Fluorescent Adolescent

di Drops of Neverland
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - All Of Me ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Thank God It's Monday ***



Capitolo 1
*** Prologo - All Of Me ***




Prologo - All Of Me

 
Claire Richardson s’infilō le cuffiette e scese le scale di corsa, con una mano poggiata sul corrimano e l’altra infilata nella tasca del piumino leggero. Nella testa le rimbombava la voce di Joel Madden che cantava a squarciagola. Ripeté nella sua mente le parole, ancora e ancora, come faceva sempre con le canzoni che amava:

“Io voglio solo vivere. 
Non mi importa delle cose che dicono, 
Non mi importa di che cosa mi succede.
Voglio solo vivere”


Solo vivere. Sė, lei voleva solo vivere. Voleva solo uscire con gli amici il pomeriggio, voleva solo farsi accompagnare a casa in motorino, voleva solo andare a lanciare sassolini nel lago. 
Voleva solo vivere al meglio quella sua adolescenza. 
Uscė in strada e si ritrovō nella sua solita via, quella che percorreva da ormai anni. Luminosa e circondata da palazzi, aveva sempre amato la sua via. Sui muri scendeva pigra una parete d’edera e il negozio davanti all’edificio era una piccola boutique, una di quelle che ti saresti aspettato di vedere in un film francese. I marciapiedi mancavano, ma si poteva tranquillamente camminare in mezzo alla strada asfaltata. Di lė passavano raramente auto, si vedevano solo alcune moto che correvano sfuggenti, guidate probabilmente da qualche adolescente che si dirigeva a scuola. Si guardō attorno e di malavoglia s’incamminō verso la sua adorata scuola. Come tutti quei maledetti giorni, di andare a scuola proprio non ne aveva voglia.
Ma, del resto, c’erano i suoi amici, che l’avevano sempre aiutata. Erano riusciti a tirarla fuori da quei suoi momenti un po’ cosė, un po’ tristi, con delle battute stupide e tante risate. E lei cos’avrebbe mai potuto fare, se non cedere allo scherzo? Perché lei era una persona seria, riflessiva, menefreghista e tutto quel che si voleva  ma quei sette ragazzi erano gli unici a sapere come farla ridere e farla sentire bene. Poi pensō lui, che era uno di quei sette, e pensō anche al fatto di non aver mai detto niente a nessuno. Cavolo, ma perché doveva complicarle la vita, con quei suoi capelli castani scompigliati terribilmente adorabili? Ma, nonostante fosse uno dei suoi migliori amici, non avrebbe mai avuto chance con lui. Lui era popolare, adorato da tutti e semplicemente perfetto. E non “un gran figoooo!” come lo definivano le ragazze che erano capitate in classe con Claire, e che ovviamente non sopportava. Insomma, cosa poteva esserci di tanto bello nel guardare un ragazzo, giudicarlo carino, provarci e nel caso andasse male, dimenticarlo subito?


Nathan Lewis alzō lo sguardo ancora una volta verso lo specchio, cercando invano qualche segno di ciō che lo rendeva “speciale”. Speciale. Quella parola lo perseguitava. Indossava una maglietta stampata e i pantaloni neri, il suo solito abbigliamento. Che c’era di speciale? Magari, se avesse deciso di rinnovare il suo stile sarebbe cambiato qualcosa, sarebbe stato davvero speciale. Anche se probabilmente in peggio, probabilmente non sarebbe stato pių lui. Nathan era alquanto popolare a scuola, ma a lui le ragioni della sua “popolaritā” erano ignote.

“Solo un ragazzo di cittā, 
nato e cresciuto nella zona sud di Detroit 
Ha preso il treno di mezzanotte 
senza avere in mente una destinazione precisa.”


