suoi sensi. La vista le si appannava, la forza nelle gambe e
nelle braccia era sufficiente a sollevare una piuma ma non il suo
corpo. Quello che vide fu solo gli stivali di Corrado avvicinarsi a lei
e il bagliore di una lama che riluceva tra le luci soffuse della
Cappella.
-No!-
poi, d’un tratto, si sentì questo grido euforico e
rabbioso e la figura imponente di Corrado venne come spazzata via da
una seconda presenza. E fu così che il suo maestro si
mostrò sul confine tra la vita e la morte, spingendo via
Corrado prima che questi potesse calare la spada sulla testa della sua
allieva.
I
due si rotolarono al suolo fin quando Corrado non si stanziò
dall’assassino e si alzò in piedi di scatto.
–Bastardo infame!- stridettero i suoi denti nel mentre si
chinava a raccogliere la sua spada.
Altair
era allo stremo delle forze. Tentò di alzarsi, ma in lui
l’assopimento causato dal veleno premeva ancora e non gli
permise di sollevarsi. Se era intervenuto in tempo per salvare ad Elena
la vita, era stato perché in quel momento aveva consumato
ogni suo ultimo briciolo di forze. Accasciato a terra, nel tentativo di
sollevarsi e combattere.
Elena
lo vide, ribellandosi alla forza che premeva in lei e la implorava di
chiudere gli occhi. Ma lei non l’avrebbe fatto.
Cercò a tentoni, appoggiandosi alla parete, di tirarsi su,
ma quel che videro poi le sue profonde pupille fu uno spettacolo al
quale assistere fu più che doloroso.
Corrado
si avventò sul corpo stracciato di Altair e lo
afferrò per il cappuccio, tirandolo di sua forza in piedi,
così da guardarlo negli occhi. –Ancora tu? Ma non
è possibile!- ridacchiò il Sovrano. –E
così…- egli si volse poi ad adocchiare lei,
l’allieva. –E così, se vi ritrovo qui
oggi a combattere con così tanta foga, ci
dev’essere qualcosa di grosso a muovere entrambi…
tanto ardore può nascere da una cosa soltanto!- rise
piegando la testa del suo maestro all’indietro,
così da mostrare per bene la sua gola, sulla quale pelle si
arrampicavano goccioline di sudore.
L’assassino
respirava con affanno, sopraffatto dal veleno che quel curativo non
aveva tenuto abbastanza lontano dalle sue vene. Era così che
aveva speso le sue ultime energie: per darle l’occasione
di…
-Scappa…-
sibilarono le sue labbra.
Elena
si piegò in avanti, in ginocchio sul pavimento. In
sé aveva trovato un qualcosa che le aveva risvegliato il
corpo, ma ciò che ascoltavano in quel momento le sue
orecchie, era inaccettabile da comprendere.
-Scappa…-
pronunciò ancora confusamente Altair; gli occhi socchiusi
dall’immenso dolore che provava, la bocca asciutta e lo
sguardo che la incantava, la implorava di dare ascolto alle sue parole.
–Scappa, Elena, scappa…-.
Corrado
afferrò la collottola della veste dell’assassino e
l’avvicinò al suo volto. –Ma come?!- gli
alitò in faccia. –Non voi che la tua amata assista
alla tua fine?! Mi deludi, assassino. Vi facevo entrambi meno privi di
etica…- ridacchiò isterico.
-Elena,
non ascoltarlo…- Altair si voltò, ignorando del
tutto il viso di Corrado. –Scappa, vattente,
salvati…- sussurrò stremando.
La
ragazza si sollevò in piedi traballante.
-Basta!
Se c’è qualcuno che deve pagare con la vita, oggi
sei tu!- sbottò Corrado poggiando il filo della lama sulla
sua gola, e Altair inghiottì. –Mio padre non ti
meritava abbastanza…- sussurrò Corrado al suo
orecchio. –Le tue ultime parole?- gioì il
cavaliere.
Altair
prese un gran respiro e la guardò di nuovo.
Elena
tremava tanto quanto lui. Interrogarsi su cosa fare era tanto stupido
quanto inutile. Sapeva bene di dover scappare via, di dover fuggire e
che non era in grado di proseguire la missione, già fallita
da tempo. Avrebbe ritentato, ma era alquanto probabile che in futuro
l’avrebbe accompagnata qualcun altro… stava
morendo. Il veleno che gli scorreva nel sangue lo stava ammazzando.
Stava ammazzando il suo maestro. Nonostante ciò, Corrado
premeva la spada alla sua gola minacciandolo, rivendicando la morte di
Guglielmo con quella sciocca accusa. Ed egli ci godeva. Corrado godeva
nel vederli entrambi in quello stato. Si dilettava
nell’assaporare le loro sofferenze, nel percepire in loro un
legame che si sarebbe spezzato per sempre ad opera sua, reclamando la
sua vendetta. In qualunque modo si sarebbe conclusa quella faccende,
Altair voleva che si salvasse e che tornasse quando sarebbe stata
più in grado di ritentare. Era il volere del suo maestro,
non poteva disobbedire… e mai l’aveva fatto.
Elena
indietreggiò di uno, due passi fino a poter toccare con mano
la porta di legno scuro della Cappella.
Corrado
insisté. –Allora? Quali sono le tue ultime parole,
avanti! Sono proprio curioso!- strillò scuotendolo, ma
Altair ancora la fissava.
Il
pozzo profondo dei suoi occhi neri si perdevano sulla figura della sua
allieva, a cercare l’azzurro immensamente triste e
sopraffatto delle sue iridi. Quando lo trovò, quando i loro
sguardi l’uno più rassegnato dell’altro
s’incrociarono…
-Che
ci fai ancora qui?- mormorò Altair con un mezzo sorriso
sulle labbra. Sembrava arridere di quella situazione, sembrava cogliere
l’ilarità di quella sua battutina fuori luogo.
-Benissimo!-
persino Corrado ridacchiò divertito. –Ma adesso mi
avete davvero scocciato…-.
Elena
s’irrigidì.
Era
tutto troppo simile. Quante volte aveva passato una simile situazione?
Troppe, e in tutte quante non aveva fatto nulla per opporsi senza
peggiorare però le cose. Pensò al Templare di
quel giorno e alla sua fuga disperava verso la Dimora abbandonata,
mentre il suo maestro se la cavava da solo. Pensò a quella
stessa mattina, quando non aveva fatto nulla per opporsi se non
impietosire Corrado stesso che si era ribellato all’idea di
dover svolgere lui un certo incarico.
E
ancora Altair la guardava, aspettando una sua reazione, attendendo che
si voltasse e levasse i tacchi da quella Cappella. Paziente, egli
sperava che Elena facesse tutto ciò, ma probabile che non la
conoscesse abbastanza da poter interpretare il sorriso bieco che le si
stampò in volto.
Codarda.
Stupida.
Innamorata.
Elena
estrasse il pugnale
da lancio, quello bello con il manico intarsiato di decori
d’argento e lo scagliò a tutta
velocità. Questo scivolò nell’aria e
raggiunse la mano di Corrado stretta attorno all’elsa della
spada che, una frazione di secondo più tardi, si
rovesciò al suolo nel clangore del metallo contro la pietra.
-Dannata!-
sbraitò Corrado dopo aver lasciato la presa dalla veste di
Altair che invece, ricadde prima in ginocchio e poi completamente
disteso, assente di ogni forza anche solo per restare a guardare.
Elena
avanzò. –La questione doveva essere la
nostra…- sibilò lei debolmente.
-Ma
certamente!- Corrado si chinò a riafferrare la sua lama.
–Con nessuno dispiacere, my lady Elena!-.
-No…
Elena…- proferì agonizzante il suo maestro.
-Sta’
zitto tu!- Corrado infierì su di lui con un calcio, e
l’assassino rantolò giù dalle basse
gradinate dell’altare finendo dolorante e rannicchiato in una
posa innaturale nell’angolo della Cappella.
Gli
scappò un gemito, e il suo volto era imperlato di sudore e
stretto in un ghigno di sopportazione. Il suo maestro non si
alzò da lì per tutto il tempo che venne dopo.
-Fatti
sotto, avanti!- la chiamò Corrado scendendo giù
dalle scale.
Elena
estrasse la lama corta dal fodero e si avvicinò al suo
avversario insicura sui suoi passi, traballante e con la testa che le
pulsava per via di quel colpo.
Ripresero
lo scontro, più accanito di prima, ma nonostante
l’estrema difficoltà di Elena a parare i suoi
colpi, Corrado trovava altrettanto arduo il compito di respingere i
suoi rari e ben piazzati affondi. Tornarono ben presto alla pari.
Corrado
abbassò la lama con violenza, ma Elena schivò il
colpo e la spada andò a frantumare lo schienale di legno
della panca. –Dove fuggi?!- strillava l’uomo in
preda alla rabbia.
Elena
salì sull’altare e, da quella posizione
sopraelevata, gli scagliò contro un pugnale che Corrado
deviò alla svelta.
-Giochi
sporco?! E va bene! Ci sto!- ridacchiò il sovrano
raggiungendola e spingendole contro tutto il tavolo.
La
ragazza si gettò a terra di lato, evitando di venir
schiacciata dal peso dell’oggetto. Ancor più
debole, tentò di rialzarsi, ma Corrado le venne incontro
aprendole uno squarto piuttosto profondo sul braccio,
all’altezza del gomito.
Gemé,
ma trovò la forza necessaria per schivare il secondo
affondo, piegarsi sulle ginocchia e azzardare uno sgambetto.
Lui
e tutta la sua armatura cozzarono al suolo cadendo giù dalle
gradinate, ed Elena approfittò per appoggiarsi alla parete e
riprendere fiato nel frattempo che egli impiegava le sue fatiche nel
tirarsi su.
-Bastarda!
Non ti arrendi proprio!- strillò collerico.
Elena
si portò una mano al taglio e, quando aprì il
palmo davanti al suo naso, si accorse della marea di sangue che correva
tra le sue dita. Il taglio era profondo, bruciante, e la rendeva
più invalida di quanto non fosse già. La carne
attorno alla ferita aveva assunto un colorito violaceo, e sulla pelle
le si allungavano delle ramificazioni violacee come fossero radici
sottocutanee, dalla forma delle vene. La linfa purpurea andò
ad inchiostrare la manica della sua veste, e sul suo volto si
disegnarono i segni del dolore, mentre le sue labbra si schiudevano per
far venire dalla sua gola un grido stentato.
-Bastardo!-
si volse lei. –Veleno! Sulla vostra spada! Bastardo!-
ribadì a denti stretti.
Corrado
rise di gusto, facendo scivolare le dita della mano dal polso fasciato
sulla lama. –A mali estremi…- sorrise maligno
–estremi rimedi- concluse.
Elena
serrò i pugni e gettò a terra la sua spada.
Corrado
interpretò quello come un gesto di resa e le si
avvicinò risalendo sull’altare. –Di
già? Non immaginavo- proferì tranquillo
chinandosi ad afferrare la lama corta della ragazza che, nel frattempo,
chinò la testa da un lato appoggiandosi alla parete.
Quella
maledetta ferita bruciava come il fuoco. Ardeva come se le ceneri di un
braciere le fossero state lanciate addosso proprio dove la carne rossa
era più scoperta.
Lanciò
un’occhiata al corpo del suo maestro accasciato oltre le
gradinate, in un angolo della sala, e quella vista bastò a
donarle un ultimo barlume di speranza.
Finse
quando le gambe le cedettero, e finse anche quando si
raggomitolò su sé stessa ansimando.
Corrado,
cadde nella trappola e si chinò su di lei, così
da poterla guardare negli occhi.
-Farà
effetto a breve se tutto va bene- ridacchiò lui.
–Ma nel frattempo, sono ancor più contento che tu
possa…-.
Non
terminò la frase che Elena alzò un braccio e si
scagliò contro di lui rovesciandolo a terra, mentre un
ruggito di rabbia le risaliva il petto.
Uno
scatto, un sibilo, e la lama penetrò nel collo della sua
preda.
Dapprima,
gli occhi di Corrado si spalancarono di stupore, poi, lo stesso dolore
che Elena sentiva sulla sua pelle, egli lo avvertì dritto in
gola, mentre fiumi di sangue si rovesciavano sul pavimento e tra le
dita di lei, strette al suo collo.
E in
nell’istante in cui Elena percepì i suoi muscoli
assopirsi sotto di lei, Corrado morì.
In
modo disperato, quasi piangendo e ansimando dal dolore, la Dea
scivolò via dal suo corpo morto stendendosi al suo fianco.
Si prese qualche istante infinito o troppo corto per realizzare
solamente cosa e come aveva fatto… ma tutte le volte che si
ripeteva che ce l’aveva fatta, che Corrado era morto, in lei
si apriva la porta con su scritto: “non è
possibile…”
Stava
vivendo un sogno e un incubo al tempo stesso. Ma d’un tratto
si ricordò e scattò in piedi, portandosi una mano
alla ferita sul braccio così da bloccare
l’emorragia.
Altair
era ancora lì, steso a terra in quella posa innaturale e
sofferente, quasi se lo stessero ancora prendendo a calci.
Elena
scivolò in ginocchio accanto a lui e lo girò
delicatamente. Le sue palpebre erano abbassate come stesse solo
dormendo. Il suo respiro… non era neppure certa che ci
fosse, e questo pensiero bastò per poggiargli una mano sul
petto e stendere un braccio dietro la sua nuca, sollevandolo lentamente
e adagiandolo contro il muro.
-Avevate
promesso…- mormorò, e una lacrima trasparente le
solcò la guancia cadendo troppo in fretta sul pavimento. Una
volta che le sue spalle furono alla parete, Elena si gettò
ad abbracciarlo soffocando i suoi singhiozzi sulla veste inzozzata e
lurida di polvere del suo maestro. –L’avevate
promesso!- gridò terrorizzata, tremando.
Non
doveva. Non poteva essere morto. Con quale scusa, poi, pretendeva di
abbandonarla così? Aveva paura che risiedere in
un’ultima speranza le sarebbe costata la vita, dato che un
gran numero di guardie stavano pattugliando tutto il palazzo, ora
avvolto nel caos più caotico.
Il
suono delle campane divenne una litania distante quando, abbracciata
con foga a lui, Elena percepì un tocco flebile sulla sua
schiena.
Scostandosi
appena da lui e dal suo corpo freddo, intravide un leggero bagliore
provenire dai suoi occhi, adesso semi schiusi e volti a guardarla.
-Maestro!-
gemé lei abbracciandolo di nuovo, con più forza.
In
un primo momento egli restò immobile, sorbendosi tutto il
calore proveniente dalla sua allieva, carezzandole amabilmente i
capelli. Poi, nel riacquistare familiarità con le
articolazioni, ricambiò quell’abbraccio con
trasporto.
-Perché
mi avete spaventata così?- domandò ella
nascondendo il volto nell’incavo del suo collo.
-Speravo-
cominciò lui con voce soave –che ti ricordassi che
fossi sotto anestetici…- le sussurrò
all’orecchio sorridendo.
-Avrei
dovuto capirlo prima… che non potevate muovervi…-
singhiozzò lei.
-Basta-
Altair l’allontanò sa lui con delicatezza.
–Asciuga le lacrime, Elena, e andiamocene da qui- fece per
sollevarsi e la sua allieva gli diede una mano. Ma quando furono
entrambi in piedi, ella azzardò un brusco movimento della
gamba dato la scossa di dolore che la percorse da cima a fondo.
-Cosa…-
mormorò sbigottito il suo maestro con una mano poggiata alla
parete e l’altra protesa a sorreggerla.
-Corrado…-
intervenne lei. –Ha impiegato del veleno sulla sua spada! E
sono stata… ferita!- strillò agonizzante.
-Adesso
non c’è tempo, devi resistere-
l’abbracciò incamminandosi.
Elena
s’irrigidì, rallentando il passo e parve
riflettere su alcune cose.
-Fermo!-
disse lei d’un tratto tornando indietro, portando una mano
alla sacchetta legata alla cintura. Raggiunse il corpo steso al suolo
di Corrado e si chinò su di esso. Trasse dalla sacca la
piuma e la passò sulla gola insanguinata
dell’uomo, macchiandone metà.
Nascose
di nuovo l’oggetto nella sacchetta e tornò
affianco al suo maestro. –Ora possiamo andare-
proferì fiera, tradendo però quel momento pieno
di gloria con la sua voce incrinata dalla sopportazione del dolore.
Altair
la prese sottobraccio. –Sono fiero di te…- le
mormorò con immensa gioia, e detto ciò lasciarono
quella stanza che puzzava ormai troppo di sangue e veleno.
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Capitolo 52 *** La lotta alla piuma ***
La lotta alla piuma
-Hani!
Hani, di qua!- Elena gridò più volte il suo nome.
Il
ragazzo sollevò lo sguardo e subito scattò di
corsa via dal gruppo di guardie che lo accerchiavano. Si
arrampicò svelto sulle colonne della sala e, in pochi
secondi fu sul loro stesso piano.
-Maestro
Altair!- salutò egli col fiato corto.
-Presto,
dobbiamo andare!- gridò Altair affrettandosi, e i due gli
andarono dietro seguendo il corridoio che costeggiava le balconate
della sala dell’Incoronazione.
-Stanno
scappando!- strillò un cavaliere dal piano terra.
-Arcieri,
pronti!-.
Altair
in testa, Elena in mezzo e Hani che chiudeva la fila si dileguarono nel
buio di una galleria di pietra che portava su una terrazza esattamente
sopra l’ingresso del palazzo Reale.
-Rauf!-
Elena si volse, ma Hani l’afferrò con violenza per
il braccio rimettendola dritta.
-Non
c’è tempo, Elena!- la riprese trascinandola.
-No!
Non merita di morire! Dobbiamo aiutarlo! Dov’è?
Come sta?!-.
Hani
la posizionò di fronte a sé e la fissò
negli occhi. –È morto, Elena! Rauf è
morto aiutandomi a tenere le guardie lontane da te!-.
-Voi
due, forza!- udirono e si girarono verso di Altair che si stava
arrampicando più in alto, seguendo la facciata della sala.
-Morto?…-
balbettò la ragazza, ma Hani le strinse il polso.
-Non
ora, forza!- la strattonò ed Elena raggiunse il tetto del
palazzo seguendo a ruota gli appigli presi dal suo maestro.
E
gli arcieri non ebbero alcuna pietà, mentre il suono
distinto, tuonante delle campane la distraeva facendole scivolare da
sotto le dita ogni possibile aggancio.
Una
volta sul setto, i tre assassini si calarono su una balconata vicino ed
entrarono in una delle stanze laterali del palazzo.
-Da
questa parte, eccoli!-.
-Diamine!-
stridette Altair sfoderando la spada.
-Sono
in troppi!- gemé Elena, nel frattempo Hani si
parò davanti a lei estraendo la sua arma.
-Stai
indietro!- sibilò il ragazzo.
I
Cavalieri Templari si precipitarono nello studiolo armati, erano in
sei, e alle loro spalle li seguivano un corteo di guardie molto
numeroso.
Il
suo maestro e Hani avanzarono su di loro e ingaggiarono un lesto
combattimento per nulla alla pari.
Elena,
in disparte e invalida al duello a causa del braccio ferito e
infettato, si appoggiò alla parete ed estrasse, con la mano
sana, quanti più pugnali da lancio le restavano alla
cintura. Svolse un lavoro eccellente, agevolò i suoi
compagni assassini nello scontro ma, rimasta con un solo ultimo
coltellino, si guardò attorno spaurita.
Altair
era in piedi sulla scrivania e combatteva dall’alto di essa
disarcionando i suoi avversari con l’utilizzo degli stivali e
schivando, in perfetto equilibrio, i fendenti che gli arrivavano alle
caviglie.
Dal
lato opposto del locale vi era Hani che, oltre all’impiego
della lama corta, scagliava contro i suoi nemici alcuni dei volumi che
gli capitavano tra le mani, dato la stretta vicinanza con gli scaffali
zeppi di libri.
Elena
sollevò il mento e guardò in alto, dove ad
illuminare quella stanza dove non battevano i raggi del sole vi era un
gran lampadario fatto di candele, alcune delle quali erano ancora
accese e di molto consumate.
A
quel punto estrasse l’ultimo suo pugnale e lo tenne stretto
nella mano. Andò a caccia degli sguardi dei suoi compagni e,
quando li trovò entrambi pronti a prendere parte al suo
piano, si scostò dalla parete avanzando verso il centro
della stanza.
-Prendete
quella mocciosa!- sbraitò un Templare.
Altair
saltò giù dal tavolo e cominciò a
raggruppare i suoi avversari attorno a lei, portandoli il
più possibile nel centro del tappeto.
Hani,
nel vederla sorridere maligna, fece altrettanto scagliando contro i
soldati un’intera libreria.
-Ma
sono pazzi o cosa?!- ridacchiò un Templare; gli altri si
scambiarono un’occhiata divertita, ma la loro allegria
durò ben poco.
-Via!-
gridò Elena indietreggiando e scagliando il pugnale verso
l’alto, dritto a tranciare le funi che tenevano il lampadario
saldo al soffitto. La struttura di metallo di questo si
rovesciò al suolo ad intrappolare e schiacciare molti dei
soldati, mentre un’improvvisa vampata di fuoco si allargava
sul tappeto ustionando i cavalieri sopravvissuti all’impatto.
-Filiamocela!-
Hani la prese per un fianco mentre Altair faceva loro strada fuori da
quella camera ardente.
Le
pareti, il pavimento e il soffitto della stanza che si erano lasciati
alle spalle crollarono devastati dall’incendio che le candele
del lampadario avevano appiccato. Con l’astuzia e
l’ingegno, avevano privato l’esercito di Corrado di
almeno una quindicina di uomini.
Rapidi,
i tre assassini scesero le gradinate che si gettavano sulla sala
d’ingresso del palazzo e intravidero l’uscita della
reggia, quando sul loro cammino si contrappose un uomo a cavallo
vestito di una lucente armatura; portava un lungo mantello bianco,
l’elmo calato sul volto e la sua bestia calpestava il marmo
della sala. Attorno a lui si radunarono altri tizi simili che
spuntarono dal nulla con le spade alla mano, ma Elena notò
che sul loro petto era scolpita una croce greca, rossa come il sangue
che colava sul suo braccio.
-La
Fratellanza!- sibilò Altair indietreggiando.
Il
primo dinnanzi a loro alzò la visiera dell’elmo e
mostrò un viso giovane.
-Vi
prego! La Cerimonia è appena incominciata!-
sbottò irritato il ragazzo dall’alto della sella,
avvicinando la sua nera cavalcatura al gruppo dei tre.
Elena
si strinse al petto dell’amico, e Hani la prese sottobraccio
tornando con un piede sulle scale. Davanti a loro vi stava Altair che
trasse la spada dal fodero.
-Sentite
queste campane?!- sbraitò il giovane cavaliere.
–Io le sento! E non posso credere che voi!- indicò
il suo maestro con la punta della lama –che voi, lo stesso
bastardo che ammazzò mio padre, vi siate permesso di
togliere la vita persino a mio fratello!- era davvero su tutte le
furie, mentre attorno a loro la cerchia della Fratellanza fatta di
dodici, o tredici uomini stentava nel tener calmi i cavalli.
Elena
capì subito chi aveva davanti: era Bonifacio. Appena un
ragazzo già prestava servizio alla causa cattolica e sudicia
di suo fratello maggiore Corrado. Egli, tutto suo padre e copia esatta
del suo predecessore…
-La
Fratellanza oggi non esiterà!- assentì un altro
cavaliere.
-Ammazziamoli!
In nome della Fede!-.
Bonifacio
sorrise malizioso. –La voce del popolo…-.
-Ma
quale voce!- ribatté Elena.
-Una
donna?!- si stupì il fratello di Corrado, e dietro di lui
alcuni cavalieri risero.
Elena
ed Hani tentarono a vuoto la fuga tornando sui loro passi, ma in cima
alle gradinate comparvero una ronda di guardie che estrassero le lame e
accorciarono la distanza da loro.
-Mio
signore…- lo chiamò all’ordine un
cavaliere, e Bonifacio si volse sbuffando, facendo impennare la sua
cavalcatura.
-Consegnatemi
quella piuma!- sbraitò il ragazzo.
Elena
s’irrigidì, e lanciò
un’occhiata terrorizzata al suo maestro che, invece, pareva
tranquillo come suo solito, ma il braccio che reggeva la spada gli
tremava segno che i primi sintomi del veleno si stavano ribellando agli
antidoti temporanei.
Dovevano
sveltirsi, e persino la sua ferita sul gomito pulsava sempre
più.
-Piuma?
Come sapete della piuma?!- assentì Altair spaventando il
cavallo di Bonifacio con un rapido movimento della spada.
L’anima s’impennò ancora e quando i suoi
zoccoli tuonarono al suolo, la cerchia di Templari si strinse
ulteriormente attorno a loro.
-Siamo
spacciati…- gemé Elena avvinghiandosi al suo
collo, ed Hani la strinse a sé guardandosi attorno.
-Non
fare così! Non migliori le cose!-
s’irrigidì il ragazzo.
-Forse
possiamo giungere ad un compromesso!- proferì calmo il suo
maestro.
Bonifacio
s’innalzò sulla sella accorciando le redini.
–Un compromesso? State scherzando, vero? Quello che vogliamo
da voi è solo la vostra vita. Una richiesta alla quale non
è dovuto domandare per favore!- rise lui.
-Non
siete nella condizione di fare accordi!- ruggì un cavaliere
indirizzandosi al passo accanto a loro, ed Elena e Hani sollevarono
appena lo sguardo, quando le braccia robuste dell’uomo la
sollevarono per i fianchi.
Hani
tentò di riavvicinarla a sé, ma l’uomo
lo colpì con un calcio in pieno volto e
l’assassino si rovesciò al suolo lasciandosi
scappare un sussulto di dolore.
Elena
non si ribellò, non ne ebbe la forza e il Templare le
posizionò con sveltezza la lama alla gola. –Lei
per prima!- sbottò.
Bonifacio
allungò le labbra in un sorriso sornione. –Il mio
compagno ha perfettamente ragione. Non avete nulla che possa riscattare
la vostra… fuga!- alzò gli occhi al cielo.
–Nessuna pietà per quelli come voi, assassini!-
alzò un braccio e, nel momento in cui l’avesse
abbassato, sul pavimento della sala si sarebbe versato il sangue della
Dea stretta tra le braccia robuste come catene del cavaliere.
