L'elezione del migliore amico

di guastafesta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gli emarginati serbano rancore ***
Capitolo 2: *** Come Dante ***



Capitolo 1
*** Gli emarginati serbano rancore ***


Il suo sederone ampio e molliccio fuoriusciva dai bordi della seggiola da ufficio sul quale era seduto. Il suo lardo quasi penzolava al di fuori del perimetro del cuscino, consumato dallo sfregare delle sue chiappone nel giro degli anni. L’enorme massa cellulitica strizzata da un paio di pantaloni simil leggins occupava quasi tutto lo spazio sottostante la scrivania in legno. Le due taglie in meno si facevano sentire soprattutto in vita dove l’adipe formava una sorta di marsupio su tutti i lati, una sorta di salvagente. La maglia degli Iron Maiden rubata dal fratello minore copriva, ma non troppo, tutta la parte superiore del corpo. Le sue tette, probabilmente una coppa B, deformavano la scritta stampata sul petto della t-shirt rendendo difficile la lettura del nome della band. Giusto un fazzoletto di tessuto sarebbe bastato a coprire la zona fondo schiena in cui si poteva così scorgere una voragine pelosa che andava a tuffarsi dritta dritta in quei suoi discutibili pantaloni. Ai piedi indossava dei calzini dei barbapapà e le babbucce a forma di castoro in cui erano infilate erano la ciliegina sulla torta. Una lampada nel buio di quella sera d’inverno illuminava il suo viso cicciotto. I baffetti appena accennati come un adolescente che non ha mai preso in mano un rasoio e le occhiaie da giocatore assiduo di videogiochi davano un aspetto poco affascinante a quel suo faccione. L’espressione goduriosa e quasi sadica nei suoi occhi era molto inquietante vista anche l’illuminazione parziale che risaltava le sue rughe.
Osvaldo Farozzi. Per gli amici, Osva, Ovaie, Rozzone, Aldo, Favaldo, Aldo lercio, Ciccio fantozzi, Saldo, Oslo, Codardo, Spavaldo. Che amici!
Ma quali amici? Lui non li voleva gli amici.
“Lara, sei una puttana! Guarda questa sei tu. Questa è la tua faccia… la tua faccia da gallina, sì! E questi i tuoi capelli… Oh guarda quanto sei sciatta Lara, hai anche i ragni che ti corrono in testa! Fai proprio cagare! E queste sono le tue tettone, astronomiche, guardale, ti sommergono, ti risucchiano..” Quell’espressione ancora fissa sul volto e la matita impugnata nella mano. Faceva delle spirali sul suo quadernino attorno al disegno della sua compagna di classe Lara. Sia chiaro, non era un vero e proprio disegno, era una bozza più che altro, date le scarse capacità artistiche. Nella sua testa quelle spirali rappresentavano il seno della compagna e lui tracciava spirali calcando sempre di più la mano quasi a perforare il foglio, copriva tutto il disegno precedente con uno scarabocchio
“Guarda che sciocca, le tue tette ti hanno divorata tesoro” urlava
“Oh mio dio sono stata così stupida, forse avrei dovuto fartele toccare, così magari avrei evitato la sua ira o glorioso signore” seguitava a urlare scimmiottando la voce di Lara e poi rispondeva con tono saccente
“Ti prego sgualdrina, non c’è più tempo per le scuse e poi quando ti rivolgi a me” faceva una pausa
“Devi darmi del voi” Urlava a un centimetro dal foglio e poi strappava la pagina.
“Ciao Marco, come stai? Ti vedo un po’ ingrassato, guarda, hai il lardo che ti esce anche dal culo! Ora non fai più lo spiritoso eh, brutto secco? Ti dai le arie perché sei secco, sei secco qui sei secco là… Il pisello ce l’hai secco, altrochè! Ora disegno i tuoi capelli.” Faceva una pausa
“Ecco qua! Una bella porcheria, come piacciono a te! Sentiamo, ti va di assaggiare il fuoco?”
“No, il fuoco no mio signore, altrimenti il piercing che ho sul capezzolo mi si arroventa”
“Devi rivolgerti a me col titolo di eminenza, quante volte te lo devo dire?”
Faceva tutto da solo. Domande e risposte, vocine e vocioni.
E il fratellino molte volte ascoltava  avvilito dall’altra parte del muro. E il padre se ne fregava, un figlio cretino gli andava bene purchè ce ne fosse un altro sano. E la madre invece andava su di giri quando lo sentiva in preda alle sue fantasie. Non lo poteva sopportare! Ma come? Un figlio cresciuto a pane e tv si permetteva di fantasticare? Lei gli aveva comprato tutti i videogiochi possibili e immaginabili pur di farlo sfogare e invece questi avevano alimentato ancor di più la sua alienazione? Lei era stanca di rapportarsi a lui in modo normale, come un figlio normale. Prima non aveva avuto tempo, ora che lo aveva perduto, non voleva più andarselo a riprendere. Così lo allontanava. Tanto Gerardo era sempre lì, a dimostrare che qualche ovulo buono lo aveva avuto anche lei. Sì, Osvaldo e Gerardo erano dei nomi atroci, ma quando un’ Annabetta e un Ernesto si incontrano qualsiasi nome risulta meno ridicolo.
“Ma che cazzo urli? Dammi quel computer che te lo faccio volare dalla finestra”. Urlava la mamma quasi sfondando la porta.
“Non sto giocando al computer ma’!”