Solo un ragazzo di cittā, cresciuto nella zona sud di Detroit. Quei versi si addicevano alla persona che si stava guardando allo specchio. Gli tornarono in mente quei versi ascoltati a ripetizione. I Journey gli infondevano un Non-So-Che che faceva girare tutto positivamente.
Nathan non si era mai sentito speciale o unico o come diavolo alla gente piaceva definirlo. Lui, in sé stesso, non ci vedeva assolutamente niente di originale. Aveva i capelli castano scuro e gli occhi azzurri. Una corporatura snella e le spalle grandi. A scuola se la cavava, ed era abbastanza popolare. Cos’aveva lui di diverso da un altro milione di ragazzini quindicenni? Era proprio questo che gli dava fastidio, lui non era originale. E poi, lui, una destinazione, una meta, un obbiettivo, non lo aveva. Non aveva la minima idea di cosa avrebbe fatto in futuro. Eppure ci rimaneva notti intere a pensarci, sveglio, nel suo letto, a fissare il soffitto. E poi  si faceva sempre sovrastare da sua madre, stava agli ordini.
Un mollusco, una persona senza spina dorsale, ecco cos’era.
Pensō a Claire, a come volesse sempre farsi distinguere, a come fosse determinata, al perché preferiva ascoltare la musica piuttosto che ascoltare la gente, a come fosse terribilmente bella.
E, al  ricordo di quella ragazzina con le cuffiette e dagli occhi verde scuro, sorrise.
 



Alexis Wright s’infilō il cappello Obey nero, facendo attenzione a non spettinarsi i capelli biondi e rosa che quella mattina aveva accuratamente lavato alle 6.00. Sua madre non voleva che si facesse la doccia di sera, cosė, tre volte alla settimana, era costretta ad alzarsi alle 6.00 e a farsi quella doccia calda che un tempo faceva con piacere, adesso solo mezza addormentata. 

“Oh, respiriamo l'aria 
e viviamo aspettando primavera,
siamo come i fiori prima 
di vedere il sole a primavera”


Osservō per un momento quella frase scritta sul muro bianco col pennarello indelebile. Giā, l’unica su tutta la parete. L’aveva letta, le era piaciuta e ora, stava lė, sola, a farsi osservare.
I suoi amici sapevano che sua madre era italiana. Francesca Regni aveva conosciuto suo padre Cameron Wright in vacanza e dopo mesi di relazioni a distanza (cosa non facile al tempo, visto che non c’erano cellulari), avevano deciso di convivere. Si era trasferita in California e si erano subito sposati. Dopo qualche anno era capitata tra capo e collo Alexis, una bellissima bambina bionda. Non che fosse un problema, visto i soldi che avevano.
Ma Alexis sapeva che non avrebbe dovuto amare quella canzone. Non era neppure nella sua lingua. Se l’era fatta tradurre da sua mamma dopo aver ascoltato quel ritmo cosė incalzante. Aveva anche scoperto che era una cover italiana di “You to me are everything”, ma il testo non era bello come quello italiano.
…Oh, we live and breathe the air waiting for spring, we are like flowers before seeing the sun in spring….
 Ma i suoi amici non avrebbero mai dovuto sapere che era una canzone italiana. Sarebbe stato imbarazzante, e strano. E lei era quella popolare, ne era consapevole, non poteva fare qualcosa di strano., Cosė aveva detto che era una frase Tumblr trovata sul popolare social network. Sė, era una stupida. Ma non ci poteva fare niente, Aveva una reputazione, e non la poteva mandare all’aria.
Si guardō un ultima volta allo specchio: cappellino nero, leggins neri, felpa larga bianca con la scritta “I’m not a Monday person” e Vans rosa shocking. A parer suo, perfetta. I suoi capelli biondi dalle punte rosa le arrivavano alle scapole, e la matita nera intorno agli occhi azzurri le stava d’incanto, come ogni mattina. Lucidalabbra rosa chiaro ed era pronta per uscire. Prese la borsa a tracolla che fungeva da cartella e lanciō un urlo.  ŦMamma, io esco!ŧ Una voce femminile le rispose allegra. ŦDivertiti a scuola!ŧ
 Alexis alzō gli occhi al cielo e accennō un piccolo sorriso ŦCome se fosse possibile!ŧ Disse in tutta risposta.
La scuola era un, be’… un ostacolo, ecco. Era un ostacolo a tutto quello che Alexis aveva in mente di fare. Amici, fidanzati e feste non aspettavano certo la scuola per piombare nella sua vita come se nulla fosse. Ma era meglio non pensarci, per adesso. Insomma, alle 7.30 aveva giā la mente offuscata di suo, perché avrebbe dovuto complicarsi le cose?




Christopher Ward era seduto sul muretto della scuola. Non c’era nessuno. In quel momento, si scoprė sorpreso di essere ancora se stesso.

“Non piaci a nessuno quando hai quindici anni,*
e ti divertono di pių i programmi TV,
i miei amici dicono che dovrei comportarmi come quelli della mia etā
Ripetimelo, quanti anni ho?”