Altair
si voltò alcuni istanti, esitò sul da farsi;
sulla fronte gli comparvero delle goccioline di sudore e il suo volto
era contratto in una smorfia. –Fermo- trovò la
forza di dire, volgendo uno sguardo fugace alla sua allieva.
Elena
d’un tratto capì, ma restò in silenzio.
Se ciò che importava tanto a Bonifacio fosse… non
riusciva a pensarci. Non poté crederci… ma era
l’unica via.
Hani
si rialzò a fatica, ma un membro della Fratellanza
smontò dalla sella e lo spinse al suolo con una gomitata,
pigiando poi la spada sulla sua gola, allo stesso modo di come
l’uomo alle sue spalle stava facendo con lei.
-Fermo,
aspetta!- insisté Altair lasciando cadere la spada,
disperato. –Ti prego!-.
-Cosa
c’è?!- proruppe il fratello di Corrado.
Terribilmente irritato, scoccò un’occhiataccia al
suo maestro e lo ammonì con un solo sguardo di non aggravare
di un passo la situazione, o le conseguenze sarebbero state inevitabili
e terribili.
-Lasciate
andare loro… e prendete me- concluse Altair curvando le
spalle, prendendo un gran respiro.
-No!
No!- strillò Elena dimenandosi d’un tratto.
Sapeva
che avrebbe funzionato. Cosa non avrebbe fatto Bonifacio per
rivendicare la morte dei suoi familiari se non stremare
l’uomo che più gli aveva arrecato danno? Era
assurdo che andasse così, ma non c’era altro modo.
Elena pregò che non accettasse, pregò che Dio
posasse una mano sulle loro teste e li tirasse fuori da quella storia
che stava finendo nei peggiori dei modi. Preferiva morire piuttosto che
concedere una cosa simile! Gridò ancora e ancora, fin quando
il cavaliere che la teneva stretta sulla sella le infierì un
graffio sulla guancia con il filo della lama.
-E
sta’ un po’ zitta!- sibilò egli.
Bonifacio
inarcò un sopracciglio. –Ma no…- rise.
–Sono davvero curioso di sapere perché mi state
offrendo un tale… compenso. Non nego di provare
più interesse per la vostra assassina che per voi!- la sua
risata invase l’androne del palazzo e assieme a lui si
dilettarono molti dei membri della Fratellanza.
Altair
strinse i pugni e serrò la mascella. –Non ho detto
questo…- digrignò.
-E
allora spiegatevi meglio!- eruppe infastidito Bonifacio, e dalle narici
del suo cavallo si levò uno sbuffo.
-No,
no…- singhiozzò Elena. –Ma
perché… perché…- pianse.
Hani
nel frattempo assisteva clemente e afflitto a tutto quel vedere.
Chinato in ginocchio e con la lama poggiata sulla gola, non pareva
certo tra le nuvole.
Altair
alzò il mento fiero verso di lui, e Bonifacio sedette
più comodo sulla sella. –Lasciateli andare e in
cambio avrete solamente la vita dell’uomo che uccise vostro
padre e vostro fratello- mormorò.
Bonifacio
raddrizzò la schiena. –E chi di voi tre
è costui?-.
-Me-
dichiarò Altair.
Il
fratello di Corrado tacque alcuni istanti, il tempo necessario
perché due dei suoi compagni gli si affiancassero a cavallo.
-Ma
signore, non è per onore che li ammazziamo! Sono assassini,
vi è bisogno che nessuno di loro venga risparmiato!-
sbottò uno.
L’altro
alla destra di Bonifacio accorciò le redini e fece impennare
il cavallo. –Guardateli come chiedono umilmente
pietà nel tentativo di commuovervi! Sareste davvero
così suscettibili, Fratello?!- eruppe questi.
Altair,
nel frattempo, rimase immobile e composto nella sua figura. Assorto in
chissà quali pensieri, Elena intravide appena il nero dei
suoi occhi sotto il cappuccio, prima che Bonifacio sollevasse il
braccio.
-Fermatevi!-
ordinò il cavaliere all’uomo che teneva stretta
per la gola la ragazza, e la presa attorno alle sue membra divenne man
a mano meno presente, ed Elena toccò terra con i piedi
accasciandosi poi in ginocchio sul pavimento.
Bonifacio
ripeté la stessa messa in scena e il cavaliere che serrava
il terzo assassino, si allontanò da Hani che
scattò subito in piedi e corse verso di lei.
-Bloccatelo!
Tenta la fuga!- strillò un Templare, ma quando Hani si
gettò ad abbracciarla manifestando le sue vere intenzioni, i
cavalieri attorno abbassarono la guardie e rilassarono i muscoli.
-Stai
bene?- le sussurrò Hani tra i capelli, stringendola con
forza.
Elena
si avvinghiò a lui che l’aiutò a
tirarsi in piedi. –La ferita… fa male…
tanto- balbettò ella.
Altair
volse una mezza occhiata prima di tornare a guardare negli occhi
Bonifacio che, con un gesto della mano, congedò i suoi
Fratelli che tirarono le redini prtando i cavalli ad indietreggiare.
Fu
aperta loro la via d’uscita, ma Elena e Hani restarono a
guardare ammutoliti, l’uno stretto nella braccia
dell’altra.
-Voi
due potete andare- sibilò irritato Bonifacio. –Ma
lui resta, e questa sera al tramono verrà processato
dinnanzi a tutto il popolo di Gerusalemme!- esordì in fine,
e un grido di gloria si levò dalle guardie attorno.
-No!-
Elena si stanziò di colpo da lui e Hani non fece in tempo a
fermarla. La ragazza si avventò sul suo maestro
abbracciandolo di fronte a tutti quei cavalieri. Egli
ricambiò l’affetto e il trasporto di
quell’ultimo saluto, sorbendosi tutto il restante calore che
vi era nel suo corpo. –Va’… avanti- le
mormorò flebile all’orecchio.
Con
un movimento piccolo e veloce, estrasse la piuma dalla sacchetta della
sua cintura e la passo in quella del suo maestro, mentre
l’abbraccio proseguiva accompagnato dai commenti esilaranti e
bramosi dei soldati.
Rimasero
in quella posa allungo. Elena non volle staccarsi da lui per quei
minuti che parvero un’eternità; avvertì
la mano del suo maestro risalirle la schiena fino ad arrivare alla nuca
e per alcuni istanti non fece nulla se non godersi a pieno le sue
carezze. Poi, d’un tratto, sollevando di poco il viso, lo
baciò svelta e sfuggente, quasi non l’avesse
fatto. Il tocco delle loro labbra fu a tal punto impercettibile, che
nessuno dei presenti si accorse di cosa fosse realmente successo.
Allontanandosi
da lui, ammirando la sua espressione rassegnata, stremata dalla
tristezza, Elena tornò tra le braccia di Hani e
s’incamminarono voltando completamente le spalle.
Affrettarono il passo e, una volta trafitti dai raggi bollenti del
sole, intrapresero le gradinate di pietra che li portarono entrambi
oltre le mura del palazzo. Quando furono finalmente nascosti tra la
folla cittadina e avvolti dal caos delle strade, Elena ebbe il coraggio
di girare appena lo sguardo verso quell’immenso portone.
Il
suono delle campane divenne sempre più flebile,
finché non si spense del tutto accompagnato da una folata di
vento estivo che le sollevò i lembi della veste e i capelli.
-Andiamo,
avanti- le intimò Hani intrecciando le dita alle sue, e
ripresero la loro calma passeggiata, confusi tra i passanti e ombrati
dal cappuccio.
-Vieni-
il ragazzo la fece sedere su una panca e si sistemò al suo
fianco, strettamente vicino a lei. Erano appartati all’angolo
di un buio vicolo che affacciava su una piazza con una fontana. I
colombi se ne stavano appollaiati sui tetti, mentre nel cielo
azzurrissimo sopra la città si specchiavano le nuvole
bianche e candide di quella primavera perfetta. Soffiava un dolce
venticello, pareva tutto così allegro, eppure…
-Perché
gli hai dato la piuma?- chiese Hani.
-Voglio
andare alla Dimora…- deviò lei
l’argomento.
-No.
Non possiamo, ci tocca aspettare che le ronde ricevano
l’ordine di infischiarsene di noi o non ci arriviamo con due
gambe alla Dimora. Nel frattempo, rispondi alla mia domanda- non
l’aveva mai visto così serio.
-Per
due semplici motivi- brontolò ella.
-E
cioè?-.
-Primo:
Bonifacio ha chiesto della piuma e se non fosse stato Altair a
mostrargliela, avrebbe capito che non è stato lui ad
ammazzare suo fratello. E la nostra copertura sarebbe saltata. Secondo:
finché Altair terrà con sé quella
piuma, avremo un buon pretesto per tornare indietro a…-.
-Cosa
ti fa credere che Bonifacio gli lasci tenere la piuma e…-
fece una pausa, sgranando gli occhi.
-Scordatelo!-
sbottò improvvisamente furioso. –Ma come ti salta
in testa?! Noi non torneremo lì dentro a salvargli le
chiappe, chiaro? Abbiamo già rischiato troppo, la tua ferita
impiegherà giorni a guarire e per allora non potremo mandare
nessun altro a salvare il tuo spasimante!-.
-Non
è il mio spasimante!- ruggì lei.
-Mi
duole ammetterlo, Elena- si strinse nelle spalle –ma Altair
ha scelto di sua spontanea volontà questo destino.
Chissà la faccia di Malik quando…-
borbottò.
-No…-
una lacrima le passò sulla guancia. –Non puoi dire
così… noi torneremo. Questa sera torneremo,
quando Malik mi avrà medicata noi torneremo a prenderlo! Lo
salveremo, e assieme a lui riporteremo alla Dimora anche la piuma
macchiata del sangue di Corrado!- gemé andando a soffocare i
suoi gemiti sulla sua spalla, ed Hani la cinse in un abbraccio di mera
consolazione.
-Sai
bene che le cose non andranno così…- le
mormorò.
-No,
no!- assentì lei continuando a piangere disperata. In quel
pianto sfogò ogni suo dolore, fisico compreso dato il
colorito violaceo e preoccupante della pelle attorno al taglio sul suo
braccio.
-Elena,
abbassa il tono, per favore- le suggerì.
-Perché
dici che non possiamo fare nulla… quando non è
vero?! Perché non sei pronto a dare la vita per un tuo
superiore?!- sbottò ella scansandosi da lui con violenza,
dandogli le spalle e incrociando le braccia al petto.
-Perché
non è quello che avrebbe voluto!- rispose sincero Hani,
avvicinandosi a lei. –Sei davvero così testarda?!-
chiese incredulo.
-Sì!-
bofonchiò lei.
-Avanti,
leviamoci da qui prima che qualche arciere ci punti contro…-
la prese per il polso e la tirò via per il vicolo. Salirono
su una fragile scaletta di legno e raggiunsero il tetto della Dimora
senza nessun problema. Troppo curioso, pensò Elena
atterrando nella stanzina buia piegando le ginocchia, e subito dopo,
senza riuscire a controllare i propri muscoli, le gambe cedettero e si
accasciò al suolo.
-Rafik!-
chiamò Hani a gran voce nel vederla in quello stato
moribondo.
La
vista le si appannò gradualmente, i sensi le vennero meno ma
percepì chiaramente una presa salda attorno ai fianchi e la
forza di due braccia che la issavano su un tavolo.
-Prendetelo-.
Basto
dire questo a Bonifacio, e assieme al suo corteo di cavalieri della
Fratellanza si avviò fuori dalla sala.
La
forza di due paia di braccia lo sollevarono con violenza inaudita e lui
non si ribellò. Lasciò che i due Templari lo
conducessero nei sotterranei del palazzo Reale e si fece chiudere in
gatta buia senza fiatare. Lo privarono prima delle sue armi, poi di
ogni parte del suo equipaggiamento lasciandolo con indosso neppure la
veste per intera. Lo depravarono del cappuccio, degli stivali, della
cinta. E chissà che cosa ne avrebbero fatto di quegli
oggetti. Ma prima che riuscissero a sottrargli di dosso le sacchette,
estrasse dalla prima di queste la piuma macchiata del sangue di Corrado
e la nascose nei vestiti, incastrandola nell’elastico dei
pantaloni che, in tutta sincerità, pregò non gli
portassero via.
Altair
si sedé a terra, le gambe incrociate, i gomiti poggiati
sulle ginocchia e lo sguardo al pavimento, mentre i pugni li teneva
stretti quasi a graffiarsi i palmi con le unghie.
Era
stata la cosa più sensata che avesse potuto fare, e ancora
ringraziava un Dio nel quale non credeva che aveva convito Bonifacio a
risparmiare la vita della sua allieva e di quel ragazzo che era fuggito
con lei. Non si pentiva minimamente delle sue azioni. La scelta a
questa soluzione sarebbe stata morire nel tentativo di fuggire. In un
modo o nell’altro, la morte l’avrebbe portato con
sé, ma scegliendo questa strada Altair aveva trovato il modo
di allungare la permanenza di Elena nella parte viva del mondo. Non
aveva rimpianti, ma sapeva di averne fatti nascere in altri. Si chiese
che cosa ne sarebbe stato di lui, ma più che altro
pregò perché Elena non tornasse indietro o che
nessun altro lo facesse. Se conosceva davvero così bene la
sua allieva, sapeva che ella avrebbe tirato fuori le unghie piuttosto
che arrendersi all’idea che il suo maestro stesse morendo.
Poteva averle insegnato male a controllare i propri istinti? Si
domandò più volte se Elena avesse appreso al
meglio le sue intenzioni, se avesse compreso che non voleva essere
salvato, che non lo desiderava e che si sentiva pienamente realizzato
morendo in quella giusta causa. Lottare al suo fianco, al fianco di una
Dea, era stato un onore e una gloria che non aveva avuto pari in tutta
la sua vita. E innamorarsi di lei in quel modo passeggero
l’aveva colmato solo delle più gradevoli delle
infatuazioni, regalandogli degli ultimi giorni davvero memorabili.
Il
sole tramontava. I suoi raggi dorati s’infrangevano sulle
sbarre di una piccola finestra che dava sulla strada dietro le mura del
palazzo e lasciava travedere solo i piedi dei passanti.
Altair
era rimasto chino, chiuso in sé stesso e nel suo dolore.
L’effetto dei medicinali presi giusto qualche ora prima si
andava ad affievolire. Il punto ferito dal quale era entrato il veleno
bruciava intensamente, la testa gli pulsava e una fastidiosissima
emicrania non gli permise di chiudere neppure gli occhi.
Ascoltò
dei passi, poi il suono di una porta pesante e di legno e ferro che
sbatteva, ed infine due toni distinti che dicevano:
-Signore-
s’inchinò la prima guardia della cella.
Era
piuttosto buio, e i suoi occhi stanchi non riuscirono a scorgere troppo
oltre il suo naso. Intravide la figura retta di un uomo in piedi
dinnanzi a due sempliciotti soldati.
-Desidero
parlargli- dichiarò serio il fratello di Corrado.
-Ogni
vostra richiesta è un ordine- s’inchinarono
entrambi e una delle due guardie fece scattare la serratura della
cella, aprì e richiuse la porta alle spalle del signorotto.
Bonifacio
restò allungo in piedi sull’ingresso della
prigione. Senza ombra di dubbio, la sua attenzione fu calamitata dal
corpo rannicchiato e scosso da continui brividi
dell’assassino che, non appena lo vide, tentò di
dare un contegno alla sua ormai inesistente sopportazione del dolore.
-Veleno,
non è così?- domandò Bonifacio
avanzando nella stanza, e i tacchi dei suoi stivali tuonarono per tutta
la prigione. –Mio fratello ha ordinato ai suoi uomini di
intingere ogni singola freccia e spada nei barili di Sangue di Pervinca
non appena arrivato a Gerusalemme- rise. –Metodo
alquanto… sleale da parte sua, ma io stesso mi occupai della
sua lama mentre era occupato coi preparativi della cerimonia- si
guardò attorno sospirando. –Quanta fatica inutile.
Mio fratello non meritava di morire prima di veder realizzati i suoi
scopi! E altrettanto faceste con nostro padre… ma chi sono
io per darti più colpe di quante non ne hai ne hai
già, assassino?-.
Altair
tacque sollevando appena lo sguardo, così da scorgere non
solo i suoi stivali ma anche il suo volto.
Bonifacio,
giovane e bello, si chinò alla sua altezza.
–L’assassina cui non tolsi la vita questa mattina.
Parlami di lei…- ridacchiò.
-Cosa…
dovrei dirvi?- mormorò tremante.
-Del
perché avete permesso che ti abbracciasse in quel modo! Non
è spettacolo di tutti i giorni-.
-Era
la mia allieva… di appena 17 anni…-.
-E
così…- gli afferrò il mento alzandogli
il viso. –Quello che è prigioniero in questa cella
è un mastro assassino. Non posso crederci, la perla della
setta, è così?-.
-No-.
-Mio
padre e mio fratello non erano facili bersagli!- sbottò
irritato tornando dritto. –La tua maestria, assassino, parla
da sola!-.
-Lo
so-.
-Quale
coraggio- commentò divertito. –Donare la tua vita
in cambio della sua. Devo dire che certe storielle romantiche mi sono
sempre piaciute…- sogghignò.
Alcuni
secondi di imbarazzante silenzio, poi Bonifacio allungò una
mano verso di lui. –So che tieni con te quella piuma. Ora
porgimi il sangue di mio fratello, o verserò il tuo su
questo stesso pavimento!- sbraitò d’un tratto
collerico.
-Che
cosa ne farete?- domandò con un filo di voce, sollevando
appena il mento dal petto.
-La
brucerò! Che cosa vuoi che me ne faccia? Troverò
un buon posto dove conservarla; avanti, dammela! Nelle tue bisacce non
vi era! So bene che la nascondi nei vestiti, forza!-.
Altair
sollevò un lembo della maglia mostrando la piuma stretta
dall’elastico dei pantaloni a contatto con la pelle del suo
fianco. La strinse con delicatezza tra le dita e la porse
all’uomo che aveva di fronte.
-Godetevela.
Qualcuno verrà presto a strappare via la caramella al
bambino…- digrignò l’assassino
osservandolo allontanarsi verso l’ingresso della cella.
Bonifacio
non accennò a voltarsi e, quando il carceriere
aprì la porta, sparì oltre la soglia della
prigione confondendo il suono dei suoi passi e lo svolazzare del suo
mantello tra le ombre del corridoio dei sotterranei.
-Mi
raccomando. Tenetelo sveglio- ordinò ai soldati di guardia.
–Per le otto di questa sera deve essere scortato nella
piazza-.
I
due si scambiarono un’occhiata complice e attesero che il
loro signore si fosse allontanato a sufficienza.
-Che
razza di …- sputò uno a terra. –Ma chi
si crede di essere?!-.
-Corrado
le arie se le dava perché sarebbe diventato Re! Ma Bonifacio
resta tutt’ora solo un nobile “marchese”!
E persino noi siamo di rango più alto, quasi!- rise
l’altro.
-Questo
scherzetto gli toccherà la vita. Ormai non resta nessuno
della sua famiglia a parte lui ed Isabella- proferì il
soldato, giocherellando con il mazzo di chiavi. –Prevedo che
la setta di questi infami non si lascerà dietro alcun
rimpianto-.
Il
compagno, seduto su una panca di pietra al lato della cella, lo
fulminò con uno sguardo truce. –Non coinvolgere
Isabella in questa storia-.
-Donna
di poca fede! L’avevo sempre saputo che complottava contro la
Fratellanza. In tutti i modi ha tentato di tenere suo marito lontano
dalla cerchia di Bonifacio!-.
-Isabella…-
mormorò incredulo questi. –Isabella complottava
cosa?!-.
-Non
hai saputo? Pare che stesse nascondendo alle guardie da che parte erano
fuggiti quei due- indicò la cella nella quale era tenuto
l’assassino. –Mio fratello era a capo del
battaglione che avvelenò questo bastardo!- rise.
Altair
s’irrigidì, scosso da una nuova fitta di dolore
per tutto il corpo.
-Ehi,
secondo te sta dormendo?-.
-Non
credo. Non è così facile sfuggire alle sofferenze
del Sangue di Pervinca!-.
L’altro
sbatté le palpebre più volte. –Sangue
di Pervinca?!- sbottò. –Quando Bonifacio
ordinò di consegnare ai suoi uomini le nostre armi, non
pensavo che egli avesse escogitato di…-.
-Alla
famigliola del Monferrato quello che manca è
l’onore- disse tutto d’un fiato.
-Guglielmo
di onore ne conservava anche troppo-.
-Ed
era proprio questo che infastidiva gli assassini!- sospirò.
Nel
frattempo in cielo si accentuarono le primissime stelle.
-Dannazione!-
digrignò Malik. Il suo sguardo furioso indugiò
sul taglio profondo e violaceo che la ragazza aveva sul braccio.
-Che
succede?- chiese Hani intimorito.
Abbas,
dalla stanza accanto, si sollevò dai cuscini e raggiunse il
bancone sul quale era adagiata Elena aiutandosi con una stampella.
–Posso essere d’aiuto?- si offrì.
Malik
tacque alcuni istanti poggiando una mano sulla fronte della ragazza.
–Ha la febbre. Hani, aiutami a levarle di dosso i vestiti-
ordinò, e subito si misero all’opera.
-Quanto
tempo fa è stata ferita?- domandò il Rafik
sfilandole gli stivali.
Nel
frattempo, Elena pareva essersi solo addormentata, stesa sul bancone
della Dimora. Le palpebre abbassate, il corpo immobile erano chiari
segni positivi se analizzati da un occhio non attento. Ma chi di
esperienza ne aveva, poteva notare il sudore bagnarle la pelle alla
radice dei capelli e un sorriso contratto dal dolore, come se assieme
al sonno, la sua mente fosse stata invasa da un terribile incubo al
quale non poteva sottrarsi.
Hani
non seppe che rispondere. –Non so, con esattezza!-
sbottò slacciandole la cintura e adagiando i foderi delle
armi a terra. –Probabile un’oretta fa, o di
più!-.
Una
volta con indosso soltanto la canottiera e i pantaloncini corti, i due
si affrettarono a trafficare con quanti più possibili
composti e intrugli che alleviassero il dolore attorno al taglio. Malik
analizzò attentamente il colorito insolito della pelle
attorno al punto ferito e in fine decise di applicare un liquido
verdastro estratto da una boccetta che teneva nascosta tra gli
scaffali.
Ne
era rimasta giusto una goccia e, quando il liquido
s’insinuò nella fessura tra un lembo e
l’altro della pelle, il braccio intero di Elena fu pervaso da
un brivido e le venne la pelle d’oca.
-Garza-
chiamò Malik, e Hani gli passò il rotolo.
Avvolgendo
stretta la ferita, fasciando l’intero arto della ragazza
dalla spalla al polso, pregò perché quel fugace
intervento bastasse a annientare gli effetti del veleno; ma nel
frattempo la temperatura della febbre aumentava.
Hani
e Malik l’adagiarono tra i cuscini e la coprirono con una
coperta abbastanza spessa così da ripararla da eventuali
colpi di freddo. Quando nella Dimora tornò il silenzio, le
prime stelle in cielo stavano già comparendo mentre il solo
iniziava la sua discesa verso l’orizzonte occidentale.
-Dov’è
Altair?- domandò il Rafik sedendo stravolto sullo sgabello
dietro il bancone.
Era
stato un duro lavoro, c’era da ammetterlo, ma per ora Elena
riposava tranquilla in un angolo della stanza in perfetta armonia.
Hani
abbassò lo sguardo in un modo afflitto che fece subito
preoccupare l’assassino senza un braccio.
-È
rimasto indietro ad occuparsi delle guardie, non è
così!?- chiese mentre nei suoi occhi mandorlati si accendeva
un barlume di terrore. Eppure, non poteva…
Il
novizio si strinse nelle spalle sedendo a terra, accanto
all’allieva del grande mastro Altair che, dopo il passare di
quella notte, avrebbe concluso in quella città i suoi giorni.
-Mi
dispiace…- mormorò Hani voltandosi, sfuggendo
all’occhiata ansimante del Rafik.
Malik,
senza fiato, sbigottito da una tale affermazione, scattò in
piedi e si portò la sua unica mano al volto, cominciando a
fare su e giù dietro al banco. –No…-
assentì stropicciandosi gli zigomi. –Non posso
crederci… non è possibile… non Altair-
continuò.
Abbas,
dalla stanza accanto, chinò il capo in modo complice.
–Che dura perdita- brontolò.
-No!-
ruggì Malik improvvisamente, e il suo grido fece rivoltare
Elena sotto le coperte.
La
ragazza si svegliò di soprassalto, sollevandosi seduta e
guardandosi attorno.
Hani
si avvicinò a lei e l’abbracciò.
Malik,
nel frattempo, diede le spalle a quella scena e si ritirò
nello stanzino.
-Che
cosa… è successo?- mormorò ella con
voce tremante, stringendosi all’amico con una tale forza che
Hani avvertì i muscoli contratti attraverso il solo contatto
delle sue braccia. –Credo che Malik l’abbia capito
da solo…- le sussurrò all’orecchio,
tentando di essere il più delicato possibile.
Elena
abbassò il volto sprofondando il viso nell’incavo
del suo collo, e soffocò lì i suoi singhiozzi.
-Altair…-
gemé piangendo senza freno.
Hani
le accarezzò i capelli, la schiena, tentando di consolarla
in ogni modo che gli era concesso.
-Mi
spiace- disse egli.
Elena
si scostò da lui con violenza e si sollevò in
piedi; non voleva ascoltare le sue parole, ma piuttosto
cercò di trovare conforto e comprensione nella persona che
tra tutte si sentiva come lei.
Entrò
nello stanzino e trovò Malik seduto sui gradini, nascosto
nell’ombra. Raggomitolato come un gatto, sofferente, stretto
attorno al corrimano delle scale; teneva l’unica mano a
coprirgli gli occhi, sugli angoli dei quali comparivano alcuni
luccichii argentati rilucenti nel buio della piccolissima stanzetta.
Elena
si avvicinò a lui sedendogli accanto.
Chissà
dove trovò una tale confidenza, si chiese mentre lo
abbracciava. E Malik assecondò la sua richiesta, seppur con
un certo stupore iniziale. In breve ricambiò
quell’abbraccio e si lasciò andare con trasporto
stretto a lei, avvolgendola col suo unico braccio. Elena lo
sentì tirare su col naso, poi colse la sua mano andare ad
asciugare le due lacrime due che gli passavano sotto gli occhi.