“Non mi interessa, dammelo qua che te lo spacco lo stesso” E così tuffandosi sul pc del figlio causava il panico. Osvaldo staccando il computer dalla presa lasciava la batteria attaccata nella foga del momento, strascicandosi il cavo per tutta la fuga, lanciando urletti acuti dalla paura.
“Con le tue urla mi hai fatto perdere il finale di Titanic!” lo sgridava lei. Lui arrampicandosi come un ippopotamo sul letto a castello degli ospiti portava su per le scale il pc in bilico sulla testa, come una donna africana
“Lo abbiamo visto centomila volte quel film, alla fine lui muore e lei fa la troia sulla zattera” rispondeva lui urlando
“Ti insegno io a rovinarmi il finale di Titanic!”  avventandosi sul cavo che era rimasto a penzoloni giocava al tiro alla fune col figlio
“Non è possibile che in questa casa non si possa mai stare tranquilli” diceva lei strattonando il cavo
"Io sono tranquillissimo, sei tu quella agitata” rispondeva. Strattone.
“Per forza, sei tu che mi fai agitare”. Strattone.
Tira che ti ritira, il cavo finiva squarciato a metà.
Quest’orsa lasciava Osvaldo in uno stato di perenne vigilanza, poiché al minimo sgarro l’animale, come nell’ultimo caso, poteva accanirsi sulle cose a lui più care, minacciare, rompere, punire, e compagnia bella.
“Guarda cosa hai fatto ora lo ripaghi” Diceva Annabetta fiondandosi sulla scaletta con la sua mole altrettanto corposa. Sgambettando per raggiungere Osvaldo allungava le sue manacce sul letto in cui lui si rifugiava
“Oh mamma! Ma te ne vai” faceva lui scalciandola giù.
“Non ti permettere mai più di toccare tua madre eh!”.  Diceva lei fermandosi e mettendo un dito davanti al suo sguardo truce.
“Io ti spacco la faccia hai capito?”. Mettendosi a saltellare ai piedi del letto, ogni volta che con un balzo arrivava all’altezza giusta mollava uno schiaffo e lo prendeva dove lo prendeva, sulle cosce, sulla faccia, sul braccio. Una volta soddisfatta se ne usciva come un uragano e la tempesta si concludeva d’improvviso come era iniziata.
“Osvà”. Diceva il padre bussando alla porta.
“Cosa volete adesso tutti quanti?” Gridava lui singhiozzando in lacrime. Senza alcun permesso la porta si apriva
“Osvà esci un po’ da casa! Fatteli degli amici, c’hai il culo che fa la muffa mamma mia! Te ne stai sempre chiuso qua a fare le tue minchiate”
“Non faccio le minchiate” Rispondeva
“Sì che le fai. A volte ti sento che parli da solo, poi vengo di là e tu sei lì a corteggiare lo scopettone del water”. Faceva il dodicenne interrompendoli come al solito dal corridoio.
“Queste sono cose private! Io lo ammazzo a quello stronzo! Che cazzo vuoi tu? Eh?”. In questi casi quel bisonte di Osvaldo non era facile da fermare perché si fiondava sul fratellino sbracciando e menando all’aria le gambe. Un trambusto assurdo si era sollevato da un’inezia. Come al solito.
Era tutto così intenso, le sua vita sulla terra era intensa e quella nella sua testa pure. Viveva un sacco di vite e di avventure. Non è che le viveva. Lui le visitava. La sua vita vera: in quella doveva essere presente per 24 ore. Le altre vite? Anche quelle scorrevano, autonomamente. Quando voleva però si affacciava e ne viveva un pezzettino. Ovviamente guarda caso, viveva sempre il momento migliore. Forse perché in quella reale erano solo momenti peggiori e lui voleva bilanciarli.
Dopo averle prese di santa ragione un po’ da tutti piangeva sul suo letto.
“Amici!.... Io ce ne ho un sacco di amici porca troia” Si diceva così e quel ‘porca troia’ gli gorgogliava in bocca a causa della sua erre moscia
“Schifosi bastardi ladri di merda” Anche questo, tutto con la sua erre moscia. L’aveva solo pensato ma anche i suoi pensieri avevano la erre moscia.
“Sempre pronti a criticare, a giudicare… Ora vi giudico io maledetti idioti.”
Era convinto a fargliela pagare e a portare giustizia a quella parte di lui che era celata dietro il suo goffo aspetto oscuro. Una specie di batman ciccione che ha sempre combattuto per l’umanità ma che inciampa nel mantellino e non ne combina una giusta. Quel batman coi baffetti ora si faceva valere.
“La maestosa classifica: elezione del mio migliore amico”
Era il titolo che aveva appena assegnato all’ultima pagina del quadernetto
In classe erano in 16, meno lui 15. All’inizio erano 24 ma poi alcuni non ce l’hanno fatta a superare lo scoglio della terza superiore e così si era ritrovato in quarta con ancora meno aspiranti amici. Questi erano i 15 papabili all’ascesa al trono. Le uniche 15 persone che erano costrette ad avere un contatto vitale con Osvaldo erano proprio queste. Tutti in classe lo mal sopportavano ma questo era un grande passo avanti rispetto al comune evitamento generale. Costretti a condividere con lui cinque ore al giorno per sei giorni a settimana per nove mesi l’anno questi non potevano che essere gli unici candidati.
“Gioite miei cari perché siete i prescelti” Diceva così mentre stilava l’ordine alfabetico dei partecipanti al grande evento nella pagina a fianco