Era strano, davvero. Aveva ancora i suoi jeans larghissimi e le sue stesse camicie. Ascoltava ancora Prince, come sua madre gli aveva insegnato a fare in un’infanzia orami lontana. Era lo stesso, identico, ragazzino delle medie. Quei quindici anni proprio non erano riusciti a cambiarlo. Cos’aveva di diverso? Era un po’pių alto e forse un po’ pių magro. Aveva gli stessi capelli ricci e neri e la stessa espressione “impertinente”, come definita da molti, ma per lui, semplicemente, esprimeva il suo amore per la vita. Era sempre Chris. Il solito Chris. E, a volte, c’erano i giorni in cui quel Chris gli piaceva. Ma sė, quello era lui. Un po’ infantile, probabilmente, ma lui. Non doveva cambiare per forza, non doveva avere per forza quella trasformazione che aveva ogni adolescente… giusto? Ma chi voleva prendere in giro. Certo che doveva, certo che voleva. Non riusciva a fare a meno di guardarsi ogni mattina allo specchio per cercare qualche cambiamento, anche minimo. Ma non era solo il cambiamento fisico, che aspettava. Era anche quel click, quello che lo avrebbe fatto diventare un ragazzo e non un ragazzino. Lo aveva notato. Quando un commesso, un professore o un passante lo chiamavano, si riferivano a lui con quel termine, “ragazzino”. Quando invece volevano attirare l’attenzione Nathan o Dylan o Chase, dicevano “ragazzo”.
Christopher si rigirō tra le mani la cosa con cui armeggiava da qualche minuto, una bustina trasparente contenente qualche pasticca purgativa. Sorrise, e quasi scoppiō a ridere. Era stata sua, l’idea, come sempre. Dana avrebbe festeggiato il suo compleanno, quel giorno, e avrebbe offerto alla professoressa di Lettere, la pių odiata dalla classe, un pasticcino purgativo. Ovviamente, la professoressa non se lo sarebbe aspettato. Dana era la cocca, nonostante la odiasse anche lei, per quei suoi voti altissimi e il suo comportamento perfettamente educato. 
Se tutto fosse andato bene, quel giorno Christopher non avrebbe dovuto studiare per il compito di Letteratura.




Dana McLaw era costantemente in ansia, sempre e comunque. E lo studio era l’unica cosa a cui pensava. Doveva rendere felici i suoi genitori, fieri di lei. Se loro erano contenti, poteva ritenersi soddisfatta. E loro, in realtā, non pretendevano neppure cosė tanto da lei. Forse era colpa sua, forse era troppo preoccupata per tutto. Amava i suoi genitori pių di qualunque altra persona al mondo, eppure si sentiva costantemente in ansia.

“La pressione mi butta gių
Ti schiaccia, come nessuno vorrebbe,
sotto pressione
che brucia completamente un palazzo”


Claire l’aveva paragonata a quella canzone.
Un giorno, mentre l’amica faceva le prove con il suo gruppo, si era messa seduta a terra a fare un tema per la scuola. Indossava come al solito una delle sue camicette e gli short di tela beige con i sandali. Era quello il suo usuale abbigliamento estivo. Claire indossava canotta e Converse nere e i pantaloncini di jeans. Cantava suonando il basso, e quel giorno facevano la cover di “Under Pressure” dei Queen e David Bowie. Finita la prova Claire l’aveva accompagnata a casa. “Perō Dana, mai ascoltato il testo della canzone? Ti rappresenta.” Era stata l’unica frase sull’argomento, ma Dana ci aveva rimuginato a lungo. Da allora le venivano sempre in mente quei versi.
Dana  stava disperatamente cercando il suo libro di matematica, nonostante fosse giā uscita era tornata a casa di corsa, con i capelli castano chiaro legati in uno chignon disordinato e gli occhiali inclinati sul naso. Prendeva i libri, li spostava, e li rimetteva diligentemente a posto. Possibile che non fosse da nessuna parte? 
Guardō l’orologio. Le 7.35.
“Ti prego, no, non oggi”
Per un ragazzo normale sarebbe stato un orario normale per uscire di casa, ma lei era terribilmente in ritardo.
Forse era davvero sotto pressione.




