Migliori amici

di Alise13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Migliori amici ***
Capitolo 2: *** Il delegato-parte 1 ***
Capitolo 3: *** Scontro al centro commerciale ***
Capitolo 4: *** Il delegato parte II- Un cuore in mille pezzi ***
Capitolo 5: *** Da vittima a carnefice il passo è breve ***
Capitolo 6: *** Rinascere dalle proprie ceneri ***



Capitolo 1
*** Migliori amici ***


Il rosso aveva appena finito di giocare un due contro due a basket al parco vicino a casa.
«Grande partita» esclamò Dajan, l’amico d’infanzia del rosso, facendo rimbalzare la palla arancione a terra.
Avevano tutti il fiatone, ma erano soddisfatti lo si poteva vedere dagli occhi che ridevano.
Eveleen osservava la scena dalle gradinate soprastanti il campo. Teneva in mano un libro con il dito incastrato tra le pagine a tenere un segno che, non era cambiato durante tutta la durata della partita.
La ragazza aveva ammirato con stupore gli amici giocare. Adorava quando indicevano quelle partite e non se ne perdeva una. I loro sguardi, i loro movimenti erano una danza che catturava i pensieri della mora, travolgendola in turbine di emozioni.
Se fosse stata brava anche solo la metà di Violet nel disegnare avrebbe provato a mettere nero su bianco quelle immagini, ma non essendolo si limitava ad imprimere il tutto nella sua mente.
Dejan colpì al fianco l’amico che si rigirò dolorante per il colpo alle costole che gli aveva tolto quel poco fiato che gli era rimasto.
«Mi vuoi morto?» ringhiò Castiel, ma non arrivò nessuna controbattuta, infatti, il ragazzo guardava con stupore le gradinate. Il rosso inevitabilmente seguì lo sguardo dell’amico finché non vide lei, Eveleen, che impacciatamente cercava di recuperare il contenuto della borsa che si era riversato sul cemento grigio chiaro.
«E’ davvero carina» disse sognante Dajan che non aveva mai nascosto il suo interesse per la mora.
Castiel la guardò cercando di far incontrare l’aggettivo carina con la figura dell’amica.
“Carina..” per lui Eveleen era solo la sua migliore amica, la ragazza della porta accanto, sbadata e tremendamente indifesa, ma doveva ammettere che era cambiata. L’adolescenza le stava regalando forme più mature, più da donna, ma il rosso scosse la testa. Era la sua migliore amica, non si sarebbe mai innamorato di lei, non l’avrebbe mai persa come aveva perso Debrah, la sua prima e unica ragazza. Sapeva come quel tipo di relazione rovinasse tutto. Evee, come la chiamava lui, era stata l’unica persona a stargli vicino, l’unica a cui aveva aperto il suo cuore mostrando le sue sofferenze.
«Se lo dici tu» Castiel si concentrò sulla fasciatura che gli avvolgeva il polso. Nell’ultima partita aveva ricevuto un colpo che gli aveva provocato una piccola abrasione. La fasciatura era mal messa, quasi inutile.
«Se le chiedessi di uscire?» Dajan stava parlando seriamente, il suo sguardo era concentrato su quella figura esile dai lunghi capelli e dalla pelle diafana che si era buttata nella lettura di quel libro che non aveva degnato di uno sguardo durante la partita.
Il suo sguardo era immerso, i suoi occhi verdi persi tra le parole dell’autore.
«Fai come ti pare» Il rosso si stava innervosendo, gli dava fastidio, non poteva negarlo, ma si scusava quella reazione perché nel corso degli anni aveva sempre protetto quell’esile ragazza imbranata, ma Dajan era un bravo ragazzo lo sapeva.
L’amico gli diede una pacca sulle spalle e raggiunse gli altri due giocatori che si erano riversati alla fontana d’acqua per rinfrescarsi.
Castiel invece si avvicinò alla recinsione che divideva gli spettatori dai giocatori.
Le dita s’incastrarono tra i fili metallici e il suo sguardo grigio puntò sull’amica.
Fece un fischio per attirare la sua attenzione. La ragazza riconoscendo il suono scattò su con la testa e vedendo l’amico sorrise dolcemente. Castiel sentì il cuore battere un colpo in più.
«Hai giocato bene» le gridò lei dall’alto della sua postazione.
«Avevi dubbi? » Il solito Castiel era tornato, quello strafottente e sicuro di se, quel Castiel che a Evee piaceva tanto, lui e il suo sorriso sghembo.
«Considerando il tuo polso sono sorpresa»
“com’è ingenua” pensò il ragazzo. In verità aveva messo quella fascia solo perché gliel’aveva chiesto lei, il dolore era impercettibile, era più fastidiosa la fascia che l’abrasione.
“Sono io quello sorpreso di esser riuscito anche solo a giocare” questo pensò tra se e se il rosso che durante tutta la partita tra uno scatto e un tiro si concedeva un’occhiata agli spalti dove la ragazza rapita lo guardava. Era una distrazione immensa, ma era felice tutte le volte che lo veniva a guardare giocare.
«Tu ti sorprendi sempre per tutto»
«Menomale mi sorprendo ancora» ribattè lei convinta che nella vita ci si dovesse sempre sorprendere.
Castiel doveva ammetterlo, l’unica cosa che lo sorprendeva veramente era lei. I suoi sorrisi gli procuravano sempre un’emozione inaspettata, ogni sua parola lo rapiva. Aprì la porticina e la raggiunse saltando gli alti gradini a due alla volta.
«Hai ancora fiato?»
«Tu mi sottovaluti»
«O sei te che ti sopravvaluti?» Quella ragazzina aveva sempre la risposta pronta, non gli concedeva mai una vittoria, o almeno ci provava, perché quando il rosso decideva di alzare l’asta della discussione mettendola a disagio con qualche battutina maliziosa lei sprofondava in uno strano stato confusionale con le guance che si tingevano leggermente di un pacato rosso.
Eveleen era sempre stata innamorata di Castiel, fingeva di star comoda nel suo ruolo di miglior amica, ma la realtà era che si era vista portarselo via già una volta per poi ritrovarselo di nuovo a pezzi per colpa di Debrah e l’ultima cosa che voleva era vederlo di nuovo così, vuoto.
Quindi si era ripromessa di stargli vicino finché lui gliel’avesse permesso. Non avrebbe mai messo in pericolo la loro amicizia per quel sentimento che era convinta di poter soffocare, ma già da un po’ stargli accanto da amica era diventato difficile.
«Torniamo a casa insieme?»
La ragazza annuì con la testa un po’ persa in quegli strani e complessi pensieri.
Ciò non sfuggì all’occhio attento del rosso.
«Che hai?»
Evee non sapeva come nascondere i suoi pensieri era impaurita che lui, perché solo lui poteva riuscirci, scalfisse quella piccola corazza che aveva costruito intorno a dei sentimenti che reputava impossibili.
Così facendo cercò di cambiare discorso, ma la sua sbadataggine si unì ad un discorso che il rosso aveva fatto prima con l’amico Dajan, di cui lei non sapeva nemmeno l’esistenza.
«Dajan l’ho visto in forma oggi, potrebbe farti concorrenza sai?» Cercò di buttarla sul ridere, ma Castiel non fu della stessa opinione e scambiò il diversivo dell’amica per interesse.
«Ti interessa Dajan?» era palesemente infastidito e lui a differenza di Evee non si preoccupava molto di nascondere le sue emozioni.
«E’ un mio amico. Mi interesso a voi, è normale» Risposta sbagliata. Quelle parole fecero scattare il rosso che si alzò in piedi.
«Che ti prende?»
«Lascia stare»
«Spiegami cosa dovrei lasciar stare e potrei anche farlo» era confusa e arrabbiata perché la stava trattando male gratuitamente.
«Tu gli piaci!» Stava urlando.
silenzio.
«Ah» ma dopo un breve attimo di riflessione il suo coraggio si fece strada.
«Ed è un problema? Perché fai così?»
Castiel disse quelle parole senza riflettere, le disse egoisticamente pensando solo a se stesso, buttando al vento tutti i buoni propositi che si era imposto nei confronti di Evee.
«Ti amo» la ragazza rimase sconvolta, attonita.
Non poteva, non poteva aver detto quelle due parole così, con rabbia. Aveva desiderato così tante volte che lui ricambiasse i suoi sentimenti, ma non così. Evee pensò che l’avesse detto solo per paura di perderla come amica, perché si sapeva che chi si fidanzava doveva cambiare le sue priorità, dare attenzioni anche al proprio ragazzo e conoscendo il rosso non voleva perdere quel primato.
Si alzò armata di libro e borsa e perdendo l’equilibrio per due econdi si riprese e marciò verso l’uscita del campo sportivo.
Castiel dal canto suo era scioccato e arrabbiato quanto lei.
«Ti dico che ti amo e te ne vai?»
«Cosa dovrei dirti? Sei un’egoista, hai paura di perdere la tua patetica e stupida amica, non sono veri sentimenti i tuoi. Sei cattivo»
«Cattivo? Ti dico seriamente che sono innamorato di te e tu pensi che sia cattivo. Sei assurda»
Evee si girò con le lacrime che le rigavano il viso, una scena che spiazzò il rosso.
«Sei uno stupido»
Senza pensarci Castiel avvolse la piccola ragazza tra le sue braccia.
«Ti amo Evee, ti ho sempre amata, avevo paura di questi sentimenti perché non volevo perderti. Sei la persona più importante della mia vita, la colonna portante della mia esistenza. Ti amo scema come te lo devo dire?»
Evee continuò a piangere e quando i singhiozzi diminuirono, il rosso le prese il viso tra le mani.
«Ti amo anch’io stupido» Finalmente l’aveva detto, si sentì leggera, come se quello fosse un peso insostenibile per la sua anima.
Castiel rise e la baciò dolcemente sulle labbra morbide. Aveva un buon sapore, il suo shampoo sapeva di albicocca, un odore dolce che lo pervase.
Uscirono dal campo mano nella mano e i tre amici alla vista di quel contatto cominciarono ad applaudire.
«Finalmente!» Urlarono.
Dajan fu il primo ad andargli incontro.
«Ce ne avete messo di tempo per capirlo» i due si scambiarono un’occhiata. Possibile che se ne fossero accorti tutti tranne loro due?
Dajan mise un braccio intorno alle spalle dell’amico.
«Se non ti fossi dato una mossa te l’avrei rubata» Castiel non rispose, sapeva benissimo che se non si fosse mosso qualcuno gliel’avrebbe portata via.
«Trattala bene» il suo sguardo era passato dal divertito al serio.
«O te la porterò via»
«Non te la lascerò mai, né a te né a nessun altro. E’ mia e la terrò con me per sempre» ecco il famoso sorriso sghembo.
Dejan tornò alla sua felicità.
«Prova superata. Sono felice per voi amico»
Castiel guardò Evee sorridente che scherzava con gli altri due ragazzi. Era tremendamente bella.
«Anch’io. Anch’io ora sono felice»