–Grazie- proferì il Rafik in un sussurro.
–Posso a stento immaginare quanto siano simili le nostre
sofferenze… ora- aggiunse malinconico.
Elena,
senza staccarsi da lui, serrò i denti. –Mi
dispiace, ma è stata colpa mia- singhiozzò
scostandosi di poco.
Malik
le aggiustò una ciocca di capelli dietro
l’orecchio, ed Elena poté cogliere il rossore
dovuto al pianto nei suoi occhi. Conosceva da troppo poco
quell’uomo per poterlo giudicare come un amico. Ma se il
legame tra lui e il suo maestro era stato tale, non poteva che trovare
conforto in lui piuttosto che altri.
Altair
era stata forse la persona che li aveva avvicinati, ed ora che, doleva
dirlo, non c’era più… cosa avrebbe
fatto accrescere la loro amicizia? La Dea avrebbe dovuto continuare a
trattarlo come un qualunque Rafik, esponendo i fatti di un indagine e
contestando le Cronache. Eppure… Malik le infondeva fiducia
con un solo sguardo, e con un solo pensiero sapeva riempire la sua
mente di tutti i ricordi che Elena aveva di quando il suo maestro le
raccontava del suo periodo di assassino, prima che perdesse il braccio
sinistro e suo fratello.
-Colpa
tua?- rise lui tristemente. –E perché, sentiamo?-.
-Ho
permesso che accadesse… non ho impedito che succedesse!-
strillò tornando a soffocare i suoi singhiozzi sulla veste
scura del Rafik.
Malik
chiuse gli occhi. –La piuma- domandò
d’un tratto assorto. –L’hai macchiata?
Sei riuscita a portarla indietro?-.
-No!
L’ho lasciata a lui… Corrado è
morto… ma…-.
Ad
interrompere le sue parole fu un tonfo, e poi un grido di dolore.
Malik
ed Elena si sollevarono in piedi e scattarono di corsa fuori dallo
stanzino.
Nell’ingresso
della Dimora vi era una figura incappucciata di un copricapo grigio. Le
ginocchia piegate per attutire il colpo.
Hani
fece un passo avanti irrompendo nella sala. -Rauf?!- domandò
interdetto.
Il
cielo era macchiato di una magnifica tonalità rosso scura,
tinta di arancio nella parte più vicina al sole che
tramontava all’orizzonte.
Altair
osservò i raggi purpurei attraversare le sbarre della
finestrella e specchiarsi sulla pietra fredda del pavimento,
proiettando buffi giochi di luce.
La
notte si avvicinava, e contò che dovessero restargli
sì e no due ore di vita prima del processo. Era stato
condannato a morte, gli toccava quella fine che il destino aveva scelto
per lui. Non si sentiva affatto un ingenuo a porre fine ai suoi giorni
in quel modo. Anzi, tutt’altro: era più che
realizzato nei suoi scopi. Sapere che Elena stesse bene gli bastava.
Aveva abbandonato da tempo ogni tentativo di fuga o speranza in un
miracolo. Non era quel genere di credente che chiedeva aiuto ad un Dio
nel quale non poneva alcuna fiducia.
Se
ne stava così, per i suoi pensieri quando il suono flebile,
indistinto di passi si avvicinò piano alla sua cella.
-Lady
Isabella!- scattò in piedi una guardia che, col passare del
tempo, si era più che beatamente appisolata sulla panca.
Anche
il secondo soldato di ronda si fece attento salutandola con un inchino.
Altair
si alzò traballante avvicinandosi alle sbarre della sua
cella, sporgendosi all’esterno di essa.
Vide
la moglie di Corrado nel centro dell’androne della prigione.
Vestita di un lungo mantello grigio e col cappuccio abbassato, le erano
celati pure gli abiti turchini. I capelli biondi e lunghi tirati in un
ordinato chignon. Ma ciò che colpì maggiormente
l’assassino fu il corteo di cavalieri Ospitalieri che ella
aveva alle spalle.
Uno
di questi estrasse la spada e non esitò a trafiggere nel
centro del petto la guardia con le chiavi della cella legate alla
cintura. Un altro Ospitaliere mozzò la testa al secondo
carceriere, e i loro corpi si accasciarono all’unisono al
suolo.
Lady
Isabella si guardò attorno e i suoi occhi neri, calmi di
Regina incontrarono quelli dell’assassino.
-Eccolo!-
sussurrò ella ai suoi uomini. –Tiratelo fuori,
presto- ordinò.
I
cavalieri si avvicinarono alla sua cella e forzarono la serratura con
la chiave. Altair si fece indietro finendo con le spalle alla parete
della gabbia. –Non può essere
già…- mormorò spaurito.
Le
braccia robuste di due Ospitalieri lo afferrarono trascinandolo fuori
dalla cella, dinnanzi alla quasi Regina.
-Altair
Ibn La-Ahad. In nome della Corona di Gerusalemme siete libero di
andare- pronunciò la donna con fare superiore.
Non
poté credere a tal parole, ma i fatti confermarono il
miracolo.
I
cavalieri si allontanarono da lui e Isabella si spogliò
della sua mantella grigia porgendogliela.
Egli
l’afferrò e la strinse tremante tra le mani.
–Non capisco…-.
-Per
ora vi basti cogliere questa mia iniziativa senza contestare,
assassino- dichiarò. –Ma fate in fretta. Non vi
resta molto tempo prima che gli uomini di mio cognato giungano qui per
portarvi al patibolo!-.
-Come
posso ringraziarvi?-.
Isabella
chinò il capo. –La vostra allieva ha dimostrato
già i sentiti ringraziamenti. Corrado sbagliò a
seguire le orme di suo padre, e sono lieta che qualcuno abbia
interrotto la catena prima che potesse essere troppo tardi…-.
Gli
mancò improvvisamente il fiato, e vestendosi della mantella
che Isabella gli aveva lasciato, chiese: -Che ne sarà della
vostra Corona di Regina? Quando Bonifacio…- provò
a dire, ma una nuova fitta dovuta al veleno gli scacciò via
le parole di bocca.
Isabella
s’irrigidì. –Mi spiace non potervi
offrire le dovute cure, ma spero che riusciate a raggiungere la Dimora
prima di perdere completamente la vita. Il distretto controllato dagli
Ospitalieri vi sarà ospitale, perciò passate di
lì- gli suggerì alludendo agli uomini che le
erano fedeli. –Ma per rispondere alla vostra domanda, vi
basti sapere che io e Maria avremo modo di mostrarci in
futuro…- sorrise.
Altair
abbassò il capo e accennò un inchino.
–Grazie ancora, Maestà-.
Altair
sgattaiolò nel buio, ma improvvisamente Isabella lo
richiamò ed egli si volse.
-Quasi
dimenticavo- gli andò affianco, estraendo da una taschina
ricamata nel vestito azzurro la piuma macchiata del sangue di suo
marito. –Tenete- gliela passò in mano, e Altair
non esitò a stringerla tra le dita.
-Perché
fate questo?- chiese lui soave.
Prima
che ella potesse rispondere col sorriso sulle labbra, si udì
un grido:
-Isabella!-
strillò una voce familiare, tuonante. –Isabella,
ferma!-.
-Andate!-
la donna lo spinse via e Altair corse nel corridoio dileguandosi nel
buio avvolto nel grigio mantello.
Bonifacio
e i suoi uomini giunsero dinnanzi ai cavalieri Ospitalieri al servizio
della Regina, ed egli per primo non poté credere a
ciò cui aveva assistito.
-Isabella!
Perché?!- ruggì Bonifacio con la spada in pugno,
puntandole la lama alla gola.
La
donna diede ordine ai suoi uomini di non intervenire, mentre i soldati
di Bonifacio si lanciavano all’inseguimento
dell’assassino fuggito.
-Non
sono dovuta a darvi alcuna spiegazione!- ribatté lei.
Il
fratello di Corrado, in preda alla collera, la colpì alla
tempia con l’impugnatura della spada e la donna si
rovesciò a terra priva di sensi.
-Stupida
puttana!- digrignò. –Andate, e portatemi la testa
di quell’assassino!- impose ai cavalieri lì
presenti.
Questi
con la croce Ospitariera sull’uniforme nera non si mossero, e
un grido spaventoso si levò dal petto dell’uomo.
-Non
sono Rauf, stupido!- ansimò l’uomo dal cappuccio
grigio.
Elena
si scagliò su di lui e abbracciò il suo maestro,
ma questi perse l’equilibrio e cadde di schiena sul tappeto
della Dimora.
-Non
è possibile!- strillò invasa dalla gioia,
avvinghiandosi al suo collo e singhiozzando su di lui. –Non
ci credo! Siete vivo!-.
Malik
assistette alla scena cercando di dare un contegno
all’immensa commozione che stava prendendo piede sul suo
volto. –Già- sospirò smorzato.
Hani
accennò appena un sorriso. –Elena, così
lo ammazzi tu!- rise.
Il
grigio copricapo gli scivolò sulle spalle così da
mostrare il suo volto, ed Elena si stanziò dalla sua veste
lo stretto necessario per osservare da molto vicino il nero di quegli
occhi. –Maestro- mormorò.
Egli,
in preda agli spasmi per via del veleno, tentò di sollevarsi
e in suo aiuto accorse il Rafik che gli porse una mano, mentre
l’allieva scivolava via dal suo corpo.
-Devi
fare qualcosa… alla svelta…- disse Altair diretto
all’amico senza un braccio.
-Immaginavo
che fossi stato ferito; nulla se non il veleno avrebbe potuto farti
cadere nelle mani nemiche; avanti, vieni- gli mostrò la
strada fino nella stanza accanto.
Elena
lo strinse ancora, sostenendolo per un fiancalo e aiutandolo a
raggiungere il bancone al quale si appoggiò del tutto.
-Risparmia
il fiato per quando starai meglio- gli suggerì Malik
raggruppando tutto lo stretto necessario sul tavolo.
–Limitati a fare un bel sorriso alla tua allieva, piuttosto,
che era parecchio in pensiero- ridacchiò il Rafik accennando
una buffa allegria.
Elena
arrossì. –Non ero l’unica ad essere
parecchio in pensiero- ribadì, e Malik le scoccò
un’occhiataccia.
-Azzardati
a farci prendere di nuovo un colpo del genere, e…- il Rafik
non terminò la frase che Elena percepì le intere
forze del suo maestro affievolirsi del tutto, e il corpo di Altair si
accasciò per intero contro il suo.
-No!-
gridò la ragazza spaventata.
Il
battito del suo cuore stava rallentando, il suo respiro era smorzato
dalla sola fatica di tenere gli occhi aperti; così, dopo
pochi secondi, li chiuse e non li riaprì per molto tempo.
_________________________________________________
Che
palle!!! Quanto sto allungando sull’argomento
veleno… vabbé, a parte questo, mi è
piaciuto scrivere alcuni degli avvenimenti narrati qui. Non che ci sia
tutta ‘sta allegria, lo ammetto, ma dubito fortemente che
alcune parti non vi abbiano emozionato quanto me!!! XD Ebbene, non
credo di avere grossi chiarimenti per questo capitolo, così
passo ai ringraziamenti individuali.
Ecco
chi ha aggiunto la mia ff ai suoi preferitiiiii:
_Angelic Shadow
(aggiusta questo cazzo di PC!!! XD)
_Assassin (salveeee
!!! Ma a quanto pare non ci conosciamo!!! XD Fa nulla!!! XD)
_Carty_Sbaut ( Sono
contenta che questi ultimi capitoli ti appassionino tantoooo!!!
Wuhhahahaha!!! Recensisci appena puoi!!! XD)
_Diaras
(silenzioooooo!!! XD)
_goku94 (Bella frate!
Allora, com’è stato questo macro chiappo? :D )
_Kasdeya
(Però, ogni volta mi domando come tu abbia fatto a sorbirti
40 capitoli in una botta sola arrivando in così poco tempo a
pari passo con gli ultimi post O___O XD!!! Spero che questo capitolo
abbia lasciato il segno come quelli precedenti!!! XD)
_Lilyna_93 (saluti al
vecchio accaunt!!!XD)
_renault (ti
muovi ad arrivare a leggere qui?!?!?!? XD Scherzo, fai con calma! Solo
che sono impaziente di leggere cosa ne pensiiiii!!! XD)
_Saphira87
(allura… XD E sì, contenta che sia stata la tua
la 100° recensione!!! XD Vado fiera del modesto successo della
mia ff!!! Dunque, quali sono le impressioni del Gran Maestro Saphi?
<.< XD )
E
detto questo, vi saluto miei cari ascoltatori e vi do appuntamento al
capitolo nel quale si scoprirà quale atroce fine
farà il nostro assassino favorito! XD Me bastarda, me non
vuole mandare avanti la storia!!! Me ha troppe idee drammatiche per il
prossimo capitoloooo!!! XD
Un
bacio a tuttiiiii
Elik.
|
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Capitolo 53 *** Gloria e fiducia ***
Gloria e
fiducia
Il
suo corpo era brividi continui. Il suo volto contratto in una smorfia
inverosimile, gli occhi chiusi da ormai troppo tempo. Tutta
quell’agitazione la metteva terribilmente in ansia, ma allo
stesso tempo cercava di non manifestarsi più disperata di
quanto non lo fosse già. Lo stava guardando morire, e
ciò le dilaniava il cuore a furia di sprangate. Lo osservava
dall’alto mentre era disteso tra i cuscini, passando
delicatamente una pezzetta inumidita sulla sua fronte imperlata di
sudore. Soffriva: in lui aveva preso piede il male più
brutale; lo stesso dolore che Elena stava traversando sulle sue carni,
tentando invano di distaccare le sue sofferenze dovute al veleno nel
suo sangue all’immensa tristezza che provava nel guardare il
suo maestro in quelle condizioni. Era notte fonda: le stelle brillavano
nel nerissimo cielo specchiandosi sulle terre tranquille e silenziose
attorno a Gerusalemme. Erano state le ore più lunghe della
sua vita quelle trascorse a prendersi cura di lui. Forse
c’era persino scappata la preghiera con le poche parole di
latino che conosceva. Era rimasta al suo fianco, rinfrescandogli il
viso di tanto in tanto con il fresco della pezza bagnata che, dopo aver
immerso nel secchio lì accanto, si apprestava a strizzare
dell’acqua in eccesso. Non si stancava mai di ripetere
all’infinito le stesse azioni, non perdeva un istante del suo
tempo per poter carezzare la pelle bronzea e magnifica di quel volto
che, sperò sopra ogni dire, in un qualsiasi momento
riacquistasse il suo solito colore vitale.
-Elena-.
La
ragazza si volse di scatto.
Malik
la osservava da lontano, seduto al bancone della Dimora.
Metà del suo viso era nascosto nell’ombra degli
scaffali, e l’altra mostrava una serietà che la
inquietava parecchio.
-Per
ora può bastare. Vieni qui e lasciamolo riposare-
mormorò il Rafik, ed ella ubbidì sollevandosi
lentamente in piedi.
Adagiò
la pezza sul bordo del secchio di legno e si avvicinò al
bancone a sguardo basso. Lanciò un’ultima occhiata
alle sue spalle, vegliando premurosa sul suo maestro anche da quella
distanza.
Malik
gonfiò il petto prendendo un gran respiro.
–Dovresti distrarti, provare a prendere sonno, per esempio-
le suggerì accennando un sorriso, ma Elena non gli diede
quasi per niente ascolto.
Il
Rafik non si arrese certo così facilmente. –Non
nego che può essere dura, ma devi sforzarti di pensare ad
altro…- tentò.
La
ragazza giunse le mani in grembo e chiudendo gli occhi si sedette di
fronte a lui. –Sono ore che và avanti
così…- mormorò flebile.
-Ho
fatto tutto il possibile, e ti sono grato dell’aiuto che mi
hai dato. Ma come ti ho già detto, devi concentrarti su
qualcos’altro almeno finché non…- fece
una pausa. –finché le cose non miglioreranno o
viceversa- sospirò affranto.
La
Dea protese il suo silenzio oltremodo, ma questo fu interrotto
bruscamente dalla voce dell’uomo che aveva davanti.
-Tu
come ti senti?- chiese severo Malik.
Elena
sollevò la testa di poco lanciandogli una risposta col solo
sguardo: male… molto male.
-In
che senso?- insisté lui preoccupato.
Stava
male per tutto: il bruciore al braccio, il mal di testa incessante, i
crampi ai muscoli e un torcicollo pazzesco. Ci si mettevano pure la
febbre che non aveva accentuato nessun abbassamento della temperatura e
l’intollerabile spossatezza che a mala pena si reggeva sulle
gambe. Questi erano i suoi fastidi da un punto di vista prettamente
fisico… c’era da aggiungere il costante pensiero
che, pezzo per pezzo, le persone a cui voleva più bene le
stavano scivolando via dalle mani come polvere.
Hani
e Abbas erano nella stanza vicino, seduti tra i cuscini a scambiarsi
una conversazione fatta di soli bisbigli. Probabilmente si stavano
raccontando dell’esito della missione e in primo luogo, lo
stesso assassino dal cappuccio grigio, lo capì subito,
pareva vantarsi delle sue gesta.
Elena
tentò invano di nascondere il suo sorriso, e Malik
interpretò il tutto come un presunto accenno di
positività.
-Te
la senti di parlarmi tu di questa mattina?.. - domandò il
Rafik allungando l’unico braccio ad afferrare un volume dalla
libreria dietro di lui. -Dato che nessun altro può
farlo…- prese un respiro profondo. -per ora- concluse.
La
ragazza si mise più comoda sullo sgabello e
annuì.
Osservò
in silenzio come Malik prendeva appunti veloci sugli ultimi
avvenimenti. Registrava sulle Cronache i nomi dei farmaci e dei
medicinali che aveva utilizzato per curare entrambi, assieme ad alcune
delle terrificanti scoperte che aveva fatto visitandoli.
-Non
avevo idea che si trattasse di questo genere di veleno-
commentò ad alta voce l’assassino senza un
braccio. –Il Sangue di Pervinca si vende a caro prezzo ed
è piuttosto raro di queste zone. Se non sbaglio…
furono gli stessi Crociati a portarne qui barili interi dalle loro
terre. Come composto, non viene estratto per intero dalla pervinca, ma
quasi. Vi sono mescolati intrugli cui non saprei dare un
nome… mi è stato facile riconoscerlo dato gli
effetti catastrofici che ha al livello fisico, soprattutto sul piano
superficiale e della pelle. Le vene violacee attorno al taglio sul tuo
braccio…- disse guardandola, ma Elena sfuggì al
suo sguardo. –sono come radici- proseguì lui
tornando a scrivere.
-Ti
intendevi di medicina anche prima di diventare Rafik?-.
Malik
s’irrigidì al suono della sua voce, scaturita
così improvvisamente dalle labbra serrate della giovane. Ma
non indugiò oltre limitandosi a rispondere alla domanda:
-No. Quando persi un braccio, mi si proiettava dinnanzi un futuro
alquanto sedentario. Tanto valeva trovare qualcosa
d’interessante da fare prima di perdere anche la fresca mente
con gli anni- si puntò un dito alla tempia sorridendo.
Dopodiché
Malik intraprese la parte più dolorosa delle scritture. Le
chiese della missione, le fece tante di quelle domande che Elena perse
il conto, e volle sapere i particolari. Non ricordava certo il numero
di guardie che avevano tentato di bloccarle la strada, ma il solo
ricordo degli attimi tirati e agitati di quella missione le fece venire
un nodo allo stomaco che non si sarebbe potuto sciogliere neppure
prendendo delle pinze.
Mentre
raccontava, mentre le parole le venivano su e sfociavano dalle sue
labbra come le stesse vomitando a forza, cacciandosi due dita in gola.
Mentre faceva tutto ciò con estremo rigetto, notò
la piuma insanguinata poggiata poco distante sul bancone, accanto alle
pagine ancora bianche del libro sul quale Malik annotava svelto ogni
suo periodo. Il sangue si era incrostato sui bianchi filamenti della
piuma, e non riuscì ad immaginare quanto potesse puzzare una
roba simile; eppure era in bella vista sul tavolo, spiccava nel buio
della Dimora come avesse luce propria. Tutt’attorno vi era il
solo chiarore di alcune candele e un piccolo barattolo
d’incenso adagiato tra gli scaffali. Emanava una suadente
odore e vi si levava un fiotto di fumo che si dissolveva
nell’aria immobile e silenziosa del locale.
-…
Eravamo nella sala d’ingresso del palazzo. Non
c’era più un civile attorno a noi, ma prima che
potessimo solo sfiorare la via di fuga…-.
Malik
la interruppe. –Perché siete passati per la porta
principale?- chiese affranto.
Elena
curvò la schiena. –Ci avevano accerchiati, e
nessuno di noi…- tirò su col naso.
–sarebbe stato in grado di saltare sui tetti. Eravamo
stremati, tutti quanti…- resistette all’impulso di
voltarsi, di confermare le sue parole con ciò, o meglio chi
aveva alle spalle.
-Capisco-
mormorò lui, scarabocchiando sul foglio.
La
ragazza riprese il suo discorso. –Bonifacio, il fratello
minore di Corrado era alla Cerimonia assieme alla fratellanza cui il
futuro Re di Gerusalemme faceva parte. Ci hanno bloccati
sull’ultimo, ed è stato allora che…-
singhiozzò. –ed è stato allora che
credevamo di essere ormai spacciati-.
Malik
si tirò su. –Bonifacio?- domandò
stupito. –Lo credevo altrove, non e tanto meno non pensavo
che potesse arrecarvi tanti disturbi. È solo un ragazzino,
avrà sì e no la tua età, Elena-.
La
Dea sgranò gli occhi. –Davvero?!-.
Egli
annuì assorto.
-Non
pensavo…- bofonchiò lei abbassando nuovamente lo
sguardo.
-Ora
non darti pena di questo. Forza, continua- Malik deviò
l’argomento tornando alle questioni più urgenti.
Elena
inghiottì il groppo che aveva in gola. –Si
è offerto per lasciarci andare. Si è preso la
responsabilità dell’omicidio di Corrado
così da vendersi lui unico a Bonifacio che
l’avrebbe giustiziato questa sera, al tramonto…-
ricacciò il pianto, ma la sua forza di volontà
durò ben poco. –è stata tutta colpa
mia! Avrei dovuto consegnarmi io! E a questo punto lui starebbe meglio,
avresti avuto il tempo sufficiente per guarirlo, per non farlo soffrire
così!- si portò le mani al viso nascondendo gli
occhi grondanti di lacrime. –perché sono sempre
così stupida!!!- gemé quasi gridando.
Hani,
spaurito, fece per sollevarsi dai cuscini, ma Malik gli fece cenno di
restare dov’era. Il ragazzo si rimise giù fissando
sconcertato la scena assieme ad Abbass, comodo al suo fianco.
-Ti
sbagli- pronunciò Malik seriamente. –Da quando Al
Mualim è morto non ho più dubitato in un solo
momento delle azioni del tuo maestro. Se Altair ha scelto di fare
ciò, devi essere forte nella convinzione che egli ha saputo
valutare al meglio ogni sua possibilità. E credo bene che,
persino io nella sua posizione, avrei fatto la stessa…
identica… cosa- dichiarò severo.
Elena
si volse di profilo guardando altrove. –Non mi serve la
vostra compassione. So bene di valere la metà della
metà del mio maestro, non aveva diritto di sacrificarsi
così per me!- sbraitò.
Malik
mantenne la calma che Elena, invece, pareva aver perduto.
–Non è il Rango che conta, in questa Dimora. Se
sei contraria, farai bene a lasciare Gerusalemme il prima possibile e
tornartene dove l’uomo non è arrivato a pensare
agli amici prima della setta!- la rimproverò indicando
l’ingresso della Dimora. –Se sei così
legata al Credo, ti invito cortesemente ad andartene. Se invece in te
prevale il pensiero che l’atto di Altair sia stato
prettamente morale, o meglio dire “umano”, puoi
restare…- borbottò.
-Non
ho detto questo- digrignò lei.
-Allora
spiegati con maggior accuratezza. Non ho tempo da perdere- disse secco.
La
ragazza s’irrigidì a quelle parole.
–Sono una perdita di tempo?- mormorò.
Malik
la fulminò con un’occhiataccia. –Se
c’è dell’altro che devo sapere sulla
missione, ti conviene darmi le informazioni che restano. Forse, solo
quando avremo finito, potremo spostare la conversazione su qualcosa che
non sia sangue, morte e veleno- sbottò irritato.
-Scusami…-
Elena chinò la testa. –Hai ragione sulla storia
della setta… io per prima non posso darmi
dell’eccellenza per ciò che riguarda le regole del
Credo- sorrise.
-In
questa Dimora non vi è assassino che non le abbia infrante
almeno una volta- ridacchiò il Rafik.
-Veramente
sì!- Abbas alzò una mano.
-Sta’
zitto! Tu non vali!- Hani gli abbassò il braccio e
l’altro scoppiò a ridere.
La
Dea scese giù dallo sgabello e lo sistemò
più vicino al tavolo. –Ho finito, non
c’è altro che ti serve sapere da me…-
sussurrò una volta in piedi.
Malik
annuì compiaciuto. –Se ciò ti aiuta,
puoi tornare a prenderti cura di lui come stavi facendo poco fa. Sono
certo che non possa far altro che alleviare, seppur in minima parte,
l’immenso dolore che sta provando…-
assentì il Rafik guardando il corpo steso sotto le coperte
di Altair.
Elena
s’inginocchiò al fianco del suo maestro e
ricominciò il suo piccolo lavoretto da infermiera. Immerse
la pezza nell’acqua fresca e la strizzò per bene.
Successivamente la passò delicatamente sulla fronte di lui
imperlata di sudore e sul collo, bagnò le spalle scoperte e
rinfrescò i muscoli del braccio nudo poiché fosse
stato denudato della parte superiore della veste. Sulle parte lese dal
combattimento Malik aveva applicato degli spessi bendaggi, ma a
macchiare la pelle bronzea di quel petto perfetto vi erano anche
diversi lividi bluastri e resti di trascorse cicatrici. Fece attenzione
a non sfiorare quei punti; si disse che dell’acqua fresca
poteva certo alleviare il dolore, ma non sopprimere il male del veleno.
Nonostante Malik avesse ammesso di aver impiegato ogni curativo alla
loro portata, egli stesso aveva sottinteso che il più forte
tra tutti i medicinali che restava loro tra le mani era la speranza. E
fino al suo ultimo respiro, fino all’ultimo gemito del suo
maestro Elena avrebbe sperato, impiegando nella fede tutte le sue
forze.