Chase Middleton non poteva fare a meno di ascoltare la musica, quando era in autobus. I sedili rovinati e il viavai di persone gli ispiravano troppo una di quelle scene da film in cui il protagonista scontra la solita ragazza timida e graziosa e raccoglie i libri che sono caduti dalle braccia di lei e poi sorride in modo rassicurante e irresistibile. Chase ci sperava sempre, ma sapeva che neanche quella mattina sarebbe successo. Innanzi tutto era troppo surreale.
E poi, lui era troppo timido per fare il protagonista figo e spigliato. Il massimo che sarebbe potuto accadere sarebbe stato che un gruppo di bulletti gli facesse cadere dalle braccia i suoi libri, ma non aveva importanza.

“Dimmi il vento ti ha fatto perdere l’equilibrio?
Sei finalmente riuscito a ballare con la luce del giorno
E ritornare verso la Via Lattea?”


Il problema di Chase era proprio la timidezza, e i Train con quella loro canzone gli infondevano un po’ di energia in quella sua anima quiete. Avrebbe tanto voluto essere come Christopher o come Nathan o come Dylan. Ma lui era diverso, un sognatore, un romantico che sognava di incontrare la sua anima gemella sull’autobus e poi baciarla in riva al mare. Com’era banale. Avrebbe voluto tanto riuscire ad immaginarsi un qualcosa di pių originale, ma era Claire quella brava a fare queste cose. E non le avrebbe mai chiesto di immaginare uno scenario del genere, l’avrebbe preso in giro per il resto dell’eternitā.
Guardō fuori dal finestrino dell’autobus, e fece un lungo e depresso sospiro. Sė, si sentiva proprio come in un film. Guardō fuori, provando a formulare pensieri molto profondi e degni di Shakespeare. Non gli venne nulla, ma non che ci potesse fare niente. Era il solito Chase, timido, che non faceva mai nulla di speciale. Che non era popolare come Alexis o Nathan, non suonava bene quanto Claire, prendeva voti discreti, non eccezionali come quelli di Dana, non era simpatico e amato da tutti come Christopher e non se la cavava con le ragazze come Dylan. Non sapeva fare nulla di speciale, e si sentiva fuori posto. I suoi amici erano casinisti, sapevano divertirsi, ma erano anche delle persone dotate di buon senso. Lui invece aveva solo quello, il buon senso. Da solo non riusciva a divertirsi, o semplicemente a passare il tempo. Si annoiava a morte, e si richiudeva in se stesso, e non aveva neanche il coraggio di chiamare un amico e chiedere “Usciamo?” Solo dopo una lunga, lunghissima conversazione in chat chiedeva di uscire. Aveva sempre il terrore di dare fastidio e di sembrare antipatico. Viveva nella paura di se stesso e degli altri.



Dylan Harris era sempre stato un cosiddetto “marpione”. Non che il termine gli piacesse, lui preferiva “rubacuori” o “dongiovanni”. La gente perō non si riferiva mai a lui cosė. Svoltō l’angolo che portava verso la scuola, e subito avvistō il familiare edificio di cemento grigio. Proprio davanti a quella scuola i suoi amici avevano deciso che il termine adatto a lui era “maniaco”, ma a lui stava bene cosė. Se fosse stato davvero un maniaco non glielo avrebbero detto cosė, papale papale. Sarā che aveva preso un po’ troppo alla lettera Alexis e Cyndi Lauper.

“Loro vogliono divertirsi.
Oh, le ragazze vogliono solo
E' tutto ciō che vogliono veramente
Un po' di divertimento”


Ripensō a quella serata. Alexis si stava scatenando sul tavolino di casa di Dylan. C’erano tutti, come al solito, ma quella sera c’era un po’ di ilaritā in pių. Ovviamente non avevano bevuto un goccio d’alcol, a quei tempi avevano solo quattordici anni (e nonostante adesso ne avessero quindici, ancora non lo potevano bere), ma avevano tutti l’anima particolarmente leggera. La ragazza dai capelli rosa ballava e cantava a squarciagola “Girls just wanna have fun”. Dylan la guardava affascinato. Alexis non le era mai piaciuta, e mai le sarebbe piaciuta, ma Dylan voleva solo capire. Era davvero tutto ciō che volevano le ragazze? Solo un po’ di divertimento? Suo fratello pių grande, Marcus, cambiava continuamente ragazza. Davvero era cosė facile trovarne una?  Pareva di sė. Cosė Dylan decise che la sua maestra di vita sarebbe stata Cyndi e che da allora in poi non avrebbe dovuto farsi tanti pensieri. Del resto, non era neppure brutto. Aveva capelli biondicci e gli occhi castani, anche se secondo Claire sarebbe stato pių carino con delle lenti a contatto grigie o azzurre. Era alquanto alto e, da quando aveva iniziato palestra, anche muscoloso. Ma il problema non era l’aspetto fisico, ma bensė il carattere. Era un po’ troppo diretto, e le ragazze si disgustavano fin dall’inizio. Le frasi “Forse non sono il pių bell’uomo qua dentro, ma sono l’unico che ti sta parlando” o “Credi all’amore a prima vista o devo ripassarti davanti?” non erano sempre l’approccio migliore per rimorchiare, anche se dopo un paio di queste battute squallide, aveva capito come attaccare bottone con una ragazza carina.
Poi vide Christopher.