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Capitolo 2
*** Il delegato-parte 1 ***


Evee quella mattina si era recata a scuola particolarmente presto per aiutare Nathaniel a risistemare la biblioteca che, dopo la disastrosa dittatura della signora Pawell, ormai in pensione, era diventata un campo di battaglia. Quando arrivò, il delegato, la stava aspettando facendo roteare le chiavi in mano. La ragazza affrettò il passo pensando di essere in ritardo, ma venne tranquillizzata dal biondo che le disse:
«Non correre Evee, sei perfettamente in anticipo» le sorrise mostrandole l'orologio da polso.
«Ah menomale» disse sollevata.
«Pensavo di aver perso la cognizione del tempo quando ti ho visto.»
Con poca disinvoltura posò la borsa su di un tavolo che per poco non cadde a terra, ma Nathaniel non se ne accorse e continuò a parlare.
«Figurati! Penso di essere esageratamente in anticipo» disse un po’ imbarazzato grattandosi una guancia con l’indice.
«Ti ringrazio tantissimo Evee per il tuo aiuto, sei una delle poche persone in questa scuola su cui potevo fare affidamento »
La ragazza arrossì un po' per quel complimento, lei non si sentiva affidabile, solo disponibile. La sua passione per i libri l'aveva spinta ad accettare quel lavoro part time. Poi non le dispiaceva passare un po’ di tempo con Nathaniel, era un ragazzo intelligente ed educato, con lui poteva parlare di cose diverse, come i libri per esempio, una passione che entrambi avevano.
«Non mi devi ringraziare, egoisticamente lo faccio anche per me, adoro questo posto, adoro i libri » disse passando una mano su di una pila verticale di tomi.
Lo sapeva bene il bravo delegato che rapito dalle sue parole, dai suoi gesti spensierati non le staccava gli occhi di dosso. Quella ragazza parlava con l’aria sognante e lui non riusciva a non essere contento di quel poco tempo che poteva passare da solo con lei. Dopo aver ripreso un po’ di contegno posò su alcuni fogli le chiavi della biblioteca e prese l’inventario.
«Anch'io amo stare qua. Penso sia il posto più magico della scuola »
Magico”  ripeté Evee dentro di se guardo la faccia del delegato che assorto in chissà che pensiero cominciò a sfogliare il grosso libro che aveva tra le mani. 
Il lavoro fu arduo, niente aveva senso: gli scaffali erano pieni di libri messi a casaccio senza un ordine logico. I due decisero quindi di togliere tutti i libri e di divederli per generi. Non fu un lavoro facile, infatti, quella biblioteca contava oltre mille libri. Era ben rifornita per essere una biblioteca scolastica liceale.
«È proprio un peccato che la gente non frequenti la biblioteca» esordi Nathaniel. Evee invece non era dispiaciuta perché nel suo piccolo amava starsene in quel luogo silenzioso, quasi sacro e forse aver lì dei liceali scalmanati che usavano quel luogo solo per scappare dalle lezioni o trovarsi a sbaciucchiare il proprio ragazzo insomma non la faceva proprio gioire. Mentre se ne stava a riflettere su quelle cose non sentì la voce di Nathaniel che la chiamava. Quando ritornò alla realtà, però, la sua sbadataggine le giocò un brutto scherzo. Si era arrampicata su di una scala che però aveva le rotelle per scivolare da uno scaffale all'altro, quando si accorse che Nathaniel la chiamava si girò così di scatto che il piede le scivolò perdendo l'appoggio necessario per non cadere. Provò a far leva sui pochi riflessi donatagli da madre natura e si aggrappò tenendosi all'acciaio della scala, ma era poco atletica e aveva le mani sudate. Scivolò tirando un urlo. Fortunatamente Nathaniel era poco distante da lei e si mise sotto cercando di prenderla. Il tonfo fu meno traumatico di quello che pensava la mora, quando capii poi il perché si agitò. Nathaniel l'aveva afferrata, ma nello schianto era caduto a terra. Evee tolse rapidamente le mani dagli occhi e guardò il biondo.
«Tutto bene?» La sua voce si era tinta di preoccupazione.
«Tutto bene, solo penso di non respirare più» Evee non capiva se stava bene o male visto la sua frase, ma poi capii che gli era proprio tra le braccia e con il suo peso, anche se poco, gli stava schiacciando la cassa toracica. 
«Oddio!» Esclamò dispiaciuta. Il delegato però sorrideva felice di vederla sana e salva.
«Stai bene?» Chiese preoccupata tirandosi in piedi.
«Sono stato meglio» disse strofinandosi la mano.
Evee lo notò e senza pensarci gli prese la mano per osservarla che non fosse ferita.
Nathaniel arrossì per quel tocco e ritirò rapido la mano.
«Nathaniel ti sei fatto male vero?»
«No, davvero stai tranquilla, non è niente. L’importante è che tu stia bene »
Evee si guardò per confermare e sorridendo gli disse: «grazie a te sono sana e salva» Nathaniel a quel sorriso si voltò portandosi la mano sana davanti alla bocca.
Era davvero carina quando sorrideva. Conosceva Evee da un paio d’anni da quando si trasferì in quella scuola ed ebbe dei problemi con la sua iscrizione che era alquanto incompleta. Si ricordava benissimo quella piccola ragazza dai capelli scuri che, gracilina, entrò nella presidenza inciampando a causa di un laccio delle scarpe ribelle.
Si ricordava perfettamente di esserle andato incontro anche quella volta raccattandola da terra e aiutandola a racimolare i suoi effetti personali, che si erano riversati sul pavimento. Quante volte aveva visto ripetere quel momento, Evee era la persona più maldestra che avesse mai conosciuto, ma anche la più pura. Purtroppo le opportunità per conoscerla erano state davvero scarse inizialmente perché lei si era trasferita in quella scuola per stare con il suo migliore amico Castiel che con lui, il delegato, aveva poco da spartire, per non parlare di quel fatto accaduto con Debrah la sua ex ragazza che non aveva fatto altro che peggiorare un rapporto difficile. Uno era l’antitesi dell’altro, infatti, Castiel rappresentava il perfetto opposto del biondo. Evee stava sempre con il rosso e per Nathaniel avvicinarla era diventato davvero un’impresa, ma quando la ragazza si rinchiudeva lì, in quella sala piena di libri lui poteva starle vicino, conoscere i suoi gusti, i suoi sogni. Si possono capire tante cose dalle letture di una persona e il delegato aveva imparato molto sulla piccola Evee e ciò che aveva scoperto non aveva fatto altro che aumentare l’idea positiva che aveva di lei.