Stefania Arzilla
Emanuele Beccacci
Riccardo Bonacci
Carmela Cantarelli
Marzia Cecchi
Lara Cesarini
Ginevra Fabbri
Pasquale Geronzio
Patrizio Leoni
Jasmine Mehda
Marco Nespolo
Giulio Palumbro
Elia Quartetti
Bianca Silvani
Paolo Udda

E nella pagina finale, subito sotto il titolo, le relative posizioni, ancora vuote in ordine decrescente

1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15

“Alla fine di ogni giornata assegnerò voi un punteggio in base a come mi avete trattato miei cari. Gli indicatori di valutazione saranno i seguenti: simpatia generale, che rapporto avete avuto con me, intelligenza, come vi comportate con i vostri compagni, loquacità nei discorsi, abilità nel ballo e molti altri che ora non mi vengono in mente.. Perché.. Adesso è tardi e io sono stanco, e ho mille cose per la testa e… Oh ma non devo dare mica tutte queste spiegazioni a voi. Soffrite, soffrite! Ahaha! E alla fine ognuno di voi per me sarà nient’altro che un numero! E il primo sarà l’unico degno della mia amicizia, sarà il mio vero, unico migliore amico!... Che il gioco abbia inizio stronzetti! Muahahaa”
“Osvaldo se non la smetti di gridare durante la notte… Giuro su cristo che ti ammazzo” Annabetta entrava come una furia e Osvaldo smetteva di ridere (era fortunato se gli rimanevano ancora i denti) e si riposava preparandosi al primo dei maestosi quindici giorni che lo aspettavano.

 

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Capitolo 2
*** Come Dante ***