Neverland's corner:
Allora, non so esattamente a chi potrebbe interessare questa cosa. L'ho solo scritta, e sarei molto contenta se qualcuno che č riuscito ad arrivare fin qua gių recensisse, fatemi sapere cosa ne pensate! personalmente amo molto i persoanggi, e ho cercato di renderli pių realistici possibile. Mi scuso per le numerose descrizioni di capelli, occhi, vestiti e quant'altro, ma tengo molto a caratterizzarli per bene.
Vi lascio nome e artisti delle canzoni citate.

Titolo: Fluorescent Adolescent - Arctic Monkeys
Capitolo: All Of Me - Matt Hammitth
Claire Richardson: I Just Wanna Live - Good Charlotte
Nathan Lewis: Don't Stop Believin' - Journey
Alexis Wright: Primavera - Marina Rei
Christopher Ward: What's My Age Again? - Blink-182 *ho modificato l'etā, nella canzone dice 23, ma lui ne ha 15
Dana McLaw: Under Pressure - Queen ft. David Bowie
Chase Middleton: Drops Of Jupiter - Train
Dylan Harris: Girls Just Want to Have Fun - Cyndi Lauper

Miss Neverland

 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Thank God It's Monday ***




Capitolo 1
Thank God It's Monday
Chase

«Odio i lunedì» borbottò Claire, appoggiandosi al muretto della scuola e bevendo un sorso del tè freddo che teneva in mano.
«Ma tu anche di mattina bevi tè freddo alla pesca?» Chiese un riluttante Dylan. Come ogni mattina erano appoggiati al muretto fuori dalla scuola, ad aspettare che arrivassero gli altri. Chase fece volare il proprio sguardo da Claire a Dylan, ascoltando il botta e risposta, simile a una partita di tennis, che ogni mattina si verificava tra i due, irritabili come non mai di mattina presto. Non osava mai mettersi in mezzo, temeva un’occhiataccia da parte di Dylan o una brutta risposta di Claire.
«Sì, persino di mattina bevo tè freddo alla pesca, mi tiene sveglia. E comunque non era su quel particolare che ti saresti dovuto soffermare. Ho mormorato “odio i lunedì”, tu avresti dovuto darmi una risposta su quello» finì, alzando le sopracciglia annoiata e prendendo un’altra sorsata di tè.
Dylan la guardò di traverso per poi rispondere, snervato «Ma come fai a fare questi discorsi da… psicopatica già di prima mattina?».
«Lei non è psicopatica» s’intromise Christopher, saltando giù dal muretto sul quale era seduto da tempo indefinito «se lo fosse, sarebbe un genio. Giusto, Richardson?».
Claire  sorriso soddisfatta, annuendo «Giusto, Chris. Vedo che qualcuno mi ascolta. Sì, sarei un genio, avendo già un quoziente intellettivo superiore alla media, ma sono troppo normale, maledizione. E non chiamarmi Richardson. Comunque, Dylan, ci riesco perché sonointelligente. E giuro che continuate a farmi domande di prima mattina, qualcuno non arriverà vivo in classe» disse infine, chiudendo gli occhi e prendendo l’ennesimo sorso di tè freddo.
«Chase» aggiunse poi. Il ragazzo, al suono del proprio nome, spostò il peso da un piede all’altro, stando zitto come al solito.
“Sono un idiota” pensò  “Non riesco neanche a rispondere ad una delle mie migliori amiche”.
«Dimmi, Chase» ripeté Claire, sempre con gli occhi chiusi «perché ci siamo solo noi quattro, stamani?».
«Ancora non riesco ad abituarmi a come parli» borbottò Dylan, rivolto a Claire, che lo ignorò bellamente.
«Uhm, Alexis è sicuramente in ritardo, come tutte le mattine» prese a spiegare Chase.
«Tipico» commentò Claire.
«Nathan mi ha scritto poco fa che passava dal negozio a prendere il regalo per Dana e arrivava» continuò Chase, alzando lo sguardo verso il cielo, come faceva sempre quando rifletteva «E lei… be’, non so cosa le sia successo».
«Dite che vorrà fare un’entrata speciale di scena per il suo compleanno, come abbiamo fatto io e Claire?» chiese Chris.