«Nath?» la voce di Evee era dolce.
«Ti accompagno in infermeria vieni»
«Non ti preoccupare non è niente» ma la risolutezza della ragazza non ammise repliche, così il biondo prese le chiavi della sala, la chiuse e si fece guidare verso l’infermeria.
Mentre Nathaniel veniva prontamente medicato dalla giovane infermiera Mary che aveva una cotta platonica per il bel delegato, Evee se ne stava fuori spalle al muro dispiaciuta che la sua sbadataggine avesse colpito qualcuno.
Teneva a Nathaniel era una delle poche persone che si era avvicinato a lei spontaneamente, infatti, quei pochi amici che aveva, a causa della sua timidezza, li doveva a Castiel che glieli aveva presentati e l’aveva integrata nel suo mondo.
Al pensiero del rosso Evee arrossì, ancora non poteva credere che era il suo fidanzato, aveva scelto lei, amava lei e non poteva chiedere di più.
Era lì con la testa fra le nuvole a ridacchiare come una povera scema, quando il suono di alcuni passi rimbombò nel corridoio, distrattamente si girò a vedere chi stava venendo nella sua direzione, ma quando riconobbe la voce, cercò in un tentativo molto impacciato di nascondersi dietro alla fila di armadietti che incorniciavano il passaggio.
Ambra avanzava a passo spedito blaterando qualcosa a mezza voce, Evee sentì un brivido percorrerle la schiena, non ce la faceva proprio ad affrontare di prima mattina la bionda vipera. Quella ragazza l’aveva sempre odiata, inizialmente non si spiegava come potesse odiare una persona che non aveva mai visto, tanto meno conosciuta, ma lei era riuscita a renderle la vita scolastica davvero difficile e tutto perché Ambra sbavava dietro a Castiel.
Per fortuna non la vide e Evee tirò un sospiro di sollievo, poco dopo Nathaniel uscì con una mano bendata.
«Prima che tu possa dire qualsiasi cosa, ti dico che non è niente di grave, solo una piccola botta. Quindi ti prego smetti di fare quella faccia da cucciolo» e rise.
In effetti, Evee aveva proprio la faccia da cucciolo disperato in quel momento, il senso di colpa la colpì allo stomaco appena vide la mano bendata.
Natahniel però non voleva che il sorriso sparisse dal dolce viso della ragazza, voleva farla sorridere, proteggere, non vederla così, quindi senza pensarci le posò una mano sulla testa arruffandole un po’ i capelli.
«Sto bene ti ho detto davvero non ti preoccupare »
Pian piano gli studenti cominciarono a riversarsi nel corridoio, segno che le lezioni stavano per cominciare.
«Ora vai in classe, ci vediamo dopo la scuola per finire in biblioteca »
La ragazza fece un cenno di assenso con il capo e quando si girò vide Castiel che impietrito assisteva alla scena,  ingenuamente, Evee gli corse incontro, ma lui le passò oltre e si diresse verso il giardino. La ragazza era confusa, provò a seguirlo sotto lo sguardo altrettanto confuso di Nathaniel.
«Ehi Cass che hai?» Non rispose.
«Mi stai ignorando?» e gli posò una mano sul braccio che lui sbalzò via con violenza, sotto gli occhi increduli di Nathaniel e dell’appena arrivato Dajan.
Evee sentì gli occhi riempirsi di lacrime e stanca dei silenzi e delle brutte maniere del rosso corse in classe.
Nathaniel si avvicinò al Castiel.
«Perché la tratti così?»
«Non ti intromettere delegato dei miei stivali»
«Normalmente non ti parlerei nemmeno, ma ci tengo a Evee e non mi piace come l’hai trattata» a quelle parole il rosso non ci vide più, si era girato sbattendo agli armadietti il biondo che con lo sguardo di sfida lo fissava fermo sulle sue convinzioni.
Castiel stava ribollendo di rabbia, voleva prendere a pugni quel faccino angelico, odiava Nathaniel, odiava la sua assurda perfezione. Stava per sferrargli un pugno, ma la voce di Dajana lo bloccò, facendolo tornare alla realtà.
«Castie!» Gli urlò andandogli incontro, ma questo, prima lasciò il collo della camicia di Nathaniel e poi sferrò un pugno agli armadietti che si piegarono sotto la sua rabbia.
Gli studenti si erano riuniti a semicerchio intorno a quella scena. La preside, una paffuta vecchietta si fece largo urlando: «spostatevi, fate largo!» Quello che vide non le piacque nemmeno un po’, con sguardo sconcertato si tirò su gli occhialetti, notando l’alluminio degli armadietti.
«Signor Castiel! Ha scambiato la mia scuola per il suo fight club personale?»
Il rosso scosse la testa e se ne andò mirando verso il giardino.
«Signor Castiel! Torni indietro!» La voce della preside si perse alle spalle del rosso che senza pensarci avanzò verso l’uscita. Dajan gli stava alle costole.
«Amico fermati, ma che ti è preso?»
«Lasciami stare Daj. Vattene!» Ringhiò.
«Non me ne vado finché non mi dici che sta succedendo!»
«Non rompermi!» Disse cercando freneticamente una sigaretta nello zaino praticamente vuoto.
«Perché fai sempre così? Perché allontani sempre tutti? E come hai potuto trattare in quella maniera Evee? »
Evee, l’aveva trattata da schifo se ne rendeva conto, ma la rabbia che stava provando lo stava divorando dentro e non capiva perché, non era successo nulla.
«Perché sono pieno di rabbia e tutti quelli che tengo vicini prima o poi ne pagano le conseguenze. E’ così non posso farci nulla, quindi perché non fai un favore ad entrambi e ti togli dai piedi pure te?»
Dajan era stufo dell’autolesionismo emotivo dell’amico, era autodistruttivo e non ce la faceva più, non poteva vedere Evee in quelle condizioni e quella volta non sarebbe stato dalla sua parte.
«Fai come ti pare!» Esasperato se ne andò e tornò verso la scuola.
Castiel era solo. Se l’era andata a cercare, se l’andava sempre a cercare, meritava di rimanere solo. Evee non si meritava una persona come lui al suo fianco, lei meritava di meglio, meritava qualcuno come Nathaniel o come Dajan. Si buttò su di una panchina a fumare la sua unica compagna che presto lo avrebbe lasciato pure lei.
Poi una voce spezzò il suo groviglio di pensieri. Una voce femminile, per un attimo la sua mente gli giocò un brutto scherzo pensava fosse Evee, ma quando alzò lo sguardo ciò che vide fu Ambra, mano sul fianco e un sorriso che non prometteva niente di buono.