Neppure
lei era nelle migliori condizioni, dopotutto. Sul suo braccio era come
se stessero ancora premendo dei carboni ardenti; un bruciore
inarrestabile in parte dovuto alla marea di disinfettanti, e in altro
luogo al presidio del veleno nelle sue vene.
Era
stato Malik, poche ore prime a confessarle che la sua era una
condizione prettamente migliore in confronto a quella del suo maestro.
I tempi d’esposizione al veleno erano stati differenti tra
Elena e Altair, quindi la Dea non aveva da preoccuparsi della propria
salute. Ma Malik pareva così affranto, sopraffatto e
turbato… forse le stava nascondendo la verità,
quella pura e cruda realtà che il suo maestro non avrebbe
passato la notte.
Senza
accorgersene, nuove lacrime avevano preso a solcarle il viso scivolando
leste sulle sue guance. Andando ad infrangersi sul pavimento.
Non
riuscì a trattenersi, di nuovo. Gettò con
violenza la pezza nell’acqua provocando uno
schizzò che andò a bagnare poco attorno.
Chinò la schiena, poggiò le mani in grembo
singhiozzando con foga, troppo addolorata. Pianse, e nessuno fece nulla
per fermarla.
Malik
lasciò che si sfogasse, Hani condivise il suo turbamento
assistendo da lontano. Abbas, Elena lo scorse abbassare la testa e
distogliere lo sguardo.
In
fine la vista le si appannò a tal punto dalle lacrime che
tutto divenne sfocato, confuso. Si gettò ad abbracciarlo,
avvinghiandosi al collo del suo maestro e premendo la guancia contro
quella bollente di lui. Strinse i denti, gemendo sul suo corpo caldo,
troppo caldo e immobile.
Fu
un pianto che durò forse pochi minuti, forse
un’ora. Fatto sta che il tempo la costrinse ad esaurire ora e
mai più tutte le lacrime. Si svuotò completamente
dell’acqua che contenevano i suoi occhi e, in fine, senza
rendersene conto, scivolò piano sempre più
giù, fin quando tutto non divenne buio.
Quella
notte sognò suo padre. Il Frutto dell’Eden e
Marhim. Questi tre elementi le fecero tornare alla mente la terza ed
ultima parte della sua missione che, giunta a questo punto, restava
tutt’ora incompleta. Doveva tirare suo padre fuori dalle
prigioni di Acri, rubare il Frutto al Palazzo di Corrado e tornare
vittoriosa a Masyaf abbracciando il suo ragazzo.
Non
le restavano minuti da perdere, e quel sogno le aveva dato la giusta
causa per cui combattere ricordandole di ciò che le restava
da portare a termine.
Aprì
gli occhi d’un tratto, riconoscendo un suo braccio stretto
attorno al petto scolpito del suo maestro. Completamente adagiata
contro di lui e il suo corpo caldo, Elena si riebbe completamente
sollevandosi seduta tra i cuscini. I capelli le caddero davanti al
volto e se ne nascose una ciocca dietro l’orecchio. Sulle sue
gambe vi era a coprirla la coperta che condivideva con Altair, immobile
e silenziosamente dormiente al suo fianco.
Era
mattina presto, il canto degli uccellini invadeva l’aria
fresca e riposata della Dimora diffondendosi per la città
assieme al primo vociare delle strade. Doveva trattarsi delle otto nove
circa, si disse guardandosi attorno. Raggi di luce luminosi penetravano
dalle grate dell’ingresso della sala e proiettavano tanti
quadretti sul tappeto davanti alla fontana silenziosamente scrosciante.
Hani pisolava appoggiato alla parete e poco distante da lui vi era
Abbas completamente steso tra i cuscini con una gamba alzata.
Malik
era già sveglio, seduto dietro il bancone a prendere appunti
su alcune vecchie pergamene. Assorto e con la fronte corrugata, il
Rafik sollevò appena lo sguardo per lanciarle
un’occhiata sorridente.
-Come
mai già sveglia?- domandò in un sussurro egli.
Elena
si guardò attorno passandosi una mano sul collo, ma non
rispose.
Quando
i suoi occhi caddero sull’uomo che aveva accanto,
notò una buffa espressione sul suo volto. Pareva dormire,
riposare tranquillo. Gli poggiò una mano sulla fronte e la
sentì ancora bollente. Il suo petto si alzava e si abbassava
con irregolarità, come scosso da impercettibili fremiti.
Elena
fece scivolare la sua mano sul lembo della coperta e la
scansò completamente da sé regalandola al suo
maestro. Si alzò in piedi, si stiracchiò e
raggiunse il bancone sedendo sullo sgabello davanti
all’assassino senza un braccio.
-Non
posso restare- disse seria.
Malik
inarcò un sopracciglio e arrestò le sue
scritture. –Cosa…-.
-Non
voglio esserci quando…- interruppe la frase a
metà, chinando la testa.
L’uomo
sospirò. –Capisco- mormorò grave.
-Pertanto-
ella si tirò su. –La mia missione non si
è conclusa mica con la morte di Corrado- dichiarò
fiera, austera come non lo era mai stata.
Malik
si adombrò. –Che intendi?-.
-Probabile
che la stessa colomba che portava le indicazioni
sull’omicidio contenesse anche queste…-
borbottò lei.
-C’è
qualcos’altro che devi fare? Qualcosa che Tharidl ti ha
affidato in segreto?- chiese lui.
-No-
sbottò lei. –Con te saranno tre le persone che
sanno di ciò. Devo partire per Acri-.
-Spiegati
meglio-.
-Mio
padre è tenuto prigioniero lì. Corrado lo usava
per i suoi scopi e fu egli, sotto torchio, a rivelare al figlio di
Guglielmo dove si trovava il secondo Frutto che Monferrato cercava.
Sarei dovuta andare accompagnata dal mio…
maestro…- si prese una breve pausa per calmare gli spiriti
agitati. –Ma la faccenda ha preso una piega inaspettata e mi
toccherà svolgere il compito da sola-.
Malik
ci pensò su alcuni istanti. –Non mi convince.
Acri… tutti quei soldati, e tu sei in queste pessime
condizioni. So dove vuoi andare a parare- disse. –te ne
uscirai con la scusa che presto Bonifacio e la sua corte faranno
ritorno nella loro città e che devi agire prima che questo
accada, ma non posso lasciarti andare- sospirò.
-Perché?!
Si tratta di mio padre, e ancora prima dei Frutti dell’Eden!
Due, per di più!- si sporse in avanti.
-Elena,
non complicare le…-.
-Malik,
ti prego!- lo afferrò per la veste avvicinandolo a
sé. –Devo andarmene, devo tornare a Masyaf, non ci
voglio più restare qui!- gemé. –Posso
farcela, e ci proverò! A costo di morire nel tentativo! Ti
prego…- singhiozzò.
Il
ragazzo le strinse il polso allontanandola delicatamente.
–Elena, perché non…-.
-Non
voglio guardarlo morire- pianse tornando seduta sullo sgabello.
Interdetto,
il Rafik la osservò in silenzio.
-Ho
detto di volermene andare? Ebbene, è vero. A Masyaf mi resta
ancora qualcuno di vivo su cui contare! Amici, e persino tu hai detto
che sono più importanti del credo!-.
-E
allora torna a Masyaf senza passare per Acri, no?- assentì
come fosse ovvio, ma dopo poco si rimangiò le sue stesse
parole, constatando che la ragazza lo stesse fissando con un profondo
odio negli occhi.
-Tuo
padre… hai detto?- domandò incredulo.
Lei
chinò la testa.
-Kalel?-
chiese conferma.
Ella
non rispose, chiudendo gli occhi e godendosi il buio delle palpebre
abbassate.
-Kalel…-
ripeté lui esterrefatto. –Non ci credo…
lo conosco di nome, durante i suoi anni nella setta ero solo un
ragazzino; non pensavo… o Cristo- si passò una
mano in volto. –E Tharidl ha mandato te a portarlo in salvo?-.
Elena
annuì debolmente.
-Quel
vecchio è pazzo!- ridacchiò il Rafik.
-Lo
dicono in molti- sorrise mesta.
Malik
tacque per uno, due minuti. –Senti- disse d’un
tratto appoggiando il gomito sul tavolo. –Non posso certo
impedirti di gettarti in pasto ai leoni, ma non hai neppure il mio
consenso. Durante l’omicidio di Corrado non hai saputo
cavartela al meglio in diverse situazioni, e c’è
da ammetterlo-.
-Lo
ammetto- sussurrò lei.
-Ecco,
perciò… come pretendi di arrivare solo viva ad
Acri?-.
-Contando
sull’effetto sorpresa, precedendo Bonifacio e i suoi uomini!
Sarò svelta, abile come Altair mi ha insegnato!-.
Malik
le poggiò una mano sulla bocca. -Abbassa la voce, piccola-
sibilò.
Prendendo
fiato e calmandosi Elena aggiunse: -Tharidl si fida di me. Altair si
fida di me. Perché tu no?-.
-Non
è la fiducia quella che non ti ho concesso-
mormorò lui sistemandosi più comodo.
–Hai tutta la mia stima, ragazzina- le sorrise –Ma
prima voglio sapere se lui lo sapeva- disse guardando
l’assassino steso tra i cuscini.
Elena
si volse ad ammirare il suo maestro. –Suppongo di
sì…-.
-Mi
piacerebbe sapere cosa ne pensa lui, più che altro. Come tuo
maestro, sta ad Altair decidere del tuo destino dopo il Gran Maestro.
In questi casi, ha più autorità lui di me-
confessò incrociando le braccia.
-Ma
sta morendo- gemé. –So che è
così, non continuare a mentirmi-.
Malik
curvò le spalle affranto. –Non ho mai cercato di
tenerti nascosta la verità, sarebbe fare un torto a me
stesso. Elena, se vuoi andare, sei libera di farlo. Se credi che la tua
vita non valga la pena di essere vissuta schivando altri eventuali
pericoli, allora ti lascerò varcare quella soglia-
mormorò triste.
Lei
abbassò lo sguardo.
Il
Rafik distese il braccio e le sollevò il mento prendendolo
tra le dita. –Vuoi almeno che Hani venga con te?-.
Lei
scosse la testa allontanando la sua mano dal viso. –No. Per
favore, io…-.
-Questo
si chiama suicidio, stupida- rise Hani entrando nella stanza e
sedendole accanto.
-Ha
ragione- proferì Malik afferrando il cesto della frutta da
sotto il bancone.
-Ciao-
la salutò lui stringendole una spalla. –Come va?-
sbadigliò.
Elena
si volse dal lato opposto. –Secondo te?…-
sibilò acida.
-Rispondi
un’altra volta in questo modo e non ti lascio muovere un
passo fuori da questa Dimora- l’ammonì il Rafik.
La
ragazza sorrise, si girò verso di lui e abbracciò
l’amico. –Ti prego, non voglio coinvolgere nessuno
in questa faccenda…-.
Hani
la strinse a sé. –Meglio soli che male
accompagnati?- rise.
-Sì,
esatto…-.
-Mi
fa piacere sapere che gradisci la mia compagnia- scherzò lui.
Elena
sbuffò e si alzò dal tavolo.
Sotto
occhi critici del Rafik e dell’amico, si armò di
tutto punto allacciandosi alla vita la cintura e il fodero di cuoio.
–Vado in città. Devo accertarmi che Bonifacio e i
suoi uomini non partano prima di questo pomeriggio. Svolgerò
alcune indagini e tornerò qui non appena saprò
qualcosa- proferì seria.
Controllò
di avere gli astucci pieni di pugnali e strinse i lacci degli stivali e
dei guanti, soffermandosi su quello sinistro.
Estrasse
la lama con un rapido tocco dell’innesco e si
meravigliò di trovarla linda, brillante in tutto il suo
splendore.
-Mi
sono preso la briga di metterci le mani mentre dormivi- sorrise Malik
prendendo una pergamena dagli scaffali e distendendola sul bancone.
Elena
si volse. -Grazie- mormorò flebile.
Hani
tornò nell’altra stanza e cominciò a
rivestirsi delle sue armi.
-Vieni,
devo mostrarti una cosa- la chiamò il Rafik, ed ella si
sedette nuovamente di fronte a lui.
-Sono
d’accordo con te. È bene che tu svolga delle
fugaci e svelte indagini su questo punto. Ma davi stare attenta:
Bonifacio sa bene che entrambi voi siete riusciti a scappare,
perciò farà di tutto per trovarti e ucciderti
senza esitazione. Avrà ordinato ai suoi uomini di setacciare
ogni angolo di questa città. Elena, pensa più
volte su cosa stai facendo…- l’ammonì.
-Malik.
Non devi preoccuparti- alzò il mento fiera.
-Se
fosse sveglio, sarebbe fiero di te. Hai preso il meglio di
lui…- sospirò.
Elena
distolse lo sguardo posandolo sulla cartina distesa sul banco.
–Ti prego, non…-.
-Sì,
hai ragione- si riscosse lui. –Forza e coraggio, avanti. Ti
indicherò alcuni dei luoghi dove trovare dei nostri
informatori che sapranno darti alcune informazioni preziose.
Baratteranno ciò che sanno forse con del denaro, o altro.
Non lasciarti spaventare, sono innocui, ma svolgono il loro lavoro
meglio di quanto credi- disse.
-Benissimo,
sono pronta- ricacciò le lacrime.
Malik
la fissò allungo in silenzio. –Ottimo;
allora…- si chinò sulla carta e le diede tutte le
indicazioni che le servivano. Quand’ebbe finito, le porse un
sacchetto di monete bello abbandonante.
Prima
di lasciare la Dimora, Elena lanciò un’ultima
occhiata al suo maestro steso tra i cuscini e congedò con
ripugno Hani dall’accompagnarla.
-…Amir
abita nel distretto ricco della città assieme ai suoi due
figli ed è probabile che lo trovi lì.
È un informatore che lavora agli scopi della setta da quando
aveva poco più di dieci anni, e la sua famiglia non ha mai
saputo nulla della sua reale mansione. È un tipo affidabile,
che per mero profitto fa ciò che gli viene chiesto. Si
attiene ai suoi compiti, è leale e fedele e saprà
forse darti una parte delle informazioni che cerchi…-
Alloggiava
in una bella casa con un cortile interno traboccante di piante, al cui
centro vi era una piccola fontana crosciante d’acqua limpida.
Elena atterrò nel giardinetto attutendo il colpo con le
ginocchia e trovò l’ingresso
all’abitazione già aperto. Si fece strada tra i
mille vasi di cotto ed entrò in casa quatta quatta. Ad
attenderla trovò un non molto vasto salone decorato di
tappeti e mobili pregiati. Seduto tra i cuscini color porpora, vi era
un uomo di media statura che leggeva un vecchio libro rilegato in una
copertina dorata. Amir portava una lunga veste sobria di un colorito
marrone tendente al rosso, decorata in alcuni punti di giallo. Il
cappuccio abbassato sulle spalle, i capelli corti e lo sguardo nero
severo.
Non
si accorse subito di lei, ed ella si avvicinò alla sua
figura composta fermandosi poi al suo fianco.
Solo
allora l’uomo sollevò gli occhi dalle pagine
ingiallite del tomo, che richiuse svelto, e si alzò
prorompendo in un vasto inchino.
-Dea…-
mormorò con voce acculturata.
-Amir
Lhad-Sayun?- domandò lei portandosi una mano al petto e
chinando la testa.
-Per
servirvi- ribadì egli.
-La
vostra famiglia è in casa?-.
Lui
scosse la testa. –Mia moglie è al mercato. I miei
figli sono a scuola. Siete libera di parlare- proferì calmo.
Elena
annuì e andò dritta al dunque. –Corrado
del Monferrato è morto ieri a quest’ora-.
-Ho
saputo- intervenne.
Ella
proseguì: -Ho bisogno di sapere verso che ora suo fratello
minore Bonifacio si appresterà a fare ritorno ad Acri
assieme al suo esercito. E se avete delle informazioni riguardanti la
Fratellanza, non tenetevi nulla dentro- disse schietta.
-Mi
spiace Dea- assentì lui. –Non posso ricambiare le
domande vostre riguardante la partenza di Bonifacio. Ma della
Fratellanza posso darvi un nome-.
-Parlate-.
-Una
cerchia ristretta ai soli nobili di sangue del nord alla quale non
poteva non prendere parte il celebre Guido di Lusignano…- la
informò.
-Terrò
a mente questo nome. Non avete nient’altro?-.
Scosse
la testa.
-Vi
ringrazio- gli porse una decina di monete d’oro e
lasciò l’abitazione allo stesso modo di come vi
era entrata.
-…Abdel
Allyhad è un povero mendicante che abita per le strade della
città e traffica raramente nel distretto nobile,
perché scacciato dalle guardie e delle volte deriso. Ma
passando gran parte del suo tempo nel quartiere malfamato di
Gerusalemme, non fa grande fortuna e considera, di conseguenza,
l’alleanza con la setta l’unica sua speranza di
vita su questo pianeta.
Un
uomo lasciato in mutande dalla stessa civiltà che un tempo
aveva servito con tanto amore. Abdel, fino a pochi anni
or’sono, prestava servizio nell’esercito di
Saladino, ma egli fu scacciato dai suoi superiori con
l’accusa di debolezza mentale. Insisto su questo punto
dicendoti che non fa buon uso del denaro che gli assicuriamo.
È probabile che lo troverai brillo come molti prima di te.
Non ti chiedo di provare compassione. Sappi che non ci rimangono
abbastanza ore per dar retta alle sue prediche su quanto la sua vita
faccia schifo. Ti assicuro che pur di distrarsi troverà ogni
modo possibile di allungare la tua permanenza al suo fianco. Feccia
della popolazione locale, Abdel ci è stato molto utile in
passato perché scambiato per matto da molti. Passa
inosservato molto facilmente, quando vuole, ovviamente…-
Elena
traversò il distretto medio senza nessuna
difficoltà. Sfuggì abile alle guardie, si nascose
sulle panche e nel fieno. In una manciata di minuti raggiunse il luogo
nel quale, come detto dal Rafik, avrebbe trovato ad attenderla il suo
prossimo informatore.
Abdel
vestiva di stracci ed era seduto comodamente tra dei vecchi tappeti
abbandonati nel vicolo nel quale “viveva”. Il volto
consumato dalla fatica di sopportare il dolore e il corpo assopito. Gli
occhi fuggivano alla gente che, passando, gli lanciava una sola svista
per poi proseguire indisturbata sulla strada.
Elena
gli atterrò esattamente affianco con un balzò,
così da farlo scattare in piedi spaventato.
-Ehi!
Chi c’è?! Chi va là?!-
sbraitò guardandosi attorno e tremando sulle sue stesse
gambe.
Non
le parve molto vecchio. Forse di mezza età, tra i ventinove
e trentacinque anni. Abbastanza robusto, ma consumato dal tenore di
vita che perseguiva.
-Abdel
Allyad?- domandò ella poggiandogli una mano sulla spalla.
L’uomo
si volse a guardarla e le sorrise. –Dea?!- chiese sbigottito
e subito dopo si prostrò a terra in un inchino esagerato.
–Onori, onori…- sibilò devoto come
stesse pregando.
Elena
strinse i denti. –Nessuno ti ha mai insegnato a non dare
nell’occhio?!- sbraitò tirandolo per gli stracci e
trascinandolo nell’ombra del vicolo.
-Adesso
dimmi cosa sai sulla partenza di Bonifacio da Gerusalemme verso Acri,
avanti!-.
-Avete
toppato alla grande. Non so nulla di una partenza- ridacchiò
poco sobrio.
-E
cosa sai?!- digrignò lei avvicinandosi a lui
minacciosamente. –Come mai nessuno di voi sembra fare il
vostro lavoro come si deve?!- quella situazione stava diventando
alquanto fastidiosa, pensò.
-Non
scaldatevi troppo, Dea, ci sono diversi modi per estorcere
informazioni…- ridacchiò malizioso.
Elena
lo afferrò per il colletto degli stracci che indossava e lo
sbatté con violenza al muro. –Non ho tempo da
perdere! Se la tua lingua non sputerà qualcosa di sensato
entro otto secondi, giuro che te la taglio!-.
-D’accordo,
d’accordo!- gemé intimorito. –Vi chiedo
perdono, ma le cose non mi vanno molto bene ultimamente…-
borbottò, ed Elena lasciò la presa sulla sua
lurida maglia.
-Svuoterò
le tasche se mi darai ciò che voglio sapere, è
una promessa- disse lei.
-Lo
so bene!- eruppe scocciato. –Ma i soldi che mi date bastano a
mala pena una settimana…-.
-Vedi
di conservarli in qualcosa che non sia l’alcol, allora- lo
riprese.
-Chi
siete, mia madre?- ringhiò.
-Possiamo
tornare a…-.
L’uomo
fece un gesto di stizza. –Va bene, come volete… ma
ve l’ho detto. So poco e niente della partenza di Bonifacio.
Mi è certo soltanto che i suoi uomini si stanno radunando in
forze alle spalle del Tempio. Quindi sono in procinto del viaggio,
probabilmente. Non mi è chiara l’ora prefissata,
ma persino gli accampamenti alle mura della città stanno
levando le tende. Un folto numero di guardie pattugliano le strade,
è successo qualcosa, non è così?- rise.
-Corrado
è morto. È il minimo che ci diano la
caccia…-.
L’informatore
sgranò gli occhi. –Voi… avete ucciso
Corrado del Monferrato?-.
La
ragazza annuì scontenta.
-Voi
e chi altro?-.
-Altair-.
-Che
Cristo resti in cielo…- mormorò incredulo.
–Bel casino; Bonifacio è intento nelle vostre
ricerche ed è probabile che magari non lasci la
città fin quando non vi avrà trovati- disse
assorto nei suoi pensieri.
-Mi
servono conferme, non supposizioni. È tutto?- fece irritata.
Abdel
si guardò attorno. –Sì, è
tutto-.
Elena
gli lasciò abbastanza denaro da poter campare non una ma due
settimane e filò via dileguandosi tra la folla.
Due
su tre informatori le avevano svuotato per metà il sacchetto
di monete e le restava un ultimo spiraglio di conoscenza al quale
estorcere informazioni.
-Akram
è noto per il suo prestato servizio nella setta, ma a causa
di una lesione permanente alla gamba sinistra, ha dovuto abbandonare le
pratiche dell’omicidio. Si è stabilito a
Gerusalemme assieme alla famiglia. Ha quattro figli, ma la moglie
morì durante l’attacco a Masyaf da parte dei
Crociati. Posso dirti di lui poco, anche se di Cronache che lo
riguardano in questa sala ce ne sono parecchie. Lo troverai a
trafficare nel distretto medio della città; dalla mattina
alla sera non fa altro che impiegare il suo tempo negli spionaggi.
È un mestiere che apprezza, ed è un uomo che
viene apprezzato per ciò che fa. Sono certo che il suo modo
di parlare e di fare ti stupirà oltremodo, e forse
è colui dal quale riceverai le informazioni necessarie e che
stai cercando. È probabile che, come fa di solito, rifiuti
il tuo denaro. Non insistere, e porta il dovuto rispetto ad un
assassino che fu di rango pari a tuo padre…-
-Akram?-
domandò flebile.
Indossava
un copricapo bianco fatto di un tessuto candido ma sporco in alcuni
punti di sabbia. La veste chiara gli arrivava fino alle caviglie e ai
piedi portava dei comodi sandali. Al ventre era legata la fascia rossa
con sovrapposta la spessa cintura di cuoio alla quale erano legate
diverse sacche. Le cinghie e il triangolo di metallo gli correvano sul
petto e sulle spalle portava un piccolo zainetto di pelle
dall’aria pesante. Era alto, e trascinava di poco la gamba
sinistra come le aveva detto Malik. Elena lo chiamò
più volte, seguendolo tra la folla che percorreva la via
principale della città.
Il
sole cocente andava a brillare nell’alto del cielo azzurro e
limpido. Vi si specchiavano solo tre o quattro piccole e innocue
nuovole, e il canto degli uccellini si mescolava al vociare accentuato
dei passanti.
-Akram!-
la ragazza gli toccò appena il braccio e l’uomo si
volse di scatto, foderando con un gesto fulmineo del polso un piccolo
pugnale da sotto la veste.
Elena
avvertì la lama premere su un suo fianco e fece per
indietreggiare, ma l’informatore la stringeva per un gomito
inchiodandola dov’era.
La
giovane Dea sbiancò di fronte allo sguardo truce della
persona che aveva davanti. Non doveva avere più di una
quarantina d’anni, ma parte del suo volto era celato dal
tessuto del copricapo, lasciando un lembo sottile dal quale spiccavano
due occhi incredibilmente azzurri.
-Aspetta…-
mormorò lei.
La
sua presa sul braccio di lei si affievolì con calma, poi
egli chinò il capo rinfoderando il pugnale.
Elena
si ritrasse azzardando un passo indietro. -Akram, giusto? Il Rafik non
mi diede il vostro cognome…- sibilò pensosa.
L’uomo
la fissò allungo tacendo. Improvvisamente, un gran sospiro
gli gonfiò il petto. Poi rise.
Elena,
stupita del suo atteggiamento, aprì la bocca ma non seppe
che dire.
L’informatore
arrestò la sua risata sfociando in un luminoso sorriso.
-Cosa
ci trovate di tanto divertente?- proruppe.
-Noi
ci conosciamo. Solo che tu non lo ricordi. Eri troppo
piccola…- disse solo con una voce familiare che, senza
avviso, le scaldò il cuore.
La
ragazza ammutolì. Da qualche parte, in qualche tempo, in
qualche luogo… aveva già incontrato di fatti
quest’uomo.
Akram
la guardò dritta negli occhi. –Quanto sei
cresciuta…- assentì sqadrandola dalla testa ai
piedi.
Elena
arrossì, ma non aggiunse nulla.
-So
perché sei qui. È bene non dilungarci, vieni-
proferì voltandosi e incamminandosi.
La
Dea lo seguì in silenzio e si ritrovarono ben presto in un
vicolo appartato.
-Bonifacio
sta preparando i suoi uomini dietro il Tempio di Salomone. Si
apprestano a partire, ma l’ora precisa è stabilita
per questo tardo pomeriggio. Si muoveranno prima di cena e
raggiungeranno Acri in quattro giorni di marcia. I membri della
Fratellanza, però, saranno già lì
precedendo il grosso dell’esercito di Corrado...- la
informò composto.