Iniziano i fuochi d’artificio. Delle fontane luminose sparano scintille che illuminano a giorno lo stadio, giochi pirotecnici e spirali infuocate lasciano senza fiato gli spettatori. Un immenso corpo di ballo entra saltellando, parte la canzone “Eye Of The Tiger” e il pubblico va in visibilio. I ballerini si muovono energicamente a ritmo tra piroette e prese in aria, lanci di persone, gambe all’aria, prese, e chi più ne ha più ne metta. La coreografia elaboratissima si svolge sopra e al di sotto del palco luminescente installato al centro dello stadio, sovrastato da un grossa struttura conica al cui apice risiede un trono dorato fortemente simbolico. Quattro scalinate curvilinee imponenti poste ai lati della piattaforma permettono ai danzatori di destreggiarsi attraverso un più ampio spazio e a diverse altezze. I costumi svolazzanti sui toni del blu si armonizzano al viola dell’immensa struttura. Le paillettes e fili argentati dei costumi riflettono la luce dei potentissimi fari, luci azzurrine, flash e laser a intermittenza si intervallano fra loro, giochi di specchi, lingue di fuoco, acrobazie mortali. Il pubblico urla.
“Benvenuti alla prima puntata de ‘La Maestosa Classifica: l’elezione del migliore amico’ il più grande show di tutti i tempi, descritto come l’evento mondiale per eccellenza, più sconvolgente della seconda guerra mondiale, più innovativo della scoperta del fuoco, più emozionante della resurrezione di Cristo.”.
La voce fuori campo uscita dagli altoparlanti interrompe momentaneamente il brusio del pubblico che esplode nuovamente dopo ogni pausa tra una frase e l’altra a causa dell’alto eccitamento
“Qui oggi abbiamo con noi i 15 partecipanti, per la prima volta visibili al grande pubblico, facciamo entrare i concorrenti!” quindici teche a forma di prismi a base esagonale fuoriescono dal pavimento svettando come colonne al cielo, al loro interno i compagni di classe di Osvaldo, ognuno nel suo ristrettissimo e vertiginosamente alto spazio vitale. Alcuni battono i pugni contro il vetro, altri mandano baci e prendono applausi, altri ancora stanno seduti accovacciati, altri cercano di coprirsi il volto. La folla acclama i veri protagonisti del programma, quelli che sapranno conquistarli con storie avvincenti, quelli che sapranno farli sognare.
“ Solo uno di loro potrà salire la scalinata che conduce al trono dorato, il quale permette di entrare in un rapporto di amicizia eterno con lui, colui che tutti stavate aspettando, il conduttore della serata, il giudice supremo, il grandioso e inimitabile, Osvaldo Farozzi!”
Delle ballerine in minigonna si dispongono in semicerchio nella parte anteriore del palco e sparano coriandoli dai loro reggiseni, un grande bagliore acceca i presenti, un intero stormo di colombe viene liberato e dall’alto, leggiadro, arriva Osvaldo col suo deltaplano variopinto e atterra preciso al centro del palco. Applausi e grida di gioia. C’è chi si strappa i capelli, chi si piscia nei pantaloni, chi piange dalla contentezza. “Benvenuti a tutti! Salve” Esordisce lui, bello, pulito, carismatico, nel suo abito da gran galà con cravatta di seta e capelli leccati. “Buonasera. Oggi nella prima puntata serale decideremo chi, durante la prova giornaliera svoltasi questa mattina, ha meritato l’ultimo posto e quindi mi merita meno di tutti gli altri come amico. Andiamo ad analizzare i punteggi ottenuti durante questa giornata. Beh ad occhio  e croce direi che non ci sono dubbi. Il primo eliminato del programma, colui che verrà marchiato a vita dal “quindici” perdendo la propria identità per diventare nient’altro che un numero ai miei occhi… Questa persona… Il quindicesimo e ultimo classificato è” La suspance è crescente e nessuno riesce a staccare occhi e orecchie da Osvaldo, né tanto meno si sognerebbe di emettere qualsiasi suono. “Il numero quindici è…”