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Capitolo 3
*** Scontro al centro commerciale ***


Rosalya camminava nervosa per la stanza.  Era agitata, esasperata. I suoi passi rimbombavano senza sosta nel negozio. I suoi capelli argentei svolazzavano ad ogni sverzata che il suo corpo compieva in quella marcia senza sosta.
«Calmati» cercò di convincerla l’amica, ma lo sguardo severo della ragazza la fulminò all’istante, arricciando le labbra carnose, poi un ghigno le si dipinse sul volto.
«Mi stai facendo paura» le confessò Evee che con il suo carattere introverso trovava difficoltà a rapportarsi con Rose quando le partiva la valvola.
«Lo uccido!» Ringhiò.
«Vedrai che ci sarà una spiegazione più che valida» ma nemmeno quella frase fu accettabile. Stanca e rassegnata Evee si abbandonò sulla sedia blu accanto ad uno scaffale di golf. Quando era tesa, l’unica cosa che la rilassava era leggere, ma con l’amica che si agitava come un predatore per quella piccola stanza proprio non le riusciva prendere in mano il libro che aveva in borsa.
Poi i passi improvvisamente cessarono, la prima cosa, spontanea, che fece Evee, fu guardare verso l’entrata, ma non vide nessuno, quindi tornò a posare i suoi grossi occhi verdi sull’amica che se ne stava impalata con lo sguardo perso.
«Rosa?»
«Scusa, per un attimo mi era passata per la testa la malsana idea che stessi esagerando, ma è passata tranquilla» A quella confessione Evee fece seguire una risatina che cercò di soffocare con la mano destra che premette delicatamente contro la bocca. Rosalya era esagerata in tutto quello che faceva, nei modi, nel parlare  nel suo abbigliamento provocatorio.
Ripensò a quando la conobbe, non fu proprio amore a prima vista, infatti, la incontrò per caso un giorno che era passata da casa di Castiel a vedere come stava. Si era lasciato da poco con Debrah e il vuoto che aveva lasciato in lui era come un buco nero che risucchiava tutto ciò che provava a gravitargli vicino. Quindi Evee da buona amica lo andava a trovare e lo aiutava con le faccende di casa. Il rosso, infatti, abitava da solo, i suoi problemi in famiglia non li conosceva bene nemmeno lei, non aveva mai osato chiedere più di quanto non gli dicesse lui, sapeva che era un campo minato e lei lo rispettava troppo per azzardarsi a percorrerlo senza la sua approvazione.
 