Chase sorrise al ricordo: Christopher e Claire compivano gli anni lo stesso giorno, il 19 settembre, e l’ultima volta avevano organizzato la più grande entrata di scena nella storia della scuola di praticamente sempre. Il giorno del loro compleanno era stata istituita la prima assemblea d’istituto dell’anno. L’occasione perfetta, erano persino riusciti convincere la banda della scuola a suonare “Happy Birthday” invece dell’inno scolastico. Mentre il preside Donovan faceva il solito discorso di apertura, inserendoci una nota sulla bizzarra scelta musicale della banda, Chris era entrato nella palestra, era andato dal preside e dicendogli “mi lasci il microfono, non sa come si intrattiene un pubblico, lei” aveva preso in mano lo strumento acustico, per annunciare “la grande entrata”. Il Preside lo guardava, allibito, e nel frattempo cercava di convincere i professori a fare qualcosa, ma erano tutti troppo confusi anche solo per rendersi conto di cosa stesse succedendo.
«Allora, compagni e compagne di scuola!» aveva urlato Christopher, con un sorriso smagliante «Sono qui per annunciare il compleanno della ragazza che probabilmente odia l’ottantacinque percento di voi: Claire Richardson!».
A quel punto tutte le luci si spensero e un fascio di luce, proveniente da chissà dove, venne puntato sui gradini più alti degli spalti. Claire venne illuminata, e iniziò a suonare “Another One Bites the Dust” dei Queen al basso. Poi un altro fascio di luce venne puntato su Christopher che annunciò con una largo sorriso «E sono anche qui per annunciare il compleanno del grande, bellissimo, magnifico Christopher Waaaard!» allungando quel tanto che bastava la “a” di “Christopher”. Poi le luci si accesero e Chris gridò «Claire scappa!» La ragazza diede il basso ad un ragazzo che la guardava divertito, mentre il Preside e il professore di ginnastica si davano all’inseguimento dei due ragazzi.
«Ma va’, è di Dana che stiamo parlando. Si sarà sicuramente fatta prendere dal panico, in qualche modo» disse Dylan scrollando le spalle. Chase venne immediatamente riportato alla realtà dalla voce del biondo, che stava controllando l’orario con noncuranza.
«Figuratevi, starà contando uno a uno i cupcakes, anche se sono solo una scusa per avvelenare la prof. Non ho capito perché non si è voluta sbilanciare più di tanto: è la cocca dei prof, la farebbe franca in ogni caso» disse Claire.
«Anche se strangolasse la prof con le proprie mani davanti a più di venti testimoni oculari» disse Dylan, ridendo all’idea.
«Infatti, tutti adorano Dana, probabilmente riuscirebbe a farla passare franca anche a noi» commentò Chase, piano.
«Attenzione ragazzi: Chase vuole abusare di Dana per riuscire a convincerla a commettere una rapina insieme a lei, e non farsi scoprire. Non preoccuparti, Chaz, nessuno sospetterebbe di te, sei troppo adorabile» commentò Claire ridendo, tirandogli un buffetto sulla guancia.
Chase arrossì, consapevole del fatto che lui, con la sua terribile timidezza, non aveva niente da temere, o che almeno nessuno gli avrebbe mai puntato un dito contro accusandolo di essere l’artefice in stile Christopher, Dylan o Claire.
Aveva uno strano rapporto con Claire: lei lo trattava come un fratello più piccolo, era molto protettiva nei suoi confronti. Chase all’inizio si sentiva sempre  in imbarazzo allo strano comportamento di Claire, poi aveva capito che lei lo trattava così semplicemente perché lo adorava. All’inizio era strano: Chase non aveva mai visto Claire comportarsi così con nessuno, era sempre una gran menefreghista nei confronti degli latri e, a parte i suoi amici, non riusciva mai a portare avanti una conversazione sincera, o perlomeno normale, con un suo coetaneo. Finiva sempre per litigare, o farsi odiare, da tutti.
«Chi è che vuole commettere una rapina?» commentò una voce alle spalle do Chase. Si girò, davanti a lui si ergeva Nathan, con un’espressione divertita in volto e una busta lilla in mano.