“Osvà, metti pausa e alzati in piedi prima che ti molli un ceffone! Devi rifarti il letto, hai capito? Quante volte te lo devo ripetere?” Il ruggito di Annabetta rimbombava nelle orecchie di Osvaldo risvegliando in lui sensazioni di rabbia e frustrazione talmente forti da aumentare notevolmente il suo battito cardiaco e inibire le sue facoltà linguistiche. Le urla della madre oltrepassavano le cuffiette e colpivano dritto il loro bersaglio, costringendo l’adolescente a mettere in pausa la sua canzone preferita: “Eye Of The Tiger” dei Survivor. “Mamma ma sono già le undici di sera! È inutile rifare il letto se tanto poi devo disfarlo per tornare a dormire” si difendeva lui e lei replicava subito alla blasfemia gridando “ Allora cosa ti pulisci a fare il culo se poi tanto devi cagare di nuovo? Cosa mangi a fare oggi se tanto mangi anche domani? Ma che discorsi fai? Ma che razza di ignorante ho cresciuto?!” “Quelle che hai elencato tu sono cose indispensabili, rifare il letto è solo un tuo capriccio”. Sberla. “Riordina il letto, subito!” ordinò lei avendo cura di tenere il braccio alzato per ricordargli quale impeto avrebbe travolto nuovamente la sua guancia al minimo cenno di un rifiuto.
Alle 23:09, dopo aver scritto sul suo quadernetto il quindicesimo nome, Osvaldo entrava nel letto appena sistemato, complottava a bassa voce per almeno un quarto d’ora contro la madre, mettendo in scena un vero e proprio soliloquio in cui autoalimentava il suo odio “Quando sarai vecchia decrepita” sussurrava mentre la sua lingua si incastrava al palato ogni qual volta provava a dire la lettera “R”. “Ti sbatto in un ospizio. Anzi no, ti porto su una torre e alla base ci metto delle manguste inferocite, poi ti metto a dormire in un letto tutto sfatto, anzi, dormirò io nel letto sfatto, a te ti lascio sulla sedia a rotelle e ti costringo a guardarmi mentre dormo e mentre non rifaccio il mio letto.” Una volta finite le macumbe, affondava la testa nel lardo del suo braccione e ripensava alla giornata appena trascorsa. E ripensava al quindici. E rideva.
“Ridi, ridi… Ridi adesso perché appena scoprirai in che posizione sei nella mia classifica piangerai. E mi implorerai.” Sguardo basso, non voleva farsi vedere ferito da loro, azzannava il suo panino speck e gorgonzola e intanto pensava a Pasquale che rideva. Paolo ascoltava e annuiva, Elia sorrideva, o meglio, gli sorridevano gli occhi, Osvaldo poteva notare simili sottigliezze, Bianca accennava a un risolino, ma era solo di cortesia, o almeno così gli pareva di percepire, mentre Carmela si strusciava su Pasquale. “Sul dizionario se cerco gatta morta trovo la tua faccia Carmela. Sei pronta a darla via pur di essere al centro dell’attenzione pubblica per più di un minuto. Sei un’egocentrica e un’affamata, questo sei!” Ecco cosa avrebbe voluto dire a Carmela in quel momento. Poteva cogliere diversi tipi di  comportamenti all’interno di quel gruppetto che sostava davanti alla soglia della classe durante la ricreazione, ma una cosa in comune la avevano tutti, e questo non poteva essere messo in dubbio: tutti avevano gli occhi fissi su di lui. Lo dilaniavano con le loro orbite infuocate, ridevano e le loro risate emanavano onde sonore taglienti che tagliuzzavano i suoi baffetti incolti, squarciavano il suo grasso e riducevano in brandelli i suoi vestiti comprati al mercato e indossati senza alcun criterio. “Parlate di me, lo so! Parlate sempre di me. Fate anche le riunioni segrete e alle riunioni ci date dentro e sparlate di me. Sparlate a più non posso non è vero, vipere? Pasquale schifoso! Mi fai