In quel periodo Castiel provò a trovare conforto tra le gambe di varie ragazze. Quante scene assurde aveva visto Evee. Tutte perdevano la testa per lui, nessuna ragazza sapeva resistere al suo fascino, gli si buttavano ai piedi spontaneamente e lui non rifiutava mai la compagnia di nessuna. Le cose venivano messe in chiaro fin dall’inizio da Castiel, nessuna relazione, nessun coinvolgimento emotivo, solo fisicità, ma c’era stata qualcuna che stupidamente aveva visto qualcosa di più in quelle notti calienti. La mora le aveva viste urlare, piangere e scappare con le lacrime agli occhi da quella casa, scenate di ragazze che non accettavano che lui non si legasse a loro. Un giorno andandolo a trovare incontrò una bellissima ragazza dai capelli molto più corti di quella che gli passeggiava freneticamente davanti in quel momento. Era meno donna, ma mai meno bella. Rosalya  era una di quelle bellezze naturali che anche con un sacco di patate addosso riusciva a risplendere. Aveva avuto il suo momento no anche lei, dopo una relazione burrascosa finita male si era rifugiata tra le braccia di un ragazzo di cui non le importava molto, lei al tempo non lo sapeva che quel suo atteggiamento le evitò parecchie sofferenze. Infatti, dopo quell’avventura nacque una bellissima amicizia tra Castiel e Rosalya, o almeno, così la pensava Evee che li vedeva battibeccare tutte le volte che si vedevano.
Insomma anche Rosalya aveva avuto un trascorso con Castiel, e Evee, inizialmente, provò una strana sensazione di gelosia verso la ragazza, che successivamente si innamorò di quello che era attualmente il suo ragazzo, Leigh. Dire che erano perfetti insieme era sminuire la faccenda, Evee li vedeva come una coppia di dei, perfetti e eleganti in tutto quello che facevano. Lui aveva uno strano modo di vestirsi, una moda di altri tempi si poteva definire. Indossava abiti che rimandavano al periodo vittoriano, un periodo che piaceva particolarmente ad Evee e che quindi apprezzava molto.
«Eveleen?» Sentirsi chiamare con il nome intero la distolse dai suoi pensieri.
Rosalya se ne stava davanti a lei con le mani sui fianchi. I suoi occhi gialli erano diventati quasi neri a causa della dilatazione delle iridi.
«Non mi stavi ascoltando vero?» Evee scosse la testa dispiaciuta.
Rosa sbuffò e con un balzo felino si mise a sedere sul bancone, accanto al registratore di cassa.
«Non ti preoccupare, mi dispiace averti coinvolto in questa cosa, ma sono troppo agitata per restare da sola» sembrava quasi una confessione, effettivamente, considerando l’orgoglio della ragazza, non era stato facile ammettere che avesse bisogno di qualcun altro e Evee si sentì lusingata da quelle sue parole, ci teneva davvero tanto a Rosa. L’orgoglio era una delle caratteristiche che aveva in comune con il rosso, per tante cose erano simili, caratteri forti, fieri, un insieme di doti che facevano si che i due si somigliassero così tanto da scontrarsi spesso. Forse era per la loro somiglianza che Evee si trovava bene con Rosa, sapeva come prenderla perché aveva imparato come comportarsi con Castiel.
«Non ti preoccupare Rosa, mi fa piacere farti da spalla» e fece un sorriso tenero, così dolce che Rosa proprio non ce la fece a non correrle incontro e abbracciarla.
«Sei così innocente» la strinse in un abbraccio soffocante. Evee era l’opposto di Rosa era timida, introversa e per niente aggressiva, una qualità,quest’ultima, che la faceva apparire agli occhi dell’amica una gemma rara, quasi da proteggere.
«Stai esagerando» disse sentendosi mancare il respiro.
«Scusa» borbottò Rose consapevole di essersi fatta trasportare un po’ troppo, di nuovo.
«Lo sai che non ti resisto quando mi fai quei sorrisetti così candidi, mi vien voglia di stritolarti, è più forte di me» mentre Evee si tastava il collo per vedere se fosse ancora tutto intatto, sorrise nel notare che l’amica si stava rilassando.
«Forse dovrei prima lasciargli il tempo di spiegarsi»
«Penso che sia una scelta molto matura da parte tua, Rose»
Ma i buoni propositi andarono velocemente nel dimenticatoio quando Rosa vide varcare la soia al suo adorato fidanzato.
«Tu!»
«Io?» Disse confuso Leigh che fece un cenno con la testa a Evee che ricambiò velocemente prima che Rosa cominciasse con la sua diatriba.
«Tesoro» cercò di dire lui, ma la mano tesa in avanti di Rosa lo bloccò all’istante.
«Ti ho visto!» gridò lei.
«Visto a far cosa?»
«Ah ah» disse vittoriosa lei.
«Allora lo ammetti che stavi facendo qualcosa.»
«Faccio molte cose, nel corso della giornata, potresti essere più specifica?» Aveva un tono calmo ed era abituato alle scenate di Rosa. Si amavano, ma così tanto da farsi periodicamente qualche scenata di gelosia, quella era una caratteristica condivisa da entrambi, infatti, anche Leigh spesso ne faceva alla ragazza, solitamente o Evee o Lys, il fratello di Leigh, cercavano di sedare i bollenti spiriti.
«Ti ho visto con Charlotte!»
«Ah, ma dai l’ho incontrata per caso qua al centro commerciale mi ha salutato e ho ricambiato il saluto, niente di più, è stata solo cortesia la mia.» All’ammissione Rosalya non ci vide più sembrava un grosso felino affamato che stava puntando alla gola la sua povera preda.
«Cioè tu incontri la tua ex, che tra l’altro è una vipera assurda, e pensi bene di metterti a ricambiare il suo saluto?»
«Non credi di essere un po’ esagerata? Che dovevo fare? Passare oltre e far finta di nulla ignorandola?»
«Allora vedi che sapevi come evitare questa discussione? Lo sapevi, ma hai preferito salutarla che non litigare con me»
Effettivamente Rosa era esagerata, ma lui che le dava spago in quella discussione lo rendeva un suicida a tutti gli effetti. Evee pensava che fossero ormai al culmine della discussione, che ormai non potevano che calare i toni automaticamente, ma quello che disse Leigh lo fece sembrare agli occhi della mora un povero sprovveduto che non aveva un minimo di rispetto per la sua stessa vita.
«E’ quel periodo?» Chiese lui comprensivo.
«Quale periodo?» Si bloccò lei interdetta cercando di far coincidere quello che stava dicendo con la domanda di lui. Purtroppo Evee non avendo la mente annebbiata quanto quella dell’amica capì all’istante e senza pensarci si alzò spostandosi tanto bastava per non essere nella traiettoria di mira di Rosa, quando avrebbe capito a cosa si riferiva il ragazzo.
«Si» disse lui quasi fiero per aver trovato la soluzione «Sei in quel momento del mese»
«Non l’hai detto» sibilò lei a denti stretti.
«Che ho detto di male?» e guardò Evee confuso. Evee gli fece segno con la mano di chiudere lì il discorso, di scappare addirittura, se era ancora in tempo, ma no, era troppo tardi. Rosalya cominciò a tirargli addosso tutto quello che le capitava tra le mani, cinture, scarpe, grucce, tutto tranne le cose che a quanto pare si potevano definire “morbide e innocue”
La lite andò avanti per un’ora buona finché i due finirono per baciarsi appassionatamente contro il camerino. Evee non sapeva spiegarsi cosa fosse successo, ma alzò le spalle ed uscì lasciandogli la loro intimità, prima di varcare la soglia, però, mise il cartello “chiuso” perché sapeva come finivano le loro riappacificazioni. Cercando di sgranchirsi un po’ le gambe fece due passi. Le vetrine erano bellissime, colorate e ben fatte. Ti veniva voglia di comprare tutto, anche ciò che non ti serviva. Era stanca, ma non aveva furia di rimettersi a sedere, quindi decise di continuare il suo giro superando il bar che aveva adocchiato inizialmente.
Quando arrivò davanti ad una libreria, decise di entrare per dare un’occhiata.
Il signore che gestiva il negozio era anziano, ma si muoveva con estrema agilità tra gli scaffali pieni zeppi di tomi.
«Buona sera signorina» la accolse nel suo mondo.
«Buona sera»
«Posso esserle d’aiuto?»
«per ora no grazie, do un’occhiata in giro»
«Certo faccia pure, mi chiami se ha bisogno»
«Certo, grazie» e cominciò a girare scorgendo titoli e trame. Purtroppo non aveva più soldi quel mese da spendere in libri e non poteva permettersi di comprare altro, ma solo star li con quei suoi amici silenziosi le donava un’estrema pace. Solo un’altra persona le dava una pace simile.
Castiel.
E come se quel pensiero fosse un incantesimo, quando guardò verso l’esterno, oltre la vetrata, vide uno strano ammasso di capelli rossi, inizialmente credette che la sua mente le stesse giocando uno strano scherzo, poi lo vide e anche lui fece altrettanto, si scambiarono uno sguardo d’intesa, un sorriso e una semplice alzata di mano. Eccolo, il suo migliore amico, l’amico di cui era innamorata segretamente.