-Grazie…-
non c’era altro che le servisse sapere e si sbrigò
ad afferrare le ultime monete dalla sacchetta che aveva legata alla
cintura.
-Elena-
la chiamò d’un tratto.
Lei
tacque sollevando il mento.
-Non
hai alcun ricordo, non è così?-.
-Non
so di cosa stiate parlando…- prese una moneta tra le mani e
iniziò a giocherellarci nervosamente.
Akram
si sfilò via dalla testa il copricapo e mostrò
per intero il suo volto. –E adesso?- chiese.
Elena
sollevò di malavoglia lo sguardo e, incredula di
ciò che aveva… o meglio, di chi aveva davanti,
restò senza fiato.
Le
monete le caddero sbadatamente rovesciandosi al suolo. –Non
è possibile…-.
La
somiglianza era troppa, ma si diede della stupida per non aver
associato tali occhi ad una voce tanto familiare. Ogni tratto del suo
viso era troppo… troppo simile a…
-Kalel
forse preferì non parlarti di me, ma quelle poche volte che
venivo a farvi visita ad Acri, egli mi allontanava con ripugno. Mi
odiava per il semplice fatto che più volte mi contrapposi
alla storia che nacque tra lui e Alice nella setta… Alice
non mi era mai stata simpatica, né prima né dopo
la loro fuga da Masyaf. La consideravo un fastidio repentineo che
avrebbe infangato il nome della nostra famiglia. Una Serpe vera e
propria come quella sul suo tatuaggio. Fui suo allievo; allievo di tuo
padre, e per molti anni lui mi vide così. Non più
come suo fratello, ma come un suo semplice apprendista. Fu allora che
ci sperammo, fu allora che mi ripudiò del tutto. Il dolore
che mi trascino sulla gamba sinistra fu il simbolo bruciate
tutt’ora del mio tradimento. Era stata la mia voce a parlare
ad Al Mualim di loro. Ero stato io a raccontare la loro vita
sentimentale al Gran Maestro, e questo Kalel non me lo
perdonò mai… credevo troppo nell’onore,
e questa mia etica mi trascinò nell’oblio di
questi anni passati ad implorarlo sulla sua porta. All’epoca,
mio fratello non mi parlò neppure di Gabriel, ma lo venni a
sapere da Tharidl una o due settimane fa. Da vero idiota, il mio
comportamento fu la rovina della vostra famiglia. Mi diedi la colpa
della morte di Alice e adesso mi condanno all’inferno per
ciò che è successo a tuo padre. So che si trova
ad Acri prigioniero del defunto Corrado, e vederti ora di fronte a me,
chiedendomi informazioni preziose per portare a compimento la
“tua” vendetta… mi riempie il cuore
della stessa fierezza che provai insegnandoti a camminare…-.
Senza
pensarci due volte, Elena si gettò ad abbracciare suo zio
con una stretta poderosa, sfogando su di lui tutta la sentita mancanza
di affetto familiare che aveva passato negli ultimi mesi.
Akram
la strinse a sé disperato. –Elena…- le
mormorò all’orecchio.
-Verrai
con me ad Acri?- domandò ella trattenendosi dal singhiozzare.
-Questa
gamba non mi porterà molto lontano. Ti ho vista mentre
saltavi da tetto a tetto…- sorrise fiero. –Invidio
il modo con cui Kalel ti ha allenata in così poco
tempo…-.
-Poco
tempo? Otto anni della mia vita li chiami poco tempo?-
ridacchiò gioiosa.
-Sì,
hai ragione-.
-Va
bene lo stesso, ma zio…- lo chiamò.
-Sì?-.
Non
c’erano altre parole per descrivere la sua
felicità in quel momento, ma dilungarsi avrebbe significato
la rovina forse della sua missione. Ci sarebbe stato tempo per guardare
da vicino la sua famiglia al completo, ma ora doveva scattare verso la
vittoria. –Dimmi che verrai a Masyaf-.
Lui
annuì. –Sto già facendo le valige-.
-Non
posso crederci, ho quattro cugini…- sibilò
stupefatta.
-Forse
più di quattro…- s’interruppe ridendo.
-Presto li conoscerai, ma ora devi andare-
l’allontanò dolcemente.
-Sì,
infatti…-.
Akram
le volse un’ultima occhiata, ed ella si dileguò
dal vicolo confondendosi alla folla.
Doveva
restare concentrata, si disse atterrando nella Dimora.
-Allora?-
Hani le venne incontro.
-Tu
non vieni- sbottò la ragazza avviandosi al bancone.
Il
giovane scoppiò in una fragorosa risata. –Stai
scherzando, è così?-.
-No!-
Elena raggiunse la stanza accanto e si precipitò al fianco
del suo maestro, ancora steso tra i cuscini.
Malik
lasciò la sua postazione dietro il bancone. –Non
mostra alcun tipo di miglioramenti, mi spiace- mormorò
afflitto.
Elena
gli passò una mano sulla fronte, sentendola ancora bollente
e imperlata di sudore. Poco dopo tornò in piedi e strinse i
pugni.
-Bonifacio
partirà assieme ai suoi uomini questo pomeriggio. La
Fratellanza li precederà di qualche giorno, quindi devo
andare, e subito- annunciò seria.
-Allora
avvicinati. Non abbiamo tempo da perdere- il Rafik cercò tra
le pergamene sugli scaffali e ne distese una sul tavolo.
-E
io?!- domandò imperterrito Hani.
-Ha
ragione- Malik le lanciò un’occhiataccia.
–Non ti permetto di partire da sola- disse composto
osservando la mappa.
Elena
si avvicinò a lui, ed Hani la squadrò
silenziosamente.
-E
va bene!- alzò gli occhi al cielo. –Ma non dovrai
essermi d’impiccio, chiaro?!- gli puntò un dito
contro.
Hani
rise di gusto. –D’accordo…-.
Detto
ciò, i due giovani assassini si avvicinarono al banco
sedendo composti davanti ad esso.
Malik
fece correre il suo dito sulla cartina. -Questa pergamena rappresenta
il Regno, ma poiché copre una vasta estensione di
territorio, non è molto precisa. Perciò prestate
attenzione- disse severo.
La
ragazza annuì.
-Bene…-.
Il
Rafik fece una lunga lista di appostamenti nel quale era probabile che
il terreto fosse controllato da arcieri e vedette. Disse loro di
evitare i tragitti percorsi popolarmente dalla gente e di traversare il
più possibili boschi e montagne. Ciò richiedeva
un maggior sforzo, ma era in ballo la vita di entrambi e quella di
Kalel, assieme alla lotta sfrenata per il Frutto.
-Ma
non c’è nessuno ad Acri che possa operare al
nostro posto? Insomma…- intervenne Hani pensoso.
–Se la sorveglianza al Tesoro dei Templari è
così ristretta ora che Bonifacio è qui, non
possono…-.
-No-
lo interruppe Malik bruscamente. –Se non sbaglio,
l’unico nostro fratello che si trova lì, per ora
è il Rafik stesso, pertanto… siccome siete gli
unici assassini in circolazione più vicini alla
meta…-.
-D’accordo-
Elena batté i palmi sul tavolo. –Siamo pronti,
no?- si guardò attorno.
Malik
ripiegò la carina e gliela porse. –Legala alla
sella del tuo cavallo. Potrà esservi utile. Una volta ad
Acri, non preoccuparti di passare nella Dimora. Ovviamente, considerate
questa ipotesi se non siete nei guai. Altrimenti, fate tappa
lì e ripartite l’indomani come da piani. Ho
avvertito il capo sede con una colomba questa mattina mentre eri fuori,
Elena, e mi risponderà al più presto non appena
sarete arrivati in città-.
Elena
si stanziò di qualche passo raggiungendo il centro della
stanza. Si volse, chinandosi poi al fianco di Altair.
-Se
dovesse riprendersi…- mormorò triste.
–digli che ci rivedremo a Masyaf a cose fatte-
annunciò tirando su col naso.
Malik
chinò la testa. –Lo farò-.
Poco
dopo, Elena si sollevò in piedi e quasi correndo, si
gettò ad abbracciarlo. –Grazie di tutto!-
gemé affondando il volto nell’incavo del suo
collo, e Malik le cinse i fianchi con l’unico braccio.
-Elena…-
la chiamò Hani dal tetto dell’edificio.
La
ragazza si allontanò camminando a capo chino verso
l’ingresso della Dimora.
Si
arrampicò abile e raggiunse l’amico che
l’attendeva sul margine.
-Pronta?-
le chiese serio.
La
ragazza annuì, lanciando un’ultima svista alle sue
spalle.
Abbas
la salutò agitando una mano.
-Sì-
sorrise mesta, e si calarono giù dalla parete, immergendosi
poi nel mare di folla che erano le strade popolose di Gerusalemme.
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Capitolo 54 *** La fuga dell'innocenza ***
La fuga
dell’innocenza
Prima
di lasciare la città, Hani e Elena si accertarono che
effettivamente l’esercito di Bonifacio fosse davvero dove gli
informatori le avevano detto. Si recarono nel distretto medio della
città e, rampicandosi abili sulle mura, giunsero
sull’alto dei bastioni così da potersi affacciare
sulla vasta steppa che si estendeva attorno al Tempio di Salmone.
L’armata Crociata e la Fratellanza stessa erano lì.
-Ass!!!…-
gridò qualcuno, ma la ragazza si volse svelta estraendo due
pugnali e scagliandoli con furia e maestria contro gli arcieri alle
loro spalle.
Quando
tornò dritta, non diede peso alla bocca aperta di Hani.
-Non
abbiamo tempo- disse composta e una folata di vento le
scompigliò i capelli. –Andiamo…- si
calarono giù dalle mura ripercorrendo i loro passi e
raggiunsero le porte della città senza troppi impicci.
Si
confusero ad alcuni monaci (gli stessi del suo ingresso la prima volta)
e abbandonarono al galoppo Gerusalemme senza voltarsi indietro.
Aggirarono
la città e puntarono dritti nella direzione cui andavano
incontro.
Non
c’era tempo per fare domande, per guardarsi dietro e per
rimuginare sul passato e futuro. Elena guardò solo al suo
presente durante tutto il viaggio, restando concentrata come non lo era
mai stata e isolando la mente da tutto ciò che era
distrazione al suo mondo di piani contorti. Conosceva bene ogni angolo
di Acri e, anche da quella distanza, si sforzava di escogitare una
strategia che li portasse entrambi dentro-fuori il palazzo di Corrado
evitando ogni genere di problemi.
Frutti
dell’Eden.
Papà.
Masyaf.
Fissò
questi tre punti nella testa e si disse che qualsiasi cosa fosse andata
storta, avrebbe rispettato la scaletta. La sua missione cominciava ora,
con la parte più difficile. Era sola come mai; sola con la
forza della mente e dei muscoli che erano stati allenati dai migliori
nel settore. Non poteva fallire, e l’obbiettivo che
perseguiva era tanto semplice quanto ardito. Non avrebbe permesso che
nessuno gli si parasse davanti, ostruendole il cammino spiazzato dal
sangue di molti. Elena avrebbe dimostrato a sé stessa e a
coloro che la circondavano che potevano contare su di lei e viceversa.
Per una volta nella vita, s’impose come non credeva avrebbe
mai fatto in tutta la sua esistenza. C’era stato un tempo in
cui credeva di non poter riuscire in nient’altro che non
fosse farsi del male e arrecare dolore agli altri. Adesso lo credeva
ancora, ma a differenza di prima, ora era totalmente convinta di
possedere le armi, o le cure, necessarie a risparmiare
l’animo di tutte quelle persone cui aveva arrecato tanto
disturbo. Dimostrare al mondo che poteva farcela, e rappacificarsi
anche solo con se stessa, voleva dire una tale forza, un tale sforzo
cui molti, uno dopo l’altro, si erano impiegati pur di
insegnarglielo. Toccava a lei scegliere, riuscire in
un’ultima battaglia così da conquistarsi un posto
caldo con su scritto il suo nome. Toccava a lei legare con un unico
filo consigli, sorrisi ed emozioni provate e ricevute, saldarle poi nel
suo cuore e trarne la forza di combattere!
Non
si era mai sentita così diversa e vigorosa, si disse, e da
una parte se ne rammaricava e parecchio. Tutto ciò che si
era trascinata alle spalle stava consumandosi lentamente e davanti a
lei si apriva il vuoto di un futuro tutto da scrivere. Ma con quale
sangue avrebbe scritto le righe di quelle pagine? Ovviamente col
proprio, ma sapeva che altri, nonostante fosse pronta a resistere,
avrebbero versato i loro sacrifici. Alcuni avevano già fatto
la loro parte, altri stavano condensando le ultime forze accumulandole
in un’unica grande spinta finale. E gli ultimi, ma non
d’importanza, Elena li aveva strettamente affianco.
Si
diede della stupida, perché ancora una volta stava mancando
al suo dannato ordine mentale divagando, annullando la sua
concentrazione. Rise, perché dopotutto certe parti di lei
sarebbero rimaste sempre le stesse. Così come avrebbe
conservato i ricordi delle stupidaggini commesse in passato, allo
stesso modo si sarebbe avvalsa della convinzione di poter sbagliare
anche in futuro. Ed era ciò a renderla sorridente quella
mattina: si sentiva libera di gestire il suo tempo e la sua anima come
meglio credeva; era libera di scegliere cosa sarebbe successo e cosa
avrebbe cambiato il corso della sua storia, e tutto ciò si
condensava in un’unica, immensa, e strabiliante voglia di
vivere. Non aveva assaggiato mai sulla sua pelle una così
intensa gioia e sapeva che sarebbero state rare le volte in cui le
fosse capitato di nuovo.
Mancava
meno di un giorno all’arrivo sulla costa, e la loro corsa
contro il tempo non si era certo fermata.
Stavano
traversando un tratto erboso quando alle loro spalle udirono un suono
familiare.
-Cavalli…-
mormorò Hani rallentando l’andatura del suo
destriero.
-Non
fermarti!- sbottò Elena spronando con più forza
l’animale. –Avanti, cammina!-.
Si
tuffarono in un boschetto di alberi bassi e sparirono tra le ombre che
andavano allungarsi per via del sole che calava
all’orizzonte. Per un breve tratto si separarono e si
ritrovarono un’oretta dopo sul confine della foresta.
Arrestarono
i cavalli e si guardarono attorno entrambi col fiato corto per la
grande galoppata.
-Chiunque
fosse…- bofonchiò Hani. –Di certo ha
perso le nostre tracce!-.
-Voi
due!- sbraitò una voce dal timbro familiare.
Elena
rabbrividì facendo impennare la sua cavalcatura.
–Presto, scap…-.
Non
terminò la frase che dal boschetto emersero tre figure
composte a cavallo. Fermarono le loro bestie proprio davanti ai due e
non ci fu bisogno che si abbassassero i cappucci bianchi
perché li riconoscessero.
Elena
sgranò gli occhi, incredula. –Adel…-
riconobbe per primo, e l’assassino chinò il capo
in segno d’assenso.
-È
stato Tharidl a mandarci- intervenne un altro fratello, quale voce
Elena associò al colorito biondo dei capelli di Fredrik.
-Chissà
perché, ma sapeva con chiarezza che vi avremmo trovati su
questo tragitto-.
La
ragazza sobbalzò sulla sella. –Rhami?-
domandò con ripugno.
L’assassino
si scoprì il volto facendo sfavillare la folta chioma
leonesca fuori dal cappuccio. –Contenta di vedermi? O
semplicemente… abbagliata?- sorrise mostrando la dentatura
bianca.
Fredrik
gli diede una gomitata, e il ragazzo si piegò appena in
avanti.
Hani
accorciò le redini. –Verrete con noi ad Acri?-
domandò serio.
-Ovviamente-
proruppe Adel. –Il Maestro ha insistito perché
vegliassimo sulla Dea, sulla salute del prigioniero Kalel e sui Frutti
del Peccato. Attende paziente il nostro ritorno- dichiarò.
-È
un aiuto prezioso che non potete rifiutare- sbottò Rhami con
accento seccato.
Elena
strinse i denti, ma non disse o aggiunse nulla.
-Allora
avanti!- Fredrik si mise in testa indicando la direzione. –In
marcia!- spronò il cavallo e in quest’ordine,
Adel, Rhami, Hani ed Elena gli andarono dietro.
Da
quel momento in poi il viaggio fu piuttosto estenuante.
La
ragazza ripensò a tutta la sua mentalità di
quella mattina, quando si era detta che avrebbe potuto farcela da sola,
che era forte e bla, bla, bla… dovette rimangiarsi tutto per
il semplice fatto che, ancora una volta, Tharidl aveva mandato qualcuno
a sostenerla nelle sue imprese. Ma quell’uomo aveva
sì e no così poco fiducia in lei? Era il minimo,
comunque. Come aveva detto Hani prima di partire, era alquanto strato
che il Gran Maestro affidasse un incarico di tale importanza a lei
sola, che a mala pena era riuscita ad ammazzare il grande Corrado.
Ammise suo malgrado di necessitare bene dell’aiuto di
qualcuno, almeno finché tutta quella storia non fosse finita
e ne cominciasse una nuova.
Sostarono
in una radura erbosa e umida, situata nel centro di alcune vecchie
rovine bizantine che Elena conosceva bene. Lei e il suo maestro erano
spesso e involentieri passati da quelle parti più volte e,
sotto quel cielo stellato meraviglioso, la ragazza gustò a
pieno simili dolci ricordi.
Avevano
acceso un piccolo falò vicino ai resti di un’alta
parete che riparava il focolare dalle improvvise e gelide ventate
nordiche. Le ombre dei cinque assassini suoi compagni si proiettavano
sul muro di pietra allungandosi su di esso come giganti, fuori da
qualsiasi canone artistico.
Elena
teneva lo sguardo basso sui propri stivali, le ginocchia strette al
petto e il broncio pensoso da quando erano partiti da Gerusalemme. Al
suo fianco erano seduti da una parte Fredrik e dall’altra
Hani che in modo serio, raccontava ai compagni le vicende degli ultimi
giorni.
Elena,
al contrario, trovò quel frangente distorto e poco
piacevole. La fierezza e la gioia del viaggio si erano istinti
nell’istante in cui avevano passato il confine tra il Regno
Crociato e quello di dominio alla Città Santa, e da quel
momento in poi la sua mente si era annebbiata e dissociata dalla
realtà andando a perdersi in tutto ciò che
riguardava il suo maestro.
C’erano
Rhami, Adel, Hani e Fredrik a farle compagnia, ma i quattro non
potevano competere allo stretto legame di amicizia e non che aveva col
mastro della setta.
D’un
tratto, il più giovane tra i ragazzi, ovvero Hani, si
alzò dalla cerchia stiracchiandosi. –Domani ci
attende qualcosa di grosso, se non sbaglio. Tharidl vi ha dato altre
informazioni riguardo la posizione dei Frutti o… quella del
padre di Elena?- domandò.
Adel
si schiarì la gola. –Veramente no. Il Gran Maestro
contava sul fatto che…- esitò.
-Corrado,
nel momento dell’omicidio, avesse esalato i suoi ultimi
respiri raccontando ad Elena ciò che ci serviva sapere-
concluse Fredrik.
-Bel
guaio- commentò Rhami.
Elena
si fece piccola piccola. –Mi dispiace… di non aver
agito nel modo più appropriato-.
Hani
le s’inginocchiò accanto. –Scherzi?-
rise. –Non c’è nulla di cui devi
pentirti, sorella-.
A
quelle parole, l’assassino dagli occhi azzurri
scattò in piedi sbuffando. –Certo, come
no…- blaterò arrogante allontanandosi dal gruppo.
-Dove
vai?!- proruppe Fredrik. –Dobbiamo restare insieme, sciocco!-
sbraitò.
Rhami,
senza voltarsi e incamminandosi verso il bosco, disse soltanto: -Dove
vuoi che vada?! Mi scappa, e non ho altro da aggiungere!- e la sua
ombra si confuse a quelle degli ulivi della foresta.
-Ad
una tale impertinenza ci ho fatto l’abitudine- rise Adel
scansando una brace ardente con l’uso di un fragile
bastoncino di legno. –Nonostante delle volte ami fare di
testa sua, Rhami è un buon assassino- sorrise mesto.
–Fa bene il suo mestiere e Tharidl l’ha scelto bene
per quest’incarico. Saprà esservi molto utile,
Dea. Lo sapremo essere tutti quanti- si guardò attorno
alludendo agli altri fratelli lì riuniti.
Elena
chinò la testa. –Grazie, ma quasi non merito tutto
questo sostegno…-.
Fredrik
stava per aggiungere qualcosa, ma Hani lo fermò con un gesto
della mano, e l’assassino biondo tornò a fissare
il vuoto delle fiamme, scaldandosi a quel tenue calore.
Con
un’occhiata serena, Elena ringraziò il
più giovane del gruppo perché avesse smentito un
qualsiasi tentativo di intervento o ulteriore supporto morale. La
pietà degli altri era l’ultima delle cose che
aveva imparato a cercare nei suoi amici, pertanto si diede della
stupida per essersi mostrata tanto debole e affranta di fronte ad una
missione che si presentava più grande di lei.
D’un
tratto, si sentì per niente all’altezza
dell’incarico. Il cosiddetto panico da palcoscenico, forse.
Non
le andava di parlare, pensare, mangiare, e non necessitava di bere da
diverse ore. Pregò perché il suo fisico
resistesse in quello stato ancora allungo, perché si
annunciava una giornata faticosa l’indomani. Ed ella voleva
essere al meglio delle forze per combattere la poca autostima in
sé stessa e saper dipendere da nient’altro che non
fosse il proprio ed unico vigore. Eppure…
Era
troppo il dolore che provava.
La
ferita sul suo braccio, il bendaggio candido nascosto sotto le maniche
della veste… tutto era un ricordo pulsante degli avvenimenti
tragici, catastrofici della sua vita. Le fu inevitabile non pensare a
lui e a cosa gli stesse accedendo mente lei era lì, a
godersi la gloria di una missione tanto degna di onore.
Prima
che Rhami facesse ritorno dai suoi bisognini, Elena si offrì
di fare il primo turno di guardia e, con modesta convinzione,
riuscì a far leva sia su Adel che Fredrik, i quali
insisterono allungo perché rinunciasse.
A
quanto le parve, non dovevano conoscerla così affondo come
credevano. Rise, sedendo poi in alto sul culmine di un’antica
colonna coperta di rampicanti.
Da
lassù si vedeva chiaramente la luna, nel centro del cielo
contornata dalle sue mille stelle fedeli. Un grosso nuvole incombeva
sulla piana lungo la costa dove, arroccata su un’ampia
collina a picco sul mare, vi era la sua amata Acri.
-Elena…
Elena, svegliati. Elena, svegliati! Non te lo ripeto! Ti butto
giù, ma conterò fino a tre…
uno… due…-.
La
ragazza riaprì gli occhi lentamente, trovandosi il volto
familiare di Rhami a pochi pollici dal suo.
-Ehi!-
la Dea gli poggiò una mano sulla guancia e lo spinse via,
accorgendosi solo in seguito delle braccia del giovane strette attorno
ai suoi fianchi.
L’assassino
ridacchiò divertito scendendo dalla colonna e atterrando con
un balzo sul terriccio erboso. –Felice di riaverti su questo
pianeta!- rise guardandola dal basso.
-Infame,
è ancora il mio turno di guardia!- sbottò lei
sollevando il mento e ammirando la lucente costellazione di Orione.
Aveva
appena calato le palpebre e il tempo era volato così
velocemente? Per di più, addormentandosi, aveva messo a
repentaglio la sua e la vita dei suoi compagni.
-Piantatela
voi due!- sbraitò una voce, e Hani si rigirò
dalla parte opposta sotto le coperte.
-Certo,
come no!- abbassò il tono Rhami tornando a
fissala. -La prossima volta potati dietro il gallo e tutta la
fattoria…- la derise.
Elena
si stropicciò gli occhi sbadigliando. –Mi
dispiace, è stato un errore che non ricapiterà.
Ora vattene…- proruppe seccata. Aveva già
abbastanza problemi, perché doveva immischiarsi anche quel
ragazzino petulante?
-Non
fare quella faccia- sorrise egli. –So quanto sei realmente
felice di vedermi-.
-Ti
sbagli. E ora tornatene nel tuo boschetto e accovacciati sulle stesse
foglie che hai annaffiato!- ridacchiò di gusto.
-L’idea
è allettante-.
-Rhami,
cosa vuoi ancora?!- domandò in fine.
Il
ragazzo abbassò lo sguardo e si guardò attorno
circospetto. –Non posso parlartene da quaggiù!
Scendi oppure salgo io?!- bisbigliò.
-Che
scemo…- alzò gli occhi al cielo, esasperata.
–Avanti- disse scansandosi e facendogli un po’ di
posto accanto a sé sul cucuzzolo della mezza colonna.
–Vieni, e sii breve per cortesia- borbottò.
Il
ragazzo s’illuminò di luce propria e, con un solo
balzo, si arrampicò agile come un gatto fino al suo fianco.
–Eccomi, dicevamo?- arrise malizioso facendosi troppo vicino.
-Parla-
involontariamente, la ragazza portò una mano
all’elsa della lama corta.
-D’accordo,
vado al dunque- sibilò lui. –Non farmi tanto
scemo, so che cosa è successo- dichiarò.
La
giovane Dea fu percorsa da un brivido. –Non so di cosa
parli…-.
Rhami
sospirò. –Non immaginavo che un tipo come Marhim
potesse arrivare a tanto-.
A
quel punto fu troppo, e l’impulso di spingerlo giù
fu forte a tal punto da farle battere i denti.
–Come?!…-.
-Calma!-
Rhami le poggiò una mano sulla bocca bloccando la sua
sfuriata in principio. –È stato Halef a dirmelo,
ma non di sua spontanea volontà. Sapevo bene come
ricattarlo…- ridacchiò malizioso.
-Bastardo!-
digrignò la ragazza scansando via il braccio di lui che,
sorridente, distolse lo sguardo.
-E
non solo…- proseguì l’assassino.
–Quando la notizia dell’avvelenamento di Altair
è giunta a Masyaf, la città e i suoi fratelli
sono entrati nel panico. Si credeva che Corrado fosse giunto alla
Corona di Gerusalemme e le voci contorte ed errate sopraggiunsero a
quelle veritiere. Insomma, certa gente si divertì a gonfiare
di diverse sfaccettature la storiella…- rise, ma
chissà cosa ci trovava di tanto divertente.