cagare. Con quella lingua biforcuta la appoggi sopra ogni cosa, si infila in ogni pertugio. Il tuo sibilo non mi fa paura. E poi, vogliamo parlare dei tuoi vestiti da tamarro? Il tuo veleno non mi intacca perché sono immune. Quando sono nato un signore mi ha visto per strada e mi ha fatto una puntura e da allora sono indistruttibile. Alla fine ho scoperto che quel signore era il re d’Inghilterra e ha voluto rendermi invincibile per salvare il regno e tutto il mondo! Fatti avanti rettile e ti taglio in due” Le paranoie non lasciavano mai solo Osvaldo, neanche mentre inghiottiva l’enorme panino farcito che Annabetta aveva preparato con le sue mani sudaticce, callose e a tratti piene di amore. In questo modo, una chiacchierata tenuta dai suoi compagni di classe durante la ricreazione, dall’argomento ignoto, nella mente del ragazzo era ricondotta ad una sorta di complotto, ad una delle solite prese in giro di cui Osvaldo, ciccione, scortese, emarginato, brutto, con la “R” moscia, era spesso vittima. “Bianca lo so che sei dalla mia parte, tu sei la spia in incognito, ti ho inviata anni fa e presto, lo so, farai ritorno al quartier generale portandomi le teste dei nemici. Sorridi per tenerteli cari, ma non appena sarà il momento pugnalali e torna da me. Accarezzerò le tue trecce brune giorno e notte, conterò le tue lentiggini fino ad addormentarmi e vivremo i piaceri proibiti del sesso. Paolo, non sai né di carne né di pesce. Come potrei trovare in te un alleato? Non parli neanche la mia lingua. Sei sardo. Chi cavolo ti capisce!? Sei anche lento. Un pochino tardo. Elia sorride, certo, ma lo fa solo per mantenere la sua reputazione, io e lui lo sappiamo: se vuoi essere popolare bisogna mandare giù un sacco di rospi. Ha calcolato tutto ed è lì a prendermi in giro solo perché così potrà ingraziarsi quel serpentone schifoso, aspettare con calma che tiri fuori quella sua lingua biforcuta per tagliarla di netto e utilizzarla come sciarpa. Non appena tutti lo vedranno con la sua lingua al collo penseranno che è un gran figo perché ha sconfitto il serpentone, oppure, nel caso qualcuno non dovesse accorgersi che si tratta proprio della lingua di Pasquale, sarebbe comunque un capo di vestiario super-fashion, e perciò la gente lo troverebbe ammaliante comunque. Perché è ammaliante. È carismatico. È bello. È gentile. È simpatico. Come me. Ma eccola, appiccicosa come il rigurgito di un cane malato. Carmela. Mi fa ancora più schifo di Pasquale. Si struscia addosso a tutti e ride come una scema. Con quella gonnellina chi si crede di essere? Avrà pure le gambe magre ma secondo me nasconde bene le parti con la cellulite. Sì, secondo me ha la cellulite. Le stanno venendo anche le maniglie dell’amore, l’ho notato. Che schifo. Una donna per essere bella deve essere magra. E lei è solo volgare. Con quei capelli lisci chissà dove vuole andare quella sciacquetta. Tu sei la peggiore, la peggiore di tutti. Sei peggio degli ignavi, perché non fai una scelta, te ne stai lì, nel limbo, e ti strusci qui, ti strusci lì, balli il limbo, balli un po’ di lambada, fai la porca, ti strusci e ti stra-strusci e ti ri-strusci. E mai addosso a me. E io, che sono come Dante, punisco i peccati e ti metterò ultima proprio come lui ha fatto con gli ignavi all’inferno. O forse erano tra i primi? Non lo so. Sta di fatto che io sono il nuovo Dante e so riconoscere la gravità dei peccati perché sono un po’ come Dio. Ho deciso: tu sei la peggiore.”
Alle 23:06 Osvaldo era seduto alla scrivania. Sul suo quaderno depennava il nome di Carmela Cantarelli e lo affiancava successivamente al numero 15. Sulla pagina di sinistra perciò vi erano tutti i nomi della sua classe, in ordine alfabetico, meno uno