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Capitolo 4
*** Il delegato parte II- Un cuore in mille pezzi ***


Evee se ne stava rannicchiata sulla sedia con le mani allungate sul banco caldo. Il suo posto era proprio nella traiettoria di un raggio di sole che pestifero filtrava dalla finestra un po' polverosa.

Osservava quei piccoli puntini ondeggiare nel fascio di luce, sembrava danzassero, poi il flash di quello che era successo poco prima in corridoio le pervase la mente stanca. Ancora non ci credeva che Castiel l'avesse tratta in quella maniera. La rabbia racchiusa in quel gesto, i suoi occhi grigi che le rompevano il cuore in mille pezzi.

Non pensava che si potesse star così male. Il pensiero le attanagliò la bocca dello stomaco. Possibile che le sue paure si stessero avverando così velocemente? Possibile che essersi fatta trasportare da quei sentimenti avesse incrinato il rapporto che avevano?

Non aveva una risposta, solo il confronto con Castiel avrebbe potuto donarle un po' di pace mentale.

Le lezioni si susseguirono ad un ritmo così regolare che la ragazza non potè che essere assalita da mille pensieri. Uno di quelli riguardava la posizione attuale del rosso. Varie volte lo sguardo di Evee era gravitato, ai cambi dell'ora, dentro l'aula di Castiel, si perché lui era un anno più grande di lei. Ogni volta vedeva quel banco in fondo all'aula vuoto e la sua reazione era sempre la stessa, testa bassa e sguardo deluso. Quei suoi continui sguardi però non erano sfuggiti a Natahaniel che fiducioso tutte le volte sperava di incrociare lo sguardo della ragazza, ma lei si arrendeva tutte le volte che non vedeva l'oggetto del suo desiderio e continuava la sua avanzata nei corridoi affollati del liceo.

Stava male per lei, non accettava di non vedere quel suo sorriso. Aveva mille motivi per odiare Castiel, ma nemmeno uno era valido quanto quello che gli balenava in testa da quella mattina. Come aveva potuto trattarla così si domandava. Lui di certo non l'avrebbe mai fatto, nemmeno nel suo momento più buio, no perché lui l'avrebbe saputa rispettare, Nathaniel era sempre più convinto di essere lui, quello giusto per lei.

Evee ripensò all'ultima volta che da amici avevano litigato, ma non gli veniva in mente nulla, di solito erano discussioni stupide che sfociavano sempre in una risata fragorosa, o perché il rosso la prendeva in giro per la musica che ascoltava, o perché non condivideva la sua passione per i film romantici, cavolate, che però in quel momento la ferivano, ma rispetto a come si sentiva in quel momento, quelle piccole discussioni le mancavano.

A parte Debrah, Castiel, aveva sempre trattato con poco riguardo le ragazze, tutte tranne lei e la sua ex ragazza che Evee si era sforzata di accettare e sopportare per il bene dell'amico, quella spocchiosa era un aggroviglio di menzogne e cattiverie che aveva portato Castiel all'isolamento, alla continua ricerca di discussioni con gli amici, perché anche se lui non lo ammetteva, lei lo sobbarcava di rabbia che inevitabilmente lui doveva scaricare. Lo trattava malissimo e da lei aveva imparato questa raffinata tattica di tortura che poi usò con tutte le povere vittime di sesso femminile che gli gravitarono attorno dopo la rottura.

Tutte tranne lei. E come da copione ora anche lei era finita sulla lista, era stata trattata a pesci in faccia come le altre, come se non fosse diversa da tutte quelle che erano state solo di passaggio. Sentirsi così, una delle tante la fece sentire piccola, minuscola, insignificante. Come poteva aver pensato anche solo per un secondo che con lei potesse essere diverso? Era una stupida ingenua.

E a questo mondo l'ingenuità non ripaga mai, l'aveva capito bene.

Le lezioni finirono e la campanella fece l'ultimo rintocco.

Evee cercò con lo sguardo Castiel, ma non avvistò nessuna chioma rossastra aggirarsi per la scuola.

«Pronta?» Le domandò Nathaniel che era sbucato con la testa dalla sala delegati.

Evee non si accorse di lui subito, ma quando lo vide riuscì solo a borbottare un si molto incerto.

Camminavano per il corridoio semi vuoto, Evee non poté che notare lo sguardo delle ragazzine del primo anno che si struggevano d'amore per il bel biondino. Ancora non si capacitava che Nathaniel non fosse impegnato con nessuna, era bello, affascinante, galante ed educato, la lista delle sue qualità era infinita, eppure lui era come se si conservasse per una particolare ragazza. Bè alla fine lui era la rincarnazione del principe azzurro perché non attendere l'arrivo della principessa?

La mora lo stava fissando mentre il suo monologo interiore stava ancora avendo luogo nella sua bacata testolina.

«Ho qualcosa in faccia?» Domandò lui incuriosito.

Evee scosse la testa stringendo più forte il libro al petto.

A Nathaniel si dipinse in volto una smorfia preoccupata.

«Stai bene?»

«Sto benissimo» mentì spudoratamente, sperando che non se ne accorgesse, ma il delegato ormai la conosceva abbastanza bene da distinguere un sorriso falso da uno sincero. Di sicuro non avevano la stessa intensità o lo stesso candore.

«Farò finta di crederti solo perché rispetto i tuoi spazi» Era una frase abbastanza forte per essere uscita dalla bocca del biondo pensò Evee, ma d'altro canto non aveva voglia di parlare di ciò che era successo prima, almeno così credeva.

«Mi dispiace» sbiascicò a disagio lei.

«Perché ti scusi?» erano arrivati davanti alla porta della biblioteca, ma il biondo non si mosse, non cercò nemmeno di aprire la porta.

«Per quello che è successo stamani. Mi dispiace che Castiel ti sia saltato al collo»

«Non ti devi scusare, tanto meno farlo per lui. Prima o poi dovrà prendersi qualche responsabilità anche è inutile che ti faccia sempre avanti te, non sei il suo scudo, ne tanto meno lo dovresti fare.»

C'era una vena di predica in quel discorso, ma alla fine Evee era d'accordo con lui, non poteva sempre fare da porta pace per il rosso.

«Lo so, ma è più forte di me. So che è buono, solo non lo sa dimostrare, figuriamoci scusarsi, ha troppo orgoglio» fece una pausa. «Ma è buono e non voglio che le persone fraintendano »

«Fraintendere cosa Evee? E' dura fraintendere i suoi gesti, sono sempre insulti o peggio...»

Cercò di calmarsi, la ragazza lo stava guardando con le lacrime agli occhi, non voleva questo, non voleva essere come Castiel che si faceva governare dagli impulsi e finiva sempre per ferirla.

«Evee?» Allungò una mano verso la ragazza che goffamente cercava di asciugarsi qualche goccia scappatagli dagli occhi arrossati.

Nathaniel si fece coraggio e l'abbracciò, Evee era sconvolta, il calore di quell'abbraccio la inondò, le lacrime aumentarono i singhiozzi non accennarono a diminuire.

«Perché mi tratta così?» Chiese lei supplicante come se lui avesse le risposte.

«Non lo so, so soltanto che io non lo farei mai» L'aveva detto, stava cercando di farle capire quanto fosse importante per lui.

La mora esterrefatta si staccò da quell'abbraccio ridacchiando come una scema.