«Oh, nulla Nathan, Chase lo Spaccone voleva portare a rapinare una banca Dana la Ribelle, roba di routine, sai com’è. Comunque, hai preso il regalo, Lewis?» disse Claire, prendendo l’ultima sorsata di tè «È finito, maledizione» borbottò mentre alzava gli occhi al cielo.
«Sì, l’ho preso, Richardson» rispose Nathan. La squadrò un attimo e poi le si avvicinò, le prese il tè dalle mani e disse, piano «Lo butto io» e, esitante «comunque buongiorno».
«Buongiorno, piccioncini» s’intromise Dylan, alzando gli occhi al cielo. Chase non aveva capito bene il tipo d rapporto che c’era tra Claire e Nathan. Era strano, molto intimo e talvolta imbarazzante, ma se c’era qualcosa che era chiaro come l’acqua, era che quei due si piacevano. Era un’opinione che si era fatto tutto il gruppo, ormai. O meglio, avevano indetto una riunione proprio per parlare di questo.
«E dài, Dylan, smettila!» aveva riso Alexis due mesi prima, in un freddo pomeriggio domenicale di febbraio «È una cosa seria, smettiamola di distrarci!».
Alexis si alzò dal tavolino tondo attorno al quale si erano seduti, nel solito bar, e reclamò il silenzio lanciando una delle sue tipiche occhiatacce “Se non ubbidisci ti uccido”. Alexis era una persona talmente affascinante, carismatica, che non si poteva fare a meno di ascoltarla. Nessuno aveva mai il fegato di contraddirla, a parte i suoi amici, ovviamente. Dylan, Christopher, Dana e Chase cercarono di rimanere seri, mentre Alexis si schiariva la gola – quando erano insieme, era impossibile rimanere seri.
«Siamo qui oggi» annunciò Alexis con fare solenne «per parlare di due persone a noi care: Claire Richardson e Nathan Lewis».
«Sembra un funerale, Al» commentò Christopher, per cercando di farla andare su tutte le furie.
«Chris, se non la smetti anche tu, ti cavo gli occhi».
Christopher ammutolì.
«Allora, secondo alcune fonti segrete, ovvero noi stessi, Nathan e Claire si piacciono. Dobbiamo fare qualcosa».
«Tipo?» chiese Dana, aggrottando la fronte.
«Tipo farli mettere insieme» disse Christopher.
«Fin qui c’era arrivato persino Dylan».
«Infatti, fin qui c’ero arrivato persin… Ehi!» Dylan, offeso, prese gli occhiali a Dana, che subito cercò di riprenderseli, invano.
«Ragazzi!» li richiamò Alexis, esasperata «Abbiamo cose più importanti a cui pensare!».
Chase, che fino a quel momento non aveva detto una parola, si girò verso Alexis e disse, con il suo solito tono leggero «Secondo me, prima di tutto dobbiamo farli ammettere che si piacciono».
«Chase Middleton, hai una maledetta ragione!»  esclamò Alexis sorridendo. Gli scompigliò i capelli e, dopo aver appuntato ciò, chiamarono al cellulare i due oggetti della conversazione, e invitarli al loro solito bar.
«Terra chiama Chase. Ci sei, bello?» Chris diede uno scappellotto a Chase, che si riprese immediatamente dai suoi pensieri.
«Ti vedo un po’ tra le nuvole, stamattina» disse Dylan, lanciando uno sguardo all’amico.
«Stavo solo pensando al fatto che Dana non è ancora arrivata. È insolito, per lei» mentì, con una scrollata di spalle. Non avrebbe mai detto ciò che aveva per la testa. Non davanti a Nathan, e soprattutto non davanti a Claire. Ci teneva, alla sua vita.
«Le mando un messaggio»  disse Claire, estraendo il cellulare dalla tasca.
«Illuminami, Occhi Zaffiro, che abbiamo preso a Dana?» chiese Christopher, puntando lo sguardo sul pacchetto lilla che teneva stretto Nathan.
«Un libro, su consiglio di Chase. È arrivato stamattina alla libreria del signor Adams» disse Nathan, aprendo leggermente il pacchetto e sbirciandosi dentro.
«Mi sta simpatico quel vecchietto. È… dinamico, per i suoi settantacinque anni» disse Dylan appoggiandosi al muro e passando un braccio sulle spalle di Claire. Quest’ultima gli lanciò un’occhiataccia che le bastò per far togliere immediatamente il braccio dalle sue spalle «Ne hacinquanta, Dylan» disse, scocciata «E comunque non capisco ancora perché non abbiate accettato la mia proposta».