 Stefania Arzilla
Emanuele Beccacci
Riccardo Bonacci
Carmela Cantarelli
Marzia Cecchi
Lara Cesarini
Ginevra Fabbri
Pasquale Geronzio
Patrizio Leoni
Jasmine Mehda
Marco Nespolo
Giulio Palumbro
Elia Quartetti
Bianca Silvani
Paolo Udda
E nella pagina di destra i numeri da uno a quindici, di cui quattordici ancora vuoti
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15 Carmela Cantarelli

Osvaldo, vestito di tutto punto, si avvicinava alla teca esagonale di Carmela tra le urla del pubblico che ne condannava l’esecuzione come in un Colosseo, ma molto più grande e sfarzoso, come se a decretare fosse un imperatore, ma molto più carismatico e potente. Dopo essersi avvicinato a sufficienza, indicava la sventurata e lei si inginocchiava. “Strusciati ancora una volta e mettiti in ridicolo per il grande pubblico. Forse in questo modo avrai salva la vita!” Suggeriva il grande conduttore. Carmela si strusciava sulla teca e la folla si sganasciava dalle risate. “Più convincente, più sensuale, più sporcacciona” Incitava Osvaldo. La poveretta metteva in mostra la mercanzia e provocava come poteva, tra le lacrime. “Mi spiace. Non ce l’hai fatta.” Con indifferenza, dopo aver pronunciato queste parole, Osvaldo si girava, scendeva i gradini e senza voltarsi lasciava l’arena. I restanti quattordici tiravano sospiri di sollievo. La folla impazziva, rideva, urlava e attendeva. Carmela graffiava la teca e gridava pietà. Un coperchio esagonale venne trasportato con gli elicotteri. Attaccati all’esagono, rivolti verso Carmela, degli spuntoni affilati pendevano su di lei e venivano calati lentamente nel prisma in cui lei era contenuta sfiorando le pareti della teca per evitare qualsiasi tentativo di evasione da parte della vittima. L’agonia di Carmela si concluse sul pavimento del palco in una pozza di sangue. Il pubblico applaudiva con vigore.
Alle 23:09 entrava nel letto appena fatto, malediceva la madre e ripensava alla giornata appena trascorsa. E ripensava al quindici. E rideva.
 

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