«Come sei gentile Nathaniel, tu cerchi sempre di consolarmi»

Ma Nathaniel non la stava "consolando" si stava dichiarando, ma lasciò perdere di certo approfittare del momento non gli avrebbe fatto onore, non voleva cavalcare quel tipo di opportunità.

«Ti accompagno a cercarlo. Su andiamo!» Era stupito anche lui di quella proposta, ma sapeva che se Evee non l'avesse affrontato sarebbe stato inutile stare chiusi in quel loro luogo magico.

«Ma i libri?»

«Saranno lì anche domani mattina non ti preoccupare»

Le porse un fazzoletto con cui la ragazza si asciugò le lacrime, la scintilla della speranza le illumino gli occhi verdi.

Vagarono per un po' per il parco della scuola, ma niente, un altro posto che venne in mente ad Evee fu proprio il parco a metà strada tra la scuola e casa del rosso.

Quando arrivarono ciò che le si parò davanti le spezzò il cuore una volta per tutte, Castiel era avvinghiato in un abbraccio intimo con Ambra.

Sentì le gambe tremare e poi cedere al peso della sconfitta, i suoi sentimenti non erano stati abbastanza forti da far redimere Castiel. Non gli erano arrivati al cuore come lei sperava. Era a tutti gli effetti una delle tante, ma sta volta lui, non aveva fatto nemmeno lo sforzo di dirglielo in faccia, si era andato a rifugiare tra le braccia della persona che più la maltrattava e lui lo sapeva bene, fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Nathaniel la sorresse cercando di non farla cadere a terra e gli si strinse il cuore per quella scena e si sentì in colpa che la ragazza in questione fosse proprio sua sorella.

«Evee...»

«Ti prego Nath, portami a casa, sono stanca, non ce la faccio più a sorreggere il peso di questo amore non corrisposto»

Senza replicare Nathaniel la portò via, senza sapere che in quel momento Castiel si girò vedendoli andar via.

Si accorse solo in quel momento di cosa avesse potuto pensare Evee, ma non sapeva che fare, non poteva correrle dietro, sapeva che se avesse continuato a star con lei l'avrebbe fatta soffrire e quella era una cosa che non si sarebbe mai potuto perdonare. Forse la scelta migliore era lasciare che si innamorasse di Nathaniel e si scordasse di lui...per sempre.

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Capitolo 5
*** Da vittima a carnefice il passo è breve ***


Nathaniel rientrò in casa sbattendo la porta con forza, i presenti si voltarono sorpresi sussultando. La signora Hopkins che stava bevendo il tè per poco non fece cadere la preziosa porcellana cinese a terra, mentre il signor Hopkins, che stava leggendo la pagina della borsa sul suo quotidiano preferito, per poco non perse qualche foglio. Il ragazzo corse su per le scale seguito dagli sguardi inquisitori dei suoi genitori; il suo passo era pesante ma deciso. La sua presenza riecheggiò nei saloni di villa Hopkins, tanto che, Carmen, la donna delle pulizie che era al servizio della sua famiglia da tempo immemore, vedendo Nathaniel così agitato precipitarsi sulle scale, si attaccò allo scorri mano impaurita. Il ragazzo se ne stava lì sul ciglio della porta di camera di sua sorella, le mani strette a pugno che ricadevano lungo i fianchi, il petto che si alzava e si abbassa freneticamente al ritmo di un respiro affannoso. Bussò senza sosta, ma non arrivò nessuna risposta dalla stanza. Stanco di seguire il catalogo delle buone maniere irruppe all’interno per scoprirla vuota.
«Dov’è Ambra?» urlò a chiunque lo stesse ascoltando.
«Non è ancora rientrata caro, ma è successo qualcosa?» chiese Carmen che lo aveva raggiunto preoccupata.
«Niente» rispose secco lui per poi risparire attraverso la porta della sua camera, che distava pochi passi da quella della sorella, lasciando la paffuta signora interdetta. I coniugi Hopkins che avevano udito dal salone il figlio rimasero a guardarsi incuriositi dal motivo di tanta agitazione. Gustave strinse forte il giornale arrabbiato con il suo primogenito che aveva sempre reputato indegno di essere il suo successore, era sul punto di andar da lui e dargli una lezione come spesso aveva fatto in passato, ma la mano dolce di sua moglie si posò sul suo braccio seguita dal suo sguardo preoccupato che lo fece desistere da quella brutta vecchia abitudine.
Nathaniel camminava frenetico per la camera, da quando sua sorella era diventata così meschina ed egoista? Da quando quella dolce bambina dai capelli dorati che piangeva spesso si era trasformata nella statua di pietra che vedeva aggirarsi nei corridoi della scuola pronta a umiliare qualche povera vittima? Forse era colpa sua. Restava il fatto che sua sorella si era trasformata da vittima a carnefice.
Si buttò sul letto stanco e afflitto, le mani sulla faccia cercando di togliersi dalla mente Evee. Aveva il viso rigato di lacrime e lui non poteva asciugargliele, non poteva fermare quella sofferenza perché lui non era Castiel, non era la persona che Evee voleva al suo fianco e la cosa lo frustrava, lo faceva impazzire. 
Perché lui? Perché vinceva sempre? Cosa aveva in più di lui? Non sapeva come rispondere, forse se ci fosse riuscito avrebbe trovato la chiave del cuore della fanciulla per cui aveva perso la testa qualche anno prima, quando già ad anno scolastico iniziato varcò la soglia del Dolce Amoris inciampando. Era stato lui che l’aveva ripresa a pochi attimi dal tonfo, aveva lasciato cadere a terra i preziosi fogli che la preside gli aveva affidato come suo primo incarico da delegato per recuperare quella goffa ragazza, ma non ci fu giorno in cui si pentì di quella scelta, forse la migliore della sua vita, perché gli aveva fatto fare la conoscenza della ragazza più dolce che avesse mai conosciuto. Gli era stato insegnato a non desiderare nulla che non riguardasse il dovere, la scalata al successo, ma quella ragazzina gli era entrata sotto la pelle, scaldando un cuore che si era indurito nel tempo, che aveva lasciato un sorriso cordiale all’esterno e un’enorme solitudine all’interno. Lei con quei suoi atteggiamenti goffi e quel sorriso da far perdere la testa anche al più controllato degli uomini lo aveva rapito e nonostante i suoi sforzi di starle lontano, si ritrovava sempre al suo fianco.
Nathaniel cominciò a ridere da sotto le mani, era una risata tetra.
«Sei uno stupido Nathaniel» e la risata si intensificò.
«Proprio uno stupido» Alle ragazze non interessa il principe azzurro, vogliono il pirata, quello che le faccia vivere in un'avventura continua non un guscio vuoto che sopprime le proprie emozioni. «non uno come te» e rise ancora. Sapeva bene di piacere per il suo bel faccino a molte delle ragazze della scuola, ma nessuna lo aveva conosciuto abbastanza, nessuno aveva conosciuto i suoi demoni da voler star con lui per quel che era realmente. Tutte tranne lei.
Carmen che voleva davvero un bene sincero ai figli degli Hopkins, vedendo Nathaniel così strano tese l’orecchio verso la porta della sua camera sentendolo ridere, quella risata le fece stringere il cuore, era la stessa che aveva udito in passato quando il bambino veniva rifiutato da suo padre e spesso picchiato per colpe di cui un bambino non poteva essere portatore.