-Senti,
Rhami- intervenne lei portandosi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio. –Perché non te ne torni a
dormire, eh? Faresti un favore ad entrambi, lo sai bene…-
poggiò un gomito su una sua spalla, e il ragazzo non si
scompose.
Tutt’al
più allargò il suo sorriso gioioso.
–Dimmi un po’… ti sono mancato, eh?-.
-Stupido…-
soffocò una risata lei.
-Quand’è
stata l’ultima volta che ci siamo visti, eh? Prima di questa
primavera, intendo…- mormorò assorto.
Elena
ci pensò su allungo. –Veramente…
è passato un bel po’ di tempo- disse flebile,
sorpresa di quanto avesse dopotutto ragione. Un poco… molto
poco, le era mancato. Le erano mancati tutti, e pensando a Rhami,
automaticamente la sua mente si catapultava su Marhim, Adha, Tharidl e
di conseguenza suo fratello e suo padre. Era una catena fatta di pochi
ed essenziali anelli, il circolo vizioso che era la sua famiglia. Ne
facevano parte persino Akram e i cugini che non aveva mai conosciuto.
-Stai
bene?- domandò improvvisamente lui, attirandola sul pianeta
terra. –Ti vedo… distratta- rise.
-Si
tratta di mio padre, e tutta la bella famigliola che gli gira attorno!-
levò le braccia la cielo. –Odio le pieghe assurde
che hanno preso la mia vita ultimamente…-
bofonchiò.
-Ehi,
col letame fino al collo ci siamo pure noi!- eruppe indicando gli altri
assassini dormienti attorno al falò che andava a spegnersi.
Elena
si trattenne dal ridere. –Effettivamente hai
ragione…-.
Il
silenzio calò sulla radura come una secchiata di acqua
gelida, ma neppure pochi secondi più tardi, l’erba
del prato venne smossa da una fredda ventata celere.
-Basta,
va’ a riposare- disse Rhami guardandola con occhi dolci,
sinceri. –Qui ci penso io-.
Le
gote della ragazza si pennellarono da sole di un rosa intenso.
–Grazie- sussurrò, allunagndosi poi verso di lui e
scoccandogli un bacio fugace sulla guancia, pungendosi appena col
sottile strato di barba.
Rhami,
più che interdetto, restò immobile ad osservarla
mentre si apprestava a riscendere la colonna. Una volta a terra, Elena
si avvicinò al fuoco e afferrò la sua coperta.
Poggiò la testa sulla sella del suo cavallo e si
addormentò in una posa fetale, perdendo ancora una volta la
cognizione del tempo.
-Voglio
gli arcieri disposti sulle mura, tutti quanti!- sbraitò
Bonifacio battendo un pugno sulla cartina, e i boccali di vino poggiati
sul tavolo sobbalzarono. –Subito!- aggiunse. –Quei
bastardi non passeranno il valico della città neppure da
morti! So che sono diretti ad Acri per i Frutti, e noi impediremo loro
di riuscire anche in questo!-.
Era
una tenda allestita nel centro di un piccolo accampamento militare sul
confine dei territori Crociati, a stretta vicinanza con quelli
controllati dalla Corona di Gerusalemme. La notte inoltrata brillava
delle sue mille stelle nel cielo nero ed infinito.
Tutt’attorno vi erano le foreste e le montagne, traversate da
un’insolita corrente d’aria davvero fredda.
Vi
erano altri due uomini in quella tenda grande da ospitare un tavolo e
una decina di seggi però vuoti. Ad uno di essi sedeva
Bonifacio, assieme a due suoi compagni della Fratellanza, alle quali
armature erano sovrapposte delle bianche casacche con una rossa croce
colorata come il sangue.
Sul
volto di Guido si disegnò un vasto sorriso sornione.
–Siamo in buona posizione, i nostri uomini ci raggiungeranno
a breve e non dovete temere né per la vostra vita che per
quella dei vostri Fratelli, Bonifacio-.
-Domani-
dichiarò il terzo uomo in sala alzandosi dal seggio.
–Domani saremo dentro la vostra città, e dopo
esservi maritato con Isabella, il Regno di Gerusalemme potrebbe forse
passare nelle vostre mani- propose tranquillo questi.
Guido
fulminò il compagno con un’occhiataccia.
–Oppure…- intervenne con malizia.
–Oppure potreste punire quella sgualdrina che fu la moglie di
vostro fratello lasciandola preda del deserto. Ella consegnò
Corrado agli assassini, e solo Maria vostra nipote, se non sbaglio,
parlò con onore!- rise.
-Sì-
Bonifacio chinò il capo. –Dopotutto,
c’era da aspettarselo da un matrimonio combinato. Puttana
infame…-.
-Esatto-
gioì Guido. –Lasciate la donna a me e ai miei
uomini, e prendetevi di diritto la casata di vostro fratello. Esortate
il popolo ad eleggervi Re, e conquistate la fama in Terra Santa in una
nuova gloriosa Guerra!- sguainò la spada poggiandola sul
tavolo. –La mia lama è dalla vostra- disse calmo.
-Aurelio-
Bonifacio si volse verso il terzo uomo, e questi sfoderò la
sua arma sovrapponendola a quella di Lusignano.
-Eccomi,
Fratelli- annuì fiero Aurelio.
Bonifacio,
in fine, incrociò la sua spada a quelle dei compagni.
–Sia fatta la volontà di Dio!- strillarono.
In
quell’istante, un soldato semplice irruppe nella tenda con
l’arco in mano e la faretra vuota di frecce. –Mio
signore!!!- chiamò a gran voce accorrendo da lui, e
Bonifacio si girò di colpo.
-Mio
Signore! Isabella è fuggita e porta con sé Maria
verso nord! Alcuni dei nostri la stanno inseguendo, ma…-.
Guido
lo interruppe con un gesto della mano, e l’arciere
indietreggiò.
-C’era
da attenderselo- digrignò Aurelio.
-Fratello,
pazientate. E le bestie feroci faranno ciò a cui la natura
le addestra- sorrise Lusignano.
Bonifacio,
più che pacato, rinfoderò la sua arma.
–No. Voglio che il suo corpo venga riportato ad Acri,
perciò mandate più uomini sulle sue tracce e, se
necessario, uccidetela, risparmiando mia nipote…-
mormorò, e detto questo lasciò la tenda a grandi
passi.
Adel
scagliò il pugnale da lancio che andò a
conficcarsi nel centro del tronco saldo di un ulivo.
Era
l’alba, che sorgeva di un color arancio arrampicandosi nel
cielo. Poche nuvole incombevano sulla piana, ma una brutale tempesta si
abbatteva su di Acri, a poche ore di galoppo dalla loro posizione.
-Che
succede?!- sussurrò Rhami portando una mano
all’impugnatura della spada al suo fianco.
Adel,
in testa al gruppo, scrutò allungo e in silenzio le fronde
del bosco che li circondava.
-Fratello,
cosa…- intervenne Fredrik, ma un istante dopo si udirono dei
passi e una figura celata nell’ombra scattò di
corsa allo scoperto, tentando la fuga oltre la loro posizione.
Adel
fece impennare il cavallo e bloccò la strada alla donna,
dietro di lui, Fredrik e Hani si posizionarono a semicerchio,
imprigionandola.
Ella
vestiva di un lungo mantello blu ricamato di bianco; in spalla portava
una bambina cui occhi Elena riconobbe all’istante. Poi,
nell’aria tersa della mattina, risuonò la voce
terrorizzata di Isabella.
-No,
fermi! Vi prego!- la Regina si piegò in ginocchio alzando un
braccio, mostrando il palmo bianco. –Fermi, vi prego!-
gemé ancora voltandosi e voltandosi più volte,
guardandosi attorno come una preda in gabbia.
-Una
spia! Ci stava seguendo!- sbraitò Fredrik.
Elena
smontò dalla sella. –Ma che dici?!- proruppe
andandole incontro, e Isabella si girò verso di lei.
-Fermi,
state fermi ho detto!- imprecò la Dea parandosi dinnanzi
alla Regina. –Ella è Isabella, la moglie di
Corrado! E guardate chi ha in braccio, stupidi!- ruggì.
Vi
era la piccola Maria tra le braccia della donna che la stringeva con
premura al suo petto. Il volto della Regina era celato da un copricapo
lungo dai caratteri arabeschi che ella si apprestò a
togliere. –Pietà- implorò ancora la
donna.
-Non
temete, Maestà- la rassicurò Elena.
–Non vi faranno del male- disse scoccando
un’occhiataccia agli assassini dietro di sé.
Isabella,
attonita, indietreggiò. –Lasciatemi passare, vi
prego-.
-Stavate
fuggendo, my lady?!- domandò Rhami irritato.
Isabella
si volse. –Sì, sono in fuga da Bonifacio e la
Fratellanza! Sono accampati poco a sud di qui e vi hanno preceduti
verso di Acri! Saranno lì a breve, e la loro armata
è proprio alle vostre spalle!-.
-Siete
giunta fin qui per ammonirci di questo?!- intervenne Fredrik avanzando
col suo cavallo.
-No!
Egli mi vuole morta, o peggio ancora preferirebbe donare il mio corpo
ai suoi uomini! No, io e mia figlia siamo in fuga da loro, sperando di
trovare un luogo lontano dalla guerra nel quale riposare…
sono ore che siamo in marcia- poggiò una mano sulla piccola
testa dai capelli lisci di Maria, semi dormiente sulla sua spalla.
Ancora
sospettoso, Adel accorciò le redini. –I vostri
intenti sono puri? Non vi è alcun male dietro la vostra
fuga?- insisté.
Isabella
annuì. –Vi prego, ora lasciateci
passare…-.
-No!-
strillò Elena, attirando su di sé
l’attenzione dei presenti. –Se viaggerete a piedi
non andrete molto lontana, Maestà. Uno di noi deve portarvi
nell’unico luogo sicuro a noi conosciuto…-
scrutò uno ad uno i volti dei suoi compagni.
Rhami,
inorridito di tale proposta, fece impennare la sua cavalcatura.
–Elena, sei fuori di te, questa mattina?!-.
-Ha
ragione- mormorò Fredrik assorto. –Non possiamo
lasciarla in balia della Fratellanza o del suo esercito. Sono con voi,
Dea. Uno di noi deve vincolarsi al suo incarico e scortare la Regina
Isabella e suo figlia Maria a Masyaf- dichiarò severo.
A
quelle parole, il volto della donna s’illuminò di
luce propria. –Grazie…- chinò la testa.
–Grazie…-.
Elena
le si avvicinò sorridendo. –Maestà,
è il minimo-.
Isabella
incontrò il suo sguardo premuroso.
-Il
vostro ruolo fu cruciale nella mia missione, e ve ne debbo la riuscita.
Perciò, è il minimo che vi offra in questo modo
spartano la salvezza…- sottinse la Dea.
-Tutto
ciò è assurdo! Stiamo solo perdendo tempo!-
proruppe Rhami, azzittito però alla svelta
dall’intervento di Hani.
-Mi
offro io- disse il più giovane tra di loro.
-Scordatelo,
ragazzo- sbottò Adel. –Sarò io a fare
ritorno in città con sua Eccellenza-.
Elena
si trattenne dal ridere. Stavano contendendosi un grado superiore
oppure il buon occhio della Regina?
La
Dea rimontò in sella al suo destriero.
–Però ha ragione l’accaldato- rise
indicando Rhami con uno sguardo. –Il tempo che ci rimante
è troppo poco, decidetevi-.
-Facciamo
scegliere alla suddetta, a questo punto- propose Hani.
Isabella
esitò, sistemando meglio Maria sulla spalla.
–Adel, giusto?-.
L’assassino
avanzò col suo cavallo affiancandosi alla donna che, con il
suo aiuto, si issò sulla groppa dell’animale.
–Al vostro servizio- sibilò fieramente.
-Sta’
attento, fratello- disse Fredrik conducendo il resto del gruppo dalla
parte opposta.
Adel,
nel frattempo, s’indirizzò al trotto verso nord.
–Altrettanto. Buona fortuna, Elena di Acri- fece un leggero
inchino col capo, mentre Isabella si stringeva a lui mettendo le gambe
all’amazzone e poggiano Maria ormai sveglia sulle ginocchia.
Un braccio attorno al petto dell’assassino, e le loro ombre
si persero tra le mille luci che andavano colorare la mattina.
-Sei
contenta?!- sbottò Rhami avvicinandosi a lei, ed Elena
piegò la testa da un lato.
-Ovvio.
Ella non meritava mica la morte! Pensavo che conoscessi i
fatti…- digrignò la ragazza in risposta.
Il
gruppo riprese il sentiero nella foresta intraprendendo un galoppo
veloce, e in breve si trovarono già sulla strada per Acri,
popolata di carovane contadine e gente che andava e veniva su cavalli o
a piedi.
Si
spostarono con cautela, riscontrando pochi, pochissimi problemi durante
la traversata dei posti di blocco poiché gran parte degli
uomini Crociati fossero alle loro spalle e impiegati altrove.
Le
porte della vera e propria città s’intravidero ben
presto oltre una fitta coltre di nebbia; l’aria era tersa di
salsedine, il cielo oscurato da grosse nuvole gonfie di pioggia, e lo
stormire dei gabbiani giungeva fin lì mescolato al canto di
morte delle cornacchie appollaiate sui rami secchi degli alberi.
I
quattro assassini entrarono indisturbati nel distretto povero, quale
ingresso non era per niente sorvegliato.
Una
volta confusi tra la folla, si mossero quatti verso la Dimora e
giunsero sul tetto dell’edificio sbarazzandosi sì
e no di pochi arcieri. Acri pareva deserta delle sue
autorità, completamente vuota della sua protezione,
così Elena, atterrando salda all’interno della
Dimora, sperò che Bonifacio fosse ancora parecchi chilometri
addietro.
________________________________________________
Mah…
capitolo cortino, me ne rendo conto, ma giunta a questa parte della
vicenda ho sentito la necessità di aggiornare subito
staccando qui e non dove la trama toccava dei punti più
caldi, come capitò all’epoca
dell’attentato al palazzo di Gerusalemme, con la morte di
Corrado ecc… quando per descrivere poche ore impiegai tipo
quattro capitoli? Sì, ecco…
Non
me la sento di fare né i ringraziamenti, né i
chiarimenti… sono parecchio confusa, stressata, stanca,
assonnata e… ZZZzzzzz….
Elik.
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Capitolo 55 *** Nella luce, nel tempo e nelle ceneri di Acri ***
Nella
luce, nel tempo e nelle ceneri di Acri
-Perché
ci avete messo tanto?- domandò serio il Rafik.
Fredrik
prese posto nel centro della stanza, e i tre assassini si schierarono
dietro di lui. –Abbiamo preso una strada secondaria uscendo
da Gerusalemme e siamo stati costretti a ritirarci per la notte. Ma ora
siamo più che pronti ad agire- proruppe dignitoso.
Il
vecchio capo sede li squadrò uno ad uno, soffermandosi ad un
tratto su Hani ed Elena.
-È
bello riavervi qui entrambi- sorrise mesto.
-Altrettanto-
annuì il ragazzo.
La
Dea distolse lo sguardo. –Non ci rimane tempo- disse
scontrosa avviandosi già fuori dalla stanza.
Rhami
corse dietro di lei e le afferrò un braccio, mentre nella
camera accanto sentivano Fredrik e il Rafik scambiarsi le ultime
informazioni necessarie.
-Elena-
la chiamò tirandola verso di sé, e la ragazza non
tentò di ribellarsi.
Rhami
la guardava in un modo serio, composto che non gli aveva mai visto.
–Ti senti bene?- le chiese duro.
-Sto…
benissimo!- digrignò lei liberandosi con uno strattone.
Andò verso l’ingresso della Dimora.
–Avanti! Dobbiamo sbrigarci…- sbottò
autoritaria.
L’assassino
dagli occhi azzurri tacque ammutolito.
Hani
si avvicinò a lui e insieme la osservarono dal basso
arrampicarsi agile e sparire sul tetto dell’edificio.
-Possiamo
andare- Fredrik comparve al suo fianco e il più giovane
sobbalzò.
-E…-
provò a dire, ma l’assassino biondo si
calò il cappuccio sul volto e intraprese la scalata della
fontana.
-Non
ci servono altre indagini- proruppe Fredrik quando tutti e quattro si
furono ritrovati all’interno della Dimora, disposti in
circolo l’uno di fronte all’altro.
Elena,
unica tra di loro che pareva distratta, volgeva lo sguardo a nord, ove
vi era il distretto ricco e sul quale imperava la Grande Cattedrale e
la sua altissima torre, assieme al Forte dei Monferrato situato nella
zona più esterna del quartiere. Una leggera brezza le
scompigliò i capelli, e solo allora la ragazza si
alzò il cappuccio sul volto. –Ottimo- disse.
-Elena,
nelle tue condizioni, forse…- intervenne Hani debolmente.
-No-
ella si volse, fulminandolo con un’occhiataccia.
–L’ho già detto tante di quelle
volte…- sbuffò scocciata. –Sto bene.
Non mi fa male niente che non sia la mia coscienza che
continuerà a premermi se ce ne stiamo qui troppo allungo.
Quindi muoviamoci!- strillò. –Bonifacio e la
Fratellanza saranno qui a momenti. Non possiamo permetterci ulteriori
ritardi se vogliamo tirare fuori dal suo palazzo mio padre e i Frutti
dell’Eden senza troppi problemi! Riuscite a comprendere
questo o no?!- era su tutte le furie, la pressione di quel frangente
l’aveva portata allo stremo. Non era più in lei.
Rhami
sbatté le palpebre diverse volte, stupito. –Non
possiamo portarla con noi in questo stato- intervenne d’un
tratto, guardando Fredrik che pareva stupefatto allo stesso modo.
-Infatti-
borbottò questi.
Elena
si passò le mani in volto stropicciandosi gli zigomi.
–Ma che diamine…- mormorò flebile.
-Forza-
comandò Hani. –Ha ragione. Non
c’è tempo. Ormai non possiamo più
cambiare idea, e che Elena venga con noi è il volere di
Tharidl e del Rafik. Quindi… avanti, Fratelli- sorrise mesto
avviandosi, calandosi giù dal tetto.
La
ragazza lo seguì subito dopo. In coda restarono Rhami e
Fredrik che si scambiarono un’occhiata d’intesa.
-Ti
ha dato la piuma?- domandò il più giovane tra i
due.
Fredrik
sospirò. –Sì, me l’ha
data…-.
-Non
sei costretto a farlo tu, se non vuoi- pronunciò serio.
-Rhami-
lo guardò dritto negli occhi. –Prima di cominciare
a fare pregiudizi sulla situazione, perché non attendiamo di
avere conferma a ciò che ci è stato chiesto di
considerare?- sbottò. –Preferisco aspettare
piuttosto che portarle altri dispiaceri… so che è
un uomo che non lo farebbe mai-.
-Ma
l’ha fatto! Se siamo qui è solo per questo! Ci ha
traditi…- sibilò il ragazzo.
-Attento
a come parli. Da quanto ho saputo, ci sono diversi modi per
“tradire” la setta, e tu hai già
praticato almeno uno di questi- proruppe.
Rhami
abbassò lo sguardo, curvando le spalle, ma non aggiunse
nulla.
-Come
potrebbe prenderla lei? Sarebbe stato meglio agire una volta che
l’avessimo riportato a Masyaf, ma i Saggi di Tharidl ci hanno
costretti ad eliminarlo prima che potesse mettere piede nella fortezza-.
Rhami
s’irrigidì. -Loro non sanno come sono andate
davvero le cose!- sbraitò.
-Ma
non sta a noi decidere!- ribatté Fredrik.
-Hai
ragione- si guardò gli stivali stringendo i pugni.
–Perdonami-.
-Presto,
prima che quei due si caccino nei guai- ridacchiò
l’altro avviandosi.
-Ti
seguo- fece Rhami sorridendo.
Saltavano
agili come gatti da un tetto all’altro, una volta compatti e
una distanti tra loro. Sfruttavano ombre e cunicoli nei quali pararsi
in casi di sguardi di arcieri che, nel complesso, furono molti pochi,
ma risparmiarono loro la vita per la semplice concezione di
“poco tempo”, e in caso di un urletto nemico, non
avrebbero avuto modo di sbarazzarsi in tempo delle guardie a seguire.
Per tanto, si tennero molto concentrati sui loro stessi passi.
Il
palazzo della casata del Monferrato apparve l’oro dietro
l’angolo di una torre delle sentinelle, e gli assassini si
arrampicarono quatti sulle mura traversando in primis la piazza deserta
e sfollata di guardie, e poi seguendo il perimetro del borgo eliminando
con estrema minuzia gli arcieri a sfavore.
Il
cortile interno era desolato e silenzioso. I vicoli bui che
s’insinuavano convergendo nella piazzola erano pattugliati da
un’unica piccola ronda composta di pochi soldati che faceva
lo stesso giro infinite volte e con passo davvero lento, straziante.
Si
fermarono tutti e quattro sul tetto di un capanno e osservarono
dall’alto la zona.
-Rhami-
chiamò d’un tratto Fredrik, e il ragazzo si volse.
-Hm?-
fece questi da sotto il cappuccio.
-Tu
ed Elena passerete dal retro. Hani, tu vieni con me
dall’ingresso principale. Mentre faremo piazza pulita, voi vi
dirigerete nelle celle del palazzo. Al Frutto ci pensiamo noi-
dichiarò severo.
I
tre annuirono.
Hani
si allontanò di un passo da lei, ma Elena, prima che questi
potesse seguire Fredrik gettarsi in strada, lo afferrò per
un polso.
-Fa’
attenzione. Ho un brutto presentimento…- gli
sussurrò sotto occhio critico di Rhami.
L’altro
assassino stava in disparte con le braccia conserte.
Hani
gli volse un’occhiataccia, e Rhami guardò
così altrove. –Anche tu- mormorò in
risposta. –Ci rivedremo sicuramente a cose fatte, ma sii
cauta come ti ha insegnato…- le poggiò una mano
sulla spalla e poco dopo scomparve tra le ombre dei vicoli sinistri.
-Andiamo-
sbottò Rhami avvicinandosi.
Elena
si scansò di colpo. –Stammi lontano-.
Il
ragazzo inarcò un sopracciglio. –Che
c’è, adesso?- domandò irritato.
–Cos’ho fatto?!-.
-E
che ne so! Se Hani ti guardava male ci sarà stato un
motivo…- digrignò la Dea saltando sul tetto
vicino.
-Sei
perfida- eruppe lui. –Perché hai questa visuale
così distorta di me? Sono un bravo assassino, lo
giuro…- sorrise in un modo che non la convinse affatto, anzi.
La
ragazza si trattenne dal ridere. –Sai qualcosa che io non so,
e questo basta ad innervosirmi-.
Il
giovane alzò gli occhi al cielo stellato.
–Possiamo concentrarci sulla missione?-.
Senza
rispondere alla sua domanda, Elena saltò giù in
strada sorprendendo la pattuglia di guardie che, neppure il tempo di
gridare, si trovarono a terra l’una dopo l’altra
con un pugnale alla gola.
Rhami
atterrò sonoramente nel clangore delle cinghie della sua
veste al fianco di lei, ed Elena lo fulminò con
un’occhiata più che truce.
Il
ragazzo avanzò. –Non mi stupisci, avanti- disse
contegnoso, indifferente.
I
due si diressero dietro il palazzo ed adocchiarono una finestra aperta
la quale, dopo essersi arrampicati fin lassù, notarono era
parte di una vasta cucina silenziosa e buia.
Elena
si calò giù lentamente, rotolando svelta dietro
la dispensa più vicina e attendendo che Rhami facesse
altrettanto.
-Dove
si…- provò a dire, ma il ragazzo le mise una mano
sulla bocca attirandola verso di sé.
-Sssh-
le sussurrò soave, e nella cucina entrò sbattendo
le porte un drappello ristretto di uomini.
-Vi
giuro che ho sentito qualcosa cadere!- balbettò una giovane
guardia.
-Impossibile-
sbraitò una seconda voce. –Anni di esperienza mi
gravano sulle spalle, e io non ho sentito nulla- aggiunse.
-Forse
la vostra vecchiaia, generale…-.
-Cosa
vai insinuare?!-.
La
conversazione proseguì fuori dalla cucine con un gran tonfo
dei battenti che si richiudevano.
Rhami
l’aiutò ad alzarsi, ma Elena si
allontanò alla svelta da lui correndo alla parete che
ospitava l’ingresso della stanza.
-Cammina!-
ordinò lei sotto tono, e il giovane la imitò,
poggiando le spalle al muro.
-Le
segrete si trovano di qualche livello più in basso.
C’è un passaggio nel corridoio che porta al salone
principale- disse serio.
-Come
ci arriviamo nel…- s’interruppe nel vedere Rhami
fare ciò che non si sarebbe aspettata.
Il
ragazzo aprì la porta della cucina ed emerse nel vasto
corridoio. –Eccoci arrivati- le sorrise divertito.
Elena
lo afferrò per il cappucci trascinandolo dietro di
sé. –Ma che fai, scemo?! Sei impazzito, per
caso??- sbraitò sbattendolo al muro, così che
l’ombra di una vecchia armatura li nascondesse.
Alla
fine della galleria in pietra vi sostavano due uomini armati e uno che
pareva solo un servo di corte.
-Il
corridoio di cui parli si trova al piano superiore, e non possiamo
passare di lì!- gli ruggì a pochi centimetri dal
suo volto, e Rhami ghignò ancor più divertito.
-Perché?-.
-Perché
in quella parte del palazzo è custodito il Frutto e non
possiamo rischiare di intrometterci nella parte del piano che riguarda
Fredrik e Hani!- digrignò.
-Hai
una soluzione migliore?- domandò nervoso, adocchiandosi
attorno di tanto in tanto.
Le
guardie infondo al corridoio se ne stavano buone per i fatti loro,
sordi al bisbiglio confuso che provocavano le loro parole.
-No…-
sibilò lei scostandosi di un passo e abbassando lo sguardo
pensosa.
-Bene,
allora…- Rhami si sporse dal loro nascondiglio e, fulmineo,
scagliò due dei suoi pugnali contro i soldati. Questi si
accasciarono al suolo nel flebile sussurro delle lame
nell’aria, mentre il servo presente si guardava intorno
spaventato.
Elena
fermò la sua mano prima che Rhami potesse colpire anche
quest’ultima creatura.