«Dubito seriamente che a Dana sarebbe piaciuto un saggio su alcol, violenze e droga tra gli adolescenti, Richardson» le disse Christopher.
«Si sarebbe scandalizzata» aggiunse Chase.
«E non ci avrebbe mai più rivolto la parola» concluse Nathan.
«Catastrofici,» mormorò Claire «perlomeno è un romanzo  veritiero».
«Ma Claire, non deve essere veritiero, deve solo piacerle» disse Chase, alzando le sopracciglia, abituato alla testardaggine della castana «E sono abbastanza sicuro che il mio libro le piacerebbe molto di più».
Dylan fece per dire qualcosa, tipo “Si, ma di che parla questo libro?” quando il suo sguardo si puntò al di là delle teste degli amici, e la sua attenzione venne immediatamente attirata da qualcosa che Chase non riusciva a vedere. Seguì l’esempio di Dylan, come tutti gli altri.
Alexis sembrava esasperata, camminava velocemente, con un sorriso nervoso sulle labbra, e aveva al seguito due ragazze che sembravano alquanto appiccicose, pensò Chase, e fu abbastanza certo che fossero Tabby Baker e Zoey Moore, andanti in classe con Alexis.
Le due ragazze gesticolavano e parlavano di qualcosa che Chase non reputava neanche lontanamente interessante, e che Alexis, a quanto pareva, reputava decisamente irritante.
«Sai, Lex, adoro le tue scarpe» diceva Tabby, trotterellando vicino alla ragazza dalle punte rosa per starle dietro « le vans vanno molto quest’anno».
«Decisamente» le faceva eco Zoey, annuendo con un sorriso condiscendente.
Chase capiva perché Alexis avesse tutta quella fretta. «Sentite» disse, girandosi di scatto con un sorrisetto nervoso tirato sulle labbra «non mi interessa, okay?» si mise le mani in volto, mentre Tabby e Zoey si lanciavano un’occhiata. Sembravano quasi ferite dalle parole di Alexis. Anche la ragazza sembrò accorgersene, che cerò subito di rimediare al suo errore «Insomma, sono le otto meno un quarto di lunedì» si scusò con un sorriso «e abbiamo anche il compito di letteratura alla seconda ora, lasciatemi riprendere» accennò una risatina e le ragazze sembrarono soddisfatte mentre si allontanavano ridacchiando.
Alexis si avvicinò a Chase e gli altri «Le inizio a detestare».
«Noi le detestavamo già da prima, se è quello che ti stai chiedendo» disse Claire, con un’alzata di spalle.
«Non essere cattiva» ribatté Alexis, sospirando « sono solo… hanno bisogno di qualcuno da seguire, ecco».
«Siamo commossi dalla tua carità» disse Dylan, mentre dietro di lui Christopher si copriva il volto con una mano, non riuscendo a trattenere le risate.
«Siete due idioti» disse Alexis, prima di rivolgersi a Chase «Sai, Zoey ti reputa carino».
«Io?».
«Già. Posso sempre combinarti un appuntamento, se vuoi».
Chase fece per ribattere, quando vide arrivare Dana con in mano una grossa scatola rosa. Ciò che conteneva l’arma del delitto, pensò Chase.
«Scusate il ritardo» disse lei, con gli occhiali leggermente calati sul naso e un’espressione colpevole in volto.
«Puoi fare tutto quello che vuoi, festeggiata. Dammi il cartone» Nathan prese la scatola dalle  braccia della ragazza che lo ringraziò con un sorriso riconoscente, prima di essere travolta dagli abbracci affettuosi di Claire e Alexis.

Neverland's corner:
perdonatemi, ma è stato tutto molto complicato. Oggi è tornata l'ispirazione... quindi eccomi qui, dopo non aver studiato neanche una pagina, solo per voi. La canzone, Thank God It's Monday, è dei NOFX, e la consiglio vivamente, nel caso vi piaccia il punk. Comunque, lasciate una recensione per farmi sapere cosa ne pensate, perché so dove vivete sarebbe molto importante per me.
Miss Neverland

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