 

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Capitolo 6
*** Rinascere dalle proprie ceneri ***


Erano quasi due ore che si allenava; sentiva i muscoli tendersi, contrarsi ad ogni flessione, ogni movimento che il suo cervello dettava al suo corpo. Il sudore scivolava leggero sul petto muscoloso facendo brillare la pelle sotto le luci artificiali della sala pesi. Kentin aveva fatto una promessa a se stesso: "mai più sarebbe stato debole" e così era stato. Si era allenato giorno e notte con la speranza di diventare più forte, una persona di cui aver rispetto e non una vittima da schernire. Si guardò allo specchio fiero del riflesso che gli apparve, si asciugò con un piccolo asciugamano bianco la fronte imperlata di sudore. Mentre si avviava alle docce la sua mente venne catturata da un ragazzo poco più giovane di lui. Aveva capelli arancioni arruffati e il viso paonazzo per lo sforzo.  I movimenti erano impacciati e a tratti errati. Sicuramente quel lavoro non avrebbe fruttato i risultati sperati. Il corpo umano esige un allenamento adeguato, progressivo, è un investimento a lungo termine, ma quel ragazzo voleva tutto e subito. Fu una frazione di secondo e si ritrovò schiacciato tra la panca e il bilancere. Kentin corse e gli fu subito dietro liberandolo da quella trappola. Lo guardò mentre seduto tossiva cercando di riorendere aria, le mani strette alla gola dove l'acciaio aveva premuto senza pietà tutto il suo peso.
"Tutto bene?"
Nessuna risposta.
"Ehi dico a te" cercò di mettergli una mano sulla spalla, ma il ragazzo si scansò fulminandolo con lo sguardo più truce che aveva nel suo repertorio.
"Nessuno ti ha chiesto un aiuto"
Sapeva come si sentiva, si era sentito anche lui così, impotente, schiacciato dalla vita. Era come se ogni cosa gli ricordasse che non era nessuno, che era e sarebbe rimasto una vittima.
"Ci credo non avresti potuto nemmeno volendo... Non voglio un ringraziamento, solo sapere come stai"
Gli occhi nocciola si addolcirono, l'adrenalina calò e sembrò assumere nuovamente un'aria umana.
"Mi dispiace...Sto bene, grazie."
"Menomale. Io sono Kentin" tese la mano sorridendo. Vedeva molto di sè in quel ragazzo minuto.
"Paul" rispose ricambiando il gesto.
"Paul, sicuro che questo sia l'allenamento giusto per te?"
"Deve esserlo" sospirò.
Kentin ci pensò su.
"E se ti aiutassi?"
Paul lo guardò con aria diffidente.
"E perché vorresti aiutarmi?"
"Diciamo che mi ricordi qualcuno che conoscevo tanto tempo fa"

Kentin si avviò alle docce felice che Paul avesse accettato il suo aiuto. Durante il fine settimana si sarebbero chiusi in palestra per lavorare sulle basi dell'allenamento. Mentre l'acqua calda rilassava il suo corpo teso dall'allenamento, i pensieri affollarono la sua mente.

Da lì a qualche giorno sarebbe tornato nel suo vecchio liceo il Dolce Amoris, l'inferno rosa su questa terra, il suo inferno personale, in cui i diavoli danzavano senza pietà sulla carcassa del suo ego ormai in mille pezzi.

Era andato lì per seguire la sua amica Evee che a sua volta si era trasferita per il suo grande amore Castiel. Kentin sapeva di quei sentimenti, li aveva riconosciuti subito, anche quando Evee cercava di negarli a se stessa; lui lo aveva accettato, aveva accantonato il suo amore d'infanzia e l'aveva seguita per proteggerla da quel mondo nuovo, ma quello che in realtà necessitava di protezione non era lei, era lui. Una diavola bionda lo aveva preso di mira, rubandogli la merenda, i suoi biscotti casalinghi, e il suo orgoglio, prendendolo in giro, annientando il suo essere e il suo sorriso, lo aveva reso un pupazzo tra le sue mani, il giocattolo brutto da torturare, ma era arrivato il momento di dire basta alle angherie della bionda.

Era una persona totalmente diversa, aveva tolto gli spessi occhiali che nascondevano il verde smeraldo dei suoi occhi, il suo fisico, grazie alla pubertà, era slanciato, aveva acquisito svariati centimetri, per non parlare del suo abbigliamento che aveva subito una rivoluzione, ora vestiva con canottiere che mettevano in risalto il suo fisico, e pantaloni da uomo e non più da bambino. I capelli erano un ammasso di fili castani spettinati e non più quel taglio di capelli a ciotola che sua mamma lo costringeva a fare. In tutto ciò il suo punto di riferimento fu il generale Kadar, suo padre, che lavorava nell'esercito e che dopo l'ultimo sfogo del figliolo lo aveva fatto trasferire nel suo campo di addestramento per istruirlo ad essere un uomo. Il sogno di ogni padre, vedere il proprio figlio diventare adulto, ecco come il generale vedeva Kentin, l'aveva sempre visto con occhi orgogliosi anche quando era piccolo e indifeso, ma quando lo vide impegnarsi per l'obiettivo, lottare e non mollare nonostante fosse dura, bè aveva detto al suo secondo in comando: «quello è mio figlio» lo aveva detto dal profondo del cuore, forse una delle poche volte che si era lasciato andare ai sentimentalismi perché lui, per tutti, era il generale di ferro, l'uomo senza emozioni, ma per Kentin era suo padre, e lui non poteva che esserne profondamente orgoglioso.

Uscì dalla doccia sorprendentemente tranquillo, la fiamma della rivalsa ardeva nei suoi occhi. Aveva dimostrato in quei mesi a se stesso di essere forte e non fisicamente, ma dentro, aveva tanto da dimostrare e non vedeva l'ora di iniziare quella nuova sfida che non lo spaventava più. Avrebbe dimostrato ad Ambra e alle sue amiche che lui non era il loro giocattolo.

L'unica cosa che lo spaventava un po' era Evee l'aveva lasciata senza darle spiegazioni, con due righe scritte nero su bianco che non aveva avuto nemmeno il coraggio di consegnarle personalmente, aveva lasciato il compito a sua mamma. Aveva rifiutato le sue chiamate, i suoi messaggi, le sue e-mail, tutto, perché aveva bisogno di staccare da quella vita, liberare la mente, ma l'amica avrebbe capito il suo punto di vista o si sarebbe soffermata, giustamente, solo sull'abbandono ingiustificato? Sapeva solo che si sarebbe dovuto far perdonare, lei era l'unica che gli era rimasta sempre vicina, l'unica che aveva preso le sue parti diventando a sua volta un bersaglio facile per le tre arpie, ma lei sopravviveva mentre lui soccombeva. Sapeva che Evee era forte e che al suo fianco aveva chi la proteggeva, Castiel, e nell'ombra anche Nathaniel, ma lui, lui era solo e doveva diventare forte per difendersi e chissà, forse, un giorno, avrebbe difeso qualcuno d'importante e indifeso, come un tempo era stato lui.

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