-Rammenta
i principi del Credo, se sei un bravo assassino…- gli
mormorò suadente all’orecchio, poi si
allontanò quasi di corsa bloccando il servo prima che
potesse svignarsela.
-Conducici
nelle celle dove Corrado tiene Kalel- pronunciò con calma la
Dea. –Non ti faremo del male-.
Il
ragazzo proferì un leggero inchino. –Che Dio sia
lodato. Se siete qui, vuol dire che Corrado è morto-.
Elena
annuì. Chissà quanta gente non aspettava altro
che il suo sangue venisse versato, si chiese.
Il
giovane li condusse fino al secondo piano che trovarono deserto di
qualsivoglia ronda di pattuglia, e poi dritti spediti per una stretta
scalinata a chiocciola che convergeva, scendendo di diversi livelli, in
un’angusta stanzina illuminata da fiaccole e solcata da
diversi ingressi secondari che conducevano a differenti corridoi, a
loro volta stretti e puzzolenti di aria viziata.
-Venite,
il vecchio saggio è qui!- disse loro scostando una delle
varie porte di pesante legno e ferro.
-Perché
non c’è nessuno a controllare le celle?-
domandò Rhami dietro di lei, ed Elena
s’irrigidì.
Non
ci aveva pensato. Era stato tutto fin troppo facile. Quasi si trattasse
di…
-Sorpresa-
ridacchiò Bonifacio emergendo dalle ombre alle loro spalle,
e i due assassini si voltarono all’unisono.
Dalla
parte opposta del corridoio comparvero altri membri della Fratellanza,
ma non tutta al completo.
Elena
sfoderò la spada all’istante mettendosi schiena a
schiena col suo compagno. –Impossibile!- ruggì a
denti stretti.
-Eravamo
parecchie ore di cavallo prima di voi!- aggiunse Rhami altrettanto
stupito, impugnando la sua arma. –Come avete fatto
a…- s’interruppe.
-Questo
è ora il mio regno ora!- sottolineò Bonifacio
mostrando la sua bella spada estraendola dal fodero intarsiato.
–Credete che non conosca meglio di voi le terre nelle quali
sono cresciuto?!- sbraitò.
Erano
quattro i cavalieri Templari lì presenti. Un numero che
avrebbero potuto superare con facilità in combattimento, ma
in un luogo tanto stretto non avrebbero avuto la meglio.
-Va’
da Kalel, li trattengo io!- strillò Rhami spingendola via, e
la ragazza rotolò a terra finendo ben oltre i piedi dei
membri della Fratellanza. Si rialzò a fatica, udendo solo
alle sue spalle la voce penetrante e rigorosa di Bonifacio che
strillava:
-Non
deve fuggire! Prendetela!-.
Due
dei cavalieri le furono dietro mentre, disperata, la ragazza svoltava
di corridoio in corridoio perdendosi nella vastità di quelle
gallerie di pietra e mattoni, ansimando per trovare suo padre e una via
di fuga passabile che non fosse combattere. Il clangore di spade del
duello che aveva ingaggiato Rhami col fratello di Corrado, poi, non
aiutava.
Le
sue gambe l’accompagnarono fino a destinazione quando,
improvvisamente, un dei due Templari, dopo essersi avvicinato troppo
alle sbarre di una cella, si vide stretta la gola da due mani solcate
da profonde rughe e incallite. Il cavaliere si accasciò al
suolo con l’osso del collo distorto, e l’altro si
scostò con un balzo dalla parete dal quale erano emerse
quelle mani.
-Paura,
eh!- intimò una voce vecchia, potente, intimidatoria sopra
ogni dire.
Elena
indietreggiò e approfitto dello stupore del Templare per
saltargli addosso e penetrarlo con la sua lama nascosta, infierendo
nell’incavo lasciato debole tra l’elmo e la cotta
di maglia.
-Papà!-
gioì lei sollevandosi e affacciandosi oltre le grate.
–Papà, sei tu!- pianse allungando una mano e
sentendo le sue dita intrecciarsi a quelle tremanti del suo vecchio.
-Sì,
Elena, sono io! Chi altri?!- neppure lui riuscì a
trattenersi, e un singhiozzo incrinò la rigidezza del suo
tono maturo.
-Le
chiavi! Dove sono le chiavi?!- domandò lei guardandosi
attorno in preda agli spasmi. –Dobbiamo portarti fuori di
qui, subito!- strillò piangendo.
Nel
frattempo, nelle gallerie sotterranee erano accorse una dozzina di
guardie che davano supporto a Bonifacio impiegato nel combattimento
contro l’assassino.
Rhami
scartò di lato evitando il fendente proporzionato che
arrivò dall’alto, piegò le ginocchia e
fu alle spalle del suo assalitore. L’altro Templare, che
osservava attonito la scena in disparte al duello, ordinò
intanto agli altri Crociati di dirigersi alla caccia verso
l’altra infiltrata.
Nei
corridoi delle segrete si sparsero così un numero sempre
crescente di guardie che allontanavano sempre più la loro
fuga da quell’Inferno.
-Lì,
piccola, lì in alto!- Kalel indicò la parete
esattamente di fronte alla sua cella ed Elena afferrò di
fretta il mazzo di chiavi appese al chiodo. Le provò tutte,
con immensa fortuna, solo al quarto tentativo su undici
riuscì ad aprire la gabbia di suo padre.
Kalel
si gettò ad abbracciarla ed Elena lasciò cadere
il mazzo per terra, diffondendo il suono metallico che andò
ad affiancarsi al clangore di spada contro spada.
La
ragazza affondò il volto nell’incavo del suo
collo, stringendolo con forza a sé, avvinghiandosi al suo
corpo gracile e stanco ma che, nonostante la fame e le condizioni,
mostrava tutto quel fisico che ci si poteva aspettare da un ex
assassino di buon rango. Poco più sciupato, Kalel era
esattamente come se lo ricordava da quell’ultima notte, la
sera della sua fuga da Acri. La barba grigia e scomposta si arrampicava
sulle guance, i capelli bianchi, che alla luce delle fiaccole alle
pareti rilucevano di bagliori bronzei, non erano di un taglio corto
come li portava all’epoca della loro vita tranquilla, ma
bensì molto disordinati e funghetti, tirati
all’indietro.
La
giovane si asciugò le lacrime sulla sua veste scura e
lacerata. –Papà…- mormorò
ancora.
-Presto,
ora non c’è tempo!- la prese per mano.
–Dobbiamo portare i Frutti dell’Eden via da qui,
non è così?!- domandò serio mentre
correvano ripercorrendo i loro passi.
Lei
annuì. –Ci stanno pensando altri due…-.
-No,
no! Bonifacio li ha fatti spostare, non si trovano più al
secondo piano di questo palazzo, ma nella torre della Grande
Cattedrale!- la informò.
Elena
fu percorsa da un brivido. –E perché mai???
Avrebbe fatto prima a portarli via da Acri direttamente!-
strillò.
-Eccoli!-
sentirono alle loro spalle, e un battaglione di soldati li fu presto
alle calcagna.
Chissà
con quale benedetta mano santa poggiata sulla testa, Kalel ed Elena
sgattaiolarono le buio e risalirono la scala a chiocciola che portava
nei corridoi principali del palazzo. Una volta lì, si
diressero nei saloni e spalancarono i battenti.
-Presto,
fuori dalle finestre!- le ordinò suo padre.
-Cosa?!-
sbottò lei scettica.
Kalel
la trascinò con sé di corsa verso le vetrate.
–Spero solo che la memoria non
m’inganni…-.
Frantumarono
in vetro in mille pezzi e scaglie che le ferirono una guancia, ma nel
complesso si lanciarono assieme fuori dal palazzo galleggiando per
interminabili secondi nel vuoto del vento che ululava tra i tetti di
Acri.
Come
aveva fatto Altair la prima volta, Kalel la strinse a sé
proteggendola dall’impatto violento che fu quello nel cesto
di fieno a dieci metri più in basso, dopo una caduta libera
e acrobatica avvinghiata al suo petto.
Tutto
tacque, ma neppure il tempo di riprendere fiato che il suo vecchio la
tirò violentemente allo scoperto, cominciando a correre a
perdifiato per le strade della cittadella.
-Papà,
gli altri assassini… loro!…- provò a
dire, ma non notando un minimo assenso a quelle parole da parte di suo
padre, Elena perse in fretta la speranza.
-Non
capisci la gravità della cosa!?- sbraitò lui
mentre si nascondevano in un vicolo buio. –E’
già abbastanza se Rhami si è occupato
così allungo di Bonifacio! Prego perché ne esca
vivo…-.
-Come
sai il suo nome?!- domandò incredula lei.
Kalel
fu evasivo sull’argomento. –Adesso non
c’è tempo. E comunque, ti basti sapere che
conoscevo sua madre e sapevo bene che nome avrebbe dato ad un possibile
figlio- disse solo.
E
mezzo secondo più tardi ripresero a correre.
-Chi
altri era con te a palazzo?!- chiese col respiro corto.
Elena
esitò. –Hani e Fredrik!- proferì.
-Ah!
Fredrik!- ridacchiò il vecchio, e svoltarono in una stradina
secondaria e più stretta.
La
guglia più alta della Grande Chiesa era imponente
dall’alto e sembrava seguire ogni loro spostamento. Kalel ed
Elena si mossero furtivi e velocissimi tra le ombre delle strade senza
mai necessitare di ingaggiare alcun duello, ma il rimbombo delle
campane prese loro così alla sprovvista che la ragazza cadde
inciampando dallo stupore.
-Avanti,
Elena!- digrignò lui tirandola su a fatica.
I
portoni della Cattedrale erano sorvegliati, e l’immensa e
desolata piazza sui quali affacciavano, erano pattugliati da una
quantità assurda di uomini.
Ecco
dov’erano tutti! Rise sarcastica lei.
-Ci
serve un diversivo…- intervenne Kalel guardando in alto.
Elena
piegò la testa da un lato e seguì il suo sguardo
perso tra le stelle quando, d’un tratto, la sua attenzione fu
attirata da un puntino nero e indistinto che vagava sopra di loro con
le ali aperte e gonfie al vento.
-Rashy!-
gioì la ragazza facendo un passo avanti, così da
esporsi alla luce della luna. Un istante dopo si portò due
dita alla bocca e fischiò, mettendo in allarme la maggior
parte degli uomini presenti nella piazza.
Kalel
la tirò dietro l’angolo di una stradina.
–Ma sei scema o cosa?!- la rimproverò.
Ma
Elena non prestò attenzione alla collera di suo padre,
piuttosto si godette lo spettacolo.
Rashy
levò il suo grido acutissimo che squassò
l’aria gelida e immobile della città, e poco
più tardi ripiegò le ali e si scagliò
in picchiata contro la piazza. I suoi artigli si avvinghiarono alla
maglia di uno dei soldati di guardia ai battenti della Chiesa,
dilaniandogli la gola a furia di poderose beccate.
Questo,
travolto dal dolore e dalla morte certa, fu ricoperto del suo stesso
sangue che andò a macchiare alcune delle piume della
falchetta che, senza alcuna pietà, si avventò
persino sul secondo soldato.
Le
pattuglie in piazza si guardarono attorno allertate dalle grida
strazianti dei due morenti e moribondi, accompagnate dai gridolini
acuti di Rashy che ammirava soddisfatta la sua opera.
Kalel
ed Elena entrarono di corsa nella Chiesa e attraversarono tutta la
navata centrale, giungendo sull’altare e arrampicandosi sulla
scala che risaliva fino alle piccole balconate del piano superiore.
Traversarono un vasto corridoio dipinto di maestosi affreschi e
raggiunsero, in fine, la saletta che custodiva i due Frutti.
Vi
erano quattro uomini di guardia e, prima che questi potessero solo
muovere un muscolo, Elena percepì il suono di una lama
estratta dal fodero, accorgendosi poi di suo padre che aveva estratto
dalle sue cinghie la piccola e tozza lama corta.
Elena
lanciò un primo pugnale e di seguito impugnò la
sua spada lunga.
I
soldati vennero loro incontro gridando furibondi, e tra di quelli vi
era un membro della Fratellanza che aveva una bella croce rossa
ricamata sulla maglia bianca. L’elmo lucente e argentato,
assieme all’armatura che specchiava la luce delle stelle che
filtrava dalle vetrate colorate.
Fu
un duello durante tutto il quale Elena non prestò minima
attenzione ad altro che non fosse sé stessa. Se anche in
minima parte si girava ad osservare suo padre che combatteva al suo
fianco, rischiava di perdere la concentrazione.
Non
appena restarono soli loro due assieme al Templare, Elena scorse con la
coda dell’occhio suo padre lanciarsi su di lui cor rabbia.
-No,
papà!- strillò.
Il
Templare schivò il fendente del vecchio scartando di lato e
aprendo un vasto squarto sanguinante sul fianco di suo padre.
Il
cavalieri ridacchiò divertito allontanandosi di qualche
passo, ed Elena si avventò su di lui cogliendolo alla
sprovvista.
Con
un colpo netto, ben assestato, gli tranciò di dritto la
testa che ricadde, con ancora indosso l’elmo, sul pavimento,
macchiandolo di conseguenza di un sangue nero e denso.
Kalel
si reggeva in piedi a fatica, ormai, ed Elena dovette prenderlo sotto
braccio e condurlo assieme a lei all’interno della saletta.
-Stai
bene?- domandò col fiato corto.
Lui
annuì. –Eccoli- indicò con mano
tremante.
Erano
due cofanetti di acciaio neri adagiati su un sobrio scrittoio privo di
altro che non fosse qualche testo o volume, assieme a pochi
scaffali che ornavano le strette pareti.
-Prendili,
Elena. Mettile nelle sacche della cinta…- le
ordinò flebile, e la ragazza ubbidì.
Svuotò
i cofanetti e rovesciò i loro contenuti sul tavolo,
così che la luce dorata delle due sfere luminescenti potesse
travolgere la stanza irradiando ben oltre le vetrate.
-Fa’
alla svelta!- imprecò Kalel appoggiandosi al muro, premendo
una mano sul fianco ferito.
-Non
cambi mai, eh?!- strillò lei nervosamente, maneggiando con
cura e molto lentamente le due sfere. Prima che riuscisse a richiudere
la seconda nella tasca della cinta, sul corridoio del piano comparvero
una dozzina di guardie.
-Dannazione!-
digrignò il vecchio raggiungendola dietro al tavolo.
Elena
strinse con più vigore la piccola sfera che pareva
d’oro colato. –Aspetta, ho
un’idea…- sibilò nel mentre i soldati
si avvicinavano di corsa verso di loro, gridando come forsennati frasi
del tipo: -Eccoli!- oppure –Ammazziamoli!- o anche: -Hanno il
Frutto!-.
L’uomo
si voltò a guardare sua figlia in modo intimorito, quasi con
paura. –Elena, spero tu stia scherzando…-.
Lei
scosse la testa e alzò il braccio cui mano impugnava la
sfera. Si concentrò e, impedendo al nero di avvolgere la sua
coscienza, respinse le guardie scaturendo dal Frutto un’onda
d’urto che infranse i vetri delle finestre e gettò
per aria i libri dello studio.
In
tutto ciò, dopo quell’incredibile e assordante
boato, Elena e suo padre erano rimasti indifferenti, senza un minimo
graffio.
Il
silenzio calò nelle navate della Cattedrale.
-Come
diamine…- mormorò strabiliato il vecchio.
-Non
lo so- rispose lei avvicinando la sfera al volto, incamminandosi nel
corridoio. –Ma non è la prima volta che ci riesco-
aggiunse evitando i corpi sdraiati e senza vita dei soldati rovesciati
al suolo, nel caos di frammenti di vetro e roccia.
-Elena!-
Kalel l’afferrò saldamente per un braccio,
strattonandola. –Sai cosa significa questo?!-
azzardò scontroso.
La
giovane aggrottò la fronte.
L’anziano
assassino alzò gli occhi al cielo. –Quando ne
venni a sapere da Corrado, credevo che si fosse trattato di qualcun
altro… il Potere del Frutto dell’Eden è
incontrollabile da nessun essere umano! Come è possibile?-
gemé. –E nascondilo immediatamente nella cinta!-
ordinò anche.
-No,
papà- ribatté la ragazza. –È
l’unica possibilità che abbiamo per arrivare vivi
nella Dimora- sbottò riprendendo il passo.
Il
calore della Sfera che aveva nella mano le risaliva il braccio e pareva
fondersi al suo stesso sangue, come fosse parte del suo corpo.
Una
volta fuori dalla Cattedrale, i due si confusero tra le ombre sfuggendo
alla miriade di battaglioni crociati che andavano pattugliare la
città. I volti terrorizzati dei soldati che, nella maggior
parte, avevano risentito degli immensi poteri che il Frutto
dell’Eden era in grado di liberare.
Pertanto,
erano come tante formichine sul cui formicaio si era abbattuta la suola
di una scarpa.
Elena
e Kalel intrapresero un vicolo buio e cominciarono a correre.
-Eccoli!-
sbraitò qualcuno, e il sibilo di una freccia la fece voltare
verso l’alto.
Il
dardo andò a conficcarsi a pochi centimetri dal suo piede,
ed ella sobbalzò gridando impaurita.
Il
vecchio alle sue spalle la prese sottobraccio conducendola al riparo
all’ombra di un terrazzo.
-Dammelo!-
sbottò lui.
Elena
avvicinò la sfera al suo petto. –No, io so usarlo,
ma te no!-.
-Elena,
questo non è un giocattolo! Dammelo! So usarlo meglio di
quel che credi!-.
-Prendeteli!-
il rumore di passi e zoccoli arrestò la loro piccola
litigata familiare, e la fuga disperata riprese.
Due
cavalieri vestiti di una lucente armatura comparvero sulla piazzetta e
la traversarono in pochi secondi, arrivando in breve esattamente dietro
di loro.
Uno
di questi allungò una mano e fece per afferrare alla ragazza
la sfera che stringeva tra le braccia, ma Elena si volse di colpo
accecando lui e il suo cavallo col bagliore dell’oggetto.
I
nitrii spaventati dell’animale si diffusero in un rimbombo
assordante accompagnato alle grida dell’uomo che, prima
accecato e poi disarcionato dalla sella, si dissolse in polvere sulla
strada.
Elena,
attonita, continuò nonostante ciò a correre di
dietro a suo padre.
Il
secondo Templare, accompagnato da un vasto battaglioni di soldati,
sostituì il primo e tentò di colpirla con la sua
spada, ma Elena balzò di lato finendo in vicolo, staccandosi
però da suo padre che proseguì a correre per la
via principale.
Le
campane divennero una litania lenta e costante, sempre più
amplificata nella sua mente, e la ragazza si accorse tardi che, lucente
di una luce azzurrognola, il Frutto che aveva tra le mani aveva
mostrato così uno dei suoi poteri più
strabilianti.
Gli
zoccoli del cavallo alle sue spalle si arrestarono nel vuoto,
esattamente fotografati nell’istante in cui nessuno dei
quattro tocca terra. L’arma dell’uomo galleggiava
in aria tenuta in una presa salda e possente, e persino la nuvoletta di
condensa che veniva dalle narici del cavallo restò ferma
dov’era.
Elena
rallentò la sua corsa fino a stopparsi del tutto. Si
guardò attorno confusa e solo allora capì.
C’era
uno stormo di colombe nere immobili nel cielo stellato, e lo sguardo
perso all’orizzonte di un cane nascosto in un vicolo, assieme
all’immagine ferma di un gatto, seduto su una cassa, che
stava leccandosi una zampina.
Il
tempo si era fermato, e assieme a questo tutta la natura attorno.
Elena,
però, poteva muoversi liberamente all’interno di
quel quadro surreale della realtà. Si avvicinò
all’uomo sulla sella del cavallo e gli sfilò
l’arma lentamente, quasi questa pesasse troppo appesantita
dalla stessa inarrestabile forza del tempo immobile.
Impugnò
l’elsa dell’arma e, con un colpo diretto e sicuro,
infilzò la carne senza vita del cavaliere che
restò immobile dov’era con ancora la lama in corpo.
Si
allontanò di qualche passo addietro e riprese a correre,
tornando nella direzione che aveva percorso assieme a suo padre che,
immobile come tutti in quella città fantasma,
trovò piegato sulle ginocchia per evitare il fendente mal
piazzato di un soldato.
Gli
altri crociati erano disposti in circolo attorno a lui; Elena estrasse
la sua lama dalla cintura e fece strage di quei corpi senza vita
approfittando dell’irrealità della situazione.
D’un
tratto, una vampata bollente esplose tra le sue braccia e fu costretta
a mollare la presa sulla sfera dorata, che rotolò al suolo
camminando di suo tutt’altra parte.
-Diamine!-
imprecò, ma in quell’istante il tempo riprese il
suo corso naturale, e le tredici guardie disposte in circolo a suo
padre si accasciarono a terra con grande di Kalel.
-Cosa?!?…-
non fece in tempo ad aggiungere altro, che guardò sua figlia
allontanarsi di corsa dietro alla sfera che rotolava e la
seguì.
-Vieni
qui!- sibilò la ragazza piegandosi e saltellando, tentando
in vano di recuperare la palla che proseguiva indisturbata evitando
casse, colonne, porte e pietre come se la strada fosse in pendenza,
cosa che non era.
-Elena!
Prendilo subito!-.
-Ci
sto provando! Ci sto provando!- strillò lei gettandosi poi
sulla sfera, che però le sfuggì ancora.
Si
lanciò per terra una decina di volte, ma il Frutto scivolava
via come unto di un olio speciale. Sbucava con violenza via dalle sue
braccia che si stringevano aggressive attorno alla composizione dorata
e viva di questa, ed Elena cominciò a prendere la pazienza.
Così
estrasse dalla tasca sulla cintura l’altra compagna e la
volse verso la sfera birichina.
-Vieni
qua, infame di una lampadina!- sbraitò collerica, e
l’oggetto che aveva in pugno si illuminò ci
un’accesissima luce verdognola.
Il
Frutto sfuggevole arrestò la sua fuga d’un tratto,
ripercorrendo la sua scia e spegnendosi del tutto del suo potere
raffreddandosi di un grigio metallico e rugoso.
Elena
sgranò gli occhi chinandosi ad afferrare quello che adesso,
da magnifica sfera dorata, le pareva solo un sasso comune come quelle
della strada.
Kalel
le venne affianco. –Su, dammelo!- ordinò.
-Aspetta,
io…- non terminò che il suo vecchio glieli
strappò entrambi di mano. Li avvicinò
l’uno all’altro e questi s’intrecciarono
come gli anelli di una catena.
La
ragazza sobbalzò nell’udire una voce fredda, e
distaccata, oltre che familiare, gridare: -No! Fermo!- Bonifacio emerse
dalla stradina vicina in groppa al suo cavallo. –Non farlo,
vecchio!- portò l’animale al galoppo con una sola
tallonata ben piazzata.
Un
istante dopo suo padre pronunciò in un sussurro quelle che
le parvero parole senza senso, ma che in fine associò al
freddo suono della tonalità latina di quella stessa lingua
morta. Mormorò una dozzina di parole, suo padre, prima di
sollevare i Frutti dell’Eden verso il cielo.
Un
bagliore accecante invase tutta Acri, che splendé
d’oro per pochi secondi, accompagnato dal suono fortissimo di
un boato assurdo e squillante che si allargò per le strade,
giungendo fino all’oceano.
Il
cavallo di Bonifacio galleggiò nel vuoto di fasci di luce
dorati e argentati, poi egli stesso si dissolse come polvere del
deserto, e così tutta Acri scomparve sospinta dal vento,
tramutata in una quantità di sabbia che sgrumò
come uno sciame di api sospinta dal vento.
_____________________________________
°___°
Ma
che diavolo ho scritto?
Allora,
pochi punti fondamentali:
In
questo chappo compaiono alcuni dei poteri del Frutto, ovvero:
1.
fermare il tempo
2.
tramutare la gente e le intere città in polvere da
sparo! XD
3.
Tramutare gli oggetti in… altri oggetti.
Nonostante
queste novità che mi paiono assurde allo stesso modo di come
paiono a voi °___° spero che il capitolo vi sia
piaciuto!
Avevo
detto che questo sarebbe stato l’ultimo
aggiornamento… ebbene, ho dovuto dividere in due il capitolo
perché per intero conta esattamente 19 pagine e mezzo, fate
voi i conti… <.< xD Ma nonostante il chappo
subito dopo a questo sia già così corposo, credo
comunque di non poterlo postare molto presto. Si tratta del fatto che,
seppure alle 20 pagine, non ho descritto tutte le restanti scene che ho
in mente! XD Ah, ma per quanto riguarda il possibile sequel,
bhé… non smentisco una parola di quello che ho
detto. Chissà, con Isabella a Masyaf le cose potrebbero
farsi interessanti per tutti… e poi, chissà cosa
se ne faranno le dee e gli angeli dei poteri così occulti
del Frutto! XD
Ringrazio
gli utenti che recensiscono con continuità e tanto amore
questa ff tanto assurda e illeggibile, perciò… xD
sono troppo pigra, non mi va di mettere i vostri nomi in colonna! XD
Tagliando
corto… <.<
A
voi la parola.
Elik.
|
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Capitolo 56 *** La Fine ***
>>>
La Fine <<<
“Cosa
successe dopo restò ed è tutt’ora un
mistero.
Ma
sotto sotto è meglio così. Di certe cose sarebbe
bene per l’intera specie umana non farne mai parte.
I
poteri del Frutto scatenatosi quella notte si votò
perché restassero nascosti, occulti da un velo tessuto di
segreti e dedito solo alle saggezze supreme. I testimoni
dell’accaduto sono proprio davanti a me, in questo luogo.
Rhami sta mettendo le mani sul bendaggio che gli ho applicato ieri
notte, quando rientrato alla Dimora soprafatto di tagli e sangue
ovunque, era scampato in uno stato raccapricciante alla morte certa. Lo
scontro con Bonifacio, come mi ha raccontato, l’ha tenuto
impegnato per più del tempo necessario, e raggiungere la
sede è stata un’impresa particolarmente
ardua… ma ancora adesso si domanda come abbia fatto a
trovarsi improvvisamente qui, quando aveva chiaro ricordo di trovarsi
parecchio in difficoltà durante il duello. Eh, io non posso
certo rispondere a questa sua domanda. Piuttosto, spero che qualcuno
non lo faccia mai…
Il
ragazzo è in piedi vicino al tavolo, alla luce di una fioca
candela che gli ho messo a disposizione. La luce dell’alba
è quella che è e sopra di Acri si staglia ora un
cielo grigio e compatto.
Nonostante
sia presto, molto presto, qui nella Dimora sono tutti già
svegli.
Fredrik
è nella stanza adiacente, sta risistemando alcune delle sue
armi e stringendosi le varie cinghie della sua uniforme. Sono certo che
Tharidl sarà fiero del suo operato, nonostante il piano
messo appunto la mattina precedente sia andato a rotoli.
C’è
Hani seduto tra i cuscini; gesticola svelto con i lacci degli stivali
stringendoli al meglio. Si sistema il cappuccio a coprirsi il volto e,
sollevandosi lentamente, si avvicina al banco sedendo su uno degli
sgabelli. Gli sorrido, e lui ricambia con altrettanta gioia.
I
miei occhi si spostando svelti su un tavolo poco distante dalla mia
posizione. Sopra di questo vi sono i due Frutti dell’Eden
l’uno adagiato affianco all’altro e brillano di una
luce tenue e minuziosamente debole, più di quanto
immaginassi… come fossero… scarichi. Ma chi sono
io per giudicare? Solo un Rafik che non può permettersi
neppure di simulare in sé pensieri troppo complessi
perché rischierebbe di confondere prima se stesso e poi gli
assassini cui deve rivolgere consigli.
Kalel
è seduto a quel tavolo, coi gomiti poggiati sulla superficie
lignea e le mani giunte. Lo sguardo basso, assorto e pensoso, diritto
verso le due sfere che fissa con insistenza, quasi tentasse invano di
sprigionare il loro potere, ma questa volta senza l’utilizzo
di mistiche parole latine.
A
proposito di ciò, è stata una sua richiesta
conferire in privato dell’accaduto solo con il Gran Maestro,
ed io non posso far altro che accontentarlo.
In
fine, la mia attenzione cade sulla giovane Elena, rannicchiata sul
soppalco che percorre due delle mura della Dimora. La ragazza, noto con
stupore, è distaccata sia con la mente che con il corpo. Si
tiene in disparte da quando si è svegliata ad adesso, e
nessuno ha provato a rivolgerle la parola, neppure suo padre.
Forse
è stato un suo espresso desiderio quello di tacere, ma
conoscendola, Elena non è certo tipo da tenersi tutto
dentro. Qualcosa la turba, e quel qualcosa è dorato, tondo e
ha un’esatta identica copia. Potrei pure sbagliarmi, penso.
In lei potrebbe dimorare persino la straziante angoscia dei malanni del
suo maestro, senza contare l’irrefrenabile desiderio di
rientrare al più presto a Masyaf, riappacificando il suo
spirito e tornando circondata dalla sua famiglia che, da quanto ho
saputo, è riuscita a ricostruire.
Ovviamente
sono immensamente contento per lei. Anzi per tutti, che hanno lottato
al fine di raggiungere questa grande vittoria in questo grande giorno.
Sono
fiero di annunciare la riuscita della missione, conclusasi con un
ennesimo perfetto compimento.
Fredrik,
Rhami, Elena e il traditore Kalel saranno da voi, Maestro, in trentasei
ore di viaggio.
Acri,
2 maggio 1192”
-Elena…
Elena, svegliati- le sussurrò una voce soave
all’orecchio.
La
ragazza riaprì gli occhi lentamente, accorgendosi
gradualmente di trovarsi ancora in sella al suo cavallo in viaggio su
una stradina sterrata. Sbatté più volte le
palpebre raddrizzando la testa, si volse appena cogliendo il volto di
Kalel che le passeggiava affianco.
I
quattro incappucciati percorrevano al passo la via in pietra
costeggiata da alti cipressi e antichi ulivi. Era notte fonda, le
fronde degli alberi venivano scosse da una leggera brezza estiva che
profumava l’aria del sapore della natura e di erba bagnata.
Un
cielo limpidissimo e punteggiato di milioni di stelle si stagliava
sopra le loro teste, volgendo infinito e inarrestabile il suo velo
luminoso sino all’orizzonte, dove i colori
dell’alba andavano disegnarsi i colori dell’alba.
-Che
c’è?- domandò ella con voce roca,
voltandosi e guardandosi attorno confusa. –Mi sono
addormentata solo un attimo, mi spiace…- borbottò
sbadigliando.
Il
vecchio allungò le labbra in un mesto sorriso. –No
sciocchina- rise –siamo arrivati-.
La
ragazza sgranò gli occhi d’un tratto, allungando
lo sguardo a nord e cogliendo solo in quel momento il margine della
strada, che finiva dove s’innalzava una torre in pietra di
dominio degli assassini. Gli splendidi stendardi ornavano le facciate
della costruzione quadrata e altri simboli della setta svolazzavano al
vento appesi alla pietra del crepaccio d’ingresso ai
territori della sua amata Masyaf.
Riconobbe
i cappucci grigi delle guardie di ronda e il viale stretto tra la crepa
della montagna che conduceva fino ai piedi della città.
La
ragazza si riscosse balzando nel vero senso della parola sulla sella.
–Arrivati?- balbettò.
Kalel
si voltò a guardare dietro di loro, dove a sorvegliare il
cammino c’erano Rhami, Hani e Fredrik.
Quest’ultimo
si avvicinò ai due in testa portando il cavallo al trotto.
-Pochi
chilometri. Saremo a Masyaf per questa mattina- annunciò
l’assassino. I suoi occhini verdi erano celati dietro
l’ombra scura del cappuccio.
-Tharidl
ci riceverà appena arrivati- aggiunse Rhami affiancandosi al
gruppo.
Hani
recuperò terreno infilandosi tra il cavallo di Elena e
quello di suo padre. –Non vedo l’ora. Questa
lampadina conta almeno dieci chili in più!-
borbottò alludendo alle bisacce legate strette alla sella.
-E
che stiamo aspettando?- domandò lei.
Rhami
si strinse nelle spalle. –Che ci sia un po’
più di luce e un po’ più di gente ad
assistere alla nostra entrata trionfale!- levò gli occhi al
cielo così da assumere una posa da totale deficiente.
Hani
soffocò una risata.
-Forza,
dunque- ribadì Fredrik avanzando e stanziandosi dal gruppo.
–Andiamo- chiamò partendo al trotto.
Elena
e suo padre restarono in coda con Rhami che chiudeva la fila.
-Ho
paura- disse lei d’un tratto.
Kalel
girò la testa rilassando i muscoli del collo. –A
cosa ti riferisci?-.
-Cosa
ne sarà dai Frutti, ora?- domandò flebile.
–Insomma…- abbassò lo sguardo.
–Tharidl voleva portarli al sicuro in altri luoghi lontani,
mentre alcuni dei saggi erano favorevoli a…-.
-Conosco
la storia- la interruppe suo padre. –Sono discussioni che si
ripetono e si ripeteranno. Il nostro arrivo segnerà forse la
rovina di questo luogo, credimi- sospirò.
Ella
s’irrigidì. –Come mai dici questo,
papà?-.
Gli
occhi azzurri, cristallini del vecchio si scontrarono coi suoi ed Elena
ebbe un tuffo nel cuore nell’ammirare la sua espressione
afflitta ed estremamente contrariata. –Ci accomuna il timore
che neppure la setta possa farne un buon uso. Ma in che modo potremmo
intervenire se non sta a noi decidere? Elena, ho saputo controllare i
poteri del Frutto per il semplice fatto che non era la prima volta che
li usavo…- fece il vago, sottraendosi con sveltezza a
quell’argomento. –Devi sapere che Corrado ha
trovato i modi più spregevoli perché collaborassi
con lui, e ti assicuro che non ci sono prove a testimoniare la mia
innocenza-.
-Non
capisco- mormorò confusa.
Kalel
guardò alcuni istanti di fronte a sé, dove le
figure indistinte e ombrose di Hani e Fredrik li guidavano mostrando la
strada da percorrere a quelli dietro.
-E’
esattamente ciò che stai pensando, piccola- disse poi,
serio. –Fin dove sarà disposto ad arrivare
l’uomo pur di raggiungere i propri desideri?-
formulò profetico, e ciò la rese ancor
più inebetita dinnanzi alle tematiche che stava toccando
tale discorso.
Elena
distolse lo sguardo pensando ad altro.
E
c’era molto altro a cui pensare.
Quando
il sole fu alto in cielo, trovarono ad attenderli i cancelli aperti di
Masyaf.
La
gente scorrazzava per il villaggio nel solito caos cittadino, tra vari
trambusti di carri e pentole ai diversificati versi degli animali al
mercato. Stormi di piccioni si appollaiavano sulla salita sterrata che
conduceva alla roccaforte sbarrando loro il passo, e i cinque profughi
erano entrati in città ancora a cavallo, attirando di
conseguenza maggiormente l’attenzione dei popolani.
Questi
non attesero molto prima di spostarsi verso la fortezza in grande masse
confusionarie e chiassose. Una lunga scia di gente li seguì
fin dentro il cortile interno del palazzo, esattamente come quella
volta durante la quale Elena fece ritorno in città assieme
al suo maestro.
Egli,
dopotutto, era al centro dei suoi pensieri ancor più di
quanto non lo fosse Marhim o chiunque altro.
I
cinque a cavallo sostarono accanto all’arena vuota degli
addestramenti, e non appena smontarono dalle rispettive selle, per
tutta la fortezza si diffuse il suono scandito, ritmato e maestoso di
applausi.
Molti
assassini si affacciarono dalle finestre che davano sul cortile, mentre
altri si disponevano attorno a loro cinque mostrando
anch’essi l’immenso rispetto e gratitudine.
-Dannato…-
digrignò Rhami nascondendosi al meglio sotto il cappuccio.
Fredrik
scoppiò in una fragorosa risata, ma gli applausi non
cessavano sovrastando ogni altro rumore. –Ah! Guarda che non
puoi prendertela col Refik se ora l’intera Siria sa che i
Frutti sono qui! E non era la fama ciò che volevi? Eccotela
servita su un piatto d’argento!- scherzò.
Il
ragazzo si strinse nelle spalle. –Lo so…-
sibilò. –Lo so…- ripeté.
Elena
si avvicinò a suo padre tentando invano di nascondersi
dietro di lui, ma Kalel si spostò di lato sistemandosi in
disparte assieme agli altri tre assassini. Questi, notò
Elena una volta rimasta al centro dell’attenzione, avevano un
buffo ghigno in volto: divertiti e maliziosi, tutti quanti (Hani,
Rhami, Fredrik e suo padre).
Nel
frattempo gli applausi andavano ad affievolirsi sempre più,
e il silenzio piombò nel cortile nell’arco di
pochi secondi.
Elena
lanciò un’occhiata spaurita
tutt’attorno, guardandosi dai mille presenti che, a loro
volta, parevano attendere che lei facesse o dicesse
qualcosa… o semplicemente attendevano che succedesse
qualcosa… o ancor più semplicemente, attendevano
qualcuno.
Solo
allora ella capì, sollevando il viso e ingoiando a fatica il
groppo che aveva in gola. Il nodo allo stomaco dei giorni trascorsi
nella speranza si sciolse del tutto in quell’istante; i
ricordi delle notti trascorse a fare incubi l’uno dopo
l’altro sparirono, dissolvendosi come cenere, spazzati via da
un’improvvisa folata di vento che traversò le
sabbie del cortile interno, sollevando tanta di quella polvere.
Elena
si stropicciò gli occhi non potendo semplicemente credere
che fosse vero.
Trattenne
il fiato nello scorgere la figura dritta e composta di un uomo emergere
con passo lento dalla folla e posizionarsi di fronte a lei. Addosso,
egli non aveva altro se non parte della sua uniforme di assassino
d’alto rango qual’era, le braccia prive di guanti,
una sobria cintura legata alla vita senza il fardello di nessun arma,
il cappuccio abbassato sulle spalle. Il sorriso festoso sulle labbra
traversate, nell’angolo, da una stretta e leggendaria
cicatrice. I nerissimi occhi che guardavano lei e che
l’avevano sempre guardata con attenzione, premura e, da una
parte, amore.
Elena
restò traballante sulle sue stesse gambe
all’incirca una decina di secondi, circondata dal silenzio
emozionante di cento e passa persone che serravano la bocca in un
profondo rispetto.
Le
luccicarono gli occhi, mentre stringeva i pugni serrando la mascella,
trattenendo il pianto.
Altair
le sorrise piano, tranquillo più che altro. Non lo aveva mai
visto così colmo di gioia e fierezza allo stesso modo, mai
visto così pieno d’affetto per lei. Ma
ciò che più contava, era soltanto poterlo vedere,
sapere che stava bene, e che era sfuggito alla morte.
C’era
un solo modo per accertarsi che non fosse frutto della sua
immaginazione. Poteva trattarsi di un sogno, e lei di davvero
verosimili sapeva inventarsene a bizzeffe.
Perciò… fu inevitabile.
Scattò
di corsa verso il suo maestro e si gettò ad abbracciarlo,
avvinghiandosi al suo collo e soffocando i singhiozzi nel tessuto
candido e pulito della veste bianca.
Nel
momento in cui le braccia di Altair la strinsero a sé con
maggior vigore ricambiando quell’abbraccio e sfiorandole la
schiena con le mani, ella percepì il calore del suo corpo e
la rigidezza dei suoi muscoli, assaporò il suo profumo
inebriandosene i polmoni.
Intanto,
la gente tutt’attorno taceva ammutolita, ostinata in un
commosso silenzio che purificava e rendeva l’aria ancor
più tersa ed emotiva.
-Siete
qui…- mormorò.
-Ti
è così difficile crederlo?- domandò
spensierato accarezzandole i capelli.
-Adesso
non più- gemé chiudendo gli occhi, restando
accollata a lui così da non poterlo lasciare andare mai
più via. Non avrebbe permesso a niente e nessuno di
contrapporsi a loro, e neppure il veleno era riuscito
nell’intento. Perciò, perché non
sperare che sarebbe potuto rimanere tutto per sempre così?
In questo meraviglioso clima di pace, gioia, amore…
Qualcuno
si schiarì la voce, attirando l’attenzione dei
presenti che si voltarono a guardare chi avesse osato interrompere un
tale gesto.
Elena
allontanò appena il viso dal suo petto, e Altair la tenne
stretta a sé nel mentre si girava alle sue spalle.
Vi
era Tharidl, nel centro del semicerchio che si era creato.
L’uomo vestiva della sua lunga casacca scura tirata a lucido,
la folta barba bianca e i capelli grigi che ai raggi del sole alto nel
cielo rilucevano fasci argentati. Era arduo decifrare le emozioni che
andavano disegnarsi sul suo volto solcato dagli anni: forse gioia,
forse rancore. Fatto sta che al suo fianco vi erano due differenti
assassini che Elena conosceva bene.
Gabriel,
alla destra del Gran Maestro, mostrò la dentature bianca
sorridendo come poche volte Elena l’aveva visto fare, dato le
rare occasioni durante le quali si erano incontrati. Egli indossava una
tunica bianca, corta, gli stivali e il guanto d’acciaio,
assieme al cappuccio calato sul volto a risaltare l’azzurro
luminescente degli occhi e alcune delle ciocche color miele che
spuntavano fuori da questo.
Il
ragazzo fece un passo avanti al vecchio Tharidl e chinò la
testa. –So tutto- disse tranquillo.
Elena,
ancora stretta al suo maestro annuì.
–Sì, ecco…-.
Gabriel
fu evasivo. –Ne parleremo più tardi, noi-
dichiarò sorpassandola e andando a confondersi tra la folla
alle sue spalle, raggiungendo Kalel sistemato distante al resto della
gente.
Marhim,
alla sinistra di Tharidl, piuttosto che avanzare,
indietreggiò.
Elena
a quel punto capì e, sorridendo mesta, si scansò
di propria volontà dal suo maestro. Prese un gran respiro e
si avvicinò a lui.
Marhim
rimase silenzioso irrigidendo i muscoli.
La
ragazza accorciò ancora la distanza e si sollevò
sulle punte per baciarlo inaspettatamente sulle labbra, di fronte a
tutta quella gente che aggravò oltremodo il silenzio.
Elena
lo avvicinò a sé afferrandolo per la veste, senza
interrompere il bacio che proseguiva immobile l’uno con le
labbra premute delicatamente su quelle dell’altra. Non appena
si separarono per riprendere fiato, la ragazza lo strinse con vigore
allacciandosi a lui e nascondendo il viso nell’incavo del suo
collo.
-Mi
sei mancato troppo- gli sussurrò all’orecchio.
Marhim
poggiò una guancia sui suoi capelli e parve rilassarsi del
tutto. –Anche tu- mormorò commosso avvolgendole le
braccia attorno ai fianchi.
Tharidl
sorrise compiaciuto. –Bene- ridacchiò guardandosi
attorno.
Nel
frattempo quello della folla era diventato un chiacchiericcio allegro e
compiaciuto.
Andò
ad affiancarsi ad Altair che osservava ammutolito.
-Suvvia-
rise il Gran Maestro. –Credevi con tutto te stesso che non lo
sapessi?- domandò adocchiando divertito i due giovani.
L’assassino
si riscosse ed incrociò le braccia al petto. –Come
facevate a saperlo? Non immaginavo che poteste esserne a conoscenza-
borbottò.
-Ah,
Altair- sospirò il vecchio. -Ed io non immaginavo di
sembrare così cieco e stupido. Non sono nato mica ieri-
Tharidl annuì beffardo e gli strinse una spalla
amichevolmente, poi si allontanò da lui andando incontro
agli assassini reduci della missione.
Kalel
si avvicinò a lui e i due si scambiarono un fragoroso
abbraccio fraterno.
-Sono
contento di riaverti qui tra noi- disse il Maestro.
Kalel
si massaggiò il collo. –Tu sì, ma come
la mettiamo coi tuoi saggi?- rise. –Sono loro che hanno
ordinato la mia morte ai tuoi sicari, neppure io sono nato ieri-.
-Ed
io sono contento di sapere che non dubiti di me ma bensì di
altri- sorrise Tharidl.
-Dopo
quello che hai fatto per lei- gioì Kalel guardando sua
figlia tra le braccia di quel giovane assassino dal cappuccio grigio.
–Dopo quello che hai fatto per Elena, dopo esserti preso cura
di lei così… come potrei dubitare di te?-.
Tharidl
giunse le mani dietro la schiena. –Ebbene, ora rimane poco e
niente da fare- dichiarò serio.
Fredrik,
Rhami ed Hani chinarono la testa in segno di saluto e rispetto.
-Ben
tornati- proferì guardandoli.
L’ultimo
di questi slacciò le bisacce dalla sella del suo cavallo e
ne mostrò il contenuto al Gran Maestro che, tendendo le
braccia afferrò le due sfere ammirandole soddisfatto.
-Ottimo-
disse loro, e i tre assassini si scambiarono un’occhiata
complice.
Elena
intrecciò le dita alle sue e Marhim poté
finalmente guardarla negli occhi, anche se per pochi istanti.
Altair
comparve al suo fianco ed ella si volse a scambiare con lui un sorriso
luminoso.
Il
suo maestro le carezzò un’ultima volta la testa,
poi si allontanò dal cortile confondendosi alla folla e
scomparendo dentro la fortezza.
Una
luce abbagliante penetrò le vetrate dello studiolo del Gran
Maestro, alla quale scrivania sedeva pensoso Altair. Erano fuochi
d’artificio che s’innalzavano al cielo per poi
esplodere festivi tra le stelle di quella notte priva di nuvole.
L’assassino
era completamente stravaccato sulla sedia, un gomito poggiato sul
tavolo teneva il cappuccio alzato sul viso che mostrava un incredibile
smarrimento e severità.
Assorto
nei suoi pensieri, guardava fuori dalle finestre la gente applaudire
divertita e godersi a pieno quella notte di festa.
Solo
nello studio, avvolto dal silenzio della vuota fortezza, Altair
sospirò mesto.
Alla
gioia immensa di quella serata avevano preso parte tutti gli assassini
della setta.
Un
nuovo fuoco artificiale partì ed esplose nel cielo,
illuminando la valle di una luce verde smeraldina. Un altro, e un altro
ancora. Questi spruzzarono una marea di scintille che si confusero alle
mille stelle del firmamento, rovesciandosi in fine come coriandoli
sulla piazzetta.
Da
lassù poteva vedere e riconoscere i volti sorridenti della
sua allieva stretta tra le braccia del giovane Marhim, avvolti dalla
gente di Masyaf che cantava e ballava senza freno.
Vi
erano anche Kalel e Tharidl, assieme a molti dei saggi riuniti a
godersi quello spettacolo in un angolo. Buffo, pensò
riconoscendo tra i presenti, molto vicino a Kalel, un uomo che Altair
conosceva bene. Era un informatore che adoperava nel distretto medio di
Gerusalemme, un certo… Akram, se ricordava bene. Egli aveva
il viso scoperto e sorrideva giocoso accanto al padre di Elena. Non si
soffermò oltremodo sulla questione, piuttosto riconobbe i
volti di Fredrik e Adel sorbirsi la meraviglia pirotecnica, e
pensò che avrebbe dovuto trovarsi lì con loro.
Fece
per alzarsi, così da rimediare all’immensa
solitudine che provava, quando una voce acuta, melodiosa e
dall’accento francese lo chiamò per nome.
-Come
mai siete qui?- domandò Isabella.
Altair
alzò lo sguardo incontrando gli occhi scuri della donna che
era in piedi dinnanzi alla scrivania. Vestiva di un
bell’abito beige e un velo azzurrino attorno alle spalle.
-Nulla
più dovrebbe turbarvi, ora che niente vi minaccia- aggiunse
lei con tono profetico.
L’assassino
si sollevò lentamente dallo scranno. –Stavo giusto
dirigendomi… fuori- assentì. –Ma voi?-
chiese lui. –Cosa state facendo qui, e
dov’è vostra figlia Maria?- allungò
un’occhiata alle spalle della donna.
Isabella
allungò le labbra in un sorriso radioso. –Volevo
ringraziarvi-.
Altair
inarcò un sopracciglio. –E di cosa?-
formulò confuso. –Forse mi confondete con qualcun
altro, non sono io l’assassino che vi portò qui
assieme a vostra figlia- disse composto.
-Lo
so bene- mormorò flebile la sovrana. –Ma non
è di ciò per cui vi debbo le mie gratitudini-.
-Illuminatemi-
ghignò l’uomo.
-Ammetto
che fu la vostra allieva a risparmiarci la vita una prima volta-
ridacchiò –nonostante ciò, il suo
immenso rispetto per noi deve derivare per forza dal suo maestro.
È di questo che voglio ringraziarvi-.
-Credo
di non capire- proferì avvicinandosi a lei. –Mi
state porgendo i vostri sentiti ringraziamenti per aver insegnato alla
mia allieva ad essere com’è?- domandò
stupito. –Curioso- borbottò.
Isabella
si portò una mano alla bocca ridendo. –In effetti
può sembrar strano, inizialmente, ma permettetemi di
aggiungere che ho assistito alle agonie dell’uomo che mio
marito Corrado teneva prigioniero. Kalel, se non sbaglio… il
padre della vostra allieva, mi presi cura di lui assicurandomi che
Monferrato non lo ammazzasse prima del tempo. Così ho avuto
modo di sapere quant’egli fosse certo che Tharidl Lhad
scegliesse per Elena qualcuno davvero speciale, e quel qualcuno dovete
essere voi- sussurrò.
Altair
distolse lo sguardo. –Vi sbagliate, si sbagliava anche
Tharidl- sbottò. –Non sono l’uomo
dignitoso che tutti voi pensavate io fossi. A quella ragazza ho fatto
torti che a stento immaginereste!- digrignò.
Isabella
tacque alcuni istanti, e d’un tratto fece un passo verso di
lui, accorciando la distanza che gli separava e salendo due dei bassi
gradini. –Ciò non mi spaventa, se è
questo che credete. Ho conosciuto uomini peggiori di voi-.
-Non
è mai stata mia intenzione spaventarvi- eruppe irritato.
–C’è altro?- aggrottò la
fronte.
-Veramente
no- guardò altrove. –Adesso sono in pace con me
stessa- sorrise soddisfatta.
-Ottimo-
sibilò lui massaggiandosi il volto.
-Ma
voi no, è così?- rise lei.
Altair
alzò gli occhi al cielo, ma dopo poco non riuscì
a trattenersi dal ridere. –In effetti- ribadì
allegro.
Il
sorriso sulle labbra di lei si fece ancor più vero, e
rimasero allungo in silenzio.
Quando
il botto di un nuovo fuoco d’artificio squassò
l’aria immobile della fortezza e una luce rosata a brillante
invase la sala, Altair fece un passo avanti annullando del tutto la
distanza che c’era tra di loro sistemandosi al suo fianco.
Sorridendo
beffardo, l’assassino alzò un gomito e disse:
-Posso avere l’onore di accompagnarvi alla festa, mia
Regina?- domandò.
Isabella
sorrise felice e acconsentì con un gesto del capo, legando
il braccio a quello di lui. –Certamente- mormorò
mentre si avviavano.
__
_____ _____ __
The
End
__
_____ _____ __
Eccoci.
Alla
fine, l’inevitabile è successo. Ogni storia ha il
suo lieto fine, ed io ho scelto questo.
Arrivata
a l’ultimo capitolo, non so che dire… ci sarebbero
così tanti punti da chiarire, così tanto di cui
discutere, così tanto a cui pensare! Eppure… sono
troppo coinvolta emotivamente e non riesco a dire qualcosa di sensato.
Mi sono emozionata troppissimo scrivendo quest’ultima parte
del capitolo. Sia perché era così vivida nella
mia mente che avevo l’impressione di star guardando un film,
sia perché ormai sono troppo affezionata ai protagonisti di
questa storia. È la prima volta che concludo davvero
qualcosa, di solito non finisco neppure tutti i compiti! Dico sul
serio, e devo dire che ci si sente davvero bene.
Quindi.
Adesso
sta a me dimostrare quanto tutti voi siete stati speciali per me e mi
avete sostenuto nello sviluppo di quest’avventura strampalata
e assurda che solo la mia mente contorta poteva inventarsi!
Come
promesso, ho imparato a mettere i link ai vostri accaunt, ma
è talmente faticoso che posso permettermelo solo alla fine
di ogni storia! Grazie a tutti voi!
Ora
basta. Penso di aver parlato abbastanza. Vi avviso: nelle recensioni
è permesso e ben accetto qualsiasi tipo di scler! XD grazie!
Vi
voglio bene!!!
A presto...
Elik.
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